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L’EUROPA IN SENATO CONFERENZA STRAORDINARIA DEI PRESIDENTI DEI PARLAMENTI DELL’UNIONE EUROPEA 17 MARZO 2017 Senato della Repubblica

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L’EUROPA IN SENATOCONFERENZA STRAORDINARIA DEI PRESIDENTI DEI PARLAMENTI DELL’UNIONE EUROPEA

17 MARZO 2017

Senato della Repubblica

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Multilateralismo, solidarietà, diplomazia e pluralismo sono i fondamenti del metodo che ci ha condotto fin qui, l'unico che ci porterà avanti. L'Europa ha una responsabilità che eccede i suoi confini. Noi tutti insieme abbiamo segnato nella storia universale nuovi e inimmaginabili parametri di civiltà nelle relazioni politiche, nella stabilità sociale e nella promozione dei diritti e dello Stato di diritto,ma la modernità pone nuove sfide e impone di trovare altre e sempre più elevate risposte.

(dall'Indirizzo di Saluto del Presidente del Senato)

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BIBLIOTECA EUROPA

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L’EUROPA IN SENATOCONFERENZA STRAORDINARIA DEI PRESIDENTI DEI PARLAMENTI DELL’UNIONE EUROPEA

IN OCCASIONE DEL 60° ANNIVERSARIO DELLA FIRMA DEI TRATTATI ISTITUTIVI DELLE COMUNITÀ EUROPEE

17 MARZO 2017

Senato della Repubblica

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L’Europa in Senato contiene i discorsi pronunciati nell’Aula del Senato in occasione della Conferenza straordinariadei Presidenti dei Parlamenti dell’Unione europea del 17 marzo 2017, tratti dal Resoconto stenografico

In copertina: Cesare Maccari, Cicerone denuncia CatilinaPalazzo Madama, Sala Maccari

Gli aspetti grafici ed editoriali sono stati curatidall’Ufficio delle informazioni parlamentari,dell’archivio e delle pubblicazioni del Senato

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Indice

NOTA INTRODUTTIVA9

PIETRO GRASSOPresidente del Senato

15, 63

ANTONIO TAJANIPresidente del Parlamento europeo

23

DONALD TUSKPresidente del Consiglio europeo

33

FRANS TIMMERMANSVice Presidente della Commissione europea

39

GIORGIO NAPOLITANOPresidente emerito della Repubblica, Senatore a vita

45

MARIO MONTISenatore a vita

53

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SOFIA CORRADIIdeatrice del Programma Erasmus

59

PAOLO GENTILONI SILVERIPresidente del Consiglio dei ministri

65

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La mostra “Libri che hanno fatto l'Europa" nella Sala Koch di Palazzo Madama

Il Presidente del Senato Pietro Grasso accompagna i relatori della Conferenza durante la visita alTorso del Belvedere esposto in Senato

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NOTA INTRODUTTIVA

Il presente volume raccoglie gli interventi pronunciatinell'Aula del Senato il 17 marzo 2017, durante la secondasessione della Conferenza straordinaria dei Presidenti deiParlamenti dell'Unione europea. Convocata in occasionedel 60° anniversario della firma dei Trattati istitutivi delleComunità europee, la Conferenza ha offerto una straor-dinaria opportunità di riflessione sulle radici del progettoeuropeo, sulle conquiste finora realizzate e sul futuro delprocesso di integrazione.

Nelle parole degli illustri rappresentanti delle istitu-zioni nazionali ed europee che hanno partecipato ai lavoriscorgiamo una forte preoccupazione per la crescente di-saffezione dei cittadini nei confronti dell'Unione europeae per le difficoltà di quest'ultima nel fronteggiare sfideepocali quali le migrazioni, la crisi economica e il terro-rismo internazionale, ma anche – e soprattutto – la de-terminazione a proseguire nel cammino intrapreso.

Come ricordato dal Presidente emerito della Repub-blica, Giorgio Napolitano, fu proprio nell'Aula del Senato,con l'intervento nel dibattito per l'approvazione della Mo-zione sull'Unione europea dell'allora Presidente del Con-siglio Alcide De Gasperi il 15 novembre 1950, che maturòla scelta europeista dell'Italia. Una scelta che il Senato hasempre ribadito con vigore, garantendo pieno sostegnoal rafforzamento dell'integrazione in occasione dell'ap-provazione dei disegni di legge di ratifica dei Trattati eu-ropei, dal Trattato CECA al Trattato di Lisbona.

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L'Europa in Senato, 17 marzo 2017

Oggi il risorgere di nazionalismi e protezionismi non sol-tanto tra i popoli ma anche nelle classi politiche degli Statimembri rappresenta, secondo il Senatore a vita MarioMonti, una “tenaglia micidiale" per l'Europa. Affinchél'Unione sia all'altezza delle aspettative dei suoi cittadininon è, dunque, sufficiente individuare percorsi politici eistituzionali adeguati; è necessario, piuttosto, che i cittadinitornino ad essere protagonisti e promotori dell'integrazione.

Una maggiore consapevolezza dei successi dell'Europaunita e dei valori di pace, prosperità e comprensione re-ciproca che accomunano i Paesi dell'Unione è l'antidotopiù efficace alla nostalgia per un'epoca storica dominatada Stati sovrani e divisi. Nostalgia che per il Vice Presi-dente della Commissione europea Frans Timmermans ri-schia di diventare “il nuovo oppio dei popoli europei".

In realtà, è proprio nelle fasi di maggiore difficoltà chel'Unione europea ha conseguito i risultati più importanti,perseguendo i propri obiettivi con dedizione e pazienza etraendo la propria forza dalla legittimazione democratica.Come sottolineato dal Presidente del Consiglio europeo,Donald Tusk, acconsentendo al trasferimento alle istitu-zioni europee di determinate competenze proprie degliStati sovrani, i Parlamenti nazionali hanno contribuito inmisura decisiva alla costruzione dell'Unione. Nel mo-mento in cui vengono messe in discussione le fonda-menta del progetto europeo, la responsabilità delleistituzioni rappresentative è ancora più grande. Sono, in-fatti, i Parlamenti ad assicurare la salvaguardia e l'attua-zione dei princìpi democratici all'interno della complessacostruzione europea.

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Elisabetta Serafin

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La sollecitazione a svolgere un ruolo da protagonistanel rilancio del percorso europeo è stata formulata conprofonda convinzione dal Presidente del Consiglio dei mi-nistri, Paolo Gentiloni Silveri, che auspica una spinta delParlamento, e non solo un avallo, in questa direzione. Se-condo il Presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, spetta ai parlamentari nazionali ed europei “cam-biare l'immagine di un'unione astratta, poco efficace eburocratica"; “far appassionare di nuovo gli europei a ungrande progetto" e “regalare un nuovo sogno a mezzomiliardo di persone".

Perché ciò sia possibile, è necessario offrire risposteconcrete ai bisogni dei cittadini, partendo dai più giovani.L'Europa ha offerto straordinarie possibilità di crescita edi arricchimento e dischiuso nuovi orizzonti di vita allegenerazioni che non hanno conosciuto la guerra. La te-stimonianza di Sofia Corradi, ideatrice del Programma dimobilità Erasmus, ha evidenziato con grande chiarezzacome il progetto europeo si nutra di esperienze e di rela-zioni, di valori condivisi e di comprensione interculturale.

È per queste ragioni che il Senato ha scelto, in occa-sione del 60° anniversario della firma dei Trattati diRoma, di ospitare due mostre che rappresentano la stra-ordinaria pluralità culturale dalla quale emerge l'identitàeuropea: il Torso del Belvedere, proveniente dalle colle-zioni di scultura classica dei Musei Vaticani, e “Libri chehanno fatto l'Europa. Governo dell'economia e democra-zia dal XV al XX secolo", una selezione di 140 prime erare edizioni, dal 1468 al 1950, di opere dei padri del pen-siero economico, giuridico e politico del nostro Conti-

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L'Europa in Senato, 17 marzo 2017

nente. Per consolidare il progetto europeo è, infatti, ne-cessario coltivare il sentimento di appartenenza a una co-munità che condivide gli stessi valori di pace, pluralismoe solidarietà e ampliare gli spazi di partecipazione politicae culturale dei cittadini dell’Unione.

“L'Europa ha una responsabilità che eccede i suoi con-fini: noi tutti insieme abbiamo segnato nella storia uni-versale nuovi e inimmaginabili parametri di civiltà: nellerelazioni politiche, nella stabilità sociale, nella promo-zione dei diritti e dello Stato di diritto”. In queste paroledel Presidente del Senato, Pietro Grasso, è racchiuso il si-gnificato più profondo dell’integrazione europea: da unlato, l’orgoglio per gli straordinari risultati conseguiti;dall’altro, lo stimolo necessario a superare le difficoltà,procedendo insieme verso nuovi e più ambiziosi tra-guardi.

Elisabetta SerafinSegretario Generale

del Senato della Repubblica

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Il Presidente del Senato Pietro Grasso apre la Conferenza

Foto di gruppo dei relatori e dei Capi delegazione

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PIETRO GRASSOPresidente del Senato

Autorità, care colleghe e cari colleghi, signore e signori,

anche a nome del Presidente della Camera dei deputati,Laura Boldrini, desidero rinnovare il cordiale benvenutodel Senato della Repubblica in occasione della secondasessione della Conferenza straordinaria dei Presidenti deiParlamenti dell’Unione europea per il 60° anniversariodella firma dei Trattati istitutivi della Comunità europea.

Sono grato agli autorevoli relatori che hanno accettatodi intervenire per condividere le loro esperienze e la lorovisione dell’Unione. Rivolgo un saluto affettuoso alle ra-gazze e ai ragazzi che seguono questo evento dalle tri-bune. Sono certo di interpretare i sentimenti di tuttidicendo che la nostra responsabilità più grande è conse-gnare loro, che si sentono da sempre profondamente eu-ropei, una Unione più giusta, più coesa, più sicura.

Le conversazioni di ieri sera, il dibattito di questa mat-tina hanno confermato che la celebrazione parlamentaredi quel momento del 1957 non è un esercizio di stile, nonè un dovere di protocollo, ma un’opportunità che nonpossiamo permetterci di perdere.

Ricordare come eravamo significa rispettare la soffe-renza e il sacrificio di coloro cui dobbiamo la nostra li-bertà. Significa anche concepire insieme il futuro comune.Come è normale, le nostri opinioni possono divergere, ma

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credo sia emersa la comune consapevolezza che non pos-siamo restare dove siamo. Dobbiamo andare avanti e dob-biamo farlo insieme. Questo io credo sia il senso piùprofondo del nostro dovere di rappresentare nei Parla-menti i sentimenti, le ambizioni, i diritti dei cittadini.

Tornando con la mente a quei giorni mi sembra im-portante rammentare che veri attori di quel momento sto-rico non furono tanto i Governi quanto i popoli europeiche chiedevano a gran voce pace, libertà, pane e dignità.Il secondo conflitto aveva denudato gli istinti più bassi,consegnando alla storia inimmaginabili persecuzioni eviolenze. La paura, la fame, la disperazione, lo sgomento,l’incredulità, il terrore dominavano le anime.

In questo contesto nacque, nel 1950, la Comunità peril carbone e per l’acciaio, con una forte impronta econo-mica, ma anche un inedito carattere di sovranità condi-visa. Perché il vero obiettivo delle donne e degli uominivisionari e coraggiosi che si fecero interpreti dei senti-menti diffusi era politico. Noi non stiamo formando coa-lizioni di Stati, ma noi uniamo uomini, come disse JeanMonnet.

A metà degli anni Cinquanta si perseguì l’ambizionefederale di una Comunità di difesa, in quanto si temevaun nuovo, e questa volta definitivo, conflitto. Alcide DeGasperi, come ha ricordato questa mattina la figlia MariaRomana, si fece interprete della sensazione che quellafosse un’occasione che passa e non torna più. Il progettofallì. Tutto sembrava perduto. Il cammino dell’integra-zione ripartì invece nel 1955 dalla mia Sicilia. Durante la

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Pietro Grasso

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Conferenza di Messina si affermò, contro le previsioni, laposizione che perseguiva un’integrazione orizzontale egenerale delle economie europee invece di una settorialee più limitata. L’obiettivo, come si evince dalle stesse pa-role della dichiarazione che fu adottata, era mantenereper l’Europa il posto che occupa nel mondo, restituirle lasua influenza e aumentare in maniera continua il livellodi vita della sua popolazione. Su questa solida base si sa-rebbe progressivamente affermato il sistema sovranazio-nale socialmente più equilibrato, politicamente più stabilee culturalmente più avanzato che la storia umana abbiamai conosciuto. L’Unione europea ha mantenuto quellepromesse di pace, diritti e benessere oltre ogni ragione-vole previsione, superando persino la creatività di coloroche, con una punta di ironia, venivano allora additaticome utopisti.

Se mi è permessa una nota personale, io sono nato allafine del secondo conflitto mondiale e rammento benequante speranze si accesero, sessant’anni fa, negli occhidei miei e dei nostri genitori, che sognavano per noi bam-bini un futuro senza odio, violenze e privazioni. Comesappiamo, in anni recenti l’Unione si è dovuta confron-tare con sfide epocali: la crisi economica e del lavoro, ledisuguaglianze, le migrazioni, la grave instabilità geopo-litica alle frontiere e la paura del terrorismo.

Abbiamo reagito, ma non sempre con solidarietà e ra-zionalità e alcuni nostri cittadini hanno sviluppato sen-timenti di disaffezione e ostilità al progetto europeo cheparte della politica ha sfruttato pericolosamente. Reagirechiudendosi e alzando muri fisici, ideologici e morali è la

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negazione della nostra storia e non paga. Nessuno puòsentirsi al sicuro, nessuno può fare da solo. Multilatera-lismo, solidarietà, diplomazia e pluralismo sono i fonda-menti del metodo che ci ha condotto fin qui, l’unico checi porterà avanti. L’Europa ha una responsabilità che ec-cede i suoi confini. Noi tutti insieme abbiamo segnatonella storia universale nuovi e inimmaginabili parametridi civiltà nelle relazioni politiche, nella stabilità sociale enella promozione dei diritti e dello Stato di diritto, ma lamodernità pone nuove sfide e impone di trovare altre esempre più elevate risposte.

Spetterà ai Governi, già a partire dalla riunione diRoma del prossimo 25 marzo, individuare modalità di la-voro e prospettive adeguate al nuovo status quo: investirenell’occupazione, nella crescita e nell’innovazione; pro-gredire nell’Unione bancaria e monetaria; rafforzare lalotta comune contro il crimine organizzato, il terrorismo,la corruzione e i delitti economici, anche istituendo fi-nalmente una procura europea; gestire in modo solidale,lungimirante e umano le migrazioni e i flussi di rifugiati.

Ho molta fiducia nella saggezza del Presidente Genti-loni Silveri e dei suoi colleghi europei e confido che essisapranno comprendere la gravità del momento e fissareun nuovo punto di inizio della storia della nostra Unione.

Personalmente credo che programmare il futuro del-l’Europa richieda quattro linee generali di intervento.

In primo luogo, è necessario ricostruire un clima di se-renità e fiducia tra i Governi per riavvicinare i cittadini

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alle istituzioni europee e ai valori comuni, così contra-stando il riemergere di nazionalismi ed egoismi, antica-mera dei totalitarismi.

In secondo luogo, dobbiamo agire contro le disegua-glianze che, anche nei Paesi più solidi, condannano allamarginalità e all’esclusione troppi cittadini europei, ren-dendoli più vulnerabili al delitto e ai fondamentalismi.

In terzo luogo, dobbiamo reagire al rapido declino de-mografico del continente integrando virtuosamente gliimmigrati cui oggi dobbiamo già molta ricchezza econo-mica e culturale.

Infine, dobbiamo ripensare le nostre strategie nelnuovo contesto globale, attraverso una vera politicaestera comune, per tornare ad occupare la posizione glo-bale che ci spetta per storia, valori, economia. Il rischio èla marginalizzazione geopolitica dell’Europa. Serve anzi-tutto una nuova politica per il Mediterraneo e il MedioOriente dove la nostra colpevole assenza, in questi ultimidrammatici anni, ha contribuito ai fenomeni con cui oggici troviamo a confrontarci.

Su questa strada dobbiamo procedere tutti insieme,con coesione e solidarietà, senza mai lasciare solo nes-suno, ma anche senza frustrare le ambizioni e l’impegnodi chi vuole rafforzare la cooperazione in certe aree piùrapidamente, perché è alle ambizioni di un pugno di uto-pisti di sessant’anni fa che dobbiamo oggi il privilegio ditrovarci qui, tutti insieme, in pace e nel nome della li-bertà, della democrazia, della dignità umana.

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L’Italia è stata, è e sarà sempre un Paese di avanguar-dia nell’edificazione della casa comune perché noi ciidentifichiamo profondamente negli ideali comuni esiamo orgogliosi della nostra storia millenaria di incontroe di civiltà e di cuore geografico, politico e culturale delMediterraneo e dell’Europa.

Viva l’Unione. Viva l’Europa. Forza Europa.

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Il Presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani pronuncia il suo discorso in Aula

L'Aula del Senato addobbata con le bandiere dei Paesi membri dell'Unione europea

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ANTONIO TAJANIPresidente del Parlamento europeo

Signor Presidente del Senato, signor Presidente delConsiglio, signor Presidente del Consiglio dell’Unione eu-ropea, signor Vice Presidente, Presidente Napolitano, Pre-sidente Monti, signori Presidenti dei Parlamenti dei Paesidell’Unione europea,

noi stiamo affrontando uno dei momenti più difficilidei nostri sessant’anni di storia. Molti dei nostri cittadinihanno un senso di smarrimento legato anche ad un ge-nerale clima di incertezza dentro e fuori l’Unione europea.Cresce la distanza verso le istituzioni, anche se il recentevoto in Olanda dimostra che c’è ancora voglia di Europa.

Per la prima volta stiamo per negoziare l’uscita di unimportante Paese membro; la disoccupazione giovanile,in molte aree, resta a livelli inaccettabili; la nostra sicu-rezza è minacciata da terrorismo e instabilità ai confini.Vi è preoccupazione per l’aumento dei flussi migratori ealcuni dei nostri vicini sembrano sempre più incammi-narsi verso nazionalismi illiberali e non pochi Governisono tentati dal protezionismo. L’incapacità di dare ri-sposte adeguate a queste paure alimenta i populismi, ilripiegamento verso soluzioni nazionali, l’ognuno per sé.

Oggi più che mai dobbiamo invece dimostrare chequeste sfide si vincono soltanto se siamo uniti, con l’Eu-ropa dei fatti, però, riducendo la disoccupazione, gover-nando i flussi migratori, garantendo la sicurezza,

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promuovendo stabilità e valori nel mondo. Dividerci ora,continuare a scaricare su altre istituzioni o governi colpeo errori, non ci porta da nessuna parte. È il momento delcoraggio e della responsabilità, per lavorare insieme a so-luzioni comuni nell’interesse dei popoli europei.

Per questo la collaborazione tra Parlamento europeo eParlamenti nazionali è sempre più importante. Siamo statitutti eletti direttamente dai popoli europei e dobbiamo es-sere, per questo, in prima linea per colmare la distanzatra istituzioni e cittadini. Il Trattato di Lisbona ha definitoper la prima volta il ruolo dei Parlamenti nazionali in-sieme all’Unione europea; essi possono, ad esempio, va-lutare il rispetto del principio di sussidiarietà, parteciparealla revisione dei Trattati dell’Unione, esprimersi sulle po-litiche dell’Unione in materia di libertà, sicurezza e giu-stizia. Il trattato indica, inoltre, che il Parlamento europeoe i Parlamenti nazionali sono chiamati a una costantecooperazione interparlamentare.

Da Presidente del Parlamento europeo intendo lavorareaffinché questa cooperazione sia ancora più efficace, di-ventando uno strumento concreto per contribuire a tro-vare insieme soluzioni ai problemi dei cittadini. Perridurre la disoccupazione, in particolare quella giovanile,dobbiamo lavorare a un’Europa più competitiva e attentaall’economia reale. A fianco del Patto di stabilità e cre-scita serve un patto generazionale: non possiamo lasciareai giovani debiti ingestibili ed economie inefficienti, cherendono difficile la creazione del lavoro; dobbiamo ga-rantire anche a loro i benefici del nostro modello di eco-nomia sociale di mercato. La flessibilità di bilancio e l’uso

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dei fondi europei vanno legati a qualità della spesa e ariforme per l’efficienza economica e amministrativa. Que-sta è la strada per una vera convergenza delle nostre eco-nomie, indispensabile affinché l’euro porti vantaggi atutti i cittadini europei.

I Parlamenti devono contribuire a rafforzare il governoeuropeo dell’economia, in linea con quanto indicato neitre rapporti sul futuro dell’Unione recentemente approvatidal Parlamento europeo. È, dunque, necessario coinvolgeremaggiormente i Parlamenti nazionali; questo renderà ilprocesso di riforme, indispensabili a crescita e occupa-zione, più efficace e democratico, aumentando la respon-sabilizzazione degli Stati. I Parlamenti devono essereprotagonisti nel semestre europeo, così come nella formu-lazione delle raccomandazioni economiche in ogni Paese.

Cittadini e imprese ci chiedono regole e procedure piùsemplici, meno burocrazia. I Parlamenti hanno un ruolochiave per migliorare la qualità della legislazione, in par-ticolare nell’attuazione delle norme europee. Non dob-biamo perderci nei dettagli; lo stesso principio disussidiarietà deve portarci a concentrarci sulle grandisfide globali: politica estera, difesa, sicurezza, immigra-zione, commercio, lotta ai cambiamenti climatici, salva-guardia dei diritti fondamentali.

Nessuno Stato europeo da solo ha la forza per nego-ziare con gli Stati Uniti, la Cina o la Russia. Solo insiemepossiamo esercitare davvero la nostra sovranità.

La Conferenza interparlamentare sulla politica estera

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e di sicurezza comune deve contribuire a rafforzarel’azione europea nel mondo, non soltanto per garantire inostri interessi economici o la nostra sicurezza, ma ancheper affermare i valori fondamentali in cui noi europei ciriconosciamo. Per questo, dobbiamo sviluppare un mer-cato e un’industria europea della difesa. Servono sinergie,economie di scala, mezzi militari che possano finalmenteoperare in maniera coordinata per essere più efficaci e ri-sparmiare risorse. È la base per costruire una vera difesacomune, che auspico sia perseguita a partire dalla pros-sima Dichiarazione di Roma. Sarebbe un forte segnale diripartenza, a sessantatré anni dal fallimento della Comu-nità europea di difesa. Questo progetto era il sogno, mairealizzato, di Alcide De Gasperi, insieme a Gaetano Martinoe a tanti altri padri nobili italiani della nostra Unione.

Per proteggere i nostri cittadini da terrorismo e crimi-nalità o contrastare l’evasione fiscale, è indispensabile piùfiducia reciproca. I nostri Parlamenti devono lavorare perpromuovere maggiore collaborazione tra i servizi di intelligence, i magistrati, le polizie, la Guardia di finanzae favorire lo scambio di dati e informazioni. Insieme pos-siamo contribuire allo sviluppo di una Guardia costiera difrontiera europea con la condivisione di maggiori risorse.

L’Europa, con solidarietà, deve continuare a garantireil diritto di asilo. Il Parlamento europeo lavora alla ri-forma del regolamento di Dublino per renderlo più effi-cace, ma serve una riforma seria e non soltanto qualchetocco di cipria a un regolamento che ormai appare obso-leto e inefficace. Dobbiamo però essere altrettanto ferminel respingere chi non ha diritto di stabilirsi nell’Unione

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europea: il governo dei flussi migratori va affrontato allaradice. Siamo di fronte a un fenomeno epocale legato acrescita demografica, cambiamenti climatici, terrorismo,guerre e povertà. Per questo serve una strategia comuneche punti sullo sviluppo dell’Africa. Facilitare e accelerarei rimpatri, creare centri di accoglienza in Africa insiemeall’Organizzazione delle Nazioni Unite, diminuire la pres-sione migratoria richiede però una robusta diplomaziaeconomica e parlamentare. Già oggi l’Unione europea e isuoi Stati membri stanziano complessivamente 20 mi-liardi di euro l’anno per l’Africa. I Parlamenti, a mio giu-dizio, devono lavorare per promuovere un uso piùefficace di queste risorse. Il Parlamento europeo sta perapprovare un nuovo fondo di sviluppo per l’Africa e di-scute sulla revisione dell’intera politica di cooperazionedell’Unione europea. Per attirare maggiori investimentiprivati, realizzare infrastrutture e trasferimenti di saperfare in sicurezza, energie pulite, imprenditorialità, forma-zione e capacità amministrativa dobbiamo modernizzarei nostri strumenti di aiuto.

A pochi giorni dall’anniversario dei sessant’anni dellafirma dei Trattati è giusto riflettere anche sui nostri errori,su quanto va migliorato. Non possiamo però scoraggiarci;non dobbiamo perdere l’orgoglio per quello che abbiamocostruito tutti insieme. Siamo l’unico continente almondo senza pena di morte; il mondo guarda a noiquando un giornalista è imprigionato, una donna subisceviolenza e vede i suoi diritti negati, un oppositore politicoviene minacciato o privato della libertà. Restiamo un faroper i diritti fondamentali e siamo molto di più, molto mamolto di più di un mercato o di una moneta. Noi tutti

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rappresentanti dei popoli europei abbiamo oggi unagrande responsabilità: esercitare una forte volontà poli-tica e leadership sui valori alla base del nostro stare in-sieme. La nostra identità sono i nostri valori e la nostracultura. La nostra identità è la difesa della libertà, dei di-ritti umani, del rispetto degli altri, della difesa del dirittodelle donne e non è per caso che ho sanzionato in ma-niera ferma un parlamentare che ha osato dire nell’Auladi Strasburgo che le donne sono less intelligent rispettoagli uomini.

Il Parlamento europeo ha aperto il dibattito sul nostrofuturo con l’adozione dei rapporti Verhofstadt, Bresso-Broke Berès–Böge nella scorsa seduta plenaria a Strasburgo.Due settimana fa la Commissione ha presentato il suo Librobianco e nell’ultimo Consiglio europeo i Capi di Stato e diGoverno hanno avuto un’ampia discussione. Colgo l’occa-sione per felicitarmi per la rielezione di Donald Tusk allacarica di Presidente del Consiglio europeo .

Ho particolarmente apprezzato l’importante contributopromosso dalla Presidente della Camera dei deputatiLaura Boldrini con la consultazione pubblica dell’agosto2016 sullo stato e sulle prospettive dell’Unione europea.La consultazione ha portato alla definizione di un rap-porto finale, presentato a febbraio di quest’anno; esso sibasa sulla Dichiarazione del 14 settembre 2015, sotto-scritta dai Presidenti dei Parlamenti di 15 Stati membri,per dare nuovo impulso all’integrazione europea.

Così come ho apprezzato la decisione del PresidenteGrasso di dedicare due mostre importanti alla nostra ere-

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Antonio Tajani

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dità, alla nostra cultura e alla nostra identità culturale edi presentarle e inaugurarle in occasione di questa riu-nione, proprio per dimostrare che le nostre radici affon-dano in una cultura e in una storia millenaria, che lanostra identità europea non nasce per caso e non è unaggregato di differenti Stati membri. Diceva ieri sera ilVice Presidente Timmermans che, se non ci fosse statoCaravaggio, non ci sarebbe stato Rembrandt. Vedete, èquesta la nostra civiltà, è questa la nostra identità. Perammirare Caravaggio non bisogna sapere l’italiano; perammirare Rembrandt non bisogna conoscere la linguaolandese. Basta capire il messaggio che viene dalle loroopere.

A Roma il 25 marzo è prevista la firma di una Dichia-razione solenne, anche da parte dei vertici delle istituzionieuropee. Oggi più che mai abbiamo bisogno dell’unità eu-ropea. Certo, l’Unione europea va cambiata, ma non vadistrutta e non va indebolita. Ne pagheremmo tutti quantinoi, cittadini europei, un prezzo incalcolabile. L’Europa èuna storia di successo quando sa incarnare un sogno diprogresso, di prosperità, di libertà e di pace. Sta a noi rap-presentanti dei cittadini europei cambiare l’immagine diun’unione astratta, poco efficace e burocratica. Sta a noifar appassionare di nuovo gli europei a un grande pro-getto. Sta a noi parlamentari nazionali ed europei rega-lare un nuovo sogno a mezzo miliardo di persone. Ce lochiedono soprattutto i giovani: hanno voglia di credere,hanno voglia di sognare, hanno voglia di sperare. Guai auna classe politica che toglie ai giovani il sogno, la spe-ranza, la voglia di guardare avanti.

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Ecco qual è, cari amici, signori Presidenti, la sfida allaquale siamo chiamati. Io credo che nessuno di noi si tireràindietro. Lo dobbiamo fare per i nostri figli, perché è aloro che dobbiamo continuare a regalare un grandesogno, una speranza per l’avvenire. Vi ringrazio.

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Il Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk pronuncia il suo discorso in Aula

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DONALD TUSKPresidente del Consiglio europeo

Signor Presidente Grasso, signore e signori,

è impossibile essere ospite del Senato della Repubblicae non percepire la storia che trasudano queste mura diPalazzo Madama. E qui ci vengono alla mente non sol-tanto gli eventi della vita politica quotidiana, ma anchecentinaia di grandi avvenimenti, che rappresentano il cer-tificato di nascita dell’Europa. Ad esempio, Cicerone chedenuncia Catilina, dipinto da Cesare Maccari, che è unodei capolavori che decorano le mura del Senato, è perfettoper oggi. È un’allegoria politica della lotta delle istituzionidemocratiche contro il populismo ed è la rappresenta-zione del trionfo delle une sull’altro. Ci ricorda, anche, inprimo luogo, che la forza di ogni comunità politica di-pende dalla sua volontà di sopravvivere, dal suo vigore edalla sua intelligenza e, in secondo luogo, che, nella lottapolitica darwiniana, le parole sono sempre state e sarannosempre le armi più potenti.

Cicerone ha dichiarato che la libertà è la partecipa-zione al potere. Anche gli antichi greci e romani dibatte-vano su cosa significasse essere liberi. Sessanta anni fagli statisti di sei Paesi hanno deciso che l’unica vera li-bertà era agire insieme. In altri termini, sovranità signi-ficava avere un posto intorno al tavolo. Ecco perché nel1957 è stato firmato il Trattato di Roma. Io nascevo nellostesso anno e, proprio sulla realtà costruita dal Trattatodi Roma, si è svolta tutta la mia vita. È inutile che vi spie-

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ghi quanto questo sia importante per me personalmentee cosa significhi per me essere qui oggi. Naturalmentetutto sembra più nobile, più deliberato e meglio calcolato,se visto nella prospettiva odierna.

Esiste una tendenza a ricordare coloro che hanno fir-mato il Trattato di Roma come geni politici o come unasorta di evangelisti di un’Europa unita. La verità è cheerano dei leader con i propri dubbi personali, sottopostia una pressione incredibile degli eventi e che si trovavanoin una condizione di profonda vulnerabilità perché lamancanza collettiva di potere nell’Europa dopo la Se-conda guerra mondiale li aveva spinti a riunirsi. Le alter-native non erano attraenti. Tutti gli orrori delledistruzioni portate dalla guerra erano sotto gli occhi ditutti allora. La vulnerabilità dei Paesi europei spaventatiha dato loro l’umiltà, la chiarezza e la grande saggezzache li ha condotti a firmare il Trattato di Roma, con ilquale è cominciato un processo che ha riportato libertà eprosperità in molti Paesi sia all’Est che all’Ovest e che ciha aiutati a capire che, quando l’Europa è debole, anchei singoli Paesi sono deboli. Mentre, se l’Europa è forte, isuoi Stati membri sono forti. Quindi, solo restando unitipossiamo davvero realizzare la nostra sovranità, cioè es-sere veramente liberi nel mondo. Valeva allora e vale an-cora oggi e sarà vero e varrà ancora tra sessanta anni daoggi.

Il Trattato di Roma ha trionfato anche perché è statocreato e c’è stato consegnato da Governi che si basavanosul consenso democratico. I Parlamenti democratici e na-zionali, di cui voi siete rappresentanti, hanno prestato i

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Donald Tusk

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rispettivi poteri alle istituzioni europee con un messaggioche le invitava ad agire nell’interesse comune. Questo èstato una specie di prestito ripagato con gli interessi,anche se ci sono stati ritardi o delusioni. Alcuni hannodetto che l’Europa è come un albero: cresce ogni giorno,ma non puoi accorgertene. È un sentimento romantico,ma vale ancora perché dal seme del Trattato di Romasono nati cambiamenti che hanno profondamente modi-ficato il mondo intorno a noi, tant’è che quasi nessunoriesce più a ricordare come erano le cose prima. Il Trattatoci ha aperto le menti e, naturalmente, ha dato vita al piùgrande mercato del mondo per la nostra prosperità. Dagiovane che cresceva all’ombra della cortina di ferro, que-ste cose mi sembravano impossibili solo al pensiero,anche se all’epoca sognavo che un giorno potessero ac-cadere. Quindi, l’anniversario che celebreremo la prossimasettimana richiama a un momento di riflessione seria,tanto quanto a un momento di festa. Anche se vediamoche oggi le nostre ferite economiche si stanno rimargi-nando, molti ancora si disperano sulle dimensioni e sulnumero delle sfide di fronte a noi. La sfida principale ri-siede nel fatto che, tra un paio d’anni, la Gran Bretagnanon sarà più Stato membro dell’Unione europea e la ri-sposta migliore da dare a questi tempi duri è proprioquella di riconquistare quell’umiltà, quella chiarezza equella saggezza dei primi firmatari del Trattato. Solo intal modo potremo compiere le scelte giuste sul nostro fu-turo. Il passato ci insegna che l’Europa riesce a fare me-glio ed è più creativa proprio quand’è più vulnerabile,anche se questo può sembrare un paradosso. Rende di piùquando c’è un’ambizione modesta e paziente, piuttostoche quando si hanno grandi visioni.

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Questo è il motivo per cui sono lieto che il Presidentedella Fondazione De Gasperi, la signora Maria RomanaDe Gasperi, oggi sia qui con noi, perché è il momentogiusto per richiamare le famose parole di suo padre: «Ilfuturo non verrà costruito attraverso la forza, nemmenocon il desidero di conquista, ma attraverso la paziente ap-plicazione del metodo democratico, lo spirito costruttivodi consenso costruttivo e il rispetto della libertà». Forsequeste parole non sono abbastanza forti oggi, in un’epocain cui la politica si fa su Twitter, ma io ancora ne ap-prezzo la verità e la validità. Credo che tali parole sianoancora in grado di guidarci da oggi in poi.

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Il Vice Presidente della Commissione europea Frans Timmermans pronuncia il suo discorso in Aula

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FRANS TIMMERMANSVice Presidente della Commissione europea

Signor Presidente, amici europei,

oggi vi parlerò in quella che è diventata la lingua francadelle generazioni dei nostri figli, e cioè in un cattivo in-glese. Con voi vorrei condividere qualche momento dellamia storia personale, perché tutti noi abbiamo storie per-sonali da raccontare e in questa sala vedo tante bandiereche mi ricordano le diversità che coesistono in Europa.

Mio padre e la sua famiglia sono stati liberati nel 1944da soldati polacchi e, se costoro non avessero dato la lorovita per liberare il mio Paese, probabilmente mio padrestesso non sarebbe sopravvissuto e io non sarei qui oggi.Io stesso, molti anni più tardi, sono cresciuto in un’Eu-ropa in cui è esistito il flagello del terrorismo che ha col-pito molti Paesi. Ho vissuto in questa città, a Roma, neglianni di piombo e ricordo benissimo quanto era forte laviolenza e quanta paura avevamo.

Vorrei anche ricordare le violenze che hanno colpitol’Irlanda – oggi peraltro è la festa di San Patrizio – finoa quando non siamo arrivati all’Accordo del venerdìsanto. Oggi noi politici abbiamo il dovere morale e poli-tico di garantire che quell’Accordo non sia messo in di-scussione e in pericolo dalla Brexit. Tutti noi dobbiamoprenderci questo impegno verso i nostri fratelli europeiche vivono oggi in Irlanda.

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Da giovane ho studiato in Francia e ricordo che nel1985 si discuteva di geopolitica e un soldato francese, pre-sente tra il pubblico, chiese cosa si sarebbe fatto se ci fossestata la riunificazione della Germania. E tutti gli studentitedeschi gli risposero di tornare a scuola, che non ci sa-rebbe stata mai la riunificazione della Germania, che que-sta era una sciocchezza perché la Germania sarebberimasta divisa in eterno ed erano perfettamente felici del-l’esistenza di due Germanie! Questo accadeva quattro anniprima della caduta del muro di Berlino, per dirvi quantosia prevedibile la storia guardandola con il senno di poi.

Sempre ricordando la mia storia personale, a conclu-sione dei miei studi feci il servizio di leva e, durante ilservizio militare, mi venne insegnato ad andare in guerracontro alcuni dei Paesi che sono rappresentati oggi inquest’Aula. E questo succedeva neanche trent’anni fa.Senza dubbio, il momento più importante nella storiadella mia vita è stato la fine della divisione europea, cherappresenta un cambiamento tettonico nella storia del-l’umanità, che ovviamente ha portato a dei successi, maanche a dei problemi; e lo vedo benissimo nei Paesi enelle società che conosco.

C’è un aumento della nostalgia di tornare ai bei tempiandati in cui eravamo tutti “Staterelli” divisi. Ma concen-triamoci per cinque minuti sulle vicende della Nazionepolacca. Nella storia europea, la Polonia per lungo temponon è stata padrona dei suoi confini: quando era più fortela Russia, la Polonia si spostava verso Est; quando era piùforte la Germania, la Polonia si spostava verso Ovest.Oggi, paradossalmente, grazie all’integrazione europea e

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atlantica nella NATO, per la prima volta in diversi secolila Polonia è padrona dei propri confini. Questa è l’Europa.

Pertanto, quando mi volgo indietro e ripercorro la miavita, vedo che molto spesso noi non conosciamo la storia.Ed è per questo che veniamo ricattati dalla nostalgia;siamo preda del ricatto nostalgico di chi ci dà immaginidi una storia che non è mai esistita, per darci l’illusionedi un futuro che non sarà mai. Studiamo la nostra storiacomune. Studiamo le distanze che c’erano tra di noi, per-ché questo ci immunizza dalla nostalgia. Troppa nostalgiaè come troppo vino: un bicchiere o due vanno bene, matutta la bottiglia forse no. La nostalgia non deve diventareil nuovo oppio dei popoli europei.

Parte dell’insoddisfazione in Europa si basa sul fattoche, sebbene noi europei abbiamo storie diverse, siamosicuramente uniti in un destino comune, perché sullabarca siamo tutti insieme, e a volte questa barca non ècomoda. Non sempre, infatti, siamo d’accordo su dove di-rigere la barca e quale rotta prendere. È per questo cheho scritto con Juncker il Libro bianco sul futuro dell’Eu-ropa, che illustra una serie di scenari e possibilità. QuestoLibro bianco è aperto alla discussione da fare nei Parla-menti e alle opinioni pubbliche dei Paesi. Discutiamoquale sarà il futuro dell’Europa, quale deve esserne larotta e la struttura organizzativa, per permetterci di af-frontare al meglio tutti quei problemi che il mondo cimette davanti.

Oggi ci sono due tipi di Stati membri in Europa: gliStati piccoli e gli Stati membri che ancora non sanno di

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essere Stati membri piccoli, perché il mondo fuori è moltopiù grosso dell’Europa. Uniti saremo forti. Ma, per averequesta unità, c’è bisogno di dibattere su quale deve esserelo scopo dell’unità.

La nostra generazione più giovane è essenzialmenteeuropea. Ciò non significa che essa ami particolarmentele Istituzioni europee o voglia vivere a Bruxelles. Ma vo-glio dire che il suo habitat naturale è l’Europa e la suacasa magari è lo Stato nazionale e la Nazione. L’habitat,però, è l’Europa. I giovani di oggi sono post ideologici,ma sono molto idealisti, e allora diamo loro un sogno diun futuro comune.

Finisco su questa nota. Se abbiamo commesso ungrosso errore negli ultimi quindici anni, è quello di avercreato l’illusione che un mercato comune sia un bene insé; che una valuta comune sia un bene in sé; che la man-canza di confini sia un bene in sé; che siano obiettivi finia se stessi. No, amici miei: questi sono solo strumenti persottolineare e rafforzare i nostri valori, che sono la pace,la prosperità e la comprensione reciproca; il concetto cheil dialogo è buono e il compromesso non è una cosabrutta, ma una cosa bellissima; il dialogo si fa non trapersone che vanno d’accordo, ma tra persone con le qualinon si va d’accordo e con le quali vogliamo trovare unterreno comune.

Questo è il significato di Ventotene. Questo è quelloche dissero i Padri fondatori: piccoli passi, alla ricerca diun terreno comune tra Paesi, tra Nazioni che hanno inte-ressi diversi. Questo oggi è più importante di sessanta

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anni fa e dobbiamo farci ispirare da tutte quelle situazionidi difficoltà, che i nostri genitori hanno dovuto superare.Diciamo ai nostri figli che, se essi sapranno superare que-ste difficoltà, ne beneficeranno i loro figli, perché un’Eu-ropa che è soltanto valuta comune o mercato comune èdestinata al fallimento. Dobbiamo far sì che l’Europa siaun’Europa di valori. Gli strumenti sono intercambiabili, ivalori invece sono eterni.

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Il Presidente emerito della Repubblica e Senatore a vita Giorgio Napolitano pronuncia il suodiscorso in Aula

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GIORGIO NAPOLITANOPresidente emerito della Repubblica, Senatore a vita

Signor Presidente, illustri ospiti europei, colleghe e col-leghi senatori, giovani che ci ascoltate,

fu in quest’Aula del Senato italiano, appena rinato anuova vita nella libertà, che Alcide De Gasperi pronunciòil suo appassionato e combattivo appello per l’approva-zione di una mozione federalista. Era il 15 novembre del1950. Come Presidente del Consiglio dei ministri italiano,De Gasperi, sei mesi prima, aveva dato l’adesione del no-stro Paese alla Dichiarazione Schuman, vero momento diinizio del processo di integrazione unitaria europea. Quiin Senato egli parlò da leader storico e indiscusso dellaDemocrazia Cristiana e da forte leader di Governo, allaguida dell’Italia ininterrottamente già dal 1945.

De Gasperi fu combattivo e severo dinanzi all’ostilitàdella sinistra socialista e comunista, già chiusasi nella morsadella guerra fredda e della contrapposizione frontale trablocco occidentale e blocco sovietico. De Gasperi difeseenergicamente il nascente progetto dell’unità europea da iro-nie e scetticismi, dicendosi convinto che fosse possibilegiungere a creare un organismo politico economico unitarioe federativo in Europa. A chi gli contestava di seguire unmito, rispose: «(...) ditemi un po’ quale mito dobbiamo darealla nostra gioventù per quanto riguarda i rapporti fra Statoe Stato, l’avvenire della nostra Europa, l’avvenire del mondo,la sicurezza, la pace, se non questo sforzo verso l’unione?».

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Al primo posto nelle sue proposte di azione figuravala pace. Già Schuman e Monnet avevano condiviso congli altri Paesi fondatori la priorità dell’ideale della pace ene avevano fatto un obiettivo concreto. La forza del pro-getto europeo stava nel non limitarsi a esprimere valori eideali, ma nel tradurli in obiettivi puntuali e nell’affidarnela realizzazione a trattati e istituzioni comuni, a base giu-ridiche europee, a disponibilità di risorse da gestire in-sieme, a tabelle di marcia, in un programma condiviso diavanzamento del processo di integrazione.

Nel 1950 l’obiettivo della pace fu indissolubilmenteancorato al superamento della conflittualità franco-tede-sca: bisognava sradicarne le basi reali, mettendo in co-mune la produzione di carbone e di acciaio come risorsestrategiche e trasferendo a una priorità comunitarial’esercizio della sovranità in quel preciso ambito. Occor-reva, in sostanza, contestare il dogma della sovranità as-soluta degli Stati nazionali, perché di lì era partita, nelcuore d’Europa, la tragedia di due guerre distruttive nelcorso del Novecento.

Ho detto della passione europeista e federalista che DeGasperi seppe trasmettere agli italiani quando non siaveva timore – come è avvenuto già da molti anni a que-sta parte – di pronunciare la parola “federale” e quando,in un clima di straordinaria partecipazione politica dopola liberazione del nostro Paese, aveva potuto giovarsi deicanali di grandi partiti politici democratici e di massa.

Il tragitto complessivo che da allora l’Europa ha com-piuto non fu semplice né lineare, tantomeno in Italia.

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Esso passò attraverso la sconfitta del 1954 – come è statoricordato – di quel progetto di Comunità europea di di-fesa, che non aveva solo una valenza dal punto di vistamilitare, ma conteneva in sé la proposizione di una co-munità politica europea, formulata congiuntamente dalAlcide De Gasperi e Altiero Spinelli.

E passò poi, il cammino della nostra integrazione, nel1957 attraverso lo sforzo e il successo della convergenzadei sei Paesi, già membri della CECA, sulla scelta menoambiziosa, ma praticabile e feconda di sviluppi costrut-tivi, di istituire un mercato comune e una Comunità eco-nomica europea sulla base dei Trattati di Roma.

Abbiamo, amici che qui rappresentate le istituzionidell’Unione, portato avanti una costruzione senza prece-denti nella storia del nostro continente. E grave è stato,da troppi anni, l’errore di non valorizzarne gli straordinarisuccessi, dando così via libera a ogni mistificazione dicorrenti, non solo euroscettiche, ma eurocostruttive. Ed èvenuto il momento di reagire. È venuto il momento diraccontare ai giovani la nostra storia, fin dagli inizi, eanche di raccontare – amico Timmermans – le bellissimestorie personali che lei ci ha raccontato.

Oggi c’è certamente da cambiare non poco – lo sap-piamo – nel modo di essere dell’Unione, ma bisogna farlonon dimenticando quel che si è cambiato progredendo viavia. Non si può – ad esempio – ripetere la vecchia lamen-tazione sul cosiddetto deficit democratico dell’Europaunita, tralasciando il ruolo decisivo, prima, dell’elezionediretta del Parlamento europeo e, poi, del rafforzamento

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essenziale dei suoi poteri. Il che è avvenuto anche in par-ticolare di recente, con il Trattato di Lisbona, nove anni fa.

Ora occorre riprendere gli obiettivi del pieno dispiega-mento della dimensione parlamentare dell’Unione, in unorganico rapporto tra Parlamento europeo e Parlamentinazionali. Per questa via, e per quella di una rinnovatapartecipazione politica, sociale e culturale, si può conso-lidare e sviluppare la natura democratica del processo diintegrazione e unità dell’Europa, soprattutto nel funzio-namento complessivo delle sue istituzioni rappresenta-tive. Va cambiato il ritmo della capacità di decisionedell’Unione e della sua determinazione nell’approfondirel’integrazione.

Ma dove sono le difficoltà e i pericoli che vi si oppon-gono? Siamo chiari, non lasciamoci distrarre da falsi ber-sagli. Le difficoltà e i pericoli sono nello sciagurato eallarmante risorgere dei nazionalismi, non solo in Europama certamente in Europa. Negli anni seguiti alla Secondaguerra mondiale si sottovalutò largamente la possibilitàdi un recupero di forza e di consenso da parte degli Statinazionali.

Nella previsione del Manifesto di Ventotene essi sareb-bero rimasti fracassati al suolo sotto il peso delle aberra-zioni e della violenza distruttiva del nazismo e delfascismo. Invece, quel recupero vi fu. Gli Stati nazionalirisorsero democratizzandosi, e il cammino dell’integra-zione comunque proseguì.

Ora, invece, facciamo i conti non solo con le non ri-

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solte crisi di fondo che hanno investito l’Europa a partiredal 2008, ma, nel periodo più recente, con una vistosa re-gressione nei comportamenti di diversi Governi e Statimembri dell’Unione. Non occorre che li ricordi.

Si impongono quindi, senza ulteriore indugio, chiarezzae coraggio sui punti essenziali: in primo luogo, integra-zione più stretta e finalmente politica contro il pericolo deinuovi nazionalismi che fanno tutt’uno con la demagogiafuorviante e nullista dei movimenti e partiti populisti. Per-mettetemi di dire: onore al popolo dei Paesi Bassi.

Sulla via dell’integrazione non possiamo lasciarci para-lizzare da quegli Stati membri dell’Unione a ventisette chenon intendono spingersi più avanti. Si cominci, dunque,dalle decisioni che ancora tardano per fare fronte, nel brevee lungo termine, al fenomeno drammatico delle migrazionie si facciano finalmente partire le decisioni, puntualmenteindicate quasi due anni fa nella relazione dei cinque Pre-sidenti, per completare l’Unione economica e monetariadell’Europa, anche in senso politico, al fine di potenziarnela dinamica di crescita e la dimensione sociale.

In pari tempo, l’Europa è chiamata a trovare modinuovi per non disperdere la sua unità, almeno sui terrenidi più generale consenso. Mi riferisco più che mai all’Eu-ropa delle culture, la cui diversità è una ricchezza da va-lorizzare, come più di chiunque altro ci ha insegnato quelgrande europeo che è stato Bronisław Geremek.

Non dimentichiamo il monito del conclusivo discorsodi François Mitterrand al Parlamento di Strasburgo nel

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1995: l’Europa delle culture contro l’Europa dei naziona-lismi, perché i nazionalismi sono la guerra. Quindi, controi nazionalismi protezionisti che ci minacciano, guardandoall’Europa e allargando lo sguardo allo smarrimento e aldisordine mondiale, ancora una volta la priorità è la pace,affidata al ruolo dell’Europa unita, che oggi celebriamoin quest’Aula, per un passaggio storico di sintesi tra rea-lismo e coraggio come il 60° anniversario della firma deiTrattati di Roma.

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Il Senatore a vita Mario Monti pronuncia il suo discorso in Aula

Mario Monti con Pietro Grasso e Donald Tusk in visita alla mostra “Libri che hanno fattol'Europa"

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MARIO MONTISenatore a vita

Signor Presidente del Senato, signore e signori Presidenti,

celebriamo il 60° anniversario della firma dei Trattatidi Roma nello stesso giorno – il 17 marzo – in cui l’Italiacelebra l’Unità nazionale, la Costituzione, l’inno e la ban-diera. Vi è coerenza tra questi due eventi e i valori cheessi rappresentano? Sì, vi è totale coerenza. Si tratta, però,di una coerenza esigente e impegnativa per l’Italia, comeper ogni altro Stato membro.

Ho maturato questa convinzione avendo avuto il du-plice privilegio di servire l’Europa come membro italianodella Commissione e, in seguito, per designazione del Pre-sidente Napolitano e con la più ampia fiducia del Parla-mento, di guidare il Governo italiano in una fase criticaper il nostro Paese e l’intera Europa.

Come commissario prestai giuramento di indipendenzanell’interesse comunitario. Mai pensai, osservando quelgiuramento nel lavoro di commissario, di non fare con-temporaneamente cosa utile per il mio Paese, l’Italia, chein uno sviluppo solido dell’Unione europea ha sempretrovato base di alimentazione e incentivo al migliora-mento e alla modernizzazione.

Come Capo del Governo italiano prestai giuramentonell’interesse della Repubblica. Nello svolgimento dellemie funzioni nell’interesse dell’Italia ho sempre pensato

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che, così facendo, avremmo assecondato la solidità e losviluppo dell’Unione europea.

In particolare, presentando proprio in quest’Aula ilprogramma di Governo nel novembre 2011, dichiarai:«Non mi sentirete mai chiedere un sacrificio perché l’Eu-ropa lo chiede, così come non mi sentirete mai dare lacolpa all’Europa di cose che noi dobbiamo fare e che sonoimpopolari. Se la richiesta dell’Europa non è conformeallo spirito della lettera dell’ordinamento dell’Europa, nonaccetterò la richiesta – ma non credo che questo avvenga– se invece è conforme, vuol dire che è una richiesta cheviene in nome di un principio di un trattato al quale noi– come Italia – abbiamo contribuito».

Certo, l’Unione europea è in crisi. È in crisi per la pro-pria debolezza, ma è in crisi anche per la propria audacia.È audace, è quasi temerario nel mondo di oggi, battersiper lo Stato di diritto, per sistemi democratici fondatisulla divisione dei poteri, sul rispetto dei diritti, sul ri-spetto delle generazioni future in termini – ad esempio– di tutela dell’ambiente e del clima o evitando che, giàal momento della nascita, le generazioni future sianogravate da enormi debiti pubblici generati da noi, loropadri e nonni, Governi del momento precedente alla loronascita.

Soprattutto è ambizioso l’obiettivo dell’Europa, tena-cemente coltivato, di una governance multilaterale chel’Europa sa praticare con il metodo Monnet, con la so-vradimensione comunitaria, accanto alla governance mul-tilaterale fin dall’inizio. E vorrebbe vedere applicata

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sempre di più nel mondo la governance multilaterale enon la legge del più forte.

Portando la fiaccola di questi valori, l’Europa va sem-pre più controcorrente – dobbiamo rendercene conto – edovrà integrarsi di più, unirsi meglio e rimediare alle pro-prie debolezze non solo per difendersi, ma per difenderee promuovere efficacemente nel mondo i propri valori, aiquali teniamo sempre di più via via che il culto verso diessi diventa scarso o combattuto.

Finora, solo in tre campi l’Unione europea, e in parti-colare la Commissione europea qui così efficacementerappresentata dal Vice Presidente Timmermans, è rispet-tata, creduta e, quando necessario, temuta nel mondo. Esono semplicemente i tre campi nei quali da tempo gliStati membri hanno deciso di conferire poteri federali –direbbe il presidente Napolitano – di decisione: sono ilcampo del commercio internazionale, della concorrenzae della moneta.

Ma perché l’Europa vinca la propria debolezza e di-venti sempre più forte per difendersi e per difendere i pro-pri valori, io credo vada molto riconsideratol’atteggiamento degli Stati membri nei confronti della co-struzione europea e delle decisioni europee. Un tempo,fino a un certo numero di anni fa, i Capi di Stato e di Go-verno andavano a Bruxelles per partecipare ai Consiglieuropei, portando ogni volta un proprio piccolo mattoneper edificare una casa comune, nella convinzione che sa-rebbe stato interesse nazionale di ciascun Paese che rap-presentavano vedere rafforzarsi questa casa comune.

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Oggi, credo che il presidente Tusk, che con grande dignitàpresiede quel sommo organo che è il Consiglio europeo,possa confermare che è sempre più frequente, a quel mas-simo livello e poi al livello dei Consigli dei ministri, chei rappresentanti nazionali si rechino in tali sedi non por-tando il proprio mattone ma cercando, mentre sono lì, ditogliere un mattone all’incompiuta costruzione comuni-taria, disperati come sono – in questo senso è evoluta lamodalità di esercizio delle politiche nazionali alle qualisiamo pure tanto legati perché sono democratiche – diconquistare consenso.

Una volta si cercava il consenso per le prossime ele-zioni; se le prossime elezioni sono un po’ lontane, oggi sicerca il consenso per il sondaggio che ci sarà la prossimasettimana, che può essere decisivo per un leader politico.E l’interesse nazionale stesso è spesso trascurato in quellesedi, perché gli si può anteporre l’interesse di un partito,di una coalizione o della presa di potere o della conser-vazione di potere di una personalità sul proprio partito.Per queste motivazioni un Primo Ministro britannico hadeciso di entrare nella storia disaggregando l’Unione eu-ropea e forse il suo stesso Paese.

Credo che l’Europa debba soprattutto guardarsi daquesta tenaglia micidiale tra populismi – che chiamerei“nazionalismi” e “protezionismi”, essendo “populismi” untermine troppo nobile – dal basso e non meno pericolosipopulismi dall’alto.

Concludo dicendo che proprio recentemente, quandoil Presidente del Consiglio italiano Gentiloni Silveri è ve-

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nuto in Senato a parlarci del suo programma di Governoe della sua linea sull’Europa, mi pare che abbiamo tuttigrandemente apprezzato la volontà di contribuire, ancheduramente quando occorre, al miglioramento delle strut-ture dell’Europa, ma evitando gli atteggiamenti distorsivi,che sono il nuovo cancro dell’Europa.

Il Presidente Grasso ha prima detto che settant’anni fanon furono tanto i Governi quanto i popoli a volere l’Eu-ropa. Bene, se pensiamo che oggi il rischio maggiore difine dell’Europa, e quindi di guerre sul Continente euro-peo, viene dall’atteggiamento dei nazionalismi e dei Go-verni nazionali, forse è arrivato il momento in cui occorreuna riconquista dell’Europa da parte dei popoli, da partedi noi cittadini, che forse su questo tema dobbiamo di-ventare più esigenti nei confronti di chi governa e delleclassi politiche degli Stati membri.

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Sofia Corradi pronuncia il suo discorso in Aula

Sofia Corradi con Pietro Grasso e Mario Monti

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SOFIA CORRADIIdeatrice del Programma Erasmus

Signor Presidente,

con il vostro permesso, rimango seduta. In primo luogo,ringrazio per l’invito, che è per me un grande onore.

Come è ormai ben noto, dal 1987, con il ProgrammaErasmus, gli studenti universitari dei Paesi europei hannola possibilità di compiere uno o due semestri di vita e distudio in un’università di un Paese diverso dal proprio,con pieno riconoscimento dei crediti conseguiti all’esteroe, quindi, senza ritardo nel conseguimento della laurea inpatria. Le diversità di metodi e di contenuti vengono ac-cettate con elasticità in base al principio della stima edella fiducia reciproca tra i due atenei e vengono, anzi,considerate un arricchimento dell’esperienza Erasmus.

Oggi questo può sembrare cosa normale, ma purtropponel 1969 quello che attualmente appare semplice e ovvioveniva respinto e guardato con ogni sorta di diffidenza.Ho dovuto lottare per quasi vent’anni per superare taliresistenze e giungere, nel 1987, al varo ufficiale del Pro-gramma Erasmus da parte dell’Unione europea. Chi lo de-siderasse, può trovare la narrazione di tutto ciò nel mioultimo libro, che è intitolato Erasmus ed Erasmus plus,del 2015, che si può ora scaricare gratuitamente in ver-sione italiana o inglese dal sito www.sofiacorradi.it.

L’iniziale rodaggio del meccanismo Erasmus è stato

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lento e faticoso e, per arrivare al milionesimo studente,ci sono voluti ben venti anni; poi tutto è diventato scor-revole. Fino al 2016 sono stati scambiati circa 4 milionidi studenti tra circa 4.000 università europee e adesso ilnumero aumenta al ritmo di un milione ogni tre anni.

Mi viene spesso domandato come ho avuto l’idea ini-ziale. Mi è venuta quando, di ritorno da un anno di studioalla Columbia University di New York, dove ero stata inborsa Fulbright, mi è stato molto arrogantemente rifiutatoil riconoscimento degli studi ivi compiuti. Quando si ègiovani si vuole cambiare il mondo e, siccome mi ero resaconto che un anno all’estero aveva tanto giovato a me,volevo che la stessa opportunità avessero anche tanti altrigiovani: volevo che un’esperienza all’estero, che nellastoria era sempre stata un privilegio riservato a pochi gio-vani di famiglie abbienti, diventasse invece un’opportu-nità offerta a chiunque volesse coglierla. Le numerosedifficoltà e resistenze non mi hanno fermata, anche per-ché era l’epoca della cosiddetta guerra fredda tra le grandipotenze mondiali e io vivevo la promozione della mobi-lità studentesca internazionale come una mia personalemissione pacifista.

Per chiarezza può essere utile accennare qui a cosal’Erasmus non è. L’Erasmus non ha per scopo principalel’apprendimento delle lingue estere; non è riservato aglistudenti di livello eccellente, ma è anche per quelli nor-mali; l’Erasmus non ha lo scopo di offrire all’estero inse-gnamenti migliori di quelli che lo studente troverebbenella sua università di origine. Lo studente d’ingegneriache va in Erasmus, più che diventare un migliore inge-

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gnere, diventa una migliore persona.

Le statistiche ci dicono che, completati gli studi univer-sitari, lo studente che ha fatto l’Erasmus – è un’ esperienza– trova lavoro in metà tempo rispetto ai non Erasmus eche, dopo dieci anni di lavoro, raggiunge livelli direzionali.Di tutto ciò naturalmente ci rallegriamo, ma non si insi-sterà mai abbastanza sul concetto che il principale, pre-zioso risultato dell’esperienza Erasmus consiste nel fattoche, compiendo uno o due semestri di full immersion inuna cultura diversa dalla propria, l’erasmiano sviluppatutto un complesso di qualità trasversali e gli erasmiani sirendono conto di questo. Spigolando tra alcune delle lororisposte, mi è stato detto: un periodo di vita e di studio al-l’estero sviluppa la creatività; rafforza il giovane nella fi-ducia in sé stesso; si impara a sintonizzarsi sulla lunghezzad’onda altrui; imprime nell’animo sentimenti indelebili difratellanza umana; si diventa cittadini europei e cittadinidel mondo. Moltissimi rispondono che l’Erasmus gli hacambiato la vita. Il punto essenziale è che l’Erasmus non èprioritariamente studio, bensì è soprattutto un’esperienza.

Quella full immersion in una cultura diversa dalla pro-pria dà luogo a una maturazione di carattere generale eciò è dovuto a vari elementi oggettivi: l’interazione sisvolge tra pari, tra persone della stessa età anagrafica, trapersone dello stesso livello culturale e che si trovano adaffrontare gli stessi concreti problemi di quotidiana vitauniversitaria. Insomma, l’erasmiano non segue alcuncorso sull’integrazione europea, bensì vive l’esperienza eapprende direttamente dall’esperienza.

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Dal 2014 l’Erasmus, ridenominato Erasmus Plus, èstato potenziato e diverse sue azioni sono state estese siaa tutti i continenti, sia a tante altre attività umane. No-nostante la ben nota crisi economica mondiale, il contri-buto finanziario dell’Unione europea è stato incrementatodel 45 per cento, che è un’enormità, e ammonta oggi aben 15 miliardi di euro per il settennio in corso. Nel 2017,unitamente ai sessanta anni dalla firma dei Trattati diRoma, celebriamo il trentennale del programma Erasmus.

Concludo. Nella speranza che gli anni futuri possanovedere ulteriori sviluppi di questi strumenti di promozionedella comprensione interculturale (uso il termine piùampio, intenzionalmente), vi ringrazio per l’attenzione.

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PIETRO GRASSOPresidente del Senato

Desidero rivolgere un cordiale saluto ai rappresentantidelle religioni presenti ai nostri lavori: Giuseppe Bertello,Presidente del Governatorato dello Stato Città del Vati-cano, Noemi Di Segni, Presidente dell’Unione delle co-munità ebraiche in Italia, Abdellah Redouane, SegretarioGenerale del Centro islamico culturale d’Italia, e Chri-stiane Schroeder–Werth, Vice Presidente della Federa-zione delle chiese evangeliche in Italia.

Ringrazio particolarmente la Santa Sede, qui rappre-sentata dal Cardinale Bertello, per avere messo a disposi-zione di tutti i cittadini qui in Senato l’opera straordinariadel Torso del Belvedere, proveniente dai Musei vaticani.

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Il Presidente del Consiglio dei ministri Paolo Gentiloni Silveri pronuncia il suo discorso in Aula

Paolo Gentiloni con Antonio De Poli e Mario Monti in visita alla mostra “Libri che hanno fattol'Europa"

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PAOLO GENTILONI SILVERIPresidente del Consiglio dei ministri

Signor Presidente, signore Presidenti e signori Presi-denti, gentili ospiti,

frequentemente, in questi giorni, da qui a sabato pros-simo e oltre, dovremo convivere con il seguente para-dosso: in uno dei momenti più difficili dell’Unioneeuropea, parleremo molto spesso delle sue conquiste, deisuoi risultati, dei regali che ha fatto alla nostra genera-zione e alle generazioni che verranno. Penso che dob-biamo essere consapevoli di questa difficoltà e nonfarcene intimidire. Non raccontiamo certo le conquiste ei successi dell’Unione europea per farci coraggio tra noi,le élite politiche del continente. Li raccontiamo perchésono la storia di questi sessant’anni e perché questa sto-ria, diciamo la verità, è scarsamente conosciuta, è statascarsamente valorizzata e conoscerla poco e valorizzarlapoco è stato un nostro errore, una delle cause delle nostredifficoltà.

Non dobbiamo avere timore in questi giorni, quandoricordiamo, com’è stato fatto in questo pomeriggio, leconquiste di pace, le conquiste di welfare, la grande forzaeconomica (l’Unione europea è stata definita la superpo-tenza tranquilla) e soprattutto le conquiste di libertà. Ungrande europeo, Václav Havel, parlava dell’uscita del suoPaese dalla dittatura definendola come un ritorno all’Eu-ropa. L’idea, in sostanza, che l’Europa sia stato un ma-gnete capace di attrarre, prima nella penisola iberica, poi

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in Grecia, poi all’Est del nostro continente, verso la li-bertà, la democrazia, la società aperta.

Ora, nel momento in cui ricordiamo, senza timidezza,ciò che è stata l’Unione europea e ciò che siamo, di frontea noi c’è l’alternativa che riguarda i nostri prossimi anni.L’alternativa è tra rimpiangere queste conquiste e questivalori e difenderli: se non li difendiamo, li rimpiangeremoe penso che nell’Aula del Senato dobbiamo dire con co-raggio che questo è il momento di difenderli per evitaredi doverli rimpiangere. C’è una base popolare per farequesta operazione. Credo – prima ho ascoltato il bellis-simo intervento di Frans Timmermans – che in questa set-timana ci siamo sentiti un po’ tutti olandesi, in un certosenso. Con l’Olanda, ogni tanto, abbiamo delle discussionisulle politiche finanziarie dell’Unione europea, ma quelloè stato un risultato che ci ha fatto sentire tutti più con-vintamente europeisti. Naturalmente per difendere e nondover rimpiangere questi valori dobbiamo capire la na-tura delle difficoltà che abbiamo davanti. Non sono dif-ficoltà necessariamente transitorie o effimere. Certo, cisono state delle scelte politiche – lo ricordava prima il se-natore Monti – che hanno portato il 23 giugno il RegnoUnito a decidere per la Brexit, e ci sono state e ci sonodelle posizioni soggettive di alcune forze politiche e dialcuni partiti che spingono in una direzione contro l’Eu-ropa, però la sfida che abbiamo davanti dipende da ten-denze che scavano in profondità nella realtà dell’Europae sull’edificio dell’Unione europea perché, in primo luogo,abbiamo a che fare con le difficoltà economiche del no-stro continente e, in particolare, delle classe medie emedio-basse. Se allarghiamo lo sguardo agli ultimi venti

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anni, ci rendiamo conto che a livello globale c’è stato l’in-gresso nel benessere o, comunque, l’uscita dalla povertàdi centinaia e centinaia di milioni di persone, innanzituttoin Asia. Questo ha creato in parte anche delle conse-guenze negative del nostro Continente. Nel 2007-2008abbiamo avuto la più grave crisi economica dal dopo-guerra. Ogni tanto tendiamo a dimenticarcelo. Contem-poraneamente abbiamo minacce alla nostra sicurezza –che hanno avuto il loro centro nel Mediterraneo – che ingergo sono definite asimmetriche, ma certamente diversesia dalla fase della divisione dell’Europa in due blocchi esia dalla stagione del terrorismo degli anni Settanta in di-versi Paesi europei. Questa minaccia, che si è insediatanel cuore del Mediterraneo, ha destabilizzato in profon-dità i nostri Paesi e le nostre società; poi abbiamo avutoi grandi flussi migratori che hanno avuto una forte in-fluenza. Quindi, se vogliamo difendere le nostre conquistedobbiamo guardare negli occhi, riconoscendoli, i pro-blemi che scavano e creano difficoltà alla nostra Unioneeuropea. Una parte dei nostri concittadini – questo è ilpunto – si sente oggi più minacciata e meno protetta ecerca risposte a questa sensazione di minore protezionein una riscoperta delle proprie radici e della propria iden-tità che molto spesso si rivolge alla riscoperta di senti-menti ipersovranisti o addirittura nazionalistici.

Questo credo sia il punto fondamentale nella situa-zione in cui ci troviamo: la crisi scava, e si cerca la ri-sposta in soluzioni di per sé anche comprensibili. Infatti,quando ti senti minacciato e senti venir meno la tua pro-tezione, cerchi risposta nel tuo luogo natìo, nella tua ra-dice e nella tua identità. Ma, se questa tua identità

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diventa chiusura, ostilità verso le differenze e contrappo-sizione nei confronti dei vicini, da qui nascono le pre-messe per ripetere esperienze terribili della nostra storiaeuropea, come ha ricordato il presidente Napolitano nelsuo intervento. Non dobbiamo essere indulgenti verso latendenza della riscoperta identitaria, verso il nazionali-smo e la contrapposizione tra i diversi Paesi. Sono pro-cessi di cui possiamo oggi osservare la nascita; ma se nonli freniamo in tempo, faremo fatica a farlo quando si sa-ranno affermati e sviluppati più del dovuto. E la rispostanon può essere quella di un’Europa che si ferma e scegliedi affrontare gli ostacoli stando in surplace. Deve essereinevitabilmente la risposta di un’Europa che va avanti.

Quali sono, quindi, gli obiettivi che possiamo realisti-camente porci nell’occasione della celebrazione, sabato25 marzo, dei sessanta anni dei Trattati di Roma? Sonoprincipalmente due: il primo è il messaggio che l’Europanon può stare ferma, ma deve andare avanti e deve farloanche scontando la necessaria flessibilità che il suo an-dare avanti può richiedere. Sapete che su questo punto èin corso una discussione molto ampia, i cui binari sonostati impostati dal Libro bianco della Commissione euro-pea e a cui hanno contribuito in modo molto importantele tre relazioni del Parlamento europeo.

Il punto è molto semplice: andare avanti non significaaffatto scegliere di escludere qualcuno. L’ho detto a Stra-sburgo e lo ripeto qui: l’Italia non accetterà mai che siscelga una divisione tra Europa dell’Est e Europa del-l’Ovest, o tra Europa di serie A e Europa di serie B. Noiche siamo uno dei Paesi fondatori vogliamo andare avanti

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insieme, con un’Europa a 27. Non vogliamo però che lavelocità e la direzione di marcia di questa Europa sianoprincipalmente stabilite dai Paesi più riluttanti in questopercorso.

Non c’è niente di rivoluzionario in questo. Sono i Trat-tati di Lisbona a prevedere la possibilità di compiere ope-razioni di cooperazione rafforzata. Siamo noi che nonl’abbiamo fatto. Non si sta proponendo qualcosa di rivo-luzionario. Siamo noi che dobbiamo utilizzare gli strumentidei trattati per non dare l’idea a quei cittadini preoccupatie che si sentono scarsamente protetti, di un’Europa immo-bile, ferma e non in grado di dare risposte.

L’altro obiettivo, oltre all’idea di un’Europa che prendel’iniziativa, è dare risposte alle tre o quattro questioni dicui in molti, insieme ai presidenti Tajani e Donald Tusk,hanno parlato nei loro interventi; sappiamo di cosa sitratta. Sappiamo che si può fare finalmente qualcosa dipiù sul terreno della sicurezza e della difesa; esattamentesu quel terreno su cui ci fu una falsa partenza, sessanta-cinque anni fa, oggi si può andare più avanti. Significadare risposte al tema dell’immigrazione, perché sappiamobene che l’Europa che lascia a pochi Paesi scelti non daBruxelles, ma dalla geografia, la responsabilità dell’interopeso delle politica migratoria è un’Europa che non ri-sponde alle esigenze a cui dovrebbe far fronte.

Infine, vi è il grande tema della crescita, degli investi-menti, dell’Europa dello sviluppo. Non facciamoci attrarreda un’idea per la quale alcuni dati più incoraggianti sulpiano macroeconomico – ci sono e ce li ha descritti nell’ul-

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timo Consiglio europeo il Presidente Draghi nella sua in-formativa – si confondono con l’illusione che le difficoltàsociali che abbiamo in Europa sono vicine ad essere supe-rate, perché non è così. Il lavoro per gli investimenti, l’oc-cupazione e la promozione della crescita deve andareavanti. Guai a fermarsi oggi, nel momento in cui finalmentel’Europa si riprende gradualmente sul terreno della crescita.

Queste giornate quindi, e in particolare la giornatadell’anniversario di sabato, saranno l’occasione – speropropizia – per rilanciare questo percorso. E io mi augurodi poterlo fare con la spinta di voi membri del Parla-mento, e non solo con il nostro avallo e la nostra pur ne-cessaria approvazione. Noi, quando partecipiamo aiConsigli europei, tutte le volte facciamo un dibattito conun voto, in Italia e negli altri Paesi; facciamo un dibattitonel nostro Parlamento nazionale, dando al Governo unmandato su che cosa bisogna portare al Consiglio euro-peo. Talvolta questo mandato, tra l’altro, non è semprefrutto di un dibattito così ricco come meriterebbe. Ma ionon chiedo solo a voi, membri del Parlamento, un avalloa questa speranza di rilancio del percorso europeo. Vichiedo – come è giusto – di esserne protagonisti perché,senza legittimazione democratica, un percorso di questogenere, che ha nei valori della libertà e della democraziai suoi valori fondanti, non può fare passi avanti.

Quindi, l’Europa può essere rilanciata, e può esserloanche nella misura in cui dal Parlamento europeo e daiParlamenti nazionali verrà ai suoi Governi la spintanella direzione giusta di cui abbiamo davvero bisogno.Vi ringrazio.

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Finito di stampare a Maggio 2017presso Digitalia Lab s.r.l.

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L’EUROPA IN SENATOCONFERENZA STRAORDINARIA DEI PRESIDENTI DEI PARLAMENTI DELL’UNIONE EUROPEA

17 MARZO 2017

Senato della Repubblica

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Multilateralismo, solidarietà, diplomazia e pluralismo sono i fondamenti del metodo che ci ha condotto fin qui, l'unico che ci porterà avanti. L'Europa ha una responsabilità che eccede i suoi confini. Noi tutti insieme abbiamo segnato nella storia universale nuovi e inimmaginabili parametri di civiltà nelle relazioni politiche, nella stabilità sociale e nella promozione dei diritti e dello Stato di diritto,ma la modernità pone nuove sfide e impone di trovare altre e sempre più elevate risposte.

(dall'Indirizzo di Saluto del Presidente del Senato)

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