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Nuova Umanità XXXI (2009/4-5) 184-185, pp. 591-614 L’AMORE RECIPROCO COME PRINCIPIO ONTOLOGICO IN MAURICE NÉDONCELLE Maurice Nédoncelle (1905-1976), pur non essendo, oggi, tra i filosofi più conosciuti e citati, è a mio avviso uno dei pensatori più originali e stimolanti che la Francia contemporanea ha dato. Teologo, ma soprattutto filosofo, Nédoncelle può essere conside- rato uno dei massimi esponenti del personalismo francese, essen- do la sua riflessione volta a sviluppare la dimensione metafisica della persona, partendo dalla realtà dell’intersoggettività – chia- mata da lui il più delle volte, come vedremo, la reciprocità delle coscienze – e arrivando al riconoscimento della coincidenza tra es- sere e amore che costituisce lo zoccolo duro di quella che po- tremmo chiamare l’ontologia personalista. In questo contributo cercheremo, dopo una rapida conte- stualizzazione del suo pensiero, di evidenziare quali siano i princi- pali elementi metafisici che permettono a Nédoncelle di elaborare un’ontologia della reciprocità che trova nell’amore il suo princi- pio fondante. LA CONTESTUALIZZAZIONE DEL PENSIERO NÉDONCELLIANO Come filosofo, Nédoncelle si colloca, grosso modo, sulla li- nea che parte da Agostino, passa per Pascal, Malebranche e Mai- ne de Biran e arriva fino a Maurice Blondel, a Henri Bergson e al- la cosiddetta philosophie de l’esprit, i cui maggiori rappresentanti sono Louis Lavelle, René Le Senne e Jean Nabert. Inoltre, il no- N.U. 184-85 impag 17-09-2009 10:19 Pagina 591

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Nuova UmanitàXXXI (2009/4-5) 184-185, pp. 591-614

L’AMORE RECIPROCO COME PRINCIPIO ONTOLOGICOIN MAURICE NÉDONCELLE

Maurice Nédoncelle (1905-1976), pur non essendo, oggi, trai filosofi più conosciuti e citati, è a mio avviso uno dei pensatoripiù originali e stimolanti che la Francia contemporanea ha dato.Teologo, ma soprattutto filosofo, Nédoncelle può essere conside-rato uno dei massimi esponenti del personalismo francese, essen-do la sua riflessione volta a sviluppare la dimensione metafisicadella persona, partendo dalla realtà dell’intersoggettività – chia-mata da lui il più delle volte, come vedremo, la reciprocità dellecoscienze – e arrivando al riconoscimento della coincidenza tra es-sere e amore che costituisce lo zoccolo duro di quella che po-tremmo chiamare l’ontologia personalista.

In questo contributo cercheremo, dopo una rapida conte-stualizzazione del suo pensiero, di evidenziare quali siano i princi-pali elementi metafisici che permettono a Nédoncelle di elaborareun’ontologia della reciprocità che trova nell’amore il suo princi-pio fondante.

LA CONTESTUALIZZAZIONE DEL PENSIERO NÉDONCELLIANO

Come filosofo, Nédoncelle si colloca, grosso modo, sulla li-nea che parte da Agostino, passa per Pascal, Malebranche e Mai-ne de Biran e arriva fino a Maurice Blondel, a Henri Bergson e al-la cosiddetta philosophie de l’esprit, i cui maggiori rappresentantisono Louis Lavelle, René Le Senne e Jean Nabert. Inoltre, il no-

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stro filosofo si propone di continuare la filosofia personalista edialogica di Max Scheler, Emmanuel Mounier, Gabriel Marcel esimili. In altre parole, Nédoncelle si ispira in particolare alla tra-dizione che postula un certo primato dello spirituale e che vedenell’interiorità dell’uomo, cioè nella coscienza, il centro vitale del-la persona, il cuore della sua identità.

Per essere più specifici, sembra che sia stata soprattutto la fi-losofia di Blondel, di Bergson e di Lavelle a fornire a Nédoncellele idee che sorreggono l’edificio della sua metafisica 1. Se Blondelcon la sua celebre tesi di dottorato L’Action (1893) ha inauguratoun’ontologia dinamica, basata sull’azione la cui forma più alta epura non è che l’atto d’amore, Nédoncelle conferma pienamentela convinzione blondeliana che in ultima analisi l’essere, l’atto el’amore sono inseparabili. In una lettera, infatti, Nédoncelle dice:«Il solo modo di dare un significato plausibile alla filosofia del-l’essere è quello di farla sfociare in una filosofia dell’atto; e, quin-di, il solo modo plausibile di dare un significato ad una filosofiadell’atto è quello di farla sfociare in una filosofia dell’amore. Piùbrevemente: l’essere vero è atto; l’atto vero è amore» 2.

Da Bergson Nédoncelle prese l’intuizione del carattere intrin-secamente creativo della vita, nonché una concezione dinamica erelazionale dell’identità (Nédoncelle parlerà dell’identità eteroge-nea) che trova la sua radice nella definizione bergsoniana – pre-sentata ne L’évolution créatrice (1907) – della continuità vitale cheviene spiegata attraverso il concetto di una compenetrazione reci-

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1 Nédoncelle conosceva bene il pensiero di ciascuno di questi tre filosofi,come documentano alcuni suoi saggi, in particolare: Maurice Blondel et les équi-voques du personnalisme (in Explorations personnalistes, Aubier-Montaigne, Paris1970, pp. 251-261), Quelques aspects de la causalité chez Bergson (ibid., pp. 243-249) e Trois approches d’une philosophie de l’esprit: Lavelle (1883-1951), Le Senne(1882-1954), Nabert (1881-1960) (ibid., pp. 267-281). Verso la fine della sua vitaNédoncelle si è confrontato anche con la filosofia di Buber e di Levinas (cf. L’in-tersubjectivité d’après Martin Buber et Emmanuel Levinas, in Intersubjectivité etontologie. Le défi personnaliste, Nauwelaerts, Louvain-Paris 1974, pp. 365-374).

2 Lettera di Nédoncelle del 29 novembre 1959, cit. in M. Amadini, Ontolo-gia della reciprocità e riflessione pedagogica. Saggio sulla filosofia dell’amore diMaurice Nédoncelle, Vita e Pensiero, Milano 2001, p. 52 (corsivo T.T.).

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proca degli elementi eterogenei 3. Se l’identità di ogni essere vitalepuò essere descritta come un’unità molteplice 4, vuol dire che ladifferenza (o l’alterità) non è esteriore all’identità personale, mane è un elemento costitutivo. Su questo punto importantissimotorneremo ancora.

Non di meno è importante evidenziare l’influenza di Lavelleche, a quanto pare, fu decisiva per quanto riguarda la questionedella reciprocità, centrale nella filosofia di Nédoncelle. Nella suaopera di un enorme spessore speculativo (che, essa pure, postulal’identità dell’essere e dell’atto) De l’acte (1937), Lavelle definiscel’amore come «una creazione mutua di due esseri che si amano» 5

e aggiunge che senza la reciprocità l’amore non sarebbe pieno, acondizione, però, che questa reciprocità abbia il carattere di unincontro di due libertà e che quindi sia «una reciprocità di dono edi sacrificio» 6. L’amante, dice Lavelle, è più umile e più sinceronon quando pretende di mettere in atto un amore unilaterale,senza ritorno, ma quando ama in maniera da rendersi amabiledall’altro, generando così l’amore nell’amato e facendolo in talmodo essere più pienamente. L’amore, la cui natura sacrificalepermette di definirlo come una «sottomissione reciproca» 7, tendepoi a far nascere «una società dove tutti quelli che la formano vo-gliono la loro diversità e la loro unità allo stesso tempo: il che èpropriamente l’essenza dell’amore» 8. Oserei dire che l’opera filo-sofica di Nédoncelle nella sua espressione più pregnante non saràche l’approfondimento di queste tesi di Lavelle.

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3 Cf. H. Bergson, Oeuvres, Presses Universitaires de France, Paris 1959, p.632.

4 Cf. ibid., p. 714.5 L. Lavelle, De l’acte, Aubier, Paris 1992, p. 522.6 Ibid., p. 523.7 Ibid. Lavelle spiega magistralmente: «Dans l’amour véritable, je m’offre

moi-même tout entier pour être possédé plus encore que je ne cherche à possé-der. Il y a toujours dans la volonté d’être aimé un appétit de sacrifice. Tel est lepoint peut-être où se marque le mieux la différence entre le désir qui ne songequ’à prendre et l’amour qui ne songe qu’à donner, c’est-à-dire à se donner»(ibid., p. 525).

8 Ibid., p. 523.

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Per passare ora al contesto teologico del pensiero nédoncel-liano, bisogna innanzitutto sottolineare che è già il concetto del-la creazione come dono gratuito che conferma l’idea dell’identi-tà tra l’essere e l’amore: se, infatti, l’essere creato è un dono divi-no, un’opera dell’Amore di Dio, la radice dell’essere non può es-sere che l’Amore. Creandoci, Dio «si dona, donandoci a noistessi e noi ci doniamo a noi stessi, riferendoci a Lui e riprodu-cendolo in noi» 9. Il nostro io più profondo (Nédoncelle lo chia-ma l’io ideale) è quindi Dio; è Lui che custodisce la nostra iden-tità propriamente personale. In più, Dio non è soltanto il creato-re della persona umana, ma anche colui che invita l’uomo a en-trare in un rapporto di reciprocità umano-divina, dove l’ovviaasimmetria di questa relazione non cancella la possibilità di unacomunione teandrica, in virtù della quale, appunto, Dio rivive, siriproduce in noi 10.

Inoltre, la fede in Dio personale fa dire a Nédoncelle che«[l’]essere e la persona coincidono nell’assoluto» 11. L’essere piùperfetto è l’essere personale che nella pienezza ultima corrispon-de all’Essere divino, il quale è un essere-in-relazione, anzi un esse-re-in-comunione. Indubbiamente, è sempre stata la convinzionedi Nédoncelle che è il mistero della Trinità che racchiude la veritàsull’essere e sulla persona umana, creata a immagine e somiglian-za di Dio. Nella Trinità – che è la comunione delle relazioni sussi-

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9 M. Nédoncelle, Conscience et Logos. Horizons et méthodes d’une philoso-phie personnaliste, Éditions de l’Épi, Paris 1961, p. 230.

10 In una sua opera nettamente teologica, Nédoncelle osserva a questo pro-posito: «Deux types de réciprocité se rencontrent en nous: celle qui nous relieaux autres hommes, celle qui nous relie à Dieu. Sans doute y a-t-il entre elles deprofondes différences, au point qu’il peut paraître audacieux et impropre de par-ler d’une réciprocité entre l’homme et Dieu. Mais s’il est dépouillé de toute con-nexion nécessaire entre la réciprocité et l’égalité, s’il respecte la priorité du Créa-teur par rapport à la créature, le commerce de Dieu et de nos personnes est bienune réalité et il y a d’autant plus de raison de lui appliquer le terme de réciproci-té que nous nous plaçons au point de vue chrétien: filii in Filio» (Le chrétien ap-partient à deux mondes, Le Centurion, Paris 1970, p. 73).

11 M. Nédoncelle, Personne humaine et nature, Aubier-Montaigne, Paris1963, p. 13.

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stenti – l’essere delle Divine Persone coincide con il loro essere-verso-l’altro, cosicché esse ad è il fondamento dell’esse in 12. Insintesi, l’essenza di Dio è amore 13.

Vediamo dunque che Nédoncelle sviluppa una filosofia cri-stiana 14 che accetta la rivelazione biblica sia come l’orizzonte diprecomprensione che come la guida teleologica. Per Nédoncellenon solo l’origine fondante, ma anche il fine ultimo della recipro-cità interpersonale è Dio, per cui la prospettiva escatologica versocui gli uomini tendono è «l’irruzione di tutti in Dio e di Dio intutti» 15. Tuttavia, Nédoncelle come filosofo riconosce che leistanze metafisiche (che per lui scaturiscono dalla rivelazione cri-stiana) possono, anzi devono, essere confermate, corredate ecomplementate fenomenologicamente, cioè armonizzate conl’esperienza umana che mette i dati teologici tra parentesi. Il me-todo filosofico di Nédoncelle può allora essere definito come unacerta «osmosi tra fenomenologia e metafisica» 16. Nédoncelle – dametafisico – insiste su questa necessità di quella che potremmochiamare un’interdipendenza tra metafisica e fenomenologia, af-fermando che «ogni fenomenologia non è metafisica; ma ognimetafisica è fenomenologica» 17. Bisogna poter sperimentare esi-stenzialmente, ci dice Nédoncelle, ciò che la metafisica ci propo-ne, e il lavoro del filosofo consiste nel far vedere agli occhi dell’in-telletto la coincidenza tra l’ordine del vissuto e quello della spe-culazione astratta.

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12 Cf. M. Nédoncelle, La réciprocité des consciences. Essai sur la nature de lapersonne, Aubier-Montaigne, Paris 1942, p. 53.

13 Cf. M. Nédoncelle, Vers une philosophie de l’amour et de la personne,Aubier-Montaigne, Paris 1957, p. 94.

14 A questo proposito, cf. il suo libro Existe-t-il une philosophie chré-tienne?, Fayard, Paris 1956.

15 M. Nédoncelle, Vers une philosophie de l’amour et de la personne, cit., p. 41.16 M. Amadini, Ontologia della reciprocità e riflessione pedagogica, cit., p. 59.17 M. Nédoncelle, Explorations personnalistes, cit., p. 39.

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IL PUNTO DI PARTENZA: LA “RECIPROCITÀ DELLE COSCIENZE”

La radicalità del personalismo nédoncelliano è tanto profon-da da operare una netta distinzione tra l’ordine delle cose e quel-lo delle persone. La persona, secondo Nédoncelle, non è un og-getto né può essere trattata come una cosa: ogni reificazione del-la persona è inammissibile. Detto con un linguaggio più specula-tivo, la persona non è una sostanza: il concetto di sostanza è utileper le cose che sono meri oggetti, non per le persone che sonosoggetti attivi e dinamici 18. Essendo la persona umana, come ab-biamo già accennato, un essere propriamente spirituale cheemerge da un substrato psicofisico, essa non si confonde con ciòche costituisce il suo aspetto materiale (pur supponendolo comecondizione necessaria della sua esistenza incarnata), ma lo tra-scende. Secondo Nédoncelle «la persona non è un substrato, mala presenza unica che io trovo nell’altro e in me attraverso la co-scienza» 19. Questa concezione permette a Nédoncelle di estra-polare l’ordine personale ponendolo al di là del regno della logi-ca aristotelica con i suoi principi di identità, di non-contraddi-zione e del terzo escluso. Nédoncelle, infatti, non esita a dire cheper le persone la «regola del terzo escluso non ha più senso» 20.Naturalmente non vuol dire che Nédoncelle escluda tout court lalogica classica dal suo pensiero, ma la inserisce in un contestopiù ampio, potremmo dire meta-logico, relativizzandola qualoraessa pretendesse di esercitare il dominio assoluto sull’universopersonale.

Vediamo ora quale significato ha il concetto di reciprocità nel-la filosofia di Nédoncelle. Per il nostro filosofo la reciprocità è unvero e proprio punto di partenza per la riflessione sulla persona,nel senso che la reciprocità non si aggiunge a posteriori o dall’ester-no alla coscienza che ogni persona ha di sé, ma è un dato di fatto

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18 Cf. M. Nédoncelle, La réciprocité des consciences, cit., p. 55.19 Ibid., p. 54.20 M. Nédoncelle, La personne humaine et la nature, Presses Universitaires

de France, Paris 1943, p. 76.

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sempre a priori presente nell’interiorità di ogni uomo 21. Non sipuò, infatti, avere la coscienza di sé in quanto persona se non si haanche la coscienza dell’altro, se non si è stati, in un certo senso, pri-ma dall’altro generati, per cui – sono parole di Nédoncelle – «il co-gito ha immediatamente un carattere reciproco» 22. Vi è quindi unareciprocità originaria che è la condizione di possibilità della cresci-ta e dello sviluppo di ogni persona umana. Ora, è chiaro che la re-ciprocità è una realtà dinamica e quindi perfettibile; anzi, inizial-mente abbiamo a che fare solo con un minimo di reciprocità, conuna reciprocità in fieri che è presente quasi sotto la forma di ungerme. Nondimeno, secondo Nédoncelle una certa reciprocità è difatto presente (almeno implicitamente, perché non è detto che essadebba essere sempre sperimentata coscientemente e tematizzatacome tale) in ogni atto conoscitivo interpersonale, perché se ioposso percepire l’altra persona, vuol dire che l’altro si rende pre-sente a me, che si dà al mio sguardo o alla mia coscienza e chequindi accetta di essere non solo conosciuto, ma anche ricono-sciuto, dunque amato. L’altro è originariamente amabile, natural-mente non nel senso che l’altro sia sempre, empiricamente, unoche io voglia amare, ma nel senso che è uno che può essere da meamato, una volta conosciuto e riconosciuto nella sua identità. Se-condo Nédoncelle – che parla dell’«altruismo della conoscenzache è un riconoscimento dell’altro nella sua singolarità» 23 – ognipercezione dell’altro è fondamentalmente altruista, o forse po-tremmo dire potenzialmente amante.

Se è vero che ogni percezione dell’altro implica fin dall’inizioalmeno un minimo di reciprocità, è anche vero che ogni recipro-cità implica almeno un minimo di amore. Secondo Nédoncelle viè una continuità, anzi una correlazione strettissima tra la perce-zione e la promozione dell’altro, e quindi tra conoscenza e amore.Certo, posso sempre decidere di odiare l’altro, di respingerlo o di

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21 Cf. M. Nédoncelle, Vers une philosophie de l’amour et de la personne, cit.,p. 28.

22 M. Nédoncelle, La réciprocité des consciences, cit., p. 319.23 M. Nédoncelle, Intersubjectivité et ontologie, cit., p. 146 (cf. anche ibid.,

p. 16).

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chiudermi di fronte a lui, ma in quel caso la mia conoscenza del-l’altro si impoverisce o si deforma. In altre parole, l’amore portaluce che mi permette di scoprire l’altro nella verità, mentre l’odioo l’indifferenza accecano o fanno cadere nelle illusioni solipsisti-che. «Ogni percezione dell’altro – sostiene Nédoncelle – è unapromozione intuitiva del suo essere» 24 e questa promozione è an-che immediatamente reciproca, per cui si può dire che «l’essenzadi ogni relazione tra l’io e il tu è l’amore, vale a dire la volontà dipromozione mutua» 25. Per Nédoncelle l’amore che non sia alme-no minimamente reciproco sarebbe quasi una contraddizione intermini, perché non posso amare chi non conosco, mentre il farsiconoscere dell’altro è già un atto che istituisce una minima reci-procità. Dire, in questo senso, che l’amore è sempre reciproco 26

non è l’espressione di un ottimismo esasperato e staccato dalla re-altà, ma il riconoscimento del carattere originariamente sempreaperto dell’amore, riconoscimento che non nega il fatto che la re-ciprocità può sempre fermarsi e che l’amore può sempre degene-rare. Al di là delle vicende concrete degli uomini che non semprerealizzano le loro possibilità e che possono sempre tradire la pro-pria vocazione ripiegandosi nel proprio individualismo, vi è nel-l’ordine personale «una sinonimia di base tra la percezione del-l’altro, la reciprocità e l’amore personale» 27, il che fa dire a Né-doncelle che nella comunione interpersonale «essere, conoscere,amare diventano (…) sinonimi» 28.

Nédoncelle afferma l’originaria comunicabilità dell’interioritàdella persona, che secondo lui è un dato metafisico che fonda lapossibilità che l’uomo ha di sfruttare o meno questa sua capacità diaprirsi e di comunicare con gli altri 29. In più, Nédoncelle sostieneche è solo grazie all’apertura verso l’altro, che rende possibile l’ir-

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24 M. Nédoncelle, La réciprocité des consciences, cit., p. 36.25 M. Nédoncelle, La personne humaine et la nature, cit., p. 3.26 Cf. M. Nédoncelle, Vers une philosophie de l’amour et de la personne, cit.,

p. 244.27 M. Nédoncelle, La réciprocité des consciences, cit., p. 16.28 Ibid., p. 71.29 Cf. ibid., p. 48.

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ruzione della diversità nell’interiorità dell’io, che la persona può di-ventare veramente se stessa. La persona non basta a se stessa, nonpuò affermarsi da sola, ha bisogno degli altri per portare a termineil progetto della propria autocreazione. Infatti, «la persona è da farsie diviene sé solo per il tramite dell’altro: il tu è sorgente dell’io» 30.L’alterità, dunque, non porta all’alienazione (come potrebbe pensa-re una certa metafisica plotiniana semplicistica, nonché una certainterpretazione stereotipata dell’esistenzialismo di Sartre), ma alcontrario allo sviluppo dell’identità personale. Per spiegare il dina-mismo proprio dell’intersoggettività, Nédoncelle parla della «crea-zione reciproca» 31 o della «genesi reciproca» 32 delle coscienze le-gate una all’altra dall’amore. Due persone che si amano costituisco-no una specie di coscienza collegiale, dove la reciprocità suscita epromuove la vera identità di ciascuno 33, e quest’ultima, a sua volta,rafforza la comunione creatasi in questo spazio intersoggettivo o,meglio, interpersonale. Nédoncelle esprime talvolta questa dinami-ca in termini di causalità, dicendo ad esempio che «il tu e l’io sonol’uno per l’altro allo stesso tempo causa ed effetto» 34. Riassumen-do, io posso conoscere me stesso, anzi essere me stesso pienamentesoltanto attraverso l’altro, così come l’altro può conoscere ed esserese stesso soltanto attraverso me.

LA DINAMICA DELLA COMUNIONE

Per approfondire la reciprocità non è sufficiente che io diaall’altro la mia visione del mondo (ciò sarebbe mera comunicazio-ne), né si tratta di fondere le prospettive (il che implicherebbe

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30 M. Amadini, Ontologia della reciprocità e riflessione pedagogica, cit., p. VIII.31 M. Nédoncelle, Vers une philosophie de l’amour et de la personne, cit.,

p. 129.32 M. Nédoncelle, Explorations personnalistes, cit., p. 85.33 Cf. M. Nédoncelle, La réciprocité des consciences, cit., p. 23.34 Ibid., p. 320.

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una falsa unità alienante per ciascuno). Secondo Nédoncelle, la ve-ra reciprocità che sboccia in un’autentica comunione interperso-nale esige piuttosto che io esca da me stesso per vedere il mondo,per così dire, con gli occhi dell’altro, ma anche che io sia capace diprestare all’altro i miei occhi 35. La reciprocità richiede dunque unmomento di donazione che è un momento nello stesso tempo esta-tico e ascetico, un momento che promette un arricchimento, mache richiede un dolore, anzi a volte un eroismo, poiché uscire dal-la propria interiorità per “farsi uno” con l’altro vuol dire spessevolte abbandonare le proprie sicurezze per recarsi come in unaterra sconosciuta, piena di misteri, dove non sappiamo cosa ciaspetta. Per questo Nédoncelle ha tutte le ragioni di dire che«mettersi al posto dell’altro è la più ardua di tutte le imprese» 36.L’oblio di sé, lo spogliamento spirituale, il passaggio per il vuoto 37:sono questi i requisiti di chi vuole realizzarsi come persona.

Da quanto detto finora risulta chiaro che la formazione del-l’identità personale è un processo o un progetto che si dispieganel tempo: «ogni persona è uno sviluppo storico» 38, ogni uomoha la propria storia, anzi, la sua identità è questa stessa storia, è,come direbbe Ricoeur, un’identità narrativa 39. Nédoncelle sem-bra pienamente consapevole di questa verità che implica ancheche il donare non è fine a se stesso, ma è, come abbiamo già ac-cennato, un momento che prepara la fase del ricevere, cioè il mo-mento della circolazione del dono. La reciprocità è un movimen-to circolare – o, se si preferisce, a forma di spirale – dove l’obliodi sé può essere considerato assoluto solo se estrapolato dalla di-mensione temporale, ma nel contesto dell’identità narrativa o rela-zionale risulta il passaggio verso una pienezza sempre maggioredell’essere del donatore. In altre parole, il dono iniziale deve esseregratuito (se non lo fosse sarebbe un mero calcolo, un elemento del-

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35 Cf. ibid., p. 18.36 M. Nédoncelle, Intersubjectivité et ontologie, cit., p. 20.37 Cf. ibid., pp. 152s.38 M. Nédoncelle, Vers une philosophie de l’amour et de la personne, cit., p. 75.39 Cf. P. Ricoeur, Soi-même comme un autre, Seuil, Paris 1996, pp. 137-198.

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lo scambio economico o contrattuale) e comportare quindi il ri-schio reale di rimanere senza contraccambio, ma dall’altra parte chiriceve il dono (o chi accoglie l’altro nella propria interiorità) è invi-tato a donare, anzi a donarsi a sua volta, a uscire da se stesso purelui, a trasferirsi spiritualmente nell’altro. «Il dono offerto – diceNédoncelle – chiama inevitabilmente un dono ricevuto» 40. Eviden-temente si può parlare della reciprocità solo laddove il dono è statocontraccambiato (pur in maniera asimmetrica 41), solo laddove si èrealizzata una compenetrazione mutua delle coscienze, delle inte-riorità. In questo contesto è giusto dire che il dare e il ricevere han-no la stessa dignità 42, perché solo il dono ricevuto e accolto congratitudine può suscitare un altro dono in contraccambio.

Così come l’identità personale, anche la comunione interper-sonale (che non è che la reciprocità realizzata ad un livello piùprofondo) ha, quindi, la sua storia 43. È una storia che ha i suoi al-ti e bassi, una storia in cui il soggetto conosce momenti di dimen-ticanza di sé come quelli di emergenza del proprio valore unico,affermato dall’altro. È, insomma, una dinamica di morte e di rina-scita spirituali, dinamica il cui fine ultimo e ideale può essere rias-sunto con l’espressione essere-l’uno-per-l’altro. Questa pro-esi-

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40 M. Nédoncelle, La réciprocité des consciences, cit., p. 257.41 Cf. M. Nédoncelle, Intersubjectivité et ontologie, cit., p. 11. Il problema

dell’asimmetria – o, più specificamente, la questione se (o come) è possibile con-ciliare asimmetria con reciprocità (e quindi il dono disinteressato con lo scambiosempre in un certo senso “economico”) – è interessantissimo, soprattutto dopoche l’hanno approfondito filosofi come Bataille, Levinas e Derrida (cf., di que-st’ultimo, soprattutto i libri Donner le temps e Donner la mort) e sociologi comeCaillé, Godbout, Hénaff e altri. Non c’è spazio qui per trattare per esteso l’argo-mento, per cui mi limito a dire che mi sembra che una simmetria perfetta nellarelazione interpersonale è più un ideale astratto che una possibilità concretamen-te raggiungibile, data la diversità delle persone e la singolarità di ciascuno.L’asimmetria, a sua volta, non mi pare debba precludere la reciprocità, anzi sa-rebbe da vedere non solo se una reciprocità interpersonale non sia sempre inqualche misura asimmetrica, ma anche se non sia proprio l’asimmetria ciò chenon fa scivolare la reciprocità nell’ordine dello scambio di merci.

42 Cf. M. Nédoncelle, Vers une philosophie de l’amour et de la personne, cit.,p. 119.

43 Cf. M. Nédoncelle, La réciprocité des consciences, cit., p. 47.

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stenza reciproca corrisponde, per Nédoncelle, con l’inabitazionereciproca dell’uno nell’altro: nei momenti di reciprocità piena(che in genere – Nédoncelle lo ammette volentieri – sono rari epoco duraturi) le «coscienze non si chiedono niente, e non si rin-graziano di niente altro se non della coscienza d’essere l’una nel-l’altra e l’una per l’altra. Non è che l’io cessi d’essere se stesso, madiventando il tu, cessa d’essere il centro sufficiente di se stesso elo è soltanto attraverso l’altro» 44. È dunque accettando di diven-tare, ovviamente in un senso spirituale, l’altro che si passa da unareciprocità che è soltanto comunicazione a una reciprocità che ècomunione e che genera la realtà che Nédoncelle chiama spesso ilnoi, cioè una specie di unità o unione dell’io e del tu, una speciedi «coscienza collettiva» 45 stabilita attraverso il dono reciprocodelle rispettive interiorità. In questo senso possiamo dire che lacomunione è il dover essere della comunicazione, anzi – come siesprime Nédoncelle – il paradiso della comunicazione 46.

LA RECIPROCITÀ DELL’AMORE

Se la comunicazione può essere definita come un’aperturareciproca, la comunione consiste in una donazione reciproca e inuna certa compenetrazione delle interiorità che fa sì che l’unovuole che l’altro sia sempre più se stesso anche grazie al contribu-to che io posso dargli. «È nell’amore che si trova la pura comu-nione» 47, dice Nédoncelle, e abbiamo già osservato che secondolui l’amore è la volontà reciproca della promozione dell’altro. Orasembra chiaro che se l’amore è una volontà, esso non è solo unsentimento benevolo. L’amore deve essere operante e incarnatonella natura, deve essere un contributo reale che aiuti l’altro a svi-

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44 Ibid., p. 17 (corsivo T.T.).45 M. Nédoncelle, Vers une philosophie de l’amour et de la personne, cit., p.

145.46 Cf. M. Nédoncelle, Intersubjectivité et ontologie, cit., p. 134.47 M. Nédoncelle, La réciprocité des consciences, cit., p. 39.

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lupparsi come persona che ha un’esistenza concreta e autonomain questo mondo. Ciò non vuol dire che io debba essere indiffe-rente circa la questione se l’altro risponde all’amore ricevuto conl’amore, perché l’altruismo nell’amore consiste piuttosto nel fattoche l’io deve rinunciare a proiettare sull’altro i propri progetti inmodo da permettere all’altro di realizzare la propria libertà aman-do in una maniera unica, in una maniera che rifletta la sua singo-larità personale. Come infatti ribadisce Nédoncelle, l’amore vuoleche l’altro si realizzi come persona amando e non semplicementericevendo amore, per cui «amare l’altro è cercare di renderloamante, o se lo è, è gioire che lo sia» 48. In altre parole, chi amasenza lasciarsi amare (ammesso che l’amato desideri amare a suavolta) non ama di più dell’uno che entra nella dinamica dell’amo-re reciproco, ma di meno, manifestando il proprio orgoglio, radi-cato nella falsa convinzione della propria autosufficienza.

Il ritorno dell’amore all’amante non può essere calcolato, deveessere – se l’amore è sincero e in quanto tale gratuito e disinteressa-to – imprevedibile e in un certo senso sorprendente perché porta-tore di novità, anche se sempre desiderato. Parlando della recipro-cità nell’amicizia, Nédoncelle si esprime così: «Quando (…) il do-no ritorna sotto una forma forse nuova e imprevista al donatore,l’amore è veramente mutuo e noi abbiamo raggiunto la reciprocitàmassima che contiene una comunione intersoggettiva» 49. L’amoreche torna mi arricchisce donandomi ciò che non potrei mai trovaretra le risorse della mia interiorità, ciò che non potrei mai inventareda solo, perché nasce dalla libertà dell’altro 50. Inoltre, l’amore chetorna, rispondendo al mio profondo desiderio di essere amato, èper me una fonte di gioia che a sua volta intensifica la mia capacitàdi amare. Di conseguenza, la reciprocità fa sì che l’amore possasempre rinnovarsi, mantenendo la sua freschezza.

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48 Ibid., p. 84.49 M. Nédoncelle, Intersubjectivité et ontologie, cit., p. 13.50 È proprio l’irriducibile e inalienabile libertà dell’altro ciò che secondo

Nédoncelle (cf. Explorations personnalistes, cit., p. 81) distingue il dialogo (tipicodella reciprocità interpersonale) dalla dialettica di stampo hegeliano (che è unprocesso necessario, immanente a un sistema chiuso).

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L’amore dischiude la vocazione propria della persona chenon è semplicemente la vocazione di amare, ma piuttosto la voca-zione di dare l’amore e di accoglierlo. La persona, infatti, non èchiamata né a chiudersi nel proprio solipsismo né a dissolversifuori di sé: la sua vocazione è quella di possedersi per donarsi e didonarsi per possedersi 51, nella reciprocità con gli altri che in que-sto senso implica «un equilibrio allo stesso tempo mobile e conti-nuo» 52 di due movimenti, l’uno centripeto, in cui la persona, riti-randosi in sé, raccoglie ciò che le viene donato, e l’altro centrifugoche è quello dell’espansione fuori di sé, dove la persona si dona,sperimentando che oltre che in sé si possiede anche negli altri 53.A questo proposito Nédoncelle dice che le persone in comunione«godono di far prosperare una ricchezza che non hanno in lorostessi: entrambi hanno quindi una specie di proprietà [avoir] nel-l’altro: è un possesso centrifugo; ben più, è un’esistenza dei loroio nell’altro, perché è il loro essere stesso che si sviluppa e si pro-lunga allora in un altro essere» 54. Nella comunione, dunque, l’al-tro non è tanto semplicemente un non-io, quanto piuttosto unaspetto di me. La mia interiorità allargata comprende in un certoqual modo anche l’alterità dell’altro, facendola diventare partedella mia identità personale. In questo senso l’essere-per-l’altro el’essere-per-sé, convergendo nell’amore 55, sono complementari; oper dirlo con un linguaggio più classico, è «sussistendo in alio cheun essere personale ha la capacità d’esistere in sé o per sé, oppurea sé» 56. L’identità di tipo sostanziale e quella relazionale – o, forsemeglio, agapica – sono come due facce di un’unica medaglia.

Prima di approfondire la concezione nédoncelliana dell’iden-tità, cerchiamo di esplicitare meglio di che tipo di amore parlaNédoncelle. Com’è noto, nella tradizione greca possiamo distin-guere tre tipi di amore: filia, eros, agape. Ora, Nédoncelle critica

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51 Cf. M. Nédoncelle, La personne humaine et la nature, cit., p. 4.52 M. Nédoncelle, Vers une philosophie de l’amour et de la personne, cit., p. 75.53 Cf. M. Nédoncelle, La personne humaine et la nature, cit., p. 5.54 M. Nédoncelle, Vers une philosophie de l’amour et de la personne, cit., p. 42.55 Cf. M. Nédoncelle, Intersubjectivité et ontologie, cit., p. 16.56 M. Nédoncelle, La réciprocité des consciences, cit., p. 53.

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tali teorizzazioni che vedono l’eros e l’agape come due forze quasiantitetiche 57, affermando non solo che tutte le forme dell’amorepossono e devono ammettere la reciprocità, ma anche che tutte leforme dell’amore sono reciprocamente interdipendenti. Mentreper Nédoncelle l’agape corrisponde all’amore che mette in lucel’altro, volendo la sua promozione; l’eros non è tanto l’amore chenasce in me per ripiegarsi egoisticamente verso il proprio puntodi partenza, ma l’amore che arriva sì a me, ma partendo dall’altroo almeno passando, per così dire, attraverso l’altro. In altre paro-le, la comunione interpersonale piena può essere vista come unacircolarità di eros e agape. Nédoncelle, infatti, dice: «Nel dono disé c’è quindi una messa in valore del tu attraverso l’io, vale a direun’agape; – e una messa in valore dell’io attraverso il tu, vale a di-re un eros. Questo circolo è inevitabile. (…) Un eros sincero por-ta all’agape; un’agape sincera riporta all’eros; ciascuno conduceall’altro rimanendo interamente presente nell’altro una volta chevi ha condotto» 58. All’equilibrio di uscita-da-sé e di raccoglimen-to si aggiunge, quindi, l’equilibrio dell’amore erotico e di quelloagapico. Sia l’agape che l’eros hanno ciascuno la propria formadella circolarità, nel senso che vi sono dei momenti di estasi e diinstasi in entrambi. Eros e agape, lungi dal confondersi e mante-nendo ciascuno la propria finalità, hanno pertanto l’analoga strut-tura che è quella della reciprocità.

Un altro aspetto interessantissimo del pensiero di Nédoncel-le è che la reciprocità – originariamente insita, come abbiamo vi-sto, nell’amore nelle sue diverse forme – fa sì che l’amore vada aldi sopra della sfera della moralità, almeno se per quest’ultima in-tendiamo il regno dei doveri e delle virtù. «Ogni amore supera la

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57 Su questo punto, Nédoncelle si confronta soprattutto con la classicaopera di Anders Nygren Eros e Agape, rifiutando le sue conclusioni nel nome diuna concezione più unitaria e organica dell’amore. È quasi scontato ricordareche oggi potremmo trovare il sostegno teologico per la posizione di Nédoncellecirca l’amore anche nella prima enciclica di Benedetto XVI Deus caritas est che siinserisce nell’autorevole tradizione agostiniana che vede nella caritas cristianauna specie di sintesi di eros e agape.

58 M. Nédoncelle, Vers une philosophie de l’amour et de la personne, cit., p. 34.

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moralità perché esso vuole anche la reciprocità» 59, dice Nédon-celle in una mirabile sintesi. Per capire bene questa affermazione,folgorante ma a prima vista forse anche un po’ misteriosa, biso-gna tener presente che secondo Nédoncelle – che rivisita così inmaniera originale la dottrina dei trascendentali – il valore massi-mo è il bello e che il bene (insieme con l’altro trascendentale, ilvero) non ne è che l’espressione 60. Di conseguenza, più l’amore,in virtù della reciprocità, è pieno e puro, più è non soltanto buo-no, ma – e sta precisamente qui la sua perfezione – bello. In sinte-si – sono parole di Nédoncelle – «il grado supremo del bene e delbello è l’amore» 61. Nell’amore perfetto l’essere, il bene e il bellocoincidono, per cui l’amore dovrebbe essere oggetto non solodell’etica, ma anche dell’ontologia e dell’estetica.

LA QUESTIONE DELL’IDENTITÀ

Dal fatto che l’amore custodisce e salvaguarda la singolarità,l’unicità e l’insostituibilità di ciascuno risulta che ci deve essereun legame strettissimo tra la crescita della comunione interperso-nale e quella dell’identità di ogni persona che a questa comunionepartecipa. Per affrontare l’argomento dell’identità personale inmaniera adeguata, Nédoncelle reinterpreta radicalmente alcunefondamentali categorie metafisiche (come unità, identità, alterità,differenza, pluralità, ecc.) per renderle consone alle esigenze chel’ordine personale con la sua “metalogica” presenta. «Nella logicadelle cose – dice Nédoncelle –, altro è il contrario del medesimo.Nella logica delle persone, l’alterità si distingue da me come unarelazione originaria, irriducibile, che non si confonde con i rap-porti di similitudine o di contrarietà propri alle idee generali» 62.

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59 M. Nédoncelle, La réciprocité des consciences, cit., p. 255.60 Cf. ibid., pp. 217-221.61 Ibid., p. 223.62 Ibid., p. 44.

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La relazione fa parte integrante della mia identità personale, per-ché è solo relazionandomi agli altri e quindi accogliendo l’alteritàall’interno della mia allargata interiorità personale che la miaidentità si costituisce, ovviamente su un livello non più soltantomateriale, ma spirituale.

Da un lato, quindi, nell’ordine personale dove l’io e il tu siincludono reciprocamente non c’è una netta contraddizione traidentità e alterità 63, ma dall’altro lato rimane fermo che l’identitàe l’alterità non vanno confuse. Nédoncelle lo esprime chiaramen-te: «Non si comprende niente alla percezione dell’altro se si rifiu-ta di riconoscere, da una parte, che la relazione d’alterità tra l’io eil tu è fondamentale, e, dall’altra parte, che l’io vi è posto comeidentico in un certo modo al tu stesso» 64. La chiave per compren-dere questo intreccio di identità e alterità sembra essere il concet-to di unità del noi, la quale per Nédoncelle, essendo l’espressioneo il risultato della reciprocità, concilia l’identità di ogni individuocon la differenza compresa nella pluralità 65. Il paradosso della co-munione consiste quindi in una certa coappartenenza di identitàe alterità, o in un loro condizionarsi vicendevole. In ogni caso,l’identità va distinta dalla semplice singolarità, come risulta evi-dente da questa affermazione di Nédoncelle: «Il noi è l’essenzadell’identità dei soggetti, così come l’io e il tu sono quella della lo-ro singolarità. Nell’ordine personale, l’una e l’altra faccia sonoinevitabili e uguali» 66. L’identità personale si nutre come da duefonti: la singolarità individuale e l’unità del noi.

Il noi interpersonale esclude la fusione delle due identità chela formano (se prendiamo qui come modello l’unità di due sog-getti): «la dualità sussiste nell’unità, e tra gli spiriti non c’è mai ilminimo rischio di confusione come nel miscuglio delle cose mate-riali» 67. In questa prospettiva, anzi, si potrebbe dire perfino chel’unità non solo non fonde, ma addirittura accentua l’identità di

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63 Cf. M. Nédoncelle, La personne humaine et la nature, cit., p. 82.64 M. Nédoncelle, La réciprocité des consciences, cit., p. 39.65 Cf. ibid., cit., p. 11.66 Ibid., p. 81.67 Ibid., p. 41.

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ciascuno e quindi anche la molteplicità. L’io che entra in un rap-porto di comunione con l’altro non rimane uguale a se stesso, maacquista un’identità rinnovata che è – anche se può sembrare pa-radossale – più “forte” di quella “vecchia”. Nédoncelle confermapienamente questa intuizione dicendo che la «crescita del molte-plice è l’uno e quella dell’uno è il molteplice» 68. La reciprocitàdelle persone in comunione quindi rafforza sia l’unità che la diffe-renza: «L’identità del noi (…) esige la differenza delle coscienze.Più la dualità è accentuata, più lo può diventare anche l’unità» 69.L’unità non solo è da distinguersi dall’uniformità o dall’omoge-neità, ma nell’ordine spirituale è proprio il contrario di esse.L’uno nel pensiero di Nédoncelle non è assolutizzato, nel sensoche non è posto al di sopra del molteplice come nel neoplatoni-smo (o nel misticismo derivato da quest’ultimo), ma consiste pro-prio nel dinamico relazionarsi comunionale delle singole persone.

L’identità personale, afferma Nédoncelle, non è quindi omo-genea, ma eterogenea 70. L’unità risalta nella diversità e viceversa,per cui l’io e il tu hanno bisogno l’uno dell’altro per essere ciascu-no veramente se stesso. L’alterità è dunque indispensabile non soloperché l’io possa scoprire la propria personalità – la quale, dice Né-doncelle, «consiste nell’avere coscienza di sé almeno virtualmentenell’altro e nell’avere coscienza dell’altro in sé» 71 –, ma anche per-ché si consolidi la stessa costituzione ontologica della persona 72.

Prima di prendere in esame la problematica ontologica insitanelle nostre analisi, ribadiamo che l’identità così come Nédoncellela concepisce non è mai statica, ma è in un continuo divenire, anziin un continuo progredire (o regredire, se la reciprocità viene me-no). L’identità personale si afferma e si consolida solo sviluppando-

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68 M. Nédoncelle, La personne humaine et la nature, cit., p. 128.69 M. Nédoncelle, La réciprocité des consciences, cit., p. 42.70 Cf. M. Nédoncelle, Vers une philosophie de l’amour et de la personne, cit.,

p. 43 et passim.71 M. Nédoncelle, La réciprocité des consciences, cit., p. 58.72 Notiamo che anche Ricoeur (Soi-même comme un autre, cit., p. 367) dice

che l’alterità appartiene alla costituzione ontologica dell’identità personale (daRicoeur chiamata ipseità).

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si, crescendo, rinnovandosi, superandosi, trasformandosi, anzi tro-vandosi nell’altro, arricchendosi attraverso l’altro 73. In questo con-testo sembra che la categoria, o meglio la realtà stessa del movimen-to perda il suo carattere meramente accidentale e diventi elementoessenziale di ciò che tradizionalmente viene chiamato “sostanza” 74.

È importante precisare qui che questo movimento dell’iden-tità personale, o meglio, questo movimento che è l’identità perso-nale, ha un senso ben preciso che è quello della fedeltà alla pro-pria vocazione. Qui il piano della metafisica astratta si apre alladimensione etica, ma anche – anzi più fondamentalmente – aquella religiosa, se crediamo con Nédoncelle che colui che è l’au-tore della nostra vocazione è Dio. Il garante ultimo dell’identitàdi ciascuno (del suo io ideale, come Nédoncelle spesso si esprime)non è l’altro uomo, ma l’Altro-Dio 75. Di conseguenza, in qualsiasicircostanza, anche in ogni situazione della reciprocità mancatacon gli altri possiamo sempre avere la fiducia che la nostra identi-tà è definitivamente custodita nel seno di colui che ci ha creato.

VERSO UNA ONTOLOGIA DELLA RECIPROCITÀ

La questione metafisica per eccellenza, cioè quella dell’essere,rimase per molto tempo per Nédoncelle più un orizzonte implici-

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73 Cf. M. Nédoncelle, La personne humaine et la nature, cit., p. 86. Cf. questeparole di Klaus Hemmerle: «l’identità (...) viene vissuta come incremento, comedrammatica trasformazione. La vita è identica a se stessa nella misura in cui proce-de e cresce; la vita rimane vita facendosi più vita» (Tesi di ontologia trinitaria, tr. it.,Città Nuova, Roma 1996, p. 56).

74 È sempre Hemmerle (Tesi di ontologia trinitaria, cit., p. 50) che confermaquesta tesi dicendo: «se ciò che rimane è l’amore, il baricentro si sposta dal sé versol’altro e diventano centrali il movimento – non più inteso in senso aristotelico – e larelatio – anch’essa non più intesa come categoria o addirittura come accidente».

75 Cf. M. Nédoncelle, La réciprocité des consciences, cit., p. 74; per quantoriguarda la nozione dell’io ideale, cf. anche Id., Vers une philosophie de l’amour etde la personne, cit., pp. 121-133.

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to del suo pensiero che un tema affrontato direttamente 76. Sem-bra che nella prima fase della sua attività filosofica (più o meno fi-no alla pubblicazione di Personne humaine et nature) Nédoncelle,probabilmente sotto l’influenza di Bergson, non abbia sviluppatouna sua ontologia perché temeva di entrare in uno schema concet-tuale in cui la persona sarebbe ridotta ad una sostanza. In più, Né-doncelle è partito dal presupposto (che poi però supererà) chel’essere non è una realtà, ma soltanto «un’idea vuota» 77 ovveropura indeterminatezza 78. «Avevo scartato le ontologie» 79, ammet-terà Nédoncelle più tardi, quando ormai cambia rotta, cercandodi proporre una nuova ontologia che risponda alle esigenze delpersonalismo.

Nel contesto di tutto il pensiero di Nédoncelle sembra evi-dente che la persona non è tanto una sostanza immobile, sussi-stente in sé e per sé, quanto piuttosto il soggetto agente, ovvero ilcentro d’azione. In altre parole, secondo Nédoncelle nella perso-na non si può distinguere l’essenza dall’esistenza 80: la persona èse stessa in quanto esiste, in quanto è attiva. D’altra parte, ognipersona può esistere soltanto perché possiede un substrato onti-co, per cui è anche giusto dire che se consideriamo la persona co-me un’individualità concreta, dobbiamo dire che essa è anche unente, cioè qualche cosa che sussiste per così dire nonostante il di-namismo tipico dell’esistenza con la sua forza centrifuga. La per-sona, dirà Nédoncelle alla fine del suo cammino speculativo, nonsi contrappone quindi all’ente, ma al contrario rappresenta l’entepiù perfetto 81, perché la perfezione sta nella capacità, tipica pro-prio della persona, di conciliare il dinamismo con la continuità.

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76 L’unica trattazione sistematica del problema dell’essere si trova nell’arti-colo di Nédoncelle del 1973 intitolato De l’être comme relation primordiale desétants, ripreso in M. Nédoncelle, Intersubjectivité et ontologie, cit., pp. 83-94.

77 M. Nédoncelle, La personne humaine et la nature, cit., p. 54.78 Cf. ibid., p. 93.79 M. Nédoncelle, Intersubjectivité et ontologie, cit., p. 5.80 Cf. M. Nédoncelle, La réciprocité des consciences, cit., p. 33. Riecheggia

qui la tesi della priorità dell’esistenza sull’essenza, formulata già da Lavelle nel1937 e successivamente ripresa, com’è noto, da Sartre.

81 Cf. M. Nédoncelle, Intersubjectivité et ontologie, cit., p. 83.

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Ora, se il substrato della persona è ontico, il dinamismo o latrascendenza, cioè il carattere propriamente personale del soggetto,è ontologico. Nédoncelle sembra ammetterlo già nella fase “pre-ontologica” del suo pensiero, quando dice che «il fondo dell’esserenon è inerte ma dinamico e la sua struttura eterna non è un riposo,la sua continuità con se stesso non è una passività» 82. Già in questaaffermazione possiamo discernere alcuni tratti salienti dell’ontolo-gia nédoncelliana che è dinamica e relazionale. L’essere in questaprospettiva non è una sostanza statica e chiusa in sé, ma un evento,un continuo divenire attivo, un’incessante creazione di sé. Più tardiNédoncelle confermerà questo approccio, scrivendo che «c’è unavvento e un’avventura dell’essere» 83. L’essere sembra quindi cor-rispondere con l’esistenza, per non dire addirittura con la vita.

Inoltre, l’ontologia di Nédoncelle, come abbiamo già detto, èrelazionale. Ora bisogna evidenziare che la relazione costituisceproprio la natura più intima dell’essere 84, a tal punto che l’esseree la relazione, nella prospettiva nédoncelliana, diventano pratica-mente sinonimi. Infatti, quando Nédoncelle decide finalmente diproporre una sua definizione dell’essere, dice questo: l’essere è«la relazione primordiale di ciascun ente con se stesso e con glialtri enti. Questa relazione non è semplicemente ideale, è esisten-te a suo modo, senza essere sussistente come l’ente» 85. SecondoNédoncelle, dunque, l’essere, essendo relazione, esiste realmente,anche se non ha, di per sé, una sussistenza ontica, a differenzadell’ente. Ma Nédoncelle non si ferma a considerare l’essere nellasua astrattezza: l’essere, secondo lui, trova la sua sussistenzaunendosi agli enti, cosicché (se prendiamo in considerazione enti-persone) «l’essere che non ha la sostanza da se stesso diventa sus-sistente in noi» 86. Nell’ordine personale possiamo quindi osser-vare una certa compenetrazione dell’essere e delle persone, o me-glio una specie di immersione delle persone – che, ricordiamo,

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82 M. Nédoncelle, Conscience et Logos, cit., p. 170.83 M. Nédoncelle, Intersubjectivité et ontologie, cit., p. 89.84 Cf. ibid., p. 91.85 Ibid., p. 83.86 Ibid., p. 91.

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per Nédoncelle sono gli enti per eccellenza – nell’atmosfera del-l’essere, immersione che è tanto profonda quanto intense sono lerelazioni tra di esse. L’essere, quindi, si manifesta concretamentenella reciprocità, e il luogo privilegiato del suo avvento è indub-biamente la comunione interpersonale.

Secondo Nédoncelle l’essere, in quanto relazione primordia-le, è la condizione fondamentale della possibilità della comunica-zione tra gli enti 87. È l’essere che costituisce la relazionalità deglienti, e oltre a costituirla, garantendo la loro comunicabilità, la fi-nalizza verso la loro comunione 88, cioè verso una reciprocitàsempre più piena e benevola. Secondo Nédoncelle vi è dunqueuna teleologia dell’essere, nel senso che il suo fine, se così si puòdire, sono gli enti 89, vale a dire il massimo sviluppo possibile del-la loro identità. L’essere, in questa prospettiva, è lo strumentodella realizzazione degli enti, per cui Nédoncelle si azzarda a so-stenere che «l’essere è subordinato all’ente» 90. Come capire que-st’ultima affermazione? Sembra che essa sia motivata soprattuttodalla preoccupazione di Nédoncelle di assicurare la massima di-gnità metafisica alla persona, dandole il valore assoluto. La perso-na, insomma, è il fine in sé, e stabilito questo, non è più giustifica-bile strumentalizzare, né tanto meno sacrificare, nessuna singolapersona umana nel nome di qualsiasi presunto ideale superiore.L’assoluta superiorità dell’ente personale è pertanto l’espressionespeculativamente più avanzata del personalismo nédoncelliano 91.

87 Cf. ibid., p. 84.88 Cf. ibid., p. 90.89 Cf. ibid., p. 84.90 Ibid.91 A questo punto mi sembra importante ricordare – l’abbiamo già citato –

che per Nédoncelle vi è coincidenza tra l’essere e la persona sul piano assoluto(cf. nota 11). Teologicamente parlando, in Dio non si può separare l’essenza dal-l’esistenza né l’essere dalla persona (o dalle Persone della Trinità), perché secon-do la riflessione cristiana l’Assoluto è la relatio subsistens, relazione stessa che,ipostatizzandosi, è nello stesso tempo anche un soggetto personale. Sul piano di-vino non ha dunque senso parlare della superiorità o della priorità dell’ente sul-l’essere (ma neanche della superiorità o priorità dell’essere sull’ente), perché Dioè contemporaneamente l’ente supremo e l’essere assoluto.

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Prima di concludere dobbiamo mettere in luce l’aspetto eti-co dell’ontologia nédoncelliana. L’essere, infatti, non si limita arappresentare il principio formale o la condizione trascendentaledell’emergere degli enti, ma è anche «appello incessantementelanciato all’ente, è interpellanza della trascendenza» 92. L’esseremi interpella, si rivolge alla mia capacità di trascendermi relazio-nandomi con ciò che è altro da me, e mi chiama così a risponderealla mia vocazione più profonda. Questo silenzioso appello del-l’essere mi fa intravedere ciò che io posso e debbo diventare, percui ogni avvento dell’essere è un evento normativo. L’essere hadunque una natura assiologica, non solo nel senso che corrispon-de al bene, ma anche nel senso che sollecita gli enti a svilupparetutte le loro potenzialità positive, mettendo in luce il valore unicodi ognuno. Per questo Nédoncelle può dire che «l’essere si con-fonde (…) con il dover-essere» 93, o anche che l’essere è la leggedegli enti 94. L’essere non è quindi solo l’atmosfera neutra dovegli esseri si muovono e si relazionano, ma è un valore che va cer-cato e accolto come un dono. Va da sé che in questo contesto èdifficile immaginare l’essere come un’essenza impersonale.

In ultima analisi, il pensiero metafisico di Nédoncelle ci di-schiude l’orizzonte di un’ontologia non solo formale e descrittiva,ma anche normativa, anzi etica. Personalmente, non mi sembraesagerato interpretare l’ontologia nédoncelliana come un’ontolo-gia dell’amore, anche se il nostro Autore preferiva parlare della fi-losofia dell’amore, ammettendo, a quanto mi consta, un’esplicitaequivalenza tra l’essere e l’amore solo occasionalmente o indiret-tamente 95. Se però l’essere è amore, e se l’amore nella sua formapiù eccelsa è personale e vicendevole, possiamo concludere – inpieno accordo con lo spirito di Nédoncelle – che l’essere è la rela-zione d’amore interpersonale, il movimento circolare del recipro-co donarsi dell’uno all’altro. Di conseguenza, quanto più l’uomoama, tanto più diventa persona, tanto più partecipa all’essere e

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92 M. Nédoncelle, Intersubjectivité et ontologie, cit., p. 90.93 Ibid., p. 96.94 Cf. ibid.95 Cf. note 2 e 28.

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tanto più l’essere cresce in lui – in breve: tanto più è (nel senso siaontico che ontologico), identificandosi di più con l’amore, essen-do, per così dire, più amore. Al livello dell’assoluto poi, l’Essere èAmore incondizionato e senza riserve, donazione pura.

TOMÁS TATRANSKY

SUMMARY

This article sets out the principal elements of what might becalled an ontology of reciprocity, based on interpersonal reciprocallove, in the work of Maurice Nédoncelle. The person, according toNédoncelle, is called to possess the self, in order to give the self, andto give the self in order to possess the self, in reciprocity with others.For him reciprocity implies not only valuing the other on my part,but also, on the part of the other, giving value to me. The person isfulfilled in the balance between withdrawal into the self and expan-sion outside the self, in the equilibrium between the centripetal andcentrifugal movements, also identified as the balance between agapeand eros. In the final analysis, being-for-others and being-for-self arecomplementary, and in love actually converge. In ontological termswe can see that being in its purest form is not something static andclosed in on itself, or an impersonal essence: it is the relationship ofinterpersonal love, the circular movement of the reciprocal gift of oneperson to another.

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