Labirinti metropolitani Sottosuoli politici tra Benjamin e ... · Walter Benjamin: capitalismo e...

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Kaiak. A Philosophical Journey, 1 (2014): Sottosuoli 1 Data di pubblicazione: 01.04.2015 Labirinti metropolitani Sottosuoli politici tra Benjamin e Bataille * di Massimo Palma Abstract: The relationship between Walter Benjamin and Georges Bataille is certainly one, whose relevance has already been stressed from a biographical point of view, the latter being responsible for the conservation of Benjamin’s manuscripts. On the other hand, the purely philosophical-political connection between the two of them is yet to be clarified, since Benjamin’s famous statement on Bataille’s activity, “Vous travaillez pour le fascisme”, can hardly be taken for granted and verified. It is true that in the late Thirties, Bataille and Benjamin do show common subjects, such as the interest for the labyrinth as a social metaphor of the city and of the life of goods where the flâneur feels strangely at ease. Nevertheless, it is true that some among Bataille’s (and Roger Caillois’) solutions cause Benjamin’s reproaches and philosophical mistrust, because of its sterile repetition of subjective heroism as a way out. 1. Sottosuoli politici: «Vous travaillez pour le fascisme…» I rapporti tra Walter Benjamin e Georges Bataille sono avvolti in un velo di opacità. Entrambi acuti interpreti della crisi della coscienza europea tra le due guerre, rappresentanti della sinistra radicale più eterodossa, hanno visto le loro strade incrociarsi a Parigi nella seconda metà degli anni Trenta. Il crocevia biografico ebbe termine con un mandato di custodia, che ben funzionò, tanto che per decenni poco si seppe dell’eredità lasciata da Benjamin, subito prima di abbandonare Parigi, nelle mani di Bataille, funzionario alla Bibliothèque Nationale, la struttura che aveva ospitato gli studi sulla Parigi dell’Ottocento dell’esule berlinese negli ultimi anni. Eppure, se la frequentazione reciproca è assodata, poche, quasi nulle tracce restano negli scritti. Certo, sul tema generale dell’ermeneutica del capitalismo als religione la prossimità almeno tematica tra Benjamin e Bataille sarebbe agevolmente rintracciabile a partire dai testi scritti dopo la morte di Benjamin, da Il limite dell’utile a Teoria della religione, fino alla Parte maledetta, quando, finita la guerra, Bataille si spese a favore di una dépense improduttiva, estranea alla logica utilitarista del capitalismo, ciò che Bataille chiama l’economia ‘ristretta’ 1 , con accenti che ricordano movenze del giovane Benjamin. Ma Bataille non poteva certo conoscere Capitalismo come religione, che doveva attendere decenni prima della sua riscoperta. Se certo avrebbe rinvenuto motivi d’interesse nell’interpretazione del capitalismo quale sistema di una colpevolezza umana che vive della «riduzione in frantumi» dell’essere 2 , non è dato qui operare una virtuale lettura del frammento da parte di Bataille. Semmai, questa limitata riflessione si chiede se si dia una * Questo testo è una versione ampiamente rivista e più estesa del contributo apparso ne Il culto del capitale. Walter Benjamin: capitalismo e religione, a cura di D. Gentili – M. Ponzi – E. Stimilli, Quodlibet, Macerata 2014, pp. 231-43. 1 Di dépense restreinte parla già La notion de dépense, apparso nel 1933 su «La Critique Sociale», premesso alla Part maudite nel 1948 (Œuvres complètes (d’ora in poi OC), Gallimard, Paris 1970-88, vol. 1, pres. di M. Foucault, pp. 302-20, qui p. 314). L’associazione tra Bataille e il Benjamin lettore dello stalinismo è compiuta da B. Moroncini, La comunità e l’invenzione, Cronopio, Napoli 2002, qui p. 15 nota 10. Ma si veda, sul Bataille post- bellico, soprattutto le pp. 83-98. 2 W. Benjamin, Kapitalismus als Religion, in Gesammelte Schriften, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1972-89 (d’ora in poi GS), VI, pp. 100-3; trad. it., Capitalismo come religione, in Scritti politici, Editori Internazionali Riuniti, Roma 2011, p. 83-89, qui p. 84.

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Kaiak. A Philosophical Journey, 1 (2014): Sottosuoli

1 Data di pubblicazione: 01.04.2015

Labirinti metropolitani Sottosuoli politici tra Benjamin e Bataille*

di Massimo Palma

Abstract: The relationship between Walter Benjamin and Georges Bataille is certainly one, whose relevance has already been stressed from a biographical point of view, the latter being responsible for the conservation of Benjamin’s manuscripts. On the other hand, the purely philosophical-political connection between the two of them is yet to be clarified, since Benjamin’s famous statement on Bataille’s activity, “Vous travaillez pour le fascisme”, can hardly be taken for granted and verified. It is true that in the late Thirties, Bataille and Benjamin do show common subjects, such as the interest for the labyrinth as a social metaphor of the city and of the life of goods where the flâneur feels strangely at ease. Nevertheless, it is true that some among Bataille’s (and Roger Caillois’) solutions cause Benjamin’s reproaches and philosophical mistrust, because of its sterile repetition of subjective heroism as a way out.

1. Sottosuoli politici: «Vous travaillez pour le fascisme…» I rapporti tra Walter Benjamin e Georges Bataille sono avvolti in un velo di opacità. Entrambi acuti interpreti della crisi della coscienza europea tra le due guerre, rappresentanti della sinistra radicale più eterodossa, hanno visto le loro strade incrociarsi a Parigi nella seconda metà degli anni Trenta. Il crocevia biografico ebbe termine con un mandato di custodia, che ben funzionò, tanto che per decenni poco si seppe dell’eredità lasciata da Benjamin, subito prima di abbandonare Parigi, nelle mani di Bataille, funzionario alla Bibliothèque Nationale, la struttura che aveva ospitato gli studi sulla Parigi dell’Ottocento dell’esule berlinese negli ultimi anni.

Eppure, se la frequentazione reciproca è assodata, poche, quasi nulle tracce restano negli scritti. Certo, sul tema generale dell’ermeneutica del capitalismo als religione la prossimità almeno tematica tra Benjamin e Bataille sarebbe agevolmente rintracciabile a partire dai testi scritti dopo la morte di Benjamin, da Il limite dell’utile a Teoria della religione, fino alla Parte maledetta, quando, finita la guerra, Bataille si spese a favore di una dépense improduttiva, estranea alla logica utilitarista del capitalismo, ciò che Bataille chiama l’economia ‘ristretta’1, con accenti che ricordano movenze del giovane Benjamin.

Ma Bataille non poteva certo conoscere Capitalismo come religione, che doveva attendere decenni prima della sua riscoperta. Se certo avrebbe rinvenuto motivi d’interesse nell’interpretazione del capitalismo quale sistema di una colpevolezza umana che vive della «riduzione in frantumi» dell’essere2, non è dato qui operare una virtuale lettura del frammento da parte di Bataille. Semmai, questa limitata riflessione si chiede se si dia una

* Questo testo è una versione ampiamente rivista e più estesa del contributo apparso ne Il culto del capitale. Walter Benjamin: capitalismo e religione, a cura di D. Gentili – M. Ponzi – E. Stimilli, Quodlibet, Macerata 2014, pp. 231-43. 1 Di dépense restreinte parla già La notion de dépense, apparso nel 1933 su «La Critique Sociale», premesso alla Part maudite nel 1948 (Œuvres complètes (d’ora in poi OC), Gallimard, Paris 1970-88, vol. 1, pres. di M. Foucault, pp. 302-20, qui p. 314). L’associazione tra Bataille e il Benjamin lettore dello stalinismo è compiuta da B. Moroncini, La comunità e l’invenzione, Cronopio, Napoli 2002, qui p. 15 nota 10. Ma si veda, sul Bataille post-bellico, soprattutto le pp. 83-98. 2 W. Benjamin, Kapitalismus als Religion, in Gesammelte Schriften, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1972-89 (d’ora in poi GS), VI, pp. 100-3; trad. it., Capitalismo come religione, in Scritti politici, Editori Internazionali Riuniti, Roma 2011, p. 83-89, qui p. 84.

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2 Data di pubblicazione: 01.04.2015

Nachgeschichte del frammento benjaminiano nel periodo parigino dell’autore, quello vissuto vicino a Bataille. Se si pensa a una contaminazione reciproca di temi, letture, perlopiù inconsapevole, se si vuol rinvenire qualche linea d’intersezione, il terreno da indagare è il periodo di ricerca condotto l’uno in prossimità dell’altro3. Occorre indagare approfonditamente il sottosuolo politico, di rimandi, di moniti e di sospetti, che l’uno vede nell’altro. Il sottosuolo di due autori qualificati sempre nella scia assai problematica di un marxismo eterodosso, eppure quanto mai diverso nel tedesco e nel francese. Tedesco che, esule dal nazionalsocialismo, vede imbevuta la superficie del discorso teorico del francese d’una faglia più intima inquietante e incendiaria. Una faglia potenzialmente pre-fascista.

Certo, le tracce esplicite sono rarefatte. Una volta sola, post mortem, appare il nome di Benjamin nelle lettere di Bataille4. Nell’epistolario benjaminiano le menzioni di Bataille si contano sulle dita della mano5. Nondimeno è noto il rapporto tra Benjamin e il Collège de sociologie, il gruppo di accoliti di sociologia ‘sacra’ riunitosi tra il 1937 e il 1939, dove l’uno – Bataille – teneva o moderava conferenze, mentre l’altro ascoltava. A lungo, al riguardo, ci si è soffermati sul Vous travaillez pour le fascisme! riportato da Pierre Klossowski: quel monito che Benjamin avrebbe pronunciato al cospetto degli adepti stupefatti del Collegio, da Callois a Monnerot, a Leiris. Ancora nel 1987 Giorgio Agamben ricordava un incontro con Klossowski, in qui questi avrebbe imitato Benjamin «con le mani sollevate in un gesto d’ammonizione […], che, a proposito dell’attività del gruppo di Acéphale e, più in particolare, delle idee esposte da Bataille nel saggio sulla Notion de dépense […] ripeteva “Vous travaillez pour le fascisme!”»6. Anche in relazione alle penose e tarde insinuazioni di Boris Souvarine7, molto si è discusso di questo giudizio e numerose sono state le difese di Bataille8.

Le riserve di Benjamin sono state recentemente messe a punto da «Critique» per il cinquantenario dalla morte di Bataille9. In realtà, a quanto risulta da un’altra testimonianza di Klossowski, Benjamin si sarebbe espresso con un più moderato Vous travaillez pour une esthétique préfascisante10. Giudizio che difficilmente un emigrato tedesco ebreo e antifascista non avrebbe proferito su temi e modalità prediletti da quei bizzarri ‘sociologi’ in quel momento, nell’immediato approssimarsi del secondo conflitto mondiale, ma che non toglie

3 Su cui Le Collège de Sociologie. 1937-1939, a cura di D. Hollier, Gallimard, Paris 19952 (1979). Sul convulso periodo batailleano cfr. perlomeno G. Bataille, L’apprenti sorcier. Textes, lettres et documents (1932-1939), a cura di M. Galletti, Editions de la Différence, Paris 1999. 4 G. Bataille, A Jean Bruno, 23.8.1945, in Choix de lettres 1917-1962, a cura di M. Surya, Gallimard, Paris 1997, p. 242: «Mme Genet avait une partie des papier de W. Benjamin». 5 W. Benjamin, Gesammelte Briefe (d’ora in poi GB), a cura di H. Lonitz – C. Gödde, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1995-2000, vol. V (1999), p. 124; vol. VI (2000), p. 93 sg., p. 152, p. 156, p. 202 sg. 6 G. Agamben, Bataille e il paradosso della sovranità, in J. Risset (a cura di), Georges Bataille: il politico e il sacro, Liguori, Napoli 1987, pp. 115-9, qui p. 115. Singolare il riferimento di Klossowski alla Notion de dépense come oggetto polemico di Benjamin. 7 La polemica, nata dalla riedizione nel 1983 degli scritti della «Critique Sociale», è ricostruita da R. Bischof, Tragisches Lachen. Die Geschichte von ‘Acephale’, Matthes&Seitz, Berlin 2010, pp. 128-30. 8 P. es.: «per aver avuto il coraggio di infrangere i tabù della sinistra, è stato accusato di fascismo», P. Alberti, Postfazione a G. Bataille, Teoria della religione, trad. di R. Piccoli, SE, Milano 2002, pp. 99-119, qui p. 119. 9 Si veda la raccolta di lettere benjaminiane a Horkheimer, Walter Benjamin et le Collège de Sociologie, «Critique», 788-789, gennaio-febbraio 2013, pp. 97-109, comprensiva, pp. 108-9, della recensione di Adorno a La mante religieuse (1937) di Roger Caillois («Zeitschrift für Sozialforschung», a. VII, 1938, pp. 410-1). 10 P. Klossowski, Entre Marx et Fourier, «Le monde», 31 maggio 1969, supplemento al n. 7582, ora in D. Hollier, Le Collège de Sociologie cit., pp. 884-5: «Déconcerté par l’ambiguité de l’a-théologie “acéphalienne”, Walter Benjamin nous objectait les conclusions qu’il tirait alors de son analyse de l’évolution intellectuelle bourgeoise allemande, à savoir que la “surenchère métaphysique et politique de l’incommunicable” (en fonction des antinomies de la société capitaliste industrielle) aurait préparé le terrain psychique favorable au nazisme. Pour lors, il tentait d’appliquer son analyse à notre propre situation. Discrètement, il voulais nous retenir sur la ‘pente’ , malgré une apparence d’incompatibilité irreductible, nous risquions de faire le jeu d’un pur et simple ‘esthetisme préfascisant’».

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3 Data di pubblicazione: 01.04.2015

l’interesse mostrato da Benjamin per le avanguardie surrealiste sin dall’inizio dei suoi soggiorni parigini11.

Ma si diede il reciproco? In una prima testimonianza scritta resa nel 1952, Klossowski ricordava Benjamin con toni commossi, rivelando non solo la ben nota «costernazione» di Benjamin nei confronti del Collège, ma anche la meno nota opposizione del Collegio a Benjamin. O almeno della coppia Klossowski-Bataille.

L’avevo incontrato all’epoca in cui partecipavo alle agglutinazioni Breton-Bataille, poco prima

di acefalare con quest’ultimo, tutte quelle specie di cose che Benjamin seguiva con tanta costernazione quanta curiosità. Benché Bataille e io fossimo in opposizione con lui su tutti i piani, l’ascoltavamo con passione12.

Dell’ostilità di Bataille a Benjamin (persino «su tutti i piani») resta solo questa

testimonianza indiretta. Non abbastanza per costruire ipotesi. Nella problematica ricerca di fonti stranianti per un pensiero di sinistra alternativo alle incarnazioni del secolo breve, l’intersezione tra due pensatori marginali, esclusi, nonché teorici del margine e dell’esclusione, va indagata come testimonianza dei patimenti anche esistenziali e delle incomprensioni tipiche della parte proscritta. A tal fine, conviene piuttosto aggirare il brusio di fondo agitato dai giudizi benjaminiani e seguire la scia di un lemma che i due condividono e utilizzano: il ‘labirinto’.

2. Bataille: la metafora sociale del labirinto Nel 1935-36, su una rivista dalla vita breve ma luminosa, Bataille pubblica Il labirinto13.

Difficilmente il testo può esser sfuggito a Benjamin, che a quell’altezza già conosce l’autore14 e che due anni dopo recensirà – con accenti positivi – il numero precedente di «Recherches philosophiques»15. Il tema di una socialità non solo insocievole, ma opaca, oscura e destabilizzante, inoltre, doveva interessarlo, se in quegli anni, come è stato ben mostrato16,

11 Cfr. B. Moroncini, Il tempo della felicità, in Id., Il lavoro del lutto. Materialismo, politica e rivoluzione in Walter Benjamin, Mimesis, Milano-Udine 2012, pp. 119-33, qui p. 119 nota 1, secondo cui Benjamin è «d’accordo, se non con tutte, con una buona parte delle tesi in esso [nel Collegio di Sociologia] sostenute, molto di più di quanto testimonino gli accenni critici che manifestò pubblicamente». 12 P. Klossowsky a A. Monnier, Lettre sur Walter Benjamin, in «Mercure de France», n. 1067, 1 luglio 1952, t. CCCXV, p. 456 sg., ora in W. Benjamin, Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, in Id., Werke und Nachlaß (d’ora in poi WN), vol. 16, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 2012, pp. 665-6, qui p. 665. 13 G. Bataille, Le labyrinthe, in «Recherches philosophiques», t. V, 1935-1936, pp. 364-72, ora in Id., OC I, pp. 433-41; trad. it. di S. Finzi, Il labirinto, SE, Milano 2003, pp. 11-25. Il saggio avrà una seconda vita, mutato, nel 1943 in L’experience intérieure, OC V, pp. 97-109. 14 An den Directeur général de la Bibliothèque Nationale, 8.7.1935, GB V, pp. 123-4, qui p. 124: «M. Bataille de la Bibliothèque Nationale me connaît également». 15 W. Benjamin, «Recherches philosophiques. Fondée par A. Koyré, H.-Ch. Puech, A. Spaier», Volume IV, 1934, Bovin et Cie. Editeurs, Paris 1935, VI, 530 pp., (1937), WN XIII, 1 (2011), pp. 485-6; trad. it., in Opere Complete (d’ora in poi OC), VI, Scritti 1934-1937, Einaudi, Torino 2004, pp. 514-5. Questo numero fu usato da Benjamin anche altrove: cfr. p.e. la citazione dell’articolo di Löwith ivi contenuto in Das Passagen-Werk, GS V, 2, p. 882 (a 14 a, 3); trad. it., I ‘passages’ di Parigi (OC IX), Einaudi, Torino 2000, p. 797 e Charles Baudelaire. Un poeta lirico nell’età del capitalismo avanzato (d’ora in poi CB), a cura di G. Agamben – B. Chitussi – C.-C. Härle, Neri Pozza, Vicenza 2012, p. 484. 16 Si deve a D. Gentili, Topografie del capitalismo nella Parigi metropoli del XIX secolo, in M. Ponzi – D. Gentili (a cura di), Soglie. Per una nuova teoria dello spazio, Mimesis, Milano-Udine 2012, pp. 213-25 un’acuta problematizzazione di alcuni dei nessi benjaminiani che stiamo per trattare, con significativi riferimenti a Bataille e ad Aragon. Ci proponiamo di sviluppare alcune intuizioni di questo studio. Per un’analisi che riporta il Benjamin dei Passages alle sue fonti ‘cosmiche’ cfr. G. Guerra, «In primo piano, i Dioscuri». Topografie benjaminiane tra labirinto e tempio, ivi pp. 245-257, qui p. 255.

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4 Data di pubblicazione: 01.04.2015

non gli era certo estranea l’indagine in chiave geschichtsphilosophisch del mitologema che congiunge il labirinto agli inferi17.

Ma il testo di Bataille aveva una sua originalità di sviluppo, dettata dalla frequenza delle lezioni di Kojève all’Ecole des Hautes Etudes. Le labyrinthe sviluppava infatti un criptico esergo hegeliano – «la negatività, ossia l’integrità della determinazione» – dispiegato nella chiave per cui l’essere dell’uomo va compreso «nel senso positivo di una lotta tragica e incessante per una soddisfazione quasi irraggiungibile»18: l’impeto eracliteo del desiderio si insinua rapidamente in una fulminea rilettura della nota scena della Fenomenologia.

Nel primo movimento in cui la forza della quale dispone il signore mette lo schiavo alla sua

mercé, il signore priva lo schiavo di una parte del proprio essere. Molto più tardi, in compenso, l’«esistenza» del signore si impoverisce nella misura in cui si allontana dagli elementi materiali della vita. Lo schiavo arricchisce il suo essere via via che sottomette questi elementi col lavoro al quale la sua impotenza lo condanna19.

L’eco kojèviana si fonde con una lettura ‘economica’ dell’essere – impoverimento-

accrescimento – che apre a un seguito inedito. Iniziata in chiave sociologico-storica, la linea ermeneutica di avvicinamento al concetto di labirinto si fa ontologica. La materia appropriata dal lavoratore ne rende confusa l’esperienza economica in quanto esperienza sociale tanto complessa quanto opaca: se la non-pienezza dell’esperienza dell’essere produce la schiavitù, questa si ripropone concretamente come specializzazione.

I movimenti di degradazione e accrescimento contraddittori raggiungono nello sviluppo

diffuso dell’esistenza umana una complessità che confonde. La separazione fondamentale degli uomini in schiavi e in signori non è che la soglia superata, l’entrata nel mondo delle funzioni specializzate dove l’«esistenza» personale si svuota del suo contenuto: un uomo non è più che una parte di essere e la sua vita impegnata in un gioco di creazione e di distruzione che l’eccede appare come una particella degradata a cui manca la realtà20.

L’essere, il lavorare e il conoscere come funzione specializzata vuol dire

l’immiserimento del vissuto della condizione ontologicamente data come ricchezza dell’essere (che «si ramifica, si sviluppa», «nell’agitazione tumultuosa di una vita che non conosce limiti»). La conoscenza avanza per settori.

La deficienza può accrescersi ancora se l’oggetto della conoscenza non è più l’essere in

generale ma un dominio ristretto, come un organo, una questione matematica, una forma giuridica21.

Gli uomini si pascono in quest’insufficienza cognitiva – l’inesperienza d’un essere che

non sia «isolato». Questo «principio d’insufficienza», determinato da fattori radicati in un’antropologia sociale conflittuale e desiderante, presenta a sua volta conseguenze sociali, 17 «Nell’antica Grecia venivano indicati dei luoghi attraverso cui si scendeva agli inferi. Anche la nostra esistenza desta è una regione da cui in punti nascosti si discende agli inferi. […] Gli edifici della città sono un labirinto che alla luce del giorno assomiglia alla coscienza; […] All’interno di questo labirinto non dimora un solo toro, cui ogni anno va gettata in pasto una vergine tebana, ma dozzine di tori ciechi e furiosi nelle cui fauci si gettano ogni mattina migliaia di sartine smunte e commessi stracchi» (W. Benjamin, GS V, 1, p. 135, pp. 135-6 (C 1a, 2); trad. it., OC IX, p. 89). Si veda K. Kérenyi, Labyrinth-Studien: Labyrinthos als Linienreflex einer mythologischen Idee, «Albae Vigiliae», vol. 15, 1941, ivi, vol. 10, n. s. 19502; trad. it. in Nel labirinto, a cura di C. Bologna, trad. di L. Spiller, Bollati Boringhieri, Torino 2012 (1983), soprattutto pp. 31-105, qui p. 34: nelle culture mesopotamiche «“labirintico” e “infero” sono una sola cosa, un identico principio». 18 G. Bataille, Le Labyrinthe cit., p. 433; trad. it., p. 13. 19 Ivi, p. 433; trad. it., p. 13. 20 Ivi. 433-4; trad. it., pp. 13-4 (trad. mod.). 21 Ivi, p. 434; trad. it., p. 14.

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5 Data di pubblicazione: 01.04.2015

piegando le rappresentazioni sociali a funzioni della conflittualità diffusa22. L’insufficienza notata negli altri diventa scoperta del proprio isolamento, dell’ergersi di un principio di soggettività autonomo dal contesto sociale, ambiente ostile, nauseante, e in tanto deprezzato.

Isolatamente, ogni uomo si rappresenta la maggior parte degli altri come incapaci o indegni di

«essere». […] La sufficienza di ogni essere è contestata senza posa da ogni altro. […] Quest’inquietudine degli uni e degli altri si accresce e si ripercuote per il fatto che a ogni svolta, con una sorta di nausea, gli uomini scoprono la loro solitudine in una notte vuota23.

In quest’oscura rilettura dell’autopercezione della società civile moderna come

labirinto, conflitto e solitudine appaiono come volti diversi della stessa «notte vuota», destinata all’inerzia se non intervenisse la negatività umana, «per dare la sua coerenza drammatica all’essere e alla vita» – e qui la memoria del dettato kojèviano è tanto nitida, quanto suona invece estrinseco l’intervento del fattore-negatività solo a quest’altezza, senza legare esplicitamente insufficienza e desiderio.

Appena rilevato il principio soggettivo come principio di negazione che attiva una diversa produzione di essere, per Bataille «ciò che esige in me che vi sia dell’“essere” nel mondo, dell’“essere” e non soltanto l’insufficienza manifesta della natura non-umana o umana, proietta, prima o poi, necessariamente, in risposta alla chiacchiera umana, la sufficienza divina attraverso lo spazio, come il riflesso di un’impotenza, di una malattia dell’essere servilmente accettata»24. Ecco un tema che accompagnerà Bataille ancora a lungo e che troverà eco in Benjamin: l’emersione di un ambito trascendente svuotato. Per Bataille, come «riflesso di un’impotenza», scaturisce la necessità di un essere divino, «fuori di me», proiettato di contro a un essere che nel mondo è caratterizzato da precarietà, incertezza, assenza d’ipseità nelle sue particelle elementari. Proprio la soggettività negatrice e desiderante nell’immanenza, che proietta ombre di un essere piramidale al di sopra di sé, proprio quest’immanenza incerta, in continua ricomposizione, è il labirinto: l’impegno «nel gioco continuo di queste lacune di corrispondenza, coerenza, strutturazione»25.

A partire da un’estrema complessità l’essere impone alla riflessione più della precarietà di

un’apparenza fuggitiva, ma questa complessità – spostandosi di grado in grado – diviene a sua volta il labirinto in cui si perde stranamente quello che era sorto26.

Senza poter seguire l’intero argomentare batailleano, rileva la conseguenza

antropologico-sociale che riguarda la «struttura labirintica dell’essere umano»27. Le relazioni sociali nella società di massa (l’esempio è quello dello scambio di convenevoli tra vicini) sono affinabili all’incontro-scontro instabile tra due cellule in un tessuto.

Un uomo non è che una particella inserita all’interno di insiemi instabili e intricati. Questi insiemi

si compongono nella vita personale sotto forma di possibilità multiple. […] L’essere ipse che si dà come

22 Che questo principio sia riconducibile a una «ontologia della insoddisfazione», per cui per Bataille sarebbe tout court meglio desiderare che essere soddisfatti è però giudizio discutibile. Cfr. Ch. M. Gemerchak, The Sunday of the Negative. Reading Bataille Reading Hegel, State University of New York, Albany 2003, p. 215. 23 G. Bataille, Le Labyrinthe, p. 435; trad. it., p. 15. 24 Ivi, p. 435; trad. it., p. 15-6. 25 S. Geroulanos, An Atheism that is not Humanist emerges in French Thought, Stanford University Press, Stanford 2010, p. 193. Cfr. ivi, pp. 173-206 (su Bataille pp. 184-94) per una lettura di questo saggio insieme al coevo inedito Le Bleu du Ciel e agli scritti di Levinas (L’évasion) e Sartre (La transcendence de l’Ego), pubblicati su «Recherches Philosophiques». 26 G. Bataille, Le Labyrinthe, p. 436; trad. it., p. 17. 27 Ivi, p. 437; trad. it., p. 18.

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6 Data di pubblicazione: 01.04.2015

universale non è che una sfida portata all’immensità diffusa che sfugge alla violenza della sua precarietà, la negazione tragica di tutto ciò che non è la sua stessa sorte di fantasma smarrito28.

Il labirinto si configura quindi come universo di precarietà diffusa, violenta, di sfida

continua della negatività umana (angosciata) al ritmo festoso di composizione e ricomposizione degli esseri. L’essere umano fuoriesce come angoscia negativa, ipseità non conforme. Il labirinto è cognitivo, «il labirinto brumoso formato dalla moltitudine delle “conoscenze” con cui possono esser scambiate delle espressioni di vita e delle frasi»29. Di fronte a un’opzione ontologica che vuole l’integrità dell’essere quale espressione di un universo ricco, e a un’angosciata emersione del soggetto che riflette tragicamente la cesura rappresentata dalla sua negatività rispetto all’economia universale, il sottotesto sociologico rievoca gli schemi con cui dall’Ottocento veniva riguardata la vita metropolitana.

Si producono degli insieme relativamente stabili il cui centro è una città. […] Nel caso in cui più

città abdichino alla loro funzione di centro a profitto di una sola, si forma un impero intorno a una capitale, dove si concentrano la sovranità e gli dei30.

La difficoltà delle particelle periferiche a esistere di per sé nella città si dà sul piano

ontologico, filosofico-religioso, fino ai costumi («una moda creata in una certa città priva di valore gli abiti portati fin ad allora»31). La socialità si rivela nella sua struttura dialettica: da un lato compatta le aggregazioni, rendendole omogenee, dall’altra, per farlo, deve tagliare i ponti col passato. La socialità metropolitana e labirintica pone un principio di riflessione negativa e differenziante come suo metodo – è la genesi di un principio di economia ristretta: la negatività appare come faglia segreta del sociale, persegue l’utile e la razionalità finalizzata, destruttura la tradizione e svuota i costumi. Gli individui coinvolti ne traggono una sensazione d’insufficienza, la coscienza sotterranea d’essere atomi riflessi in un sistema.

La frattura tra il principio economico generale dell’universo e l’istanza negativa che gli si contrappone è ricomposta dal cuore epifanico del labirinto: è il riso a rivelare l’«insufficienza» del centro stesso, simile a quelle delle particelle che gravitano attorno. «Tale insufficienza centrale può esser rivelata ritualmente (tanto nei saturnali o nella festa dell’asino quanto nelle smorfie puerili del padre che fa divertire il suo bambino). Può esser resa percepibile dall’azione stessa dei figli o dei “poveri” ogni volta che un cedimento logora o indebolisce l’autorità, lasciandone scorgere il carattere precario»32. Ridere della totalità è lo scavo interno al sistema, è la nuova feroce religiosità di cui Bataille vuole costruire un mito impossibile, una nuova religione a fronte di una religione dell’utilità, in cui ogni tassello è funzione – uno dei suoi futuri nomi sarà capitalismo.

Festività, riso, sarà quel rito che rovescia l’autorità, rivelandone l’insufficienza e la precarietà. Ma nel labirinto odierno (la metropoli capitalistica) può immaginarsi l’assenza di ogni rito di rovesciamento? Può darsi un sistema labirintico – se il labirinto è l’immagine dell’uomo che emerge polemica e angosciata da un sistema sociale che svuota l’universo del suo principio di abbondanza – in cui il rito, stando ai temi del frammento benjaminiano Capitalismo come religione, sia interamente feriale?

Nell’analisi della Parigi del Secondo Impero su cui Benjamin si affaticava proprio in quegli anni tornano alcune suggestioni batailleane appena attraversate. Parigi, attrazione per

28 Ivi, p. 437; trad. it., pp. 18-9 (trad. mod.). 29 Ivi, p. 438; trad. it., p. 20. 30 Ivi, pp. 438-9; trad. it., p. 21. 31 Ivi, p. 439; trad. it., p. 22. 32 Ivi, p. 440; trad. it., p. 23. R. Gasché, Georges Bataille. Phenomenology and Phantasmatology, Stanford University Press, Stanford 2012 (ed. ted. 1978), pp. 270-2, rivela il movimento teorico solo raffigurato nel Labyrinthe come movimento di sacrificio dell’universale, collasso del significato.

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ogni periferia e cuore capitalistico di un’economia imperiale, appare labirinto onirico, attraversato da risate virtuali che Benjamin chiamerà ‘risvegli’, radicati nella storia materiale dell’epoca e fondati su negazioni determinate di condizioni storicamente date e non sulla sola negatività dell’ipse piegato dal riso nell’«integrità della determinazione».

3. Una sociologia decisa da Mosca. Benjamin contro Kojève

L’opposizione di Benjamin al fondamento teorico che le tesi ‘economiche’ di Bataille stanno assumendo in quegli anni, prendendo una curvatura a suo avviso adialettica, emerge per via indiretta alla fine del ’37. Il 4 dicembre 1937, al Collège de Sociologie, Kojève proferì una conferenza su Hegel di cui non è rimasta registrazione, ma solo ricostruzioni sommarie33. Conseguenza della conferenza fu la nota missiva che Bataille indirizzò a Kojève, il 6 dicembre34. Meno nota è la lettera che Benjamin, quello stesso giorno, scrisse allo stesso riguardo a Horkheimer, mettendolo in guardia dal soggetto che con tecnica affabulatoria rara aveva discettato di concezioni hegeliane. Le operazioni in Russia riducono le possibilità di un chiarimento, qui come in altri casi. Con mio stupore, ho potuto udire molto di recente un intellettuale senza legami con il partito riferirsi a questi avvenimenti in maniera positiva. Era Kojevnikoff, durante un intervento sul pensiero hegeliano in sociologia. Suppongo che l’uomo le sia più o meno noto. Non ha pubblicato delle sintesi nella rivista, come suggeriva Brill? Tiene corsi alla Sorbona: è nel suo seminario sulla Fenomenologia, di cui prepara una traduzione in francese, che alcuni surrealisti hanno trovato le loro informazioni sulla dialettica. La sua modalità espositiva è chiara, la sua tecnica orale eccellente. Se è possibile essere conoscitori di Hegel senza essersi appropriati della dialettica materialista, si può dire che Kojevnikoff sia tra questi. Ora, anche intendendo la dialettica in senso idealista, le sue concezioni mi sembrano piuttosto discutibili. Ad ogni modo, non hanno impedito di sviluppare nel suo intervento – nel circolo di Acéphale! – la tesi secondo cui l’uomo, solo nel suo lato naturale, o al limite nelle manifestazioni della sua storia passata che partecipa, in quanto trascorsa, della fissità del suo essere naturale, può essere oggetto della conoscenza scientifica. È a Mosca che si farebbe sociologia oggi; non potrà essere scritta se non quando sarà deciso lì (a Mosca). – Tutto questo è abbastanza triste, anche se non bisogna perder di vista il fatto che gran parte del suo proposito era forse indirizzato maliziosamente contro gli organizzatori del suo intervento35.

Non deve esser sottovalutata la stigmatizzazione della fortunata operazione

ermeneutica di Kojève come scevra d’ogni seria dialettica materialista. A fianco della constatazione dell’avvenuta contaminazione del surrealismo francese con questa particolare variante dell’hegelismo, preme a Benjamin suggerire come l’elemento di astratta negazione della storicità del passato (la sua naturalizzazione integrale) porti Kojève a considerarne possibile una considerazione ‘scientifica’. Il vettore di tale considerazione sarebbe però – e in filigrana è un’osservazione che Benjamin potrebbe muovere al Bataille del Labirinto – una soggettività che guarda alle sue esperienze passate come a un blocco, per quanto scaturito da

33 Cfr. l’ipotesi ricostruttiva di D. Hollier, Le Collège de Sociologie cit., pp. 61-70. 34 G. Bataille, Lettre à X., chargé d’un cours sur Hegel..., in Le coupable, Gallimard, Paris 1944, 19612 , ora OC V, pp. 369-71; trad. it. in Id., Piccole ricapitolazioni comiche. Scritti su Hegel 1929-1956, Aragno, Torino 2015, pp. 53-8. 35 An Max Horkheimer, 6.12.1937, GB V, pp. 621-2. Kojève aveva recensito Henri Gouhier, Vie d’Auguste Comte in «Zeitschrift für Sozialforschung», 1931, 1, p. 152 sg. Un ulteriore cenno a Kojève è nella lettera a Horkheimer del 11.2.1938 (GB VI, p. 30) che a sua volta risponde a un’obiezione di Horkheimer (Briefwechsel 1937-1940, a cura di G. Schmid Noerr, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1995, p. 339).

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una genesi proliferante, e che non si allontana, nelle modalità operative del suo agire gnoseologico, dall’astrazione scientifica tipica della sociologia possibile solo a Mosca.

In questa chiave la postulazione di un vissuto sociale quale labirinto, ontologicamente radicato nell’economia universale, risulta triviale, se pretende di fissare tout court il mondo sociale, complesso ma oggettivato, come istanza determinata che sarebbe negata, in quanto insufficiente, da epifanie quali riso o estasi, lacrime o tragedia (per menzionare alcuni standard batailleani), che fanno finire la storicità naturalizzandola come oggetto fissato, e non dialetticamente costruito. Nell’obiezione benjaminiana a Kojève può quindi leggersi in nuce la polemica contro il metodo epistemologico batailleano applicato agli oggetti della sociologia sacra (di cui il labirinto fu espressione primitiva).

4. Il labirinto-sottosuolo di Benjamin

Furio Jesi, analizzando il nesso tra la considerazione scientifica della festa e la macchina mitologica, ha fatto osservare la differenza tra le feste odierne e le feste di ieri, in cui vi era un tempo di ‘visione’, che oggi possiamo solo presupporre sulla base della sua assenza: «le feste odierne non sono altro che pause, periodi in cui il conoscere razionale si disgrega temporaneamente in oblio di sé, pronto a ricomporsi e ad assumere un istante più tardi, terminata la festa, la situazione di privilegio che in latenza è sempre rimasta sua». Si tratta, oggi, di una festa «in cui si ode il suono della macchina mitologica, ma si esclude a priori l’eventualità di vedere»36. Questa medesima eco di festività, eco d’un’assenza, viene sviluppata – secondo una tonalità emotiva striata d’angoscia e di riflessioni sulla stessa – nel Bataille anni Trenta al cospetto dell’assenza del mito.

Se non si può ridurre l’operazione batailleana ad espressione dell’autopercezione sociale nel mondo ‘religioso’ capitalistico che, secondo l’intuizione di Benjamin, vive di un culto a-dogmatico, a-teologico, feriale, è vero che lavora in lui una macchina mitologica che si fa sentire senza vedere – «che non purifica ma colpevolizza» anche quel presupposto incoercibile e inattingibile, che si deve presupporre nell’udire la macchina mitologica funzionare. L’angoscia dell’autopercezione sociale nell’era capitalista sta proprio nell’assistere, senza riattivare alcunché, a un culto interamente feriale. Nei termini batailleani chi vi si rapporta è nel labirinto. Ma in Benjamin, incarnata in figure storico-sociali riconoscibili, l’astratta analisi batailleana del labirinto, ancora tiepidamente hegelo-kojèviana, viene arricchita e al contempo criticata.

Una delle guide scelte da Benjamin per addentrarsi nel labirinto dell’Ottocento parigino è Roger Caillois, amico stretto di Bataille, che tuttavia sarà bersaglio di una critica feroce appena due anni dopo – prima per lettera, poi in una recensione collettiva: «Il notevole talento di C[aillois] trova in questo saggio un oggetto all’interno del quale non riesce a mostrarsi se non nella forma della sfacciataggine. […] Fornisce il fondamento indispensabile per schiudere il “superiore senso” insito nella prassi del capitale monopolistico, che “lascia in consegna di volgere” i suoi mezzi “più alla distruzione che all’utilità o alla felicità”. Quando C[aillois] dice “on travaille à la libération des êtres qu’on désire asservir et qu’on souhaite ne voir obéissants qu’envers soi”37 (p. 12), semplicemente ha descritto la prassi fascista. – È triste vedere una vasta corrente di fango alimentata da fonti così elevate»38. 36 F. Jesi, La festa e la macchina mitologica, in Materiali mitologici. Mito e antropologia nella cultura mitteleuropea, (1979), n. ed. a cura di A. Cavalletti, Einaudi, Torino 2001, pp. 81-120, qui pp. 103 e 119. 37 Cfr. i passi de L’aridité (non sempre rispondenti a quanto riporta Benjamin) in R. Caillois, La comunione dei forti, a cura di M. Brunazzi, Bollati Boringhieri, Torino 2007, pp. 93-100, qui pp. 96 e 99. 38 W. Benjamin, Roger Caillois, L’aridité, in «Mesures. Cahiers trimestriels», 15e avril 1938, no. 2. Paris: Librairie José Corti, pp. 7-12; Julien Benda, Un régulier dans le siècle, Paris: Gallimard (1937), pp. 254; George Bernanos, Les grand cimetières sous la lune, Paris: Librairie Plon 1938. V, pp. 361; G. Fessard, La main tendue? Le dialogue

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Eppure al contempo, muovendosi tra i Passages, Benjamin trae da Caillois utili indicazioni di lavoro39. Se «la città è la realizzazione dell’antico sogno umano del labirinto. A questa realtà, senza saperlo, è dedito il flâneur»40, questi si aggira in quello che Caillois chiama «Paris fantôme, nocturne, insaississable»41. Che diventa però un meccanismo a orologeria per chi sappia muoversi nella metropoli, il detective, che utilizza la città come rete di tracce.

Elementi d’ebbrezza nel romanzo poliziesco. Caillois ne descrive il meccanismo (in un modo

che ricorda l’ambiente del mangiatore di hashish): «Les caractères de la pensée enfantine, l’artificialisme en premier lieu, régissent cet univers étrangement présent; rien ne s’y passe qui ne soit prémédité de longue date, rien n’y répond aux apparences, tout y est préparé pour être utilisé au bon moment par le héros tout-puissant qui en est le maître. On a reconnu le Paris des livraisons de Fantômas».42

Se è evidente come al detective possa sostituirsi un agente politico, e che vi sono tracce

di agibilità, di risveglio potenziale sparse nel vissuto labirintico-metropolitano (si è notato come Caillois sia ossessionato – e Benjamin con lui43 – dall’Histoire de treize di Balzac44), la Parigi che dorme, notturna e formicolante, de L’homme qui rit di Hugo45 è la Parigi in lotta con il mitologema labirintico alla sua base. Intricate nell’analisi sono le critiche di Benjamin allo junghiano inconscio collettivo – che sospetta operante in Caillois –, ché nell’appropriazione del mito da parte della massa si palesa uno strumento di ‘sonno’ storico. Ma se lo stato di cose capitalista impone alla coscienza una condizione onirica, questa è addensata nell’immedesimazione nel valore di scambio della merce. E se questa condizione è collettiva, se la massa assume un’attitudine empatica quotidiana e la proietta nello spettacolo seriale della merce, tali valenze inconsce sono storicamente determinate.

Con il sorgere dei grandi magazzini, per la prima volta nella storia i consumatori cominciano a

sentirsi massa. (Prima, era solo il bisogno che li istruiva in tal senso). Cresce pertanto in modo straordinario l’elemento circense e spettacolare del commercio46.

Ecco il crocevia teorico tra mercato, flâneur e labirinto, il riemergere dell’antichità mitica nel moderno. È l’addetto di un culto a rivelarsi, inconsapevolmente, nel flâneur: il culto dell’esposizione della merce. La spettacolarizzazione è il riflesso fintamente festivo della ferialità sempiterna d’un culto impegnato nella costante messa «fuori corso» delle cose: allorché le merci perdono il loro valore d’uso, «sono svuotate e come cifre attirano i significati.

catholique-communiste est-il-possible?, Paris: Editions Bernard Grasset 1937, pp. 248, in «Zeitschrift für Sozialforschung», 7, 1938, 3, pp. 463-6, in WN XIII.1, pp. 513-7; trad. it. in Scritti politici cit., pp. 291-7. 39 «Caillois, Paris mythe moderne (“Nouvelle Revue Française”, XXV, 284, 1 mai 1937, p. 699 [ora in Le mythe et l’homme, Gallimard, Paris 19722 (1938), pp. 153-175, qui p. 175 nota 1]) elenca le ricerche che dovrebbero essere intraprese». W. Benjamin, GS V, 1, p. 586 (N 7, 1); trad. it., OC, IX, p. 526. 40 Id., GS V 1, p. 541 (M6 a, 4); trad. it., OC IX, p. 481; Charles Baudelaire cit., p. 345. 41 R. Caillois, Paris, mythe moderne, p. 687 (Le mythe e l’homme cit., p. 160), cit. in W. Benjamin, GS V, 1, p. 522 (L, 5, 3); trad. it., OC IX, p. 464 e CB, p. 345. 42 R. Caillois, Paris, mythe moderne, p. 688 (Le mythe et l’homme, p. 160); cit. in W. Benjamin, GS V, 1 (G 15, 5), p. 265; trad. it., OC IX, p. 209. 43 Cfr. nel capitolo Konspirationen, compagnonnage, GS V, 2, p. 761; trad. it., OC IX, p. 685 (V 7a, 6; V 8, 1). Citazioni da Caillois, Paris, mythe moderne, pp. 698 e 695-6 (Le mythe et l’homme, pp. 173 e 170) e da E. R. Curtius, Balzac (F. Cohen, Bonn 1923) (V, 7, 1) (trad. it., p. 684), che Caillois cita dalla recente traduzione francese (Grasset, Paris 1933). 44 Cfr. A. Laserra, Bataille e Caillois: osmosi e dissenso, in J. Risset (a cura di), Georges Bataille: il politico e il sacro cit., pp. 120-36, qui p. 130 e nota 39. Cfr. anche R. Bischof, Tragisches Lachen cit., pp. 121-5. 45 R. Caillois, Paris, mythe moderne, p. 691 (Le mythe et l’homme, p. 165 nota 3), cit. in W. Benjamin, GS V, 1, p. 505 (K 5a, 5); trad. it., OC IX, p. 446. 46 Id., GS V, 1, A 4, 1, p. 93; trad. it. OC IX, p. 50 e CB, p. 396.

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La soggettività se ne impadronisce, ponendo in esse un’intenzione di desiderio e di paura»47. Quest’angoscia è un riflesso dell’oggetto fuori corso, svuotato, prodotto dal progresso tecnico, come se la merce stessa fosse in primis soggetto di godimento: l’intenzione soggettiva colorata di desiderio che Kojève/Bataille avevano interpretato come chiave del conflitto antropologico, senza indagare la radice sociale di questa negatività impaurita/desiderante, è un esito moderno: del rito capitalista che mette sempre ugualmente fuori-corso i prodotti. Da cui l’attitudine del flâneur a ritrovarsi nel labirinto: il labirinto asemantico delle cose svuotate.

Il flâneur va a fissare l’estraneazione, scrive Benjamin. Si forma stentorea una corazza che lo accoglie e lo protegge fino a murarlo.

L’importanza eccezionale di Baudelaire consiste nell’aver «stabilizzato» (ding-fest gemacht)

per primo e più coerentemente di chiunque altro l’uomo estraniato a se stesso, nel doppio senso di averlo individuato e di avergli fornito una corazza contro il mondo reificato48.

E quindi ci si dedica al proprio labirinto, espressione della stratificazione e dell’opacità

del dominio sociale, come a un culto. Ma dello stesso punto teorico cui Bataille imprime una curvatura ontologica prima, coscienziale dopo, la nietzscheana morte di Dio, Benjamin dà una lettura filosofico-storica: nello svelare la piega estenuata e inutile del vezzo ‘eroico’ di Baudelaire, matura una teoria della dialettica tra novità (in senso socio-merceologico) e ‘sempre-uguale’ che restituisce la dottrina nietzscheana dell’eterno ritorno alla sua matrice storica49. Che questo sforzo sia vano e contraddittorio è chiaro dalla successiva re-immissione di Baudelaire nel ciclo sociale del consumatore di massa. Il cui tratto mitologico emerge nella sovrapposizione tra le diverse paure della Straße e del Weg.

Per comprendere il termine «strada», occorre distinguerlo da quello più antico di «sentiero».

[…] Il sentiero porta con sé la paura dell’erranza. […] Sulla strada l’uomo non è in preda all’erranza, ma soggiace al fascino della striscia d’asfalto che si svolge monotona. Il labirinto, tuttavia, rappresenta la sintesi di queste due paure: una monotona erranza50.

Nella metropoli che presenta le sue cose e i loro prezzi, errare nel labirinto vuol dire

attivare una ripetizione di attitudini, un rito. Il mito, qui, è il culto del valore espositivo della merce. Negli appunti di Zentralpark – via d’accesso ai due testi più compiuti su Baudelaire – vengono fissati nessi ulteriori.

Il labirinto è la via giusta per chi arriverà comunque in tempo alla meta. Questa meta è il mercato. […] Il labirinto è la patria di colui che esita. La via di chi teme di giungere alla meta traccerà facilmente un labirinto. Così fa l’istinto, negli episodi che precedono la sua soddisfazione. Ma così fa anche l’umanità (la classe) che non vuole sapere dove andrà a finire51.

Il labirinto si rivela quindi metodo, via costellata di esitazione verso il mercato. Ma

fondamentale, per il nesso con la visione batailleana, è che Benjamin richiami il nesso istinto-soddisfazione, applicato però con maggior nitore all’istanza sociologica del consumatore. Perché dietro vi è l’analoga visione – con esiti apparentabili ma non uguali – del dispiegarsi d’un comportamento religioso, nel senso della cultualità deteriore che dilaziona la Befriedigung. La massa si confronta con un nuovo arcano di cui non avverte l’origine dogmatica: Baudelaire è l’officiante che ne investe la forma labirintica dell’allegoria più

47

Id., GS V, 1, N 5, 2, , p. 582; trad. it. OC IX, p. 522 e CB, p. 406. 48 Id., GS V, 1 (J 51 a, 6), p. 405; trad. it. OC IX, pp. 345-6 e CB, p. 412. 49 Cfr. GS V, 1, pp. 424-5 (J 60, 7); trad. it., OC IX, p. 366 e CB, p. 386. 50 Id., GS V, 1, p. 647 (P I a, 8); trad. it., OC IX, pp. 581-2. 51 Id., Zentralpark, in GS I, 2, pp. 655-90, qui pp. 668-9; trad. it., Parco centrale, in CB, pp. 570-597, qui p. 579.

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potente, la prostituzione. Ed incastonato nei due passaggi sul labirinto appena citati, ecco il nesso cultuale tra massa, arcano e prostituzione.

La prostituzione dischiude la possibilità di una comunione mitica con la massa. La nascita della

massa, però, avviene insieme a quella della produzione di massa. […] Nella prostituzione delle grandi città, la donna è un articolo di massa. È questo il sigillo affatto nuovo della vita metropolitana, che conferisce il vero significato alla ricezione baudelairiana del dogma del peccato originale. Il concetto più antico sembrava a Baudelaire abbastanza sicuro da dominare un fenomeno del tutto nuovo e sconcertante52.

Il dogma del peccato originale in versione scevra di implicazioni teologiche viene a

comporsi nella rappresentazione baudelairiana come icona della prostituta. L’unico dogma del culto capitalista è la conoscenza del ‘male’ quale merce. Colei nella quale si immedesima il flâneur nel perdersi è la prostituta, replicante della caduta in chiave ateologica, rovina di un dogma sulla via del mercato.

Con la nascita della metropoli, la prostituzione entra in possesso di nuovi arcani. Uno di essi è,

in primo luogo, il carattere labirintico della città stessa. Il labirinto, la cui immagine è entrata nel sangue del flâneur, pare, per così dire, aver mutato colori grazie alla prostituzione. Il primo arcano di cui dispone è quindi l’aspetto mitico della grande città come labirinto. Esso ha al suo centro, com’è ovvio, l’immagine del minotauro.

Il labirinto assume compiutamente carattere mitico nel momento in cui esibisce al

proprio centro il proprio mistero: il minotauro-merce si confonde con la prostituta.

5. L’obelisco, l’eroismo, la ripetizione: Benjamin contro Bataille Se finora si è solo avanzata un’ipotesi (l’uso probabile, in Benjamin, del saggio

batailleano del 1935/6), vi è una certezza, l’unica, di questo problematico dossier indiziario. Nella stessa lettera che stronca Caillois, di cui sino all’ultimo Benjamin ritenne inaccettabile quel «vento invernale» che permette di riconoscere «coloro che sono adatti e formano una casta di signori»53, benché tentasse di non inimicarselo (il segretario dell’ufficio di naturalizzazione, Rolland de Reneville, ne era amico intimo, il che spingerà Benjamin a chiedere di firmare la recensione come Hans Fellner, infine con l’anagramma J. E. Mabinn), viene dato un giudizio su Bataille.

Bataille, che nello stesso quaderno fornisce un’interpretazione di Place de la Concorde

quantomeno più innocua, è bibliotecario alla Biblioteca Nazionale. Lo vedo spesso per il mio lavoro. Avrà ricavato l’impressione determinante di lui, a quanto mi risulta, già dalla lettura di «Acéphale». Nel suddetto saggio ha messo insieme le sue idées fixes in modo più o meno grazioso, come una copertina illustrata, descrivendo le diverse fasi di una «storia segreta dell’umanità» in base a vedute di Place de la Concorde. Questa storia segreta è punteggiata dalla lotta del principio monarchico, statuale, qui egizio, con il principio anarchico, dinamico, al momento attuale del corso del tempo distruttivo e liberante, che Bataille approccia talora nella figura della caduta infinita, talora in quella dell’esplosione. Bataille e Caillois hanno fondato insieme un Collège de sociologie sacrée, in cui reclutano pubblicamente giovani per la loro società segreta – una società il cui segreto consiste non da ultimo in ciò che unisce propriamente l’uno all’altro i due fondatori54.

52 Ivi, p. 668; trad. it., p. 579. 53 An Max Horkheimer, 24.1.1940, in GB VI, pp. 197-209, qui pp. 202-3. 54 An Max Horkheimer, 28.5.1938, in GB VI, pp. 91-99, qui pp. 92-97.

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Solo da ultimo quest’inserto venne escluso dalla recensione, con motivazioni di convenienza.

Sono anche i miei rapporti con Georges Bataille che resterebbero indenni, rapporti che vorrei

preservare sia per via delle facilitazioni di cui beneficio grazie a lui alla Biblioteca Nazionale sia per le mie intenzioni di ottenere la mia naturalizzazione. – Il frammento non gli sfuggirebbe, dato che la rivista si trova esposta nella sala di lavoro che gli è particolarmente affezionata; non è persona da prendere la cosa placidamente55.

Fatte salve le comprensibili mosse opportunistiche di Benjamin, la sintesi fatta a Horkheimer dello scritto batailleano L’obelisco, spericolata interpretazione del motivo della «morte di Dio», e quindi dell’assenza di trascendenza56, lascia tralucere solo in parte la mescolanza di suggestioni clausewitziane (l’autorità del comandante militare affine alla statura dell’obelisco) e d’un impianto convulsamente nietzscheano. Benjamin trattiene la contrapposizione tra un principio monarchico-statuale (la sacralità ‘destra’, imperativa) e il principio anarchico, di cui – non senza centrare il punto – coglie l’epifania sia nell’infinita caduta sia nell’esplosione: nella dinamica tra estenuazione riflessiva ed éclat, tra la morte e il superamento vitale della stessa nella stessa linea, come vuole il mitologema labirintico57. Il lato destro del paradigma sovranitario è assediato dall’istanza sinistra, eracliteo-nietzscheana, che già affollava tonalità e concetti del Labirinto.

Place de la Concorde è il luogo dove la morte di Dio deve essere annunciata e gridata

precisamente perché l’obelisco ne è la negazione più calma. […] L’obelisco è senza dubbio l’immagine più pura del capo e del cielo58.

Non è affatto detto che Benjamin abbia «equivocato il testo»59. Anzi, il nesso che

rinviene tra i due ‘principî’ è esplicitato proprio alla chiusa. La pura immagine del cielo, l’immagine epurata del re, del capo, della testa e della sua

fermezza, questa pura immagine del cielo attraversato dai raggi impone la concordia e la sicurezza a quelli che non la guardano e non ne sono colpiti; ma un tormento morale a colui davanti al quale la sua realtà diviene nuda.

Di fronte alla ‘realtà nuda’ dell’immanenza e al suo effetto di tormento morale l’assenza

di trascendenza si palesa come labirinto, la cui unica guida è un Teseo nietzscheano. La testa epurata il cui comandamento irrecusabile conduce gli uomini prende, in queste

condizioni, il valore di una figura derisoria ed enigmatica messa all’entrata del labirinto. […] è necessario precipitarsi vivi in ciò che non ha più base né testa60.

55 An Max Horkheimer, 3.8.1938, in GB VI, pp. 146-53, qui p. 152. La richiesta viene ripetuta agli Adorno il 28 agosto, ivi, pp. 153-6, qui p. 156. 56 G. Bataille, L’obélisque, «Mesures», n. 2, 15 aprile 1938, anno IV, pp. 35-50, ora in OC I, pp. 501-13; trad. it. di S. Finzi, in Il Labirinto, cit., pp. 33-52. Si veda l’efficace lettura di M. Canevari, La religiosità feroce. Studio sulla filosofia eterologica di Georges Bataille, pref. di S. Borutti, Le Monnier, Firenze 2007, pp. 81-3. 57

K. Kerényi. Studi sul labirinto cit., p. 44. 58 G. Bataille, L’obelisque, p. 503; trad. it., L’obelisco cit., p. 38. 59 Così R. Bischof, Tragisches Lachen cit., p. 331 nota 23: Benjamin l’avrebbe letto insieme a L’aridité di Caillois, non comprendendo la differenza di opinioni tra i due fondatori del Collegio. Si veda invece su Place de la Concorde l’aforisma anticipatore Fermacarte in Einbahnstraße; GS IV, 1, pp. 83-148, qui p. 112; tr. it., OC II, pp. 409-63, qui p. 432. 60 G. Bataille, L’obelisque, pp. 512-3; trad. it., pp. 51-2.

Kaiak. A Philosophical Journey, 1 (2014): Sottosuoli

13 Data di pubblicazione: 01.04.2015

L’esito di quest’assenza di fondamento e direzione è l’abbandonarsi al tempo: l’eterno ritorno viene letto come riproposizione ‘tossica’ (il termine è batailleano) dell’«assurdità deleteria del tempo», legando uno stato di «gloria» un «sentimento di caduta senza fondo»61.

È questa una lettura che non trovava eco alcuna in Benjamin, che in quegli anni costruiva piuttosto un’ermeneutica materialista della dottrina nietzscheana.

Questa dottrina è un tentativo di conciliare le tendenze reciprocamente contraddittorie del desiderio: quella della ripetizione e quella dell’eternità. Quest’eroismo fa da pendant all’eroismo di Baudelaire che dalla miseria del Secondo Impero estrae magicamente la fantasmagoria della modernità.62.

Se l’eterno ritorno è Grundform des urgeschichtlichen mythischen Bewußtseins63,

diviene chiaro quanto per Benjamin fosse impregnata di mito la versione batailleana dello stesso concetto, immanente, eppure mai esplicitata come polarizzazione di una forma storica-contingente e di una ‘storia originaria’. Nella figurazione di Bataille, l’evenienza d’una Urgeschichte incontra una soggettività espansa all’eccesso – una nuova forma di eroismo vacuo.

In conclusione, se certo Bataille affonda in una complessità assai maggiore di quanto i nessi, espliciti e non, di Benjamin lascino intendere, il fallimento del mito di Acéphale e la piega successiva del pensiero di Bataille daranno ragione al critico berlinese. Non lavorava certo per il fascismo, Bataille. Ma lavorare per l’eterogeneità non svolgendo la critica del maggiore agente mitico dell’omogeneità, il capitalismo, non poteva sortire i frutti sperati. Solo nel dopoguerra Bataille avrebbe contribuito a dissodare questo sottosuolo onnipervasivo.

61 Ivi, pp. 510-1; trad. it., pp. 48-9. 62 W. Benjamin, GS V, 1 (D 9, 2), p. 175; trad. it., OC IX p. 126. 63 Id., GS V, 1, D 10, 3, p. 177; trad. it., OC IX, p. 128 («la forma fondamentale della coscienza storico-originaria, mitica»).