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L’Ansaldo e l’industria bellica Andrea Curami L’Ansaldo è sicuramente una delle imprese ita- liane più studiate dagli storici contemporanei. Tuttavia, gli studi condotti sino ad oggi hanno indugiato spesso su una presunta specificità del- la ditta genovese, specificità che non ci sentia- mo di condividere nel settore degli armamenti, ove la ditta si affacciò tardivamente rispetto al- le concorrenti e senza un adeguato bagaglio tec- nico. Produttrice su licenza o comunque su progetti elaborati presso gli uffici tecnici di altre indu- strie, l’Ansaldo fin verso la fine della prima guerra mondiale non riuscì a coniugare l’eleva- to gettito produttivo con una pari qualità delle realizzazioni militari. Singolarmente, il tracollo finanziario dell’impe- ro dei Perrone avvenne in un momento in cui l’Ansaldo aveva raggiunto una propria indipen- denza in campo aeronautico e automobilistico, con realizzazioni di pregio. Ma, se con il falli- mento della Gio. Ansaldo, avvenne una prima diaspora dei tecnici che i Perrone erano riusciti a strappare alla concorrenza durante la guerra, una ben più grave emorragia seguì al termine dell’oscura gestione del generale Cavallero, che, pur se caratterizzata da gravissime frodi, aveva tuttavia riportato il complesso genovese a pri- meggiare tra le industrie belliche nazionali, con [’acquisizioni di importanti “know-how” tecno- logici. L’Ansaldo si trovò così nuovamente ad affron- tare una guerra in una condizione di ritardo tec- nologico non dissimile da quella del 1915, ag- gravata dal fatto che all’industria genovese non era più necessario lottare con la concorrenza in- terna per acquisire nuove commesse. Ansaldo is for sure one o f the Italian corpora- tions most frequently investigated by historical research. Yet the studies brought about so far have often insisted on a supposed peculiarity of this Genoa firm, an assumption rather questio- nable as far as armaments are concerned, since Ansaldo entered quite late this field and wi- thout an adequate technical background. Manufacturing on licence or however on projects developed by technical departments of other firms, Ansaldo did not succeed in mat- ching its substantial productive output with a comparable high level o f military machinery until the end o f World War I. Surprisingly enough, the financial collapse o f the Perrone empire took place at a time when Ansaldo had reached independence in the air- craft and automobile sectors, with outstanding accomplishments. But if the bankrupcy o f Gio. Ansaldo gave way to a first exodus o f techni- cians for whom the Perrone brothers had suc- cessfully contended with their competitors, a still more massive flight followed the end of Gen. Cavallero’s obscure management, which in spite o f widespread frauds had however suc- ceeded in bringing the Genoa corporation back to a leading role in the national war industry, with the acquisition o f important know-how. So Ansaldo was to face a new war in a position o f technological backwardness fairly similar to the one o f 1915, with the aggravation o f having no longer to challenge internal competition in order to gain further contracts. Italia contemporanea”, giugno 1994, n. 195

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L ’Ansaldo e l’industria bellica

Andrea Curami

L’Ansaldo è sicuramente una delle imprese ita­liane più studiate dagli storici contemporanei. Tuttavia, gli studi condotti sino ad oggi hanno indugiato spesso su una presunta specificità del­la ditta genovese, specificità che non ci sentia­mo di condividere nel settore degli armamenti, ove la ditta si affacciò tardivamente rispetto al­le concorrenti e senza un adeguato bagaglio tec­nico.Produttrice su licenza o comunque su progetti elaborati presso gli uffici tecnici di altre indu­strie, l’Ansaldo fin verso la fine della prima guerra mondiale non riuscì a coniugare l’eleva­to gettito produttivo con una pari qualità delle realizzazioni militari.Singolarmente, il tracollo finanziario dell’impe­ro dei Perrone avvenne in un momento in cui l’Ansaldo aveva raggiunto una propria indipen­denza in campo aeronautico e automobilistico, con realizzazioni di pregio. Ma, se con il falli­mento della Gio. Ansaldo, avvenne una prima diaspora dei tecnici che i Perrone erano riusciti a strappare alla concorrenza durante la guerra, una ben più grave emorragia seguì al termine dell’oscura gestione del generale Cavallero, che, pur se caratterizzata da gravissime frodi, aveva tuttavia riportato il complesso genovese a pri­meggiare tra le industrie belliche nazionali, con [’acquisizioni di importanti “know-how” tecno­logici.L’Ansaldo si trovò così nuovamente ad affron­tare una guerra in una condizione di ritardo tec­nologico non dissimile da quella del 1915, ag­gravata dal fatto che all’industria genovese non era più necessario lottare con la concorrenza in­terna per acquisire nuove commesse.

Ansaldo is for sure one o f the Italian corpora­tions most frequently investigated by historical research. Yet the studies brought about so far have often insisted on a supposed peculiarity o f this Genoa firm, an assumption rather questio­nable as far as armaments are concerned, since Ansaldo entered quite late this field and wi­thout an adequate technical background. Manufacturing on licence or however on projects developed by technical departments o f other firms, Ansaldo did not succeed in mat­ching its substantial productive output with a comparable high level o f military machinery until the end o f World War I.Surprisingly enough, the financial collapse o f the Perrone empire took place at a time when Ansaldo had reached independence in the air­craft and automobile sectors, with outstanding accomplishments. But i f the bankrupcy o f Gio. Ansaldo gave way to a first exodus o f techni­cians for whom the Perrone brothers had suc­cessfully contended with their competitors, a still more massive flight followed the end o f Gen. Cavallero’s obscure management, which in spite o f widespread frauds had however suc­ceeded in bringing the Genoa corporation back to a leading role in the national war industry, with the acquisition o f important know-how.So Ansaldo was to face a new war in a position o f technological backwardness fairly similar to the one o f 1915, with the aggravation o f having no longer to challenge internal competition in order to gain further contracts.

Italia contemporanea”, giugno 1994, n. 195

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L’Ansaldo e la sua specificità: il retaggio di un’autorappresentazione del passato

La nota insegna dell’Ansaldo, formata da due cannoni incrociati, un’ancora e un in­granaggio, sembrerebbe indicare inequivo­cabilmente la vocazione bellica dell’indu­stria genovese, ma il solo ricordo che tale stemma venne adottato dalla “Società ano­nima italiana Giò Ansaldo & C.” con l’as­semblea del 25 marzo 1912, a quasi sessan­tanni dalla fondazione della “Giovanni An­saldo & C.” che aveva acquisito l’ex stabili­mento Taylor-Prandi di Sampierdarena dal­la “Azienda generale delle Strade ferrate”, porta a giudicare una simile affermazione come ampiamente limitativa. Sono questi gli effetti duraturi dell’autorappresentazione voluta dai fratelli Perrone, e l’esame del co­siddetto “complesso industriale Ansaldo a ciclo completo, dal minerale al prodotto fi­nito, ai noli minimi1” immediatamente ridi­mensiona l’importanza della componente produttiva bellica nel macrocosmo ansal- dino.

Analogamente stenta a morire l’oleografi­ca immagine che è stata creata attorno al “caso Ansaldo”, quasi che l’attività produt­tiva dell’industria genovese godesse di una sua particolare specificità rispetto agli altri complessi italiani. Siamo, invece, ferma­mente convinti che l’Ansaldo sia un’indu­stria nazionale, nel senso che le sue vicende e fortune non differiscono da quelle di altre imprese belliche italiane dell’epoca e nel cor­so di queste righe cercheremo rapidamente

di spiegarlo fornendo anche qualche dato meno noto sulla produzione di armamenti. I Perrone si sono sempre compiaciuti della protezione e dell’aiuto dato da Cavour alla Taylor-Prandi a dimostrazione della loro vocazione a sentirsi “in un certo senso bran­ca dello Stato italiano2” o addirittura, come altri hanno scritto, “nel tentativo di crearsi una situazione privilegiata tipo Krupp, Sch­neider, Skoda [...]3” . A ben vedere, tutta­via, già la Balleydier nel 1840 aveva goduto di analogo trattamento che le aveva permes­so nel 1860 di raggiungere il predominio tra le industrie liguri. E diffusi sono gli esempi in Italia di industrie metalmeccaniche stimo­late “dall’esigenza per le forze armate — la marina soprattutto — di disporre in patria di un’attrezzatura industriale adeguata al­meno per i lavori più urgenti4” . Basti, a esempio, ricordare la nascita dello “Stabili­mento tecnico triestino” e dei cantieri We- stermann a Genova e Guppy a Napoli e in seguito della Terni.

Neppure potremmo ricordare l’Ansaldo come polo tecnologico bellico italiano del­l’epoca. Ben altre tradizioni potevano van­tare gli squeri triestini che già nel 1829 vara­rono il Civetta, primo scafo nazionale a eli­ca, e nel biennio 1870-1871 costruirono per le marine turche e greche, rispettivamente, le corvette corazzate Idilaljeh e Vasilissa Olga di oltre 2.000 tonnellate, oltre alla produzio­ne per la Marina Imperiale. Del resto in Li­guria, il “Cantiere della Pila” dei fratelli Or­lando nel 1855 aveva varato il Sicilia, prima nave in ferro costruita in Italia, mentre si

Il presente saggio è comparso in Centro ricerche Giuseppe Di Vittorio, Istituto milanese per la storia della Resisten­za e del movimento operaio, Storia dell’industria e storia dell’impresa: il caso Ansaldo. Fonti, metodi e problemi storiografici, Milano, 1993 (Quaderno n. 6), che riunisce le relazioni presentate al seminario organizzato dai due istituti.1 Pio e Mario Perrone, L ’Ansaldo, la guerra e il problema nazionale delle miniere di Cogne, Genova, Società edi­zioni e pubblicazioni, 1932, p. 14.2 Richard H. Webster, La tecnocrazia italiana e i sistemi verticali: il caso Ansaldo 1914-1921, “Storia contempora­nea”, 1978, n. 2.3 Massimo Mazzetti, L ’industria nella grande guerra, Roma, Ussme, 1979, all. 7.4 Luigi De Rosa, La rivoluzione industriale in Italia, Bari, Laterza, 1985 (I ed. 1980), p. 147.

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dovette attendere il 1876 per vedere l’avviso Staffetta (1.800 tonnellate) scendere dagli scali dell’Ansaldo. Riconosciamo a Ferdi­nando Maria Perrone l’indubbia abilità nel procurare all’Ansaldo nell’ultimo decennio del secolo scorso la vendita del Garibaldi, del Cristobai Colon e del Pueyrredon, ma gli Orlando nel contempo vendevano sem­pre agli argentini il San Martin e il General Belgrano, ad Haiti il Ferrière, al Marocco l’incrociatore El Bashir e al Portogallo l’A- damastor.

Da un rapido confronto con gli scali di San Marco e San Rocco a Trieste, la cantie­ristica postunitaria ne uscirebbe ridimensio­nata e l’Ansaldo si ridurrebbe a poco più che una ragione sociale. Negli stessi anni il cantiere San Marco vendeva in Argentina Y Argentina, VAzopardo e il Patagonia, mentre per l’Uruguay veniva costruito il General Artigas e per la Marina Imperiale il Tegetthoff, il Kaiser Franz Joseph I e il K. u.K. Maria Theresia, per ricordare solo le navi più note. Preme inoltre ricordare una fondamentale differenza tra i cantieri trie­stini e quelli nazionali e l’Ansaldo in parti­colare. Non solo a Genova si costruiva po­co rispetto alla concorrenza nazionale, ma tutte le produzioni del Regno erano su li­cenza, dagli apparati motori alle eliche e agli scafi, a differenza delle costruzioni trie­stine.

A questo proposito si impongono alcune considerazioni. Le cause della situazione italiana dipendevano tanto dalla necessità del ministero della Marina di dare lavoro

anche agli arsenali militari, facendo proprie le argomentazioni di salvaguardia dell’ordi­ne sociale avanzate dai prefetti per sostene­re le richieste della cantieristica privata, quanto dal maggiore costo e dall’inferiorità tecnologica del prodotto degli scali naziona­li. Sicuramente, infortuni quali i ripetuti difficoltosi vari al cantiere AnsaldoI * * * 5, non potevano aumentare la fiducia dell’ammini­strazione militare nei confronti dell’indu­stria genovese che si vedeva sconfitta dalla concorrenza straniera anche nel settore dei motori primi, dove forse poteva vantare una qualche maggior esperienza6.

Ribadiamo il fatto che la scarsa stima del ministero della Marina non coinvolgeva so­lamente l’Ansaldo, ma anche tutti gli altri cantieri, preferendo far sviluppare la pro­gettazione di nuove navi o dagli ufficiali del Genio navale o da industrie straniere, che poi ne effettuavano la costruzione7. Rima­ne, tuttavia, evidente che quando l’ammini- strazione decise di dotarsi nei primi anni ot­tanta di un largo numero di torpediniere co­stiere del tipo inglese “Thornycroft”, delle trenta della classe “Aldebaran” sei vennero costruite da Pattison a Napoli, altrettante da Orlando di Livorno, cinque da Odero di Sestri e due da Guppy di Napoli. Ovvero in questa prima distribuzione di commesse a pioggia alla cantieristica privata nazionale, l’Ansaldo rimase clamorosamente esclusa8.

Non diversamente avvenne pochi anni dopo nella distribuzione degli ordini per la costruzione delle torpediniere costiere classe S, su progetto del cantiere tedesco Schicau

I vari tanto della Staffetta (1876), quanto del Gottardo (1884) presentarono delle gravi difficoltà anche per la mo­desta pendenza della spiaggia e la poca profondità dei fondali. Cfr. Emanuele Gazzo, I cento anni dell’Ansaldo1853-1953, Genova, Ansaldo, 1953, p. 267.6 Archivio centrale dello Stato (Acs), Presidenza del consiglio dei ministri (Pcm), 1879-1880, b. 32, f. 219. Si veda ilcaso dell’apparato motore della corazzata Lepanto, che l’Ansaldo reclamava per sé e che venne affidato alla Penn &Sons, con la motivazione che le industrie italiane non erano ancora in grado di garantire risultati soddisfacenti.7 Delle dieci corazzate costruite nel periodo 1880-1895, solo il Lepanto venne costruito sugli scali della Orlando, mentre le restanti nove vennero realizzate negli arsenali militari. Tutti i progetti sono da attribuire all’ispettore ge­nerale del Genio navale Benedetto Brin.8 Altre quattro torpediniere “Thornycroft” di 3a classe vennero poi assegnate nel 1886 alla Odero di Sestri.

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di Elbing. Anche in questo caso l’Ansaldo fu inizialmente esclusa dalla spartizione tra le aziende italiane, venendole preferiti an­cora una volta Pattison, Odero, Guppy e Cravero, che aveva rilevato dall’ammini- strazione militare il cantiere della Foce di Genova. Tuttavia il caso volle che, durante la navigazione dal cantiere tedesco verso l’Italia, le prime due torpediniere costruite entrassero in collisione tra loro e il 56 S af­fondasse, permettendo così all’Ansaldo, a causa del carico di lavoro degli altri scali, di entrare nel giro delle commesse della Marina, prima con la costruzione di un se­condo 56 S, poi con una commessa per al­tre 17 torpediniere.

Nel 1892 venivano ordinati all’Ansaldo il Giuseppe Garibaldi e alla Orlando il gemel­lo Varese, entrambi poi venduti all’Argenti­na grazie all’attività di Ferdinando Maria Perrone; tuttavia questo successo della can­tieristica nazionale mette in luce le non po­che contraddizioni della industria italiana: il progetto della nave, ancora una volta, non era né di Orlando né di Ansaldo, ma del tenente generale del Genio navale Edoardo Masdea, le artiglierie erano di progettazione e costruzione Armstrong o Vickers, così come le caldaie del tipo Ni- clausse o Belleville.

Si possono quindi capire i “giri di val­zer” dell’industria genovese alla fine del se­colo scorso alla ricerca di un partner tecno­logico. La crescente politica protezionistica, di cui la legge 6 dicembre 1883 a favore della Marina è un esempio, aveva portato i tradizionali fornitori delle nostre forze ar­mate a creare nuove industrie in Italia o ad associarsi con imprese nazionali. In tale ot­tica la Armstrong Whitworth & C., forni­

trice tra l’altro dei primi tre moderni incro­ciatori o arieti torpedinieri (secondo la dizio­ne dell’epoca) italiani, creò nel 1886 a Poz­zuoli il maggior stabilimento nazionale di artiglierie che nel giro di cinque lustri pro­dusse ben 1.351 bocche da fuoco9 con i rela­tivi affusti e, se del caso, le torri corazzate che costituivano l’armamento principale e secondario di buona parte del gettito della nostra cantieristica. D’altronde, la Haw- thorn & Leslie di Newcastle, principale for­nitrice di caldaie e macchine alternative, aveva preferito associarsi alla napoletana Guppy & Co. e la Terni aveva riconosciuto cheoramai sarebbe la nostra condanna lo starsene inerti di fronte alle costruzioni che appunto così si vanno assicurando le fabbriche estere più im­portanti, Vickers, Krupp, Creuzot che tutte co­struiscono già navi e si vanno perfezionando con nuovi impianti; tutti sono produttori di corazze e cannoni. Ora è chiaro che se anche noi ci mette­remo e presto in condizioni analoghe potremo conservare la posizione guadagnata e molto spe­rare nell’avvenire, se no, correremo il pericolo di restare straniati da così potenti concorrenze10

e quindi, dopo l’adesione al sindacato inter­nazionale di produttori di corazze Harvey, avvenne la costituzione nel 1904-1905 della Vickers-Terni per costruzione e gestione del­l’omonimo stabilimento di artiglierie a La Spezia, concorrente dell’Armstrong di Poz­zuoli.

Così come la Vickers Sons & Co. Ltd. in­corporò nel 1897 la “Maxim Nordenfelt Guns and Ammunition Co.” per garantirsi il settore della produzione di mitragliere e ac­quisire una consolidata esperienza nella pro­duzione di armi di lancio, era naturale che i dirigenti ansaldini cercassero di qualificare

9 Di queste, tutte riproduzioni di progetti britannici, 491 artiglierie avevano calibro pari o superiore ai 152 mm. Cfr. Lo stabilimento Armstrong di Pozzuoli dal 1886 al 1911, Bergamo, Officine dell’Istituto italiano di arti grafi­che, s.d., pp. 140-143.10 La citazione della dichiarazione del 4 ottobre 1901 in Franco Bonelli, Lo sviluppo di una grande impresa in Ita­lia. La Terni dal 1884 al 1962, Torino, Einaudi, 1975, p. 81.

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la produzione degli stabilimenti con alleanze con i costruttori esteri di artiglierie e i depo­sitari di altri brevetti di corazze. A ben vede­re, l’unico modo di resistere al cartello nato attorno alla Terni, con la partecipazione dei rivali cantieri Odero e Orlando, il beneplaci­to della Marina e il supporto economico del­la Banca commerciale italiana, era quello di creare autonomamente un prodotto finito che si basasse sulla tecnologia degli esclusi, ovvero la Armstrong, la Skoda, la Schneider e la Krupp11.

L’Armstrong e l’industria di Essen, assie­me alla Skoda e alla francese Schneider- Creuzot, presentavano inoltre l’attrattiva di essere tra le più rinomate produttrici di arti­glierie campali, mercato che in quegli anni con il passaggio dal bronzo alla ghisa e quindi all’acciaio per le bocche da fuoco, l’introduzione degli affusti a deformazione e della scudatura per i pezzi da campagna e gli innovativi studi sulla balistica del proietto, lasciava presumere un improcrastinabile rin­novo del parco artiglieresco italiano e un’u­tile diversificazione dei rischi per l’industria bellica.

Racconta in merito il tenente generale An­tonio Mangiagalli, fra i principali inquisiti della commissione d’inchiesta per l’esercito del 1907:

Fin dal febbraio 1897 si era riconosciuta la neces­sità di rinnovare il materiale d’artiglieria da cam­pagna, e di sostituire il vecchio cannone da 75B, in servizio dal 1870; ma l’adozione del materiale da 75A, ad affusto rigido, che ne prese il posto, per molteplici cause non avvenne che allo scorcio

del 1900. Le fasi che la precedettero e prepararo­no, furono le seguenti:

a) Un concorso che, bandito nello stesso anno 1897, ebbe luogo nel gennaio 1898, con caratteri­stiche determinate fin dal 1896, e che non conse­guì alcun risultato soddisfacente, per l’impossibi­lità di coordinare il limite di peso imposto per la vettura-pezzo con la potenza richiesta al canno­ne. Ad esso parteciparono i nostri stabilimenti militari di Napoli e di Torino, l’acciaieria di Ter­ni e le case Krupp, Armstrong, Maxim-Norden- feldt e l’Elvetica di Milano. Da questa gara il Mi­nistero dedusse che la casa Krupp soltanto dava affidamento per il futuro possibile concorso nella soluzione della questione12.

Dimostrando quindi come l’interesse verso il problema dell’artiglieria campale italiana fosse condiviso anche da Terni, Breda (nuo­va regione sociale dell’Elvetica) e dalla Vic­kers (Maxim-Nordenfeldt).

Come già per la cantieristica militare, l’in­gresso dell’Ansaldo nel mercato delle arti­glierie terrestri fu, ancora una volta, casuale. Malgrado l’associazione con la Armstrong, i Perrone si erano infatti accordati anche con la francese Schneider e dopo una prima boc­ca da fuoco da 75, presentata nel 1906 e scar­tata dall’Ispettorato generale, l’Ansaldo si era resa protagonista di una vivace polemica nei confronti del ministero, accusato di non voler voluto esaminare il materiale da cam­pagna della Schneider “avente caratteristiche simili al Déport e tale da poter sostenere il confronto con esso13”. Le commesse per 140 batterie del cannone da 75 mod. 911 erano così state assegnate a un consorzio di 27 ditte italiane presieduto dalla Vickers-Terni, con 1 ’ esclusione dell ’ Ansaldo-Armstrong.

11 Come ha documentato Luciano Segreto (More Trouble than Profit; Vickers Investments in Italy 1906-1939, “Business History”, 1985, p. 317), tanto la Schneider, quanto la Armstrong erano state avvicinate dalla Terni nel 1901-1902 al fine di formare una società per la produzione di artiglierie. Sugli abboccamenti dell’Ansaldo con la Terni stessa e con le altre industrie belliche, si veda Marco Doria, Ansaldo. L ’impresa e lo Stato, Milano, Angeli, 1989, cap. 2.

Antonio Mangiagalli, I miei due anni di Ispettorato generale e la questione dell’artiglieria campale 1906-1908, Mortara, Cortellezzi, 1908, p. 3.

Carlo Montù, Storia dell’artiglieria italiana, parte III, voi. VII, Roma, Rivista d’artiglieria e genio, 1941, p. 1375.

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Fortunatamente lo Stato maggiore dell’e­sercito decise di iniziare gli studi per un can­none da 105 mm da farsi costruire presso ditte italiane.Se non che le ditte italiane consociate, fino a tutto il 1913 erano tutte impegnate per l’allestimento del materiale da campagna mod. 911 e non rima­neva per ciò disponibile che la ditta Ansaldo- Armstrong che poteva disporre di un’officina per materiale d’artiglieria, adeguatamente attrezzata. Parve quindi che fosse il caso di ricorrere senz’al­tro a questa ditta invitandola a presentare solleci­tamente un modello costruito secondo le direttive già studiate in passato dall’Ispettorato, e questo fu fatto anche perché allorquando per i nuovi ma­teriali da campagna si era adottato il tipo Déport, la ditta Ansaldo si era lamentata che fin da princi­pio non le fosse stato espresso il desiderio di esa­minare un suo materiale a grandi settori di tiro14.

Ancora una volta, quindi, grazie solo a pres­sioni di natura politica l’Ansaldo riusciva ad acquisire una fetta del mercato degli arma­menti, comportandosi in modo del tutto si­mile al più potente cartello costituito dalla Terni e dai suoi alleati.

Da quanto esposto, è difficile riconoscere proprie specificità dell’industria genovese nel settore bellico. Infatti la mancanza di una propria tecnologia consolidata e il con­seguente continuo ricorso a partner stranieri e contemporaneamente al potere politico, caratterizzano la vita di tutte le industrie na­zionali operanti agli inizi del secolo in que­sto particolare settore merceologico.

L’Ansaldo e la guerra europea

La mancanza di un valido ufficio di proget­tazione è sicuramente l’elemento che identi­fica, come più volte detto, le industrie belli­che italiane.

Ricorda in merito l’ingegner Tulio Spiller:Nei primi mesi del 1914 la società Ansaldo aveva in costruzione, per conto della Regia Marina, al­cuni cannoni da 102/35 su affusto a perno centra­le, destinati ai cacciatorpediniere tipo Mirabello, e l’ufficio studi d’artiglieria, da me diretto, attende­va a disegnare, con l’aiuto di quattro disegnatori della società Schneider, francese, progettista delle bocche da fuoco e degli affusti da 102/35 detti so­pra, gli impianti binati da 381/40 per la corazzata Cristoforo Colombo. La dichiarazione di guerra, 4 agosto 1914, interruppe questo studio per il ri­chiamo in patria dei quattro francesi. Qualche tempo prima della dichiarazione di guerra, l’ing. Pauletig, nativo dell’Italia irredenta colpito da grave malattia, erasi ritirato nel suo paese, abban­donando completamente l’ufficio e la carica di di­rettore, che occupava presso lo stabilimento di ar­tiglieria nella società Gio. Ansaldo, ed a sostituir­lo fu destinato l’ing. Camillo Manzitti, del riparto costruzione locomotive, pure della società Gio. Ansaldo, il quale, non essendo pratico delle co­struzioni di artiglieria, per tutti gli anni di guerra, e susseguenti, limitò il proprio compito, e lo assol­se strenuamente, a quanto riferivasi alla direzione generale ed alle stipulazioni contrattuali, senza pe­rò avere alcun ingerenza, in quanto riguardava studi e progetti, che rimasero affidati a me esclusi­vamente, rimasto privo, dopo dichiarata la guer­ra, di qualsiasi aiuto della casa Schneider, troppo impegnata per la difesa della sua patria.

La composizione dell’ufficio tecnico di artiglieria

Il compito era assai grave, dato altresì che da molto tempo non si costruivano in Italia artiglie­rie che fossero il risultato di studi e progetti ita­liani. L’Esercito e la Marina si erano abituati a riceverle da potenti case straniere: Krupp, Arm­strong, Vickers. Il momento era terribile; non mi sono perso, però, di coraggio, e coll’aiuto ed i consigli dei signori Perrone, mi accinsi al lavoro che sono ora fiero d’aver compiuto, fornendo al­l’Esercito combattente armi sempre più perfette e più pratiche, quali erangli indispensabili per com­

14 C. Monté, Storia dell’artiglieria italiana, parte III, voi. VII, cit., p. 1375. Lo stemma con i due cannoni incro­ciati, adottato nel 1912, appare così in tutto il suo velleitarismo. A quell’epoca, l’Ansaldo non aveva probabilmen­te ancora costruito una sola bocca da fuoco completa, in quanto pare verosimile che il 75 mm del 1906 sia stato completamente prodotto dalla Schneider.

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battere e vincere. Alcuni ingegneri e più di cento disegnatori componeva l’ufficio studi di artiglie­ria, da me diretto. Gli operai, che sempre più af­fluivano nella società Gio. Ansaldo e furono, ad un certo periodo della guerra, ben 100.000, lavo­ravano quasi tutti a costruire artiglierie, in base a disegni quasi totalmente eseguiti dall’ufficio studi15.

Le ammissioni dell’ingegner Spiller possono far intuire le reali cause della modesta quali­tà di buona parte degli armamenti prodotti non solo dall’Ansaldo, ma anche dalle altre industrie belliche nazionali. Emerge prepo­tentemente la figura dell'hero designer, il progettista eroe, dittatore indiscusso dell’uf­ficio studi, fenomeno diffuso non solo in Italia, ma anche in Francia e in Gran Breta­gna, che continuò a determinare le fortune dell’industria bellica europea fino alla fine della seconda guerra mondiale.

Tuttavia, a differenza di altre nazioni, le industrie nazionali solo raramente furono in grado di ideare autonomamente un’arma riuscita. Questa affermazione è in particola­re valida per la produzione di artiglierie. Esaminando la tabella 1, dei 18 diversi tipi di artiglierie costruiti dall’Ansaldo durante la grande guerra, solo due modelli di piccole bombarde risultano prodotti non su licenza o plagio integrale di costruzioni altrui, ma sviluppati dall’ufficio tecnico dalla casa ge­

novese. A questa irrilevante produzione, po­tremmo aggiungere l’obice da 105, sviluppo di un pezzo della Schneider di una decina d’anni prima e già presentato ad un concor­so indetto dal nostro Ispettorato.

Tutti sono concordi nell’attribuire allo Stabilimento artiglieria il primato nella pro­duzione di cannoni durante la prima guerra mondiale, tuttavia i dati produttivi sono di­scordanti. Ora si parla di più di 10.000 arti­glierie prodotte dal 1914 al 1919 e i dati del­l’archivio Perrone sembrano confermare ta­le cifra limitatamente alle bocche da fuoco, con una produzione di poco più di 4.200 af­fusti16. Circa vent’anni dopo l’Ansaldo stes­sa ridimensionò queste cifre indicando in poco meno di 8.000 le bocche da fuoco pro­dotte e in circa 3.200 gli affusti costruiti nei medesimi sei anni17. Marco Doria riporta anche una produzione dal 1914 al 1918 di poco più di 6.700 artiglierie18.

L’affidabilità di queste cifre è relativa­mente modesta. In primo luogo si è spesso fatta confusione tra bocca da fuoco e pezzo completo. Considerando questi ultimi, la ca­sa genovese non ha prodotto più di 4.000 ar­tiglierie complete. L’affermazione di Boc­ciardo19, riferentesi oltretutto a un periodo temporale minore rispetto a quello preso in considerazione dai Perrone, nasce poi dal desiderio “di smontare la ‘leggenda che i

15 Tulio Spiller, L ’Ansaldo e l ’artiglieria durante la guerra, Genova, s.e., 1922, pp. 13-14. M. Doria (Ansaldo, cit., p. 113) stima in circa 60.000 i dipendenti del gruppo Ansaldo. Altrove si evince che gli operai addetti alla produzio­ne di artiglierie furono “al massimo” 4.200 dei quali 1.100 impiegati per le lavorazioni meccaniche dei piccoli cali­bri (fino al 76 mm), 1.600 per i medi calibri (fino al 152 mm) e 1.500 per le grosse artiglierie: Relazione sull’attività dell’Ansaldo S.A. dal 1939 al 1943 nel campo della costruzione di artiglierie, in Fondazione Einaudi (Fe), Archivio Rocca (Ar), 14.51.16 Archivio storico Ansaldo (Asa), Archivio Perrone (Ap), serie scatole numeri blu (Ssnb), 532/4.! Produzione artiglierie degli stabilimenti Ansaldo, s.l., 31 ottobre 1939, in Fe, Ar 14.32.

M. Doria, Ansaldo, cit., p. 115. L’affermazione è di Arturo Bocciardo.I dati di Bocciardo non convincono: per quanto riguarda la Vickers-Terni la produzione fino al 1919 risulta di

3.399 bocche da fuoco, marginalmente inferiore alla cifra riportata da Doria (3.496), ma su un arco di tempo mag­giore di un anno. Inoltre la Vickers-Terni non ha prodotto nessun affusto ed ha eseguito il montaggio dei 75/27 (1.574 pezzi), dei 149/12 (527 artiglierie), dei 210/8 (310), dei 149/35 (275 pezzi) utilizzando masse oscillanti e affu­sti forniti dall’esercito o da altre ditte, cfr. Produzione artiglierie degli stabilimenti meccanici Odero Terni Orlan­do, s.l., s.d. (ma 1939, contemporaneo al documento di Rocca, Produzione artiglierie, cit.), in Archivio Ufficio storico Stato maggiore Esercito (Aussme), rep. L10, b. 134.

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fratelli Perrone si sono sforzati di creare’” e contrasta ovviamente con il documento ge­novese della fine del 1919, mirante a perpe­tuare l’immagine di un’Ansaldo “salvatrice della patria” . Non maggior affidabilità può essere attribuita al documento di Agostino Rocca. Sulle tabelle è infatti riportata la se­guente nota: “I dati della presente tabella sono stati ricostruiti in base ad elementi vari a nostre mani, sui quali non si è potuto fare un controllo accurato” . D’altronde, la rela­zione costituisce una difesa della gestione Rocca alle critiche ministeriali sull’organiz­zazione della produzione allo Stabilimento artiglieria e da un confronto con le costru­zioni della prima guerra mondiale si voleva arrivare alla duplice conclusione di non smi­nuire l’opera della nuova dirigenza rispetto a quella perroniana mostrando potenzialità produttive troppo diverse e nel contempo, presentando alcune difficoltà, cercare di ot­tenere nuovi finanziamenti e commesse.

Accennavamo prima alla difficoltà di concepire armamenti riusciti. Nel caso An­saldo, si può decisamente escludere che l’in- gegner Spiller abbia avuto una particolare vena progettuale nel settore delle bocche da fuoco. I lanciabombe vennero tutti rottama- ti al pari dei modesti obici da 105 e lo stesso progettista doveva ammettere in merito al 149/12 Krupp che nel 1916 venne dotato di un nuovo affusto da lui progettato:

Per poterne costruire un grande numero, dato che tutto il macchinario speciale per eseguire le slitte con ricuperatori a aria compressa era impe­gnato per i cannoni da 105, abbiamo dovuto ap­plicare all’affusto dell’obice da 149 un ricupera­tore a molla e quindi un freno a corto rinculo; conseguentemente ne risultò un’arma con rile­vante momento di ribaltamento, inconveniente

piuttosto serio. [..] Quasi tutti i guasti che si eb­bero in questo materiale, furono causati dallo aver fatto fuoco senza prima verificare se nei fre­ni fosse liquido sufficiente. L’affusto, è vero, presentò al principio alcuni lievi difetti, che poi furono eliminati, ma i ripieghi cui siamo ricorsi per produrlo in base alla legge di adattamento ai mezzi, hanno permesso all’Esercito di ricevere grande numero di queste bocche da fuoco, cosa che sarebbe stata impossibile se ci fossimo ostina­ti a voler fare gli affusti con le slitte a aria com­pressa, che avrebbero certamente corrisposto as­sai meglio. In molti casi, e specialmente in guer­ra, il meglio è nemico del bene20.

Non a caso, alla fine della guerra l’esercito preferì ai 149 costruiti dall’Ansaldo e dalla Vickers-Terni, quelli analoghi prodotti dalla Skoda e da essa notevolmente perfezionati. Non ci dilungheremo sugli innumerevoli guai dei 102/35 e dei 105/2821, a causa di una produzione improvvisata, modifiche poco felici al progetto originario e scarso controllo della qualità nelle lavorazioni mec­caniche.

Ma a incrinare ulteriormente l’immagine di un’Ansaldo patriota, contribuiscono le truffe perpetrate ai danni delPamministra- zione militare. Alludiamo alla doppia vendi­ta di “cannoni da 381/40 alla Regia Marina e al Regio Esercito22”, al tentativo di farsi pagare dalla marina una partita di semilavo­rati per i cannoni da 102/35, già liquidata dal Regio Esercito, e al disinvolto uso fatto delle navi della “Società nazionale di naviga­zione” , che pur formalmente requisite conti­nuarono a essere gestite dai Perrone prati­cando i noli liberi.

Rimanendo ai rapporti con la marina mi­litare, l’ammiraglio Ettore Bravetta in un suo agiografico opuscolo, ricorda illustran­do la produzione di navi:

20 T. Spiller, L ’Ansaldo e l ’artiglieria, cit., p. 20.21 Cfr. Lucio Ceva-Andrea Curami, La meccanizzazione dell’Esercito italiano dalle origini al 1943, 2 voli., Roma, Ussme, 1989, vol. I, pp. 68-80.22 Riprendiamo parte del titolo di un capitolo della Relazione della Commissione d ’inchiesta per le spese di guerra (Camera dei deputati, Atti parlamentari, legislatura XXVI, sessione 1921-23, d’ora in poi Relazione spese).

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Per la R. Marina:Allestimento della corazzata Duilio-,95 navi da guerra, cioè: 3 esploratori tipo Mi­

rabello-, 3 cacciatorpediniere tipo Poerio; 2 cac­ciatorpediniere: Ascaro e Litz\ 40 sommergibili; 2 sommergibili posamine; 6 torpediniere costiere; la nave appoggio Cearà di 4.080 tonnellate; 38 motoscafi armati antisommergibili e lanciasiluri;

1 torre corazzata binata per cannoni da 381, con relativa artiglieria, montata a bordo del mo­nitore Faà di Bruno di cui sono noti i grandissimi servizi resi in guerra;

Tutte le macchine motrici, armamenti e gli altri meccanismi di bordo per dette navi da guerra;

600 boe da ormeggio23.

Il brano, poi ripreso acriticamente da Gaz- zo, può essere facilmente confutato, esami­nando la tabella 2, ove sono riportate tutte le costruzioni navali del cantiere Ansaldo as­sieme a quelle della Fiat-San Giorgio, acqui­sita nel 1917 e diventata per breve tempo Ansaldo-San Giorgio. Già Marco Doria ave­va drasticamente limitato la produzione an- saldina a tre esploratori, sei torpediniere, sei sommergibili e 33 Mas24, noi aggiungiamo qualche esploratore, togliendo alcuni moto­scafi, ai quali venne assegnato un numero di costruzione, ma mai impostati sugli scali (e su questo fatto ritorneremo). Anche la pro­duzione dell’Ansaldo-San Giorgio risultò trascurabile e quella del cantiere quasi total­mente antecedente all’avvento dei Perrone. Si può solo attribuire ai loro intrighi politici il tardivo completamento di tre piccoli som­mergibili costieri della classe F, impostati nel 1915 e poi rimasti sugli scali, dopo che la produzione era stata dirottata verso l’estero per lo scarso interesse della marina verso quel tipo di battelli. L’acquisto della Fiat-

San Giorgio procurò tuttavia all’Ansaldo l’opera dell’ingegner Cesare Laurenti, mag­giore del Genio navale e ideatore fra gli altri dei sommergibili tipo F, nominato direttore di quei cantieri fin dalla loro nascita. Non è certo un caso che a quell’epoca PAnsaldo si fosse avventurata nella costruzione di quat­tro sommergibili della classe N e nell’ambi­ziosa realizzazione dei primi due battelli po­samine italiani, tutti su progetto del poi ge­nerale del Genio navale Curio Bernardis.

Abbiamo già ricordato la scarsa fortuna della produzione artiglieresca dell’Ansaldo, in parte dovuta all’insufficiente controllo di qualità nelle lavorazioni meccaniche eseguite da addetti frettolosamente addestrati25, in parte attribuibile a non appropriati interven­ti ai progetti originali. Potremmo tuttavia allargare il discorso anche alla produzione marittima, citando i non certo brillanti risul­tati ottenuti con i 30 Mas costruiti. I moto­scafi avrebbero dovuto essere del tutto iden­tici agli Svan, e l’Ansaldo fu autorizzata a prelevare presso la ditta veneziana “tutti i disegni di progetto affinché le costruzioni ri­sultassero le più possibili uguali”26. Tutta­via, a causa dell’indisponibilità dei motori Isotta Fraschini, l’Ansaldo scelse di utilizza­re i motori americani Sterling di potenza leg­germente inferiore. Tuttavia il sistema scelto per comandare le eliche, senza un riduttore, mise in luce notevoli deficienze nell’inversio­ne di marcia e la non appropriata scelta di timoni e eliche, unitamente a non ben valu­tati centraggi, portò a scarsa manovrabilità (raggio di volta di circa 200 metri) e a pre­stazioni velocistiche del tutto insufficienti ri­spetto al modello originale. Difetti ancor più

'3 Ettore Bravetta, I “fabbri di guerra". Pio e Mario Perrone e il loro storico contributo alla vittoria d ’Italia, Ge­nova, S.E.P., 1930 (I ed. 1929), p. 18. In realtà la torre del Faà di Bruno venne subappaltata dai “Cantieri officine Savoia” al “Cantiere del Muggiano”.

M. Doria, Ansaldo, cit., pp. 117-118.11 fatto è confermato anche da M. Doria, L ’Ansaldo, cit., p. 114 sgg.Ufficio storico della Marina italiana (compilatore Erminio Bagnasco), I Mas e le motosiluranti italiane 1906-

1968, Roma, 1969 (I ed. 1967), p. 139.

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acuiti nel prototipo sviluppato dall’Ansaldo con lanciasiluri interni a prora, caratterizza­to da un peggiore comportamento in mare e da prestazioni ancor più deludenti.

È molto probabile che questi insuccessi evidenziassero anche ai Perrone stessi l’in­trinseca fragilità dell’Ansaldo, dovuta al di­sarmonico e affrettato sviluppo delle attivi­tà. Il crescente gettito di armamenti, co­struiti in un numero sempre maggiore di unità produttive, non era sicuramente ac­compagnato da un pari sviluppo dei quadri tecnici e della manodopera. Altri risponde­ranno che tale fenomeno non colpiva sola­mente l’Ansaldo, ma sicuramente caratte­rizzava tutta l’industria nazionale chiamata per la prima volta a una simile prova. Tut­tavia la concorrenza italiana, anch’essa in­corsa in un numero non certo diverso di in­successi, aveva quantomeno cercato di pro­curarsi i servigi dei pochi tecnici disponibili sul mercato nazionale, fossero essi civili o militari.

Si è spesso parlato del ruolo svolto dai militari negli arsenali civili, sottolineandone il possibile ruolo di strumenti di pressione presso la committenza.

Rimane tuttavia acciarato il fatto che a quell’epoca solo gli ufficiali del Genio, sia per il corso di studi compiuto, sia per l’atti­vità svolta dagli arsenali militari e dal Ge­nio stesso, potevano garantire una qualche esperienza tanto nella progettazione, quan­to nella gestione di una unità produttiva. Non a caso si è ricordato poc’anzi il fatto che alla guida del nascente stabilimento Fiat-San Giorgio venisse chiamato il mag­giore Laurenti27.

La nascita dell’Aeronautica Ansaldo

L’acquisto della Fiat-San Giorgio e l’ingres­so dell’Ansaldo nel mercato aviatorio segnò l’inizio di una diversa strategia dei Perrone nella produzione di armamenti. I primi con­tatti con l’ambiente aeronautico, a dir il vero piuttosto brutali ed espliciti, furono con i fratelli Caproni nel luglio 1916:Desidero che Ella [il dottor Federico Caproni] e suo fratello [il più noto ingegner Gianni Caproni] mi usino la cortesia di venire a passare un’intera giornata nei nostri stabilimenti, ove potrò far loro vedere l’opera nostra, opera di patriottismo puro, precisamente come è la loro, opera di fede e di speranza.

Io ignoro quali siano i legami che li unisce al se­natore Esterle, ma mi terrei onoratissimo se una qualsiasi combinazione potesse unirmi a lor Si­gnori nel campo degli affari, e, fra le altre, mi vie­ne in mente l’idea di disinteressare [c.vo nell’ori­ginale] il senatore in parola mediante il pagamen­to di una somma in contanti.

Si potrebbe così riprendere rapidamente il cam­mino perduto mediante la costruzione di numero­si tipi sperimentali, la formazione di piloti, la creazione di hangars, anche in prossimità del fronte stesso per supplire coll’iniziativa propria alla mancanza di previdenze altrui, così come fac­ciamo noi in altro campo. Noi ieri acquistammo trecento automobili per la creazione di nuove bat­terie di nuovi sistemi non ancora noti, come pri­ma ne avevamo acquistati più [s/c, ma per] la for­mazione di quelle le quali fecero poi cose meravi­gliose nel Trentino. Una volta pronte le acquiste­ranno.

E così si dovrebbe fare per la Marina, mentre noi daremmo grande sviluppo alla costruzione di motori presso i nostri stabilimenti.

La guerra io la vedo come la vedono loro, pre­correre, precorrere, precorrere, ed in ogni cosa

All’Ansaldo erano giunti Nabor Soliani e Baldovino Bigliati, già sottodirettori nell’arsenale di Castellamare di Stabia, e promossi alla direzione del cantiere di Sestri. Non abbiamo tuttavia trovato notizie di una loro significati­va attività progettuale. Analogamente il contrammiraglio Augusto Albini, chiamato alla Armstrong, e poi presi­dente dell’Ansaldo-Armstrong fino alla sua morte, si era occupato sempre dell’attività commerciale. Sul ruolo dei militari nelle imprese private come strumenti di pressione presso la committenza, cfr. Paolo Ferrari, Ammiri istru­zioni statali e industrie nell’età giolittiana. Le commesse pubbliche tra riarmo e crisi economica, “Italia contempo­ranea”, 1990, pp. 453-463.

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superare sempre tutti gli altri concorrenti, e so­prattutto i nemici28.

La marina aveva infatti visto troncati i piani di sviluppo basati su grossi velivoli da bom­bardamento di propria progettazione dalla morte dell’ingegner Bresciani in un incidente di volo avvenuto durante il collaudo dell’o­riginale idrovolante e l’interesse per i bom­bardieri terrestri era ostacolato dal fatto che “per i Caproni, l’Esercito aveva le priorità sulle costruzioni29” e solo aumentando il nu­mero di ditte produttrici si sarebbe potuto soddisfare le richieste dell’altra forza arma­ta. Inoltre la complicata situazione all’inter­no della Società per lo sviluppo dell’Avia­zione in Italia, di cui il senatore trentino di­rigente della Edison Carlo Esterle era il pre­sidente30, illudeva i fratelli Perrone di poter acquisire facilmente non solo i diritti di ri- produzione, ma anche parte della società stessa.

Sembra che i contatti con i fratelli Capro­ni non proseguissero oltre la risposta del dottor Federico Caproni in cui quest’ultimo auspicava che l’Italia venisse liberata “dalle esotiche camarille che, ancor oggi, inquina­

no ed avvelenano la sua vita industriale” e quanto alle proposte dei Perrone si afferma­va genericamente che non si sarebbe lasciato “nulla d’intentato per raggiungere questo scopo31”.

Ben più concreti risultati si ebbero dai col­loqui con il sottotenente Giuseppe Brezzi della Direzione tecnica dell’aviazione milita­re (Dtam). Leggiamo dalla corrispondenza fra costui e i fratelli Perrone:

Facendo seguito al colloquio avuto con la SV [Pio Perrone] mercoledì u.s. a Genova, ho pre­sentato ieri al sig. colonnello Ricaldoni un pro­memoria dettagliato, esponendo tutto il pro­gramma di lavoro già concordato in via di massi­ma con la SV e con i sigg. capp. Savoia e Verdu- zio di questa direzione, per la fabbricazione di un tipo di apparecchio, interessante la nostra avia­zione.

10 La società Ansaldo chiede consiglio alla Di­rezione tecnica dell’aviazione militare per la scel­ta di un tipo di apparecchio da costruire, che pos­sa interessare la direzione stessa nell’attuazione del programma avvenire ed ove possibile, chiede di ottenere i disegni di costruzione dell’apparec­chio eventualmente proposto, allo scopo preci­puo di evitare perdite di tempo dannose.

28 Pio Perrone a Federico Caproni, Roma, 6 luglio 1916 [copia], in Asa, Ap, Ssnb, 1111/22.29 Ufficio di Stato maggiore della Regia Marina (Ufficio storico), Cronistoria documentata della guerra marittima italo-austriaca 1915-1918, fascicolo VII, L ’aviazione marittima durante la guerra, s.l., s.d., p. 14.30 “Nel giugno 1913 il maggiore Giulio Douhet, comandante del Battaglione Aviatori, era intervenuto presso il Mi­nistero della guerra in favore della ditta degli ingegneri Caproni e Faccanoni che si trovava in gravi difficoltà finan­ziarie. Nonostante le vivacissime critiche, il Ministero acquistò lo stabilimento assumendo l’ing. Caproni fra il per­sonale civile. Nel 1914 Caproni ideava il suo bombardiere e Douhet inoltrava la richiesta di L. 15.000 per la costru­zione del velivolo. Il progetto originale venne modificato dall’ufficio tecnico del Ministero (cap. Ricaldoni) e ne venne autorizzata la costruzione. Il 9 dicembre 1914, quando si procedeva alla messa a punto del velivolo, apparve sul ‘Corriere della Sera’ un comunicato del comm. Arturo Mercanti che “dava notizia che il collaudo era avvenuto già di fronte ad una commissione industriale [altri non erano che il Mercanti stesso, i senatori Esterle e Colombo e il commendator Federico Johnson], inavvertito il Ministero. Da ciò, provvedimento che allontanò dal comando Battaglione Aviatori il maggiore Douhet, rinuncia ai servizi dell’ing. Caproni come impiegato dell’Amministrazio­ne; ma dati i risultati ‘veramente notevoli’ dell’apparecchio e l’impossibilità di poterlo costruire in serie negli stabi­limenti ‘militari’ il ricorso al gruppo industriale di cui il Mercanti appariva il capo. E con lettera 29 dicembre 1914, n. 6715, l’Amministrazione Militare commetteva alla società milanese formatasi la costruzione di 12 apparecchi al prezzo di L. 135.000 ciascuno, dando ad essa in affitto lo stesso stabilimento di Vizzola Ticino”, (v. Relazione spe­se, vol. I, pp. 257-258). La non meglio precisata società senza stabilimento e senza nome all’atto della commessa, si evolveva nella “Società per lo Sviluppo dell’Aviazione in Italia” il cui presidente era il senatore Carlo Esterle, ma vi partecipavano anche il senatore Giuseppe Colombo e un Visconti di Modrone oltre al commendator Arturo Mer­canti ed ai fratelli Caproni.31 Federico Caproni a Pio Perrone, Milano, 11 luglio 1916, in Asa, Ap, Ssnb 1111/22.

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2° La società Ansaldo si impegna a procedere alla immediata costruzione di un numero suffi­ciente di apparecchi esemplari, occorrenti a tutte le operazioni della messa a punto, da farsi nel modo più sollecito, il tutto a spese e rischio della società stessa.

3° La società, nel caso, richiederà alla Direzio­ne tecnica un personale tecnico, necessario alla organizzazione della fabbricazione ed alla sua di­rezione.

4° A prove eseguite la società Ansaldo presen­terà l’apparecchio alla Direzione tecnica, la quale deciderà in merito all’opportunità di adottare o meno il tipo. Nel primo caso la società si impe­gnerà di procedere nel modo più sollecito possibi­le alla costruzione del quantitativo di apparecchi, eventualmente commessa dalla Direzione tec­nica. [...]

In seguito alla presentazione di detto prome­moria il colonnello Ricaldoni mi chiamò a collo­quio e mi fece prendere visione (in forma riserva­tissima) di una sua lettera inviata alla Direzione generale di aeronautica a Roma (generale Marie- ni) il giorno 12 corr. nella quale comunicava che SE il generale Dallolio in una sua visita a Torino nel mattino di giovedì u.s. gli aveva di presenza mosso grave appunto per il modo in cui la Dire­zione tecnica di aviazione va impegnando con contratti regolari di lavoro, le Ditte, già prece­dentemente in parte impegnate con il Governo per la fabbricazione di armi e munizioni, facendo particolare riferimento alle società Ansaldo e Breda. [...]

Il colonnello Ricaldoni perciò mi incarica di comunicare alla SV che è ben lieto poter favorire questa nuova iniziativa, fonte di nuova produzio­ne per la nostra aviazione, tanto più presentata nella forma indicata dal precedente promemoria; ma che trovandosi almeno per ora, legato all’or­dine di SE Dallolio non ritiene opportuno richie­dere autorizzazioni a trattare con nuova società di sua iniziativa.

D’altra parte però, poiché è suo intendimento di non cedere in questa questione di capitale im­portanza, e desidera che detta iniziativa non ab­bia a cadere, La prega, per mezzo mio, di indiriz­

zargli, nella sua qualità di Direttore tecnico del­l’aviazione militare (Via Maria Vittoria - Torino) una lettera, nella quale la società Ansaldo espor­rà il programma, che risulta sintetizzato nei quat­tro articoli sopra enunciati.

In questa lettera la società Ansaldo dovrebbe insistere sulla necessità di utilizzare una parte im­portante dei propri cantieri navali di Sestri e di Costaguta di Voltri, cantieri che al presente scar­seggiano di lavoro, nonché di meglio sfruttare il personale, specializzato nella lavorazione del le­gno, impiegato presso detti cantieri. [...]

Il colonnello Ricaldoni prega VS di inviargli detta lettera nel termine più breve di tempo, desi­derando avere occasione per dimostrare alla Di­rezione generale di aeronautica che gli impegni che va assumendo con le diverse ditte la Direzio­ne tecnica non intralciano per nulla la fabbrica­zione delle armi e munizioni, mettendo ancora una volta in rilievo la necessità di dare il maggio­re sviluppo alle iniziative che sorgono, indispen­sabili all’attuazione dei programmi avvenire.

Appoggerà perciò incondizionatamente la pro­posta, proposta che egli ritiene conveniente sotto ogni rapporto.

Intanto io posso assicurare la SV che lo studio dei particolari costruttivi dell’apparecchio è quasi ultimato, e che i sigg. cap. Savoia e Verduzio so­no entusiasti dell’occasione, che loro si presenta, per tradurre in atto un apparecchio di riuscita certa, ed avente caratteristiche nuove fra le attua­li costruzioni.

Per parte mia poi approfitto di questo periodo di trattative per preparare tutti i particolari di studio di organizzazione, onde poter senz’altro entrare in attività, appena la Direzione tecnica avrà concluso in merito a detta costruzione.

Terrò la SV sollecitamente informata di ogni novità in merito a quanto sopra32.

Dalle indagini condotte da Pio Perrone ri­sultava che tanto la concittadina Piaggio quanto la Fiat avevano fatto pressione pres­so il ministero della Guerra per ostacolare i piani dell’Ansaldo33, arrivando a far perve­nire ai Perrone “minacce, dicendo che cree­

32 Sottotenente Giuseppe Brezzi a Pio Perrone, 13 agosto 1916, in Asa, Ap, Ssnb 1107/10 F.33 Pio Perrone a Mario Perrone, Roma, 16 agosto 1916, in Asa, Ap, Ssnb 1107/10 F.

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ranno dei grandi impianti per farci concor­renza34” . A “provocare le ire” delle altre so­cietà era anche la commessa data all’indu­stria genovese di 500 motori d’aviazione. L’Ansaldo si era infatti accordata con la Spa per la costruzione di motori aeronautici presso il nuovo stabilimento di San Martino, specializzato nella produzione di motori a combustione interna di qualsiasi tipo (Diesel e a ciclo Otto) e per ogni impiego (navale, terrestre ed aeronautico). Le minacciate ri­torsioni non spaventavano tuttavia i fratelli Perrone che il 19 agosto 1916 inviavano al tenente colonnello Ricaldoni la richiesta uf­ficiale per ottenere commesse di velivoli35 con una lettera che seguiva esattamente la falsariga proposta dal Ricaldoni stesso. Do­po dieci giorni giungeva la risposta ufficiale:

Abbiamo dato visione al signor Direttore genera­le di aeronautica della vs. lettera a cui si risponde ed il signor Direttore generale ha espressa l’inten­zione che la ditta Ansaldo si dedichi alla costru­zione di idrovolanti iniziando la lavorazione col riprodurre il tipo Fba salvo a dedicarsi in seguito alla costruzione di idrovolanti di grande potenza.

Abbiamo incaricato il sottotenente Brezzi, quale nostro delegato, per raccogliere tutti i dise­gni ed i modelli necessari e per porsi a vostra di­sposizione per iniziare la organizzazione del re­parto aviazione e la lavorazione presso la vostra ditta.

Abbiamo comunicato in data odierna il collo­quio avuto con il vs. comm. Pio Perrone al si­gnor Direttore generale ed abbiamo appoggiata con parere favorevole la domanda che il sottote­nente Brezzi possa essere lasciato in seguito a di­sposizione di codesta ditta.

Ci riserviamo di essere più precisi, circa il pri­mo ordinativo di idrovolanti che faremo alla vo­stra ditta.

Comunicheremo alla vostra ditta i disegni di un aeroplano studiato dai capitani Savoia e Ver- duzio perché, conformemente alle intese verbali col vs. comm. Pio Perrone, venga proceduto nel­le vostre officine alla costruzione di uno o più esemplari di tale apparecchio a titolo di studio e per definirne tutti i particolari e provarne le qua­lità aerodinamiche.

Questo ben inteso senza alcun impegno da parte dell’Amministrazione militare di riproduzione di questo tipo, qualunque sia l’esito della prova36.

Il sottotenente Giuseppe Brezzi veniva di­staccato rapidamente a Genova e già dai pri­mi giorni di settembre 1916 era presso la Fabbrica di motori a combustione interna di Sampierdarena come dipendente civile. Nel giro di pochi mesi (gennaio 1917) nasceva a Borzoli (mare), su di un terreno di 50.000 metri quadrati situato in località “La Fos­sa”, il cantiere aeronautico e l’ingegner Brezzi ne era nominato direttore. Quanto agli idrovolanti Fba, alla costruzione dei quali si stava accingendo anche la concitta­dina Piaggio, essa non venne intrapresa dal- l’Ansaldo che preferì aggiudicarsi la com­messa per 100 idrovolanti Sopwith (marzo 1917)37. I lavori di costruzione dello stabili­mento di Borzoli vennero ostacolati dal mal­tempo per cui i primi tre prototipi dello Sv (Savoia Verduzio, dai nomi dei principali progettisti) vennero approntati in un reparto del cantiere navale Ansaldo38. Nel frattempo era giunto presso la casa genovese anche il sergente Mario Stoppani, pilota da caccia

34 Pio Perrone a sottotenente Giuseppe Brezzi, Roma, 16 agosto 1916, in Asa, Ap, Ssnb 1107/10 F.35 Pio Perrone a tenente colonnello Ottavio Ricaldoni, Roma, 19 agosto 1916, in Asa, Ap, Ssnb 1107/10 F.36 Direzione tecnica dell’aviazione militare a società Gio. Ansaldo & C., Torino, 29 agosto 1916, in Asa, Ap, Ssnb 1107/10F.37 Gli schemi di contratto originali per la fornitura degli idro Sopwith Baby sono datati 8 marzo 1917, cfr. Asa, Ap, Ssnb 1107/10 F. Secondo una relazione a stampa della Dtam (Luigi Moda-Amedeo Fiore, Sviluppo della pro­duzione aviatoria militare nel quadriennio 1915-1918, Roma, Uff. prod. Dtam, 1919) 4 Sopwith vennero prodotti nel 1917 e i rimanenti 96 nel 1918. Una minima parte di questi entrò in servizio con la Regia Marina: tre esemplari nel 1917 e sedici velivoli nel 1918.38 Ingegner Giuseppe Brezzi a commendator ingegner Nabor Soliani, direttore generale del cantiere navale Ansaldo di Sestri Ponente, Borzoli, 16 aprile 1917 (in Asa, Ap, Ssnb 1107/10 F). L’agiografico volume I cantieri aeronautici

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presso la 76a squadriglia39 ed alla fine di febbraio pilota collaudatore e velivolo pro­totipo si trasferirono sul campo di Grosseto per le prime prove di volo.

L’adozione del velivolo non dipendeva tuttavia dalle brillanti prestazioni che poteva vantare, ma da altri fattori. Nella primavera del 1917, il generale De Siebert aveva sosti­tuito il generale Maggiorotti al comando aviatori di Torino e severe critiche iniziaro­no ad essere sollevate a carico del personale della Dtam, cui venivano fatti espliciti adde­biti di “affarismo”. L’operato dei maggiori Savoia e Verduzio e gli stretti legami con l’ingegner Pomilio, già dipendente della Di­rezione tecnica e poi divenuto costruttore, erano aspramente criticati e nell’ottobre 1917 i due ufficiali vennero allontanati dalla Dtam. La commissione d’inchiesta sulle spe­se di guerra non ha tuttavia affatto escluso che all’origine delle inchieste che coinvolse­ro la Dtam, vi fossero “gelosie anche regio­nali [di alcune ditte aeronautiche] ed il tra­dursi di esse in insinuazioni ed accuse”40. La situazione che si andava creando in seno alla Dtam, portò il colonnello Ricaldoni a un minore interessamento verso le sorti del veli­volo, mentre altri personaggi, non sempre formalmente appartenenti all’industria aero­nautica, provocavano in seno alla Direzione generale di aeronautica un interessato ostru­zionismo nei confronti delle realizzazioni della società genovese.

L’Ansaldo tentò di parare le mosse avver­sarie ed agli inizi di giugno del 1917 scrisse alla Direzione generale di aeronautica, chie­dendo lumi sul modo di risolvere il proble­ma delle redevances dei maggiori Savoia e Verduzio:

Durante la costruzione [dello Sv] ci siamo per­messi di portare all’apparecchio numerose va­rianti d’indole costruttiva, avendo cura di consul­tare, caso per caso, i sigg. ufficiali progettisti, i quali ci favorirono, nei limiti del possibile, con slancio, la loro preziosa assistenza.

Siamo giunti così successivamente al finimento della costruzione, all’inizio ed ormai al completa­mento delle prove di collaudo, ottenendo i risul­tati che codesta on. Direzione generale ben co­nosce.

L’apparecchio costruito risponde, per tutto ciò che è studio originale e forma, alle comunicazioni avute dalla Direzione tecnica dell’aviazione mili­tare; per quanto riguarda i dettagli costruttivi, corrisponde al progetto completo da noi ese­guito.

In conseguenza di ciò, codesta on. Direzione troverà certamente equo il nostro desiderio di sta­bilire con esattezza quali siano i diritti di proprie­tà sull’apparecchio nei riguardi dei sigg. maggiori Savoia e Verduzio e della nostra società.

In questo stato di cose, e prima di addivenire alla discussione di eventuali prossime trattative per la costruzione di tale apparecchio, o di cessio­ne in uso dei disegni costruttivi con il nostro Go­verno o con Governi esteri, [...] abbiamo inter­pellato i detti signori per un eventuale accordo circa la cessione dei loro diritti.

Essi ci comunicano di non poter entrare in tale discussione se prima la superiore autorità non ha loro impartito istruzioni in merito.

Compresi delle ragioni che inducono i signori maggiori Savoia e Verduzio a darci tale risposta, abbiamo l’onore di chiedere a cotesta on. Dire­zione generale di voler concedere l’autorizzazione ai detti signori ufficiali di trattare con noi allo scopo di ben definire i reciproci rapporti negli impegni contrattuali che saremo prossimamente per assumere con i diversi Governi41.

È forse importante notare che il problema venne affrontato nell’adunanza del 9 no-

Ansaldo (Torino, ed. f.c ., s.d. ma 1921) scriveva invece che “prima ancora che le officine fossero ultimate, sotto pochi metri di tettoia, pochi uomini, poche forze materiali e pochi mezzi, ma una volontà accesa, avevano comple­tato due o tre campioni di Sva” (p. 3).39 Sull’inizio dei rapporti tra Stoppani e l’Ansaldo, cfr. Giorgio Evangelisti (Cento aeroplani e un grande cuore, Milano-Modena, Artidi, 1969) che riporta il testo di due lettere dell’ingegner Brezzi (p. 39 e 42).40 Relazione spese, vol. I, p. 304.41 Società Gio. Ansaldo & C. a Direzione Generale di Aeronautica, Roma, 1° giugno 1917, in Asa, Ap, Ssnb 1107.

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vembre 1917 della Commissione centrale tecnico-amministrativa e nonostante il co­lonnello Ricaldoni propendesse “a sostenere doversi agli ufficiali un compenso” e l’ono­revole Chiesa, commissario generale, si di­chiarasse contrario alle rivendicazioni del- l’Ansaldo, i maggiori Savoia e Verduzio non ebbero inizialmente riconosciuto alcun com­penso42. Tuttavia a partire dal giugno 1917 il velivolo venne denominato “Sva” nella cor­rispondenza, nuovo acronimo in cui alle ini­ziali dei cognomi dei due principali progetti­sti era stato aggiunto anche il nome della so­cietà produttrice.

La lettera permette inoltre di affermare che dopo tre mesi di prove, sicuramente più soddisfacenti di quelle di altri velivoli con­temporanei ordinati oltretutto in gran nu­mero a progetto appena abbozzato (ad esempio i Caproni 600Hp e i Sia 7B), nessu­na commessa era stata ancora data all’An- saldo. Tuttavia, i fratelli Perrone, con una tattica ormai sperimentata, iniziarono la co­struzione di un nuovo cantiere aeronautico in Valle Polcevera nel territorio del comune di Bolzaneto. Il nuovo stabilimento, deno­minato “Cantiere aeronautico n. 2”, era do­tato di un campo di volo e permetteva ai fra­telli Perrone di promettere 500 Sva entro la fine del 1917 e 1.200 apparecchi nel primo semestre del 1918 qualora essi si fossero sen­titi “validamente sorretti” oltre che dal “va­lido appoggio morale e materiale” della Dtam anche da “una sanzione contrattuale del nostro lavoro”43.

Per ovviare alle difficoltà contingenti di approvvigionamento del motore Spa 6A, l’Ansaldo stava studiando l’adozione di altri motori “di produzione numerosa e costan­

te” con risultati “che promettono di essere paragonabili, se non maggiori a quelli già ottenuti”44, e, probabilmente giunta a cono­scenza delle prime difficoltà frapposte dai piloti da caccia al velivolo, iniziava ad ap­prontarne una versione da bombardamento diurno. L’ingegner Brezzi abilmente dimo­strava infatti come i bombardieri “tri-mo­tore [...] in uso” (i Caproni), dovendo viag­giare ad una quota di 4.000 metri per evita­re la reazione contraerea, non potessero trasportare più di 200 chilogrammi di bom­be e richiedessero un velivolo da caccia di scorta ogni due bombardieri per contrastare gli apparecchi nemici. Uno Sva poteva por­tare 150 chilogrammi di bombe e, dopo averle sganciate, era in grado di disimpe­gnarsi facilmente con la caccia avversaria. Inoltre una ipotetica azione su Pola parten­do da Grado avrebbe richiesto solo un’ora e mezza contro le due ore e cinquanta dei trimotori: era quindi possibile utilizzare i velivoli in più azioni nella stessa giornata con evidente risparmio di mezzi45.

Il 19 luglio 1917 l’ingegner Brezzi poteva finalmente comunicare ai fratelli Perrone che era giunto il primo ordine di 500 Sva con consegna entro il 31 dicembre 191746. La reazione dei proprietari alla notizia è documentata in una lettera del 24 luglio 1917:Mi congratulo per l’ordinazione dei 500 appa­recchi ottenuta dalla Direzione di aviazione di Torino, però, a dirle francamente, non ne sono troppo soddisfatto.

Io mi attendevo assai di più: speravo che avrebbero ordinato almeno 2000 apparecchi.

Pazienza! Ottenga almeno che il pagamento sia fatto per il 50 per cento all’ordine, come usa il Ministero della guerra e, come già scrittole

4" Relazione spese, cit., vol. I, p. 276.43 Società Gio. Ansaldo & C. a Direzione Tecnica Aviazione Militare, Genova 30 giugno 1917, in Asa, Ap, Ssnb 1107.44 Si veda la lettera citata nella nota precedente.45 Ingegner Giuseppe Brezzi a commendator Pio Perrone, Borzoli, 20 giugno 1917, in Asa, Ap, Ssnb 1107.4f> Ingegner Giuseppe Brezzi a commendator Mario Perrone, Borzoli, 19 luglio 1917, in Asa, Ap, Ssnb 1107.

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con la mia precedente dell’l l marzo n. 70-1/269, eviti possibilmente le multe.

È necessario premunirsi dalle infinite e gravi difficoltà del momento, anche con la migliore buona volontà ed attività non si può raggiungere molte volte lo scopo prefissoci.

Sarebbe bene poi ottenere anche la garanzia di nuove ordinazioni per tutto il 1918, poiché se ab­biamo incontrato tante spese per avere una sola ordinazione non era proprio il caso di sottostare a così ingenti sacrifici47.

La Dtam voleva infatti ordinare gli Sva alla condizione che venissero forniti completi di motore, accumulando così le multe per la ri­tardata consegna sia del motore sia dell’ap­parecchio su di un unico fornitore. L’Ansal- do si oppose ad una simile proposta e le trat­tative non si erano ancora risolte nell’otto­bre 1917.

Nonostante la firma dell’atto di sottomis­sione fosse ancora lontana, già nell’agosto 1917 gli Sva iniziarono ad essere consegnati alle squadriglie, venendo dotati di una ver­sione di motore meno potente nel tentativo di ovviare alla discutibile affidabilità del propulsore.

Sembra che i piloti non apprezzarono il nuovo velivolo: “il loro giudizio variava dal­la riserva di Baracca all’aperta ostilità di Ba- cula, che fotografò il suo fox terrier mentre alzava la gamba sulla ruota dello Sva48” e a poco servirono i raid compiuti da Stoppani (Torino-Udine e ritorno alla media di 220 km/h) e da Lombard (Malpensa-Foggia-Bo- logna alla media di 250 km/h) con gli Sva dotati del motore originale più potente.

Nella relazione stilata dalla commissione composta dal maggiore Piccio, dai capitani Baracca, Bolognesi, Buzzi, dai tenenti Ran-

za, Costantini, Sabelli, Di Rudinì e dal sotto tenente Olivari, si legge:

Ciascun pilota ha eseguito voli cogli apparecchi Sva testé giunti e sui quali è stato qui completato l’armamento e la messa a punto dei motori.

Tali apparecchi hanno velocità e potere ascen­sionale sensibilmente inferiore al tipo presentato per la prima volta a Torino, e ciò probabilmente per il minor rendimento dei motori di serie, ri­spetto a quello montato su primo apparecchio. Tale velocità è stata giudicata 200-205 km/h al massimo.

Per quanto ha tratto all’armamento occorre­rebbe, per avere un reale vantaggio sugli apparec­chi ad una sola mitragliatrice, che nella stessa unità di tempo, a qualsiasi regime di motore, il numero dei colpi fosse sugli apparecchi a due mi­tragliatrici doppio di quello che può essere scari­cato sugli apparecchi ad una sola arma. Ma poi­ché sullo Sva, le cammes di comando sono dispo­ste in maniera da permettere lo scatto soltanto ad ogni giro di elica [...] ne viene di conseguenza che [...] il numero di colpi che si possono far partire sullo Sva due mitragliatrici, è presso a poco egua­le a quello che si può far partire sullo Spad (una mitragliatrice). [...]

Resta l’inconveniente delle armi lontane dal pi­lota, inconveniente ridotto solo in parte, dalla le­va di disinceppamento.

Altro inconveniente è il serbatoio grande a pressione, e collocato nella fusoliera senza dispo­sitivo contro l’incendio. [...]

Il difetto più grave dello Sva e sul quale tutti i piloti sono d’accordo nelle loro relazioni, è quel­lo della limitata maneggevolezza, maneggevolez­za indiscutibilmente inferiore a quella degli appa­recchi da caccia attualmente in servizio49.

La condanna in appello del velivolo nella sua configurazione da caccia giunse il 9 di­cembre 1917, quando una commissione for-

47 Commendatore Mario Perrone a ingegner Giuseppe Brezzi, Genova, 24 luglio 1917, in Asa, Ap, Ssnb 1107.48 Riprendiamo la testimonianza dell’ingegner Guido Guidi da Aa.Vv., Ali italiane, 4 voli., Milano, Rizzoli, 1978, vol. I, pp. 188-190. Cfr. anche Aa.Vv., Profili di aerei militari della I guerra mondiale, Milano, Fabbri, 1973, p. 185.49 Relazione apparecchio S. V.A. del 18 settembre 1917, in Archivio ufficio storico Stato maggiore Aeronautica, b. 132/12.

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mata da piloti quali Piccio e da tecnici co­me Rosatelli riesaminò lo Sva ed il nuovo Ansaldo A .l. Le conclusioni non furono difformi dalle precedenti:

Visti i rapporti dei piloti da caccia del 14 set­tembre ed il rapporto del Comando supremo in data 20 novembre, pur riconoscendo all’appa­recchio Sva caratteristiche ottime di velocità di salita e di carico, non si ritiene che il detto ap­parecchio possa essere impiegato per i servizi di caccia in quanto che le sue qualità di manegge­volezza sono inferiori a quelle degli altri appa­recchi da caccia già in servizio, poiché questa dote è essenziale per l’utile impiego dell’appa­recchio e tale da far considerare, entro certi li­miti, come secondarie le altre qualità.

L’apparecchio Sva ha però una autonomia ri­levante, autonomia che, date le sue qualità di capacità, può essere portata a valori maggiori dell’ordinario, fatto del quale non si può non tener conto nello studio dell’impiego dell’appa­recchio50.

Nel tentativo di far accettare il velivolo al­l’amministrazione militare, PAnsaldo pone­va allo studio nuove versioni. La prima di cui si ha notizia è il cosiddetto “idrovolante Ansaldo”, poi denominato “Am” (Ansaldo marino) dalla ditta e Isva dalle autorità mi­litari, che era ottenuto dalla trasformazione di velivoli terrestri con la semplice sostitu­zione del carrello di atterraggio con due galleggianti che potevano essere di forma cilindrica con alette tipo “Guidoni” o con fondo piatto a redan prelevati dai Sopwith in costruzione. Il prototipo, dotato di uno dei motori originali sur compressi, mostrava alle prove prestazioni velocistiche netta­mente migliori del concorrente Nieuport- Macchi M.5 e Pio Perrone si affrettava a scrivere all’ammiraglio Thaon di Re­vel, capo di Stato Maggiore della marina,

magnificando le doti del velivolo con i chiari intenti di ottenere una commessa:La maneggiabilità, la docilità di manovra, sono ottime e le prove di acrobatismo dimostrano che l’idrovolante possiede quasi intieramente le ca­ratteristiche dell’aeroplano. Esso fece virages, viti, ecc., nonché tre loopings centrali perfetti. Pure ottimi riuscirono il decollaggio e l’amma­raggio.

Mi permetto di far presente a Y.E. che mentre l’Aviazione è in crisi, sarebbe forse conveniente che la R. Marina ci ordinasse gli idrovolanti dei quali ha bisogno; essendo noi pronti o disposti ad assumere senz’altro l’ordinazione stessa. I risul­tati del nostro idrovolante sono tali da dare alla R. Marina il sicuro affidamento di acquistare de­gli apparecchi ottimi sotto ogni riguardo51.

Col passare del tempo, tuttavia, anche le prestazioni dell’idrovolante iniziarono a peggiorare a causa dell’adozione del moto­re normale, e, pur avendo ottenuto alle prove di omologazione prestazioni migliori di quelle richieste dalla marina, preoccupa­va la scarsa affidabilità del propulsore ed inoltre il tenente di vascello Luigi Bologna ed il sottotenente di vascello Martinengo, contraddicendo le affermazioni dei Perro­ne, dichiaravano che:

L’idrovolante ha dimostrato ottime qualità di volo; però si è avuta l’impressione che le qualità evolutive, specialmente sotto l’aspetto “rapidità di evoluzione” siano notevolmente inferiori a quelle di un vero apparecchio da caccia terre­stre. [...]

Viceversa [rispetto all’ammaraggio dichiarato facile e sicuro], operazione più delicata è la par­tenza, che richiede sempre un percorso in acqua considerevole, di gran lunga superiore a quello necessario per gli apparecchi a battello centrale, non solo, ma il pilotaggio di questo idrovolante, quando esso cammina sulle alette, è assai deli­cato.

50 Verbale provvisorio sull’esame dell’apparecchio S. V.A., Torino, 9 dicembre 1917, in Asa, Ap, Ssnb 1107.51 Commendator Pio Perrone al viceammiraglio Paolo Thaon di Revel, Roma, 25 ottobre 1917, in Asa, Ap, Ssnb 1107.

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L’idrovolante obbedisce bene ai timoni acquei a piccola velocità, però ha un diametro di evolu­zione con calma di vento molto grande (certo su­periore ai 60 m).

Questo inconveniente, insieme con l’altro della non lieve difficoltà di messa in acqua e ricupero dell’idrovolante con le sistemazioni precedente- mente usate, particolarmente per i carrelli attual­mente in uso, costituisce il maggior difetto del­l’apparecchio. Si fa presente che attualmente oc­corre maneggiare sugli scivoli un apparecchio che pesa circa kg 1.000 su di un carrello che ne pesa circa 700. L’immersione dei galleggianti, causa le alette, è di circa 60 cm, e questo rende impossibile l’eventuale discesa su di un basso fondo, e diffici­le sempre l’attraccaggio ed il recupero.

Non si sono potute eseguire esaurienti prove di discesa e partenza in mare mosso, però l’impres­sione riportata è quella che, grazie alla solidità dell’apparecchio, e dei galleggianti, all’altezza delle ali sull’acqua ed alla limitata apertura delle ali, quest’idrovolante possiede buone qualità ma­rine, che permetterebbero l’impiego sul mare a di­stanze considerevoli dalla base.

Quando poi, con opportune modifiche, si riu­scisse ad ottenere un alleggerimento sensibile del­l’apparecchio, ed un miglior concentramento del­le masse, e quindi una miglior inerzia di evoluzio­ne, l’apparecchio potrebbe rispondere alle esigen­ze di un apparecchio da caccia.

Dalle considerazioni suesposte, la Commissio­ne ritiene che questo idrovolante risponda meglio degli apparecchi attualmente in uso per i servizi di caccia al largo e per rapide ricognizioni lontane. Data però la relativa lentezza delle operazioni di messa in mare e partenza con le attuali sistemazio­ni di squadriglia, difficilmente potrà essere impie­gato per difesa delle basi navali52.

Sebbene la Relazione sulle spese di guerra sostenga che a fine ottobre 1917 erano in

corso trattative per commesse ammontanti a 2.840 Sva nelle varie versioni, tale cifra si ri­dusse col tempo a soli 2.400 velivoli53 che si sarebbero dovuti consegnare nel 1919 e la quota spettante ai Cantieri aeronautici An­saldo non superava complessivamente i 1.600 apparecchi.

Nel frattempo i fratelli Perrone avevano acquisito la Sit di Torino, che diveniva il can­tiere aeronautico n. 3, la San Giorgio, che progettava i motori 4E-14 (sei cilindri come lo SPA 6A) da 280hp e 4E-28 (dodici cilindri a V) da 520hp previsti entrambi per l’impie­go sullo Sva e costruiva su licenza lo SPA 6A, e si apprestavano ad incorporare la Spa stessa.

Anche se risulta che nel 1917 siano stati prodotti solo 62 Sva, a fine dello stesso anno “uscivano dallo stabilimento di Borzoli 10 apparecchi Sva al giorno con motori Ansal­do”54. Ed una produzione ancora maggiore si sarebbe raggiunta quando si fosse attrezza­to il Cantiere aeronautico n. 3, costruito su un’area fabbricabile di 1.600.000 metri qua­drati prospiciente il corso Peschiera e con una superficie coperta di 61.100 metri qua­drati. Le commesse in atto non sfruttavano quindi che in minima parte la potenzialità degli stabilimenti e l’Ansaldo pensò di rivol­gersi al mercato estero.

Una missione guidata dall’ingegner Alber­to Triaca, già direttore tecnico della Sit, giunse a Parigi il 16 settembre 1917 per pre­sentare ufficialmente il velivolo alla Com­missione militare del governo francese. Della missione faceva parte anche il capitano Cro­ce in qualità di pilota. Le prove di volo furo-

52 Asa, Ap, Ssnb 644/16. La relazione della Commissione riguarda le prove condotte dal 25 gennaio al 24 febbraio 1918 sui tre esemplari di “Idrovolantc Ansaldo” (I.A. nel testo del documento) provati. Secondo la citata relazione ufficiale della Regia Marina (Cronistoria guerra marittima, p. 57) il velivolo, denominato per l’occasione S.V.A.I., ebbe “scarso impiego perché poco maneggevole e soggetto ad avarie nel servizio in mare”. Nella tabella di p. 64 si ricorda come Io “I.S.W .A .” entrasse in servizio in 39 esemplari nel 1918, diciassette dei quali radiati prima della fi­ne della guerra.53 Relazione spese, vol. I, p. 303.54 Relazione senza titolo e senza data, ma presumibilmente del 1922, sullo stato dei Cantieri aeronautici, in Asa, Ap (carte non ancora inventariate).

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no effettuate a Villecoublay dal primo gior­no di ottobre fino al 16 dello stesso mese, al­la presenza anche delle missioni militari americana guidata dal colonnello Bolling, di quella inglese e belga.

La missione italiana si trasferiva il 19 ot­tobre a Londra per una nuova presentazione del velivolo contemporanea a quella dello Sia 7B, che giungeva in volo in Gran Breta­gna direttamente da Torino il 24 settembre con ai comandi il capitano Giulio Laureati ed il motorista Tosa (o Tonso).

L’ingegner Triaca così concludeva il suo resoconto sull’esito della missione:

La possibilità della vendita dello Sva all’estero di­pende da tre circostanze:

1° Possibilità di costruire in Italia dalla ditta Ansaldo l’apparecchio Sva con motore Spa del ti­po Balilla [cioè il surcompresso] in numero suffi­ciente da poter anche fornirlo per l’estero ed in tale caso, appena stabilita la produzione dei can­tieri aeronautici ed il fabbisogno del governo ita­liano, sarà possibile fare concrete proposte a mezzo del governo o direttamente dalla casa An­saldo ai governi americano, francese, inglese e forse anche russo;

2° Costruzione in Italia dell’apparecchio Sva con adattamento dei motori Hispano Suiza o Lorraine Dietrich per la Francia, che sono i mo­tori di cui vi è forse maggiore disponibilità al pre­sente; per l’Inghilterra si potrebbe studiare un adattamento con motore B.H.P. 220hp il quale è verticale a sei cilindri. Circa gli Stati Uniti il mo­tore di fabbrica nazionale Liberty non potrà esse­re adattato; per la Russia non può considerarsi per ora nessuna costruzione nazionale russa;

3° Costruzione in Francia ed in Inghilterra di apparecchi Sva per essere adattati ai motori esi­stenti, a mezzo di concessionari o direttamente, fondando dei cantieri aeronautici Ansaldo sia in Francia che in Inghilterra55.

Le prospettate vendite in Francia e Gran Bretagna non si realizzarono e neppure l’at­tività della Gio. Ansaldo & Co. American

Branch di New York portò a risultati con­creti. Venne progettato un raid New York- Chicago, ma questo non venne realizzato anche per le difficoltà, spesso speciose se­condo gli uomini Ansaldo, frapposte dal ge­nerale Tozzi, capo della missione militare italiana negli Usa. A sentire l’opinione della ditta genovese, l’alto ufficiale sembrava nu­trire maggior sollecitudine nei confronti di altre ditte aeronautiche italiane concorrenti ed ostacolava i rapporti della consociata americana con gli enti militari ed industriali di quel paese.Allorquando arrivarono in America gli aeropla­ni, il Riparto aviazione era sotto il maggiore Per­fetti, il quale era molto apprezzato in America, specialmente dal governo americano; e con Per­fetti, noi crediamo si sarebbe potuto fare qualche cosa di concreto.

A questo riguardo, io ebbi subito con lui diver­se conferenze; ma il Perfetti ebbe la malaugurata idea di venire in Italia, ed il generale Tozzi, col suo spirito autocrate e distruttore, distrusse l’uf­ficio di Perfetti, e avocò a sé anche la parte avia­toria.

Fra le altre cose il generale Tozzi non sa una parola di inglese, e quindi le cose son rimaste in mano a ufficiali subalterni, i quali ben poca auto­rità possono avere con quelle americane; e questa è una prima ragione dell’insuccesso, diremo com­merciale, dell’impresa.

Si immagini la S.V. illma che l’aviatore Ada- moli, che monta un idroplano Macchi, chiese di poter prendere parte al concorso per la coppa che è stata messa in disputa dal governo americano, ed il generale Tozzi rifiutò di lasciarlo prendere parte a questa gara perché, egli disse, non è bello portar via una coppa agli americani, tanto più, egli soggiunse, che insieme alla coppa vi è un pre­mio in denaro. Gli americani diverrebbero gelosi degli italiani, così concluse. [...]

Per parlare dello Sva, cominceremo col dire che, non appena arrivato l’aviatore Gino [Gian- felice], noi credevamo si potessero fare tutte le prove in pochi giorni; invece durarono circa tre mesi.

55 Ingegner Alberto Triaca al commendator Mario Perrone, Torino, 1° novembre 1917, in Asa, Ap, Ssnb 1107.

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Durante tutto questo tempo, ci recammo tre volte a Langley Field, e constatammo che le cose procedevano assai lentamente.

Chiedemmo spiegazioni al sig. Gino per tele­gramma, per telefono, per lettera, ma non abbia­mo avuto il piacere di avere un rapporto detta­gliato di quello che si stava facendo.

Finalmente finite le prove, avemmo il piacere di vedere il sig. Gino, al quale chiedemmo un rapporto scritto, che qui alleghiamo in copia.

Anche da questo rapporto, si capisce ben poco di quello che sia stato fatto a Langley Field. Il rapporto è fatto a base di “inaspettati incidenti e contrarietà” che, però, non sono spiegate.

La nostra opinione è che se la son presa como­da tutti. Capirà bene: ogni giorno che passa, son 32 dollari (270 lire) che entrano!

Non siamo maligni; siamo franchi56.

Le opinioni ansaldine di un boicottaggio nei loro confronti trovano una certa attendi­bilità anche in altri fatti. A nulla approdaro­no i tentativi privati di Sebastiano Raimondi con la “Liberty” per ottenere un nuovo mo­tore a 8 cilindri, che venne nel frattempo ab­bandonato, o quello a 6 cilindri in linea per il mancato appoggio della missione militare italiana, che inoltre sbadatamente fornì alla rivista “Aerial Age” informazioni sul velivo­lo indicandolo solamente con la sigla “Sv” e mai citando l’Ansaldo. Il pilota collaudato­re dell’Ansaldo, infine, probabilmente non potendo volare sul velivolo della ditta che lo aveva a stipendio per i continui contrattem­pi, si manteneva in esercizio presentando i concorrenti bombardieri Caproni.

Sfumate le possibilità in Italia e presso gli Alleati di ottenere importanti commesse per lo Sva da caccia, l’Ansaldo si affrettò a pre­sentarne nuove versioni per il bombarda­

mento e la ricognizione, in quanto il 26 gen­naio 1918 la Dtam comunicava ufficialmen­te all’Ansaldo che lo Sva era “definitiva­mente scartato come apparecchio da cac­cia”57 e molti degli apparecchi costruiti, pri­vi di ogni armamento, vennero inviati diret­tamente alla scuola della Malpensa.

Il velivolo, al pari di altre notevoli costru­zioni italiane di quel periodo, sarebbe rima­sto nel ricordo di pochi appassionati se, gra­zie alle carenze produttive dell’industria na­zionale, non fosse stato introdotto nei repar­ti in alcuni esemplari. L’azione dimostrativa su Innsbruck del 20 febbraio 1918 e la cele­brata finta caccia tra Gino Allegri e lo Spad di Ferruccio Ranza illustrarono la bontà del velivolo che, seppure di meno facile pilotag­gio, non era inferiore ai celebrati apparecchi francesi, se condotti da piloti preparati58. Non ci soffermiamo sulle altre notissime im­prese a cui lo Sva partecipò preferendo ri­cordare che alla fine della guerra l’Ansaldo arrivò a possedere 5 cantieri aeronautici con l’acquisizione nel 1918 della Pomilio.

Rimanendo alla produzione bellica e vo­lendo individuare le commesse passate al- l’Ansaldo e non ancora espletate a fine di­cembre 1918, potremmo elencare: una com­messa per 135 apparecchi Am (o Isva) al prezzo unitario di lire 28.000, 48 dei quali collaudati entro fine dicembre 1918 e 9 da collaudarsi (unità produttiva: cantiere n. 1, Borzoli mare); una commessa per 900 Sva monoposto a lire 23.750 cadauno (collaudati 286 velivoli approntati a Borzoli e 261 della Sit, con rispettivamente 10 e 62 apparecchi in attesa di collaudo); una commessa per 100 Sva 9 a lire 29.900 cadauno (collaudati

56 Ragionier Sebastiano Raimondo a commendator Mario Perrone, New York, 29 dicembre 1917, in Asa, Ap, Ssnb 664. Sull’attività dell’Ansaldo negli U .S.A. si veda Ferdinando Fasce, L ’Ansaldo in America (1915-1921), “Studi &Notizie”, n. 11, aprile 1983.57 Direzione tecnica dell’aviazione militare a Società Ansaldo, Torino, 26 gennaio 1918, in Asa, Ap, Ssnb 644/8.58 II noto “Fra’ Ginepro” riuscì a mettersi in coda per ben due volte a Ranza, che non fu in grado, nonostante le numerose manovre acrobatiche tentate, di scrollarselo di dosso. Gino Allegri descrive il finto combattimento in una lettera alla madre del 20 febbraio 1918, riportata in “Nel Cielo”, 1919, n. 1, p. 1.

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81 velivoli approntati a Borzoli e 5 della Po- milio, con rispettivamente 5 apparecchi di Borzoli e l i della Sit e 29 della Pomilio in at­tesa di collaudo); una commessa per 1.600 Al (Balilla) a lire 22.500 cadauno (collaudati 145 velivoli approntati a Borzoli e 14 dalla Sit, con 62 apparecchi di Borzoli in attesa di collaudo); una commessa per 600 Sva 10 a li­re 31.400 cadauno (collaudati 123 velivoli approntati a Borzoli e 5 dalla Sit, con 51 ap­parecchi di Borzoli e 9 della Sit in attesa di collaudo); una commessa per 500 P.E (pro­getto Pomilio antecedente all’acquisizione dello stabilimento) a lire 32.500 cadauno (collaudati 411 velivoli approntati alla Pomi­lio e fornitura sospesa in favore dell’Ansaldo A.3); una commessa per 500 A.3 (elabora­zione del Pomilio) a lire 35.000 cadauno (col­laudati 48 velivoli approntati alla Pomilio, con 95 apparecchi in attesa di collaudo59).

A questi velivoli prodotti devono essere aggiunti i 100 Sopwith Baby costruiti a Bor­zoli, ottenendo così 1.770 apparecchi fabbri­cati nel biennio 1917-1918 dai cantieri aero­nautici della Gio. Ansaldo. Una cifra ben in­feriore ai 3.800 aeroplani vantati dai Perrone attribuendo all’Ansaldo le costruzioni della Sit e della Pomilio precedenti al loro incor­poramento, ma comunque di tutto rispetto se paragonata ad esempio a quella della Sia del gruppo Fiat (cfr. tabella 3).

Tuttavia, utilizzando come indicatore la permanenza di questi tipi di velivoli nelle nostre forze armate, si nota che tanto i Po­milio P.E, quanto gli Isva, gli A.l e A.3

vennero tutti radiati o durante il conflitto o immediatamente dopo, segno evidente di una loro minor validità rispetto ad altri mo­delli. Solo gli Sva monoposto e biposto ri­masero ancora a lungo negli inventari della nostra aeronautica e in tal caso solo il 50 per cento della produzione aviatoria Ansaldo può essere considerata rispondente alle esi­genze di una forza armata.

L’abbandono dell’attività aeronautica

Tentando un primo bilancio sull’attività del­l’Ansaldo durante la grande guerra, si nota un’evoluzione nei prodotti degli stabilimenti. Con l’acquisizione di Fiat-San Giorgio, Sit e Pomilio e i sempre più stretti legami con la Spa60, i Perrone ottennero il duplice risultato di garantirsi le prestazioni di validi progetti­sti e di poter fornire armamenti completi, con possibilità di maggiori utili.

Rovinatisi i rapporti con Umberto Sa­voia61 e Rodolfo Verduzio62 a causa dei di­ritti sullo Sva, i Perrone non riuscirono, nel loro tentativo di potenziare lo staff tecnico, a ottenere nel 1919 la collaborazione dell’in- gegner Celestino Rosatelli63, che nel 1918 era stato assunto dalla Fiat. Tuttavia l’attività degli ingegneri Brezzi, Soria, Spiller, Triaca e Turrinelli portò un notevole contributo al­la qualità dei prodotti Ansaldo.

All’ingegner Tulio Spiller, ad esempio, si devono il fortunato progetto dell’autoblinda su telaio Lancia 1Z, prodotta in 138 esem-

59 Ingegner Giuseppe Brezzi a commendator Mario Perrone, Borzoli, 7 febbraio 1919, in Asa, Ap, Ssnb 796.60 La maggioranza del pacchetto azionario della società passò all’Ansaldo nel 1919. La ditta si avvaleva dell’opera dell’ingegner Aristide Faccioli, pioniere dell’aviazione, e ideatore del motore aeronautico Spa 6A, il più diffuso tra i propulsori aeronautici italiani di quegli anni. La società passò sotto il controllo della Fiat nel 1926.61 Lasciato nel 1929 il servizio attivo, il generale Umberto Savoia diresse le varie attività della Fiat e aziende conso­ciate nel campo dell’aviazione, quale capo della Direzione tecnica commerciale d’aviazione.62 Al generale Rodolfo Verduzio sono da attribuire molti progetti della Caproni Taliedo del periodo 1920-1924 e dopo il 1934.63 L’ingegner Rosatelli, progettista di tutti i velivoli della Fiat e poi dell’ “Aeronautica d’Italia” fino al ben noto CR42 del 1938, aveva già accettato di passare all’Ansaldo, dimettendosi dalla Fiat e dichiarando ufficialmente di dedicarsi all’insegnamento, incassando per di più le prime rate del premio promessogli dai Perrone.

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plari durante la guerra e per lungo tempo in servizio, i vari tipi di autocannoni e il pro­getto della blindatura del carro armato Fiat 2000. Giuseppe Brezzi fu, invece, tra gli ar­tefici del successo dei cantieri aeronautici64, successo che venne confermato nel dopo­guerra con la costruzione dell’Ansaldo A.300, velivolo da ricognizione la cui licenza venne ceduta nel 1920 assieme a quella del- l’A.l alla polacca “Zaklady Mechaniczne E. Plage & T. Laskiewicz”65. Purtroppo non siamo in grado di documentare in modo esaustivo l’attività di quella che con l’assem­blea del 24 aprile 1920 divenne 1’ “Aeronau­tica Ansaldo”, nuova ragione sociale della controllata “Società Anonima per Costru­zioni Aeronautiche ingegner O. Pomilio & C.”. Da un punto di vista societario la nuo­va ditta era autonoma e la presenza della Fiat divenne sempre più marcata culminan­do nel 192466 con la nomina a presidente del- l’ingegner Guido Fornaca, già amministra­tore delegato della Sia67, e a consigliere del­l’avvocato Edoardo Agnelli. Da un punto di vista industriale è poi difficile valutare l’ef­fettiva produzione nel triennio 1920-1922. Due Isva e 18 Sva 10 vennero ad esempio venduti al Brasile68 e due Sva 9 e un Balilla alla Spagna, ma è dubbio che si trattasse di

nuove costruzioni. Da frammentari rendi­conti mensili della produzione69, apprendia­mo che nel dicembre 1919 erano in costru­zione 15 Sva 10 per la Polonia, un altro per il “Governo Ucraino” e 5 Ansaldo A.5 per il raid Roma-Tokio70, mentre nel gennaio 1920 vengono elencati 8 Sva 10 in costruzione as­sieme ad altri 15 in “finitura e costruzione parziale” sempre per la Polonia e a un A.5 per il Messico. Il rendiconto del mese di feb­braio 1920 riporta, infine, 7 Sva 10 in co­struzione con altri 19 in “finitura e costru­zione parziale” sempre per la Polonia, men­tre un A.5 era sugli scali per la ditta Chiono & Ghella assieme a uno Sva 5 per la Dtam.

Come abbiamo accennato, difficile è capi­re quanti velivoli furono forniti alla Polo­nia, prima dell’avvio della costruzione su li­cenza, così come aver notizie sicure sulle commesse lituane e lettoni. Certa è tuttavia una fornitura di 18 A.300/3 alla Spagna71, così come quella all’aviazione belga per equipaggiare alcune squadriglie da ricogni­zione. Per quanto riguarda l’Italia, le nostre scarne informazioni di forniture riguardano il periodo 1923-1924, quando 1’ “Aeronauti­ca Ansaldo”, oltre ad alcuni prototipi, co­struì 612 A.300/472 e 60 Sva IO73 da ricogni­zione per la nostra aviazione militare.

64 Fra i progetti in elaborazione alla fine della guerra vi era quello della cosiddetta silurante aerea, costituita da un idrovolante di grandi dimensioni (si stava trattando con l’ingegner Ricci per l’acquisizione del progetto e del proto­tipo del velivolo R .l) in grado di lanciare telebombe derivate da quella progettata dai generali Crocco e Ricaldoni.65 La produzione su licenza in Polonia non fu particolarmente fortunata a causa della cattiva qualità del compen­sato, molto più pesante di quello utilizzato in Italia, che rese i velivoli molto meno manovrieri e dal difficile decollo e atterraggio.66 Con l’assemblea del 30 marzo 1926 la società assunse la nuova ragione sociale di “Aeronautica d’Italia”, inglo­bando tutte le attività aeronautiche della Fiat.67 La Società italiana aviazione (Sia) era la branca aviatoria del gruppo Fiat.68 Francisco C. Pereira Netto, Aviaçâo militar brasileira 1916-1984, Rio de Janeiro, Revista de Aeronautica, 1984, ad vocem.69 Asa, Ap, Ssnb, b. 701 f. 1.70 I velivoli vennero poi rifiutati dai piloti e sostituiti con degli Sva 9.71 Aviones militares espafioles, Madrid, Ihca, 1986, pp. 81-82.72 Direzione superiore del Genio e costruzioni aeronautiche, Relazioni mensili, in Archivio Ufficio storico Aero­nautica militare. Ne vennero consegnati 93 nel 1923, 459 nel 1924 e 60 nel 1925.73 Cfr. le Relazioni mensili citate nella precedente nota. La produzione del 1923 fu di 40 velivoli, mentre altri 20 fu­rono prodotti l ’anno successivo.

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Destino diverso ebbe invece la Sit. Alla fine della guerra europea, l’ingegner Guido Soria, direttore delle officine di San Marti­no, propose ai Perrone di utilizzare uno de­gli stabilimenti aeronautici per la produzio­ne di autovetture.

La scelta cadde sul cantiere aeronautico n. 374 e, con un’operazione analoga a quel­la delle officine ex Pomilio, all’inizio del 1920 venne creata la “Società Ansaldo Au­tomobili” con alla guida l’ingegner Soria e l’avvocato Domenico Jappelli come diretto­re commerciale.

La vita dell’Ansaldo Automobili fu di breve durata. Nell’agosto del 1919 usciva la prima vettura prodotta in grande serie de­nominata 4A, che incontrò subito il favore del pubblico sia per le raffinate scelte tecni­che del motore con albero a cammes in te­sta, sia per il modesto prezzo d’acquisto (li­re 28.000 nella versione torpedo) e la capil­lare organizzazione commerciale in Italia e all’estero75. Al successo contribuirono an­che le brillanti prestazioni delle vetture: con la versione sportiva denominata 4CS Tazio Nuvolari partecipò al circuito del Garda del1922, mentre il modello a 6 cilindri deriva­to dal precedente conquistò il record mon­diale sui 10.000 chilometri all’autodromo di Miramas in Francia.

Il crack della Banca italiana di sconto, così come coinvolse l’Aeronautica Ansaldo, portò alla liquidazione della società nel1923, quando nel portafoglio ordini vi era­no ben 188 autotelai, 77 vetture torpedo, 5 berline, 4 coupé e 2 vetture sport. L’attività venne rilevata da un gruppo finanziario va­

resino con a capo il commendator Prestini e il 7 marzo 1923 nacque la “Società Ano­nima Automobili Ansaldo”, che mutava lo scudetto sul radiatore, eliminando i due cannoni e ponendo un meno bellicoso ar­ciere sul tappo dello stesso.

Malgrado una produzione di elevatissima qualità76 e l’ingresso nel settore degli auto­veicoli commerciali con alcuni modelli molto riusciti, divergenze tra l’azionariato portarono ad una nuova crisi e il pacchet­to di maggioranza passò nel 1927 alla Macchi77, sempre di Varese. Escludendo le origini, la storia dell’Automobili Ansaldo non avrebbe riguardato queste pagine se nel 1927 il neocostituito Ispettorato tecnico automobilistico del Regio Esercito non avesse emanato un bando di concorso per la fornitura di un piccolo autocarro da montagna in grado di marciare sulle mu­lattiere.

Secondo le procedure allora vigenti, fu­rono invitate a presentare i loro progetti quattro industrie automobilistiche naziona­li: la Lancia, la Ceirano, l’Ansaldo e la Fiat78. La scelta della Ceirano può essere compresa ricordando la favorevole impres­sione destata dall’autocarro Ceirano 50, che nel concorso del 1926 aveva battuto lo Spa 30, diventando l’autocarro “pesante” regolamentare dell’esercito.

L’esperienza di Fiat e Lancia, fornitori del nostro esercito fin dalla prima guerra mondiale, non poteva essere discussa, ma potrebbe lasciare perplessi l’invito rivolto all’Ansaldo, che, oltre all’omonimia, nes­sun legame aveva più con la ditta genovese

74 Sull’area di corso Peschiera si insediò poi la Viberti, che ancor oggi produce autoveicoli industriali.75 A questo proposito, merita di essere segnalato il fatto che su un diffuso periodico come “Auto italiana” compa­risse a pagamento una rubrica dal titolo Gazzetta Ansaldo che diffondeva notizie sulla produzione e sui risultati sportivi conseguiti dalle vetture della marca.76 Si pensi, ad esempio, alla Tipo 18 con il motore a 6 cilindri monoblocco, albero a cammes in tesa e alla Tipo 22 con motore a 8 cilindri.17 Antico ruotificio e carrozzeria che aveva dato origine nel 1913 all’omonima ditta aeronautica.

Cfr. Angelo Pugnani, Storia della motorizzazione militare italiana, Torino, Roggero & Tortia, 1951, pp. 286-288.

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e, come ricordato, navigava in difficili situa­zioni finanziarie79.

Non è chiaro se la “S.A. Automobili An­saldo” di Torino abbia incaricato dello stu­dio il noto ingegner Giulio Cesare Cappa, che allora possedeva un ufficio di consulen­za, o se viceversa abbia sfruttato un proget­to sviluppato autonomamente dal tecnico. Malgrado quanto pubblicato fino ad oggi80, la relazione originale di presentazione del­l’autocarro alle autorità militari esordisce con la seguente frase:In seguito a lunghi studi condotti dall’Ufficio Tecnico dell’ing. Giulio Cesare Cappa di Torino, studi conseguenti ad una serie di prove pratiche eseguite sul terreno di alcuni eserciti europei, so­no state determinate delle speciali caratteristiche tecniche le quali rappresentano al completo “i de­siderata” degli Enti militari che volevano la crea­zione di una serie di autoveicoli leggeri adatti per il funzionamento in campagna, in montagna, sul­la rete stradale normale, sulla rete stradale cam­pestre, ed infine sulle difficili strade militari di montagna e mulattiere ad altitudine oltre i 2.000 metri sul mare, il complesso problema è stato fe­licemente risolto incominciando con la creazione già fatta presso la società anonima Automobili Ansaldo in Torino [,] la quale ha realizzato la co­struzione ed ha sottoposto ad una lunga serie di prove i campioni del tipo più difficile e cioè del piccolo autocarro per servizio in montagna e ter­reni vari81.

Poiché il bando di concorso richiedeva an­che un “autocarro per servizio in campagna

su terreni vari” ed anche una “autovettura campale da ricognizione”82, l’Ansaldo sod­disfaceva le tre richieste ministeriali parten­do dagli stessi elementi meccanici, ovvero da un motore a quattro cilindri separati, con valvole in testa e raffreddamento ad aria, e da una trasmissione a quattro ruote motrici sterzanti, con sala posteriore ed anteriore in­tercambiabile e bloccaggio manuale dei due differenziali. Il prototipo del mezzo venne provato nel dicembre 1929 nelle valli del pi- nerolese, raggiungendo, il 13 dicembre di quell’anno, Ruata di Pramollo attraverso la strettissima mulattiera che parte da San Ger­mano.

Una nota curiosa è costituita dal fatto che il paese, come molti altri in quelle valli, era talmente isolato e dimenticato dallo Stato che non vi abitava nessuna autorità ufficiale che potesse certificare l’impresa. Si dovette ricorrere, quindi, al pastore valdese Enrico Genre, che, come molti altri suoi confratelli, suppliva praticamente alla latitanza gover­nativa svolgendo in quelle zone tutte quelle mansioni che vanno dalla scolarizzazione al­l’assistenza sanitaria.

Le difficoltà finanziarie dell’Automobili Ansaldo causarono la cessione del progetto alla Om di Brescia83 che rimaneggiò la cilin­drata del motore dagli originari 1.350 cm3 a 1.615 cm3 e il mezzo così modificato venne presentato in tre esemplari alle prove di omologazione nel secondo semestre del

79 Cfr. Augusto Costantino, Le piccole grandi marche automobilistiche italiane, Torino-Novara, Eco-De Agostini, 1983, p. 74.80 II generale Pugnani inizialmente parlò genericamente di “tipo fornito dall’ ‘Ansaldo Automobili’” (Ilproblema della motorizzazione nei suoi aspetti attuali e nel suo divenire, “Rivista Militare Italiana”, 1930, n. 7, p. 1056). La paternità Ansaldo venne confermata nel 1934 (Id., La motorizzazione degli eserciti, “Rivista di Fanteria”, 1934, n. 6-7, p. 15 dell’estratto, parzialmente ripubblicato come La motorizzazione italiana, “Trasporti e lavori pubblici”, numero speciale, maggio 1936, p. 141), ma in La motorizzazione dell’esercito e la conquista dell’Etiopia (Roma, Edizioni della rivista “Trasporti e lavori pubblici”, 1936, p. 73) la frase fu corretta in “ingegner Cappa e all’Ansal- do Automobili”. Gli esegeti di Pugnani, da Michele Amaturo (Scienze militari, s.l., Bompiani, 1939, p. 550) fino ad oggi, si rifaranno a questa interpretazione.81 Ansaldo Automobili S.A ., Piccolo autocarro per servizi in montagna e terreni vari, relazione dattiloscritta s.d. (ma 1930 con correzioni manoscritte del 1936), copia originale in Archivio privato Andrea Curami.82 Ansaldo Automobili S.A ., Piccolo autocarro, cit.83 La Om entrava a far parte del gruppo Fiat nel 1933.

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1931, mentre fin dal primo semestre era stata assegnata una commessa alla società bresciana.

I veicoli, denominati autocarrette model­lo 32 e poi modello 35, vennero impiegati inizialmente nel conflitto etiopico (1.366 mezzi in carico al 30 aprile 193684), ma dal primo impiego bellico apparvero chiari i limiti di un progetto di quasi due lustri prima:

L’autocarretta mod. 32-35 si dimostrò ancora genialissimo autoveicolo di ottimo rendimento, abbisognevole però di modificazioni atte a ren­derne più redditizio l’impiego, quali: aumento di cilindrata, diminuzione di giri del motore, ap­plicazione di un depuratore d’aria, miglioramen­to degli organi di sospensione e trasmissione, possibilità di sostituzione delle ruote normali con ruote a pneumatici per lunghe percorrenze e per traffico su fondi ghiaiosi e sabbiosi85.

Anche le operazioni militari in Spagna vi­dero all’opera le stesse autocarrette e già nel settembre 1937 si notava come di fronte ad un fabbisogno di 2.411 veicoli ne fosse­ro in allestimento solo 70086 e che nell’otto­bre 1939 esistessero 2.751 autocarrette87. Da un’indagine condotta dall’Ispettorato generale della Finanza presso il ministero della Guerra risultò, poi, che con “i fondi assegnati dal giugno 1935 al 15 ottobre 1939” il Servizio motorizzazione acquistò 2.000 autocarrette per un importo di lire

66.000.00088 (al rilevante prezzo medio di li­re 33.000 ad autoveicolo).

Come nel caso dell’Aeronautica Ansaldo e della Spa, a godere ancora una volta di quanto creato dall’Ansaldo dei Perrone era la Fiat dell’acerrimo rivale senatore Giovan­ni Agnelli.

La nuova Ansaldo e la produzione bellica

Come giustamente ha osservato Marco Do- ria, la politica statale di sistemazione del gruppo genovese assegnò nuovamente al- l’Ansaldo un ruolo preminente nella produ­zione bellica nazionale89.

Non ci riteniamo in grado di esprimere giudizi sulla prevalente politica dello Stato nei confronti del complesso genovese. Sicu­ramente l’autorizzazione ad impostare gli esploratori Leone I, Tigre e Pantera, peral­tro commessi l’8 marzo 1917 alla vecchia Gio. Ansaldo, rappresenta un tentativo di “assicurare all’impresa un continuo appog­gio finanziario e garantirle un certo carico di lavoro”90, tuttavia ben maggiore impor­tanza ha la commessa dei 4 cacciatorpedi­niere della classe Turbine, tutti ordinati il 17 gennaio 1924 e ben prima della privatizza­zione dell’azienda avvenuta nel 1925. Da un lato si evidenzia il fatto che il cantiere navale, subito dopo il varo del Leone ma ben prima di quello degli altri due pari-clas-

84 Fidenzio Dall’Ora, Intendenza in A.O., Roma, Istituto nazionale fascista di cultura, 1937, p. 297. Nel maggio 1936 1.337 autocarrette risultavano inviate in Eritrea ed altre 78 in Somalia (cfr. Ministero della difesa, Stato mag­giore esercito, Ufficio storico, L ’esercito italiano tra la prima e la seconda guerra mondiale, Roma, Stato maggiore esercito, 1982, pp. 228-229).8" Ministero della Difesa, Stato maggiore esercito, Ufficio storico, L ’esercito italiano tra la prima e la seconda guerra mondiale, cit., pp. 293-294.86 Mario Montanari, L ‘esercito alla vigilia della 2 “ guerra mondiale, Roma, Stato maggiore esercito, 1982, p. 366.

Ministero della difesa, Stato maggiore esercito, Ufficio storico, L ’esercito italiano tra la prima e la seconda guerra mondiale, cit., p. 271.88 Prima Relazione sugli accertamenti presso il ministero della Guerra, Roma, 5 novembre 1939, in Fe, archivio Thaon di Revel, 19.58.89 M. Doria, Ansaldo, cit., p. 150 sgg.

M. Doria, Ansaldo, cit. Le tre navi vennero impostate rispettivamente il 23 novembre 1921, 23 gennaio 1922 e 19 dicembre 1921.

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se91, avesse già ricevuto un nuovo importan­te ordine, che sicuramente avrebbe anche potuto facilitarne la collocazione presso i privati.

D’altronde quando si ordinarono il Tren­to e il Trieste, rispettivamente al Cantiere Orlando di Livorno e allo Stabilimento Tec­nico Triestino92, allo stabilimento Artiglie­ria venne assegnata la costruzione delle 8 torri binate e di 20 cannoni da 203/50 An- saldo-Schneider che ne costituivano l’arma­mento principale e quest’ultima commessa portò alle casse genovesi la rispettabile som­ma di lire 30.360.00093.

Si possono quindi fare due osservazioni. La prima legata alla collaborazione tecnica con la Schneider, che dai più si vuole limi­tata a pochi anni prima della guerra euro­pea94, quando invece la Schneider continuò a fornire all’Ansaldo il supporto per le nuo­ve realizzazioni artiglieresche almeno fino al 1935. In secondo luogo, anche per i lunghi tempi connessi con le costruzioni navali maggiori e la caratteristica prototipica di ogni realizzazione95, la marina, comunque depositaria dei progetti di costruzione, ha sempre usato servirsi di più cantieri contem­poraneamente al fine di accorciare i tempi necessari per avere in servizio le navi che le abbisognavano. Non a caso per la difesa

antiaerea e antisilurante del Trento e del Trieste e degli incrociatori da 10.000 ton­nellate la marina si affidò alla concorrente Oto con una prima commessa per 140 100/ 47 Skoda modello 1910 dell’ammontare di lire 28.727.00096.

Nel giro di pochi anni l’Ansaldo, con la partecipazione nel Fossati e nei “Cantieri officine Savoia” (1926) e la concessione in uso dello stabilimento di artiglierie di Poz­zuoli (1929), sembrò ritornare alla struttura perroniana, ridiventando la principale indu­stria bellica nazionale.

La nuova organizzazione non evitò tutta­via una profonda crisi, che trova le sue ori­gini tanto in cause esogene quali la reces­sione mondiale, quanto in un mercato in­terno pigro.

Si è sottolineata la crisi dei cantieri nava­li Ansaldo, notando il modesto tonnellag­gio mercantile varato97. Tuttavia, analiz­zando l’occupazione degli scali (diagramma 1), si evidenzia come il vecchio cantiere na­vale di Sestri, con tutte le sue limitazioni logistiche, sia stato sfruttato al massimo nei suoi scali, dei quali solo quattro in mu­ratura98.

La produzione di artiglierie terrestri di­pendeva, invece, tanto dalla riduzione della forza bilanciata, quanto per l’Italia dall’ab-

91 II Tigre fu varato il 7 agosto 1924 ed entrò in servizio il 10 ottobre 1924, mentre il Pantera scese dagli scali il 18 ottobre 1924 entrando in servizio 10 giorni dopo.92 Le commesse risalgono rispettivamente al 18 e 11 aprile 1924.93 Produzione artiglierie degli stabilimenti Ansaldo, s.l., 31 ottobre 1939, all. n. 6, in Fa, Ar, 14.32.94 Tanto Marco Doria, quanto Claude Beaud insistono su di un accordo firmato nel febbraio 1910, posteriormente quindi alla presentazione da parte della Gio. Ansaldo dell’artiglieria sperimentale Schneider da 75 mm prima ricor­data: M. Doria, Ansaldo, cit. e Claude Beaud, Les Schneider “marchands de canons", Firenze, European Univer­sity Institute, 1991 (Colloqium paper n. 304/91, Col. 16).95 Ogni nave era in generale diversa dai pari-classe, adottando differenti soluzioni sperimentali, le migliori delle quali potevano poi essere applicate a tutte le appartenenti alla classe durante i grandi lavori di manutenzione.96 Produzione di artiglierie degli stabilimenti O.T.O. La Spezia, s.l., s.d. (ma 1939), all. n. 5( in Aussme, reperto­rio L10, b. 134).97 Oltre ai problemi sottolineati da Doria, legati ai crolli dei noli, è interessante ricordare la concorrenza costituita dalla disponibilità sul mercato mondiale della straordinaria produzione statunitense nel triennio 1917-1919 con ben 961 moderni cargo entrati in servizio con l’United States Shipping Board, dei quali solo 56 con una stazza netta in­feriore alle 3.000 tonnellate. Cfr. Register o f Ships Owned by United States Shipping Board (Third Edition) July, 1919, Washington, Government Printing Office, 1919.98 Al cantiere di Sestri erano disponibili in totale dieci scali.

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bondanza di ottimi pezzi di produzione au­stroungarica. L’unico settore che poteva presentare una certa vivacità era quello del­l’artiglieria navale, legato tuttavia al nume­ro di nuove navi ordinate, ai loro tempi di costruzione e alla presenza di un altro con­corrente quale Oto, che versava in non mi­gliori situazioni economiche.

La nomina del generale Ugo Cavallero a presidente della società sembrò un valido tentativo per risollevare le sorti dell’Ansal­do". I rinnovati rapporti di collaborazione con la Krupp, al di là di sterili memorie po­stume che mirano a minimizzarne il contri­buto, portarono a un processo di rinnova­mento delle tecniche di colata della acciaie­ria di Cornigliano, che permisero alla ditta genovese di rientrare nel campo della fabbri­cazione delle corazze e dei proietti, sollevan­do le ovvie lamentele della concorrente Ter­ni99 100.

Sempre in quegli anni, attraverso la con­trollata Fossati, avveniva l’ingresso nel mercato dei veicoli da combattimento, set­tore in cui la vecchia Gio. Ansaldo aveva cercato di inserirsi in concorrenza con la Fiat101. Lo scontro avvenne prima con la Breda per la fornitura alla Polonia e alla Russia di autoblinde che sfruttavano i prin­cipi di funzionamento dei trattori d’artiglie­ria Pavesi, poi con la Oto che, grazie ai rapporti con la Vickers, potè utilizzare i brevetti Carden per una prima serie di carri armati leggeri.

I buoni uffici di Cavallero102, sottosegre­tario alla guerra dal 1925 al 1928, e una stra­tegica alleanza con la Fiat, a scapito della Caproni con cui erano stati sviluppati i pro­totipi del carro veloce103, portarono all’An­saldo il monopolio nella produzione di carri armati in Italia.

Il fenomeno involutivo: un caso o una fine preannunciata?

Non poche critiche sono state rivolte alla qualità della produzione bellica dell’Ansal- do durante la seconda guerra mondiale. Il fatto fu il risultato di molteplici cause con­comitanti, alcune delle quali non sembrano essere degne di attenzione da parte degli sto­rici. Vorremmo sottolineare qui la seconda diaspora dei tecnici del gruppo Ansaldo, ov­vero quanto avvenne nel triennio 1933-1935 durante il quale il complesso industriale ri­tornò ad essere pubblico.

Gli avvenimenti possono essere interpreta­ti secondo diverse chiavi di lettura. Limitan­doci, tuttavia, al settore bellico, se era indif­ferente per la tentata razionalizzazione in­globare la Cogne nello stabilimento di Cor­nigliano o viceversa, l’economia di gestione non teneva conto dell’esperienza acquisita dagli uomini di Cornigliano, seppur dovuta alla collaborazione con la Krupp, rispetto all’inesperienza dei tecnici della Cogne nella produzione di corazze.

99 Di poco precedente alla sua nomina presidenziale, una insistente voce attribuisce a Cavallero il possesso del bre­vetto del lanciagranate modello 28 per fucile 91 costruito per breve tempo dall’Ansaldo, ma adottato e subito ra­diato dall’esercito. Immagini fotografiche confermano la costruzione in Ansaldo di un simile artifizio, ma l’attri­buzione a Cavallero è confermata solamente dalle carte della polizia politica, della cui attendibilità altrove più volte si è messo in guardia il lettore.

L. Ceva-A. Curami, La meccanizzazione, cit., vol. II, doc. 23.L. Ceva-A. Curani, La meccanizzazione, cit., capp. 4 e 5.

2 Cavallero in una lettera del 21 giugno 1936 avanzò “una richiesta di compensi straordinari per l’opera prestata a favore dell’assegnazione di forniture di carri armati all’Ansaldo”. Il verbale della seduta del consiglio di ammini­strazione ove venne discussa la richiesta di Cavallero in L. Ceva-A. Curami, Industria bellica anni trenta. Commes­se militari, VAnsaldo e altri, Milano, Angeli, 1992, doc. 37.

L. Ceva-A. Curami, La meccanizzazione, cit., vol. I, pp. 138-143.

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300 Andrea Curami

Ovviamente venne scelta la soluzione peg­giore allontanando tanto l’ingegner Bosio, direttore dello stabilimento Acciaierie e fon­derie d’acciaio, quanto il vicedirettore Alma- già e così si lamentava l’onorevole Mario Ba- renghi, per breve tempo presidente dell’An- saldo:i nuovi dirigenti delle acciaierie [provenienti in massima parte dalla Cogne, ma anche dalla Falck e dalla Terni] senza alcuna esperienza in acciai di qualità, senza esperienza in corazze, in cannoni, ecc., ogni giorno sono solleticati a nuove modifi­che, la cui leggerezza impressiona e tiene i tecnici responsabili delle fabbricazioni in continuo allar­me104.

Con il risultato che le corazze del Littorio fu­rono colate quattro volte e per la scarsa sal- dabilità delle piastre si dovette passare alla costruzione imbullonata per gli scafi dei carri armati.

Il terremoto ai vertici dell’acciaieria era in parte dovuto al cosiddetto “scandalo delle corazze”105, che non solo aveva provocato le dimissioni di Cavallero, ma anche il licenzia­mento e l’invio al confino dell’ingegner Giu­seppe Pozzo, direttore delle acciaierie, e l’al­lontanamento del comandante Roberto An- tona-Traversi, direttore dello stabilimento Artiglieria e valido progettista come dimo­strerà successivamente alla Caproni. Nel giro di un biennio a partire dal 1933, gli staff tec­nici dell’Ansaldo vennero quindi sostituiti due volte: la prima a causa delle frodi com­messe, la seconda volta a causa dell’opera­zione Iri, violentemente contestata da tutti gli organi militari106 non certo a causa di soli interessi personali o di brama di potere.

Si risponderà che le operazioni del 1935 poi abortirono, ma ebbero sicuramente un

effetto per la produzione bellica pari se non peggiore della distruzione della vecchia Gio. Ansaldo.

È difficile trovare il vero motivo alla base della infelice creazione della Siacc: il tentati­vo dell’Iri di ricollocare presso privati le sole acciaierie, le contemporanee mire su di esse della Fiat smaniosa di ricreare la struttura verticale perroniana, le difficoltà della Terni o una semplice conseguenza seguita all’esi­genza di allontanare i personaggi ansaldini coinvolti nello scandalo?

Non diversamente dovremmo ragionare per lo stabilimento Artiglieria decapitato al vertice. Le ipotesi di un’interessata delazione della Oto e della Terni appaiono in questo caso più che plausibili. Tenendo conto anche di questo trauma aziendale, possiamo cerca­re di rispondere alla dichiarazione di Agosti­no Rocca in una nota lettera al capo del go­verno:L’Ansaldo, coi suoi 35.000 lavoratori, ha la co­scienza di aver fatto anche in questo campo tutto il suo dovere ed è in linea, ai vostri ordini, Duce, per raggiungere le mete che voi designerete107

poi da quest’ultimo omessa in un suo altret­tanto noto articolo108.

Alla lettura di questa frase, anche il nostro pensiero corre ovviamente al confronto tra la vecchia Gio. Ansaldo dei Perrone e l’indu­stria condotta da Agostino Rocca.

Il primo elemento di differenza che emerge riguarda il diverso atteggiamento del cosid­detto management nei confronti della com­mittenza militare. Durante la prima guerra mondiale l’Ansaldo si trovò a prevenire le esigenze militari, ponendo allo studio o in costruzione artiglierie e aeroplani che in mas­sima parte non le erano stati ancora commes­

104 Fe, Atdr, f. 21.163, già pubblicato in L. Ceva-A. Curami, La meccanizzazione, cit., vol. I, p. 170.105 Dell’argomento si occupano L. Ceva-A. Curami, Industria bellica anni trenta, cit.106 L. Ceva-A. Curami, La meccanizzazione, cit., vol. I, pp. 166-173.107 Agostino Rocca a Benito Mussolini, 22 aprile 1943, in Fe, Ar 14.23.108 Benito Mussolini, Il tempo del bastone e della carota. Storia di un anno (ottobre 1942-settembre 1943), supple­mento al “Corriere della sera”, 9 agosto 1944, p. 33.

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L’Ansaldo e l’industria bellica 301

si, affidandoli poi all’abilità dei suoi “vendi­tori” che sfruttavano ogni situazione contin­gente per piazzarli presso i compratori109. Durante il secondo conflitto mondiale, la gestione Rocca, non solo non iniziò mai la produzione senza la certezza di una com­messa, ma neppure sembrò ordinare l’esecu­zione di studi che poi non potessero essere fatti pagare alle forze armate. La rilettura di una lunga relazione dell’Ansaldo sulla produzione dello stabilimento Artiglieria e del Fossati è illuminante in questo senso110, in quanto si evince che nessun progetto fu avviato autonomamente a Genova, senza aver avuto il preventivo beneplacito militare e quindi la sicurezza di una copertura finan­ziaria, in stridente contrasto con quel:

La guerra io la vedo come la vedono loro, pre­correre, precorrere, precorrere, ed in ogni cosa superare sempre tutti gli altri concorrenti, e so­prattutto i nemici

con cui Pio Perrone terminava la citata let­tera a Federico Caproni. Indubbiamente molte condizioni al contorno erano mutate. In primo luogo, la concorrenza era sparita e si era instaurato un illegale regime di cartel­lo tra le industrie belliche italiane111. Secon­dariamente il rigido meccanismo di gestione delle materie prime attraverso il Fabbriguer- ra sicuramente poteva ostacolare l’autono­ma costruzione di armi da parte di un’im­presa e la diversa legislazione delle commes­se, tutte accentrate presso i ministeri, impe­

diva gli spicciativi accordi verbali a livello locale che avevano permesso ai Perrone di piazzare la loro produzione presso le forze armate.

Tuttavia, le diverse condizioni non giusti­ficano la ricordata mancanza d’iniziativa degli uffici tecnici, inoperosità che d’altron­de non può essere addebitata al solo gruppo Ansaldo, ma che accomuna tutte le industrie belliche nazionali nel secondo conflitto. L’unico fatto nuovo riguarda la progettata costruzione su licenza di carri armati tede­schi, trattativa che venne inizialmente porta­ta avanti dalla Fiat e dall’Ansaldo e poi fat­ta propria dallo Stato maggiore nel vano tentativo di rompere il monopolio ligure­piemontese, coinvolgendo anche altre indu­strie nella costruzione al fine di aumentare il gettito di mezzi.

Abbiamo già estesamente documentato questi avvenimenti112 che si risolsero, attra­verso interminabili risse tra comari, in un nulla di fatto, ma preme nuovamente ricor­dare il nostro sospetto che alla mossa della Fiat-Ansaldo non fosse estranea la critica ministeriale loro rivolta di essere “più mer­canti che industriali patrioti” e che le diatri­be tra Ansaldo e Oto, peraltro legate da ac­cordi di cartello, siano state esagerate ad ar­te per cristallizzare la produzione sui noti modelli.

Le nostre opinioni non collimano, infatti, con quelle di coloro che spiegano l’elevato gettito di armi nel primo conflitto mondiale

109 Si ricordi quanto detto in merito agli Sva, ma anche l’inizio della produzione delle artiglierie da 105/28 Schnei­der e l’approntamento degli autocannoni.110 Storia delle commesse di artiglieria, s.l., 7 agosto 1944, all. b, Relazione sull’attività dell'Ansaldo dal 1939 al 1943 nel campo della costruzione di artiglierie. Parte generale, in Fe, Ar 14.51.111 Secondo una denuncia del comandante Roberto Antona Traversi, un primo accordo di cartello tra Ansaldo, Armstrong e Terni venne siglato il 6 novembre 1925 e prevedeva la distribuzione tra i contraenti “di un terzo ad va­lorem delle forniture” per la Regia Marina, aumentando le offerte di “un’equa percentuale di profitto industriale che viene di comune accordo fissata nel venti per cento del prezzo di vendita”. A questo patto ne seguirono altri nel dicembre 1928 e maggio 1929 (tra Ansaldo, Oto, Temi e San Giorgio sulla produzione di artiglierie terrestri e nava­li, mitragliere comprese), nell’ottobre 1930 (tra Ansaldo e Terni sulla produzione di corazze) (cfr. L. Ceva-A. Cu­rami, Industria bellica, cit., pp. 71 sgg.).

L. Ceva-A. Curami, La meccanizzazione, cit., vol. I, cap. 15.

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302 Andrea Curami

con la standardizzazione della produzione su pochi modelli già introdotti prima della guerra. Balza immediatamente agli occhi il fatto che la considerazione non si applica all’aviazione, in quanto il materiale aero­nautico utilizzato durante il conflitto venne ideato proprio in quegli anni. La suggestiva opinione neppure si applica alla marina, in quanto le nuove costruzioni furono poche e soprattutto di mezzi insidiosi quali i Mas che non esistevano prima della guerra. Per quanto riguarda l’artiglieria e le armi terre­stri, bombarde, autocannoni, autoblindo, lanciafiamme e proietti caricati con aggres­sivi chimici furono invenzioni del tempo di guerra o di modelli totalmente nuovi rispet­to ai pochi esistenti nel 1914.

Si risponderà che le artiglierie e le mitra­gliatrici in massima parte erano di progetto prebellico, non tenendo alcun conto del fatto che solo per il 75/27 modello 911 e per il cannone da 149/35 era stata avviata la produzione presso industrie italiane pri­ma del 1914. Per tutte le altre armi, pur di progetto più antico, gli arsenali si attrezza­rono, infatti, partendo da zero con lo scop­pio della guerra europea.

Ritornando all’Ansaldo e quindi soffer­mandoci sulle artiglierie e sui mezzi coraz­zati, in quanto l’attività degli scali fu anco­ra una volta trascurabile (tabella 4113), solo il cannone da 65/64 antiaereo, prodotto in 73 esemplari, era una nuova costruzione, mentre tutti gli altri tipi erano stati omolo­gati ben prima della guerra e le prime com­messe di serie risalivano al 1938-1939, con l’esclusione del 47/32 da carro (prima com­

messa per 643 esemplari dell’l l marzo 1940). Risulta quindi arduo spiegare come mai in quattro anni di guerra, a fronte di ordini per 10.018 bocche da fuoco, l’Ansal- do ne abbia realizzate solo 6.287114, ovvero comunque in quantità minore della ricorda­ta stima riduttiva di Bocciardo.

Già in passato abbiamo confutato le giu­stificazioni di Rocca, basate su di un’incon­sistente notevole diversità con le artiglierie della prima guerra mondiale, dovuta alle “proprietà balistiche delle armi notevol­mente migliorate, la qualità dei materiali impiegati, le esigenze di intercambiabilità e il perfezionamento meccanico dei con­gegni” .

E neppure può essere supinamente accet­tata la ricorrente scusa industriale di com­messe assegnate con il contagocce, conti­nuamente modificate nelle quantità e nei ti­pi da produrre.

Se formalmente tale giustificazione può essere plausibile per la produzione aeronau­tica, seppure sarebbe necessaria una certa cautela derivante dal fatto che molte com­messe erano di natura erariale o per meglio dire sociale, difficile è accordare credito al- l’Ansaldo per gli ordini di artiglierie tutti definiti con notevole anticipo rispetto allo scoppio della guerra e accompagnati “dal­l’ingente sforzo finanziario sostenuto dallo Stato” per il potenziamento degli stabili- menti115.

Perplessità ancora maggiori nascono dal­l’esame della produzione di mezzi da com­battimento dove proprio nella seconda guerra mondiale si può parlare per il Fossa-

113 Nell’elenco non sono comprese le 12 vedette antisommergibile (Vas 301 = 312) costruite dal cantiere Cerusa, le motozattere prodotte per la marina italiana e tedesca, e i piroscafi costruiti per POkm.114 Alcuni dati analitici sulla produzione di artiglierie da parte degli stabilimenti Ansaldo (Genova e Pozzuoli) in A. Curami-F. Miglia, L ’Ansaldo e la produzione bellica, in Francesca Ferratini Tosi, Gaetano Grassi, Massimo Le- gnani (a cura di), L ’Italia nella seconda guerra mondiale e nella resistenza, Milano, Angeli, 1988. Gli ordini am­montavano inizialmente a 11.112 bocche da fuoco, 1.094 delle quali poi sospese.115 Sull’entità dei contributi a fondo perduto versati dallo Stato all’Ansaldo, rimandiamo a Fabio Degli Esposti, L ’Ansaldo industria bellica, “Italia contemporanea”, 1993, p. 163.

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L’Ansaldo e l’industria bellica 303

ti di notevole standardizzazione, avendo prodotto principalmente solo scafi di carri medi, ora dotati di torretta (i carri M.13, M.14 e M.15), ora con un’artiglieria in casa­matta (i semoventi derivati), talvolta senza torretta e senza pezzi (i parimenti derivati carri comando). Sicuramente il gettito fu re­lativamente elevato, ma la qualità fu decisa­mente scadente sia per l’approssimativa pro­gettazione, sia per la pessima realizzazione delle piastre corazzate e l’estemporanea cura nella costruzione116.

Dando libero sfogo al pensiero ipotetico, se l’Ansaldo avesse completamente esaurito le commesse assegnatele, potremmo accetta­re la suggestiva idea di un’industria tarpata nella sua potenzialità dalla mancanza di or­dini, ma questo non si verificò soprattutto nel settore delle artiglierie. D’altronde, non è neppure sostenibile l’ipotesi di turbative alle linee di produzione a causa di continue modifiche negli oggetti delle commesse. Si è da molti sostenuta la carenza di materie pri­me come spiegazione di ogni guasto117, ma ciò è caratteristica dell’Italia e non una novi­tà del secondo conflitto in quanto presente anche durante la grande guerra e in una si­tuazione di maggior criticità dei trasporti su rotaia e per mare.

Sicuramente le nuove macchine utensili, tardivamente ordinate e solo in parte con­

segnate118, avrebbero garantito una mag­gior produttività, ma non sfugge a chi pos­siede una qualche conoscenza dell’industria meccanica e della longevità dei macchina­ri, che le macchine operatrici acquistate durante la prima guerra avrebbero potuto continuare a garantire un gettito non molto dissimile da quello durante il conflitto eu­ropeo.

Escludendo queste possibili cause, il ra­gionamento ci porta obbligatoriamente a in­dividuare negli uomini i possibili motivi di questi problemi. Sicuramente le improprie e anacronistiche cariche di correttivi nelle co­late di acciai per corazze119 erano frutto di modeste conoscenze e di ancor minore atten­zione all’evoluzione della metallurgia, im­pressioni peraltro confermate dal disinvolto, quanto inappropriato, uso di esagerate pro­cedure di tempra e rinvenimento. È difficile accettare che i tecnici della Krupp sarebbero incorsi nei medesimi errori, dal momento che proprio loro erano i propugnatori di quella rivoluzione metallurgica. L’utilizzo di casamatte imbullonate derivava dalla ricor­data scarsa saldabilità degli acciai prodotti, ma l’aver così clamorosamente mal proget­tato le fiancate del carro dipendeva dalle co­noscenze specifiche dell’ufficio tecnico e del suo direttore, così come è attribuibile a ca­renze dei reparti produttivi lo scarso con-

116 Dei 3.906 mezzi corazzati cingolati ordinati all’Ansaldo, il Fossati ne costruì 2.284 fino a luglio 1943, rimanen­do totalmente inevasa la commessa per 499 P. 40 del 29 marzo 1943 e parzialmente quella dei semoventi da 105/25 (30 costruiti su 494 ordinati con commesse successive a partire dal 6 marzo 1943) e da 75/34 (62 costruiti su 500 or­dinati con commesse successive a partire dal 7 agosto 1942).117 Fatto peraltro vivacemente contestato da Agostino Rocca sia nell’assemblea dell’Ansaldo del 1944, sia in una susseguente lettera ad Arturo Bocciardo dell’8 agosto 1944 (cfr. L. Ceva-A. Curami, La meccanizzazione, cit., vol. I, pp. 384-385).118 Sarebbe, tuttavia, interessante comprendere, ad esempio, in che modo sono stati spesi i contributi erogati al- l’Ansaldo e al Fossati e previsti dal Rdl 23 dicembre 1923, n. 2871 per le industrie cui si prescriveva l’accantona­mento di macchinari atti alla produzione bellica. Il contributo venne sospeso nel 1934 dal generale Dallolio con la motivazione che “l ’entità dei contributi corrisposti alle due ditte dal 1925 ad oggi (per l’ammontare di L. 5 milioni e trecentomila) e la produzione finora effettuatasi e in corso presso i due stabilimenti giustificano in pieno la sospen­sione di ogni ulteriore contributo” (cfr. L. Ceva-A. Curami, La meccanizzazione, cit., vol. I, pp. 235-236, n. 43).119 Si allude all’esagerato contenuto di nichel nelle colate per corazze, che ne causavano l’infragilimento e la scarsa saldabilità. Rimandiamo al nostro Commesse belliche e approvvigionamenti di materie prime, in Romain H. Rai- nero- Antonello Biagini (a cura di), L ’Italia in guerra. Il primo anno -1940, Roma, Usmm, 1991, pp. 55-66, p. 59.

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304 Andrea Curami

trollo nella costruzione degli scafi (bulloni non serrati a sufficienza, ecc.)120.

Sia ben chiaro il fatto che le nostre critiche non possono investire i tipi di armi costruite. La scelta di produrre a massa i cannoni anti­carro Bòhler da 47/32121 era coerente con le diffuse opinioni dei primi anni trenta, quan­do presso tutti gli eserciti, in mancanza di mezzi motorizzati, si cercava di dotare i re­parti di fanteria di un’artiglieria trainabile a piedi in grado di fornire una forma di prote­zione contro i mezzi corazzati avversari122, anche se i primi scontri contro i carri inglesi ri­dimensionarono drasticamente le opinioni sull’utilità dell’arma. Analogamente non si può addebitare all’Ansaldo la decisione di produrre carri leggeri, anch’essi comune scel­ta di molti Stati maggiori negli anni trenta, ma bensì la modesta qualità nella loro costru­zione e il pervicace tentativo di farsene asse­gnare altri in commessa, minacciando licen­ziamenti tra le maestranze123. Tuttavia nep­pure questi fenomeni deteriori rappresentano una specificità dell’Ansaldo, essendo invece

risultati tipici di tutta l’industria bellica e non solo di quella.

Alludevamo agli uomini dell’Ansaldo co­me a un plausibile motivo del calo tecnologi­co e produttivo. In merito a quest’ultimo è probabile che un raffronto in assoluto non possa essere condotto con la prima guerra mondiale per la mancata militarizzazione delle maestranze e l’impossibilità da parte dell’industria bellica di praticare orari di la­voro confrontabili, anziché moltiplicare i turni lavorativi come fu imposto dal potere politico, non sfruttando così la poca mano d’opera qualificata disponibile a scapito an­che del tempo per la manutenzione delle macchine utensili124. Riguardo al calo tecno­logico, è indubbio che il livello faticosamente raggiunto dopo la prima guerra mondiale an­dò dissolto nelle due gravi crisi che colpirono nel giro di un decennio l’industria genovese, allontanando, in alcuni casi a ragione, i mi­gliori tecnici e capi operai che l’Ansaldo ave­va assoldato.

Andrea Curami

120 Si veda, fra le molte, la relazione del generale Luigi Sarracino, direttore superiore del Servizio tecnico armi e munizioni, docente di metallurgia e tecniche speciali e scienziato di fama, in L. Ceva-A. Curami, La meccanizza­zione, cit., vol. I, pp. 339-344.121 All’Ansaldo vennero passate due commesse da espletarsi a Pozzuoli: una prima per 750 pezzi del 31 ottobre 1939 e una seconda per 800 artiglierie del 14 settembre 1940. Le parti stampate dell’affusto venivano costruite dal­l’Arsenale dell’esercito di Torino, mentre gli sbozzati per le bocche da fuoco venivano prodotti dalla Cogne. La co­struzione doveva partire nel mese di settembre 1940 sulla base di 50 esemplari/mese, ma dai dati Ansaldo si evince che Pozzuoli fu in grado di approntarne solo 50 nel 1940 e 520 nel 1941 (80 in meno della produzione annua pre­ventivata). La principale produttrice fu la Breda (oltre 3.000 pezzi ordinati), ma piccole commesse sociali furono assegnate alla Sasib di Bologna (300 cannoni) e agli arsenali militari (altri 300 pezzi).122 In tale ottica i tedeschi, seguiti dagli americani, adottarono un cannoncino da 37 mm, gli inglesi uno da 40 mm, i francesi un 25 mm, e diffusi furono pure i fuciloni anticarro.123 Si veda, ad esempio, la corrispondenza tra Agostino Rocca e il prefetto di Genova Umberto Albini in L. Ce- va-A. Curami, La meccanizzazione, cit., vol. I, p. 251 sgg.124 Anziché due turni di dieci ore, si imposero tre turni di otto ore.

Andrea Curami (1947) è docente di Meccanica applicata alle macchine presso il Politecnico di Milano e si occupa anche di storia dell’industria bellica. È membro del Direttivo della Società di storia milita­re, del Comitato scientifico del Centro interuniversitario di studi e ricerche storico-militari e del Comi­tato di redazione di “Storia militare”. Oltre a numerosi saggi ha pubblicato, in collaborazione con Lu­cio Ceva, La meccanizzazione dell’esercito italiano dalle origini al 1943 (1989) e Industria bellica anni trenta (1992). Con Giorgio Rochat ha curato Giulio Douhet. Scritti 1901-1915 (1993).

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L’Ansaldo e l’industria bellica 305

Tabella 1. - Le costruzioni di artiglierie all’Ansaldo durante la grande guerra secondo le carte del fon ­do Perrone e, tra parantesi, secondo le dichiarazioni di Agostino Rocca nel 1939.

Tipo Progetto bocca da fuoco 1914 1915 1916 1917 1918 1919 Totale Affusti

prodotti% affusti su

bocche da fuoco

70/15 Krupp -Arsenale Torino

230(230)

274(274)

206(206)

710(710)

0,00

75/13 Skoda 1 3 4 0,00

75/27 mod. 906

Krupp 367(540)

1.055(599)

1.253(1.191)

175(147)

2.850(2.477)

100 3,51

76/17 Schneider 40 13(54)

14(12)

67(66)

67(64)

100,00(96,97)

76/45 Armstrong 40 7(44)

4(6)

126(116)

168(138)

58(8)

403(312)

294(287)

72,95(91,99)

76/50 Armstrong-Ansaldo

4 4 4 100,00

102/35 Schneider-Armstrong

1 59(48)

156(114)

309(171)

310(188) (14)

835(535)

336(306)

40,24(57,20)

102/45 Schneider-Armstrong

35(10)

157(90)

34 226(100)

180(100)

79,65(100,00)

105/14 Schneider-Ansaldo

28(26)

421(317)

51(67)

500(410)

500(206)

100,00(50,24)

105/28 Schneider 24(54)

196(244)

658(490)

1.056(907)

116(41)

2.050(1.730)

1.446(1.331)

70,54(76,67)

149/12 Krupp 40(28)

412(382)

673(500)

95(52)

1.220(962)

990(724)

81,15(75,56)

149/35 Armstrong-Schneider

62(25)

262(72)

325(154)

43OD

692(262)

0,00

152/45 Schneider 6 33(24)

16(16)

28(20)

51(38)

16(4)

150(102)

95(84)

63,33(82,35)

210/8 Schneider 12(20)

30 102(46)

144(66)

19(20)

13,19(30,30)

260/9 Schneider(8) (6)

60(60)

60(60)

6(4)

126(138)

136(128)

107,94(92,75)

381/40 Schneider 4(6)

2(3)

3 9(9)

9(9)

100,00

Lanciabombe da 75 mm

Ansaldo 9 9 9 100,00

Lanciabombe Ansaldo 100 100 100 100,00tipo Ansaldo

87 152 1.228 3.249 4.786 597 10.099 4.285(232) (1.241) (2.226) (3.792) (394) (7.885) (3.259)

Totale 42,43(41,33)

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306 Andrea Curami

Tabella 2. - Produzione e allestimento di navi presso i cantieri dell’Ansaldo durante la prima guerra mondiale. Si noti che il Duilio fu varato a Castellamare di Stabia; /’Ascaro venne invece requisito dalla Regia Marina, così come il Balilla. Tutte le commesse del Muggiano risultano antecedenti all’ac­quisto del cantiere da parte dell’Ansaldo.

Numero di costruzione

Tipo di nave Nome Committente Data

contrattoData

impostazioneDatavaro

Dataconsegna

168 bis corazzata Duilio R. Marina 24.2.1912 24.4.1913 10.5.1915169 caccia Ascaro Cina 17.12.1912 22.6.1911 6.12.1912 21.7.1913171 esploratore A. Poerio R. Marina 16.9.1912 25.6.1913 4.8.1914 22.5.1915172 esploratore C. Rossarol R. Marina 16.9.1912 30.6.1913 15.8.1914 9.8.1915173 esploratore G. Pepe R. Marina 16.9.1912 2.7.1913 17.9.1914 20.8.1915174 esploratore Liz Portogallo 28.12.1913 12.7.1913 28.12.1974 13.2.1915176 esploratore C. Mirabello R. Marina 1.7.1914 21.11.1914 21.12.1915 24.8.1916177 esploratore A. Riboty R. Marina 1.7.1914 27.2.1915 24.9.1916 5.5.1917178 esploratore C. Racchia R. Marina 1.7.1912 10.12.1914 2.6.1916 21.12.1916179 corazzata C. Colombo R. Marina 22.12.1914 14.3.1915181 torpediniera AS52 R. Marina 4.9.1918 1.7.1916 11.9.1916182 torpediniera AS53 R. Marina 6.9.1915 29.7.1916 18.9.1916183 torpediniera AS54 R. Marina 7.9.1915 27.8.1916 23.9.1916184 torpediniera AS55 R. Marina 9.9.1915 17.9.1916 12.10.1916185 torpediniera AS56 R. Marina 16.9.1915 11.10.1916 7.11.1916186 torpediniera AS57 R. Marina 16.9.1915 13.11.1916 11.12.1916

da 190 MAS MAS23 - r MAS R. Marina 22.12.1916 1916 1916 + 17a 219 52220 sommergibile NI R. Marina 17.3.1916 1.3.1916 6.9.1917 20.7.1918221 sommergibile N2 R. Marina 17.3.1916 1.3.1916 26.1.1918 15.12.1918222 sommergibile N3 R. Marina 17.3.1916 2.3.1916 27.4.1918 13.10.1919223 sommergibile N4 R. Marina 17.3.1916 2.3.1916 6.10.1918 6.4.1919237 sommergibile X2 R. Marina 14.7.1916 22.8.1916 25.4.1917 1.2.1918238 sommergibile X3 R. Marina 14.7.1916 22.8.1916 29.12.1917 27.8.1918

Cantiere del Muggiano (già Fiat-San Giorgio)

43 sommergibile Argonauta R. Marina 11.3.1913 5.7.1914 18.2.191544 sommergibile Balilla Germania 18.8.1913 8.8.1915 8.8.191545 n. appoggio Cearà Brasile 21.7.1913 7.9.1915 16.10.1916101 sommergibile A. Pacinotti R. Marina 7.6.1914 13.3.1916 7.12.1916102 sommergibile A. Guglielmotti R. Marina 7.6.1914 4.6.1916 19.12.1916111 sommergibile A. Barbarigo R. Marina 22.10.1915 18.9.1917 10.9.1918112 sommergibile A. Provana R. Marina 16.10.1915 27.1.1918 10.9.1918113 sommergibile S. Vernerò R. Marina 21.10.1915 7.7.1918 24.9.1919114 sommergibile G. Nani R. Marina 27.10.1915 8.9.1918 10.8.1919vari sommergibile da FI a FI2 R.Marina 1915 - j - 1917 1916 1917 1916 - r 1918137 sommergibile Hydra Portogallo 26.8.1915 19.8.1917 20.10.1917138 sommergibile Foca Portogallo 12.6.1915 18.3.1917 20.10.1917139 sommergibile Golfinho Portogallo 2.9.1915 18.11.1917 20.10.1917140 sommergibile S. Georges Russia 20.9.1915 18.4.1917 26.6.1917141 sommergibile Monturiel Spagna 28.9.1915 16.4.1917 25.8.1917142 sommergibile A2 Spagna 9.9.1915 17.6.1917 25.8.1917143 sommergibile Garda Spagna 28.3.1916 10.6.1917 25.8.1917144 sommergibile F19 R. Marina 23.9.1915 10.3.1918 24.4.1918147 sommergibile F20 R. Marina 10.9.1915 17.3.1918 2.6.1918150 sommergibile F21 R. Marina 31.8.1915 19.8.1918 31.8.1918

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L’Ansaldo e l’industria bellica 307

Tabella 3. - Produzione di cellule e motori presso i tre cantieri aeronautici e le società controllate du­rante la prima guerra mondiale secondo i dati della Dtam di Torino (tra parentesi tonde: i dati secon­do l’archivio Perrone relativi al solo stabilimento ex-Pomilio).

Tipo di Tipo dei Numero Numero esemplari consegnati

apparecchio motoriordinati 1915 1916 1917 1918 1919 Totale

Soc. Ital. Transaerea

Voisin Salmson I.F. V4B

112 12 100 112

Blériot Gnome 51 51

[Torino] SP3 Fiat A12 100 70 30 100

Ing. Pomilio SP2 Fiat A12 200 26(26)

174(124)

200(150)

P. Fiat A12 1.495 478(476)

988(1.014)

1.466(1.490)

A3 Fiat A12 bis 500 60(55) (34)

60(89)

P. Gamma Fiat A12 bis o I.F. V6

10 7(7) (2)

7(9)

SVA 9 SPA 6A (8) (41) (49)

[Torino] A l SPA 6A - IF V6 (36) (36)

Gio Ansaldo SVA SPA 6A 1.600 62 713 885

A l SPA 6A - IF V6 1.600 166 166

Sopwith Rhone 120 100 4 96 100

[Borzoli]ISVA SPA6A 135 50 50

Tipo di motore Potenza hp

S.P.A. SPA 6A 200 800 203 389 592

Ansaldo SPA 6A 200 1.274 98 1.076 1.1744E-28 450 300 0

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308 Andrea Curami

Tabella 4. - Le costruzioni navali militari d e ll’A nsaldo durante la seconda guerra mondiale. Il Corne­lio Siila fu com pletato p er i tedeschi dopo l ’o tto settem bre; /'A n im oso venne invece realizzato presso il Cantiere del Tirreno di R iva Trigoso.

Numero Tipo di nave Nome Committente Contratto Impostazione Varo Consegna

321 incrociatore Cornelio Siila R. Marina 20.1.1938 12.10.1939 28.6.1941322 incrociatore Paolo Emilio R. Marina 20.1.1938 12.10.1939343 avviso Ardito R. Marina 29.4.1941 3.4.1941 16.3.1942 30.6.1942344 avviso Animoso R. Marina 29.4.1941 3.4.1941 15.4.1942 14.8.1942345 avviso Ardente R. Marina 29.4.1941 3.4.1941 27.5.1942 30.9.1942346 avviso Ardimentoso R. Marina 29.4.1941 3.4.1941 27.6.1942 17.12.1942348 torpediniera Ariete R. Marina 4.2.1941 15.7.1942 6.3.1943 5.8.1943349 torpediniera Arturo R. Marina 4.2.1941 15.7.1942 27.3.1943 4.10.1943350 torpediniera Auriga R. Marina 4.2.1941 15.7.1942 15.4.1943 30.9.1942351 torpediniera Dragone R. Marina 4.2.1941 15.7.1942 14.8.1943 3.4.1944352 torpediniera Eridano R. Marina 4.2.1941 15.7.1942 12.7.1943 6.3.1944353 torpediniera Rigel R. Marina 4.2.1941 15.7.1942 22.5.1943 28.1.1944561 corvetta Tuffetto Germania 1.2.1942 15.3.1943 25.6.1943 3.3.1944562 corvetta Marangone Germania 1.2.1942 15.3.1943 16.9.1943 26.2.1944563 corvetta Strologa Germania 1.2.1942 15.3.1943 31.10.1943 25.3.1944564 corvetta Ardea Germania 1.2.1942 15.3.1943 22.12.1943 6.5.1944565 corvetta Cicogna R. Marina 2.9.1941 15.6.1942 12.10.1942 11.1.1943506 corvetta Folaga R. Marina 2.9.1941 15.6.1942 13.11.1942 16.2.1943507 corvetta Ibis R. Marina 2.9.1941 18.6.1942 12.12.1942 3.4.1943508 corvetta Gru R. Marina 2.9.1941 6.7.1942 23.12.1942 29.4.1943

Diagramma 1. - Occupazione degli scali del cantiere navale Ansaldo (gennaio 1925-agosto 1935). L ’area tratteggiata copre l'intervallo tra l ’inizio dichiarato della costruzione (accesso ai pagamenti in conto lavo­ri) e il varo. L'area nera corrisponde al periodo di allestimento presso l ’Oarn. Si noti come i quattro scali di muratura siano sempre stati occupati e in piena attività. La contemporaneità di più di quattro navi sugli scali è fittizia, in quanto i pagamenti avevano inizio con la preparazione dei semilavorati.

R. Montecuccoli Rex

Bolzano Adatepe

Kocatepe Imperator

Olbia A.Deffenu

Caralis B.Colleoni

A. Da Barb iano A. Da Giussano

L. Malocello L. Tarigo Ausonia

Augustus Roma Ostro

Espero Zeffiro Borea