L’incredibile storia di Diodoro da Malta · di Diodoro da Malta (Verrine, 2,4,38-41) L’intero...

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© Mondadori Education 1 Cicerone L’incredibile storia di Diodoro da Malta (Verrine, 2,4,38-41) L’intero libro IV della seconda Verrina è dedicato alla passione smodata dell’imputato per le opere d’arte, e Cicerone può esporre diversi episodi che denunciano l’insaziabile disonestà di Verre e le sue ruberie ai danni dei Siciliani. Il brano che segue riguarda la vicenda di Diodoro, un uomo originario di Malta e residente a Marsala, che Verre arriva a condannare a morte in contumacia per potersi impossessare della sua splendida argenteria. [38] Accipite, si vultis, iudices, rem eius modi ut amentiam singularem et furorem iam, non cupiditatem eius perspicere possitis. Melitensis Diodorus est, qui apud vos antea testimonium dixit. Is Lilybaei multos iam annos habitat, homo et domi nobilis et apud eos quo se contulit propter virtutem splendidus et gratiosus. De hoc Verri dicitur habere eum perbona toreumata, in his pocula quaedam, quae Thericlia nominantur, Mentoris manu summo artificio facta. Quod iste ubi audivit, sic cupiditate inflammatus est non solum inspiciendi verum etiam auferendi ut Diodorum ad 38 Accipite … reliquisse: rem … possitis: dopo aver menzionato una serie di misfatti perpetrati da Ver- re per dar sfogo alla sua passione per le opere d’arte, Cicerone passa a raccontare un episodio di parti- colare gravità (non si tratterà più della semplice cupiditas di Verre, bensì della sua amentia e del suo furor); formule come questa di ri- chiamo dell’attenzione dei giudici sul tema da trattare sono frequenti e permettono all’oratore di enfatiz- zare i punti più significativi del suo discorso. • homo … gratiosus: «per- sona sia molto apprezzata in patria (domi, cioè a Malta) sia insigne e benvoluta per le sue qualità là dove si è trasferita»; si può riconoscere un accordo a senso fra apud eos e l’avverbio quo. • dicitur: «viene rife- rito»; il verbo regge l’infinitiva che segue. • in his … facta: «fra queste certe coppe chiamate tericlèe, pro- dotte con arte raffinatissima dalla mano di Mentore»; Mentore era un celebre cesellatore greco del IV secolo a.C. i cui preziosi manufat- ti erano particolarmente ricercati presso i Romani del tempo; le teri- clèe erano invece originariamente particolari vasi in terracotta dipin- ta il cui nome derivava dal cerami- sta greco Téricle di Corinto (V seco- lo a.C.): le coppe possedute da Dio- doro erano dunque pregiate copie in metallo di modelli di terracotta. • non solum … posceret: i gerundi in- spiciendi e auferendi dipendono da

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L’incredibile storia di Diodoro da Malta (Verrine, 2,4,38-41)

L’intero libro IV della seconda Verrina è dedicato alla passione smodata dell’imputato per le opere d’arte, e Cicerone può esporre diversi episodi che denunciano l’insaziabile disonestà di Verre e le sue ruberie ai danni dei Siciliani. Il brano che segue riguarda la vicenda di Diodoro, un uomo originario di Malta e residente a Marsala, che Verre arriva a condannare a morte in contumacia per potersi impossessare della sua splendida argenteria.

[38] Accipite, si vultis, iudices, rem eius modi ut amentiam singularem et furorem iam, non cupiditatem eius perspicere possitis. Melitensis Diodorus est, qui apud vos antea testimonium dixit. Is Lilybaei multos iam annos habitat, homo et domi nobilis et apud eos quo se contulit propter virtutem splendidus et gratiosus. De hoc Verri dicitur habere eum perbona toreumata, in his pocula quaedam, quae Thericlia nominantur, Mentoris manu summo artificio facta. Quod iste ubi audivit, sic cupiditate inflammatus est non solum inspiciendi verum etiam auferendi ut Diodorum ad

38 Accipite … reliquisse: rem … possitis: dopo aver menzionato una serie di misfatti perpetrati da Ver-re per dar sfogo alla sua passione per le opere d’arte, Cicerone passa a raccontare un episodio di parti-colare gravità (non si tratterà più della semplice cupiditas di Verre, bensì della sua amentia e del suo furor); formule come questa di ri-chiamo dell’attenzione dei giudici sul tema da trattare sono frequenti e permettono all’oratore di enfatiz-

zare i punti più significativi del suo discorso. • homo … gratiosus: «per-sona sia molto apprezzata in patria (domi, cioè a Malta) sia insigne e benvoluta per le sue qualità là dove si è trasferita»; si può riconoscere un accordo a senso fra apud eos e l’avverbio quo. • dicitur: «viene rife-rito»; il verbo regge l’infinitiva che segue. • in his … facta: «fra queste certe coppe chiamate tericlèe, pro-dotte con arte raffinatissima dalla mano di Mentore»; Mentore era

un celebre cesellatore greco del IV secolo a.C. i cui preziosi manufat-ti erano particolarmente ricercati presso i Romani del tempo; le teri-clèe erano invece originariamente particolari vasi in terracotta dipin-ta il cui nome derivava dal cerami-sta greco Téricle di Corinto (V seco-lo a.C.): le coppe possedute da Dio-doro erano dunque pregiate copie in metallo di modelli di terracotta. • non solum … posceret: i gerundi in-spiciendi e auferendi dipendono da

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L’incredibile storia di Diodoro da Malta Cicerone

se vocaret ac posceret. Ille, qui illa non invitus haberet, respondit Lilybaei se non habere, Melitae apud quendam propinquum suum reliquisse. [39] Tum iste continuo mittit homines certos Melitam, scribit ad quosdam Melitensis ut ea vasa perquirant, rogat Diodorum ut ad illum propinquum suum det litteras; nihil ei longius videbatur quam dum illud videret argentum. Diodorus, homo frugi ac diligens, qui sua servare vellet, ad propinquum suum scribit ut iis qui a Verre venissent responderet illud argentum se paucis illis diebus misisse Lilybaeum. Ipse interea recedit; abesse a domo paulisper maluit quam praesens illud optime factum argentum amittere. Quod ubi iste audivit, usque eo commotus est ut sine ulla dubitatione insanire omnibus ac furere videretur. Quia non potuerat eripere argentum ipse Diodoro, erepta sibi vasa optime facta dicebat; minitari absenti Diodoro, vociferari palam, lacrimas interdum non tenere. Eriphylam accepimus in fabulis ea cupiditate ut, cum vidisset monile, ut opinor, ex auro et gemmis, pulchritudine eius incensa salutem viri proderet. Similis istius cupiditas, hoc etiam acrior atque insanior, quod illa cupiebat id quod viderat, huius libidines non solum oculis sed etiam auribus excitabantur. [40] Conquiri Diodorum tota provincia iubet: ille ex Sicilia iam castra commoverat et vasa collegerat. Homo, ut aliquo modo in provinciam illum revocaret, hanc excogitat rationem, si haec ratio potius quam amentia nominanda est. Apponit de suis canibus quendam qui dicat se Diodorum Melitensem rei capitalis reum velle facere. Primo mirum omnibus videri Diodorum reum, hominem quietissimum, ab omni non modo facinoris verum etiam minimi errati suspicione remotissimum; deinde esse perspicuum fieri omnia illa propter argentum. Iste non dubitat iubere nomen deferri, et tum primum ut opinor istum absentis nomen recepisse. [41] Res clara Sicilia tota, propter caelati argenti cupiditatem reos fieri rerum capitalium, neque solum reos fieri, sed etiam absentis.

cupiditate e sottintendono l’accu-sativo pocula. • qui … haberet: «che teneva ad esse». 39 Tum iste … excitabantur: iste: Verre. • homines certos: «persone fidate». • nihil … argentum: «non vedeva l’ora di avere fra le mani quell’argenteria». • illud … Lilyba-eum: infinitiva oggettiva dipen-dente da responderet. • abesse … amittere: «preferì rimanere lonta-no da casa per un po’ piuttosto che, rimanendo lì, perdere quell’argen-teria cesellata in modo straordina-rio (optime factum)». • minitari … vociferari … tenere: infiniti storici. • Eriphylam: secondo la mitologia greca, Anfiarào respinse l’invito di Adrasto a partecipare a una spedi-zione militare (quella dei Sette con-tro Tebe) in cui sapeva che sarebbe morto; fu però convinto a partire dalla moglie Erifíle, corrotta con il dono di una splendida collana da Polinice, un alleato di Adrasto. • si-

milis … viderat: «simile (fu) la cupi-digia di costui [Verre], e addirittura ancor più intensa e folle, perché quella desiderava ciò che aveva visto». • huius … excitabantur: la cupidigia di Verre, a differenza di quella di Erifíle, era alimentata dal-le voci e non dalla visione diretta.40 Conquiri … recepisse: castra … collegerat: «aveva levato le ten-de e radunato armi e bagagli»; le due espressioni sono proprie del linguaggio militare e indicano il trasferimento dell’accampamento in altro luogo, anche se la seconda esprime un doppio senso, perché Diodoro era partito portandosi dietro effettivamente i suoi prezio-si vasa. • Homo: «il nostro uomo», cioè Verre. • apponit … dicat: «inca-rica uno dei suoi scagnozzi di dire»; secondo la legislazione romana, era necessaria l’accusa di terzi per met-tere sotto processo un cittadino. • videri … esse perspicuum: infiniti

storici. • Iste … recepisse: «Verre non esita a ordinare che il nome sia denunciato e (fu) la prima vol-ta, credo, che costui abbia accolto un’accusa contro un assente (lett. il nome di un assente)»; a seguito di un’accusa, il magistrato verificava gli elementi a carico dell’accusato e, con la nominis receptio (l’acco-glimento delle istanze accusatorie), dava avvio al procedimento; defero in senso giuridico indica la denun-cia di qualcuno presso gli organi competenti per il giudizio (signifi-cato rimasto nell’italiano «deferi-re»). 41 Res … absentis: Res … tota: è sottinteso fuit. • reos … absentis (= absentes): «si diventava imputati con l’accusa di un delitto capitale, e nemmeno si diventava imputati soltanto, ma addirittura lo si era in contumacia».

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L’incredibile storia di Diodoro da Malta Cicerone

Guida alla lettura

StrutturaVerre e il rovesciamento della realtà Cice-rone, senza rinunciare a sottolineare la tran-sizione a un argomento della massima im-portanza e tale da rendere particolarmente chiara la colpevole sfrenatezza di Verre (par. 38, Accipite … possitis), racconta la vicenda di Diodoro da Malta. Si tratta di un uomo di origine maltese ma residente a Marsala, che diventa colpevole agli occhi di Verre, e quindi della stessa giustizia, per il solo fatto di pos-sedere della splendida argenteria cesellata. Verre era infatti un grande appassionato di opere d’arte e, alla notizia dell’esistenza in Si-cilia di un simile capolavoro, non esita a farne richiesta a Diodoro, che però, con una scusa, dice di non esserne più in possesso. Il rac-conto ciceroniano prosegue (par. 39) menzio-nando – con vari commenti ironici che sotto-lineano quanto Verre fosse travolto dalla sua ossessiva mania (per es. nihil … argentum) – il vano tentativo del governatore di recupera-re l’argenteria tanto desiderata: Verre invia infatti i suoi uomini al parente maltese pres-so il quale Diodoro diceva di aver lasciato le sue coppe. Il malcapitato Diodoro, ripetuta-mente dipinto da Cicerone come un cittadino esemplare e noto per la sua mitezza, ormai disperato, decide di partire con la sua argen-teria per evitare le folli pressioni di Verre. La disperazione di Diodoro, paradossalmente, è speculare a quella di Verre, che si sente rag-girato e va dicendo di essere vittima del furto della sua amata argenteria (optime facta, vo-lutamente in ripresa di summo artificio facta, par. 38): è un altro dei tratti efficaci con cui Cicerone compone il ridicolo ritratto di Verre, che nella sua nefanda sfrenatezza rovescia la normale visione della realtà. In questa pro-spettiva si colloca anche il cenno alla storia di Erifìle, personaggio squalificato del mito,

rispetto al quale Verre risulta addirittura peg-giore.Un’imputazione senza fondamento Ver-re, furioso per quella che giudica addirittura una truffa ai suoi danni, ordina che Diodoro venga ricercato per l’intera Sicilia (par. 40) e, una volta accertata la sua partenza dall’isola, escogita uno stratagemma per farlo tornare: il governatore incarica uno dei suoi uomini (Cicerone, quando può, ricorda la presenza accanto a Verre di persone meschine, la cui turpe figura è qui sottolineata dall’uso del termine altamente dispregiativo canis) di ac-cusare Diodoro di un delitto capitale e per di più in sua assenza. L’imputazione appare su-bito incredibile ai Siciliani, considerate le no-torie virtù morali di Diodoro, ma ben presto le cose saranno chiare: è solo una montatu-ra di Verre che, per ottenere l’oggetto della sua ossessione, l’argenteria, non ha esitato a infamare con un’accusa così grave un uomo perbene. La vicenda mostra quindi alla popo-lazione come ormai non ci sia più alcun limite alla funesta cupidigia di Verre, in quanto si è addirittura arrivati al punto di poter essere accusati, per dell’argenteria, di delitto capita-le in contumacia (par. 41).

LInGua E StILEL’ironia della rappresentazione Il brano mostra spesso accenti ironici, che si manife-stano in vari modi e assumono talora anche la forma di gustosi giochi di parole. Si tratta di una scelta stilistica a cui Cicerone ricorre spesso per la sua capacità di movimentare con indubbia efficacia retorica il discorso. Il ritratto di Verre è sottoposto a un tratta-mento retorico molto calcolato che solita-mente si appoggia, da un lato, sulla semplice descrizione di azioni irragionevoli e, dall’al-tro, sull’aggiunta di commenti finalizzati ad

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L’incredibile storia di Diodoro da Malta Cicerone

accrescere l’ironia della rappresentazione. Il paragrafo 39 offre due esempi di questo tipo di procedimento, che in entrambi i casi si avvale della successione paratattica di tre proposizioni che descrivono la frenesia di Verre (mittit … scribit … rogat; minitari … voci-ferari … tenere). Viene così descritta l’assurda smania del personaggio che, spinto dalla sua ossessione, appare agire insensatamente. Immediatamente dopo queste sequenze Ci-cerone colloca un suo commento, che carica il racconto di una ulteriore venatura ironica: appena una battuta nel primo caso (nihil … argentum), un’ampia considerazione nel se-condo (Eriphylam … excitabantur). Giochi di parole Concorrono ad accrescere l’ironia della rappresentazione alcuni giochi di parole, che costituiscono uno strumento frequente nei discorsi di Cicerone. nel brano si segnalano in particolare due passaggi – peraltro ravvicinati e in uno stesso contesto – in cui l’oratore si affida al gioco linguistico per mettere in ridicolo Verre e la sua sfrenatezza. nel primo la partenza di Diodoro è descritta

con una terminologia militare (castra com-movere, «levare le tende», e vasa colligere, in italiano traducibile con «prendere armi e bagagli»). Il ricorso a questo linguaggio tec-nico è funzionale proprio al gioco di parole che Cicerone vuole utilizzare e che si regge sul doppio senso di vasa («equipaggiamen-to» in senso militare e «vasellame», «coppe» nel linguaggio comune): Diodoro raccoglie le sue preziose coppe per fuggire lontano dalla Sicilia e nel farlo è assimilato a un soldato che si prepara per trasferire l’accampamento. nel secondo caso (hanc excogitat rationem, si haec ratio potius quam amentia nominanda est) Cicerone usa l’ampio spettro semantico del termine ratio per rovesciare il valore dell’azio-ne di Verre: questi aveva avuto un’idea per richiamare Diodoro in Sicilia: qui ratio ha il valore di «trovata», «stratagemma», mentre nel commento che segue la descrizione ratio serve, nel suo valore di «ragione», «facoltà razionale», per esprimere l’esatto contrario di amentia, cioè, letteralmente, «mancanza di mens», «assenza di facoltà razionali».