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L ’Ansaldo e l’industria bellica
Andrea Curami
L’Ansaldo è sicuramente una delle imprese italiane più studiate dagli storici contemporanei. Tuttavia, gli studi condotti sino ad oggi hanno indugiato spesso su una presunta specificità della ditta genovese, specificità che non ci sentiamo di condividere nel settore degli armamenti, ove la ditta si affacciò tardivamente rispetto alle concorrenti e senza un adeguato bagaglio tecnico.Produttrice su licenza o comunque su progetti elaborati presso gli uffici tecnici di altre industrie, l’Ansaldo fin verso la fine della prima guerra mondiale non riuscì a coniugare l’elevato gettito produttivo con una pari qualità delle realizzazioni militari.Singolarmente, il tracollo finanziario dell’impero dei Perrone avvenne in un momento in cui l’Ansaldo aveva raggiunto una propria indipendenza in campo aeronautico e automobilistico, con realizzazioni di pregio. Ma, se con il fallimento della Gio. Ansaldo, avvenne una prima diaspora dei tecnici che i Perrone erano riusciti a strappare alla concorrenza durante la guerra, una ben più grave emorragia seguì al termine dell’oscura gestione del generale Cavallero, che, pur se caratterizzata da gravissime frodi, aveva tuttavia riportato il complesso genovese a primeggiare tra le industrie belliche nazionali, con [’acquisizioni di importanti “know-how” tecnologici.L’Ansaldo si trovò così nuovamente ad affrontare una guerra in una condizione di ritardo tecnologico non dissimile da quella del 1915, aggravata dal fatto che all’industria genovese non era più necessario lottare con la concorrenza interna per acquisire nuove commesse.
Ansaldo is for sure one o f the Italian corporations most frequently investigated by historical research. Yet the studies brought about so far have often insisted on a supposed peculiarity o f this Genoa firm, an assumption rather questionable as far as armaments are concerned, since Ansaldo entered quite late this field and without an adequate technical background. Manufacturing on licence or however on projects developed by technical departments o f other firms, Ansaldo did not succeed in matching its substantial productive output with a comparable high level o f military machinery until the end o f World War I.Surprisingly enough, the financial collapse o f the Perrone empire took place at a time when Ansaldo had reached independence in the aircraft and automobile sectors, with outstanding accomplishments. But i f the bankrupcy o f Gio. Ansaldo gave way to a first exodus o f technicians for whom the Perrone brothers had successfully contended with their competitors, a still more massive flight followed the end o f Gen. Cavallero’s obscure management, which in spite o f widespread frauds had however succeeded in bringing the Genoa corporation back to a leading role in the national war industry, with the acquisition o f important know-how.So Ansaldo was to face a new war in a position o f technological backwardness fairly similar to the one o f 1915, with the aggravation o f having no longer to challenge internal competition in order to gain further contracts.
Italia contemporanea”, giugno 1994, n. 195
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L’Ansaldo e la sua specificità: il retaggio di un’autorappresentazione del passato
La nota insegna dell’Ansaldo, formata da due cannoni incrociati, un’ancora e un ingranaggio, sembrerebbe indicare inequivocabilmente la vocazione bellica dell’industria genovese, ma il solo ricordo che tale stemma venne adottato dalla “Società anonima italiana Giò Ansaldo & C.” con l’assemblea del 25 marzo 1912, a quasi sessantanni dalla fondazione della “Giovanni Ansaldo & C.” che aveva acquisito l’ex stabilimento Taylor-Prandi di Sampierdarena dalla “Azienda generale delle Strade ferrate”, porta a giudicare una simile affermazione come ampiamente limitativa. Sono questi gli effetti duraturi dell’autorappresentazione voluta dai fratelli Perrone, e l’esame del cosiddetto “complesso industriale Ansaldo a ciclo completo, dal minerale al prodotto finito, ai noli minimi1” immediatamente ridimensiona l’importanza della componente produttiva bellica nel macrocosmo ansal- dino.
Analogamente stenta a morire l’oleografica immagine che è stata creata attorno al “caso Ansaldo”, quasi che l’attività produttiva dell’industria genovese godesse di una sua particolare specificità rispetto agli altri complessi italiani. Siamo, invece, fermamente convinti che l’Ansaldo sia un’industria nazionale, nel senso che le sue vicende e fortune non differiscono da quelle di altre imprese belliche italiane dell’epoca e nel corso di queste righe cercheremo rapidamente
di spiegarlo fornendo anche qualche dato meno noto sulla produzione di armamenti. I Perrone si sono sempre compiaciuti della protezione e dell’aiuto dato da Cavour alla Taylor-Prandi a dimostrazione della loro vocazione a sentirsi “in un certo senso branca dello Stato italiano2” o addirittura, come altri hanno scritto, “nel tentativo di crearsi una situazione privilegiata tipo Krupp, Schneider, Skoda [...]3” . A ben vedere, tuttavia, già la Balleydier nel 1840 aveva goduto di analogo trattamento che le aveva permesso nel 1860 di raggiungere il predominio tra le industrie liguri. E diffusi sono gli esempi in Italia di industrie metalmeccaniche stimolate “dall’esigenza per le forze armate — la marina soprattutto — di disporre in patria di un’attrezzatura industriale adeguata almeno per i lavori più urgenti4” . Basti, a esempio, ricordare la nascita dello “Stabilimento tecnico triestino” e dei cantieri We- stermann a Genova e Guppy a Napoli e in seguito della Terni.
Neppure potremmo ricordare l’Ansaldo come polo tecnologico bellico italiano dell’epoca. Ben altre tradizioni potevano vantare gli squeri triestini che già nel 1829 vararono il Civetta, primo scafo nazionale a elica, e nel biennio 1870-1871 costruirono per le marine turche e greche, rispettivamente, le corvette corazzate Idilaljeh e Vasilissa Olga di oltre 2.000 tonnellate, oltre alla produzione per la Marina Imperiale. Del resto in Liguria, il “Cantiere della Pila” dei fratelli Orlando nel 1855 aveva varato il Sicilia, prima nave in ferro costruita in Italia, mentre si
Il presente saggio è comparso in Centro ricerche Giuseppe Di Vittorio, Istituto milanese per la storia della Resistenza e del movimento operaio, Storia dell’industria e storia dell’impresa: il caso Ansaldo. Fonti, metodi e problemi storiografici, Milano, 1993 (Quaderno n. 6), che riunisce le relazioni presentate al seminario organizzato dai due istituti.1 Pio e Mario Perrone, L ’Ansaldo, la guerra e il problema nazionale delle miniere di Cogne, Genova, Società edizioni e pubblicazioni, 1932, p. 14.2 Richard H. Webster, La tecnocrazia italiana e i sistemi verticali: il caso Ansaldo 1914-1921, “Storia contemporanea”, 1978, n. 2.3 Massimo Mazzetti, L ’industria nella grande guerra, Roma, Ussme, 1979, all. 7.4 Luigi De Rosa, La rivoluzione industriale in Italia, Bari, Laterza, 1985 (I ed. 1980), p. 147.
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dovette attendere il 1876 per vedere l’avviso Staffetta (1.800 tonnellate) scendere dagli scali dell’Ansaldo. Riconosciamo a Ferdinando Maria Perrone l’indubbia abilità nel procurare all’Ansaldo nell’ultimo decennio del secolo scorso la vendita del Garibaldi, del Cristobai Colon e del Pueyrredon, ma gli Orlando nel contempo vendevano sempre agli argentini il San Martin e il General Belgrano, ad Haiti il Ferrière, al Marocco l’incrociatore El Bashir e al Portogallo l’A- damastor.
Da un rapido confronto con gli scali di San Marco e San Rocco a Trieste, la cantieristica postunitaria ne uscirebbe ridimensionata e l’Ansaldo si ridurrebbe a poco più che una ragione sociale. Negli stessi anni il cantiere San Marco vendeva in Argentina Y Argentina, VAzopardo e il Patagonia, mentre per l’Uruguay veniva costruito il General Artigas e per la Marina Imperiale il Tegetthoff, il Kaiser Franz Joseph I e il K. u.K. Maria Theresia, per ricordare solo le navi più note. Preme inoltre ricordare una fondamentale differenza tra i cantieri triestini e quelli nazionali e l’Ansaldo in particolare. Non solo a Genova si costruiva poco rispetto alla concorrenza nazionale, ma tutte le produzioni del Regno erano su licenza, dagli apparati motori alle eliche e agli scafi, a differenza delle costruzioni triestine.
A questo proposito si impongono alcune considerazioni. Le cause della situazione italiana dipendevano tanto dalla necessità del ministero della Marina di dare lavoro
anche agli arsenali militari, facendo proprie le argomentazioni di salvaguardia dell’ordine sociale avanzate dai prefetti per sostenere le richieste della cantieristica privata, quanto dal maggiore costo e dall’inferiorità tecnologica del prodotto degli scali nazionali. Sicuramente, infortuni quali i ripetuti difficoltosi vari al cantiere AnsaldoI * * * 5, non potevano aumentare la fiducia dell’amministrazione militare nei confronti dell’industria genovese che si vedeva sconfitta dalla concorrenza straniera anche nel settore dei motori primi, dove forse poteva vantare una qualche maggior esperienza6.
Ribadiamo il fatto che la scarsa stima del ministero della Marina non coinvolgeva solamente l’Ansaldo, ma anche tutti gli altri cantieri, preferendo far sviluppare la progettazione di nuove navi o dagli ufficiali del Genio navale o da industrie straniere, che poi ne effettuavano la costruzione7. Rimane, tuttavia, evidente che quando l’ammini- strazione decise di dotarsi nei primi anni ottanta di un largo numero di torpediniere costiere del tipo inglese “Thornycroft”, delle trenta della classe “Aldebaran” sei vennero costruite da Pattison a Napoli, altrettante da Orlando di Livorno, cinque da Odero di Sestri e due da Guppy di Napoli. Ovvero in questa prima distribuzione di commesse a pioggia alla cantieristica privata nazionale, l’Ansaldo rimase clamorosamente esclusa8.
Non diversamente avvenne pochi anni dopo nella distribuzione degli ordini per la costruzione delle torpediniere costiere classe S, su progetto del cantiere tedesco Schicau
I vari tanto della Staffetta (1876), quanto del Gottardo (1884) presentarono delle gravi difficoltà anche per la modesta pendenza della spiaggia e la poca profondità dei fondali. Cfr. Emanuele Gazzo, I cento anni dell’Ansaldo1853-1953, Genova, Ansaldo, 1953, p. 267.6 Archivio centrale dello Stato (Acs), Presidenza del consiglio dei ministri (Pcm), 1879-1880, b. 32, f. 219. Si veda ilcaso dell’apparato motore della corazzata Lepanto, che l’Ansaldo reclamava per sé e che venne affidato alla Penn &Sons, con la motivazione che le industrie italiane non erano ancora in grado di garantire risultati soddisfacenti.7 Delle dieci corazzate costruite nel periodo 1880-1895, solo il Lepanto venne costruito sugli scali della Orlando, mentre le restanti nove vennero realizzate negli arsenali militari. Tutti i progetti sono da attribuire all’ispettore generale del Genio navale Benedetto Brin.8 Altre quattro torpediniere “Thornycroft” di 3a classe vennero poi assegnate nel 1886 alla Odero di Sestri.
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di Elbing. Anche in questo caso l’Ansaldo fu inizialmente esclusa dalla spartizione tra le aziende italiane, venendole preferiti ancora una volta Pattison, Odero, Guppy e Cravero, che aveva rilevato dall’ammini- strazione militare il cantiere della Foce di Genova. Tuttavia il caso volle che, durante la navigazione dal cantiere tedesco verso l’Italia, le prime due torpediniere costruite entrassero in collisione tra loro e il 56 S affondasse, permettendo così all’Ansaldo, a causa del carico di lavoro degli altri scali, di entrare nel giro delle commesse della Marina, prima con la costruzione di un secondo 56 S, poi con una commessa per altre 17 torpediniere.
Nel 1892 venivano ordinati all’Ansaldo il Giuseppe Garibaldi e alla Orlando il gemello Varese, entrambi poi venduti all’Argentina grazie all’attività di Ferdinando Maria Perrone; tuttavia questo successo della cantieristica nazionale mette in luce le non poche contraddizioni della industria italiana: il progetto della nave, ancora una volta, non era né di Orlando né di Ansaldo, ma del tenente generale del Genio navale Edoardo Masdea, le artiglierie erano di progettazione e costruzione Armstrong o Vickers, così come le caldaie del tipo Ni- clausse o Belleville.
Si possono quindi capire i “giri di valzer” dell’industria genovese alla fine del secolo scorso alla ricerca di un partner tecnologico. La crescente politica protezionistica, di cui la legge 6 dicembre 1883 a favore della Marina è un esempio, aveva portato i tradizionali fornitori delle nostre forze armate a creare nuove industrie in Italia o ad associarsi con imprese nazionali. In tale ottica la Armstrong Whitworth & C., forni
trice tra l’altro dei primi tre moderni incrociatori o arieti torpedinieri (secondo la dizione dell’epoca) italiani, creò nel 1886 a Pozzuoli il maggior stabilimento nazionale di artiglierie che nel giro di cinque lustri produsse ben 1.351 bocche da fuoco9 con i relativi affusti e, se del caso, le torri corazzate che costituivano l’armamento principale e secondario di buona parte del gettito della nostra cantieristica. D’altronde, la Haw- thorn & Leslie di Newcastle, principale fornitrice di caldaie e macchine alternative, aveva preferito associarsi alla napoletana Guppy & Co. e la Terni aveva riconosciuto cheoramai sarebbe la nostra condanna lo starsene inerti di fronte alle costruzioni che appunto così si vanno assicurando le fabbriche estere più importanti, Vickers, Krupp, Creuzot che tutte costruiscono già navi e si vanno perfezionando con nuovi impianti; tutti sono produttori di corazze e cannoni. Ora è chiaro che se anche noi ci metteremo e presto in condizioni analoghe potremo conservare la posizione guadagnata e molto sperare nell’avvenire, se no, correremo il pericolo di restare straniati da così potenti concorrenze10
e quindi, dopo l’adesione al sindacato internazionale di produttori di corazze Harvey, avvenne la costituzione nel 1904-1905 della Vickers-Terni per costruzione e gestione dell’omonimo stabilimento di artiglierie a La Spezia, concorrente dell’Armstrong di Pozzuoli.
Così come la Vickers Sons & Co. Ltd. incorporò nel 1897 la “Maxim Nordenfelt Guns and Ammunition Co.” per garantirsi il settore della produzione di mitragliere e acquisire una consolidata esperienza nella produzione di armi di lancio, era naturale che i dirigenti ansaldini cercassero di qualificare
9 Di queste, tutte riproduzioni di progetti britannici, 491 artiglierie avevano calibro pari o superiore ai 152 mm. Cfr. Lo stabilimento Armstrong di Pozzuoli dal 1886 al 1911, Bergamo, Officine dell’Istituto italiano di arti grafiche, s.d., pp. 140-143.10 La citazione della dichiarazione del 4 ottobre 1901 in Franco Bonelli, Lo sviluppo di una grande impresa in Italia. La Terni dal 1884 al 1962, Torino, Einaudi, 1975, p. 81.
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la produzione degli stabilimenti con alleanze con i costruttori esteri di artiglierie e i depositari di altri brevetti di corazze. A ben vedere, l’unico modo di resistere al cartello nato attorno alla Terni, con la partecipazione dei rivali cantieri Odero e Orlando, il beneplacito della Marina e il supporto economico della Banca commerciale italiana, era quello di creare autonomamente un prodotto finito che si basasse sulla tecnologia degli esclusi, ovvero la Armstrong, la Skoda, la Schneider e la Krupp11.
L’Armstrong e l’industria di Essen, assieme alla Skoda e alla francese Schneider- Creuzot, presentavano inoltre l’attrattiva di essere tra le più rinomate produttrici di artiglierie campali, mercato che in quegli anni con il passaggio dal bronzo alla ghisa e quindi all’acciaio per le bocche da fuoco, l’introduzione degli affusti a deformazione e della scudatura per i pezzi da campagna e gli innovativi studi sulla balistica del proietto, lasciava presumere un improcrastinabile rinnovo del parco artiglieresco italiano e un’utile diversificazione dei rischi per l’industria bellica.
Racconta in merito il tenente generale Antonio Mangiagalli, fra i principali inquisiti della commissione d’inchiesta per l’esercito del 1907:
Fin dal febbraio 1897 si era riconosciuta la necessità di rinnovare il materiale d’artiglieria da campagna, e di sostituire il vecchio cannone da 75B, in servizio dal 1870; ma l’adozione del materiale da 75A, ad affusto rigido, che ne prese il posto, per molteplici cause non avvenne che allo scorcio
del 1900. Le fasi che la precedettero e prepararono, furono le seguenti:
a) Un concorso che, bandito nello stesso anno 1897, ebbe luogo nel gennaio 1898, con caratteristiche determinate fin dal 1896, e che non conseguì alcun risultato soddisfacente, per l’impossibilità di coordinare il limite di peso imposto per la vettura-pezzo con la potenza richiesta al cannone. Ad esso parteciparono i nostri stabilimenti militari di Napoli e di Torino, l’acciaieria di Terni e le case Krupp, Armstrong, Maxim-Norden- feldt e l’Elvetica di Milano. Da questa gara il Ministero dedusse che la casa Krupp soltanto dava affidamento per il futuro possibile concorso nella soluzione della questione12.
Dimostrando quindi come l’interesse verso il problema dell’artiglieria campale italiana fosse condiviso anche da Terni, Breda (nuova regione sociale dell’Elvetica) e dalla Vickers (Maxim-Nordenfeldt).
Come già per la cantieristica militare, l’ingresso dell’Ansaldo nel mercato delle artiglierie terrestri fu, ancora una volta, casuale. Malgrado l’associazione con la Armstrong, i Perrone si erano infatti accordati anche con la francese Schneider e dopo una prima bocca da fuoco da 75, presentata nel 1906 e scartata dall’Ispettorato generale, l’Ansaldo si era resa protagonista di una vivace polemica nei confronti del ministero, accusato di non voler voluto esaminare il materiale da campagna della Schneider “avente caratteristiche simili al Déport e tale da poter sostenere il confronto con esso13”. Le commesse per 140 batterie del cannone da 75 mod. 911 erano così state assegnate a un consorzio di 27 ditte italiane presieduto dalla Vickers-Terni, con 1 ’ esclusione dell ’ Ansaldo-Armstrong.
11 Come ha documentato Luciano Segreto (More Trouble than Profit; Vickers Investments in Italy 1906-1939, “Business History”, 1985, p. 317), tanto la Schneider, quanto la Armstrong erano state avvicinate dalla Terni nel 1901-1902 al fine di formare una società per la produzione di artiglierie. Sugli abboccamenti dell’Ansaldo con la Terni stessa e con le altre industrie belliche, si veda Marco Doria, Ansaldo. L ’impresa e lo Stato, Milano, Angeli, 1989, cap. 2.
Antonio Mangiagalli, I miei due anni di Ispettorato generale e la questione dell’artiglieria campale 1906-1908, Mortara, Cortellezzi, 1908, p. 3.
Carlo Montù, Storia dell’artiglieria italiana, parte III, voi. VII, Roma, Rivista d’artiglieria e genio, 1941, p. 1375.
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Fortunatamente lo Stato maggiore dell’esercito decise di iniziare gli studi per un cannone da 105 mm da farsi costruire presso ditte italiane.Se non che le ditte italiane consociate, fino a tutto il 1913 erano tutte impegnate per l’allestimento del materiale da campagna mod. 911 e non rimaneva per ciò disponibile che la ditta Ansaldo- Armstrong che poteva disporre di un’officina per materiale d’artiglieria, adeguatamente attrezzata. Parve quindi che fosse il caso di ricorrere senz’altro a questa ditta invitandola a presentare sollecitamente un modello costruito secondo le direttive già studiate in passato dall’Ispettorato, e questo fu fatto anche perché allorquando per i nuovi materiali da campagna si era adottato il tipo Déport, la ditta Ansaldo si era lamentata che fin da principio non le fosse stato espresso il desiderio di esaminare un suo materiale a grandi settori di tiro14.
Ancora una volta, quindi, grazie solo a pressioni di natura politica l’Ansaldo riusciva ad acquisire una fetta del mercato degli armamenti, comportandosi in modo del tutto simile al più potente cartello costituito dalla Terni e dai suoi alleati.
Da quanto esposto, è difficile riconoscere proprie specificità dell’industria genovese nel settore bellico. Infatti la mancanza di una propria tecnologia consolidata e il conseguente continuo ricorso a partner stranieri e contemporaneamente al potere politico, caratterizzano la vita di tutte le industrie nazionali operanti agli inizi del secolo in questo particolare settore merceologico.
L’Ansaldo e la guerra europea
La mancanza di un valido ufficio di progettazione è sicuramente l’elemento che identifica, come più volte detto, le industrie belliche italiane.
Ricorda in merito l’ingegner Tulio Spiller:Nei primi mesi del 1914 la società Ansaldo aveva in costruzione, per conto della Regia Marina, alcuni cannoni da 102/35 su affusto a perno centrale, destinati ai cacciatorpediniere tipo Mirabello, e l’ufficio studi d’artiglieria, da me diretto, attendeva a disegnare, con l’aiuto di quattro disegnatori della società Schneider, francese, progettista delle bocche da fuoco e degli affusti da 102/35 detti sopra, gli impianti binati da 381/40 per la corazzata Cristoforo Colombo. La dichiarazione di guerra, 4 agosto 1914, interruppe questo studio per il richiamo in patria dei quattro francesi. Qualche tempo prima della dichiarazione di guerra, l’ing. Pauletig, nativo dell’Italia irredenta colpito da grave malattia, erasi ritirato nel suo paese, abbandonando completamente l’ufficio e la carica di direttore, che occupava presso lo stabilimento di artiglieria nella società Gio. Ansaldo, ed a sostituirlo fu destinato l’ing. Camillo Manzitti, del riparto costruzione locomotive, pure della società Gio. Ansaldo, il quale, non essendo pratico delle costruzioni di artiglieria, per tutti gli anni di guerra, e susseguenti, limitò il proprio compito, e lo assolse strenuamente, a quanto riferivasi alla direzione generale ed alle stipulazioni contrattuali, senza però avere alcun ingerenza, in quanto riguardava studi e progetti, che rimasero affidati a me esclusivamente, rimasto privo, dopo dichiarata la guerra, di qualsiasi aiuto della casa Schneider, troppo impegnata per la difesa della sua patria.
La composizione dell’ufficio tecnico di artiglieria
Il compito era assai grave, dato altresì che da molto tempo non si costruivano in Italia artiglierie che fossero il risultato di studi e progetti italiani. L’Esercito e la Marina si erano abituati a riceverle da potenti case straniere: Krupp, Armstrong, Vickers. Il momento era terribile; non mi sono perso, però, di coraggio, e coll’aiuto ed i consigli dei signori Perrone, mi accinsi al lavoro che sono ora fiero d’aver compiuto, fornendo all’Esercito combattente armi sempre più perfette e più pratiche, quali erangli indispensabili per com
14 C. Monté, Storia dell’artiglieria italiana, parte III, voi. VII, cit., p. 1375. Lo stemma con i due cannoni incrociati, adottato nel 1912, appare così in tutto il suo velleitarismo. A quell’epoca, l’Ansaldo non aveva probabilmente ancora costruito una sola bocca da fuoco completa, in quanto pare verosimile che il 75 mm del 1906 sia stato completamente prodotto dalla Schneider.
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battere e vincere. Alcuni ingegneri e più di cento disegnatori componeva l’ufficio studi di artiglieria, da me diretto. Gli operai, che sempre più affluivano nella società Gio. Ansaldo e furono, ad un certo periodo della guerra, ben 100.000, lavoravano quasi tutti a costruire artiglierie, in base a disegni quasi totalmente eseguiti dall’ufficio studi15.
Le ammissioni dell’ingegner Spiller possono far intuire le reali cause della modesta qualità di buona parte degli armamenti prodotti non solo dall’Ansaldo, ma anche dalle altre industrie belliche nazionali. Emerge prepotentemente la figura dell'hero designer, il progettista eroe, dittatore indiscusso dell’ufficio studi, fenomeno diffuso non solo in Italia, ma anche in Francia e in Gran Bretagna, che continuò a determinare le fortune dell’industria bellica europea fino alla fine della seconda guerra mondiale.
Tuttavia, a differenza di altre nazioni, le industrie nazionali solo raramente furono in grado di ideare autonomamente un’arma riuscita. Questa affermazione è in particolare valida per la produzione di artiglierie. Esaminando la tabella 1, dei 18 diversi tipi di artiglierie costruiti dall’Ansaldo durante la grande guerra, solo due modelli di piccole bombarde risultano prodotti non su licenza o plagio integrale di costruzioni altrui, ma sviluppati dall’ufficio tecnico dalla casa ge
novese. A questa irrilevante produzione, potremmo aggiungere l’obice da 105, sviluppo di un pezzo della Schneider di una decina d’anni prima e già presentato ad un concorso indetto dal nostro Ispettorato.
Tutti sono concordi nell’attribuire allo Stabilimento artiglieria il primato nella produzione di cannoni durante la prima guerra mondiale, tuttavia i dati produttivi sono discordanti. Ora si parla di più di 10.000 artiglierie prodotte dal 1914 al 1919 e i dati dell’archivio Perrone sembrano confermare tale cifra limitatamente alle bocche da fuoco, con una produzione di poco più di 4.200 affusti16. Circa vent’anni dopo l’Ansaldo stessa ridimensionò queste cifre indicando in poco meno di 8.000 le bocche da fuoco prodotte e in circa 3.200 gli affusti costruiti nei medesimi sei anni17. Marco Doria riporta anche una produzione dal 1914 al 1918 di poco più di 6.700 artiglierie18.
L’affidabilità di queste cifre è relativamente modesta. In primo luogo si è spesso fatta confusione tra bocca da fuoco e pezzo completo. Considerando questi ultimi, la casa genovese non ha prodotto più di 4.000 artiglierie complete. L’affermazione di Bocciardo19, riferentesi oltretutto a un periodo temporale minore rispetto a quello preso in considerazione dai Perrone, nasce poi dal desiderio “di smontare la ‘leggenda che i
15 Tulio Spiller, L ’Ansaldo e l ’artiglieria durante la guerra, Genova, s.e., 1922, pp. 13-14. M. Doria (Ansaldo, cit., p. 113) stima in circa 60.000 i dipendenti del gruppo Ansaldo. Altrove si evince che gli operai addetti alla produzione di artiglierie furono “al massimo” 4.200 dei quali 1.100 impiegati per le lavorazioni meccaniche dei piccoli calibri (fino al 76 mm), 1.600 per i medi calibri (fino al 152 mm) e 1.500 per le grosse artiglierie: Relazione sull’attività dell’Ansaldo S.A. dal 1939 al 1943 nel campo della costruzione di artiglierie, in Fondazione Einaudi (Fe), Archivio Rocca (Ar), 14.51.16 Archivio storico Ansaldo (Asa), Archivio Perrone (Ap), serie scatole numeri blu (Ssnb), 532/4.! Produzione artiglierie degli stabilimenti Ansaldo, s.l., 31 ottobre 1939, in Fe, Ar 14.32.
M. Doria, Ansaldo, cit., p. 115. L’affermazione è di Arturo Bocciardo.I dati di Bocciardo non convincono: per quanto riguarda la Vickers-Terni la produzione fino al 1919 risulta di
3.399 bocche da fuoco, marginalmente inferiore alla cifra riportata da Doria (3.496), ma su un arco di tempo maggiore di un anno. Inoltre la Vickers-Terni non ha prodotto nessun affusto ed ha eseguito il montaggio dei 75/27 (1.574 pezzi), dei 149/12 (527 artiglierie), dei 210/8 (310), dei 149/35 (275 pezzi) utilizzando masse oscillanti e affusti forniti dall’esercito o da altre ditte, cfr. Produzione artiglierie degli stabilimenti meccanici Odero Terni Orlando, s.l., s.d. (ma 1939, contemporaneo al documento di Rocca, Produzione artiglierie, cit.), in Archivio Ufficio storico Stato maggiore Esercito (Aussme), rep. L10, b. 134.
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fratelli Perrone si sono sforzati di creare’” e contrasta ovviamente con il documento genovese della fine del 1919, mirante a perpetuare l’immagine di un’Ansaldo “salvatrice della patria” . Non maggior affidabilità può essere attribuita al documento di Agostino Rocca. Sulle tabelle è infatti riportata la seguente nota: “I dati della presente tabella sono stati ricostruiti in base ad elementi vari a nostre mani, sui quali non si è potuto fare un controllo accurato” . D’altronde, la relazione costituisce una difesa della gestione Rocca alle critiche ministeriali sull’organizzazione della produzione allo Stabilimento artiglieria e da un confronto con le costruzioni della prima guerra mondiale si voleva arrivare alla duplice conclusione di non sminuire l’opera della nuova dirigenza rispetto a quella perroniana mostrando potenzialità produttive troppo diverse e nel contempo, presentando alcune difficoltà, cercare di ottenere nuovi finanziamenti e commesse.
Accennavamo prima alla difficoltà di concepire armamenti riusciti. Nel caso Ansaldo, si può decisamente escludere che l’in- gegner Spiller abbia avuto una particolare vena progettuale nel settore delle bocche da fuoco. I lanciabombe vennero tutti rottama- ti al pari dei modesti obici da 105 e lo stesso progettista doveva ammettere in merito al 149/12 Krupp che nel 1916 venne dotato di un nuovo affusto da lui progettato:
Per poterne costruire un grande numero, dato che tutto il macchinario speciale per eseguire le slitte con ricuperatori a aria compressa era impegnato per i cannoni da 105, abbiamo dovuto applicare all’affusto dell’obice da 149 un ricuperatore a molla e quindi un freno a corto rinculo; conseguentemente ne risultò un’arma con rilevante momento di ribaltamento, inconveniente
piuttosto serio. [..] Quasi tutti i guasti che si ebbero in questo materiale, furono causati dallo aver fatto fuoco senza prima verificare se nei freni fosse liquido sufficiente. L’affusto, è vero, presentò al principio alcuni lievi difetti, che poi furono eliminati, ma i ripieghi cui siamo ricorsi per produrlo in base alla legge di adattamento ai mezzi, hanno permesso all’Esercito di ricevere grande numero di queste bocche da fuoco, cosa che sarebbe stata impossibile se ci fossimo ostinati a voler fare gli affusti con le slitte a aria compressa, che avrebbero certamente corrisposto assai meglio. In molti casi, e specialmente in guerra, il meglio è nemico del bene20.
Non a caso, alla fine della guerra l’esercito preferì ai 149 costruiti dall’Ansaldo e dalla Vickers-Terni, quelli analoghi prodotti dalla Skoda e da essa notevolmente perfezionati. Non ci dilungheremo sugli innumerevoli guai dei 102/35 e dei 105/2821, a causa di una produzione improvvisata, modifiche poco felici al progetto originario e scarso controllo della qualità nelle lavorazioni meccaniche.
Ma a incrinare ulteriormente l’immagine di un’Ansaldo patriota, contribuiscono le truffe perpetrate ai danni delPamministra- zione militare. Alludiamo alla doppia vendita di “cannoni da 381/40 alla Regia Marina e al Regio Esercito22”, al tentativo di farsi pagare dalla marina una partita di semilavorati per i cannoni da 102/35, già liquidata dal Regio Esercito, e al disinvolto uso fatto delle navi della “Società nazionale di navigazione” , che pur formalmente requisite continuarono a essere gestite dai Perrone praticando i noli liberi.
Rimanendo ai rapporti con la marina militare, l’ammiraglio Ettore Bravetta in un suo agiografico opuscolo, ricorda illustrando la produzione di navi:
20 T. Spiller, L ’Ansaldo e l ’artiglieria, cit., p. 20.21 Cfr. Lucio Ceva-Andrea Curami, La meccanizzazione dell’Esercito italiano dalle origini al 1943, 2 voli., Roma, Ussme, 1989, vol. I, pp. 68-80.22 Riprendiamo parte del titolo di un capitolo della Relazione della Commissione d ’inchiesta per le spese di guerra (Camera dei deputati, Atti parlamentari, legislatura XXVI, sessione 1921-23, d’ora in poi Relazione spese).
L’Ansaldo e l’industria bellica 281
Per la R. Marina:Allestimento della corazzata Duilio-,95 navi da guerra, cioè: 3 esploratori tipo Mi
rabello-, 3 cacciatorpediniere tipo Poerio; 2 cacciatorpediniere: Ascaro e Litz\ 40 sommergibili; 2 sommergibili posamine; 6 torpediniere costiere; la nave appoggio Cearà di 4.080 tonnellate; 38 motoscafi armati antisommergibili e lanciasiluri;
1 torre corazzata binata per cannoni da 381, con relativa artiglieria, montata a bordo del monitore Faà di Bruno di cui sono noti i grandissimi servizi resi in guerra;
Tutte le macchine motrici, armamenti e gli altri meccanismi di bordo per dette navi da guerra;
600 boe da ormeggio23.
Il brano, poi ripreso acriticamente da Gaz- zo, può essere facilmente confutato, esaminando la tabella 2, ove sono riportate tutte le costruzioni navali del cantiere Ansaldo assieme a quelle della Fiat-San Giorgio, acquisita nel 1917 e diventata per breve tempo Ansaldo-San Giorgio. Già Marco Doria aveva drasticamente limitato la produzione an- saldina a tre esploratori, sei torpediniere, sei sommergibili e 33 Mas24, noi aggiungiamo qualche esploratore, togliendo alcuni motoscafi, ai quali venne assegnato un numero di costruzione, ma mai impostati sugli scali (e su questo fatto ritorneremo). Anche la produzione dell’Ansaldo-San Giorgio risultò trascurabile e quella del cantiere quasi totalmente antecedente all’avvento dei Perrone. Si può solo attribuire ai loro intrighi politici il tardivo completamento di tre piccoli sommergibili costieri della classe F, impostati nel 1915 e poi rimasti sugli scali, dopo che la produzione era stata dirottata verso l’estero per lo scarso interesse della marina verso quel tipo di battelli. L’acquisto della Fiat-
San Giorgio procurò tuttavia all’Ansaldo l’opera dell’ingegner Cesare Laurenti, maggiore del Genio navale e ideatore fra gli altri dei sommergibili tipo F, nominato direttore di quei cantieri fin dalla loro nascita. Non è certo un caso che a quell’epoca PAnsaldo si fosse avventurata nella costruzione di quattro sommergibili della classe N e nell’ambiziosa realizzazione dei primi due battelli posamine italiani, tutti su progetto del poi generale del Genio navale Curio Bernardis.
Abbiamo già ricordato la scarsa fortuna della produzione artiglieresca dell’Ansaldo, in parte dovuta all’insufficiente controllo di qualità nelle lavorazioni meccaniche eseguite da addetti frettolosamente addestrati25, in parte attribuibile a non appropriati interventi ai progetti originali. Potremmo tuttavia allargare il discorso anche alla produzione marittima, citando i non certo brillanti risultati ottenuti con i 30 Mas costruiti. I motoscafi avrebbero dovuto essere del tutto identici agli Svan, e l’Ansaldo fu autorizzata a prelevare presso la ditta veneziana “tutti i disegni di progetto affinché le costruzioni risultassero le più possibili uguali”26. Tuttavia, a causa dell’indisponibilità dei motori Isotta Fraschini, l’Ansaldo scelse di utilizzare i motori americani Sterling di potenza leggermente inferiore. Tuttavia il sistema scelto per comandare le eliche, senza un riduttore, mise in luce notevoli deficienze nell’inversione di marcia e la non appropriata scelta di timoni e eliche, unitamente a non ben valutati centraggi, portò a scarsa manovrabilità (raggio di volta di circa 200 metri) e a prestazioni velocistiche del tutto insufficienti rispetto al modello originale. Difetti ancor più
'3 Ettore Bravetta, I “fabbri di guerra". Pio e Mario Perrone e il loro storico contributo alla vittoria d ’Italia, Genova, S.E.P., 1930 (I ed. 1929), p. 18. In realtà la torre del Faà di Bruno venne subappaltata dai “Cantieri officine Savoia” al “Cantiere del Muggiano”.
M. Doria, Ansaldo, cit., pp. 117-118.11 fatto è confermato anche da M. Doria, L ’Ansaldo, cit., p. 114 sgg.Ufficio storico della Marina italiana (compilatore Erminio Bagnasco), I Mas e le motosiluranti italiane 1906-
1968, Roma, 1969 (I ed. 1967), p. 139.
282 Andrea Curami
acuiti nel prototipo sviluppato dall’Ansaldo con lanciasiluri interni a prora, caratterizzato da un peggiore comportamento in mare e da prestazioni ancor più deludenti.
È molto probabile che questi insuccessi evidenziassero anche ai Perrone stessi l’intrinseca fragilità dell’Ansaldo, dovuta al disarmonico e affrettato sviluppo delle attività. Il crescente gettito di armamenti, costruiti in un numero sempre maggiore di unità produttive, non era sicuramente accompagnato da un pari sviluppo dei quadri tecnici e della manodopera. Altri risponderanno che tale fenomeno non colpiva solamente l’Ansaldo, ma sicuramente caratterizzava tutta l’industria nazionale chiamata per la prima volta a una simile prova. Tuttavia la concorrenza italiana, anch’essa incorsa in un numero non certo diverso di insuccessi, aveva quantomeno cercato di procurarsi i servigi dei pochi tecnici disponibili sul mercato nazionale, fossero essi civili o militari.
Si è spesso parlato del ruolo svolto dai militari negli arsenali civili, sottolineandone il possibile ruolo di strumenti di pressione presso la committenza.
Rimane tuttavia acciarato il fatto che a quell’epoca solo gli ufficiali del Genio, sia per il corso di studi compiuto, sia per l’attività svolta dagli arsenali militari e dal Genio stesso, potevano garantire una qualche esperienza tanto nella progettazione, quanto nella gestione di una unità produttiva. Non a caso si è ricordato poc’anzi il fatto che alla guida del nascente stabilimento Fiat-San Giorgio venisse chiamato il maggiore Laurenti27.
La nascita dell’Aeronautica Ansaldo
L’acquisto della Fiat-San Giorgio e l’ingresso dell’Ansaldo nel mercato aviatorio segnò l’inizio di una diversa strategia dei Perrone nella produzione di armamenti. I primi contatti con l’ambiente aeronautico, a dir il vero piuttosto brutali ed espliciti, furono con i fratelli Caproni nel luglio 1916:Desidero che Ella [il dottor Federico Caproni] e suo fratello [il più noto ingegner Gianni Caproni] mi usino la cortesia di venire a passare un’intera giornata nei nostri stabilimenti, ove potrò far loro vedere l’opera nostra, opera di patriottismo puro, precisamente come è la loro, opera di fede e di speranza.
Io ignoro quali siano i legami che li unisce al senatore Esterle, ma mi terrei onoratissimo se una qualsiasi combinazione potesse unirmi a lor Signori nel campo degli affari, e, fra le altre, mi viene in mente l’idea di disinteressare [c.vo nell’originale] il senatore in parola mediante il pagamento di una somma in contanti.
Si potrebbe così riprendere rapidamente il cammino perduto mediante la costruzione di numerosi tipi sperimentali, la formazione di piloti, la creazione di hangars, anche in prossimità del fronte stesso per supplire coll’iniziativa propria alla mancanza di previdenze altrui, così come facciamo noi in altro campo. Noi ieri acquistammo trecento automobili per la creazione di nuove batterie di nuovi sistemi non ancora noti, come prima ne avevamo acquistati più [s/c, ma per] la formazione di quelle le quali fecero poi cose meravigliose nel Trentino. Una volta pronte le acquisteranno.
E così si dovrebbe fare per la Marina, mentre noi daremmo grande sviluppo alla costruzione di motori presso i nostri stabilimenti.
La guerra io la vedo come la vedono loro, precorrere, precorrere, precorrere, ed in ogni cosa
All’Ansaldo erano giunti Nabor Soliani e Baldovino Bigliati, già sottodirettori nell’arsenale di Castellamare di Stabia, e promossi alla direzione del cantiere di Sestri. Non abbiamo tuttavia trovato notizie di una loro significativa attività progettuale. Analogamente il contrammiraglio Augusto Albini, chiamato alla Armstrong, e poi presidente dell’Ansaldo-Armstrong fino alla sua morte, si era occupato sempre dell’attività commerciale. Sul ruolo dei militari nelle imprese private come strumenti di pressione presso la committenza, cfr. Paolo Ferrari, Ammiri istruzioni statali e industrie nell’età giolittiana. Le commesse pubbliche tra riarmo e crisi economica, “Italia contemporanea”, 1990, pp. 453-463.
L’Ansaldo e l’industria bellica 283
superare sempre tutti gli altri concorrenti, e soprattutto i nemici28.
La marina aveva infatti visto troncati i piani di sviluppo basati su grossi velivoli da bombardamento di propria progettazione dalla morte dell’ingegner Bresciani in un incidente di volo avvenuto durante il collaudo dell’originale idrovolante e l’interesse per i bombardieri terrestri era ostacolato dal fatto che “per i Caproni, l’Esercito aveva le priorità sulle costruzioni29” e solo aumentando il numero di ditte produttrici si sarebbe potuto soddisfare le richieste dell’altra forza armata. Inoltre la complicata situazione all’interno della Società per lo sviluppo dell’Aviazione in Italia, di cui il senatore trentino dirigente della Edison Carlo Esterle era il presidente30, illudeva i fratelli Perrone di poter acquisire facilmente non solo i diritti di ri- produzione, ma anche parte della società stessa.
Sembra che i contatti con i fratelli Caproni non proseguissero oltre la risposta del dottor Federico Caproni in cui quest’ultimo auspicava che l’Italia venisse liberata “dalle esotiche camarille che, ancor oggi, inquina
no ed avvelenano la sua vita industriale” e quanto alle proposte dei Perrone si affermava genericamente che non si sarebbe lasciato “nulla d’intentato per raggiungere questo scopo31”.
Ben più concreti risultati si ebbero dai colloqui con il sottotenente Giuseppe Brezzi della Direzione tecnica dell’aviazione militare (Dtam). Leggiamo dalla corrispondenza fra costui e i fratelli Perrone:
Facendo seguito al colloquio avuto con la SV [Pio Perrone] mercoledì u.s. a Genova, ho presentato ieri al sig. colonnello Ricaldoni un promemoria dettagliato, esponendo tutto il programma di lavoro già concordato in via di massima con la SV e con i sigg. capp. Savoia e Verdu- zio di questa direzione, per la fabbricazione di un tipo di apparecchio, interessante la nostra aviazione.
10 La società Ansaldo chiede consiglio alla Direzione tecnica dell’aviazione militare per la scelta di un tipo di apparecchio da costruire, che possa interessare la direzione stessa nell’attuazione del programma avvenire ed ove possibile, chiede di ottenere i disegni di costruzione dell’apparecchio eventualmente proposto, allo scopo precipuo di evitare perdite di tempo dannose.
28 Pio Perrone a Federico Caproni, Roma, 6 luglio 1916 [copia], in Asa, Ap, Ssnb, 1111/22.29 Ufficio di Stato maggiore della Regia Marina (Ufficio storico), Cronistoria documentata della guerra marittima italo-austriaca 1915-1918, fascicolo VII, L ’aviazione marittima durante la guerra, s.l., s.d., p. 14.30 “Nel giugno 1913 il maggiore Giulio Douhet, comandante del Battaglione Aviatori, era intervenuto presso il Ministero della guerra in favore della ditta degli ingegneri Caproni e Faccanoni che si trovava in gravi difficoltà finanziarie. Nonostante le vivacissime critiche, il Ministero acquistò lo stabilimento assumendo l’ing. Caproni fra il personale civile. Nel 1914 Caproni ideava il suo bombardiere e Douhet inoltrava la richiesta di L. 15.000 per la costruzione del velivolo. Il progetto originale venne modificato dall’ufficio tecnico del Ministero (cap. Ricaldoni) e ne venne autorizzata la costruzione. Il 9 dicembre 1914, quando si procedeva alla messa a punto del velivolo, apparve sul ‘Corriere della Sera’ un comunicato del comm. Arturo Mercanti che “dava notizia che il collaudo era avvenuto già di fronte ad una commissione industriale [altri non erano che il Mercanti stesso, i senatori Esterle e Colombo e il commendator Federico Johnson], inavvertito il Ministero. Da ciò, provvedimento che allontanò dal comando Battaglione Aviatori il maggiore Douhet, rinuncia ai servizi dell’ing. Caproni come impiegato dell’Amministrazione; ma dati i risultati ‘veramente notevoli’ dell’apparecchio e l’impossibilità di poterlo costruire in serie negli stabilimenti ‘militari’ il ricorso al gruppo industriale di cui il Mercanti appariva il capo. E con lettera 29 dicembre 1914, n. 6715, l’Amministrazione Militare commetteva alla società milanese formatasi la costruzione di 12 apparecchi al prezzo di L. 135.000 ciascuno, dando ad essa in affitto lo stesso stabilimento di Vizzola Ticino”, (v. Relazione spese, vol. I, pp. 257-258). La non meglio precisata società senza stabilimento e senza nome all’atto della commessa, si evolveva nella “Società per lo Sviluppo dell’Aviazione in Italia” il cui presidente era il senatore Carlo Esterle, ma vi partecipavano anche il senatore Giuseppe Colombo e un Visconti di Modrone oltre al commendator Arturo Mercanti ed ai fratelli Caproni.31 Federico Caproni a Pio Perrone, Milano, 11 luglio 1916, in Asa, Ap, Ssnb 1111/22.
284 Andrea Curami
2° La società Ansaldo si impegna a procedere alla immediata costruzione di un numero sufficiente di apparecchi esemplari, occorrenti a tutte le operazioni della messa a punto, da farsi nel modo più sollecito, il tutto a spese e rischio della società stessa.
3° La società, nel caso, richiederà alla Direzione tecnica un personale tecnico, necessario alla organizzazione della fabbricazione ed alla sua direzione.
4° A prove eseguite la società Ansaldo presenterà l’apparecchio alla Direzione tecnica, la quale deciderà in merito all’opportunità di adottare o meno il tipo. Nel primo caso la società si impegnerà di procedere nel modo più sollecito possibile alla costruzione del quantitativo di apparecchi, eventualmente commessa dalla Direzione tecnica. [...]
In seguito alla presentazione di detto promemoria il colonnello Ricaldoni mi chiamò a colloquio e mi fece prendere visione (in forma riservatissima) di una sua lettera inviata alla Direzione generale di aeronautica a Roma (generale Marie- ni) il giorno 12 corr. nella quale comunicava che SE il generale Dallolio in una sua visita a Torino nel mattino di giovedì u.s. gli aveva di presenza mosso grave appunto per il modo in cui la Direzione tecnica di aviazione va impegnando con contratti regolari di lavoro, le Ditte, già precedentemente in parte impegnate con il Governo per la fabbricazione di armi e munizioni, facendo particolare riferimento alle società Ansaldo e Breda. [...]
Il colonnello Ricaldoni perciò mi incarica di comunicare alla SV che è ben lieto poter favorire questa nuova iniziativa, fonte di nuova produzione per la nostra aviazione, tanto più presentata nella forma indicata dal precedente promemoria; ma che trovandosi almeno per ora, legato all’ordine di SE Dallolio non ritiene opportuno richiedere autorizzazioni a trattare con nuova società di sua iniziativa.
D’altra parte però, poiché è suo intendimento di non cedere in questa questione di capitale importanza, e desidera che detta iniziativa non abbia a cadere, La prega, per mezzo mio, di indiriz
zargli, nella sua qualità di Direttore tecnico dell’aviazione militare (Via Maria Vittoria - Torino) una lettera, nella quale la società Ansaldo esporrà il programma, che risulta sintetizzato nei quattro articoli sopra enunciati.
In questa lettera la società Ansaldo dovrebbe insistere sulla necessità di utilizzare una parte importante dei propri cantieri navali di Sestri e di Costaguta di Voltri, cantieri che al presente scarseggiano di lavoro, nonché di meglio sfruttare il personale, specializzato nella lavorazione del legno, impiegato presso detti cantieri. [...]
Il colonnello Ricaldoni prega VS di inviargli detta lettera nel termine più breve di tempo, desiderando avere occasione per dimostrare alla Direzione generale di aeronautica che gli impegni che va assumendo con le diverse ditte la Direzione tecnica non intralciano per nulla la fabbricazione delle armi e munizioni, mettendo ancora una volta in rilievo la necessità di dare il maggiore sviluppo alle iniziative che sorgono, indispensabili all’attuazione dei programmi avvenire.
Appoggerà perciò incondizionatamente la proposta, proposta che egli ritiene conveniente sotto ogni rapporto.
Intanto io posso assicurare la SV che lo studio dei particolari costruttivi dell’apparecchio è quasi ultimato, e che i sigg. cap. Savoia e Verduzio sono entusiasti dell’occasione, che loro si presenta, per tradurre in atto un apparecchio di riuscita certa, ed avente caratteristiche nuove fra le attuali costruzioni.
Per parte mia poi approfitto di questo periodo di trattative per preparare tutti i particolari di studio di organizzazione, onde poter senz’altro entrare in attività, appena la Direzione tecnica avrà concluso in merito a detta costruzione.
Terrò la SV sollecitamente informata di ogni novità in merito a quanto sopra32.
Dalle indagini condotte da Pio Perrone risultava che tanto la concittadina Piaggio quanto la Fiat avevano fatto pressione presso il ministero della Guerra per ostacolare i piani dell’Ansaldo33, arrivando a far pervenire ai Perrone “minacce, dicendo che cree
32 Sottotenente Giuseppe Brezzi a Pio Perrone, 13 agosto 1916, in Asa, Ap, Ssnb 1107/10 F.33 Pio Perrone a Mario Perrone, Roma, 16 agosto 1916, in Asa, Ap, Ssnb 1107/10 F.
L’Ansaldo e l’industria bellica 285
ranno dei grandi impianti per farci concorrenza34” . A “provocare le ire” delle altre società era anche la commessa data all’industria genovese di 500 motori d’aviazione. L’Ansaldo si era infatti accordata con la Spa per la costruzione di motori aeronautici presso il nuovo stabilimento di San Martino, specializzato nella produzione di motori a combustione interna di qualsiasi tipo (Diesel e a ciclo Otto) e per ogni impiego (navale, terrestre ed aeronautico). Le minacciate ritorsioni non spaventavano tuttavia i fratelli Perrone che il 19 agosto 1916 inviavano al tenente colonnello Ricaldoni la richiesta ufficiale per ottenere commesse di velivoli35 con una lettera che seguiva esattamente la falsariga proposta dal Ricaldoni stesso. Dopo dieci giorni giungeva la risposta ufficiale:
Abbiamo dato visione al signor Direttore generale di aeronautica della vs. lettera a cui si risponde ed il signor Direttore generale ha espressa l’intenzione che la ditta Ansaldo si dedichi alla costruzione di idrovolanti iniziando la lavorazione col riprodurre il tipo Fba salvo a dedicarsi in seguito alla costruzione di idrovolanti di grande potenza.
Abbiamo incaricato il sottotenente Brezzi, quale nostro delegato, per raccogliere tutti i disegni ed i modelli necessari e per porsi a vostra disposizione per iniziare la organizzazione del reparto aviazione e la lavorazione presso la vostra ditta.
Abbiamo comunicato in data odierna il colloquio avuto con il vs. comm. Pio Perrone al signor Direttore generale ed abbiamo appoggiata con parere favorevole la domanda che il sottotenente Brezzi possa essere lasciato in seguito a disposizione di codesta ditta.
Ci riserviamo di essere più precisi, circa il primo ordinativo di idrovolanti che faremo alla vostra ditta.
Comunicheremo alla vostra ditta i disegni di un aeroplano studiato dai capitani Savoia e Ver- duzio perché, conformemente alle intese verbali col vs. comm. Pio Perrone, venga proceduto nelle vostre officine alla costruzione di uno o più esemplari di tale apparecchio a titolo di studio e per definirne tutti i particolari e provarne le qualità aerodinamiche.
Questo ben inteso senza alcun impegno da parte dell’Amministrazione militare di riproduzione di questo tipo, qualunque sia l’esito della prova36.
Il sottotenente Giuseppe Brezzi veniva distaccato rapidamente a Genova e già dai primi giorni di settembre 1916 era presso la Fabbrica di motori a combustione interna di Sampierdarena come dipendente civile. Nel giro di pochi mesi (gennaio 1917) nasceva a Borzoli (mare), su di un terreno di 50.000 metri quadrati situato in località “La Fossa”, il cantiere aeronautico e l’ingegner Brezzi ne era nominato direttore. Quanto agli idrovolanti Fba, alla costruzione dei quali si stava accingendo anche la concittadina Piaggio, essa non venne intrapresa dal- l’Ansaldo che preferì aggiudicarsi la commessa per 100 idrovolanti Sopwith (marzo 1917)37. I lavori di costruzione dello stabilimento di Borzoli vennero ostacolati dal maltempo per cui i primi tre prototipi dello Sv (Savoia Verduzio, dai nomi dei principali progettisti) vennero approntati in un reparto del cantiere navale Ansaldo38. Nel frattempo era giunto presso la casa genovese anche il sergente Mario Stoppani, pilota da caccia
34 Pio Perrone a sottotenente Giuseppe Brezzi, Roma, 16 agosto 1916, in Asa, Ap, Ssnb 1107/10 F.35 Pio Perrone a tenente colonnello Ottavio Ricaldoni, Roma, 19 agosto 1916, in Asa, Ap, Ssnb 1107/10 F.36 Direzione tecnica dell’aviazione militare a società Gio. Ansaldo & C., Torino, 29 agosto 1916, in Asa, Ap, Ssnb 1107/10F.37 Gli schemi di contratto originali per la fornitura degli idro Sopwith Baby sono datati 8 marzo 1917, cfr. Asa, Ap, Ssnb 1107/10 F. Secondo una relazione a stampa della Dtam (Luigi Moda-Amedeo Fiore, Sviluppo della produzione aviatoria militare nel quadriennio 1915-1918, Roma, Uff. prod. Dtam, 1919) 4 Sopwith vennero prodotti nel 1917 e i rimanenti 96 nel 1918. Una minima parte di questi entrò in servizio con la Regia Marina: tre esemplari nel 1917 e sedici velivoli nel 1918.38 Ingegner Giuseppe Brezzi a commendator ingegner Nabor Soliani, direttore generale del cantiere navale Ansaldo di Sestri Ponente, Borzoli, 16 aprile 1917 (in Asa, Ap, Ssnb 1107/10 F). L’agiografico volume I cantieri aeronautici
286 Andrea Curami
presso la 76a squadriglia39 ed alla fine di febbraio pilota collaudatore e velivolo prototipo si trasferirono sul campo di Grosseto per le prime prove di volo.
L’adozione del velivolo non dipendeva tuttavia dalle brillanti prestazioni che poteva vantare, ma da altri fattori. Nella primavera del 1917, il generale De Siebert aveva sostituito il generale Maggiorotti al comando aviatori di Torino e severe critiche iniziarono ad essere sollevate a carico del personale della Dtam, cui venivano fatti espliciti addebiti di “affarismo”. L’operato dei maggiori Savoia e Verduzio e gli stretti legami con l’ingegner Pomilio, già dipendente della Direzione tecnica e poi divenuto costruttore, erano aspramente criticati e nell’ottobre 1917 i due ufficiali vennero allontanati dalla Dtam. La commissione d’inchiesta sulle spese di guerra non ha tuttavia affatto escluso che all’origine delle inchieste che coinvolsero la Dtam, vi fossero “gelosie anche regionali [di alcune ditte aeronautiche] ed il tradursi di esse in insinuazioni ed accuse”40. La situazione che si andava creando in seno alla Dtam, portò il colonnello Ricaldoni a un minore interessamento verso le sorti del velivolo, mentre altri personaggi, non sempre formalmente appartenenti all’industria aeronautica, provocavano in seno alla Direzione generale di aeronautica un interessato ostruzionismo nei confronti delle realizzazioni della società genovese.
L’Ansaldo tentò di parare le mosse avversarie ed agli inizi di giugno del 1917 scrisse alla Direzione generale di aeronautica, chiedendo lumi sul modo di risolvere il problema delle redevances dei maggiori Savoia e Verduzio:
Durante la costruzione [dello Sv] ci siamo permessi di portare all’apparecchio numerose varianti d’indole costruttiva, avendo cura di consultare, caso per caso, i sigg. ufficiali progettisti, i quali ci favorirono, nei limiti del possibile, con slancio, la loro preziosa assistenza.
Siamo giunti così successivamente al finimento della costruzione, all’inizio ed ormai al completamento delle prove di collaudo, ottenendo i risultati che codesta on. Direzione generale ben conosce.
L’apparecchio costruito risponde, per tutto ciò che è studio originale e forma, alle comunicazioni avute dalla Direzione tecnica dell’aviazione militare; per quanto riguarda i dettagli costruttivi, corrisponde al progetto completo da noi eseguito.
In conseguenza di ciò, codesta on. Direzione troverà certamente equo il nostro desiderio di stabilire con esattezza quali siano i diritti di proprietà sull’apparecchio nei riguardi dei sigg. maggiori Savoia e Verduzio e della nostra società.
In questo stato di cose, e prima di addivenire alla discussione di eventuali prossime trattative per la costruzione di tale apparecchio, o di cessione in uso dei disegni costruttivi con il nostro Governo o con Governi esteri, [...] abbiamo interpellato i detti signori per un eventuale accordo circa la cessione dei loro diritti.
Essi ci comunicano di non poter entrare in tale discussione se prima la superiore autorità non ha loro impartito istruzioni in merito.
Compresi delle ragioni che inducono i signori maggiori Savoia e Verduzio a darci tale risposta, abbiamo l’onore di chiedere a cotesta on. Direzione generale di voler concedere l’autorizzazione ai detti signori ufficiali di trattare con noi allo scopo di ben definire i reciproci rapporti negli impegni contrattuali che saremo prossimamente per assumere con i diversi Governi41.
È forse importante notare che il problema venne affrontato nell’adunanza del 9 no-
Ansaldo (Torino, ed. f.c ., s.d. ma 1921) scriveva invece che “prima ancora che le officine fossero ultimate, sotto pochi metri di tettoia, pochi uomini, poche forze materiali e pochi mezzi, ma una volontà accesa, avevano completato due o tre campioni di Sva” (p. 3).39 Sull’inizio dei rapporti tra Stoppani e l’Ansaldo, cfr. Giorgio Evangelisti (Cento aeroplani e un grande cuore, Milano-Modena, Artidi, 1969) che riporta il testo di due lettere dell’ingegner Brezzi (p. 39 e 42).40 Relazione spese, vol. I, p. 304.41 Società Gio. Ansaldo & C. a Direzione Generale di Aeronautica, Roma, 1° giugno 1917, in Asa, Ap, Ssnb 1107.
L’Ansaldo e l’industria bellica 287
vembre 1917 della Commissione centrale tecnico-amministrativa e nonostante il colonnello Ricaldoni propendesse “a sostenere doversi agli ufficiali un compenso” e l’onorevole Chiesa, commissario generale, si dichiarasse contrario alle rivendicazioni del- l’Ansaldo, i maggiori Savoia e Verduzio non ebbero inizialmente riconosciuto alcun compenso42. Tuttavia a partire dal giugno 1917 il velivolo venne denominato “Sva” nella corrispondenza, nuovo acronimo in cui alle iniziali dei cognomi dei due principali progettisti era stato aggiunto anche il nome della società produttrice.
La lettera permette inoltre di affermare che dopo tre mesi di prove, sicuramente più soddisfacenti di quelle di altri velivoli contemporanei ordinati oltretutto in gran numero a progetto appena abbozzato (ad esempio i Caproni 600Hp e i Sia 7B), nessuna commessa era stata ancora data all’An- saldo. Tuttavia, i fratelli Perrone, con una tattica ormai sperimentata, iniziarono la costruzione di un nuovo cantiere aeronautico in Valle Polcevera nel territorio del comune di Bolzaneto. Il nuovo stabilimento, denominato “Cantiere aeronautico n. 2”, era dotato di un campo di volo e permetteva ai fratelli Perrone di promettere 500 Sva entro la fine del 1917 e 1.200 apparecchi nel primo semestre del 1918 qualora essi si fossero sentiti “validamente sorretti” oltre che dal “valido appoggio morale e materiale” della Dtam anche da “una sanzione contrattuale del nostro lavoro”43.
Per ovviare alle difficoltà contingenti di approvvigionamento del motore Spa 6A, l’Ansaldo stava studiando l’adozione di altri motori “di produzione numerosa e costan
te” con risultati “che promettono di essere paragonabili, se non maggiori a quelli già ottenuti”44, e, probabilmente giunta a conoscenza delle prime difficoltà frapposte dai piloti da caccia al velivolo, iniziava ad approntarne una versione da bombardamento diurno. L’ingegner Brezzi abilmente dimostrava infatti come i bombardieri “tri-motore [...] in uso” (i Caproni), dovendo viaggiare ad una quota di 4.000 metri per evitare la reazione contraerea, non potessero trasportare più di 200 chilogrammi di bombe e richiedessero un velivolo da caccia di scorta ogni due bombardieri per contrastare gli apparecchi nemici. Uno Sva poteva portare 150 chilogrammi di bombe e, dopo averle sganciate, era in grado di disimpegnarsi facilmente con la caccia avversaria. Inoltre una ipotetica azione su Pola partendo da Grado avrebbe richiesto solo un’ora e mezza contro le due ore e cinquanta dei trimotori: era quindi possibile utilizzare i velivoli in più azioni nella stessa giornata con evidente risparmio di mezzi45.
Il 19 luglio 1917 l’ingegner Brezzi poteva finalmente comunicare ai fratelli Perrone che era giunto il primo ordine di 500 Sva con consegna entro il 31 dicembre 191746. La reazione dei proprietari alla notizia è documentata in una lettera del 24 luglio 1917:Mi congratulo per l’ordinazione dei 500 apparecchi ottenuta dalla Direzione di aviazione di Torino, però, a dirle francamente, non ne sono troppo soddisfatto.
Io mi attendevo assai di più: speravo che avrebbero ordinato almeno 2000 apparecchi.
Pazienza! Ottenga almeno che il pagamento sia fatto per il 50 per cento all’ordine, come usa il Ministero della guerra e, come già scrittole
4" Relazione spese, cit., vol. I, p. 276.43 Società Gio. Ansaldo & C. a Direzione Tecnica Aviazione Militare, Genova 30 giugno 1917, in Asa, Ap, Ssnb 1107.44 Si veda la lettera citata nella nota precedente.45 Ingegner Giuseppe Brezzi a commendator Pio Perrone, Borzoli, 20 giugno 1917, in Asa, Ap, Ssnb 1107.4f> Ingegner Giuseppe Brezzi a commendator Mario Perrone, Borzoli, 19 luglio 1917, in Asa, Ap, Ssnb 1107.
288 Andrea Curami
con la mia precedente dell’l l marzo n. 70-1/269, eviti possibilmente le multe.
È necessario premunirsi dalle infinite e gravi difficoltà del momento, anche con la migliore buona volontà ed attività non si può raggiungere molte volte lo scopo prefissoci.
Sarebbe bene poi ottenere anche la garanzia di nuove ordinazioni per tutto il 1918, poiché se abbiamo incontrato tante spese per avere una sola ordinazione non era proprio il caso di sottostare a così ingenti sacrifici47.
La Dtam voleva infatti ordinare gli Sva alla condizione che venissero forniti completi di motore, accumulando così le multe per la ritardata consegna sia del motore sia dell’apparecchio su di un unico fornitore. L’Ansal- do si oppose ad una simile proposta e le trattative non si erano ancora risolte nell’ottobre 1917.
Nonostante la firma dell’atto di sottomissione fosse ancora lontana, già nell’agosto 1917 gli Sva iniziarono ad essere consegnati alle squadriglie, venendo dotati di una versione di motore meno potente nel tentativo di ovviare alla discutibile affidabilità del propulsore.
Sembra che i piloti non apprezzarono il nuovo velivolo: “il loro giudizio variava dalla riserva di Baracca all’aperta ostilità di Ba- cula, che fotografò il suo fox terrier mentre alzava la gamba sulla ruota dello Sva48” e a poco servirono i raid compiuti da Stoppani (Torino-Udine e ritorno alla media di 220 km/h) e da Lombard (Malpensa-Foggia-Bo- logna alla media di 250 km/h) con gli Sva dotati del motore originale più potente.
Nella relazione stilata dalla commissione composta dal maggiore Piccio, dai capitani Baracca, Bolognesi, Buzzi, dai tenenti Ran-
za, Costantini, Sabelli, Di Rudinì e dal sotto tenente Olivari, si legge:
Ciascun pilota ha eseguito voli cogli apparecchi Sva testé giunti e sui quali è stato qui completato l’armamento e la messa a punto dei motori.
Tali apparecchi hanno velocità e potere ascensionale sensibilmente inferiore al tipo presentato per la prima volta a Torino, e ciò probabilmente per il minor rendimento dei motori di serie, rispetto a quello montato su primo apparecchio. Tale velocità è stata giudicata 200-205 km/h al massimo.
Per quanto ha tratto all’armamento occorrerebbe, per avere un reale vantaggio sugli apparecchi ad una sola mitragliatrice, che nella stessa unità di tempo, a qualsiasi regime di motore, il numero dei colpi fosse sugli apparecchi a due mitragliatrici doppio di quello che può essere scaricato sugli apparecchi ad una sola arma. Ma poiché sullo Sva, le cammes di comando sono disposte in maniera da permettere lo scatto soltanto ad ogni giro di elica [...] ne viene di conseguenza che [...] il numero di colpi che si possono far partire sullo Sva due mitragliatrici, è presso a poco eguale a quello che si può far partire sullo Spad (una mitragliatrice). [...]
Resta l’inconveniente delle armi lontane dal pilota, inconveniente ridotto solo in parte, dalla leva di disinceppamento.
Altro inconveniente è il serbatoio grande a pressione, e collocato nella fusoliera senza dispositivo contro l’incendio. [...]
Il difetto più grave dello Sva e sul quale tutti i piloti sono d’accordo nelle loro relazioni, è quello della limitata maneggevolezza, maneggevolezza indiscutibilmente inferiore a quella degli apparecchi da caccia attualmente in servizio49.
La condanna in appello del velivolo nella sua configurazione da caccia giunse il 9 dicembre 1917, quando una commissione for-
47 Commendatore Mario Perrone a ingegner Giuseppe Brezzi, Genova, 24 luglio 1917, in Asa, Ap, Ssnb 1107.48 Riprendiamo la testimonianza dell’ingegner Guido Guidi da Aa.Vv., Ali italiane, 4 voli., Milano, Rizzoli, 1978, vol. I, pp. 188-190. Cfr. anche Aa.Vv., Profili di aerei militari della I guerra mondiale, Milano, Fabbri, 1973, p. 185.49 Relazione apparecchio S. V.A. del 18 settembre 1917, in Archivio ufficio storico Stato maggiore Aeronautica, b. 132/12.
L’Ansaldo e l’industria bellica 289
mata da piloti quali Piccio e da tecnici come Rosatelli riesaminò lo Sva ed il nuovo Ansaldo A .l. Le conclusioni non furono difformi dalle precedenti:
Visti i rapporti dei piloti da caccia del 14 settembre ed il rapporto del Comando supremo in data 20 novembre, pur riconoscendo all’apparecchio Sva caratteristiche ottime di velocità di salita e di carico, non si ritiene che il detto apparecchio possa essere impiegato per i servizi di caccia in quanto che le sue qualità di maneggevolezza sono inferiori a quelle degli altri apparecchi da caccia già in servizio, poiché questa dote è essenziale per l’utile impiego dell’apparecchio e tale da far considerare, entro certi limiti, come secondarie le altre qualità.
L’apparecchio Sva ha però una autonomia rilevante, autonomia che, date le sue qualità di capacità, può essere portata a valori maggiori dell’ordinario, fatto del quale non si può non tener conto nello studio dell’impiego dell’apparecchio50.
Nel tentativo di far accettare il velivolo all’amministrazione militare, PAnsaldo poneva allo studio nuove versioni. La prima di cui si ha notizia è il cosiddetto “idrovolante Ansaldo”, poi denominato “Am” (Ansaldo marino) dalla ditta e Isva dalle autorità militari, che era ottenuto dalla trasformazione di velivoli terrestri con la semplice sostituzione del carrello di atterraggio con due galleggianti che potevano essere di forma cilindrica con alette tipo “Guidoni” o con fondo piatto a redan prelevati dai Sopwith in costruzione. Il prototipo, dotato di uno dei motori originali sur compressi, mostrava alle prove prestazioni velocistiche nettamente migliori del concorrente Nieuport- Macchi M.5 e Pio Perrone si affrettava a scrivere all’ammiraglio Thaon di Revel, capo di Stato Maggiore della marina,
magnificando le doti del velivolo con i chiari intenti di ottenere una commessa:La maneggiabilità, la docilità di manovra, sono ottime e le prove di acrobatismo dimostrano che l’idrovolante possiede quasi intieramente le caratteristiche dell’aeroplano. Esso fece virages, viti, ecc., nonché tre loopings centrali perfetti. Pure ottimi riuscirono il decollaggio e l’ammaraggio.
Mi permetto di far presente a Y.E. che mentre l’Aviazione è in crisi, sarebbe forse conveniente che la R. Marina ci ordinasse gli idrovolanti dei quali ha bisogno; essendo noi pronti o disposti ad assumere senz’altro l’ordinazione stessa. I risultati del nostro idrovolante sono tali da dare alla R. Marina il sicuro affidamento di acquistare degli apparecchi ottimi sotto ogni riguardo51.
Col passare del tempo, tuttavia, anche le prestazioni dell’idrovolante iniziarono a peggiorare a causa dell’adozione del motore normale, e, pur avendo ottenuto alle prove di omologazione prestazioni migliori di quelle richieste dalla marina, preoccupava la scarsa affidabilità del propulsore ed inoltre il tenente di vascello Luigi Bologna ed il sottotenente di vascello Martinengo, contraddicendo le affermazioni dei Perrone, dichiaravano che:
L’idrovolante ha dimostrato ottime qualità di volo; però si è avuta l’impressione che le qualità evolutive, specialmente sotto l’aspetto “rapidità di evoluzione” siano notevolmente inferiori a quelle di un vero apparecchio da caccia terrestre. [...]
Viceversa [rispetto all’ammaraggio dichiarato facile e sicuro], operazione più delicata è la partenza, che richiede sempre un percorso in acqua considerevole, di gran lunga superiore a quello necessario per gli apparecchi a battello centrale, non solo, ma il pilotaggio di questo idrovolante, quando esso cammina sulle alette, è assai delicato.
50 Verbale provvisorio sull’esame dell’apparecchio S. V.A., Torino, 9 dicembre 1917, in Asa, Ap, Ssnb 1107.51 Commendator Pio Perrone al viceammiraglio Paolo Thaon di Revel, Roma, 25 ottobre 1917, in Asa, Ap, Ssnb 1107.
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L’idrovolante obbedisce bene ai timoni acquei a piccola velocità, però ha un diametro di evoluzione con calma di vento molto grande (certo superiore ai 60 m).
Questo inconveniente, insieme con l’altro della non lieve difficoltà di messa in acqua e ricupero dell’idrovolante con le sistemazioni precedente- mente usate, particolarmente per i carrelli attualmente in uso, costituisce il maggior difetto dell’apparecchio. Si fa presente che attualmente occorre maneggiare sugli scivoli un apparecchio che pesa circa kg 1.000 su di un carrello che ne pesa circa 700. L’immersione dei galleggianti, causa le alette, è di circa 60 cm, e questo rende impossibile l’eventuale discesa su di un basso fondo, e difficile sempre l’attraccaggio ed il recupero.
Non si sono potute eseguire esaurienti prove di discesa e partenza in mare mosso, però l’impressione riportata è quella che, grazie alla solidità dell’apparecchio, e dei galleggianti, all’altezza delle ali sull’acqua ed alla limitata apertura delle ali, quest’idrovolante possiede buone qualità marine, che permetterebbero l’impiego sul mare a distanze considerevoli dalla base.
Quando poi, con opportune modifiche, si riuscisse ad ottenere un alleggerimento sensibile dell’apparecchio, ed un miglior concentramento delle masse, e quindi una miglior inerzia di evoluzione, l’apparecchio potrebbe rispondere alle esigenze di un apparecchio da caccia.
Dalle considerazioni suesposte, la Commissione ritiene che questo idrovolante risponda meglio degli apparecchi attualmente in uso per i servizi di caccia al largo e per rapide ricognizioni lontane. Data però la relativa lentezza delle operazioni di messa in mare e partenza con le attuali sistemazioni di squadriglia, difficilmente potrà essere impiegato per difesa delle basi navali52.
Sebbene la Relazione sulle spese di guerra sostenga che a fine ottobre 1917 erano in
corso trattative per commesse ammontanti a 2.840 Sva nelle varie versioni, tale cifra si ridusse col tempo a soli 2.400 velivoli53 che si sarebbero dovuti consegnare nel 1919 e la quota spettante ai Cantieri aeronautici Ansaldo non superava complessivamente i 1.600 apparecchi.
Nel frattempo i fratelli Perrone avevano acquisito la Sit di Torino, che diveniva il cantiere aeronautico n. 3, la San Giorgio, che progettava i motori 4E-14 (sei cilindri come lo SPA 6A) da 280hp e 4E-28 (dodici cilindri a V) da 520hp previsti entrambi per l’impiego sullo Sva e costruiva su licenza lo SPA 6A, e si apprestavano ad incorporare la Spa stessa.
Anche se risulta che nel 1917 siano stati prodotti solo 62 Sva, a fine dello stesso anno “uscivano dallo stabilimento di Borzoli 10 apparecchi Sva al giorno con motori Ansaldo”54. Ed una produzione ancora maggiore si sarebbe raggiunta quando si fosse attrezzato il Cantiere aeronautico n. 3, costruito su un’area fabbricabile di 1.600.000 metri quadrati prospiciente il corso Peschiera e con una superficie coperta di 61.100 metri quadrati. Le commesse in atto non sfruttavano quindi che in minima parte la potenzialità degli stabilimenti e l’Ansaldo pensò di rivolgersi al mercato estero.
Una missione guidata dall’ingegner Alberto Triaca, già direttore tecnico della Sit, giunse a Parigi il 16 settembre 1917 per presentare ufficialmente il velivolo alla Commissione militare del governo francese. Della missione faceva parte anche il capitano Croce in qualità di pilota. Le prove di volo furo-
52 Asa, Ap, Ssnb 644/16. La relazione della Commissione riguarda le prove condotte dal 25 gennaio al 24 febbraio 1918 sui tre esemplari di “Idrovolantc Ansaldo” (I.A. nel testo del documento) provati. Secondo la citata relazione ufficiale della Regia Marina (Cronistoria guerra marittima, p. 57) il velivolo, denominato per l’occasione S.V.A.I., ebbe “scarso impiego perché poco maneggevole e soggetto ad avarie nel servizio in mare”. Nella tabella di p. 64 si ricorda come Io “I.S.W .A .” entrasse in servizio in 39 esemplari nel 1918, diciassette dei quali radiati prima della fine della guerra.53 Relazione spese, vol. I, p. 303.54 Relazione senza titolo e senza data, ma presumibilmente del 1922, sullo stato dei Cantieri aeronautici, in Asa, Ap (carte non ancora inventariate).
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no effettuate a Villecoublay dal primo giorno di ottobre fino al 16 dello stesso mese, alla presenza anche delle missioni militari americana guidata dal colonnello Bolling, di quella inglese e belga.
La missione italiana si trasferiva il 19 ottobre a Londra per una nuova presentazione del velivolo contemporanea a quella dello Sia 7B, che giungeva in volo in Gran Bretagna direttamente da Torino il 24 settembre con ai comandi il capitano Giulio Laureati ed il motorista Tosa (o Tonso).
L’ingegner Triaca così concludeva il suo resoconto sull’esito della missione:
La possibilità della vendita dello Sva all’estero dipende da tre circostanze:
1° Possibilità di costruire in Italia dalla ditta Ansaldo l’apparecchio Sva con motore Spa del tipo Balilla [cioè il surcompresso] in numero sufficiente da poter anche fornirlo per l’estero ed in tale caso, appena stabilita la produzione dei cantieri aeronautici ed il fabbisogno del governo italiano, sarà possibile fare concrete proposte a mezzo del governo o direttamente dalla casa Ansaldo ai governi americano, francese, inglese e forse anche russo;
2° Costruzione in Italia dell’apparecchio Sva con adattamento dei motori Hispano Suiza o Lorraine Dietrich per la Francia, che sono i motori di cui vi è forse maggiore disponibilità al presente; per l’Inghilterra si potrebbe studiare un adattamento con motore B.H.P. 220hp il quale è verticale a sei cilindri. Circa gli Stati Uniti il motore di fabbrica nazionale Liberty non potrà essere adattato; per la Russia non può considerarsi per ora nessuna costruzione nazionale russa;
3° Costruzione in Francia ed in Inghilterra di apparecchi Sva per essere adattati ai motori esistenti, a mezzo di concessionari o direttamente, fondando dei cantieri aeronautici Ansaldo sia in Francia che in Inghilterra55.
Le prospettate vendite in Francia e Gran Bretagna non si realizzarono e neppure l’attività della Gio. Ansaldo & Co. American
Branch di New York portò a risultati concreti. Venne progettato un raid New York- Chicago, ma questo non venne realizzato anche per le difficoltà, spesso speciose secondo gli uomini Ansaldo, frapposte dal generale Tozzi, capo della missione militare italiana negli Usa. A sentire l’opinione della ditta genovese, l’alto ufficiale sembrava nutrire maggior sollecitudine nei confronti di altre ditte aeronautiche italiane concorrenti ed ostacolava i rapporti della consociata americana con gli enti militari ed industriali di quel paese.Allorquando arrivarono in America gli aeroplani, il Riparto aviazione era sotto il maggiore Perfetti, il quale era molto apprezzato in America, specialmente dal governo americano; e con Perfetti, noi crediamo si sarebbe potuto fare qualche cosa di concreto.
A questo riguardo, io ebbi subito con lui diverse conferenze; ma il Perfetti ebbe la malaugurata idea di venire in Italia, ed il generale Tozzi, col suo spirito autocrate e distruttore, distrusse l’ufficio di Perfetti, e avocò a sé anche la parte aviatoria.
Fra le altre cose il generale Tozzi non sa una parola di inglese, e quindi le cose son rimaste in mano a ufficiali subalterni, i quali ben poca autorità possono avere con quelle americane; e questa è una prima ragione dell’insuccesso, diremo commerciale, dell’impresa.
Si immagini la S.V. illma che l’aviatore Ada- moli, che monta un idroplano Macchi, chiese di poter prendere parte al concorso per la coppa che è stata messa in disputa dal governo americano, ed il generale Tozzi rifiutò di lasciarlo prendere parte a questa gara perché, egli disse, non è bello portar via una coppa agli americani, tanto più, egli soggiunse, che insieme alla coppa vi è un premio in denaro. Gli americani diverrebbero gelosi degli italiani, così concluse. [...]
Per parlare dello Sva, cominceremo col dire che, non appena arrivato l’aviatore Gino [Gian- felice], noi credevamo si potessero fare tutte le prove in pochi giorni; invece durarono circa tre mesi.
55 Ingegner Alberto Triaca al commendator Mario Perrone, Torino, 1° novembre 1917, in Asa, Ap, Ssnb 1107.
292 Andrea Curami
Durante tutto questo tempo, ci recammo tre volte a Langley Field, e constatammo che le cose procedevano assai lentamente.
Chiedemmo spiegazioni al sig. Gino per telegramma, per telefono, per lettera, ma non abbiamo avuto il piacere di avere un rapporto dettagliato di quello che si stava facendo.
Finalmente finite le prove, avemmo il piacere di vedere il sig. Gino, al quale chiedemmo un rapporto scritto, che qui alleghiamo in copia.
Anche da questo rapporto, si capisce ben poco di quello che sia stato fatto a Langley Field. Il rapporto è fatto a base di “inaspettati incidenti e contrarietà” che, però, non sono spiegate.
La nostra opinione è che se la son presa comoda tutti. Capirà bene: ogni giorno che passa, son 32 dollari (270 lire) che entrano!
Non siamo maligni; siamo franchi56.
Le opinioni ansaldine di un boicottaggio nei loro confronti trovano una certa attendibilità anche in altri fatti. A nulla approdarono i tentativi privati di Sebastiano Raimondi con la “Liberty” per ottenere un nuovo motore a 8 cilindri, che venne nel frattempo abbandonato, o quello a 6 cilindri in linea per il mancato appoggio della missione militare italiana, che inoltre sbadatamente fornì alla rivista “Aerial Age” informazioni sul velivolo indicandolo solamente con la sigla “Sv” e mai citando l’Ansaldo. Il pilota collaudatore dell’Ansaldo, infine, probabilmente non potendo volare sul velivolo della ditta che lo aveva a stipendio per i continui contrattempi, si manteneva in esercizio presentando i concorrenti bombardieri Caproni.
Sfumate le possibilità in Italia e presso gli Alleati di ottenere importanti commesse per lo Sva da caccia, l’Ansaldo si affrettò a presentarne nuove versioni per il bombarda
mento e la ricognizione, in quanto il 26 gennaio 1918 la Dtam comunicava ufficialmente all’Ansaldo che lo Sva era “definitivamente scartato come apparecchio da caccia”57 e molti degli apparecchi costruiti, privi di ogni armamento, vennero inviati direttamente alla scuola della Malpensa.
Il velivolo, al pari di altre notevoli costruzioni italiane di quel periodo, sarebbe rimasto nel ricordo di pochi appassionati se, grazie alle carenze produttive dell’industria nazionale, non fosse stato introdotto nei reparti in alcuni esemplari. L’azione dimostrativa su Innsbruck del 20 febbraio 1918 e la celebrata finta caccia tra Gino Allegri e lo Spad di Ferruccio Ranza illustrarono la bontà del velivolo che, seppure di meno facile pilotaggio, non era inferiore ai celebrati apparecchi francesi, se condotti da piloti preparati58. Non ci soffermiamo sulle altre notissime imprese a cui lo Sva partecipò preferendo ricordare che alla fine della guerra l’Ansaldo arrivò a possedere 5 cantieri aeronautici con l’acquisizione nel 1918 della Pomilio.
Rimanendo alla produzione bellica e volendo individuare le commesse passate al- l’Ansaldo e non ancora espletate a fine dicembre 1918, potremmo elencare: una commessa per 135 apparecchi Am (o Isva) al prezzo unitario di lire 28.000, 48 dei quali collaudati entro fine dicembre 1918 e 9 da collaudarsi (unità produttiva: cantiere n. 1, Borzoli mare); una commessa per 900 Sva monoposto a lire 23.750 cadauno (collaudati 286 velivoli approntati a Borzoli e 261 della Sit, con rispettivamente 10 e 62 apparecchi in attesa di collaudo); una commessa per 100 Sva 9 a lire 29.900 cadauno (collaudati
56 Ragionier Sebastiano Raimondo a commendator Mario Perrone, New York, 29 dicembre 1917, in Asa, Ap, Ssnb 664. Sull’attività dell’Ansaldo negli U .S.A. si veda Ferdinando Fasce, L ’Ansaldo in America (1915-1921), “Studi &Notizie”, n. 11, aprile 1983.57 Direzione tecnica dell’aviazione militare a Società Ansaldo, Torino, 26 gennaio 1918, in Asa, Ap, Ssnb 644/8.58 II noto “Fra’ Ginepro” riuscì a mettersi in coda per ben due volte a Ranza, che non fu in grado, nonostante le numerose manovre acrobatiche tentate, di scrollarselo di dosso. Gino Allegri descrive il finto combattimento in una lettera alla madre del 20 febbraio 1918, riportata in “Nel Cielo”, 1919, n. 1, p. 1.
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81 velivoli approntati a Borzoli e 5 della Po- milio, con rispettivamente 5 apparecchi di Borzoli e l i della Sit e 29 della Pomilio in attesa di collaudo); una commessa per 1.600 Al (Balilla) a lire 22.500 cadauno (collaudati 145 velivoli approntati a Borzoli e 14 dalla Sit, con 62 apparecchi di Borzoli in attesa di collaudo); una commessa per 600 Sva 10 a lire 31.400 cadauno (collaudati 123 velivoli approntati a Borzoli e 5 dalla Sit, con 51 apparecchi di Borzoli e 9 della Sit in attesa di collaudo); una commessa per 500 P.E (progetto Pomilio antecedente all’acquisizione dello stabilimento) a lire 32.500 cadauno (collaudati 411 velivoli approntati alla Pomilio e fornitura sospesa in favore dell’Ansaldo A.3); una commessa per 500 A.3 (elaborazione del Pomilio) a lire 35.000 cadauno (collaudati 48 velivoli approntati alla Pomilio, con 95 apparecchi in attesa di collaudo59).
A questi velivoli prodotti devono essere aggiunti i 100 Sopwith Baby costruiti a Borzoli, ottenendo così 1.770 apparecchi fabbricati nel biennio 1917-1918 dai cantieri aeronautici della Gio. Ansaldo. Una cifra ben inferiore ai 3.800 aeroplani vantati dai Perrone attribuendo all’Ansaldo le costruzioni della Sit e della Pomilio precedenti al loro incorporamento, ma comunque di tutto rispetto se paragonata ad esempio a quella della Sia del gruppo Fiat (cfr. tabella 3).
Tuttavia, utilizzando come indicatore la permanenza di questi tipi di velivoli nelle nostre forze armate, si nota che tanto i Pomilio P.E, quanto gli Isva, gli A.l e A.3
vennero tutti radiati o durante il conflitto o immediatamente dopo, segno evidente di una loro minor validità rispetto ad altri modelli. Solo gli Sva monoposto e biposto rimasero ancora a lungo negli inventari della nostra aeronautica e in tal caso solo il 50 per cento della produzione aviatoria Ansaldo può essere considerata rispondente alle esigenze di una forza armata.
L’abbandono dell’attività aeronautica
Tentando un primo bilancio sull’attività dell’Ansaldo durante la grande guerra, si nota un’evoluzione nei prodotti degli stabilimenti. Con l’acquisizione di Fiat-San Giorgio, Sit e Pomilio e i sempre più stretti legami con la Spa60, i Perrone ottennero il duplice risultato di garantirsi le prestazioni di validi progettisti e di poter fornire armamenti completi, con possibilità di maggiori utili.
Rovinatisi i rapporti con Umberto Savoia61 e Rodolfo Verduzio62 a causa dei diritti sullo Sva, i Perrone non riuscirono, nel loro tentativo di potenziare lo staff tecnico, a ottenere nel 1919 la collaborazione dell’in- gegner Celestino Rosatelli63, che nel 1918 era stato assunto dalla Fiat. Tuttavia l’attività degli ingegneri Brezzi, Soria, Spiller, Triaca e Turrinelli portò un notevole contributo alla qualità dei prodotti Ansaldo.
All’ingegner Tulio Spiller, ad esempio, si devono il fortunato progetto dell’autoblinda su telaio Lancia 1Z, prodotta in 138 esem-
59 Ingegner Giuseppe Brezzi a commendator Mario Perrone, Borzoli, 7 febbraio 1919, in Asa, Ap, Ssnb 796.60 La maggioranza del pacchetto azionario della società passò all’Ansaldo nel 1919. La ditta si avvaleva dell’opera dell’ingegner Aristide Faccioli, pioniere dell’aviazione, e ideatore del motore aeronautico Spa 6A, il più diffuso tra i propulsori aeronautici italiani di quegli anni. La società passò sotto il controllo della Fiat nel 1926.61 Lasciato nel 1929 il servizio attivo, il generale Umberto Savoia diresse le varie attività della Fiat e aziende consociate nel campo dell’aviazione, quale capo della Direzione tecnica commerciale d’aviazione.62 Al generale Rodolfo Verduzio sono da attribuire molti progetti della Caproni Taliedo del periodo 1920-1924 e dopo il 1934.63 L’ingegner Rosatelli, progettista di tutti i velivoli della Fiat e poi dell’ “Aeronautica d’Italia” fino al ben noto CR42 del 1938, aveva già accettato di passare all’Ansaldo, dimettendosi dalla Fiat e dichiarando ufficialmente di dedicarsi all’insegnamento, incassando per di più le prime rate del premio promessogli dai Perrone.
294 Andrea Curami
plari durante la guerra e per lungo tempo in servizio, i vari tipi di autocannoni e il progetto della blindatura del carro armato Fiat 2000. Giuseppe Brezzi fu, invece, tra gli artefici del successo dei cantieri aeronautici64, successo che venne confermato nel dopoguerra con la costruzione dell’Ansaldo A.300, velivolo da ricognizione la cui licenza venne ceduta nel 1920 assieme a quella del- l’A.l alla polacca “Zaklady Mechaniczne E. Plage & T. Laskiewicz”65. Purtroppo non siamo in grado di documentare in modo esaustivo l’attività di quella che con l’assemblea del 24 aprile 1920 divenne 1’ “Aeronautica Ansaldo”, nuova ragione sociale della controllata “Società Anonima per Costruzioni Aeronautiche ingegner O. Pomilio & C.”. Da un punto di vista societario la nuova ditta era autonoma e la presenza della Fiat divenne sempre più marcata culminando nel 192466 con la nomina a presidente del- l’ingegner Guido Fornaca, già amministratore delegato della Sia67, e a consigliere dell’avvocato Edoardo Agnelli. Da un punto di vista industriale è poi difficile valutare l’effettiva produzione nel triennio 1920-1922. Due Isva e 18 Sva 10 vennero ad esempio venduti al Brasile68 e due Sva 9 e un Balilla alla Spagna, ma è dubbio che si trattasse di
nuove costruzioni. Da frammentari rendiconti mensili della produzione69, apprendiamo che nel dicembre 1919 erano in costruzione 15 Sva 10 per la Polonia, un altro per il “Governo Ucraino” e 5 Ansaldo A.5 per il raid Roma-Tokio70, mentre nel gennaio 1920 vengono elencati 8 Sva 10 in costruzione assieme ad altri 15 in “finitura e costruzione parziale” sempre per la Polonia e a un A.5 per il Messico. Il rendiconto del mese di febbraio 1920 riporta, infine, 7 Sva 10 in costruzione con altri 19 in “finitura e costruzione parziale” sempre per la Polonia, mentre un A.5 era sugli scali per la ditta Chiono & Ghella assieme a uno Sva 5 per la Dtam.
Come abbiamo accennato, difficile è capire quanti velivoli furono forniti alla Polonia, prima dell’avvio della costruzione su licenza, così come aver notizie sicure sulle commesse lituane e lettoni. Certa è tuttavia una fornitura di 18 A.300/3 alla Spagna71, così come quella all’aviazione belga per equipaggiare alcune squadriglie da ricognizione. Per quanto riguarda l’Italia, le nostre scarne informazioni di forniture riguardano il periodo 1923-1924, quando 1’ “Aeronautica Ansaldo”, oltre ad alcuni prototipi, costruì 612 A.300/472 e 60 Sva IO73 da ricognizione per la nostra aviazione militare.
64 Fra i progetti in elaborazione alla fine della guerra vi era quello della cosiddetta silurante aerea, costituita da un idrovolante di grandi dimensioni (si stava trattando con l’ingegner Ricci per l’acquisizione del progetto e del prototipo del velivolo R .l) in grado di lanciare telebombe derivate da quella progettata dai generali Crocco e Ricaldoni.65 La produzione su licenza in Polonia non fu particolarmente fortunata a causa della cattiva qualità del compensato, molto più pesante di quello utilizzato in Italia, che rese i velivoli molto meno manovrieri e dal difficile decollo e atterraggio.66 Con l’assemblea del 30 marzo 1926 la società assunse la nuova ragione sociale di “Aeronautica d’Italia”, inglobando tutte le attività aeronautiche della Fiat.67 La Società italiana aviazione (Sia) era la branca aviatoria del gruppo Fiat.68 Francisco C. Pereira Netto, Aviaçâo militar brasileira 1916-1984, Rio de Janeiro, Revista de Aeronautica, 1984, ad vocem.69 Asa, Ap, Ssnb, b. 701 f. 1.70 I velivoli vennero poi rifiutati dai piloti e sostituiti con degli Sva 9.71 Aviones militares espafioles, Madrid, Ihca, 1986, pp. 81-82.72 Direzione superiore del Genio e costruzioni aeronautiche, Relazioni mensili, in Archivio Ufficio storico Aeronautica militare. Ne vennero consegnati 93 nel 1923, 459 nel 1924 e 60 nel 1925.73 Cfr. le Relazioni mensili citate nella precedente nota. La produzione del 1923 fu di 40 velivoli, mentre altri 20 furono prodotti l ’anno successivo.
L’Ansaldo e l’industria bellica 295
Destino diverso ebbe invece la Sit. Alla fine della guerra europea, l’ingegner Guido Soria, direttore delle officine di San Martino, propose ai Perrone di utilizzare uno degli stabilimenti aeronautici per la produzione di autovetture.
La scelta cadde sul cantiere aeronautico n. 374 e, con un’operazione analoga a quella delle officine ex Pomilio, all’inizio del 1920 venne creata la “Società Ansaldo Automobili” con alla guida l’ingegner Soria e l’avvocato Domenico Jappelli come direttore commerciale.
La vita dell’Ansaldo Automobili fu di breve durata. Nell’agosto del 1919 usciva la prima vettura prodotta in grande serie denominata 4A, che incontrò subito il favore del pubblico sia per le raffinate scelte tecniche del motore con albero a cammes in testa, sia per il modesto prezzo d’acquisto (lire 28.000 nella versione torpedo) e la capillare organizzazione commerciale in Italia e all’estero75. Al successo contribuirono anche le brillanti prestazioni delle vetture: con la versione sportiva denominata 4CS Tazio Nuvolari partecipò al circuito del Garda del1922, mentre il modello a 6 cilindri derivato dal precedente conquistò il record mondiale sui 10.000 chilometri all’autodromo di Miramas in Francia.
Il crack della Banca italiana di sconto, così come coinvolse l’Aeronautica Ansaldo, portò alla liquidazione della società nel1923, quando nel portafoglio ordini vi erano ben 188 autotelai, 77 vetture torpedo, 5 berline, 4 coupé e 2 vetture sport. L’attività venne rilevata da un gruppo finanziario va
resino con a capo il commendator Prestini e il 7 marzo 1923 nacque la “Società Anonima Automobili Ansaldo”, che mutava lo scudetto sul radiatore, eliminando i due cannoni e ponendo un meno bellicoso arciere sul tappo dello stesso.
Malgrado una produzione di elevatissima qualità76 e l’ingresso nel settore degli autoveicoli commerciali con alcuni modelli molto riusciti, divergenze tra l’azionariato portarono ad una nuova crisi e il pacchetto di maggioranza passò nel 1927 alla Macchi77, sempre di Varese. Escludendo le origini, la storia dell’Automobili Ansaldo non avrebbe riguardato queste pagine se nel 1927 il neocostituito Ispettorato tecnico automobilistico del Regio Esercito non avesse emanato un bando di concorso per la fornitura di un piccolo autocarro da montagna in grado di marciare sulle mulattiere.
Secondo le procedure allora vigenti, furono invitate a presentare i loro progetti quattro industrie automobilistiche nazionali: la Lancia, la Ceirano, l’Ansaldo e la Fiat78. La scelta della Ceirano può essere compresa ricordando la favorevole impressione destata dall’autocarro Ceirano 50, che nel concorso del 1926 aveva battuto lo Spa 30, diventando l’autocarro “pesante” regolamentare dell’esercito.
L’esperienza di Fiat e Lancia, fornitori del nostro esercito fin dalla prima guerra mondiale, non poteva essere discussa, ma potrebbe lasciare perplessi l’invito rivolto all’Ansaldo, che, oltre all’omonimia, nessun legame aveva più con la ditta genovese
74 Sull’area di corso Peschiera si insediò poi la Viberti, che ancor oggi produce autoveicoli industriali.75 A questo proposito, merita di essere segnalato il fatto che su un diffuso periodico come “Auto italiana” comparisse a pagamento una rubrica dal titolo Gazzetta Ansaldo che diffondeva notizie sulla produzione e sui risultati sportivi conseguiti dalle vetture della marca.76 Si pensi, ad esempio, alla Tipo 18 con il motore a 6 cilindri monoblocco, albero a cammes in tesa e alla Tipo 22 con motore a 8 cilindri.17 Antico ruotificio e carrozzeria che aveva dato origine nel 1913 all’omonima ditta aeronautica.
Cfr. Angelo Pugnani, Storia della motorizzazione militare italiana, Torino, Roggero & Tortia, 1951, pp. 286-288.
296 Andrea Curami
e, come ricordato, navigava in difficili situazioni finanziarie79.
Non è chiaro se la “S.A. Automobili Ansaldo” di Torino abbia incaricato dello studio il noto ingegner Giulio Cesare Cappa, che allora possedeva un ufficio di consulenza, o se viceversa abbia sfruttato un progetto sviluppato autonomamente dal tecnico. Malgrado quanto pubblicato fino ad oggi80, la relazione originale di presentazione dell’autocarro alle autorità militari esordisce con la seguente frase:In seguito a lunghi studi condotti dall’Ufficio Tecnico dell’ing. Giulio Cesare Cappa di Torino, studi conseguenti ad una serie di prove pratiche eseguite sul terreno di alcuni eserciti europei, sono state determinate delle speciali caratteristiche tecniche le quali rappresentano al completo “i desiderata” degli Enti militari che volevano la creazione di una serie di autoveicoli leggeri adatti per il funzionamento in campagna, in montagna, sulla rete stradale normale, sulla rete stradale campestre, ed infine sulle difficili strade militari di montagna e mulattiere ad altitudine oltre i 2.000 metri sul mare, il complesso problema è stato felicemente risolto incominciando con la creazione già fatta presso la società anonima Automobili Ansaldo in Torino [,] la quale ha realizzato la costruzione ed ha sottoposto ad una lunga serie di prove i campioni del tipo più difficile e cioè del piccolo autocarro per servizio in montagna e terreni vari81.
Poiché il bando di concorso richiedeva anche un “autocarro per servizio in campagna
su terreni vari” ed anche una “autovettura campale da ricognizione”82, l’Ansaldo soddisfaceva le tre richieste ministeriali partendo dagli stessi elementi meccanici, ovvero da un motore a quattro cilindri separati, con valvole in testa e raffreddamento ad aria, e da una trasmissione a quattro ruote motrici sterzanti, con sala posteriore ed anteriore intercambiabile e bloccaggio manuale dei due differenziali. Il prototipo del mezzo venne provato nel dicembre 1929 nelle valli del pi- nerolese, raggiungendo, il 13 dicembre di quell’anno, Ruata di Pramollo attraverso la strettissima mulattiera che parte da San Germano.
Una nota curiosa è costituita dal fatto che il paese, come molti altri in quelle valli, era talmente isolato e dimenticato dallo Stato che non vi abitava nessuna autorità ufficiale che potesse certificare l’impresa. Si dovette ricorrere, quindi, al pastore valdese Enrico Genre, che, come molti altri suoi confratelli, suppliva praticamente alla latitanza governativa svolgendo in quelle zone tutte quelle mansioni che vanno dalla scolarizzazione all’assistenza sanitaria.
Le difficoltà finanziarie dell’Automobili Ansaldo causarono la cessione del progetto alla Om di Brescia83 che rimaneggiò la cilindrata del motore dagli originari 1.350 cm3 a 1.615 cm3 e il mezzo così modificato venne presentato in tre esemplari alle prove di omologazione nel secondo semestre del
79 Cfr. Augusto Costantino, Le piccole grandi marche automobilistiche italiane, Torino-Novara, Eco-De Agostini, 1983, p. 74.80 II generale Pugnani inizialmente parlò genericamente di “tipo fornito dall’ ‘Ansaldo Automobili’” (Ilproblema della motorizzazione nei suoi aspetti attuali e nel suo divenire, “Rivista Militare Italiana”, 1930, n. 7, p. 1056). La paternità Ansaldo venne confermata nel 1934 (Id., La motorizzazione degli eserciti, “Rivista di Fanteria”, 1934, n. 6-7, p. 15 dell’estratto, parzialmente ripubblicato come La motorizzazione italiana, “Trasporti e lavori pubblici”, numero speciale, maggio 1936, p. 141), ma in La motorizzazione dell’esercito e la conquista dell’Etiopia (Roma, Edizioni della rivista “Trasporti e lavori pubblici”, 1936, p. 73) la frase fu corretta in “ingegner Cappa e all’Ansal- do Automobili”. Gli esegeti di Pugnani, da Michele Amaturo (Scienze militari, s.l., Bompiani, 1939, p. 550) fino ad oggi, si rifaranno a questa interpretazione.81 Ansaldo Automobili S.A ., Piccolo autocarro per servizi in montagna e terreni vari, relazione dattiloscritta s.d. (ma 1930 con correzioni manoscritte del 1936), copia originale in Archivio privato Andrea Curami.82 Ansaldo Automobili S.A ., Piccolo autocarro, cit.83 La Om entrava a far parte del gruppo Fiat nel 1933.
L’Ansaldo e l’industria bellica 297
1931, mentre fin dal primo semestre era stata assegnata una commessa alla società bresciana.
I veicoli, denominati autocarrette modello 32 e poi modello 35, vennero impiegati inizialmente nel conflitto etiopico (1.366 mezzi in carico al 30 aprile 193684), ma dal primo impiego bellico apparvero chiari i limiti di un progetto di quasi due lustri prima:
L’autocarretta mod. 32-35 si dimostrò ancora genialissimo autoveicolo di ottimo rendimento, abbisognevole però di modificazioni atte a renderne più redditizio l’impiego, quali: aumento di cilindrata, diminuzione di giri del motore, applicazione di un depuratore d’aria, miglioramento degli organi di sospensione e trasmissione, possibilità di sostituzione delle ruote normali con ruote a pneumatici per lunghe percorrenze e per traffico su fondi ghiaiosi e sabbiosi85.
Anche le operazioni militari in Spagna videro all’opera le stesse autocarrette e già nel settembre 1937 si notava come di fronte ad un fabbisogno di 2.411 veicoli ne fossero in allestimento solo 70086 e che nell’ottobre 1939 esistessero 2.751 autocarrette87. Da un’indagine condotta dall’Ispettorato generale della Finanza presso il ministero della Guerra risultò, poi, che con “i fondi assegnati dal giugno 1935 al 15 ottobre 1939” il Servizio motorizzazione acquistò 2.000 autocarrette per un importo di lire
66.000.00088 (al rilevante prezzo medio di lire 33.000 ad autoveicolo).
Come nel caso dell’Aeronautica Ansaldo e della Spa, a godere ancora una volta di quanto creato dall’Ansaldo dei Perrone era la Fiat dell’acerrimo rivale senatore Giovanni Agnelli.
La nuova Ansaldo e la produzione bellica
Come giustamente ha osservato Marco Do- ria, la politica statale di sistemazione del gruppo genovese assegnò nuovamente al- l’Ansaldo un ruolo preminente nella produzione bellica nazionale89.
Non ci riteniamo in grado di esprimere giudizi sulla prevalente politica dello Stato nei confronti del complesso genovese. Sicuramente l’autorizzazione ad impostare gli esploratori Leone I, Tigre e Pantera, peraltro commessi l’8 marzo 1917 alla vecchia Gio. Ansaldo, rappresenta un tentativo di “assicurare all’impresa un continuo appoggio finanziario e garantirle un certo carico di lavoro”90, tuttavia ben maggiore importanza ha la commessa dei 4 cacciatorpediniere della classe Turbine, tutti ordinati il 17 gennaio 1924 e ben prima della privatizzazione dell’azienda avvenuta nel 1925. Da un lato si evidenzia il fatto che il cantiere navale, subito dopo il varo del Leone ma ben prima di quello degli altri due pari-clas-
84 Fidenzio Dall’Ora, Intendenza in A.O., Roma, Istituto nazionale fascista di cultura, 1937, p. 297. Nel maggio 1936 1.337 autocarrette risultavano inviate in Eritrea ed altre 78 in Somalia (cfr. Ministero della difesa, Stato maggiore esercito, Ufficio storico, L ’esercito italiano tra la prima e la seconda guerra mondiale, Roma, Stato maggiore esercito, 1982, pp. 228-229).8" Ministero della Difesa, Stato maggiore esercito, Ufficio storico, L ’esercito italiano tra la prima e la seconda guerra mondiale, cit., pp. 293-294.86 Mario Montanari, L ‘esercito alla vigilia della 2 “ guerra mondiale, Roma, Stato maggiore esercito, 1982, p. 366.
Ministero della difesa, Stato maggiore esercito, Ufficio storico, L ’esercito italiano tra la prima e la seconda guerra mondiale, cit., p. 271.88 Prima Relazione sugli accertamenti presso il ministero della Guerra, Roma, 5 novembre 1939, in Fe, archivio Thaon di Revel, 19.58.89 M. Doria, Ansaldo, cit., p. 150 sgg.
M. Doria, Ansaldo, cit. Le tre navi vennero impostate rispettivamente il 23 novembre 1921, 23 gennaio 1922 e 19 dicembre 1921.
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se91, avesse già ricevuto un nuovo importante ordine, che sicuramente avrebbe anche potuto facilitarne la collocazione presso i privati.
D’altronde quando si ordinarono il Trento e il Trieste, rispettivamente al Cantiere Orlando di Livorno e allo Stabilimento Tecnico Triestino92, allo stabilimento Artiglieria venne assegnata la costruzione delle 8 torri binate e di 20 cannoni da 203/50 An- saldo-Schneider che ne costituivano l’armamento principale e quest’ultima commessa portò alle casse genovesi la rispettabile somma di lire 30.360.00093.
Si possono quindi fare due osservazioni. La prima legata alla collaborazione tecnica con la Schneider, che dai più si vuole limitata a pochi anni prima della guerra europea94, quando invece la Schneider continuò a fornire all’Ansaldo il supporto per le nuove realizzazioni artiglieresche almeno fino al 1935. In secondo luogo, anche per i lunghi tempi connessi con le costruzioni navali maggiori e la caratteristica prototipica di ogni realizzazione95, la marina, comunque depositaria dei progetti di costruzione, ha sempre usato servirsi di più cantieri contemporaneamente al fine di accorciare i tempi necessari per avere in servizio le navi che le abbisognavano. Non a caso per la difesa
antiaerea e antisilurante del Trento e del Trieste e degli incrociatori da 10.000 tonnellate la marina si affidò alla concorrente Oto con una prima commessa per 140 100/ 47 Skoda modello 1910 dell’ammontare di lire 28.727.00096.
Nel giro di pochi anni l’Ansaldo, con la partecipazione nel Fossati e nei “Cantieri officine Savoia” (1926) e la concessione in uso dello stabilimento di artiglierie di Pozzuoli (1929), sembrò ritornare alla struttura perroniana, ridiventando la principale industria bellica nazionale.
La nuova organizzazione non evitò tuttavia una profonda crisi, che trova le sue origini tanto in cause esogene quali la recessione mondiale, quanto in un mercato interno pigro.
Si è sottolineata la crisi dei cantieri navali Ansaldo, notando il modesto tonnellaggio mercantile varato97. Tuttavia, analizzando l’occupazione degli scali (diagramma 1), si evidenzia come il vecchio cantiere navale di Sestri, con tutte le sue limitazioni logistiche, sia stato sfruttato al massimo nei suoi scali, dei quali solo quattro in muratura98.
La produzione di artiglierie terrestri dipendeva, invece, tanto dalla riduzione della forza bilanciata, quanto per l’Italia dall’ab-
91 II Tigre fu varato il 7 agosto 1924 ed entrò in servizio il 10 ottobre 1924, mentre il Pantera scese dagli scali il 18 ottobre 1924 entrando in servizio 10 giorni dopo.92 Le commesse risalgono rispettivamente al 18 e 11 aprile 1924.93 Produzione artiglierie degli stabilimenti Ansaldo, s.l., 31 ottobre 1939, all. n. 6, in Fa, Ar, 14.32.94 Tanto Marco Doria, quanto Claude Beaud insistono su di un accordo firmato nel febbraio 1910, posteriormente quindi alla presentazione da parte della Gio. Ansaldo dell’artiglieria sperimentale Schneider da 75 mm prima ricordata: M. Doria, Ansaldo, cit. e Claude Beaud, Les Schneider “marchands de canons", Firenze, European University Institute, 1991 (Colloqium paper n. 304/91, Col. 16).95 Ogni nave era in generale diversa dai pari-classe, adottando differenti soluzioni sperimentali, le migliori delle quali potevano poi essere applicate a tutte le appartenenti alla classe durante i grandi lavori di manutenzione.96 Produzione di artiglierie degli stabilimenti O.T.O. La Spezia, s.l., s.d. (ma 1939), all. n. 5( in Aussme, repertorio L10, b. 134).97 Oltre ai problemi sottolineati da Doria, legati ai crolli dei noli, è interessante ricordare la concorrenza costituita dalla disponibilità sul mercato mondiale della straordinaria produzione statunitense nel triennio 1917-1919 con ben 961 moderni cargo entrati in servizio con l’United States Shipping Board, dei quali solo 56 con una stazza netta inferiore alle 3.000 tonnellate. Cfr. Register o f Ships Owned by United States Shipping Board (Third Edition) July, 1919, Washington, Government Printing Office, 1919.98 Al cantiere di Sestri erano disponibili in totale dieci scali.
L’Ansaldo e l’industria bellica 299
bondanza di ottimi pezzi di produzione austroungarica. L’unico settore che poteva presentare una certa vivacità era quello dell’artiglieria navale, legato tuttavia al numero di nuove navi ordinate, ai loro tempi di costruzione e alla presenza di un altro concorrente quale Oto, che versava in non migliori situazioni economiche.
La nomina del generale Ugo Cavallero a presidente della società sembrò un valido tentativo per risollevare le sorti dell’Ansaldo". I rinnovati rapporti di collaborazione con la Krupp, al di là di sterili memorie postume che mirano a minimizzarne il contributo, portarono a un processo di rinnovamento delle tecniche di colata della acciaieria di Cornigliano, che permisero alla ditta genovese di rientrare nel campo della fabbricazione delle corazze e dei proietti, sollevando le ovvie lamentele della concorrente Terni99 100.
Sempre in quegli anni, attraverso la controllata Fossati, avveniva l’ingresso nel mercato dei veicoli da combattimento, settore in cui la vecchia Gio. Ansaldo aveva cercato di inserirsi in concorrenza con la Fiat101. Lo scontro avvenne prima con la Breda per la fornitura alla Polonia e alla Russia di autoblinde che sfruttavano i principi di funzionamento dei trattori d’artiglieria Pavesi, poi con la Oto che, grazie ai rapporti con la Vickers, potè utilizzare i brevetti Carden per una prima serie di carri armati leggeri.
I buoni uffici di Cavallero102, sottosegretario alla guerra dal 1925 al 1928, e una strategica alleanza con la Fiat, a scapito della Caproni con cui erano stati sviluppati i prototipi del carro veloce103, portarono all’Ansaldo il monopolio nella produzione di carri armati in Italia.
Il fenomeno involutivo: un caso o una fine preannunciata?
Non poche critiche sono state rivolte alla qualità della produzione bellica dell’Ansal- do durante la seconda guerra mondiale. Il fatto fu il risultato di molteplici cause concomitanti, alcune delle quali non sembrano essere degne di attenzione da parte degli storici. Vorremmo sottolineare qui la seconda diaspora dei tecnici del gruppo Ansaldo, ovvero quanto avvenne nel triennio 1933-1935 durante il quale il complesso industriale ritornò ad essere pubblico.
Gli avvenimenti possono essere interpretati secondo diverse chiavi di lettura. Limitandoci, tuttavia, al settore bellico, se era indifferente per la tentata razionalizzazione inglobare la Cogne nello stabilimento di Cornigliano o viceversa, l’economia di gestione non teneva conto dell’esperienza acquisita dagli uomini di Cornigliano, seppur dovuta alla collaborazione con la Krupp, rispetto all’inesperienza dei tecnici della Cogne nella produzione di corazze.
99 Di poco precedente alla sua nomina presidenziale, una insistente voce attribuisce a Cavallero il possesso del brevetto del lanciagranate modello 28 per fucile 91 costruito per breve tempo dall’Ansaldo, ma adottato e subito radiato dall’esercito. Immagini fotografiche confermano la costruzione in Ansaldo di un simile artifizio, ma l’attribuzione a Cavallero è confermata solamente dalle carte della polizia politica, della cui attendibilità altrove più volte si è messo in guardia il lettore.
L. Ceva-A. Curami, La meccanizzazione, cit., vol. II, doc. 23.L. Ceva-A. Curani, La meccanizzazione, cit., capp. 4 e 5.
2 Cavallero in una lettera del 21 giugno 1936 avanzò “una richiesta di compensi straordinari per l’opera prestata a favore dell’assegnazione di forniture di carri armati all’Ansaldo”. Il verbale della seduta del consiglio di amministrazione ove venne discussa la richiesta di Cavallero in L. Ceva-A. Curami, Industria bellica anni trenta. Commesse militari, VAnsaldo e altri, Milano, Angeli, 1992, doc. 37.
L. Ceva-A. Curami, La meccanizzazione, cit., vol. I, pp. 138-143.
300 Andrea Curami
Ovviamente venne scelta la soluzione peggiore allontanando tanto l’ingegner Bosio, direttore dello stabilimento Acciaierie e fonderie d’acciaio, quanto il vicedirettore Alma- già e così si lamentava l’onorevole Mario Ba- renghi, per breve tempo presidente dell’An- saldo:i nuovi dirigenti delle acciaierie [provenienti in massima parte dalla Cogne, ma anche dalla Falck e dalla Terni] senza alcuna esperienza in acciai di qualità, senza esperienza in corazze, in cannoni, ecc., ogni giorno sono solleticati a nuove modifiche, la cui leggerezza impressiona e tiene i tecnici responsabili delle fabbricazioni in continuo allarme104.
Con il risultato che le corazze del Littorio furono colate quattro volte e per la scarsa sal- dabilità delle piastre si dovette passare alla costruzione imbullonata per gli scafi dei carri armati.
Il terremoto ai vertici dell’acciaieria era in parte dovuto al cosiddetto “scandalo delle corazze”105, che non solo aveva provocato le dimissioni di Cavallero, ma anche il licenziamento e l’invio al confino dell’ingegner Giuseppe Pozzo, direttore delle acciaierie, e l’allontanamento del comandante Roberto An- tona-Traversi, direttore dello stabilimento Artiglieria e valido progettista come dimostrerà successivamente alla Caproni. Nel giro di un biennio a partire dal 1933, gli staff tecnici dell’Ansaldo vennero quindi sostituiti due volte: la prima a causa delle frodi commesse, la seconda volta a causa dell’operazione Iri, violentemente contestata da tutti gli organi militari106 non certo a causa di soli interessi personali o di brama di potere.
Si risponderà che le operazioni del 1935 poi abortirono, ma ebbero sicuramente un
effetto per la produzione bellica pari se non peggiore della distruzione della vecchia Gio. Ansaldo.
È difficile trovare il vero motivo alla base della infelice creazione della Siacc: il tentativo dell’Iri di ricollocare presso privati le sole acciaierie, le contemporanee mire su di esse della Fiat smaniosa di ricreare la struttura verticale perroniana, le difficoltà della Terni o una semplice conseguenza seguita all’esigenza di allontanare i personaggi ansaldini coinvolti nello scandalo?
Non diversamente dovremmo ragionare per lo stabilimento Artiglieria decapitato al vertice. Le ipotesi di un’interessata delazione della Oto e della Terni appaiono in questo caso più che plausibili. Tenendo conto anche di questo trauma aziendale, possiamo cercare di rispondere alla dichiarazione di Agostino Rocca in una nota lettera al capo del governo:L’Ansaldo, coi suoi 35.000 lavoratori, ha la coscienza di aver fatto anche in questo campo tutto il suo dovere ed è in linea, ai vostri ordini, Duce, per raggiungere le mete che voi designerete107
poi da quest’ultimo omessa in un suo altrettanto noto articolo108.
Alla lettura di questa frase, anche il nostro pensiero corre ovviamente al confronto tra la vecchia Gio. Ansaldo dei Perrone e l’industria condotta da Agostino Rocca.
Il primo elemento di differenza che emerge riguarda il diverso atteggiamento del cosiddetto management nei confronti della committenza militare. Durante la prima guerra mondiale l’Ansaldo si trovò a prevenire le esigenze militari, ponendo allo studio o in costruzione artiglierie e aeroplani che in massima parte non le erano stati ancora commes
104 Fe, Atdr, f. 21.163, già pubblicato in L. Ceva-A. Curami, La meccanizzazione, cit., vol. I, p. 170.105 Dell’argomento si occupano L. Ceva-A. Curami, Industria bellica anni trenta, cit.106 L. Ceva-A. Curami, La meccanizzazione, cit., vol. I, pp. 166-173.107 Agostino Rocca a Benito Mussolini, 22 aprile 1943, in Fe, Ar 14.23.108 Benito Mussolini, Il tempo del bastone e della carota. Storia di un anno (ottobre 1942-settembre 1943), supplemento al “Corriere della sera”, 9 agosto 1944, p. 33.
L’Ansaldo e l’industria bellica 301
si, affidandoli poi all’abilità dei suoi “venditori” che sfruttavano ogni situazione contingente per piazzarli presso i compratori109. Durante il secondo conflitto mondiale, la gestione Rocca, non solo non iniziò mai la produzione senza la certezza di una commessa, ma neppure sembrò ordinare l’esecuzione di studi che poi non potessero essere fatti pagare alle forze armate. La rilettura di una lunga relazione dell’Ansaldo sulla produzione dello stabilimento Artiglieria e del Fossati è illuminante in questo senso110, in quanto si evince che nessun progetto fu avviato autonomamente a Genova, senza aver avuto il preventivo beneplacito militare e quindi la sicurezza di una copertura finanziaria, in stridente contrasto con quel:
La guerra io la vedo come la vedono loro, precorrere, precorrere, precorrere, ed in ogni cosa superare sempre tutti gli altri concorrenti, e soprattutto i nemici
con cui Pio Perrone terminava la citata lettera a Federico Caproni. Indubbiamente molte condizioni al contorno erano mutate. In primo luogo, la concorrenza era sparita e si era instaurato un illegale regime di cartello tra le industrie belliche italiane111. Secondariamente il rigido meccanismo di gestione delle materie prime attraverso il Fabbriguer- ra sicuramente poteva ostacolare l’autonoma costruzione di armi da parte di un’impresa e la diversa legislazione delle commesse, tutte accentrate presso i ministeri, impe
diva gli spicciativi accordi verbali a livello locale che avevano permesso ai Perrone di piazzare la loro produzione presso le forze armate.
Tuttavia, le diverse condizioni non giustificano la ricordata mancanza d’iniziativa degli uffici tecnici, inoperosità che d’altronde non può essere addebitata al solo gruppo Ansaldo, ma che accomuna tutte le industrie belliche nazionali nel secondo conflitto. L’unico fatto nuovo riguarda la progettata costruzione su licenza di carri armati tedeschi, trattativa che venne inizialmente portata avanti dalla Fiat e dall’Ansaldo e poi fatta propria dallo Stato maggiore nel vano tentativo di rompere il monopolio ligurepiemontese, coinvolgendo anche altre industrie nella costruzione al fine di aumentare il gettito di mezzi.
Abbiamo già estesamente documentato questi avvenimenti112 che si risolsero, attraverso interminabili risse tra comari, in un nulla di fatto, ma preme nuovamente ricordare il nostro sospetto che alla mossa della Fiat-Ansaldo non fosse estranea la critica ministeriale loro rivolta di essere “più mercanti che industriali patrioti” e che le diatribe tra Ansaldo e Oto, peraltro legate da accordi di cartello, siano state esagerate ad arte per cristallizzare la produzione sui noti modelli.
Le nostre opinioni non collimano, infatti, con quelle di coloro che spiegano l’elevato gettito di armi nel primo conflitto mondiale
109 Si ricordi quanto detto in merito agli Sva, ma anche l’inizio della produzione delle artiglierie da 105/28 Schneider e l’approntamento degli autocannoni.110 Storia delle commesse di artiglieria, s.l., 7 agosto 1944, all. b, Relazione sull’attività dell'Ansaldo dal 1939 al 1943 nel campo della costruzione di artiglierie. Parte generale, in Fe, Ar 14.51.111 Secondo una denuncia del comandante Roberto Antona Traversi, un primo accordo di cartello tra Ansaldo, Armstrong e Terni venne siglato il 6 novembre 1925 e prevedeva la distribuzione tra i contraenti “di un terzo ad valorem delle forniture” per la Regia Marina, aumentando le offerte di “un’equa percentuale di profitto industriale che viene di comune accordo fissata nel venti per cento del prezzo di vendita”. A questo patto ne seguirono altri nel dicembre 1928 e maggio 1929 (tra Ansaldo, Oto, Temi e San Giorgio sulla produzione di artiglierie terrestri e navali, mitragliere comprese), nell’ottobre 1930 (tra Ansaldo e Terni sulla produzione di corazze) (cfr. L. Ceva-A. Curami, Industria bellica, cit., pp. 71 sgg.).
L. Ceva-A. Curami, La meccanizzazione, cit., vol. I, cap. 15.
302 Andrea Curami
con la standardizzazione della produzione su pochi modelli già introdotti prima della guerra. Balza immediatamente agli occhi il fatto che la considerazione non si applica all’aviazione, in quanto il materiale aeronautico utilizzato durante il conflitto venne ideato proprio in quegli anni. La suggestiva opinione neppure si applica alla marina, in quanto le nuove costruzioni furono poche e soprattutto di mezzi insidiosi quali i Mas che non esistevano prima della guerra. Per quanto riguarda l’artiglieria e le armi terrestri, bombarde, autocannoni, autoblindo, lanciafiamme e proietti caricati con aggressivi chimici furono invenzioni del tempo di guerra o di modelli totalmente nuovi rispetto ai pochi esistenti nel 1914.
Si risponderà che le artiglierie e le mitragliatrici in massima parte erano di progetto prebellico, non tenendo alcun conto del fatto che solo per il 75/27 modello 911 e per il cannone da 149/35 era stata avviata la produzione presso industrie italiane prima del 1914. Per tutte le altre armi, pur di progetto più antico, gli arsenali si attrezzarono, infatti, partendo da zero con lo scoppio della guerra europea.
Ritornando all’Ansaldo e quindi soffermandoci sulle artiglierie e sui mezzi corazzati, in quanto l’attività degli scali fu ancora una volta trascurabile (tabella 4113), solo il cannone da 65/64 antiaereo, prodotto in 73 esemplari, era una nuova costruzione, mentre tutti gli altri tipi erano stati omologati ben prima della guerra e le prime commesse di serie risalivano al 1938-1939, con l’esclusione del 47/32 da carro (prima com
messa per 643 esemplari dell’l l marzo 1940). Risulta quindi arduo spiegare come mai in quattro anni di guerra, a fronte di ordini per 10.018 bocche da fuoco, l’Ansal- do ne abbia realizzate solo 6.287114, ovvero comunque in quantità minore della ricordata stima riduttiva di Bocciardo.
Già in passato abbiamo confutato le giustificazioni di Rocca, basate su di un’inconsistente notevole diversità con le artiglierie della prima guerra mondiale, dovuta alle “proprietà balistiche delle armi notevolmente migliorate, la qualità dei materiali impiegati, le esigenze di intercambiabilità e il perfezionamento meccanico dei congegni” .
E neppure può essere supinamente accettata la ricorrente scusa industriale di commesse assegnate con il contagocce, continuamente modificate nelle quantità e nei tipi da produrre.
Se formalmente tale giustificazione può essere plausibile per la produzione aeronautica, seppure sarebbe necessaria una certa cautela derivante dal fatto che molte commesse erano di natura erariale o per meglio dire sociale, difficile è accordare credito al- l’Ansaldo per gli ordini di artiglierie tutti definiti con notevole anticipo rispetto allo scoppio della guerra e accompagnati “dall’ingente sforzo finanziario sostenuto dallo Stato” per il potenziamento degli stabili- menti115.
Perplessità ancora maggiori nascono dall’esame della produzione di mezzi da combattimento dove proprio nella seconda guerra mondiale si può parlare per il Fossa-
113 Nell’elenco non sono comprese le 12 vedette antisommergibile (Vas 301 = 312) costruite dal cantiere Cerusa, le motozattere prodotte per la marina italiana e tedesca, e i piroscafi costruiti per POkm.114 Alcuni dati analitici sulla produzione di artiglierie da parte degli stabilimenti Ansaldo (Genova e Pozzuoli) in A. Curami-F. Miglia, L ’Ansaldo e la produzione bellica, in Francesca Ferratini Tosi, Gaetano Grassi, Massimo Le- gnani (a cura di), L ’Italia nella seconda guerra mondiale e nella resistenza, Milano, Angeli, 1988. Gli ordini ammontavano inizialmente a 11.112 bocche da fuoco, 1.094 delle quali poi sospese.115 Sull’entità dei contributi a fondo perduto versati dallo Stato all’Ansaldo, rimandiamo a Fabio Degli Esposti, L ’Ansaldo industria bellica, “Italia contemporanea”, 1993, p. 163.
L’Ansaldo e l’industria bellica 303
ti di notevole standardizzazione, avendo prodotto principalmente solo scafi di carri medi, ora dotati di torretta (i carri M.13, M.14 e M.15), ora con un’artiglieria in casamatta (i semoventi derivati), talvolta senza torretta e senza pezzi (i parimenti derivati carri comando). Sicuramente il gettito fu relativamente elevato, ma la qualità fu decisamente scadente sia per l’approssimativa progettazione, sia per la pessima realizzazione delle piastre corazzate e l’estemporanea cura nella costruzione116.
Dando libero sfogo al pensiero ipotetico, se l’Ansaldo avesse completamente esaurito le commesse assegnatele, potremmo accettare la suggestiva idea di un’industria tarpata nella sua potenzialità dalla mancanza di ordini, ma questo non si verificò soprattutto nel settore delle artiglierie. D’altronde, non è neppure sostenibile l’ipotesi di turbative alle linee di produzione a causa di continue modifiche negli oggetti delle commesse. Si è da molti sostenuta la carenza di materie prime come spiegazione di ogni guasto117, ma ciò è caratteristica dell’Italia e non una novità del secondo conflitto in quanto presente anche durante la grande guerra e in una situazione di maggior criticità dei trasporti su rotaia e per mare.
Sicuramente le nuove macchine utensili, tardivamente ordinate e solo in parte con
segnate118, avrebbero garantito una maggior produttività, ma non sfugge a chi possiede una qualche conoscenza dell’industria meccanica e della longevità dei macchinari, che le macchine operatrici acquistate durante la prima guerra avrebbero potuto continuare a garantire un gettito non molto dissimile da quello durante il conflitto europeo.
Escludendo queste possibili cause, il ragionamento ci porta obbligatoriamente a individuare negli uomini i possibili motivi di questi problemi. Sicuramente le improprie e anacronistiche cariche di correttivi nelle colate di acciai per corazze119 erano frutto di modeste conoscenze e di ancor minore attenzione all’evoluzione della metallurgia, impressioni peraltro confermate dal disinvolto, quanto inappropriato, uso di esagerate procedure di tempra e rinvenimento. È difficile accettare che i tecnici della Krupp sarebbero incorsi nei medesimi errori, dal momento che proprio loro erano i propugnatori di quella rivoluzione metallurgica. L’utilizzo di casamatte imbullonate derivava dalla ricordata scarsa saldabilità degli acciai prodotti, ma l’aver così clamorosamente mal progettato le fiancate del carro dipendeva dalle conoscenze specifiche dell’ufficio tecnico e del suo direttore, così come è attribuibile a carenze dei reparti produttivi lo scarso con-
116 Dei 3.906 mezzi corazzati cingolati ordinati all’Ansaldo, il Fossati ne costruì 2.284 fino a luglio 1943, rimanendo totalmente inevasa la commessa per 499 P. 40 del 29 marzo 1943 e parzialmente quella dei semoventi da 105/25 (30 costruiti su 494 ordinati con commesse successive a partire dal 6 marzo 1943) e da 75/34 (62 costruiti su 500 ordinati con commesse successive a partire dal 7 agosto 1942).117 Fatto peraltro vivacemente contestato da Agostino Rocca sia nell’assemblea dell’Ansaldo del 1944, sia in una susseguente lettera ad Arturo Bocciardo dell’8 agosto 1944 (cfr. L. Ceva-A. Curami, La meccanizzazione, cit., vol. I, pp. 384-385).118 Sarebbe, tuttavia, interessante comprendere, ad esempio, in che modo sono stati spesi i contributi erogati al- l’Ansaldo e al Fossati e previsti dal Rdl 23 dicembre 1923, n. 2871 per le industrie cui si prescriveva l’accantonamento di macchinari atti alla produzione bellica. Il contributo venne sospeso nel 1934 dal generale Dallolio con la motivazione che “l ’entità dei contributi corrisposti alle due ditte dal 1925 ad oggi (per l’ammontare di L. 5 milioni e trecentomila) e la produzione finora effettuatasi e in corso presso i due stabilimenti giustificano in pieno la sospensione di ogni ulteriore contributo” (cfr. L. Ceva-A. Curami, La meccanizzazione, cit., vol. I, pp. 235-236, n. 43).119 Si allude all’esagerato contenuto di nichel nelle colate per corazze, che ne causavano l’infragilimento e la scarsa saldabilità. Rimandiamo al nostro Commesse belliche e approvvigionamenti di materie prime, in Romain H. Rai- nero- Antonello Biagini (a cura di), L ’Italia in guerra. Il primo anno -1940, Roma, Usmm, 1991, pp. 55-66, p. 59.
304 Andrea Curami
trollo nella costruzione degli scafi (bulloni non serrati a sufficienza, ecc.)120.
Sia ben chiaro il fatto che le nostre critiche non possono investire i tipi di armi costruite. La scelta di produrre a massa i cannoni anticarro Bòhler da 47/32121 era coerente con le diffuse opinioni dei primi anni trenta, quando presso tutti gli eserciti, in mancanza di mezzi motorizzati, si cercava di dotare i reparti di fanteria di un’artiglieria trainabile a piedi in grado di fornire una forma di protezione contro i mezzi corazzati avversari122, anche se i primi scontri contro i carri inglesi ridimensionarono drasticamente le opinioni sull’utilità dell’arma. Analogamente non si può addebitare all’Ansaldo la decisione di produrre carri leggeri, anch’essi comune scelta di molti Stati maggiori negli anni trenta, ma bensì la modesta qualità nella loro costruzione e il pervicace tentativo di farsene assegnare altri in commessa, minacciando licenziamenti tra le maestranze123. Tuttavia neppure questi fenomeni deteriori rappresentano una specificità dell’Ansaldo, essendo invece
risultati tipici di tutta l’industria bellica e non solo di quella.
Alludevamo agli uomini dell’Ansaldo come a un plausibile motivo del calo tecnologico e produttivo. In merito a quest’ultimo è probabile che un raffronto in assoluto non possa essere condotto con la prima guerra mondiale per la mancata militarizzazione delle maestranze e l’impossibilità da parte dell’industria bellica di praticare orari di lavoro confrontabili, anziché moltiplicare i turni lavorativi come fu imposto dal potere politico, non sfruttando così la poca mano d’opera qualificata disponibile a scapito anche del tempo per la manutenzione delle macchine utensili124. Riguardo al calo tecnologico, è indubbio che il livello faticosamente raggiunto dopo la prima guerra mondiale andò dissolto nelle due gravi crisi che colpirono nel giro di un decennio l’industria genovese, allontanando, in alcuni casi a ragione, i migliori tecnici e capi operai che l’Ansaldo aveva assoldato.
Andrea Curami
120 Si veda, fra le molte, la relazione del generale Luigi Sarracino, direttore superiore del Servizio tecnico armi e munizioni, docente di metallurgia e tecniche speciali e scienziato di fama, in L. Ceva-A. Curami, La meccanizzazione, cit., vol. I, pp. 339-344.121 All’Ansaldo vennero passate due commesse da espletarsi a Pozzuoli: una prima per 750 pezzi del 31 ottobre 1939 e una seconda per 800 artiglierie del 14 settembre 1940. Le parti stampate dell’affusto venivano costruite dall’Arsenale dell’esercito di Torino, mentre gli sbozzati per le bocche da fuoco venivano prodotti dalla Cogne. La costruzione doveva partire nel mese di settembre 1940 sulla base di 50 esemplari/mese, ma dai dati Ansaldo si evince che Pozzuoli fu in grado di approntarne solo 50 nel 1940 e 520 nel 1941 (80 in meno della produzione annua preventivata). La principale produttrice fu la Breda (oltre 3.000 pezzi ordinati), ma piccole commesse sociali furono assegnate alla Sasib di Bologna (300 cannoni) e agli arsenali militari (altri 300 pezzi).122 In tale ottica i tedeschi, seguiti dagli americani, adottarono un cannoncino da 37 mm, gli inglesi uno da 40 mm, i francesi un 25 mm, e diffusi furono pure i fuciloni anticarro.123 Si veda, ad esempio, la corrispondenza tra Agostino Rocca e il prefetto di Genova Umberto Albini in L. Ce- va-A. Curami, La meccanizzazione, cit., vol. I, p. 251 sgg.124 Anziché due turni di dieci ore, si imposero tre turni di otto ore.
Andrea Curami (1947) è docente di Meccanica applicata alle macchine presso il Politecnico di Milano e si occupa anche di storia dell’industria bellica. È membro del Direttivo della Società di storia militare, del Comitato scientifico del Centro interuniversitario di studi e ricerche storico-militari e del Comitato di redazione di “Storia militare”. Oltre a numerosi saggi ha pubblicato, in collaborazione con Lucio Ceva, La meccanizzazione dell’esercito italiano dalle origini al 1943 (1989) e Industria bellica anni trenta (1992). Con Giorgio Rochat ha curato Giulio Douhet. Scritti 1901-1915 (1993).
L’Ansaldo e l’industria bellica 305
Tabella 1. - Le costruzioni di artiglierie all’Ansaldo durante la grande guerra secondo le carte del fon do Perrone e, tra parantesi, secondo le dichiarazioni di Agostino Rocca nel 1939.
Tipo Progetto bocca da fuoco 1914 1915 1916 1917 1918 1919 Totale Affusti
prodotti% affusti su
bocche da fuoco
70/15 Krupp -Arsenale Torino
230(230)
274(274)
206(206)
710(710)
0,00
75/13 Skoda 1 3 4 0,00
75/27 mod. 906
Krupp 367(540)
1.055(599)
1.253(1.191)
175(147)
2.850(2.477)
100 3,51
76/17 Schneider 40 13(54)
14(12)
67(66)
67(64)
100,00(96,97)
76/45 Armstrong 40 7(44)
4(6)
126(116)
168(138)
58(8)
403(312)
294(287)
72,95(91,99)
76/50 Armstrong-Ansaldo
4 4 4 100,00
102/35 Schneider-Armstrong
1 59(48)
156(114)
309(171)
310(188) (14)
835(535)
336(306)
40,24(57,20)
102/45 Schneider-Armstrong
35(10)
157(90)
34 226(100)
180(100)
79,65(100,00)
105/14 Schneider-Ansaldo
28(26)
421(317)
51(67)
500(410)
500(206)
100,00(50,24)
105/28 Schneider 24(54)
196(244)
658(490)
1.056(907)
116(41)
2.050(1.730)
1.446(1.331)
70,54(76,67)
149/12 Krupp 40(28)
412(382)
673(500)
95(52)
1.220(962)
990(724)
81,15(75,56)
149/35 Armstrong-Schneider
62(25)
262(72)
325(154)
43OD
692(262)
0,00
152/45 Schneider 6 33(24)
16(16)
28(20)
51(38)
16(4)
150(102)
95(84)
63,33(82,35)
210/8 Schneider 12(20)
30 102(46)
144(66)
19(20)
13,19(30,30)
260/9 Schneider(8) (6)
60(60)
60(60)
6(4)
126(138)
136(128)
107,94(92,75)
381/40 Schneider 4(6)
2(3)
3 9(9)
9(9)
100,00
Lanciabombe da 75 mm
Ansaldo 9 9 9 100,00
Lanciabombe Ansaldo 100 100 100 100,00tipo Ansaldo
87 152 1.228 3.249 4.786 597 10.099 4.285(232) (1.241) (2.226) (3.792) (394) (7.885) (3.259)
Totale 42,43(41,33)
306 Andrea Curami
Tabella 2. - Produzione e allestimento di navi presso i cantieri dell’Ansaldo durante la prima guerra mondiale. Si noti che il Duilio fu varato a Castellamare di Stabia; /’Ascaro venne invece requisito dalla Regia Marina, così come il Balilla. Tutte le commesse del Muggiano risultano antecedenti all’acquisto del cantiere da parte dell’Ansaldo.
Numero di costruzione
Tipo di nave Nome Committente Data
contrattoData
impostazioneDatavaro
Dataconsegna
168 bis corazzata Duilio R. Marina 24.2.1912 24.4.1913 10.5.1915169 caccia Ascaro Cina 17.12.1912 22.6.1911 6.12.1912 21.7.1913171 esploratore A. Poerio R. Marina 16.9.1912 25.6.1913 4.8.1914 22.5.1915172 esploratore C. Rossarol R. Marina 16.9.1912 30.6.1913 15.8.1914 9.8.1915173 esploratore G. Pepe R. Marina 16.9.1912 2.7.1913 17.9.1914 20.8.1915174 esploratore Liz Portogallo 28.12.1913 12.7.1913 28.12.1974 13.2.1915176 esploratore C. Mirabello R. Marina 1.7.1914 21.11.1914 21.12.1915 24.8.1916177 esploratore A. Riboty R. Marina 1.7.1914 27.2.1915 24.9.1916 5.5.1917178 esploratore C. Racchia R. Marina 1.7.1912 10.12.1914 2.6.1916 21.12.1916179 corazzata C. Colombo R. Marina 22.12.1914 14.3.1915181 torpediniera AS52 R. Marina 4.9.1918 1.7.1916 11.9.1916182 torpediniera AS53 R. Marina 6.9.1915 29.7.1916 18.9.1916183 torpediniera AS54 R. Marina 7.9.1915 27.8.1916 23.9.1916184 torpediniera AS55 R. Marina 9.9.1915 17.9.1916 12.10.1916185 torpediniera AS56 R. Marina 16.9.1915 11.10.1916 7.11.1916186 torpediniera AS57 R. Marina 16.9.1915 13.11.1916 11.12.1916
da 190 MAS MAS23 - r MAS R. Marina 22.12.1916 1916 1916 + 17a 219 52220 sommergibile NI R. Marina 17.3.1916 1.3.1916 6.9.1917 20.7.1918221 sommergibile N2 R. Marina 17.3.1916 1.3.1916 26.1.1918 15.12.1918222 sommergibile N3 R. Marina 17.3.1916 2.3.1916 27.4.1918 13.10.1919223 sommergibile N4 R. Marina 17.3.1916 2.3.1916 6.10.1918 6.4.1919237 sommergibile X2 R. Marina 14.7.1916 22.8.1916 25.4.1917 1.2.1918238 sommergibile X3 R. Marina 14.7.1916 22.8.1916 29.12.1917 27.8.1918
Cantiere del Muggiano (già Fiat-San Giorgio)
43 sommergibile Argonauta R. Marina 11.3.1913 5.7.1914 18.2.191544 sommergibile Balilla Germania 18.8.1913 8.8.1915 8.8.191545 n. appoggio Cearà Brasile 21.7.1913 7.9.1915 16.10.1916101 sommergibile A. Pacinotti R. Marina 7.6.1914 13.3.1916 7.12.1916102 sommergibile A. Guglielmotti R. Marina 7.6.1914 4.6.1916 19.12.1916111 sommergibile A. Barbarigo R. Marina 22.10.1915 18.9.1917 10.9.1918112 sommergibile A. Provana R. Marina 16.10.1915 27.1.1918 10.9.1918113 sommergibile S. Vernerò R. Marina 21.10.1915 7.7.1918 24.9.1919114 sommergibile G. Nani R. Marina 27.10.1915 8.9.1918 10.8.1919vari sommergibile da FI a FI2 R.Marina 1915 - j - 1917 1916 1917 1916 - r 1918137 sommergibile Hydra Portogallo 26.8.1915 19.8.1917 20.10.1917138 sommergibile Foca Portogallo 12.6.1915 18.3.1917 20.10.1917139 sommergibile Golfinho Portogallo 2.9.1915 18.11.1917 20.10.1917140 sommergibile S. Georges Russia 20.9.1915 18.4.1917 26.6.1917141 sommergibile Monturiel Spagna 28.9.1915 16.4.1917 25.8.1917142 sommergibile A2 Spagna 9.9.1915 17.6.1917 25.8.1917143 sommergibile Garda Spagna 28.3.1916 10.6.1917 25.8.1917144 sommergibile F19 R. Marina 23.9.1915 10.3.1918 24.4.1918147 sommergibile F20 R. Marina 10.9.1915 17.3.1918 2.6.1918150 sommergibile F21 R. Marina 31.8.1915 19.8.1918 31.8.1918
L’Ansaldo e l’industria bellica 307
Tabella 3. - Produzione di cellule e motori presso i tre cantieri aeronautici e le società controllate durante la prima guerra mondiale secondo i dati della Dtam di Torino (tra parentesi tonde: i dati secondo l’archivio Perrone relativi al solo stabilimento ex-Pomilio).
Tipo di Tipo dei Numero Numero esemplari consegnati
apparecchio motoriordinati 1915 1916 1917 1918 1919 Totale
Soc. Ital. Transaerea
Voisin Salmson I.F. V4B
112 12 100 112
Blériot Gnome 51 51
[Torino] SP3 Fiat A12 100 70 30 100
Ing. Pomilio SP2 Fiat A12 200 26(26)
174(124)
200(150)
P. Fiat A12 1.495 478(476)
988(1.014)
1.466(1.490)
A3 Fiat A12 bis 500 60(55) (34)
60(89)
P. Gamma Fiat A12 bis o I.F. V6
10 7(7) (2)
7(9)
SVA 9 SPA 6A (8) (41) (49)
[Torino] A l SPA 6A - IF V6 (36) (36)
Gio Ansaldo SVA SPA 6A 1.600 62 713 885
A l SPA 6A - IF V6 1.600 166 166
Sopwith Rhone 120 100 4 96 100
[Borzoli]ISVA SPA6A 135 50 50
Tipo di motore Potenza hp
S.P.A. SPA 6A 200 800 203 389 592
Ansaldo SPA 6A 200 1.274 98 1.076 1.1744E-28 450 300 0
308 Andrea Curami
Tabella 4. - Le costruzioni navali militari d e ll’A nsaldo durante la seconda guerra mondiale. Il Cornelio Siila fu com pletato p er i tedeschi dopo l ’o tto settem bre; /'A n im oso venne invece realizzato presso il Cantiere del Tirreno di R iva Trigoso.
Numero Tipo di nave Nome Committente Contratto Impostazione Varo Consegna
321 incrociatore Cornelio Siila R. Marina 20.1.1938 12.10.1939 28.6.1941322 incrociatore Paolo Emilio R. Marina 20.1.1938 12.10.1939343 avviso Ardito R. Marina 29.4.1941 3.4.1941 16.3.1942 30.6.1942344 avviso Animoso R. Marina 29.4.1941 3.4.1941 15.4.1942 14.8.1942345 avviso Ardente R. Marina 29.4.1941 3.4.1941 27.5.1942 30.9.1942346 avviso Ardimentoso R. Marina 29.4.1941 3.4.1941 27.6.1942 17.12.1942348 torpediniera Ariete R. Marina 4.2.1941 15.7.1942 6.3.1943 5.8.1943349 torpediniera Arturo R. Marina 4.2.1941 15.7.1942 27.3.1943 4.10.1943350 torpediniera Auriga R. Marina 4.2.1941 15.7.1942 15.4.1943 30.9.1942351 torpediniera Dragone R. Marina 4.2.1941 15.7.1942 14.8.1943 3.4.1944352 torpediniera Eridano R. Marina 4.2.1941 15.7.1942 12.7.1943 6.3.1944353 torpediniera Rigel R. Marina 4.2.1941 15.7.1942 22.5.1943 28.1.1944561 corvetta Tuffetto Germania 1.2.1942 15.3.1943 25.6.1943 3.3.1944562 corvetta Marangone Germania 1.2.1942 15.3.1943 16.9.1943 26.2.1944563 corvetta Strologa Germania 1.2.1942 15.3.1943 31.10.1943 25.3.1944564 corvetta Ardea Germania 1.2.1942 15.3.1943 22.12.1943 6.5.1944565 corvetta Cicogna R. Marina 2.9.1941 15.6.1942 12.10.1942 11.1.1943506 corvetta Folaga R. Marina 2.9.1941 15.6.1942 13.11.1942 16.2.1943507 corvetta Ibis R. Marina 2.9.1941 18.6.1942 12.12.1942 3.4.1943508 corvetta Gru R. Marina 2.9.1941 6.7.1942 23.12.1942 29.4.1943
Diagramma 1. - Occupazione degli scali del cantiere navale Ansaldo (gennaio 1925-agosto 1935). L ’area tratteggiata copre l'intervallo tra l ’inizio dichiarato della costruzione (accesso ai pagamenti in conto lavori) e il varo. L'area nera corrisponde al periodo di allestimento presso l ’Oarn. Si noti come i quattro scali di muratura siano sempre stati occupati e in piena attività. La contemporaneità di più di quattro navi sugli scali è fittizia, in quanto i pagamenti avevano inizio con la preparazione dei semilavorati.
R. Montecuccoli Rex
Bolzano Adatepe
Kocatepe Imperator
Olbia A.Deffenu
Caralis B.Colleoni
A. Da Barb iano A. Da Giussano
L. Malocello L. Tarigo Ausonia
Augustus Roma Ostro
Espero Zeffiro Borea