La vita e il tempo di Michael K -...

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LDB

J.M.Coetzee

LavitaeiltempodiMichaelK

TraduzionediMariaBaiocchi

Einaudi

Guerra,padredituttelecose,redituttelecose.

Alcuniproclama dèi,altriuomini.

Alcuni faschiavi, altriliberi.

Eraclito

Parteprima

La prima cosa che lalevatrice notò di Michael Kquando lo aiutò a uscire dal

ventrematernofucheavevaillabbro leporino. Il labbro siarricciavacomeunalumaca,ela narice sinistra era dilatata.Nascondendoperunattimoilneonato alla vista dellamadre, la donna avevainserito il dito nel piccolobocciolo della bocca e si erarallegrata di trovare il palatointero.

Alla madre disse: –Dovrestiesserefelice,portano

fortuna alla casa –, ma findall’inizio ad Anna K nonpiacquequellaboccachenonsi chiudeva e quella carnerosa, viva. Tremò al pensierodi quello che le era cresciutonelventrepertuttiqueimesi.Il bambino non riusciva adattaccarsi al seno e urlavadallafame.Provòcolbiberon.Se non riusciva a succhiaredalbiberonglidavaillattecolcucchiaino, spazientita

quando lui tossiva,sputacchiavaepiangeva.

Sichiuderàquandocresce,– assicurò la levatrice.Comunque il labbro non sichiuse, o non si chiuseabbastanza, e il naso non siraddrizzò.

La donna cominciò aportare il piccolo con sé allavoroecontinuòaportarseloanchequandononerapiúunbebè.Isorrisettieibisbigliila

ferivano, cosí lo tenevalontano dagli altri bambini.Anno dopo anno Michael Kse ne stette seduto su unacopertinaaguardarelamadreche lucidava i pavimentialtrui,eimparòastarebuono.

Perviadellamenomazionee anche perché era un po’lento,Michaelfuritiratodallascuoladopounbreveperiododi prova e affidato allaprotezione della Huis

Norenius, a Faure, dove, aspese dello Stato, trascorse ilresto dell’infanzia incompagnia di altri bambinisfortunati, afflitti dallepatologie piú diverse,imparando rozzamente aleggere,scrivereefardicontooltrecheaspazzare, lucidare,rifare i letti, lavare i piatti,intrecciare cesti, lavorare illegno e scavare. All’età diquindici anni fu dimesso da

Huis Norenius e inviato alavorare presso ildipartimento Parchi egiardinideiservizimunicipalidi Città del Capo con lafunzione di giardiniere diterzo grado (b). Tre annidopo lasciò il servizio pressoParchi e giardini e, dopo unbreve periodo didisoccupazione trascorsosdraiato sul letto a guardarsile mani, cominciò a lavorare

come custode di notte deibagni pubblici diGreenmarket Square. Unvenerdínotte,mentretornavaa casa dal lavoro inmetropolitana, fu aggreditoda due uomini che lopicchiarono,gliportaronovial’orologio,isoldielescarpe,elo lasciarono a terra in statoconfusionale, con un tagliosulbraccio,unpolliceslogatoe due costole rotte. Dopo

quell’incidente K lasciò illavoro di notte e ritornò aParchi e giardini, dovelentamente fece carriera, finoa diventare giardiniere di 1°grado.

Per via della sua faccia Knon aveva amiche. Si sentivameglioquand’erasolo.Tuttiedueilavoricheavevafattogliavevano permesso una certadose di solitudine, anche segiú nei bagni pubblici si era

sentito oppresso dallabrillante luce al neon che sirifletteva sulle mattonellebianche e creava uno spaziosenza ombre. I parchi chepreferivaeranoquelliconaltialberi di pino e sentieriombrosi bordati di agapanto.Avoltedi sabatononsentivalo sparo di cannone cheannunciava il mezzogiorno erimanevalíalavoraredasolotutto il pomeriggio. La

domenica mattina dormivafino a tardi e il pomeriggioandavaatrovaresuamadre.

In una tarda mattinata digiugno, nel trentunesimoannodellasuavita,aMichaelK fu consegnato unmessaggio mentre rastrellavale foglie secche del De WaalPark. Il messaggio, di terzamano, veniva da sua madre:era stata dimessadall’ospedale e voleva che lui

l’andasse a prendere. K misevia i suoi attrezzi e andò inautobus al SomersetHospitaldovetrovòlamadresedutasuunapancadavantiall’entrata,in un quadrato di sole. Eravestita di tutto punto, maaveva le scarpe buoneaccanto.Quandovideilfigliosimiseapiangere,coprendosilafacciaconlemani,pernonfarsivederedaglialtrimalatiedaivisitatori.

Per mesi Anna K avevasofferto di un grave gonfiorealle gambe e alle braccia, eadesso anche la pancia avevacominciato a gonfiarsi.Quando era entrata inospedale non era in grado dicamminare e respirava amalapena. Era rimasta percinquegiorniparcheggiata inun corridoio tra una serie divittime di accoltellamenti,assalti e sparatorie, che la

tenevano sveglia con le lorogrida, dimenticata dalleinfermiere che non avevanotempo da perdere con unavecchia,mentrelíerapienodigiovanichestavanomorendoinmodi ben piú spettacolari.Appena arrivata le avevanodatol’ossigenoperrianimarlae poi l’avevano curata coniniezioni e pillole per ridurreil gonfiore. Quando avevabisogno della padella, però,

non c’era quasi mai nessunocheglielaportasse.Nonavevalavestaglia.Unavolta,mentreavanzava a tentoni verso ibagni, appoggiandosi allaparete, era stata bloccata daun vecchio con un pigiamagrigio che si era esibitodicendole delle oscenità. Ibisogni corporali divenneroper lei un tormento.Quandoleinfermierelechiedevanoseaveva preso le pillole, diceva

disí,maspessononeravero.Poi, anche se il respiro eraandatomigliorando,legambecominciarono a pruderletalmente che era costretta atenere le mani sotto il corpoper controllare la tentazionedi grattarsi. Il terzo giornocominciòascongiurarechelarimandassero a casa, maevidentemente non si erarivolta allapersonagiusta.Lelacrime che pianse il sesto

giorno dunque eranosoprattutto lacrime disollievo, perché scappava daquelpurgatorio.

MichaelKchiesesepotevausare una sedia a rotelle maglifurifiutata.Sorreggendolamamma, con la borsa e lescarpe di lei nell’altra mano,riuscía fare icinquantapassiche li separavano dallafermata dell’autobus. C’erauna lunga fila. L’orario

incollato al palo promettevaunautobusogniquartod’ora.Aspettarono un’ora, con leombrechesiallungavano,nelventosemprepiúfreddo.Nonriuscendo a stare in piedi,Anna K si era seduta con lespalle controunmuretto e legambetesedavantiasé,comeuna mendicante, mentreMichael teneva il posto nellafila.Quando l’autobusarrivò,non c’erano posti a sedere.

Michael si aggrappò a unsostegnoeabbracciòlamadreper non farla sballottare.Arrivarononella sua stanzaaSea Point che erano già lecinque.

Da otto anni Anna Klavorava come camerierapresso una coppia, unfabbricante di maglieria inpensione e la moglie, cheabitavainunappartamentodicinque stanze a Sea Point,

sull’Oceano Atlantico.Secondo quanto previsto dalcontratto,AnnaK entrava inserviziolamattinaallenoveeandava via la sera alle otto,con un intervallo di tre orenel pomeriggio. Lavoravacinque o sei giorni lasettimana, a settimanealterne. Aveva diritto a duesettimane di vacanze pagateall’annoeaunastanzapersénello stesso edificio. Lo

stipendio era buono, i datoridilavoropersoneragionevoli,trovare lavoro era difficile, eleinon era scontenta.Eraunanno però che, quando sichinava, le girava la testa esentiva un’oppressione alpetto. Poi le era venutal’idropisia. I Buhrmannavevano continuato a tenerlaper la cucina, riducendo lasua paga di un terzo,mentreperlepulizieavevanoassunto

una ragazza. Le avevanopermesso di rimanere nellasua stanza, che era a lorodisposizione. L’idropisiapeggiorava. Per settimane,prima del ricovero inospedale, era stata costretta aletto, senza poter lavorare.Viveva nel terrore delmomento in cui i Buhrmannavrebbero smesso di farle lacarità.

La sua stanza, nel

sottoscala del Côte d’Azur,avrebbe dovuto ospitarel’impianto di ariacondizionata,chenoneramaistato installato. Sulla portac’erauncartellocondueossaincrociate e un teschio inrosso, con sotto la scrittaPERICOLO–GEVAAR – INGOZI.Non c’erano prese d’aria néluce elettrica, e puzzavasempredimuffa.Michaelapríla porta, fece entrare la

madre, accese la candela, euscí mentre lei si preparavaper andare a letto. Passòquella sera, la prima dopo ilrientro a casa, e tutte le seredella settimana seguente, conlei: le riscaldava la zuppa sulfornelloacheroseneecercavadi esserle d’aiuto comepoteva, faceva tutto ciò cheera necessario e la consolavaaccarezzandole le bracciaquandoeracoltadaunadelle

sue crisi di pianto. Una seragli autobus non partironoaffatto da Sea Point e luidovette trascorrere la nottenella stanza della madre,dormendo sullo stuoino colcappotto addosso. In pienanotte si svegliò, freddo comeun pezzo di ghiaccio. Nonpotevadormire,enonpotevaandarsene per via delcoprifuoco, cosí rimase lí atremare seduto su una sedia

fino al mattino, mentre suamadregemevaerussava.

A Michael K non piaceval’intimità fisica cui locostringevanolelungheseratein quella minuscola stanza.Era turbato dalla vista dellegambe gonfie di suamadre equando doveva aiutarla ascenderedallettoguardavadaun’altra parte. Aveva lebraccia e le cosce coperte digraffi (per un certo periodo

era arrivata addirittura amettersiiguantilanotte).Malui non si tiravamai indietrodinanzi a quel checonsiderava suo dovere. Ilproblema su cui si erainterrogato a lungo anniprima, dietro alla baraccadelle biciclette a HuisNorenius, e cioè perché maifossevenutoalmondo,avevatrovato una risposta: era

venutoalmondoperaccudiresuamadre.

Non c’era nulla che suofigliopotessedirleingradodicalmare il terrore di Anna Kdi fronte alla prospettiva diquello che sarebbe potutosuccederle se avesse perso lasuastanza.Lenottipassatetrai moribondi al SomersetHospital le avevano chiaritoquanto potesse essereindifferente il mondo di

fronteaunavecchiaconunamalattia sgradevole in tempodi guerra. Non essendo incondizionedilavorare,sapevache se non finiva in mezzoalla strada era solo grazieall’incerta benevolenza deiBuhrmann, al senso deldovere di un figlio scemo e,come estrema risorsa, grazieai suoi risparmi, nascosti inunaborsanellavaligiasottoilletto, con i soldi nuovi in un

borsellino e quelli vecchi,ormaiprividivalore,chenonaveva cambiato per troppadiffidenza,inunaltro.

Cosí, quando una seraMichaeleraarrivatoparlandodi licenziamenti neldipartimento Parchi egiardini, lei aveva cominciatoa pensare con insistenza aqualcosa che fino a quelmomento aveva accarezzatosolo come un sogno: al

progetto di abbandonare unacittà dalla quale oramaipoteva aspettarsi ben pocoper ritornare alla piútranquillacampagnadellasuainfanzia.

Anna K era nata in unafattorianeldistrettodiPrinceAlbert.Ilpadrenonavevaunposto fisso,beveva;eduranteiprimiannidellasuainfanziasi erano trasferiti da unafattoria all’altra. La madre

lavava i panni e lavorava incucina; Anna l’aiutava. InseguitosieranotrasferitinellacittadinadiOudtshoorndove,per un certo periodo, Annaera andata a scuola. Dopo lanascita del suo primo figlio,Anna si era trasferita a CittàdelCapo.Poine aveva avutoun secondo, di figlio, da unaltro uomo, quindi un terzo,che era morto, e alla fineMichael.Nelricordo,glianni

prima di Oudtshoorn eranorimasticome ipiú felicidellasuavita.Un’epocadicaloreedi abbondanza. Ripensava aquando se ne stava sedutanella polvere del pollaiomentre le gallinestarnazzavano e raspavano laterra; ripensava a quandoandavaacercareleuovasottoi cespugli. A letto, nella suastanza senz’aria, durante ipomeriggi invernali, con la

pioggia che fuori scorrevasugli scalini, sognava diandarsene da quella violenzainsensata,dagliautobuspienizeppi,dalle fileper comprareilcibo,daibottegaiarroganti,dai ladri e dai mendicanti,dalle sirene nella notte, dalcoprifuoco,dal freddoedallapioggia, edi ritornare inunacampagna dove, se dovevamorire, sarebbe almenomortasottouncieloazzurro.

Nel comunicare persommi capi aMichael le sueintenzioninonparlòdimorteo di morire. Gli propose dilasciare Parchi e giardiniprimachelolicenziasseroediaccompagnarla in treno aPrince Albert, dove leiavrebbe preso in affitto unastanza mentre lui cercavalavoropressoqualchefattoria.Se per caso gli avesseroassegnato una casa grande

abbastanza, sarebbe andata avivere con lui e avrebbetenuto a posto la casa,altrimenti lui sarebbe andatoa trovarla il fine settimana.Perdimostrarechedicevasulserio,gliavevafattotirarfuorilavaligiadasotto il lettoe insua presenza aveva contato isoldi nuovi che, gli disse,avevamessodaparteaquelloscopo.

Si aspettava che il figlio le

chiedesse come potevacrederecheunpiccolocentrodi campagna avrebbe accoltodue persone estranee, di cuiuna per di piú vecchia emalata. Si era perfinopreparatalarisposta.EinveceMichael non aveva messo indubbio nemmeno per unattimo le sue parole. Cosícome in tutti quegli annipassatiaHuisNoreniussieradetto che sua madre l’aveva

lasciato líperunmotivoche,ancheseperilmomentonongli era chiaro, poi avrebbecapito; allo stesso modo oraaveva accettato, senzametterne in discussione ilbuonsenso, i progetti che lamadre aveva fatto per lorodue.Nonvedevalebanconotesparse sulla coperta,ma, conl’occhio della mente, unacasetta imbiancata di fresconella distesa del veld, con un

ricciolo di fumo che uscivadalcomignolo,esullaportalamamma, in buona salute esorridente, che l’accoglievadopounalungagiornata.

Michaelnonsipresentòallavoro il giorno dopo. Con isoldi dellamamma arrotolatie infilati nei calzini, se neandò fino alla stazione,all’ufficio centrale per leprenotazioni. Lí l’impiegatoglidissechesarebbestatoben

felicedivendergliduebigliettiper Prince Albert o per lastazione piú vicina su quellalinea(«PrinceAlbertoPrinceAlfred?» aveva chiesto), mache non poteva pensare disaliresuunqualsiasi trenosenonavevaipostiprenotatieilpermessodiallontanarsidallaPenisola del Capo, in cui erastato proclamato lo statod’emergenza. La primaprenotazione che poteva

fargli era per il 18 di agosto,due mesi dopo, quanto alpermesso, quello l’avrebbepotuto ottenere solo dallapolizia. K supplicò di poterpartire prima, mainutilmente: lo statodi salutedi sua madre nonrappresentava unamotivazione sufficiente,spiegò l’impiegato, che, anzi,gli consigliava di non

accennare neppure alla suamalattia.

Dalla stazione K andò aCaledon Square e rimase infila per due ore dietro unadonna con un bambinettofrignante in braccio. Glidiedero due serie di moduli,unaper suamadre eunaperlui.–Attacca laprenotazioneferroviaria sui fogli azzurri eportali nella stanza E-5, – gli

disse la funzionariadipoliziadietroilbanco.

Quando pioveva, Anna Kspingeva un vecchioasciugamano sotto la fessuradella porta per evitare chel’acqua filtrasse dentro. Lastanza odoravadiDettol e ditalco.–Aviverequimisentocomeunrosposottounsasso,– aveva bisbigliato. –Non cela faccio ad aspettare fino adagosto–.Poisieracopertala

facciaederarimastastesa, insilenzio.Dopounpo’Michaelsentí che non riusciva arespirare. Andò al negoziodietro l’angolo. Non c’erapane: – Niente pane, nientelatte, – disse il commesso, –vienidomani–.Compròlattecondensato e biscotti, e poirimase al riparo del tendone,a guardare la pioggia. Ilgiorno dopo portò i modulinella stanza E-5. I permessi

sarebbero stati spediti atempodebito,glidissero,unavolta viste e approvate lerichiestedapartedellapoliziadiPrinceAlbert.

Tornò a De Waal Parkdove gli dissero, comeprevedeva,cheilsuolavorosisarebbeconclusoalla finedelmese.–Nonfaniente,–disseal capo, – io e lamamma cene andiamo comunque –.Ricordava le visite della

mamma a Huis Norenius.Qualche volta gli avevaportato le caramellegommose,altrevolteibiscottial cioccolato. Passeggiavanoper i campi da gioco e poiandavano a prendere il tènella sala dell’istituto. Neigiorni di visita i bambiniportavano ledivisemiglioriei sandali marroni. Alcuni diloro non avevano genitori,oppure erano stati

dimenticati. Di sé K avevadetto:–Miopadreèmortoemiamadrelavora.

Si era fatto un giaciglio dicuscini e coperte nell’angolodella stanza e passava le sereseduto al buio ad ascoltare ilrespiro di sua madre. Leidormiva sempre di piú. Avolte si addormentava anchelui, seduto lí, e perdeval’autobus. Lamattinadopo sisvegliava col mal di testa.

Durante il giorno girovagavaper le strade. Tutto erasospeso nell’attesa deipermessi,chenonarrivavano.

Una domenica mattinaprestoandòaDeWaalParkeruppe il lucchetto chechiudeva il capanno con gliattrezzi dei giardinieri. Presequalche attrezzo e unacarriola che spinse fino a SeaPoint.Trafficandonelvialettodietro l’edificio, aprí una

vecchia cassa e mise insiemeuna piattaforma quadrata disessantacentimetridilatoconuno schienale rialzato chefissòsullacarriolaconilfildiferro.Poicercòdiconvinceresua madre a fare un giro suqueltrabiccolo.–L’ariatifaràbene, – le disse. – Non tivedrànessuno,sonolecinquepassate e il lungomare èdeserto. – La gente puòvedermi dalle case e non ho

voglia di dare spettacolo, –rispose lei. Il giorno dopocedette. Col cappello, ilcappotto e le ciabatte sitrascinòfuorinellapenombradel tardopomeriggio e lasciòcheMichael la sistemasse sulcarrettino. AttraversaronoBeach Road e raggiunsero ilviale lastricato che correvaparallelo al lungomare. Ingiro non c’era nessuno, solouna vecchia coppia che

portavaaspassoilcane.AnnaK si teneva, rigida, ai bordidella piattaforma e respiravalafreddaariadimare,mentreil figlio la sospingeva per lapasseggiata amare.Dopo uncentinaiodimetri,Michaelsifermòperfarlevedereleondeche si frangevano sulle rocce,poi proseguí per altri centometri, si fermò di nuovo,quindi la riportò a casa. Erarimasto sorpreso dal peso

della madre e dall’instabilitàdel carretto, che a un certopunto si era inclinatorischiando di farla finire aterra. – Ti fa bene un po’d’ariafrescaneipolmoni,–ledisse. Il giorno dopo piovevaerimaseroincasa.

Pensò alla possibilità dicostruire un vero e propriocarretto con una cassa dilegnomontatasudueruotedi

bicicletta, ma non sapevadovetrovarel’asse.

Poi un tardo pomeriggiodell’ultima settimana digiugno una jeep militare chescendeva a tutta velocità perBeach Road investí unragazzo che attraversava lastrada e gli fece fare un volofino ai veicoli parcheggiatilungo il marciapiede. A suavoltalajeepgiròsusestessaesi arrestò sui prati incolti

davantialCôted’Azur,doveidue occupanti dovetterovedersela con gli amici delragazzo inferociti. Scoppiòuna zuffa e subito si raccolseunbelpo’digente.Qualcunoruppe i vetri e forzò lemacchine parcheggiate permetterledi traverso inmezzoalla strada. Le sirene cheannunciavano il coprifuocofurono ignorate.Un’ambulanza che era

arrivata scortata da unamotocicletta della polizia sifermò poco prima dellosbarramento,fecedietrofronte ripartí a tutto gas inseguitada una pioggia di sassi. Poidal balcone di unappartamento del quartopiano un uomo cominciò asparare alla cieca. La folla sidisperse urlando e cercòrifugioneipalazzidifrontealmare, correndo per i

pianerottoli,battendo ipugnisulleporte,rompendofinestree lampade. L’uomo con lapistola fu trascinato via dalsuo nascondiglio e preso acalcifinoaperderecoscienza,quindi fu buttato giú instrada. Alcuni inquilini degliappartamenti preferirononascondersi al buio, dietro leporte sprangate, altriscapparono in strada. A unadonnarimastaintrappolatain

fondo a un corridoio furonostrappati i vestiti di dosso;uno scivolò da una scalaantincendio rompendosi lacaviglia. Furono buttate giúporte e saccheggiatiappartamenti. In quelloproprio sopra la stanza diAnna K i saccheggiatoristrapparono le tende,ammucchiarono i vestiti sulpavimento, fracassarono imobilieappiccaronoil fuoco

che, anche se non si estese,produssedensenubidifumo.Sui prati davanti al Côted’Azur, al Côte d’Or e alCopacabana si andòradunando una gran folla dipersone, alcuni, con ai piedimucchi di roba rubata,tiravano sassi dai giardinicontro le grandi vetrate sulmare fino a che non nerimaseinteraneppureuna.

Una camionetta della

polizia con la luce blulampeggiante si fermò sullapasseggiata a mare acinquanta metri di distanza.Risuonarono gli spari di unapistola automatica edall’altraparte della barricata dimacchinerisposeroaltrispari.La camionetta tornòprecipitosamente indietro,mentretraurlaegridalafollaindietreggiava per BeachRoad. Ci vollero altri venti

minuti,lanotteeragiàcalata,prima che arrivasse la poliziacol rinforzo delle truppeantisommossa. Un pianodopo l’altro occuparono gliisolati assaltati, senzaincontrareresistenzadapartedi un nemico che si era giàdileguato per le stradine sulretro.Unodeisaccheggiatori,una donna che non correvaabbastanza veloce, fu uccisoconuncolpodipistola.Dalle

strade circostanti la poliziarecuperò oggetti rubati e poiabbandonati, e li ammucchiòsui prati. Piú tardi quellanotte, gli inquilini degliappartamenti scesero con letorceacercarelelorocose.Amezzanotte, quandol’operazione stava per esseredichiarata conclusa, fuscopertounodeirivoltosiconuna pallottola nel polmone,rannicchiato in un angolo

buio del corridoio di unedificio poco lontano, e fuportato via. Il grosso dellapolizia si ritirò ma furonolasciatedistanzadelleguardieper la notte. Alle prime oredelmattino si levò il vento euna pioggia battente penetròdaivetrirottidelCôted’Azur,del Côte d’Or e delCopacabana – come anchedell’Egremont e del MalibuHeights, da dove, fino a quel

momento, si potevanoosservare, al riparo dalleintemperie, le rotte di est-ovest attorno al Capo diBuona Speranza –, sferzandoletende,inzuppandoitappetie, in qualche caso, allagandoaddiritturalestanze.

Durante tutto questo,AnnaK e suo figlio rimaserozitti e buoni senza fiatare,rannicchiati nella loro stanzanelsottoscala,senzamuoversi

neppure quando furonoraggiunti dal fumo o dalrumore dei pesanti stivali sulpavimento, allorquando unamano armeggiò sulla loroporta chiusa a chiave. Nonpotevano immaginare che iltumulto, le urla, gli spari e ilrumore di vetri rotti fosserolimitati a pochi edifici líintorno. Mentre stavanoseduti vicini sul letto, nonosando quasi neanche

bisbigliare, crebbe in loro laconvinzione che la guerrafosse arrivata a SeaPoint e liavessescovati.Mezzanotteerapassata da un pezzo, quandofinalmente sua madre siassopí,Michaelrimasesedutotutto orecchi, fissando lastriscia di luce grigia sotto laporta e respirando piano. Equando la mamma cominciòa russare, lediedeuna strettaallaspallaperfarlasmettere.

Cosí, seduto dritto con lespalle al muro, infine siaddormentò. Quando sisvegliò, la luce sotto la portaerapiú intensa.Aprí laportae sgattaiolò fuori. Per terraera pieno di vetri rotti.All’ingresso dell’edificio,seduti sulle sdraio, c’eranodue soldati con l’elmetto cheglidavanolespalleefissavanola pioggia e ilmare grigio.Ksi rintanò di nuovo nella

stanzadellamadreesimiseadormiresullostuoino.

Piú tardi, quello stessogiorno, quando gli inquilinidel Côte d’Azur avevanocominciato a fare ritornopermettere a posto quel disastroo fare fagotto e andarsene oanche solo per guardare idanni subiti e piangere, equando la pioggia avevasmesso di cadere, K si avviòversoOliphantRoadaGreen

Point, alla missione di StJoseph, dove un tempo erapossibileottenereunpiattodiminestra o un letto per lanotte senza subireinterrogatori e dove speravadi poter far accogliere suamadre per un po’, lontanodall’edificio devastato. Ma lastatua di gesso di sanGiuseppe, con la barba e ilbastone, non c’era piú, latarga di bronzo sul palo del

cancelloerastatarimossaelefinestre erano chiuse. Bussòalla porta accanto, sentíscricchiolare un asse delpavimento,manoncomparvenessuno.

Attraversando la città perandare al lavoro, Ks’imbatteva tutti i giorninell’esercito dei senzatetto edeipoveraccichenegliultimianniavevano invaso le stradedel centro cittadino.

Chiedevano l’elemosinaoppure rubavano o simettevano in fila davanti alleagenziedisoccorsooanchesene stavano semplicementeseduti lungo i corridoi degliedifici pubblici per stare alcaldo, e la notte trovavanoriparoneimagazzinisventratiintorno ai moli o nei tantilocaliabbandonatisopraBreeStreet dove la polizia non siavventurava mai a piedi.

L’annoprecedenteaquelloincuilapoliziaavevaimpostoilcontrollosuimovimentidellepersone, Città del Capo e lasua periferia erano stateinvase dalla gente dellacampagna in cerca di unlavoroqualunque.Perciònonsi trovava lavoro,néalloggio.Se fossero finiti in quelmaredi bocche affamate, si chieseK, che possibilità avrebberoavuto, lui e sua madre? Per

quantotempoavrebbepotutocontinuare a spingerla per lestrade sul carrettinochiedendo l’elemosina permangiare? Girovagò senzametatuttoilgiornoepoifeceritorno alla stanza immersanel buio. Per cena, preparòunaminestra, fette biscottateesardineinscatola.Perpaurache la luce della fiammaattirasse l’attenzione, aveva

messo una coperta davantiallamacchinadelgas.

Riposero tutte le lorosperanze nel permesso grazieal quale avrebbero potutolasciarelacittà.Malacassettadella posta dei Buhrmann,dove la polizia avrebbemandato il permesso, se mailo avesse fatto, era chiusa achiave e dopo la notte delsaccheggio gli stessiBuhrmann,fortementescossi,

erano stati portati via daamicisenzalasciardettonullasu quando sarebbero tornati.CosíAnnaKspedíilfiglionelloro appartamento,spiegandogli dove avrebbetrovatolachiavedellacassettadellaposta.

K non era mai stato inquell’appartamentoprima.Lotrovò nel caos. In una pozzad’acqua entrata dalle finestreper via della pioggia e del

forte vento c’erano mobilirotti, materassi squarciati,coccidivetroediporcellana,piante appassite, coperte etappetifradici.Sullescarpeglirimase incollato un impastoappiccicoso di farina perdolci, cereali della colazione,zucchero, sabbia di lettiera eterra. In cucina il frigoriferogiaceva a faccia in giú, colmotore ancora ronzante, euna schiuma gialla

fuoriusciva dalle cerniere eandava a mescolarsi col velod’acqua che ricopriva ilpavimentodipiastrelle.Interefile di barattoli erano statebuttate giú dagli scaffali enell’aria c’era puzza di vino.Sul bianco abbagliante delmuro qualcuno aveva scrittocol detersivo per il forno:ALLINFERNO.

Michael riuscí aconvincere sua madre ad

andare a vederequel disastrocon i suoi occhi. Erano duemesi che non ci andava. Sifermò sopra un tagliere sullaporta del soggiorno, con lelacrime agli occhi: – Perchél’hanno fatto? – bisbigliò.Nonvolevaentrareincucina.–Personecosíbrave!–disse.– Non so proprio comefaranno a superare questacosa! – Michael l’aiutò atornare nella sua stanza. Lei

non si dava pace, continuavaa chiedere dove potevanoessere i Buhrmann, chiavrebbe pulito tutto, quandosarebberotornati.

Michael la lasciò perritornare nell’appartamentodevastato. Tirò su ilfrigorifero,losvuotò,raccolsetuttiivetrirottiinunangolo,asciugòcongli stracciunpo’dell’acqua. Riempí dispazzaturaunamezzadozzina

di sacchi e li ammucchiòdavanti alla porta. Mise daparte il cibo che ancora sipoteva mangiare. Non cercòdi pulire il soggiorno, mafissò come meglio poteva letende sull’intelaiatura dellefinestre rimaste senza vetri.Faccio quello che faccio, sidisse,nonperqueivecchi,mapermiamadre.

Era ovvio che fino a chenon fossero state riparate le

finestre e tolti i tappeti, chegiàcominciavanoapuzzare,iBuhrmann non sarebberopotuti tornare. Ma l’idea diutilizzare l’appartamento persénonglipassòper lamentesenonquandovideilbagno.

–Soloperunanotteodue,– scongiurò sua madre. –Cosí tu potrai dormire dasola, almeno fino a che nonavremo deciso cosa fare.Spostoundivanonelbagnoe

la mattina rimetto tutto aposto. Te lo giuro. Non loverrannomaiasapere.

Ricopríildivanonelbagnocon strati di lenzuola e ditovaglie. Chiuse le finestrerotte incastrandovi deicartoni e accese la luce.L’acqua era calda. Si fece unbagno. Al mattino fecescomparire le sue tracce.Arrivò il postino. Non c’eraniente per la cassetta dei

Buhrmann.Pioveva.Uscíesimise al riparo della pensilinadegli autobus a guardarcadere la pioggia. Nelpomeriggio, quando risultòevidente che anche per quelgiorno i Buhrmann nonsarebbero rientrati, tornònell’appartamento.

Piovve per giorni. DeiBuhrmann non c’eranonotizie. K spazzò via sulbalcone il grosso dell’acqua

che stagnava sulpavimentoesgorgò i tubi di scaricootturati. Anche se il ventosoffiava per tuttol’appartamento, la puzza dimuffa andava aumentando.Michael pulí il pavimentodella cucina e portò giú isacchidispazzatura.

Poi prese a starenell’appartamentononsolodinottema anchedi giorno. Inunarmadiodellacucinatrovò

pile di riviste. Se ne stavasdraiatosulletto,onellavascada bagno, guardandoimmagini di belle donne ecibo delizioso. Era il ciboquello che lo interessava dipiú. Mostrò a sua madre lafotodiuna luccicantecostatadi maiale arrosto guarnita diciliegie e fette di ananas eservita con una ciotola dilamponi e panna e una tortadi uva spina. – La gente non

mangia piú in quel modo, –disse la madre. Lui non erad’accordo. – I maiali non losanno che c’è la guerra, –rispose. – Gli ananas nonsannochec’èlaguerra.Ilcibocontinua a crescere.Qualcuno lo dovrà purmangiare.

Tornò all’ostello doveviveva e pagò l’affittoarretrato. – Ho lasciato illavoro,–dissealcustode.–Io

elamammacitrasferiamoincampagna per andare via daquesto disastro. Stiamo soloaspettando il permesso – .Prese labicicletta e lavaligia.Passò da uno sfascio dovecompròunabarrad’acciaiodiun metro. Il carretto con lacassa di legno per sedile erarimasto dove l’avevaabbandonato, nella stradinadietro gli appartamenti.Ritornò all’idea di usare le

ruotedellabiciclettaperfarneun carretto su cui portare aspasso sua madre. Ma anchese i cuscinetti delle ruotescivolavano bene sul nuovoasse,nonriuscivaadimpedirealleruotedisfilarsi.Passòorea combattere nel tentativo difaredellemolletteconilfildiferro. Poi si arrese. Mi verràinmentequalcosa, sidisse.Elasciò la bicicletta smontata

per terra, nella cucina deiBuhrmann.

Tra i rottami rimastinell’ingressoc’eraunaradioatransistor. L’ago era bloccatoall’estremità delle frequenze,le batterie erano mezzescariche e lui ben prestol’aveva lasciata perdere.Rovistando nei cassetti dellacucina, però, trovò un filoelettrico che gli permise diattaccare la radio alla

corrente. Cosí ora potevastarsenesdraiatonelbagno,albuio, ad ascoltare la musicachevenivadall’altrastanza.Avoltelofacevaaddormentare.Lamattina si svegliavache lamusica ancora andava,oppure risuonavano discorsiin una lingua di cui noncapiva una parola, e di cuiriuscivaacoglieresoloinomidi luoghi lontani comeWakkerstroom, Pietersburg,

KingWilliam’sTown.Avoltesi ritrovava a ripetere quellamonotonanenia.

Esaurite le riviste,cominciò a sfogliare i vecchigiornali trovati sotto illavandino della cucina, maerano talmente vecchi chenon ricordava nessuno deglieventidicuiparlavano,anchese riconosceva alcuni deigiocatori di calcio. SCOPERTOL’ASSASSINO DI

KHAMIESKROON diceva unodei titoli, e sotto c’eral’immagine di un uomo inmanette, la camicia biancastrappata e due poliziottiimpalati ai fianchi. Anche selemanette locostringevanoatenere le spalle basse e curvein avanti, l’assassino diKhamieskroon fissaval’obiettivoconun’espressioneche a K sembrava ditranquilla soddisfazione.

Sottoc’eraun’altraimmagine,quella di un fucile con unacinghia, fotografato su unosfondo bianco, e sotto ladidascalia «l’armadell’assassino». K attaccò lapaginaconquella storia sullosportellodel frigoriferoe,pergiorniegiorni,ognivoltachealzava la testa dal suo lavorosaltuario sulle ruote i suoiocchi continuarono aincontrarequellidell’uomodi

Khamieskroon,chepoichissàdov’era.

Inmancanzadimegliodafare, cercòdi asciugare i librifradicid’acquadeiBuhrmannappendendoli su uno spagotirato da una parete all’altradel soggiorno; ma ci volevatroppo tempo e gli passò lavoglia. I libri non gli eranomai piaciuti e non trovavaniente di interessante inquesti qui, pieni di storie di

militariodidonneconnomicomeLavinia, anche sepassòunbelpo’ditempoasepararelepaginedilibriillustraticonle immagini delle isole delloIonio, della Spagna moresca,della finlandese Terra deiLaghi, di Bali e di altri postinelmondo.

Poi, una mattina, MichaelK sobbalzò sentendoqualcunochearmeggiavaallaserraturadellaportadicasae

si trovò di fronte quattrouomini in tuta da lavoro chelo oltrepassarono senzarivolgergli la parola e simisero a svuotarel’appartamentodituttoquellocheconteneva.K si affrettòatoglieredimezzoipezzidellabicicletta. Sua madre sitrascinò fuori dalla stanzavacillando, con la vestagliaaddosso, e fermò uno degliuomini sulle scale. –Dov’è il

padrone? Dov’è il signorBuhrmann? – domandò.L’uomosistrinsenellespalle.K uscí in strada e parlò conl’autista del furgone. – VimandailsignorBuhrmann?–chiese.–Com’èquestosignorBuhrmann, amico? – dissel’autista.

Michaelaiutòsuamadreatornare a letto. – Quello chenon capisco, – disse lei, – èperché non mi fanno sapere

niente. Che devo fare sequalcuno viene a bussare allamiaportaemidicechedevosgombrare immediatamente,perché lamiastanzagli serveper la sua domestica? Dovedevoandare, io?–Perunbelpo’Krimasesedutoaccantoalei, accarezzandole il braccio,ascoltandoilsuolamento.Poiportò le due ruote dibicicletta,labarrad’acciaioeisuoi arnesi fuori, nella

stradina dietro l’edificio, e simisesedutoinunquadratodisole a riflettere da capo sucome impedire alle ruote disfilarsi dall’asse. Lavorò tuttoil pomeriggio, verso sera,usando un seghetto a manoper metallo, era riuscito congran fatica a incidere sulledueestremitàdellabarraunatacca, lungo la quale potevainseriregruppidi rondelledadue centimetri emezzo.Con

le ruote montate sulla barratra le rondelle, ormai bastavasoltanto stringere parecchigiridi fildi ferro intornoallabarra per tenere le rondelleben ferme sulle ruote ed erafatta. Non gli riuscí quasi dimangiare né di chiudereocchioquellanotte, tantoeraimpaziente di andare avanticol suo lavoro. La mattinadopo smontò la vecchiapiattaforma che aveva fatto

per sedersi sul carretto e laricostruí come una strettacassa chiusa su tre lati e condue lunghimanubriche fissòsull’asse col fil di ferro. Oraaveva un tozzo risciò che,anche se non si potevadefiniremoltosolido,avrebbesopportato il peso dellamadre. Quella sera stessa,quando il vento freddo chetirava da nord-ovest avevaricacciato tutti in casa salvo i

piú irriducibili, condusse dinuovo la madre, avvolta nelcappottoeinunacoperta,sullungomare a fare unapasseggiata che le riportò ilsorrisosullelabbra.

Era venuto il momento.Erano appena rientrati nellastanza che lui cominciò aesporle il progetto che stavarimuginando fin da quandoaveva costruito la primacarriola.Stavanosprecando il

loro tempo nell’attesa deipermessi, le disse. I permessinon sarebberomai arrivati e,senza permessi, nonavrebbero potuto prendere iltreno. Ma da un giornoall’altro potevano esserecacciati da quella stanza.Allora perché non glipermetteva di portarla aPrince Albert sul suocarretto? L’aveva già visto leistessacom’eracomodo.Epoi

il clima umido non le facevabene, come non le facevabene preoccuparsicontinuamente del futuro.Una volta arrivata a PrinceAlbert,prestosarebbetornatainsalute.Tutt’alpiúpotevanoessere uno o due giorni distrada.Lagenteeragentile,lepersone si sarebbero fermatee avrebbero dato loro unpassaggio.

Discusse con lei per ore,

sorpreso lui stesso dallacapacità di argomentare chescopriva in sé. Come potevapretendere di farla dormireall’aperto in pieno inverno?Obiettò lei. Con un po’ difortuna,ribattélui,avrebberopotuto raggiungere PrinceAlbert addirittura in un sologiorno – in fondo, inmacchina, ci volevano solocinque ore. E se avessepiovuto? chiese lei. Avrebbe

messo una tenda sopra ilcarretto, replicò lui. E se liavesse fermati la polizia?Certamentelapoliziaavevadimegliodafare,lerispose,chefermareduepersonechenonavevano fatto niente dimale,ma stavano solo cercando diallontanarsi da una cittàtroppoaffollata.–Perchémaila polizia dovrebbe preferiredi averci in giro, a dormirenascosti sulle verande delle

case degli altri e a chiederel’elemosina per le stradedando fastidio a tutti? – Fucosíconvincentechealla fineAnnaKcedette,anchesesoloa due condizioni: che sirecasse un’ultima volta allapoliziaperscoprirecomemaii loro permessi non eranoancora arrivati e che lalasciasse preparare per ilviaggio senza metterle fretta.Michaelacconsentícongioia.

Lamattinadopo,invecediaspettare un autobus cheforse non sarebbe maiarrivato,andòapiedidibuonpasso da Sea Point fino incittà prendendo la stradaprincipale e godendo delbattito profondo del suocuore, della forza delle suegambe.C’eragiàunmucchiodipersoneafarelafilasottoilcartello HERVESTIGING –

TRASFERIMENTO; e ci volle

un’ora prima che arrivasse ilsuo turnodi parlare conunapoliziotta dallo sguardodiffidente.

Le mostrò i due bigliettidel treno: – Voglio solosapere se è arrivato ilpermesso.

Lei glimise sotto il naso isoliti moduli. – Riempi imoduli e portali all’E-5. Ènecessariochemostrianche ibiglietti e le prenotazioni –.

Fissò oltre la spalla di Kl’uomo in fila dietro di lui: –Sí?

–No, – disseK, cercandodi riguadagnare l’attenzionedella donna. – La domandaper il permesso l’hogià fatta.Volevo solo sapere se eraarrivato,questopermesso.

– Prima di poter avere ilpermesso devi avere laprenotazione! Ce l’hai laprenotazione?Perquando?

– Il 18 agosto. Ma miamadre…

– Al 18 agosto mancaancora unmese! Se hai fattorichiesta per il permesso e ilpermesso ti viene accordato,loriceverai, tiverràspeditoacasa!Ilprossimo!

–Maèproprioquellochevoglio sapere! Perché, se ilpermessonon arriva, iodevoorganizzarmi in altro modo.Miamadreèmalata…

La donna diede unamanata sul bancone permetterlo a tacere. – Non hotempodaperdere.Te lodicoper l’ultima volta: se ilpermessotivieneaccordato,tiarriverà! Non vedi tuttaquesta gente in fila cheaspetta? Non capisci quelloche dico? Sei idiota? Ilprossimo! – Si appoggiò,rigida, al bancone e fissò con

insistenzaoltre laspalladiK:–Sí,toccaalei,ilprossimo!

Ma K non si mosse.Ansimava e la fissava. Lapoliziotta si girò conriluttanza ancora una voltaverso di lui, verso quei radibaffetti che non riuscivano acoprire la carne viva dellabbro:–Ilprossimo!–disse.

IlgiornodopoKsvegliòlamadre un’ora prima dell’albae,mentre leisivestiva,caricò

il carretto e foderò la cassacon coperte e cuscini; lavaligia la legò alle stanghe. Ilcarretto adesso aveva unacoperturadiplasticanerachelo faceva assomigliare aun’alta carrozzella. Suamadre, vedendola, si fermò escosselatesta:–Nonso,nonso,nonso,–disse.Primachegli riuscissedi farcela entraredovette insistere a lungo, enon fu facile. Si rese conto

cheilcarrettononeragrandeabbastanza: reggeva il pesodelladonnache,però,dovevastare curva sotto la tenda,senza potersi muovere. Sullegambe lemise una coperta esopracisistemòunabustacolcibo,ilfornellettoapetrolioeuna bomboletta dicombustibile chiusa in unascatola, oltre a qualcheindumento sparso. Negliappartamenti vicini si vide

brillareunaluce.Sisentivanole onde infrangersi sullerocce. – Un giorno o due esaremolí,–bisbigliòMichael.–Se ce la fai,non ti spostaretroppo da una parte all’altra–. Lei annuí ma continuò anascondere il viso nei guantidi lana. Allora lui si chinòverso di lei: – Vuoi restarequi,ma’?–ledisse.–Sevuoirestare, possiamo restare –.Leiscosseilcapo.Alloraluisi

mise in testa il berretto, tiròsulestanghe,espinsefuoriilcarretto nella strada immersanellanebbia.

Seguíilpercorsopiúbreve,oltrepassò l’area devastataattornoalvecchiodepositodicarburante, dove era appenainiziata la demolizione degliedifici incendiati,equelladelmoloconglischeletrianneritideimagazzini chenell’ultimoanno erano stati occupati da

bande di strada. Nessuno lifermò. Anzi, a dire il vero,poche delle persone cheincontrarono a quell’oramattutina si diedero la penadi guardarli. Per le stradecominciavano ad appariremezziditrasportosemprepiústrani: carrelli dasupermercatodotatidisterzo,tricicli con casse appoggiatesull’asse posteriore, cestimontati su basi di carretti a

mano, cassette montate surotelle, carriole di ognimisura. Un asino si vendevaper ottanta nuovi rand, uncarretto con pneumatici perpiúdicento.

K manteneva un’andaturacostante, fermandosi ognimezz’ora per strofinarsi lemanifreddeestirarelespalledolenti. Dal momento in cuiaveva sistemato lamadre nelcarrettoaSeaPointsierareso

conto che, con tutto ilbagaglio caricato sul davanti,l’asse andava fuori centro,troppo indietro.Ora, piú suamadre scivolava inavantineltentativodimettersicomoda,piú aumentava il pesomortoche gli toccava sollevare.Cercava di continuare asorridere per nascondere lastanchezza. – Bastaraggiungerelastradamaestra,– disse ansimando, – e poi

qualcuno dovrà pur fermarsiadarciunamano.

Verso mezzogiorno eranoarrivati all’altezza dellaspettrale area industriale diPaarden Eiland. Un paio dioperaisedutisuunmurettoamangiare i loro panini liguardaronopassaresenzafarecommenti.CRASH–FLASHerascritto in letterenere sbiaditesottoiloropiedi.Ksisentivale braccia sempre piú

intorpidite ma continuò amarciare ancora per almenomezzo miglio. Laddove lastrada passava sotto BlackRiver Parkway aiutò suamadreascendereelasistemòsul bordo erboso sotto ilponte. Fecero uno spuntino.Michael era colpito da quellestrade cosí deserte. Tutto eratalmente immobile che sipoteva sentire il canto degli

uccelli.Sisdraiònell’erbaaltaechiusegliocchi.

Furisvegliatodaunrombonell’aria. Dapprima pensò aun tuono lontano. Poi ilrumore andò crescendo,come tante onde ritmate chevenivano dal ponte sopra diloro. Da destra, dalladirezione della città,arrivarono a velocitàmoderata due coppie dimotociclisti in divisa, con i

fucili a tracolla sulle spalle.Dietrodilorovenivauncarroarmato con un puntatoredritto sulla torretta. Seguivauna lunga ed eterogeneaprocessionediveicolipesanti,per lo piú camion senzacarico. K risalí carponi sulbordoerbosoeraggiunsesuamadre. Sedettero fianco afianco a fissare la scena,mentrequelrombosembravatrasformare l’aria in qualcosa

disolido.Ilconvogliocimiseparecchi minuti per passare.Chiudevano la colonna diautomezzi una serie diautomobili, furgoni e camionleggeri, seguiti da un carromilitare verde oliva con untetto di tela sotto il quale siintravedevano due file disoldati seduti con gli elmettiintesta,einfineunaltropaiodimotociclisti.

Uno dei motociclisti di

testa, passando, aveva rivoltounosguardopungenteaKeasua madre. Ora, i due chechiudevano il convoglio sistaccarono dalla colonna euno si fermò sul ciglio dellastrada, mentre l’altro risalí ilbordo erboso. Si tirò su lavisieraedisseloro:–Noncisipuò fermare lungol’autostrada –. Poi gettò unosguardodentroilcarretto–Ètuo questo veicolo? – K

annuí. –Dove sietediretti?–K bisbigliò qualcosa, poi sischiarí la gola e parlò dinuovo:–APrinceAlbert,nelKaroo –. Il motociclistafischiò, fece dondolareleggermente il carretto, poiurlò qualcosa al suo collega.Quindi si rivolse ancora unavolta a K: – Subito dopo lacurva,c’èunpostodiblocco.Vi dovete fermare lí emostrareilpermesso.Aveteil

permesso di lasciare laPenisola?

–Sí.– Non potete uscire dalla

Penisola senza un permesso.Andate al posto di blocco emostrate il permesso e idocumenti. E poi statemi asentire, se vi volete fermarelungo l’autostrada, dovetemettervi almeno cinquantametri oltre il ciglio dellastrada. È il regolamento:

cinquantametridaunaparteo dall’altra. Se vimettete piúvicino rischiate che visparino, senza preavviso,senza nemmeno dirvi niente.Capito?

K annuí. Il motociclistarimontò in sella e scomparverombandodietroilconvoglio.Knonriuscivaaguardaresuamadre negli occhi. –Avremmo dovuto prendere

una strada piú tranquilla, –disse.

Avrebbepotutofaresubitodietrofront, ma, a rischio diun’altraumiliazione,decisediaiutare sua madre a risaliresulcarrettoelaspinsefinoaivecchi hangar, doveeffettivamente c’era una jeepparcheggiata sul lato dellastrada e tre soldati che sipreparavano il tè su unfornello da campo. Le sue

preghiere furono inutili. –Avete il permesso, sí ono?–chiese il caporale in capo. –Nonm’importa niente di chisei tu, di chi è tuamadre. Senon avete il permesso nonpotete lasciare lazona.Punto–.Ksigiròversolamadre.Dasotto la tenda nera la donnapuntava gli occhi vacui sulgiovane soldato. Il soldatosollevò le mani. – Nonrompetemilescatole!–gridò.

–Fatevidare ilpermessoevifarò passare! – Continuò aguardarli mentre K tirava sule stanghee facevadescrivereal carretto un semicerchio.Una delle ruote avevacominciatoatraballare.

La notte era già calataquando oltrepassarono ilsemaforo dopo il qualecominciava Beach Road. Lecarcassecheavevanosbarratolastradadurantel’assediodei

palazzi erano state spinte suiprati. La chiave era ancorainfilata nella porta sotto lescale. La stanza era comel’avevano lasciata, spazzata adovere per l’inquilinosuccessivo. Anna K si buttòsul nudo materasso senzaneppure togliersi cappotto epantofole. Michael portòdentro la loro roba. Unacquazzoneavevainzuppatoicuscini. –Ci riproveremo fra

un giorno o due, ma’, –sussurrò.Leiscosselatesta.–Ma’,ilpermessononarriveràmai! – le disse. – Ciriproveremo,ma la prossimavolta passeremo per lestradine secondarie. Nonpossonomicabloccaretuttelestradecheportanofuori–.Simise seduto accanto a lei sulmaterasso e rimase lí,tenendole una mano sulbraccio fino a che non si fu

addormentata;dopodichésalínell’appartamento deiBuhrmann e si mise adormireperterra.

Duegiornidoposimiseronuovamente in marcia,lasciando Sea Point un’orabuona prima dell’alba.L’entusiasmo della primaavventura era svanito.OrmaiKsapevachec’erailrischiodidover passare diverse nottiper strada. Inoltre suamadre

avevapersoognidesideriodiraggiungere luoghi lontani.Lamentava dolori al petto estava seduta rigida e cupanellasuacassettasottountelodi plastica che K le avevafissato tutto intorno perdifenderla dal grosso dellapioggia. Procedendo di buonpasso, con le gomme chesibilavano sull’asfaltobagnato, K decise di seguireunnuovopercorso,passando

perilcentrodellacittà,lungoSirLowryRoadelaperifericaMain Road, sopra il pontedellaferroviaMowbrayeoltrel’ex ospedale pediatrico, finoallavecchiaKlipfonteinRoad,dove, separati solo da unasiepe di recinzione calpestatadalle capanne di latta ecartone ammassate suipercorsi del campo da golf,fecero la loro prima sosta.Dopocheebberomangiato,K

sifermòsulbordodellastradacon la madre aggrappata alfianco, cercando di fermarequalche macchina dipassaggio.C’erapocotraffico.Tre autocarri leggeri con ifanali e i finestrini ricopertida una rete di fil di ferropassarono a gran velocità infila indiana. Piú tardi arrivòunbelcarrotiratodacavalli.Icavallibaiavevanograppolidicampanelli attaccati alle

bardatureesulcarroc’eraungruppetto di ragazzinischiamazzantiche,vedendoli,fecerosmorfieeversacci.Poi,dopo un lungo intervallo incui non passò nessuno, sifermò un camion. L’autistaoffrílorounpassaggiofinoalcementificio e addiritturaaiutòKaissarelacarriolasulcamion. Seduto al sicuro eall’asciutto nella cabina diguida, controllando i

chilometri che facevano conlacodadell’occhio,Kfeceunsegno d’intesa alla mammachegli risposeconuntimidosorriso.

Per quel giorno la lorofortuna si fermò lí. Rimaseroper un’ora ad aspettare fuoridal cementificio, ma,malgradoilflussocontinuodipedoni e ciclisti, gli uniciveicoli che passarono furonocamion del servizio

depurazione delle fogne. Ilsole cominciava a calare etiravaunventogelidoquandoKmise in strada il carretto eripartí. Forse, si disse, erameglio non dover contaresugli altri. Dopo il primoviaggio aveva spostato l’asseinavantidicinquecentimetrie adesso, una volta inmovimento, il carretto eraleggero come una piuma.Camminando a un’andatura

sostenuta, sorpassò un uomoche spingeva un carrettocaricodisterpaglie,elosalutòconuncennodelcapo.Nellasua cabina stretta e buia lamamma se ne stava tuttarigida tra le alte bandelaterali, congliocchi chiusi elatestaciondolante.

Tra le nuvole stavaspuntando la luna avvolta inun velo di nebbia, quando, amezzo miglio dalla strada

principale,Ksifermò,aiutòlamadreascenderees’immersenella fitta boscaglia di PortJackson in cerca di un postodovefermarsiper lanotte.Inquelmondodiradicicontortee di terra umida, di vaghiodoridimuffaeputrefazionenon c’era un luogo chesembrasse piú protetto di unaltro. Tornò sulla stradascossodaibrividi.–Nonèungranché,–disseallamadre,–

maperunanottecidovremoaccontentare di questo –.Nascose il carretto comemegliopotée,conlavaligiainuna mano e la mammaappoggiata all’altro braccio,s’inoltrò di nuovo a tentoninellamacchia.

Mangiarono roba fredda esi sdraiarono su un letto difoglie attraverso le quali sisentiva l’umidità filtrare neivestiti. A mezzanotte

cominciòunapioggia leggerae continua. Si accucciaronostretti stretti sotto un bassoalbero mentre la pioggiacadeva in piccole gocce sullacoperta che si erano messisopra la testa. Quando lacoperta fu completamentefradicia, K scivolò fuori etornò carponi fino alcarrettino per recuperare iltelo di plastica. Con la testadellamamma sopra la spalla,

sentendoilsuorespirocortoeaffannoso per la prima voltagli venne inmente che forseleiavevasmessodilamentarsiperché era troppo stancaoppure perché ormai non leimportavapiúdiniente.

Sarebbe stata suaintenzione ripartireprestissimo, in modo daarrivare al bivio perStellenbosch e Paarl primachefacessegiorno.Maall’alba

la mamma era ancoraaddormentata contro la suaspallaeluinonavevanessunavoglia di svegliarla. Poi l’ariacominciò a riscaldare e luistesso si sentí invadere daltorpore.Cosí era giàmattinoinoltrato quando la aiutò auscire dalla boscaglia pertornare in strada. Mentrestavano riponendo la copertaormai fradicia nel carrettofurono avvicinati da due

passanti che, vedendo unindividuo di magracostituzione e una vecchiadonna in un luogo isolato,decisero che potevanoderubarli delle loro coseimpunemente. Per segnalarelalorointenzioneunodeiduefecebalenaresottogliocchidiK la lama di un coltello(facendolo scivolare dallamanica nel palmo dellamano), mentre l’altro

s’impadroniva della valigia.Nell’istanteincuividebrillarelalamaaKsiparòdinanzilaprospettiva di una nuovaumiliazione sotto gli occhidella madre, di un ennesimoritorno arrancando dietro ilcarrettofinoallastanzadiSeaPoint; di nuovo tornare asedersi per terra, sullostuoino, con le mani sulleorecchie, sopportando ungiornodopol’altroilpesodel

silenzio materno. Infilò lamano nel carretto e neestrasse la sua sola arma, lasbarra di quaranta centimetriche aveva tagliato viadall’asse. La brandí, colbraccio sinistro levato acoprirsi la faccia, e avanzòverso il ragazzo col coltello.Quello si allontanò da luiavvicinandosi al compagno,mentre Anna K riempival’aria di urla. Gli sconosciuti

indietreggiarono. In silenzio,continuando a fissarli conariaminacciosa,Krecuperòlasua valigia e aiutò la madretremante a infilarsi nelcarrettoconiladri,incertisulda farsi, ancora a venti passida loro.Poi tirò indietro conforza il carretto verso lastrada, si allontanòlentamente da loro. Per unpoco i due continuarono aseguirli. L’uomo col coltello

faceva gesti osceni eminacciava K con uncomplicato gioco di labbra edi lingua. Poi, cosíimprovvisamentecomeeranoapparsi, scomparvero nellamacchia.

Per la strada nonpassavano auto, ma c’erainvece tanta gente checamminava dove nessunoavevamai camminato prima,nel bel mezzo della statale,

tutti vestiti a festa. Lungo ilcigliodellastradacrescevaungroviglio di erbacce chearrivava all’altezza del torace,ilmantostradaleerapercorsoda crepe tra cui spuntavadell’erba. K raggiunse trebambine, tre sorelline cheandavano alla messa, tutteconlostessovestitinorosa.LebambinescorseroAnnaKnelsuocarrettoecominciaronoaparlarle. Nell’ultimo tratto,

prima che Michael girasseverso Stellenbosch, la piúgrande camminò mano nellamanoconAnnaK.Quandoleloro strade si divisero, lasignora K tirò fuori ilborsellinoediedeaognunadilorounamonetina.

Lebambineavevanodettoloro che di domenica nonpassavano convogli, ma sullastrada per Stellenboschfurono superati da un

convoglioagricolo,unafiladicarri leggeri e di autoveicolipreceduti da un camionricoperto di una pesante retedi ferro, sul cui retro apertostavano ritti due uominiarmati di mitra chescrutavanolastradadavantialoro. K si spostò di lato perfarli passare. I passeggeri liguardarono con curiosità e ibambini li indicarono

dicendocosecheKnonriuscíasentire.

Davanti e dietro di loro sistendevanovignetispogli.Dalcielo si materializzò unstormo di passeri, che siposarono per un attimo suicespugli tutt’intorno a loro epoivolaronovia.Per i campirisuonavano campane dichiesa. A K tornarono inmente ricordi di HuisNorenius quando, seduto sul

letto dell’infermeria, sbattevailcuscinoeosservavailgiocodel pulviscolo in un fascio diluce.

Era buio quando,arrancando, giunse aStellenbosch. Le strade eranodeserte e tirava un ventofreddo, a raffiche.Non avevapensato a dove avrebberodormito.Suamadretossiva,edopo ogni attacco di tossefaticavaarespirare.Sifermòa

un caffè e comperò dellefrittelle al curry. Lui nemangiò tre, lei una. Nonaveva fame. – Non sarebbemeglio se ti visitasse unmedico?–lechiese.Leiscosselatestaesibattéilpetto.–Hosolo la gola secca, – disse.Sembrava convinta chesarebbero arrivati a PrinceAlbert il giorno seguente oquelloancoradopo,eluinonla volle deludere. – Non mi

ricordo il nome esatto dellafattoria, – gli disse, – ma sipuòchiedere ingiro, lagentelaconoscerà.C’eraunpollaioa ridosso del muro dellacasetta, un lungo pollaio, euna pompa per l’acqua incima alla collina. La nostracasa era sul pendio e vicinoalla porta sul retro c’era unfico d’India. È cosí il postochedevicercare.

Dormirono in una

stradina su un letto discatoloni da imballaggioaperti.Michael ripiegò il latolungo di uno degli scatolonisoprailloroletto,mailventoglielo portò via. La madretossí tutta lanotte, tenendolosveglio. A un certo puntopassò una camionetta dellapolizia che ispezionava lastrada e lui dovette tenerleunamanosullabocca.

Alleprimeluci la tiròsue

la rimise sulla carriola. Latesta le penzolava, eraconfusa. K fermò il primopassante e chiese comearrivare all’ospedale. Anna Knon erapiú in gradodi stareseduta dritta e, quandocrollava pesantemente da unlato o dall’altro, Michaeldoveva fare uno sforzoenormeperchéilcarrettononsi rovesciasse. La donna erafebbricitante e respirava a

fatica. – Ho la gola tantosecca, – mormorava, ma latosseeracatarrosa.

All’ospedale le si sedetteaccanto sostenendola fino achenonarrivò il suo turnoeselaportaronovia.Quandolarivide stava sdraiata su unabarella,inmezzoaunmaredialtrebarelle, conun tubonelnaso, priva di sensi. Nonsapendo che fare, bighellonònel corridoio fino a che non

lo mandarono via. Passò ilpomeriggio nel cortile, nelblando calore del soleinvernale. Per due voltesgattaiolò di nuovo dentroper vedere se la barella erastataspostata.Laterzavoltasiavvicinò allamadre in puntadi piedi e si chinò su di lei.Sembrava chenon respirasse.Col cuore strettodallapaura,corse da un’infermiera e latirò per una manica. – Per

favore, venite a vedere,presto!–disse.L’infermierasiliberò con uno strattone. –Chi sei? – sibilò. Quindi loseguífinoallabarellaesentíilpolso della madre, con losguardopersonelvuoto.Poi,senza pronunziare parola,ritornòal suoposto,dietro ilbancone dell’accettazione. Krimase lí come uno scemomentre lei scriveva.Dopo unpo’sideciseavoltarsiversodi

lui.–Orastammiasentire,–disse bisbigliando a dentistretti. – La vedi tutta questagente qui? – fece un cennoversoilcorridoioeireparti.–È tutta gente che aspetta diessere curata. Lavoriamoventiquattroorealgiornoperoccuparcene. Quandostacco… No! non te neandare, stammi a sentire! –Fu lei questa volta adafferrarlo per la manica e a

trattenerlo, mentre alzavasempre piú la voce, con lafaccia a un millimetro dallasua.Gliocchicominciavanoariempirlesi di lacrime dirabbia. – Quando stacco,sono cosí stanca che nonriesco nemmeno amangiare,e mi addormento con lescarpe e tutto. Sono unapersona sola. Non due, nontre:una.Locapisciquesto,oètroppodifficiledacapire?–K

voltòlatestadall’altraparteebofonchiò: – Mi dispiace, –non sapendo che altro dire.Poitornòincortile.

La valigia era rimasta dasua madre. Non aveva soldi,tranne gli spiccioli avanzatidella cena della sera prima.Comprò una ciambella ebevve a una fontana.Passeggiò per le strade,prendendo a calci il mare difoglie secche che ricoprivano

ilmarciapiede.Arrivatoinunparco, si sedette su unapanchina a guardare il cieloazzurro chiaro tra i ramispogli di un albero. Losquittio di uno scoiattolo lofece trasalire.Improvvisamente ansiosoall’idea che potessero averglirubato il carretto, tornò dicorsa all’ospedale. Il carrettoera rimasto dove l’avevalasciato,nelparcheggio.Tolse

le coperte, i cuscini e ilfornello, ma poi non seppedovenasconderli.

Alle sei vide andare via leinfermieredelturnodigiornoe pensò che poteva tornaredentrosenzadarenell’occhio.Suamadre non stava piú nelcorridoio. Chiese dove fossealbancodell’accettazioneefuspedito in un’ala remotadell’ospedale dove nessunocapiva che cosa volesse.

Tornò al banco dove glidisserodiritornarelamattinadopo. Chiese se potevapassare la notte su una dellepanchedell’ingressomaglifurispostodino.

Dormí nel vicolo, con latestainunascatoladicartone.Fece un sogno: suamadre loandava a trovare a HuisNorenius, e gli portava unpacchetto con del cibo. – Ilcarretto è troppo lento, – gli

diceva nel sogno, – viene aprendermiPrinceAlbert–. Ilpacchetto era stranamenteleggero.Quandosisvegliòeracosí intirizzito che quasi nongli riusciva di stendere legambe. In lontananza unorologiobattéletreoforselequattro. Su di luirisplendevano le stelle in uncielo senzanubi. Si stupí cheilsognononloavesseturbato.Con una coperta avvolta

attorno al corpo, dapprimapasseggiò su e giú per ilvialetto,poiseneandòingiroper la strada a sbirciare nellevetrine semibuie dove, dietrograte a losanghe, imanichiniesibivano la moda diprimavera.

Quando finalmente glipermisero di entrare inospedale,trovòsuamadrenelreparto femminile. Addossononavevapiúilsuocappotto

neromauncamicionebiancodell’ospedale. Era distesa congli occhi chiusi e aveva ilsolitotubonelnaso.Laboccacascante, la faccia tirata,perfino la pelle delle bracciaimprovvisamente sembravaavvizzita. Le strinse la manoma lei non reagí. C’eranoquattrofiledilettinelrepartoetral’unoel’altrononpiúditrenta centimetri di distanza.Nonc’eradovesedersi.

Alle undici un inservienteportò il tè e lasciò sulcomodino della madre unatazza con un biscotto sulpiattino.Michael le tirò su latesta e le accostò la tazza allelabbra, ma lei non bevve.Aspettò un bel po’ con lostomaco che brontolava,mentre il tè si freddava. Poi,quandol’inservientestavaperritornare, ingollò tè ebiscotto.

Ispezionò i grafici ai piedidel letto, ma non riuscí acapire se si riferivano a suamadreoaqualcunaltro.

Nel corridoio fermò unuomoconuncamicebiancoechiese di poter lavorare. –Non voglio soldi, – disse, –soloqualcosadafare.Scoparei pavimenti o qualcosa delgenere. Tenere pulito ilgiardino. – Vai a chiederenell’ufficiodelpianodisotto,

–risposel’uomo,etiròdritto.Knonriuscíatrovarel’ufficiogiusto.

Nelcortiledell’ospedaleunuomo simise a chiacchierarecon lui. – Sei qui per fartimettere dei punti? – glichiese. K scosse il capo.L’uomo lo guardò in facciacon aria inquisitoria. Poiraccontò una lunga storia diuntrattorecheglieracadutoaddosso schiacciandogli la

gamba e rompendogli l’anca,e poi dei chiodi che imedicigliavevanoinfilatonelleossa,chiodi d’argento che nonsarebbero arrugginiti.Camminava con un bastonedialluminiocurvatoinmodostrano. – Sai dove possotrovare qualcosa damangiare?– chieseK.–Nonmangiodaieri.–Sentiunpo’,amico,–dissel’altro,–perchénon vai a comprare una

focaccia a testa? – e gli diedeuna moneta da un rand. Kandòdal fornaio e tornò conduefocaccinefumantiripienedi pollo. Poi si sedette amangiaresullapancavicinoalsuonuovoamico.Lafocacciaera cosí buona che gli occhigli si riempirono di lacrime.L’uomo gli raccontò degliattacchi incontrollabili ditremore della sorella. Kascoltavailcantodegliuccelli

negli alberi e cercava diricordare quand’era statal’ultima volta in cui si erasentitocosífelice.

Ilpomeriggiopassòun’oraaccantoal lettodellamadreepoiun’altraoralasera.Leieragrigiainfacciaederadifficileavvertirne il respiro. Unavolta mosse la mascella.Affascinato,Kguardòilfilodisaliva che si accorciava e siallungava tra le sue labbra

secche. Sembrava chemormorasse qualcosa, manon gli riuscí di capire cosa.L’infermiera che gli disse diandarsene gli spiegò che erasotto l’effetto di sedativi. –Perché?–domandòlui.Rubòiltèdellamadreequellodellavecchia del letto accanto,ingoiandolo in un sorso,come un ladro, mentrel’inservienteglidavalespalle.

Quando tornò nel solito

vialetto, scoprí che i cartonierano stati portati via. Passòla notte in un portone,lontano dalla strada. Suun’insegnadi ottone sopra lasuatestasileggevaLEROUX&

HATTINGH – PROKUREURS. Sisvegliò sentendo la rondadella polizia, ma poi siriaddormentò di nuovo.Nonera freddo come la notteprima.

Il letto di sua madre era

occupato da una sconosciutaconlatestafasciata.Krimaseai piedi del letto a fissarla.Forse ho sbagliato reparto, sidisse.Fermòun’infermiera:–Miamadre...eraquiieri…

–Chiediinaccettazione,–risposeladonna.

– Sua madre è decedutadurante la notte, – gli disseuna dottoressa. – Abbiamofatto il possibile per salvarla,ma era molto debole.

Volevamo chiamarla, ma leinon ha lasciato il numero ditelefono.

K si mise seduto su unasediainunangolo.

– Vuole fare unatelefonata? – chiese ladottoressa.

Certamente doveva volerdire qualcosa che a luisfuggiva.Scosselatesta.

Qualcuno gli portò unatazza di tè, che lui bevve. La

gente chegli stava intorno loinnervosiva. Congiunse lemani, si mise a fissarsiostinatamente i piedi.Avrebbe dovuto direqualcosa? Separava lemani etornavaacongiungerle,senzasosta.

Loportaronogiú a vederesuamadre.Erasdraiataconlemanilungoifianchieportavaancorailcamicedell’ospedalecon la scritta KPA – CPA sul

petto. Non aveva piú il tubonel naso. Rimase a guardarlaper un po’. E poi non seppepiúdoveguardare.

– Ci sono altri parenti? –chiese l’infermieradell’accettazione. – Vuoi fareuna telefonata? Vuoi chetelefoniamo noi? – Non faniente,–risposeK,e tornòasedersi sulla sua sedianell’angolo. Dopo lolasciarono solo, fino a

mezzogiorno, quandocomparve un vassoio di cibodell’ospedale.Mangiò.

Era ancora seduto líquando arrivò un uomo indoppiopetto e cravatta checominciò a fargli domande.Volevasapereilnome,l’età,ildomicilio, la religione di suamadre.Cosaeravenutaafarea Stellenbosch e seK aveva isuoi documenti di viaggio. –La stavo riportando a casa, –

spiegò K. – Faceva freddo lídove abitava, a Città delCapo,epiovevasempre.Nonle faceva bene alla salute. Lastavo portando in un postodove si sarebbe ripresa. Nonavevamo pensato di fermarcia Stellenbosch –. Poi ebbepaura di aver detto troppo enon rispose piú a nessunadomanda. L’uomo si arrese ese ne andò. Dopo un po’tornòindietroesiaccovacciò

davanti a K. – È mai statoricoverato in un ospedalepsichiatrico, un istituto perhandicappati o un centro diaccoglienza? Ha mai svoltounlavororetribuito?–Knonrispose.–Firmiquestofoglio,– gli allungò un modulo,indicandogli lo spazio doveapporre la firma. Quando Kscosse la testa, l’uomo firmòperlui.

Cambiò il turno e K si

aggirò senza meta nelparcheggio. Camminò eguardòiltersocielonotturno.Poi tornò alla sua sediacontro il muro. Non glidissero di andarsene. Piútardi,quandoormainonc’eranessuno in giro, tornò giú acercaresuamadre.Nonriuscía trovarla, oppure avevanochiuso a chiave la porta checonducevaa lei.Siarrampicòedentròinunagrossagabbia

metallica piena di biancheriasporcae simiseadormire lí,acciambellatocomeungatto.

Due giorni dopo lamortedella madre gli si presentòun’infermiera che non avevavisto mai. – Venga, è ora diandare, adesso, Michael, –disse. Lui la seguí fino albancodell’accettazione.C’eraad aspettarlo la sua valigia,insieme a due pacchi avvoltinella carta marrone. –

Abbiamomessogli abiti eglioggetti personali della suapoveramadre nella valigia, –dissel’infermierasconosciuta.– Ora può prenderla. –Portava gli occhiali esembrava che leggesse quellochedicevadaunascheda.Ksiaccorsechelaragazzadietroilbancoliguardavaconlacodadell’occhio. – Questopacchetto – continuòl’infermiera – contiene le

ceneri di sua madre. Suamadre è stata crematastamattina,Michael.Sevuole,possiamo occuparci noi dellecenerinelmodopiúconsono.Oppurepuòportarleconsé.–Toccò con l’unghia ilpacchetto in questione.Entrambi i pacchi erano benchiusi con un nastro adesivomarrone. Quello era il piúpiccolo dei due. – Vuole checeneoccupiamonoi?–disse,

elosfioròleggermenteconledita. K scosse il capo. – E inquest’altro pacco, – continuòl’infermiera, spingendolo condecisione verso di lui, –abbiamo messo qualchecosettachepotràesserleutile,articoli da toletta e vestiti –.Lo guardò candidamentenegli occhi e gli fece unsorriso. La ragazza dietro ilbanco tornò a battere amacchina.

E cosí c’è un posto perbruciare i cadaveri, pensò.Immaginò le vecchiette delreparto con gli occhi serratiper proteggersi dal calore, lelabbrastrette,elemanilungoi fianchi, date in pasto unadopo l’altra alla ferocefornace.Prima icapelli inunalonedifiamma,poi,dopounpo’, tutto il resto, fino agliultimi frammenti, tuttobruciato e ridotto in cenere.

Una cosa che succedeva incontinuazione.–Comefaccioa sapere? – disse. – Comefaccio a sapere che cosa? –ripeté l’infermiera.Spazientito K indicò ilpacchetto. – Come faccio asapere? – disse in tono disfida. Ma lei si rifiutò dirispondereononcapí.

Nel parcheggio aprí ilpacco piú grande,lacerandolo. Conteneva un

rasoio, una saponetta, unasciugamano e una giaccabianca con le mostrinemarroni sulle spalle, un paiodipantaloninerieunberrettoneroconunafibbiadimetallolucido con su inciso ST JOHN

AMBULANCE.Mostròivestitiallaragazza

dell’accettazione.L’infermieracon gli occhiali erascomparsa. – Perchémi datequesta roba? – chiese. –Non

lo chieda ame, – disse lei. –Forse li ha dimenticatiqualcuno –. Evitava diguardarloinfaccia.

K buttò via il sapone e ilrasoio e pensò di buttareancheivestiti,manonlofece.Quelli che aveva addossocominciavanoapuzzare.

Anche se non aveva piúmotivo di rimanere lí, gliriusciva difficile staccarsidall’ospedale. Durante il

giorno spingeva il carrettinoper le stradevicineedinottedormiva nelle gallerie dellefogne, dietro le siepi, neivialetti. Gli sembrava stranochenelpomeriggioibambinitornasseroa casadalla scuolainbicicletta, scampanellando,rincorrendosi tra di loro; glisembrava strano che la gentecontinuasse a mangiare e aberecomesempre.Perunpo’andò in giro per le case

chiedendo lavoro comegiardiniere, ma alla finecominciò a rifuggire dallefacce disgustate che faceva lagente, che non aveva motivodi fargli la carità, quando,aprendolaporta,selotrovavadi fronte. Se pioveva sirifugiava carponi sotto ilcarretto. Per interi lassi ditempo se ne stava seduto afissarsi lemani, con lamentevuota.

Finí in compagnia diuomini e donne chedormivanosottoilpontedellaferrovia e stazionavano nellospiazzo vuoto dietro alnegozio di vini e liquori diAndringa Street. A volteprestava loro il suocarrettoein un impeto di generositàdiedevia il fornello.Poi, unanotte, mentre dormiva,qualcuno cercò di portarglivia lavaligiadasotto la testa.

Ci fuunarissae lui si spostòaltrove.

Unavoltaglisiaccostòperstrada un furgone dellapoliziaeduepoliziottisceseroa ispezionare il suo carretto.Aprirono la valigia erovistarono ogni cosa.Scartarono il secondopacchetto. Dentro c’era unascatoladi cartone edentro lascatola di cartone una bustadi plastica piena di cenere

grigio scura. Era la primavoltacheKlavedeva.Distolselo sguardo. – Che cos’è? –chiese il poliziotto. – Sono leceneri di mia madre, –rispose.Ilpoliziottopalleggiòil sacchetto tra le mani conaria pensierosa e, rivoltoall’amico, fece un commentocheKnonsentí.

Stava per ore e ore di filasul marciapiede davantiall’ospedale. Era piú piccolo

di come gli era sembrato aprimavista,erasolounlungocaseggiatobassoconun tettoditegolerosse.

Smise di osservare ilcoprifuoco. Non credeva chegli potesse succederequalcosa; e se anche fossesuccesso, non gli importava.Con i nuovi vestiti addosso,giacca bianca, pantaloni eberrettonero, spingeva il suocarretto dove e quando gli

pareva.A tratti era invasodaun senso di leggerezza. Sisentiva piú debole di prima,ma non malato. Mangiavauna volta al giorno,comprando ciambelle ofocacceconisoldi trovatinelborsellino di sua madre. Erapiacevole spendere senzadover guadagnare e nonfaceva caso alla velocità concuiseneandavanoisoldi.

Strappò una striscia nera

dalla fodera del cappotto disua madre e se la appuntòattorno alla manica. Mascopríchenonglimancava,omeglio gli mancava come gliera sempre mancataquand’eraviva.

Nonavendonientedafare,dormiva sempre di piú.Scoprí che era in grado didormire dovunque, aqualunque ora, in qualunqueposizione. Sul marciapiede a

mezzogiorno, con la genteche lo scavalcava; in piedicontrounmuro,conlavaligiatra le gambe. Il sonno gli siera annidato in testa comeuna nebbia benefica; nonaveva voglia di opporleresistenza. Non sognavanienteenessuno.

Un giorno il carrettinoscomparve.Siscrollòdidossoquellaperditainfretta.

Sembrava che sarebbe

dovuto rimanere aStellenbosch per un po’ ditempo. Non c’era modo diridurne la durata. Passava lesue giornate barcollando ingiroespessosiperdeva.

Ungiornocamminavaconla sua valigia per la BanhoekRoad, come a volte faceva.Era una mattina dalla lucetenue, nebbiosa. Sentí il clopclop degli zoccoli di uncavallodietrodisé;dapprima

avvertí un odore di letamefresco, poi venne lentamentesuperato da un carretto, unvecchio carro municipaledell’immondizia di coloreverde e senza sportelli, tiratoda un Clydesdale e condottoda un vecchio con unimpermeabile nero. Per unpo’ procedettero fianco afianco. Il vecchio gli fece colcapoun cennodi saluto eK,dopo un momento di

esitazione, fissando il lungoedritto viale di nebbia davantia sé, decise che dopo tuttonon c’era piú niente che lotrattenesse. Cosí saltò sulcarro e si sedette vicino alvecchio.–Grazie, – gli disse.– Se hai bisogno di aiuto, tipossodareunamano.

Ma il vecchio non avevabisogno di aiuto e non eranemmeno in vena dichiacchiere. Fece scendere K

un miglio dopo la cima delpassoesvoltòperunsentierodi terra battuta. K camminòtutto il giorno edormí inunboschetto di eucalipti colvento che mugghiava tra lefronde in alto sopra la suatesta. Il giorno dopo, versomezzogiorno, avevacosteggiatoPaarl e puntava anord, lungo la stradanazionale. Si fermò soloquando arrivò in vista del

primo posto di blocco.Aspettò in un nascondigliofino a che non fu sicuro chenessuno di quelli chepassavano a piedi venivafermato.

Piú volte fu sorpassato dalunghiconvoglidiveicoliconscorte armate. Ogni voltaabbandonava la strada e simantenevabenvisibile,senzanascondersi, e tenendo le

mani bene in vista comeavevavistofareaglialtri.

Dormí sul ciglio dellastrada e si svegliò zuppo dirugiada. Davanti a lui la viaprocedeva in salitaserpeggiandonellanebbia.Gliuccelli volavano da uncespuglio all’altro e il lorocinguettio era comesmorzato.Portavalavaligiainspalla, appesa all’estremità diunbastone.Eranoduegiorni

che non mangiava, masembravanoncifosserolimitiallasuasopportazione.

Un miglio dopo il passobaluginò un fuoco nellanebbia e gli giunsero dellevoci. Man mano che siavvicinava, l’odore dipancetta fritta gli facevagorgogliare lo stomaco.C’erano degli uomini che siscaldavano,inpiediattornoalfuoco. Quando si avvicinò,

smisero di parlare,squadrandolo. K si toccò ilberretto,manessuno rispose.Li oltrepassò, oltrepassò unsecondofuocosulcigliodellastrada,unacolonnadiveicoliparcheggiati uno in codaall’altro con le luci accese epoi scoprí la ragione delblocco. Rovesciato su unfianco inmezzo alla strada econleruoteposteriorisospesesulprecipizio c’eraunmezzo

articolatodiuncolorebiancoazzurrino.Lacabinadiguidaeraandataafuocoeilfurgoneera annerito dal fumo. Uncamion carico di sacchi eraandatoa sbattere controquelrottame, e la strada eradisseminata da sbuffi bianchidi farina. Oltre la curva, perquanto K riusciva a vedere,c’era il resto del convoglio.Due radio a tutto volumetrasmettevano programmi

diversi e dalla testa delconvoglio giungeva il belatodisperatodellepecore.PerunattimoKpensòdi fermarsi araccogliere qualche manciatadellafarinacadutaaterra,manon sapeva bene cosa farne.Cosí arrancò, superando unautocarro dopo l’altro,oltrepassò il carro carico dipecore,cosístipatochealcunedelle bestie erano costrette areggersi solo sulle zampe

posteriori, poi sorpassò ungruppo di soldati raccoltiattornoaunfuocochenonglibadarono. Alla fine delconvoglio c’erano duelampeggiatori inazioneepiúinlà,inmezzoallastrada,unsecchio di catrame bruciavaincustodito.

Unavoltachesifulasciatoil convoglio alle spalle, K sirilassò, pensando di esserelibero; ma alla svolta

successiva saltò fuori daicespugli un soldato in tutamimetica che gli puntò ilfucile automatico al cuore. Ks’arrestò di botto. L’uomoabbassò lentamente l’arma,accese una sigaretta, aspirò ilfumo, e di nuovo tirò su ilfucile. Ora, pensò K, erapuntato piuttosto contro lagolaolafaccia.

–Allora,–disseilsoldato,– tu chi sei? Dove credi di

andare?K stava per rispondere

quando l’altro tagliò corto. –Fammivedere.Su.Fa’unpo’vederechecihailídentro.

Erano ormai lontani dalconvoglio, che non siscorgevapiú,ancheseai loroorecchi arrivava ancora l’ecodeboledellamusica.Ksitolsedalle spalle la valigia e l’aprí.Il soldato gli fece segno diindietreggiare,spenseelanciò

lontano la sigaretta, e conungesto brusco rovesciò lavaligia. Ora era tuttosparpagliato per terra inmezzoallastrada:lepantofoledi feltro blu, i mutandonibianchi,labottigliadiplasticarosa della calamina, laboccetta marrone con lepillole, la borsetta di plasticarossiccia, la sciarpa a fiori, lasciarpa con lo smerlo, ilcappotto di lana nera, il

portagioie,lagonnamarrone,la blusa verde, le scarpe, labiancheria di ricambio, ipacchetti incartati con cartamarrone e il sacchetto diplastica bianca, il barattolodelcaffèchetintinnò,iltalco,i fazzoletti, le lettere, lefotografie, la scatola con leceneri.Knonsimosse.

– Dove l’hai rubata tuttaquestaroba?Seiunladro,nonèvero?–disseilsoldato.–Un

ladrocheprovaascapparesuperlemontagne,–spinseconlostivalelaborsetta.–Fammivedere, – disse, toccando ilportagioie. Poi toccò ilbarattolo del caffè, quindil’altra scatola. – Fammivedere, – disse ancora, eindietreggiò.

Kapríilbarattolodelcaffè.Dentro c’erano anelli pertende. Tese il palmo dellamano per mostrarli, poi li

versòdinuovonelbarattoloelochiuse.Aprí ilportagioieelotesepermostrarlo.Ilcuoregli martellava nel petto. Ilsoldatorovistòtralarobacheconteneva, scelse una spilla eindietreggiò. Sorrideva. Kchiuse la scatola, quindi apríla borsetta e gliela tese. Ilsoldato gli diede ordinigesticolando. Lui svuotò ilcontenuto della borsetta perterra. C’era un fazzoletto, un

pettine e uno specchio, unportacipria e i dueportamonete. Il soldato liindicò e K glieli passò.L’uomo li fece scivolarenellatascadellagiubba.

K si passò la lingua sullelabbra.–Nonèdenaromio,–disse rauco. – È il denaro dimiamadre, quelloper cuihalavorato–.Noneravero, suamadreeramortaenonavevabisogno di denaro. E

tuttavia... Ci fu un attimo disilenzio. –A cosa credi servalaguerra?–disseK.–Rubareisoldidellagente?

– A cosa credi serva laguerra? – disse il soldatoscimmiottando i movimentidella bocca di K. – Ladro.Attento. Potresti ritrovarti là,stesotraicespugli,copertodimosche. E non mi venire aparlare della guerra –. Puntòil fucile sulla scatola con le

ceneri: – Fammi vedere, –disse.

K tolse il coperchio e glitese la scatola. Il soldatoscrutò il sacchettodiplastica.–Cherobaè?–chiese.

– Ceneri, – rispose K.Questa volta la sua voce erapiúferma.

–Aprila,–disseilsoldato.K aprí il sacchetto. Il soldatonepreseunpizzicoel’annusò

circospetto.–Gesú!–disse,eincontròlosguardodiK.

Ksi chinòe ripose le cosedi sua madre nella valigia. Ilsoldatorimaselí,daunlato.–Alloraadessopossoandare?–chieseK.

– Documenti a posto…puoiandare,–disseilsoldato.Ksirimiseinspallailbastoneconlavaligia.

– Aspetta unmomento, –disse il soldato. – Lavori per

l’ambulanza o roba delgenere?

Kscosselatesta.– Un momento! Aspetta

un momento! – disse ilsoldato.Tirò fuoridalla tascaunodeiportamonete,estrasseuna banconota marrone dadieci rand dal rotolo e lalanciò in direzione di K. –Mancia, – disse, – compratiungelato.

Ktornòindietroeraccolse

la banconota. Poi si misenuovamente inmarcia.Dopodueotreminutiilsoldatoerascomparsonellanebbia.

Nonglisembravadiesserestato un vigliacco. Tuttaviapoco dopo si rese conto cheormai non aveva piú sensotenerelavaligia.Siarrampicòsu per una collinetta e lalasciò tra i cespugli. Si tennesolo il cappotto nero, per ilfreddo, e la scatola con le

ceneri, che lasciò apertaperché l’acqua potessebagnarla e il sole bruciarla egli insetti attaccarla, sevolevano, senza trovareostacoli.

I convogli che arrivavanodalnorderanoevidentementestati bloccati, perché avevatutta la strada adisposizione.Verso il tardo pomeriggioarrivòinvistadeltunnelsottola montagna e del posto di

blocco dell’ingresso sud.Lasciòlastradaes’inerpicòsuper i pendii, avventurandosiattraverso una vegetazionefitta, umida, finché al calardellanottenonsitrovòinaltosulla sella che guardal’Elandsrivier e la stradadiretta a nord. Sentí inlontananza le grida deibabbuini. Dormí sotto unriparo, avvolto nel cappottodella madre, con un bastone

accanto.All’albaeradinuovoin marcia, e fece un ampiogiro giú per la vallata perevitare il ponte sulla strada.Passò il primo convoglio delnuovogiorno.

Camminò tutto il giorno,tenendosi alla larga dallastrada lí dove era possibile.Passò lanotte inun capannoche sorgeva all’angolo di uncampoincoltoconipaliperilrugby, separato dalla strada

da una fila di eucalipti. Lefinestre del capanno eranomalridotte, le portescardinate. Sul pavimentoc’erauntappetodivetrirotti,vecchi giornali e fogliesvolazzanti; dalle crepe nellepareti spuntava una pallidaerba gialla e sotto i tubidell’acqua si erano raccoltigrappoli di lumache: ma iltetto era a posto.Ammonticchiò una pila di

foglieecartainunangoloperfarcisiunletto.Dormíatratti,svegliato da forti venti eviolentepiogge.

Pioveva ancora quando sialzò. Con la testa che gligiravadallafame,simisesullaporta a fissare il prato zuppod’acqua, gli alberi fradici e legrigie colline coperte dinebbiainlontananza.Aspettòper un’ora che smettesse dipiovere, poi si tirò su il

colletto e corse sotto queldiluvio. All’estremità delcamposcavalcòunrecintodifilo spinato ed entrò in unmeletoabbandonato,pienodierba alta ed erbacce. A terra,sparsiovunque, i fruttimezzimangiati dai vermi, mentrequelli ancora sui rami eranopiccolieinfestatidagliinsetti.Col berretto schiacciato sulleorecchie dalla pioggia e ilcappotto nero incollato

addosso come una pelle, sifermòamangiare,mordendole parti buone qua e là,masticando veloce come unconiglio,conocchiassenti.

Poi s’inoltrò nel frutteto.Ovunque c’erano i segnidell’abbandono e avevacominciatoacrederediesserefinito proprio su una terraincustodita, quando oltre imeli si aprí una striscia diterradisboscata, al di làdella

quale vide le casette dimattonieiltettodipagliaelemura imbiancate a calce diuna fattoria. Nella zonadisboscata c’eranoappezzamenti coltivati concura dove crescevanocavolfiori, carote, patate.Abbandonata la protezionedeglialberi,simiseperterraaquattro zampe sotto lapioggia scrosciante ecominciò a strappare dalla

morbida terra le carote giallenonancorapronte.ÈterradiDio, pensò, non sono unladro. E d’altra parteimmaginòchedaunafinestrasulretrodellafattoriapartisseuncolpodifucile,oppurecheun gigantesco alsaziano gli siavventasse contro.Quando sifuriempitoletaschesitiròsunervoso e intimorito. Invecedi portarsi via i ciuffi dellecarote per spargerli sotto gli

alberi,comeavevapensatodifare,lilasciòdov’erano.

Durante la notte smise dipiovere. Lamattina dopo eradi nuovo in strada con ivestiti bagnati e la panciagonfia per tutte quelleverdure crude. Quandosentivaavvicinarsiilrombodiun convoglio se la squagliavatra i cespugli, benché sichiedesse se ormai, con ivestiti sporchi e quell’aria

esausta, non sarebbe statoignorato come un poverovagabondo di qualchesperduto paesino, troppoignorante per sapere che perviaggiare erano necessari deidocumenti, tropposprofondato nell’apatia perpoter essere pericoloso. Unodei convogli, con una scortadi motociclisti battistrada,carri armati e camionettepiene di giovani soldati con

gli elmetti, ci mise cinqueminuti buoni prima di finiredisfilare.Ksbirciòattentodalsuo nascondiglio, gli sembròche il soldato addetto allamitragliatrice nell’ultimocarro, coperto da sciarpa,occhialoni e cappello di lana,loguardasseperunmomentodritto negli occhi prima discomparire,comearretrando,nelBoland.

Kdormísottouncanaledi

scolo. Verso le nove delmattinosuccessivositrovòinvista dei comignoli e deitraliccidiWorcester.Nonerapiú l’unico sulla strada, masolo uno dei tanti cheavanzavanodisordinatamente. Tregiovani lo superaronocamminando di buon passo,col fiato che formavanuvolettebianche.

Alla periferia della città

c’era un blocco stradale, ilprimochevedevadopoPaarl,con lemacchine della poliziaelagenteammassataintorno.Per un momento esitò, allasua sinistra c’erano le case, adestra una fabbrica dimattoni. L’unica via d’uscitaeratornareindietro.Acceleròilpasso.

–Chevogliono?–bisbigliòalla donna che lo precedeva.Lei lo guardò, poi guardò

altrove e non disse unaparola.

Erailsuoturno.Mostròlasua carta verde. In testa allafila, tra i due camion dellapolizia,adessoeraingradodivederecolorochegiàavevanosuperato il controllo, maanche, da una parte, ungruppo di uomini silenziosi,solouomini,sorvegliatidaunpoliziottoconuncane.Sehoun’aria molto stupida, si

disse, forse mi lascerannopassare.

–Didovesei?– Di Prince Albert –.

Aveva la bocca secca. – Stoandando a casa, a PrinceAlbert.

–Ilpermesso?–L’hoperso.–Bene.Aspettalí,–disseil

poliziotto indicando colmanganello.

– Non voglio fermarmi,

nonhotempo,–mormoròK.Potevanofiutarelasuapaura?Qualcuno lo afferrò per unbraccio, K recalcitrò comeuna bestia al mattatoio. Unamano dietro di lui, dalla fila,protendeva una carta verde.Nessuno lo stava a sentire. Ilpoliziotto con il cane feceungesto d’impazienza.Spintonato in avanti, K fecegli ultimi passi verso laprigionia da solo, mentre i

suoi compagni di sventura sispostavano di lato, come perevitare un contagio. K sistrinsealpettolasuascatolaefissògliocchigiallidelcane.

Insieme a cinquantasconosciuti K fu portato alloscalo ferroviario, gli fu datoda mangiare porridge freddoe tè, quindi, intruppato, fucondotto verso un vagoneisolatofermosuunbinariodiraccordo. Le porte furono

chiuse e loro rimasero adaspettare sorvegliati da unaguardia armata con la divisanera e marrone della poliziaferroviaria, fino a che nonarrivarono altri trentaprigionieriefuronocaricatiabordo.

Seduto accanto a lui,vicino al finestrino, c’era unuomo piú anziano con uncompleto. K gli toccò lamanica.–Doveciportano?–

chiese. Lo sconosciuto loguardòesistrinsenellespalle.– Che importa dove ciportano? – disse. – Ci sonosoloduepossibilità:insuoingiú. Cosí sono fatti i treni –.Tirò fuori un pacchetto dicaramelleeglieneoffríuna.

Una locomotiva a vaporefucondottaamarcia indietrofino al binario di raccordo ecollegata al vagone tra unclangore di fischi, urti e

scossoni. – Nord, – disse losconosciuto.–TouwsRiver–.K non commentò e l’uomoperse ogni interesse nei suoiconfronti.

Si allontanarono da quelbinario,eiltrenosfilòdavantiaicortilidiWorcester,doveledonne stendevano labiancheria e i bambiniaggrappati alle staccionate lisalutavano agitando lamano,mentre il trenogradatamente

guadagnava velocità. Kguardava il movimento disaliscendideifilideltelegrafo.Permigliaemigliacorseroinmezzo a vigneti spogli eabbandonati su cui volavanoin ampi giri i corvi, poi,quando iniziò la salita su perle montagne, la locomotivacominciò a rallentare. K fuscossodaibrividi.L’odoredelsuo sudore gli arrivava allenarici attraverso quello di

umido e di muffa dei vestiticheavevaaddosso.

Il treno si fermò, unaguardia aprí le porte e, nonappena scesero, fu a tuttichiaro il motivo per cui sierano fermati: il treno nonpoteva procedere. Il binarioera coperto da un cumulo dirocce e terra rossa che erafranata lungo il declivio,aprendounlargosquarciosulfiancodellacollina.Qualcuno

feceuncommento,accoltodascoppidirisa.

Dall’alto della franariuscivano a vedere un altrotreno in fondo al binariodall’altra parte: c’eranouominiindaffaraticometanteformiche per tirare fuori daun vagone merci unaspalatrice meccanica espingerlagiúperunoscivolo.

K si ritrovò assegnato auna squadra di operai che

lavoravano sul binario,dissestatoperuncerto tratto,a breve distanzadall’ostruzione. Per tutto ilpomeriggio, sottogliocchidiun controllore e di unaguardia,luieisuoicompagnifaticarono per spostare lerotaie deformate, consolidareilfondodelbinarioemetterele traversine. Prima di serac’erano abbastanza rotaienuove da permettere a un

vagonevuotodiavanzarefinoalla base della frana.Interrupperoillavoroperunacena a base di pane,marmellata e tè. Poi,illuminati dai fari anterioridellalocomotiva,risalironolamontagnolaecominciaronoaspalare argilla e pietre. Inprincipioeranoabbastanzainalto da riuscire a buttaredirettamente la terra spalatanel vagone merci, poi, man

mano che il livello scendeva,furono costretti a sollevareogni palata sopra la spondadelmezzo.Quando il vagoneera pieno, la locomotiva loriportava giú in fondo albinario e gli stessi uominidovevanosvuotarloalbuio.

Ripresosi grazie alla pausaperilpasto,Kricominciòbenpresto a sentirsi sfinito.Ognipala piena di terra chesollevava gli costava un

grosso sforzo e quando siraddrizzavasentivaundolorelancinanteallaschienaetuttogiravaintornoalui.Lavoravasempre piú lentamente e allafinesimisesedutosuunlatodel binario con la testa tra leginocchia. Passò del tempo,non sapeva bene quanto. Irumori gli giungevanosemprepiúfiochi.

Sentí dei colpi sulginocchio. – Alzati! – disse

unavoce.Si rimise inpiediafatica e nella fioca luce sitrovò di fronte il controlloreinpastranoneroeberretto.

– Perché devo lavorarequi? – chiese. Gli girava latesta, le parole sembravanoriecheggiare da moltolontano.

Ilcontrollorealzòlespalle:– Fa’ quello che ti dicono, –disse. Puntò il bastone sul

petto di K e lo pungolò. Kripreselasuapala.

Faticarono fino amezzanotte, muovendosicome sonnambuli. Alla finefuronoricondottinelvagone,dove si addormentaronoabbandonati l’uno control’altro sui sedili o sdraiati sulnudo pavimento, con ifinestrinichiusiperdifendersidal gelo dell’altopiano,mentre fuori le guardie

facevano su e giú tremandodal freddo e imprecandomentre, a turno, s’infilavanodi nascosto nella cabina diguidaperscaldarsilemani.

Stanco e infreddolito,K sieradistesoconlascatoladelleceneri tra le braccia. Il suovicinoglisistringevacontroelo abbracciava nel sonno.Pensa che sia sua moglie, sidisseK,ladonnanelcuilettoha dormito la notte scorsa.

Fissò il finestrino appannatoaugurandosi che la nottepassasse presto. Poi siaddormentò. Quando leguardie al mattino aprironogli sportelli, aveva il corpocosí rigido che riusciva amalapenaastareinpiedi.

Gli diedero di nuovo tè eporridge. K si trovò sedutoaccanto all’uomo che gliaveva parlato nel viaggio daWorcester.

– Ti senti male? – glichiesequello.

Kscosseilcapo.–Nonparli,–dissel’altro.

–Pensavochefossimalato.–Nonsonomalato,–disse

K.– Allora non essere cosí

infelice. Non siamo mica inprigione. Non siamocondannati all’ergastolo. Èsolo una squadra di lavoro.Nonèniente.

Knonriuscíafinirelasuafetta tiepida di porridge.Adesso le guardie e duecontrollori stavanoaggirandosi tra loro battendole mani e pungolandoli perfarlialzare.

– Non hai niente dispeciale. Nessuno di noi haniente di speciale, – disseancora l’uomo conun ampiogesto che li abbracciava tutti:prigionieri, guardie,

capisquadra. K raschiò ilporridge che non avevamangiato lasciandolo cadereper terra e si alzò. Ilsorvegliante col naso aduncogli passò accanto e colpí ilbordo del cappotto colbastone.–Animo!–glidissecon un sorriso e una paccasulla spalla. – Presto sarai dinuovolibero!

Finalmente la spalatricemeccanicaerastataportatasu

dall’altra parte della frana eaffondava i denti nella terraspalandola via con regolarità.Prima di mezzogiorno erastato aperto un varco di tremetri, cosí la squadra disoccorso tecnico di TouwsRiverpotevaavanzareatiraresu e risistemare il binarioriportatoallaluce.Iltrenosulversante nord cominciò amuoversi, prendendovelocità. Con la sua lurida

giacca bianca da barelliere,trascinandosi il cappotto e lascatola con le ceneri,K salí abordo insieme a tutti gli altriuomini, silenziosi ed esausti.Nessuno lo fermò.Lentamente il treno fecemarciaindietro,dirigendosianord, sull’unico binario, condue guardie armate in fondoalvagonechecontrollavanolalineaferroviaria.

Per tutte e due le ore di

tragittoKfinsedidormire.Auncertopuntol’uomosedutodi fronte a lui, forse in cercadi qualcosa da mangiare, glisfilòlascatolachetenevatraipiedi, l’aprí, e quando videche conteneva cenere, laspinsedinuovoal suoposto.Kavevaosservatoiltuttocongli occhi semichiusi, senzaintervenire.

Furono scaricati a TouwsRiver alle cinque del

pomeriggio. K rimase fermosulla banchina, non sapendocosa sarebbe successo. Forsesisarebberoaccorticheavevapreso il treno sbagliato e loavrebbero rispedito aWorcester, oppure avrebberopotutorinchiuderloinquestostranopostodesolato,battutodalvento,perchénonavevaidocumenti; o anche potevadarsi che ci fossero altresituazionidiemergenzalungo

lalineaferroviaria,tantefranee smottamenti ed esplosioninella notte e binari interrottiche avrebbero richiesto laspedizione di una squadra dicinquantauominisuegiúdaTouws River per il resto deigiorni, uomini non pagati enutriti a porridge e tè, tantoper tenerli in forza. Invece ledue guardie, dopo averliscortati via dalla banchina,fecero dietrofront senza dire

unaparolaelilasciaronosullagrigia distesa dello scalomerci per riprendere le loroviteinterrotte.

Senza indugio, Kattraversò i binari, sgattaiolòattraverso un buco dellarecinzione e prese il sentieroche andava dalla stazioneall’oasi dei distributori dibenzina, delle locande e deiparchi giochi per bambinilungo la strada nazionale. La

vernice dai colori allegri deicavalli a dondolo e dellegiostre cominciava ascrostarsi e i distributori dibenzinaavevanochiusodaunpezzo,ma un negozietto conl’insegna della Coca-Colasopra la porta e una cassettadi arance rinsecchite invetrina sembrava ancoraaperto.Keraarrivatoperfinoa varcarne la soglia, quandounavecchiettavestitadinero

gli si era precipitata controconlebracciatese.Primachefacesseintempoaresisterleloaveva spinto letteralmentefuori e con gran rumore diferraglia gli aveva chiuso laporta in faccia. K sbirciòattraverso il vetro e bussò,mostrò la banconotadadiecirand per dimostrare la suabuona fede, ma la vecchia,senza neppure guardarlo, erascomparsa dietro l’alta cassa.

Altri due del treno, checamminavano dietro di lui,avevano assistito al modo incuierastatorespinto.Unodiloro lanciò con rabbia unamanciata di ghiaia contro lavetrina,poisigiraronoeseneandarono.

K si fermò. Dietrol’espositore dei libri e quellodelle caramellepotevavedereun lembo del vestito nero.Riparandosi gli occhi con le

mani si mise ad aspettare.Nonsisentivanientetranneilventochespazzavailveldeilcigolio dell’insegna sopra laporta. Dopo un poco lavecchiasollevòlatestaoltrelacassa e incontrò il suosguardo.Portavaocchialiconunaspessamontaturaneraeicapelli grigio argento raccoltidietro la nuca. Sugli scaffalidietro di lei K riusciva adistinguere cibo in scatola,

pacchetti di farina di mais,zucchero e detersivi inpolvere. Sul pavimentodavanti alla cassa c’era unacesta di limoni. K stese labanconota sul vetro sopra latesta.Lavecchianonsimosse.

Cercòdiberedalrubinettovicino a una pompa dibenzina,manon c’era acqua.Bevve da un rubinetto dietroil negozio. Nel veld, al di làdel distributore c’erano le

carcasse di un’infinità dimacchine. Provò tutte leportiere finoa chenon seneaprí una. Il sedile posterioreera stato rimosso, ma eratroppo stanco per cercareancora. Il sole stava calandodietro lemontagne, lenuvolestavano diventandoarancioni.Chiuselaportieraesi sdraiò sul pavimentoconcavopienodipolvere,conla scatola sotto la testa, e

subito si addormentò. Almattinoilnegozioeraaperto.Dietrolacassac’eraunuomoalto, con un vestito cachi, dacui, senza problemi, Kcomprò tre scatolette difagioli al pomodoro, unpacchettodilatteinpolvereefiammiferi. Si ritirò dietro lapompadibenzinaeacceseunfuoco. Mentre facevariscaldareunadellescatolette,si versò il latte inpolvere sul

palmo dellamano e lo leccò.Finitodimangiare,simiseinmarcia arrancando lungo lastrada maestra col sole sullasinistra.Camminòsenzasostatutto il giorno. Nel piattopaesaggio di bassi arbusti epietre non c’era luogo in cuipotersinascondere.Iconvoglipassavano in entrambe ledirezioni, ma lui li ignorava.Al crepuscolo si allontanòdalla strada, oltrepassò un

recintoetrovòunpostodovetrascorrere la notte nel lettoseccodiun fiume.Acceseunfuoco e mangiò la secondascatoletta di fagioli. Dormívicinoallebraci,incurantedeirumori della notte, il leggeromovimento confuso efrettoloso sui ciottoli, ilfrusciod’alitraglialberi.

Una volta scavalcato ilrecinto ed entrato nel veld,scoprí che era piú riposante

camminare per i campi.Camminò tutto il giorno e alcrepuscolo ebbe la fortunadiprendere con un sasso unatortora che stava perappollaiarsi su un rovo. Letirò il collo, la spennò el’arrostísuunospiedodifildiferro.Lamangiòcon l’ultimascatoladifagioli.

Al mattino fu svegliatobruscamente da un vecchiocontadino che indossava uno

sbrindellatopastranomilitaremarrone. Con inspiegabileveemenza l’uomo gli intimòdi andarsene di lí. – Ci hosolo dormito, nient’altro! –obiettò K. – Non cercarerogne, – ribatté il vecchio. –Se ti trovanonel loro veld, tisparano! Porti solo guai.Oravattene! – K gli chieseinformazioni sulla strada,maquello lo salutò e si mise asmuovere la terra col piede

per coprire le tracce delfuoco.CosíKseneandòeperun’oraarrancòlungolastradamaestra, poi, sentendosiormaialsicuro,riattraversòlarecinzione.

Da un truogolo vicino auna diga raccolse mezzobarattolodifarinadimaisedifarina animale, la fece bollirenell’acqua, e mangiò quelmiscuglio sabbioso. Poi siriempíilberrettoconunaltro

po’ di quella roba, pensando:Finalmente vivo dei prodottidellaterra!

In certi momenti l’unicorumore che riusciva a sentireera quello delle gambe deisuoi calzoni che strusciavanouna contro l’altra. Da unestremo all’altrodell’orizzonte ilpaesaggioeradeserto. Si arrampicò su unacollinaesisdraiòsuldorsoadascoltare il silenzio, a sentire

il calore del sole che glipenetravanelleossa.

Tre strane creature, deicagnolini con orecchiegigantesche, comparvero dadietro un cespuglio efuggironovia.

Potrei restare qui persempre,pensò,oalmenofinoallamorte.Nonsuccederebbeniente, ogni giorno sarebbeidentico a quello precedente,senza bisogno di dire niente.

L’ansia dei giorni passati perstradasiandavaaffievolendo.A volte camminava senzasapere se era sveglio oaddormentato.Capivaperchéalcunisifosseroritiratilí,esifossero circondati dimiglia emiglia di silenzio; capivacome avessero volutotramandare il privilegio dituttoquelsilenzioailorofiglie ai figli dei figli, per sempre(anche se non gli era chiaro

con che diritto); si chiese senon ci fossero cantuccidimenticati, angoli e corridoitralerecinzioni,terrachenonappartenesse ancora anessuno. Forse, pensò, seavesse potuto volareabbastanza alto, sarebberiuscitoascoprirlo.

Due aerei sfrecciarononelcielo da sud a nordlasciandosi dietro code divapore che lentamente si

andarono dissipando e unrumorecomedionde.

Il sole stava declinandoquando arrivò sulle ultimecolline alla periferia diLaingsburg. Non appenaattraversòilponteeraggiunseil largo viale principale dellacittà, la luce divenne di unviola cupo. Oltrepassòdistributori di benzina,negozi, locande, era tuttochiuso.Uncanecominciòad

abbaiare e, visto che avevacominciato, continuò. Altricanisiunironoalprimo.Nonc’eranolampioni.

Stava davanti alla vetrinabuia di un negozio diabbigliamento per bambiniquando qualcuno alle suespallelooltrepassò,sifermòetornò indietro. – Quandosuona la campana, scatta ilcoprifuoco, – disse una voce.

–Farestimeglioanonrestareperstrada.

K si girò. Vide un uomopiú giovane di lui in tutaverdeeoroconinmanounacassettadilegnodegliattrezzi.Che impressione avesse fattosuquello sconosciuto,non losapeva.

– Stai bene? – chiese ilragazzo.

–Nonmivogliofermare,–disse K. – Sto andando a

Prince Albert, e la strada èlunga.

Mamalgradotuttoseguílosconosciuto e dormí in casasua dopo una cena a base diminestra e pane fritto.C’erano tre bambini.Tutto iltempo,mentreKmangiava,labambina piú piccola, sedutasulle ginocchia della madre,continuava a fissarlo e,benché la mamma lebisbigliasse qualcosa

all’orecchio, non gli tolse gliocchididosso.Iduebambinipiú grandi tenevano losguardo rigorosamenteincollato al piatto. Dopoqualche incertezza, K parlòdel suo viaggio. – Hoincontrato un uomo, l’altrogiorno, – disse, – che mi hadettochequi ti sparano, se titrovano sulla loro terra –.L’amicoscosselatesta:–Maisentito,–disse.–Iocredoche

gliuominisidebbanoaiutarel’unl’altro.

K lasciò chequell’affermazione gliaffondassenellamente.Credoanch’iochebisognaaiutarelagente? si domandò. Erapossibile che a volte aiutassela gente e a volte no, non losapeva in anticipo. Tutto erapossibile.Nonglisembravadiavere certezze, o almenononriguardo all’aiuto reciproco.

Forse sono come la terrarocciosa,pensò.

Dopo aver spento la luce,K rimase a lungo sveglio adascoltare il girarsi e rigirarsidei bambini, di cui lui avevaoccupato il lettoe cheadessodormivano su un materassoper terra. Nel corso dellanottesi svegliòunavoltaconla sensazione di aver parlatonel sonno, ma sembrava chenessuno lo avesse sentito.

Quando,piútardi,sirisvegliòc’era una luce accesa e igenitori preparavano ibambini per la scuola,cercando di zittirli perriguardo all’ospite.Mortificato, s’infilò i calzonisotto le coperte e uscíall’aperto. Nel cielo ancorabrillavano le stelleeaorientec’era un bagliore rosaall’orizzonte.

Il bambino lo venne a

chiamare per la colazione. Atavola sentí di nuovo ilbisogno di parlare. Siaggrappòalbordodeltavoloese ne stette seduto dritto erigido. Aveva il cuore pieno,volevaringraziare,manonglivenivano leparole. Ibambinilo fissarono; nessuno dissepiú una parola, i genitorivolserolosguardoaltrove.

I due figli piú grandiebbero il compito di

accompagnarlo fino allasvolta per Seweweekspoort.Arrivatiallasvolta,primachesi separassero, il bambinoparlò.–Sonoquelleleceneri?–domandò.Kannuí.–Vuoivederle? – chiese. Aprí lascatola e slegò il sacchetto diplastica. Prima le annusò ilmaschio, poi sua sorella. –Che ne farai? – chiese ilragazzino. – Le riporto dov’ènatamiamadre tanto tempo

fa,–disseK.–Eraquellochevoleva.–L’hannobruciata?–chiese il bambino. K videl’alone del fuoco. – Non hasentito niente, – disse, –ormaieragiàspirito.

Glicivollerotregiornipercoprire la distanza daLaingsburg a Prince Albert,seguendo la pista di terrabattuta e tenendosi alla largadalle fattorie. Cercava divivere di quello che trovava

nelveldmaeraquasi sempreaffamato.Unavolta,nelgrancaldo,sidenudòesiimmersenelle acque di una digaisolata. Un’altra volta fuchiamato sul ciglio dellastrada da un contadino allaguida di un camioncino. Ilcontadinovolevasaperedoveandava. –A PrinceAlbert, –disse, – a trovare la miafamiglia–.Ma il suo accentoeraforestieroechiaramenteil

contadino non gli credette. –Saltasu,–glidisse.Kscosseilcapo.–Saltasu,–gliripetéilcontadino, – ti dò unpassaggio.–Nonc’èbisogno,– disse K e continuò per lasua strada. Il camioncinoripartí in una nuvola dipolvereeKlasciòall’istantelastrada,tagliòperillettodiunfiume e si nascose fino a chenonfecenotte.

Ripensando al contadino,

piú tardi, riusciva aricordarne solo il cappello digabardine e le dita tozze chegli facevano segno diavvicinarsi. Su ogni falangedelle dita aveva una lanuginedi peli bronzei. Aveva lasensazione che i suoi ricordiriguardassero solo parti, maiiltutto.

La mattina del quartogiorno stava accovacciato suuna collina a guardare il

sorgeredel sole suquella chefinalmente doveva esserePrince Albert. I gallicantavano, la luce balenavariflessa dalle finestre dellecase, un bambino conducevadue asini giú per la stradaprincipale. L’aria eraimmobile.Scendendogiúperil fiancodella collinaverso lacittà, cominciò a sentire unavocemaschilechesilevavainun monologo monotono e

infinito e sembrava comeandargli incontro,provenendo da un qualcheluogo invisibile. Perplesso, sifermò in ascolto. Sarà questala voce di Prince Albert? Sichiese. Credevo che PrinceAlbert fosse morto. Cercò didistinguere le parole ma,anche se la voce pervadeval’aria come una nebbia o unaroma, le parole (se eranoparole, se la voce non era

semplicemente un suonocullante o una cantilena),eranotroppo fievolio troppouniformi per riuscire adistinguerle.Poilavocecessòper far posto a una tenue,lontana,bandadiottoni.

K prese la strada ches’immetteva in città da sud.Oltrepassò la ruota delvecchio mulino, superògiardini recintati. Un paio dicanirossobrunogaloppavano

suegiú,abbaiando,aldilàdiuna recinzione, ansiosi diazzannarlo.Pochecasepiúinlà su quella stessa strada unadonna era china a unrubinetto esterno, intenta alavare una ciotola. Girò latesta a guardarlo, lui si toccòil berretto, lei distolse losguardo.

Ora c’erano negozi suentrambi i lati della strada.Un forno, un caffè, un

negozio di abbigliamento,uno sportello bancario, labottega di un fabbro, unemporio,officinemeccaniche.La porta dell’emporio erachiusa da griglie d’acciaio. Ksi sedette sulla scalinatadavanti al negozio, con lespalleappoggiateallegriglieegliocchichiusiperilsole.Orasonoqui,pensò.Finalmente.

Un’ora dopo era ancoraseduto lí, addormentato, con

laboccaspalancata.Intornoaluisieranoradunatiunpo’dibambini, a bisbigliare eridacchiare. Uno di loro glisfilòdelicatamenteilberretto,se lomise in testa,e storse labocca per imitarlo. I suoiamichetti riserorumorosamente. Poi glirimise il berretto in testa ditraverso e cercòdi sfilargli lascatola, ma K vi aveva

poggiato sopra, incrociate,entrambelemani.

Arrivòilnegozianteconlechiavi; i bambini sidispersero; quando cominciòa rimuovere le grigliemetalliche,Ksisvegliò.

L’interno del negozio erasemibuio e pieno zeppo diroba. Dal soffitto pendevanocatini da bagno di ferrozincato e ruote di biciclettainsieme a cinghie di

ventilatori e tubi perradiatori; c’erano bidoni dichiodiepiramididi secchidiplastica;scaffalidiprodottiinscatola, medicinali, dolci,vestiti per bambini e bibitefredde.

K si avvicinò alla cassa. –Mr Vosloo o Mr Visser, –disse.Eranoquelliinomichelamammaricordava.–Cercoun Mr Vosloo o un MrVisser,chefailfattore.

– Mrs Vosloo? – disse ilnegoziante. – È lei cheintendi? Mrs Vosloodell’albergo? Non esiste unMrVosloo.

–MrVosloooMrVisser,chetantotempofaavevaunafattoria, è lui che cerco.Nonsono sicuro del nome,ma sevedolafattorialariconosco.

–Non esiste un fattore dinomeVosloo oVisser. Forse

intendi dire… i Visagie.PerchécerchiiVisagie?

–Devoportarelíunacosa–.Ealzòlascatola.

– Allora hai fatto tantastrada per niente. Non c’ènessuno nella proprietà deiVisagie. È disabitata da anni.Sei sicuro che il nome siaproprio Visagie? I Visagiesonoandativiadaunpezzo.

K chiese un pacchetto dibiscotti.

– Chi è che ti haindirizzato qui? – chiese ilnegoziante. K aveva l’aria diuno scemo. – Avrebberodovuto mandare qualcunoche sa quello che fa.Diglieloquando li vedi –. K borbottòqualcosaeseneandò.

Riprese la sua stradapensando a dove avrebbepotuto provare ancora achiedere quando uno deibambini lo raggiunse

correndo.–Signore,glielosodire iodovestannoiVisagie!–gligridòdietro.Ksifermò.– Ma la fattoria è disabitata,non c’è nessuno lí, – disse ilbambino. Gli diede leindicazioni che l’avrebberoportato a nord, lungo lastradadiKruidfontain,epoiaest, passando per una stradadi campagna chefiancheggiava la valle delMoordenaarsrivier. –Quanto

dista la fattoria dalla stradaprincipale? – chiese K. – Èvicina o è lontana? – Ilragazzinoeraincertoenonlosapevano nemmeno i suoicompagni. – Deve svoltarequandotrovailcartelloconildito puntato, – disse. – lafattoria dei Visagie è primadelle montagne, la strada èlunga se si fa a piedi –. Kdiede loro i soldi percomprarsilecaramelle.

Arrivò al cartello col ditopuntato che era giàmezzogiorno. Prese unsentiero che correva in unpaesaggio grigio, piatto edesolato.Ilsolestavacalandoquando risalí una collinetta earrivò in vista di una bassafattoria imbiancata, oltre laquale il terreno passava dapianure ondulate a collinepedemontaneeinfineagliertiscuri declivi delle montagne

stesse. Si avvicinò alla casa ele girò intorno. Le persianeerano chiuse e un colombotorraiolo volò dentroattraverso un buco dove eracaduto uno degli spioventilasciandoscoperte letravidelsoffittoedeformatelelamierediferrozincatodeltetto.Unalamiera staccata sbattevamonotonanelvento.Dietrolacasa c’era un giardinoroccioso in cui non cresceva

niente.Non c’era una casettacome lui aveva immaginato,ma un capanno di legno eferro, controcuipoggiavaunpollaio vuoto con nastri diplastica gialla attaccati allarete di fil di ferro che siagitavano nel vento. Suun’altura dietro la casa c’erauna pompa cui mancava lasommità. Lontano nel veldluccicavanolepalediun’altrapompa.

Leportesullafacciataesulretro erano chiuse. Con unostrattonetiròunapersianaeilgancio che la fermava sistaccò. Riparandosi gli occhiconlemanisbirciòdentromanonriuscíadistinguerenulla.

Quando entrò nelcapanno, due rondinivolarono via spaventate. Unaratro coperto di polvere eragnatele occupava quasituttoilpavimento.Riuscendo

a malapena a vederenell’oscurità,conunodoredipetrolio, lana e catrame nelnaso, si mosse strusciandolungo le pareti, tra picconi evanghe, pezzi sparsi ditubature, rotolidi fildi ferro,scatoloni di bottiglie vuote,finoachenontrovòunapiladi sacchi di granaglie vuoti,che trascinò fuori, all’aperto,sbatté a lungo edispose sullaverandaperfarseneunletto.

Mangiò l’ultimo deibiscotti che aveva comprato.Aveva ancora la metà deisoldi, ma non sapeva chefarsene.La luce si attenuò. Sisentí un battito d’ali dipipistrellisottolegrondaie.Sisdraiò sul suo letto adascoltare i rumori nell’arianotturna,un’ariapiúdensadiquella del giorno. Ora sonoqui,pensò.Oalmenosonodaqualcheparte.Siaddormentò.

Laprimacosachescopríalmattino fu che c’erano dellecapre in giro per la fattoria.Un gregge di dodici oquattordicianimalicomparvedietro la casa e attraversò ilcortilelemmelemme,guidatodaunvecchiocaproneconlecorna ritorte.K si tirò sudalletto per guardare, cosa chespaventò le capre, che siprecipitarono con granfracasso giú per il sentiero

verso il lettodel fiume.Inunattimo s’erano dileguate. Sierasedutoestavapigramenteallacciandosi le scarpe,quando gli balenò in menteche avrebbe dovutoacchiappare, uccidere,squartare e mangiare quellebestie sbuffanti dal lungomanto lanoso, o comunquealtre creature simili a quelle,se voleva sopravvivere.Armato solo del suo

temperino si lanciò dietro lecapre. Passò tutto il giorno adar loro la caccia. Dapprimaterrorizzate, col tempo sierano abituate a quell’essereumanocheglitrottavadietro.Quandoilsolesifececocente,preseroafermarsidi tantointanto e a lasciare che lui siavvicinasse finoapochipassidi distanza primadi alzarsi emostrargliconnoncuranzaglizoccoli. In quei momenti,

cercando di arrivare loroaddosso di soppiatto, K sisentiva tremare in tutto ilcorpo.Nonriuscivaacrederedi essere diventato un taleselvaggio, col coltello inpugno, né riusciva a liberarsidallapaurache,nell’affondarenel collo pezzato bianco emarronedelcaprone, la lamadeltemperinosirichiudesseegli tagliasse la mano. A quelpunto le capre scappavanodi

nuovo e lui, per tirarsi su,doveva ripetersi: Loro hannotanti pensieri per la testa, ione ho uno solo. Ilmio unicopensiero alla fine sarà piúforte dei loro tanti pensieri.Cercava di spingere le caprecontro il recinto, ma quelleriuscivano sempre asfuggirgli.

Si rese conto che lostavano facendo girare intondo, disegnando un gran

cerchio attorno alla pompa ealla diga che aveva notatodalla fattoria il giornoprima.Adesso che era piú vicinopoteva vedere che la digaquadrata di cemento era inrealtàcosípienadastraripare;per chilometri tutto intornoc’era acqua fangosa e unarigogliosa vegetazionepalustre. Man mano che siavvicinava gli giungeva iltonfosordodelle ranecontro

la superficie dell’acqua. Solodopo che ebbe bevuto glivenne a un tratto da pensareche era strano tutto quelrigoglio e si domandò chi sioccupasse di far riempire ladiga. Piú tardi, nelpomeriggio, mentrecontinuava la sua cacciaostinata, con le capre cheormai si spostavano senzafretta davanti a lui da unazona d’ombra alla successiva,

trovò la risposta: si alzò unvento leggero, la ruota cigolòe cominciò a girare, e dallapompa venne un seccorumore metallico mentre unrivoletto d’acquaintermittente cominciavascorreredaltubo.

Affamato e stanco morto,troppo preso dalla caccia perabbandonarla, temendo diperdere la sua preda durantela notte in quella distesa di

veld sconosciuto, prese isacchi, si fece il letto sullanuda terra, sotto la lunapiena, il piú vicino possibilealle capre, poi cadde in unsonno intermittente. Fusvegliato in piena notte dallecaprechebevevanosbuffandoe schizzando acqua. Ancoraintontito dalla stanchezza, sialzòeandòbarcollandoversodiloro.Perunattimolebestiesi voltarono a guardarlo,

stringendosi tra di loro,nell’acquafinoaigarretti.Poi,quando lui s’immerse inacqua per raggiungerle, sidisperserointutteledirezioniinun’esplosionediagitazione.Quasi sotto di lui unainciampò e scivolò,dimenandosi come un pescenel fango per rimettersi inpiedi. K le si buttò addossocon tutto il peso del suocorpo. Devo essere deciso,

pensò, devo arrivare fino infondo, non devo cedere.Sentiva la groppa della caprasollevarsisottodisé; labestiabelò ripetutamente, piena diterrore, il corpo scosso daspasmi. K le si mise acavalcionielestrinselemaniintornoalcollo,dopodichélaspinse giú con tutta la suaforza, premendole la testasotto la superficie dell’acqua,nelladensamelmadel fondo.

La bestia sgroppava,maK lastringeva tra le ginocchiacome una morsa. Ci fu unmomento in cui i calcidiventarono piú deboli e luiquasi allentò la presa. Maquell’impulso passò. Moltotempodopo l’ultimosbuffoel’ultimo tremito, ancoracontinuava a tenere la testadella capra nel fango. Soloquando l’acqua fredda avevacominciato a intorpidirgli gli

arti si tirò su, trascinandosifuoridalladiga.

Perilrestodellanottenondormí,ma camminò avanti eindietro con i vestiti bagnatiaddosso, battendo i piedi e identi, mentre la lunaattraversava il cielo. Quandovennel’albaecifuabbastanzaluce per vedere, tornò allafattoria e senza esitazionesfondò col gomito il vetro diuna finestra. L’ultimo

tintinnio dell’ultimoframmento svaní e lo avvolselo stessoprofondo silenziodiprima. Alzò il fermo espalancò la finestra. Si aggiròdaunastanzaall’altra.Trannecheperalcunigrossimobili–credenze,letti,armadi–,nellacasa non c’era niente. I suoipiedi lasciavano orme sulpavimento polveroso.Entrando in cucina sentí unfrullare di ali, mentre gli

uccelli volavano via dal buconel tetto. Ovunque c’erano iloro escrementi; contro laparetedifondoc’eraunagranquantità di calcinacci incorrispondenza del frontonecaduto, e sopra ai detriti eraspuntataperfinounapiantinadelveld.

Dalla cucina si accedeva auna piccola dispensa. K apríla finestra e spalancò lepersiane. Lungo una parete

c’era una fila di bidoni dilegno, tutti vuoti, tranneunoche conteneva qualcosa cheaveva l’aspetto di sabbia edescrementi di topo. Su unoscaffale c’erano utensili dacucina,pezzispaiatidiservizi,tazze di plastica, barattoli divetro, tutti coperti di polveree ragnatele. Su un altroc’erano bottigliemezze vuotedi olio e aceto, barattoli dizucchero a velo e latte in

polvere, e tre bottiglie diconserve.Kneapríuna,tolseil tappo di cera e trangugiòqualcosa che sapeva dialbicocca. Ildolcedella fruttain bocca si mescolò conl’odore di melma stantia chevenivadaisuoivestitibagnati,provocandogli conati divomito. Portò fuori labottiglia e, in piedi nel sole,mangiò quello che rimanevapiúlentamente.

Riattraversò il miglio diveld che lo separava dalladiga. L’aria era calda ma luicontinuavaarabbrividire.

Dall’acqua spuntava lamontagnola bruna e fangosadel fianco della capra. Entrònell’acquabassaecontuttalaforza che aveva in corpotrascinò fuori il cadaveretirandolo per le zampeposteriori. Aveva i dentiscoperti, gli occhi gialli

spalancati, dalla bocca leusciva un rivoletto d’acqua.Era una pecora. L’impellentebisogno di mangiare delgiorno prima era passato.L’ideadi squartareedivorarequellacosadisgustosacolpelobagnato e arruffato gliripugnava. Le altre caprestavano su un’altura pocodistanteconleorecchiedritterivolte verso di lui. Nonriusciva a credere di aver

passato un giorno intero arincorrerle come un mattoconuncoltello.Sirividesottola luce lunare a cavalcionidella pecora immersa nelfango,finoafarlamorire,efuscossodaunbrivido.Avrebbepreferito sotterrare la pecorada qualche parte edimenticare l’episodio,oppure, ancora meglio, darleuna manata sull’anca evederla rimettersi in piedi e

trottarevia.Glicivollerooreper trascinarla attraverso ilveld fino alla casa.Non c’eramodo di aprire le porte:dovette sollevarla e farlapassare da una finestra perportarla in cucina. Poi glivenne in mente che sarebbestato stupido macellarlaall’interno, sempre che lacucina con le sue piante e isuoi uccelli potesse essereconsiderata comeun interno.

Cosí la tirò di nuovo fuori.Ebbe la sensazione di nonsaperepiúperchéavessefattocentinaia di miglia perarrivare fin lí e dovette fareavanti e indietro per un po’conlemanisullafacciaprimadisentirsimeglio.

Nonavevamaiscuoiatounanimale prima di allora. Perfarlo aveva solo il temperino.Tagliò la pancia e infilò ilbraccio nel taglio; pensava di

trovare il caldo del sangue einvece dentro la bestia trovòla stessa sensazione dibagnato e appiccicoso delfango della palude. Tirò conforza e le interiora siriversarono con un tonfo aisuoi piedi, blu, viola, rosa.Dovette trascinare la carcassalontanodilíperpoterandareavanti.Levò tutta lapellechepoté,manonriuscíamozzarelezampeelatestafinoache,

frugando nel capanno, nontrovò una sega ad arco. Allafine la carcassa scuoiata cheappese al soffitto delladispensa sembrava nienterispettoallamontagnadirestiche infilò in un sacco eseppellínelpuntopiúaltodelgiardino roccioso. Aveva lemani e le maniche piene disangue rappreso. Non c’eraacqualívicino,cosísistrofinòcon la sabbia ma quando

tornò in casa le moschecontinuavanoainseguirlo.

Pulílacucinaeconomicaeacceseunfuoco.Nonc’eranoutensili per cucinare. Staccòuna cosciotto e lo tennedirettamentesopralafiammafino a che non fucarbonizzato all’esterno egocciolante di succhi. Lomangiò senza provarepiacere, pensando solo: Che

farò quando la capra saràfinita?

Era sicuro di essersi presoun raffreddore. Si sentiva lapelle secca e bollente, glifacevamalelatestaeingoiavacon difficoltà. Portò fino alladiga i barattoli di vetro perriempirli d’acqua. Lungo lastrada del ritorno le forzeimprovvisamente loabbandonarono e dovettesedersi. Seduto nel veld

desolato, con la testa tra leginocchia, si lasciò andare afantasticare di stare in unletto pulito, tra fresche ebianche lenzuola. Quandotossí emise come il verso diun gufo, e sentí il suonopartire dal suo corpo, senzatraccia di eco. Anche se glifaceva male la gola, ripetéquelsuono.Eralaprimavoltache sentiva la sua voce daquando aveva lasciato Prince

Albert. Pensò: Qui possoemettere tutti i suoni chevoglio.

Quando fece notte erafebbricitante. Trascinò il suolettodisacchinelsoggiornoedormí lí. Sognò che giacevanelbuiopestoneldormitoriodi Huis Norenius. Quandoallungava lamano toccava latestiera di ferro del letto; dalmaterasso in fibra di coccoveniva un odore stantio di

urina. Immobileperpauradisvegliare gli altri ragazzi chedormivanotuttointornoalui,rimanevacongliocchi apertiinmododanonricaderenellapericolosatrappoladelsonno.Sonolequattro,sidiceva,allesei farà giorno. Per quantospalancasse gli occhi non erain gradodi capire dove stavala finestra. Le palpebre gli sifacevano pesanti. Stocadendo,pensò.

Al mattino si sentiva piúforte. S’infilò le scarpe e siaggirò per la casa. In cimaall’armadio trovòunavaligia,ma conteneva solo giocattolirotti e tessere di un puzzle.Nella casa non c’era nienteche potesse essergli utile eneppure un indizio chefacessecapireperchéiVisagieche erano vissuti lí prima diluisen’eranoandati.

Cucina e dispensa erano

ronzantidimosche.Anchesenon aveva fame, accese unfuoco e fece bollire un po’dellacarnedicapranell’acquamessainunrecipientedilattaper la marmellata. In unbarattolodelladispensatrovòdelle foglie di tè. Fece il tè epoi tornò a letto. Avevacominciatoatossire.

La scatola con le cenerilanguiva in un angolo delsoggiorno.K sperava che sua

madre, che per un verso eranella scatolaeperaltroversono,essendolibera,unospiritolibero nell’aria, riposasse piúin pace adesso che era piúvicinaallasuaterranatale.

Abbandonarsiallamalattiaera in qualche modopiacevole. Aprí tutte lefinestre e rimase sdraiato adascoltare le colombe, o ilsilenzio. Continuò tutto ilgiorno ad assopirsi e

svegliarsi. Quando il sole delpomeriggioglibattédritto infaccia,chiuselepersiane.

La sera delirava di nuovo.Cercava di attraversare unpaesaggio arido che oscillavae minacciava di farloprecipitaredalbordo.Giacevasdraiato con le unghieconficcate nella terra e sisentivarisucchiarenelbuio.

Dopo due giorni gliattacchi di freddo e di caldo

finirono, e ci volle ancoraungiornoprimachecominciassea riprendersi. La capra nelladispensa puzzava. La lezione,se c’era una lezione, se glieventi contenevano dellelezioni, sembrava essere chenon si devono uccidereanimalicosígrossi.Tagliòunbastoncinoaformadiye,conla linguetta di una vecchiascarpa e striscioline digommadiunacamerad’aria,

si costruí una fionda con cuiabbattere gli uccelli suglialberi. Seppellí quel cherimanevadellacapra.

Esplorò le casette di unastanza sulla collina dietro lafattoria. Erano costruite conmattoni e malta, i pavimentierano di cemento e i tetti dilamiera.Nonerapossibilecheavessero mezzo secolo. Ma apochi metri di distanza c’eraun piccolo rettangolo di

mattoni di fango malandati,poggiati sulla nuda terra. Eralí che era nata suamadre, inmezzo a un giardino di fichid’India? Andò in casa aprendere la scatola con leceneri, la mise al centro delrettangolo e si sedette adaspettare. Non sapeva checosa stesse attendendo, maqualunque cosa fosse, non siverificò. Uno scarafaggiozampettò rapido sul terreno.

Tirava vento. C’era unascatoladicartonesottoilsolesu una chiazza di fangoindurito e niente piú.Evidentemente ci dovevaessere un altro passo da fare,ma non riusciva ancora aimmaginarequale.

Seguí il perimetro delrecinto tutto intorno allafattoria senza incontraretracciadivicini.Inuntrogolocoperto da una lastra di

lamiera trovò del mangimeperpecoremezzoammuffito,raccolseunamanciatadimaise se ne riempí le tasche. Poitornò alla pompa e armeggiòfino a chenon ebbe scopertoil funzionamento delmeccanismo di chiusura.Riparò il cavo rotto einterruppe l’assurdo girare avuotodellaruota.

Anche se continuava adormire nella casa non ci si

sentiva a suo agio.Aggirandosi da una stanzavuotaall’altrasisentivaprivodi consistenza, come l’aria.Cantava tra sé e udiva l’ecodellasuavocerimandatadallepareti e dal soffitto. Spostò illetto in cucina, da dovepotevaalmenovederelestelleattraversoilbuconeltetto.

Passava le giornate alladiga. Una mattina si tolsetutti i vestiti e li lavò,

immerso nell’acqua fino alpetto, sbattendoli contro ilmuro. Per il resto dellagiornata, mentre i vestiti siasciugavano, dormicchiòall’ombradiunalbero.

Venne il momento direstituiresuamadreallaterra.Cercò di scavare un bucosullacimadellacollinaaovestdelladiga,maappenasottolasuperficie la pala incontrò laroccia dura e compatta.

Allorasispostòalmarginediquella che era stata terracoltivata,sottoladiga,escavòuna buca profonda fino algomito.Miseilpacchettoconle ceneri nel buco e ci buttòsopralaprimapalataditerra.Poi gli vennero dei dubbi.Chiuse gli occhi e siconcentrò, sperando di udireuna voce che gli assicurasseche quanto stava facendo eragiusto…lavocedisuamadre,

se ancora aveva una voce,oppure una voce che nonapparteneva a nessuno inparticolare o addirittura lasua propria voce, che a voltegli parlava dicendogli cosafare. Ma non venne nessunavoce. Cosí estrasse ilpacchetto dalla buca,assumendosi tutta laresponsabilitàdiquelgesto,esi accinsea liberareunpezzodi terra di pochi metri

quadrati in mezzo al campo.Poi, chinandosi molto inmodochenonfosseroportatevia dal vento, distribuí lepiccole scaglie grigie sullaterra, dopodiché rivoltò lezolle una dopo l’altra con lapala.

Ful’iniziodellasuavitadicoltivatore. Su uno scaffalenel capanno aveva trovatouna scatola di semi di zucca,che in parte aveva già

infruttuosamenteabbrustolitoe mangiato; aveva ancora lepannocchie di mais; e sulpavimento della dispensaaveva perfino raccolto unsolitario fagiolo. Nel giro diuna settimana ripulí la terravicino alla diga e riparò ilsistema di canaletti perl’irrigazione. Poi piantò unpiccolo appezzamento dizucche e un altro di mais; eunpo’piúinlà,sullarivadel

fiume, dove avrebbe dovutoportargli l’acqua, piantò ilfagiolo, cosí che, se fossecresciuto, avrebbe potutoarrampicarsisuirovi.

Si assicurava lasopravvivenza in massimaparte grazie agli uccelli cheuccidevaconlafionda.Lesuegiornate si dividevano traqueltipodicaccia,chefacevapiú vicino alla fattoria, e illavoro per dissodare il

terreno. Il piacere piúprofondo lo provava altramonto, quando apriva ilrubinetto sulla parete delladiga e osservava il flussod’acqua correre per i suoicanaletti a bagnare la terra,che da fulva diventava di unmarroneintenso.Èperviadelfatto che sono giardiniere, sidiceva, perché è la mianatura. Affilò la lama dellavanga su una pietra, per

assaporaremeglio l’istante incui spaccava la terra. Si erarisvegliato in lui l’impulso diseminare; ora nel giro dipochesettimanescopríchelasua vita era legatastrettamente al pezzetto diterra che aveva cominciato acoltivare e ai semi che ciavevapiantato.

C’erano volte in cui,soprattutto al mattino, sisentiva invaso da

un’improvvisa esultanza alpensiero che lui, da solo enell’ombra, stava facendorifiorire quella fattoriaabbandonata. Ma dopol’esultanza provava talvoltaun senso di oscuro dolorecollegato in qualchemodo alfuturo, e allora soltanto illavoro frenetico gli impedivadi sprofondare nelladepressione.

Il foro di trivellazione,

ormaiprosciugato,producevasolounintermittenteedeboleflusso d’acqua. Divenne ildesideriopiúgrandediK,chel’acquatornasseafluireperlaterra.Pompavaquelpococheeranecessarioperilsuoorto,lasciando che il livellodell’acqua nella digascendesse solo di pochicentimetri e osservandoimpassibile il prosciugarsidegliacquitrini,l’indurirsidel

fango, l’appassire dell’erba eleranemorteconlapanciainsu. Non sapeva come siriformassero le acquesotterranee, ma sapeva chenonbisognavasprecarle.Nonriuscivaaimmaginarecosacifosse sotto i suoi piedi, unlago o un torrente o ungrande mare interno o unapozza cosí profonda da nonavere fondo. Ogni volta chetoglieva il freno e la ruota

cominciavaagirareportandol’acqua, gli sembrava diassistere a un miracolo. Sisporgevasulbordodelladiga,chiudevagliocchi,etenevaleditanelgettod’acqua.

Lasuavitaseguivailritmodel sole, in una nicchia fuoridel tempo.Città delCapo, laguerra e il viaggio perraggiungere la fattoria eranoscivolati sempre piú lontani,nell’oblio.

Poiungiorno, tornandoacasa per l’ora di pranzo, videlaportad’ingressospalancatae, mentre se ne stava líimpalato e confuso,dall’interno emerse la figuradi un giovane pallido, incarne,conun’uniformecachi.– Lavori qui? – furono leprime parole dellosconosciuto. Stava fermo incimaaigradini,comesefosseil padrone della casa. K non

poté farealtrocheannuire.–Non tihomai vistoprima,–disse lo sconosciuto. – Tioccupi della fattoria? – Kannuí. –Quand’è che il tettodella cucina è crollato a quelmodo? – chiese.Cercando dicavar fuori qualcheparola,Ks’impappinò. Lo sconosciutonon staccava gli occhi dallasuaboccadeforme.Poi parlòancora. – Non sai chi sono,

vero?–disse.–Sonoilnipotedelpadrone,Visagie.

K tolse i sacchi dallacucina, li portò in una dellestanzette sulla collina econsegnò la casa al nuovoVisagie. Si sentí invadere dalvecchio senso di inguaribilestupidità e cercò dicombatterlo.Forse si fermeràsoltanto un giorno o due,pensò, quando si renderàconto che qui non c’è niente

che vada minimamente beneper lui, forse sarà lui adandarseneeioarimanere.

Ma venne fuori che ilnipote non se ne potevaandare. Quella stessa sera,quando K ebbe acceso unfuocosulfiancodellacollinaearrostiva per cenaunpaio dicolombe di macchia,comparve all’improvviso ilnipoteegligiròintornocosíalungocheKsisentíobbligato

aoffrirglieneunpo’.Ilnipotemangiò come un ragazzoaffamato. Non c’eraabbastanzapertuttiedue.Poivenne fuori la sua storia: –Quando vai a Prince Albert,voglio che tu stia attento anon farti sfuggire connessuno che sono qui, –cominciò. Alla fine emerseche era un disertore. La seraprima era scappato da untreno militare fermo su un

binario di raccordo aKruidfontein e avevacamminato tutta la notte perraggiungere la fattoria dovericordavadiaverpassatotantigiornidellasuainfanzia.–Lanostra famiglia passava ilNatalesemprequi,–disse.–Iparenti continuavano adarrivarefinoachelacasanonscoppiava di gente. Non homai visto pranzi come quellidi allora. Per giorni e giorni

mia nonna continuava amettere montagne di cibo intavola, cose buone, dicampagna, e noispazzolavamo tutto, fino allebriciole. Agnelli del Karoocome non se ne trovano piú–. K stava accoccolato adattizzare il fuoco,quasi senzapiú ascoltarlo. Mi sonolasciato andare all’illusioneche questa fosse un’isolasenza padrone, si diceva,

adesso apprendo la verità.Adessoimparolalezione.

Nel frattempo, il nipotepiúparlavaepiúsiriscaldava.Era anemico, disse, ed eradebole di cuore. Era tuttoscrittosullesuecarte,nessunolo aveva messo in dubbio, etuttavia lo volevanomandareal fronte. Stavanomobilitando anche gliimpiegati, li mandavano alfronte. Pensavano forse di

poter fare a meno degliimpiegati? Credevano dipoter gestire la guerra senzauncommissariatomilitare?Sefosseroarrivatilíacercarlo,lapolizia regolare o quellamilitare, per portarlo via einfliggergli una punizioneesemplare, K avrebbe dovutofar finta di essere muto.Doveva fare l’idiota e nondire nulla. Nel frattempo lui,il nipote, si sarebbe trovato

un nascondiglio. Conoscevala fattoria e avrebbe trovatoun posto dove non sisarebbero neppure sognati diandareaguardare.EramegliocheKnon sapessenemmenodov’era il nascondiglio. Eaveva bisogno di una sega,poteva trovargliela? Volevamettersi al lavoro subito, almattino.Kdissechel’avrebbecercata. Seguí un lungosilenzio. – È tutto qui quello

chemangi?–chieseilnipote.K annuí. – Dovresti piantaredellepatate, –disse il nipote.– Patate, cipolle, mais… quicresce qualunque cosa, sel’annaffi a sufficienza.È terrabuona, questa. Mi stupisceche non coltivi qualcosa perte, giú, vicino alla diga –. Kprovò una fitta di delusione:sapevapersinodelladiga. – Imiei nonni sono statifortunati a trovare te, –

continuò il nipote. – Èdifficile al giorno d’oggitrovare bravi bracciantiagricoli. Come ti chiami? –Michael, – rispose K. Ormais’era fatto buio. Il nipote sialzò incerto. – Non hai unatorcia? – chiese. – No, –rispose K e lo guardòimboccare il sentiero giú peril fianco della collina alchiarorelunare.

Fecegiornoenonc’erapiú

niente che lui potesse fare.Non poteva andare alla digasenza rivelare l’esistenza delsuo orto. Se ne stavaaccoccolato contro la paretedella sua stanza, a sentire ilsole scaldargli il corpo, asentire passare il tempo, finoa che non arrivò di nuovo ilnipote,arrampicandosisuperla collina. Deve avere dieciannimenodime,pensòK.La

salita gli aveva acceso leguance.

– Michael, non c’è nienteda mangiare! – si lagnò ilnipote. – Non vai mai alnegozio? – Senza aspettare lasua risposta spinse la portadella stanza e sbirciò dentro.Sembravasulpuntodifareuncommento,masifermò.

– Quanto ti pagano,Michael?–chiese.

Crede che sia davvero un

idiota,pensòK.Pensachesiaun idiota che dorme a terracome un animale, vive diuccellielucertoleenonsacheesiste una cosa chiamatadenaro. Guarda il distintivochehosulcappelloesichiedechi è stato il bambino che lohatrovatoinunabustaconlesorpreseemelohadato.

–Duerand,–risposeK.–Duerandasettimana.

– E i miei nonni? Non

vengonomai?Krimaseinsilenzio.– Da dove vieni? Non sei

diqui,nonèvero?–Sonostatodappertutto,–

risposeK.–SonostatoancheaCittàdelCapo.

– Ma non ci sono pecorenella fattoria? – disse ilnipote. –Non ci sono capre?Mi sembradi avervistodellecapreieri,dieciododicioltre

ladiga–.Guardòl’ora.–Dai,andiamoacercarelecapre.

A K tornò in mente lacapranelfango.–Sonocapreinselvatichite, – disse. – Nonriusciraiaprenderle.

–Leprenderemoalladiga.Induecelafaremo.

–Vannoalladigadinotte.Digiornostannoingiroperilveld,–disseK,etrasépensò:Un soldato senza armi, unragazzino in cerca di

avventura.Perluilafattoriaèsolo un posto avventuroso.Disse: – Lascia perdere lecapre. Ti troverò io qualcosadamangiare.

Cosí,mentredalla casa gligiungevailrumoredellasega,Kpreselafiondaeandògiúalfiume. In un’ora aveva presotre passeri e una colomba.Portògliuccellimortidavantialla porta d’ingresso e bussò.Il nipote, nudo fino alla

cintola e tutto sudato, gliandò ad aprire. – Ottimo! –disse. – Li puoi spennaresubito? Te ne sarei moltograto.

K tirò su i quattro uccellimorti, le zampe unite in ungroviglio di artigli. Sul beccodi uno dei passeri c’era unaperladisangue.–Cosípiccoliche nemmeno ne senti ilsapore quando li inghiotti, –disse. – Non ti sporcheresti

nemmenoilditomignoloperquesti.

– Che diavolo staidicendo?–disse ilnipotedeiVisagie. – Che cazzo vuoidire? Se vuoi dire qualcosa,dillo! – Mettili giú, me neoccupo io! –Allora Kmise iquattro uccelli davanti allaporta sulla veranda e se neandò.

Le prime tozze foglie dizuccastavanospuntando,una

qua, una là. K aprí la chiusaper l’ultima volta e guardòl’acqua scorrere lentamenteper il campo, rendendo laterra scura. Ora che c’è piúbisogno di me abbandono lemiecreature,pensò.Tappòlachiusa e piegò l’asta delgalleggiante, fino a che ilrubinetto non fu serrato,interrompendo il flussoall’abbeveratoio doveandavanoaberelecapre.

Riportò in casa quattrobarattoli pieni d’acqua e limisesullascalinata.Ilnipote,che si era rimesso la camicia,se ne stava con le mani intasca e guardava inlontananza. Dopo un lungosilenzio parlò. – Michael, –disse, – non sono io che tipagoenonpossocacciartidaqui su due piedi. Madobbiamo collaborare,

sennò… – il suo sguardo siposòdinuovosuMichael.

K si sentí soffocare daquelleparole,qualunquecosavolessero suggerire, accusa,minaccia, rimprovero. È solounmododifare,sidisse:Staicalmo. E nondimeno sentí dinuovo la stupidità arrivargliaddosso come una fittanebbia.Ancoraunavoltanonsapeva che espressioneassumereconlasuafaccia.Si

strofinò la bocca e fissò glistivali marroni del nipote,pensando: stivali come quellilí non si trovano piú neinegozi.Cercòdiaggrapparsiaquelpensieroperfarsiforza.

– Voglio che tu vada aPrince Albert, a fare dellecommissioniperme,Michael,– disse il nipote. – Ti daròuna lista delle cose che miservono e dei soldi. Te nedarò un po’ anche per te, di

soldi. Solo non parlare connessuno.Nondirechemihaivisto, non dire per chi staicomprando quelle cose. Nondire che le stai comprandoperqualcuno.Noncomperaretutto nello stesso negozio. Lametà della roba comprala daVan Rhyn e l’altra metà alcaffè. Non ti fermare aparlare. Fai finta di averefretta.Haicapito?

Non mi devo confondere,

pensò K. Annuí. E il nipotecontinuò.

–Michael,mi rivolgo a tecome un essere umano a unaltro essere umano. C’è unaguerra, c’è gente che muore.Maiononsonoinguerraconnessuno.Hofattolamiapace.Micapisci?Facciolapacecontutti. Non c’è guerra qui allafattoria. Io e te possiamovivere qui, tranquilli, fino ache la pace non sarà fatta

dappertutto. Nessuno cidisturberà. La pace deve purarrivareunodiquestigiorni.

Michael, ho lavorato alcommissariato militare, socosa succede. So quantiuominiincorrononell’undici-63 tutti i mesi. Luogo diresidenza ignoto, pagainterrotta, procedimentolegale avviato. Capisci cosavoglio dire? Ti potrei citarecifre sconvolgenti. Non sono

il solo. Presto non avrannoabbastanzauomini, te lodicoio, non avranno abbastanzauominipercercaretuttiquellichescappano!Questopaeseègrande! Guardati intorno! Èpieno di posti dove andare!Pienodinascondigli!

Voglio soltanto starmenealla larga per un po’. Prestorinunceranno. Sono solo unpesciolinonell’oceano.Mahobisogno della tua

collaborazione, Michael. Tudevi aiutarmi. Sennò non cisaràfuturopernessunodinoidue.Capisci?

Cosí K lasciò la fattoriacon la lista delle cose che ilnipotevolevaequarantarandin banconote. Raccolse unvecchio barattolo di latta sulcigliodellastradaeseppellí ilbarattolo con dentro lebanconote vicino al cancellodella fattoria, sotto un sasso.

Poi tagliò per la campagna,badando ad avere il solesemprea sinistra edevitandole case abitate. Nelpomeriggiocominciòasalire,fino a che le belle casebianchediPrinceAlbertnoncomparvero a ovest sotto dilui. Continuando a seguire ideclivi, costeggiò la città epreselastradacheportavasunello Swartberg. Continuò acamminare nell’ombra

sempre piú scura, su per lacollina, stringendosi nelcappotto nero di sua madreperdifendersidalfreddo.

Era arrivato molto in altosopra la città quando siguardòintornoincercadiunposto dove dormire e trovòuna grotta che era stataevidentemente già usata inprecedenzadacampeggiatori.C’era un focolare di pietra esparse per terra delle fronde

profumate di timo. Fece unfuoco e arrostí una lucertolacheavevauccisoconunsasso.L’imbuto del cielo sopra latesta si fece di un blu piúscuro e comparvero le stelle.Si rannicchiò con le maniinfilatedentrolemanicheesiabbandonò al sonno. Già glisembrava difficile credere diaverconosciutoqualcunochesidicevanipotedeiVisagie,eaveva cercato di fare di lui il

suo servitore personale. Nelgiro di un giorno o due, sidisse, avrebbe dimenticato ilragazzo per ricordare solo lafattoria.

Pensò alle foglie di zuccache stavano spuntando dallaterra. Domani sarà il loroultimo giorno, si disse. Ilgiorno dopo appassiranno equello dopo ancoramoriranno, mentre io sonoquaggiú, sulle montagne.

Forse se partissi all’alba ecorressi tutto il giornoarriverei in tempo persalvarle, per salvare loro e glialtri semi che morirannosotto terra, anche se non losannochenonvedrannomaila luce del giorno. C’era uncordone di tenerezza teso traluiequelpezzoditerravicinoalla diga, un cordone chebisognava tagliare. Quantevolte sarebbe statonecessario

tagliare quel cordone primachesmettessedicrescere?

Passò il giorno nell’ozio,seduto davanti al varco dellagrottaaguardareinaltoversoi picchi piú lontani qua e làancora innevati. Aveva fame,ma non fece niente inproposito. Invecedi ascoltarele grida del suo corpo, cercòdi ascoltare il grande silenzioche aveva intorno. Siaddormentòfacilmenteefece

un sogno in cui correvaveloce come il vento su unastrada aperta con il carrettochegalleggiavanell’ariadietrodi lui su gomme chesfioravanoappenalaterra.

Ifianchidellavallataeranocosí erti che il sole nonspuntava fino amezzogiornoe scompariva dietro le cimeoccidentali già verso metàpomeriggio. Aveva semprefreddo. Cosí salí piú in alto

andando a zig zag per ildeclivio fino a che la stradadel passo montano nonscomparve alla vista e lui sitrovò a guardare la vastaspianatadelKarooe,qualchemiglio piú in basso, PrinceAlbert. Trovò una nuovacaverna e tagliò dei cespuglida stendere a terra. Pensò:Adesso sicuramente sonoarrivato nel punto piúlontano che un uomo possa

raggiungere. Sicuramentenessuno sarà cosí matto daattraversare queste valli,arrampicarsi su per questemontagne, andare a frugaretra queste rocce, persnidarmi. Sicuramente orache in tutto ilmondo io soloso dove sono, possoconsiderare me stesso undisperso.

Tutto il resto ormai eraalle sue spalle. Quando si

svegliava al mattino dovevaaffrontare solo l’unicoenormebloccodelgiorno,ungiornopervolta.Pensavaasestessocomeaunatermitechestesse perforando la suastrada nella roccia. Nonsembravacifossealtrodafareche vivere. Stava seduto cosíimmobile che non si sarebbestupito se gli uccelli fosserovolati giú per appollaiarglisisullespalle.

Aguzzandolavista,avolteriusciva a scorgere il puntinodi un veicolo avanzarelentamente per la stradamaestra della città-giocattolonella pianura sottostante; maanche nel giorno piútranquillo non gli arrivavaalcun rumore tranne lozampettare degli insetti checorrevanoper terra, il ronziodelle mosche che non loavevano dimenticato o il

pulsare del sangue negliorecchi.

Non sapeva che cosa glisarebbe successo. La storiadella sua vita non era maistata interessante. C’erasemprestatoqualcunoadirglicosa doveva fare; ora nonc’eranessuno,e ilmegliochepotesse fare gli sembravafosseattendere.

Col pensiero tornava aWynberg Park, uno dei posti

dove aveva lavorato in giornilontani. Ricordava le giovanimamme che portavano ibambini a giocare sullealtalene e le coppietteabbracciate distese all’ombradegli alberi e i germani realiverdi e marroni nel laghetto.Probabilmente l’erba nonaveva smesso di crescere aWynbergParkperilfattochec’era una guerra, e le foglienon avevano smesso di

cadere. Ci sarebbe semprestatobisognodiqualcunochefalciasse l’erba e spazzasse lefoglie. Ma lui non era piúsicuro che avrebbe scelto divivere tra prati verdi e alberidiquercia.QuandopensavaaWynbergParkpensavaaunaterra piú vegetale cheminerale, fatta delle fogliemarce dell’anno prima e diquelloprimaancoraecosíviafino al principio del tempo,

una terra cosí soffice che sipoteva scavarla senza maiarrivare alla fine di quellamorbidezza.Sisarebbepotutoscavare fino al centro dellaterradaWynbergPark,epertuttoilpercorsofinoalcentrola terra sarebbe stata fresca escura e umida e morbida.Non amo piú quel tipo diterra,pensò,nonmivapiúdisentirequeltipoditerratraledita.Nonsonopiúilverdeeil

marronecheamo,mailgialloe il rosso;non ilbagnato,mal’asciutto; non lo scuroma illuminoso;nonilmorbidomail duro. Sto diventando unaltro tipo d’uomo, pensò; seesistono due tipi d’uomo. Semi tagliassero, pensòtendendoipolsi,guardandosii polsi, il sangue nonsgorgherebbe da me piú afiottima gocciolerebbe fuori,e dopo un po’ si

asciugherebbe e la ferita sichiuderebbe. Ogni giornodivento sempre piú piccolo epiú duro e piú secco. Sedovessi morire qui, sedutodavanti all’ingresso dellacavernaaguardarelapianuracol mento sulle ginocchia, ilvento mi seccherebbe in ungiorno e mi conservereiintatto, come uno sepoltodallasabbiadeldeserto.

I primi giorni che passò

sullemontagne andò in giro,rovesciando le pietre,rosicchiando radici e bulbi.Una volta spaccò un nido diformiche e mangiò le larveunadopo l’altra. Sapevanodipesce. Ma adesso avevasmesso di inseguirel’avventuradelmangiareedelbere.Nonesploravapiúilsuonuovomondo.Nonfecedellasua caverna una casa, e nontenne il conto dei giorni che

passavano.Nonaspettavaconansianientealtrochelavista,al mattino, dell’ombra delprofilo della montagna cheavanzava sempre piú veloceverso di lui, fino a che,all’improvviso, si trovavaimmerso nella luce del sole.Stava seduto oppure sdraiatoin una sorta di stordimentoall’ingresso della caverna,troppostancopermuoversioforse troppo apatico. A volte

dormiva per l’interopomeriggio. Si chiedeva sestava vivendo in unacondizionedigrazia.Cifuungiornodinuvoloni e pioggia,dopo il quale il fianco dellamontagna si ricoprí di unmanto di fiori rosaapparentemente privi difoglie. Mangiò manciate difiorie lostomacocominciòafargli male.Manmano che igiornisifacevanosemprepiú

caldi, l’acqua dei torrentiscorreva sempre piú rapida,senza che lui ne capisse ilmotivo.Nella fresca acquadimontagna gli mancava ilsapore amaro dell’acqua cheproveniva dalle profonditàdella terra. Presero asanguinargli le gengive e luinebevevailsangue.

Da bambino K avevasofferto la fame, come tutti ibambinidiHuisNorenius.La

fame li aveva trasformati inanimali che si rubavano ilcibo dai piatti e siarrampicavano nel recintoche circondava la cucina perfrugare nei secchidell’immondizia in cerca diossaebucce.Poieracresciutoe aveva smesso di sentirne imorsi. Qualunque fosse lanatura della bestia che avevaululato dentro di lui, l’avevaaffamata finoaparalizzarla. I

suoi ultimi anni a HuisNorenius erano stati imigliori, quandononc’eranoragazzini piú grandi atormentarlo, e lui potevasgattaiolare nel suo rifugiodietroilcapannoestarseneinpacedasolo.Unodeimaestricostringeva i ragazzi stareseduticonlemanisullatesta,le labbra strette e gli occhichiusi, mentre controllava lefile di banchi con un lungo

righello inmano.Col tempo,perK, quella posizione avevafinito per perdere il suosignificato punitivo ed eradiventata un modo persognare. Ricordava di essererimasto seduto con le manisulla testa per lunghipomeriggi afosi con lecolombe che tubavano tra glieucalipti e la cantilena delletabelline che proveniva dallealtre aule, lottando con un

piacevole senso disonnolenza. Ora, davantiall’ingresso della caverna, avolteintrecciavaleditadietrola testa, chiudeva gli occhi esvuotava la mente, senza piúdesideri,senzapiúattese.

Altre volte la sua mentetornavaalragazzoVisagienelsuo nascondiglio, ovunquefosse, al buio nel sotterraneotra gli escrementi dei topi ochiuso in un armadio della

soffitta,ofuorinelvelddisuononno, dietro un cespuglio.Pensava a quel bel paio distivali, che sembravanosprecatiperunochevivevainunatana.

Gli divenne difficile nonserrare gli occhi al baglioredel sole. Sentiva unapulsazione che non lolasciava; lance di luce glitrafiggevano la testa.Poinonriuscí piú a trattenere niente

nellostomaco;perfinol’acquagli provocava conati divomito. Un giorno scoprí diessere troppo stanco peralzarsi dal letto dentro lacaverna; il cappotto nerosmise di tenerlo caldo e luicominciò a tremare senzasosta.Allorasiresecontochepoteva morire, lui o il suocorpo, era la stessa cosa, cheavrebbepotutogiacere lí finoa che il muschio sul tetto

fosse diventato scuro davantiai suoi occhi, capí che la suastoriapotevafinireconlesueossa sbiancate in quel postolontanodatutto.

Per scendere carponi giúlungo il fianco dellamontagna gli ci volle ungiornointero.Avevalegambefiacche, la testa che glimartellava, e ogni volta cheguardava in basso aveva deicapogiriedovevaaggrapparsi

alla terra fino a che nonpassava quel mulinello.Quandoarrivòal livellodellastrada,lavalleeraimmersainuna fittaombra e,mentre luientrava in città, l’ultima lucestavasvanendo.Loavvolseunodore di fiori di pesco.C’eraanche una voce, che gliarrivava da ogni lato, la vocecalma e uguale che avevasentito la prima volta cheaveva visto Prince Albert. Si

fermò all’inizio della HighStreet tra i giardiniverdeggianti, incapace dicapireunasolaparola,benchési sforzasse di ascoltare conattenzione, di quella lontanacantilena che dopo un po’ simescolò con il cinguettiodegli uccelli negli alberi perpoi cedere il posto allamusica.

Le strade erano deserte.Ksi fece il letto nel portone

dell’ufficio del Volkskas,mettendosi uno stuoino digommasottolatesta.Quandoil corpo si fu raffreddato,cominciòa tremare.Dormíatratti, con le mascelle serratecontro il dolore che sentivaallatesta.Losvegliòlalucediunatorcia,manonriuscivaadistinguerla dal sogno chestava facendo. Alle domandedella polizia rispose con frasiconfuse,gridaerantoli.–No!

…No!…No!… – disse, e leparole gli uscivano fuoricome tosse dai polmoni.Senza capire niente edisgustati dalla puzza, lobuttarono dentro lacamionetta, lo portarono allastazione di polizia e lorinchiusero con altri cinqueuomini in una cella, dovericominciòaesserescossodaibrividieadelirarenelsonno.

Il mattino seguente,

quando fecero uscire iprigionieri per le abluzioni ela colazione,Kera tornato insémanon riusciva a stare inpiedi. Si scusò col secondinosullaporta.–Hoicrampiallegambe, ma passeranno, –disse. L’agente chiamòl’ufficiale di guardia. Per unpo’ guardarono la figurascheletrica che sedeva con lespallealmurostrofinandosi ipolpacciscoperti,poiinsieme

sollevaronoK e lo portaronodipesonelcortile,doveluisischermí dalla brillante lucedelsole,efecerosegnoaunodei prigionieri di dargli damangiare. K accettò unadensa porzione di porridgema, ancora prima che ilcucchiaio gli fosse arrivatoallabocca,avevacominciatoavomitare.

Nessuno sapeva da dovevenisse. Non aveva

documenti, nemmeno unacarta verde. Nell’elenco deifermati era registrato come«Michael Visagie / meticciomaschio/40anni/senzafissadimora / disoccupato», eaccusatodiaverlasciatoilsuodistretto di appartenenzasenza autorizzazione, di nonessere in possesso di undocumentodiidentità,dinonaverrispettatoilcoprifuoco,edi ubriachezza molesta.

Avendo attribuitoall’avvelenamento da alcol ilsuostatodidebilitazioneediconfusione, gli permisero dirimanere nel cortile mentregli altri prigionieri venivanorispeditinellelorocelle.Poi,amezzogiorno, lo rimisero nelretro della camionetta e loportarono in ospedale. Lí fuspogliato e rimase sdraiato,nudo, su un lenzuolo digomma, mentre una giovane

infermiera lo lavava, losbarbava e gli metteva uncamice bianco. Non provavaalcunavergogna.–Dimmi,–le chiese, – ho sempredesiderato saperlo, chi èPrinceAlbert?–L’infermieranon gli diede retta. –E chi èPrince Alfred? Non c’eraanche un Prince Alfred? –Pregustava il tocco morbidodel caldo straccio di spugna

sul viso, chiuse gli occhinell’attesa.

Ora giaceva di nuovo tralenzuola pulite, non nelreparto principale, ma in unlungo padiglione di legno eferro dietro l’ospedale, dove,per quanto gli sembrava dicapire, erano ricoverati solovecchi e bambini.Una fila dilampadinependevadalunghecordefissatealletravinude,eciascuna ondeggiava fuori

tempo rispetto all’altra. Untubo saliva dal suo braccio auna bottiglia su un trespolo;con la coda dell’occhio, sevoleva, poteva osservare illivello del liquido diminuirediorainora.

Una volta, svegliandosi,vide un’infermiera e unpoliziotto sulla porta cheguardavano nella suadirezione, bisbigliando

qualcosa. Il poliziotto tenevailberrettosottoilbraccio.

Il sole pomeridianopenetrava abbagliante dallefinestre. Una mosca gli siposò sulla bocca. La scacciòcon la mano. La mosca glivolò intorno e ritornòdov’era. Lui cedette e sentísulle labbra il minuscolo,freddo frugare della piccolaproboscide.

Arrivò un inserviente con

un carrello. Tutti ricevetteroun vassoio tranne K.All’odore del cibo avvertí lasalivariempirglilabocca.Erala prima volta che aveva dinuovo fame dopo tantotempo.Noneraaffattosicurodi volersi sottomettere dinuovo alla schiavitú dellafame, ma l’ospedale glisembravaunpostofattopericorpi, dove i corpi facevanovalereilorodiritti.

Calò la penombra delcrepuscolo, poi il buio.Qualcunoacceseleluciinduedelle tre corsie. K chiuse gliocchi e dormí. Quando liriaprí, le luci erano ancoraaccese, poi, mentre leguardava, siaffievolironoesispensero.Lalucelunareentrònella stanza dalle quattrofinestre disegnando quattroquadrati d’argento. Daqualche parte, lí vicino,

scoppiettava un motorediesel. Si riaccesero flebililuci.Scivolònelsonno.

Al mattino fece unacolazione a base di latte ecereali, e riuscí a nonvomitarla. Si sentivaabbastanzainforzedaalzarsi,masivergognavaafarlo,finoaquandononvideunvecchioinfilarsi una vestaglia sulpigiama eusciredalla stanza.A quel punto camminò per

unpo’avantieindietrovicinoalsuoletto,sentendosistranonellungocamice.

Nel letto accanto c’era unragazzo con un moncherinodi braccio tutto fasciato. –Chetièsuccesso?–chieseK.Il ragazzo si girò dall’altrapartesenzarispondere.

Sesapessidovesonoimieivestiti,meneandrei,pensòK.Ma l’armadietto accanto allettoeravuoto.

Amezzogiornomangiò dinuovo. – Mangia finché èpossibile,–disse l’inservientechegliavevaportatoilcibo,–la grande fame deve ancoravenire –. Poi andò avanti,spingendo il carrello dellevivande. Una stranaaffermazione. K lo tenned’occhiomentreproseguivailsuo giro. Dal fondo dellacorsia l’inserviente sentí losguardo di K e gli rivolse un

sorriso misterioso, maquando tornò a riprendere ilvassoionondissealtro.

Ilsole,battendosultettodilamiera, aveva trasformato ilpadiglione in un forno. K,sdraiatocon legambeaperte,sonnecchiava. Riscuotendosida una di quelle ondate disonnolenza, vide il poliziottoe l’infermiera chini su di lui.Chiuse gli occhi; quando li

riaperse erano scomparsi.Calòlanotte.

Al mattino un’infermieravenne a prenderlo e lo feceaccomodare su una pancanell’edificio principale, doveaspettò per un’ora prima chearrivasseilsuoturno.–Cometi senti oggi? – gli chiese ilmedico.Kesitò,nonsapendocosadire e già ilmedicononlo stavapiúa sentire.DisseaKdirespirareegliauscultòil

torace.Loesaminòpervedereseaveva infezioniveneree. Indue minuti aveva finito.Scrisse qualcosa in unacartella marrone poggiatasullascrivania.–Seimaistatoda un medico per quellabocca? – gli chiese mentrescriveva.–No,–disseK.–Sipotrebbecorreggere, losai?–glidisse ildottore,manonsioffrídifarlo.

K tornò al suo letto e

aspettò con le mani sotto latesta che l’infermiera gliportasse i vestiti: mutande,camicia e pantaloni corticolorcachi,tuttibellistirati.–Mettiti questi, – gli disse, epassòaoccuparsid’altro.Ksisedettesullettoeseliinfilò.Ipantaloni erano troppograndi. Quando si alzò inpiedi,lidovettereggereperlacintura per evitare checadessero. Poi vide il

poliziotto sulla porta. –Questi sono troppograndi, –disse all’infermiera. – Nonpotreiriavere imieivestiti?–I tuoi vestiti te liriconsegnerannoall’accettazione, – gli disse. Ilpoliziotto lo accompagnòperun corridoio fino al bancodell’accettazione, dove gli fuconsegnato un pacchettomarrone. Nessuno disse unaparola. Nel parcheggio c’era

unacamionettablu.Kaspettòche aprissero lo sportello didietro, saltellando a piedinudisull’asfaltorovente.

Pensava che l’avrebberoriportato alla stazione dipolizia, e inveceattraversarono tutta la città epoi percorsero per cinquechilometriunastradaditerrabattuta, fino a un campoisolatonelveld.Kavevavistoil rettangolo ocra di

Jakkalsdrif dal suoosservatorio nelle montagne,ma aveva pensato che fosseun cantiere edile. Neancheper un momento avevapensato che potesse trattarsidi uno dei campi di nuovoinsediamento, che le tende elecostruzionidiferroelegnogrezzo potessero ospitaredella gente, che il suoperimetro potesse essere unrecinto di tre metri

sormontato dal filo spinato.Quando scese dallacamionetta tenendosi su icalzoni, lo fece sotto losguardo di un centinaio direclusi curiosi, adulti ebambini, che si affollavanolungo la recinzione daentrambiilatidelcancello.

Vicino al cancello c’erauna piccola baracca con unaveranda coperta dovecrescevano due identiche

piante grasse grigio verdi indue secchi di terra. Sullaverandaloaspettavaunuomotarchiato in uniforme. Kriconobbe il berretto blu deiVolontari. Il poliziotto losalutò e i due si ritirarononella baracca. Col suopacchettosottoilbraccioKfulasciato lí a subiregli sguardiinquisitori della folla.Dapprima guardò lontano,poisifissòipiedi.Nonsapeva

che faccia fare. –Dove li hairubati quei calzoni? – gligridòqualcuno.–Dalbucatodel sergente! – urlò un’altravoce,e la folla fupercorsadaun’ondadirisate.

Poi una seconda guardiavolontaria uscí dalla baracca.Aprí ilcancelloeguidòKtralafolla,attraversandolanudaterra del piazzale delleadunate fino a una dellecostruzioni di legno e ferro.

Dentroerabuio,nonc’eranofinestre.Laguardiagli indicòuna cuccetta vuota. –Questaè casa tua d’ora in poi, – glidisse.– L’unica casa che hai.Vedi di tenerla pulita –.K siarrampicò e si sdraiò sulmaterasso di gommapiumasenza lenzuola a non piú diun braccio di distanza dalsoffitto di lamiera. Nellasemioscurità, nel caldo

soffocante, aspettò che laguardiaseneandasse.

Rimase sdraiato sul lettotutto il pomeriggio,ascoltandoirumoridellavitadelcampochegiungevanodafuori. A un certo puntoirruppe nella stanza ungruppo di bambini che sirincorsero rumorosamentesopraesotto i lettiealla finese ne andarono sbattendo laporta. Cercò di dormire ma

non ci riuscí. Aveva la golasecca. Pensò alla sua frescacaverna sulle montagne e aitorrentichenonsi seccavanomai. Qui è come HuisNorenius, pensò, sonotornato a Huis Norenius perlasecondavolta, solocheorasono troppo vecchio persopportarlo. Si tolse lacamiciaeipantaloncinicachie aprí il pacco. Ma i vestiti,che prima emanavano il suo

stessoodore,nelgirodipochigiorni erano ammuffiti epuzzavano di chiuso e glierano diventati estranei. Inmutande, a braccia e gambeaperte sul materassoincandescente, aspettò chepassasseilpomeriggio.

Qualcuno aprí la porta eattraversò la stanza in puntadi piedi. K finse di dormire.Sentí delle dita sfiorargli ilbraccio nudo. Quel contatto

lo fece sussultare. – Tuttobene? – chiese una vocemaschile. Con la luceaccecantecheprovenivadallaporta aperta non riusciva adistinguere la faccia. – Stobene,–disse,eglisembròchequelle parole venissero dalontano.Losconosciutoseneriandò in punta di piedi.Avrei dovuto essere avvisatoprima, avrebbero dovutodirmi che stavano per

rimandarmi tra la gente,pensò.

Piú tardi si mise i vestiticachi e uscí. Il sole eracocenteenontiravaunfilodivento. Due donne stavanosdraiatevicinesuunacopertaall’ombra di una tenda. Unadormiva, l’altra tenevaattaccatoalsenounbambinoaddormentato. Sorrise a K,che feceun cenno col capo eproseguí. Trovò la cisterna e

bevve a lungo. Al ritorno leparlò. – C’è qualche postodovepossolavarmiivestiti?–chiese. Lei indicò i bagni. –Haiilsapone?–chiese.–Sí,–mentílui.

Nei bagni c’erano duedocceeduelavandini.Volevafarsi la doccia ma, quandoaprí il rubinetto, non c’eraacqua. Lavò la giacca biancadelStJohn,poiicalzonineri,lacamiciagiallaelemutande

con l’elastico allentato.Provavapiacere a immergerlie strizzarli, a stare con gliocchi chiusi e le braccia amollo fino al gomitonell’acqua fredda.Si rimise lescarpe. Piú tardi, quandoandò a stendere le sue cosesullacordaperilbucato,videl’avviso scritto sul muro.Diceva: CAMPO DI NUOVOINSEDIAMENTO DIJAKKALSDRIF / ORARIO PER IL

BAGNO / UOMINI 6-7 / DONNE7,30-8,30 / SECONDO ILREGOLAMENTO / NONSPRECARE L’ACQUA / USARNE

POCA. Seguendo il corso delcondottoidricodallacisterna,vide che passava sotto larecinzionedel campoperpoiraggiungereunapompapostasuun’alturapocodistante.

La donna col bambino,vedendolo passare, lo fermò.–Selasciquiivestiti,domani

mattinanon li troveraipiú,–lo avvertí. Cosí andò ariprendere i suoi indumentiumidielistesesullacuccetta.

Ilsolestavatramontandoein giro c’era piú gente, erapienodibambinidappertutto.Tre vecchi giocavano a carteseduti davanti alla baraccaaccanto alla sua. Si fermò aguardarliperunpo’.

Contò trenta tendedistribuite a distanze regolari

sull’area del campo e settebaracche,oltreaibagni eallelatrine. Erano state poste lefondamenta per una secondafiladibaraccheedalcementospuntavano i bulloniarrugginiti.

Camminòfinoalcancello.Sulla veranda della guardiolac’era una delle due sentinelledei Volontari chesonnecchiava su una sdraio,conlacamiciaapertafinoalla

cintola. K appoggiò la testacontro il reticolato, sperandoche la guardia si svegliasse. –Perché sono stato mandatoqui? – voleva chiedere. – Perquanto tempocidovròstare?–Malaguardiacontinuavaadormire e lui non ebbe ilcoraggiodigridare.

Se ne andò in giro, primaallabaracca,poidallabaraccaalla cisterna.Non sapeva chefare. Arrivò una ragazza con

un secchio da riempire, maquando lo vide si fermò eandò via. K si rifugiò vicinoalla recinzione sul retro delcampo a fissare il velddeserto.

In uno o due dei focolarifatticon lepietre tra le tendeora c’erano i fuochi accesi, eun gran trambusto di gentecheandavaeveniva;ilcamposistavaanimando.

Una camionetta blu della

polizia arrivò in una nube dipolvere e si fermò davanti alcancello, seguita da uncamion scoperto che dietroerapienozeppodiuomini inpiedi. Tutti i bambini delcampocorseroalcancello.Laguardia fece entrare lacamionetta, che si diresselentamente verso la quartabaracca della fila, quella conla canna fumaria. Ne sceserodue donne che aprirono la

baracca, seguite dall’autistadella macchina della poliziachetrasportavaunoscatolonedi cartone. Presso larecinzione sul retro, doveancora si trovava, a Kgiungevaillievecrepitiodellaradionellacamionetta.Prestounprimosbuffodifumonerouscídallacannafumaria.

Alcuniuominidel camionstavano scaricando fasci di

legna da ardere, cheaccatastavanooltreilcancello.

Il poliziotto tornò allacamionetta e si sedette alposto di guida a pettinarsi.Una delle donne, quella piúgrassainpantaloni,uscídallabaracca con un triangolo inmano e cominciò apercuoterlo. Prima ancorachel’ultimanotafossesvanitauna folla di ragazzini e dimadriconipiccoliinbraccio

si era precipitata alla portacon piatti, tazze o lattine. Ladonna fece sgombrare unpiccolospazioefeceentrareibambini a due a due nellabaracca. K si avvicinò e siaccodò alla folla. Si accorseche i bambini venivano fuoridalla baracca con minestra efettedipane.

Un bambinetto, uscendo,inciampò e gli versò laminestra sulle gambe. K,

camminando concircospezione, come se sifosse urinato addosso, sirimiseinfila.Alcunibambinisi sedettero a mangiare perterradavantiallabaracca,altrisi portarono la minestra intenda.

K si avvicinò alla donnasullaporta.–Scusi,–disse,–potrei avere qualcosa damangiare? Non ho il piatto,vengodall’ospedale.

– È solo per i bambini, –rispose ladonna e guardòdaun’altraparte.

K tornò alla sua baracca esi mise i calzoni neri, cheerano ancora umidi. Ipantaloncini cachi li buttòsottounletto.

Sirivolsealpoliziottosullacamionetta. – Dov’è cheposso trovaredamangiare?–disse. –Nonho chiesto iodi

venire qui. Dunque, dovepossotrovaredelcibo?

– Questa non è unaprigione,–disse ilpoliziotto,–èuncampo,epermangiaredevi lavorare, come tutti glialtrinelcampo.

– Come faccio a lavoraresesonorinchiusoquadentro?Dov’èillavorochedevofare?

– Fottiti, – disse ilpoliziotto.–Chiediagliamicituoi. Chi ti credi di essere?

Perché ti dovrei dare damangiaregratis?

Era meglio sullemontagne, pensò K. Meglioalla fattoria. Meglio perstrada. Meglio a Città delCapo.Pensòallabaraccabuiae rovente, agli sconosciutibuttati sulle cuccette tuttointorno a lui, all’atmosferacarica di derisione. È cometornare all’infanzia, pensò. Èunincubo.

Adessoc’eranoaltrifuochiaccesi e odore di cibi che sicuocevano, perfino di carnearrostita. La donna inpantaloni con un cenno lochiamò in cucina e gli passòun secchio di plastica. –Lavalo, – gli disse, – e poimettilo qui dentro. Chiudi achiave la porta. Sai comefunziona un lucchetto? – Kannuí. In fondo al secchioc’era uno strato di minestra.

Le due donne s’infilarononella camionetta con ilpoliziotto; mentre andavanovia, K notò che guardavanodritte davanti a sé come senon ci fosse piú niente diinteressantenelcampo.

Calò il buio. Attorno aifuochi c’erano gruppi dipersone che mangiavano echiacchieravano; piú tardiqualcunocominciòasuonarelachitarraealcuniballarono.

All’inizio K era rimasto aguardare nell’ombra, poi,sentendosi a disagio, eratornato nella baracca vuota esi era buttato sulla suacuccetta.

Qualcuno entrò: K si giròverso la sagoma scura cheglisi avvicinava. Vuoi unasigaretta?–disseunavoce.Kaccettòlasigarettaesitiròsu,appoggiandosi al muro. Alla

lucedelcerinovideunuomopiúvecchiodilui.

– Di dove sei? – chiesel’uomo.

– Oggi pomeriggio hocamminato lungo larecinzionesulretro,–disseK,– chiunque può scavalcarla.Unbambinocimetterebbeunminuto a scavalcarla. Perchélagenterimanequi?

– Questa non è unaprigione, – disse l’uomo. –

Non l’hai sentito il poliziottoquando tihadettochenonèuna prigione? Questo èJakkalsdrif.Èuncampo.Nonlo sai cos’è un campo? Uncampoèunpostoperlagentechenonhalavoro.Èpertuttiquelli che vanno in giro dauna fattoria all’altrachiedendo lavoroperchénonhanno da mangiare, nonhannountettosopra la testa.Raccolgonotuttalagentecosí

e la mettono dentro uncampo, almeno non sarannopiú costretti a chiederel’elemosina. Tu dici perchénonscappo.Maperchémailagentechenonhadoveandaredovrebbe scapparedallabellavitachefacciamoqui?Dalettimorbidi comequesto e legnagratis e da un uomo alcancello con tanto di fucileper impedire ai ladri dientrare la notte a derubarci?

Da dove vieni, che non saiquestecose?

K rimase in silenzio. Noncapivaconchicel’aveva.

–Scavalchilarecinzione,–disse l’uomo, – e haiabbandonatoiltuodomicilio.Jakkalsdrif è il tuo domicilioadesso. Benvenuto. Lasci iltuo domicilio, ti prendono, esei un vagabondo. Senzadomicilio. La prima volta,Jakkalsdrif. La seconda,

Brandvlei. Vuoi andare aBrandvlei: colonia penale,lavoro duro, mattonificio,guardie con le fruste?Scavalchi la recinzione, tiprendono, è una secondainfrazione e ti mandano aBrandvlei. Ricordatelo. Sta ate scegliere. E poi, dov’è chevuoi andare? – Abbassò lavoce: – Vuoi andare sullemontagne?

K non sapeva a cosa si

riferisse.L’uomoglidiedeunamanata sulla gamba. – Vienifuoriafarfesta,–disse.–Haivistochecontrollanolagenteal cancello? Vogliono vederese hai liquori.Niente alcol alcampo, è il regolamento.Allora vieni fuori a berequalcosa!

Cosí K si lasciò condurrefuori e si uní al gruppo chestavaintornoalchitarrista.Lamusicas’interruppe.–Questo

èMichael,–dissel’uomo.–Èvenuto fino a Jakkalsdrif apassare le vacanze. Diamogliil benvenuto –. Insistetteroperché si sedesse e gliversarono del vino da unabottiglia incartata in unabusta marrone. Poi loassediarono di domande. Dadove veniva? Che ci faceva aPrinceAlbert?Dovel’avevanopreso? Nessuno riusciva acapire perché se ne fosse

andato dalla città per venirein quel posto sperduto dovenonc’eralavoroedoveinterefamiglie erano state cacciatedalle fattorie in cui vivevanodagenerazioni.

– Stavo portando miamadre a Prince Albert, –cercò di spiegare K. – Eramalata. Le gambe le davanoun sacco di fastidi. Volevavivere in campagna, era stufadellapioggia.Piovevasempre

dove vivevamo noi. Ma èmorta per strada, aStellenbosch, lí, all’ospedale.CosínonhamaivistoPrinceAlbert.Eradiquesteparti.

– Povera signora, – disseuna donna, ma non avetel’assistenza sociale aCittàdelCapo?–NonaspettòcheKlerispondesse. – Qui non c’èassistenza sociale. Èquesta lanostra assistenza sociale –.Fece un ampio gesto con il

braccio a indicare tutto ilcampo.

K continuò. – Poi holavorato nelle ferrovie. Hoaiutato a sgombrare i binaribloccati.Poisonovenutoqui.

Ci fu un momento disilenzio. Ora devo parlaredelleceneri,percompletezza,pensòK,cosíavròraccontatol’intera storia. Ma scoprí chenonpotevafarloocomunquenon poteva ancora farlo.

L’uomo con la chitarracominciò a provare unanuova melodia. K sentí chel’attenzione del gruppo siallontanava da lui perconcentrarsi sulla musica. –Neanche aCittàdelCapo c’èassistenza sociale, – disse. –Nonpiú–.La tendavicinasiaccese. Alla luce di unacandela i riflessi delle figure,in silhouette, si muovevano,

piú grandi del vero. K sisdraiòeguardòlestelle.

– Stiamo qui da cinquemesi,ormai,–disseunavoceaccantoalui.Eral’uomodellabaracca. Si chiamava Robert.– Mia moglie e i mieibambini, tre femmine e unmaschio, mia sorella e i suoifigli. Io lavoravo in unafattoriavicinoaKlaarstroom.Ci stavo da tanto tempo, dadodici anni. Poi

all’improvviso niente piúmercato della lana. Alloracominciarono con il sistemadellequote,solountotdilanaper fattoria.Poichiuserounadelle due strade perOudtshoorn, poi chiuserol’altra, poi le aprirono tutt’edue, e infine le chiusero persempre.Cosíungiornovenneda me il padrone dellafattoria, e disse: «Debbomandarti via. Troppe bocche

dasfamare.Nonme lopossopermettere».«Edovevado?–chiesi. – Lo sa che non c’èlavoro». «Mi dispiace, – harispostolui,–noncel’hoconte,èsolochenonmelopossopiú permettere». Cosí mi hamandato via, me e la miafamiglia,esiètenutounochelavorava lí da poco, ungiovane non sposato. Unasola bocca da sfamare, quelche poteva permettersi. Gli

feci: «Senza un lavoro, checosa posso permettermi, io?»Comunque, facemmo ibagagli e ce ne andammo, euna volta per strada, non èunaballa,proprioper strada,la polizia ci prese, l’avevachiamatalui,cipreseequellanotte stessa finimmo qui aJakkalsdrif, dietro il filospinato.«Senzafissadimora».Gli dissi: «La scorsa notte cel’avevo una dimora fissa,

comefateasaperechequestanotte non avrò una dimorafissa?» Quelli mi dissero:«Che preferisci, dormire nelveld,sottouncespuglio,comegli animali, o in un campocon un vero letto e l’acquacorrente?» Risposi: «Possoscegliere?» «Puoi scegliere, escegli Jakkalsdrif.Perchénonvogliamovagabondi ingiroacreare problemi». Ma te ladico io la ragione vera, te lo

dico ioperché sono stati cosísvelti a prenderci. Voglionoimpedire alla gente discomparire su per lemontagne per poi una nottetornare giú a tagliare lerecinzioni e portar via ilbestiame. Lo sai quantiuomini ci sono in questocampo, quanti uominigiovani? Si chinò verso K eabbassò lavoce.–Trenta.Tusei il trentunesimo. E quante

donne e vecchi e bambini?Guardati intorno, fatti ilconto. Allora ti chiedo, dovesonogliuominichenonsonoquiconlelorofamiglie?

– Io sono stato sullemontagne, – disse K. – Manonhovistonessuno.

–Chiedi a una qualunquedi queste donne dov’è il suouomoetidirà:«Haunlavoro.Mimandaisoldituttiimesi»,oppure: « È scappato, mi ha

lasciato». Cosí, come si fa asapere?

Ci fu un lungo silenzio.Una minuscola luceattraversò il cielo in unbaleno. K la indicò: – Unastellacadente,–disse.

IlmattinoseguenteKandòa lavorare. Nelle chiamate leFerrovie avevano diritto diprelazione sugli uominiinternati a Jakkalsdrif, poiveniva il Comune di Prince

Albert e infine i fattori. Ilcamion li venne a prenderealle sei emezzo,ealle setteemezzoeranoal lavoroanorddi Leeu-Gamka, a rimuoveregli sterpi del sottobosco dalletto del fiume, a monte e avallediunponteferroviario,ascavare buche e mescolarecemento per un recinto diprotezione.Illavoroeraduro;ametàmattinaKvacillava.Ilperiodo passato inmontagna

mi ha ridotto un vecchio,pensò.

Robert gli si fermòaccanto. –Primadi rompertila schiena, amico, – gli disse,– ricordati quanto ti pagano.Ti danno il salario base, unrandalgiorno,amenedannouno emezzo perché ho dellepersone a carico. Perciò nonti ammazzare. Vai a pisciare.Seistatoinospedale.Nonstaiancorabene.

Piútardi,durante lapausadimezzogiorno,offríaKunodei suoi panini e si steseaccanto a lui all’ombra di unalbero. – Con i tuoi cinque,sei rand a settimana, – glidisse, – devi provvedere alcibo. Il campo è solo perdormire. Le donne dell’Acvv,quelle che hai visto ieri,vengonotrevolteasettimana,maquella è beneficenza, soloper i bambini. Mia moglie

lavoracomecamerieraincittàper tre mezze giornate asettimana.Siportailpiccoloelascia gli altri bambini conmia sorella. Cosí facciamocircadodicirandasettimana.Con quei soldi dobbiamosfamare nove persone, treadulti e sei bambini. Altristanno peggio. Quando nonc’èlavoro,tantopeggio,cenestiamo dietro il reticolato estringiamolacinghia.

– Devi sapere che i soldicheguadagnilipuoispenderesolo in un posto, e cioè aPrinceAlbert.EquandoentriinunnegozioaPrinceAlbert,all’improvviso i prezziaumentano. Perché? Perchései del campo, e loro nonvogliono un campo cosívicino alla città.Non l’hannomai voluto. Hannoorganizzato una violentacampagna contro il campo al

principio. Portiamo malattie,dicevano.Nonc’èigiene,nonc’èmorale.Èuncovodivizi,donneeuominituttiinsieme.Secondo loro ci dovrebbeessere una recinzione inmezzo al campo, gli uominida una parte, le donnedall’altra, e i cani a far daguardia la notte. La verità, amio parere, è che a loropiacerebbecheilcampostesselontano mille miglia, in

mezzoalKoup, lontanodagliocchi. Poi noi potremmoarrivarenelcuoredellanotte,inpuntadipiedi, come tantefatine, a lavorare per loro,zappar orti, lavare pentole, escomparire la mattinalasciando tutto pulito e inordine.

«Vuoisaperechièafavoredi questo campo? Te lo dicoio:primaditutto,leFerrovie.Le Ferrovie vorrebbero un

Jakkalsdrif ogni dieci miglialungo la linea. In secondoluogo, i fattori. Perché conuna squadra di lavoro diJakkalsdrif un fattore ottieneuna giornata di lavoro aprezzi stracciati e alla finedella giornata il camion se liriporta via e lui non si devepreoccupare né di loro nédelle loro famiglie, possonoanche morire di fame e difreddo, che tanto lui non ne

sa niente, non sono affarisuoi.

A poca distanza da loro,ma non cosí vicino da potersentire, stava seduto ilcaposquadra, su un piccolosgabello pieghevole. K loosservò mentre si versava ilcaffè dal thermos. Le lunghedita piatte non entravanotutte nel manico della tazza,cosí la sollevò con due ditatese nell’aria e bevve. Sopra

l’orlo della tazza i suoi occhiincontraronoquellidiK.Checosavede?PensòK.Checosarappresento io per lui? Ilcaposquadra posò la tazza, siportò il fischietto alle labbrae, sempre seduto, lanciò unlungofischio.

Piú tardiquelpomeriggio,mentre stava tagliando leradici di un rovo, lo stessocaposquadraloraggiunseeglisi piantò alle spalle.

Lanciando uno sguardo dasottoilbraccio,Kvideleduescarpe nere e il bastone dimalacca che battevapigramentenellapolvere,e sisentíaddossoil tremoredellasua antica agitazione.Continuava a tagliare, manonavevaforzanellebraccia.Soloquandoilcaposquadrasiallontanòtornòunpo’insé.

La sera era troppo stancoper mangiare. Trascinò fuori

il materasso e si sdraiò aguardare le stelle comparirenel cielo violetto una dopol’altra. Poi qualcuno direttoallelatrineinciampòsudilui.Seguíuntrambustoeluifuggívia.Riportòilmaterassonellabaracca e si stese sulla suacuccetta al buio, sotto lelaminedeltetto.

Il sabato furono pagati earrivòilcamiondellospaccio.Ladomenicacifulavisitadelpastore che celebrò unafunzionereligiosanelcampo,dopodichéfuronospalancatiicancelli che rimasero apertifino all’ora del coprifuoco. Kandòallafunzione.Einpieditraledonneeibambinisiuníalcoro.Poiilpastorechinòilcapoepregò.–Fa’chelapaceritorni nei nostri cuori, o

Signore, e concedici diritornare nelle nostre casesenza nutrire rancore versonessuno, decisi a vivereinsieme in armonia nel Tuonome, obbedendo ai Tuoicomandamenti–.Piú tardi sifermò a parlare con qualchevecchio, quindi salí nellacamionetta blu che erarimasta ad aspettarlo alcancelloefuportatovia.

Ora erano liberi di andare

aPrinceAlbertoda amici, oanche solo di fare unapasseggiata nel veld. K videuna famiglia di otto persone,padre e madre in austerivestiti da festa neri, lebambine con i vestitinibianchi e rosa e i cappellibianchi, i maschietti incompletogrigioecravatta,eipiedi stretti nelle scarpe nerelucide.Tutti insiemeavevanoimboccatolalungastradache

portavaincittà.Dietrodilorovenivano altri: un gruppo diragazze a braccetto cheridevano;l’uomochesuonavalachitarrainsiemeallasorellae alla sua ragazza. – Perchénon andiamo anche noi? –proposeK aRobert. – Lasciache vadano i giovani, se nehanno voglia, – risposeRobert. – Che c’è di cosíspeciale a Prince Albert ladomenica?L’hogiàvista.Non

mi dice niente. Vai con lorosevuoi.Ti compriunabibitafresca,tisiedifuoriaunbareti gratti i pizzichi delle pulci.Non c’è altro da fare. Vogliodire: se stiamo in prigione,stiamo in prigione, nonfacciamo finta che non siacosí.

Nonostante ciò K lasciò ilcampo.Andògiúsenzafretta,lungoJakkalsrivier,finoacheil reticolatoe lebaracchee la

pompanonsivideropiú.Poisi sdraiò nella calda sabbiagrigia col berretto sopra lafaccia e si addormentò. Sisvegliò che sudava. Si tolse ilberretto e strizzò gli occhicontro il sole. Facendosprizzar viadalle ciglia tutti icolori dell’arcobaleno, neriempí il cielo. Sono comeunaformicachenonsadov’èla sua tana, pensò.Continuavaa infilare lemani

nella sabbia lasciando che gliscorressetraledita.

Cominciavano aricrescergli i baffi che gliavevano rasato all’ospedale,coprendogli di nuovo illabbro.Enondimeno trovavadifficile rilassarsi quando,intornoalfuococonRobertela sua famiglia, gli occhi deibambinieranotuttisempresudi lui. In particolare c’era unbambinetto che, dovunque si

mettesse, cercava diafferrargli la faccia. Lamamma,imbarazzata,cercavadi portarlo via, ma quellocominciava a contorcersi e afrignare per essere lasciatolibero, e a quel puntoK nonsapeva piú che fare né doveguardare. Sospettava che leragazze piú grandicelleridessero alle sue spalle.Nonaveva mai saputo comecomportarsiconledonne.Le

signore dell’Acvv, forseperchéeracosímagrooforseperchéavevanodecisocheeraun idiota, gli permettevanoregolarmente di pulire ilsecchio della minestra: trevolteasettimanaeraquelloilsuo pasto. La metà della suapaga la dava a Robert e ilresto se lo teneva in tasca.Non c’era niente chedesiderasse comprare; nonandava mai in città. Robert

continuava ancora in varimodiaoccuparsidilui,maglirisparmiava altri discorsi sulcampo. – Non ho mai vistounoaddormentatocomete,–gli diceva. – Sí, – rispondevaK,colpitodal fattocheancheRobertsenefosseaccorto.

Il lavoro intorno al ponteera finito. Per due giorni gliuomini rimasero senzalavorare,poi arrivò il camiondel Comune a prenderli per

livellareunastrada.Ksimiseinfilaalcancelloinsiemeaglialtri uomini, ma all’ultimomomento si rifiutò di saliresul camion. – Sono malato,non posso lavorare, – dissealla guardia. – Fai come tipare,ma non sarai pagato, –risposequella.

Cosí K si portò fuori ilmaterasso e si distese vicinoalla baracca, all’ombra, conun braccio sul viso, mentre

intorno a lui al campo sisvolgeva la solita vita. Stavatalmente immobile che ibambini piú piccoli, cheall’inizio si erano tenuti allalarga, cercarono di svegliarloenonriuscendociincluseroilsuo corpo nel loro gioco. Siarrampicavano su di lui e glicadevano addosso come sefacesse parte del terreno.Continuandoanascondere lafaccia,Krotolòsullapanciae

scoprí che potevasonnecchiare anche con queipiccoli corpi che glicavalcavano sulla schiena.Scoprí un piacere inaspettatoin quei giochi. Gli sembravadi succhiare salute dalcontatto con i bambini e glidispiacquequandoarrivaronogli uomini del Comune aspargere la calce nelle latrinee i piccoli corsero via aguardare.

Attraverso la recinzioneKsirivolseallaguardia.–Possouscire?

– Credevo che fossimalato. Stamattina mi haidettocheerimalato.

– Non voglio lavorare.Perchédovreilavorare?Nonèmicaunaprigionequesta.

– Non vuoi lavorare mavuoi che gli altri ti diano damangiare.

– Non ho bisogno di

mangiare sempre. Quandoavrò bisogno di mangiare,lavorerò.

Laguardiaerasedutanellasuasdraiosullaverandadellapiccolaguardiola,colfucilealfianco, appoggiato al muro.Sorriseguardandolontano.

– Allora me lo apri ilcancello?–disseK.

–L’unicomodoperusciredi qui è con la squadra dilavoro,–risposelaguardia.

– E semi arrampico sullarecinzione? Che fai se miarrampico?

–Arrampicatieiotisparo.Giuro su Dio che non cipenseròduevolte,perciònonciprovare.

K accarezzò il reticolatocomesoppesandoilrischio.

– Lascia che ti dica unacosa, amico, – disse laguardia, – per il tuo bene,perché sei nuovo qui. Se

adesso ti faccio uscire, nelgiro di tre giorni sarai dinuovo qui a scongiurarmi difartirientrare.Loso.Nonpiúdi tre giorni. Starai qui, inpiedi davanti al cancello, conle lacrime agli occhi ascongiurarmi di farti entrare.Perché vuoi scappare? Haiunacasaqui,haidamangiare,haiunletto.Haiunlavoro.Lagente là fuoriha lavitadura,l’hai visto, non te lo devo

mica dire io. Perché vuoiandareconloro?

– Non voglio stare in uncampo.Tuttoqui,–disseK.–Lasciami arrampicare sullarete e scappare. Giratidall’altra parte. Nessuno siaccorgerà che me ne sonoandato.Nonsapetenemmenoquantagentec’èquidentro.

– Arrampicati su quellarecinzione e io ti ammazzo,

amico. Senza rancore. Ti stosoloavvisando.

Il mattino seguente Krimasea lettomentreglialtriandavano al lavoro. Poiritornò di nuovo al cancello.C’era la stessa sentinella delgiorno prima. Parlarono dicalcio.–Hoildiabete,–disselaguardia.–Èperquestochenonmihannomai speditoalnord.Èdatreanniormaichemi assegnano a uffici, spacci,

servizi di guardia. Tu pensichesiaduralavitanelcampo,prova a startene seduto quifuori dodici ore al giorno,senza altro da fare cheguardare i rovi.Ecomunque,tidiròunacosa,amico,edèlaverità: il giorno che miordinano di andare al nordmenevado.Nonmirivedonopiú.Nonèlamiaguerra.Checombattano loro, è la loroguerra.

Voleva sapere la storiadella bocca di K («Puracuriosità», disse), e K glielaraccontò. Annuí: – Avevopensatochefossecosí,mapoimi sono detto che forsequalcuno ti aveva ferito conuncoltello.

Nella guardiola aveva unpiccolo frigorifero acherosene. Portò fuori unpranzoabasedipollofreddoe pane, e lo divise con K,

passandogli il cibo attraversoilreticolato.–Celapassiamopiuttosto bene, suppongo, –glidisse,–consideratochec’èuna guerra –. K accennò unsorrisocomplice.

Poi cominciò a raccontaredelle donne nel campo, dellevisite che lui e i suoi colleghiricevevano di notte. – Sonoaffamate di sesso, – disse.Infine sbadigliò e tornò allasuasdraio.

Il giorno dopo K fusvegliato a suon di scossonida Robert. – Vestiti, devilavorare, – gli disse. K lospinse via. – Forza, – disseRobert, – oggi vogliono tutti,niente scuse, nientediscussioni. Devi venire –.Dieci minuti dopo K stavafuori del cancello nel ventofreddo dell’alba, mentre licontavano e aspettavanol’arrivo del camion.

Passarono per le strade diPrince Albert e poiproseguirono in direzione diKlaarstroom; imboccaronouna strada di campagna,passarono davanti a unagrande, estesa dimoraimmersanell’ombra,quindisifermarono presso unrigoglioso campo di erbamedica, dove li aspettavanodue poliziotti riservisti confasce al braccio e fucili.Man

mano che scendevano, unlavorante della fattoriaconsegnava loro una falcesenza guardarli népronunciare una sola parola.Comparve un uomo alto inpantalonicolorcachistiratidifresco. Aveva in mano unafalce. – Tutti certamentesapete come si usa la falce, –disse ad alta voce. – Dovetetagliare due acri. Allora,metteteviallavoro!

In fila, a tre passi didistanza uno dall’altro, gliuomini cominciarono a farsistrada lentamente attraversoil campo chinandosi,raccogliendo l’erba in unfascio, tagliandoe avanzandodi mezzo passo, a un ritmoche ben presto fece girare latesta a K, immerso in unbagnodi sudore.–Tagliaviatutto!Taglia via tutto! – urlòuna voce alle sue spalle. K si

girò e si trovò di fronte ilfattore con i calzoni cachi;riusciva a sentire l’odoredolce del suo deodorante. –Dov’è che sei cresciuto,scimmione? – gli gridò. –Tagliapiúinbasso!Tagliaviatutto! – Gli strappò la falcedalle mani, lo spinse da unaparte, si chinò a raccogliereun fasciodi erbamedica e lotagliò via tutto, molto inbasso. –Hai visto? – urlò. K

annuí. – E allora fallo. Hodetto,fallo!–urlò.Ksipiegòe falciò il fascio successivorasoterra. –Dov’è che vannoaprenderequestamondezza?– lo sentí gridare a uno deiriservisti. – È mezzo morto.La prossima volta ciporteranno direttamente icadaveri!

– Non ce la faccio acontinuare! – ansimò K,rivolto a Robert, quando

fecerolaprimapausa.–Misirompelaschiena,eognivoltache mi tiro su tutto mi giraintorno.

– Vai piano, – disseRobert, – non ti possonocostringere a fare quello chenonpuoifare.

K guardò il pezzo di terraispido e irregolare che avevafalciato.

–Vuoisaperechièquello?– mormorò Robert. – È il

cognato del capitano dipolizia, Oosthuizen. Gli sirompe la falciatrice e chesuccede? Tira su il telefono,chiama la stazione di polizia,elamattinadopodibuon’oraha trenta paia di braccia chetaglianol’erbamedicaperlui.È cosí che funziona qui, è ilsistema.

Finironodifalciarecheeraquasi buio, rimandando algiornoseguente leoperazioni

di imballatura. K barcollavadalla stanchezza. Seduto nelcamion, chiuse gli occhi edebbe la sensazione diprecipitare attraverso unospazio vuoto e infinito. Unavolta nella baracca, crollò inunsonnoprofondissimo.Poi,nel cuore della notte, fusvegliato dal pianto di unbebè. La gente intornomormoravairritata,sembravache si fossero svegliati tutti.

Per un tempo che sembròdurare ore rimasero sveglistesi nei letti a sentire ilbambino che, inunaqualchetenda, a piú riprese,piagnucolava, gemeva, einfine lanciava urla che lolasciavano senza fiato.K, chemoriva dalla voglia didormire, sentiva la rabbiamontarglidentro.Senestavadisteso con i pugni stretti

contro il petto, desiderandol’annientamentodelpiccolo.

Seduto nel camion, con ilvento che li assordava, Kaccennòalpiantonotturno.–Vuoi sapere come lo hannofatto stare zitto alla fine? –chiese Robert. – Col brandy.Brandy e aspirina. È l’unicamedicina. Nel campo non cisonomedici,néinfermiere–.Poi tacque. – Ti voglioraccontare quello che è

successo all’inizio, quandohanno aperto il campo,quando hanno aperto ilnuovo ricovero che avevanocostruitopertuttiisenzatetto,gliabusividiBoontjieskraaleOnderdorp,imendicantitoltidalla strada, i disoccupati, ivagabondichedormonosullemontagne, la gente cacciatadallefattorie.Nonerapassatoun mese da quando avevanoaperto i cancelli che erano

tutti malati. Dissenteria,morbillo, poi influenza, unamalattiadopol’altra.Equestoperché erano stati rinchiusicome animali in gabbia.Venne l’infermiera regionale,esaichecosafece?Chiediloachiunque fosse qui, e te lodirà: si fermò nel bel mezzodel campo dove tutti lapotevano vedere e si mise apiangere. Guardò i bambinicon le ossa che sporgevano

dallacarneenonsapevacosafare,cosírimaselíapiangere.Una donna grande e grossa,forte. Un’infermieraregionale.

– Comunque, – disseRobert, – si sono presi unbello spavento. Dopodichéhanno cominciato a metterepasticchenell’acqua,ascavarelatrine, a spruzzare spraycontrolemoscheeaportareisecchi diminestra.Credi che

lofaccianoperchécivoglionobene?Neancheper sogno.Cipreferiscono vivi, perchéquando ci ammaliamo emoriamo abbiamo un’ariaspaventosa.Sedimagrissimoeci trasformassimo in carta epoi in cenere e alla finevolassimo via, non glienefregherebbe niente di noi. Èsolo che non vogliono essereturbati. Vogliono dormiresonnitranquilli.

–Nonso,–disseK.–Nonso.

– Perché non guardi inprofondità, – disse Robert. –Guardabenenei loro cuori evedrai.

Kalzòlespalle.– Sei un bambino, – disse

Robert.–Tuttalavitanonhaifattoaltrochedormire.Èorachetisvegli.Perchémaicredichetifaccianolacarità,ateeai bambini? Perché pensano

che tu sia innocuo, che nonhai mai aperto gli occhi, chenon vedi la realtà che ticirconda.

Due giorni dopo ilbambino che aveva piantotutta la notte morí. Poichéuna regola ferrea, emanatadall’alto, stabiliva che pernessun motivo potessesorgere un cimiteroall’interno o comunque invicinanza di un qualunque

campo di qualsiasi tipo, ilpiccolo fuseppellito in fondoal cimitero cittadino. Lamadre, una ragazza didiciotto anni, tornata dallacerimonia funebre, si rifiutòdi mangiare. Non pianse. Silimitò a stare seduta vicinoalla sua tenda guardandolontano, in direzione diPrince Albert. Non sentivaquello che le dicevano gliamici che andavano a

consolarla; quando latoccavano scacciava le loromani.MichaelKpassòoreinpiedi contro la recinzione,doveleinonpotevavederlo,aosservarla. È questa la miascuola? Si chiedeva. Stofinalmente imparandoqualcosa della vita, qui nelcampo? Gli sembrava chesotto i suoiocchi si svolgesseuna scenadopo l’altradi vitaautentica, e che tutte si

incastrassero secondo unalogica. Aveva come ilpresentimento dell’esistenzadi un significato unicointorno al quale le diversescene convergevano ominacciavano di convergere,anche se ancora non sapevaqualepotesseessere.

Perunanotte eungiornola ragazza rimase sveglia, poisiritirònellatenda.Circolavalavoceperòchecontinuassea

non piangere e a nonmangiare. Il primo pensierodiKalmattinoera:Lavedròoggi? Era bassa e grassa;nessuno sapeva con certezzachi fosse il padre delbambino, anche se in giro sidiceva che era via sullemontagne.Ksidomandavaseper caso non si fossefinalmente innamorato. Poi,dopo tre giorni, la ragazzaricomparve e riprese la sua

vita. Vedendola in mezzoall’altragente,Knonriuscivaa scorgerealcun segnoche ladistinguessedaglialtri.Nonleparlòmai.

Una notte, a dicembre,svegliata da grida piene diagitazione,lagentedelcamposi precipitò fuori dai lettiincespicando per andare aguardare l’orizzonte indirezione di Prince Albert,dove un grande bocciolo

arancione splendido sischiudeva contro l’oscuritàdelcielo.Sisentivanosussultie fischi di meraviglia. –Vogliamo scommettere che èla stazione della polizia! –gridòqualcuno.Perun’orasenestetteroaguardareilfuocozampillare comeuna fontanache si consumava ed eraconsumata. In certimomentiavevano propriol’impressione di sentire

distintamenteleurlaeipiantie il ruggito delle fiammeattraverso miglia e miglia diveld deserto. Poi, a poco apoco,il fioresifecepiúrossoe meno acceso, la fontanaperse il suo impeto, finchéalla fine, con qualcuno deibambini addormentato tra lebraccia e altri che sistrofinavano gli occhi, e connient’altro da vedere se nonun bagliore di fumo in

lontananza, arrivò ilmomento di tornarsene aletto.

La polizia colpí all’alba.Era uno squadrone di venti,inpartepoliziotti regolari, inparte studenti riservisti, concaniefucili,econunufficialein piedi sul tetto dellacamionetta che urlava ordiniattraverso un megafono. Siriversarono correndo tra lefila di tende, strappando i

picchetti, facendole cadere,picchiando le forme che siagitavano tra le pieghe dellastoffa. Fecero irruzione nellebaraccheecolpirono lagenteancora addormentata nellecuccette.Unaragazzocheerariuscito a evitarli ed erascappato via fu rincorso echiuso inunangolodietro lelatrinedovelopreseroacalcifino a che non svenne. Unbambinofubuttatoaterrada

un cane e tratto in salvo cheurlava di terrore, la testalacerata e sanguinante.Mezzinudi, alcuni che gemevano,altri che supplicavano, altriancoraparalizzatidallapaura,uomini, donne e bambinivennero ammassati nelloslargo davanti alle baracche,dove fu ordinato loro disedersi. Da lí, sotto gli occhidei cani e degli uomini con ifucili puntati, guardarono il

resto dello squadroneaggirarsi come un nugolo dilocuste tra le file di tende,rivoltandole, buttando peraria tutto quello chetrovavano, svuotando valigieescatoloni, finoachetutto ilcampo non ebbe l’aspetto diunamontagnadirifiuti,conivestiti, le coperte, il cibo, gliutensili da cucina, piatti eposate, roba da bagno sparsiovunque. Dopo un po’

passarono alle baracche eancheinquellefeceroilcaos.

In tutto questo, K se nestava seduto col berrettotirato sugli orecchi contro ilvento del primo mattino. Ladonna vicino a lui aveva inbraccio un bambino urlantecol sedere nudo e duebambinette incollateaddosso,ognuna attaccata a unbraccio.–Vienitiasederequiconme,–bisbigliòKallapiú

piccola. Senza distogliere gliocchi dalla distruzione che liaveva colpiti, la piccola glisaltò in grembo, e rimase asucchiarsi il pollice avvoltanel cerchio protettivo dellesue braccia. Anche la sorellala raggiunse, le due stavanostrette una all’altra. K chiusegli occhi, il piccolettocontinuava a divincolarsi epiagnucolare.

Fu ordinato loro di

mettersi in fila davanti alcancello e di uscire uno allavolta. Furono costretti alasciare tutto quello cheavevano portato con sé,perfino le coperte che alcunidi loro si erano messi sullespalle, sopra le camicie danotte.Unaddestratoredicanistrappò una radiolina dallemani di una donna in filadavantiaK.Labuttòaterrae

la calpestò. –Niente radio, –spiegò.

Fuori dal cancello, gliuomini furono ammassati asinistra, ledonnee ibambinia destra. I cancelli furonochiusi a chiave e il camporimasevuoto.Poi ilcapitano,l’uomo alto e biondo cheaveva urlato gli ordini,condusse fuori le duesentinelle dei Volontari difronte agli uomini allineati

davanti alla recinzione. Lesentinelle erano disarmate ein disordine: K si chiesecos’era successo dentro laguardiola.–Adesso,–disseilcapitano,–ciditechimanca.

Nemancavanotre, trechedormivano in una delle altrebaracche, uomini con i qualiK non aveva mai scambiatounaparola.

Il capitano stava urlandocontro le sentinelle,

sull’attenti davanti a lui.All’inizioKpensòcheurlasseperché era abituato almegafono, ma ben presto larabbia che animava quelleurlaglifufintroppochiara.–Chi manteniamo qui in casanostra?–gridò.–Uncovodicriminali! Criminali,sabotatoriefannulloni!Evoi!Tutti e due! Mangiate,dormiteemettetesupanciaeda un giorno all’altro non

sapete dire dove sono quellichedovreste sorvegliare!Checredetedistareafarequi?Didirigereunvillaggioturistico?È un campo di lavoro, porcomondo! È un campo perinsegnare a lavorare aifannulloni. A lavorare! E sequelli non lavorano, noichiudiamo il campo! Lochiudiamo e cacciamo tuttiquestivagabondi!Fuoridiquie non tornate piú! Vi è stata

data un’opportunità! – sivoltò verso il gruppo diuomini. – Sí, sí, carogneingrate, è di voi, proprio divoi, cheparlo! –urlò. –Nonavete nessuna riconoscenza.Chièchevicostruiscelecasequando non sapete doveandare? Chi è che vi dà letende e le coperte quandotremate di freddo? Chi viaccudisce, chi si prende curadivoievienequituttiigiorni

col cibo?E comeci ripagate?Bene, d’ora in poi potetemoriredifame!

Inspirò profondamente.Allesuespallestavasorgendoil sole, simile a una palla difuoco.–Misentite?–gridò.–Voglio che tutti mi stiano asentire! Volete la guerra eavrete la guerra! Metterò imieiuominidiguardiaqui,aldiavolol’Esercito!Mettoquiimiei uomini e sprango i

cancelli, e se i miei uominivedonounoqualunquedivoi,uomo, donna o bambino,fuori dal reticolato, hannol’ordine di sparare, a vista!Nessuno potrà lasciare ilcampo tranne che con lesquadre di lavoro. Nientevisite, niente gite, nientepicnic. Appello mattina esera, e tutti dovranno esserepresenti a rispondere. Siamostatifintroppobuoniconvoi.

E questi scimmioni lichiudo dentro insieme a voi!–alzò ilbraccioe indicòconun gesto teatrale le duesentinelle, ancora sull’attenti.– Li rinchiudo perchéimparino chi è che comandaqui dentro! Voi due!Credevate che non vi tenessid’occhio? Credete che nonsappia che bella vita fate?Credete che non sappia ditutte le fiche che vi scopate

mentre dovreste stare diguardia? – L’idea sembròinfiammarlo ulteriormente,perché all’improvviso si girò,si precipitò dentro laguardiola, e un attimo doporicomparve sulla portatenendo stretto contro lapancia un piccolo frigoriferobianco smaltato. Aveva ilvolto acceso per lo sforzo; ilberretto urtò contro

l’architrave e gli cadde perterra.

Si avvicinò al bordo dellaveranda,alzòilfrigoriferopiúinaltochepotée loscagliòaterra.Sischiantòalsuoloconungranfracassoedalmotorecominciò a colare ilcherosene. – Capito! – disseansimando. Rovesciò ilfrigorifero su un fianco. Laporta si spalancò e vomitòcon gran fracasso una

bottigliadaunlitrodigassosaallozenzero,unavaschettadimargarina,unafiladisalsicce,pesche e cipolle sciolte, unafiaschettad’acquadiplasticaecinque bottiglie di birra. –Capito! – ansimò di nuovo,fulminando tutti con losguardo.

Tutta la mattina rimaseroad aspettare sotto il solementre due giovani poliziottie un aiutante che indossava

una maglietta blu con suscritto, davanti e dietro, SAN

JOSE STATE frugavano conzelante lentezza tra lemacerie. Nelle baracchetrovarono nascoste casse divino che svuotarono a terra.Tuttelearmichetrovaronolebuttarono inunmucchio:unkierie,unasbarradi ferro,unpezzo di conduttura, un paiodi forbici per tosare, svariaticoltelli a serramanico. Poi, a

mezzogiorno, dichiararonoche la perquisizione eraconclusa.Lapolizia condussedinuovotuttidentro,chiuseachiave i cancelli e nel giro dipochi minuti scomparve,lasciandosi alle spalleduedeisuoi, che trascorsero ilpomeriggio seduti sotto iltendoneaguardarelagentediJakkalsdrifcherovistavanellabaraonda in cerca dellapropriaroba.

Da una delle due nuoveguardie in seguito vennero asapere che cosa avevascatenatosudilorolafuriadiOosthuizen. Nel cuore dellanotte si era sentita una forteesplosione provenire dallabottega di un fabbro sullaHigh Street, all’esplosioneaveva fatto seguito unincendio indomabile che siera propagato primaall’edificio accanto e poi al

museo di tradizioni popolaridellacittà.Ilmuseo,conilsuotetto di paglia intrecciata e isuoi soffitti e pavimenti diiroko, era stato distrutto inun’ora anche se qualcunodegli antichi attrezzi agricoliesposti nel cortile era statosalvato.Cercandoconletorcetra i detriti ancora fumantidella bottega del fabbro,avevano trovato segni dieffrazione; e quando un

autista della polizia avevaricordato di aver fermato, lasera prima al tramonto, tresconosciuti su due biciclettenei pressi del bivio perJakkalsdrif (li aveva avvertitiche rischiavano di violare ilcoprifuoco, quelli avevanosostenuto che stavanoaffrettandosi per raggiungereOnderdorp, dove vivevano, eluinonciavevapiúpensato),era apparso evidente che la

gente del campo dovevaessere implicata inquell’incendio doloso controlacittà.

Per K non ci era volutomolto a rimettere insieme lasua poca roba, ma altriuomini delle baracche cheavevano bauli o valigie siaggiraronoalungocupitralemacerie in cerca delle lorocose. A un certo puntoscoppiò una lite, nientemeno

cheperunpettinediplastica.EKsiallontanò.

Ancheseeraunmercoledí,lesignoreconlaminestranonarrivarono. Una delegazionedi donne si recò al cancelloper chiedere l’autorizzazioneausare i fornelli nella cucinadel campo, ma le guardiesostennero di non avere lechiavi. Qualcuno, forse unbambino, lanciò un sassocontrolafinestradellacucina.

E il giorno dopo nonarrivòneppure il camion cheveniva a prendere la squadradi lavoro. A metà mattina ipoliziotti di guardia furonosostituiti da altri due. – Civogliono affamare, – disseRobert,avoceabbastanzaaltaperché gli altri udissero. –Quell’incendioèstatalascusache stavano cercando. Orafaranno ciò che hannosempre desiderato: ci

rinchiuderanno easpetterannolanostramorte.

Addossato al reticolato econ lo sguardo al veld, Kripensava alle parole diRobert.Nontrovavapiútantostrana l’idea che il campofosse un luogo dove venivadepositata la gente dadimenticare. Non glisembrava piú un caso che ilcampo fosse isolato, lontanodalla città, su una strada che

non portava da nessun’altraparte.Manonriuscivaancoraacrederecheiduegiovanottisulla veranda sarebberorimasti lí impassibili, tra unosbadiglio e una sigaretta,rientrando di tanto in tantonella guardiola per unpisolino, mentre la gentemoriva sotto i loro occhi.Quando la gente moriva silasciava dietro un corpo.Perfinochimorivadi famesi

lasciava dietro un corpo. E icorpi morti potevano essereripugnantiquantoquelli vivi,seeraverocheuncorpovivopoteva essere ripugnante. Sedavvero volessero liberarsi dinoi(osservavaconcuriositàilpensiero che cominciava adipanarsi nella sua testa, acrescerecomeunapianta),sedavvero volesserodimenticarci per sempre,dovrebbero consegnarci

vanghe e picconi e ordinarcidi scavare; poi, una voltastrematidallavoro,dopoaverscavato una buca gigantescain mezzo al campo,dovrebbero ordinarci discendere lí dentro e disdraiarci; e una volta stesitutti là dentro, dovrebberobuttaregiútendeebaraccheeabbattere la recinzione, escaraventarci addosso tutto:baracche, recinzione, tende e

qualsiasi cosa ci sia maiappartenuta, e poi ricoprircidi terra e spianare. Allora,forse, potrebbero cominciarea dimenticarci. Ma chiriuscirebbe a scavare unabuca cosí? Certo non trentauomini,siapureconl’aiutodidonne, vecchi e bambini,certo non cosí come siamomessiora,connient’altrochevangheepicconi,qui,nelvelddurocomelapietra.

Sembrava piú da Robertche da lui, per come siconosceva, pensare in quelmodo. Doveva forsericonoscere che si trattava diun pensiero di Robert cheaveva semplicemente trovatospazionellasuatesta?Oppurepoteva dire che, anche se ilgerme era venuto da Robert,il pensiero, essendoglicresciuto dentro, era ormaisuo?Nonsapeva.

Poi il lunedí il camiondelComunearrivòcomealsolitoper portarli al lavoro. Primadi farli salire a bordo, leguardie controllarono i loronomisuunalista.Perilresto,tutto sembrava immutato.Furono scaricati in diversefattorie di zona, secondol’ordine di servizioconsegnato all’autista. Kinsieme a due compagni siritrovò assegnato alla

riparazionediunarecinzione.Era un lavoro lento, perchénon usavano fil di ferronuovo ma pezzi di quellovecchioche,quandovenivanouniti, si arrotolavano indirezioni imprevedibili. A Kpiaceva la tranquillità e laripetitività di quel lavoro.Passarono una settimananellastessafattoria,arrivandoal mattino e andando via lasera, certi giorni riparando

appena qualche centinaio dimetridirecinzione.Unavoltail fattore chiamò da parte K,gli diede una sigaretta e lolodò. – Ci sai fare col fil diferro, – gli disse. – Dovrestifarlo di mestiere. Ci saràsempre bisogno di braviartigiani specializzati nelsettore in questo paese,comunquevadano le cose.Seallevi bestiame, hai bisognodeirecinti,semplice–.Anche

a luipiaceva il fildi ferro,glidisse. Gli rincresceva doverusare materiali di scarto, machealtroc’eraadisposizione?Allafinedellasettimanadiedeagli uomini la paga base,mainaggiuntaregalòlorofrutta,pannocchie verdi e vestitiusati. A K diede un vecchiogolf, agli altri uno scatolonepieno di indumenti smessipermogli e figli.Tornandoacasa, sul camion, uno dei

compagni di K, frugandonellascatola,pescòunpaiodigrandi mutandoni di cotoneda donna. Li tenne in puntadi dita, a distanza, arricciò ilnaso, e li lasciò cadere. Ilventodellacorsalirisucchiòeli trascinò via in un vortice.Dopodiché buttò via l’interascatola.

Quella notte c’eranoliquori nel campo e scoppiòuna rissa. Guardandomeglio

K vide uno dei volontari,quello che diceva di avere ildiabete,vicinoalfuocochesistringeva una cosciachiedendo aiuto. Aveva lemani luccicanti di sangue euna gamba dei calzonibagnata. Continuava agridare: –Chemi accadrà? –Si poteva perfino vedere ilsangue colargli fra le dita,denso come olio. Da ogni

partearrivavagentedicorsaaosservarelascena.

K corse al cancello,dove idue poliziotti stavano diguardia, scrutando indirezione del trambusto. –Quell’uomo è statoaccoltellato, – balbettò, –sanguina, lo dovete portareall’ospedale.

Le guardie si scambiaronounosguardo.–Portaloqui,–disseuno,–chepoivediamo.

K tornò indietro di corsa.L’uomo ferito sedeva con icalzoni abbassati intorno allecaviglie,parlandosenzasosta,estringendosilacoscia,dacuicontinuava a sgorgare ilsangue. – Lo dobbiamoportarealcancello!–gridòK.Era la prima volta che alzavala vocenel campo, e la gentelo guardò incuriosita. –Portateloalcancello,poi lorolo porteranno all’ospedale! –

L’uomo che stava a terraannuí con forza. – Portatemiall’ospedale, guardate quacomesanguino!–gridò.

Il suo compagno, l’altraguardia volontaria, si fecestradafinoalui,coninmanoun asciugamano che cercòdistringere intorno alla ferita.Qualcunodiedeunagomitataa K, era uno degli uominidellealtrebaracche.–Lascialiperdere, lascia che si aiutino

tra di loro, – disse. La follacominciò a disperdersi. Benpresto rimasero solo ibambinieKaguardareilpiúgiovane legare la coscia delsuo compagno piú anzianonellalucetremolante.

Knonscoprímaichiavevaaccoltellato la guardia eneppure se fosse guarita,perchéquellafulasuaultimanotte al campo. Mentre tuttigli altri se ne andavano a

letto,luiavvolsefurtivolasuaroba nel cappotto nero,sgattaiolò fuori e si mise adaspettare dietro alla cisternacheleultimebracifosserodeltuttospente,finoachenonsiudí altro rumore che quellodel vento sul veld. Aspettòun’altraora,scossodabrividiper il fatto di essere statosedutoimmobilecosíalungo.Poi si tolse le scarpe, se leappesealcollo,andòinpunta

dipiedifinoallaretedietrolelatrine, lanciò il fagottodall’altra parte, e siarrampicò.Cifuunmomentoin cui, scavalcando la rete, icalzoni gli s’impigliarono sulfilo spinato, e lui si ritrovò aessere facile bersaglio controil cielo di un azzurroargentato;mapoisidistricòefuggívia inpuntadipiedi suun suolo sorprendentemente

ugualeaquellodall’altrapartedellarecinzione.

Camminò tutta la nottesenza avvertire fatica,tremando a volte perl’eccitazione di essere libero.Quandocominciòaschiarire,lasciò la strada e prese per icampi. Non incontrò animaviva,anchesepiúdiunavoltatrasalí per via di qualchemontone che sbucava alloscoperto e scompariva di

corsa super le colline.L’erbabianca e secca ondeggiava alvento, il cielo era azzurro, ilsuo corpo pieno di vigore.Facendo larghigiri,costeggiòdapprima una fattoria, poiun’altra. Il paesaggio era cosídesertocheavoltenonglieradifficilecrederecheilsuoerailprimopiedeaposarsisuunparticolarepezzettoditerraoa smuovere un certo sasso.Ma ogni una o due miglia

c’era una recinzione aricordargli che era untrasgressore, oltre che unfuggiasco. Abbassandosi perpassare attraverso lerecinzioni, provava il piaceredell’artigiano per quel filocosí teso che vibravaronzando quando venivatirato. E d’altra parte nonriusciva a immaginare dipassare la vita apiantarepaliperterra, tiraresurecinzioni,

dividerelaterra.Nonpensavaasestessocomeaqualcosadipesante che lasciava segnidietrodisé,macasomaicomea un granello sulla superficiediunaterrasprofondatainunsonno troppo profondo pernotareilgraffiodiunazampadi formica, lo stridere deidentidiunafarfalla,ilcaderedellapolvere.

Salísuperl’ultimopendio,colcuorecheglibattevaforte.

Appena arrivò sulla cima, inbasso gli apparve la casa,dapprima il tetto con ilfrontone rotto, poi le muraintonacate,tuttocomeprima.Sicuramente, pensò,sicuramente ormai sonosopravvissuto all’ultimo deiVisagie; sicuramente ognigiorno che ho passatovivendod’ariasullemontagneo facendomi divorare daltempo nel campo dev’essere

stato un giorno lungo dasopportare per quel ragazzo,che mangiasse o morisse difame, che dormisse o stessesveglionelsuonascondiglio.

La porta sul retronon erachiusa a chiave. Quando Kapríconunaspintailbattentesuperiore, qualcosa schizzòvia sbattendogli quasi infaccia e scomparve dietro unangolo: un gatto, un gattoenorme, dal pelo a macchie

nere e arancioni. Non avevamai visto un gatto nellafattoria.

Lacasapuzzavadicaldoedipolvere,maanchedigrassorancido e di cuoio nonconciato. Il fetore peggioravaman mano che si avvicinavaalla cucina. Arrivato sullaportadellacucina,esitò.Sonoancora in tempo, pensò, intempo per cancellare le mieormeeandareviainpuntadi

piedi.Perché,qualunquesiailmotivo per cui sono tornato,non è certo per vivere comevivevano i Visagie, dormiredove dormivano loro, sederenella loroverandaaguardarela loro terra. Se questa casadovesseessereabbandonataediventare il rifugio di tutti ifantasmi di tutte legenerazioni dei Visagie, nonme ne importerebbe niente.

Non è per la casa che sonovenuto.

La cucina, in cui brillavaunraggiodisolefiltrandodalbuco sul tetto, era vuota. Lapuzza veniva dalla dispensa,dove,scrutandonell’ombra,Kriuscíascorgereunquartodipecoraodicapraappesoaununcino. Anche se dellacarcassa era rimasto ormaibenpocosenonleossatenuteinsieme da una pelle secca e

grigia, le mosche dal ventreverde ancora le ronzavanoattorno.

K lasciò la cucina eesaminò il resto della casacercando nel buio le traccedel giovane Visagie o gliindizi del suo nascondiglio.Non trovò nulla. I pavimentierano rivestiti da un recentevelodipolvere.Laportadellasoffittaerachiusadall’esternocon un lucchetto. I mobili

stavano dov’erano semprestati, e non c’erano segnievidenti della sua presenza.Piantatoalcentrodellastanzada pranzo, K trattenne ilrespiro attento al piú lievefrusciochevenissedall’altoodal basso; ma il cuore delnipote, se c’era un nipote edera ancora vivo, battevaall’unisonocolsuo.

Uscí al sole e imboccò ilsentierocheattraversailveld,

per raggiungere la diga e ilcampodoveavevadispersoleceneridisuamadre.Lungolastrada riconobbe ogni pietra,ogni cespuglio. Alla diga sisentí a suo agio come non siera mai sentito nella casa. Sisdraiò a terra a riposare colcappottoneroarrotolatosottola testa. Guardava il cieloruotargli attorno. Vogliovivere qui, pensò, vogliovivere per sempre qui, dove

hanno vissuto mia madre emia nonna. Solo questo. Chepeccato che per vivere intempi come questi un uomodebbaesseredispostoaviverecome una bestia. Un uomoche vuole vivere non puòvivere in una casa con lefinestre illuminate. Devevivereinunatanaedigiornonascondersi. Un uomo devevivere in modo da nonlasciare tracce della sua vita.

A questo punto siamoarrivati.

La diga era asciutta, l’erbaun tempo rigogliosa che lecresceva intorno era fragile,bianca, morta. Non c’eratraccia delle zucche e dellepannocchie che avevaseminato. Le erbe del veldavevano invasol’appezzamento che lui avevadissodato e crescevanovigorose.

Tolseilfrenodellapompa.La ruota cigolò, oscillò,sussultò e cominciò a girare.Il pistone andò giú e ritornòsu. L’acqua sgorgò, prima afiottimarronidi ruggine, poilimpida. Tutto era rimastocomel’avevalasciato,comeselo ricordava quando stavasulle montagne. Abbandonòlamanonell’acquacorrenteesentí la forza con cui glitrascinavaindietroledita.Poi

scesenelladigaesimisesottoil fiotto dell’acqua, con lafaccia in su come un fiore, abereeacrogiolarsinell’acqua;avrebbe voluto che nonfinissemai.

Dormí all’aperto e sisvegliò da un sogno in cui ilgiovane Visagie, tuttoraggomitolatoalbuiosotto leassi del pavimento, con iragni che gli camminavanoaddosso e il grande armadio

che gli pesava sopra la testa,biascicavaparole,preghiereolamenti o ordini, non sapevabene, che non riusciva asentireoacapire.Si tiròsuasedere tutto indolenzito edesausto.Nonmipuòrubareilprimo giorno, quello!Brontolò tra sé. Non sonotornato qui a fargli da balia!Se l’è cavata per tutti questimesi,potràcontinuareafarloancora un po’! Avvolto nel

cappotto nero serrò lemascelle e aspettò l’alba, conun desiderio disperato ditornareascavareeapiantarecome si era ripromesso, nonvedendol’oradiaverrisoltoilproblema di costruirsi unadimora.

Tutta la mattina andò ingiro per il veld, cercando trale gole poco profonde chepartivano dai fianchi dellecolline e le faglie dove la

roccia si rompeva in lineenette. A trecento metri dalladiga due basse colline, comefloridi seni, si curvavanounaverso l’altra.Nelpuntoincuis’incontravano, i loro fianchiformavano un crepaccio inpendiodoveunuomopotevascendere sino all’altezza dellavita e lungo tre o quattrometri. Il fondo del crepaccioeracopertodiunaghiaiafineazzurroscuro, la stessachesi

poteva staccare a schegge daifianchi della collinetta. Fu lícheKsisistemò.Dalcapannovicino alla fattoria prese gliarnesi, una vanga e unoscalpello. Dal tetto di unostazzoper lepecoreportòviauna lamiera ondulata di unmetroemezzo.Afaticariuscía estrarre tre pali direcinzione dall’intrico dipezzi rotti di recinto sottol’orto abbandonato. Portò

tutto alla diga e si mise allavoro.

Per prima cosa scavò ifianchidelcrepaccioinmodoche il fondo fosse piú largodella sommità, quindi spianòil letto di ghiaia. Con unmucchietto di pietre chiusel’estremità piú stretta, poiposò i tre pali a cavallo delcrepaccio e sui pali mise lalamiera ondulata; per tenerlaferma ci poggiò sopra delle

lastre di pietra.Adesso avevauna caverna o una tanaprofonda piú di un metro emezzo. Quando indietreggiòversoladigaperispezionareillavoro, però, notòimmediatamente il bucoscuro dell’entrata. Cosí passòil resto del pomeriggio incerca di un sistema percamuffarla. Al crepuscolo siaccorse con stupore di aver

passatounaltrogiornosenzamangiare.

Il mattino seguentetrascinòdentrosacchipienidisabbiadelfiumedaspargereaterra. Staccò delle lastre dipietradaglistratidirocciadelpendioe conquelle costruí ilmuro anteriore, lasciandosiper entrare solo una fessurairregolare attraverso la qualesgusciare. Fece poi unimpasto di fango e di erba

secca che infilò in tutte lefessure tra tetto e pareti.Soprail tettosparse laghiaia.Non aveva mangiato nientetutto il giorno, e neppure neaveva sentito il desiderio,masi rese conto di lavorare piúlentamente e anche che atratti rimaneva in piedi ochino dinanzi alla sua opera,conlamentealtrove.

Mentreriempivalefessurecon il fangochepoi livellava,

gli venne in mente che laprima pioggia violentaavrebbeportatoviatuttoquelsuo paziente lavoro dicostruzione. Anzi l’acquapiovana si sarebbe riversataafiotti giú per la golainondandogli la casa. Avreidovuto stendere un letto dipietresottolasabbia,pensò,emisareidovutogarantireunagrondaia.Mapoipensò:Nonmi sto costruendo una casa

vicinoalladigaperlasciarlaineredità alle generazionifuture. Quello che facciodev’essere casuale,improvvisato, un rifugio daabbandonare senza strette alcuore. Cosí che semmaitroveranno questo luogo o lesue rovine, e scuoteranno ilcapo, dicendo: ma che razzadi inetti, certonondovevanoandare fieri del loro lavoro!nonavràalcunaimportanza.

Nel capanno era rimastaancora unamanciata di semidizuccaedimelone.Ilquartogiorno dopo il suo ritornoKsirisolseapiantarli,liberandoun pezzetto di terra perciascunsemenelmared’erbadel veld che ondeggiava sulcimitero delle sue precedenticolture. Non osò piú irrigarel’interocampo,perpauracheil verde vivo dell’erba nuovalo tradisse. Cosí innaffiava i

semi uno per uno, portandol’acqua dalla diga in unvecchio barattolo di vernice.Finito quel lavoro, non c’erapiú altro da fare se nonaspettare che i semigermogliassero,ammessochelo facessero.Sene stavanellasuatanapensandoaqueisuoipoveri secondi figli checominciavanolalorolottaperemergere dalla nera terraverso il sole. Il suo unico

timore era di non aver fattobene a seminarli alla finedell’estate.

Mentresiprendevacuradiquei semi e aspettava che laterraproducesseilcibo,ilsuostessobisognodiciboandavasempre piú scemando. Lafame era una sensazione chenonprovavaechericordavaamalapena. Se mangiava, emangiava quello che gliriusciva di trovare, era solo

perché non si era ancoraliberato dell’idea che i corpiche nonmangianomuoiono.Ma non gli importava nientedi quel che mangiava. Nonaveva sapore, o sapeva dipolvere.

Quando ilciboverrà fuorida questa terra, si diceva,ritroverò l’appetito, perchéavràsapore.

Dopo i tempi duri sullemontagne enel campo il suo

corpoeraridotto tuttoossaemuscoli. I vestiti, già cosímalandati, gli pendevanoaddossosenzaforma,eppure,quando si aggirava per il suocampo godevaprofondamentedelsuoesserefisico. Il suo passo era cosíleggero che sfiorava appenaterra. Gli sembrava possibilevolare; gli sembrava possibileesseresiacorpochespirito.

Tornò a mangiare insetti.

Da quando il tempo gli siriversava addosso con quelsuo flusso interminabile,potevapassaremattine interesteso sul ventre presso unformicaioatirarfuoriconunfilo d’erba le larve una dopol’altra e a cacciarle in bocca.Oppure staccava la cortecciadagli alberimorti in cerca dilarve di scarabeo o con lagiacca acchiappava al volo lecavallette, gli staccava testa,

zampe e ali, e riduceva ilcorpo in una poltiglia daseccarealsole.

Mangiava anche radici.Non aveva paura diavvelenarsi, perché aveva lasensazione di saperdistinguere un innocuosapore amaro da unopericoloso,comeseunavoltafosse stato un animale e nelsuo intimo non si fosse maispenta la capacità di

riconoscere le piantecommestibili da quellevelenose.

Il suo rifugio era a pocopiú di unmiglio dal sentieroche passava attraverso lafattoria e poi con un largogiro si raccordava alla stradasecondaria che portava finoalle zone piú remote dellaMoordenaarsvallei. Perquantofosseunsentieropocofrequentato, bisognava

comunque stare attenti.Molto spesso, sentendo ilrombolontanodiunmotore,K doveva chinarsi rapido enascondersi. Una volta checamminava pigramente nellettodelfiumealzòpercasolatesta e vide passare pocodistanteuncarrotiratodaunasinoeguidatodaunvecchiocon qualcuno accanto, unadonna o un bambino.L’avevano visto? Spaventato

all’idea che muovendosiavrebbe attratto l’attenzionesu di sé, rimase lí, sotto gliocchi di chiunque volessevederlo, immobile, comeinchiodato, a fissare il lentoprocederedelcarrettolungoilsentiero e dietro la primacollina.

Non meno fastidiosa diquesta cautela incessante erala necessità di usare l’acquacon estrema parsimonia. Le

pale della pompa nondovevano mai essere viste inmovimento, la diga dovevasembrare sempre vuota, cosíera solo alla luce lunare,oppure con molta ansia alcrepuscolo,cheosavatogliereil freno e pompare qualchecentimetro d’acqua per poiportarlaallesuepiante.

Unavoltaoduegli capitòditrovareimprontedizoccolisul suolo umido, ma non ci

fece caso. Poi, una notte, fusvegliato da sbuffi e da unfracasso di zoccoli. Sgusciòfuori dalla sua casa e nericonobbe l’odore primaancora di vederle: erano lecapre che credeva fosseroandateviapersemprequandola diga s’era prosciugata.Mentreleinseguivacorrendo,inciampando e imprecando,tirando pietre, ancoraintontitodalsonnomaspinto

daldesideriodi salvare il suogiardino, cadde e una spinaglisiconficcònelpalmodellamano.Tuttalanotterimaseafare la guardia al campo. Lecapre ricomparvero alla lucedel primo mattino,punteggiando i fianchi dellacollina a gruppi di due e tre,inattesacheluiseneandasse.Dovette rimanere di guardiatuttoilgiorno,lanciandoloro

di tanto in tanto delle pietreperdisperderle.

Furono proprio quellecapre selvatiche, che con laloro presenza non solominacciavano il suo raccoltoma rendevano il campo benvisibile, a fargliprendereunadecisione: da quel momentoin poi avrebbe riposato digiornoesarebbestatosvegliodinotteperproteggerelasuaterra e dissodarla. In

principio riusciva a lavoraresolo nelle notti di luna: nelbuiofittoquandononc’eralaluna se ne stava inchiodato,conlemanitesedavantiasé,terrorizzato dalle sagomeinformicheimmaginavaglisiprofilassero davanti. Ma colpassare del tempo cominciòad acquistare la sicurezza diun cieco: tenendo unabacchetta tesa davanti a séprocedeva lungo il sentiero

che aveva finito per segnaretralacasaeilcampo,toglievailfrenodellapompa,aprivailrubinetto, riempiva il suobarattolo e portava l’acqua auna pianta dopo l’altra,piegando l’erba intorno pertrovarle. Gradualmente lanotte smise di fargli paura.Anzi, a volte, quando sisvegliavadigiornoesbirciavafuori, gli capitava di trasalireper la violenza della luce e

allora se ne tornava a lettoconunostranobaglioreverdedietrolepalpebre.

Era arrivata ormai la finedell’estate ed era piú di unmese che aveva lasciato ilcampo di Jakkalsdrif. Nonaveva mai cercato il giovaneVisagie, né gli sembrava dicapire che l’avrebbe fatto.Tentavadinonpensarci,maavolte gli capitava di chiedersisequelragazzononsifossea

suavoltascavatounatananelveld e non stesse vivendo daqualche parte nella fattoriauna vita simile alla sua,mangiando lucertole,bevendorugiadaeaspettandoche l’esercito si dimenticassedi lui. Gli sembravaimprobabile.

Evitava la fattoria comefosseunluogodimorti,salvoquando era costretto adandarciincercadiqualcosadi

veramente necessario. Avevabisognodi strumentiper fareil fuoco, e nella valigia con igiocattoli rotti aveva avuto lafortuna di trovare untelescopio di plastica rossa,una delle cui lenti facevaconvergere i raggi del solequanto bastava per riuscire acavare del fumo da unmucchietto di erba secca edargli fuoco.Da una pelle dicapra che trovò nel capanno

ritagliò delle strisce e si feceuna fionda per rimpiazzarequellacheavevaperduto.

C’erano tante altre coseche avrebbe potuto prendereper facilitarsi la vita: unagriglia,unapentola,unasediapieghevole, strati digommapiuma,altrisacchiperle granaglie. Frugò tra lecianfrusaglie del capanno enon c’era nulla di cui nonriuscisse a immaginare un

possibileuso.Maavevapauraa portare l’immondizia deiVisagie, per terra, nella suacasa, imboccandounsentieroche avrebbe potuto condurloa rivivere le loro sventure.L’errore piú grosso, si disse,sarebbestatoquellodicercaredifondareunanuovacasa,unfrontecontrapposto,apartiredai suoi modesti inizi, lí alladiga. Perfino i suoi attrezzidovevano essere di legno e

pelle e budella, materiali chegli insetti un giornoavrebbero mangiato quandononglifosseropiúserviti.

Appoggiato alla strutturadella pompa, avvertiva iltremito che la scuoteva ognivolta che il pistone arrivavafino in fondo, e sentiva lagrande ruota sopra la suatesta sferzare il buio, girandosui cuscinetti a sfera oliati.Che fortuna non avere figli,

pensava, che fortuna nonsentire il desiderio dipaternità. Non saprei comefare con un figlio, qui, inquesto deserto, un figlio cheavrebbe bisogno di latte, divestiti,diamici,diistruzione.Sarei un fallimento, sarei ilpeggiore dei padri. Mentrenonèdifficilevivereunavitafattasolodeltempochepassa.Iosonounodeifortunatichesfuggono al richiamo. Pensò

al campo di Jakkalsdrif, aigenitorichetiravanosuifiglidietro il reticolato, i figli loroequellideicuginidiprimoesecondo grado, su una terracosí battuta dai loro passi ungiorno dopo l’altro, cosíbruciata dal sole, che nientemai vi sarebbe piú cresciuto.Miamadreeracoleidicuihoriportato le ceneri, pensò, emiopadreeraHuisNorenius.Mio padre era l’elenco di

regole sulla porta deldormitorio,leventunoregole,la prima delle quali diceva:«Neidormitorivarispettatoilsilenzio, sempre», el’insegnante di falegnameriacheavevapersoalcuneditaemi stritolava l’orecchioquandolalineanoneradritta,e la domenica mattinaquando ci mettevano lecamicie cachi e i calzoncinicachi con le scarpe nere e i

calzettoni neri e marciavamoinrigaperduefinoallachiesadi Papegaai Street, perchiedere perdono. Tuttequellecoseeranomiopadre,emiamadre è sepolta e non èancorarisorta.Eperquestoègiusto che io, che non honientedatramandare,passilamia vita qui, in questo postofuorimano.

Nel mese trascorso daquandoera tornatononc’era

stato nessun visitatore, perquanto ne sapeva lui. Leuniche orme fresche nellapolvere sul pavimento dellafattoria erano le sue e quelledel gatto che, K non sapevacome, ma entrava e uscivaquandovoleva.Poi,unavolta,passando vicino alla casadurante una passeggiataall’alba, rimase fulminato nelvedere laportad’ingresso,dasempre chiusa, accostata. Si

fermò amenodi trenta passidall’occhioapertodellaporta,sentendosi all’improvvisonudocomeunatalpaallalucedelgiorno.Siritrasseinpuntadipiedialriparodel lettodelfiume e poi s’infilò di corsanellasuatana.

Per una settimana non siavvicinò alla fattoria ma siaggirò furtivo nel buio percurare il suo campo,terrorizzatoall’ideacheanche

ilminimocozzarediunsassocontro l’altro potesseriecheggiare in tutto il veld,tradendo la sua presenza. Legiovani foglie di zucca oraavevano proprio l’aspetto divivide bandiere verdi, asegnalare la sua occupazionedella diga: con dolore copríd’erbaitralci,arrivòperfinoapensare di reciderli. Nonriusciva a dormire, ma se nestava sdraiato sul suo letto

d’erba sotto il caloresoffocante che veniva daltetto, sforzandosi di captare irumori che gli avrebberoannunciato di essere statoscoperto.

Poi, a volte, i suoi stessitimori gli sembravanoassurdi, aveva momenti dilucidità in cui si rendevaconto che, tagliato fuoridall’umana convivenza,correvailrischiodidiventare

piúpaurosodiunconiglio.Suche base aveva deciso che laporta aperta significasse ilritorno dei Visagie o l’arrivodella polizia pronta aconsegnarlo al famigeratoBrandvlei? In un paese cosígrande, attraversato dacentinaia di migliaia dipersone che giorno dopogiorno, in fila indiana cometanti scarafaggi, facevano illoro pellegrinaggio in fuga

dalla guerra, perché maiavrebbe dovuto allarmarsi sequalche rifugiato sinascondeva in una fattoriaabbandonatadiqueldesolatoangolo di terra? Certamentelui o loro (K visualizzò unuomo che spingeva uncarrettocaricodimasserizieeuna donna che gli sitrascinava dietro, con duebambini, uno che dava lamano alla madre e l’altro

seduto sul carretto, in cimaallamontagna di cose, che sistringeva al petto un gattinomiagolante, tutti stanchimorti, col vento che soffiavapolvere sulle loro facce efaceva correre alti nel cielocumuli di nubi grigie),certamentequellagenteavevapiú ragione di temere lui, unselvaggio tutto pelle e ossa estracci che usciva dalla terraall’ora in cui volano i

pipistrelli, che non lui ditemereloro.

Ma poi pensava: E seinvece fossero dell’altro tipo?Soldatiinfuga,poliziottifuoriservizio venuti a sparare allecapre per divertimento,omaccionichesiterrebberolapancia dalle risate ai mieisotterfugi patetici, le miezucche nascoste tra l’erba, lamiatanacamuffatacolfango,emiprenderebberoacalci in

culo dicendomi di finirla,facendo di me un servocostrettoaspaccarelalegna,aportar loro l’acqua, arincorrere le caprespingendoleversoilorofucilicosíche loropotrebbero farsidelle braciole arrosto mentreio me ne starei accucciatodietro un cespuglio col miopiatto di interiora? Nonsarebbe meglio alloranascondersi giorno e notte,

non sarebbe meglio allora semi seppellissi nelle visceredella terra piuttosto chediventare una loro creatura?(E poi passerebbe mai loroper la testa l’idea ditrasformarmi in servo?Vedendo un selvaggioavanzare verso di loro nelveld, non comincerebberopiuttostoafarescommessesuchiperprimosarebberiuscito

aficcargliunapallottolanellatargadimetallosulberretto?)

I giorni passavano senzache succedesse niente. Il solesplendeva, gli uccellisaltavano da un cespuglioall’altro, il grande silenziorimbombava da un capoall’altro dell’orizzonte, e a Ktornò un po’ di coraggio.Passò un giorno interonascostoaguardarelafattoriamentre il sole seguiva il suo

arco da sinistra a destra,facendo spostare l’ombrasulla veranda da destra asinistra. La zona piú scura alcentro era forse una portaaperta, o la porta stessa? Eratroppo lontano per vedere.Quando scese la notte e silevò la luna, si avvicinò,arrivando fino all’ortoabbandonato. Non c’eranoluci in casa, né suoni. Siavventurò in punta di piedi

allo scoperto, in mezzo allacorte,finoaipiedideigradinidella veranda, da dovefinalmente vide che la portaera aperta comeprobabilmente era semprestata. Salí su per le scale edentrò in casa. Rimaseimmobile ad ascoltare nelbuio pesto dell’ingresso.Silenzioassoluto.

Quella notte la passòsdraiato su un sacco nel

capanno, ad aspettare. Riuscíperfino a dormire, anche senoneraabituatoadormiredinotte.Almattinorientrònellacasa. Il pavimento era statospazzatodapoco,ecosípurelagrata.Negliangoliancorasisentiva un vago odore difumo. In cimaall’immondizia, dietro ilcapanno, trovò sei nuovibarattoli di carne in scatolasenzaetichetta.

Tornò nella sua tana epassò la giornata nascosto,scossodallacertezzachenellafattoria c’erano stati deisoldati e che erano arrivati apiedi. Se erano a caccia diribelli sullemontagne o sulleorme di disertori o stavanosemplicemente facendo ungiro di ispezione perché nonerano venuti con le jeep o icamion? Perché simuovevano furtivi, perché

nascondevano le loro tracce?Ci potevano essere tantespiegazioni, ce ne potevanoesseremille,noneraingradodi leggere nelle loro menti,sapeva solo che era stato perpura fortuna che si erasalvato.

Quella notte non pompòl’acqua,sperandocheilsoleeilventoavrebberoasciugatoilfondodelladiga.Strappòaltraerba, intere bracciate, e la

sparse sopra le piantine dizucca rivelatrici. Poi rimasenascostorespirandopiano.

Passòungiornoeunaltroancora. Poi, mentre il solecalavaeKerauscitodallasuacasaperstiracchiarsi,l’occhioglicaddesudellesagomechesi muovevano attraverso lapianura.Sibuttògiúperterra.Aveva visto un uomo acavallo che avanzava verso ladiga,eunaltrocheloseguiva

a piedi; aveva anche vistochiaramente la canna di unfucile che spuntava dietro laspalla dell’uomo a cavallo.Cominciòa strisciareverso ilsuo buco come un verme,pensando solo: Fa’ che facciasubito notte, che la terra miingoiemiprotegga.

Da dietro l’altura dellacollinetta vicino all’ingressodella sua tana sporse la testaperguardareun’ultimavolta.

Nonerauncavallomaunasino, un asino cosí piccoloche quello che lo cavalcavaquasi sfiorava terra con ipiedi. Piú indietro c’era unaltro asino, senza nessuno ingroppa ma con un carico didue grossi sacchi grigi legatisui fianchi, e tra i due asinipotécontareottouomini,conunnonocheseguivainfondoalla colonna. Tutti eranoarmati di fucile, alcuni

sembrava portassero anchedei carichi. Uno aveva deicalzoniblu,unaltrogialli,matranne quei due gli altriportavanolatutamimetica.

Piú silenziosamentepossibile K indietreggiò finoallasuatana.Dallasoglianonriuscivaavederepiúnientediloro, ma nell’aria ferma lisentísmontarealladiga,sentíil rumore metallico dellacatenaquandotolseroilfreno

dellapompa,sentíperfinounbisbiglio di parole.Qualcunosalí sulla scala fino allapiattaformapiúalta,poiscesedinuovo.

Si fece sempre piú scuro,fino a che fu solo lo sbuffaredegli asini a rivelargli quantoeranoviciniglisconosciuti.Ksentíilcolposordodiun’ascianellettodelfiume,piútardiilcontorno della collinettasopra di lui cominciò a

distinguersineltenuebagliorearancione del loro fuoco. Cifu una folata di vento, iltimone oscillò, il metallocigolò, la ruota della pompafece un giro e si fermò. –Perché non c’è acqua? – leparolegligiunserochiare.Macenefuronoaltrechenongliriuscí di distinguere, seguitedauno scoppiodi risa.Poi ilvento si alzò di nuovo e lapompacigolòepreseagirare,

e tra le palme delle mani esotto le piante dei piedi Ksentí il primo botto delpistone che colpiva inprofondità la terra. Gioí insilenzio. Col vento gli giunsel’odoredellacarnearrostita.

Kchiusegliocchiepoggiòlafacciasullemani.Ormaigliera chiaro che non eranosoldati quelli che si eranoaccampati vicino alla diga,dopo essersi accampati nella

casa. Erano uomini dellemontagne, uomini chefacevano saltare le rotaie deitreni, mettevano mine sullestrade, assaltavano le fattorie,facevano andar via lemandrie, tagliavano icollegamenti tra le città.Quelli che la radio dicevasterminatiadozzineedicuiigiornali pubblicavanofotografie dove apparivanostesiconlebocchespalancate

in pozze del loro stessosangue. Erano questi i suoivisitatori. Eppure a luisembravano poco piú di unasquadra di calcio: undiciragazziuscitidalcampodopoungiocoduro, stanchi, felici,affamati.

Gli batteva il cuore.Quando se ne andrannodomattina, pensò, potreiusciredalmionascondiglioecorrergli dietro, come un

bambino che insegua labanda. Dopo un po’ siaccorgerebbero di me e sifermerebbero a chiedermicosa voglio. Io potrei dire:datemi un sacco da portare;lasciate che tagli la legna pervoi e faccia il fuoco alla sera.Oppure potrei direricordatevi di venire a questadiga laprossimavolta,e iovidaròdamangiare.Alloraavròda darvi zucche e zucchine e

meloni, avrò pesche e fichi efichi d’India, non vimancherà niente. E loropotrebberovenirelaprossimavoltachesarannodirettiversole montagne o dovunque siachevannodinotte,e iodareiloro da mangiare e poi misiederei insieme a lorointorno al fuoco e berrei auna a una le loro parole. Lelorostoriesarannodiversedaquelle che raccontavano al

campo, perché il campo eraper quelli rimasti indietro, ledonnee ibambini, ivecchi, iciechi,glistorpi,gliidioti,pergente che non ha niente daraccontare senon le storiediquello che ha dovutosopportare. Invece questigiovani hanno avuto le loroavventure, vittorie e sconfittee fughe. Loro avranno storieda raccontare per tantotempo dopo la fine della

guerra, storie per una vita,storie che i loro nipotiascolterannoaboccaaperta.

Eppure nel momentostesso in cui si piegava sullescarpe per controllare chefossero allacciate, K si reseconto che non sarebbesgusciato fuori di lí e non sisarebbe rizzato in piedi perandaredalle tenebre alla lucedel fuoco a presentarsi.Sapeva perfino la ragione:

perché tanti uomini eranoandatiallaguerradicendochesolo quando la guerra fossefinita avrebbero potutoriprendere a occuparsi dellaterra; e invece era necessarioche qualcuno rimanesseindietro e continuasse acurare la terra, a tenere vivaquell’arte o almeno l’idea diquell’arte. Perché una voltache si fosse spezzato quelcordone, la terra sarebbe

diventata dura e avrebbedimenticato i suoi figli. Eccoperché.

Traquelmotivoelaveritàche non si sarebbe maiconfessato, comunque, c’erauno spazio vuoto, piú largodelladistanzacheloseparavada quei fuochi. Sempre,quandocercavadi spiegarsiasestesso, rimanevaunvuoto,unbuco,unbuiodi frontealqualelasuaragionevacillava,

unvuotonelqualeerainutileversare parole. Le parolevenivano divorate e il vuotorimaneva. La sua era sempreuna storia con dentro unbuco: una storia sbagliata,sempresbagliata.

Gli tornò in mente HuisNorenius e la sua classe.Paralizzatodalterrore,fissavail problema che aveva difronte mentre il maestro siaggiravatralefile,contandoi

minuti che avevano adisposizione fino a che nongiungesse il momento diposare lapenna sul banco edessere divisi: da una parte lepecore bianche, dall’altraquelle nere. Dodici uominimangianoseisacchidipatate.Ogni sacco contiene sei chilidipatate.Qualèilquoziente?Rivide sé stesso scrivere 12,rivide sé stesso scrivere 6.Nonsapevachecosafarcicon

quei numeri. Li cancellòentrambi. Fissò la parolaquoziente. Non cambiava,non si dissolveva, nonrivelava il suo mistero.Morirò, pensò, senza saperechecos’èilquoziente.

Rimase sveglio quasi tuttalanotteasentireladigachesiriempiva lentamente,scrutando di tanto in tantonella luce stellare per vederesegliasinisieranoquietatio

stavano ancora brucando tralesuezucche.Poidovevaaversonnecchiato perché siriscosse sentendo qualcunochecamminavapesantementesulla terra sotto di lui,battendolemani,rincorrendogli asini, e lemontagnegià sistagliavano,azzurrecontro losfondodelcielorosa.Ilventoera calato, e l’aria portavadeboli suoni: il tintinnare diun secchio, il rumore

metallicodiuncucchiaino inuna tazza, lo spruzzodell’acqua.

Adesso, pensò,svegliandosi del tutto, questaè l’ultima occasione.Sgattaiolò fuori della tanaall’aperto e avanzando aquattro zampe, andò ascrutare oltre il dorso dellacollinetta.

C’eraunuomochesistavaarrampicandosuperlaparete

della diga. Usciva fuori dallafredda acqua notturna, siissava sul bordo del muro erimaneva lí ad asciugarsi conun telo bianco, con la primamorbida luce del giorno cheglirisplendevasulnudocorpobagnato.

Due uomini stavanocaricando un asino, uno lotenevaperlebriglie,l’altroglimetteva sulla groppa,fissandoliperbene,duegrossi

sacchi di tela e un lungofagotto tubolare a sua voltaavvoltonellatela.

Ilrestodelgruppoeraaldilà della diga; ogni tanto Kvedevamuoversiunatesta.

L’uomo che prima stavasulmuroriapparve,vestito.Sichinò e aprí il rubinetto.L’acqua prese a scorrere afiottiperivecchisolchicheKaveva scavato durante la sua

prima permanenza allafattoria,poiinvaseilcampo.

Questoèunerrore,pensò,questoèunsegno.

Lo stesso uomo bloccò dinuovoilfrenodellapompa.

Cominciarono a muoversiverso est tracciando unalunga linea tortuosa nel veld,diretti alle montagne. Unasinoapriva la filaeunaltro,incoda, lachiudeva,eilsole,adesso sull’orlo del mondo,

gli splendeva dritto in faccia.K li guardò da dietro lasommità della collina fino ache non furono altro chepunti beccheggianti sull’erbagialla, pensò: Non è troppotardipercorrerglidietro,nonè ancora troppo tardi. Poi,quando furono finalmentescomparsi,uscífuoriefeceungiro del campo allagato pervedere i danni irreparabilifattidagliasini.

I loro segni eranodappertutto. Non soloavevano brucato le piantinema inmolti punti le avevanoschiacciate. C’erano lunghitralci staccati serpeggianti tral’erba le cui foglie erano giàaccartocciate e avvizzite. Ipochi semi che eranogermogliati, piccolenoccioline non piú grandi dibiglie, erano stati divorati.Aveva perso mezzo raccolto.

Perilrestoglisconosciutinonavevano lasciato alle spallealtretraccedelloropassaggio.Dove avevano fatto il fuocoavevano sparso terra e sassicosí accuratamente che solodal calore si potevaindividuare il punto. La digasi era svuotata da un pezzo;chiuseilrubinetto.

Si arrampicò su per ilfianco della collina sopra lasua tana e, sdraiato sulla

sommità, scrutò in direzionedelsole.Nonsivedevaniente.Eranoconfusiconlecolline.

Sono come una donna icui figli se ne sono andati dicasa,pensò,nonmirestaaltroda fare che mettere tutto inordine e ascoltare il silenzio.Misarebbepiaciutonutrirli,einvece ho nutrito solo i loroasini, che avrebbero potutobenissimo mangiare l’erba.Strisciò dentro la tana, si

distese fiacco e chiuse gliocchi.

Piútardiquellamattinafusvegliato dal frastuono di unelicottero. Gli passò sopra latesta, seguendo il corso delfiume.Unquartod’oradoporipassò,volandobasso,questavoltadirettoanord.

Vedranno che la terra èstata allagata, pensò.Vedranno che l’erba è piúverde.Vedrannoilverdedelle

zucche. Le foglie sono comebandierechesventolanoversodi loro. Dall’alto possonovedere tutto, tutto quello cheper natura non si nascondesotto terra. Dovrei coltivarecipolle.

Sono ancora in tempoperscappare sulle montagnepensò, anche se mi limito anascondermi in una grotta.Ma la fiacca non loabbandonava. Che vengano,

pensò, che importa? E siriaddormentò.

PerunasettimanaKfupiúcauto chemai.Non uscímaidalla sua tana durante ilgiorno e diede cosí pocaacqua alle piante rimaste chelefogliesipiegaronoflosceeiviticciappassirono.Sradicòlepiante che erano statebrucate. Se ogni fiore sitrasforma in frutto, si disseguardando quel che era

rimasto, non avrò nemmenoquarantazucche.Seriportanoqui i loro asini, non ne avrònemmeno una. Non era piúquestione di avere un floridoraccolto,maalmenodiavernea sufficienza per non restaredel tutto senza semi. Ci saràun altro anno, si consolò,un’altra estate in cuiriprovare.

L’estateeraormaiallafine.Dopogiornidiafasoffocante

e di pesanti banchi di nubi,scoppiò un temporale.L’acqua invase la gola eK fucostrettoalasciarelasuatanaalluvionata. Si rannicchiò alriparo del muro della diga,zuppo, sentendosi come unalumaca senza il suo guscio.Dopoun’orasmisedipiovere,gli uccelli cominciarono acantare e a ovest comparvel’arcobaleno. Trascinò fuoridallatanailmaterassodierba

zuppod’acquaeaspettòcheiltorrente finisse di scorrere.Poi impastò del fango e siapprestò a cospargerlo dinuovosultettoesullemura.

Gli asini non tornarono eneppuregliundiciuomini,négli elicotteri. Le zucchecrebbero.DinotteKuscivaeandava furtivo adaccarezzarne la scorza liscia.Ogni notte eranosensibilmentepiúgrandi.Col

passare del tempo cominciòdi nuovo a coltivare in cuorsuo la speranza che tuttosarebbe andato bene. Sisvegliava durante il giorno edalla tana scrutava il suocampo; da sotto la coperturad’erba qua e là luccicavatranquilla qualche zucca,rispondendo quasi al suosguardo.

Tra i semi che avevaseminato ce n’era uno di

melone. Ora due pallidimeloni verdi stavanocrescendoinfondoalcampo.Gli sembrava di amare queidue, che lui immaginavacome sorelle, ancora di piúdelle zucche, alle qualipensavacomeaungruppodifratelli.Sottoimelonisistemòcuscinettid’erbainmodochenonsiammaccassero.

Poi arrivò la sera in cui laprima zucca fu matura

abbastanza da essere tagliata.Eracresciutapiúvelocementeeprimadellealtre,proprioalcentrodelcampo.Kneavevapreso nota considerandolacome il primo frutto, ilprimogenito. La buccia eramorbida, la lama del coltelloaffondò senza incontrareresistenza.Lapolpa,ancheseancora contornata di verde,era di un arancione intenso.Mise sulle braci, che

emanavano un baglioresempre piú forte man manoche faceva notte, la griglia difilodi ferro che aveva fatto esopra ci appoggiò fette dizucca. L’aroma di quellapolpa che si bruciacchiavaarrivòfinoalcielo.Ripetendole parole che aveva appreso,ma rivolgendole alla terra sucuis’era inginocchiato inveceche al cielo, pregò: – Perquello che stiamo per

ricevere, fa’ che siamosinceramente grati! – Condue spiedi di fil di ferro giròlefette,eametàdiquelgestosentí all’improvviso il cuoretraboccargli di gratitudine.Era proprio come l’avevanodescritto, come un fiotto diacqua calda. Ora nonmancaniente, si disse.Nonmi restacheviverequitranquilloperilresto dei miei giorni,mangiando il cibo che ilmio

lavoroha fatto sí che la terraproducesse.Nonmirestachebadareallaterra.Siportòallabocca la prima fetta. Sotto lacroccante superficiebruciacchiata la polpa eratenera e succosa. La masticòcongliocchipienidi lacrimedigioia.Lamigliore,pensò,lamigliore zucca che abbiamaiassaggiato.Per laprimavoltada quando era arrivato incampagna provò piacere nel

mangiare. Il retrogusto dellaprimafettagli lasciò laboccaquasi dolorante di sensualedelizia. Tolse la griglia daicarboni e prese una secondafetta. I denti affondaronoattraverso la crosta nellapolpa soffice e calda. Unazucca cosí, pensò, una zuccacosí potrei mangiarla ognigiorno della mia vita, e nondesiderare mai altro. E checapolavoro sarebbe con un

pizzico di sale, un pizzico disale,unpezzettodiburro,unaspruzzatinadi zuccheroepo’di cannella sparsa sopra!Mangiando la terza fetta, laquarta e la quinta, fino a chenon ebbe fatto fuori metàdella zucca e la sua pancianonfupiena,Ksicrogiolònelricordo dei sapori di sale,burro, zucchero e cannella,unodopol’altro.

Ma il maturarsi delle

zucche portò con sé unanuova ansia. Perché se erastato possibile nascondere itralci, le zucche creavano deivuoti che perfino a distanzadavano al campo uno stranoaspetto,comediungreggediagnelli che si fosse messo adormire nell’erba alta.K fecequel che poté per cercare diricoprirelezucchepiegandovisopra l’erba, ma non osavacoprirle del tutto, perché era

proprioilpreziososoledifineestate a farlematurare.Tuttoquello che poteva fare eracoglierle appena possibile, eportarle via, prima che igambi appassissero, talvoltapersino quando c’eranoancora macchie verdi sullabuccia.

Igiornisifacevanosemprepiú corti, le notti piú fredde.A volte K doveva mettersi ilcappotto nero per lavorare

nel campo; dormiva con ipiedi avvolti in un sacco e lemani tra le cosce. Dormivasempre piú a lungo. Quandoavevafinitoilsuolavoro,nonsenestavapiúsedutofuoriaguardarelestelle,adascoltarela notte, a camminare per ilveld, ma strisciava dentro ilsuo buco e crollava in unsonno profondo. Dormivatutta la mattina. Amezzogiorno cominciava a

riemergere in uno stato dilanguore, pieno di sogni aocchi aperti, avvolto dalteporecheemanavadaltetto;poi, mentre il soletramontava, usciva fuori, sistiracchiavaescendevafinoalletto del fiume a tagliare lalegna fino a chenon riuscivapiúavederelatacca.

Aveva scavato una fossaperfareil fuocoinmodochenon si vedesse da lontano e

avevacostruitountunnelchefungeva da sfiatatoio. Dopomangiato, metteva due lastredi pietra sopra la fossa e lecospargeva di terra. Cosí lebraci continuavano a covaresotto la cenere finoallanottesuccessiva. Intorno alla fossasieraformataunamultiformecoloniadiinsettiattrattilídalteporepiacevoleecontinuo.

Non sapeva che mesefosse, anche se immaginava

che fosse aprile. Non avevatenuto il conto dei giorni nésegnatolevariefasidellaluna.Non era un prigioniero o unnaufrago, la sua vita vicinoalla diga non era unacondannadascontare.

Eradiventatounacreaturadelcrepuscoloedellanotte,alpunto che la luce del giornogliferivagliocchi.Nonavevapiú bisogno di seguire isentieripermuoversi attorno

alladiga.Unsensopiú tattileche visivo, la sensazione dipressione prodotta dallapresenza di qualcosa sullepalpebreesullapelledelviso,loavvertivadiogniostacolo.Isuoi occhi non sifocalizzavanosunullaperoreeore,comequellidiuncieco.Aveva anche imparato acontare sull’odorato. Siriempivaipolmonidell’odorelimpidoefragrantedell’acqua

che risaliva su dalle visceredella terra. Lo inebriava, nonne aveva mai abbastanza.Anche senonne conosceva inomi, era in grado didistinguere un cespugliodall’altro per via dell’odoredelle foglie. Era capace diriconoscere nell’aria l’odoredellapioggiaimminente.

Ma soprattutto l’estatepiegava verso la fine e luicominciava ad amare l’ozio,

l’ozio non piú come unintervallo di libertàrubacchiatoquaelàallafaticaimposta,comepiccolifurtidagodersi accovacciato suitallonidavantiaun’aiuolacoltridente che gli penzolava trale dita, ma come un suoconsegnarsi al tempo, altempo che fluiva lento comel’oliodaunorizzonteall’altrosullafacciadelmondo,cheglicorrevaper tutto il corpo, gli

circolava nelle ascelle enell’inguine,glifacevavibrarele palpebre. Quando dovevalavorare non era felice eneppureinfelice;perluieralostesso. Era capace di staretutto il pomeriggio sdraiatocongliocchiaperti,fissisulleondulazioni della lamiera deltettoesulletraccediruggine;non concedeva alla mente divagheggiare,nonvedevaaltroche la lamiera, le lineenonsi

trasformavanoindisegnioinimmagini fantastiche;rimanevasestesso,stesonellasua casa la ruggine erasemplicemente ruggine, amuoversi era solo il tempoche losostenevaesospingevain avanti nel suo flusso.Unavolta o due l’altro tempo,quello in cui esisteva laguerra, gli si ripresentò allamemoriainformadiaereidacombattimento che

passavano fischiando in altosopra lasuatesta.Per ilrestovivevasvincolatodacalendarie orologi, in un angolobenedetto d’oblio, mezzoaddormentato,mezzosveglio.Come un parassita chesonnecchi nelle viscere,pensava, come una lucertolasottounapietra.

«Parassita» era una parolache aveva sentito usare dalcapitano della polizia: il

campodiJakkalsdrif,uncovodi parassiti attaccatisi allalinda e soleggiata cittadina,che ne mangiavano la linfavitale, senza dare niente incambio. Eppure a K, chegiaceva pigramente nel suoletto, riflettendo sulla cosaspassionatamente(Chemeneimportadopotutto?pensava),nonerapoi cosí chiaroqualefosse l’ospite e quale ilparassita, se il campo o la

città. Se il verme divorava lapecora, perché la pecoraingoiava il verme? E se cifossero stati milioni dipersone, molti di piú diquanti non si pensasse, chevivevano nei campi, chevivevano di elemosina, chevivevano della terra, chevivevano di espedienti, chestrisciavano via negli angolipercercaredisottrarsiailorotempi, troppo astuti per farsi

registrare sventolandobandiere e attraendo sudi sél’attenzione? E se gli ospitifossero stati sopraffatti pernumero dai parassiti, daiparassiti dell’ozio e da altriparassiti segreti, nell’esercito,nella polizia, nelle scuole,nelle fabbriche, negli uffici, iparassiti del cuore? Sarebbestato ancora possibilecontinuare a chiamare«parassiti»iparassiti?Anchei

parassiti avevano carne econsistenza, anche loropotevano divenire prede.Forseinveritàseerailcampoa venir dichiarato parassitadella città o la città parassitadel campodipendeva solodachiurlavapiúforte.

Pensò a sua madre. Gliaveva chiesto di riportarla làdov’eranataeluil’avevafatto,anche se forse solo con ungioco di parole.Ma se quella

fattoria dopotutto non fossestata il posto dov’era nata?Dov’erano le mura di pietradella casetta di cui parlava?Decisedivisitaredigiornolafattoria,lecasettesullacollinaeilrettangoloditerrabrullalívicino. Semiamadre hamaivissuto qui, certamente, loscoprirò, si disse. Chiuse gliocchi e cercò di ricreare conl’immaginazione i muri dimattoni di fango e il tetto di

canne dei suoi racconti, ilgiardino con i fichi d’India ele galline starnazzanti chebecchettavano il mangimesparso dalla ragazzina scalza.Edietroquellabambina,sullaporta, con la faccia inpenombra, cercava didistinguereun’altradonna, ladonna dalla quale suamadreeravenutaalmondo.Quandomia madre stava morendoall’ospedale, pensò, quando

capí che si stava avvicinandola fine, non era me cheguardava, ma qualcuno chestavadietrodime:suamadre,o il fantasma di sua madre.Permeleieraunadonna,maper sé era ancora unabambina, che chiamava lamamma, perché le tenesse lamano e l’aiutasse. E suamadre, nella vita segreta chenon vediamo, era a sua voltauna bambina. Vengo da una

discendenza infinita dibambine.

Cercò di immaginare unafigura che stesse sola là incima alla sua linea didiscendenza, una donna conun informevestito grigio chenonvenisseasuavoltadaunamadre,maquando si trovò adover pensare al silenzio incui quella viveva, il silenziodel tempo prima del

principio, la sua mentevacillò.

Ora che dormiva cosítanto,glianimalitornaronoadepredare il suocampo, lepriepiccoliraficerigrigi.Nonsela sarebbe presa se si fosserolimitatiabrucarelacimadellepianticelle, ma era colto daaccessi di furore quandoscopriva che avevanomangiato una piantalasciando appassire il frutto.

Nonsapevacosaavrebbefattose avesse perso i suoi dueadorati meloni. Passò ore eoreacercaredicostruireunatrappola di fil di ferro senzariuscire a farla funzionare.Una notte si fece il letto inmezzoalcampo.Colbagliorelunare che lo teneva sveglio,sussultava a ogni fruscio,mentre il freddo gliaddormentavaipiedi.Quantosarebbe tutto piú facile,

pensò, se ci fosse un recintoattorno alla diga, un recintodi robusta maglia di fil diferro con il bordo inferioreprofondamente conficcatosotto terra per impedirel’ingresso anche agli animalichescavanocunicoli.

In bocca aveva sempre unsapore di sangue. L’intestinononriuscivaatrattenerenullaec’eranomomentiincui,sesialzavainpiedi,tuttogligirava

intorno. A volte aveval’impressione che il suostomacofossecomeunpugnoserratoalcentrodelcorpo.Siforzò di mangiare piú zuccadi quanto ne avesse voglia.Alleviò in questo modo lastretta che avvertiva allostomaco, ma non per questosi sentí meglio. Cercò diabbatteredegliuccellimanonera piú cosí abile a usare lafionda e aveva perso la

pazienzadiuntempo.Ucciseunalucertolaelamangiò.

Le zucche stavanomaturando tutte insieme,mentre i tralci ingiallivano eandavanoappassendo.Knonavevapensatoacomeavrebbepotuto conservarle. Cercò ditagliare la polpa a strisce efarla seccare al sole, mamarciva e attraeva leformiche. Impilò le trentazucchevicinoallasuatanain

una piramide; sembrava unfaro.Nonlepotevaseppellire,avevanobisognodicaloreedistare all’asciutto, eranocreature del sole. Alla finedecise di depositarle acinquanta passi di distanzauna dall’altra a monte e avalle del letto del fiume, nelsottobosco, e per camuffarlefeceun impastodi fangoconcui le dipinse a macchieirregolari.

Poi maturarono i meloni.Mangiò quelle sue duecreaturedi seguitoungiornodopo l’altro, pregando che lofacessero stare bene. E inseguito pensò di sentirsimeglio, anche se era ancoradebole. La loro polpa era diun arancione simile a quellodel limo del fiume, ma piúintenso. Non aveva maiassaggiato un frutto cosídolce. Quanta di quella

dolcezza veniva dal seme equanta dalla terra? Pulí benetuttiisemielistesealsoleadasciugare. Da un seme unamanciata di semi, questa eralagenerositàdellaterra.

Trascorse il primo giornoin cui K non uscí per nientefuoridallasuatana.Sisvegliònel pomeriggio senza sentirefame.Tiravaunvento freddoe non c’era nulla che avessebisognodelle sue cure, il suo

lavoro per quell’anno erafinito.Sigiròdall’altraparteesi riaddormentò. Quando sisvegliò di nuovo, era l’alba egliuccellicantavano.

Perse la nozione deltempo. A volte al risveglio sisentiva soffocare sotto ilcappotto nero con le gambeavvolte nel sacco e allorasapeva che era giorno. Perlunghi lassi di tempo giacevain una sorta di grigio

stordimento, troppo stancoper liberarsi dal sonno.Sentiva rallentare tutti iprocessi fisiologici. Staidimenticando di respirare, sidiceva,emalgradociòrestavalí, disteso, senza respirare.Alzava una mano pesantecomeilpiomboelapoggiavasul cuore: lontano, come inun altro paese, sentiva unflebile distendersi erichiudersi.

Dormí per interi ciclicelesti. Una volta sognò diesserescossodaunvecchio.Ilvecchioavevaaddossostracciluridiabrandelliepuzzavaditabacco.Sipiegòadafferrarglilaspalla.–Tenedeviandareda questa terra! – disse. Kcercò di scuoterselo di dossoma le grinfie lo strinseroancora di piú. – Ti metteraineiguai!–glisibilòilvecchio.

Sognò anche sua madre.

Camminava con lei per lemontagne.Anche se aveva legambe pesanti, era giovane ebellissima. Con ampi gesti Kindicava il paesaggio da uncapo all’altro dell’orizzonte:erafeliceedeccitato.Le lineeverdi del corso dei fiumirisaltavanosullosfondo fulvodellaterra;nonc’eranostradené case in vista; l’aria eraferma. Mentre gesticolavasenza posa, ruotando le

braccia come le pale di unmulino a vento, si rese contoche stava per perderel’equilibrio ed esseretrascinato oltre l’orlo deldirupo roccioso nella vastaimmaterialitàdellospazio,tracielo e terra, ma non avevapaura, sapeva che si sarebbelibratoinaria.

A volte tornava allo statodi veglia senza capire seemergessedaunsonnodiun

giorno, una settimana o unmese.Glipassòper la testa ilsospetto di non essere deltutto padrone di se stesso.Devi mangiare, si diceva,riuscireintuttiimodiatirartisu e andare a cercare unazucca. Ma poi si lasciavaandaredinuovoestendevalegambe, sbadigliando con unpiacere cosí dolce e intensoche non desiderava altro senon di starsene lí steso e

lasciarsene percorrere. Nonaveva fame; mangiare,cogliere cose da ingollare aforza perché gli finissero nelcorpoglisembravaunastranaattività.

Poi, man mano, il suosonno si fece piú leggero e iperiodi di veglia piúfrequenti. Cominciò a esserevisitato da serie di immaginicosí rapide e sconnesse chenon riusciva a seguirle. Si

dimenava e rigirava, non piúsoddisfatto dal sonno, matropposvuotatodiogni forzaper tirarsi su. Cominciò asoffrire di mal di testa;digrignava i denti, trasalendoogni volta che il sangue glipulsavanelcranio.

Cifuuntemporale.Finchéil tuono continuò a rotolarelontano, K quasi non ci fececaso. Ma poi glienerimbombò uno proprio sul

capo e cominciò a piovere acatinelle. L’acqua penetròlungo i fianchi della tana, escendendogiúascrosciperlagola, spazzò via l’intonaco difango, inondando il suogiaciglio. Si tirò su a sedere,conlatestaelaschienacurvesotto il tetto. Non c’era unposto migliore dove andare.Buttato contro un angolonell’acqua che scorreva comeun torrente col cappotto

zuppo stretto addosso, siaddormentò e si svegliò piúvolte.

Uscí alla luce del giornotremando per il freddo. Ilcielo era coperto, non avevamododifareunfuoco.Nonsipuò vivere cosí, pensò. Siaggirò per il campo eoltrepassòlapompa.Tuttogliera familiare,eppureaveva lasensazione di essere unestraneo o un fantasma.

C’eranopozzed’acquaaterrae per la prima volta c’eraacqua nel fiume, un rapidotorrentello marrone largoqualche metro. Nella spondaoppostaqualcosadipallidosistagliava contro la ghiaia diun azzurro tenue. Che cos’è?si chiese stupito. Un grandefungobiancospuntatoperviadella pioggia? Sussultòquandocapíchesitrattavadiunazucca.

Nonriuscivaasmettereditremare. Non aveva forzanegli arti e quando mettevaun piede davanti all’altro lofaceva con cautela, come unvecchio. Sentendoimprovvisamente il bisognodisedersi,sisedettesullaterrabagnata. I compiti che loaspettavano sembravanotroppi e troppo grandi. Misono svegliato troppo presto,pensò,nonhoancorafinitoil

sonno. Sospettò che avrebbedovutomangiareperchétuttosmettesse di ondeggiarglidavanti agli occhi, ma il suostomaco non era ancorapronto. Si sforzò diimmaginareiltè,unatazzaditèbollentecaricodizucchero;aquattrozampebevvedaunapozza.

Era ancora seduto líquando lo trovarono. Avevasentito il ronzio dei veicoli

quandoeranoancoradistantimaavevapensatoche fosse ilrombo di tuoni lontani. Soloquando avevano giàraggiunto il cancello sotto lafattoria li videe si resecontodichifossero.Sialzòinpiedi,ebbeuncapogiro,sisedettedinuovo. Uno dei veicoli sifermò davanti alla casa,l’altro, una jeep, continuò adavanzare sobbalzando nelveld, diretto verso di lui.

Dentro c’erano quattrouomini;liosservòavvicinarsi;fuinvasodalladisperazione.

All’iniziofuronosulpuntodi credere che fosse solo unvagabondo, un’anima persache la polizia prima o poiavrebbe fermato e spedito aJakkalsdrif.–Vivonelveld,–disse, rispondendo alle lorodomande. – Non abito danessuna parte –. Poi dovetteappoggiare il capo sulle

ginocchia: si sentivamartellare la testa e in boccaaveva un sapore di bile. Unodei soldati gli sollevò unbraccio tra due dita e lo feceoscillare.Knon lo ritrasse. Ilbraccioglisembravaqualcosadiestraneo,unosteccocheglisbucava dal corpo. – Di checosa pensate che viva? –chiese il soldato. – Mosche,formiche, locuste? – K nonvedevaaltrochei lorostivali.

Chiuse gli occhi, assente perunpo’.Poiqualcunoglidiedeuna pacca sulla spalla e gliporse qualcosa: un panino,due grosse fette di panebiancocondentrodelsalame.Luisiritrasseescosseilcapo.– Mangia, amico! – disse ilsuobenefattore.–Tidaràunpo’diforza!–Preseilpaninoe gli diede un morso. Primaancoradiriuscireamasticare,aveva cominciato ad avere

secchi conati di vomito. Conla testa tra leginocchiasputòil boccone di pane e carne erestituí ilpanino.–Èmalato,–disseunavoce.–Habevuto,–disseun’altra.

Ma poi trovarono la suacasa,ilmurettofattodipietredella facciata, ben visibiledopo la pioggia. Dapprimaentrarono a turno dentro aquattro zampe per sbirciare.Poi tirarono via il tetto e

scoprirono l’interno benordinato, la vanga e l’ascia, ilcoltello, il cucchiaio, il piattoe la tazza, tutti suun ripianoscavatonellaparetedighiaia,la lente d’ingrandimento, ilgiaciglio di erba bagnata.Portarono lí K, di fronte allasuaopera,tenendolodrittoinpiedi, non piú disposti aessere gentili. Le lacrime gliscorrevano sul viso. – L’haifattotuquesto?–glichiesero.

Lui annuí: – Sei solo qui? –Annuí. Il soldato che lososteneva gli tirò su unbraccio bruscamente e glielopiegò dietro la schiena. Kemiseunsibilodidolore.–Laverità!–disseilsoldato.–Èlaverità,–disseK.

Arrivò anche il camion.L’aria risuonavadi voci e deironzii e sfrigolii della radiotrasmittente. I soldati siaccalcavanopervedereKela

casa che aveva costruito. –Sparpagliateviingiro!–gridòuno di loro. – Bisognasetacciare tutta la zona!Andateallaricercadisentieri,andateallaricercadibucheecunicoli,andateallaricercadiogni luogo adatto comemagazzino! – Poi abbassò lavoce.Eravestitoconunatutamimeticacometuttiglialtrie,notòK,nonavevagallonicheindicassero che era il capo: –

Vedetecherazzadigenteè!–disse guardandosi intornosenza posa, non sembrava sirivolgesse a qualcuno inparticolare.–Pensatechenonci sia niente e invece la terrache avete sotto i piedi èmarcia di tunnel. Date unosguardo a un posto cosí:giurereste che non ci siaanima viva per miglia emiglia.Poi,basta chevoltiatele spalle, loro escono

strisciando dalla terra.Chiedetegli da quanto temposta qui –. Si voltò verso K ealzòlavoce.–Tu!Daquant’èchestaiqui?

–Dall’annoscorso,–disseK, non sapendo se fosse unabugiabuonaocattiva.

– E allora, quandovengono i tuoi amici?Quandotornanoituoiamici?

Ksistrinsenellespalle.–Chiedeteglielodinuovo,

– disse l’ufficiale,allontanandosi. – Continuatea chiederglielo. Chiedetegliquandovengonoisuoiamici.Chiedete quando sono statiqui l’ultima volta. Vedete sehaonounalingua.Cercatedicapire se è veramente idiotacomesembra.

Il soldato che sostenevaKlo afferrò per la nuca trapollice e indice e lo feceabbassare, fino a che non si

ritrovò in ginocchio, con lafacciachesfioravailterreno–Hai sentito cosa ha dettol’ufficiale, – disse, – perciòparla. Raccontami la tuastoria –. Lanciò lontano ilberretto e spinse con forza lafaccia di K contro la terra.Connasoelabbraschiacciati,K sentí il sapore del suoloumido. Sospirò. Lo tiraronosu e lo sorressero. Non aprígli occhi. –Alloraparlacidei

tuoi amici, – disse il soldato.Kscosseilcapo.Gliarrivòuncolpo spaventoso alla boccadellostomaco,esvenne.

Passarono tutto ilpomeriggio in cerca delleriserve di cibo e di armi cheerano convinti di trovarenascoste. Dapprimasetacciarono la zona intornoalladiga,poiesploraronopiúin là, a monte e a valle delfiume. C’era uno strumento

condelle cuffie e una scatolaneracheunodilorousava:Kosservò l’uomo muoversilentamente lungo il marginedel fiume, dove la terra eramorbida,saggiandoilterrenocon una bacchetta. Furonoscoperte molte delle zucche,forse tutte: i ragazzitornavano con le zucche inmano e le buttavano in unmucchio ai bordi del campo.Le zucche non facevano che

confermarli nell’idea che cifosserodeimagazzininascosti(«Altrimenti perchéavrebbero lasciato qui questoscimmione?»sentídireK).

Volevano interrogarlo dinuovo, ma lui era troppodebole.Glidiederodeltè,chebevve, e cercarono di farloragionare: – Sei malato,amico,–glidissero.–Guardacome sei ridotto. Guardacome ti trattano i tuoi amici.

Nongliene importanientediquello che ti succede. Vuoiandareacasa?Tiporteremoacasa e ti aiuteremo a rifartiunavita.

Lomisero a sedere controuna ruota della jeep. Uno diloro andò a raccogliere ilberretto e glielo buttò ingrembo. Gli offrirono unafettadimorbidopanebianco.Ne ingoiò un boccone, sipiegò di lato e lo vomitò,

insieme al tè. – Lasciatelo inpace. È finito, – dissequalcuno. K si pulí la boccasullamanica.Quelli rimaserofermiincerchioattornoalui;aveva la sensazione che nonsapesserocosafare.

Kparlò.–Nonsonoquelloche pensate, – disse. –Dormivo e voi mi avetesvegliato. Tutto qui –. Nondiederosegnodiavercapito.

Si acquartierarono nella

fattoria. In cucinainstallarono i loro fornelli;benprestoKsentíilprofumodeipomodorichecuocevano.Qualcuno aveva appeso unaradio a un gancio nellaveranda. L’aria era piena dinervosi ritmi elettrici che loturbavano.

Lo misero nella stanza dalettoinfondoalcorridoio,suuna tela cerata piegata inquattro, con una coperta

addosso.Gli diederodel lattecaldo e due pillole; aspirina,gli dissero. Non vomitò. Piútardi,quandoeragiàbuio,unragazzogliportòunpiattodiroba da mangiare. – Vedi seriesci a prendere almeno unboccone, – disse, e con unatorcia fece luce sul piatto. Kvidedue salsicce inuna salsadensa e un purè di patate.Scosseilcapoesigiròversolaparete. Il ragazzo gli lasciò il

piatto vicino al letto(«Semmai cambiassi idea»).Dopodiché non lodisturbarono piú.Dormicchiòcondifficoltàperun po’, infastidito dall’odoredel cibo. Alla fine si alzò espostò il piatto in un angolo.Alcuni soldati stavano nellaveranda, altri in salotto. Sisentivano i loro discorsi e lelororisate,manonc’eraluce.

Il giorno dopo la polizia

arrivòdaPrinceAlbert con icani per aiutare nella ricercadei cunicoli e delle riservenascoste. Il capitanoOosthuizen riconobbe subitoK.–Comepotreidimenticareuna faccia come quella? –disse. – Quel buffone èscappato da Jakkalsdrif ildicembre scorso. Si chiamaMichaels. Che nome vi hadato? – chiese. – Michael, –risposel’ufficialedell’esercito.

– È Michaels, – ripeté ilcapitanoOosthuizen.Colpílecostole di K con lo stivale. –Nonèmalato, è sempre cosí.Ehi,Michaels?

CosíriportaronoKgiúalladiga,doverimaseaguardareicani che trascinavano i loroistruttoriavantieindietroperil prato e su e giú per le rivedelfiume,uggiolandoansiosi,tirando il guinzaglio, masenza condurli ad altro che a

vecchie tane di porcospini elepri. Oosthuizen diede a Kunamanataintesta,dilato.–Allora, cos’è questa storia,scimmione? Stai facendo igiochetti con noi? – I canifurono fatti risalire di nuovosul furgone. Tutti perserointeresse per laperlustrazione. I giovanisoldati rimasero in giro alsole, a bere caffè e achiacchierare.

Ksedevaconlatestatraleginocchia. Anche se aveva lamente lucida, non riusciva acontrollarelevertigini.Avevaunfilodisalivacheglicolavadalla bocca, ma non se nepreoccupava.Ognigranellodiquesta terra verrà lavato perbene dalla pioggia, si disse, easciugato dal sole e spazzatodal vento, prima chericominci un nuovo ciclo distagioni. Non ci sarà piú un

granello che porti il miosegno, proprio come miamadrecheora,passata la suastagione sulla terra, è statalavatavia,dispersadalventoerisucchiatadaifilid’erba.

Allora, che cos’è, pensò,chemi legaaquestopezzettodi terra come fosse una casache non posso lasciare?Tuttidobbiamo lasciare casa,dopotutto, tutti dobbiamolasciare le nostre madri. O

forse sono uno di queibambini, un bambino chediscendedatuttaunaseriedibambini, di quelli che nonsanno staccarsi, ma debbonotornaretuttiamorirequi,conle teste sul grembo dellemadri,iosulsuo,leisuquellodi sua madre, e cosí viaandando a ritrosogenerazione dopogenerazione?

Cifuunaforteesplosione,

e subito dopo ne seguíun’altra.L’ariatremò,sisentíuno strepitare di uccelli, lecolline rimbombaronodell’eco. K volse lo sguardointorno terrorizzato. –Guarda! – gli disse unsoldato,indicandounpunto.

Doveun temposorgeva lacasadeiVisagieorac’eraunanuvola grigia e arancio, nondinebbiamadipolvere,comese una tromba d’aria stesse

portando via la casa. Poi lanuvola smise di crescere,andòperdendoconsistenza,eincominciò a emergere unoscheletro: parte del muro sulretro col camino; tre deisupporti che tenevano su laveranda.Unfogliodi lamieradel tetto calò dall’alto,piombando a terra senza faralcun rumore. L’ecocontinuava,maKnonsapeva

piúdire se eranelle collineonellasuatesta.

Sfrecciaronodellerondini,cosíbassecheseavessetesolamano avrebbe potutotoccarle.

Seguirono altre esplosioni,ma lui non alzò piú losguardo, immaginando chefosserostatedistrutteanchelealtre costruzioni annesse allacasa. Pensò: I Visagie non

hanno piú un posto dovenascondersi.

La jeep tornò sobbalzandoperilveld.Tuttointornoaluii soldati stavano ripulendo eimpacchettando. Nel campo,però, un soldato da solocontinuava a lavorare.Sradicava ciuffi d’erba, chepoimetteva con cura da unaparte. Con una certa ansia Ksialzòinpiedieincespicandolo raggiunse. – Che stai

facendo? – gridò. Il soldatonon rispose. Cominciò ascavare una buca pocoprofonda, mettendo la terrasu un foglio di plastica nero.Eralaterzafossachescavava.Knotòcheanchelealtredueavevano vicino dellemontagnole di terra su foglidi plastica e ciuffi d’erba conla terra ancora attaccata alleradici. – Che stai facendo? –chieseKdinuovo.Lavistadi

quello sconosciuto chescavavalasuaterraloagitavapiú di quanto non avrebbecreduto.–Lasciachelofacciaio,–propose.–Sonoabituatoa scavare –. Ma il soldato loscacciò con la mano. Nelcompletare la terza buca,indietreggiò di otto passi esteseaterraunaltrofogliodiplastica. Quando la vangapenetrò nella terra, K siaccovacciò e coprí l’erba con

lemani. –Per favore, amico!– disse. Il soldato si scostò,esasperato. Qualcuno afferròK per la collottola. –Levamelodaipiedi, –disse ilsoldato.

K si mise vicino allapompa a guardare. Quandoebbe scavato cinque buchedisposte a zig zag, il soldatosrotolò una lunga cordabianca per delimitare ilterreno. Due dei suoi

compagniarrivaronoconunacassetta e cominciarono adisporre lemine.Manmanoche ne collocavano una e lainnescavano, ilprimosoldatoripiantava l’erba mettendo laterra a manciate, pareggiavala superficie e spazzava viaognitracciaconunascopetta,indietreggiando a quattrozampe.

Levati di mezzo, – dissequalcunodietroaK.–Vaiad

aspettare lí vicino al camion–. Era l’ufficiale. Mentre siallontanava, K sentí leistruzioni che impartiva. –Attaccatene con il nastroadesivoduedentro ipuntelli,piú o meno all’altezza dellavita. Un’altra sotto lapiattaforma. Quando viinciampano, voglio che saltiinariatutto.

Avevano finito di caricarela roba e stavano per

muoversi, con K sul camion,dietro insieme ai soldati,quando qualcuno indicò lamontagna di zucche cheavevanolasciatosulbordodelcampo. – Caricatele! – gridòl’ufficiale dalla jeep.Caricarono le zucche. – Erimettete a posto quel suocanile, in modo che sembritutto come prima! – ordinò.Aspettarono tutti fino a chenon fu risistemato il tetto. –

Con lepietreper tenerlo giú,com’era!Sbrigatevi!

Ripartironoalseguitodellajeep, procedendo a sbalzi escossoniperlastradasterrata.K afferrò la maniglia in alto,sopra la testa; sentiva i suoivicini che si tenevanodritti erigidi, per evitare di finirgliaddosso. Si alzò una nube dipolvere e K non riuscí avederenientediquellochesilasciavaallespalle.

Si chinò verso il giovanesoldato che aveva davanti. –Sai, – gli disse, – c’era unragazzo nascosto in quellacasa.

Il soldato non capí. K sidovetteripetere.

– Che sta dicendo? –chiesequalcuno.

– Dice che c’era un altroragazzonascostonellacasa.

–Diglicheadessoèmorto.Diglicheèinparadiso.

Dopo un poco arrivaronoalla svolta. Il camion presevelocità, le gommecominciarono a stridere, isoldati si rilassarono, e lapolvere si diradò, rivelandodietro di loro la lunga lineadritta della strada per PrinceAlbert.

Parteseconda

C’èunnuovopazientenelreparto, un uomo anziano estriminzito, che ha avuto un

collassodurantegliesercizidieducazione fisica ed è statoportato qui che respirava afaticaeconilbattitocardiacomolto fievole. Mostra tutti isintomidiunamalnutrizioneprolungata: pelle spaccata,piaghe alle mani e ai piedi,gengive sanguinanti. Ha learticolazioni sporgenti, pesameno di quaranta chili. Pareche sia stato prelevato in unposto sperduto, nel Karoo,

dove viveva da solo gestendounabasedirifornimentoperiguerriglieri che operano sullemontagne,nascondendoarmie coltivando roba damangiare, anche sechiaramente non per sé. Hochiesto alle guardie che lohanno portato qui perchéhannocostrettoun individuoin quelle condizioni a fareattività fisica. È stata unasvista, hanno risposto, era

arrivato col nuovocontingente, la registrazionestava prendendo troppotempo e il sergenteresponsabile voleva dar loroqualche cosa da fare mentreaspettavano, cosí li ha fatticorrere sul posto. Non avevavisto chequell’uomonon eraingradodi farlo?Hochiesto.Il prigioniero non silamentava, mi hannorisposto, diceva che stava

bene, che era sempre statomagro.Non siete in gradodiriconoscere la differenza traun uomo magro e unoscheletro?Hochiesto.Sisonostrettinellespalle.

Ho dovuto combatteretutto il giorno col nuovopaziente,Michaels.Insistechesta bene, ha solo bisogno diqualcosa per il mal di testa.

Dice di non avere fame. Difatto non riesce a trattenereniente di quello che mangia.Gli homesso una flebo, cosacontro la quale si ribelladebolmente.

Anche se ha l’aria di unvecchio,sostienediaveresolotrentadue anni. Forse è vero.È originario della provinciadel Capo e conoscel’ippodromodai tempi in cuieraancoraunippodromo.Lo

ha divertito scoprire chequesto posto era lospogliatoio dei fantini. –Anch’io potrei essere unfantino, col mio peso, – hadetto. Lavorava comegiardiniereperilComune,mapoihapersoil lavoroesen’èandatoincampagna, incercadi fortuna, portandosiappresso la madre. – Dov’ètua madre adesso? – gli hochiesto. – Fa crescere le

piante,–harisposto,evitandoilmiosguardo.–Intendidirecheèmorta?–hodetto,–chefa spuntare le margherite? –Ha scosso il capo. – L’hannobruciata,–hadetto.–Icapellile ardevano attorno alla testacomeunalone.

Ha pronunciato quellafraseconlastessatranquillitàcon cui avrebbe parlato deltempo. Non sono sicuro cheabbia la testa a posto. Non

riesco a immaginare comeabbiapotutogestireunabasedirifornimentoperiribelli.Èmolto piú probabile che siaarrivatouno,gliabbiaoffertoda bere e gli abbia chiesto dicustodire un fucile, e che luisia stato troppo stupido otroppo ingenuo per dire dino.Èstatorinchiusocomeunribelle, ma non sa nemmenochec’èunaguerraincorso,oquasi.

Ora che Felicity lo hasbarbato ho avuto modo diosservargli la bocca. Unasemplice fenditura parzialecon un leggero dislocamentodel setto nasale. Il palato èintatto. Gli ho chiesto seavessero mai provato acorreggergliqueldifetto.Nonlo sapeva.Gliho fattonotareche si trattadiun’operazionefacile, anche alla sua età.Sarebbe d’accordo a farsela

fare in caso ce ne fosse lapossibilità? Mi ha risposto(riporto fedelmente): «Sonocome sono. Non sono maistato un granché con ledonne».Gli avrei voluto direche,aparte ledonne, forsesisarebbe trovato meglio nellavita, se avesse potuto parlarecometuttiglialtri,manonhodetto niente, nel timore diferirlo.

HoparlatodiluiconNoël,

– Non sarebbe in grado diorganizzare una partita afreccette, figuriamoci unabase di rifornimento, – hodetto.–Èunapersonadeboledimentecheèfinitapercasoin una zona di guerra e nonha avuto il buonsenso diuscirne.Dovrebbestareinunambiente protetto, aintrecciare cesti o a infilareperline, non in un campo diriabilitazione.

Noël ha tirato fuori ilregistro.–Secondoquantoc’èscritto qui, – ha detto, –Michaelsèunincendiario.Edèanche fuggitodauncampodi lavoro. Coltivava un ortorigoglioso in una fattoriaabbandonataefornivaciboaiguerriglieri della zona,quando è stato catturato. ÈquestalastoriadiMichaels.

Scossiilcapo.–Sbagliano,–hodetto.–Debbonoaverlo

confuso con qualche altroMichaels. Questo Michaelsquièunidiota.Èunochenonsa neanche accendere unfiammifero. Se coltivava unorto rigoglioso, come maistavamorendodifame?

–Perchénonmangiavi? –ho chiesto a Michaels,quando sono tornato inreparto. – Dicono che aveviun orto. Perché non tinutrivi? – Mi ha risposto: –

Mi hanno svegliato nel belmezzo del sonno –. Debboaveravutoun’ariaperplessa:–Non ho bisogno dimangiarequandodormo.

DicecheilsuonomenonèMichaelsmaMichael.

Noël mi fa pressioniperché acceleri il processo diricambiodeipazienti.Cisonootto letti nell’infermeria e, al

momento, sedici pazienti; glialtri otto sono ospitati nellavecchia stanza della pesa.Noëlmichiedeperchénon licuro e non li dimetto piúvelocemente. Gli rispondoche non ha senso dimettereunpazienteconladissenteriae rimandarlo alla vita nelcampo a meno che non sivoglia far scoppiareun’epidemia. Certo che nonvuole un’epidemia, mi

risponde, ma in passato cisono stati casi di fintemalattie e vuole sradicarequell’uso. Lui ha dei doverinei confronti del suoprogramma, gli rispondo, ionei confronti dei mieipazienti, questo significaesseremedicomilitare).Midàuna pacca sulla spalla: – Faiunbuonlavoro,nonlomettoin dubbio, – dice. – Quelloche chiedo è che non si

facciano l’idea che siamotroppoindulgenti.

Tra di noi cala il silenzio;guardiamo le mosche sulvetrodella finestra.–Manoisiamo indulgenti, –suggerisco.

Forse siamo indulgenti, –risponde, – forse stiamoperfino tramando un po’,sotto sotto. Forse pensiamoche se un giorno arrivano eprocessano tutti, qualcuno si

farà avanti e dirà: «Lasciateandare quei due, eranoindulgenti».Chissà?Manonèdi questo che parlo. Stoparlando del ricambio. Almomentonellatuainfermeriai pazienti che entrano sonopiú di quelli che escono, e lamia domanda è: haiintenzionedifarequalcosainmerito?

Fu per assistereall’alzabandiera di un

caporale che stava issandol’arancione, il bianco e il blusuunpaloinmezzoallapistache uscimmo dal suo studio,mentre una banda di cinqueelementi intonava: Uit dieblou, con la cornetta chestonava, e seicentouomini sene stavano imbronciatisull’attenti, scalzi, nei lorocompleti cachi di decimamano, costretti a essereindottrinati. Un anno fa

ancora cercavamo di farlicantare, ma adesso ciabbiamorinunciato.

Stamattina Felicity haportato Michaels fuori aprendereunpo’d’aria fresca.Gli sono passato accanto el’hovistosedutosull’erbaconla faccia rivolta al sole, acrogiolarsi come unalucertola, e gli ho chiesto

comesitrovavaall’infermeria.È stato inaspettatamenteciarliero: – Sono felice chenon ci sia una radio, – hadetto.–Nell’altropostodovesono stato c’era una radioaccesa tutto il tempo –.All’inizio ho pensato che siriferisseaunaltrocampo,mapoihoscopertochealludevaaquell’istituzione abbandonatada Dio dove aveva trascorsol’infanzia. – C’era musica

tutto il pomeriggio e tutta lasera, fino alle otto. Era comeunolioversatosuognicosa.–La musica serviva a tenervitranquilli,–glihospiegato,–altrimenti avreste potutoprendervi a pugni oppuretirare giú le sedie dallefinestre. La musica serviva acalmare il vostro animoviolento.Nonsosehacapito,mahasorriso,colsuosorrisoasimmetrico. –Lamusicami

agitava, – ha detto, – miinnervosiva, non riuscivo apensare in pace i mieipensieri. – E quali erano ipensierichevolevipensare?–E lui: – In generepensavodivolare. Ho sempre volutovolare. Tendevo le braccia inavanti e pensavo di volareoltre la recinzione e tra lecase.Volavo basso sulle testedella gente, ma loro nonpotevano vedermi. Quando

quelli accendevano lamusicami agitavo troppo per farlo,per volare –. E ha citatoperfinounooduedeimotivicheloinfastidivanodipiú.

L’ho spostato nel lettovicino alla finestra, lontanodal ragazzo con la cavigliarotta che l’ha preso inantipatia,Dio solo sa perché,e non fa altro che starsenesdraiato nel suo letto e fargliversacci tutto il giorno.

Quando sta seduto sul letto,adesso può almeno vedere ilcieloelacimadelpennone.–Mangia un pochino di piú epotrai uscire a fare unapasseggiata, – cerco dipersuaderlo. Ciò di cuiavrebbe davvero bisogno,però,èlafisioterapia,cosapercui non siamo attrezzati. Ècome uno di quei giocattolifatti di bastoncini tenutiinsieme da elastici. Avrebbe

bisogno di una dietabilanciata, di moderataattività fisicaedi fisioterapia,inmododapotereungiornoo l’altro, al piú presto,ritornare a partecipare allavita del campo e avere lapossibilità di marciare avantie indietro per la pista,gridando slogan e facendo ilsaluto alla bandiera, edesercitandosi a scavare bucheeariempirledinuovo.

Sentito casualmente allamensa: «I bambini trovanodavvero duro adattarsi avivere in un appartamento.Ciò di cui avvertono propriolamancanza sono il giardinoe i loro animali. Abbiamodovuto sgombrare cosí, conunpreavvisoditregiorni.Miviene da piangere quandopenso a quello che abbiamodovuto abbandonare, – aparlareèunadonnadalvolto

florido con un vestito a pois,dev’essere la moglie di unodell’Nco. (Nelle sue fantasiesullacasaabbandonatac’èunestraneo che si butta sullelenzuolaconglistivaliaipiedio apre il freezer e sputa sulgelato). – Non dirmi di nonserbarerancore»,hadettoallasua compagna, una donnettamagra che non conoscevo,con i capelli pettinatiall’indietro,comeunuomo.

C’è qualcuno di noi quichecredeinquellochestiamofacendo? Ne dubito. E suomarito,quellodell’Nco,menodi tutti.Cidànnounvecchioippodromo, una quantità difilo spinato e ci dicono diprodurre un cambiamentonell’animodellepersone.Nonessendo esperti di anime mapresumendo, cauti, cheabbiano qualche connessionecon il corpo, mettiamo i

nostri prigionieri a fare leflessionieamarciareavantieindietro. Li assilliamo ancheconpezzidel repertoriodellabanda e proiezioni di film incui giovanotti in uniformiimmacolate dimostrano avecchi contadini brizzolaticome eliminare le zanzare eararelungolecurvedilivello.Alla fine li dichiariamoriabilitati e li spediamo aibattaglioni di corvè a portare

l’acqua o scavare latrine.Durante le grandi paratemilitari c’è sempre unacompagnia dei battaglioni dicorvè che sfila davanti allemacchine da presa tra razzi,carri armati e artiglieria dacampo per dimostrare chesiamoingradoditrasformarei nemici in amici, ma honotatochesfilanoconvanghesullespalle,nonconfucili.

Tornando al campo dopouna domenica di libertà, mipresento al cancellosentendomi come uno chescommette sui cavalli fermoal botteghino a comprare ilbiglietto d’ingresso. SETTORE

A, dice l’insegna sopra ilcancello principale.RISERVATO A MEMBRI E

UFFICIALI,dicequellasoprailcancello che portaall’infermeria. Perché non le

hanno tolte? Credono chel’ippodromo verrà riapertouno di questi giorni? C’èancora gente che addestracavalli da corsa da qualcheparte? Gente convinta chedopotuttoquestoscompiglioil mondo si calmerà perricominciarecomeprima?

Cisonorimastisolododicipazienti.Michaels, però, non

migliora. È chiaro che si èprodotta una degenerazionedelle pareti intestinali. L’horimessoalattescremato.

Stasdraiatoeguardainsu,versolafinestraeilcielo,conle orecchie che gli sporgonodalcraniorasatoesorrideconquel suo sorriso. Quando èstato portato qui dentro,aveva con sé un pacchettoavvolto in cartamarrone cheha messo sotto il cuscino.

Adesso ha cominciato astringerselo al petto. Gli hochiesto se conteneva la suamuti.No,miharisposto,emihamostratodeisemidizuccasecchi. La cosa mi ha moltocolpito. – Devi tornare acoltivarelaterra,quandosaràfinita questa guerra, – gli hodetto.–CredichetornerainelKaroo? – Ha assunto un’ariaguardinga.–Naturalmente laterra è buona anche nella

Penisola,sottotuttiqueiprationdulati, ho aggiunto: –Sarebbe bello vedere unaripresa dell’orticoltura nellaPenisola –. Non ha risposto.Gliho tolto ilpacchettodallemani e l’ho infilato sotto ilcuscino «per sicurezza».Quando sono ripassato,un’ora dopo, dormiva con labocca incollata al cuscinocomeunbambino.

È come una pietra, un

sasso che, essendosene statotranquillo là dove stava, aoccuparsi solo di sé dall’albadei tempi, ora vieneimprovvisamente raccolto epassato a caso di mano inmano. Una pietruzza dura,appena consapevolediquelloche ha intorno, chiusa in sestessa e nella sua vitainteriore. Passa attraversoistituti e campi e ospedali eDio solo sa cos’altro come

una pietra. Attraverso leviscere della guerra. Unacreatura che non dovevanascere, e che non è ancoranata. Non riesco a pensare aluicomeaunuomo,ancheseèpiúvecchiodimepermoltiaspetti.

Le sue condizioni sonostazionarie, la diarrea è sottocontrollo. Il polso è debole,

comunque, la pressione èbassa. La notte scorsa si èlamentato del freddo, anchese di fatto le notti stannodiventando piú calde, eFelicityglihadovutodareunpaiodicalzettoni.Stamattina,quando ho cercato di esserecarinoconlui,mihacacciatovia: – Pensi forse che, se milasci in pace, iomuoia? – hadetto. – Perché mi vuoi fareingrassare? Perché ti

preoccupi tanto per me,perchésonocosí importante?– Non avevo voglia didiscutere. Ho cercato diprendergli il polso, ha tiratovia la mano con una forzasorprendente, agitando ilbraccio come una zampa diinsetto. L’ho lasciato starefinoachenonhoterminatoilmiogiro,poisonotornatodalui. C’era una cosa chedesideravo dirgli: – Chiedi

perché sei cosí importante,Michaels. La risposta è chenon sei importante. Maquestononsignificachetusiadimenticato. Nessuno vienedimenticato.Pensaaipasseri.Cinquepasserisivendonoperuna sciocchezza, ma perfinoloro non vengonodimenticati.

Ha fissato a lungo ilsoffitto,comeunvecchiocheconsulti gli spiriti, poi ha

parlato. – Mia madre halavorato per tutta una vita, –ha detto. – Strofinava ipavimentideglialtri,cucinavaper loro, lavava i loro piatti.Lavava i loro panni sporchi.Puliva la vasca dopo che sierano fatti il bagno. Simettevainginocchioelavavalatazzadelcesso.Maquandoè diventata vecchia e malatal’hannodimenticata. L’hannorinchiusa in un ospedale,

lontanodagliocchi.Quandoèmorta l’hanno buttata nelfuoco. Mi hanno consegnatouna vecchia scatola con leceneri e mi hanno detto: –Ecco tua madre. A noi nonserve,portalavia.

Sdraiato nel suo letto, ilragazzo con la caviglia rottafingeva di dormire, ma stavaconleorecchietese.

LamiarispostaaMichaelsè stata volutamente brusca.

Non aveva senso alimentarelasuaautocommiserazione.–Facciamo per te quello chedobbiamofare,–glihodetto.– Non hai proprio niente dispeciale,puoistaretranquillo.Appena starai meglio, vedraiche ci sono un sacco dipavimenti e di gabinetti dapulire. Quanto a tua madre,sono sicuro che non l’hairaccontatatutta, lasuastoria,esonoanchesicurochelosai.

E tuttavia ha ragione: mioccupopropriotroppodi lui.Chi è dopotutto? Da unaparte abbiamo una marea dirifugiati che arrivano dallacampagna, cercando riparonelle città.Dall’altra abbiamogente stanca di vivere stipatain cinque in una stanza e dinon avere cibo a sufficienzache scappa dalle città e cercadi sopravvivere come puònellecampagneabbandonate.

ChièMichaelssenonunodeitanti di questo secondogruppo? Un topo che haabbandonatounanavetroppocarica in procinto diaffondare. Solo che, essendoun topo di città, non sapevacome vivere della terra e hafinito per morire di fame. Epoi è stato abbastanzafortunatodaessereavvistatoeriportato di nuovo a bordo.

Chemotivo ha di essere cosírisentito?

Noël ha ricevuto unatelefonata dalla polizia diPrince Albert. C’è stato unassalto agli impianti idricidella città la notte scorsa.Hanno fatto saltare in aria lapompa e un pezzo dellaconduttura. Intanto cheaspettano i tecnici, dovranno

arrangiarsi con l’acquaproveniente da un pozzo ditrivellazione. Anche la lineaelettrica è fuori uso.Evidentemente ancoraun’altra navicella staaffondando, mentre quellegrossecontinuanoasolcareilmare nel buio, sempre piúsole, cigolando sotto il pesodel carico umano. La poliziavorrebbe avere un nuovoincontro con Michaels per

parlare con lui deiresponsabili di queste azioni,ovvero dei suoi amici dellemontagne. Diversamente,vogliono che pensiamo noi ainterrogarlo. – Non l’hannogiàfattounavolta?–protestocon Noël. – Che senso hainterrogarlo per la secondavolta? È troppo malato perviaggiare, e comunque nonrisponde di sé stesso. – Ètroppomalatoperparlarecon

noi? –mi ha chiestoNoël. –No, per quello non è troppomalato,manoncaverainientedi sensato da lui, – gli hodetto.Noëlhatiratodinuovofuori il fascicolo relativo aMichaelsemelohamostrato.Sotto Categoria c’era scrittoOpgaarder, in un corsivoaccurato da poliziotto dicampagna. – Che cos’è unopgaarder?–hochiesto.Noël:– qualcosa come uno

scoiattolo o una formica oun’ape. – Si tratta di unanuova professione? – hadetto.–Èandatoaunascuolaper opgaarder e ha ricevutoun distintivo di opgaarder?Portammo Michaels inpigiama, una coperta sullespalle, in un ripostiglio infondo all’edificio. C’eranobarattoli di vernice e scatoledi cartone impilati contro laparete, ragnatele in ogni

angolo, uno spesso strato dipolvere sul pavimento enessun posto dove sedersi.Michaels ci guardòfuribondo,tenendosistrettalacoperta, risolutamentepiantato sui suoi piedimagricomestecchi.

– Sei nella merda,Michaels, – disse Noël. – ItuoiamicidiPrinceAlbert sisonocomportatimale.Stannoproprio dando fastidio.

Dobbiamo prenderli,dobbiamo parlare con loro.Nonsiamoconvintiche tucistia dando tutto l’aiuto chepotresti darci. Cosí abbiamopensato di darti un’altraoccasione.Vogliamochetucidica dei tuoi amici: dove sinascondono, come possiamoincontrarli –. Si accese unasigaretta. Michaels non battéciglio, né ci tolse gli occhi didosso.

– Michaels, – gli dissi, –Michael, alcuni di noi nonsononeppureconvintichetuabbia avuto a che fare con iribelli. Se riesci a convincerciche non lavoravi per loro, cirisparmieraiun saccodinoieetirisparmieraimoltiguai.Edunque dimmi, di’ almaggiore: che ci facevi inquella fattoria quando tihannopreso?Perchétuttociòche sappiamo è quello che

troviamoscrittoqui,inquestecarte della polizia di PrinceAlbert,e, francamente,quelloche dicono non ha nessunsenso. Dicci la verità, diccitutta la verità e te ne potraitornare a letto, non tiscocceremopiú.

A questo punto K sirannicchiò con unmovimento appenapercettibile, stringendosi la

coperta alla gola eguardandociditraverso.

–Forza,amico!–glidissi.– Nessuno ti farà del male,diccisoloquellochevogliamosapere!

Ci fu un silenzioprolungato.Noëlnonparlava,scaricando su di me tutto ilpesodell’interrogatorio.–Su,Michaels, – dissi, – nonabbiamo tutto il giorno a

disposizione, c’è una guerraincorso!

Finalmenteparlò:–Iononc’entroconlaguerra.

Fui invaso dall’irritazione.– Tu non c’entri con laguerra?Certo che c’entri conla guerra, caro mio, che tipiaccia o no! Questo è uncampo, non è un luogo divilleggiatura, né unconvalescenziario: è uncampo dove riabilitiamo

gente come te e la facciamolavorare! Imparerai ariempire sacchi di sabbia e ascavare buche, amico mio,fino a che non ti si spezza laschiena! E se non cooperifinirai in un posto benpeggiorediquesto!Andrai inun posto dove starai acuocertialsoletuttoilgiornoe avrai bucce di patate epannocchiedamangiare,esenonsopravvivi,peggioperte!,

cancellano il tuo numerodall’elencoequellasaràlatuafine! Allora, su, parla, iltempo a disposizione stafinendo. Dicci quello chefacevi cosí scriviamo unrapporto e lo mandiamo aPrinceAlbert!Ilmaggiorequiha tante cose da fare, non èabituato a sprecare il tempo,erainpensioneedèritornatoinservizioperdirigerequesto

bel campo e aiutare gentecomete.Devicooperare.

Ancora rannicchiato,pronto a sfuggirmi se maifossi scattato,midiede la suarisposta:–Noncisofareconleparole,–disse.Nient’altro.Siumettòlelabbraconlasualinguadalucertola.

– Non ce ne importaniente se ci sai fareono conle parole, amico, quello chevogliamoèsololaverità!

Rispose con un sorrisoastuto.

– In quel giardino cheavevi, che ci coltivavi? –chieseNoël.

–Eraunorto.– E per chi erano quegli

ortaggi?Achilidavi?– Non erano miei. Erano

prodottidellaterra..– Ti ho chiesto a chi li

davi.–Lihannopresiisoldati.

– Non ti dispiaceva che isoldati prendessero i tuoiortaggi?

Si strinse nelle spalle: –Quello che cresce è per tutti.Siamotuttifiglidellaterra.

Aquelpuntointervenni.–Tuamadreèsepoltainquellafattoria, non è vero?Nonmihai detto che tua madre èsepoltalí?

La sua faccia si fece cupa,dura come una pietra. Io

l’incalzai, fiutando ilvantaggio: – Mi hairaccontato la storia di tuamadre, ma il maggiore nonl’ha sentita. Racconta almaggiore la storia di tuamadre.

Di nuovo notai come siagita quando deve parlare disuamadre. Contraeva la ditadei piedi sul pavimento, sileccavaillabbrospaccato.

–Raccontacideituoiamici

che arrivano in pienanotte ebruciano fattorie, uccidonodonne e bambini, – disseNoël. – È questo che vogliosentire.

–Raccontacidi tuopadre,–dissi io.–Parli tantodituamadre ma non nomini maituo padre. Che ne è stato dituopadre?

K serrò ostinato la bocca,quella bocca che non si

chiudeva mai del tutto,fissandociconodio.

– Non hai figli,Michaels?– dissi. –Un uomo della tuaetà...nonhaiunadonnaedeibambini nascosti da qualcheparte? Perché sei tutto solo?Qualesaràiltuofuturo?Vuoiche la tua storia termini conte?Sarebbepropriounatristestoria,noncredi?

Ci fu un silenzio cosíprofondo che mi sembrò di

sentirlo squillare nelleorecchie.Unsilenziodiquelliche si avvertono nei cunicolidelle miniere, nelle cantine,neirifugiantiaerei,neiluoghisenz’aria.

– Ti abbiamo portato quiperché parlassi, – dissi, –Michaels. Ti diamo un bellettoeunsaccodicibo,tenepuoi stare comodamentesdraiato tutto il giorno eguardare gli uccelli che

volano nel cielo, ma ciaspettiamo qualcosa incambio. È giunta l’ora diparlare,amico.Haiunastoriada raccontare e noi lavogliamo sentire. Cominciada dove ti pare. Dicci di tuamadre. Dicci di tuo padre.Dicci le tue opinioni sullavita. Oppure se non ci vuoiparlare di tua madre, di tuopadre,delletueopinionisullavita, parlaci della tua recente

attività di agricoltore e deituoiamicidellemontagnechevengono a trovarti per unacena di tanto in tanto. Dicciquello che vogliamo sapere enoitilasceremoinpace.

Feci una pausa, luicontinuava a fissarciimpassibile. – Parla,Michaels, – ripresi. – Vedicom’è facile parlare? Allora,parla. Stammi a sentire, vedicome mi è facile riempire

questa stanza di parole?Conosco gente capace diparlare tutto il giorno senzamai stancarsi, gente che puòriempire mondi interi con leparole –. Noël cercò diattrarre lamia attenzionemaio continuai. – Dài un sensoalla tuaesistenza, amicomio,o scivolerai via attraverso lavita senza che nessuno se neaccorga. Sarai solo una cifranella colonna delle unità alla

fine della guerra, quandofanno la grande sottrazioneper calcolare la differenza.Nientealtro.Nonvuoiesseresolo uno dei caduti, no? Tuvuoi vivere, no? Beh, alloraparla! fai sentire la tua voce,racconta la tua storia. Tiascoltiamo! In quale altropostoalmondocredidipotertrovareduepersonegentiliededucate come noi, pronte adascoltarelatuastoriagiornoe

notte,secenefossebisogno,eaprendereancheappunti?

SenzapreavvisoNoëlseneandòvia.–Aspettaqui,tornosubito,–dissiaMichaelseglicorsidietro.

Lo fermai nel buiocorridoio, scongiurandolo. –Non gli tirerete fuori mainiente di sensato, – dissi,– tene rendi certamente conto.Èun babbeo, e nemmeno unbabbeo interessante. È un

poveretto, un’anima smarritaa cui è stato permesso diavventurarsi nel campo dibattaglia, se posso usarequesta parola, nel campo dibattaglia della vita, mentredoveva stare rinchiuso in unistituto con mura alte, ariempire cuscini o annaffiareaiuole. Ascoltami Noël, tidevo rivolgere una preghieraimportante. Lascialo andare.

Noncercarediestorcergliunastoria…

– Chi ha parlato diestorcere?

– …Non cercare dispremere una storia daquest’uomo, perché non c’èdavvero nessuna storia dacavare. Nel senso piúprofondo dell’espressione:non sa quello che fa. L’hoosservatopergiornienesonosicuro.Inventati qualcosa per

il rapporto. Quanti pensi chesiano i ribelli della banda diSwartberg? Venti, trenta? Di’che ha sostenuto che eranoventi, sempre gli stessi venti.Che andavano alla fattoriaogni quattro, cinque, seisettimane, che non glidicevano mai quandosarebberotornati.Chesapevai loro nomi, ma soltanto inomi. Inventati una lista dinomi.Inventatiunalistadelle

armi che avevano. Di’ cheavevanouncampodaqualchepartesullemontagne,nongliavevano mai dettoesattamente dove, ma soloche era molto in alto, che civolevano due giorni dicammino per arrivarci dallafattoria. Di’ che dormivanonelle caverne e che c’eranodelle donne con loro. Anchedei bambini. Basterà. Scrivitutto in un rapporto e

spediscilo. Basterà a levarcelidi dosso. E noi potremoriprendereilnostrolavoro.

Eravamofuori, ferminellaluce del sole, sotto un cieloazzurrodiprimavera.

– Dunque vuoi che miinventi una menzogna e chelafirmicolmionome.

– Non è una menzogna,Noël. Probabilmente c’è piúverità in questa storia che intutto quello che riusciresti a

tirarefuoridaMichaels,se lotorturassiconiserrapollici.

– E se questa banda nonvivesse per niente sullemontagne? Se vivessero quiintorno, a Prince Albert,svolgendo tranquillamente iloro lavoridigiorno secondogliordini,epoi,quandoifiglidormono, tirassero fuori learmi da sotto le tavole delpavimentoesiaggirasseronelbuiofacendosaltareinariale

cose, appiccando fuochi,terrorizzandolagente?Cihaipensato a questa possibilità?Perché ci tieni tanto aproteggereMichaels?

–Non lostoproteggendo,Noël! Vuoi passare il restodella giornata in quel luridobucoaspremereunastoriadaun povero idiota che non sadistinguereilsuoculodalsuogomito, che se la fa neicalzoni quando pensa alla

madreconicapelliinfiammeche gli appare in sogno, checredecheibambinisitrovinosotto una foglia di cavolo?Noël, abbiamo di meglio dafare!Nonnecaveremoniente,te lo dico io, e se loconsegnassimo alla polizia,anche loro arriverebbero allastessa conclusione: non c’ènienteda tirar fuori, nessunastoria che possaminimamente interessare

gente ragionevole. L’hoosservato, lo so! Non ha latesta a posto. Vive in unmondotuttosuo.

Cosí, Michaels, per farlabreve, la verità è che con lamia eloquenza ti ho salvato.Inventeremo una storia peraccontentare la polizia einvece di ritornare a PrinceAlbert con lemanettedentroaun cellulare della polizia inuna pozza di urina potrai

startene disteso tra freschelenzuola ad ascoltare lecolombe che tubano suglialberi, sonnecchiando,pensando ai tuoipersonalissimipensieri.Speroche un giorno me ne saraigrato.

È straordinario, però, chetu sia sopravvissuto pertrent’anni nelle pieghe buiedella città, e poi per unperiodovagando inunazona

di guerra (se c’è da credereallatuastoria),enesiauscitointatto,quandoinvecetenertiin vita è come tenere in vital’anatroccolo piú gracile, o ilgattino piú debole di unafigliata,ounuccellinoappenanato espulso dal nido. Senzadocumenti,senzasoldi,senzafamiglia,senzaamici,senzalaminima idea di chi tu sia. Ilpiú oscuro degli oscuri, cosíoscurodaessereunprodigio.

Il primo giorno caldod’estate,ungiornodamare.Einvece è stato ricoverato unnuovo paziente con febbrealta, vertigini, vomito,linfonodigonfi.L’homessoinisolamento nella vecchiastanza della pesa e homandato a Wynberg icampioni di sangue e urineper le analisi. Mezz’ora fa,passando davanti alla stanzadella posta, ho notato il

pacchetto ancora lí, con lacroce rossa e il timbroURGENTE in evidenza. Ilfurgonedellapostanonvieneoggi,mihaspiegatol’addetto.Perché non l’aveva mandatoaffidandolo a qualcuno inbicicletta?Non c’era nessunodamandare,harisposto.Nonsi trattadiunprigioniero,hodetto,quisitrattadellasalutedi tutto il campo. Si strinsenelle spalle. Môre is nog ’n

dag. Che fretta c’è? Sultavolinoavevaunarivistaconledonninenude.

Dietroilmurooccidentale,dietro ilmurodimattonie ilfilo spinato, le querce lungoRosmead Avenue sonoesplose negli ultimi giornicoprendosi di un fitto verdesmeraldo. Dal viale arriva ilclop clop degli zoccoli deicavalli mentre, ora, dalladirezione opposta, dalla zona

delle esercitazioni, giungonolenote del piccolo corodellachiesa diWynberg che vieneogni due domeniche, col suofisarmonicista,acantareperiprigionieri. Cantano Loof dieHeer, il loro brano dichiusura, dopo il quale iprigionieri vengono fattirientrareapassodimarcianelsettoreDperilpastoabasedipap,fagioliesugo.Perleloroanime hanno un coro e un

pastore (i pastori nonmancano),perilorocorpiunmedico militare. Cosí nonmanca loro niente. Traqualchesettimanaavrannouncertificato che li dichiareràpuri di cuore e pronti dibraccia, e qui arriverannoseicento facce tutte nuove. –Senonmeneoccupoio,seneoccuperàqualcunaltro,–diceNoël, – e quel qualcun altrosaràpeggiodime.–Almenoi

prigionieri hanno smesso dimorirepercauseinnaturalidaquando dirigo io il campo, –dice Noël. – La guerra nonpuòandareavantiall’infinito,– dice Noël, – un giornodovrà finire, come tutte lecose–.Questelesentenzedelmaggiore van Rensburg. –Eppure,–dicoiononappenatoccaameparlare,–quandosmetteranno di sparare e lesentinelle saranno fuggite e il

nemicooltrepasserà icancellisenzachenessunolofermi,siaspetteranno di trovare ilcomandantedelcampoalsuotavolino con un revolver inmano e una pallottola nellatesta. È questo il gesto che siaspetteranno, malgrado tutto–.Noëlnon replica, anche sesospetto che abbia valutato afondotuttoquesto.

Ieri ho dimesso Michaels.Sul foglio di dimissione hospecificato chiaramente chedev’essere esoneratodall’attività fisica per almenouna settimana. E invece,mentre uscivo dalla tribunacoperta, stamattina, la primacosa che ho visto è statoMichaels che sgobbava sullapista insieme a tutti gli altri,nudo fino alla cintola: unoscheletro che si trascinava

dietro a quaranta uomini daicorpivigorosi.Hofattolemierimostranze all’ufficiale diturno.Harisposto:–Quandonon ce la farà piú, crollerà aterra. – Sí, morto! Gli sifermerà il cuore! – hoprotestato.–Leharaccontatoun sacco di storie, – mi harisposto, – non deve crederealle balle che le raccontanoquestibalordi.Nonhaniente.E poi perché le interessa

tanto? Guardi –. Lo indicò.Michaels stava passandodavanti a noi, respirandoprofondamente,congliocchichiusi,ilvisorilassato.

Forse davvero credo atroppe delle sue storie. Forselaveritàèsolochehabisognodimangiaremenodeglialtri.

Sbagliavo. Non avreidovutoaveredubbi.Ètornato

dopo due giorni. Felicity èandata alla porta e se l’ètrovato lí, sorretto da dueguardie, privo di sensi. Hachiesto cos’era successo.Hannofintodinonsaperlo.–Chieda al sergenteAlbrechts,–hannodetto.

Aveva lemani e i piedi dighiaccio,ilpolsodebolissimo.Felicity l’ha avvolto nellecopertesistemandogliaccantodelle bottiglie di acqua calda.

Io gli ho fatto un’iniezione epoi l’ho attaccato a un tuboper alimentarlo con latte eglucosio.

Albrechts vede la cosacomeunsempliceepisodiodiinsubordinazione.Michaelssisarebbe rifiutato dipartecipare alle attivitàprescritte.Perpunizioneglièstato ordinato di fare degliesercizi in cui dovevaaccovacciarsi e poi saltare in

avanti e inalto.Dopoavernecompiutiunamezzadozzina,è caduto al suolo privo disensi e nessuno è riuscito afarlorinvenire.

– Che cos’è che s’erarifiutatodifare?–hochiesto.

– Cantare, – mi harisposto.

–Cantare?Maèunofuoridi testa, che non riescenemmeno a parlare. Comepotetepretenderechecanti?

Si è stretto nelle spalle. –Provarenongli avrebbe fattomale,–hadetto.

–Epoicomeleèvenutoinmente di punirlo con degliesercizi fisici? È debole comeunneonato,lovedeanchelei,no?

–Èilregolamento,–miharisposto.

Michaelsharipresoisensi.

La prima cosa che ha fatto èstata strapparsi il tubo dalnaso.Felicitynonèarrivataintempo per bloccarlo. Adessose ne sta disteso nel lettovicino alla porta con unamontagnadicoperteaddossoe ha tutta l’aria di uncadavere. Si rifiuta dimangiare.Col bracciomagrocome uno stecco allontana ilbiberon. – Questo cibo non

mi va bene, – è l’unica cosachedice.

–Qualeaccidenti è il ciboche va bene per te? – glichiedo.–Eperchécitratti inquesto modo? Non vedi checerchiamo di aiutarti? Mirivolge uno sguardo sereno,indifferente, chemi fa usciredai gangheri. – Ci sonocentinaia di persone chemuoionodifametuttiigiornie tu ti rifiuti di mangiare!

Perché? Stai facendo undigiuno?Cos’è,undigiunodiprotesta? È di questo che sitratta?Econtrocosaprotesti?Vuoi la libertà? Se tilasciassimo andare, se tibuttassimo in mezzo a unastrada cosí ridotto, morirestinel giro di ventiquattro ore.Non sei in gradodi badare ate stesso, non sapresti comefare. Io e Felicity siamo leunicheduepersonesullaterra

che si diano la pena diaiutarti. Non perché tu seispeciale,maperchéquestoèilnostrolavoro.Perchétirifiutidicooperare?

Tanti strepiti hannocausatograndeagitazionenelreparto. Stavano tutti asentire. Il ragazzo cui avevodiagnosticato una sospettameningite (e che ieri hopizzicatoconlemanisotto lagonnadiFelicity)sièpiegato

sul letto, sporgendosi pervedere, con un largo sorrisosulle labbra. Felicity a suavolta ha smesso del tutto difare finta di spazzare perterra.

– Io non ho chiesto untrattamento speciale, – hagracchiato Michaels. Gli hogirato le spalle eme ne sonoandato.

Nonhaimaichiestonientee però sei diventato un

albatro appeso al mio collo.Ho le tue braccia tutt’ossaintrecciate dietro la testa, ecammino chino sotto il tuopeso.

Piú tardi, quando lasituazione nel reparto si eracalmata, sono tornato e misono seduto vicino al tuoletto. Per un bel po’ hoaspettato, poi finalmente haiapertogliocchiehaiparlato:–Nonmorirò, –hai detto. –

Nonriescoamangiarequestaroba.Tuttoqui.Nonriescoamangiareilcibodelcampo.

– Perché non gli prepariunfogliodidimissione?–hoinsistitoconNoël.–Staseraloporto al cancello, gli mettoqualche rand in tasca e loschiaffo fuori. Cosí puòcominciare a badare a sestesso, come chiede. Tucompili un foglio didimissionee io tipreparoun

rapporto:«Causadeldecesso:polmonite, conseguenza didenutrizione cronicaantecedente al ricovero». Lopossiamo cancellaredall’elencoenoncidobbiamopensarepiú.

–Mi sconcerta questo tuointeresseneisuoiconfronti,–ha detto Noël. – Non michiedere di falsificare iregistri, perché tanto non lofarò. Se ha intenzione di

morire, se vuole morire difame, lascialo morire.Semplice.

– Non si tratta di morire.Non è che voglia morire. Èsolo che non gli piace il cibodi qui. Una repulsioneprofonda. Rifiuta perfino ilbiberon.Forselasolacosachemangiaèilpanedellalibertà.

Ècalatotranoiunsilenzioimbarazzato.

– Forse nemmeno a noi

due piacerebbe il cibo delcampo,–hoinsistito.

– L’hai visto quando lohanno portato, – ha dettoNoël. – Era uno scheletroanche allora. Viveva da soloinquellafattoria,liberocomeunuccello,mangiandoilpanedellalibertà,eppureèarrivatoqui che sembrava unoscheletro.SembravauscitodaDachau.

– Forse è solo un uomo

moltomagro,–hodetto.

Il repartoera immersonelbuio, Felicity dormiva nellasua stanza. Mi sono chinatosul lettodiMichaels conunatorcia,el’hoscossofinoachenon si è svegliato, e si èschermato gli occhi. Gli hoparlato inun sussurro, curvocosí vicino a lui da sentirel’odore di fumo che per

qualche motivo ha sempreaddosso malgrado leabluzioni.

– Michaels, ti voglio direuna cosa. Se non mangi,morirai davvero. È semplice.Civorràunpo’ditempo,nonsarà piacevole, ma alla finecertamentemorirai.E iononfarò niente per impedirtelo.Sarebbe facile per me legartial letto, bloccarti la testa conuna cinghia, ficcarti un tubo

ingolaenutrirticosí.Manonlo farò, ti tratterò come unuomo libero, non come unbambino o un animale. Sevuoi buttare via la tua vita,fallopure.Èlavitatua,nonlamia.

Luihaallontanatolamanodagli occhi e si è schiaritobene la gola. Sembrava chestesse per parlare, poi invecehascossolatestaehasorriso.Un sorriso repellente, alla

luce della torcia, sembravaquellodiunosqualo.

–Che tipodicibovuoi?–hosussurrato.–Qualèilciboche saresti disposto amangiare?

Ha allungato la manolentamente,perallontanarelatorcia.Poisiègiratodall’altraparteesièriaddormentato.

Il periodo di

addestramento delcontingente di settembre èfinito, e questa mattina unalunga colonna di uominiscalzi, preceduti da untamburino e fiancheggiati daguardie armate, si èmessa inmarciaperidodicichilometriche ci separano dallo scaloferroviario, da dove sarannopoi spediti nell’entroterra.Qui rimane una mezzadozzinadiuomini,rinchiusie

classificati comeirrecuperabili, che aspettanodi essere imbarcati perMuldersrus, piú altri tre,rimastiininfermeria,chenonsono in grado di camminare.Michaels fa parte di questiultimi:nonhamessoinboccanientedaquandoharifiutatodi essere nutritoartificialmente.

Nell’aria c’è odore disapone al fenolo e una

piacevole immobilità. Misento alleggerito, quasi felice.Sarà cosí quando la guerrafiniràeilcampoverràchiuso?(Oppure il campo nonchiuderànemmenoallora,dalmomento che i campicircondati da altemura sonosempre utili?) Tutti, salvo ilpersonale indispensabile,sono via per il weekend.Lunedí dovrebbero arrivare icoscritti di novembre. Ma il

servizioferroviarioètalmentepeggiorato che riusciamo afare programmi solo digiornoingiorno.C’èstatounassaltoaDeAar la settimanascorsaconnotevolidanniagliscali.Nonèstatoriportatodaibollettini, ma Noël ne haavutonotiziadafontesicura.

Oggi da un venditoreambulante sulla Main Road

hocompratounazuccagialla,l’ho tagliata a fettine e l’hoarrostitaneltostapane.–Nonè proprio la zucca classica, –ho detto a Michaels, dopoaverlo fatto sedere sul lettocon i cuscini dietro, – ma ilsaporeèmoltosimile–.Nehapreso un boccone e io l’hoosservato mentre se lorigirava in bocca. –Ti piace?– gli ho chiesto.Ha annuito.Avevo spruzzato un po’ di

zuccherosullapolpa,manonero riuscito a trovare lacannella. Dopo un po’, pertoglierlo dall’imbarazzo, menesonoandato.Quandosonotornato, era sdraiato colpiatto vuoto vicino.Immagino che la prossimavolta che Felicity passerà lascopatroveràlazuccasottoilletto, piena di formiche. Unpeccato.

– Che cosa ti

convincerebbe amangiare? –glihochiestodopounpo’.

Èrimastoinsilenziocosíalungochehocredutosi fosseriaddormentato. Poi si èschiaritolagola.–Nessunosièmaiinteressatodiquellochemangiavo, – ha detto. –Cosímichiedo,perché.

– Perché non vogliovederti morire di fame. Nonvoglio che nessunomuoia difamequidentro.

Dubito che abbia sentito.Le labbra screpolatecontinuavano a muoversicome se avesse paura diperdere il filo dei suoipensieri. – Mi chiedo: Chisono io per quest’uomo? Michiedo:Checosasignificaperquest’uomo se io vivo omuoio?

– Potresti anche chiedertiperché non fuciliamo iprigionieri.Èlastessacosa.

Ha scosso la testa,facendolaoscillaredaun latoall’altro, e poi, senzapreavviso, ha aperto le pozzescuredeisuoiocchisudime.C’era qualcos’altro che avreivolutodirema chenon sonoriuscito a pronunciare. C’èqualcosa di insensato neldiscutere con qualcuno chesembra ti stia fissandodall’oltretomba.

Per un bel pezzo siamo

rimastiafissarci.Poimisonoritrovato a parlargli,sussurrando. Mentre parlavomi dicevo: Arrenditi. È cosíche sarà la resa. – Potreichiederti la stessa cosa, – hodetto, – la stessa cosa che tuhaichiestoame:Chisonoioper quest’uomo? – Ancorapiú piano ho bisbigliato, colcuore in gola: – Non ti hochiestoiodivenirequi.Tuttoandava perfettamente prima

del tuo arrivo. Ero felice,felice come si può esserlo inunpostocomequesto.Perciòanch’io chiedo: Perchéproprioio?

Avevadinuovo chiuso gliocchi. Mi sentivo la golasecca. L’ho lasciato e sonoandatoinbagno,hobevuto,eper un bel po’ sono rimastoappoggiato al lavandino,pienodirimorsi,pensandoaiguai incombenti, pensando

chenoneropronto.Poisonoritornato da lui con unbicchiered’acqua.–Anchesenon mangi, devi bere, – hodetto.L’hoaiutatoasedersieaprenderequalchesorso.

CaroMichaels,Larispostaè:Perchévoglio

conoscere latuastoria.Vogliosapere come è successo cheproprio tu, tra tantagente, seientrato in guerra, una guerra

dovenonc’èpostoperte.Nonsei un soldato, Michaels, seiuna figura ridicola, unbuffone, un burattino. Che cifai in questo campo? Non c’èniente che possiamo fare quiper riabilitarti, liberandotidalla madre vendicativa con icapelli in fiamme che ti visitain sogno. (Ho capito benequesta parte della storia? Ecomunque è cosí che l’hointesa). E a che cosa ti

dovremmo riabilitare? Aintrecciare cesti? A tagliare iprati? Sei come un insetto-stecco, Michaels, la cui soladifesa contro un universo dipredatori è la sua formabizzarra. Sei comeun insetto-stecco che sia capitato, Diosolosacome,nelbelmezzodiunavastadistesanudaepiattadi cemento. Sollevi le tuefragiligambea steccounapervolta,tiaggirilentopertrovare

qualcosa con cui confonderti,e non c’è niente. Perché maihai lasciato i cespugli,Michaels? Era quello il tuoposto. Avresti dovutorimaneretuttalavitaattaccatoa un cespuglio qualunque inun angolo tranquillo di unoscurogiardinodiunpacificosobborgo, facendo le cose chefanno gli insetti-stecco permantenersi in vita,rosicchiando una foglia qua e

là, mangiando ogni tantoun’afide, bevendo rugiada. E,sepossoentrarenelpersonale,saresti dovuto fuggire inteneraetàdaunamadrecomequella, che sembra essere unavera e propria assassina.Avresti dovuto trovarti unaltro cespuglio il piú possibilelontanodalsuo,peraffrontareuna vita autonoma. Hai fattounosbaglioenorme,Michaels,quando te la sei legata alle

spalleeseiscappatodallacittàinfiammepertrovaresalvezzanella campagna. Perchéquandopensoatechelaportiaddosso, ansimante sotto ilsuo peso, soffocato dal fumo,attentoascansarelepallottole,e pronto a compiere tutti glialtri atti di pietà filiale chesicuramente hai compiuto,penso anche a lei che ti gravasulle spalle, che ti mangia ilcervello e si guarda intorno

trionfante, verapersonificazione della MadreMorte. E ora che se ne èandata stai tramando perseguirla.Mi sonochiesto cosavedi, Michaels, quandospalanchi gli occhi come fai,perché di certo non ème chevedi,dicertononvedileparetibianche e i letti vuotidell’infermeria, non vediFelicity col suo turbantebianco come la neve. Quello

che vedi è tua madre, con lasua aureola di capelli infiamme, che ghigna e tichiama a sé con un ditoricurvo incitandoti aoltrepassare la cortina dellaluceeriunirtialeinell’aldilà.Èquesto che spiega la tuaindifferenzaallavita?

Un’altra cosa che mipiacerebbe sapere è che razzadi cibo hai mangiato neldeserto che è stato capace di

rendere il resto del ciboinsapore.L’unicoche tuabbiamai menzionato sono lezucche.Haiperfinodeisemidizucca con te. Ma la zucca èl’unico cibo conosciuto nelKaroo? Devo credere che haivissuto per un annonutrendoti solo di zucca? Ilcorpo umano non è in gradodi farlo, Michaels. Che altromangiavi?Andaviacaccia?Tisei costruito un arco e delle

frecce, e sei andato a caccia?Mangiavi radici e bacche?Mangiavi locuste? Nel tuofascicolo c’è scritto che eri unopgaarder, un magazziniere,ma non dicono cosaimmagazzinavi. Era manna?Forse che la manna ti cadevadal cielo e tu la raccoglievi incontenitorinascostisottoterraperchéituoiamicivenisseroamangiarla nottetempo? È perquesto che ti rifiuti di

mangiare il cibo del campo?Perché sei stato viziato persempre dal sapore dellamanna?

Ti saresti dovutonascondere,Michaels.Nonhaibadato abbastanza a te stesso.Avrestidovutosgattaiolareviae rifugiarti nei recessi piú buidella tana piú profonda e,armatodipazienza,aspettareilristabilirsidellacalma.Credevidi essere invisibile come uno

spirito?Unospiteinvisitanelnostro pianeta? Una creaturanon soggetta alle leggi dellenazioni?Ebbene, le leggidellenazioni ti hanno preso nellaloro morsa adesso: ti hannoimmobilizzatoinunlettosottola tribuna coperta del vecchioippodromodiKenilworth,etistritoleranno nella polvere, senecessario. Le leggi sono diferro, Michaels, spero che tuquesto l’abbia capito. Per

quantomagrotutiriducanonallenteranno la presa.Non c’èpiúpostoperanimeuniversali,tranne forse inAntartide o inaltomare.

Se non accetteraicompromessi morirai,Michaels. E non pensare chedeperirai semplicemente, chediventerai sempre piúdisincarnato, fino a che saraisoltantoanimaepotraivolarevianell’etere.Lamortechehai

scelto è piena di dolore esconforto e vergogna erimorso, e dovrai sopportaretuttociòpertantigiorniprimache arrivi la liberazione.Morirai,e la tuastoriamoriràconte,persempre,amenochenon torni a ragionare e miascolti. Ascoltami, Michaels.Sonoilsolochetipuòsalvare.Il solo che vede in te l’essereunicochesei.Ilsoloacuistaia cuore. Il solo che non ti

considera né come un casofacile adatto a un campoleggero né come un casodifficile da spedire in uncampo duro, ma comeun’animaaldi sopraealdi làdi ogni possibileclassificazione, un’animafelicemente fuori dalladottrina, fuori dalla Storia,un’animachecercadisbatterele ali dentro un rigidosarcofago, che mormora

qualcosa dietro una mascherada buffone. Sei prezioso,Michaels, per come sei. Seil’ultimo della tua specie, unacreatura sopravvissuta daun’era precedente, come lalatimeriao l’ultimouomocheparla yaqui. Noi siamo tuttiprecipitati dentro il calderonedella Storia, solo tu, seguendolatualuceidiota,aspettandoiltuo momento in unorfanotrofio (chi avrebbe

pensatoproprioaquellocomea un rifugio?), sfuggendo allapaceeallaguerra,aggirandotifurtivoall’apertodovenessunosi sarebbe sognato di cercare,sei riuscito a vivere in questomodo antico, lasciandotiscivolarenel flussodel tempo,osservando le stagioni, noncercando di cambiare il corsodellaStoriapiúdiquantononfaccia un granello di sabbia.Dovremmo apprezzarti e

celebrarti, dovremmo metterei tuoi vestiti su unmanichinoin un museo, i tuoi vestiti eanche il tuopacchettodisemidi zucca, con un’etichetta; cidovrebbe essere una targainfissa sul murodell’ippodromo acommemorare la tuapermanenza qui. Ma nonandrà cosí. La verità è che tumorirai nell’oscurità e saraisepolto in una buca senza

nome in un angolodell’ippodromo, poiché iltrasporto ai campi diWoltemade di questi tempi èfuori discussione, e nessunotrannemesi ricorderàdi te, ameno che tu non ceda e allafineapralabocca.Tisupplico,Michaels:cedi!

Unamico

Dopo una serie di voci,finalmenteègiunta lanotizia

definitiva sui coscritti diquesto mese. Il grosso delgruppo è fermo alla stazioneferroviaria di Reddersburg inattesadi trasporto.Quantoalgruppo proveniente dallaprovincia orientale del Capo,nonarriveràaffatto: ilcampodidislocazionedelletruppediUitenhage non ha piú ilpersonale per dividere iprigionieri in irriducibili emalleabili, tutti i detenuti di

quellazonasarannorinchiusiin campi di massimasicurezzafinoanuovoordine.

Cosí a Kenilworthcontinua ad aleggiareun’atmosfera da villaggioturistico. Per domani è stataorganizzata una partita dicricket tra il personale delcampo e una squadra difurieri. Nelmezzo della pistaferve un’intensa attività:stanno tagliando l’erba e

spianando il terreno. Noëlsaràilcapitanodellasquadra.Dice che non gioca datrent’anni. Non riesce atrovare un paio di calzonibianchicheglientrino.

Può darsi che, secontinuano a far saltare ibinari e i trasporti vengonointerrotti dappertutto, ilCastello si dimenticherà dinoi e ci lascerà qui a giocareper il resto della guerra,

abbandonati a un serenoobliodietrolenostremura.

Noël è venuto a fareun’ispezione. Nel repartoc’erano solo due prigionieri:Michaels e il caso dicommozione cerebrale.AbbiamoparlatodiMichaels,a voce bassa, anche se luidormiva. Lo potrei ancorasalvare, se mi decidessi ausare una sonda, ho detto aNoël, ma non mi va di

costringere a vivere unapersonachenonvuolevivere.I regolamentimi appoggianoin pieno: nientealimentazione forzata, nienteprolungamento artificialedella vita. (E anche: nessunapubblicità agli scioperi dellafame). – Quanto dureràancora?–mihachiestoNoël.– Forse due settimane, forseanchetre,–glihorisposto.–Almenoèunafinetranquilla,

– ha detto. – No, è una finedolorosa e straziante, – horisposto.–Nonpotrestifargliun’iniezione? – hadomandato.–Perabbatterlo?–hochiesto.–No,nonvogliodirequesto,soloperrenderglila fine piú facile –. Mi sonorifiutato. Non possoprendermi una simileresponsabilità finché c’èancora una possibilità che

cambiidea.L’abbiamochiusalí.

La partita di cricket vienegiocata e persa, con la pallache sfreccia sull’erbairregolare e i battitori chesaltanoadestraeamancaperevitarediesserecolpiti.Noël,che giocava con una tutabianca profilata di rosso chelo faceva assomigliare a un

BabboNataleinmutandoniemaglietta termica, ha battutola palla per undicesimo ed èstatosubitoeliminato.–Dovehai imparato a giocare acricket? – gli ho chiesto. –AMoorreesburg, negli anniTrenta, nella palestra dellascuola, durante l’intervalloper il pranzo, – mi harisposto.

Mi sembra la personamigliorecheabbiamoqui.

Dopo la partita si è fattabaldoriaa lungo, finoanottefonda.Cièstatopromesso lospareggio per il prossimofebbraio, a Simonstown, seancorasaremovivi.

Noël è molto depresso.OggihasaputocheUitenhagenoneracheilprincipio,cheladistinzione tra campi diriabilitazione e campi di

internamento sarà abolita.Baardskeerdersbos saràchiusoeglialtritre,compresoKenilworth, verrannotrasformati in veri e propricampi di internamento. Lariabilitazione, a quanto pare,è un ideale che non ha datobuona prova di sé; per quelche riguarda i battaglioni dilavoro, potranno benissimoessere forniti dai campi diinternamento. Noël: – Mi

state forse dicendo cherinchiuderete i soldatiinduriti dalla guerra qui aKenilworth, nel belmezzo diuna zona residenziale, dietrounmurodimattonieunpo’difilospinato,connient’altrocheunamanciatadi vecchi ebambini piú qualche casopietoso a sorvegliarli? –Risposta:–Ilimitidelcampodi Kenilworth sono staticonsiderati con grande

attenzione. Si apporterannodelle modifiche sostanziali,tra cui potenziamentodell’illuminazione e torri diguardia,primadiriaprirlo.

Noël mi confida che haintenzione di ritirarsi: hasessant’anni, ha datoabbastanza della sua vitaall’esercito. Ha una figliavedova a Gordon’s Bay cheinsiste perché vada a viverecon lei. – Per dirigere un

campo di ferro ci vuole unuomodiferro.Eiononsonoquel tipo d’uomo –. Nonpossodarglitorto.Nonessereunuomodiferroèlasuapiúgrandevirtú.

Michaels se n’è andato.Dev’essere scappato durantela notte. Felicity ha notato illetto vuotoquando è arrivatastamattina, ma non ha fatto

rapporto («Ho pensato chefosse andato in bagno»!)Erano già le dieci quandohoscoperto la cosa. Ora, aripensarci, è evidente comedev’esserestatofacile,ocomelo sarebbe per chiunque sitrovasse in condizioni disalute normali. Col campoquasi vuoto, le unichesentinelle in servizioeranoalcancelloprincipale e a quelloche porta al settore del

personale.Nonc’eranorondelungo ilperimetrodelcampoe il cancello laterale era solochiuso a chiave. Non c’eranessuno dentro che potessescappare; e chimaidovrebbevolercercaredientrare?Ecco,ci eravamo scordati diMichaels. Dev’essere uscitodall’infermeria in punta dipiedi, si sarà arrampicato sulmuro,Dio solo sa come, e sene sarà andato alla

chetichella.Ilfilospinatononsi direbbe sia stato reciso innessun punto, ma del restoMichaels è cosí spettrale chepuòsgattaiolareviaattraversoqualsiasicosa.

Noël è in imbarazzo. Laprocedura in situazioni delgenere prevede di farerapporto e demandare laresponsabilità alla poliziacivica. Ma in quel caso cisarebbe un’indagine da cui

emergerebbe senza dubbio ilclima di spensieratezza cheregna qui dentro: metà delpersonale in libera uscita perl’intera notte, ronde sospese,eccetera.L’alternativasarebbequella di confezionare uncertificatodimorte e lasciarecheMichaelssenevadadovevuole. Ho cercato diconvincere Noël in questosenso. – Per l’amor di Diochiudiamounavoltapertutte

questa storia di Michaels! –gli ho detto. – Quel poverodeficiente è andato via comeun cane malato a morire inqualche angolo nascosto.Lascialo in pace, non lotrascinare di nuovo quidentro a morire sotto iriflettori, con addosso gliocchi di estranei –. Noël hasorriso. – Sorridi pure, maquello che dico è vero: i tipicome Michaels sono in

contatto con cose che io e tenon capiamo. Sentono ilrichiamo del grande buonmaestro e obbediscono. Nonhai mai sentito parlare deglielefanti?

– Michaels non avrebbemai dovuto mettere piede inquesto campo, – hocontinuato. – È stato unerrore.Tuttalasuavitaèstataun errore dal principio allafine. È crudele dirlo, ma lo

voglio dire ugualmente: nonsarebbe mai dovuto nascerein un mondo come questo.Sarebbe stato meglio se lamadre, quando ha vistocom’era,loavessesoffocatodinascosto e buttato nellaspazzatura. Ora almeno,lascialo andare in pace.Redigerò un certificato dimorte, che tu controfirmeraie qualche impiegato delCastello archivierà senza

dargli nemmeno un’occhiata,e questa sarà la fine dellastoriadiMichaels.

–Portailpigiamacachidelcampo,–hadettoNoël.–Lapolizia lo prenderà, glichiederà da dove viene, e luirisponderà che viene daKenilworth. Quelli farannouncontrollo,scoprirannochela sua fuga non è statadenunciata, e noi lapagheremocara.

–Non portava il pigiama,– ho replicato. – Che cosaabbiatrovatodamettersinonlo so, ma il pigiama l’halasciato qui. Quanto adaffermare che viene daKenilworth,nonlofarà,perlasemplice ragione che nonvuole essere riportato qui.Racconterà un’altra delle suestorie, per esempio che vienedal Paradiso terrestre. Tireràfuori il suopacchettodi semi

dizuccaeliscuoterà,facendounodeisuoisorrisiequelliloporteranno direttamente almanicomio, se non li hannoancora chiusi tutti. Nonsentirai piú parlare diMichaels,Noël, te logiuro.Epoi, lo sai quanto pesa?Trentacinquechili,tuttopellee ossa. Sono due settimanechenonmetteinboccanientedi niente. Il suo corpo haperso la capacità di digerire

cibonormale.Mistupiscecheabbiaavuto la forzadialzarsie camminare, ed è unmiracolo che sia riuscito ascalare il muro. Quanto puòdurare? Basterà una notteall’addiaccio e moriràassiderato.Ilsuocuorenoncelafarà.

– A proposito, – mi hainterrotto Noël, – qualcunohaverificatochenonsiastesoper terra lí fuori, che non

abbia scalato il muro e nonsia caduto dall’altra parte? –Mi sono alzato. – Perchél’ultima pubblicità che ciserve,–haproseguito,–èuncadavere, pieno di mosche,fuori della recinzione. Non ècompitotuo,masehaivogliadi farlo, vai pure acontrollare. Puoi prendere lamiamacchina.

Non ho preso la suamacchina:ho fatto il girodel

campoapiedi.Tutto intornoal perimetro crescevano fittele erbacce, e lungo il muroposteriore ho dovuto farmistrada tra cespuglid’erbaaltafino al ginocchio. Non hovisto corpi e neppure buchinellarete.Dopomezz’oraerodi ritorno, stupito da quantopossa apparire piccolo dafuori un campo che a chi stadentrosembral’universo.Poi,invece di tornare a fare

rapporto aNoël,mene sonoandato a passeggiare perRosmead Avenue, all’ombrascreziata delle querce,godendomi l’aria immobiledelmezzogiorno.Unvecchiomiha superato in sella aunabicicletta che cigolava a ognicolpodipedale.Haalzatounamanoinsegnodisaluto.Mièvenuto in mente che sel’avessi seguito, procedendodritto giú per il viale, per le

due sarei arrivato allaspiaggia. C’era una qualcheragione,mi sono chiesto, percuil’ordineeladisciplinanondovesserocrollarequelgiornopiuttosto che l’indomani, oun mese o un anno dopo?Cosa avrebbe reso maggiorebeneficio all’umanità, misono chiesto: che io avessitrascorso il pomeriggio aldispensarioafarel’inventariodei medicinali o che fossi

andato alla spiaggia,mi fossitoltoivestitiefossirimastoinmutande ad assorbire ibenigni raggi del soleprimaverile, a osservare ibambini giocare nell’acqua, epoi mi fossi comprato ungelato al chiosco delparcheggio, ammesso che cifosse ancora il chiosco? Checosa aveva ottenuto alla fineNoël affaticandosi alla suascrivania, per pareggiare il

numero di quelli cheentravano e di quelli cheuscivano? Non avrebbe forsefatto meglio a schiacciare unsonnellino? Forse la sommadella felicità universalesarebbe aumentata seavessimo proclamato quellounpomeriggiodifestaecenefossimo andati alla spiaggia,comandante, medico,cappellano, istruttori dieducazione fisica, guardie,

addestratori di cani, tuttiinsieme con i sei irriducibilidel settore carcerario,lasciando qui il caso dicommozione cerebrale acustodire il tutto. Forseavremmo potuto ancheconoscere delle ragazze. Perquale motivo avevamodichiarato questa guerra,dopo tutto, se non peraumentare la somma difelicità nell’universo?O forse

ricordavo male, forse eraun’altra la guerra a cuipensavo?

– Michaels non sta perterradall’altrapartedelmuro,– ho riferito. – E nemmenoporta abiti che ci possanoincriminare. Indossa la tutablu, con la scrittaTREEFELLERS stampatadavanti e dietro, che stavaappesaaunchiodo,Dio solosa da quando, nei gabinetti

della tribuna coperta. Perciòpossiamo tranquillamentescaricarci di dosso ogniresponsabilità nei suoiconfronti.

Noëlaveval’ariastanca:unuomovecchioestanco.

– E poi, – gli ho detto, –potresti ricordarmi perchéstiamo combattendo questaguerra?Mel’hannodettounavolta, ma tanto tempo fa, ecredodiaverlodimenticato.

– Stiamo combattendoquesta guerra, – ha dettoNoël, – perché le minoranzepossano decidere dei lorodestini.

Ci scambiammo unosguardo assente. Qualunquefosse il mio umore nonriuscivoacomunicarglielo.

– Fammi avere quelcertificato che mi haipromesso, – ha detto. –Non

metterci la data, lasciala inbianco.

Poi, la sera, seduto altavolo dell’infermiera conniente da fare nel repartoimmerso nel buio, mentre ilventodisud-estcominciavaasoffiare fuori e il caso dicommozione cerebralerespirava regolarmente,mi siè imposta con forza allamente l’idea che stavosprecando la vita, che la

sprecavo vivendola allagiornata, in uno stato diattesa, che mi ero di fattolasciato imprigionare daquesta guerra. Sono uscito emi sono fermato in mezzoalla pista vuota a fissare ilcielo spazzato dal vento, conla speranza chequell’inquietudine passasse,lasciando nuovamente ilposto alla calma. Il tempo diguerra è un tempo di attesa,

aveva detto una volta Noël.Che altro c’era da fare in uncampo oltre che attendere?Recitare la commedia dellavita, espletare i propricompiti, con un orecchiosempre teso al ronzio dellaguerraoltre ilmuro,attentiaogni mutamento di tono.Eppure mi venne fatto dichiedermi se Felicity, percitare solo Felicity, pensassedi vivere in un tempo

sospeso,vivamanonproprioviva,mentre la Storia esitavasul corso da prendere.Felicity, se devo giudicare daquello che c’è stato tra noi,non ha mai considerato laStoria altro che una sorta dicatechismo per bambini(«Quando è stato scoperto ilSudafrica?» «Nel 1652».«Dove si trova la piú grandecaverna del mondo scavatadall’uomo?» «A Kimberley»).

Dubito cheFelicity immaginicorrenti di tempo cheturbinano vorticosamenteintorno a noi, sui campi dibattaglia e nei quartiergenerali, nelle fabbriche enelle strade, nelle saleriunioni e nelle camere diconsiglio, dapprimaoscuramente,masempre teseverso un momento ditrasfigurazioneincuidalcaossi genera un disegno e la

Storia simanifesta in tutto ilsuo trionfante significato. Ameno che non mi sbagli sulsuoconto,Felicitynonpensaa se stessa come a unanaufraga abbandonata inunatasca del tempo, tempod’attesa,tempodatrascorrerein un campo, tempo diguerra. Per lei il tempo èpieno come è sempre stato,perfino il tempo passato alavare i panni, perfino quello

passato a spazzare ipavimenti; mentre per me,checonunorecchioascoltolebanali discussioni della vitadel campo e con l’altro larotazione soprasensibile delgiroscopio del GrandeDisegno,permeiltemposièsvuotato.(OforsesottovalutoFelicity?) Perfino il caso dicommozione cerebrale, tuttoripiegato su se stesso,concentratonelprocessodella

sua lenta estinzione, vive lasua morte piú intensamentedi quanto io non viva lamiavita.

Malgrado l’imbarazzo checi creerebbe, mi ritrovo adesiderarecheunpoliziottosipresenti al cancello, tenendoMichaels per la collottola,simile a una bambola dipezza, e dica: – Dovrestesorvegliarequestibalordiconpiú attenzione, – e me lo

depositilí,andandoseneviaapasso di marcia. Michaels,conlesuefantasiediriempireil deserto di fiori di zucca, èun altro di questi, troppooccupato, troppo stupido,troppoassortonelle suecose,per dare retta agli ingranaggidellaStoria.

Questa mattina, senzapreavviso, è arrivato un

convoglio di camion conquattrocento nuoviprigionieri, il gruppo che erarimasto bloccato aReddersburg per unasettimana e poi sulla lineaferroviariaanorddiBeaufortWest. Intanto che noieravamo qui a organizzarepartite, a trastullarci conamichette e a filosofeggiaresulla vita, sulla morte, sullaStoria, questi uomini

aspettavano dentro carribestiame, parcheggiati inqualche binario di raccordosotto il sole di novembre,dormendo uno addossoall’altronel freddodellenottiad alta quota, uscendo duevoltealgiornoper fare i lorobisogni, avendo da mangiaresolo del porridge cotto sufuochidirovivicinoaibinari,vedendo passare carichi piúurgenti di loro,mentre ragni

tessevano tele tra le ruotedella loro casa. Noël mi hadettochestavaperrifiutareinmodocategoricolaconsegna,come forse aveva diritto difare, date le strutture cheabbiamo qui, fino a che nongli è arrivato il puzzo deiprigionieri, non si è resoconto della loro stanchezza edisperazione, e ha capito chese avesse creato delledifficoltà, quelli sarebbero

semplicemente stati riportatiindietro allo scalo ferroviarioe ammassati negli stessicamion sui quali eranoarrivati, ad aspettare fino ache non si fosse mossoqualcuno da qualche parte,nell’inimmaginabileburocrazia lassú, oppure finoachenonfosseromorti.Cosíabbiamo lavorato tutto ilgiorno, tutti quanti, senzainterruzione, per poterli

registrare: spidocchiandoli ebruciandoilorovecchivestiti,mettendo loro addossol’uniforme del campo,nutrendoli e dando loro ifarmaci,separandoimalatidaquelli che erano solodenutriti.Ilrepartoel’edificioannesso stanno ancora unavoltaperscoppiare;alcunideinuovi pazienti non sonomeno fragili diMichaels, chemi sembrava fosse arrivato

allo stadio piú vicino allamorte invitaovita inmorte,quel che è. Tutto sommato,dunque, siamo di nuovo allavoro, e tra non moltotorneranno anche gli esercizidi alzabandiera e i cantieducativi a disturbare la pacedeipomeriggid’estate.

I prigionieri hanno dettochealmenoventidilorosonomortiduranteilviaggioechesono stati seppelliti in

sepoltureanonimescavatenelveld. Noël ha controllato idocumenti. È venuto fuoriche si tratta di un fascicolonuovo, preparato a Città delCapoquestamattina,echedàconto soltanto del numerodegli arrivi. – Perché nonchiedi la documentazione diimbarco? – gli ho chiesto. –Sarebbetempoperso,–miharisposto. – Mi direbbero chequei documenti non sono

ancora arrivati. Solo che nonarriveranno mai. Nessunovuole un’inchiesta e poi, chipuò dire che venti suquattrocento sia unapercentuale troppo alta? Lagentemuore, la gentemuorein continuazione, è la naturaumana,nonsipuòimpedirlo.

Dissenteria ed epatiteimperversano, e anchenaturalmente i vermi. Io eFelicity, com’è evidente, non

ce la faremoa tener testaallasituazione. Noël è d’accordoche io recluti due inservientitraiprigionieri.

NelfrattempoprocedonoiprogrammidipromozionediKenilworth a campo dimassima sicurezza. Ilpassaggioavverràil1°marzo.Ci saranno grossicambiamenti, tra cuil’abbattimento della tribunacoperta e la costruzione di

baracche per ospitare altricinquecentoprigionieri.Noëlha telefonato al Castello perprotestare in meritoall’assenza di preavviso e si èsentito dire: – Calmati.Abbiamo pensato a tutto.Aiutaci mettendo i tuoiuomini a sgomberare ilterreno. Se c’è erba,bruciatela. Se ci sono pietre,levatele. Ogni pietra produce

un’ombra. Buona fortuna.Ricorda,’nboermaak’nplan.

Sospetto che Noël stiabevendo piú del solito. Forseora sarebbe il momentogiusto, per lui come per me,di abbandonare la fortezza –perché questo è ciò che laPenisola è destinatachiaramente a diventare –,lasciando i prigionieri acustodire i prigionieri, imalatiacurareimalati.Forse

tutti e due dovremmoprendere esempio daMichaels e andarcene a fareun viaggio in una delle zonepiú tranquille dellacampagna, per esempio neiluoghipiúsperdutidelKaroo,e mettere su casa lí, duedisertori, gentiluomini dimezzi modesti e sobrieabitudini.Comearrivare finoa dove è giunto Michaelssenza essere presi è la

difficoltà maggiore. Forsepotremmo cominciaresbarazzandoci delle uniformi,lasciando che le unghie siorlino di sporcizia, ecamminandounpo’piúchinisul terreno, anche se dubitocheriusciremmomaiadaverela stessa aria anonima diMichaels,oalmenoquellachedoveva avereMichaels primadi diventare uno scheletro.Osservando Michaels, ho

sempre avuto l’impressioneche qualcuno avesse messoinsieme una manciata dipolvere, ci avesse sputatosopra e l’avesse modellatadandolelaformadiunuomorudimentale, commettendouno o due sbagli (la bocca esicuramente il contenutodella testa) e omettendo unoodueparticolari(ilsesso),matuttavia riuscendo alla fine afare un vero omino di terra,

di quelli che nell’artecontadinasivedonovenirealmondo tra le poderose coscedellamadre, con ledita già auncinoelaschienagiàcurva,pronta per una vita datrascorrere scavando tane,una creatura chepassa le sueorediveglia curva sulla terrae quando viene la sua ora siscava la fossa e ci scivolasilenziosamente dentro,tirandosi la terra pesante sul

capo come una coperta,quindifaunultimosorriso,sivolta, e discende nel sonno,finalmente a casa, mentreinosservate come sempre, daqualche parte lontano, leruotedella Storia continuanoa cigolare. Quale organo diStato potrebbe prendere inconsiderazione l’ipotesi direclutarecreaturesimilicomesuoi agenti, e che cos’altropotrebbero fare oltre a

trasportare pesi e morire ingrande numero? Lo Statomonta pesantemente sullegroppe di questi zappatoricome Michaels, divora ilfrutto del loro sudore e incambiogli cacaaddosso.Ma,stampando su Michaels unnumero e ingoiandolo, loStato in realtà ha sprecato ilsuotempo.PerchéMichaelsèpassato negli intestini delloStato senza essere digerito, è

uscitodai suoi campi intatto,com’era uscito intatto dallesue scuole e dai suoiorfanotrofi.

Mentre io, se una nottebuia dovessi scivolare dentrouna tuta e un paio di scarpedatennisescavalcareilmuro(tagliando il filo spinato,poichénonsonofattod’aria),io verrei beccato dalla primaronda che passa, ancoraintento a decidere in quale

direzione si trovi la salvezza.La verità è che ho persol’unicachancecheavevo,l’hopersa prima ancora direndermene conto. La notteincuiMichaels sen’èandatoio avrei dovuto seguirlo. Èinutile scusarmi dicendo chenon ero pronto. Se l’avessipreso sul serio, sarei semprestato pronto. Avrei tenutosempreaportatadimanouninvolto con un cambio di

vestiti,unborsellinopienodisoldi, una scatola difiammiferi, un pacchetto dibiscotti e una scatoletta disardine.Nonl’avreimaipersodi vista. Se dormiva, avreidormito di traverso sullasoglia del padiglione, se erasveglio, l’avrei tenutod’occhio. E quando èsgattaiolato via, sareisgattaiolato via dietro di lui.Sarei scivolato da un’ombra

all’altraseguendoisuoipassi,avrei scavalcato il muro nelpunto piú buio, gli sareiandatodietrolungoilvialediquerce sotto le stelle,tenendomi a distanza,fermandomi quando sifermava, cosí che non fossemaicostrettoachiedersi:Chiè che mi segue? Che cosavuole da me?, o persino amettersi a correre,prendendomi per un

poliziotto, un poliziotto inborghese, in tuta e scarpe daginnastica e con una pistolanascostadentrol’involtosottoilbraccio.L’avreiseguitotuttalanotteperstradesecondarie,fino a che, all’alba, non cisaremmo ritrovati tutti e dueaibordidelledistesenudedeiFlats delCapo, procedendo acinquantapassiunodall’altro,tra la sabbia e i cespugli,evitando le baraccopoli dove,

quae là, si sarebbe scortounricciolodifumosalireversoilcielo.Epropriolí,allalucedelgiorno, ti saresti a un certopunto voltato verso di me, ilfarmacista improvvisatosimedico militare e poidiventato tuo inseguitore,quello che, prima diravvedersi, ti aveva ordinatoquando dormire e quandostare sveglio, che ti avevainfilatosondesuperilnasoe

pillole giú per la gola, che intua presenza si era messo aprenderti in giro, e che,soprattutto, non aveva maismessodiimportiuncibochenoneriingradodimangiare.Sospettoso, anzi furibondo, tisaresti fermato in mezzo alsentiero ad aspettare che miavvicinassi e ti dessi unaspiegazione.

E io sarei arrivato davantia te e avrei parlato. Ti avrei

detto:–Michaels,scusamipercometihotrattato,nonavevocapito chi eri fino agli ultimigiorni. Scusami anche peraverti seguito in questomodo. Ti prometto che nonsaròunpeso(chenonsaròunpeso come era tua madre? –no, forse questo sarebbeimprudente).

Non ti sto chiedendo diprenderti cura di me, didarmi da mangiare, per

esempio. Quello di cui hobisognoè semplice.Anche sequestoèunpaesegrande,cosígrande che crederesti ci siaspazio per tutti, quanto hoimparato dalla vita misuggerisce che è difficiletenersi alla larga dai campi.Eppure sono convinto che cisiano zone tra un campo el’altro che non appartengonoaicampi,enemmenoall’areadi reclutamento dei campi:

certe cime di montagne peresempio, certe isole inmezzoalle paludi, certe strisce diterra arida dove gli esseriumani potrebbero ritenerechenon valga la pena vivere.Sto cercando un posto cosí,per andarci a vivere, forsesolo finoache lecosenonsisarannosistemate,oforsepersempre. Ma non sono cosístupido da credere di potercontaresumappeestradeper

raggiungerlo. Cosí ho sceltote, perché sia tu amostrarmilastrada.

Poimi sarei avvicinato finquasi a toccarti, inmodochetu potessi guardarmi negliocchi. – Dal giorno che seiarrivato, Michaels, – avreidetto,sefossistatosveglioetiavessiseguito,–hocapitochenon eri fatto per i campi. Inprincipio ho pensato a te, loconfesso, come a una figura

ridicola. E se ho insistito colmaggiore van Rensburgaffinché ti esentasse dalladisciplina del campo, l’hofattosoloperchépensavochecostringerti a compiere gliesercizi di riabilitazionesarebbe stato comepretendere da un ratto o daun topo o (posso dirlo?) dauna lucertola, che imparassead abbaiare, a chiederel’elemosina o ad acchiappare

una palla. Col passare deltempo, però, ho cominciatolentamente a capirel’originalità della resistenzache opponevi. Non eri uneroe,népretendevidiesserlo,neppureuneroedeldigiuno.Di fatto non resistevi perniente. Quando ti abbiamodetto di saltare, hai saltato.Quando ti abbiamo detto disaltare ancora, hai saltatoancora. Quando ti abbiamo

detto di saltare per la terzavolta non hai reagito,ma seicrollato a terra e tuttiabbiamocapito,perfinoquellidi noimeno bendisposti, chenoncel’avevipiúfattaperchéper ubbidirci avevi esauritotutte le tue energie. Cosí tiabbiamo raccolto e abbiamoscoperto che non pesavi piúdiunsaccodipiume,eallorati abbiamomessodavantidelcibo. Abbiamo detto:

«Mangia,recuperaletueforzeinmododapoterleesauriredinuovo per ubbidirci». E tunon ti sei rifiutato, haiprovato sinceramente, nesono convinto, a fare quelloche ti veniva detto. Haiaccettato con la volontà(scusami se faccio questedistinzioni,ma sonogliunicimezzi che ho per spiegarmi),la tua volontà haacconsentito,ma il tuocorpo

si è tirato indietro. Cosíalmenoho interpretato il tuocomportamento. Il tuo corpoha rigettato i cibi che glidavamo e tu sei diventatoancora piú magro. Perché?Perché, mi sono chiesto,quest’uomo non mangiaanche se non c’è dubbio chesta morendo di fame? Poi,osservandoti,ungiornodopol’altro, ho lentamentecominciato a capire la verità:

che tu in segreto desideravi,senza che se ne rendesseconto il tuo io cosciente(scusami per l’espressione),desideravi un altro tipo dicibo, un cibo che nessuncampo può dare. La tuavolontà continuava a esseremalleabile, ma il tuo corporeclamava il suo cibo e soloquello. Eppure mi avevanoinsegnato che il corpo nonconosce ambivalenza. Il

corpo,mi avevano insegnato,vuole solo vivere. Il suicidio,avevo capito, non è un attodelcorpocontrosestesso,madella volontà contro il corpo.Einvecemitrovavodi frontea un corpo che stava permorire piuttosto checambiare la sua natura. Sonorimasto ore sulla porta delreparto a guardarti e ainterrogarmi suquelmistero.Non c’era un principio,

un’idea,dietroal tuodeclino.Tu non volevi morire, mastavi morendo. Eri come unconiglietto cucito dentro lacarcassa di un bue, chesoffoca certo, ma che altempostesso,inmezzoatuttaquella carne, muore daldesideriodelverocibo.

A questo punto avreimagaripotutofareunapausainquestomiodiscorsotenutosui Flats, mentre da qualche

parte alle nostre spalle, nontroppo lontano, ci sarebbegiunto il rumorediunuomochetossiva,sischiarivalagolae sputava, e anche l’odore diun fuoco di legna;ma imieiocchi accesi ti avrebberocontinuato a tenereinchiodatodov’eri.

– Sono stato io l’unico –avrei continuato – a capireche eri piú di quello chesembravi. Lentamente, man

mano che il tuo ostinato Noacquistava peso, hocominciatoapercepirecheeriben piú di un ennesimopaziente, un’altra vittimadellaguerra,unaltromattonedella piramide del sacrificiochequalcunoallafineavrebbescalatopermettercisi sopra acavallo, ruggendo, battendosiil petto e dichiarandosiimperatoredituttoquellochedominavacon lo sguardo.Te

ne stavi disteso nel tuo letto,sotto la finestra, col sololumino da notte acceso, aocchi chiusi, e forse dormivi.Io rimanevo sulla soglia,respirando piano, sentendo ilamenti e i fruscii di tutti glialtri dormienti, e aspettavo,mentre in me cresceva lasensazioneche intornoaunosolodiqueiletticifossecomeun addensarsi dell’aria, unconcentrarsi del buio, un

turbine nero che in assolutosilenziorombassesoprailtuocorpo, indicando te, senzamuovere nulla, neppure unlembo della coperta. Ioscrollavo la testa come unochecerchidiriscuotersidaunsogno, ma la sensazionepersisteva. Non è la miaimmaginazione, mi dicevo.Questa concentrazione disenso non è una specie diraggio che io proietto per

inondaredilucequestooquelletto, o una veste in cuiavvolgo questo o quelpaziente a seconda dell’estro.Michaels significaqualcosa, eil suo significato non èdestinato a me solo. Se lofosse, se l’origine di questosignificarenonfossealtrocheunintimosensodimancanzacheè inme, lamancanza, adesempio, di qualcosa in cuicredere, poiché tutti

sappiamo come sia difficilesoddisfarelafamediuncredocon la visione dei tempi avenire prospettati dallaguerra, per non parlare deicampi; se fosse soltanto ilmero desiderio di unsignificato a spingermi versoMichaels e la sua storia, seMichaels stesso non fossealtro che quello che sembra(quello che tu sembri), unuomo tutto pelle e ossa con

un labbro accartocciato(scusami, descrivo solol’apparenza),alloraavrei tuttii miei buoni motivi perritirarmineibagnidietroaglispogliatoi dei fantini,chiudermi nell’ultimocubicolo e piantarmi unapallottola in testa.Edel restosonomai statopiú sincerodiquanto non lo sia stasera? Estando lí, sulla soglia,rivolgevo a me stesso lo

sguardo piú gelido, cercandocon tutti i mezzi adisposizione di individuare ilgerme di malafede annidatoin fondo a questa miaconvinzione: il desiderio, peresempio,diessere l’unicoperilqualeilcampononerasoloil vecchio ippodromo diKenilworth con le baraccheprefabbricate sparse qua e là,mailluogoprivilegiatoincuiilsignificatoavevafattolasua

irruzionenelmondo.Maquelgerme,seppuresinascondevada qualche parte dentro dime,nonsollevavalatesta,esenon la sollevava, cosa potevofare io per costringerlo? (Epoi, comunque,dubitoche sipossa davvero separare l’ioche indaga dall’io che cela,opponendolicomeilfalcoeiltopo; ma conveniamo chesarebbe meglio rimandarequesta discussione a un

giorno in cui non staremoscappandodallapolizia).Cosíavrei rivolto nuovamente losguardo fuori dime e, sí, eraancora vero, non miingannavo, non mi illudevo,non mi consolavo, tutto eraancora come prima, era laverità, c’era davvero unconcentrarsi, un addensarsidelbuiosopraunsololetto,equellettoerailtuo.

Aquestopunto immagino

che mi avresti già voltato lespalle e te ne saresti andato,avendo perso il filo del miodiscorso e comunqueansiosodi allontanarti sempre di piúdal campo. O forse, attrattidallamia voce, un bel po’ diragazziniuscitidallebaracchesisarebberoraccoltiintornoanoi,alcuniancorainpigiama,ad ascoltare a bocca apertaquel grande discorsoappassionato, facendoti

innervosire. Allora avreidovuto seguirti in fretta estartiallecalcagna,perpotertiparlare senza essere costrettoa gridare. – Perdonami,Michaels,–avreidovutodire,– ho quasi finito, ti prego,abbi pazienza. Voglio solodirti cosa significhi per me,poiavròterminato.

A quel punto sospetto,perché sei fatto cosí, che tisaresti messo a correre. E io

sarei statocostrettoacorrertidietro, fendendo la fittasabbia grigia, come fosseacqua, scansando i rami,gridandoti:–La tuapresenzanel campo era soloun’allegoria, se conosci laparola. Era un’allegoria,parlandoalpiúaltolivello,dicome, assurdamente,oltraggiosamente, unsignificato possa insediarsi inun sistema senza diventarne

parte. Hai notato comesfuggivi ogni volta checercavo di immobilizzarti? Iosí,l’honotato.Saichecosamièvenutoinmentequandohovistocheeri sgusciatoviadalcampo senza tagliare la rete?Dev’essere un professionistadi salto con l’asta, ecco cosaho pensato. Beh, può darsiche tu non sia un saltatore,Michaels, ma sei un genio

della fuga, uno dei grandifuggiaschi.Tantodicappello!

A quel punto, dopo tantocorrere e spiegare, io avreicominciatoadansimare,edèanchepossibile che tuavresticominciato ad allontanartipoco a poco dame. – E ora,ultimo argomento, il tuogiardino, – avrei detto colfiatone.–Lasciachetispieghiil significato del giardinosacroerigogliosochefiorisce

nel cuore del deserto eproduce il cibo della vita. Ilgiardino verso il quale ora tisei incamminato non è danessuna parte ed è ovunque,tranne che nei campi diinternamento. È un altro deinomi dell’unico luogo cui tuappartieni, Michaels, dovenontisentisenzatetto.Nonèsegnato su nessuna mappa,nessuna strada che sia una

semplicestradaportalí,esolotuconosciilpercorso.

Sarebbe una mia fantasiaoppure andrebbe propriocosí: che a quel punto tucominceresti a mettere tutteletueenergienellacorsa,cosíche anche al piú distrattoosservatore risulterebbechiaro che stai scappandodall’uomo che ti urla allespalle,l’uomoinbluchedeveaverel’ariadiunpersecutore,

un pazzo, un segugio, unpoliziotto? Sarebbesorprendente se i bambini,dopo averci seguitotrotterellando perdivertimento, adessocominciassero a prendere letue difese e cercassero diassaltarmi da tutti i lati,prendendomi a bersaglio,colpendomi con rami e sassi,fino a costringermi afermarmieacacciarliabotte,

gridandoti al tempo stesso lemie ultime parole, mentre,ormai lontano, sprofondi nelfolto delle canne, correndopiú forte chemai, come nonsi immagina che un uomo adigiuno da un pezzo possafare. – È cosí? – ti gridereidietro. – Ti ho capito? Se horagione, alza la mano destra;sehotorto,alzalasinistra!

Parteterza

Sentendosi le ginocchiafiacche dopo la lungacamminataestrofinandosigli

occhi nella brillante lucemattutina, Michael K sisedette su una panchinavicino al campo di minigolfsullapasseggiatadiSeaPoint,di fronte almare, a riposare,cercando di raccogliere leforze. L’aria era immobile.Sentiva lo sciabordio delleonde sulle rocce sottostanti eil sibilo dell’acqua che siritraeva.Uncanesi fermòadannusargli i piedi, poi fece

pipí contro la panchina. Treragazze in shorts e canottieragli passarono davanti,correndo gomito a gomito,bisbigliando tra loro,lasciandosi dietro unapiacevole scia profumata. DaBeach Road arrivava iltintinnio della campana delvenditoreambulantedigelati,che dapprima sembròavvicinarsi, poi tornareindietro. Tranquillo, in un

ambiente familiare, grato peril calore della giornata, Ksospirò e lentamente lasciòciondolare la testa di lato.Nonsapevaseavessedormitoo no, ma quando aprí gliocchi si sentiva di nuovoabbastanza bene perproseguire.

Lungo Beach Road glisembrò che, soprattutto alpianterreno, ci fossero piúfinestre sbarrate da assi di

quantenericordava.Lestessemacchine erano parcheggiateneglistessiposti,ancheseoraerano piú arrugginite; unacarcassa di automobilerovesciata su un fianco,bruciata e senza piú le ruote,eraappoggiatacontroilmurofrangiflutti. Avanzò per lapromenade,consciodellasuanudità sotto la tuta blu,consciodiesserel’unicosenzascarpe. Ma se mai qualche

sguardo si volgeva rapidoverso di lui, era diretto allafaccia,nonaipiedi.

Arrivò in una zona dovel’erba era bruciacchiata edove, tra vetri rotti espazzatura carbonizzata, quaelàspuntavanonuovechiazzeverdi. Un bambino con lepiante dei piedi e le palmedellemani nerofumo si stavaarrampicando sulle asteannerite di una costruzione

nel parco giochi. K avanzòcauto per il prato, attraversòla strada e lasciò la luce delsole per immergersinell’oscuritàdelbuioingressodelCôted’Azur,dovesuunaparete stava scritto con lospray nero: QUI COMANDA

JOEY. Scelse un posto nelcorridoio che partiva dallaportacolteschioammonitoredove un tempo viveva suamadre, e si sistemò

accoccolato a terra, con lespalle appoggiate al muro,pensando: Va bene, la gentemi prenderà per unmendicante. Si ricordò delberretto che aveva perso, eche ora avrebbe potutomettersi accanto perl’elemosina, a completare ilquadro.

Aspettò ore. Non si videnessuno.Decisedinonalzarsie dinonprovare ad aprire la

porta, poiché non avrebbesaputo cosa fare, se si fosseaperta. A metà pomeriggio,quando aveva cominciato asentire il freddo nelle ossa,lasciòdinuovo ilpalazzoperandare alla spiaggia. Sullasabbia bianca, sotto il solecaldo,siaddormentò.

Si svegliò con una gransete, confusoe sudatodentrolatuta.Sullaspiaggiatrovòunbagno pubblico, ma i

rubinettinonfunzionavano.Igabinettieranopienidisabbiaecontro laparete in fondosiera accumulata unamontagnola di altra sabbiatrascinatadalvento.

Mentre stava davanti allavandino chiedendosi cosafare,Kvidenellospecchiotrepersone che entravano neibagni. Una era una donnacon un vestito bianco eaderente, una parrucca

biondoplatino e inmanounpaio di scarpe argentate daitacchialti.Glialtridueeranouomini. Il piú alto dei due sidiresse subito verso K e lopreseperunbraccio.–Speroche tuabbia finitoquellochedovevi fare qui, – disse, –perché questo posto èprenotato –. E condusse Kfuori nell’abbagliante lucebianca della spiaggia. – Èpienodipostidoveandare,–

disse,eglidiedeunapacca,oforse una leggera spinta.K sisedette sulla sabbia. L’uomoalto si appostò accanto allaportadelbagno,continuandoa tenerlo d’occhio. In testaavevaunberrettoaquadretti,cheportavasulleventitre.

C’erano dei bagnantisparsi qua e là sullaspiaggetta,manessunoerainacqua, salvo una donna inpiedi nella bassa risacca, con

lagonna sollevatae legambedivaricate, saldamentepiantate a terra. Facevadondolaredadestraasinistrail bambino che aveva inbraccio in modo che con leditadeipiedisfiorasseappenale onde, e il bambinettourlavadigioiaedipaura.

– Quella è mia sorella, –commentò l’uomovicinoallaporta, indicando la donna inacqua. – L’altra, là dentro, –

disseindicandoallesuespalle,– anche lei èmia sorella.Hotante sorelle. Una famiglianumerosa.

A K cominciava a pulsarelatesta.Avrebbevolutoavereanche lui un cappello o unberretto,serrògliocchi.

L’altro uomo uscí dalbagnoecorsesuperigradinicheportavanoallapasseggiatasul lungomaresenzadireunaparola.

L’orlo del sole sfiorava lasuperficiedelmaredeserto.Kpensò:mi darò tempo fino achelasabbianonsiraffredda,poi troverò un altro postodoveandare.

Losconosciutopiúaltoglistava accanto e gli toccava lecostole con la punta dellascarpa.Dietrodiluic’eranolesue due sorelle, una colbambino legato sulla schiena,l’altraacaposcopertoadesso,

conlescarpee laparrucca inmano. La scarpa dell’uomotrovò l’apertura laterale nellatuta e la aprí, rivelando inparte la coscia nuda di K. –Ehi, quest’uomo è nudo! –gridò lo sconosciuto,rivolgendosi alle due donnecheeranoconluieridendo.–Unuomonudo!Quand’èchehai mangiato l’ultima volta,amico? – Pungolò K tra le

costole. – Forza, diamogliqualcosachelosvegli!

Daunaborsalasorellacolbambino tirò fuori unabottiglia di vino avvolta incarta marrone. K si misesedutoebevve.

– Allora, di dove sei,amico?–disselosconosciuto.– Lavori per quella gente? –Con il suo lungo dito indicòla tuta e la scritta in oroapplicatasultaschino.

K stava per risponderequando all’improvviso gli sicontrasselostomacoeilvinoglifuoriuscídallaboccainunlimpido flusso dorato subitoassorbitodallasabbia.Chiusegli occhi mentre tutto ilmondogliroteavaattorno.

– Ehi, – disse losconosciuto ridendo edandogli una pacca sullaschiena – questo sí che sichiamabereastomacovuoto!

Lascia che te lo dica, quandoti ho visto mi sono detto:Quell’uomo è propriodenutrito, quell’uomo haproprio bisogno di ingoiareun pasto come si deve! –Aiutò K a tirarsi su: – Vieniconnoi,MisterTreefeller,cheti daremo qualcosa perrimpolpartiunpo’!

Insieme camminaronoperla passeggiata sul lungomarefinoachenontrovaronouna

pensilinadegliautobusvuota.Dalla borsa lo sconosciutotiròfuoriunapagnotta interae un barattolo di lattecondensato.Poiestrassedallatasca posteriore dei calzoniun arnese stretto e nero chemostrò a K. Fece qualcosa el’arnese si trasformò incoltello. Con un fischio distupore mostrò la lamaluccicante a tutti, poi rise alungo,battendosilamanosul

ginocchio e indicando K.Anche il bambinetto, chescrutava la scena sgranandogli occhi da dietro le spalledella madre, cominciò aridere, agitando il pugnonell’aria.

Lo sconosciuto si calmò etagliò una grossa fetta dipane,chedecoròconcerchieghirigori di latte condensato,quindi la offrí a K. Sotto gliocchidituttiKlamangiò.

Passarono davanti a unvicoloconunafontanellachegocciolava. K corse a bere.Bevevaebeveva,comesenondovessemaismettere.L’acquasembrava gli attraversasse ilcorpo senza fermarsi, cosí sidovette appartare in fondo alvicolo e accovacciarsi su uncanale di scolo. E dopo latesta gli girava tanto chearmeggiò a lungo per

ritrovare le maniche dellatuta.

Si lasciarono alle spalle lazona residenziale ecominciaronoasaliresuperibassideclividiSignalHill.K,in coda al gruppo, dovettefermarsiariprenderefiato.Sifermò anche la sorella colbambinoinbraccio.–Pesa!–esclamò indicando il piccolo,esorrise.Ksioffrídiportarlelaborsa,maleinonaccettò.–

Non fa niente, ci sonoabituata,–disse.

Passarono attraverso unbuco della recinzione chesegnava il confine dellariserva forestale. Losconosciuto e l’altra sorella liprecedevano lungo unsentierochesalivaazigzagsuper la collina. Sotto di lorocominciavano a luccicare leluci di Sea Point; il cielo e il

mare rilucevano di unbagliorecremisiall’orizzonte.

Sifermaronosottounfoltogruppo di pini. La sorella inbianco scomparve inghiottitadalbuioepochiminutidoporitornòconaddossodeijeansenellemaniduegonfi sacchidi plastica. L’altra sorella siaprílacamiciaediedeilsenoal bambino, mentre K nonsapevadacheparteguardare.L’uomo stese una coperta,

acceseuna candela e la infilòinunalattina.Poitiròfuorilacena: la pagnotta, il lattecondensato,unsalameintero.(«Oro! – disse, agitandoloversoK.–Questocostaoro!»)e tre banane. Stappò labottigliadi vino e lapassò ingiro.Knebevveunsorsoelarestituí.–C’èunpo’d’acqua?–chiese.

L’uomoscosseilcapo.–Ilvino ce l’abbiamo, il latte ce

l’abbiamo, due tipi di latte, –indicò distrattamente ladonna col piccolo. – Mal’acquano,amico,midispiacema non c’è acqua in questoposto. Domani, te loprometto. Domani sarà unaltro giorno. Domani avraituttoquellodicuihaibisognoper diventare un uomonuovo.

Con la testa leggera per ilvino, puntellandosi di tanto

in tanto a terra per ritrovarel’equilibrio, K mangiò delpane e del latte condensato,mangiò perfino mezzabanana,marifiutòilsalame.

Lo sconosciuto parlò dellavita a Sea Point. – Trovistrano che dormiamo inmontagnacomevagabondi?–chiese. – Ma non siamovagabondi, abbiamo cibo,abbiamosoldi,ce lacaviamo.Sai dove abitavamo? Di’ a

Mister Trefeller doveabitavamo.

–ANormandie,–disse lasorellaconijeans.

–ANormandie.Al1216diNormandie. Poi ci siamostancati di fare tutte quellescale e siamo venuti qui.Questa è la nostra residenzaestiva, dove veniamo per ipicnic,–simisearidere.–Eprima ancora, lo sai dovevivevamo?Diglielo.

– A Clippers, – disse lasorella.

– Clippers, parrucchieriunisex. Come vedi, è facilevivereaSeaPoint,sesaicomemuoverti. Ma ora dimmi: dadovevieni tu?Non tihomaivistoprima.

Kcapícheoratoccavaaluiparlare.–Sonostatotremesiin un campo a Kenilworth,finoallanottescorsa,–disse.– Un tempo facevo il

giardiniere per il Comune.Tanto tempo fa. Poi sonodovuto partire per portaremia madre in campagna, acausa della sua salute. Miamadre lavorava a SeaPoint eaveva una stanza lí, ci siamopassati davanti –. Un’ondatadi nausea gli risalí per lostomaco; lottò percontrollarsi. – È morta aStellenbosch, mentre cidirigevamo verso l’interno, –

disse.Ilmondointornopreseaondeggiareepoisifermòdinuovo. – Non sempre avevoabbastanza da mangiare, –continuò.Notò che la donnacol bambino stavabisbigliando qualcosaall’uomo. L’altra donna erascomparsadalcerchiodiluceproiettato dalla vacillantefiammella della candela. Glivenne da pensare che nonavevamaivisto leduesorelle

parlare tra di loro.Gli venneda pensare anche che la suastoria era insignificante, chenon valeva la penaraccontarla,pienacom’eradeisoliti vuoti di sempre, chenon avrebbe mai imparato acolmare. Oppure forse erasolo incapace di raccontare,incapace di mantenere vivol’interesse. La nausea erapassata, ma il sudore chel’aveva coperto gli si stava

freddandoaddosso,facendolorabbrividire.Chiusegliocchi.

– Hai sonno, – disse losconosciuto, dandogli unamanatasulginocchio.–Èoradi andare a letto! Domanisarai un altro, vedrai! – Glidiede ancora una pacca, piúleggera.–Seiinforma,amico,–glidisse.

Si fecero il letto sugli aghidi pino. Per loro sembravaavessero coperte e lenzuola,

che spiegarono tirandolefuoridapacchiebuste,perKmisero a terra un telo diplastica pesante, in cui loaiutarono ad avvolgersi.Chiusonellaplastica,sudatoeconibrividi,infastiditodaunininterrotto ronzio nelleorecchie,Kdormíatratti.Erasveglio quando, in pienanotte, l’uomo di cui ancoranon conosceva il nome sichinòsudilui,coprendoglila

vista delle cimedegli alberi edelle stelle. Pensò: Devoparlare prima che sia troppotardi, ma non lo fece. Lamano dello sconosciuto glisfiorò la gola e armeggiò conil bottone del taschino dellatuta. Il pacchetto di semi neuscí con un tale fracasso cheK si vergognò di far finta diniente. Cosí si lamentò e simosse.Perunattimolamano

si bloccò, poi l’uomo siritrassenelbuio.

Per il resto della notte Krimaseaseguire tra le frondeil movimento della luna nelcielo. All’alba si tirò fuoridalla plastica rigida e andòdove giacevano gli altri.L’uomodormiva accanto alladonnacolbambino.Ilpiccoloera sveglio e giocava con ibottoni del maglione della

madre;guardòKsenzapauranegliocchi.

K scosse la spalladell’uomo. – Posso riavere ilmio pacchetto? – bisbigliò,cercando di non svegliare glialtri. L’uomo borbottòqualcosa e si girò dall’altraparte.

Qualche metro piú giú Ktrovò il pacchetto. Inginocchio, tastando il terrenoconlemani,recuperòforsela

metàdei semi sparsi. Limiseal sicuro in una tasca eabbandonòilrestopensando:Che peccato, all’ombra deipininonspunterànulla.Poisiincamminògiúperilsentieroazigzag.

Attraversòlestradedesertedell’alba e raggiunse laspiaggia. Il sole non eraancoraspuntatodietroilcollee la sabbiaera freddasotto lemani. Cosí camminò tra le

rocce scrutando le pozzed’acqua lasciate dalla marea,dove lumache e anemoni dimare vivevano le loro vitesegrete. Quindi, annoiato,attraversòBeachRoadepassòun’ora seduto contro ilmurodavanti alla vecchia porta disua madre, aspettando diveder emergere chi ci vivevaadesso.Poitornòallaspiaggiae si sdraiò sulla sabbia,prestando ascolto al ronzio

cheaumentavanelleorecchie,non sapeva bene se quellofosseilrumoredelsanguechegli scorreva nelle vene o deipensiericheglipassavanoperla testa. Aveva la sensazioneche qualcosa dentro di séavesse mollato o stessemollando.Mollandochecosanon sapeva, ma aveva anchela sensazione che ciò chedentro di lui aveva semprepensato fosse duro e

compatto come una fune,stesse diventandomolliccio efibroso, e che le duesensazionifosseroconnesse.

Il sole era alto nel cielo.Era arrivato lí in un batterd’occhio. Non aveva ideadelle ore che erano trascorse.Ho dormito, pensò, madev’essere stato peggio delsonno.Eroassente;madove?Non era piú solo sullaspiaggia. Due ragazze in

bikini stavano prendendo ilsoleapochipassidaluiconicappellicalatisulviso,ec’eraanchealtragente.Accaldatoeconfuso, si diresseincespicando ai bagnipubblici. I rubinetti eranoancora asciutti. Sfilò lebraccia dalla tuta e si sedettesul letto di sabbiaammucchiata contro laparete,nudofinoallacintola,cercandoditornareinsé.

Era ancora seduto líquandoentròl’uomoaltoconquella che credeva fosse laseconda sorella. K cercò dialzarsi e andarsene, mal’uomoloabbracciò.–MisterTreefeller,amicomio!–disse.– Come sono felice diritrovarti! Perché te ne seiandato cosí prestostamattina? Non ti avevodettocheoggisarebbestatoiltuo grande giorno? Guarda

cosa ti ho portato! – Dallatasca della giacca tirò fuoriuna mezza bottiglia dibrandy. (Come fa a esseresemprecosíinordinevivendoinmontagna?sichieseKconstupore). L’uomoriaccompagnòK sulmucchiodisabbia.–Stanotteandiamoaunafesta,–glibisbigliò.–Líincontrerai un saccodi gente–. Bevve e gli passò labottiglia. K mandò giú un

sorso. Un languore chepartivadalpettogli sidiffusenel corpo e gli intorpidípiacevolmente la testa. Sisdraiò, abbandonandosi allasuastessavertigine.

Sentí bisbigliare, poiqualcuno gli sbottonòl’ultimo bottone della tuta einfilò dentro una manofresca.Kaprígliocchi.Eraladonna: inginocchiata al suofianco,gliaccarezzavailpene.

Le scansò lamano e cercòdirimettersiinpiedi,mal’uomodisse: – Rilassati, amico. Quisiamo a Sea Point. Oggi è ilgiornoincuisuccedonotuttele cose belle. Rilassati egoditela. Prendi pure ancoraun sorso –. Mise la bottigliasullasabbiavicinoaKeseneandò.

– Chi è tuo fratello? –chiese K con la linguaimpastata.–Comesichiama?

– Si chiama Dicembre, –disse la donna.Aveva sentitobene? Era la prima volta chegli parlava. – Questo è ilnome che ha sulla cartad’identità.Domanipuòessereche cambi nome. Un altrodocumento, un altro nome,perlapolizia,perconfonderlele idee –. Si chinò e prese ilpene in bocca. Volevaspingerla via ma le dita siritrassero dai capelli rigidi e

senzavitadellaparrucca.Cosísi rilassò, si lasciò andare alturbinecheaveva in testaeaquelteporeumidoelontano.

Dopo un certo lasso ditempo in cui forse avevaperfino dormito, non ne eracerto, leigli si sdraiòaccantosulla sabbia, tenendogliancora il sesso in mano. Erapiú giovane di quello chesembrava con la parrucca

platino. Aveva le labbraancorabagnate.

– Allora è davvero tuofratello? – bofonchiò lui,pensando all’uomo cheaspettavafuori.

Lei sorrise e,appoggiandosi sul gomito, lobaciò in piena bocca,infilandogli la lingua tra lelabbra. Intanto gli tirava ilpeneconforza.

Quando tutto finí,K ebbe

la sensazione che,per il benedi entrambi, dovesse direqualcosa, ma non gli venivanemmenounaparola.Lapacecheilbrandygliaveva infusosembrava sul punto dilasciarlo. Prese ancora unsorso e passò la bottiglia allaragazza.

Sopra di lui incombevanodelle forme indistinte. Aprígliocchievidelaragazza,chesi era rimessa le scarpe.

Accanto a lei c’era l’uomo, ilfratello. – Dormi un po’,amicomio,–glidisseconunavoce che arrivava da moltolontano. – Stasera tornerò e,come promesso, ti porteròallafesta,dovecisaràtantodamangiareedovevedraicomesiviveaSeaPoint.

K pensò che se ne fossefinalmente andato, e invecel’uomo tornò a sussurrargliancora qualche parola

all’orecchio: – È difficileessere gentili, – gli disse, –con uno che non vuoleniente.Nondevi averepauradidirequellochevuoi,alloralo avrai. È questo il mioconsiglio all’amico seccocomeunchiodo–.Eglidiedeunapaccasullaspalla.

Finalmentesolo,tremandodifreddo,conlagolariarsaelavergognaperl’episodioconla ragazza incombente come

un’ombra alla periferia deisuoipensieri,Ksiabbottonòeuscí dai bagni pubblici sullaspiaggia dove il sole stavacalandoe le ragazze inbikinistavano recuperando le coseper andare via. Farsi stradaattraverso la sabbia era piúfaticoso di prima, una voltaperse perfino l’equilibrio ecrollò su un fianco. Sentí ilcampanello dell’uomo deigelati e cercò di corrergli

dietro, quando si ricordò chenon aveva un soldo in tasca.Per un attimo la testa gli sischiarí abbastanza per capirechestavamale.Sembravanoncontrollareinnessunmodolatemperatura corporea.Sentiva freddo e caldo altempostesso, seunacosadelgenere era possibile. Poi glipiombò di nuovo addossouna nebbia. Ai piedi dellascaletta, mentre si reggeva al

corrimano, le due ragazze losuperarono, distogliendo losguardo e, sospettò, anchetrattenendo il respiro.Osservò i loro culi chesalivano super le scale e consorpresa sentí il desiderio diaffondare le dita in quellacarnemorbida.

Bevve dal rubinetto dietroilCôted’Azur, chiudendogliocchi, pensando all’acquafresca che scorreva dalle

montagneearrivavaalbacinosopra ilDeWaalParkeda líscorreva ancora per miglia emiglia di condutture, nellaterrascurasotto le stradeperpoi sgorgare lí a calmare lasua sete. Svuotò la vescica,incapace di trattenersi, ebevve ancora. Cosí leggeroora da non sapere concertezza neppure se i suoipiedi toccassero terra, passòdall’ultima luce del giorno

all’ombra del corridoio esenzaalcunaesitazionegiròlamanigliadellaporta.

Nella stanza dove avevavissuto sua madre eranoammassate cataste di mobili.Via via che gli occhi siadattavano alla penombra,riuscí a scorgere pile di sediedi tubolare metallico, cheandavano da terra al soffitto,enormi ombrelloni daspiaggia chiusi, tavolini di

plasticabianchiconunforoalcentroe,piúvicineallaporta,trestatuedigessodipinto:uncervo, con gli occhimarronecioccolata, uno gnomo conun gilet color paglierino,calzoni alla zuava e unberrettoverdeconlanappae,piúgrandedeglialtridue,unacreaturaconunpioloalpostodel naso, in cui riconobbePinocchio. Tutto era

ricoperto da un velo dipolverebianca.

Guidato dall’olfatto, Kesplorò l’angolo scuro dietrolaporta.A tentoni trovòunacoperta spiegazzata su unostrato di scatole di cartoneappiattite sul nudopavimento. Inciampò in unabottigliavuotacherotolòvia.Dallacopertavenivaunodoremisto di vino dolce, sigaretteesudorerancido.Cisiavvolse

e si sdraiò.Non appena si fusistemato, il ronzio nelleorecchie cominciò a crescereinsieme al sordo martellaredelvecchiomalditesta.

Orasonotornato,pensò.Suonò la prima sirena che

annunciava il coprifuoco. Ilsuo lamento fu ripreso daaltresireneedaclacsonsparsiper tutta la città.Quel suonocacofonico aumentò, poi sispense.

Non riusciva a dormire.Suo malgrado, continuava aripensare al casco di capellibiondo platino chino sul suosesso, e ai grugniti dellaragazzachesidavadafaresudilui.Sonodiventatooggettodi carità, pensò. Ovunquevado trovo gente ansiosa diesercitare su di me la suacarità. Tutti questi anni, eancora ho l’aria di unorfanello. Mi trattano come

trattavano i bambini diJakkalsdrif, che tutti eranopronti a sfamare perchéancora troppo giovani peressere colpevoli di qualcosa.Dai bambini si aspettavanosolo un ringraziamentobalbettato.Damevoglionodipiú, perché sono stato di piúnelmondo. Vogliono che gliapra il cuore e racconti lastoria di una vita vissuta ingabbia. Vogliono sapere di

tutte le gabbie in cui sonovissuto, come se fossi unpappagallino, una cavia, unascimmia. E se a HuisNorenius mi avesseroinsegnato a raccontare lestorie, invece che a pelare lepatate e far di conto, se miavessero fatto ripetere lastoria della mia vita ognigiorno,standomiaddossoconla verga fino a che non fossistato in grado di recitarla

senza impappinarmi, forseavrei imparato comecompiacerli.Avrei raccontatola storia di una vita passatanelle prigioni, stando pergiorni,peranni,conlafronteincollata al reticolato, intentoaguardarelontano,sognandoesperienze chenon avreimaifatto, con le guardie che miinsultavano emi prendevanoacalciinculoemispedivanoa strofinare i pavimenti.

Finito di raccontare la miastoria,lagenteavrebbescossoil capo, si sarebbe addoloratae indignata e mi avrebbeblandito con cibi e bevande.Le donne mi avrebberoportato nei loro letti e miavrebberococcolatonelbuio.E invece la verità è che hofatto il giardiniere,primaperil Comune, poi per contomio, e i giardinieri

trascorronoiltempocolnasoperterra.

K si agitava irrequieto sulsuo letto di cartoni. Scopríche lo eccitava affermare,come in tono di sfida, laverità,laveritàsulmioconto.–Sonoungiardiniere,–dissedinuovoadaltavoce.D’altraparte,noneraforsestranoperungiardinieredormireinunostanzino dove lo raggiungeva

il rumore della risacca delleondemarine?

Sono piuttosto come unlombrico, pensò, che è anchelui una specie di giardiniere.Ounatalpa,altrogiardiniere,che non racconta storieperché vive nel silenzio. Maunlombricoounatalpasuunpavimentodicemento?

Cercò di rilassare il corpocentimetro dopo centimetro,comeuntemposapevafare.

Almeno, pensò, non hofatto il furbo e non sonotornato a Sea Point pieno distorie da raccontare su comemi hanno riempito di bottenei campi di internamentofino a ridurmi scemoe seccocomeun chiodo. Eromuto escemo in principio, e lo saròfino alla fine. Non c’è nientedi cui vergognarsi a esserescemi. Gli scemi hannocominciato a rinchiuderli

prima ancora di rinchiuderegli altri. Adesso hanno fattocampi di internamento perbambini i cui genitori sonoscappati,campiperquellichescalciano con la bava allabocca,campiperquelliconlatesta grande e campi perquelli con la testa piccola,campi per chi non ha mezzievidentidi sussistenza,campiper quelli cacciati via dallaterra, campi per quelli che

trovano a dormire nei canalidiscolo,campiperleragazzedi strada, campi per chi nonsafareduepiúdue,campiperquellichedimenticanoacasaidocumenti,campiperquelliche vivono sulle montagne efannosaltare ipontidinotte.Forse la verità è che è giàmolto essere fuori dai campi,fuori da tutti i campicontemporaneamente. Forsegiàquesto,oggi,èunrisultato

soddisfacente.Quantagenteèrimasta che non è rinchiusain un campo e nemmenomessaafarlaguardiadavantiai cancelli? Sono fuggito daicampi di internamento, eforse, se rimango nascosto,sfuggiròancheallacarità.

Il mio errore, pensò,riandando indietro neltempo, è di non aver avutoabbastanza semi, unpacchetto diverso in ogni

tasca: semi di zucca, dizucchini, di fagioli, di carote,di barbabietola, di cipolle, dipomidoro, di spinaci. Semipure nelle scarpe e nellafodera del cappotto, nel casofossi stato derubato dai ladrilungo il cammino. E poil’altroerroreèstatoquellodiseminarli tutti nello stessopezzetto di terra. Li avreidovuti seminare uno pervolta,distribuendolisumiglia

emigliadiveldinfazzolettiditerranonpiúgrandidellamiamano, e poi avrei dovutodisegnare una mappa datenere sempre con me cosíche ogni notte avrei potutofare il giro dei vari punti perannaffiarli. Perché se c’è unacosa che ho scoperto incampagnaèchec’ètempopertutto.

(Èquestalamorale,pensò,lamoraledituttalastoria:che

c’è tempo per tutto? È cosíche si presentano le morali,senza che nessuno le cerchi,nelcorsodeglieventi,quandomenoteleaspetti?)

Pensò alla fattoria, ai rovigrigi, al suolo roccioso, allecolline tutt’intorno, allemontagne rosa e viola inlontananza, al grande cieloazzurro, immobile e vuoto,alla terragrigia ebruna sottoilsole,salvoqualchezonaqua

e là, dove, a guardareattentamente, all’improvvisovedevi una punta di verdevivo,unafogliadizuccaounciuffodicarota.

Nonsembrava impossibileche, chiunque fosse colui cheinfrangeva il coprifuoco eandava lí a dormire inquell’angolomaleodorante(Klo immaginò come un uomopiccolo, vecchio e curvo, conuna bottiglia nella tasca

laterale, che stava tutto iltempo a borbottare qualcosatra la barba, il genere divecchiochelapoliziaignora),potesse essere stanco dellavita in riva almare e volesseprendersi una vacanza incampagna, se solo fosseriuscito a trovare qualcunoche sapesse la strada.Avrebbero potuto dividere illettoperquellanotte,cosechecapitano,ealleprimelucidel

mattino avrebbero potutoandare incercanelle stradinesecondarie lí intorno di uncarretto abbandonato. E conunpo’di fortunaper ledieciavrebbero potuto procederespediti sulla strada maestra,ricordandosi, lungo ilpercorso, di fermarsi acomprare i semi e un altropaiodicose,magarievitandoStellenbosch, che sembravaportarmale.

Ese ilvecchiofosseuscitodal carretto per stiracchiarsi(le cose ora procedevanosemprepiú in fretta)eavesseguardato là dove stava lapompa che i soldati avevanofatto saltare perché nonrimanessepiúnulla,esifosselamentato: – E adesso comefacciamo per l’acqua? – lui,Michael K, avrebbe tiratofuori un cucchiaino dallatasca. Un cucchiaino e un

lungo spago arrotolato.Avrebbe liberato la boccadelpozzodallemacerieeavrebbepiegato il manico delcucchiaino in modo daformareunanelloacuilegarelo spago. Poi l’avrebbe calatonella terra in profondità e,quando l’avesse tirato su, cisarebbe stata acqua nel cavodelcucchiaio.Ecosí,avrebbedetto,sipuòvivere.

«

Il libro

LA VITA E I L TEMPO DI

Michael K è un’operastraordinaria».

NadineGordimer

Unpaese stretto nellamorsadi una guerra dalle ragionioscure, con il suo sinistrocorredo di convogli militarilungo le strade, campi dilavoro e di «rieducazione»dietro reticolati di filospinato.Unacittàtormentatadall’urlo delle sirene delcoprifuoco e da sommosseche ne devastano interiisolati. E in mezzo a tutta

questa violenza insensata,unuomo, dal labbro leporino elento di mente, che insiemealla vecchia madre si unisceallafolladeidisperati infugaverso le campagne, neltentativo di raggiungere laterra d’origine: la fattoriadove la madre ricordavagamente di esser nata.Mail viaggio, almeno per AnnaK, termina presto, tra lepareti di un ospedale. A

Michael non resta checontinuare a cercarequell’angolo di terra da soloe, una volta trovatolo,provare a dare nuove radiciallasuavitadioutsider.Malaguerra lo scova anche lí ecerca di trascinarlo a forzadentrolasualogicadelirante,e dentro la Storia, salvoaccorgersi infine, attraversolosguardodiunadellepochepersone rimaste ancora

lucide, che dietro quella«maschera da buffone» equell’arrendevolezzadisarmante cova un’animairriducibile, una delle pocheultime «anime universali»rimastenelmondo.

Traduzione di MariaBaiocchi.

L’autore

J. M. Coetzee è nato inSudafrica e attualmentevive in Australia. Di luiEinaudi ha pubblicato:

Vergogna, Aspettando ibarbari, La vita e il tempodi Michael K, Infanzia,Gioventú, Terre alcrepuscolo, Nel cuore delpaese, Foe, Il Maestro diPietroburgo, Età di ferro,Slow Man, Spiaggestraniere, Diario di unanno difficile, Lavori discavo. Saggi sullaletteratura 2000-2005,Tempod’estate,Doppiareil

capo, L’infanzia di Gesú eQui e ora, il carteggio conPaul Auster. Nel 2003 èstato insignito del PremioNobelperlaLetteratura.

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Spiaggestraniere.Saggi1993-1999Etàdiferro

DiariodiunannodifficileLavoridiscavo.Saggisulla

letteratura2000-2005Tempod’estate

Doppiareilcapo.SaggieintervisteFoe

L’infanziadiGesúQuieora(conPaulAuster)

TitolooriginaleLifeandTimesofMichaelK

©1983J.M.Coetzee©2001GiulioEinaudieditore

s.p.a.,Torino

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