L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO -...

48
79 L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO CARLOS LÓPEZ CORTEZO Universidad Complutense de Madrid Asociación Complutense de Dantología [email protected] Time present and time past Are both perhaps present in time future, And time future contained in time past. T. S. Eliot Il problema dell’ubicazione di Manto, mai risolto in modo convincente, eccezion fatta per l’acutissimo saggio di Maurizio Palma (2003: 63-140) e per quello di Hollander (1980: 131-218), dovrebbe essere un motivo di riflessione per la critica dantesca, tendente a risolvere le cruces dantesche fissando su di esse lo sguardo, forse in maniera troppo concentrata, tralasciando a volte il contesto, e soprattutto i peculiari modi e procedimenti con i quali il poeta elabora il suo testo, tra i quali le similitudini, i riferimenti storici, mitici, geografici, letterari ecc., oltre che i gesti e la interpretatio nominum, rinvianti tutti ad ulteriori significati. Nel caso di Manto, infatti, dovrebbe destare sospetto, trattandosi di un’indovina, cioè, di qualcuna che si dedica a predire il futuro e che per tanto crede nella predestinazione, il fatto che nel testo e riguardante lei figuri una contraddizione tale da suscitare il dubbio del lettore proprio sul destino (ubicazione) di un personaggio il cui nome (“nomina sunt consequentia rerum”) rimanda al peccato per il quale è stato o dovrebbe essere stato condannato (dal gr. mántis-eos, ‘indovino, profeta’). Ritengo che alla base del problema non ci sia una dimenticanza del poeta, ma piuttosto una contraddizione messa a bella posta dall’autore in bocca di Virgilio, il quale d’altronde -secondo quanto lui stesso dice nell’episodio- si era già sbagliato nell’Eneide, non

Transcript of L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO -...

Page 1: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

79

L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO

CARLOS LÓPEZ CORTEZO

Universidad Complutense de Madrid Asociación Complutense de Dantología

[email protected]

Time present and time past Are both perhaps present in time future, And time future contained in time past. T. S. Eliot

Il problema dell’ubicazione di Manto, mai risolto in modo convincente, eccezion fatta per l’acutissimo saggio di Maurizio Palma (2003: 63-140) e per quello di Hollander (1980: 131-218), dovrebbe essere un motivo di riflessione per la critica dantesca, tendente a risolvere le cruces dantesche fissando su di esse lo sguardo, forse in maniera troppo concentrata, tralasciando a volte il contesto, e soprattutto i peculiari modi e procedimenti con i quali il poeta elabora il suo testo, tra i quali le similitudini, i riferimenti storici, mitici, geografici, letterari ecc., oltre che i gesti e la interpretatio nominum, rinvianti tutti ad ulteriori significati. Nel caso di Manto, infatti, dovrebbe destare sospetto, trattandosi di un’indovina, cioè, di qualcuna che si dedica a predire il futuro e che per tanto crede nella predestinazione, il fatto che nel testo e riguardante lei figuri una contraddizione tale da suscitare il dubbio del lettore proprio sul destino (ubicazione) di un personaggio il cui nome (“nomina sunt consequentia rerum”) rimanda al peccato per il quale è stato o dovrebbe essere stato condannato (dal gr. mántis-eos, ‘indovino, profeta’). Ritengo che alla base del problema non ci sia una dimenticanza del poeta, ma piuttosto una contraddizione messa a bella posta dall’autore in bocca di Virgilio, il quale d’altronde -secondo quanto lui stesso dice nell’episodio- si era già sbagliato nell’Eneide, non

Page 2: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Tenzone nº 5 2004

80

soltanto riguardo all’origine di Mantova, ma anche sul carattere virtuoso del personaggio Manto; ‘errori’ sicuramente non casuali che dovrebbero essere considerati in relazione gli uni con gli altri: le due origini di Mantova (una falsa ed un’altra vera) di fronte alle due ubicazioni (destini) di Manto (dipendenti, senz’altro, dal suo comportamento terreno), una delle quali necessariamente non vera. La soluzione dell’apparente enigma non dovrebbe cercarsi fuori dallo sviluppo narrativo dell’opera e della sua logica (dimenticanza dell’autore, confusione del copista, o l’esistenza di un’altra figlia di Tiresia1, ecc.), ma proprio nell’ambito testuale dell’episodio e della sua coerenza significativa: com’è stato detto, né Dante poteva commettere uno sbaglio simile, né risultano convincenti le osservazioni di Torraca, ammesse, a malincuore, dalla critica in mancanza di una giustificazione migliore2. Basterebbe, per rilevare certe deviazioni critiche, considerare che se gli indovini vedono “le cose future come presenti” (S. Theol. II-II, q. 95, a.1c), in un certo senso vivono anche in due presenti: uno attuale ed un altro immaginario, dato che “presente” è quello che abbiamo “prae-sensibus”, vale a dire, ‘quello che ci sta davanti agli occhi’ e possiamo vedere3. Questo semplice ed elementare ragionamento dovrebbe bastare a sviare lo sguardo critico dalle ragioni esterne alla volontà del poeta all’ambito intratestuale.

Il problema che ci occupa, infatti, è originato da due enunciati contraddittori di Virgilio riguardanti uno stesso individuo, dei quali necessariamente uno vero e l’altro falso:

1. Manto è nella bolgia 4ª di Malebolge (e non nel limbo)

2. Manto non è nella bolgia 4ª di Malebolge (ma nel limbo).

Il fatto non meriterebbe essere rilevato, se non fosse che rinvia -non casualmente- al De interpretatione di Aristotele, dove lo Stagirita affronta l’argomento della verità o falsità degli enunciati, in relazione con i cosiddetti “futuri contingenti” e le leggi che regolano il vero e il falso riguardo agli eventi futuri, un tema che implica il problema della

Page 3: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Carlos LÓPEZ CORTEZO L'indovina Manto e íl limbo dantesco _____________________________________________________________________________________________________

81

‘necessità’ e della ‘contingenza’, e che perciò concerne anche la divinazione.

I. IL CONTRAPPASSO

La pena degli indovini ha delle importanti conseguenze temporali, che forse non sono state pienamente considerate dalla critica:

Come ‘l viso mi scese in lor più basso, mirabilmente apparve esser travolto ciascun tra ‘l mento e ‘l principio del casso,

ché da le reni era tornato ‘l volto, e in dietro venir li convenia, perché ‘l veder dinanzi era lor tolto. (10-15)

Il significato del contrappasso è spiegato da Dante -anche se parzialmente- nei versi 37-39:

Mira c’ha fatto petto de le spalle; perché volse veder troppo davante, di retro guarda e fa retroso calle.

Il “veder troppo davante” va riferito a volere conoscere il futuro considerato come qualcosa che ci sta “davante”, ma che -diversamente dal presente che possiamo vedere in quanto che ci sta proprio davanti agli occhi (prae-sensibus)- non possiamo vedere (conoscere) perché “troppo” lontano4: bisogna aspettare il suo avvicinarsi, il suo mettersi dinanzi agli occhi, il suo farsi ‘presente’. L’avverbio -come si vedrà più avanti- ha la funzione di distinguere la divinazione dalla prudenza. L’uomo guarda dinanzi a sé perché si muove in avanti (o viceversa), verso il futuro, lasciando alle spalle ciò che ha già percorso: il passato. Il fatto che gli indovini dell’inferno siano stati privati di “veder dinanzi”, potendo soltanto guardare dietro a loro ed essendo costretti a camminare all’indietro (“e in dietro venir li convenia, / perché ‘l veder dinanzi era lor tolto”; “di retro guarda e fa retroso calle”) ha delle conseguenze concernenti la loro capacità conoscitiva, non tanto nel senso che siano stati privati della conoscenza dell’avvenire, potendo soltanto guardare

Page 4: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Tenzone nº 5 2004

82

(conoscere) il presente e il passato (Alain de Lille: “retro, notat praeteritionem, unde legitur quod Ezequiel viderit ‘animalia, plena oculis ante et retro’; animalia ista sunt evangelistae qui habent oculos ante et retro, id est intellectum praeteritorum et futurorum”), quanto piuttosto nel senso che sono condannati a vivere il futuro come già passato ed il passato come non ancora avvenuto (futuro). All’acuta osservazione di G. Güntert: “Nulla di più logico, si direbbe, di questo castigo: chi ha peccato di presunzione pretendendo di conoscere l’avvenire, è ora costretto a guardar per sempre indietro” (2000: 279), va aggiunto, infatti, che il contrappasso implica non solo la visione (conoscenza), ma anche il movimento (il vivere): l’indovino, nel conoscere un fatto che non è ancora successo, lo fa presente e lo imprime nella memoria, come se fosse già necessariamente accaduto, vale a dire, lo fa ‘passato’, attuando non solo uno stravolgimento della funzione naturale della memoria, ma anche del processo temporale.

II. L’ASSENZA DI MANTO

A volte sfuggono allo sguardo critico dettagli importanti per la comprensione del testo, come, nel nostro caso, il fatto che Virgilio mostri Manto a Dante non descrivendo quello che di lei, ipoteticamente come si vedrà, potrebbe vedere (la faccia e la parte posteriore del corpo), ma quello che di lei non può vedere, ma sì immaginare (le “mammelle” ricoperte dai capelli e “ogne pilosa pelle”); cioè, la parte anteriore del corpo, che sarebbe diventata schiena a causa del travolgimento della testa:

E quella che ricuopre le mammelle, che tu non vedi, con le trecce sciolte, e ha di là ogne pilosa pelle,

Manto fu, che cercò per terre molte; (52-55)

Non basta spiegare il fenomeno notando che “Dante e Virgilio vedono i peccatori procedere verso di loro, e quindi ne scorgono il volto e la parte posteriore del corpo, mentre l’anteriore resta loro celata” (A.

Page 5: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Carlos LÓPEZ CORTEZO L'indovina Manto e íl limbo dantesco _____________________________________________________________________________________________________

83

M. Chiavacci Leonardi), ma bisogna anche domandarsi perché Virgilio, per far sì che Dante possa identificarla, gli descriva proprio quello “che tu non vedi”, mentre degli altri condannati descrive -come è logico- ciò che di loro si vede, vale a dire, il volto e la parte posteriore del corpo:

Drizza la testa, drizza, e vedi a cui s’aperse a li occhi d’i Teban la terra; per ch’ei gridavan tutti: ‘Dove rui,

Anfïarao? perché lasci la guerra?’. E non restò di ruinare a valle fino a Minòs che ciascheduno afferra. Mira c’ha fatto petto de le spalle; (31-37)

Vedi Tiresia, che mutò sembiante quando di maschio femmina divenne, cangiandosi le membra tutte quante; (40-42)

Aronta è quel ch’al ventre li s’atterga, (46)

Allor mi disse: “Quel che da la gota porge la barba in su le spalle brune, fu –quando Grecia fu di maschi vòta, sì ch’a pena rimaser per le cune- augure, e diede ‘l punto con Calcanta in Aulide a tagliar la prima fune. (106-111)

Quell’altro che ne’ fianchi è così poco, Michele Scotto fu, che veramente de le magiche frode seppe ‘l gioco. (115-117)

Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio e a lo spago ora vorrebbe, ma tardi si pente. (118-120)

Vedi le triste che lasciaron l’ago, la spuola e ‘l fuso, e fecersi ‘ndivine; fecer malie con erbe e con imago. (121-123)

Il carattere eccezionale della presentazione di Manto rispetto alle altre, messo in risalto nel testo mediante l’opposizione della serie vedi vs

Page 6: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Tenzone nº 5 2004

84

che tu non vedi5, va considerato da un punto di vista significativo, tenendo conto delle sue implicazioni temporali. Infatti, ‘presente’ è ciò che abbiamo davanti agli occhi e possiamo vedere, secondo la già citata definizione d’Isidoro (vid. nota 3), coincidente con quella di Boezio (De Cons. II 1 10) che Dante riporta nel Convivio, in un passo che mi sembra pertinente al nostro caso:

La terza ragione fu uno argomento di provedenza; chè, sì come dice Boezio, ‘non basta di guardare pur quello che è dinanzi a li occhi’, cioè lo presente, e però n’ è data la provedenza che riguarda oltre, a quello che può avvenire. Dico che pensai che da molti, di retro da me, forse sarei stato ripreso di levezza d’animo, udendo me essere dal primo amore mutato; (III i 10).

Il passo boeziano è questo:

Neque enim, quod ante oculos situm est, suffecerit intueri; rerum exitus prudentia metitur eademque in alterutro mutabilitas nec formidandas fortunae minas nec exoptandas facit esse blanditias (II 1 10).6

Se si considerano questi brani, Virgilio starebbe mostrando a Dante il presente dei condannati, quello che lui e il suo discente hanno “dinanzi a li occhi” e perciò possono vedere: il viso e la parte posteriore del corpo; ma nel caso di Manto non fa così, descrivendone non la parte che dovrebbe essere visibile, ma l’invisibile, vale a dire l’anteriore, quella che non possono vedere, perché non ancora “dinanzi a li occhi” o, in altre parole, perché non ‘presente’. Ma se ciò ‘che non è ancora presente’ deve ancora avvenire, significa che Virgilio starebbe mostrando immaginariamente a Dante, non il presente di Manto, ma il suo avvenire (pre-vedendo). Infatti, come si spiega all’inizio dell’episodio, la parte anteriore del corpo indica, oltre che il presente, anche il futuro (“Mira c’ha fatto petto de le spalle; / perché volse veder troppo davante, / di retro guarda e fa retroso calle”). Il fatto che Virgilio invece la descriva come se l’avessero di fronte, davanti ai loro occhi, vuol dire che si tratta di un ‘presente’ immaginario, diverso da quello degli altri indovini, dei quali mostra il presente attuale e verace (prae-

Page 7: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Carlos LÓPEZ CORTEZO L'indovina Manto e íl limbo dantesco _____________________________________________________________________________________________________

85

sensibus); e che di lei gli sta mostrando, non la sua ‘presenza’, ma la sua ‘assenza’ rispetto alla ‘presenza’ degli altri condannati (‘assente’ è chi non è presente, vale a dire, chi non è “prae-sensibus”). Credo che il fenomeno vada considerato alla luce di quel che Tommaso osserva sulla rivelazione profetica fatta mediante forme immaginarie:

Quando la rivelazione profetica si compie mediante forme immaginarie è necessaria l’astrazione dei sensi affinché l’apparizione delle immagini sensibili non si riferisca alle cose esteriori percepite dai sensi. Ebbene, l’astrazione dei sensi si realizza alle volte in un modo perfetto, in maniera che l’uomo non percepisce nulla mediante loro, e altre volte in un modo imperfetto, in maniera che percepisce qualcosa attraverso i sensi, ma senza distinguere pienamente le cose che percepisce esternamente da quelle che percepisce immaginariamente. Per questo dice Sant’Agostino in XII Super Gen. ad litt.: ‘Le immagini dei corpi, formate nella mente, sono percepite come un corpo percepisce un altro corpo, in modo che si percepisce, allo stesso tempo, un uomo presente, come se si vedesse con gli occhi, ed un altro assente, con la mente. (S. Theol. II-II, Q. 173, a.3).

E qui va notato che se Manto fosse realmente nella bolgia tra gli altri condannati, Virgilio l’avrebbe mostrata a Dante descrivendo la sua parte visibile, come fa con tutti i personaggi che incontrano. Infatti, fare a qualcuno identificare una persona, all’interno di un gruppo, sulla base di ciò che non si può vedere, è un tentativo inutile perché impossibile, dato che “presentare” è ‘far vedere a qc., sottoporre alla vista, all’esame o al giudizio di qc.’ (Grande Dizionario della Lingua Italiana). Quello che fa Virgilio è non contentarsi “di guardare pur quello che è dinanzi a li occhi, cioè lo presente” (gli altri personaggi), ma “riguarda oltre, a quello che può avvenire” (futura presenza di Manto); vale a dire, ‘prevede’ l’esito di Manto, come si addice alla prudenza del saggio, secondo quel che si dice nel passo boeziano citato da Dante nel Convivio: “Neque enim, quod ante oculos situm est, suffecerit intueri; rerum exitus prudentia metitur”. Non si dimentichi al riguardo che Virgilio è “famoso saggio” (If. I 89) e perciò, ‘prudente’ (da providente(m), part. pr. di providere, ‘veder lontano’; Isidoro: “Prudens,

Page 8: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Tenzone nº 5 2004

86

quasi porro videns”, Etymol. X 201), il che significa che Dante vuole rilevare la differenza tra il ‘veder lontano’ virtuoso di Virgilio e quello vizioso proprio degli indovini (‘veder troppo lontano’), un problema già trattato da Tommaso nella Somma Teologica (II-II, Q. 49, a. 6), nella quale troviamo anche quest’altro passo in cui si tratta della ‘profezia’ in termini molto pertinenti al nostro caso:

“…in 1 Samuel 9, 9 si dice: ‘Quel che oggi è chiamato profeta, in altri tempi si diceva veggente’. Ebbene, la visione appartiene alla conoscenza, dunque la profezia appartiene alla conoscenza.

La profezia consiste principalmente nella conoscenza, perché i profeti conoscono cose che sono lontane dalla conoscenza umana. Per questo possiamo dire che ‘profeta’ deriva da fainos, che significa ‘apparizione’, poiché al profeta gli si appariscono alcune cose lontane. Di qui che Sant’Isidoro dica nelle Etymol.: ‘Nel Antico Testamento si chiamavano ‘veggenti’, perché vedevano ciò che gli altri non potevano vedere, e contemplavano le cose che erano nascoste nel mistero’” (II-II, Q. 171, a.1).

Si noti come nel passo di Isidoro citato da Tommaso si riproduce la stessa situazione descritta nei vv. 52-53, vale a dire il fatto che Virgilio possa vedere ciò che il personaggio Dante non può vedere (“E quella che ricopre le mammelle, / che tu non vedi…”):

“Quos gentilitas vates appellant, hos nostri prophetas vocant, quasi praefatores, quia porro fantur et de futuris vera praedicunt. Qui autem [a] nobis prophetae, in Veteri Testamento videntes appellabantur, quia videbant ea quae ceteri non videbant, et praespiciebant quae in mysterio abscondita erant.” (Etymol. VII, 8, 1).

A queste osservazioni bisogna aggiungere un’altra considerazione di ordine linguistico che non mi risulta sia stata mai fatta. Mi riferisco alla portata dell’aggettivo ogne7 che accompagna a “pilosa pelle”,

Page 9: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Carlos LÓPEZ CORTEZO L'indovina Manto e íl limbo dantesco _____________________________________________________________________________________________________

87

E quella che ricuopre le mammelle, che tu non vedi, con le trecce sciolte, e ha di là ogne pilosa pelle,

Manto fu… (52-54)

Sull’argomento va considerato il capitolo 7 del già citato De interpretatione di Aristotele, dove si parla di ogni (greco pas) come quantificatore universale (“ogni non significa l’universale, ma che ‘si enuncia’ in forma universale”), così come tutti e nessuno (“‘tutti gli uomini’ o ‘ogni uomo’ indica tutti gli individui della classe uomo”)8. “Ogne pilosa pelle”, quindi, include ‘tutte’ le parti pelose del corpo9 e ‘ciascuna’di esse, compresa la fronte (cfr. If. XII, 109: “E quella fronte c’ha ‘l pel così nero”) e le zone pelose degli occhi, e non soltanto “capelli e pudende” (Mattalia); un fatto che non poteva sfuggire al Dante della Commedia, dove ciglia e sopracciglia sono anche elementi pelosi importanti e significativi del corpo umano, fino al punto di essere, non poche volte, impiegati metonimicamente per riferirsi agli occhi o alla vista (vid. E. D. vox “ciglio”), tanto rilevanti nell’episodio degli indovini da assumere il protagonismo del contrappasso.

Il tutto ci porta a concludere che, contro quello che si è sempre pensato, “ha di là ogne pilosa pelle” ha le seguenti implicazioni:

1) che Manto ha la faccia (ciglia e sopracciglia) volta verso la stessa parte delle “mammelle”,

2) che non essendo stravolta come gli altri indovini, non subisce il loro castigo infernale, un fatto impossibile se fosse là come condannata,

3) che “di là” sta ad indicare, non ‘l’altra parte del corpo che non si vede’, ma il luogo dove si trova veramente l’indovina, poiché “ogne pilosa pelle”, oltre le già dette parti pelose, comprenderebbe anche la nuca (cfr. If. XXXII, 97), vale a dire, la parte posteriore della testa, pure pelosa,

Page 10: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Tenzone nº 5 2004

88

4) che non essendo possibile che il personaggio abbia contemporaneamente di là sia la parte anteriore che quella posteriore del suo corpo, è d’obbligo intendere la locuzione avverbiale come indicante ‘luogo’: il limbo, situato “di là”, in contrapposizione al posto dove si trovano Dante e Virgilio (‘qua’), come accade nei casi dove “di là” è usato per ‘vita terrena’ (cfr. Pg. I, 85-90: “Marzïa piacque tanto a li occhi miei / mentre ch’i’ fu’ di là”, diss’ elli allora, / “che quante grazie volse da me, fei. // Or che di là dal mal fiume dimora, / più muover non mi può, per quella legge / che fatta fu quando me n’usci’ fora.”).

Oltretutto, se Manto non è stravolta, come credo di avere dimostrato, dovrebbe per forza procedere in avanti, a differenza degli altri indovini che lo fanno all’indietro perché stravolti, il che implicherebbe l’impossibilità di muoversi insieme a loro e di far parte della stessa schiera.

Un’ulteriore osservazione da fare sulla presentazione di Virgilio riguarda il gesto di ricoprirsi “le mammelle…con le trecce sciolte”: è lei, infatti, a ricoprirle con (strumentale) i capelli, e non questi a cadere sulle mammelle, come si è soliti leggere. In questo senso mi sembra utile il confronto del passo con quello della descrizione di Catone,

Lunga la barba e di pel bianco mista portava, a’ suoi capelli simigliante, de’ quai cadeva al petto doppia lista. (Pg. I, 34-36)

dove sono i capelli a cadere sul petto, e non Catone a farli cadere. Nel caso dell’indovina, invece, si tratta di un atto volontario, di un gesto intenzionale e, come tale, va valutato nella sua funzione significante10: ricoprire i seni nudi con i capelli è sicuramente un atto di pudore che si adirebbe ad una vergine quale Manto (nel verso 82 del canto Virgilio, riprendendo lo staziano “innuba”, la dice “vergine cruda”), se non fosse che il gesto non viene completato con quello, ancora più verginale, di coprirsi con le mani anche le parti pudende, messe in rilievo nel passo insieme alle altre parti pelose del corpo. Questa mancanza fa pensare ad un’occultazione piuttosto che ad un atto di pudicizia, dato che il petto

Page 11: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Carlos LÓPEZ CORTEZO L'indovina Manto e íl limbo dantesco _____________________________________________________________________________________________________

89

era ritenuto sede dell’animo e dei sentimenti (vid. E. D. vox “petto”)11, tra i quali si può annoverare anche la crudeltà, che l’indovina vorrebbe nascondere sotto il suo gesto apparentemente verginale, ma che Virgilio invece svelerà poi qualificando la “vergine” di “cruda”. Questi tratti, ‘falsità’ e ‘occultazione’, d’altra parte inerenti al carattere fraudolento12 della divinazione, si ritrovano -come mi è stato suggerito da Juan Varela-Portas- anche nel nome dell’indovina, il quale, oltre al suo significato greco, è omonimo della parola italiana manto, adoperata da Dante nel Convivio per riferirsi al senso letterale, che come un “manto” o “ bella menzogna” nasconde la “verità” (allegoria)13, venendo a riunirsi nel suo nome (“nomina sunt consequentia rerum”) i concetti di ‘divinazione’ e ‘falsità’. Inoltre, va rilevato che questo gesto esigerebbe anche un’orientazione normale della testa: non si nasconde alla vista altrui ciò che del corpo non è visibile, ma ciò che si può vedere, e in questo senso ritengo che, nel caso di una Manto stravolta, sarebbe stato più logico coprirsi le natiche con le mani.

Credo che tutte queste osservazioni correggano ragionevolmente le letture finora fatte, coincidenti nella certezza di una presenza reale di Manto nella bolgia degli indovini. L’analisi dettagliata del testo, appena esposta, conduce ad una Manto infernale immaginaria, la cui presenza reale è nel limbo, come confermerà Virgilio nel canto XXII del Purgatorio. Nella bolgia degli indovini, il poeta mantovano non vede Manto, ma -come detto- prevede, immaginandola, il suo destino finale. Se può descrivere il personaggio è perché l’ha visto nel limbo, allo stesso modo che può fare la sua minuta descrizione geografica, perché ha conosciuto i luoghi descritti e, anche se adesso non li vede, può immaginarli facendo uso della memoria e, verbalizzando le immagini, farli presenti all’immaginazione di Dante.

L’ambiguità dell’espressione, considerata da Cicerone come una delle caratteristiche degli oracoli (De Divinatione, I, 117 e II, 115), ha così la funzione di esprimere la pre-visione dell’esito finale di Manto da parte di Virgilio e, contemporaneamente, indicare la sua assenza attuale dall’inferno e la sua presenza in un altro luogo, poi identificato, nel

Page 12: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Tenzone nº 5 2004

90

purgatorio, come il limbo. In questo senso, le chiavi del passo e dell’enigma della doppia ubicazione del personaggio, si restringono a due: l’avviso, d’altronde non necessario, di Virgilio a Dante del fatto che non può vedere ciò che gli sta mostrando (“che tu non vedi”), e la portata dell’aggettivo “ogne”, che provoca lo spostamento del contenuto referenziale della locuzione avverbiale di là, dal corpo dell’indovina, al luogo dove questa si trova realmente.

III. IL LIMBO

I risultati ottenuti, però, esigono una riconsiderazione del limbo dantesco. Infatti, se Virgilio sta prevedendo l’avvenire infernale della limbicola Manto, vuol dire che la situazione degli abitanti del nobile castello non è definitiva, potendo cambiare, il che si contraddice, almeno apparentemente, con quello che il poeta afferma in diversi passi sullo ‘statu quo’ dei limbicoli, specialmente nel canto IV dell’Inferno:

“Or vo’ che sappi, innanzi che più andi, ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi, non basta, perché non ebber battesmo, ch’è porta de la fede che tu credi;

e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo, non adorar debitamente a Dio: e di questi cotai son io medesmo.

Per tai difetti, non per altro rio, semo perduti, e sol di tanto offesi che sanza speme vivemo in disio”.

Gran duol mi prese al cor quando lo ‘ntesi, però che gente di molto valore conobbi che ‘n quel limbo eran sospesi. (33-45)

Ma insieme a questo passo, e ad altri del Purgatorio in cui si tratta del limbo, bisogna considerare anche quest’altro dello stesso canto:

Page 13: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Carlos LÓPEZ CORTEZO L'indovina Manto e íl limbo dantesco _____________________________________________________________________________________________________

91

Di lungi n’eravamo ancora un poco, ma non sì ch’io non discernessi in parte ch’orrevol gente possedea quel loco.

“O tu ch’onori scïenzïa e arte, questi chi son c’hanno cotanta onranza, che dal modo de li altri li diparte?”.

E quelli a me: “L’onrata nominanza che di lor suona sù ne la tua vita, grazïa acquista in ciel che sì li avanza” (70-78)

Infatti, qui si espone con chiarezza che la situazione privilegiata degli abitanti del nobile castello, rispetto alle altre anime, è dovuta alla loro “onrata nominanza” nella vita terrena, che è stata tenuta in conto nel cielo. Il fatto che Dio tenga in considerazione la fama terrena delle anime può sembrare un’invenzione dantesca, ma non era estraneo alla teologia; anzi per Tommaso è una delle giustificazioni del giudizio universale, come spiega nella sua risposta alla questione Dopo il giudizio che si fa in questo mondo, ci sarà ancora un altro universale?:

Non è possibile giudicare definitivamente una cosa mutevole prima della sua consumazione. Così come non è possibile emettere un giudizio esatto sulla qualità di un’azione prima che sia stata consumata in se stessa e nei suoi effetti, poiché ci sono molte azioni che sembrano essere utili e poi, dai suoi effetti, si vede che invece erano nocive. Ugualmente non è possibile fare un giudizio completo su un uomo finché la sua vita non sia finita, perché a volte cambia da buono a cattivo o al contrario, o da buono si fa migliore, o da cattivo diventa peggiore. [...] Va tenuto in considerazione, però, che anche se la vita temporale dell’uomo finisce con la morte, sussiste relativamente dipendendo dal futuro in diversi modi. In primo luogo, sopravvivendo nella memoria degli uomini, nella quale sussiste a volte contro la verità della buona o della cattiva fama. In secondo luogo, perdurando nei figli, che sono come qualcosa del padre, secondo quel che si dice nell’Ecclesiastico 30,4: “È morto suo padre, ma è come se non fosse morto, poiché ha lasciato dietro a sé uno somigliante a lui stesso”. [...] In terzo luogo, continua a vivere negli effetti delle

Page 14: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Tenzone nº 5 2004

92

sue opere, allo stesso modo che l’infedeltà si va rinnovando fino alla fine del mondo per l’inganno d’Ario e d’altri seduttori; e allo stesso modo che pure la fede dovrà progredire fino alla fine del mondo grazie alla predicazione degli apostoli.[…] In conseguenza, va detto che dopo la morte, per quello che riguarda all’anima, l’uomo raggiunge uno stato immutabile. E, perciò, riguardo al premio dell’anima, non c’è un motivo per differire oltre il giudizio. Ma, siccome ci sono altre cose relative all’uomo che si svolgono nel trascorrere del tempo, non essendo estranee al giudizio divino, conviene che siano giudicate di nuovo alla fine dei tempi. E anche se l’uomo non merita ne demerita per tali cose, appartengono, però, ad un certo premio o ad una certa pena. Per questo è necessario che tutte queste cose siano considerate nel giudizio finale. (III c.59 a.5).

È ovvio che nel passo di Tommaso non si parla del limbo, ma mi sembra molto probabile che Dante si sia ispirato in quest’articolo per il suo nobile castello, soprattutto se si considerano le parole rivolte da Beatrice a Virgilio nel canto II dell’Inferno,

“O anima cortese mantoana, di cui la fama ancor nel mondo dura, e durerà quanto ‘l mondo lontana” (58-60)

che non vanno giustificate solo come una semplice captatio benevolentiae, ma anche come un rassicurare Virgilio sulla continuità (invariabilità) della sua fama fino alla fine del mondo, vale a dire, fino al giudizio universale. Le sue parole, infatti, hanno un carattere profetico: Beatrice è una beata e, come tale, conosce il futuro svolgersi della fama del mantovano, una notizia importante per un limbicola del nobile castello, il cui privilegio rispetto alle altre anime dipende dalla sua “onrata nominanza”. Ecco perché Beatrice insiste sulla sua durata. Altrettanto può dirsi della promessa fattagli più avanti, che non si spiega se non nella stessa prospettiva teologica che abbiamo rilevato:

“Quando sarò dinanzi al segnor mio, di te mi loderò sovente a lui” (73-74)

Page 15: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Carlos LÓPEZ CORTEZO L'indovina Manto e íl limbo dantesco _____________________________________________________________________________________________________

93

A questo punto, c’è da domandarsi sul significato del termine chiave usato da Dante per riferirsi alla particolare situazione di questi spiriti, “sospesi” (If. II, 52 e IV, 45), interpretato finora come un vivere “pur nell’inferno, in uno stato intermedio fra peccatori e salvati, in quanto sono, come dice Benvenuto, ‘sine poena et sine spe’ (sol di tanto offesi / che sanza speme vivemo in disio: IV 41-42); di qui l’immagine della sospensione, come in bilancia, a esprimere uno stato eternamente incompiuto, che Dante usa ugualmente in IV 45” (A. M. Chiavacci Leonardi). Si noti al riguardo, però, che la formula usata da Benvenuto, non esclude la condanna, ma la poena, vale a dire, l’applicazione del castigo corrispondente ad una previa condanna: più o meno, quello che in termini moderni si dice “sospensione condizionale della pena”14, come sembra indicare anche la rappresentazione topografica del limbo, ove le anime si trovano come mantenute ‘in sospensione’ nell’orlo (“limbus”) dell’abisso infernale (vid. If. IV, 7-9: “Vero è che ‘n su la proda mi trovai / de la valle d’abisso dolorosa / che ‘ntrono accoglie d’infiniti guai”), a differenza degli altri condannati, che arrivano fino a Minosse e che, incondizionatamente, da lui ‘son giù volti’ per farli subire la “poena” che si sono meritati. Credo che così possa spiegarsi, per esempio, che uomini famosi per il loro valore intellettuale e morale, ma ‘infedeli’ dell’età cristiana, come Averroè, Avicenna o Saladino si trovino “sospesi” nel limbo, a causa della loro “onrata nominanza”, mentre il proprio Maometto ‘è dilaccato’ nella nona bolgia. Specialmente interessante al riguardo mi sembra il caso di Giulio Cesare, citato come uno degli abitanti del nobile castello (If. IV 123: “Cesare armato con li occhi grifagni”) malgrado la voce che correva (cattiva fama) sulla sua sodomia (vid. E. D. vox “Giulio Cesare”), alla quale si allude nel canto XXVI del Purgatorio a proposito del gruppo di lussuriosi sodomiti:

“La gente che non vien con noi, offese di ciò per che già Cesar, trïunfando, ‘Regina’ contra sé chiamar s’intese” (76-78)

Non mi sembra ragionevole ipotizzare che Dante, per designare il peccato di sodomia, si serva di una perifrasi avente come protagonista

Page 16: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Tenzone nº 5 2004

94

Cesare, collaborando così alla diffusione di una notizia che sicuramente lui riteneva non veritiera. Piuttosto credo che sia stata ideata e introdotta qui con l’intenzione di smentire l’accusa e liberare il personaggio dall’infamia. La perifrasi, infatti, è costruita in tal modo che il suo referente è doppio: da un lato, di ciò per che segnala la sodomia, ma dall’altro anche la causa che muove gli accusatori: l’invidia per il suo trionfo (trïunfando). In altre parole, il motivo per il quale (per che) Cesare si sentì chiamare regina è la sodomia, ma il movente del fatto è l’invidia, movente che converte quest’ultima (contra sé) in diffamazione:

invidia è cagione di mal giudicio, però che non lascia la ragione argomentare per la cosa invidiata, e la potenza giudicativa è allora quel giudice che ode pur l’una parte. Onde quando questi cotali veggiono la persona famosa, incontanente sono invidi, però che veggiono a s[è] pari membra e pari potenza, e temono, per la eccellenza di quel cotale, meno esser pregiati. E questi non solamente passionati mal giudicano, ma, diffamando, fanno a li altri mal giudicare (Cv. I iv 5-8).

In questo senso anche Tommaso: principalmente invidiano gli uomini quei beni ‘che riportano

gloria e per i quali gli uomini debbono essere onorati e diventare famosi’, come insegna il Filosofo nel II Rhet. (c.10 n.4 Bk 1387b35). […] Nel processo dell’invidia c’è un principio, un mezzo e un fine. Al principio, infatti, ci si sforza nel diminuire la gloria dell’altro, sia in modo occulto, dando luogo alla ‘mormorazione’, sia apertamente, alla ‘diffamazione’ (S. Theol. II-II Q.36 a.1 e 4).

Saremmo per tanto di fronte ad una smentita riguardante la fama, simile -anche se in senso opposto- a quella che fa Virgilio a proposito di Manto e di Mantova: la verità nulla menzogna frodi. In entrambi i casi spicca un interesse a rilevare le vere cause di due episodi storici, o almeno considerati come tali15, che indubbiamente incidono sullo sviluppo e la ‘qualità’ della ‘fama’ di due personaggi che hanno in comune un medesimo stato di ‘sospensione’ e di privilegio nel nobile

Page 17: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Carlos LÓPEZ CORTEZO L'indovina Manto e íl limbo dantesco _____________________________________________________________________________________________________

95

castello del limbo, dovuti precisamente a che il cielo ha tenuto in conto la loro “onrata nominanza”, una “nominanza”, però, che nel caso di Manto, dopo l’intervento di Virgilio, non dovrebbe durare “quanto ‘l mondo lontana”.

III. LA FAMA DI MANTO

La fama di Manto è indissolubilmente legata al nome della città di Mantova, famosa pure per la nascita di Virgilio, un fatto messo in risalto in diversi passi della Commedia, ma anche a quel che di lei si dice in tre opere conosciute e ammirate dal poeta, l’Eneide, la Tebaide, e le Metamorfosi, testi nei quali si risaltano aspetti contrastanti del comportamento etico del personaggio. Se la fama di Manto è legata al nome della città è importante ristabilire la verità sui fatti che hanno motivato questa “nominanza” (“nomina sunt consequentia rerum”). È questa considerazione a giustificare l’interesse di Virgilio:

“Però t’assenno che, se tu mai odi originar la mia terra altrimenti, la verità nulla menzogna frodi” (97-99)

La “verità”, secondo lui, è quella appena raccontata: Quindi passando la vergine cruda

vide terra, nel mezzo del pantano, senza coltura e d’abitanti nuda.

Lì, per fuggire ogne consorzio umano, ristette coi suoi servi a far sue arti, e visse, e vi lasciò suo corpo vano.

Li uomini poi che ‘ntorno erano sparti s’accolsero a quel loco, ch’era forte per lo pantan ch’avea da tutte parti.

Fer la città sovra quell’ossa morte; e per colei che ‘l loco prima elesse, Mantüa l’appellar sanz’ altra sorte. (82-93)

Page 18: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Tenzone nº 5 2004

96

vale a dire, “per colei che ‘l loco prima elesse”, senza altra ‘intenzione’ (“sanz’altra sorte”)16, escludendosi che il nome della città sia legato ad altre motivazioni che non siano quelle delle arti magiche della “vergine cruda”, che vi lasciò nel luogo “suo corpo vano”, come quella dell’amore del figlio Ocno verso sua madre (Eneide, X 198-203), o altre di carattere ‘religioso’, come difende Isidoro: “Manto Tiresiae filia post interitum Thebanorum dicitur delata in Italiam Mantuam condidisse: est autem in Venetia, quae Gallia Cisalpina dicitur: et dicta Mantua quod manes tuetur” (Etymol. XV, 1, 59)17. In poche parole, Virgilio vorrebbe smentire che il nome di Mantova fosse stato motivato dall’amore filiale, il che avrebbe implicato una ‘madre virtuosa’, e non una “vergine cruda”; e allo stesso tempo rifiutare anche l’etimologia di Isidoro, non rinviante alle attività condannabili della maga. La sua rettifica è importante perché, legando implicitamente il nome della città alle arti magiche del personaggio (gr. manteuo, ‘indovinare’, ‘predire’) e non alla sua religiosità (manes tuetur) starebbe contribuendo a cambiare la sua fama, perpetuata nel nome della città, da onrata in cruda, cambiamento che giustificherebbe, in ultima analisi, la sua ‘previsione’ dell’esito finale di Manto, vale a dire, la sua futura dannazione nella bolgia IV di Malebolge.

Ma va tenuto in conto che in Manto sono rappresentate allegoricamente due modi di conoscenza del futuro, la profezia e la divinazione superstiziosa, che si corrispondono a due tappe della vita del personaggio: quella in cui fu posseduta dalla divinità Virtus, che parlò e agì per lei, e l’altra in cui svolse la sua attività d’indovina e maga. Il fatto è rilevato nell’acutissimo saggio di Maurizio Palma, che rinvia alla Theb. X 632-649: “Sono questi i versi capitali per capire chi sia in realtà ‘la figlia di Tiresia’ che Virgilio nomina a Stazio nel XXII canto del Purgatorio:

Diua Iovis solio iuxta comes, unde per orbem rara dari terrisque solet contingere, Virtus, seu pater omnipotens tribuit, siue ipsa capaces elegit penetrare uiros, caelestibus ut tunc desiluit gavisa plagis! dant clara meanti

Page 19: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Carlos LÓPEZ CORTEZO L'indovina Manto e íl limbo dantesco _____________________________________________________________________________________________________

97

astra locum quosque ipsa polis adfixerat ignes. Iamque premit terras, nec uultus ab aethere longe; sed placuit mutare genas, fit prouida Manto, responsis ut plana fides, et fraude priores exuitur uultus. Abiit horrorque uigorque ex oculis, paulum decoris permansit honosque mollior, et posito uatum gestamina ferro subdita; descendunt uestes, toruisque ligatur uitta comis (nam laurus erat); tamen aspera produnt ora deam nimiique gradus. Sic Lydia coniunx Amphitryoniaden exutum horrentia terga perdere Sidonios umeris ridebat amictus et turbare colus et tympana rumpere dextra.18

Per l’interpretazione in chiave cristiana dell’intero episodio staziano credo sia d’obbligo il rimando alle pagine del Palma; ma qui vorrei rilevare in particolare il significato da lui attribuito a Virtus: lo Spirito santo (p. 131), il che convertirebbe Manto in profetessa ispirata dalla terza persona della Trinità, e per tanto in immagine della profezia:

Nella rivelazione profetica, la mente del profeta è mossa dallo Spirito santo come uno strumento imperfetto riguardo all’agente principale […] Quando qualcuno sa di essere mosso dallo Spirito santo per proferire un giudizio su qualcosa, di parola o di fatti, abbiamo la profezia propriamente detta. Ma quando è mosso senza essere consapevole, allora non si tratta di profezia perfetta, ma d’istinto profetico (S. Theol. II-II Q.173 a.4).

[…] in tutte le epoche ci sono state persone che avevano lo spirito profetico, non per comunicare dottrine nuove, ma per dirigere la vita umana, come dice Sant’Agostino nel V De Civ. Dei: che Teodosio Augusto ‘inviò un emissario a Giovanni, che viveva nel deserto d’Egitto, dalla cui fama sempre crescente aveva saputo che era dotato dello spirito di profezia, e da lui ebbe l’annuncio della vittoria” (ibid. Q.174 a.6).

Non si tratta, quindi, di due personaggi diversi, Virtus che assume l’apparenza di Manto (nel limbo) e la vera Manto (nella bolgia degli indovini), come difende Palma19, ma di due tappe dello stesso

Page 20: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Tenzone nº 5 2004

98

personaggio: una virtuosa e saggia (“provvida Manto”), tappa in cui è posseduta dallo spirito profetico, e un’altra tappa, condannabile, nella quale si dedica alla magia. La prima corrisponderebbe non soltanto al personaggio staziano posseduto da Virtus, ma anche a quello ovidiano mosso da un impulso divino:

Nam sata Tiresia, venturi praescia, Manto per medias fuerat, divino concita motu, vaticinata vias: “Ismenides, ite frequentes et date Latonae Latonigenisque duobus cum prece tura pia, lauroque innectite crinem! Ore meo Latona iubet”. Paretur, et omnes Thebaïdes iussis sua tempora frondibus ornant turaque dant sanctis et verba precantia flammis.

(Metam. VI, 157-164)20

La seconda fase sarebbe quella relativa alla “vergine cruda” della smentita di Virgilio e alla Manto staziana non posseduta da Virtus e dedita, con il padre Tiresia, alla negromanzia. In sintesi, Dante, trovando nelle sue fonti classiche notizie contrastanti su Manto, ora religiosa e virtuosa, ora superstiziosa, decide di servirsi di questa doppia fama della maga, ubicandola tra i ‘sospesi’ del limbo, ma facendola anche immaginariamente presente tra gli indovini all’interno di una previsione della sua futura condanna, basata a sua volta su un ‘prevedibile’ sviluppo negativo della sua fama, al quale contribuirebbe il proprio Virgilio con la sua smentita, anche se Dante -come si vedrà di seguito- lascia lo spiraglio di un possibile sbaglio del poeta mantovano.

IV. GLI ERRORI DI VIRGILIO

Non sarebbe questo certamente l’unico sbaglio di Virgilio, non già nella Commedia, ma proprio in quest’episodio, dove sorprende il rilievo che Dante concede alle incertezze e agli errori del “famoso saggio”. E non soltanto a quell’errore che concerne la fondazione di Mantova, che lui stesso rettifica clamorosamente, ma soprattutto a quell’altro col quale si chiude il canto:

Page 21: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Carlos LÓPEZ CORTEZO L'indovina Manto e íl limbo dantesco _____________________________________________________________________________________________________

99

e già iernotte fu la luna tonda: ben ten de’ ricordar, ché non ti nocque alcuna volta per la selva fonda”. (127-129)

Che “alcuna volta” rimandi all’inizio della Commedia, allo smarrimento nella selva oscura, mi sembra indubbio, anche se lì non si parli della luna, come d’altronde nemmeno si menzioni che Dante avesse una corda, sebbene in If. XVI, 106-108, dove figura la stessa formula di rimando, viene detto:

Io avea una corda intorno cinta, e con essa pensai alcuna volta prender la lonza a la pelle dipinta.

Ma se è possibile ammettere che questa corda esistesse, seppure non venga menzionata fino al sedicesimo canto, nel caso della luna si tratta certamente di uno sbaglio di Virgilio, messo a bella posta da Dante nell’episodio, non trovandosi perciò una giustificazione convincente del rinvio (“è certamente un’invenzione di questo momento, per dare maggiore plausibilità alle parole di Virgilio” [A. M. Chiavacci Leonardi]). Mattalia segnala, in nota al passo, la singolarità del fenomeno, cercando un suo significato:

Incerto il significato di tale richiamo: la luce del plenilunio, filtrante nella selva (ma è la prima volta che se ne fa cenno), potrebbe forse indicare quanto di luce di coscienza e d’intelletto sopravvive anche nell’anima del peccatore più corrotto e traviato; ma potrebbe anche voler dire il contrario: ‘non ti nocque’, cioè non ti giovò, ché ci vuol altro che la luna per poter uscire da una selva come quella! Mal precisabile anche la ragione per cui il richiamo al plenilunio nelle intenzioni di Virgilio possa assumere valore di sollecitazione pressante, come pure la ‘arguta attenuazione’, notata dal Rossi, dell’espressione ‘non ti nocque’, quasi a dire che anche l’osservazione della luna può tornar utile. Battuta che par sottendere, ancora, come si è detto sopra, un rapporto tra l’arte indovina e l’osservazione delle fasi lunari, e

Page 22: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Tenzone nº 5 2004

100

contenere l’avvertimento che l’osservazione del corso della luna può servire utilmente, ma solo al calcolo del tempo, e niente più.

Ritengo, invece, che non si debba cercare un significato al richiamo, ma piuttosto una sua funzione: quella di attirare l’attenzione sull’errore di Virgilio, che viene ad aggiungersi agli altri da lui commessi nell’episodio. Infatti, nel canto primo Dante usa una perifrasi molto chiara per riferirsi alla selva: “là dove ‘l sol tace”: “Lucus est densitas arborum solo lucem detrahens, tropo antiphrasi, eo quod non luceat” (Etymol. XVII, 6, 7). È ovvio che non si tratta di un luogo dove la luce solare non penetra soltanto di notte, ma dove non lo fa nemmeno di giorno. E se i raggi solari non riescono ad attraversare il folto fogliame, meno potrà farlo la luce lunare, molto più debole anche nel plenilunio. Il fenomeno è accostabile a quello della “divina foresta” del Paradiso Terrestre “che mai / raggiar non lascia sole ivi né luna” (Pg. XXVIII, 32-33).

Un altro sbaglio lo troviamo nella perifrasi adoperata da Virgilio per indicare la luna21,

Ma vienne omai, ché già tiene ‘l confine d’amendue li emisperi e tocca l’onda sotto Sobilia Caino e le spine; (124-126)

facendosi eco della ‘favola’ leggendaria delle macchie lunari, smentita poi da Beatrice nel Paradiso:

“Ma ditemi: che son li segni bui di questo corpo, che là giuso in terra fan di Cain favoleggiare altrui?”

Ella sorrise alquanto, e poi “S’elli erra l’oppinïon”, mi disse, “d’i mortali dove chiave di senso non diserra,

certo non ti dovrien punger li strali d’ammirazione omai, poi dietro ai sensi vedi che la ragione ha corte l’ali.” (II, 49-57)

Page 23: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Carlos LÓPEZ CORTEZO L'indovina Manto e íl limbo dantesco _____________________________________________________________________________________________________

101

Infine, si tenga presente quell’altro che più che un errore, forse è da considerarsi un’incertezza dovuta ad ignoranza, ma che indubbiamente è messa in rilievo nel testo mediante l’uso di credo:

“Per mille fonti, credo, e più si bagna tra Garda e Val Camonica, Apennino de l’acqua che nel detto laco stagna.” (64-66)22

Con questo verbo, Dante ci sta ad indicare che Virgilio non ne ha avuto esperienza diretta, e che trattandosi quindi di un’opinione può sbagliare, a differenza degli altri luoghi che descrive, sicuramente percorsi e visti da lui in vita. Infatti, com’è saputo, sebbene non possano escludersi altre fonti minori, sono principalmente le acque del fiume Sarca a formare il lago di Garda, e anche se certamente Dante lo sapeva, finge che Virgilio lo ignori, il quale, essendo sicuro che il lago ha una causa, si limita ad esprimere un’opinione, e non una certezza, su quale sia questa; o forse è più ragionevole supporre che “mille fonti…e più” significhi ‘molte fonti’ (cfr. If. V, 67; VIII, 82; IX, 79; ecc.), e sia un riferimento all’origine del Sarca, “formato da parecchi rami”23 che ‘bagnano’ Apennino, nel tratto che si estende a nord tra Garda e la Val Camonica: in questo, come in altri casi nella Commedia, l’omissione del nome servirebbe a metterlo in risalto24. Come si vedrà più avanti, è significativo che Virgilio si soffermi anche sulla causa del lago, sottolineando allo stesso tempo l’indole ‘fertilizzante’ dell’acqua delle “mille fonti” che, prima di ‘stagnare’ nel lago, “bagna” le terre di Apennino, allo stesso modo che poi, “ciò che ‘n grembo a Benaco star non può,” si fa “fiume giù per verdi paschi” (vv. 74-75). C’è da notare, infatti, che a tutta la sua descrizione sottostà una catena di cause-effetti che comincia proprio qui, nella causa (il Sarca) del Benaco (effetto), continuandosi in quella (“Ivi convien che tutto quanto caschi / ciò che ‘n grembo a Benaco star non può” vv. 73-74) del fiume Mencio (“e fassi fiume giù per verdi paschi” v. 75) e in quella della palude mantovana (“Non molto ha corso, ch’el trova una lama, / ne la qual si distende e la ‘mpaluda” vv. 79-80); ma va notato come nel caso della causa del Benaco (mille fonti) questa sia congetturata (credo) a partire dagli effetti: un grande lago deve avere necessariamente una causa, e questa non può

Page 24: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Tenzone nº 5 2004

102

ridursi a l’acqua di una sola fonte, dunque è probabile che siano le acque di “mille fonti e più” a stagnare nel suo seno. Questo tipo di conoscenza, congetturale, è considerata da Tommaso ‘imperfetta’, a differenza delle altre due: quella proveniente dalla rivelazione, e quella, certa, proveniente dalla conoscenza della cosa per se stessa (I-II, Q.112, a.5).

A questo punto c’è da chiedersi perché Dante faccia sbagliare tanto Virgilio in questo episodio, e al riguardo va osservato che dei suoi errori, anche se implicitamente, sono sempre protagonisti i sensi, dai quali comincia la nostra conoscenza, secondo la nota teoria aristotelica. Nei casi delle “mille fonti”, della luna nella selva e anche dell’errore dell’Eneide, perché non ne ha avuto esperienza visiva; nel caso delle macchie lunari, perché “dietro ai sensi / […] la ragione ha corte l’ali”, come spiegherà a suo tempo Beatrice. In sintesi, se l’uomo può sbagliare “dietro ai sensi”, non c’è da meravigliarsi che lo possa fare quando “chiave di senso non diserra”. L’argomentazione di Beatrice è pertinente al nostro caso, se si considera -come già detto- che ‘presente’ è quel che abbiamo davanti ai nostri sensi e che, perciò, riguardo al passato e al futuro, che non sono ‘prae-sensibus’, non possiamo avere certezza, ma soltanto ‘opinione’ e che in conseguenza, la nostra conoscenza può essere erronea, soprattutto se si tiene conto che anche sul presente -vale a dire, “dietro ai sensi”- possiamo sbagliare. Solo nel caso di essere informati da qualcuno che gli abbia vissuti, vale a dire, ‘visti’ e perciò conosciuti, possiamo avere una conoscenza certa degli accadimenti passati e anche di quelli del presente dei quali non se ne abbia avuto un’esperienza diretta. Il ragionamento è perfino più valido per quelli futuri, contingenti, dei quali l’informazione ci può arrivare soltanto da qualcuno che gli abbia presenti anche se non ancora avvenuti nel tempo:

In se stesso il futuro può essere conosciuto soltanto da Dio, davanti al quale è presente tutto il futuro, sebbene non si sia ancora realizzato nel tempo, poiché il suo eterno sguardo abbraccia simultaneamente tutto il trascorso del tempo […] Nelle sue cause, anche noi possiamo conoscere il futuro, e se questo è tale da accadere necessariamente, lo potremo conoscere con certezza scientifica, come l’astronomo conosce in anticipo

Page 25: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Carlos LÓPEZ CORTEZO L'indovina Manto e íl limbo dantesco _____________________________________________________________________________________________________

103

l’avvenimento di una eclissi. E se nella maggioranza dei casi accade, potremo conoscerlo in modo congetturale, con diversi gradi di certezza, in dipendenza dalla maggiore o minore tendenza della causa a produrre i suoi effetti (S. Theol. I, Q.86, a.4).

Guidare il lettore a questa conclusione è sicuramente l’intenzione di Dante e anche la funzione degli errori di Virgilio, soprattutto se si considera che siamo nel canto degli indovini. A questo punto è da rilevare l’abilità e la naturalità con cui il poeta conduce il suo discorso, portandolo da un piano narrativo ad un altro filosofico, servendosi a volte d’elementi tanto minimi da esigere tutta l’attenzione del lettore.

V. LA DIGRESSIONE GEOGRAFICA DI VIRGILIO

Un esempio di quest’abilità si trova nella lunga digressione di Virgilio a proposito di Manto, nella quale percorso geografico dell’acqua e biografico di Manto coincidono significativamente in uno stesso luogo: il pantano di Mantova25. Il dato, anche se ovvio, non va trascurato, anzi mi sembra molto importante, proprio perché stabilisce un rapporto tra il processo ‘naturale’ dell’acqua, tendente istintivamente verso il suo fine (il mare) e quello, analogo, ‘vitale’ della maga, cominciando entrambi con l’uscita ‘necessaria’ (“Ivi convien che tutto quanto caschi / ciò che ‘n grembo a Benaco star non può”) dal luogo dove si era stagnata l’acqua (il lago) e ‘non necessaria’ della maga da dove fino ad allora aveva abitato (“la città di Baco”)26, percorrendo in seguito ambedue un tragitto attraverso varie terre, e venendo a coincidere nella “lama”, dove Manto finalmente si ferma e, secondo la versione di Virgilio, muore; ma non l’acqua, che, dopo essersi distesa e avere impantanato la lama, prosegue “fino a Governol, dove cade in Po” e, poi, anche se Virgilio non lo dice, raggiunge il mare. Su questo silenzio di Virgilio ci sarebbe anche da domandarsi il perché. Il mantovano, infatti, descrive puntigliosamente tutto il corso dell’acqua, dal suo ‘principio’ fino alla sua unione con il Po, ma omette invece la ‘fine’, vale a dire, dove dovrebbe trovare la “pace” (cfr. If. V, 97-99:

Page 26: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Tenzone nº 5 2004

104

“Siede la terra dove nata fui / su la marina dove ‘l Po discende / per aver pace co’ seguaci sui”). Credo che l’omissione abbia, anche questa volta, la funzione di richiamare l’attenzione del lettore su di ‘essa’, in modo da porre in risalto l’ovvietà di questa fine, dato che il Po è un fiume ‘reale’ e come tale sbocca nel mare (vid. Pg. V, 121-123: “e come ai rivi grandi si convenne, / ver’ lo fiume real tanto veloce / si ruinò, che nulla la ritenne”). L’importante per lui è descrivere il corso, che è accidentale: la fine è soltanto una conseguenza necessaria di questo; essendo il mare, infatti, principio e fine di tutte le acque27, l’acqua del Mencio non può essere un’eccezione alla legge di natura, fissata da Dio.

L’innegabile analogia fluviale-biografica (una specie di similitudine non esplicita), tuttavia, presenta delle differenze significative: il movimento dell’acqua risponde ad un processo naturale, segnato dalla necessità, mentre quello di Manto è marcatamente volontario, vale a dire, libero, anche se -come nel caso dell’acqua- ha un termine prefissato da Dio: “e ora lì, come a sito decreto, / cen porta la virtù di quella corda / che ciò che scocca drizza in segno lieto” (Pd. I, 124-126). Si osservi a questo proposito che l’acqua non sceglie di distendersi nella lama, mentre la maga, invece, ‘elegge’ il luogo per vivere, com’è evidenziato nel testo (“…colei che ‘l loco prima elesse”) mediante un termine di largo uso in filosofia (elezione) rinviante al dibattito sul libero arbitrio28, fortemente connesso con il tema della contingenza ed il determinismo della vita umana, alla base del problema della divinazione. Dante, infatti, sta additando la libertà dell’uomo nelle sue attuazioni, una libertà che fa impossibile prevedere con certezza le sue scelte future, dato che dipendono dalla sua volontà, e non sono determinate da quella divina (cfr. Pd. I, 130- 138: “così da questo corso si diparte / talor la creatura, c’ha podere / di piegar, così pinta, in altra parte; […] Non dei più ammirar, se bene stimo, / lo tuo salir, se non come d’un rivo / se d’alto monte scende giuso ad imo”), anche se Dio, che ha tutto presente, le conosce prima che avvengano nel tempo: “Fient igitur procul dubio cuncta, quae futura deus esse praenoscit, sed eorum quaedam de libero proficiscuntur arbitrio, quae quamvis eveniant, exsistendo tamen naturam propriam non amittunt, qua, prius quam

Page 27: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Carlos LÓPEZ CORTEZO L'indovina Manto e íl limbo dantesco _____________________________________________________________________________________________________

105

fierent, etiam non evenire potuissent” (Boezio, De cons. Fil. V, 6)29. Il ragionamento è valido anche nel caso della conoscenza del passato, che paradossalmente è il problema che Dante propone in un episodio dedicato alla conoscenza del futuro: i fatti passati sono necessariamente avvenuti in un modo, ma questo non significa che necessariamente dovessero avvenire in quel modo. Infatti, che Manto passasse da quelle parti non era un fatto necessario, e per tanto prevedibile, ma casuale; come non necessario era che scegliesse quel luogo per vivere e non un altro. Virgilio centra tutto il suo discorso sulla questione della vera origine della sua città, oggetto di contrastanti opinioni (“Però t’assenno che, se tu mai odi / originar la mia terra altrimenti, / la verità nulla menzogna frodi”), tra le quali la propria, che ora corregge; ma il problema è legato anche e soprattutto alla vera biografia di Manto, al suo passato, evidenziandosi nel suo racconto, anche su quest’argomento, radicali divergenze con quel che aveva lasciato scritto nell’Eneide, specialmente sulla sua maternità, qui invece negata (vergine cruda). Non credo sia impertinente segnalare che siamo di nuovo davanti al problema della contingenza, adesso riferito a fatti già accaduti, ma dei quali Virgilio non ne ha avuto conoscenza diretta, ma soltanto informazioni indirette e contrastanti, e sui quali, perciò, tutto al più potrebbe esprimere la sua opinione (e in conseguenza, anche sbagliarsi), a differenza di ciò che fa nell’episodio, offrendo una sua nuova versione come certa, vale a dire, come necessariamente avvenuta in quel modo. Forse sarebbe il caso di domandarsi dove e da chi avesse potuto ricevere l’informazione che, in vita, gli era sicuramente mancata; e la risposta più ragionevole, anche se ipotetica, potrebbe essere: nel limbo e dalla stessa “figlia di Tiresia”, probabilmente l’unica a conoscere la verità. Ma il grado ipotetico di quest’osservazione sminuirà a misura che si tenga conto che Dante sta facendo correggere il suo autore nientemeno che l’Eneide, e che l’importanza di quest’intervento -che non poteva, e non può, sfuggire al lettore- esige, nel filo logico della narrazione, una sicura fonte d’informazione post mortem da parte di Virgilio, il quale altrimenti avrebbe potuto rimediare in vita a questo particolare errato della sua opera. Non dovrebbe risultare illogico pensare che lui stesso,

Page 28: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Tenzone nº 5 2004

106

incontrandola nel limbo, le avesse chiesto dove e come fosse andata a finire, come d’altronde fa nel caso di Ulisse (If. XXVI, 84), di cui anche s’ignoravano le circostanze della sua morte. La veemenza con cui il personaggio mette in guardia Dante contro le false versioni dell’origine della città, costruita “sovra quell’ossa morte”, e il vero motivo della sua nominanza, risponde all’intenzione di avvalorare la verità della sua versione, appena esposta, legata all’ultimo periodo della vita della maga e alla sua morte, fino ad allora sconosciuti30: la verità dei fatti implica anche il nome della città, ma soprattutto la nominanza (fama) della propria Manto, come ho già detto. A questo proposito è da notare come nella digressione di Virgilio si mettano in risalto i cambiamenti del nome dell’acqua, corrispondenti alle diverse tappe del suo percorso31:

Tosto che l’acqua a correr mette co, non più Benaco, ma Mencio si chiama fino a Governol, dove cade in Po. (76-78)

Pur trattandosi sempre della stessa acqua, la sua “nominanza” varia secondo i tratti della sua ‘vita’ o corso. Quando “stagna” nel lago ha nome “Benaco”; quando si fa fiume “Mencio si chiama / fino a Governol”, dove confluisce nel Po perdendo il suo nome (cfr. Pg. V, 97: “Là ‘ve ‘l vocabol suo diventa vano”, ma specialmente quel che si dice dell’Arno in Pg. XIV, 25-30: “E l’altro disse lui: ‘Perché nascose / questi il vocabol di quella riviera, / pur com’ om fa de l’orribili cose?’. // E l’ombra che di ciò domandata era, / si sdebitò così: ‘Non so; ma degno / ben è che ‘l nome di tal valle pèra’). Queste variazioni onomastiche rimandano a quelle analoghe della fama o “nominanza”32 segnalate da Tommaso nel testo prima citato, ed è doveroso notare, al riguardo di questo corso, che il poeta mette in rilievo nella sua descrizione due tappe del fiume, marcata la prima dalla ‘fertilità’ (v. 75: “e fassi fiume giù per verdi paschi”), e l’altra dalla ‘infertilità’ (vv. 79-84: “Non molto ha corso, ch’el trova una lama, / ne la qual si distende e la ‘mpaluda; e suol di state talor esser grama. // Quindi passando la vergine cruda / vide terra, nel mezzo del pantano, / sanza coltura e d’abitanti nuda”), senza che quest’ultimo e diverso comportamento dell’acqua motivi un nuovo cambiamento della sua “nominanza”, a differenza di ciò che accade

Page 29: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Carlos LÓPEZ CORTEZO L'indovina Manto e íl limbo dantesco _____________________________________________________________________________________________________

107

quando passa dallo stato d’immobilità del lago (“giace”,“stagna”) a quello di movimento del fiume (“a correr mette co”, “Non molto ha corso”) che determina che non si chiami più Benaco, ma Mencio, nell’Eneide figlio del lago (X, 205). Il fenomeno è da riportare -proseguendo l’analogia con la vita della maga- alle due tappe della vita di Manto, una virtuosa e fruttifera (Benaco)33, ed un’altra moralmente condannabile per la sua insania (pantano di Mantova), senza che per questo la sua “nominanza” abbia cambiato, come nel caso del fiume. Si osservi a questo proposito che Governol è un toponimo palesemente interpretabile come ‘governo’34, termine con il quale si era soliti nominare la provvidenza divina (vid. Pd. XI, 28: “La provedenza, che governa il mondo”; anche XXI, 71 e XXX,122): “Alla provvidenza appartiene la ragione dell’ordine delle cose destinate ad un fine e l’esecuzione di quest’ordine, che si chiama governo” (S. Theol. I, Q. 22, a. 3). Governol, infatti, conduce l’acqua verso il fine al quale è predestinata, ovvero il Po, i cui nomi latini, Padus e Eridanus35, offrivano entrambi un’agevole interpretazione riconducibile ad uno stesso significato: Padus, in chiave greca (da pázos), ‘danno, sofferenza, castigo’, ed Eridanus, in chiave latina (‘Erit-damnum’), ‘futuro danno’ (vid. If. XIII, 12: “con tristo annunzio di futuro danno”). L’acqua finirà nel mare Adriatico o “mare Adriano” (Cv. IV xiii 12; Pd. XXI, 123), nome che, come si sa, era interpretato come derivato di “ater”, ‘nero’, il colore infernale (vid. Pg. I, 45: “la profonda notte / che sempre nera fa la valle inferna”)36. Queste considerazioni troverebbero un’ulteriore conferma nel fatto che il Po (nell’Ep. VII è detto “praecipite”) e l’Adriatico sono situati nel versante ‘sinistro’ dell’Italia, mentre al versante ‘destro’ appartiene il Tevere, anticamente “Albula” per il suo colore ‘bianco’37 (Etymol. XIII, 21, 27; Eneide VIII, 330-333), nella cui foce significativamente si adunano le anime destinate alla salvazione38. L’opposizione tra i due versanti riaffiora in modo abbastanza esplicito nel canto XXI del Paradiso, a proposito dello ‘sdoppiamento’ onomastico e morale di un personaggio quale Pietro Damiano: “Damiano”39 nel versante tirreno e “Peccatore” “in sul lito Adriano”40:

Page 30: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Tenzone nº 5 2004

108

“Tra ‘ due liti d’Italia surgon sassi, e non molto distanti a la tua patria, tanto che ‘ troni assai suonan più bassi,

e fanno un gibbo che si chiama Catria, di sotto al quale è consecrato un ermo, che suole esser disposto a sola latria”.

(…….)

“In quel loco fu’ io Pietro Damiano, e Pietro Peccator fu’ ne la casa di Nostra Donna in sul lito adriano” (106-123)

Il tutto ci porta a concludere che le acque del Benaco sono destinate, prima o poi, a ‘cadere’ (v. 78) nel Po e a raggiungere finalmente l’Adriatico, anche se temporaneamente rimangono ‘sospese’ nel suo “grembo”.

A questo punto c’è da chiedersi se il lago non abbia un ulteriore significato oltre a quelli già visti, e al riguardo mi sembra pertinente rilevare una certa analogia tra l’acqua che stagna nel suo seno e le anime sospese del limbo: infatti, tanto l’acqua quanto i limbicoli si trovano in uno stato di sospensione che impedisce loro, almeno provvisoriamente, di raggiungere il loro fine. Quest’accostamento tra i due luoghi si farà sempre più stretto a misura che si consideri che, non casualmente, Virgilio, nella sua dettagliata descrizione del lago, segnala i suoi due stremi opposti: quello che accoglie le acque delle “mille fonti” e quello da dove il lago rigetta “ciò che ‘n grembo a Benaco star non può”. Tra l’uno e l’altro, il centro del lago: “Loco è nel mezzo là dove il trentino / pastore e quel di Brescia e ‘l veronese / segnar poria, s’e’ fesse quel cammino” (vv. 67-69). Lasciando da parte le interpretazioni fatte dalla critica al passo, credo che una cosa sia sicura: la connotazione ‘religiosa’ che il poeta ha voluto dare a questo “loco”41 mediano e virtualmente benedetto dai tre vescovi (vv. 67-69), vale a dire, dalla Chiesa. I due tratti rilevati, ‘religiosità’ e ‘mezzanità’, rinviano al concetto di ‘religione’ come virtù morale:

Page 31: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Carlos LÓPEZ CORTEZO L'indovina Manto e íl limbo dantesco _____________________________________________________________________________________________________

109

Va detto che, come abbiamo esposto prima (Q.81 a.5 ad 3), la religione è una virtù morale. E ogni virtù morale, conforme a ciò che abbiamo detto (1-2 q.64 a.1), consiste nel giusto mezzo, perciò alle virtù morali si oppongono due classi di vizi: gli uni per eccesso, gli altri per difetto […] Così la superstizione è un vizio opposto alla religione per eccesso, non perché, in quel che riguarda al culto divino, offra a Dio di più di quel che la vera religione gli offre, ma perché rende culto divino a chi non deve, o nel modo non dovuto” (S. Theol. II-II Q.92 a.1).

Il rimando al carattere eccessivo della superstizione rispetto alla religione come virtù morale, è pertinente all’episodio, dato che la magia e la divinazione erano ritenute superstizioni, insieme all’idolatria e ai culti pagani (II-II Q.92 a.2), argomenti, quest’ultimi, che attingono al limbo e al proprio Virgilio. Si noti che qui l’‘eccesso’ è rappresentato dall’acqua che avanza (lat. “superflua”) che, non potendo essere contenuta nel “grembo” di Benaco, straripa (lat. “superfluere”) a Peschiera, nello ‘stremo’ sud del lago:

Siede Peschiera, bello e forte arnese da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi, ove la riva ‘ntorno più discese.

Ivi convien che tutto quanto caschi ciò che ‘n grembo a Benaco star non può, e fassi fiume giù per verdi paschi. (70-75)

Una conferma di ciò si trova nelle parole usate da Virgilio, che riproducono i tratti semantici di quelle che figurano nella definizione di ‘superstizione’ fatta da Isidoro:

Superstitio dicta eo quo sit superflua aut superinstituta observatio […] Lucretius autem superstitionem dicit superstantium rerum, id est caelestium et divinorum quae super nos stant; sed male dicit” (Etymol. VIII, 3, 6-7)42

Anche nella Somma Teologica si dedica un intiero articolo al carattere ‘superfluo’ della superstizione (II-II, Q.93 a.2).

Page 32: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Tenzone nº 5 2004

110

Come ho detto prima, basandomi nel passo di Tommaso, superstizione non è soltanto la divinazione, ma anche il paganesimo, che “rende culto divino a chi non deve”, e che è proprio degli abitanti del nobile castello, tra i quali Virgilio, come lui stesso confessa a Dante, riproducendo quasi alla lettera l’espressione di Tommaso:

Lo buon maestro a me: “Tu non dimandi che spiriti son questi che tu vedi? Or vo’ che sappi, innanzi che più andi,

ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi, non basta, perché non ebber battesmo, ch’è porta de la fede che tu credi;

e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo, non adorar debitamente a Dio: e di questi cotai son io medesmo. (If. IV, 31-39)

Oltretutto, va ricordato che il ‘lago’ era anche figura biblica adoperata per significare il limbo o ‘grembo d’Abramo’43, almeno nell’interpretazione che ne fa Tommaso nella Somma:

Cristo, scendendo negli inferni, liberò i santi Padri. Questo, appunto, è quel che si dice in Zaccaria 9, 11: “Tu quoque in sanguine testamenti tui / Emisisti vinctos tuos de lacu in quo non est aqua”44 (S. Theol. III, Q.52, a. 5).

L’immagine figura anche in Isaia 24, 22, in contesto escatologico (“Et congregabuntur in congregatione unius fascis in lacum, / Et post multos dies visitabuntur”)45. Alain de Lille coincide con Tommaso nella sua interpretazione: “Dicitur infernus propter sui profunditatem et tenebrositatem, unde Zacharias propheta ait: ‘Qui eduxisti vinctos de lacu in quo non erat aqua’” (vox “lacus”).

Credo, perciò, molto probabile che il centro del lago (‘medietas’), il luogo che i tre vescovi avrebbero potuto benedire “s’e’ fesse quel cammino”, vale a dire, se avessero potuto essere lì per farlo, possa significare il limbo dei Patriarchi o ‘grembo d’Abramo’, vuoto dopo la scesa di Cristo; anche perché questo significato verrebbe ad aggiungersi

Page 33: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Carlos LÓPEZ CORTEZO L'indovina Manto e íl limbo dantesco _____________________________________________________________________________________________________

111

a quello della fortezza di Peschiera come il ‘nobile castello’ del limbo. I due luoghi sarebbero in più connotati dai due concetti prima esposti: la ‘religione’ e la ‘superstizione’, concetti che si adattano rispettivamente ai Patriarchi, liberati da Cristo, e agli abitanti del nobile castello, che anche se “non adorar debitamente a Dio”, il cielo “sì li avanza” perché tiene in considerazione “l’onrata nominanza / che di lor suona” ancora in terra; una fama, però, il cui ‘suono’ dovrebbe durare fino al giudizio universale (“quanto ‘l mondo lontana”). Si noti qui la relazione tra “nominanza” e ‘suono’, un fenomeno ricorrente nella Commedia. Infatti, non solo “sonare, unito a ‘nome’ o ‘nominanza’ indica la diffusione della notorietà, della fama di qualcuno” (E. D.)46, ma persino quando figura da solo: “ch’ al fine della terra il suono uscie” (If. XXVII, 78). All’analoga, e d’altronde naturale, associazione acqua-suono47 va aggiunta quella basata sull’omofonia di acqua e del sostantivo greco akoé (‘suono, strepito, rumore’; anche ‘notizia, informazione’), o del verbo akoúo (‘avere una reputazione, buona o cattiva; godere di buona o cattiva fama’). Va notato, inoltre, che acqua e fama condividono anche un altro tratto essenziale quale la ‘mobilità’; movimento, però, che nel caso della fama può oltrepassare “li termini del vero” (Cv. I iii 9), qui rappresentati da quelli del lago: “Per che Virgilio dice nel quarto de lo Eneida che la Fama vive per essere mobile, e acquista grandezza per andare” (I iii 11). Avremo così una fama mobile e, perciò, variabile, non verace, non duratura48; ed un’altra ferma, invariabile, verace, duratura49; la prima, rappresentata dall’acqua che “a correr mette co”; la seconda, da quella che si mantiene ‘sospesa’ nel lago, e che ‘dura’, dato che l’acqua è destinata per natura a finire in mare, sia direttamente, sia tramite un fiume reale: in ambo i casi perdendo il suo nome, come già osservato. E qui va ripreso il tema della ‘nominanza’: tanto i laghi quanto i fiumi importanti, costituiti da una grande quantità d’acqua, ricevono un nome e sono conosciuti da questo nome50. Il fatto è riconducibile anche ai grandi uomini: “quelli sette savi antichissimi, che la gente ancora nomina per fama” (Cv. III xi 4), vale a dire, ‘che la gente ancora nomina a causa della loro fama’, allo steso modo che nomina un lago (il Benaco) o un fiume (il Mencio) per la loro quantità di ‘acqua’; e

Page 34: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Tenzone nº 5 2004

112

non nomina, invece, le numerose, piccole e, perciò, anonime sorgenti (“mille fonti”) che, tramite il Sarca, vanno a riunirsi nel lago. Perciò è la ‘grandezza’ o estensione a far sì che un lago o un fiume meritino un nome e siano conosciuti e ricordati da questo. La copia fama e nominanza, frequente nell’uso dell’epoca51, è, infatti, rappresentata, nella digressione geografica di Virgilio, da quell’analoga ‘acqua e nome’, risultando, quest’ultimo, conseguenza dell’acqua. Importanti, perciò, anche le interpretazioni dei nomi fatte dal poeta e, se mi è concesso, pure le difficoltà che l’analista, in questo come in altri casi simili, deve affrontare nella sua ricerca, dovendosi addentrare in un terreno marcatamente ipotetico, non sempre delimitato dall’etimologia, vera o inventata, o dalla scomposizione del nome nei suoi gruppi sillabici, ma spesso da un limite impreciso quale il suo ‘suono’ 52. Inoltre, a volte accade che tutti questi criteri vengano tenuti in considerazione, risultandone non una ma diverse interpretazioni di uno stesso nome53. In questo senso, un caso paradigmatico è “Benaco”, la cui ‘interpretatio ex syllabis’ rimanda agevolmente ad un significato positivo, determinato dalla sillaba iniziale ‘ben’ (lat. avv. ‘bene’) seguita da ‘aco’ (lat. “acus”, ‘ago’)54, rinviante ad ‘acuto’ (lat. “acutus”, ‘che termina a punta, aguzzo, pungente’), che può essere riferito tanto a ‘suono’ (‘alto’, ‘sonoro’), in opposizione a ‘grave’ (‘basso’), quanto a ‘desiderio’: ‘bene acuto’ (cfr. Pg. XXIV, 110: “ma, per fare esser ben la voglia acuta”). Nel primo caso, il rinvio sarebbe al ‘suono’ della ‘nominanza’, appunto ‘alto’55, anche in senso morale56 (“L’onrata nominanza / che di lor suona su ne la tua vita”); nel secondo, al desiderio insoddisfatto, e perciò molto ‘acuto’, proprio dei limbicoli (“che sanza speme vivemo in disio”). Importante mi sembra il processo discendente dell’acqua, la quale nel lago si mantiene in alto, mentre quella del fiume ‘scende’. Il fenomeno è marcato mediante il verbo “cadere” e l’avverbio “giù” (“Ivi convien che tutto quanto caschi / ciò che ‘n grembo a Benaco star non può, / e fassi fiume giù per verdi paschi”) che allo stesso tempo mettono in rilievo la posizione ‘alta’ del lago, connotandolo positivamente, a differenza della “lama”57 dove l’acqua del fiume “si distende e la ‘mpaluda” e “suol di state talor esser grama”.

Page 35: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Carlos LÓPEZ CORTEZO L'indovina Manto e íl limbo dantesco _____________________________________________________________________________________________________

113

Ho parlato prima di due classi di fama: una che dura, che non varia (l’acqua del lago)58, ed un’altra mobile e perciò variabile, menzognera (il fiume). Il fenomeno viene evidenziato dal rilievo concesso dal poeta al cambiamento del nome dell’acqua (“Tosto che l’acqua a correr mette co, / non più Benaco, ma Mencio si chiama / fino a Governol, dove cade in Po”), motivato dal diverso atteggiamento dell’acqua: nel lago è ferma, mentre nel fiume corre, il che ci indica che quando si “estende” nella lama e diventa palude, dovrebbe avere un altro nome e non quello del fiume, mentre continua ad essere nominato Mencio. In poche parole, quel che denuncia Virgilio è che la palude non ha un nome proprio, vale a dire, è un caso di ignominia, anche se conserva, ingiustamente, il nome del fiume:

Ignominium, eo quod desinat habere honestatis nomen is qui in aliquo crimine deprehenditur. Dictum est autem ignominium quasi sine nomine, sicut ignarus sine scientia, sicut ignobilis sine nobilitate. Hoc quoque et infamium, quasi sine bona fama. Fama autem dicta quia fando, id est loquendo, pervagatur per traduces linguarum et aurim serpens. Est autem nomen et bonarum rerum et malarum. Nam fama felicitatis interdum est, ut illud, ‘inlustris fama’, quod laus est: malarum, ut Vergilius (Aen. 4,174) : ‘Fama, malum qua non aliud velocius ullum’. Fama autem nomen certilocum non habet, quia plurimum mendax est, adiciens multa vel demutans de veritate: quae tamdiu vivit, quamdiu non probat. At ubi probaveris, esse cessat, et exinde res nominatur, non fama. (Etymol. V, 27, 25-27).

Si noti come alla perdita della “onrata nominanza” (ignominia) si corrisponda anche quella della ‘fama buona’ (infamia), secondo il significato che abbiamo dato all’acqua, basato sull’omofonia con il greco akoúo e akoé: nella lama l’acqua (‘fama’) si distende, impaludandola; “e suol di state talor esser grama” (Ottimo: “ovvero dice grama, cioè inferma, perocchè si corrompe per non correre, e per la forza del sole deseccativo l’acqua, e attrattivo l’umore del pantano del palude”). È a questo punto che l’interpretazione dell’idronimo “Mencio” si svela: ‘menzione’ (lat. “mentio”), ovvero, ‘nominanza’59, ma allo

Page 36: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Tenzone nº 5 2004

114

stesso tempo anche ‘menzogna’ o ‘menciogna’ (lat. “mentior”): “l’onrata nominanza”60 (“fassi fiume per verdi paschi”) diventa ‘menzogna’ nella palude di Mantova (“la verità nulla menzogna frodi”). Il tutto, ovviamente, va riferito alla fama e alla nominanza di Manto, di cui Virgilio denuncia il suo comportamento ‘ignominioso’ e ‘infame’ proprio in questo punto, una denuncia che svela il carattere menzognero della sua “onrata nominanza”, che, appunto, lui stesso aveva contribuito a trasmettere, e che, prevedibilmente, motiverà la sua uscita dal limbo e la sua futura condanna nella bolgia infernale, dove adesso la immagina e la descrive a Dante come se fosse presente, perché “minuit praesentia famam” (Claudiano, De bello gildon., 385): “sono apparito a li occhi a molti che forsechè per alcuna fama in altra forma m’aveano imaginato, nel conspetto de’ quali non solamente mia persona invilio, ma di minor pregio si fece ogni opera, sì già fatta, come quella che fosse a fare” (Cv. I iii 5). Virgilio non solo corregge la sua versione dell’Eneide, ma anche, in quel che riguarda la palude mantovana, le descrizioni idilliche del corso del Mincio fatte nelle Bucoliche e nelle Georgiche, dalle quali Dante sicuramente riprende la sua (“fassi fiume per verdi paschi”), con eccezion fatta per il pantano:

huc ipsi potum venient per prata iuvenci, hic viridis tenera praetexit harundine ripas Mincius, eque sacra resonant examina quercu (Buc. VII, 11-13)61

primus Idumaeas referam tibi, Mantua, palmas et viridi in campo templum de marmore ponam propter aquam, tardis ingens ubi flexibus errat Mincius et tenera praetexit harundine ripas (Georg. III, 12-15)62

VI. CONCLUSIONI

Dopo questa lunga e forse noiosa analisi, possiamo concludere, in modo riassuntivo, che:

1) i limbicoli del nobile castello sono condannati all’inferno per il peccato originale, ma la pena rimane sospesa, a causa della

Page 37: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Carlos LÓPEZ CORTEZO L'indovina Manto e íl limbo dantesco _____________________________________________________________________________________________________

115

loro “onrata nominanza”, fino al giudizio universale, dipendendo la loro sorte finale dalla ‘durata’ o no di questa. Nei casi come quello di Virgilio, “di cui la fama ancor nel mondo dura, / e durerà quanto ‘l mondo lontana”, non si può escludere l’intervento finale della misericordia di Dio, come difende M. Palma, e in conseguenza la salvezza, se si considera che il destino postumo dell’acqua rimasta nel lago non può essere che l’evaporazione, vale a dire, l’ascesa al cielo: “Aquarum elementum ceteris omnibus imperat. Aquae enim caelum temperant, terram fecundant, aerem exhalationibus suis incorporant, scandunt in sublime et caelum sibi vindicant. Quid enim mirabilius aquis in caelo stantibus?” (Etymol. XIII, 12 , 3).

2) Virgilio non ‘vede’ Manto nella bolgia degli indovini, ma ‘pre-vede’, immaginandola presente, la sua futura e definitiva dannazione, basandosi su un’ulteriore perdita della sua “onrata nominanza”; perdita alla quale lui stesso contribuisce nel ristabilire e trasmettere la verità su certe vicende biografiche della maga, fino allora sconosciute, e che lui lega, ormai per sempre, al nome della sua città.

Page 38: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Tenzone nº 5 2004

116

NOTE 1 “Secondo alcuni Tiresia ebbe due figlie, Dafne e Manto” (Graves 1985: II, 26-27). Le fonti citate al riguardo sono: Apolodoro III.7.7; Pausania, VII.3.1 e IX. 33.1; Diodoro Siculo, IV.66. Sull’argomento, vid. M. Palma 2003: 75-76. 2 Così, per esempio, A. M. Chiavacci Leonardi: “L’unica soluzione accettabile resta ancora quella del Torraca (difesa dal Parodi, Lingua, pp. 376-7), che suppose un errore di trascrizione (Nereo > Tereo > Tiresia), congetturando: la figlia di Nereo, Teti. (…) Piuttosto che un’assurdità, come scrisse il Parodi, è meglio ammettere una correzione, sia pure ricostruibile paleograficamente, come osserva il Petrocchi (III ad locum), che mantiene per questo la lezione tradizionale.” 3 «Praesens dictus quod sit prae sensibus, id est coram oculis, qui sensus sunt corporis» (Etymol. X, 207). 4 Si confronti If. X 100-105: “Noi veggiam, come quei c’ha mala luce, / le cose”, disse, “che ne son lontano; / cotanto ancor ne splende il sommo duce. // Quando s’appressano o son, tutto è vano / nostro intelletto; e s’altri non ci apporta, / nulla sapem di vostro stato umano. // Però comprender puoi che tutta morta / fia nostra conoscenza da quel punto / che del futuro fia chiusa la porta”. 5 Si osservi che, anche se la referenza diretta di “che tu non vedi” è ristretta a “le mammelle”, l’opposizione rilevata della serie “vedi” vs. “che tu non vedi” potrebbe implicare un’estensione referenziale a tutta la persona di Manto. 6 “Né basterà badare all’immediato, che ci sta davanti agli occhi; la saggezza [‘prudentia’] misura le cose dal loro esito finale e inoltre il carattere della fortuna, mutevole nell’uno e nell’altro senso, fa sì che le sue minacce non siano temibili, né le sue lusinghe desiderabili”. 7 Sull’importanza che il poeta attribuisce al valore di ciascun singolo termine da lui adoperato, specialmente in determinati contesti e persino nella ‘fictio’, vid. il rimando di Pd. XIII, 106 (“se al ‘surse’ drizzi li occhi chiari, / vedrai aver solamente rispetto / ai reggi…”) a Pd. X, 114 (“a veder tanto non surse il secondo”). 8 Così anche la E. D.: “Ogni indica ciascuno degli elementi omogenei che formano l’insieme, la totalità di persone, di cose, di fatti, che si intende designare” (vox ogni). 9 Una conferma l’abbiamo in If. XIII, 61 (“che dal secreto suo quasi ogn’ uom tolsi”), dove per ammettere qualche eccezione alla totalità (ogn’uom) deve per forza premettere quasi.

Page 39: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Carlos LÓPEZ CORTEZO L'indovina Manto e íl limbo dantesco _____________________________________________________________________________________________________

117

10 Sul significato dei gesti nella letteratura medioevale e nella Commedia si è appena pubblicato uno studio di Violeta Díaz-Corralejo: Los gestos en la literatura medieval, Madrid, Gredos, 2004. 11 Si confronti il gesto di occultazione di Manto con quello, opposto, di Maometto in If. XXVIII, 29 (“guardommi e con le man s’aperse il petto”), analizzato acutamente da Violeta Díaz-Corralejo (2004: 214-216). 12 Non si dimentichi che gli indovini sono peccatori di frode e che “sozza immagine di frode” è Gerione, che mostra la sua faccia “d’uom giusto”, ma tiene nascosta “la coda aguzza” (If. XVII, 1-12). 13 “…le scritture si possono intendere e deonsi esponere massimamente per quattro sensi. L’uno si chiama litterale, [e questo è quello che non si stende più oltre che la lettera de le parole fittizie, sì come sono le favole de li poeti. L’altro si chiama allegorico,] e questo è quello che si nasconde sotto ‘l manto di queste favole, ed è una veritade ascosa sotto bella menzogna” (II i 2-3). 14 Pertinenti al riguardo mi sembrano questi testi citati nel Grande Dizionario della Lingua italiana (vox “sospeso”): “I giudici minacciano i rettori al sindacato, e per paura traggono da loro le ingiuste grazie, e tengono le questioni sospese anni tre o quattro, e sentenzia di niuno piato si dà” (Compagni, I-13); “Bena pare al postutto questo miracolo non simigliante a la verità per tutte le cose, cioè che o che Paulo par umano scalatrimento s’infignesse di sapere comporre cotali maestrie, o che la sentenzia del giovane stesso sospesa per XIIII anni” (Leggenda aurea volg., 354); “Ordinâro in concordia che gli ordinamenti privilegiati steano sospesi di qui a quel tempo che piacieràe a’ capitani” (Testi fiorentini, 70). 15 Come si sa, nel caso dell’ipotetica sodomia di Giulio Cesare, Svetonio (Vita Caes. I, XLIX) narra dei suoi rapporti col re di Bitinia Nicomede e del fatto che fosse chiamato ‘regina’ dai suoi avversari e canzonato dai suoi soldati. Ma la fonte di Dante sembra essere soprattutto Uguccione da Pisa che racconta come, dopo il trionfo nelle Gallie, gli fu gridato “regina”: “Caesari triumphanti fertur quidam dixisse: ‘Aperite portas regi calvo et reginae Bitiniae’…et alius de eodem vitio: ‘Ave rex et regina’” (Derivationes, vox “Triumphus”). 16 Non credo che “sanz’ altra sorte” significhi ‘senza altri sortilegi’, lettura che non giustifica convincentemente la presenza dell’aggettivo altra (cfr. con Pd. XXIX, 67-69: “Omai dintorno a questo consistorio / puoi contemplare assai, se le parole / mie son ricolte, sanz’ altro aiutorio”). Ritengo sia più pertinente al caso attribuire a sorte il significato di ‘intenzione, volontà’, con il quale figura almeno in questo passo dell’Intelligenza: “Brutto…/ si cambiò arme per prender vantaggio; / Cesare andò a fedir quasi ch’a morte, / ma li dii nol lasciar compier le sorte, / che Brutto l’avria

Page 40: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Tenzone nº 5 2004

118

morto in gran barnaggio” (vid. Grande Dizionario della Lingua Italiana, vox “sorte”). 17 Penso che al riguardo Dante si sia basato nel testo d’Isidoro, il quale nello stesso Libro XV, 1-2, tratta del problema delle origini delle città: “De auctoribus conditarum urbium plerumque dissensio invenitur, adeo ut nec urbis quidam Romae origo possit diligenter angosci. […] Si igitur tantae civitatis certa ratio non apparet, non mirum si in aliarum opinione dubitatur. Vnde nec historicos nec commentatores varia dicentes imperite condemnare debemus, quia antiquitas ipsa creavit errorem. Sane quasdam, de quibus aut sanctae Scripturae aut historiae gentium certam originem referunt, paucis admodum verbis retexere oportet”. 18 “È la Virtù una dea, compagna di Giove, che sta vicino al suo trono, donde raramente si allontana per scendere in terra e concedersi al mondo, sia che così le abbia ordinato il padre onnipotente, sia che lei stessa abbia scelto di penetrare solo anime che possano contenerla. Con quale entusiasmo in questa occasione balza giù dalle regioni celesti! Si scostano al suo passaggio le stelle splendenti e quegli astri che ella stessa vi ha aggiunto, fissandoli in cielo. Ecco, coi piedi tocca terra ma il volto resta vicino alle nubi. Decide però di cambiare aspetto e si tramuta in Manto, la veggente, rinunciando al suo pristino sembiante, perché i suoi responsi siano accolti senza diffidenza, grazie a questo trucco. Dal suo sguardo spariscono la rigidezza e la forza, resta un po’ della sua bellezza e un dignità meno imperativa; depone le armi e assume le insigne proprie dei vati; lascia che le vesti le scendano fino ai piedi e lega le nere chiome con una benda al posto del lauro che le è consueto. Tuttavia la determinazione che traspare dal suo volto e la maestosità del suo incedere rivelano la dea. Anche il figlio di Anfitrione si tramutò così: e ne rideva la consorte Lidia vedendolo, spoglio dell’orrida pelle del leone, forzare con le sue spalle gli abiti di porpora, destreggiarsi male con la conocchia e sfondare i timpani con la mano”. 19 Nel testo staziano si dice che Virtus sceglie, per penetrare in loro, delle persone degne di lei, il che implica che Manto lo era. Infatti, più avanti, viene chiamata “provvida Manto”. 20 “Ora l’indovina Manto, figlia di Tiresia, era andata annunciando per le vie, esaltata da un impulso divino: ‘Donne tebane, venite in massa a offrire incenso, con pie preghiere, a Latona e ai due figli di Latona, cingendovi le chiome di alloro. Così Latona ordina per bocca mia!’. La gente obbedisce. Tutte le tebane si adornano le tempie di frondi, e brusciano incenso sui santi altari recitando preghiere”. 21 Il fatto non scappa a G. Güntert: “Sennonché, a un lettore critico non può essere sfuggito che Virgilio conclude il suo discorso con un accenno agli effetti benevoli della luna, facendo sua proprio quella superstizione popolare che verrà poi condannata nel canto delle macchie lunari (Virgilio allude all’immagine mitica

Page 41: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Carlos LÓPEZ CORTEZO L'indovina Manto e íl limbo dantesco _____________________________________________________________________________________________________

119

dell’uomo nella luna, chiamando l’astro per metonimia ‘Caino e le spine’” (2000: 281). 22 Per i motivi che esporrò a continuazione, seguo qui la lettura del Moore e della ’21, e non quella del Petrocchi (“tra Garda e Val Camonica e Pennino”), accettata da A. M. Chiavacci Leonardi, sebbene in nota integrativa consideri “tuttavia fondata anche l’altra lettura, quella del Moore e della ’21: tra Garda e Val Camonica, Apennino, dove Apennino (che è fra l’altro la forma altrove sempre usata da Dante) è naturale soggetto, e forse più proprio rispetto al complemento fonti: la catena alpina di Appennino, nel tratto che si estende a nord tra Garda e la Val Camonica, è irrigata per mille sorgenti di quell’acqua che va poi a fermarsi nel lago Benaco…(così il Lombardi e il Foscolo)”. 23 “Si usa considerare come corso superiore del Mincio il fiume Sarca, immissario del Lago di Garda. Il Sarca è formato da parecchi rami, dei quali il più importante nasce dal Lago Scuro…” (Enciclopedia Italiana, Roma, Ist. Encicl. Italiana, 1951, vox “Mincio” (vid. nota 35). In questo senso anche Scartazzini-Vandelli: “Il fiume che, col nome di Sarca a Mincio super., scende dai monti del Tonale, entra a Riva nel lago di Garda, n’esce a Peschiera”. 24 Come, per esempio, in If. V, 61-62: “L’altra è colei che s’ancise amorosa, / e ruppe fede al cener di Sicheo”: si osservi che Dido è l’unico personaggio a non essere nominato da Virgilio, sebbene più avanti il suo nome servirà ad identificare la schiera dove stano Paolo e Francesca: “cotali uscir de la schiera ov’ è Dido” (85). 25 “flumina etiam transit quae actiones hujus saeculi, quae quotidie ad terminum defluunt, indesinenter appetit”; “per fluvium humani generis decursus designatur, quod velut a fontis sui generi nascendo surgit, sed ad ima defluens moriendo pertransit” (Alain de Lille). 26 Il motivo dell’uscita di Manto da Tebe non è la dittatura di Creonte, ma quella di Teseo, come M. Palma ha ben precisato nel suo saggio. Il problema è interessante, perché, com’è saputo, Teseo (il cui nome era interpretato theos eu, ‘il buon Dio’) era ritenuto figura Christi, e in questo caso l’asservimento della città potrebbe avere un ulteriore significato religioso (‘divenne serva del buon Dio’), e la partenza di Manto dalla città starebbe a significare un suo rifiuto di ‘servire’ Dio: “servus dicitur ille qui servat mandata divina” (Alain de Lille). Sul tema della ‘servitù’ religiosa, vid. S. Theolo. II-II, Q. 122, a. 4, ad. 3; Q. 183, 4c. 27 Si confronti con quel che dice Buti a proposito di Pd. III, 86 (“…tutte l’acque si muoveno dal mare per andare al mare…”), o anche l’Ottimo su If. VIII, 7 (“e chiamalo mare di tutto il senno, a similitudine che come ‘l mare è ricettamento, e

Page 42: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Tenzone nº 5 2004

120

capo, e principio di tutte l’acque, così la ragione è cosa, principio, e fondamento di tutti li senni”). 28 “L’elezione appartiene al libero arbitrio, e perciò si dice che abbiamo libero arbitrio, perché possiamo accettare qualcosa o rifiutarla, e in questo consiste l’elezione” (S. Theol. I, Q.83, a.3). 29 “Avverranno, dunque, senza dubbio tutte quelle cose che Dio prevede che avverranno, ma alcune di loro hanno origine da libera decisione, ed esse, quantunque si verifichino, non perdono con l’esistere la loro natura, per la quale, prima che avvenissero, sarebbero potute anche non avvenire”. 30 Si osservi che nell’Eneide, la Tebaide e le Metamorfosi, Dante non trovava nulla di scritto su quest’ultimo periodo della vita di Manto, e nemmeno del luogo dove andò a morire, il che gli permette di poter inventarli, analogamente a quel che fa con la morte di Ulisse. 31 Il fenomeno non è nuovo nella Commedia. Già prima, nel sedicesimo canto, si tocca questo tema, anche se questa volta riguardo ad un altro fiume e all’interno di una similitudine: “Come quel fiume c’ha proprio cammino / prima dal Monte Viso ‘nver’ levante, / da la sinistra costa d’Apennino, //che si chiama Acquacheta suso, avante / che si divalli giù nel basso letto, e a Forlì di quel nome è vacante, // rimbomba là sovra San Benedetto / de l’Alpe, per cadere ad una scesa / ove dovria per mille esser recetto” (vv. 94-102). Si osservi che il primo nome del fiume è motivato dalla serenità del suo corso alto (Acqua-cheta), mentre il suo violento cadere a San Benedetto de l’Alpe giustifica anche il nuovo nome (Montone), connotato dalla violenza, se si considera che si tratta di un animale specialmente bellicoso, tanto da prestare il suo nome ad una macchina da guerra: l’ariete. 32 Cfr. Pg. XI 100-102: “Non è il mondan romore altro ch’un fiato / di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi, / e muta nome perché muta lato”. 33 Oltre alle altre interpretazioni che più avanti terremo in considerazione, non va trascurato che nel toponimo si trova anche il nome “Baco”: B[en]ACO. Si tenga presente al riguardo che nel v. 59 Tebe è chiamata, appunto, “la città di Baco”, e che bákis in greco significa ‘indovino’. 34 Infatti, Governo “è molto più diffuso nella vulgata” (vid. Petrocchi 1994). Vid. anche l’Ottimo: “…da quella parte l’acqua del detto lago, e fa un fiume chiamato Mencio: e questo fiume così s’appella infino ad un luogo chiamato Governo nel terreno Mantovano; e in quello luogo entra in Po”. 35 Va considerato anche che si tratta del fiume in cui cadde morto Fetonte (Rime XCV, 3).

Page 43: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Carlos LÓPEZ CORTEZO L'indovina Manto e íl limbo dantesco _____________________________________________________________________________________________________

121

36 Anche se non trovo dati al riguardo, non credo irragionevole supporre che Dante sapesse che il più importante ramo del Sarca –considerato come corso superiore del Mincio- nasce dal Lago Scuro (vid. nota 21). In questo caso, l’oscurità ‘originale’ dell’acqua (peccato originale?) determinerebbe la sua fine, anche ‘oscura’ (mare Adriano). In questo senso, non è improbabile l’interpretazione del toponimo Sarca come ‘carne’ (gr. “sarx-kos”): infatti ìl peccato originale è trasmesso attraverso la carne (S. Theol. 1-2, Q. 83, a. 3, ad. 2). 37 “Bianchezza è uno colore pieno di luce corporale più che nullo altro; e così la contemplazione è più piena di luce spirituale che altra cosa che qua giù sia” (Cv. IV xxii 17). 38 L’opposizione dei due fiumi è ricorrente nell’opera dantesca (vid. Cv. IV xiii 13; Ep. VII 23). 39 Si osservi che Damiano è il greco “Damianós”, ‘colui che doma, domatore’, in questo caso ‘sé stesso’ (cfr. Pg. XIII, 103: “Spirto”, diss’ io, “che per salir ti dome”, cioè, ‘ti mortifichi’), come è puntualizzato dallo stesso santo in Pd. XXI 113-117: …“Quivi / al servigio di Dio mi fe’ sì fermo, // che pur con cibi di liquor d’ulivi / lievemente passava caldi e geli, / contento ne’ pensier contemplativi”. Il significato etimologico del nome si contrappone all’appellativo “Peccatore” riferito al periodo passato “ne la casa / di Nostra Donna in sul lito adriano” vv. 122-123. 40 Non avendo potuto consultare i saggi di G. Lucchesi e P. Palmieri, citati da A. M. Chiavacci Leonardi nella sua “nota integrativa” al passo, mi limito a riprodurre qui la parte di essa riguardante le loro proposte: “Segnaliamo infine una più recente diversa interpretazione dei vv. 122-3 che -pur prendendo il fu come prima persona- intende che Pier Damiano alluda qui a un suo soggiorno giovanile in una casa per chierici -che si trovava a S. Maria in Porto- prima di farsi monaco a Fonte Avellana. Là avrebbe condotto una vita mondana, appunto da ‘peccatore’ (...). La proposta è solidamente argomentata, anche se manca di sicura documentazione. L’ipotesi del ritiro tardo a vita di penitenza trova del resto riscontro nella stessa lettera del santo che chiede al papa l’esonero dall’episcopato: ‘et quia pro innumeris peccatis meis non sum dignus in ecclesiastica dignitate persistere, det mihi divina misericordia…eo ipso vitae quod restat in luctu et poenitentia permanere’ (Epistolae II 72, p. 327)”. 41 L’osservazione mi è stata offerta da G. Güntert in una seduta del Seminario di Dantologia de la UCM. 42 “Diciamo superstizione alla credenza superflua [...] Lucrezio dice che il nome ‘superstizione’ deriva dalle cose che stano sopra (super-stanti), vale a dire, delle cose celestiali”.

Page 44: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Tenzone nº 5 2004

122

43 “grembo” deriva dal latino “grêmium”, incrociato con “lembo”. 44 “Tu, mediante il sangue della tua alleanza, liberasti i cattivi del lago dove non c’era acqua”. 45 “Saranno ammucchiati in un mucchio i prigionieri nel lago, / saranno rinchiusi nel carcere, / e molti giorni dopo saranno visitati”. 46 Vid. Pg. XIV, 21 (“chè ‘l nome mio ancor molto non suona”). 47 Vid. If. XVI, 1-3; 91-105; XXXIV, 127-132. 48 Vid. Fiore di Virtù, I-112: “La falsa nominanza poco tempo dura” (Grande Dizionario della Lingua Italiana, vox “nominanza”). 49 “per molte condizioni di grandezze le cose si possono magnificare, cioè fare grandi, e nulla fa tanto grande quanto la grandezza de la propia bontade, la quale è madre e conservatrice de l’altre grandezze; onde nulla grandezza puote avere l’uomo maggiore che quella de la virtuosa operazione, che è sua propia bontade, per la quale le grandezze de le vere dignitadi, de li veri onori, de le vere potenze, de le vere ricchezze, de li veri amici, de la vera e chiara fama, e acquistate e conservate sono” (Cv. I x 7-8) 50 “Nomen dictum quasi notamen, quod nobis vocabolo suo res notas efficiat. Nisi enim nomen scieris, cognitio rerum perit” (Etymol. I, 7, 1) 51 “Lo Nimico sì me dice: ‘Frate, Frate, tu èi santo; / granne fama e nomenanza del tuo nom’ è ‘nn onne canto’” (Iacopone, 1-56-6); “Se andiamo all’onore, alla nominanza, che potresti dire: ‘Hanne il nome e la fama’, dicoti che questo è ancora nulla’” (Fra Giordano, 7-189) (apud: Grande Dizionario della Lingua Italiana, vox “nominanza”). 52 Nella Leggenda Aurea, il ‘suono’ di un nome è a volte la base di un’interpretazione: “Dominicus, suona Dominus custos, ‘custode del Signore’, oppure come a Domino custoditus, ‘custodito dal Signore’” (CXIII); ma anche in Isidoro: “Iovis fertur a iuvando dictus, et Iuppiter quasi iuvans pater, hoc est, omnibus praestans” (Etymol. VIII, 11, 34). 53 “Ippolito viene da hyper, che vuol dire ‘sopra’, e da litos, che vuol dire ‘pietra’, e sta a significare ‘fondato sulla pietra’, cioè su Cristo; oppure da in e polis, che vuol dire ‘città’; oppure anche ‘ben polito’. Fu infatti [Sant’Ippolito] ben fondato sulla roccia di Cristo nella sua costanza e saldezza; fu nella città del cielo con il suo desiderio e quasi con avidità; polito e levigato dai supplizi che subì” (Leggenda Aurea, CXVIII).

Page 45: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Carlos LÓPEZ CORTEZO L'indovina Manto e íl limbo dantesco _____________________________________________________________________________________________________

123

54 Non ritengo casuale che nello stesso canto figuri ago, artificiosamente fuso con lago: “Vedi le triste che lasciaron l’ago, / la spuola e ‘l fuso, e fecersi ‘ndivine; / facer malie con erbe e con imago” (121-123). È ovvio che lasciare l’ago, la spola e il fuso significhi l’abbandono dell’attività virtuosa propria della donna, per dedicarsi ad un’altra viziosa (la magia), ma senza dimenticare che sono anche simboli del destino. Mi sembra intravedere un’analogia con le due tappe della vita di Manto (vid. nota 30). 55 Si tenga presente a proposito del ‘suono’ alto del lago, che Dante aveva certamente letto nelle Georgiche: “An mare quod supra memorem, quodque adluit infra? / anne lacus tantos? te, Lari maxime, teque, / fluctibus et fremitu adsurgens Benace marino?” (II, 58-60). Ma anche Isidoro parla delle frequenti tempeste del Benaco: “qui lacus [il Benaco] magnitudine sui tempestates imitatur marinas” (Etymol. XIII, 19, 7) 56 Cfr. Latini, B., Rettor. 190-7: “la mia diceria tocca ad alquanti uomini illustri, cioè uomini di grande pregio e d’alta nominanza” (apud: Grande Dizionario della Lingua Italiana, vox “nominanza”). 57 Sul significato di ‘bassura’ del termine, vid. E. D., vox “lama”. 58 “Sunt autem et quaedam maria quae non miscentur Oceani fluctibus aut mari Magno, et dicuntur lacus et stagna. Lacus est receptaculum in quo aqua retinetur nec miscetur fluctibus, ut lacus Asphalti, ut lacus Benacus et Larius [...] Nam fontes labuntur in fluviis; flumina in freta discurrunt; lacus stat in loco nec profluit“ (Etymol. XIII, 19, 1-2). 59 “menzionare”, col significato di ‘nominare’ è d’uso in Dante. 60 Il fatto che il Mencio sia ‘figlio’ del Benaco (vid. Aen. X, 205: “pater Benacus”) lo connota positivamente. 61 “qui verranno pei prati ad abbeverarsi i giovenchi, qui il Mincio costeggia di tenere canne le rive”. 62 “per primo, o Mantova, ti riporterò le palme idumee e in un verde campo edificherò un tempio di marmo vicino alle acque, dove il grande Mincio scorre in lente anse, orlato sulle rive di tenere canne”.

Page 46: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Tenzone nº 5 2004

124

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ALANI DE INSULI: Liber in distinctionibus dictionum theologicalium, P.L. 210,687-1.112.

ALIGHIERI, D. (1991): Commedia. Inferno. Con il commento di A. M. Chiavacci Leonardi, Milano, Mondadori.

ALIGHIERI, D. (1994): Commedia. Purgatorio. Con il commento di A. M. Chiavacci Leonardi, Milano, Mondadori.

ALIGHIERI, D. (1997): Commedia. Paradiso. Con il commento di A. M. Chiavacci Leonardi, Milano, Mondadori.

ALIGHIERI, D. (1994): La Commedia, secondo l’antica vulgata, a c. di G. Petrocchi, Società Dantesca Italiana, Edizione Nazionale, Firenze, Le Lettere.

ALIGHIERI, D. (1921): La Divina Commedia, nuovamente commentata da F. Torraca, Milano-Roma-Napoli, Società Editrice Dante Alighieri di Albrighi, Segati & C.

ALIGHIERI, D. (1980): La Divina Commedia, a c. di C. Salinari, S. Romagnoli e A. Lanza, Roma, Editori Riuniti.

ALIGHIERI, D. (1988): La Divina Commedia, testo critico della Società Dantesca Italiana, riveduto col commento scartazziniano, rifatto da G. Randelli, Milano, Hoepli.

ALIGHIERI, D. (1988): La Divina Commedia, a c. di D. Mattalia, Milano, B.U.R.

ALIGHIERI, D. (1968): Il Convivio, a c. di G. Busnelli e G. Vandelli, Firenze, Le Monnier.

ARISTOTELE (1992): Della interpretazione, introduzione e commento di M. Zanatta, Milano, B.U.R.

Biblia Vulgata (1999), Madrid, BAC.

Page 47: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Carlos LÓPEZ CORTEZO L'indovina Manto e íl limbo dantesco _____________________________________________________________________________________________________

125

BOEZIO, A. M. S. (1977): La consolazione della filosofia, Milano, B.U.R.

CICERÓN (1999): Sobre la adivinación. Sobre el destino. Timeo, introducciones, traducción y notas de Á. Escobar, Madrid, Gredos.

DA VARAZZE, I. (1995): Leggenda Aurea, Torino, Einaudi.

DÍAZ-CORRALEJO, V. (2004): Los gestos en la literatura medieval, Madrid, Gredos.

Enciclopedia Dantesca (1984): Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana.

Enciclopedia Italiana (1949): Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana.

GRAVES, R. (1985): Los mitos griegos, Madrid, Alianza Editorial.

GÜNTERT, G. (2000): “Canto XX”, in Güntert, G. e Picone, M. (a. c. di) Lectura Dantis Turicensis. Inferno, Firenze, F. Cesati Editore, pp. 277-289.

HOLLANDER, R. (1980): “The Tragedy of Divination in ‘Inferno’ XX”, in Studies in Dante, Ravenna, Longo, pp. 131-218.

ISIDORO DE SEVILLA (2000): Etimologías, I, Madrid, BAC.

ISIDORO DE SEVILLA (1994): Etimologías, II, Madrid, BAC.

OVIDIO (1994): Metamorfosi, a. c. di P. Bernardini Marzolla, Torino, Einaudi.

PALMA DI CESNOLA, M. (2003): Questioni dantesche, Ravenna, Longo Ed.

STAZIO, P. P. (1998): Tebaide, traduzione e note di G. Faranda Villa, Milano, B. U. R.

TOMÁS DE AQUINO (1994): Suma de Teología, Madrid, BAC.

Page 48: L’INDOVINA MANTO E IL LIMBO DANTESCO - UCMwebs.ucm.es/info/italiano/acd/tenzone/t5/Lopez-Cortezo... · 2006-05-21 · Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio

Tenzone nº 5 2004

126

VIRGILIO (1992): Bucoliche. Georgiche, traduzione di L. Canali, Milano, B. U. R.

VIRGILIO (1992): Eneida, introducción de V. Cristóbal, traducción y notas de J. De Echave-Sustaeta, Madrid, Gredos.