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Città la Sydney.Usciamo nella notte fresca di Summer Hill.Colline appena ondulate,cielo di zaffiro,facce che sor- ridono. Metrò affollato. Nella nostra vettura due che hanno l’aria di essere una coppia estemporanea. Lui parecchio sbronzo, londinese fino ai calzini (corti su caviglie lentigginose). Dice che dell’Australia ne ha già abbastanza.Dopo sei giorni.Che è terribilmente lontana da Barcellona – che adora – e da Londra: “Lon- don... a horrible place, you know, but... it’s civilization...” Lei, gallese, gli lancia continue vischiose frec- ciate. Poi i due scendono alla stessa fermata, come per caso. ‘Andatevene da qui – grida lui improvvisamente sveglio, già sul marciapiede mentre il treno riparte – Co- sa diavolo ci fate in Australia... So damned far from everything!!!” di Laura Magni

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Sydney. Usciamo nella notte fresca di Summer Hill. Colline appena ondulate, cielo di zaffiro, facce che sor-ridono. Metrò affollato. Nella nostra vettura due che hanno l’aria di essere una coppia estemporanea. Luiparecchio sbronzo, londinese fino ai calzini (corti su caviglie lentigginose). Dice che dell’Australia ne hagià abbastanza. Dopo sei giorni. Che è terribilmente lontana da Barcellona – che adora – e da Londra: “Lon-don... a horrible place, you know, but... it’s civilization...” Lei, gallese, gli lancia continue vischiose frec-ciate. Poi i due scendono alla stessa fermata, come per caso. ‘Andatevene da qui – grida lui improvvisamente sveglio, già sul marciapiede mentre il treno riparte – Co-sa diavolo ci fate in Australia... So damned far from everything!!!”

di Laura Magni

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SIDNEY2000INCONTRO RAVVICINATODELSECONDO TIPO

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due giorni primaAereo Melbourne-Sydney. Temporali sparsi, prevedonoin volo. Invece atterriamo mentre la pioggia si asciuga eil cielo sopra la baia prepara nuvole sempre più lise e uncrepuscolo viola. Prima, fugace impressione: l’architet-tura non stordisce; a parte un paio di grattacieli curvi el’Axa a spigolo acuto, gli altri hanno l’aria da casone altealte, sagge, con tutte le finestre a posto, come un sorrisoregolarmente controllato da un dentista puntiglioso. Iparchi sono ariosi ma non romantici. I ponti sulla baiahanno qualche pilastro e qualche tonnellata di calce-struzzo di troppo. The Rocks, il vecchio quartiere di stam-berghe e taverne costruite sulle rocce del porto, è un leo-ne che ha diradato la criniera e appare edulcorato, qua-si disneyano. I negozi traboccano di saldi. L’artigianato èsecondo nella hit parade degli orrori forse solo a quellocubano. In giro per il quartiere gay intorno a OxfordStreet. Scorci di interni di bar da design,negozi folli stipati di parrucche rosa ci-pria, fusò di lurex rosa shocking, guainedi paillettes rosa confetto. “Australianoio? Vuoi scherzare? Io sono di Stoccol-ma, qui lavoro solamente – dice rimet-tendo in vetrina dei jeans rosa fragolatroppo stretti per chi li ha provati – Fa-cevo cabaret sulle navi da crociera, poisono sceso a Sydney, avevo la febbre.Ho aperto questo negozio quasi per ca-so. Un negozio che è diventato una gab-bia. Da quanto, dici? Beh, da 17 anni, mache vuol dire? 17 anni di noia mortale.”

dieci giorni dopoÈ bella questa città che chi ci abita chia-ma Sinney. Molto bella. Bella e piace-vole e nutriente. E sotto le prime stelle sulla baia, addi-rittura bellissima. La Sydney Tower è un disco volante acceso di rosso e diverde nel buio della notte, sopra zampe di ragno prei-storico, zampe di lem alte 80 piani, illuminate da una vio-lenta luce blu. Sulla cima, un orologio elettronico daguerre stellari fa un conto alla rovescia e dice quante ore,minuti, secondi mancano all’apertura delle Olimpiadi.Da quassù la città assomiglia al primo film in cinemasco-pe che si era visto da bambini. Questa notte da 15 puntidiversi della città partono fuochi artificiali che sono stel-le lucentissime, code di comete, gocce di fuoco che sisfaldano contro le vetrate in una polvere opalescente, si-mile a quella lasciata sulle dita dalle ali delle farfalle.Scendiamo, calamitati dall’Opera House e dallo sfronta-to candore con cui si lascia la città alle spalle e si sceglie

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senza incertezze un ruolo da superstar. Visionaria. Velie-ro fatto di gusci di conchiglia. Fossile di corallo limato dal-le correnti dell’oceano. Magnifico mostro marino uscitoda un manuale di zoologia fantastica. Più da vicino, poida vicinissimo, si scompone ancora in una serie di scorciimprevedibili. Punte di lance medioevali. Scaglie di pe-sce cristallizzate dal sale. Scheletro di dinosauro asciu-gato dal sole di Ayers Rock. Elmo lanzichenecco. Fauci disqualo con denti di vetro che riflettono il movimento del-l’acqua. Canne di un organo sottomarino. Grotte di ma-dreperla abitate da mante viola. A notte fonda, semi-sdraiati su due panchine di pietra, la guardiamo ancoramentre trascolora da un arancio pallido a un verde este-nuato a un lilla, a un pervinca che più tardi si affolla diombre guizzanti: fantasmi di pesci, forse, o stelle di unanebulosa trascinata via. Su un’altra panchina, una suda-fricana. Bella faccia stanca. “Sì, mi piace Sydney. Sono qui

da qualche anno, coi miei ragazzi. AJohannesburg c’era troppa tensione. Efatica. Qui tutto è più rilassante, più ste-so al sole: come un lenzuolo. (pausa)Certo Johannesburg mi manca. Qui ècarino, vedi, è educato. (altra pausa) Maniente vibra...” Muove le dita di una ma-no come se suonasse un’arpa.

Chinatown (e domanda n°1)Introdotta da due porte cinesi copiateda San Francisco, è la più smart, edul-corata, smaltata, non cinese Chinatownche si possa immaginare. Ristoranti ele-gantissimi con tavoli apparecchiati sen-za bacchette. Empori dove invece chekimono, alghe disseccate e castagne

d’acqua vendono pelli di pecore neozelandesi, porta-chiavi di Hello Kitty, segnalibri di cuoio con bassorilievidi Brad Pitt. Bar con karaoke e canzoni country. Negozidi jeans e Nike scontati. Per le strade una folla di Cinesiin abiti occidentali. Parlano tutti inglese! Anche tra loro!E un inglese comprensibile, lontano dalle buffonerie delpidgin English.Sospetto, o meglio una domanda. Questa piacevole, as-solata città inno al mito dell’easy way of life – intesa co-me oceano da surf a un quarto d’ora dalla City, sorrisi adestra e a sinistra, picnic nei prati del centro, giovanissi-ma aria vacanziera, compressione sociale frenata o invi-sibile, isole, coste e deserti spettacolari a portata di fuori-strada – forse è un città cannibale. Forse inghiotte chi ciarriva, soprattutto dall’Asia. Lo tiene nel ventre abbastanza a lungo per spogliarlo dei

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suoi panni, della sua lingua, di un’identità etnica preci-sa. Lo risputa disinfettato, senza bagaglio, in tenuta ge-nericamente Aussie (così gli Australiani, che tutto ab-breviano, abbreviano se stessi), con un accento anglo-orientale da outback, ricordi scoloriti pigiati dentro unpassaporto a stelle bianche in campo blu con l’UnionJack alla deriva verso un angolo (però superiore: la re-gina è la regina). Cinesi, coreani, vietnamiti, polinesia-ni, indiani, filippini appena usciti dal ventre di Gionaprendono le distanze da quello che erano stati fino a quie cominciano quel processo mimetico-imitativo che,senza bisogno di matrimoni misti, nel giro di due gene-razioni li renderà quasi indistinguibili – occhi senza pal-pebre a parte – da irlandesi, tedeschi, italiani della primaondata, a loro volta già australianizzati da far paura. For-se si salva qualche Alberto Sordi, con la cintura dei pan-taloni stretta sotto le ascelle e i capelli con la famosa sfu-matura alta che arriva dieci centimetrisopra la nuca. In quanto agli occhi amandorla: se è prevista sul pianeta unamutazione genetica in direzione villag-gio globale, le prime palpebre sopra oc-chi cinesi germoglieranno spontanea-mente a Sydney, ne sono quasi sicura.Folgorazione: Sydney è l’esatto contra-rio di New York, dove se vuoi rimani chisei: distinguendoti con furia anche daquello che nel tuo villaggio pakistanoabitava solo due porte più in là. Dove ituoi cenci, le tue canzoni, i tuoi knishes,kimono, scarpette da Aladino, fabadeasturiane, treccine rasta, idoli di vetrorosso con offerte in chicchi di riso, tam-buri della Giamaica, ponchos peruvianirestano tali anche a due passi dal pontedi Brooklyn. Per ricordarti chi sei.

Lungo Macquairie: (domanda n.2)Passeggiata lungo Macquairie, boulevard east side abi-tato dalla buona borghesia, dai medici e dalla ‘squato-cracy’ – l’aristocrazia terriera di origine anglosassone –oltre che da un numero elevato di monumenti della città,tra cui un “Ospedale del Rum”, vittoriano, pagato con letasse imposte sugli alcolici. Macquairie arriva fino all’O-pera House costeggiando il giardino botanico, 75 acri af-facciati sull’oceano. Il cartello all’ingresso dice: “Please,camminate sull’erba, annusate il profumo dei fiori, par-late agli uccelli, sdraiatevi, fate merenda, dormite, orga-nizzate picnic. Questo giardino è per voi e – contraria-mente a quelli oltreoceano – it’s free, non si paga nessun �

biglietto per entrare”. Ci sono alberi immensi, come sololi ho visti a Singapore, fra cui passeggiano senza volaremultipli dell’uccello di B.C., quello che vive sul dorso del-la tartaruga. Hanno lunghissimi becchi ricurvi. Diconoche, straziati da una insanabile frattura fra il terrore e l’a-vidità, possano strappare un braccio a chi tende loro unsandwich. Decliniamo l’invito a parlare con loro. Thomas, giardiniere scozzese qui da 36 anni, si sbilancia:“Gli Australiani? Funny people... non gli piace niente diquello che non è australiano... Si piacciono tra di loroperò, anche se non si parlano quasi. Molto responsabilisocialmente, partecipano alla vita politica e poi non si sa-lutano tra vicini di casa. Mah... In Scozia si litiga, si fannole cose insieme. Qui niente, solo picnic in famiglia. Funnypeople... danno cifre incredibili alle charity e poi rispar-miano come matti su una singola birra... In Scozia ci so-no giorni tristi e giorni allegri, giorni di lavoro e giorni di

festa: i ricchi si mettono il kilt, gli operaila cravatta e tutti si fanno la barba. In Au-stralia tutti i giorni sono uguali: senza tri-stezza, senza allegria, senza cravatta,senza barba”. Non so se Thomas abbiaragione, ma sono qui da un pezzo, or-mai. E quanto siano Australiani gli Au-straliani non sono ancora riuscita a ca-pirlo. Lo capisco dei semidei che aleg-giano sorridenti come da copione sulleloro assi da surf, di quelli che sono quida tre generazioni, entusiasti della va-stità, del silenzio, della giovinezza diquesta terra. Gli altri, arrivati da poco o da molto, ap-paiono soprattutto perplessi, tiepidi inrisposta a questo tepore dell’aria, rasse-renati da questa serenità ma in qualche

modo segnati dalla nostalgia per un caos più vitale, vi-brante. L’Australia, è vero, non vibra. Almeno non vibrain modo facilmente percepibile da fasci nervosi europei. Viene del resto ripagata con la stessa moneta: fuori dal-l’outback pochi vibrano per lei, anche se le si sdraianoaddosso per respirare onde salate, magnifiche spiagge disabbia sottile, strade che acquietano la congestione,eventi corali tranquilli, orchestrati da una regia invisibile,notti che – fuori dai quartieri più duri – spesso finisconoalle undici. Quasi tutti abbassano la voce per dire comesi trovano qui. Ok, non male, niente da dire, anzi qual-cosa sì: un po’ di aria periferica da provincia dell’impero.Chiudono più volte le dita a mazzetto, stringendo l’ariacome a segnare un’inconsistenza, una non profondità.Gli inglesi gestiscono boutique gay e gallerie d’arte so-gnando l’Andalusia (aaaah, Sevilla, Granadaaaaa...

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Mmmmhhhh...). I sudafricani, nauseati dai conflitti raz-ziali, rimpiangono tuttavia quell’aria conflittuale, fertileche da Soweto soffia fino alla cella dove Mandela è tor-nato la notte di capodanno per accendere la sua “libertyflame”. Gli Spagnoli non dicono molto ma alzano le so-pracciglia e sbarrano gli occhi piegando gli angoli dellabocca all’ingiù. I Cinesi non si sbilanciano. Gli Irlandesibevono birra e se ne fregano. Quelli che arrivano qui inqualche modo finiscono per allinearsi alla pacata com-postezza della città, ma senza sentirla propria. In un cer-to senso si omologano senza identificarsi. Ancora unavolta il contrario di quello che succede a New York, do-ve chi arriva spesso si identifica senza omologarsi. A Syd-ney chi si discosta da questa compostezza spesso lasmentisce radicalmente, bevendosi via la vita a forza diwhisky o bucandosi le vene su gradini da cui diventa dif-ficile alzarsi. Qui chi decide di andare in rovina è spessoun rovinato all’ultimo stadio, ha bruciato le tappe inter-medie con una velocità inversamente proporzionale aquella con cui riesce a camminare senza cadere.

King’s Cross, quasi SaigonSera tardi a Kings Cross. Non l’asse di Darlinghurst Roaddove i cyber café e le molte insegne orientali tengonoin qualche modo insieme tutti i resti spazzati fuori dailocali di lap dance e strip non stop, con randagi in li-bertà non vigilata, trattorie cinesi e vietnamite piuttostofetenti mescolate a internet café pieni di orientali zitticome in chiesa. Piuttosto le strade sghembe che la ta-gliano. Sonnolente e pulite di giorno, come certi tratti

molto commerciali della Broadway – la notte cambianoradicalmente faccia e diventano inquietanti, sordide inquel modo sfatto, corrotto che è solo del sud est asiatico.Quelle infernali periferie diventate puttane appena nate,catene di bordelli quando l’asfalto non ha ancora finito diindurirsi, rughe di una perversione coatta, stanca, cheproduce multipli di se stessa in forma di ‘erotic supplies’puntati addosso come revolver; approssimativi strumen-ti di finta tortura, quella tortura che chi mai si innamorainsegue, scambiandola per estasi. Lucciole a gogò fuorida porte sgangherate, scale di quattro gradini rotti su cuidormono un paio di drogati, qualche ubriaco e una quan-tità variabile di scarafaggi tra resti di hamburger e chips.Cartocci unti e fogli di giornale che rotolano via, impi-gliandosi tra i piedi di coreani stonati – qualcuno litigio-so – e aborigeni strafatti. Eccolo qui il centro della ‘dia-bolica South Sinney’, il suo cuore infartuato gonfio di an-fetamine e di acidi. Mi fermo a parlare con un ragazzo diPraga: timido, rassegnato a lavorare in un pornoshop diRoslyn Street. Delicato, perfetto, pulitino – non fuma nonbeve alcol, è vegetariano – pieno di nostalgia per Mel-bourne e Perth, attratto dal silenzio dell’outback e da tut-to ciò che è europeo, ha scelto l’esatto contrario della suapossibile felicità. Vive in una casa angusta e fumosa ap-pesa sopra un bordello, nella città meno europea di tut-ta l’Australia, nel quartiere abitato dal maggior numero diasiatici di terza categoria, aborigeni e sballati presenti nelNew South Wales. Aggiungi “saune e massaggi speciali”,skinhead, pinkhead e cultori del piercing estremo, e co-gli la coerenza.

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Potts Point e Paddington: la Sydney beneKings Cross, quartier generale, si dice, di una rampantepolizia corrotta, e contemporaneamente invasa da schie-re di onesti backpacker in cerca di ostelli, è pressata tradue aree residenziali molto chic: Paddington a sud e PottsPoint a nord, con i suoi condomini deco, molto cittadinie molto americani.Incollata a una tortuosa collina terrazzata con strade ripi-de come a San Francisco, Paddington è segnata invece darow-house ispirate ai quartieri suburbani operai dellaLondra ottocentesca, con ringhiere e cancelli in filigranacome a New Orleans. Row house allineate sotto alberimagnifici, ombrosissimi, ex slum divorati in fretta primada artisti bohémien, poi da yuppie della upper middleclass che li hanno abbondantemente riabilitati. Oggi ci vi-vono i molto ricchi, con specchianti Mercedes più lunghedelle case davanti alle quali sono parcheggiate. Nellapiazzetta di Five Points sembra di essere a St. Paul de Ven-ce: caffé con tovaglie provenzali, spighe secche, centriniall’uncinetto, crêperie, fioristi che traboccano di carte cre-spate, bistrot, boutique che si chiamano Loulou e ChezJacques, baguette vendute alla Gerbe d’Or, croccanti co-me a Saint Germain. La percentuale di randagi d’ordi-nanza qui cala di colpo, insieme alla presenza asiatica.Tutti wasp, ben vestiti e ben pettinati, non goffi, alcuni se-midei: più da pub che da surf. Potts Point si stempera verso i docks di Woolloomool-loo, il più vecchio quartiere di Sydney. Continuando ascendere, Darlinghurst – detto via via nella sua storiaprima Razor-hurst, Gun-hurst, Dope-hurst, (quartiere

dei rasoi, dei fucili, della droga) oggi è uno Smack-hur-st, un quartiere dei baci. Aggregato intorno a palmeasmatiche, attrae la beautiful people di Paddington cheaggiunge qualche brivido al proprio tandoori chickenordinandolo gomito a gomito con la piccola delinquen-za locale, quella che in questura fa passeggiate frequentima piuttosto brevi.

dopo due mesi quiOrmai è certo: gli Aussie sono gentili, accoglienti, morbi-di; solo nell’outback pare che stuprino spesso, gonfi dibirra. Altrove si fanno in quattro per darti una mano, fa-cendo spontanee eccezioni alle loro regole, ispirate inmodo elastico a uno stile di vita ancora “rather British” –fa presente Brian, che vende libri d’arte in una libreria diGlebe – uno stile “piuttosto britannico”.Hanno l’aria di essere felici, spensierati, lontani dai tor-mentoni esistenziali e filosofici europei. Non amano i ca-ni, giocano a cricket, fanno windsurf e rollerblading, van-no pazzi per il campeggio, le bistecche di emu, la vela, ilsidro, i fuochi artificiali (anche allo stadio), i tuffi. Antie-cologici con noncuranza nonostante le raccolte separate,fumano come turchi, vanno a caccia e non badano più ditanto all’ambiente naturale: forse ne hanno troppo. La-vorano senza lamentarsi ma alle 5 chiudono tutto e nonce n’è per nessuno. Amano da pazzi la famiglia e il cibo preparato a casa: co-sì i BYO (bring your own, inteso come food) proliferanoanche a Sydney, dove ci sono ristoranti che per 10 dol-lari cuociono sulla piastra gli spiedini e i polli preparati �

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Qui le prime, attesissime Olimpiadi del nuovo millennio di Gianni Morelli

Giorno strano quello in cui a Monte-

carlo, sette anni fa, decisero che le

XXVII Olimpiadi, le prime del terzo

millennio, avrebbero avuto luogo a Sydney,

Australia. Una data fortemente simbolica,

quasi una rinascita; e molti – non solo in Euro-

pa – guardavano ad Atene: madre, culla, me-

tafora di questo avvenimento sportivo. Città

che coincide con l’idea stessa di giochi olimpi-

ci. Ma le cose andarono diversamente, forse

incoraggiate dai faraonici preventivi pubblici-

tari della potentissima tribù degli sponsor. E

forse fu giusto così, anche se molti se ne an-

darono da Montecarlo con l’amaro in bocca.

Nuove Olimpiadi, quindi, per un nuovo mil-

lennio in un continente giovane, quasi ap-

pena nato, che alla fine di maggio ha cele-

brato il suo “secondo giorno di scuse agli

Aborigeni” piantando nell’erba del Giardino

Botanico affacciato sulla baia di Sydney mi-

gliaia di mani di carta di tutti i colori. Così la

fiaccola olimpica ha lasciato la Grecia per

l’ennesima volta e ha cominciato il viaggio

più lungo della sua storia: verso gli antipodi

attraverso le isole del Pacifico, da Samoa al-

le Fiji, dalla Nuova Zelanda alle Salomone, da

Vanuatu alle Isole Cook. Questa fiaccola sot-

tolinea che quelle che stanno per avere inizio

vorrebbero essere in un certo senso le Olim-

piadi di tutta l’Oceania.

10.000 e più sono le fiaccole che percorre-

ranno i deserti, le città, le spiagge e i parchi di

eucalipti australiani convergendo verso Syd-

ney. Qui i Giochi del 2000 cominceranno con

la cerimonia d’apertura del 15 settembre e

continueranno fino al 1° di ottobre.

10.000 e più sono i miliardi di lire che si pre-

vede saranno investiti dal Sydney Organizing

Commitee for the Olympic Games, dal go-

verno di Camberra e dagli undici sponsor uf-

ficiali (Coca-Cola, Samsug, McDonald’s, Ibm,

Visa, Hancock, Sport Illustrated, Ups, Xerox,

Kodak e Panasonic).

10.000 sono gli addetti previsti alle riprese te-

levisive per conto di 180 network di tutti i

paesi. Ancora più numerose le domande di

accredito per giornalisti e fotografi. Oltre

10.000 gli atleti attesi nel villaggio olimpico,

insieme a 5.000 accompagnatori e a 600.000

turisti su un totale di 1.300.000 presenze pre-

viste complessivamente nell’anno 2000.

La costruzione delle infrastrutture e l’organiz-

zazione della manifestazione hanno creato

una grande quantità di posti di lavoro: secon-

do le stime ufficiali almeno 150.000, affian-

cati dall’impegno di oltre 50.000 volontari.

I Giochi si svolgeranno in diversi città dell’Au-

stralia (da Camberra ad Adelaide) e in diversi

punti della regione di Sydney, ma il cuore dei

Giochi sarà il Sydney Olympic Park di Home-

bush Bay, sulla Western Highway, a 14 km dal

centro della città. Costruito in una vecchia

area industriale abbandonata, sopra le mace-

rie di fabbriche che l’avevano trasformata nel-

la zona più inquinata del continente, il Parco

Olimpico è sorto grazie a una gigantesca ope-

razione di bonifica del territorio, e alla parti-

colare attenzione prestata a una riedificazio-

ne che fosse rispettosa dell’ambiente, mate-

riali da costruzione compresi.

Sydney vorrebbe che questa fosse la Prima

‘Olimpiade Verde’ della storia e ha chiamato

Greenpeace a testimoniarlo. Il risultato effetti-

vo si valuterà solo a Giochi conclusi, ma per cer-

to Sydney 2000 sarà in ogni caso un’Olimpia-

de molto più ‘verde’ di tutte quelle che l’han-

no preceduta. Tra l’altro, intorno al villaggio

olimpico – che diventerà un quartiere residen-

ziale capace di ospitare 5000 cittadini e i cui ap-

partamenti sono già andati a ruba – sono sta-

te realizzate le Millennium Parklands, che rag-

giungeranno i 450 ettari di estensione entro il

2010. Sarà il più vasto parco urbano del mon-

do, interrotto da laghetti, stagni, serre e prati,

e cresciuto piantando sopra scorie e resti indu-

striali più di due milioni di alberi e di arbusti.

Quasi tutto questo e molto altro, aggiornati

ora per ora, sul sito ufficiale di Sydney 2000:

www.olympics.com.

E per i non e collegati: Sydney Organizing

Commitee for the Olympic Games (Socog),

Gpo Box 2000, Sydney NSW 2001, tel.

0061.2.92972000, fax 92972020. �

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dalla nonna e che intere famiglie portano ovunque consé. Gli Aussie vogliono divertirsi e sono contenti se anchegli altri si divertono. Deliziosi, spontanei, non sembranomai sulle difensive. Tranne che al volante: guidando ur-lano, strombazzano in direzione di chi tarda due secon-di a partire a un semaforo; si sporgono dai finestrini permandarlo a Melbourne (come dire all’inferno) e lo guar-dano in cagnesco come se fosse l’assassino del loro istrut-tore di surf. Per il resto sono dolci, entusiasti gattoni chenel loro continente sembrano aver sostituito l’idea di pic-nic a quella di sex appeal.

‘damned far from everything’Verso la foce del Parramatta, articolata in modo incredi-bile, disorientante, c’è uno stretto braccio di oceano chela penisola di South Sidney separa da Port Jackson e dal-l’Opera House: è quasi un fiordo tropicale, che tutti chia-mano Darling Harbour. Ci entriamo attraverso un com-plicato sistema di cupole e tunnel di vetro sostenuti dasottili strutture d’argento che la notte sono illuminate diblu. In fondo a questa fiabesca galleria sfiorata dalla mo-norotaia sbuchiamo su ampie terrazze a diversi livelli af-facciate sull’acqua. L’altra riva è luminosissima nel buio:ponti per le auto e ponti pedonali, scale mobili a cieloaperto, cupole trasparenti che proteggono bar, ristoran-ti, un imax theatre, discoteche, grattacieli, piazzette,ascensori di vetro, un casinò completamente trasparen-te che lascia vedere slot machines, tavoli da poker, tavo-li da biliardo. Sull’orlo dell’acqua si balla, si cena, si be-ve, si passeggia, si prende il fresco, si ride. La folla è al-legra e quieta, molto giovane. Uno spettacolo laser sul-le prossime Olimpiadi viene proiettato su uno schermofatto di acqua vaporizzata lanciata nell’aria buia al cen-tro di Cockle Bay.

Ci rendiamo conto improvvisamente di come tutti sianotranquilli, contenti, rilassati. Nessuno si agita, nessunopreme: al punto che si può stare seduti sul bordo dei mo-li, come stiamo noi: le gambe che penzolano sull’acqua,senza rischiare di essere spinti giù. Nessuna carta, nessunmozzicone di sigaretta per terra. Nessuno urla. Nessuno scalmanato neppure tra i giovanissimi in scar-poni e jeans tutti tagliati, con catene appese ai polsi, cre-ste verdi e labbra dipinte di nero. Punti di aggregazionepiù fitta ma senza spinte, poi una rarefazione naturale,progressiva verso i margini, dove la musica, stasera cu-bana, quasi stenta ad arrivare. Questa piacevolezza, que-sto spirito easy, disponibile, morbido sembra veramentel’anima della città, non smentita neppure in questo mo-mento particolare, elettrizzante in cui Sydney è servitasotto il sole al centro di un vassoio d’argento: gli occhi deicinque continenti puntati addosso per le prossime, atte-sissime Olimpiadi. Proprio come era già successo, alle so-glie del nuovo millennio, per la prima spettacolare mez-zanotte del 2000 sul pianeta Terra. Si sente bene questa magica energia scorrere in città co-me un torrente di aria, se ne colgono i riflessi e l’entusia-smo – è splendido essere qui proprio adesso – eppurel’easy way of life non viene meno; non evaporano lo spa-zio, la non congestione, la tranquillità, il take your time,il no worries, come tutti ripetono continuamente. Respirata, è una dimensione che entra dentro, che scio-glie i grovigli. Nessuna voglia di tornare a Milano. Il con-trollo dei distacchi a cui ho dovuto abituarmi fa i contiquesta volta con l’estrema distanza. Non tanto per quel-le 22, 24 ore di volo. Sydney è lontana anche in un altrosenso, come diceva l’inglese ubriaco ondeggiando soli-dale con la metropolitana. È davvero maledettamentelontana da tutto. �