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L’INNOVAZIONE NELLE IMPRESE ITALIANE Rinaldo Evangelista e Daniele Archibugi 6

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L’innovazioneneLLe imprese itaLiane

Rinaldo Evangelista e Daniele Archibugi

6

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SOMMARIO

È spesso sostenuto che l’innovazione nell’industria italiana abbia un debole legame con la R&S, ma che nonostante ciò le imprese del nostro paese riescano ad introdurre nuovi prodotti e processi tramite altre fonti di conoscenza, come l’acquisizione di macchinari, un know-how diffuso e la collaborazione tra imprese. Di conseguenza, per identificare il reale grado di innovatività del sistema produttivo italiano, non ci si può affidare solo ad indicatori quali la R&S e i brevetti, ma occorre prendere in esame basi informative che adottino una concezione più ampia di innovazione e delle attività ad essa connesse. Ciò è quello che viene fatto in questo capitolo attraverso l’analisi dei risultati della Community Innovation Survey (CIS). La CIS mostra che la quota di imprese italiane coinvolte da processi innovativi è inferiore ai paesi dell’UE-15. Anche la spesa per innovazione per addetto è, in Italia, inferiore rispetto ai paesi europei più industrializzati. Tuttavia, nei settori tradizionali del Made in Italy, quali Alimentari e bevande, Tessile e abbigliamento, Carta ed editoria e Mobili, le imprese italiane sostengono spese per l’innovazione più elevate rispetto alla media europea. Le imprese italiane mostrano infine una propensione a cooperare in ambito innovativo molto più bassa rispetto a quanto accade negli altri principali paesi europei.

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Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia

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6.1 - La misurazione dell’innovazione. il contributo fornito dalle Community innovation surveys (Cis)

Il cambiamento tecnologico e l’innovazione sono fenomeni complessi e ca-ratterizzati da una forte eterogeneità, riconducibile alla diversità dei settori e dei contesti socio-istituzionali in cui operano le imprese, e alle specifiche strategie da queste poste in atto (Malerba, 2000; Fagerberg et al., 2005). Negli ultimi decenni sono stati compiuti notevoli sforzi per aprire “la sca-tola nera” della tecnologia e l’innovazione, e per mettere a punto indicatori e rilevazioni statistiche in grado di misurare la multidimensionalità del fe-nomeno innovativo e il suo impatto economico. Il modo tradizionale di rap-presentare e misurare le attività innovative è quello basato sulla distinzione tra input e output tecnologici. Per lungo tempo le risorse (umane, materiali e finanziarie) destinate alle attività di R&S sono state, infatti, considerate l’input principale del processo innovativo, e le singole innovazioni intro-dotte, spesso identificate tramite brevetti, l’output tecnologico delle attività formalizzate della ricerca di base e di quella applicata. In tempi più recenti è maturata una visione meno lineare e deterministica del processo innova-tivo, una prospettiva cha enfatizza la presenza di una molteplicità di fonti dell’innovazione (sia interne che esterne alle singole imprese). Parallela-mente, le attività innovative sono state viste come risultato di processi di apprendimento incrementali e cumulativi ai quali è spesso difficile associare innovazioni o output tecnologici specifici. Questo cambiamento di prospet-tiva ha evidenti implicazioni per la misurazione delle attività innovative, rendendo i tradizionali indicatori tecnologici di input (R&S) e output (bre-vetti) strumenti utili ma non sempre efficaci a cogliere le capacità e presta-zioni innovative di imprese e sistemi economici.

L’indagine europea sull’innovazione (Community Innovation Survey - CIS), promossa e coordinata dall’EUROSTAT, costituisce uno dei principali risul-tati di tale percorso. L’ufficio statistico europeo rende infatti disponibile da oltre 15 anni, e con cadenza triennale, una larga mole di informazioni sulle attività innovative delle imprese1. Sulla base di un questionario armonizzato

1 La CIS segue le linee guida contenute nel “Manuale di Oslo” che rappresenta la base concettuale e metodo-logica per la misurazione delle attività innovative dalle imprese (OECD-Eurostat, 2005). L’indagine è condotta in modo armonizzato a livello europeo, e adotta definizioni e metodologie di rilevazione statistica comuni a tutti i paesi dell’Unione.

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a livello europeo, alle imprese viene infatti chiesto di indicare il tipo di inno-vazione introdotta, il tipo di attività innovativa svolta, le spese sostenute per l’innovazione, gli obiettivi perseguiti con l’innovazione, l’impatto dell’in-novazione sul fatturato, la presenza di collaborazioni, l’eventuale presenza di un sostegno pubblico. Inoltre, la CIS estende la rilevazione del fenomeno innovativo ai cambiamenti organizzativi e nel marketing, portando così in emersione aree di innovazione trascurate dai tradizionali indicatori tecno-logici. Rispetto agli indicatori basati sulle spese in R&S e sui brevetti, i dati CIS colgono quindi con maggiore efficacia la presenza di attività innovative meno formalizzate, prevalenti nelle imprese di piccole e medie dimensioni, nei settori più distanti dalla frontiera tecnologica e nel settore dei servizi. Ciò migliora anche l’analisi comparata dei diversi sistemi innovativi nazio-nali, caratterizzati come noto da strutture molto differenziate in termini di specializzazione produttiva e distribuzione dimensionale delle imprese. Il grado di copertura dell’indagine è anch’esso ragguardevole. La rilevazione è infatti di tipo censuario per le imprese con oltre 249 addetti, e campionaria per le imprese che ricadono sotto tale soglia dimensionale. Le imprese con meno di 10 addetti non sono invece oggetto di rilevazione2.

L’obiettivo di questo capitolo è dunque quello di analizzare, in un’ottica comparata su scala europea, caratteristiche e prestazioni innovative delle imprese italiane sulla base degli ultimi dati CIS resi disponibili dall’EURO-STAT3, e riferiti al triennio 2012-14. In particolare verificheremo se, e in quale misura, l’utilizzo di indicatori più ampi sulle attività innovative delle imprese ci consegnino un diverso posizionamento internazionale del si-stema innovativo italiano rispetto a quello che emerge dagli altri capitoli di questa Relazione. Negli ultimi decenni si è sviluppato, infatti, un vivace dibattito sull’effettivo potenziale innovativo dell’industria italiana e sulla capacità dei tradizionali indicatori basati sulla spese in R&S e brevetti di co-gliere la natura non formalizzata delle attività innovative che hanno luogo nelle piccole e medie imprese italiane, e in particolare nel settore del Made in Italy, così come in alcuni settori specializzati nella fornitura di macchinari e attrezzature per l’industria (Archibugi e Evangelista, 1995; Archibugi et al., 1999; Bugamelli et al., 2012, MET, 2015). C’è, in altre parole, la possibilità

2 La sezione campionaria dell’indagine viene effettuata attraverso una stratificazione dell’universo al fine di massimizzare il grado di rappresentatività del campione. Gli “strati” si riferiscono al settore di attività econo-mica, alla classe dimensionale e alla regione.

3 I dati sono accessibili sul sito http://ec.europa.eu/eurostat/web/science-technology-innovation/data/database.

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che indicatori tecnologici tradizionali quali la R&S e i brevetti sottostimino le potenzialità delle imprese italiane, visto che queste innovano grazie ad altre fonti. Il fatto, poi, che nella divisione internazionale del lavoro l’Italia sia specializzata in settori industriali tradizionali, rafforza l’impressione che non si possa effettuare un confronto internazionale solo sulla base di in-dicatori che catturino attività innovative formalizzate proprie dei settori ad alta tecnologia. Sulla base dei dati CIS cercheremo quindi di verificare l’ipotesi secondo la quale in Italia si faccia poca R&S ma molta innovazione. Prenderemo in esame un set molto ristretto di indicatori CIS, e principal-mente quelli volti a misurare:

a. il grado penetrazione del fenomeno innovativo nel tessuto produt-tivo italiano;

b. le risorse finanziare destinate alle attività innovative;

c. l’importanza assunta da “modalità innovative aperte” di tipo cooperativo.

Nel caso di alcuni indicatori la comparazione internazionale sarà confinata ad un numero ristretto di paesi europei, e ciò in conseguenza della effettiva disponibilità dei dati CIS4.

6.2 - il grado di penetrazione del processo innovativo nelle imprese

Il primo e più basilare indicatore di “innovatività” che può essere calcolato con i dati CIS è quello relativo alla “percentuale di imprese innovatrici”, ov-vero la quota di imprese che in ciascun ambito produttivo (paese, settore di attività economica o classe dimensionale) ha introdotto - nel triennio preso in considerazione da ciascuna “ondata” della CIS – almeno una innovazione. La CIS a questo riguardo individua 4 principali tipi di innovazione:

1. di prodotto o servizio;

4 In particolare quelli consultabili e scaricabili dal sito dell’EUROSTAT http://ec.europa.eu/eurostat/web/science-technology-innovation/data/database.

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2. di processo;

3. organizzativa;

4. nel marketing5.

Seguendo le indicazioni dell’EUROSTAT, per “impresa innovatrice” consi-deriamo l’impresa che ha introdotto un qualsiasi tipo di innovazione tra quelle indicate. La percentuale di imprese innovatrici (sul totale) rappre-senta quindi un indicatore di innovatività piuttosto lasco, specie se si tiene conto che, come specificato nel questionario CIS, “le innovazioni introdotte dall’impresa non devono necessariamente consistere in prodotti, processi, pratiche, modalità organizzative o strategie nuove per il mercato; è suffi-ciente che risultino innovazioni per l’impresa che le introduce”.

La Figura 6.1 riporta i valori di questo indicatore (relativamente al triennio 2012-14) per l’Europa nel suo insieme (rispettivamente a 28 e 15 paesi) e per i diversi paesi membri. Se si prende l’insieme dei 28 paesi dell’Unione Eu-ropea (UE-28) le imprese innovatrici sono pari al 48% del totale. Nell’Europa a 15 paesi (UE-15) tale percentuale sale al 56%. Il paese con la percentuale di imprese innovatrici più elevata è la Germania, seguita dal Lussemburgo, il Belgio e l’Irlanda. I paesi dell’Europa dell’est sono quelli in cui si riscontrano le percentuali più basse di imprese innovatrici. Il valore di questo indicatore in Italia è pari al 47%, una quota quindi prossima alla media dei 28 paesi europei, ma significativamente inferiore a quella del gruppo UE-15. Da no-tare come, ad eccezione della Spagna, nessun paese dell’Europa a 15 registri una percentuale delle imprese innovatrici inferiore a quella italiana. Inoltre, anche se si guarda alla propensione ad innovare nelle diverse tipologie di innovazioni prese in considerazione dalla CIS, ovvero quelle “tecnologiche in senso stretto” (di prodotto e processo) e quelle “non-tecnologiche” (con-sistenti nell’introduzione di cambiamenti nell’organizzazione e nel marke-ting), il quadro non cambia significativamente (Figura 6.2). Con riferimento

5 Nel questionario CIS (quello utilizzato per la rilevazione che copre il periodo 2012-14 e visionabile su https://www.istat.it/it/files/2011/02/CIS4_questionario.pdf?title=Innovazione+nelle+imprese) vengono fornite le seguenti definizioni di innovazione: “Le innovazioni possono consistere in: prodotti, servizi e processi nuovi o significativamente migliorati rispetto a quelli precedentemente disponibili, in termini di caratteristiche tec-niche e funzionali, prestazioni, facilità d’uso (innovazioni di prodotto e servizio e innovazioni di processo); mu-tamenti significativi nelle pratiche di organizzazione aziendale, nell’organizzazione del lavoro o nelle relazioni con l’esterno (innovazioni organizzative); nuove strategie di marketing che differiscono significativamente da quelle precedentemente implementate dall’impresa (innovazioni di marketing). Le innovazioni introdotte dall’impresa non devono necessariamente consistere in prodotti, processi, pratiche, modalità organizzative o strategie nuove per il mercato; è sufficiente che risultino innovazioni per l'impresa che le introduce”.

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ad entrambi i tipi di innovazione, le imprese italiane fanno da fanalino di coda del gruppo UE-15, precedendo le sole imprese spagnole nel caso del primo tipo di innovazioni e quelle danesi nel caso delle innovazioni non tecnologiche.

Figura 6.1 - Imprese innovatrici* in Europa (2012-14; % sul totale delle imprese)

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Fonte: Eurostat (http://ec.europa.eu/eurostat/data/database. Sezione: Science and Technology/Com-munity innovation survey). *: imprese che hanno dichiarato di aver svolto attività finalizzate all’introduzione di innovazioni di prodotto o processo o di aver introdotto innovazioni organizzative o di marketing nel triennio 2012-2014.

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Figura 6.2 - Imprese innovatrici per tipologia di innovazione introdotta (2012-14; % sul totale delle imprese)

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Innovazioni tecnologiche (di prodotto e/o processo)

Innovazioni non tecnologiche (nell'organizzazione e/o nel marketing)

Fonte: Eurostat (http://ec.europa.eu/eurostat/data/database. Sezione: Science and Technology/Com-munity innovation survey).

I dati riportati nelle Figure 6.1 e 6.2 ci indicano quindi che, nell’arco del triennio 2012-14, più di un’impresa italiana su due è risultata inerte da un punto di vista innovativo, e solo poco più di un terzo ha introdotto un’inno-vazione tecnologica di prodotto o processo. Considerate la definizione piut-tosto lasca di innovazione adottata dalla CIS, e che le imprese sotto i 10 ad-detti (dove il tasso innovativo è inferiore) sono escluse dall’indagine, questi dati sembrano segnalare un elevato grado di staticità del sistema produttivo italiano, o comunque che per una parte consistente delle imprese italiane l’innovazione costituisca un elemento assente, sporadico e non sistematico delle proprie strategie.

La bassa percentuale di imprese innovatrici riscontrata in Italia, quando confrontata con quella che si registra nei principali paesi europei, è sicu-ramente il risultato di un modello di specializzazione produttiva del nostro paese orientato in settori caratterizzati da basse “opportunità tecnologiche e innovative”. Tuttavia, ciò è vero solo in parte. Se, infatti, si confronta (Fi-gura 6.3) il dato italiano con quello europeo a livello di singolo settore di attività economica, il deficit di innovatività delle imprese italiane rispetto alla media europea si attenua ma non si annulla. Solo nel settore dei Pro-

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dotti alimentari e in quelli della lavorazione del tabacco si riscontra in Italia una maggiore percentuale di imprese innovatrici rispetto a quanto avviene nell’insieme del gruppo UE-15. In tutti gli altri settori la quota di imprese innovatrici in Italia è inferiore a quella media europea (UE-15).

Senza dubbio anche la ridotta dimensione media d’impresa che caratterizza il sistema produttivo italiano gioca un peso rilevante nello spiegare l’elevata percentuale di imprese non innovatrici nel nostro sistema economico. I dati CIS (sia relativi all’insieme del paesi UE-15, che quelli relativi all’Italia) con-fermano, infatti, che la propensione ad innovare dipende fortemente dalla dimensione d’impresa, sia nei servizi che nell’industria manifatturiera (Fi-gura 6.4). Si nota inoltre come il differenziale nella propensione ad innovare tra grandi (sopra i 249 addetti) e piccole (10-49 addetti) imprese risulti es-sere maggiore in Italia rispetto alla media europea, soprattutto nell’indu-stria manifatturiera.

Figura 6.3 - Imprese innovatrici* in Italia e in Europa (UE-15) per settore di attività economica (2012-14; % sul totale delle imprese)

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Fonte: Eurostat (http://ec.europa.eu/eurostat/data/database. Sezione: Science and Technology/Com-munity innovation survey). *: imprese che hanno dichiarato di aver svolto attività finalizzate all’introduzione di innovazioni di prodotto o processo o di aver introdotto innovazioni organizzative o di marketing nel triennio 2012-2014. La classificazione delle attività economiche è l’Ateco 20076.

6 Classificazione delle attività economiche adottata dall’ISTAT a partire dal 1° gennaio 2008 e che recepisce la classificazione europea Nace Rev. 2.

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Figura 6.4 - Imprese innovatrici* in Italia e in Europa (UE-15) per classe dimensionale e macro settore (2012-14; % sul totale delle imprese)

52 52 5145 46

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90

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ItaliaIndustria**

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Da 10 a 49 addetti

Da 50 a 249 addetti

250 addetti e oltre

Fonte: Eurostat (http://ec.europa.eu/eurostat/data/database. Sezione: Science and Technology/Community innovation survey). *: imprese che hanno dichiarato di aver svolto attività finalizzate all’introduzione di innovazioni di prodotto o processo o di aver introdotto innovazioni organizzative o di marketing nel triennio 2012-2014. **: include i settori Ateco 2007 B-E (eccetto il settore delle Costruzioni). ***: include i seguenti settori Ateco 2007: Commercio all'ingrosso e al dettaglio e riparazione di au-toveicoli e motocicli (G); Trasporto e magazzinaggio (H); Servizi di informazione e comunicazione (J); Attività finanziarie e assicurative (K); Attività professionali, scientifiche e tecniche (M, salvo le divi-sioni 69 e 75).

6.3 - Le spese per l’innovazione

Le imprese che innovano in Italia sono quindi relativamente poche, e co-munque una percentuale inferiore a quella che si registra nei paesi europei di paragonabile dimensione e grado di sviluppo economico-produttivo. Sempre in un’ottica comparata su scala europea, risulta interessante foca-lizzare l’attenzione sulle imprese innovatrici e misurare l’intensità del loro sforzo innovativo. Tale sforzo può essere misurato prendendo in esame il dato relativo alle spese sostenute per l’innovazione. Alle imprese censite

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dall’indagine CIS viene infatti chiesto di indicare le specifiche attività inno-vative svolte e il relativo costo sostenuto. Come già sottolineato, l’indagine prende in esame un’ampia gamma di attività innovative e in particolare:

a. le attività di R&S (svolte direttamente dall’impresa o commissio-nate all’esterno);

b. l’acquisizione di macchinari, attrezzature, software, fabbricati fi-nalizzati all’introduzione di innovazioni di prodotto, servizio o processo;

c. l’acquisizione di conoscenza da altre imprese o istituzioni (know-how, lavori protetti da diritto d’autore, innovazioni brevet-tate e non brevettate, etc.);

d. le attività di progettazione e design;

e. la formazione (legata alle attività innovative);

f. il marketing di nuovi prodotti e servizi;

g. altre attività preliminari all’introduzione di innovazioni, quali studi di fattibilità, attività di verifica e collaudo, ingegnerizzazione industriale.

Come indicatore dell’intensità innovativa complessiva delle imprese si può quindi utilizzare il dato relativo al totale delle spese in innovazione soste-nute dalle imprese, normalizzato per un dato dimensionale dell’impresa (noi utilizzeremo il numero degli addetti). Risulta interessante anche con-frontare questo indicatore con quello relativo alle sole spese per le attività di R&S (sempre per addetto). La Figura 6.5 riporta entrambi gli indicatori per ciascuno dei 28 paesi europei. L’anno di riferimento è il 2014 (l’ultimo anno del triennio coperto dall’indagine)7.

7 Alle imprese viene chiesto di quantificare queste spese prendendo come periodo di riferimento un singolo anno, e precisamente l’ultimo anno del triennio coperto dall’indagine. Nel caso dell’ultima indagine CIS il dato sulle spese per l’innovazione si riferisce quindi al 2014.

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Figura 6.5 - Spese totali per l’innovazione e spese in R&S in Europa (2014; migliaia di euro per addetto)*

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Fonte: nostre elaborazioni su dati Eurostat (http://ec.europa.eu/eurostat/data/database. Sezione: Science and Technology/Community innovation survey). Nota: l’indicatore è calcolato prendendo in esame le spese per l’innovazione e gli addetti solo delle im-prese che hanno introdotto un’innovazione di prodotto o processo.

In Italia le imprese che hanno introdotto almeno un’innovazione (di pro-dotto e/o processo)8 nel periodo 2012-14 hanno speso in media per addetto, e per l’insieme delle attività innovative richiamate sopra (punti a-g), 6,7 mi-gliaia di Euro. Circa la metà di queste spese (3,4 migliaia di Euro) è stata destinata alle attività di R&S. Dalla Figura 6.5 emerge chiaramente come, anche prendendo in esame un indicatore delle sforzo innovativo delle im-prese molto ampio come quello delle spese totali per l’innovazione, la di-stanza delle imprese italiane da quelle dei paesi più innovativi continui ad essere significativa. Le imprese innovatrici in Italia spendono in innovazione circa un quarto di quelle svedesi, meno della metà delle imprese innovatrici tedesche e molto meno di quanto viene speso per le attività innovative in Francia. Restringendo il campo al gruppo UE-15, le imprese innovatrici ita-liane si posizionano prima solo delle imprese spagnole e di quelle greche. I dati relativi alle spese in R&S mostrano (come prevedibile) divari tra le imprese italiane e quelle dei paesi più innovativi ancora più significativi. Il

8 La CIS chiede di indicare le spese per l’innovazione solo alle imprese che hanno introdotto un’innovazione di prodotto e/o processo (indipendentemente dall’aver introdotto innovazioni in ambito organizzativo o nel marketing).

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confronto di questi due indicatori ci consente inoltre di avere una stima della parte della attività innovative che l’indagine CIS riesce a portare in emer-sione rispetto all’indicatore della R&S. Come si evince da tale confronto, le attività innovative che hanno luogo al di fuori dei laboratori di R&S pesano per una percentuale che varia da paese a paese ed è (con qualche rilevante eccezione) più alta nei paesi meno innovativi.

Anche in questo caso non è difficile immaginare che la bassa intensità in-novativa italiana rivelata dai dati sulle spese per l’innovazione, e le distanze che emergono rispetto ai principali paesi europei, riflettano il modello di specializzazione del sistema produttivo italiano. Risulta quindi interessante verificare se tali distanze permangano anche nei singoli settori di attività economica. La Figura 6.6 consente di fare questa verifica presentando, per i principali settori (quelli per i quali l’EUROSTAT rende disponibili i dati), i valori delle spese totali per l’innovazione per addetto sostenute dalle im-prese italiane, e il valore medio dello stesso indice calcolato prendendo in esame l’insieme delle imprese innovatrici dei 5 principali paesi europei (UE-5): Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Spagna.

Nonostante la Figura 6.6 mostri un quadro più articolato del posizionamento del sistema innovativo italiano nel panorama europeo, nella maggior parte dei settori le imprese italiane continuano a registrare un’intensità innova-tiva inferiore a quella media dei 5 maggiori paesi europei. Solo in quattro settori industriali le imprese italiane mostrano un’intensità innovativa (mi-surata come spese totali per l’innovazione per addetto) superiore alla media dei 5 paesi: si tratta dei Prodotti alimentari e di quelli relativi alla lavora-zione del tabacco (settori Ateco C10-12), del Tessile e Abbigliamento (C13-15), del settore della Carta e Stampa (C16-18), del settore Fabbricazione Mobili (C31) (tutti settori nei quali l’Italia vanta una consolidata specializ-zazione produttiva), e del settore Ricerche di mercato e pubblicità (M73). La figura mostra una (sorprendentemente) bassa spesa per innovazione nel settore degli Autoveicoli così come negli Altri mezzi di trasporto (C29-C30), nei Prodotti in metallo (C25) e nel macro settore dei Computer, dei prodotti elettrici-elettronici e degli strumenti ottici (C26).

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Figura 6.6 - Spese per l’innovazione in Italia e nel gruppo UE-5 per settore di attività economica (2014; migliaia di euro per addetto)

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Italia

UE-15

Fonte: Eurostat (http://ec.europa.eu/eurostat/data/database. Sezione: Science and Technology/Com-munity innovation survey). Nota: L’indicatore è calcolato prendendo in esame le spese per l’innovazione e gli addetti solo delle imprese che hanno introdotto un’innovazione di prodotto o processo.

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6.4 - La propensione a cooperare nell’innovazione

Il processo innovativo è un fenomeno sistemico e l’innovazione il risultato di una complessa rete di relazioni e flussi di conoscenza che hanno luogo sia all’interno del perimetro organizzativo dell’impresa, sia tra l’impresa e il contesto esterno. Tale processo di osmosi prende varie forme e modalità in virtù del settore, delle caratteristiche specifiche delle imprese, della densità e qualità del sistema innovativo in cui esse operano. Il grado di apertura delle imprese al contesto esterno, e la capacità di relazionarsi e cooperare sui temi della ricerca e dell’innovazione, sono riconosciuti da molto tempo come elementi di cruciale importanza, in grado di influire sul dinamismo tecnologico delle imprese e sulle loro prestazioni innovative e, più in gene-rale, sulle prestazioni del sistema nazionale d’innovazione di cui sono parte integrante. Ciò spiega l’inserimento nel questionario CIS di una sezione ap-positamente dedicata alla cooperazione. Alle imprese viene infatti chiesto se - nel triennio coperto dall’indagine - abbiano “definito accordi di coope-razione con altre imprese o istituzioni per le attività di innovazione”, e di individuare le diverse tipologie di partner (imprese appartenenti allo stesso gruppo industriale, imprese che operano nello stesso settore, fornitori, so-cietà di consulenza, università e altri centri di ricerca) e la loro localizza-zione geografica (partner nazionali, localizzati negli altri paesi europei o in paesi extra-europei).

La Figura 6.7 riporta i risultati relativi alla percentuale delle imprese che hanno definito accordi di cooperazione per l’innovazione (sul totale delle imprese innovatrici) nel periodo 2012-14. Viene presentato per ogni tipo-logia di accordo di cooperazione il dato relativo alle imprese italiane e quello medio europeo (UE-15).

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Figura 6.7 - Imprese con accordi di cooperazione per l’innovazione per tipologia e localizzazione del partner (2012-14; % sul totale delle imprese innovatrici)

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EU-15

Italia

Fonte: Eurostat (http://ec.europa.eu/eurostat/data/database. Sezione: Science and Technology/Com-munity innovation survey).

Nella figura emerge chiaramente un forte divario tra l’Italia e gli altri paesi europei nella propensione delle imprese a cooperare in tema di innovazione, divario ancora più significativo di quello emerso sulla base degli indicatori precedentemente considerati. Nel gruppo UE-15 sono state circa un terzo le imprese che nel triennio 2012-14 hanno attivato qualche forma di coo-perazione, mentre in Italia tale percentuale è stata meno del 20%. Il divario si allarga notevolmente se si guarda agli accordi di cooperazione stipulati con partner internazionali: meno del 5% delle imprese innovatrici italiane coopera con partner europei (contro una media europea pari al 12,6%) e quelle che cooperano con soggetti extraeuropei sono solo lo 0,6% (contro una media europea del 5,1%). La Figura 6.7 mostra inoltre che la scarsa propensione a cooperare da parte delle imprese italiane riguarda tutte le tipologie di partenariato. I differenziali più elevati rispetto al dato medio europeo si registrano nel caso della cooperazione con imprese facenti parte dello stesso gruppo, con fornitori di attrezzature e materiali e con università e centri di ricerca pubblici.

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Mentre l’economia italiana è spesso considerata all’avanguardia per la capa-cità delle imprese, soprattutto quelle piccole e medie, di condividere compe-tenze con le loro rivali, come sottolineato nella vasta letteratura sui distretti industriali, i dati della CIS mostrano qualcosa di diverso. Ciò, probabilmente, si spiega, almeno in parte, con la natura informale delle modalità di coope-razione delle imprese italiane, specie nel caso di quelle di piccola e media dimensione.

6.5 - La dinamica del divario innovativo italiano

La disamina degli indicatori CIS fin qui eseguita ci conferma l’esistenza di un divario innovativo strutturale significativo del sistema produttivo italiano rispetto ai principali paesi europei. Oltre ad una fotografia puntuale delle prestazioni innovative dell’industria italiana nel periodo recente (2012-14), risulta cruciale ricavare delle indicazioni sulla dinamica di più lungo periodo degli indicatori presi in esame in queste pagine, per verificare se il divario con gli altri principali paesi europei si sia ridotto o ampliato nel tempo. Purtroppo il confronto longitudinale dei dati forniti dalle diverse “ondate” della CIS non è esente da difficoltà, e ciò a causa delle modifiche apportate alle metodologie di rilevazione e nella struttura e contenuto dei questionari utilizzati. Tali problematiche risultano tuttavia attenuarsi se ci si limita a prendere in esame (e confrontare con qualche cautela) i dati delle ultime quattro indagini CIS (quelle relative ai trienni 2006-08; 2008-10; 2010-12 e 2012-14). Con riferimento, quindi, ad un periodo temporale lungo quasi un decennio, è interessante analizzare due dei tre indicatori di innovatività esaminati nelle pagine precedenti, ovvero la percentuale di imprese innova-trici (Figura 6.8) e le spese per l’innovazione per addetto (Figura 6.9). L’an-damento degli indici relativi al sistema produttivo italiano è stato confron-tato con quello di un sottogruppo significativo di paesi europei composto dalle principali economie europee continentali (Germania, Francia, Italia, Spagna e Olanda), il Regno Unito, e i tre principali paesi del nord Europa (Svezia, Norvegia e Finlandia).

La Figura 6.8 ci mostra come nell’Europa nel suo insieme (UE-28), la per-centuale di imprese che innova si sia ridotto da un valore pari al 51,5%, re-gistrato nel triennio antecedente la crisi (2006-08), ad un valore del 49,1%

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nel triennio 2012-14. La profonda e lunga crisi economica iniziata nel 2008 sembra quindi aver influito negativamente sulla propensione delle imprese ad innovare (Filippetti e Archibugi, 2011). La figura mostra tuttavia una forte eterogeneità negli andamenti dell’indice tra i diversi paesi. Francia e Regno Unito si muovono infatti in controtendenza, mostrando una netta crescita dell’indice. Anche l’Olanda, la Norvegia e la Finlandia, se si confronta il dato del primo e dell’ultimo periodo, registrano una crescita della percentuale di imprese innovatrici. L’Italia, la Spagna e la Germania registrano invece una riduzione della percentuale di imprese che innovano. In particolare, in Germania la flessione si concentra tra il primo e secondo triennio, un anda-mento che sembrerebbe indicare un processo di restringimento della base produttiva tedesca che innova. In Italia l’indice cresce nei primi tre periodi ma registra una forte flessione (di quasi 8 punti percentuali) nell’ultimo pe-riodo scendendo ad un livello inferiore a quello pre-crisi.

Figura 6.8 - Imprese innovatrici* in Europa nel periodo 2006-2014 (% sul totale delle imprese)

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Fonte: Eurostat (http://ec.europa.eu/eurostat/data/database. Sezione: Science and Technology/Com-munity innovation survey). *: imprese che hanno dichiarato di aver svolto attività finalizzate all’introduzione di innovazioni di prodotto o processo o di aver introdotto innovazioni organizzative o di marketing nel triennio 2012-2014.

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La dinamica dell’indicatore sui costi innovativi per addetto (Figura 6.9) ci fornisce un quadro più netto rispetto a quello ricavato sulla base dell’anda-mento delle percentuali delle imprese innovatrici. Nella quasi totalità dei paesi (con la sola eccezione della Finlandia) l’indice tende a crescere. Ciò indica che in tutti i paesi presi in esame, le imprese che innovano (anche se diminuiscono percentualmente – come nel caso della Germania) aumentano le risorse impiegate (per addetto) nei processi innovativi. Tuttavia, la figura mostra tassi di incremento dell’indice molto differenziati. In particolare, emerge un’evidente polarizzazione tra i paesi del centro e nord Europa che (con la sola eccezione della Finlandia) mostrano significativi aumenti delle spese per l’innovazione per addetto, e i due paesi del sud Europa (Spagna e Italia) in cui l’indice appare sostanzialmente stazionario.

Figura 6.9 - Spese per l’innovazione per addetto nei principali paesi europei nel periodo 2008-14 (migliaia di euro per addetto)

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Fonte: nostre elaborazioni su dati Eurostat (http://ec.europa.eu/eurostat/data/database. Sezione: Science and Technology/Community innovation survey). Nota: l’indicatore è calcolato prendendo in esame le spese per l’innovazione e gli addetti solo delle im-prese che hanno introdotto un’innovazione di prodotto o processo.

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6.6 - L’innovazione delle imprese italiane verso il futuro

L’analisi dei dati CIS delinea un sistema produttivo italiano caratterizzato, quando confrontato con quello delle altre principali economie europee, da una limitata diffusione del fenomeno innovativo, da un basso volume di ri-sorse destinate all’innovazione e da una debole propensione ad avviare pro-getti innovativi in cooperazione con altre imprese e soggetti istituzionali. Dall’analisi dinamica degli indici relativi alla percentuale di imprese innova-trici, e alle spese per l’innovazione, emerge inoltre un quadro di sostanziale stazionarietà e inerzia del sistema innovativo italiano. Su tale andamento ha sicuramente inciso la profonda crisi economica internazionale avviatasi a partire dagli anni 2007/2008 che, come noto, è stata particolarmente se-vera in Italia, e alla quale le imprese italiane non sembrano aver risposto in maniera proattiva: non è aumentata, infatti, la platea delle imprese che innova, e le imprese che innovano non hanno aumentato le risorse destinate all’innovazione. Tali indicazioni scontano ovviamente un elevato livello di aggregazione dell’analisi. Dietro i valori medi e l’andamento aggregato degli indicatori presi in esame nel presente contributo si celano sicuramente ele-menti di dinamicità riscontrabili in specifiche sezioni e settori del sistema imprenditoriale italiano, elementi di vivacità emersi per altro da diversi con-tributi (MET, 2015, 2017; ISTAT, 2017).

Tuttavia, e coerentemente con le evidenze emerse negli altri capitoli di questa Relazione, i dati presentati in questo capitolo confermano il divario innovativo del sistema produttivo italiano rispetto agli altri principali paesi europei, e forniscono più di un indizio che tale deficit non si sia ridotto nel corso dell’ultimo decennio. Il nostro paese non è stato quindi in grado di migliorare (almeno in termini comparati su scala internazionale) la qualità e il contenuto tecnologico del suo modello di specializzazione.

Considerazioni sulle politiche industriali in atto, e di quelle auspicabili in tale contesto, devono necessariamente prendere in considerazione la situa-zione reale del sistema innovativo italiano, caratterizzato da numerosi ele-menti di debolezza ma anche dalla permanenza di diverse aree di eccellenza, e da una certa capacità di resilienza mostrata in particolare dalle imprese che nel corso degli ultimi anni hanno continuato ad operare stabilmente e in maniera pro-attiva sui mercati internazionali (MET, 2015, 2017; Istat, 2017).

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Il quadro delineato in questo capitolo pone dilemmi e vincoli stringenti anche per le politiche industriali, come emerge chiaramente, ad esempio, dagli interventi contenuti nel Piano nazionale Industria 4.0. Le politiche in-dustriali si trovano a operare in un contesto di scarsità di risorse (anche a causa dei vincoli imposti al bilancio statale) e nella necessità di ottenere dei risultati già nel breve-medio periodo. Da una parte si pone, infatti, l’esi-genza di investire massicciamente per potenziare il contesto scientifico e in-novativo in un’ottica di lungo periodo (e che comprende gli investimenti in risorse umane, in ricerca pubblica effettuata nelle università e negli EPR, la creazione di infrastrutture), con il rischio tuttavia che le imprese non siano effettivamente capaci di beneficiare in tempi rapidi di tali nuove opportu-nità; dall’altra, c’è la necessità di sostenere le imprese nelle attività inno-vative che sono (qui ed ora) capaci di portare avanti, con il rischio però di perdurare nell’attuale modello di specializzazione produttiva e tecnologica.

La politica industriale italiana si trova a barcamenarsi tra queste due ipotesi estreme: interpretare dinamicamente le competenze esistenti, ma allo stesso tempo facilitare l’ingresso nei mercati sia di nuove imprese innovative che di vecchie imprese disposte a sfruttare le nuove opportunità tecnologiche.

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