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L’abbandono della Chiesa cattolica e libertà religiosa. Implicazioni canoniche e di diritto ecclesiastico di Alberto Perlasca L’abbandono della Chiesa viene spesso inteso come un elemento chiave e come un’applicazione concreta della libertà di religione. La normativa canonica, tuttavia, prevede che «alle leggi puramente ec- clesiastiche sono tenuti i battezzati nella Chiesa cattolica o in essa ac- colti, e che godono di sufficiente uso di ragione e, a meno che non sia disposto espressamente altro dal diritto, hanno compiuto il settimo anno di età» (can. 11). Vi è in ciò una negazione o una lesione del menzionato diritto? È questo l’interrogativo al quale il presente con- tributo cercherà di dare una risposta. Precisazione terminologica Anzitutto, dobbiamo chiarire in che senso parliamo di «libertà», giacché tale termine sopporta diversi significati tra loro molto diffe- renti. Al riguardo, è stato giustamente scritto che «non si può confon- dere la libertà psicologica – che implica dominio dei propri atti (e me- diante essi, un proprio dominio sul proprio essere) e assenza di coer- cizione interna ad agire – con la libertà morale – che si rapporta all’indeterminazione etica di fronte alle scelte da compiere, compor- tando l’inesistenza di un obbligo morale al riguardo – né con la libertà giuridica – che consiste nell’immunità da coercizione esterna, ed im- plica assenza di obbligo giuridico –. […] Quando si tratta di investiga- re se esista il diritto di libertà religiosa all’interno della Chiesa, l’atten- zione si rivolge logicamente alla libertà giuridica nell’ambito dell’ade- sione alla fede cattolica» 1 . Si tenga tuttavia presente che il diritto di 1 C.J. ERRAZURIZ M., Esiste un diritto di libertà religiosa del fedele all’interno della Chiesa?, in «Fidelium iu- ra» 3 (1993) 87. Quaderni di diritto ecclesiale 20 (2007) 60-81

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L’abbandono della Chiesa cattolica e libertà religiosa. Implicazioni canoniche e di diritto ecclesiastico

di Alberto Perlasca

L’abbandono della Chiesa viene spesso inteso come un elementochiave e come un’applicazione concreta della libertà di religione. Lanormativa canonica, tuttavia, prevede che «alle leggi puramente ec-clesiastiche sono tenuti i battezzati nella Chiesa cattolica o in essa ac-colti, e che godono di sufficiente uso di ragione e, a meno che non siadisposto espressamente altro dal diritto, hanno compiuto il settimoanno di età» (can. 11). Vi è in ciò una negazione o una lesione delmenzionato diritto? È questo l’interrogativo al quale il presente con-tributo cercherà di dare una risposta.

Precisazione terminologica

Anzitutto, dobbiamo chiarire in che senso parliamo di «libertà»,giacché tale termine sopporta diversi significati tra loro molto diffe-renti. Al riguardo, è stato giustamente scritto che «non si può confon-dere la libertà psicologica – che implica dominio dei propri atti (e me-diante essi, un proprio dominio sul proprio essere) e assenza di coer-cizione interna ad agire – con la libertà morale – che si rapportaall’indeterminazione etica di fronte alle scelte da compiere, compor-tando l’inesistenza di un obbligo morale al riguardo – né con la libertàgiuridica – che consiste nell’immunità da coercizione esterna, ed im-plica assenza di obbligo giuridico –. […] Quando si tratta di investiga-re se esista il diritto di libertà religiosa all’interno della Chiesa, l’atten-zione si rivolge logicamente alla libertà giuridica nell’ambito dell’ade-sione alla fede cattolica»1. Si tenga tuttavia presente che il diritto di

1 C.J. ERRAZURIZ M., Esiste un diritto di libertà religiosa del fedele all’interno della Chiesa?, in «Fidelium iu-ra» 3 (1993) 87.

Quadernidi diritto ecclesiale

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libertà nella Chiesa è in funzione del potere spirituale. A differenzadella libertà secolare, che è sancita nei confronti del potere dello Sta-to, la libertà nella Chiesa potrebbe essere indicata come libertà spiri-tuale o come libertas sacra. Essa, pur trovandosi in continuità con la li-bertà umana o naturale, ha indubbiamente dei tratti caratteristici2.Non può dunque essere intesa come una libertà dalla Chiesa, ma co-me una libertà nella Chiesa3.

In secondo luogo, dobbiamo cercare di precisare in che sensoparliamo di libertà religiosa (o di religione). Nel linguaggio ecclesia-stico l’espressione «libertà religiosa» «si colloca in un orizzonte che èpropriamente quello socio-politico ed attiene ad un problema pretta-mente giuridico […] Dunque una libertà che non si colloca in interio-re homine, ma da far valere all’esterno, nei rapporti sociali, la qualeper essere garantita ha bisogno di adeguati strumenti giuridici. E co-me l’esperienza giuridica ha ampiamente dimostrato, tale esigenzatrova compiuto soddisfacimento nella configurazione di un dirittosoggettivo nel quale si concretizza la pretesa del titolare, erga omnes,di un generale dovere di astensione da atti che possano turbare, o ad-dirittura impedire, i processi interiori della libertà di coscienza»4.Questo è il senso in cui la libertà religiosa viene intesa dalla dichiara-zione conciliare Dignitatis humanae, il cui titolo viene esplicitato neldiritto della persona umana e delle comunità alla libertà sociale e civi-le in materia di religione. Nella dottrina cattolica, dunque, «libertà re-ligiosa non è il diritto di credere o di non credere, di essere battezzatio meno, di abbracciare la fede cattolica oppure no, ma riguarda invecel’immunità dalla coercizione in materia religiosa “nella società civile”(DH § 1); più precisamente il “contenuto di una tale libertà è che tuttigli uomini devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singo-li individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, così chein materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscien-za né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa”(DH § 2 a)»5. Si tratta dunque di un diritto a portata generale che si2 «Die innerkirchlichen Freiheitsrechte sind im Hinblick auf die geistliche Vollmacht statuiert. In Unter-schied zur säkularen Freiheit, die gegenüber der Gewalt des Staates formuliert ist, könnte man die in-nerkirchliche Freiheit als geistliche Freiheit, als libertas sacra bezeichnen» (W. AYMANS, “Munus” und“sacra potestas”, in AA.VV., I diritti fondamentali del Cristiano nella Chiesa e nella società, Atti del IV Con-gresso Internazionale di Diritto Canonico, Friburgo 6-11 ottobre 1980, a cura di E. Corecco - N. Herzog- A. Scola, Milano 1981, p. 197 e nota 34).3 «Die geistliche Freiheit erweist sich somit als das Gegenteil von dem, was man Freiheit von der Kirchenennen könnte; sie ist eine Freiheit in der Kirche» (ibid., p. 199).4 G. DALLA TORRE, La libertà religiosa come diritto universale. Una prospettiva cattolica, in «Annuario Di-ReCom» 5 (2006) 83-84.5 Ibid., p. 85.

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esplicita in una pretesa nei confronti del singolo individuo, delle for-mazioni sociali e dei pubblici poteri.

Sembrerebbe dunque che di libertà religiosa in Ecclesia, dal mo-mento che questa è una formazione sociale ad appartenenza volonta-ria, se ne possa parlare in modo appropriato solo «in limine, vale a di-re all’ingresso nella Chiesa mediante il battesimo […] o, eventual-mente, in uscita, come nel caso di recesso formale»6. Di fatto, comegiustamente è stato scritto, la «libertà religiosa non è […] la libertàdell’atto di fede, concetto che attiene al terreno propriamente filosofi-co-religioso»7, e neppure è «la libertà di coscienza, espressione chepuò diventare ambigua e che è addirittura erronea, nella prospettivacattolica, laddove venisse ad evocare l’idea che l’uomo sia libero diformare la propria coscienza come crede, aprendo così la strada aconcezioni indifferentistiche o relativistiche […] assolutamente in-compatibili con la professione cristiana della verità oggettiva»8. Inol-tre, «anche la libertà cristiana è espressione da non confondere con lalibertà religiosa. Essa, infatti, esprime un concetto propriamente teo-logico, che si sostanzia nel moto spontaneo verso il bene della perso-na, la quale si sottopone per libera iniziativa a Dio»9.

Iter redazionale del can. 11

La tematica di cui ci stiamo occupando – quella cioè del rapportotra abbandono della Chiesa e diritto di libertà di religione – ebbe unaparticolare risonanza in occasione della revisione del Codice di dirittocanonico, specificamente nell’elaborazione del can. 11. In tale circo-stanza e, più in particolare, nell’ambito della Plenaria del 1981, si chie-se se coloro i quali avevano abbandonato la Chiesa cattolica con attoformale fossero ugualmente tenuti alle leggi meramente ecclesiasti-che, cioè a quelle leggi che hanno come fonte l’autorità ecclesiasticae che, pertanto, pur presupponendola e non contrastandola, non deri-vano direttamente dalla legge divina, sia naturale sia positiva, la quale,invece, obbliga per se stessa, in forza della stessa volontà divina10.

6 Ibid., p. 81 nota 10.7 Ibid., p. 79.8 Ibid., p. 80.9 Ibid., p. 81. Per completezza del discorso, aggiungiamo che la libertà religiosa non è da confondere conla tolleranza e neppure con la libertas Ecclesiae, categoria che, sin dal secolo XI, servì per indicare l’indi-pendenza del potere ecclesiastico da qualsiasi potere pubblico, assurgendo quindi a vessillo del movi-mento riformatore della Chiesa (ibid., pp. 81-82).10 Cf «Communicationes» 14 (1982) 132.

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Il can. 12 del CIC del 1917 stabiliva che alle leggi meramente ec-clesiastiche non erano tenuti coloro che non avevano ricevuto il batte-simo, né coloro che, pur battezzati, non godevano di sufficiente usodella ragione, e neppure coloro che, benché capaci di uso di ragione,non avevano ancora compiuto il settimo anno di età, salvo che il dirittonon disponesse espressamente altro11. In pratica, sulla scorta dellaconsiderazione che tutti i battezzati – non importa se nella Chiesa cat-tolica o in un’altra comunità cristiana – appartengono all’unica Chie-sa, essi erano vincolati alle leggi meramente ecclesiastiche. Si tratta-va, quindi, di una norma più ampia di quella prevista nell’attuale can.11 in cui si stabilisce che solo i battezzati nella Chiesa cattolica – e nontutti i battezzati, come era previsto in precedenza – sono tenuti alleleggi meramente ecclesiastiche. Su tale cambiamento, hanno certa-mente esercitato il loro influsso le prospettive conciliari sull’ecumeni-smo e sulla libertà religiosa. Di fatto, fondando la libertà religiosa«[realmente] sulla stessa dignità della persona umana», la dichiara-zione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, al n. 2, afferma che«tutti gli uomini devono essere immuni dalla coercizione da parte disingoli, di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, così che inmateria religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienzané sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità alla sua co-scienza privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associa-ta». Il n. 4 del menzionato documento conciliare afferma, poi, che «lalibertà o immunità da coercizione in materia religiosa, che competealle singole persone, deve essere riconosciuta anche quando agisco-no comunitariamente», avvertendo tuttavia che «nel diffondere la fe-de religiosa e nell’introdurre usanze [le comunità religiose si devono]sempre astenere da ogni genere di azione che sembri avere il saporedi coercizione o di sollecitazione disonesta o scorretta, specialmentequando si tratta di persone incolte o bisognose. Un tale modo di agireva considerato come abuso del proprio diritto e come lesione del dirit-to altrui». Richiamandosi precisamente a questi principi, il can. 748 §2 stabilisce che «non è mai lecito ad alcuno indurre gli uomini con lacostrizione ad abbracciare la fede cattolica contro la loro coscienza».

Va detto altresì che il Codice del 1917 non conosceva l’espres-sione «deficere ab Ecclesia actu formali». Tale codificazione, peral-

11 «Legibus mere ecclesiasticis non tenentur qui baptismum non receperunt, nec baptizati qui sufficientirationis usu non gaudent, nec qui, licet rationis usum assecuti, septimum aetatis annum nondum exple-verunt, nisi aliud iure expresse caveatur».

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tro, recepiva il concetto di abbandono, ma lo considerava in relazio-ne a una nozione di comunione da intendersi per lo più in modo in-divisibile e unitario. Per di più, ci si riferiva a una pluralità e varietàdi situazioni che in base all’interpretazione stretta propria delle leg-gi irritanti e inabilitanti è difficile dire se anche oggi si possano rite-nere tutte ugualmente ricomprese sotto la figura dell’abbandonopubblico o notorio12.

Nello Schema codiciale del 1977, il can. 12 stabiliva, al § 1, che al-le leggi meramente ecclesiastiche sono tenuti i soli battezzati per iquali esse sono date («soli baptizati pro quibus latae sunt»), i quali go-dano di sufficiente uso di ragione, e, a meno che il diritto non stabili-sca espressamente altro, abbiano compiuto il settimo anno di età. Il §2 del medesimo canone aggiungeva poi che i battezzati, i quali appar-tengono a Chiese o comunità separate dalla Chiesa cattolica, non so-no ritenuti direttamente obbligati dalle leggi meramente ecclesiasti-che, a meno che non sussista un’eccezione al riguardo13. Nel succes-sivo Schema Codicis Iuris Canonici del 1980, il can. 11 era inveceripartito in tre paragrafi. Nel primo si diceva che alle leggi meramenteecclesiastiche sono tenuti i battezzati nella Chiesa cattolica o in essaaccolti, che godono di sufficiente uso di ragione e, a meno che non siadisposto espressamente altro dal diritto, che abbiano compiuto il set-timo anno di età. Il secondo paragrafo, poi, riproduceva sostanzial-mente il § 2 del can. 12 dello Schema del 1977. Il terzo paragrafo, infi-ne, stabiliva che, fatto salvo il disposto del § 2, le medesime leggi –cioè quelle meramente ecclesiastiche – si applicano a coloro che ab-biano abbandonato la Chiesa cattolica, a meno che il diritto non stabi-lisca espressamente altro («Firmo praescripto § 2, eaedem leges iisapplicantur qui ab Ecclesia catholica defecerint, nisi aliud iure expres-se caveatur»)14.

12 A titolo di esempio, nel can. 167 § 1, 1° del Codice del 1917, si stabiliva che non potevano dare il votocoloro che «sectae haereticae vel schismaticae nomen dederunt vel publice adhaeserunt»; nel can. 646§ 1, 1° del medesimo Codice, si stabiliva, invece, che erano dimessi ipso facto dall’istituto i religiosi «pu-blici apostatae a fide catholica». Nel can. 693 § 1, corrispondente all’attuale can. 316 § 1, si affermava in-vece che «acatholici et damnatae sectae adscripti aut censura notorie irretiti et in genere publici pecca-tores valide recipi nequeunt». Al riguardo si fa notare che «né in linea di principio, né normalmente difatto i pubblici peccatori si possono considerare fuori dalla comunione ecclesiastica o dalla piena comu-nione di cui al can. 205, che sta tecnicamente ad indicare l’appartenenza alla compagine visibile dellaChiesa cattolica» (R. CORONELLI, Incorporazione alla Chiesa e comunione, Roma 1999, p. 324 e nota 85).Nello stesso senso C. BRESCIANI, La Chiesa comprende nel suo seno i peccatori, in AA.VV., L’appartenenzaalla Chiesa, Brescia 1991, pp. 129-145.13 Cf PONTIFICIA COMMISSIO CODICI IURIS CANONICI RECOGNOSCENDO, Schema canonum libri I de normis ge-neralibus, Tipografia Poliglotta Vaticana 1977, p. 14.14 Cf PONTIFICIA COMMISSIO CODICI IURIS CANONICI RECOGNOSCENDO, Schema Codicis Iuris Canonici, Libre-ria Editrice Vaticana 1980, pp. 4-5.

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Durante la discussione nella Plenaria un Padre chiese se in rife-rimento ai §§ 2 e 3 la norma del can. 11 fosse legittima e conforme allospirito del vangelo e se, nei confronti di coloro che con un atto forma-le hanno manifestato la volontà di abbandonare la Chiesa cattolica, es-sa non fosse un mezzo di coazione, in contrasto con il disposto delcan. 707 § 2 (corrispondente all’attuale can. 748 § 2) e con la testimo-nianza della fede. Si propose pertanto di sopprimere il § 3 e di rifor-mulare il § 1 nel modo seguente: alle leggi meramente ecclesiastichesono tenuti i battezzati nella Chiesa cattolica o in essa accolti, a menoche con un atto formale (e pubblico) l’abbiano abbandonata («nisi ac-tu formali [et publico] ab eadem defecerint»). Anche un altro Padrechiese che si aggiungesse l’espressione «con atto formale» in quantola sola voce verbale «l’abbiano abbandonata» (defecerint) non era suf-ficiente e formulò altresì l’auspicio che si attuasse una maggioreuniformità in riferimento ai cann. 191, 692, 1072 e 1078 (dello Schemadel 1980)15.

Emerge chiaramente come non fosse ancora stata recepita la di-versità tra abbandono della Chiesa mediante un atto formale o median-te altri modi. In ogni caso la risposta della Segreteria fu lapidaria. L’os-servazione non può essere ammessa in quanto: 1) fondata su di un er-roneo presupposto ecclesiologico, quello cioè di una Chiesa di liberaadesione (Kirche der Freiegefolgsschaft) dalla quale ciascuno può usci-re a proprio piacimento; 2) l’affermazione porterebbe a conclusioni as-surde e priverebbe di ogni forza la legge ecclesiastica: basterebbe cheuno dichiarasse formalmente di abbandonare la Chiesa per non esserepiù obbligato dalla legge; l’obbligazione dalla legge dipenderebbequindi dalla stessa persona privata; 3) l’apostasia non sarebbe più undelitto punibile. Inoltre, si faceva notare, che il can. 707 § 2 è inconfe-rente al caso: tale norma, di fatto, riguarda il momento dell’accoglienzadella fede, cioè il momento dell’incorporazione nella Chiesa. Da altrimembri della Commissione per la revisione del Codice, invece, fu os-servato che la norma in esame era ambigua in quanto non stabilivacon sufficiente chiarezza se l’apostata e lo scismatico, in quanto tali,non sono più soggetti alle leggi meramente ecclesiastiche, oppure senon sono soggetti a tali leggi solo se aderiscono ad un’altra Chiesa ocomunità ecclesiale diversa da quella cattolica. L’osservazione, in que-sto caso, fu recepita con la conseguente modificazione del § 2 che di-ventò: «I battezzati al di fuori della Chiesa cattolica, che in essa non so-

15 Cf «Communicationes» 14 (1982) 133.

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no stati accolti, non sono direttamente obbligati da queste stesse leggi(cioè quelle meramente ecclesiastiche)». Si decise altresì di abolire il§ 316. Nello Schema novissimum del 1982 il canone in parola appare nel-la formulazione in cui lo si legge oggi nel Codice.

È quindi rimasto il principio unico in base al quale tutti i battez-zati nella Chiesa cattolica, o in essa accolti, a condizione che abbianosufficiente uso di ragione e abbiano compiuto i sette anni, sono sog-getti alle leggi meramente ecclesiastiche, indipendentemente dal fat-to che essi si siano separati dalla Chiesa con atto formale o in altromodo, a meno che non sia espressamente disposto altro dal diritto(come, per esempio, nei cann. 1086 § 1, 1117, 1124). Si tratta di unprincipio molto chiaro e di indole pratica, idoneo a evitare incertezzee valutazioni soggettive in ordine all’applicazione della legge.

Alcune posizioni dottrinali

Dopo la pubblicazione del vigente Codice, alcuni Autori hannomanifestato il proprio rammarico o il proprio dissenso rispetto al di-sposto del can. 11 che, lo ripetiamo, prescrive che «alle leggi mera-mente ecclesiastiche sono tenuti i battezzati nella Chiesa cattolica o inessa accolti, e che godono di sufficiente uso di ragione e, a meno chenon sia disposto espressamente altro dal diritto, hanno compiuto ilsettimo anno di età». E, pertanto, vi sono tenuti anche coloro che inqualsiasi modo giuridicamente rilevante hanno abbandonato la Chie-sa. In ciò, di fatto, viene vista o una negazione o, quanto meno, una se-ria compromissione, dei principi conciliari relativi alla libertà religio-sa. Gli argomenti portati a sostegno delle proprie opinioni, pur essen-do tra di loro di valore differente, meritano di essere brevementerichiamati.

Da alcuni è stato affermato che «si tratta di regolamentare la con-dizione giuridica dei battezzati (siano essi laici che chierici o religiosi)di poter uscire sia dalle istituzioni ecclesiastiche cui appartengono siadalla stessa Chiesa istituzionale senza che le necessarie misure san-zionatorie o disciplinari, nelle quali incorrono e che è giusto che vi sia-no e che siano esercitate, com’è ovvio in ogni società organizzata, tan-to di carattere penale che patrimoniale e sociale, incidano sui dirittifondamentali del soggetto o possano comprimere questa sua liberaopzione», notando altresì che «occorre rilevare che la normativa che

16 L. cit.

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si desume dal Codice di diritto canonico, sia vecchio che nuovo, è ora-mai carente al riguardo [...] l’allontanamento del battezzato non solodetermina la sua esclusione dalla comunità ecclesiale, ma viene consi-derato un atto non tanto moralmente ma anche giuridicamente ripro-vevole»17. Gli aspetti dell’ordinamento canonico che sarebbero inci-denti sui diritti fondamentali del soggetto o che potrebbero compri-mere la sua libera opzione di abbandonare la Chiesa sono,principalmente benché non unicamente, quelli connessi al diritto pe-nale, talché, si afferma, che «il problema del recesso [dalla Chiesa]non sia altro che un aspetto della riforma di tutto il sistema penale e di-sciplinare della Chiesa, provvedendo sia ad una riduzione qualitativa equantitativa della normativa, sia assicurando ai soggetti garanzie for-mali e sostanziali anche sul terreno processuale che mancano o chenon trovano [...] pieno riconoscimento»18. Pur riconoscendo che «se èvero che da un punto di vista teologico questo sacramento [il battesi-mo], una volta ricevuto, imprime il “carattere cristiano”, ragione percui l’ordinamento deve tener conto che ogni recesso o allontanamentonon recide del tutto i legami del soggetto con la Chiesa, il quale, siapure entro limiti ben precisi resta ancora “subditus iurium et obbliga-tionum in Ecclesia”, è [pur] vero che la disciplina normativa non puòmai limitare l’esercizio dei diritti fondamentali dello stesso e quindi lasua libertà religiosa»19. In realtà, si afferma, «ancora una volta ci sem-bra che il legislatore canonico ordinario sia rimasto ancorato alla vec-chia tradizionale concezione di non poter mettere sullo stesso pianoverità ed errore e sia convinto che l’abbandono della fede cattolica “intoto” o in parte o l’allontanamento degli obblighi derivanti dall’esserechierico o religioso sia sempre necessariamente il risultato di una con-dotta riprovevole o per lo meno colposa, senza tener conto di quanto èdetto nei nn. 2 e 3 della dichiarazione “Dignitatis humanae” che si fon-da sul riconoscimento del principio della naturale libertà dell’atto di fe-de [....] La libertà religiosa va assicurata non solo nel momentodell’adesione [....] ma anche durante tutto il corso della vita del sog-getto, sia se esso intende permanere nella religione sia se voglia abiu-rare da essa, garanzia che deve essere assicurata a tutti, siano essi fe-

17 P. COLELLA, La libertà religiosa nell’ordinamento canonico, Napoli 19993, pp. 133-136. L’Autore è più re-centemente ritornato su questo argomento: La libertà religiosa nell’ordinamento canonico (a trentaseianni dalla dichiarazione conciliare “Dignitatis humanae”), in AA.VV., La libertà religiosa, II, a cura di M.Tedeschi, Soveria Mannelli 2002, pp. 601-624.18 P. COLELLA, La libertà religiosa nell’ordinamento canonico, cit., pp. 142-143.19 Ibid., p. 137.

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deli che infedeli, per il solo fatto di essere uomini, anche se l’ordina-mento giuridico non può rifiutare di prendere atto di regolamentare leconseguenze derivanti dall’esodo o dal recesso dal momento che ilsoggetto è centro di rapporti, di situazioni giuridiche e ad esso sonoattribuiti diritti e doveri»20.

Da altri, invece, sulla scorta della dichiarazione conciliare Digni-tatis humanae (1.3, 2.1, 2.3, 3.2 e 3.4), si ritiene non soddisfacente larisposta data nel corso della Plenaria del 1981, della quale più sopra siè fatto parola. Si afferma, più in particolare, che la Commissione perla revisione del Codice non ha tenuto nel debito conto la circostanzasecondo cui le leggi in oggetto sono «puramente ecclesiastiche», e,quindi, date per ordinare la comunità ecclesiale21. Si rileva, inoltre, ladifficoltà derivante dal fatto di sentirsi obbligati da leggi che promana-no da un’autorità che non si riconosce più come tale22. Infine, pur am-mettendo la correttezza della risposta della Commissione a riguardodel can. 707 § 2 (attuale can. 748 § 2), c’è da chiedersi perché la coer-cizione per coloro che vogliono uscire dalla Chiesa non dovrebbe es-sere scartata come viene fatto per coloro che vi debbono entrare23

Ammettere che chi è uscito dalla comunione ecclesiale non è più te-nuto alle leggi «puramente ecclesiastiche», allo stesso modo di chi èstato battezzato fuori della Chiesa cattolica, è un riconoscimento sulpiano giuridico della differenza esistente sul piano teologico24.

Insomma: secondo alcuni Autori il concetto stesso di legge «pu-ramente ecclesiastica», cioè di una legge che regola in modo mera-mente positivo i rapporti all’interno della comunità cristiana, sembraimplicare che essa non debba più riguardare coloro che hanno abban-donato detta comunità. Tanto più che – a loro dire – la legge «pura-mente ecclesiastica» non conserverebbe più il senso di legge confor-me al Vangelo, ma sarebbe solo una legge coercitiva in quanto il sog-getto non riconosce più l’autorità ecclesiastica. Non sembra infattiche si possa fondare tale sottomissione nell’obiettiva soggezione allaChiesa in forza del battesimo, insistendo sul fatto che la sottomissio-ne alla legge non dipende dalla percezione soggettiva di ciascuno. Ilcambiamento della percezione soggettiva, invece, cambia il dono og-

20 Ibid., pp. 136-137.21 Cf F.J. URRUTIA, Les normes générales, Paris 1992, p. 53. Nel testo, per la verità, si fa riferimento al decre-to conciliare Unitatis redintegratio. Sembra, tuttavia, chiaramente trattarsi di un errore materiale.22 Ibid., cit., p. 54.23 L. cit.24 L. cit.

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gettivo, non del battesimo dal punto di vista dei suoi effetti teologici,ma della comunione ecclesiastica, e dunque del battesimo anche dalpunto di vista dei suoi effetti giuridici25.

Altri Autori, poi, hanno affermato che, nella Chiesa, potrebbedarsi il diritto alla libertà religiosa in modo implicito cioè come una«libertà religiosa secolare o civile», nel senso che la Chiesa non puòobbligare la permanenza al suo interno dei membri facendo ricorsoalla coazione civile o ad altri procedimenti formalmente secolari26.

Altri Autori, infine, ritengono che il problema della fondazionedei diritti dell’uomo «non può avere nell’ordinamento ecclesiale il sen-so che gli è attribuito negli ordinamenti secolari»27. Nell’ordinamentodella Chiesa, di fatto, tali diritti sono fondamentali proprio perché fon-dati nella lex aeterna, cioè, nella volontà di Dio28. Solo la ricerca del lo-ro fondamento ultimo permette infatti di individuarne i connotati, per-mettendo quindi di verificare successivamente se essi sono rispettatio meno nell’ambito di un determinato ordinamento giuridico, nel no-stro caso quello della Chiesa. Anche perché, non da ultimo, la tuteladi tali diritti segue e non precede la loro considerazione teoretica. Ilmodo di intendere i diritti fondamentali dell’uomo e, in particolare, ildiritto di libertà religiosa, supera quindi l’ambito specifico del dirittocanonico, e attiene al modo di intendere la stessa categoria di giuridi-cità. Di fatto, l’aver fondato il diritto di libertà religiosa «nella stessadignità della persona umana» (DH 2), sebbene apparentemente abbiaofferto una soluzione accettabile, in realtà non è stata un’operazione

25 Ibid., pp. 54-55.26 Cf A. ROUCO VARELA, Fundamentos eclesiológicos de una teoría general de los derechos fundamentales delcristiano en la Iglesia, in AA.VV., I diritti fondamentali del Cristiano nella Chiesa e nella società, cit., p. 76:«El hombre comienza a constituirse como sujeto de derechos fundamentales en la Iglesia por la previapossesión de un derecho fundamental secular, el derecho o libertad religiosa. Por la audición receptorade la Palabra del Evangelio la persona que lo ejerce adquiere el derecho a recibir el Bautismo, un dere-cho fundamental de natura no secular, eclesial. De este modo el derecho a la libertad religiosa, un dere-cho secular se converte en un derecho crucial para la existencia real de los derechos fundamentales delFiel en la Iglesia y de la Iglesia misma. Se podría hablar muy bien de una vigencia y reconocimiento ecle-sial, implícito, del derecho a la libertad religiosa. Vigencia que no se reduce al momento inicial de acce-der a la Fe y al Bautismo sino que acompaña la existencia de los cristianos como miembros de la Iglesiaa lo largo y ancho de toda su vida, ya que todo cristiano tiene derecho a permanecer en la Fe y en la Igle-sia. Pero nótes bien, de libertad religiosa secular, civil. O, que es lo mismo, la Iglesia no puede forzar lapermanencia de sus miembros dentro de ella acudiendo al recurso de la coacción civil o de otros proce-dimientos formalmente seculares» (i corsivi sono nel testo). Nello stesso senso E. CORECCO, Considera-zioni sul problema dei diritti fondamentali del cristiano nella Chiesa e nella società, ibid., p. 1232: «Il cri-stiano non gode della libertà di coscienza nel senso che la comunità ecclesiale non possa domandargli,come condizione della sua appartenenza, un comportamento confessionale vincolante; ma […] gode deldiritto che nei suoi confronti la Chiesa non eserciti alcuna forma di costrizione usando mezzi per loro na-tura estranei al proprio ordinamento giuridico».27 G. LO CASTRO, Il soggetto e i suoi diritti nell’ordinamento canonico, Milano 1985, p. 272.28 Cf ibid., p. 272.

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risolutiva, giacché essa (persona umana) «può essere intesa come co-stitutivo ultimo del diritto, quale centro supremo ordinatore del siste-ma giuridico e, di questo, punto ultimo di riferimento (onde sembre-rebbe così esaltata oltre ogni limite); ovvero può essere intesa comeessa stessa espressione di un disegno, di una Lex, nel quale la personae, conseguentemente i suoi diritti trovano fondamento e dal quale èdato desumere i loro contenuti»29. Se Dio, nel creare l’uomo ha volutocorrere il rischio della sua libertà, non vi potrà essere scelta, e sia pu-re scelta religiosa, che non abbia a presupposto la libertà dell’uomo,né diritto che esprima questa libertà che non sia per ciò stessoespressione di quella lex. In tal modo, però, si fonda pure il principiodella responsabilità, il principio del dovere, il principio del limite giac-ché, nel disegno divino, «diritto e dovere non sono esterni l’uno all’al-tro, ma uniti in una superiore sintesi ed in perfetta simmetria, tantoche non è concepibile il diritto senza il dovere e viceversa. Facendosempre riferimento a tale piano fondamentale, non è contraddittoriofar salva la radicale libertà dell’uomo per l’opzione religiosa […] e nel-lo stesso tempo organizzare la linea della sua responsabilità e dei suoidoveri al riguardo»30. In ultima analisi, dunque, la risposta alla doman-da se l’organizzazione della linea del dovere e della responsabilitàesprima negazione del diritto di libertà «sarà positiva o negativa se-condo che rispettivamente si neghi o si ammetta un legame, a livelloultimo, fra ius e lex, e secondo che questa lex esprima o no un ordineobiettivo (non arbitrario) fondato sull’ordine divino»31.

Considerazioni critiche

Come più sopra abbiamo visto, le ragioni portate all’interno delgruppo di studio incaricato della revisione di questa parte del Codicesono fondamentalmente di carattere ecclesiologico – il rifiutodell’idea di una Chiesa dalla quale si possa uscire a proprio piacimen-to –, di carattere giuridico – sollevando chi si separa dalla Chiesadall’essere tenuto alle leggi meramente ecclesiastiche si svilirebbe difatto il carattere obbligante della legge – e, infine, di carattere pratico– si dovrebbe valutare caso per caso la posizione del soggetto in ordi-ne all’applicazione di una determinata legge meramente ecclesiastica

29 Ibid., pp. 284-285.30 Ibid., p. 286.31 Ibid., p. 288.

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–. Tali argomenti sono evidentemente stati ritenuti idonei da parte delLegislatore che, quindi, ha promulgato la legge che ora è in vigore.D’altro canto, anche gli argomenti addotti da parte di coloro che han-no criticato o si sono rammaricati per tale scelta, meritano un’attentavalutazione, in ordine soprattutto ad alcune conseguenze che si cree-rebbero nell’ordinamento giuridico laddove l’atto di abbandono dellaChiesa comportasse lo svincolamento dalle leggi meramente eccle-siastiche.

Aspetti canonistici

Dal punto di vista canonico, tra le norme meramente ecclesiasti-che che richiedono una particolare considerazione, ci sono certamen-te quelle penali. Ciò, con tutta evidenza, è dovuto alla loro odiosità. Difatto, sono probabilmente queste norme che, se guardate solo con oc-chi umani, possono suscitare il sospetto di una presenza intrigante oeccessivamente invasiva della Chiesa nella vita di coloro che hannodeciso di abbandonarla. Tale aspetto comporta altresì una più ampiariflessione sul senso del diritto penale nella Chiesa.

L’attuale Codice, a differenza di quello precedente, non trattaesplicitamente dei destinatari della legge penale. Nei Principia gene-ralia posti a premessa dello Schema del 1977, si legge che, tra le pri-me novità che la nuova legislazione – quella attuale – avrebbe dovutocontenere, c’era precisamente quella che esimeva gli acattolici battez-zati dalle sanzioni penali32. Durante le discussioni che hanno accom-pagnato il lavoro dell’apposito gruppo di lavoro, tuttavia, si propose lasoppressione di detta norma, rinviando per la disciplina di questa ma-teria alle norme generali33.

Alle leggi penali, pertanto, in base al can. 11 del vigente Codice so-no tenuti solo i battezzati nella Chiesa cattolica o in essa accolti. Talinorme, invece, non valgono per i non cristiani e per i cristiani acattolici,cioè per coloro che non sono nella piena comunione con la Chiesa cat-tolica (can. 205), fatta eccezione per coloro che hanno defezionato. Percercare di capire le scelte operate dal Legislatore, si deve necessaria-mente muovere dal significato e dalla funzione che la pena svolge all’in-

32 «Quodsi inspiciamus quae praecipue nova insint in schemate, primo loco obviam venit norma qua edi-citur, nisi lex vel praeceptum aliter expresse caveat, acatholicos baptizatos a poenalibus sanctionibus inEcclesia eximi» («Communicationes» 2 [1970] 101).33 Il paragrafo in questione suonava nel modo seguente: «Nisi lex vel praeceptum aliter expresse caveat,acatholici baptizati a poenalibus sanctionibus in Ecclesia eximuntur» («Communicationes» 8 [1976]167).

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terno di un’istituzione del tutto particolare quale appunto è la Chiesacattolica. Di fatto, è solo all’interno delle finalità istituzionali della Chie-sa che è possibile cogliere il senso del diritto penale canonico34.

Anche nell’ordinamento ecclesiale la pena è vista come un male,cioè come un qualcosa di negativo che affligge il delinquente. Non sitratta, tuttavia, di un’afflizione fine a se stessa. Lo scopo è di restaura-re la disciplina violata. La peculiarità della nozione canonica di pena,tuttavia, deriva dal fatto che essa affonda le proprie radici, non solonell’ordine morale, ma altresì in una precisa concezione filosoficadell’uomo. La pena non mira solo a far riflettere il delinquente sul ma-le commesso, affinché si converta e recuperi i valori che ha infrantocon il delitto, ma intende anche ristabilire l’ordine violato, affinché ilsingolo e la comunità non abbiano a soffrire ulteriormente del maleda lui commesso. In altri termini: l’ordinamento penale non ha solouna valenza individuale, nei confronti del singolo delinquente, ma haanche lo scopo di organizzare la vita della comunità affinché questacontinui a essere il luogo di salvezza inteso e voluto dal suo Fondatoree sia protetta contro eventuali forze disgregatrici o devianti. Ora, èevidente che chi decide di abbandonare la Chiesa compie un atto as-sai grave. Un atto che non esaurisce le proprie conseguenze in chi lopone, ma che, in qualche modo, riverbera i propri effetti nocivi su tut-ta la comunità. Le conseguenze penali che ricadono su chi decide disepararsi dalla Chiesa cattolica – si noti, tuttavia, che l’abbandono del-la Chiesa, in quanto tale, non è punito: è punito in quanto configura ildelitto di apostasia, di eresia o di scisma – non mirano solo ad aiutarlonel cammino di resipiscenza, ma mirano altresì a denunciare a tutta lacomunità la gravità dell’atto compiuto, aiutandola in tal modo a pren-dere maggior coscienza del valore leso dal delinquente. Pertanto, ilsignificato e il valore dell’applicabilità delle norme penali nei confrontidi chi, dopo il battesimo o l’accoglimento in essa, abbandona la Chie-sa, non cessa per il fatto che costui ha deciso di non riconoscere piùl’autorità ecclesiastica e le sue norme: permane lo scopo del recuperodel singolo e di tutela della comunità. Senza contare, poi, il fatto cheinfliggendo una pena, la Chiesa intende sottolineare che, chi si è sepa-rato da essa, si è separato solo dalla piena comunione ecclesiale, marimane in qualche modo vincolato da quel dono di amore conferito nel

34 Per questa parte cf V. DE PAOLIS, I delitti e le pene in genere (cann. 1311-1363), in V. DE PAOLIS - D.CITO, Le sanzioni nella Chiesa. Commento al Codice di Diritto Canonico Libro VI, Città del Vaticano 2000,pp. 106-124 in parte ripreso anche in V. DE PAOLIS, Le sanzioni nella Chiesa (cann. 1311-1399), in AA.VV.,Il diritto nel mistero della Chiesa, III, Roma 20043, pp. 461-467.

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battesimo che è più forte di ogni nostra infedeltà. Diversamente laChiesa dovrebbe abbandonare al loro destino coloro che defeziona-no, senza approntare alcuno strumento di recupero. In questo caso,tuttavia, essa non sarebbe più strumento universale di salvezza, ma,in qualche modo, sarebbe complice e, dunque, responsabile, dellaperdita di alcuni. L’atteggiamento della Chiesa in ordine alla salvezza,invece, non può mai essere solo passivo. In fin dei conti, se è vero checiascuno di noi resta libero di amare o meno una persona, non è menovero che nessuno di noi può impedire che questa persona ci ami, an-che contro la nostra volontà.

Aspetti di diritto ecclesiastico

Il matrimonio

L’abbandono della Chiesa e la conseguente (auspicata) libertàdalle disposizioni contenute nelle leggi meramente ecclesiastiche po-trebbe avere delle conseguenze anche in ordine al giudizio sulla vali-dità o meno di un determinato negozio giuridico. Ci riferiamo, qui, inparticolare, al caso del matrimonio. In contrasto con il chiaro dispostodel can. 837 § 135, l’attuale contesto culturale, tendente a far rifluire nelprivato tutto ciò che attiene alla religione e alla pratica del culto, simuove sempre più nella direzione di un’appropriazione da parte deisingoli e di una privatizzazione del sacramento del matrimonio. Giu-stamente, a tale riguardo, è stato scritto che «tra le insidie da temerevi sono in modo particolare le seguenti: […] la proclività a ritenereche, in ogni caso, il matrimonio non è un istituto “indisponibile” quan-to alla sua struttura, ai suoi fini, al suo significato esistenziale, agli im-pegni che comporta, ma rappresenta una modalità di intessere rap-porti a piacimento in un’ottica privatistica, mirata al soddisfacimentodi utilità variabili nei modi e nel tempo, se piace – e quando lo si riten-ga – anche con dimensione religiosa»36. L’abbandono della comunionecon la Chiesa e, dunque, il non riconoscere più, come tale, l’autoritàecclesiastica, farebbe ritenere ad alcuni che, qualora si realizzassequesto stato di cose, la competenza per giudicare del destino di unmatrimonio non sarebbe più della Chiesa ma dello Stato. La questio-

35 «Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa stessa, che è “sacramento diunità”, cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei Vescovi; perciò appartengono all’interocorpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano; i singoli suoi membri poi vi sono coinvolti in diversomodo, secondo la diversità degli ordini, delle funzioni e dell’effettiva partecipazione».36 A. NICORA, Il matrimonio concordatario in Italia, in «Quaderni di diritto ecclesiale» 16 (2003) 352.

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ne, ovviamente, non si pone solo per il matrimonio concordatario,benché in questo caso la problematica si ponga in un modo oggettiva-mente più complesso, ma per ogni matrimonio contratto in forma ca-nonica o comunque valido per la Chiesa.

Non sono di fatto mancati Autori37 e orientamenti giurispruden-ziali38 che si sono espressi nel senso di un venir meno della riserva digiurisdizione rivendicata dalla Chiesa cattolica in relazione ai procedi-menti matrimoniali a favore di un sistema di concorso tra giurisdizioneecclesiastica e giurisdizione statale, peraltro temperato dal criterio del-la prevenzione, che impone al cittadino una scelta tra le due giurisdi-zioni, precludendogli il ricorso ai tribunali dello Stato una volta instau-rata la causa di nullità davanti ai tribunali ecclesiastici. Più in particola-re, è stato recentemente affermato che la riserva di giurisdizionepoteva trovare giustificazione soltanto in un sistema basato sulla chiu-sura di ciascun ordinamento giuridico su se stesso, sulla assoluta pri-mazia dell’ordinamento interno rispetto agli altri, sulla diffidenza ver-so tutto ciò che proviene dall’esterno. Oggi, tuttavia, con l’abbandonodel concetto di sovranità e del correlativo principio della esclusivitàdella giurisdizione, con l’affermarsi del principio della cooperazione edella libera circolazione ed integrazione dei valori giuridici provenientida ordinamenti diversi, non è più ammissibile che uno Stato si riserviin via esclusiva la giurisdizione su determinate materie: a ciascun sog-getto deve essere data la possibilità di utilizzare la giurisdizione che, divolta in volta, può apparire più idonea a rispondere alle concrete istan-ze di giustizia39. È fin troppo ovvio che la Chiesa cattolica non può es-sere interessata né a né da una prospettiva di questo genere. Tale ipo-tesi pare trascurare un dato essenziale che contraddistingue in modo

37 Cf P. MONETA, Riserva di giurisdizione e delibazione delle sentenze ecclesiastiche. Recenti sviluppi dottri-nali e giurisprudenziali, in AA.VV., I giudizi nella Chiesa. Il processo contenzioso e il processo matrimoniale,Milano 1998, pp. 245-263; C. CARDIA, Manuale di diritto ecclesiastico, Bologna 1996, pp. 477-481: «La ra-gione stessa per la quale è stata abolita la riserva di giurisdizione [è] per consentire a coloro che abbianomodificato il proprio orientamento ideologico o religioso di non soggiacere ad un ordinamento confes-sionale, e ai relativi tribunali, nel quale non si riconoscono più» (p. 482).38 Per l’Italia, cf sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite n. 1824 del 13 febbraio 1993. La CorteCostituzionale, tuttavia, con sentenza del 1° dicembre 1993, è pervenuta a conclusioni opposte. DettaCorte, di fatto, considerando che il momento genetico del matrimonio (la celebrazione in forma canoni-ca) costituisce il presupposto a cui vengono ricollegati, mediante la trascrizione, degli effetti civili, ha ri-tenuto che tale presupposto resti interamente regolato, nei suoi requisiti di validità, dal diritto canonico,mentre la giurisdizione dello Stato si estende agli effetti civili. Pertanto, le controversie inerenti a ciascu-no dei due momenti devono essere riservate alla cognizione degli organi giudiziari di quell’ordinamentoche ne esprime la disciplina sostanziale: quello canonico per i requisiti di validità, quello statale per glieffetti propri del rapporto coniugale. 39 Cf M.C. FOLLIERO, Giurisdizione ecclesiastica matrimoniale e diritto internazionale privato, Salerno1996, cit. in P. MONETA, Riserva di giurisdizione, cit., pp. 249-250 e nota 10.

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assolutamente originale il matrimonio canonico: la identità/insepara-bilità tra contratto e sacramento per modo che, da un punto di vistateologico, è impossibile considerare in modo puramente estrinseco ilrapporto tra dato naturale (contratto) e dato soprannaturale (sacra-mento) (cf can. 1055). Il matrimonio cattolico, pertanto, a motivo delsuo inscindibile e imprescindibile spessore sacramentale, non può es-sere trattato alla stregua di qualsiasi altro contratto in ordine al quale,intervenendo un accordo tra le parti, è abbastanza ininfluente il fattoche venga retto dalle norme di un ordinamento piuttosto che da quelledi un altro. In questo senso si comprende il disposto del can. 1671 se-condo il quale «le cause matrimoniali dei battezzati per diritto propriospettano al giudice ecclesiastico»40. Ciò sia detto nei confronti dellapretesa dello Stato nei confronti del matrimonio canonico.

Un discorso non dissimile, almeno nelle conclusioni, va tuttaviafatto anche a fronte della pretesa dei singoli interessati di veder giudi-cato il proprio matrimonio da un’autorità diversa da quella della Chiesasulla scorta della loro decisione di abbandonare la comunione eccle-siale. Non è mancato di fatto chi, in modo peraltro quanto meno impro-babile, ha propugnato il superamento della riserva di giurisdizione afavore della Chiesa, non però in nome o come applicazione della li-bertà di religione, ma piuttosto come esercizio dello ius poenitendi:«[una delle ragioni del superamento della riserva di giurisdizione ec-clesiastica sta] nella necessità di tutelare lo ius poenitendi dei coniugi(o di uno di essi) che li aveva determinati a costituirsi coniugi in faciestatus nella forma del matrimonio contratto secondo le norme del dirit-to canonico. L’esercizio dello ius poenitendi vale, nel caso di specie, co-me “ripensamento” di una opzione “religiosa” e sta, in buona sostanza,ad indicare che i coniugi (o uno di essi) non riconoscono (o non rico-noscono più) un valore “religioso” al matrimonio: di qui l’esclusione –quasi a mo’ di “logico corollario” – di ogni automatismo circa l’efficaciacivile delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale»41.

A tale riguardo, deve essere sottolineato che la causa efficientedel matrimonio è il consenso delle parti (can. 1057). Il matrimonio

40 A tale riguardo si può annotare una maggiore precisione del can. 1671 rispetto al corrispondente can.1960 del CIC del 1917 che stabiliva: «Causae matrimoniales inter baptizatos iure proprio et exclusivo adiudicem ecclesiasticum spectant». La maggior precisione si coglie in riferimento al can. 1672 che attri-buisce le cause sugli effetti puramente civili del matrimonio al magistrato civile «a meno che il diritto par-ticolare non stabilisca che le medesime cause, qualora siano trattate incidentalmente e accessoriamente,possano essere esaminate e decise dal giudice ecclesiastico».41 AA.VV., Matrimonio religioso e giurisdizione dello Stato, a cura di R. Botta, Bologna 19942, pp. 79-80.

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ha quindi, nel suo momento costitutivo, una natura specificamentecontrattuale. Il consenso, una volta legittimamente manifestato dapersone giuridicamente abili, è per sempre sottratto alla disponibi-lità delle parti, risultando quindi irrilevante, in ordine alla giurisdi-zione della Chiesa, il fatto che uno o entrambi i coniugi non si rico-noscano più soggettivamente inseriti nell’ordinamento giuridico incui tale consenso è stato emesso e ha prodotto i suoi effetti giuridicipropri. A questo punto, non resta che ribadire il principio sancito dalcan. 11 più volte citato: coloro che in qualsiasi modo giuridicamenterilevante si sono separati dalla comunione ecclesiale sono, non di meno, ugualmente tenuti anche alle norme meramente ecclesia-stiche.

Il diritto a una corretta rappresentazione della propria identità

La particolare prospettiva nella quale ci stiamo muovendo –quella cioè del rapporto tra abbandono della Chiesa e diritto alla li-bertà religiosa – potrebbe poi rilevare sotto il profilo del diritto di unindividuo a una corretta rappresentazione della propria identità. Inun caso, che recentemente ha suscitato un certo dibattito tra gli Au-tori, si è trattato della pretesa da parte di una persona, battezzata nel-la Chiesa cattolica, di vedere cancellato il proprio nome dai registri dibattesimo in forza del suo diritto all’oblio (right to be let alone). Il Ga-rante della privacy, dopo aver opportunamente precisato «che i regi-stri dei battezzati rientrano tra i registri ufficiali della Chiesa cattolicae, quindi, di un ordinamento indipendente e sovrano rispetto a quellodello Stato italiano, così come previsto dall’art. 7 della Costituzione»,ha altresì precisato che «il diritto degli interessati a veder corretta-mente rappresentata la propria immagine può essere soddisfatto damisure diverse dalla pura cancellazione grazie alle quali gli stessi ot-tengano dai titolari o dai responsabili che i dati da essi detenuti ac-quistino un diverso significato […] rimanendo impregiudicato il di-ritto del ricorrente di far integrare a sua richiesta la complessiva do-cumentazione che lo riguarda»42. In proposito, va di fatto registrataun’evoluzione, sulla quale gli Autori convergono, del concetto di pri-vacy. Tale nozione, dalla sua originaria connotazione di privacy-pro-perty, è andata progressivamente sviluppandosi nel senso di una pri-

42 D. MILANI, Il trattamento dei dati sensibili di natura religiosa tra novità legislative ed interventi giuri-sprudenziali, in «Il diritto ecclesiastico» 112 (2002) 286-287.

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vacy-dignity per modo che «da un’accezione del diritto [alla privacy]esposta al tarlo dell’arbitrarietà del dominio da parte del soggetto in-teressato, di cui tende a riconoscere la pretesa ad una sorta di “euta-nasia informativa”, ossia la facoltà di chiedere, senza alcuna remorao riserva, che venga “spenta” o “oscurata” quella parte di vissuto di-venutagli intollerabile»43 si è a poco a poco giunti al cosiddetto «dirit-to all’autodeterminazione informativa», che rappresenta sicuramen-te un passo in avanti rispetto al mero diritto alla riservatezza. Si trat-ta, in altri termini, dell’abbandono di uno schema di tipo proprietarioa favore di «una sorta di “procedimentalizzazione” flessibile del dirit-to fondamentale a una corretta riproduzione della propria identità,capace di dare il giusto rilievo anche a interessi e dimensioni dellepersone diverse rispetto a quelle esclusivamente individuali. In unsiffatto contesto emerge e s’impone una tecnica di tutela “costrutti-va”, come il diritto all’integrazione dei dati medesimi»44. Va quindidetto che la qualifica di «cattolica», riferita a una persona, in quantoelemento integrante della personalità derivante dalla ricezione delbattesimo nella Chiesa, indipendentemente dalle conseguenze giuri-diche che ne possono derivare, non è suscettibile di un’assoluta li-bertà di disposizione da parte del titolare. La gestione di tale aspettodella propria personalità, di fatto, deve essere attuata mediante un si-stema di bilanciamento di valori e, dunque, in un’ottica fondamental-mente relazionale. Invero, il fatto storico della ricezione del battesi-mo produce una serie di conseguenze non solo in capo al soggettoche lo riceve, ma anche alla Chiesa stessa e a una serie di personeaderenti alla medesima, che sono portatrici di interessi attuali e per-tinenti nei riguardi del soggetto, anche nel caso in cui questi abbia in-teso prenderne le distanze45. Tanto più che «il diritto all’identità per-sonale non risulta nella sua più profonda sostanza valoriale compro-

43 S. BERLINGO, Si può essere più garantisti del Garante? A proposito delle pretese di “tutela” dai registri dibattesimo, in «Quaderni di diritto e politica ecclesiastica» 8 (2000) 298.44 Ibid., p. 298 e bibliografia ivi citata.45 Si pensi, a titolo di esempio, al diritto dei genitori i quali, scegliendo il battesimo, hanno esercitato nonsolo un diritto di libertà religiosa ma altresì un loro personalissimo diritto, riconosciuto sia a livello dellaCostituzione italiana (art. 30, 1°) sia a livello internazionale, circa l’educazione e la formazione morale ereligiosa dei propri figli, in conformità al credo cui essi aderiscono. Costoro hanno il diritto a vedere at-testata nel tempo tale loro scelta genitoriale e lo stesso dicasi per coloro che in tale celebrazione hannosvolto l’incarico di padrini. Pertanto, «non si tratta di bilanciare soltanto un interesse individuale con uninteresse istituzionale o collettivo; ma di ponderare un interesse individuale con una serie o un intrecciodi altri interessi individuali, del pari fondamentali ed identificanti e che paiono ben più meritevoli di tute-la, se la pretesa dell’interessato, anziché concentrarsi su di un ragionevole “diritto all’interazione o all’ag-giornamento” costanti e al calibrato uso dei propri dati, volesse concretizzarsi in un indiscriminato e ir-relato “diritto all’oblio”» (ibid., p. 326).

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messo, laddove non si impedisca di far emergere una nuova identitàatea che fa seguito all’avvenuta verità storica del battesimo»46. Di fat-to, il Tribunale di Padova, che il medesimo ricorrente, non pago delpronunciamento del Garante, ha investito della questione, ha giusta-mente affermato che «l’interessato non appare minimamente condi-zionato nella sua libertà di aderire a una nuova confessione religiosao di abbracciare, come in concreto emerge, una visione ateistica del-la vita, così come non viene minimamente danneggiato nella sferadel suo onore, specie se questo viene correttamente costruito in unachiave oggettiva, quella della dignità, rapportata “non [al] soggettivosentire dell’individuo, ma [ai] valori e [ai] criteri assunti dall’ordina-mento dello Stato”»47.

Rimanendo sempre nel campo del diritto ecclesiastico, la non ap-plicabilità delle norme meramente ecclesiastiche a coloro che hannoabbandonato la Chiesa, potrebbe creare delle situazioni quanto menostrane. Si ponga mente, per esempio, alla perdita dell’ufficio ecclesia-stico, anche se il discorso potrebbe valere anche per attività ecclesialinon formalmente rientranti nella nozione di ufficio ecclesiastico comel’insegnamento della religione nelle scuole, anche non cattoliche(cann. 804 § 2 e 805) e la nomina dei docenti nelle università cattoli-che e negli altri istituti di studi superiori (can. 810 § 1). Ora, il can. 194§ 1, 2° stabilisce che «è rimosso dall’ufficio ecclesiastico per il dirittostesso […] chi ha abbandonato pubblicamente la fede cattolica o lacomunione della Chiesa». Si tratta chiaramente di una norma positiva.Una prima domanda potrebbe essere: a chi si applica questa norma sealle leggi meramente ecclesiastiche non fossero tenuti anche coloroche hanno abbandonato la Chiesa? I problemi non sembrano tuttaviaterminati. Di fatto, spesso l’ufficio ecclesiastico conferito dalla compe-tente autorità ecclesiastica, comporta anche la stipulazione di un con-tratto lavorativo valido per l’ordinamento civile. Per questo aspetto,ultimamente, si propende a fare riferimento alle cosiddette organizza-zioni di tendenza (Tendenzbetrieb), un istituto di origine tedesca re-centemente importato nel diritto italiano, nel quale rientrerebbero gli enti ecclesiastici. La direttiva della Commissione Europea2000/78/CE, recepita nell’ordinamento italiano con il decreto legisla-tivo 9 luglio 2003, n. 216, permetterebbe allo Stato di prevedere che

46 F.D. BUSNELLI - E. NAVARRETTA, Battesimo e nuova identità atea: la legge n. 675/1996 si confronta con lalibertà religiosa, in «Quaderni di diritto e politica ecclesiastica» 8 (2000) 868.47 Ibid., p. 869.

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determinate categorie di datori di lavoro possano legittimamente li-cenziare coloro che aderiscono o meno a una determinata Weltan-schauung allorché tali scelte siano in grado di pregiudicare irrimedia-bilmente lo svolgimento della prestazione in considerazione della na-tura o del contesto in cui essa viene espletata48. Si avrebbe quindi lastrana situazione in forza della quale si potrebbe licenziare in forzadell’ordinamento civile, ma non si potrebbe privare dell’ufficio in for-za dell’ordinamento canonico.

Valutazioni conclusive

A questo punto dobbiamo riprendere il quesito che ci siamo po-sti all’inizio di questo studio: se cioè, in caso di abbandono della Chie-sa, la disposizione del can. 11 neghi o leda la libertà di religione di co-loro che hanno operato tale scelta.

Anzitutto, come giustamente è stato scritto, questo problema«[deve essere] distinto da quello più ampio circa il valore dei dirittiumani nell’ordinamento canonico, tema nel quale […] va affermatauna validità assoluta di essi nella Chiesa, nella misura in cui l’ordina-mento giuridico ecclesiale non può che rispettare e promuovere, nelsuo ambito proprio, la dignità naturale dell’uomo e i suoi diritti natu-rali. Il diritto di libertà religiosa presenta a questi effetti una proble-matica sui generis, poiché il suo oggetto si riferisce appunto alla mate-ria religiosa»49. Va poi aggiunto che, atteso il dovere fondamentale ditutti i fedeli a conservare sempre, anche nel loro modo di agire, la co-munione con la Chiesa (can. 209 § 1), al di fuori di tale comunione ilbattezzato sta agendo separatamente dalla Chiesa, e dunque non hasenso che possa rivendicare un diritto ecclesiale a farlo. Pertanto «ap-partenere alla Chiesa implica un determinato esercizio del diritto di li-bertà religiosa, e determina essenzialmente una congruente limita-zione posteriore della libertà giuridica, perlomeno all’interno dellamedesima Chiesa»50. Nella Chiesa, infatti, l’appartenenza si fonda nonsolo sulla libera elezione e sulla libera perseveranza in essa, ma inclu-de anche un elemento permanente rappresentato dal carattere batte-simale, onde è noto l’assioma semel christianus, semper christianus.

48 Cf A. PERLASCA, Conferimento e cessazione dell’ufficio ecclesiastico. Problemi di rapporto con l’ordina-mento civile, in «Quaderni di diritto ecclesiale» 19 (2006) 141-157.49 C.J. ERRAZURIZ M., Esiste un diritto di libertà religiosa…, cit., p. 91.50 Ibid., pp. 93-94.

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In ultima analisi, quindi, la risposta al quesito che ci siamo postidipende dal significato che si intende attribuire all’espressione «li-bertà di religione»: «se con essa si vuol dire che il battezzato non puòsubire pressioni né essere colpito da inadeguate (e dunque) ingiustesanzioni per l’inosservanza [di obblighi specifici], non si può che con-dividere appieno tale difesa della dignità e libertà non già del cristia-no, ma dell’uomo in quanto tale. Se invece si pretende contestare l’esi-stenza di obblighi ecclesiali di natura dottrinale e la legittimità dellagiuste sanzioni ecclesiali motivate dalla loro inosservanza […] [deveessere] fermamente respinta una simile concezione, come incompati-bile con i capisaldi della giuridicità ecclesiale»51. Dal momento che laChiesa utilizza legittimamente i mezzi contemplati dal proprio ordina-mento per il perseguimento delle sue finalità specifiche, essa sembradunque rispettosa del diritto di libertà religiosa dei suoi membri.

Stabilire fino a che punto il fedele che ha abbandonato la Chiesacontinua a essere vincolato in coscienza dalle norme meramente ec-clesiastiche, non è più una questione giuridica ma morale e a questadisciplina teologica deve essere quindi lasciato questo problema. Laquestione, tuttavia, andrebbe risolta tenendo presente che non si trat-ta di doveri che comportano solo degli oneri dai quali si vuole esseresollevati, ma si è in un quadro più generale di riconversione a Cristo ealla Chiesa, non avendo neppure troppo senso pensare a obblighi de-terminati il cui adempimento presuppone quello di un dovere basilarenel caso di specie disatteso52. Si tratta, in buona sostanza, di una que-stione in cui emerge ancora una volta la specificità e la peculiaritàdell’ordinamento giuridico canonico, il quale non è giustappostodall’esterno, ma promana dalla natura stessa della Chiesa e dunque,anche nelle sue espressioni meramente umane, esso non può non tra-durre – o cercare di farlo nel miglior modo possibile – il dato teologi-co fondamentale in termini giuridici. Al riguardo, è stato tuttavia giu-stamente fatto notare che «bisogna fare attenzione a non trarre inde-bite conclusioni dalla dottrina che evidenzia come la fede siapresupposto dell’ordinamento canonico (e della stessa Chiesa), e dal-lo specifico insegnamento che intende la norma canonica come ordi-natio fidei, prescrizione fondata sulla fede, piuttosto che sulla ragione(ordinatio rationis). In verità l’ordinamento canonico tutto, e quinditutte le sue singole norme, hanno fondamento ultimo nel volere di

51 Ibid., pp. 97-98.52 Ibid., p. 94.

L’abbandono della Chiesa cattolica e libertà religiosa. Implicazioni canoniche e di diritto ecclesiastico 81

Dio […] Ma il disegno di Dio, nella sua oggettività impegnativa, nondipende dalla fede (come del resto non dipende dalla ragione); tantoche accoglierlo o rigettarlo, esprimere o non esprimere la propriaadesione verso di esso, impegna la responsabilità dell’uomo. La fedenon relativizza né la coscienza né la norma; può solo essere un loropresupposto»53.

Da un punto di vista strettamente giuridico, la circostanza chenonostante la defezione si sia ugualmente tenuti alle leggi puramenteecclesiastiche non priva certamente la persona interessata di compie-re le proprie scelte e dunque, da questo punto di vista, la sua libertàrimane integra. Con tutta probabilità molti degli equivoci che si pos-sono ingenerare sotto il profilo che abbiamo preso in considerazionedipendono dal fatto che l’espressione «diritto di libertà religiosa» siaoramai connotato da una qualificazione civilistica per modo che i suoicontenuti sono declinati secondo parametri diversi – se non diame-tralmente opposti – da quelli della Chiesa: «Trasferito nell’ambito in-traecclesiale, il diritto di libertà religiosa può quindi trarre con sé unacarica concettuale di neutralità religiosa (almeno sotto il profilo giuri-dico) che è del tutto incompatibile con l’ordine giuridico della Chie-sa»54. Sotto l’espressione «libertà di religione», laddove essa non ven-ga opportunamente purificata dalle incrostazioni civilistiche, potreb-be ben introdursi qualsiasi genere di soggettivismo e di relativismodottrinale del tutto contrastante con la dimensione comunionale e og-gettiva della fede. Sarebbe quindi il caso di lasciare l’espressione «di-ritto di libertà religiosa» all’ambito secolare e di provare a individuar-ne un’altra sostitutiva che, pur tenendo presenti tutti gli elementi diverità in essa contenuti e che si vogliono difendere, li legga e li adattia quella specialissima realtà teandrica che è la Chiesa cattolica. D’al-tro canto, come abbiamo visto, neppure da un punto di vista civilisticola identità personale è un diritto totalmente disponibile da parte delsingolo soggetto: non si vede dunque perché dovrebbe esserlo l’iden-tità cristiana cattolica.

ALBERTO PERLASCAVia Mentana, 19

22100 Como

53 G. LO CASTRO, Legge e coscienza, in «Quaderni di diritto e politica ecclesiastica» 1989, 98.54 C.J. ERRAZURIZ M., Esiste un diritto di libertà religiosa…, cit., p. 98.