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1 L’AFFIDABILITÀ DELLE IMPRESE NELLA PROVINCIA DI VIBO VALENTIA

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L’AFFIDABILITÀ DELLE IMPRESE NELLA PROVINCIA DI VIBO VALENTIA

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L’AFFIDABILITÀ DELLE IMPRESE NELLA PROVINCIA DI VIBO VALENTIA

L’indagine, promossa dalla Camera di Commercio di Vibo Valentia,è stata realizzata in collaborazione con il Consorzio Camerale per ilCredito e la Finanza di Milano.

Gruppo di lavoro

Per la Camera di Commercio di Vibo ValentiaDr. Antonio Gallo Cantafi o - Segretario GeneraleDr.ssa Raffaella Gigliotti - Responsabile Uffi cio Studi e Statistica

Per il Consorzio Camerale per il Credito e la Finanza di MilanoDr. Massimiliano Gilardi

INDICE

Presentazione . . . . . 5 Introduzione . . . . . 7 PARTE I: L’Osservatorio delle imprese minori . 9 Premessa . . . . . 11 1 La composizione del campione . . . 12 2 Le dimensioni delle imprese . . . 14 3 Il mercato di riferimento . . . . 16 4 La gestione del circolante . . . . 18 5 I costi e le imposte . . . . 19 6 Gli utili e i reinvestimenti . . . . 21 7 Le fonti di fi nanziamento . . . . 24 PARTE II: La rischiosità delle imprese minori . 27 Premessa . . . . . 29 8 La rischiosità del campione . . . 31 8.1 La forma giuridica . . . . 33 8.2 Il macro-settore . . . . 34 8.3 La classe di anzianità . . . . 35 8.4 Le dimensioni . . . . 36 8.5 Il mercato di riferimento . . . 37 PARTE III: Imprenditorialità femminile e rischio di credito 39 Premessa . . . . . 40 9 Le caratteristiche del sotto-campione . . 4110 La rischiosità del sotto-campione . . . 45 Conclusioni . . . . . 49 Nota metodologica . . . . 51 Vademecum . . . . . 63

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Presentazione

L’ entrata in vigore del nuovo accordo di Basilea sui requisiti patrimoniali delle banche (Basilea 2)

è destinato ad avere conseguenze importanti sull’ac-cesso al credito da parte delle imprese, ma molte delle piccole e medie imprese dimostrano di non essere an-cora adeguatamente preparate ad affrontare gli effetti della nuova regolamentazione. Questa pubblicazione si inserisce nelle iniziative di stu-dio e ricerca, informazione e divulgazione su Basilea 2 che la Camera di Commercio di Vibo Valentia, in collaborazione con il Consorzio Camerale per il Cre-dito e la Finanza di Milano, ha avviato in concomitan-za con la progressiva adozione delle nuove regole da parte delle banche. L’analisi, che è stata condotta su un campione di 300 imprese, tra ditte individuali e società di persone, è fi nalizzata alla valutazione del livello di rischiosità di questa tipologia di imprese ed alla realizzazione di un benchmark di riferimento per le micro-aziende, alla luce del processo di valutazione che il sistema creditizio sarà chiamato a svolgere.L’analisi si propone come utile documentazione per approfondire la conoscenza di questa realtà imprenditoriale e come spunto di rifl essione per lo sviluppo e la defi nizione di politi-che di sostegno e supporto da parte delle istituzioni di prossimità. I risultati emersi offrono interessanti indicazioni, sia riguardo ad alcune caratteristiche strutturali - che, come si ve-drà, contraddicono alcuni “luoghi comuni” riguardanti tale tipologia di imprese - sia sulla percezione da parte di questi imprenditori relativamente ad alcune variabili “esogene”, quali per esempio, il carico fi scale, il rapporto con la banca, l’ambito territoriale o il fattu-rato, comunemente considerate determinanti nell’infl uenzarne le strategie aziendali.L’obiettivo è quello di promuovere un dialogo costante tra il tessuto imprenditoriale ed il sistema bancario, che permetta di analizzare, monitorare e valutare gli effetti che la nuova regolamentazione sta già avendo ed avrà in futuro sull’accesso al credito da parte delle imprese, individuando e suggerendo al contempo le proposte più idonee per aiutare le imprese nel nuovo contesto che si va delineando.

IL PRESIDENTEMichele LICO

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Introduzione

Il tema dell’accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese riveste un’im-portanza sempre maggiore ai fi ni della comprensione e del sostegno allo sviluppo dei sistemi economici e dei tessuti imprenditoriali locali. La predisposizione di po-litiche e di strategie per le imprese non può infatti prescindere dalla conoscenza e dalla comprensione degli effetti – sia reali, sia potenziali – dell’ampio processo di riforma normativa e regolamentare che investe il sistema del credito italiano e internazionale. Basilea 2 e riforma dei principi contabili internazionali, da un lato, legge sul rispar-mio e legge sui confi di – ma anche norme di attuazione della direttiva che recepisce Basilea 2 – dall’altro, impongono un ripensamento complessivo delle procedure e delle modalità di accesso ai capitali per lo sviluppo delle imprese, sia dal lato dei rapporti banca-impresa e della valutazione delle garanzie concesse dai confi di, sia dal lato della valorizzazione di canali alternativi di fi nanziamento, quali il venture capital o l’accesso a nuovi mercati quali il MAC, il Mercato Alternativo dei Capitali per le PMI che dovrebbe partire nel settembre 2007.E’ un ripensamento che non può non porre al centro dell’attenzione la questione della cultura fi nanziaria delle imprese e del loro approccio al mercato dei capitali. Un approccio fatto, spesso, di scarsa trasparenza, di carenza di informazioni, di diffi coltà di valutazione della redditività delle imprese da parte dei fi nanziatori. For-te radicamento sul territorio del sistema bancario e, soprattutto, personalizzazione dei rapporti tra responsabili di fi liale e imprenditori hanno rappresentato spesso gli strumenti per ovviare a questo gap informativo e per favorire comunque lo sviluppo di un tessuto imprenditoriale polverizzato e poco strutturato. La riorganizzazione del sistema bancario, che si traduce spesso nella centraliz-zazione delle decisioni e delle valutazioni, ha determinato talvolta la perdita di questo patrimonio di conoscenza diretta della realtà economica locale. Allo stesso tempo, le regole sulla patrimonializzazione delle banche imposte da Basilea 2 rafforzano la centralità dei “fondamentali” economici delle imprese nel processo di valutazione del merito creditizio e impongono, al contempo, una ridefi nizione delle modalità di acquisizione dei dati qualitativi che in passato permettevano di ovviare alla carenza di informazioni “oggettive” sulle performances aziendali. Per contro, la ridefi nizione del ruolo delle garanzie operata da Basilea 2 e la tanto attesa legge quadro sui confi di impongono una sostanziale ristrutturazione di uno degli strumenti potenzialmente più effi caci per agevolare l’accesso al credito delle PMI e delle imprese artigiane. Le PMI e le imprese artigiane, che costituiscono gran parte del tessuto produttivo nazionale, sembrano, invece, non aver ancora del tutto colto la portata di questi cambiamenti che pure, nei prossimi mesi, cominceranno a far sentire i propri effetti sul mercato. Alcuni, seppur timidi, segnali di una “cultura” fi nanziaria più aperta e moderna cominciano comunque a essere colti, soprattutto tra i neo-imprenditori, più attenti agli aspetti fi nanziari della gestione aziendale. Una maggior attenzione alla piani-fi cazione e al business planning, una più oculata scelta tra indebitamento a breve e a medio-lungo termine, un più propositivo rapporto con i fi nanziatori sono elementi di cui tener conto e senz’altro da incoraggiare. Restano, però, ancora aperti i pro-

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blemi della scarsa trasparenza di gran parte delle imprese, della commistione tra patrimonio familiare e patrimonio aziendale, della diffi coltà di reperire informazio-ni precise e attendibili sullo stato di salute delle aziende. Proprio in considerazione delle diffi coltà – e dei costi – che si dovrebbero affrontare per realizzare istruttorie idonee a valutare con buona approssimazione il merito del credito delle imprese meno strutturate, Basilea 2 ha concesso alle banche la possi-bilità di trattare queste imprese in pool, ovvero di giudicarne complessivamente la rischiosità sulla base di comuni caratteristiche settoriali, geografi che, di mercato.Assume allora una notevole rilevanza per le banche la possibilità di disporre di studi, di serie storiche, di simulazioni attendibili che possano contribuire a ridurre il gap informativo su questa tipologie di aziende e a limitare, al contempo, i costi necessari per reperire sul mercato simili informazioni.Il programma di simulazioni sulla rischiosità delle imprese minori e delle società di capitali avviato negli anni scorsi dal sistema camerale si muove proprio in questa direzione. Le diverse iniziative, che Unioncamere Nazionale e le Camere di Com-mercio hanno realizzato, si propongono come contributo per una prima valutazio-ne della robustezza fi nanziaria delle PMI italiane, che permetta di evidenziarne potenzialità e criticità.In tale contesto, la simulazione sulla rischiosità delle imprese minori della provincia rappresenta un passaggio utile per comprendere lo “stato di salute” del tessuto produttivo locale. I dati raccolti rappresentano, infatti, una importante base infor-mativa, non solo per il sistema camerale, ma anche e soprattutto per gli operatori economici e fi nanziari attivi sul territorio per comprendere su quali basi e con quali prospettive sia possibile intervenire per garantirne e supportarne lo sviluppo socio-economico.Naturalmente, i risultati emersi dalla simulazione necessiteranno di ulteriori appro-fondimenti e affi namenti che permettano di cogliere le diverse articolazioni e pecu-liarità del sistema produttivo locale. Allo stesso tempo, però, questa simulazione ambisce a evidenziare, stimolare, proporre nuovi temi di indagine e a favorire la condivisione e la discussione di politiche e strategie attivabili per sostenere lo svilup-po del territorio, che, sempre più, è fatto di conoscenza, condivisione, capacità di operare in rete. L’augurio è, quindi, di poter contribuire, anche con questo lavoro, ad ampliare e approfondire le occasioni di incontro e confronto tra tutti i soggetti che operano per la crescita del sistema socio-economico locale. I risultati di questa ricerca si confi gurano, pertanto, come uno spunto per una rifl essione puntuale ed approfondita tra la Camera di Commercio, il sistema bancario e le altre istituzioni di prossimità operanti sul territorio.

PARTE I

L’OSSERVATORIO

DELLE IMPRESE MINORI

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Premessa

L’indagine è stata condotta su un campione di 300 imprese, suddivise in 193 ditte individuali e 107 società di persone (SNC e SAS) operanti sul territorio della pro-vincia di Vibo Valentia.

A ciascuna delle 300 imprese coinvolte nell’indagine è stato somministrato un que-stionario, costituito da 3 distinte sezioni: la gestione dell’attività d’impresa, i rappor-ti con la banca, il volume degli affari e dei costi. Si tratta delle principali variabili considerate dagli istituti di credito per la valutazione del merito del credito, secondo quanto stabilito anche da Basilea 2. La raccolta dei dati è stata realizzata attraverso somministrazione diretta (face to face) o tramite raccolta telefonica. Gli intervistato-ri, nel corso dell’intervista, hanno osservato i principi di diligenza e correttezza nei confronti degli intervistati ai quali si sono rivolti descrivendo brevemente i contenuti dell’intervista. Nel corso dell’intervista sono state osservate le vigenti disposizioni in materia di trattamento dei dati personali.

I dati raccolti sono stati successivamente elaborati e riponderati per garantire la massima rappresentatività del tessuto produttivo locale, sia dal punto di vista della forma giuridica (ditta individuale o società di persone), sia da quello del settore di riferimento.

Il rapporto consta di tre parti: una prima parte, dedicata a una breve presentazio-ne del campione e delle sue principali caratteristiche strutturali, organizzative e di mercato. Nella seconda parte sono presentati i risultati della simulazione di rischio-sità del campione, realizzata utilizzando un apposito modello di ranking testato e validato nel corso del 2005 da Unioncamere Nazionale. Nella terza parte, sarà dedicato un apposito focus all’imprenditoria femminile, attraverso l’analisi dei dati relativi a un sotto-campione di 42 imprese a conduzione femminile e la loro compa-razione con le performances del campione complessivo.

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1. La composizione del campione per settore di attività

Commercio

28,0%

Costruzioni

14,3%

Servizi

39,3%

Manifatturiero

18,3%

Considerando la forma giuridica e il macro-settore di riferimento, il campione è così suddiviso1:

Ripartizione del campione per macro-settore e forma giuridica

Macro-settoriDitta individuale Società di persone TotaleNum. % Num. % Num. %

Commercio 55 28,5% 29 27,1% 84 28,0%Costruzioni 26 13,5% 17 15,9% 43 14,3%Manifatturiero 41 21,2% 14 13,1% 55 18,3%Servizi 71 36,8% 47 43,9% 118 39,3%Campione 193 100,0% 107 100,0% 300 100,0%

1Per gli approfondimenti successivi, i dati sono stati riponderati per garantire una soddisfacente rappresentatività del campione rispetto all’universo di riferimento.

La maggioranza delle imprese (50,5%) è stata costituita tra il 1981 e il 2000, an-che se va sottolineata una notevole presenza di aziende (30,8%) nate negli ultimi 6 anni. Il fenomeno riguarda, in particolare, il commercio (42,6%) e i servizi (29,3%): sono due settori caratterizzati tradizionalmente da un elevato turn-over ma, allo stesso tempo, anche da una notevole presenza di neo-imprenditori. Auto-occupazio-ne, spin off universitari, attenzione sempre maggiore a prodotti e servizi di nicchia o personalizzati da un lato, elevata elasticità rispetto alle dinamiche del mercato e notevole competizione sui mercati, dall’altro, sono i fattori spesso alla base del dinamismo di questi due settori.

Ripartizione del campione per anno di costituzione

13,1%

17,7%

26,7%23,8%

11,0%

3,6%4,0%

P rima del

1960

T ra il 1960 e

il 1970

T ra il 1971 e

il 1980

T ra il 1981 e

il 1990

T ra il 1991 e

il 2000

T ra il 2001 e

il 2003

T ra il 2004 e

il 2006

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2. Le dimensioni delle imprese

L’impresa media del campione fattura circa 326.000 euro annui2, con un range di oscillazione compreso tra i 150.000 euro delle imprese manifatturiere e i 380.000 delle costruzioni. Nella valutazione di questi dati bisogna tener conto ovviamente del fatto che esiste una notevole differenziazione tra i volumi d’affari dichiarati dalle imprese anche all’interno dello stesso settore.

Una quota consistente (40,8%) delle imprese della provincia si colloca al di sotto dei 50.000 euro di fatturato e un’ampia maggioranza (64,5%) non supera co-munque la soglia dei 150.000. Va peraltro sottolineato che il 4,6% delle imprese supera la soglia del milione di euro, mentre quasi nessuna impresa del campione supera i 5 milioni di fatturato che, secondo quanto stabilisce Basilea 2, rappresenta uno dei fattori (insieme all’esposizione complessiva nei confronti delle banche) utili per l’identifi cazione delle imprese retail3.

Ripartizione del campione per classe di fatturato

40,8%

23,7%

17,1%13,8%

4,6%

< 50mila 50-150mila 150-500mila 500mila-1milione olt re 1 milione

Oltre il 51% delle imprese afferma di non avere collaboratori e solo il 6,7% ne occupa oltre 5. È un fenomeno che, ovviamente, risente in maniera preponderante del dato relativo alle ditte individuali, che nel 54,4% dei casi non dispongono di alcun collaboratore, mentre tra le società di persone, il 59% delle aziende occupa almeno 2 addetti.

2 Il dato rappresenta una media triennale del fatturato. Poiché una parte delle imprese non ha risposto o ha risposto in modo incompleto alla domanda, il dato potrebbe non rappresentare fedelmente la realtà del campione. 3 Secondo quanto stabilito da Basilea 2, le imprese retail godono di un “trattamento” più favorevole ai fi ni del calcolo del capitale di riserva che le banche devono accantonare per far fronte al rischio e, di conseguenza, possono disporre, in linea di principio, di migliori condizioni di accesso al credito.

Ripartizione del campione per numero di collaboratori

È un dato che va letto, ovviamente, tenendo conto di alcune considerazioni di fondo, quali ad esempio la signifi cativa presenza di imprese giovani, che hanno ancora notevoli potenzialità di crescita o il fatto che tra le ditte individuali ma anche tra le stesse società di persone, il lavoro svolto, in maniera più o meno continuativa dai membri della famiglia, spesso non viene considerato nei dati relativi all’occu-pazione.

N e ssun o

5 1 ,4 %

1

1 5 , 2 %

D a 2 a 5

2 5 , 9 %

O lt r e 1 0

3 , 6 %D a 6 a 1 0

3 ,1 %

5 4 , 4 %

1 5 , 8 %

2 3 ,7 %

2 , 5 % 2 , 8 %

2 9 ,5 %

1 0 ,5 %

4 2 , 0 %

7 ,5 %9 ,5 %

N e ssun o 1 D a 2 a 5 D a 6 a 1 0 O l t r e 1 0

D i t t a in div idua le So c ie t à d i p e r so n e

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3. Il mercato di riferimento

Le risposte relative al principale mercato di sbocco delle aziende permettono di individuare, per approssimazione, 5 livelli di operatività:- un primo livello, cittadino, su cui è attivo il 34,6% delle aziende; - un secondo livello, provinciale, che comprende il 56,1% delle imprese;- un terzo livello, regionale, dove opera il 4,8% del campione;- un quarto livello, che comprende il mercato nazionale, su cui è attivo il 3,2% delle imprese; - un quinto livello, dove operano le aziende internazionalizzate (1,2% del totale).

Ripartizione del campione per principale mercato di riferimento

Città34,6%

Provincia56,1%

Regione4,8%

Estero1,2%

Italia3,2%

Il settore di riferimento gioca ovviamente un ruolo decisivo nel circoscrivere l’area territoriale in cui operano le imprese: assumendo i confi ni cittadini come ideale discriminante tra le aziende, si possono distinguere tre gruppi: un primo gruppo, costituito dalle imprese del commercio che nel 47,3% dei casi opera entro l’area cittadina e che comunque nel 93,8% dei casi non supera i confi ni provinciali; un secondo gruppo, costituito dalle aziende di costruzioni che, in oltre il 73% dei casi, operano a livello provinciale. Infi ne – terzo gruppo – le imprese manifatturiere e dei servizi che, se in larga maggioranza operano entro la provincia (rispettivamente 65,9% e 57,3%), presentano comunque una presenza signifi cativa anche sul mer-cato nazionale (6,5% e 5%) e una seppur marginale apertura internazionale.

Oltre il 72% delle imprese opera con un numero elevato di clienti, indice di un mer-cato segmentato e diversifi cato che solo nel 3,6% dei casi è costituito da meno di 10 acquirenti4. Sono soprattutto le imprese del commercio e dei servizi a disporre

4 Il dato indicato rappresenta una media del numero di clienti con cui le imprese operano nel corso dell’anno.

del portafoglio-clienti più numeroso (oltre 50 clienti rispettivamente nell’89,1% e nel 63,1% dei casi): un dato peraltro comprensibile, considerando che la stragrande maggioranza di queste aziende opera al dettaglio5. Va comunque segnalato che anche nel settore manifatturiero (54,3%) e nelle costruzioni (49,9%) la percentuale di imprese con oltre 50 clienti è elevata.

Ripartizione del campione per dimensione del portafoglio-clienti

Oltre 50 clienti72,3%

Non indica4,7%

Da 1 a 10 3,6%

Da 11 a 20 7,0%

Da 21 a 30 2,3%

Da 31 a 40 5,4%

Da 41 a 50 4,6%

5 Il 92,5% delle imprese del commercio opera al dettaglio, così come il 75,8% delle imprese di servizi.

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4. La gestione del circolante

Uno degli elementi di cui tener conto nella valutazione dell’equilibrio fi nanziario delle imprese è costituito dal grado di scostamento tra i tempi di incasso dai clienti e i tempi di pagamento ai fornitori. È evidente che, soprattutto in realtà di piccole o piccolissime dimensioni, ritardi notevoli nell’incasso rispetto ai pagamenti possono porre le basi per l’insorgere di situazioni di crisi di liquidità, mettendo a rischio la capacità dell’impresa di garantire una redditività suffi ciente.

I risultati emersi dal campione utilizzato per questa indagine confermano, in sostan-za, quanto emerso anche a livello nazionale: il 44,6% delle imprese dispone di una sostanziale coincidenza tra i tempi di incasso e di pagamento, il 37,7% gode di vantaggi nella defi nizione delle scadenze, mentre per il 17,8% i tempi di pagamen-to sono inferiori a quelli di incasso. Meno di una impresa su cinque, in sostanza, deve fare i conti con una situazione di teorico squilibrio che potrebbe condurre, pur tenendo conto delle molteplici altre variabili in gioco, a situazioni di diffi coltà nella gestione dell’azienda.

Ripartizione del campione per tempi di incasso e di pagamento(% sul totale del campione)

Paga subito

Circa 1 mese

Circa 2 mesi

Circa 3 mesi

4-6 mesi

Oltre 6 mesi

Incassa subito 25,4% 17,8% 7,2% 3,3% 0,0% 0,0%Circa 1 mese 4,3% 8,0% 4,3% 1,1% 0,0% 0,0%Circa 2 mesi 0,4% 4,0% 8,0% 3,3% 0,0% 0,0%Circa 3 mesi 1,4% 1,1% 2,5% 2,9% 0,4% 0,0%4-6 mesi 1,1% 0,4% 0,4% 0,4% 0,0% 0,4%Oltre 6 mesi 1,1% 0,4% 0,0% 0,4% 0,0% 0,4%

Come si può osservare nel grafi co seguente, gli incassi sono in gran parte concen-trati (71,4% dei casi) nell’arco di 30 giorni dal momento della vendita e nel 91,9% dei casi non superano i 3 mesi. Più diluiti appaiono invece i pagamenti che tendono a essere spalmati tra uno e tre mesi dal momento della consegna. Anche in questo caso – e in misura ancora più marcata rispetto ai tempi di incasso – le “code” supe-riori ai 3 mesi sono marginali.

Ripartizione del campione per tempi di pagamento e di incasso6

5 7 , 1 %

1 4 , 3 %1 2 , 2 %

8 ,3 %

2 , 4 % 1 , 6 %4 ,1 %

3 3 , 7 %

2 8 ,3 %

1 9 ,0 %

1 2 ,5 %

0 ,8 % 0 ,5 %

5 ,2 %

Im m e dia t o C ir c a 1 m ese C ir c a 2 m esi C ir c a 3 m e si T r a 4 e 6 m e si O lt r e 6 m e si N o n in dic a

P a gam e n t o I n c a sso

Soprattutto nel caso degli incassi, la componente settoriale ha una notevole inciden-za sulla defi nizione delle scadenze: mentre, infatti, il 77,7% delle imprese commer-ciali e il 52,7% di quelle di servizi incassano subito, solo il 27,2% delle aziende di costruzioni e il 28,7% di quelle manifatturiere possono fare altrettanto. In questi settori, al contrario, oltre il 45% delle imprese incassano tra i 30 e i 60 giorni. Al contrario, per i pagamenti, le differenze non risultano altrettanto marcate: la stra-grande maggioranza delle aziende dei diversi settori regola le proprie pendenze comunque entro i 60 giorni. Tale soglia viene superata dal 15% delle imprese com-merciali e manifatturiere e dal 19% di quelle di costruzioni. Fa eccezione il settore dei servizi dove solo il 5% regola le proprie pendenze dopo oltre 2 mesi.

5. I costi e le imposte

Si è avuto modo di evidenziare, nelle diverse indagini effettuate tra le micro- e le pic-cole imprese – che costituiscono gran parte del tessuto produttivo nazionale – che l’approccio alla gestione fi nanziaria non sempre risponde a criteri di effi cienza e di trasparenza. Al contrario, essa è spesso relegata a un ruolo complementare rispetto alla “produzione”, tanto da non prevedere a livello organizzativo una funzione specifi ca dedicata ad essa. Ciò comporta talvolta una non piena comprensione del ruolo svolto dai diversi ambiti gestionali (o dalle diverse fasi produttive) nel genera-re costi o reddito e, conseguentemente, una effi cacia limitata nell’individuare i punti deboli della struttura fi nanziaria.

Può essere interessante, in questa ottica, verifi care qual è la percezione che gli imprenditori hanno dell’incidenza sul fatturato dei costi diretti e indiretti: si tratta, infatti, di un elemento di valutazione importante che contribuisce a comprendere la sostenibilità della struttura fi nanziaria delle imprese.

6 I valori riportati nel grafi co possono variare rispetto ai totali della tabella poiché non tutte le imprese hanno risposto a entrambe le domande relative a tempi di incasso e di pagamento.

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Secondo la percezione degli imprenditori7, l’incidenza dei costi diretti – acquisto di materie prime, semilavorati, manodopera, ecc – sul fatturato, così come già era emerso in altri contesti e nella stessa indagine svolta da Unioncamere Nazionale su un campione di oltre 11.000 imprese italiane, risulta tendenzialmente maggiore ri-spetto a quella dei costi indiretti (costi di gestione, amministrativi, marketing, ecc).

Mentre, da un lato, i costi diretti ammontano a meno del 15% del fatturato per il 28,2% delle imprese e superano invece il 30% per oltre 12 aziende su 100, dall’altro, i costi indiretti sembrano attestarsi al di sotto del 15% del fatturato per il 40,4% delle aziende e superano la soglia del 30% solo per poco più di 4 aziende su 100.

Ripartizione del campione per ammontare dei costiin percentuale del fatturato

40,4% 39,2%

16,3%

4,1%

28,2%

50,0%

12,4%9,4%

Meno del 15% Tra il 15% e il 20% Tra il 21% e il 30% Oltre il 30%

Costi diretti Costi indiretti

Le risposte alla domanda relativa al peso delle imposte in percentuale del fatturato confermano la linea di tendenza emersa a livello nazionale: il 66,7% delle imprese afferma, infatti, che le imposte incidono per meno del 20% e poco più del 6% so-stiene, al contrario, che esse superano il 40%.

7 Va sottolineato che, sia nel caso dei costi sia nel caso delle imposte, circa un terzo delle aziende non ha risposto alla domanda. Le percentuali riportate nel testo sono riferite al totale delle risposte e non al totale delle imprese.

Ripartizione del campione per ammontare delle imposte in percentua-le del fatturato

6,8% 6,1%10,1%

20,3% 20,4%

36,3%

Meno del 10% Tra il 10% e il15%

Tra il 16% e il20%

Tra il 21% e il30%

Tra il 31% e il40%

Oltre il 40%

Si tratta di un dato che viene sostanzialmente confermato anche ripartendo le impre-se per forma giuridica, mentre a livello settoriale emerge una sostanziale differenza nelle percezioni delle imprese. Assumendo la soglia del 20% come ideale linea di demarcazione, si osserva che il 77,5% delle imprese manifatturiere si colloca al di sotto di essa, contro il 61,5% delle imprese di servizi. In posizioni intermedie si pongono le imprese del commercio (65,4%) e di costruzioni (68,7%).

6. Gli utili e i reinvestimenti

La lettura del dato relativo agli utili lordi dichiarati dalle imprese necessita di una premessa: sono diversi i fattori, non ultimi quelli legati alla normativa in materia fi scale, che possono “inquinare” l’informazione sull’effettivo andamento delle azien-de. Si tratta, evidentemente, di un tema di notevole rilievo, soprattutto nell’ottica della maggior trasparenza contabile che le metodologie di valutazione del merito del credito introdotte da Basilea 2 richiedono alle imprese. In questo lavoro, ovvia-mente, si terrà conto delle informazioni fornite durante l’intervista e non ci si basa su altri dati a disposizione della Camera di Commercio.

Fatta questa debita premessa, si può osservare che, anche in questo caso, il dato provinciale conferma il trend già emerso a livello nazionale: un’ampia maggio-ranza (70,8%) delle imprese dichiara utili non superiori ai 25.000 euro ma, in compenso, nessuna azienda lamenta perdite. Per contro, è da rilevare che il 9,5% afferma che i propri utili superano i 100.000 euro e, in particolare, il 7,7% supera la soglia dei 150.000.

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Ripartizione del campione per classe di utile lordo ante-imposte

43,5%

27,3%

10,6%7,7%

1,8%

8,9%

Meno di 10.000 Tra 10.000 e 25.000 Tra 25.001 e 50.000 Tra 50.001 e100.000

Tra 101.001 e150.000

Oltre 150.000

E’ stato chiesto, inoltre, agli imprenditori se nel corso degli ultimi anni hanno reinve-stito una quota dell’utile per lo sviluppo o l’ampliamento della propria attività.

Il 50,6% delle imprese non ha reinvestito quote signifi cative del proprio utile per progetti di sviluppo e, quando lo ha fatto, non ha superato generalmente la soglia del 15%.

Si tratta di un trend più marcato rispetto a quanto emerso nel campione nazionale 2005, dove la percentuale di imprese che affermava di non aver reinvestito si atte-stava al 46%.

Ripartizione del campione per strategia di reinvestimento(quota di utile reinvestito)

Meno del 10%17,8%

Tra il 10% e il 15%13,4%

Tra il 16% e il 20%7,0%

Non ha reinvestito50,6%

Tra il 21% e il 30%6,1%

Oltre il 30% 5,1%

La scelta di non investire nel corso degli ultimi anni può essere dovuta alla diffi cile fase che ha interessato l’economia nazionale e che ha avuto ricadute, inevitabil-mente, sulla dinamica tanto della domanda quanto della produzione. In conside-razione dei segnali di ripresa registrati dalle statistiche uffi ciali e dell’ipotizzato miglioramento delle aspettative da parte degli imprenditori è stato chiesto loro se

nei prossimi 3 anni intendono effettuare investimenti per la propria azienda. Le ri-sposte avute indicano una ancora notevole prudenza circa i piani di investimento.

Il 54,7% degli imprenditori sostiene infatti di non avere in programma investimenti nel breve termine e, laddove essi sono stati già pianifi cati, sono indirizzati soprat-tutto verso l’acquisto o il rinnovo di impianti e di locali.

Ancora marginale è la percentuale di imprese che intendono investire in ambiti qua-li la certifi cazione, l’informatizzazione, la sicurezza o la ricerca di nuovi prodotti o nuovi mercati.

Ripartizione del campione per fi nalità dell’investimento(% delle imprese con risposte multiple)

10,6%

9,7%

8,2%

7,8%

3,7%

3,6%

3,0%

2,9%

2,5%

2,1%

1,8%

1,5%

1,2%

1,0%

2,7%

14,3%

54,7%

R inno vo lo c ali

R inno vo mac c hinari

A c quis to lo c ali

A c quis to mac c hinari

C o munic azio ne/pubblic ità

A mbiente

F o rmazio ne

S ic urezza

N uo vo pers o nale

N uo vi merc ati

Info rmatizzazio ne

N uo vi pro do tti/s ervizi

C ertific azio ne della qualità

C o ns o lidamento finanze

A ltri inves timenti

N o n intende effettuare inves timenti

N o n indic a

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7. Le fonti di fi nanziamento

Il fi nanziamento del progetto imprenditoriale rappresenta uno dei nodi cruciali per ogni impresa. È un problema tanto maggiore quanto minori sono le dimensioni del-l’azienda e quanto minori sono di conseguenza le risorse fi nanziarie disponibili per assicurare la sostenibilità dei piani di sviluppo.

La scarsa conoscenza di strumenti fi nanziari alternativi al credito e la cautela che spesso caratterizzano l’approccio degli imprenditori a ipotesi di partnership fi -nanziarie contribuiscono spesso ad acuirne le diffi coltà nell’accesso ai capitali. E’ quanto emerge anche dalle risposte fornite dagli imprenditori della provincia: ad esempio, alla domanda sull’eventuale ricorso ad altri soggetti non bancari per il fi nanziamento della propria attività, l’88,4% delle imprese ha risposto in maniera negativa. Il 3,8% afferma di far ricorso a società specializzate in leasing e il 6,2% ha rapporti con altre società fi nanziarie. L’1,8% fa ricorso a società di factoring.

Altrettanto signifi cative sono le risposte fornite alla domanda sul tipo di partner o di fi nanziatore attraverso cui le imprese intendono sostenere i propri eventuali inve-stimenti nel prossimo triennio. Solo il 55,5% delle imprese afferma che il soggetto di riferimento è la banca. Al contrario è notevole il dato relativo alle società di leasing e fi nanziarie: quasi il 23% sarebbe disposto a ricorrere ad esse. Su questi dati hanno probabilmente una signifi cativa incidenza le condizioni di accesso al credito bancario poco favorevoli con cui devono spesso fare i conti le imprese delle aree meridionali, che sono indotte a cercare altrove un canale di fi nanziamento per sviluppare i propri progetti imprenditoriali. Nell’1% dei casi si farebbe ricorso a capitali propri o di conoscenti, il cosiddetto “love capital”, che ha, peraltro, costi-tuito la principale base fi nanziaria per l’avvio della propria attività per il 72% degli intervistati.

Ripartizione del campione per tipologia di partner fi nanziario(Risposte multiple)

0,0 1,0

10,9 11,9 13,6

55,5

19,3

Imprenditore Altri conoscenti Leasing Finanziaria Altro soggetto Banca Non indica

Generalmente, le imprese dimostrano di preferire un rapporto stabile e duraturo con le banche di riferimento, basato su una collaborazione pluriennale che data spesso dall’anno di nascita dell’azienda. Nel 75,7% dei casi, le imprese operano con una sola banca e solo nel 3,8% dei casi intrattengono rapporti con più di due. Rimangono controversi i temi del costo e della accessibilità al credito, soprattutto alla luce del dibattito sui possibili effetti restrittivi che Basilea 2 potrebbe indurre a detrimento delle piccole e piccolissime imprese. Al riguardo è signifi cativo il tono con cui gli imprenditori hanno reagito all’ipotesi di sostenere tassi più elevati o di offrire maggiori garanzie per ottenere una maggior disponibilità di credito. Nel pri-mo caso, solo il 9,7% degli intervistati ha fornito una risposta positiva. Nel secondo caso, il 39% degli imprenditori ritiene, invece, accettabile l’idea di offrire maggiori garanzie, purché ciò permetta di ottenere un credito maggiore mantenendo inalte-rato il tasso di interesse.

Le imprese sembrano comunque basare la propria percezione del rapporto con la banca su presupposti che ancora prescindono da Basilea 2. È quanto emerge ana-lizzando le risposte che gli imprenditori hanno fornito quando è stato chiesto loro di indicare quali sono, secondo la propria esperienza, gli elementi determinanti per la concessione del credito da parte della banca.

Secondo le imprese, conoscenza diretta con il responsabile di fi liale e disponibilità di garanzie costituiscono i fattori principali di cui tener conto per ottenere condizio-ni migliori dalle banche.

Patrimonializzazione, prospettive di mercato e capacità competitiva e reddituale dell’impresa sono fondamentali per una percentuale minore di aziende anche se, in confronto con quanto è emerso in altri contesti territoriali, gli imprenditori della provincia dimostrano una maggior attenzione a questi fattori di valutazione.

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Ripartizione del campione per tipo di fattori giudicati utili nei rapporti con le banche

(% imprese - risposte multiple)

17,5% 18,1%

38,8%

26,2%

17,7%16,3%

Competitività Patrimonializzazione Prospettive di mercato Garanzie reali Conoscenza diretta Non indica

Allo stesso modo, appare ancora molto limitato il ricorso a strumenti assicurativi per la copertura di rischi fi nanziari o di credito: un dato che conferma il fenomeno già emerso a livello nazionale e che testimonia la ancora scarsa dimestichezza con stru-menti alternativi di copertura per ovviare alle esigenze fi nanziarie delle aziende.

Ripartizione del campione per tipologia di assicurazione stipulata (% imprese - risposte multiple)

1,7%

1,9%

4,1%

5,7%

10,3%

12,7%

15,1%

19,4%

41,5%

33,7%

10,7%

Rischio di credito

Rischi finanziari

Danni ambientali

Garanzia di prodotto

Danni indiretti

Rischi collaboratori

Rischi imprenditore

Responsabilità civile

Danni diretti

Nessuna assicurazione

Non indica

PARTE II

LA RISCHIOSITA’

DELLE IMPRESE MINORI

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Premessa

Questa parte della relazione presenta i risultati di una simulazione condotta, come si è detto, su un campione di 300 società di persone e ditte individuali della provin-cia di Vibo Valentia, fi nalizzata a valutarne il livello di rischiosità attraverso l’utilizzo di un modello di ranking.

La decisione di effettuare tale simulazione trae origine dalla considerazione di quel-le che sono le caratteristiche salienti della tipologia di imprese oggetto della ricerca. Società di persone e ditte individuali sono, generalmente, aziende poco strutturate, a conduzione spesso “familiare” e sottoposte a un regime di contabilità semplifi ca-ta, che rende diffi coltoso riuscire a valutarne l’effettiva “salute” fi nanziaria. Ne de-rivano non solo una scarsa trasparenza a livello contabile, ma anche e soprattutto notevoli asimmetrie informative nel momento in cui queste aziende si rivolgono a soggetti esterni, in primis le banche, per accedere ai capitali necessari per il fi nan-ziamento della propria attività.

Questo problema, a cui si è fi nora ovviato grazie al rapporto “personalistico” tra i funzionari di banca e gli imprenditori, è destinato a crescere di importanza con l’en-trata in vigore di Basilea 2, che conduce a due sostanziali mutamenti di approccio. Aumenta, infatti, l’attenzione e l’importanza attribuita ai dati “quantitativi”, ovvero alle informazioni sullo stato economico e fi nanziario delle aziende, desumibili dai documenti contabili dell’azienda. Perde, al contrario, di importanza il rapporto diretto tra personale di fi liale e imprenditore, poiché si crea una progressiva di-stinzione tra il livello di raccolta delle informazioni, la fi liale, e il livello di analisi e valutazione, delegato in misura preponderante a procedure standardizzate e centralizzate.

L’accordo di Basilea 2 prevede, per le aziende di dimensioni modeste, poco strut-turate e con una esposizione complessiva verso le banche inferiore a un milione di euro, la categoria retail.

Considerando le caratteristiche strutturali delle imprese italiane e tenendo conto che generalmente i prestiti richiesti sono di ammontare limitato, si può prevedere che la maggioranza delle PMI rientrerà in questo segmento.

Grazie alle particolari agevolazioni previste per i fi nanziamenti concessi alle im-prese che rientrano in questa categoria, i prestiti così accordati potranno essere meno costosi di quanto non siano oggi, con un relativo miglioramento delle attuali condizioni di accesso al credito. Con Basilea 2, però, la rischiosità delle imprese di dimensioni limitate viene valutata facendo riferimento non alle singole aziende ma a gruppi omogenei di imprese (pool) simili per caratteristiche strutturali, operative o geografi che. Per defi nire il prezzo e le condizioni di un’operazione di credito, le banche tengono quindi conto di alcuni elementi standard (localizzazione, settore, dimensioni, ecc) che concorrono a defi nire i diversi livelli di rischiosità di queste imprese. A tal fi ne, devono disporre di dati oggettivi (simulazioni di contesto, se-

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rie storiche, esperienze pregresse, ecc) che permettano di valutare con precisione l’incidenza di questi elementi sull’effettivo livello di rischiosità di ciascuna azienda considerata.

Questa simulazione, che si inserisce in un più complesso programma di ricerca che il sistema camerale ha avviato nel corso degli ultimi anni, intende proprio fornire un contributo di analisi per comprendere meglio la realtà delle piccole e piccolissi-me imprese italiane. In particolare, il modello di valutazione della rischiosità delle imprese minori utilizzato per questa simulazione è stato testato e validato su un campione di oltre 11.000 imprese, nel 2005, da Unioncamere Nazionale.

L’obiettivo della simulazione non è ovviamente quello di effettuare una stima pun-tuale della probabilità di insolvenza sulla base della quale attribuire un rating alle singole imprese. Al contrario, i soggetti del campione sono ordinati, sulla base del loro rischio specifi co, in diverse classi di rischio relativo utilizzando variabili ana-grafi che, operative ed economiche, che saranno illustrate nel dettaglio nei capitoli successivi.

Viene pertanto utilizzato un modello di ranking che permette di ordinare i soggetti del campione secondo i rispettivi livelli di rischiosità lungo una scala di rischiosità crescente. La valutazione della rischiosità del campione verte su tutta una serie di variabili, quali: forma giuridica, macro-settore economico, anno di fondazione, fatturato, mercato di riferimento, numero di collaboratori, numero di fornitori, la propensione a reinvestire e il numero di banche di riferimento. L’analisi basata sul modello di ranking qui utilizzato per la valutazione del campione conduce alla distribuzione delle imprese in 11 classi di rischio che, per semplicità espositiva, saranno successivamente raggruppate in 3 fasce:

ISolvibilità

Solvibilità 1II Solvibilità 2III Solvibilità 3IV

Vulnerabilità

Vulnerabilità 1V Vulnerabilità 2VI Vulnerabilità 3VII Vulnerabilità 4VIII Vulnerabilità 5IX

RischioRischio 1

X Rischio 2XI Rischio 3

Questa classifi cazione è stata realizzata sulla base dei risultati emersi dal processo di validazione del modello da parte di Unioncamere ed è quindi direttamente de-rivata dalla sua applicazione sulle imprese del campione nazionale analizzato nel 2005. Le tre fasce principali di ranking adottate (Solvibilità, Vulnerabilità, Rischio) non costituiscono una scala basata solo su tre diversi gradi di rischiosità. Si tratta,

invece, di un percorso progressivo e lineare che passa da una situazione di ottimo stand creditizio (Solvibilità 1) ad una di elevata rischiosità (Rischio 3). Nelle pagine successive, sarà esaminata la distribuzione delle imprese lungo la scala di ranking, declinandola sia a livello di campione complessivo, sia, soprattutto, tenendo conto di alcune variabili di cui si valuterà l’incidenza nel determinare le performances delle imprese.

8. La rischiosità del campione

L’applicazione del modello di ranking al campione di imprese della provincia di Vibo Valentia evidenzia una discreta “robustezza” delle aziende considerate. L’ana-lisi complessiva delle diverse variabili considerate nella valutazione, infatti, eviden-zia che oltre l’88% delle imprese non presenta un rischio immediato di default dal punto di vista dell’equilibrio economico-fi nanziario. Come si può osservare nella tabella successiva, il 7% delle imprese presenta ottimi “fondamentali” e rientra nella fascia di eccellenza, qui denominata “Solvibilità”, dove sono raggruppate le azien-de che offrono le migliori garanzie in termini di robustezza strutturale e affi dabilità economico-fi nanziaria. Per contro, l’11,7% circa del campione presenta criticità elevate e si posiziona nella fascia qui denominata “Rischio”. Ciò non signifi ca ovviamente che queste imprese siano “insolventi”, ma che si trovano in una condizione di elevata vulnerabilità che potrebbe condurre a situazioni di crisi di liquidità. L’81,3% circa del campione si posiziona, invece, in quella che, nell’ambito di questo modello, viene defi nita fascia di “Vulnerabilità”. E’ un dato sostanzialmente in linea con quanto già era emerso nel corso della valutazione effettuata a livello nazionale.

Distribuzione delle imprese del campione lungo la scala di ranking

Classi Ranking campione provincialeSolvibilità 1 0,0%Solvibilità 2 2,0%Solvibilità 3 5,0%Solvibilità 7,0%Vulnerabilità 1 11,7%Vulnerabilità 2 35,3%Vulnerabilità 3 12,7%Vulnerabilità 4 12,0%Vulnerabilità 5 9,7%Vulnerabilità 81,3%Rischio 1 3,7%Rischio 2 4,3%Rischio 3 3,7%Rischio 11,7%

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Assumendo la classe di Vulnerabilità 3 come una sorta di linea di confi ne tra le imprese più solide e quelle con criticità crescenti, si può affermare che il 54% delle imprese, che rientra nelle prime 5 classi della scala di ranking, presenta un buon livello di affi dabilità. Un’affi dabilità che varia dai casi di eccellenza, rappresentati come si è detto dalle imprese delle classi di Solvibilità, a situazioni in cui si riscon-trano alcune prime debolezze strutturali, economiche o fi nanziarie che potrebbero causare situazioni di diffi coltà (classi di Vulnerabilità 1 e 2). Se si confrontano i dati della simulazione operata sulle imprese della provincia con quelli emersi dalla simulazione effettuata a livello nazionale, si può osservare che, tra le imprese di Vibo Valentia, la performance generale del campione è meno bril-lante della media nazionale.

Confronto tra il campione provinciale e quello nazionale

Classe Ranking campioneprovinciale

Ranking Campionenazionale

Solvibilità 1 0,0% 3,0%Solvibilità 2 2,0% 3,2%Solvibilità 3 5,0% 4,1%Solvibilità 7,0% 10,3%Vulnerabilità 1 11,7% 13,1%Vulnerabilità 2 35,3% 30,4%Vulnerabilità 3 12,7% 28,9%Vulnerabilità 4 12,0% 14,7%Vulnerabilità 5 9,7% 1,4%Vulnerabilità 81,3% 88,5%Rischio 1 3,7% 0,5%Rischio 2 4,3% 0,6%Rischio 3 3,7% 0,0%Rischio 11,7% 1,1%

Nella fascia Solvibilità, infatti, si colloca, come si è anticipato, il 7% delle imprese, mentre la media nazionale si attesta al 10,3%. Esiste, per contro, una presenza relativa molto maggiore di imprese nella fascia Rischio.

D’altra parte, se anche in sede di confronto si analizzano come un unico blocco le imprese rientranti nelle prime 5 classi di ranking, si osserva che la percentuale di aziende collocate in questa macro-fascia è quasi identica al dato nazionale: al 54% delle aziende di Vibo Valentia, infatti, si contrappone il 53,8% del campione nazionale. Nelle pagine successive, in cui sarà esaminata l’incidenza delle diverse variabili considerate sulla distribuzione delle aziende lungo la scala di ranking, si cercherà di individuare quali sono i fattori che caratterizzano le imprese più a rischio di questo campione.

Le imprese saranno, infatti, ripartite secondo alcune delle variabili analizzate nel corso della trattazione e utilizzate nel modello econometrico di simulazione, per verifi care se e come esse possano infl uenzare la distribuzione delle imprese lungo la scala di ranking.

8.1 La forma giuridica

Una prima verifi ca dell’incidenza delle diverse variabili considerate sulla distribu-zione delle imprese lungo la scala di ranking può essere effettuata sulla base della forma giuridica delle aziende del campione.

Ditte individuali e società di persone, generalmente, si caratterizzano per approcci diversi al rischio e alla pianifi cazione fi nanziaria. Alla prudenza nell’evitare situa-zioni di eccessiva esposizione e alla maggior fl essibilità nel gestire situazioni di instabilità dal lato della domanda, che caratterizzano l’imprenditore autonomo, si contrappongono vantaggi organizzativi da parte delle società di persone, contro-bilanciati talvolta da una maggior propensione al rischio e al ricorso al debito per fi nanziare i propri piani di sviluppo. Ne consegue, in genere, una situazione in cui alla maggior presenza di società di persone nelle classi più alte della distribuzio-ne si contrappone una minor presenza di ditte individuali nelle classi di maggior rischio.

Il fenomeno, emerso nell’indagine nazionale e anche in molte realtà locali, non si ripete, invece, nel caso di Vibo Valentia. Al contrario, si registra una maggior presenza (sia pure con una differenza minima) di ditte nella fascia Solvibilità (7,3% circa contro il 6,5% delle società), mentre nella fascia Rischio la presenza relativa di ditte è nettamente maggiore (14% contro il 7,5% delle società). Rispetto al dato nazionale 2005, le ditte individuali presentano un risultato migliore nella fascia di solvibilità (7,3% contro il 5,1%), mentre nella fascia di rischio la loro presenza è sensibilmente maggiore (14% contro circa l’1%). Le società di persone presentano invece una performance meno brillante nella fascia di eccellenza (6,5% contro circa il 18% nel campione nazionale) e un risultato peggiore nella fascia di rischio (7,5% contro poco più del 2% a livello nazionale).

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Distribuzione delle imprese del campione lungo la scala di ranking per forma giuridica

Solvibilità Vulnerabilità Rischio Totale

Ditte individuali 7,3% 78,8% 14,0% 100,0%Società dipersone 6,5% 86,0% 7,5% 100,0%

Campione 7,0% 81,3% 11,7% 100,0%

8.2 Il macro-settore

L’analisi per macro-settore evidenzia una maggior presenza nella fascia di rischio delle imprese manifatturiere (18,2%) e delle costruzioni (14%) contro una media del campione dell’11,7%. Una performance migliore della media del campione interessa invece le imprese del commercio e dei servizi tanto nella fascia Rischio (dove la loro presenza si attesta rispettivamente all’8,3% e al 10,2%) quanto nella fascia Solvibilità (rispettivamente 9,5% e 7,6%, contro una media del campione pari al 7%).

Distribuzione delle imprese del campione lungo la scala di ranking per macro-settore

Solvibilità Vulnerabilità Rischio TotaleCommercio 9,5% 82,1% 8,3% 100,0%Costruzioni 2,3% 83,7% 14,0% 100,0%

Manifatturiero 5,5% 76,4% 18,2% 100,0%Servizi 7,6% 82,2% 10,2% 100,0%

Campione 7,0% 81,3% 11,7% 100,0%

Rispetto al dato nazionale 2005, i diversi settori, con l’eccezione dei servizi8 pre-sentano una performance meno brillante: alla minor percentuale di imprese in fascia Solvibilità, infatti, si contrappone una maggior presenza in fascia Rischio. E’ possibile che il risultato sia stato condizionato, oltre che dalle peculiarità del tessuto produttivo locale, anche dal trascinarsi degli effetti della diffi cile fase economica che ha interessato l’intero paese nel corso degli ultimi anni e che si è rifl essa ancor più, inevitabilmente, anche nelle aree meridionali tradizionalmente più vulnerabili. Ciò vale in particolare per il settore manifatturiero che, a livello di campione, si confi gura in larga parte come un tessuto formato da ditte individuali di dimensioni relativamente limitate, tanto più sensibili quindi alla dinamica altalenante della domanda.8 Nel campione nazionale, la percentuale di imprese di servizi presenti nella fascia Solvibilità è pari al 5,8%.

8.3 La classe di anzianità

L’analisi dell’incidenza della variabile anagrafi ca sulla performance del campione permette di evidenziare due diverse dinamiche: da un lato, esaminando la fascia di Solvibilità, si osserva una crescita quasi lineare della numerosità delle imprese al crescere dell’età (si sale infatti dal 4,7% tra le imprese più giovani al 12,9% delle imprese nate tra il 1971 e il 1980 e al 14,3% tra le più anziane). In questo caso, sembra dunque esserci una correlazione diretta tra anzianità e affi dabilità fi nanzia-ria, legata a una situazione organizzativa, di mercato, di equilibrio fi nanziario più consolidata.

Dall’altro lato, però, analizzando la fascia di rischio, non si può evidenziare un trend altrettanto chiaro9. Al contrario, la dinamica appare abbastanza altalenan-te, senza una correlazione evidente con la classe di anzianità delle aziende. A spiegare questo fenomeno è possibile che concorrano gli effetti congiunti, da un lato, del passaggio generazionale, che tocca inevitabilmente una parte signifi cativa delle imprese più “anziane” e, dall’altro, delle diffi coltà che alcune delle imprese già consolidate, in un’ottica di ulteriore crescita, devono sostenere per affrontare la competizione su mercati più ampi e quindi più contesi rispetto a quanto accade invece per aziende più giovani e con un mercato più circoscritto.

Rispetto al dato nazionale 2005 le imprese del campione presentano una perfor-mance meno brillante nella fascia di eccellenza, con l’eccezione delle imprese nate dopo il 2000, che risultano invece più numerose (4,7% contro una media nazio-nale del 3%) mentre scontano, come ovvio, una presenza maggiore nella fascia di rischio in tutte le classi di anzianità, dove le imprese del campione nazionale si attestano comunque al di sotto del 3% in ciascuna classe anagrafi ca.

Distribuzione delle imprese del campione lungo la scala di ranking per classe di anzianità

Solvibilità Vulnerabilità Rischio TotalePrima del

1960 14,3% 57,1% 28,6% 100,0%

1960-70 11,1% 66,7% 22,2% 100,0%1971-80 12,9% 80,6% 6,5% 100,0%1981-90 6,8% 82,2% 11,0% 100,0%1991-00 6,4% 84,0% 9,6% 100,0%2001-06 4,7% 81,4% 14,0% 100,0%Campione 7,0% 81,3% 11,7% 100,0%

9 Va ricordato che le due classi di imprese più anziane (quelle costituite prima del 1970) presentano una scarsa numerosità che ne condiziona fortemente i valori percentuali.

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8.4 Le dimensioni

Solitamente, la dimensione delle aziende – fatturato e numero di addetti in primis – costituisce una variabile che incide notevolmente sulla distribuzione delle imprese lungo la scala di ranking. I motivi sono evidenti: una struttura più solida, meglio organizzata, con un elevato giro d’affari caratterizza solitamente un attore fi nan-ziariamente più “robusto”, meno vulnerabile alle alterne dinamiche della domanda e meno esposto al rischio di crisi di liquidità. Esistono ovviamente eccezioni, legate, ad esempio, alle diffi coltà che comporta operare su scala maggiore e in mercati più contesi o ancora all’adozione di programmi di crescita che richiedono investimenti notevoli e provocano inevitabili – e temporanei – squilibri fi nanziari.

Il caso di Vibo Valentia non conferma il trend delineatosi nell’indagine nazionale e in numerose realtà locali. Ripartendo le imprese per numero di addetti, infatti, non si può evidenziare una evidente relazione, tanto nella fascia di Solvibilità quanto in quella di Rischio, tra tale variabile e la distribuzione delle imprese lungo la scala di ranking. Su questo dato infl uisce naturalmente il fatto che il campione è costituito in larga parte da imprese con meno di 6 addetti o da aziende che si avvalgono solo del lavoro dell’imprenditore. Ciò si ripercuote ovviamente sulla numerosità delle altre classi dimensionali e comporta una più marcata erraticità del trend.

Distribuzione delle imprese del campione lungo la scala di ranking per classe di addetti

Solvibilità Vulnerabilità Rischio TotaleNessuno 7,5% 80,6% 11,9% 100,0%

Uno 2,1% 83,0% 14,9% 100,0%Da 2 a 5 9,3% 82,6% 8,1% 100,0%

Da 6 a 10 0,0% 83,3% 16,7% 100,0%Oltre 10 11,1% 77,8% 11,1% 100,0%

Campione 7,0% 81,3% 11,7% 100,0%

Un discorso analogo vale anche per il fatturato. La relativamente scarsa numerosità delle imprese che hanno risposto alla domanda impedisce di evidenziare un trend che delinei una chiara correlazione tra classe di fatturato e rischiosità del cam-pione. Al contrario, come nel caso della classe di addetti, emerge un andamento erratico non direttamente legato alla dimensione delle aziende.

8.5 Il mercato di riferimento

Il dato relativo al mercato di riferimento permette di delineare una relazione – sia pure con l’eccezione delle imprese operanti a livello di quartiere – abbastanza evi-dente tra ampiezza dell’area di operatività e distribuzione del campione lungo la scala di ranking per quanto riguarda la fascia di Solvibilità. Si sale infatti da una numerosità relativa pari al 5,6% tra le imprese che operano a livello cittadino al 13,3% di quante operano a livello nazionale10. Non è altrettanto chiaro il trend che emerge analizzando la fascia di Rischio. In questo caso, come già evidenziato nelle pagine precedenti, emerge un andamento erratico che impedisce di individuare una correlazione tra la variabile mercato e la rischiosità relativa delle imprese.

Distribuzione delle imprese del campione lungo la scala di ranking per mercato di riferimento

Solvibilità Vulnerabilità Rischio TotaleQuartiere 16,7% 66,7% 16,7% 16,7%

Città 5,6% 84,5% 9,9% 5,6%Provincia 6,4% 81,4% 12,2% 6,4%Regione 10,0% 75,0% 15,0% 10,0%

Italia 13,3% 80,0% 6,7% 13,3%Estero 0,0% 87,5% 14,3% 0,0%

Campione 7,0% 81,3% 11,7% 100,0%

10 Le imprese con apertura internazionale sono poche e quindi statisticamente poco signifi cative in questo contesto.

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PARTE III

IMPRENDITORIALITA’ FEMMINILE

E RISCHIO DI CREDITO

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Premessa

La presenza femminile ha assunto, ormai da anni, un ruolo di primaria importanza nel tessuto imprenditoriale italiano e spesso è stata portatrice di un nuovo modo di intendere il “fare impresa”, proponendo modelli e approcci gestionali e organizza-tivi innovativi in un mercato caratterizzato da una competizione sempre maggiore. L’imprenditoria femminile si è pertanto caratterizzata come portatrice di idee e pro-poste nuove ed effi caci che hanno indotto non pochi commentatori a sottolineare l’effi cienza gestionale delle donne imprenditrici.

E’ sulla base di tali considerazioni che la Camera di Commercio di Vibo Valentia ha deciso di includere, nell’ambito di questo lavoro, uno specifi co focus dedicato alle imprese a conduzione femminile11. Obiettivo del focus è verifi care, da un lato, quali sono le caratteristiche strutturali peculiari – se ve ne sono – di queste imprese e, dall’altro, valutare quale sia il loro livello di affi dabilità fi nanziaria.

Il sotto-campione oggetto del focus è costituito da 42 imprese, pari al 14% del cam-pione complessivo analizzato nelle parti precedenti del lavoro. Pur essendo numeri-camente limitato, il sotto-campione può comunque offrire una base di partenza utile per comprendere meglio questa realtà imprenditoriale e per imbastire alcune rifl es-sioni non solo e non tanto sull’impatto che Basilea 2 può avere su queste imprese, quanto piuttosto sul rapporto che esse hanno con il sistema creditizio nazionale.

11 Per impresa femminile si intende, ai sensi della legge 215/1992, una impresa individuale la cui titolare sia donna e le società di persone e le cooperative costituite in misura non inferiore al 60% da donne.

9. Le caratteristiche del sotto-campione

Il sotto-campione delle imprese femminili è costituito, come si è anticipato, da 42 imprese e rappresenta il 14% del campione complessivo di aziende oggetto del-l’indagine. Ne fanno parte 30 ditte individuali e 12 società di persone, operanti nei settori dei servizi (20), del commercio (17), costruzioni (4) e manifatturiero (1).

Ben 19 imprese – il 45,2% del sotto-campione – sono state create dopo il 2000 mentre due vantano una nascita precedente al 1960. Si evidenzia, dunque, il notevole sviluppo che il “fenomeno” ha acquisito nel corso degli ultimi anni, come testimonia il fatto che la percentuale di imprese femmini-li nate negli ultimi 6 anni sia persino superiore al già notevole dato provinciale (30,8%).

Ripartizione del sotto-campione per anno di costituzione

23,8%

0,0%

21,4%

28,6%

16,7%

4,8%4,8%

Prima del 1960 Tra il 1960 e il1970

Tra il 1971 e il1980

Tra il 1981 e il1990

Tra il 1991 e il2000

Tra il 2001 e il2003

Tra il 2004 e il2006

La percentuale di imprese femminili che opera entro i confi ni cittadini costituisce il 38,1%, mentre una parte preponderante del sotto-campione è attivo a livello provin-ciale (47,6%) o regionale (9,5%). Una impresa è presente sul mercato nazionale mentre nessuna interagisce con clienti esteri.

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Ripartizione del sotto-campione per mercato di riferimento

31,0%

47,6%

2,4%

7,1%

2,4%9,5%

Quartiere Città Provincia Regione Italia Non indica

Il 61,9% delle aziende occupa al massimo 1 addetto mentre il 7,2% supera la soglia dei 5 collaboratori. Nel 42,9% dei casi, l’imprenditrice afferma di fare affi damento solo sul proprio impegno lavorativo e di non disporre di altri collaboratori. Il numero ridotto di risposte impedisce di effettuare, con buona approssimazione, una stima del fatturato medio del sottocampione, che risulta attestarsi - per i dati a nostra disposizione - intorno ai 180.000 euro, peraltro con un range di oscillazione nel valore dichiarato compreso tra 10.000 euro e 1 milione.

La grande maggioranza delle imprese (85%) afferma di operare al dettaglio: ciò si traduce in una gestione del circolante caratterizzata da tempi di incasso molto brevi (per il 57,1% è immediato) a cui si contrappongono tempi di pagamento diluiti generalmente tra i 30 e i 60 giorni (57,2%). Se si incrociano i dati relativi ai tempi di incasso e di pagamento, si nota che per il 41% delle imprese si viene a creare una sostanziale coincidenza tra tempi di incas-so e di pagamento, percentuale identica a quanti godono di tempi di incasso più brevi e solo il 18% lamenta tempi di incasso più lunghi dei tempi di pagamento.

Ripartizione delle imprese del sotto-campione per tempi di incasso e di pagamento

Pagamento immediato

Circa 1 mese

Circa 2 mesi

3 mesi e oltre

Incasso immediato 25,6% 12,8% 17,9% 5,1%Circa 1 mese 2,6% 10,3% 5,1% 0,0%Circa 2 mesi 0,0% 2,6% 5,1% 0,0%3 mesi e oltre 7,7% 0,0% 5,1% 0,0%

L’85,7% delle imprese del sotto-campione afferma che i costi diretti di produzione incidono per meno del 20% del fatturato e solo per 3 aziende essi superano il 30%. La percezione è analoga anche per i costi indiretti ( per l’82,1% non superano il 20%) anche se, in questo caso, solo per una di esse superano il 30%. Il 73% delle imprese che hanno risposto alla domanda afferma, inoltre, che le imposte non supe-rano il 20% del fatturato, ma per il 4,8% esse superano il 40% del fatturato12.

Per l’85,7% di quanti hanno risposto, l’utile lordo ante-imposte non supera i 25.000 euro ma nessuna delle aziende lamenta perdite di esercizio. Al contrario, un’im-presa vanta un utile superiore ai 150.000 euro. Il 52,4% delle imprese non ha reinvestito i propri utili e quando l’hanno fatto gli investimenti non hanno superato la soglia del 15% degli utili maturati in 3 casi su 4. D’altra parte, solo il 29,4% circa delle aziende ha in programma ulteriori piani di investimento nel prossimo triennio.

Anche nel caso del sotto-campione femminile è elevata la percentuale di imprese che dichiarano di intrattenere rapporti con una sola banca: ben il 78,6% delle imprenditrici, mentre solo il 2,4% dichiara di intrattenere rapporti con più di due istituti di credito. L’11,9% afferma, peraltro, di affi darsi anche a società fi nanziarie o di leasing.

Nonostante questo rapporto profondo e radicato con il sistema creditizio, è comun-que viva, per certi versi in modo persino più marcato rispetto al campione comples-sivo, la sensibilità al problema dell’accesso al credito. Pur nella consapevolezza delle diffi coltà – effettive o temute, anche in previsione di Basilea 2 – che le imprese di piccole dimensioni devono affrontare per ottenere i fi nanziamenti necessari alla crescita, solo il 9,5% sarebbe disposto a sopportare tassi di interesse maggiori pur di ottenere una maggior disponibilità di credito, ma, per contro, il 40,5% sarebbe disposto a fornire, a tal fi ne, maggiori garanzie.

12 Le percentuali relative alla domanda su costi e imposte risente dell’elevato numero di mancate risposte. I risultati sono pertanto calcolati sul totale di imprese che hanno risposto alla domanda.

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D’altra parte, confermando quanto è emerso analizzando il campione complessivo, disponibilità di garanzie accessorie e conoscenza diretta del responsabile di fi liale rappresentano ancora i fattori che, secondo le imprese del sotto-campione, rappre-sentano maggiore rilevanza nell’accessibilità al credito. Va però sottolineato che una quota signifi cativa di imprese femminili sottolinea l’importanza di una adegua-ta patrimonializzazione e di una buona capacità di creare reddito, evidenziando una sensibilità maggiore rispetto al campione complessivo per le tematiche a lungo dibattute in vista di Basilea 2.

Ripartizione del sotto-campione per tipo di fattori giudicati utili nei rapporti con le banche

(risposte multiple)

19,0% 16,7%

42,9%

28,6%23,8%26,2%

C o mpetitività G radi dipatrimo nializzazio ne

P ro s pettive dimerc ato

G aranzie C o no s c enza diretta N o n indic a

Un’attenzione minore è invece dedicata alla copertura assicurativa dei rischi di credito e/o fi nanziari, poco considerati dalle imprenditrici del sotto-campione che si orientano invece verso prodotti assicurativi più tradizionali, quali polizze a coper-tura di danni diretti o indiretti o per la responsabilità civile e per i rischi personali dell’imprenditore.

Ripartizione del sotto-campione per tipologia di assicurazione stipu-lata (risposte multiple)

2,4

2,4

2,4

14,3

19,0

21,4

28,6

42,9

7,1

Rischio di credito

Rischi finanziari

Danni indiretti

Rischi imprenditore

Rischi collaboratori

Responsabilità civile

Danni diretti

Nessuna copertura

Non indica

10. La rischiosità del sotto-campione

Per completare la descrizione del sotto-campione di imprese femminili esaminate in questo focus, si presentano i risultati di una simulazione che, per quanto statistica-mente poco rappresentativa, può comunque contribuire a identifi care una linea di tendenza generale e ad evidenziare eventuali fenomeni di interesse che potranno essere successivamente approfonditi.

Il confronto con il campione provinciale evidenzia subito una peculiarità: le imprese femminili presentano una rischiosità relativa inferiore alla media provinciale. Mentre infatti ben il 16,7% si colloca nella fascia di Solvibilità (contro il 7% del cam-pione complessivo), solo il 7,1% rientra nella fascia di Rischio (contro l’11,7%).

Confronto tra il sottocampione e il campione provinciale

76,2% 81,3%

11,7%7,0%16,7%

7,1%

Imprese femminili Campione

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Provando a isolare le singole variabili già analizzate in precedenza, emerge un dato sorprendente: ben il 23,3% delle ditte individuali si colloca nella fascia di Solvibilità a differenza di quanto accade tra le società di persone dove nessuna azienda rientra in questa fascia. Viceversa, nella fascia Rischio, la dinamica è sostanzialmente simile tra i due gruppi di imprese, come dimostra il fatto che a una percentuale del 6,7% tra le ditte individuali si contrappone l’8,3% tra le società di persone.

Distribuzione delle imprese del sotto-campione lungo la scala di ranking per forma giuridica

Solvibilità Vulnerabilità Rischio TotaleDitte individuali 23,3% 70,0% 6,7% 100,0%Società di persone 0,0% 91,7% 8,3% 100,0%Sotto-campione 16,7% 76,2% 7,1% 100,0%

Le imprese manifatturiere e di costruzioni a titolarità femminile sono poco numerose e quindi non signifi cative da un punto di vista statistico. Gran parte del sotto-cam-pione è costituito, come si è avuto modo di anticipare, da imprese del commercio e dei servizi, che presentano una performance nettamente divergente tra loro. Tra le imprese dei servizi, infatti, è notevole la presenza di aziende nella fascia di Solvibilità (25%) ma altrettanto elevata è la presenza nella fascia di Rischio (10%). Al contrario, tra le imprese del commercio, sono poco numerose le aziende sia in fascia Solvibilità (5,9%) sia nella fascia di Rischio (5,9%).

Distribuzione delle imprese del sotto-campione lungo la scala di ranking per macro-settore

Solvibilità Vulnerabilità Rischio TotaleCommercio 5,9% 88,2% 5,9% 100,0%Costruzioni 25,0% 75,0% 0,0% 100,0%Manifatturiero 0,0% 100,0% 0,0% 100,0%Servizi 25,0% 65,0% 10,0% 100,0%Sotto-campione 16,7% 76,2% 7,1% 100,0%

Ripartendo invece le aziende per classe di anzianità, si osserva una notevole cor-relazione tra anno di costituzione e distribuzione delle imprese lungo la scala di ranking. La numerosità delle imprese nella fascia di Solvibilità cresce notevolmente all’aumentare dell’anzianità delle aziende. Viceversa, solo le imprese più giovani sono presenti nella fascia di Rischio.

Distribuzione delle imprese del sotto-campione lungo la scala di ranking per classe di anzianità

Solvibilità Vulnerabilità Rischio Totale

Prima del 1971 50,0% 50,0% 0,0% 100,0%1971-80 50,0% 50,0% 0,0% 100,0%1981-90 42,9% 57,1% 0,0% 100,0%1991-00 8,3% 91,7% 0,0% 100,0%2001-06 5,3% 78,9% 15,8% 100,0%

Sotto-campione 16,7% 76,2% 7,1% 100,0%

La scarsa disponibilità di dati relativi alla variabile fatturato impedisce di proporre una valutazione dell’infl uenza di questa variabile sul livello di rischiosità relativa delle imprese. L’infl uenza dell’aspetto dimensionale può invece essere se non veri-fi cata quantomeno intuita considerando il numero di addetti. La scarsa numerosità di imprese con oltre 5 addetti rende diffi cile poter offrire delle stime statisticamente signifi cative della loro rischiosità, ma nelle classi dimensionali minori appare evi-dente la relazione tra dimensione e performance nella fascia di Solvibilità, mentre nella fascia di Rischio le uniche presenze si registrano tra le imprese con un solo addetto.

Distribuzione delle imprese del sotto-campione lungo la scala di ranking per classe di addetti

Solvibilità Vulnerabilità Rischio TotaleNessuno 11,1% 88,9% 0,0% 100,0%

Uno 12,5% 50,0% 37,5% 100,0%Da 2 a 5 30,8% 69,2% 0,0% 100,0%

Da 6 a 10 0,0% 100,0% 0,0% 100,0%Oltre 10 0,0% 100,0% 0,0% 100,0%

Sotto-campione 16,7% 76,2% 7,1% 100,0%

Esaminando l’ampiezza del mercato di riferimento, si nota che la numerosità delle imprese nella fascia di Rischio aumenta progressivamente al diminuire dell’area di riferimento, mentre non emerge un chiaro legame tra mercato e rischiosità nella fascia di Solvibilità.

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Distribuzione delle imprese del sotto-campione lungo la scala di ranking per mercato di riferimento

Solvibilità Vulnerabilità Rischio TotaleQuartiere 33,3% 33,3% 33,3% 100,0%

Città 0,0% 84,6% 15,4% 100,0%Regione 25,0% 75,0% 0,0% 100,0%

Italia 25,0% 75,0% 0,0% 100,0%Estero 0,0% 100,0% 0,0% 100,0%

Sotto-campione 16,7% 76,2% 7,1% 100,0%

Conclusioni

La simulazione è stata effettuata su un campione di 300 imprese della provincia di Vibo Valentia e si è basata sull’applicazione di uno specifi co modello econometrico. L’analisi si è concentrata su alcune variabili di riferimento, verifi cando se e in che misura esse vadano a incidere sulla distribuzione delle imprese lungo la scala di ranking.

In generale, la simulazione presenta risultati buoni: l’88,3% del campione, infatti, non appare a rischio elevato di default e il 7% si colloca nella fascia di eccellenza della scala di ranking. E’ un dato meno brillante di quello emerso nel campione nazionale del 2005, dove le imprese più solide costituivano il 10,3% del campio-ne. E’ da rilevare, d’altra parte, che è anche più numerosa la presenza di imprese in fascia di rischio, dove all’11,7% del campione provinciale si contrappone una media dell’1,1% a livello nazionale.

L’81,3% del campione provinciale si colloca in una fascia intermedia, qui denomi-nata, per semplicità, di vulnerabilità. Una collocazione, peraltro, che non indica un rischio più o meno imminente di default ma che, comunque, segnala, alla stregua di un campanello d’allarme fi nanziario, la presenza di criticità via via più consistenti, tali da favorire, potenzialmente, il verifi carsi di crisi di liquidità a fronte di eventi negativi o imprevisti.

Alcune delle variabili considerate si sono dimostrate utili per discriminare tra i diver-si livelli di rischiosità delle imprese del campione.

L’analisi della forma giuridica, ad esempio, evidenzia una maggior rischiosità rela-tiva delle ditte individuali (14% in fascia di Rischio, contro il 7,5% delle società di persone), anche se, per contro, esse presentano anche la maggior numerosità nella fascia di Solvibilità (7,3% contro il 6,5%).

Le imprese del commercio e dei servizi appaiono le più robuste, caratterizzandosi per una elevata numerosità nella fascia di eccellenza (rispettivamente con il 9,5% e il 7,6%) e, al contempo, presentando una minor incidenza di aziende ad alto rischio rispetto alla media (rispettivamente 8,3% e 10,2%).

Allo stesso modo, dimensioni organizzative, anagrafi che e, per certi versi, anche di mercato incidono in misura più o meno notevole sul posizionamento delle imprese lungo la scala di ranking. Al crescere della struttura delle aziende, infatti, appare migliore, in modo più o meno evidente, il risultato in termini di solidità fi nanziaria.

Ovviamente, l’entrata a regime di Basilea 2 richiederà un approccio nuovo da parte delle imprese nel rapporto con le banche, soprattutto nel caso delle società di persone e delle ditte individuali che sono, generalmente, aziende fi nanziariamente poco strutturate e sottoposte a un regime di contabilità semplifi cata. Ne derivano, spesso, non solo una scarsa trasparenza a livello contabile ma anche e soprattutto

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notevoli asimmetrie informative nel momento in cui queste aziende si rivolgono a soggetti esterni, come appunto le banche, per accedere ai capitali necessari per il fi nanziamento della propria attività.

Con l’entrata in vigore di Basilea 2, a fi anco alla valutazione “qualitativa” sulla salute dell’impresa, conterà sempre di più la valutazione “quantitativa” dei dati economici e fi nanziari delle imprese.

Aumenta, quindi, l’importanza attribuita alle informazioni sullo stato economico e fi nanziario delle aziende, desumibili dai documenti contabili dell’azienda, a di-scapito di quei dati di carattere più soggettivo che trovavano proprio nel rapporto fi duciario tra personale di banca e imprenditore una adeguata valorizzazione. Le imprese saranno “obbligate” a prestare maggiore attenzione sia all’equilibrio fi nan-ziario sia alla struttura del debito.

Signifi cativi, in tale ottica, sono dunque i risultati relativi al rapporto con il sistema bancario emersi dall’indagine. Le imprese dimostrano di coltivare rapporti duraturi, nella maggior parte dei casi con una sola banca, ma si tratta di un rapporto a volte diffi cile, dove il costo del credito rimane una questione aperta. Conoscenza perso-nale con i responsabili di fi liale e disponibilità adeguata di garanzie restano, per buona parte delle aziende, elementi decisivi per facilitare la concessione del credi-to, mentre è ancora relativamente scarsa l’attenzione alla patrimonializzazione e ad altri elementi “quantitativi” su cui si dovrebbe invece concentrare l’attenzione in considerazione degli effetti operativi di Basilea 2.Il nuovo accordo avrà, inevitabilmente, effetti più o meno positivi per le imprese sull’accessibilità al credito, ma sono relativamente poche le aziende che fi nora si sono occupate di adattarsi al nuovo contesto, sia dal punto di vista organizzativo, sia nell’ottica della costruzione di un rapporto più trasparente con i fi nanziatori. Va comunque sottolineato che le indagini e le simulazioni, che Unioncamere e le Ca-mere di Commercio hanno svolto nel corso degli ultimi anni, mostrano un tessuto di piccole imprese in movimento, nonostante le diffi coltà contingenti, che dimostra di avere i requisiti, anche fi nanziari, per affrontare la fase di transizione in corso, ma che necessita di adeguati strumenti di sostegno e di accompagnamento. A completamento del lavoro, si è voluto dedicare uno specifi co focus alle imprese femminili che stanno acquisendo un ruolo sempre più importante nel contesto pro-duttivo nazionale. Si tratta di imprese tendenzialmente giovani, con un mercato limitato nella maggioranza dei casi ai confi ni provinciali, anche in considerazione della preponderante presenza di imprese del commercio e dei servizi al dettaglio. Il rapporto con le banche, confermando il trend complessivo del campione provincia-le, è profondo e notevolmente fi delizzato ma, al tempo stesso, è viva la sensibilità al problema dell’accesso al credito. L’affi dabilità delle imprese femminili appare tendenzialmente maggiore rispetto al campione complessivo anche se, ovviamente, la scarsa numerosità di aziende nel sottocampione oggetto del focus impedisce di fare proiezioni certe sulla realtà effettiva dell’universo provinciale.

NOTA METODOLOGICA

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Il modello di valutazione del rischio di credito che è stato sviluppato non presenta le caratteristiche consuete di un modello default-mode. Ciò è dovuto al fatto che non si dispone di una serie storica di dati e soprattutto non c’è la disponibilità di dati relativi a soggetti in situazione di default. Considerate queste premesse ed il tipo di dati a disposizione (variabili discrete e non continue), si è proceduto nel seguente modo:v determinazione di una soglia di rischio e costruzione di un “punto di default”;v costruzione di un modello di scoring in grado di ordinare i soggetti sulla base del “punto di default” individuato.L’impianto di questa metodologia si differenzia dalle consuete analisi di credit-sco-ring poiché il set di dati disponibile non corrisponde ad un portafoglio bancario, quindi ad una popolazione già pre-selezionata, ma rispecchia in modo molto più signifi cativo la reale situazione delle imprese di questa tipologia sul territorio nazio-nale. Inoltre, questo modello, considerato il tipo di portafoglio cui si riferisce (per lo più SME-RETAIL, secondo la defi nizione di Basilea 2), offre la possibilità di eseguire delle valutazioni a moduli, a seconda della disponibilità dei dati. Esistono, infatti, 3 step di valutazione:- variabili anagrafi che;- variabili anagrafi che e relative all’operatività aziendale;- variabili anagrafi che, relative all’operatività aziendale ed economiche.La metodologia seguita per la determinazione delle classi di rischio si riconduce alle moderne tecniche di Credit Scoring attualmente in uso. Partendo dal campione pre-cedentemente determinato, è stata costruita una “soglia di rischiosità” in modo da individuare dei soggetti teoricamente rischiosi in modo esogeno rispetto alle analisi successive e quindi poter utilizzare gli indicatori e le variabili disponibili per trovare i soggetti precedentemente selezionati come rischiosi. Considerato il tipo e le carat-teristiche delle imprese oggetto dell’analisi si è proceduto ad individuare una soglia di rischiosità che fosse strettamente legata alla gestione della liquidità.Per non incorrere in una valutazione strettamente point in time è stato utilizzato il rapporto tra debito e fatturato medio dei tre anni disponibili. Il valore di riferimento è stato individuato nel 70%. Questa scelta è dovuta al fatto che per questo tipo di soggetti che di solito non dispongono di elevate immobilizzazioni il rapporto di indebitamento sul fatturato determina in modo molto signifi cativo lo stato di salute dell’azienda. Inoltre il tasso medio delle sofferenze rilevato dalla Banca d’Italia per il segmento corporate si aggira intorno al 2,50% e considerata la naturale maggior rischiosità di soggetti più piccoli (in termini di valore degli assets e dimensione del fatturato) il dato riscontrato nel campione sembra essere una buona approssima-zione della possibile effettiva rischiosità dei soggetti esaminati. L’indice di rischio scelto è quindi:

Debito bancario medio triennaleDef = > 0,7

Fatturato medio triennale

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Di seguito, sono elencate le variabili utilizzate per lo sviluppo del modello:

Anagrafi caVariabili discrete appartenenti all’area anagrafi ca

Variabili ModalitàForma giuridica 4Provenienza geografi ca (macro-aree) 3Settore di attività 5

Variabili discrete appartenenti all’area di operatività aziendale

Variabili ModalitàAnno fondazione 6Numero fi liali 5Area territoriale 8Numero collaboratori 6Numero fornitori 12Numero clienti 7Rapporto collaborazione fornitori 4Tipo vendita 7Rapporto consegna/pagamento 8Tempi incasso 8Numero banche 5Banca di fi ducia 7Operazione bancaria più rilevante 9 Variabili discrete appartenenti all’area economica

Variabili ModalitàPercentuale costi diretti 5Percentuale costi indiretti 5Percentuale imposte 7Utile lordo 8Utile reinvestito 7Capitale personale investito 3Immobilizzazioni materiali e immateriali 4

Per la costruzione degli indicatori economici, i valori di fatturato e debito sono stati discre-tizzati in modo da disporre di indicatori che presentassero le stesse caratteristiche e da non utilizzare variabili fortemente correlate con la situazione di rischio dei soggetti esaminati.

Discretizzazione di fatturato e debitoClassi di fatturato Classi di debito Valori variabili< 50.000 < 20.000 1< 150.000 < 50.000 2< 500.000 < 70.000 3< 1.000.000 < 100.000 4> 1.000.000 > 100.000 5 Partendo dagli indicatori presenti nel campione sono state costruite e valutate le seguenti combinazioni di indici:1. Fatturato + area territoriale2. Fatturato + settore di attività3. Fatturato + numero medio fornitori4. Fatturato + numero medio clienti5. Fatturato + numero medio banche6. Debito + numero medio fornitori7. Debito + numero medio clienti8. Debito + numero medio banche9. Fatturato - costi diretti10. Fatturato - costi indiretti11. Pressione fi scale + area territoriale12. Pressione fi scale + settore di attività13. Pressione fi scale + Numero dipendenti14. Utile lordo + Fatturato15. Costi indiretti + numero medio fornitori16. Costi indiretti + numero medio clienti17. Costi indiretti + pressione fi scale18. Costi diretti + numero medio fornitori19. Costi diretti + numero medio clienti20. Costi diretti + pressione fi scale21. Costi diretti + costi indiretti22. Utile operativo + costi diretti + costi indiretti

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In sintesi il database predisposto per la costruzione del modello di valutazione pre-senta le seguenti caratteristiche:

3 variabili anagrafi che13 variabili relative all’area di operatività dell’azienda7 variabili di carattere economico22 indicatori (discreti)

La metodologia adottata si articola in due principali momenti che verranno sinteti-camente illustrati:Fase 1 - Analisi univariataConsiderando le aree di appartenenza delle variabili coinvolte e le correlazioni all’interno di ogni area, vengono selezionati gli indicatori migliori in termini di per-formance e meno correlati tra loro.Fase 2 - Analisi multivariataCon gli indicatori selezionati precedentemente viene costruita una regressione di tipo logistico lineare in modo da poter incrementare la performance degli indicatori singoli e in modo da ottenere come risultato di output un valore compreso tra 0 e 1 che indica la distanza relativa di un soggetto dalla soglia di rischio.

Modulo anagrafi ca (modulo 1)Le variabili coinvolte sono:v Macro-area geografi cav Tipo di societàv Settore di attività

Parametri per il modulo anagrafi caParametri Peso %Macro-area geografi ca 51,61%Tipo di società 24,60%Settore di attività 23,79%

La performance13 media del modulo anagrafi co è: 9,25% con un volatilità pari al 4,11%.

13 Come si è avuto modo di anticipare, per “performance” si intende la capacità del modello di fornire una rappresen-tazione della rischiosità del campione il più possibile omogenea con la realtà imprenditoriale di riferimento.

Modulo anagrafi ca - area operativa (modulo 2)Le variabili coinvolte nella stima di questo secondo modello sono:v Macro-area geografi cav Tipo di societàv Settore di attivitàv Numero di fi lialiv Numero di fornitoriv Numero di clientiv Rapporto di collaborazione con fornitoriv Numero di banchev Banca di fi duciav Operazione più importante

Le variabili analizzate sono state scelte sulla base delle valutazioni effettuate in sede di analisi univariata e rappresentano un incremento dell’informazione rispetto al modulo 1.72

Parametri utilizzati per l’analisi di performanceParametri Peso %Intercetta –––Macro-area geografi ca 11,93%Tipo di società 2,01%Settore di attività 0,00% Numero di fi liali 9,30%Numero di fornitori 4,26%Numero di clienti 2,16%Rapporto di collaborazione con fornitori 24,11%Numero di banche 9,84%Banca di fi ducia 15,92%Operazione più importante 20,47%

Il settore di attività si trova ad avere peso nullo e quindi viene eliminato dalle varia-bili contenute nel modulo 2.La performance media del modulo 2 è del 44,20% con un volatilità pari al 3,25%.

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Modulo integrato (modulo 3)

Le variabili coinvolte nella stima di questo terzo modello sono:v Area anagrafi cav Area operativav Fatturato + area territorialev Immobilizzazioni materiali e immaterialiv Fatturato + settore di attivitàv Fatturato + numero banchev Fatturato - costi indirettiv Fatturato + numero clientiv Fatturato - costi direttiv Utile reinvestitov Percentuale costi direttiv Fatturato + numero fornitoriv Debito + numero banchev La distribuzione dei parametri per la valutazione del modulo 3 è la seguente:

Parametri utilizzati per la stima delle performance

Parametri Peso %Intercetta –––Macro-area geografi ca 4,57%Tipo di società 0,89%Settore di attività 5,15%Numero di fi liali 2,18%Numero di fornitori 6,15%Numero di clienti 6,49%Rapporto di collaborazione con fornitori 3,75%Numero di banche 4,42%Banca di fi ducia 1,38%Operazione più importante 2,20%Capitale personale investito 1,66%Immobilizzazioni materiali e immateriali 1,89%Fatturato + area territoriale 1,71%Fatturato + settore di attività 4,60%Fatturato + numero medio fornitori 6,18%Fatturato + numero medio clienti 6,33%Fatturato + numero medio banche 17,07%Debito + numero medio banche 21,99%Fatturato - costi diretti 0,51%Fatturato - costi indiretti 0,89% La performance media del modulo 3 è del 91,78% con una volatilità di 1,20%.

Analisi di performance per i 3 modelliModulo 1 Modulo 2 Modulo 3

Accuracy Ratio 9,25% 44,20% 91,78%Accuracy 28,82% 73,23% 85,80%Error Rate 72,18% 26,77% 14,20%

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Costruzione delle classi di rischiosità

Sulla base dell’ordinamento creato è stata valutata la distribuzione dei punteggi attribuiti ai singoli soggetti.Le classi di rischiosità individuate sono 11, identifi cate dalle seguenti etichette:74

Classe DescrizioneI Solvibilità 1II Solvibilità 2III Solvibilità 3IV Vulnerabilità 1V Vulnerabilità 2VI Vulnerabilità 3VII Vulnerabilità 4VIII Vulnerabilità 5IX Rischio 1X Rischio 2XI Rischio 3

Le prime tre classi (“Solvibilità” 1, 2 e 3) raggruppano le imprese più affi dabili. Le classi centrali (“Vulnerabilità”1,2,3,4 e 5) riuniscono, invece, le imprese che presen-tano delle criticità strutturali, economiche, organizzative, che potrebbero provocare delle situazioni di crisi. Le ultime tre classi (“Rischio” 1, 2 e 3) coinvolgono, infi ne, le imprese che presentano notevoli criticità e le rendono particolarmente rischiose.

Valutazione dei risultatiI risultati ottenuti dall’applicazione del modello al campione per i tre moduli predi-sposti sono illustrati nella tabella seguente:

Distribuzione per i tre moduliClasse Modulo 1 Modulo 2 Modulo 3I 4,36% 0,02% 2,99%II 6,23% 0,08% 3,22%III 12,73% 0,21% 4,11%IV 20,10% 0,94% 13,08%V 27,98% 28,57% 30,43%VI 8,09% 43,06% 28,87%VII 3,86% 18,71% 14,73%VIII 5,47% 7,14% 1,44%IX 6,59% 1,21% 0,53%X 4,02% 0,06% 0,56%XI 0,56% 0,02% 0,03%

I dati presentati nella ricerca riguardano l’analisi dei risultati effettuata soltanto con il modulo 3, in quanto è sicuramente il più completo ed il più utile ai fi ni della va-lutazione della rischiosità del territorio. Il modulo 1 ed il modulo 2 possono essere utilizzati con buona approssimazione in sede di indagine esplorativa, qualora non si disponga ancora di tutti i dati necessari per una valutazione approfondita.

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VADEMECUM

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CHE COS’È BASILEA 2?Basilea 2 è il cosiddetto Nuovo Accordo di Basilea, che defi nisce, a livello inter-nazionale, i requisiti patrimoniali delle banche in relazione ai rischi derivanti dai crediti concessi e introduce nuove e più sofi sticate metodologie di valutazione delle imprese che intendano accedere al credito. Secondo Basilea II le banche dei paesi aderenti dovranno classifi care i propri clienti in base alla loro rischiosità, attraverso procedure di rating. Dovranno, successivamente, accantonare delle quote di capi-tale defi nite in base al livello di rischio dei rapporti di credito accordati per tutelarsi dai rischi assunti.

A PARTIRE DA QUANDO LE BANCHE VALUTERANNO LAMIA IMPRESA CON I NUOVI PARAMETRI?L’accordo di Basilea è divenuto pienamente operativo a partire dal 2006, tuttavia le banche devono avere fatto per almeno due anni valutazioni sulla clientela con le nuove metodologie.Ciò signifi ca che, di fatto, le banche che intendono usare il sistema dei rating inter-ni, hanno già iniziato a utilizzare le procedure di valutazione del rischio previste da Basilea 2 nel corso del 2003.Poiché nella valutazione della rischiosità di un’impresa saranno considerati non solo caratteristiche e andamenti attuali e futuri ma anche l’andamento passato del-l’azienda,è necessario che fi n da ora le imprese si adeguino alle nuove procedure utilizzate dalla banca e forniscano tutte le informazioni utili per la valutazione della propria azienda.

QUALI SARANNO I SOGGETTI INTERESSATI?Basilea 2 garantisce che il patrimonio delle banche sia suffi ciente per far fronte a situazioni di crisi e, in special modo, a casi di insolvenza da parte dei clienti. Ma i soggetti coinvolti non sono soltanto le banche. Il capitale di riserva che esse de-tengono, infatti, dipende direttamente anche dalla qualità e dalle caratteristiche dei prestiti concessi ai clienti.

Ne consegue che anche i clienti delle banche, in primis le imprese, potranno subire indirettamente gli effetti del nuovo accordo di Basi-lea.Infatti:v quanto maggiore è il rischio rappresentato dal cliente, tanto maggiore è il ca-pitale che la banca deve accantonare;v quanto maggiore è il capitale accantonato, tanto maggiori potranno essere i costi di gestione per la banca;v quanto maggiori sono i costi che la banca deve sopportare, tanto maggiore potrà essere il costo del denaro per l’impresa cliente che chiede il prestito.

Ne consegue che quanto maggiore è la rischiosità del cliente, tanto maggiori potranno essere gli oneri e tanto più stringenti le condizioni per la concessione del prestito.

ANCHE LE PMI SARANNO INTERESSATE DAI CAMBIAMENTI IMPOSTI DA BASILEA 2?Basilea 2 vale per tutti i clienti che richiedono un fi nanziamento, di qualsiasi tipo, alla banca.Anche le piccole imprese, quindi, saranno sottoposte a valutazione per l’assegnazione dei rating.Basilea 2 tiene conto delle diversità tra piccole e grandi imprese e tra piccoli e grandi prestiti.Le imprese minori che richiedono prestiti inferiori a un milione di euro rientreranno nel segmento retail che godrà di condizioni migliori sia rispetto al segmento corporate in cui rientrano le grandi imprese, sia rispetto al segmento SME corporate in cui rientrano le PMI con prestiti di entità maggiore.

MA COME FACCIO A CAPIRE SE LA MIA AZIENDA RIENTRA NEL SETTORE CORPORATE O RETAIL?Le differenze sostanziali tra i segmenti corporate e retail sono sintetizzate nello schema seguente.

Tipo di impresa Caratteristiche Trattamento

CORPORATEFatturato: > 50 milioni di euroApproccio standard: ponderazione basata sul ratingRating calcolato dalla banca negli altri approcciCoeffi ciente di correlazione: dal 12 al 24%

SME CORPORATEFatturato: tra i 5 milioni e i 50 milioni di euroFinanziamento: >1 milione di euroApproccio standard: ponderazione basata sul ratingRating calcolato dalla banca negli altri approcciCoeffi ciente di correlazione: dall’8 al 20%

RETAILFatturato: < 5 milioni di euroFinanziamento: < 1 milione di euroApproccio standard: ponderazione fi ssa del 75%Rating predefi nito retail negli altri approcciCoeffi ciente di correlazione: dal 2 al 17%

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NON SONO UNA SOCIETÀ DI CAPITALI, COME FA LABANCA A VALUTARMI?Le istruttorie non cambieranno in modo sensibile, il procedimento di valutazione resterà lo stesso. Anche in questo caso però verrà dato un grosso peso alle carat-teristiche patrimoniali e di redditività. Verranno individuati dei raggruppamenti di clientela con caratteristiche simili (“pool”) ed a questi verrà applicato sostanzialmen-te lo stesso prezzo.Ancora una volta il “voto” dato dalla banca diviene la variabile chiave per ottenere credito a condizioni accessibili.

QUESTO VALE ANCHE PER LE COOPERATIVE?Tutte le cooperative, comprese quelle a mutualità prevalente, saran-no valutate secondo i parametri previsti da Basilea 2. Così come avviene per le altre imprese, potranno rientrare nel segmento corporate o retail in base al tipo e all’ammontare del fi nanziamento richiesto. Poiché sulla base del nuovo diritto societario le cooperative dovranno rispondere delle obbligazioni sociali col proprio patrimonio, esse saranno tenute a perseguire l’equilibrio della struttura fi nanziaria e a garantire una adeguata redditività gestionale.

IN CHE MODO MI VALUTERÀ LA BANCA?La valutazione terrà conto di tre categorie di informazioni:•quantitative•qualitative•andamentali

COSA SONO LE INFORMAZIONI QUANTITATIVE?Le informazioni quantitative sono informazioni di carattere economico-fi nanziario reperibili nei bilanci e negli altri documenti contabili delle imprese. Le informa-zioni reperibili nel bilancio avranno un peso determinante nella valutazione dell’impresa. Le banche dovranno comunque tener conto anche degli aspetti quali-tativi e andamentali.

COSA SI INTENDE PER ASPETTI QUALITATIVI?Gli aspetti qualitativi più importanti sono sicuramente l’esistenza di un processo di controllo di gestione, la presenza di una pianifi cazione pluriennale dell’operatività, la struttura dell’organizzazione aziendale ed il tipo di governance (amministratore unico, gestione familiare, consiglio di amministrazio-ne, etc.). Molto importanti sono anche i risultati ottenuti dall’azienda rispetto alle previsioni e all’andamento del settore di appartenenza.

E PER ASPETTI ANDAMENTALI?Per aspetti andamentali si intendono i rapporti che il cliente ha avuto in precedenza con le banche. In questo caso, la valutazione si baserà su due fonti di informazio-ne:v dati desumibili dalla Centrale dei Rischiv rapporti precedenti con le banche di riferimento.I dati della Centrale dei Rischi contribuiranno a formulare il giudizio sul merito del credito delle imprese. Sulla base di questi dati, infatti, si può valutare l’andamento dei prestiti delle imprese nel corso del tempo, l’eventuale tendenza a “sforare” ri-spetto al credito concesso e i tempi di “rientro”. Si tratta di elementi che concorrono a valutare la rischiosità dell’impresa e incidono quindi sul tasso di interesse imposto sui prestiti concessi all’impresa. I rapporti precedenti con la banca, insieme ai dati forniti dalla Centrale dei Rischi, contribuiranno, quindi, a determinare il giudizio sul rating dell’impresa. Eventuali problemi insorti in passato con la banca potrebbero infl uire negativamente sulla valutazione dell’impresa. D’altra parte, un’opportuna strategia, eventualmente condivisa con la banca di riferimento, che consenta di cor-reggere le precedenti criticità, potrà senz’altro incidere sugli esiti dell’analisi quali-tativa e quindi infl uire positivamente sul giudizio complessivo dato dalla banca.

MA LA BANCA CONOSCE ANCHE I MIEI RAPPORTI CON ALTRI ISTITUTI DI CREDITO?Sì. Utilizzando le informazioni disponibili presso la Centrale dei Rischi, le banche possono conoscere le posizioni debitorie che i clienti hanno verso altre banche.

COS’È LA CENTRALE DEI RISCHI?La Centrale dei Rischi è un servizio accentrato di informazioni sui rischi bancari gestito dalla Banca d’Italia. Questo servizio consente alle banche, attraverso la raccolta di informazioni provenienti da tutti gli istituti di credito sui propri clienti, di conoscere le posizioni debitorie che i clienti abbiano verso altre banche. Le banche, infatti, hanno l’obbligo di segnalare alla Centrale dei Rischi sia le posizioni “in sof-ferenza” dei clienti, sia gli affi damenti che abbiano superato i 75.000 euro.

IN CHE MODO L’ANDAMENTO DEL MIO SETTORE PUÒ INFLUENZARE LA VALUTAZIONE DELLA MIA AZIENDA?Le valutazioni sul settore di operatività dell’azienda saranno sicuramente prese in considerazione, poiché è ovvio che un settore in crisi abbia delle conseguenze im-mediate sugli operatori diretti.Tuttavia la nuova normativa prevede specifi camente che le valutazioni degli istituti di credito dovranno essere fatte in modo da tenere in considerazione il ciclo eco-nomico in corso e quindi c’è da presumere che in una fase di recessione o crisi del settore i parametri di giudizio siano più morbidi che in una fase di crescita.

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GLI ASPETTI QUANTITATIVI, QUALITATIVI E ANDAMENTALI PESANO ALLO STESSO MODO NELLA VALUTAZIONE DELLA MIA IMPRESA?Una delle novità introdotte dal Nuovo Accordo riguarda proprio il peso attribuito a questi aspetti, fondamentali nella valutazione della clientela. Sicuramente pese-ranno sempre di più gli aspetti di carattere quantitativo, poiché sono più oggettivi e verifi cabili, specialmente per le imprese di media dimensione. Gli aspetti qualitativi avranno un peso signifi cativo nella valutazione di aziende molto piccole, ma saranno sempre in secondo piano rispetto ai “numeri” dell’azienda (volendo attribuire una “percentuale” alle due aree di analisi potremmo dire che mediamente gli aspetti quantitativi peseranno per il 75% mentre quelli qualitativi per il restante 25%).

LE BANCHE MI VALUTERANNO TUTTE NELLO STESSO MODO?Questo dipende da come la banca utilizzerà le possibilità offerte dal nuovo accor-do. Quest’ultimo prevede la possibilità di seguire tre vie diverse per la valutazione della clientela. La prima di queste (approccio standard) non modifi ca molto le cose rispetto al passato, ma rappresenterà un costo per le banche che cercheranno quindi di avere al più presto i requisiti per adottare le altre due vie (approccio“base” ai rating interni ed approccio “avanzato” ai rating interni). Istituti che seguono la stessa via seguiranno tendenzialmente lo stesso metodo di valutazione.

IL DENARO COSTERÀ DI PIÙ O DI MENO?Questo dipende dal giudizio complessivo sulla rischiosità del prestito concesso all’azienda. L’obiettivo dell’accordo di Basilea è proprio quello di incentivare la banche a premiare la clientela migliore ed a limitare la concessione del credito alla clientela più rischiosa. Questo signifi ca che se l’azienda riceverà un buon giudizio potrà pagare il denaro di meno, altrimenti pagherà sicuramente molto di più o peggio si vedrà chiudere le porte di accesso al credito bancario.

QUALI ELEMENTI SONO CONSIDERATI PER DETERMINARE IL COSTO DEL CREDITO PER UNA AZIENDA?I parametri che vengono valutati sono principalmente 3:v Il giudizio sul merito creditizio dell’azienda (rating)v Il tasso di recupero (quanto si stima di recuperare in caso di insolvenza del cliente)v L’esposizione al momento dell’insolvenza (vale a dire quanto si stima che il cliente debba ancora restituire al momento dell’insolvenza) Oltre a questi parametri che sono sempre presi in considerazione, sono molto im-portanti anche altri fattori quali la durata ed il tipo di rimborso.

COS’È IL RATING?Con Basilea 2, il giudizio sulla qualità/rischiosità del cliente sarà espres-so con un “voto” (rating) a cui è associata automaticamente, sulla base del-l’esperienza maturata dalla banca, una determinata probabilità di insolvenza (pro-bability of default, PD in gergo tecnico). Quanto maggiore è il punteggio assegnato, tanto minore è il rischio per la banca e tanto minore il tasso di interesse applicato sul prestito. Quanto minore è il punteggio assegnato, tanto maggiore è il rischio per la banca e tanto maggiore potrà essere il tasso di interesse applicato sul prestito. Le scale su cui si basa il rating variano a seconda del modello utilizzato. I due più utilizzati sono:modello Standard & Poor’s: da AAA (miglior voto possibile) a D (situazione di insolvenza)modello Moody’s: da AAA (miglior giudizio possibile) a C (altissima probabilità di insolvenza)

IL RATING SI PUÒ NEGOZIARE?No. Il rating non si può negoziare.Rappresenta un giudizio sulla rischiosità del cliente e si basa sulla sua situazione reale.

IL RATING PUÒ ESSERE MIGLIORATO?Sì. L’impresa può intervenire sulla propria struttura fi nanziaria per correggere le cri-ticità che concorrono ad abbassare il voto, riducendo quindi la propria rischiosità e migliorando il rating.

QUINDI IL RATING PUÒ VARIARE NEL TEMPO?Il rating viene rivisto periodicamente, almeno una volta all’anno, per tener conto degli eventuali cambiamenti intervenuti nella struttura e nelle performances dell’impresa cliente.

COME FACCIO A CONOSCERE IL MIO RATING?Le banche non sono obbligate a comunicare il rating ai propri clienti. Possono però decidere liberamente di informare la clientela affi nché possa eventualmente correggere le criticità che concorrono a peggiorare il rating. Questa informazione non è tuttavia suffi ciente per capire se si è stati valutati correttamente e se il profi lo di rischio assegnato è coerente con la situazione aziendale. Bisogna innanzitutto farsi dire quante classi di rating sono previste dalla banca (la normativa ne prevede un minimo di 9, ma è possibile che siano di più). Questa informazione dà già un orientamento più concreto relativo al posizionamento occupato dall’azienda. Le banche, però, non vi diranno la probabilità di insolvenza, ma diranno ad esempio che l’azienda ha rating “1”. Questo non vuol dire che il prezzo del rating “1” di un istituto corrisponda al prezzo del rating “1” di un altro istituto. L’ideale sarebbe conoscere l’effettiva probabilità di insolvenza, ma diffi cilmente si avrà accesso a questo tipo di informazione.

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COS’È LA PROBABILITÀ DI INSOLVENZA (PD)?La probabilità di insolvenza è il risultato di un’elaborazione statistica sui dati for-niti dall’impresa (bilancio, informazioni qualitative e andamentali). Si tratta di un numero compreso tra 0 e 1 che identifi ca la probabilità che un cliente non sia in grado di onorare i suoi impegni nell’anno seguente. La PD concorrerà, insieme ad altri elementi di valutazione, quali LGD e EAD (defi niti nei quesiti successivi), a de-terminare la rischiosità complessiva del prestito e, da ultimo, il tasso di interesse e le condizioni applicate al fi nanziamento. Chiaramente più alta è la probabilità di insolvenza, maggiore è il ri-schio assunto e maggiore potrà essere il prezzo del credito.

COS’È IL DEFAULT?Per default si intende lo stato di insolvenza di un cliente a cui la banca ha concesso un prestito.Attenzione! Per Basilea 2, il concetto di insolvenza non è limitato solo al caso in cui la banca ritenga improbabile che il cliente possa rimborsare il prestito, come avviene ora. Al contrario, si considera in default anche il cliente che ritardi il pagamento o il rimborso di una o più parti del fi nanziamento per oltre 180 giorni.

COSA SI INTENDE PER LGD?Secondo la bozza di accordo originale, il default sarebbe dovuto scattare dopo 90 giorni di ritardato pagamento. Considerando però le peculiarità delle PMI e di quelle italiane in particolare, è stato concesso un periodo transitorio (che per le PMI dovrebbe diventare defi nitivo) di 5 anni durante il quale vigerà la regola dei 180 giorni. La LGD, cioè la percentuale di perdita in caso di insolvenza, misura la probabile quota del fi nanziamento concesso al cliente insolvente che la banca riuscirà a recuperare effettivamente una volta terminate le procedure di contenzioso avviate nei confronti del cliente.

E PER EAD? L’EAD, ovvero l’esposizione all’insolvenza, misura la probabile quota di fi nanzia-mento effettivamente utilizzata dal cliente al momento dell’insolvenza.

COSA SI INTENDE PER MATURITY?La maturity è un parametro che serve per misurare il rischio che la qualità del presti-to concesso peggiori col passare del tempo, causando una perdita di valore per la banca. Se, ad esempio, è stato concesso un prestito a un cliente con rating A, che gode quindi di condizioni particolarmente favorevoli, l’eventuale peggioramento del rating del cliente (da A a B) comporterebbe una perdita per la banca. Infatti, il cliente, che ora ha un rating B, godrebbe di un tasso previsto per clienti con rating A, quindi inferiore a quello corretto. Ovviamente, il rischio di un peggioramento della qualità del prestito è tanto maggiore quanto migliore è il rating del cliente e quanto maggiore è la durata del prestito concesso.

LA CONOSCENZA PERSONALE CON IL DIRETTORE NON CONTA PIÙ?Sicuramente il rapporto di conoscenza personale e quindi di fi ducia che si instaura tra cliente e banca avrà un suo valore. Questo però rientrerà in quelli che abbiamo defi nito aspetti qualitativi che non avranno il peso di una volta. Uno degli obiettivi del nuovo accordo è quello di creare le condizioni per cui non ci siano canali “pri-vilegiati” di accesso al credito ed è per questo che sono divenuti così importanti i “numeri” dell’azienda. D’altra parte, con il nuovo accordo né le banche né i clienti godranno più dei margini di trattativa di prima, con i vantaggi e gli svantaggi che questo comportava.

MI CONVIENE AVERE RAPPORTI CON PIÙ BANCHE?Sicuramente conviene sentire il parere di più banche, perché l’adozione di modelli di valutazione interna signifi ca che non tutte la banche daranno lo stesso giudizio. Si creerà la possibilità di ricercare la soluzione migliore presente sul mer-cato, ma senza attendersi grosse variazioni tra il giudizio di istituti diversi. Avere rapporti con più banche può essere vantaggioso per piccoli fi nanzia-menti, ma attenzione!Un cliente che cambia spesso banca, che opera con più istituti, che chiude fi nanzia-menti accendendone altri da un’altra parte non avrà certo vita facile con la nuova normativa. Questo comportamento, infatti, andrà a incidere negativamente sulla valutazione del cliente e a peggiorare il suo rating.

LE GARANZIE SONO ANCORA UTILIZZABILI?Le garanzie possono migliorare il rating solo nel caso in cui siano concesse da un soggetto pubblico o privato, una banca o un altro ente ad essi assimilabile che disponga di un rating migliore di quello del cliente.Solo i confi di con rating uguale almeno ad A potranno concedere garanzie che vadano a incidere sul rating dell’impresa. Le garanzie potranno però incidere sul tasso di interesse praticato sui prestiti, poiché possono contribuire a migliorare la LGD, cioè la percentuale di perdita com-plessiva sul prestito concesso che la banca si attende di subire in caso di insolvenza del cliente.

COME VENGONO VALUTATI EVENTUALI INVESTIMENTI?Gli investimenti rappresentano generalmente un elemento di valutazione positiva, poiché sono indice di vitalità dell’azienda. Essi devono però essere in grado di produrre incrementi della redditività aziendale e quindi adeguati fl ussi di cassa una volta a regime. Per permettere alla banca di comprendere e apprezzare in modo adeguato il ruolo e l’impatto degli investimenti è necessario fornire una documenta-zione adeguata, quale ad esempio un piano di sviluppo o business plan. Se invece l’impresa intende avviare una nuova iniziativa, l’investimento che sarà effettuato potrà rientrare, secondo i parametri di Basilea 2, nella fi nanza di progetto e godere di un trattamento ad hoc ai fi ni della valutazione del rischio. L’impresa che intende avviare una nuova iniziativa potrebbe ricevere un doppio rating: uno per la gestio-ne ordinaria dell’azienda e uno specifi co per l’iniziativa.

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L’AFFIDABILITÀ DELLE IMPRESE NELLA PROVINCIA DI VIBO VALENTIA

LA MIA AZIENDA È SOTTO CAPITALIZZATA:QUESTO PEGGIORA IL MIO RATING?La sottocapitalizzazione rappresenta uno degli elementi penalizzanti nell’attribuzio-ne del rating, poiché rappresenta una debolezza strutturale dell’impresa. È pertanto opportuno procedere alla ricapitalizzazione dell’impresa. Tra le possibili soluzioni, si può pensare di trasformare gli eventuali debiti verso i soci in capitale di impresa. In alternativa, si possono valorizzare gli immobili eventualmente iscritti a bilancio e utilizzarli per la ricapitalizzazione dell’impresa. È il caso, ad esempio, di quegli immobili il cui valore iscritto a bilancio è “storico” e quindi inferiore a quello attuale. La loro rivalutazione rappresenta quindi uno strumento, peraltro gradito alle ban-che, per garantire una buona patrimonializzazione dell’impresa. Un discorso simile vale anche per l’eventuale disponibilità di brevetti iscritti a bilancio per un valore inferiore alla loro quotazione di mercato.Lo stesso accorgimento può essere utilizzato con i beni cosiddetti “immateriali”, quali ad esempio il know how tecnologico, che possono essere valutati economi-camente. Va, comunque, ricordato che la ricapitalizzazione dell’impresa non rap-presenta la strada obbligata da percorrere per far fronte a situazioni di squilibrio fi nanziario. Al contrario, è necessario effettuare un’accurata analisi della struttura fi nanziaria dell’impresa e valutare quali strategie seguire.