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La Vita Consacrata nella chiesa particolare:
Risorsa preziosa per una ecclesiologia di comunione
Relatore: p. Agostino Montan CSJ (Docente di Diritto Canonico – Università Pontificia Lateranense – Roma)
Il titolo proposto per questo intervento è già indicativo dei suoi contenuti. I due poli da
considerare sono la vita consacrata e la Chiesa particolare, visti non in contrapposizione – la vita
consacrata alla periferia della Chiesa particolare o sopra di essa – ma in un rapporto di mutua
interiorità (la vita consacrata nella Chiesa particolare), nella prospettiva dell’ecclesiologia di
comunione. Dal concilio Vaticano II in poi, si è sviluppata in modo crescente la consapevolezza che
ogni realtà della Chiesa si rende presente e opera nella Chiesa particolare, dove i Vescovi “sono il
principio visibile e il fondamento della loro unità” (LG 23a). Ciò è avvenuto anche per la vita
consacrata. Sarebbe interessante studiare come si è venuta evolvendo la situazione dal concilio
Vaticano II ad oggi. Il titolo proposto dagli organizzatori delinea una situazione ideale, ottimistica.
Il vissuto è più complesso e porta le tracce di percorsi storici articolati, non sempre lineari.
Sempre nel titolo è posta in primo piano l’ecclesiologia di comunione, indicata come
categoria di riferimento comune sia per la vita consacrata sia per la Chiesa particolare, come cornice
entro la quale dare corpo alla realtà ecclesiale nella varietà dei servizi, dei ministeri e dei carismi.
Della vita consacrata si dice che è una “risorsa preziosa” per tale ecclesiologia. L’affermazione
risente, positivamente, di una convinzione cara a Giovanni Paolo II, più volte da lui ribadita, che i
religiosi sono “esperti di comunione”. L’espressione fa la sua apparizione negli orientamenti offerti
dalla Plenaria della SCRIS nella sua riunione del 25-28 aprile 1978, in un testo noto sotto il titolo
Religiosi e promozione umana, dove si legge: “Esperti di comunione, i religiosi sono quindi
chiamati ad essere, nella Chiesa, comunità ecclesiale e, nel mondo, testimoni e artefici di quel
progetto di comunione che sta al vertice della storia dell’uomo secondo Dio” (n. 73: EV 7/490, n.
21)1.
La comunione appartiene certamente “al DNA della vita consacrata” (Mons. G. GARDIN,
La vita consacrata nella Chiesa locale: risorsa preziosa per una ecclesiologia di comunione,
relazione al Seminario promosso dalla CEI, Roma 1-3 marzo 2010). Padre J. M. Tillard nei suoi
scritti ripeteva che la vita consacrata è manifestazione della koinonia nel cuore della Chiesa.
Giovanni Paolo II, nell’esortazione postsinodale Vita consecrata scrive: «Alle persone consacrate si
chiede di essere davvero esperte di comunione e di praticarne la spiritualità» (n. 46). La CIVCSVA
nell’Istruzione Ripartire da Cristo (19 maggio 2002) afferma, senza alcuna esitazione, che la vita
consacrata ha una “specifica vocazione alla vita di comunione nell’amore” (n. 28) e con la sua
forma di vita deve essere nella Chiesa segno di comunione (n. 29). La comunione che i consacrati e
le consacrate sono chiamati a vivere, ribadisce lo stesso documento, riguarda la vita interna del loro
istituto, la loro relazione con gli altri istituti e le altre forme di consacrazione, i laici e i pastori (nn.
29-32). Il compito è arduo: “richiede persone spirituali forgiate interiormente dal Dio della
comunione amorevole e misericordiosa, e comunità mature dove la spiritualità di comunione è
legge di vita” (n. 28).
La relazione vita consacrata – Chiesa particolare va vissuta, dunque, non in modo
conflittuale né nella reciproca indifferenza o diffidenza, ma in un mutuo, necessario riferimento e
1 La nota 73 del testo rinvia a GS 19; 32 – aggiunge: cfr. doc. Puebla, nn. 211-219; 721: “La vita consacrata è in se
stessa evangelizzatrice in ordine alla comunione e alla partecipazione”.
arricchimento. Lo sottolineava Giovanni Paolo II nell’esortazione post-sinodale Vita consecrata:
“Molto possono contribuire i carismi della vita consacrata all’edificazione della carità nella Chiesa
particolare” (n. 48). Più avanti ribadiva che l’inserimento dei consacrati nella Chiesa particolare può
costituire un importante incentivo “ad accrescere il proprio impegno di contemplazione e di
preghiera, a praticare più intensamente la condivisione comunitaria e l’ospitalità, a coltivare con
maggiore diligenza l’attenzione alla persona ed il rispetto per la natura” (n. 79). La vita consacrata è
“naturalmente” portata, almeno in teoria, a generare comunione nella Chiesa.
Svilupperò il mio intervento in tre momenti. Mi soffermerò in primo luogo sull’ecclesiologia
soggiacente alle mutue relazioni tra Chiesa particolare e vita consacrata. L’intento è di mettere a
fuoco le basi teologiche che possono consentire alla Chiesa particolare e alla vita consacrata di
realizzare un mutuo e, direi, necessario arricchimento. In un secondo punto mi soffermerò sulla
parte del titolo del mio intervento che afferma che la vita consacrata è «risorsa preziosa» per una
ecclesiologia di comunione. Nell’ultimo punto metterò a confronto le luci e le ombre che sono
presenti nella relazione tra Chiesa particolare e vita consacrata.
1. L’ecclesiologia soggiacente alle mutue relazioni tra Chiesa particolare e vita consacrata
a) Riscoperta dell’ecclesiologia della Chiesa particolare. A partire dal concilio Vaticano II il
tema della Chiesa particolare è stato notevolmente approfondito. Coglieva nel segno Karl Rahner
quando, appena conclusa l’assise conciliare, affermava che la riscoperta della Chiesa particolare
costituiva uno dei principali tratti del nuovo volto della Chiesa offerto dal concilio (Il nuovo volto
della Chiesa, in IDEM, Nuovi saggi, III, Roma 1969, p. 402; originale tedesco del 1966).
È risaputo che la teologia della Chiesa particolare non è frutto di una sistematica riflessione
dei padri del Vaticano II, ma è sorta da testi occasionali all’interno di questioni più urgenti, dal
punto di vista teologico e pastorale, quali la teologia dell’episcopato (LG cap. III), le riflessioni
sulla liturgia (SC), sulla missione (AG) e sull’ecumenismo (UR). Quanto offre il concilio Vaticano
II sulla Chiesa particolare – cf SC 41; LG 23, 26; CD 11, 22; AG 20, 21; UR 15 - pur non nuovo
rispetto a quanto acquisito prima del suo annuncio di convocazione, ha dato autorevolezza
all’incipiente teologia della Chiesa particolare. E sarà a partire dai dati conciliari che la teologia
successiva si sentirà legittimata a procedere oltre. Strada ne è stata fatta, molta. (cf M.
SEMERARO, Chiesa locale, in Dizionario di ecclesiologia, Città Nuova, Roma, 2010, pp. 145-
158). Mi limito a citare il testo di Christus Dominus, 11, che offre nel modo più complessivo una
descrizione/definizione di Chiesa particolare. È un testo che evidenzia i fattori genetici della Chiesa
particolare (il Vangelo, l’Eucaristia e lo Spirito Santo), l’elemento sostanziale (una porzione del
popolo di Dio nella quale è veramente presente e opera la Chiesa di Cristo) e l’elemento
ministeriale (il vescovo coadiuvato dal presbiterio). È a partire da questi fattori, che generano non
solo una Chiesa particolare, ma tutte le altre Chiese particolari nella comunione tra loro e la stessa
Chiesa universale, che deve essere compresa la Chiesa particolare alla quale ogni fedele appartiene.
Recita Christus Dominus, n. 11: “La diocesi è una porzione del popolo di Dio, che è affidata alle
cure pastorali del vescovo coadiuvato dal suo presbiterio, in modo che, aderendo al suo pastore e da
lui unita per mezzo del Vangelo e della Eucaristia nello Spirito Santo, costituisca una Chiesa
particolare, nella quale è veramente presente e opera la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e
apostolica”. Da questi solidi e luminosi spunti offerti dal concilio Vaticano II è iniziato il percorso
della teologia della Chiesa particolare.
È ripesa anche la riscoperta dell’importanza pastorale delle Chiese particolari. Dalla nuova
visione della Chiesa (particolare) derivano rilevanti conseguenze. K. Rahner, nel saggio già citato Il
nuovo volto della Chiesa, invitava ad approfondire questa ecclesiologia “locale”, a renderla viva in
noi stessi. Scriveva: “In questo campo ci attende un lavoro smisurato […] Incontreremo la Chiesa, e
sarà un incontro vero, immediato e reale, là dove realizzeremo ed esperimenteremo la presenza di
Cristo nella predicazione legittima del suo Vangelo e nella anamnesi della sua morte nella
celebrazione eucaristica. Qui si collocherà ‘l’esperienza ecclesiale’ religiosamente e teologicamente
più originaria ed immediata della Chiesa. Qui il cristiano del futuro comprenderà il vero ed
autentico significato di essa. Certo, tale comunità, che si esperisce come evento che si attualizza
attraverso la parola ed il sacramento, saprà di essere legata con tutte le altre comunità, anch’esse
formanti quest’unica ed identica Chiesa” (Il nuovo volto della Chiesa, p. 406). Dalla nuova
mentalità ecclesiale avrebbero dovuto derivare il rinnovamento delle comunità cristiane,
l’assunzione da parte di ciascuna di esse delle proprie responsabilità, il riconoscimento della
paternità del vescovo, la cui autorità, intesa come potestà di giurisdizione, è connessa con la potestà
di ordine. Tutto ciò valeva ieri e vale oggi: anche per la vita consacrata presente in una Chiesa
particolare.
b) Rinnovamento della teologia della vita consacrata. Anche la teologia della vita consacrata
ha conosciuto una sua evoluzione grazie agli impulsi avuti dal concilio Vaticano II. Non è facile
presentare le coordinate del percorso fatto, anche per quanto riguarda il suo riferimento alla Chiesa
[cf Vita religiosa. 1. Teologia e teologie della vita religiosa (M. Midali) – 2. Prospettive attuali
della vita religiosa (B. Secondin), in Dizionario teologico della Vita consacrata, Editrice Ancora,
Milano 1994, pp. 1814-1826; 1826-1836]. Si ha l’impressione che dominino due visioni generali:
una “essenzialista”, che guarda la vita consacrata nei suoi elementi essenziali (vocazione,
consacrazione, voti, formazione, spiritualità, governo), l’altra “storico-esistenziale”, concentrata
maggiormente sull’identità carismatica dell’istituto e perciò orientata a integrare il progetto globale
cristiano (vale a dire gli elementi essenziali) con la prassi storica e il servizio evangelico. Le
categorie descrittive e interpretative sono molteplici. C’è chi si richiama a categorie bibliche –
consacrazione, missione, servizio e ministeri -, chi a categorie ontologiche – elementi essenziali,
l’essere della vita religiosa distinto dall’agire – e chi preferisce categorie personalistico-esistenziali
– si fa riferimento all’esperienza – e storico-progettuali. A tutt’oggi, si ha la sensazione che gli
impulsi conciliari non siano ancora riusciti a generare orizzonti e percorsi unitari. Ciò va tenuto
presente nella nostra ricerca.
Il concilio Vaticano II ha lasciato in eredità un insegnamento importante sulla vita
consacrata – “vita religiosa”, secondo il vocabolario del concilio. Mi piace ripetere una annotazione
del teologo Luigi Sartori in riferimento al cap. VI della Lumen gentium: “Il solo fatto che il capitolo
VI respira dentro un contesto qual è quello offerto dalla LG, sta a indicare che ai religiosi si
riconosce un ruolo di primo piano nella realizzazione della Chiesa: sono situati sul versante che
guarda alla fase ultima, al momento escatologico e celeste della Chiesa, quasi indicatori-vessillo del
regno” (La “Lumen gentium”. Traccia di studio, Edizioni Messaggero, Padova 1994, p. 96). Il
concilio obbligava ormai al pieno inserimento della vita consacrata nel quadro di una ecclesiologia
rinnovata. “La concezione di una Chiesa composta unicamente da ministri sacri e da laici - scriverà
Giovanni Paolo II nell’esortazione Vita consecrata – non corrisponde alle intenzioni del suo divino
Fondatore quali ci risultano dai Vangeli e dagli altri scritti neotestamentari” (n. 29). E poco più
sopra affermava: “La vita consacrata, presente fin dagli inizi, non potrà mai mancare alla Chiesa
come un suo elemento irrinunciabile e qualificante, in quanto espressivo della sua stessa natura”
(ivi). Si deve constatare che è diffusa la concezione che la Vita consacrata non appartenga
all’integrità di vita della Chiesa e in parecchi manuali di ecclesiologia postconciliari è considerata
riduttivamente una struttura “nella” Chiesa, e non come una sua struttura fondamentale e costitutiva
di natura carismatico-istituzionale. Anche queste posizioni diversificate hanno delle ricadute sul
modo di intendere il posto e la missione dei consacrati nella Chiesa.
La riflessione teologica sulla mutua relatio tra Chiesa particolare e vita consacrata, come
questione teologica specifica, non ha ricevuto molta attenzione da parte dei teologi. Anche i
documenti magisteriali, pur offrendo spunti teologici interessanti e in progresso, appaiono orientati
maggiormente ad affermare l’esistenza delle due realtà e a definire le linee pratiche di condotta,
fatta di reciproca conoscenza, di informazione, di coordinazione, di ordinata collaborazione. Ciò
che si ricerca è un modus vivendi improntato a rapporti di autentica comunione non solo tra
Vescovi e religiosi, ma tra tutte le vocazione, gli stati di vita e i ministeri, con riferimento
all’autorità unificante del Vescovo sull’insieme del popolo di Dio, nel suo cammino verso la santità
e la missione. Si vedano: il documento Mutuae relationes, le esortazioni post-sinodali Vita
consecrata (nn. 46, 47, 48, 49, 50, 51, …) e Pastores gregis (n. 50), il Direttorio per il ministero
pastorale dei vescovi “Apostolorum successores” (nn. 98-107), le esortazioni pontificie seguite ai
sinodi continentali celebrati in occasione del grande giubileo del 2000 (Ecclesia in Africa, Ecclesia
in America, Ecclesia in Asia, Ecclesia in Europa, The Church in Oceania). Mi soffermo sul
documento Mutuae relationes, il primo a trattare delle relazioni tra i Vescovi e i Superiori religiosi,
con l’intento di mettere in luce l’ecclesiologia soggiacente.
c) L’ecclesiologia di “Mutuae relationes”. Nei primi quattro capitoli della parte prima del
documento Mutuae relationes troviamo successivamente: - una ecclesiologia misterico-
sacramentale della Chiesa secondo l’insegnamento del concilio Vaticano II (cap. I); - una teologia
cristocentrica sul ministero dei Vescovi uniti al Romano Pontefice con attenzione accentuata sul
loro posto fondamentale nel dinamismo del popolo di Dio (cap. II); - una teologia della vita
religiosa e più specialmente dell’istituto religioso, che in forza della sua indole propria,
riconosciuta dalla Chiesa, comporta uno stile particolare di santificazione e di apostolato, cioè un
“ordine interno” che ha un suo proprio campo di competenza, a cui spetta una genuina autonomia,
sancita nel diritto canonico (cap. III); - una prima concretizzazione teologica, ma anche pratica, del
rapporto vescovi-religiosi, nell’unica missione del popolo di Dio. Nel capitolo IV si parla delle
sorgenti della missione (Il Padre, lo Spirito Santo), delle diversità di forme di attuazione della
missione apostolica (la vita contemplativa, l’azione apostolica pubblica attraverso la pratica delle
opere di carità), del rapporto tra universalità e particolarità, delle possibili tensioni tra Chiesa
particolare e vita religiosa (cap. IV). L’ulteriore concretizzazione pratica, è sviluppata nella parte
seconda (Direttive e norme: capp. 5-7), non priva di spunti teologici.
In estrema sintesi, il documento, nel suo insieme, si sviluppa attorno a due principi: 1° la
dottrina che di fatto ricorda ai religiosi e ai loro Superiori che il ministero episcopale è fondamento
di tutti gli altri ministeri e svolge nella Chiesa una funzione organica di fecondità, di unità, di
spirituale potestà che influisce su tutta l’attività ecclesiale, compresa la vita religiosa2; 2° la vita
religiosa è un dono che la Chiesa riceve dal suo Signore e con la sua grazia conserva. È qualcosa di
originale e ha una sua specificità nella Chiesa3. Nella Chiesa comunione spetta al Vescovo stimare e
2 Ecco alcuni testi significativi: “Il ministero episcopale è fondamento di tutti gli altri […]. Nessun altro, all’infuori del
Vescovo, svolge nella Chiesa una funzione organica di fecondità, di unità e di spirituale potestà così fondamentale, che
influisca su tutta l’attività ecclesiale […]” (n. 6). “Spetta ai Vescovi, quali maestri autentici e guide di perfezione per
tutti i membri della diocesi, di essere i custodi anche della fedeltà alla vocazione religiosa nello spirito di ciascun
istituto. […] I Vescovi, unitamente al proprio clero, siano convinti assertori della vita consacrata, difensori delle
comunità religiose, educatori di vocazioni, validi tutori dell’indole propria di ciascuna famiglia religiosa sia in campo
spirituale che in quello apostolico” (n. 28). “Il ministero episcopale risulta realmente quale principio direttivo del
dinamismo pastorale di tutto il popolo di Dio” (inizio cap. VI). “È ufficio specifico del Vescovo difendere la vita
consacrata, promuovere e animare la fedeltà e l’autenticità dei religiosi e aiutarli ad inserirsi, secondo la loro propria
indole, nella comunione e nell’azione evangelizzatrice della sua Chiesa. […] A loro volta i religiosi considerino il
Vescovo non solo come Pastore di tutta la comunità diocesana, ma anche come garante della loro fedeltà alla propria
vocazione nell’adempimento del loro servizio a vantaggio della Chiesa locale” (n. 52).
3 Sulla vita religiosa Mutuae relationes ha importanti insistenze:”Lo stato religioso non è intermedio tra la condizione
clericale e laicale, ma proviene dall’una e dall’altra quasi come dono speciale per tutta la Chiesa” (n. 10°). “La vita
religiosa è un modo particolare di partecipare alla natura sacramentale del popolo di Dio. La consacrazione, infatti, di
coloro che professano i voti religiosi, a questo soprattutto è ordinata, che essi, cioè, offrano al mondo una visibile
testimonianza dell’insondabile mistero del Cristo” (n. 10c). “Molti sono nella Chiesa gli istituti religiosi e diversi l’uno
dall’altro, secondo l’indole propria di ciascuno; ma ognuno apporta la sua propria vocazione qual dono suscitato dallo
promuovere la specifica vocazione e missione della vita religiosa, che appartiene stabilmente e
fermamente alla vita e alla santità della Chiesa. Il Vescovo non è il principio della vita religiosa. È
suo compito vigilare sull’identità carismatica propria di ogni istituto, sostenerla perché abbia a
portare frutti abbondanti nella Chiesa.
Secondo il prof. Ghislain Lafont manca nel documento “un capitolo formalmente dedicato
alla mutua relatio sotto il suo aspetto teologico: la mutua relatio – continua il noto teologo
benedettino – è presente certamente ovunque, ma non è tanto elaborata in sé stessa […], non è
oggetto di una investigazione specifica” (G. LAFONT, L’ecclesiologia di ‘Mutuae relationes’, in
Vita consacrata XVIII [1982] 172-185: 175-176). Padre Lafont integra la lacuna denunciata
rileggendo LG 26 e 23 nel quadro dell’ecclesiologia eucaristica e scrive: “In un certo senso la
Chiesa locale (e in essa e per essa la Chiesa universale) è prima ed ultima, per il fatto che tutto,
senza eccezioni, ciò che in essa si vive, si riferisce alla sua Eucaristia come alla sua fonte e al suo
fine. Qualunque sia la coerenza che l’”ordine interno” degli istituti deve al suo carisma e alla sua
tradizione, ed anche alle istituzioni che ne derivano, questo “ordine” non è fine a se stesso, non si
compie se non nell’Eucaristia che dipende sempre dal Vescovo. Lo scopo religioso di santificazione
e di missione, che si aggancia a quello di tutte le altre forze vive della Chiesa locale, non diventa
pienamente sacrificio spirituale se non nell’offerta eucaristica dove il Vescovo riunisce tutto in
Cristo e invoca lo Spirito sulla Chiesa”. E aggiunge: “Abbiamo qui (nell’Eucaristia) il motivo, e qui
dobbiamo identificare il giusto luogo della responsabilità del vescovo riguardo all’istituto religioso.
Il Vescovo non può presentare niente a Dio nell’Eucaristia che non possa essere un autentico
sacrificio spirituale; reciprocamente lo Spirito di grazia e di perdono che viene dall’Eucaristia è così
comunicato dal suo ministero sugli istituti religiosi. Partendo dall’Eucaristia, il Vescovo ha dunque
un dovere, legato al suo ministero episcopale che struttura la Chiesa, di verifica e di promozione
della stessa vita religiosa” (ivi, p. 179)4.
Il p. Lafont ripropone un insegnamento fondamentale, sviluppato in taluni documenti della
Chiesa di Roma, di recente ripreso nella Lettera della Congregazione per la dottrina della fede
Communionis notio (28 maggio 1992) da cui traggo alcuni passaggi.
d) Communio: una solida base teologica alle mutuae relationes. La comunione ecclesiale, si
legge nella Lettera, «ha la sua radice ed il suo centro nella santa Eucaristia» (n. 5). L’Eucaristia «è
il luogo dove permanentemente la Chiesa si esprime nella sua forma più essenziale: presente in ogni
luogo e, tuttavia, soltanto una, così come uno è Cristo» (ivi). L’Eucaristia «è il luogo dove è
radicata l’unità o comunione tra le Chiese particolari nella Chiesa universale» (n. 11). L’unità della
Chiesa è pure radicata nell’unità dell’Episcopato. «Unità dell’Eucaristia e unità dell’Episcopato con
Pietro e sotto Pietro non sono radici indipendenti dell’unità della Chiesa, perché Cristo ha istituito
l’Eucaristia e l’Episcopato come realtà essenzialmente vincolate. L’Episcopato è uno così come una
è l’Eucaristia» (n. 14).
Spirito., mediante l’opera di uomini e donne insigni, e autenticamente approvato dalla sacra Gerarchia” (n. 11a). Il
Sommo Pontefice, in vista dell’utilità della stessa Chiesa, a non poche famiglie religiose concede l’esenzione, affinché
gli istituti possano più adeguatamente esprimere la propria identità e dedicarsi al bene comune con particolare
generosità e a raggio più vasto” (n. 22a).
4 Mutuae relationes, in alcuni testi richiede in qualche modo la teologia della Chiesa particolare. Ecco alcuni passaggi
significativi: “Il concilio Vaticano II ha trattato non solo della Chiesa universale, ma anche delle Chiese particolari e
locali, che ha presentato come uno degli aspetti rinnovatori della vita ecclesiale (cfr. LG 134, 23, 26; CD 3, 11, 15; AG
22; PC 20)” (n. 18). “I Vescovi, d’accordo anche con i Superiori religiosi, promuovano, specialmente tra i presbiteri
diocesani, tra i laici zelanti e tra i religiosi e le religiose locali, una viva coscienza ed esperienza del mistero e della
struttura della Chiesa” (n. 24). “I Vescovi e i Superiori religiosi, gli uni e gli altri secondo le proprie competenze,
promuovano con zelo la conoscenza della dottrina del concilio e dei documenti pontifici sull’episcopato, sulla vita
religiosa e sulla Chiesa particolare, nonché sui rapporti intercorrenti tra loro” (n. 29).
L’unità della Chiesa e la sua promozione, sottolinea ancora la Lettera, non ostacola la
diversità e la pluralità. «Questa pluralità si riferisce sia alla diversità dei ministeri, carismi, forme di
vita e di apostolato all’interno di ogni Chiesa particolare, sia alla diversità di tradizioni liturgiche e
culturali, tra le diverse Chiese particolari» (n. 15). Come è compito del Romano Pontefice per tutta
la Chiesa promuovere o riconoscere le diversità che non ostacolano l’unità, così è compito di ogni
Vescovo nella Chiesa particolare affidata al suo ministero pastorale promuovere quelle
diversificazioni che non ostacolano l’unità ma la arricchiscono. La Lettera aggiunge che
«l’edificazione e salvaguardia di questa unità, alla quale la diversificazione conferisce il carattere di
comunione, è anche il compito di tutti nella Chiesa, perché tutti sono chiamati a costruirla e
rispettarla ogni giorno, soprattutto mediante quella carità che è il “vincolo della perfezione” (Col
3,14)» (ivi).
In questo contesto acquista rilevanza quanto la Lettera asserisce sui rapporti di unità e
diversità, con specifico riferimento alla vita consacrata: «Nel contesto della Chiesa intesa come
comunione, vanno considerati pure i molteplici istituti e società, espressione dei carismi di vita
consacrata e di vita apostolica, con i quali lo Spirito Santo arricchisce il corpo mistico di Cristo: pur
non appartenendo alla struttura gerarchica della Chiesa, appartengono alla sua vita e alla sua santità.
Per il loro carattere sovradiocesano, radicato nel ministero petrino, tutte queste realtà ecclesiali sono
anche elementi al servizio della comunione tra le diverse Chiese particolari» (n. 16).
La trama di testi tratti dalla Lettera Communionis notio consente di offrire una solida base
teologica alle mutuae relationes tra Chiesa particolare e vita consacrata. Al centro della reciproca
relazione c’è l’Eucaristia, dalla quale incessantemente scaturiscono sia la Chiesa particolare, sia i
doni che il Signore fa alla sua Chiesa affidandoli al discernimento e al governo dei Pastori. La
Lettera mostra lo stretto legame tra Eucaristia ed Episcopato, realtà essenzialmente vincolate tra
loro. La conseguenza è che nell’Eucaristia celebrata nella comunità locale, il Vescovo è sempre
immediatamente coinvolto, anche quando è presieduta da un religioso presbitero, e quell’Eucaristia
è luogo misterioso della comunione con la Chiesa universale.
Chiesa particolare e vita consacrata, ambedue di origine divina per quanto riguarda gli
aspetti essenziali, hanno ciascuna una specifica identità e missione. La vita consacrata è parte
integrante della struttura della Chiesa (particolare). Le sue diversità non ostacolano l’unità, ma le
conferiscono il carattere di “comunione”. Il suo radicamento nel ministero Petrino consente di
essere presente nella Chiesa con una «giusta autonomia di vita», soprattutto di governo, allo scopo
soprattutto di poter conservare integro il carisma riconosciuto e approvato dalla Chiesa per un
determinato istituto. Si tratta di diversificazioni che, ripeto, non ostacolano l’unità, ma la
arricchiscono a vantaggio delle stesse Chiese particolari: sono elementi al servizio della comunione
nelle e tra le diverse Chiese particolari.
2. Vita consacrata «risorsa preziosa» per una ecclesiologia di comunione
In una ecclesiologia di comunione, grande è la ricchezza offerta dalla vita consacrata. Essa
ha la vocazione di essere un segno profetico del regno di Dio nel nostro tempo, un luogo visibile del
discepolato cristiano, in comunione con tutte le vocazioni particolari, tutte destinate a esprimere la
sequela di Cristo. Per descrivere taluni aspetti di tale ricchezza, terrò presenti alcuni testi del
magistero conciliare e di altri documenti più recenti.
a) Vita consacrata «risorsa preziosa» per tutti i fedeli cristiani. Missione della Chiesa è
portare gli uomini a conoscere Dio e avere la sua vita in abbondanza. La vita consacrata in ogni
stagione della Chiesa si è sviluppata come luogo dove ai cristiani è stata offerta la possibilità di
seguire Cristo e vivere secondo il Vangelo. La costituzione dogmatica Lumen gentium così descrive
questo servizio: «Avvenne di essi (dei consigli evangelici) come di un albero: a partire dal germe
iniziale che Dio aveva piantato in terra, l’albero è cresciuto nel campo del Signore, ramificandosi in
molteplici modi meravigliosi. Si sono così sviluppate varie forme di vita solitaria o comunitaria,
sono sorte varie famiglie che promuovono il progresso spirituale dei loro membri e il bene di tutto il
corpo di Cristo. Queste famiglie offrono infatti ai loro membri una maggiore stabilità nel modo di
vivere, una dottrina approvata per il conseguimento della perfezione, una comunione fraterna nella
milizia di Cristo, una libertà fortificata dall’obbedienza; così che essi siano in grado di realizzare
con sicurezza e di custodire con fedeltà la loro professione religiosa, e di progredire sulla via della
carità nella gioia dello Spirito» (n. 43).
Una visione di quasi duemila anni della vita consacrata, come quella che sta sullo sfondo del
brano citato, permette di definire più esattamente come essa sia “figura ecclesiale” o “memoria
evangelica” (E. BIANCHI, Non siamo migliori. La vita religiosa nella Chiesa, tra gli uomini,
Qiqaion, Bose, 2002, p. 82). La vita consacrata è una modalità di realizzazione della Chiesa e della
sua missione. Gli istituti di vita consacrata sono patrimonio della Chiesa, sono la stessa Chiesa che
si organizza in un modo tutto particolare per il raggiungimento dei suoi fini essenziali: la ricerca
della sequela del Signore, la diffusione del suo Regno, la perfezione della carità, l’ininterrotto culto
a Dio. Per questo la vita consacrata, presente fin dagli inizi, non potrà mai mancare alla Chiesa
come suo elemento irrinunciabile e qualificante. Giovanni Paolo II nell’esortazione Vita consecrata
dichiara di aver convocato un sinodo sulla vita consacrata per il “rilevante ruolo” che essa ha nella
Chiesa (n. 2). Nella stessa esortazione ribadisce che la vita consacrata «non è una realtà isolata e
marginale, ma tocca tutta la Chiesa», e aggiunge: «I Vescovi nel sinodo lo hanno più volte
confermato: “è cosa che ci riguarda”» (n. 3).
Una Chiesa particolare, un istituto di vita consacrata, qualunque sia la forma da questo
storicamente assunta, devono continuare a ribadire che la professione dei consigli evangelici è parte
integrante della vita della Chiesa, alla quale intende recare un deciso impulso verso una sempre
maggiore coerenza evangelica. Mons. Renato Corti nella lettera pastorale per l’anno 2009-2010
Camminare insieme (ed. Paoline, Milano 2009), dopo aver elencato i tanti “servizi” della vita
consacrata nella sua diocesi (Novara), commenta: «Ma [le religiose e i religiosi] non sono da
considerare come semplice “forza lavoro”. In realtà sono ben altro, e cioè un avvenimento di grazia,
di cui Dio solo può essere l’autore» (p. 96).
Il rapporto tra Chiesa particolare e vita consacrata costituisce un mutuo arricchimento. Lo
riconosce l’esortazione Vita consecrata: «Molto possono contribuire i carismi della vita consacrata
all’edificazione della carità nella Chiesa particolare» (n. 40). La principale utilità della presenza
della vita consacrata non si riduce alla sua fruizione individuale, nemmeno alla grande mole di
lavoro dei consacrati. «Consiste proprio nella comunione che tutti richiama verso la vocazione
universale alla santità. Le comunità cristiane potranno diventare “laboratori della fede”, luoghi di
ricerca, di riflessione e di incontro, di servizio apostolico, in cui tutti partecipano all’edificazione
del Regno di Dio» (SANTIAGO GONZALEZ SILVA, Vita consacrata, in Dizionario di
ecclesiologia, Città Nuova, Roma, 2010, pp. 1495-1508: 1502).
Dalla citata lettera di Mons. Renato Corti traggo un passaggio dalle ricadute direttamente
operative: «Diventa sempre più necessario fare discernimento circa la scelta dei luoghi e dei campi
nei quali la vita consacrata può esprimere al meglio la propria ricchezza. Nel medesimo tempo va
accolta l’esigenza delle persone consacrate di trovare, soprattutto da parte dei sacerdoti, una
considerazione adeguata del grande dono della vita totalmente dedicata al regno di Dio e un aiuto
spirituale perché, soprattutto le religiose, possano usufruire di un confessore e di un padre spirituale
e le comunità religiose possano essere sostenute nel loro cammino di formazione permanente» (p.
96-97).
Anche il seguente testo dei nostri Vescovi ha evidenti ricadute pastorali: «Una parrocchia
che valorizza i doni del Signore per l’evangelizzazione, non può dimenticare la vita consacrata e il
suo ruolo nella testimonianza del Vangelo. Non si tratta di chiedere ai consacrati cose da fare, ma
piuttosto che essi siano ciò che il carisma di ciascun istituto rappresenta per la Chiesa, con il
richiamo alla radice della carità e alla destinazione escatologica, espresso mediante i consigli
evangelici di povertà, castità e obbedienza. Questa forma di vita non si chiude in se stessa, ma si
apre alla comunicazione con i fratelli. Ogni parrocchia dia spazio alle varie forme di vita
consacrata, accogliendo in particolare il dono di cammini di preghiera e di servizio. Ne valorizzi le
diverse forme, riconosca la dedizione di tante donne consacrate, che nella catechesi o nella carità
hanno costruito un tessuto di relazioni che continua a fare della parrocchia una comunità» (CEI,
Nota pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, 30 maggio 2004, in
Enchiridion CEI 7/1500).
Merita attenzione la riflessione sulla Chiesa particolare sviluppata nel documento della
CIVCSVA, La vita fraterna in comunità, (Roma 1994): «Nella sua presenza missionaria la
comunità religiosa si pone in una determinata Chiesa particolare alla quale porta la ricchezza della
sua consacrazione, della sua vita fraterna e del suo carisma. Con la sua semplice presenza, non solo
porta in sé la ricchezza della vita cristiana, ma insieme costituisce un annuncio particolarmente
efficace del messaggio cristiano. È, si può dire, una predicazione vivente e continua. Questa
condizione obiettiva, che evidentemente responsabilizza i religiosi, impegnandoli ad essere fedeli a
questa prima loro missione, correggendo ed eliminando tutto ciò che può attenuare o affievolire
l’effetto attraente di questa loro immagine, rende oltre modo ambíta e preziosa la loro presenza
nella Chiesa particolare, antecedentemente a ogni ulteriore considerazione. […] La comunità
religiosa arricchisce la Chiesa di cui è parte viva prima di tutto con il suo amore. Ama la Chiesa
universale e questa Chiesa particolare in cui è inserita, perché è dentro la Chiesa e come Chiesa che
essa si sente posta in contatto con la comunione della Trinità beata e beatificante, fonte di tutti i
beni, e diventa così manifestazione privilegiata dell’intima natura della Chiesa stessa» (n. 60).
b) La vita consacrata: risorsa preziosa per la cattolicità della Chiesa particolare. La vita
consacrata, proprio perché appartiene indiscutibilmente «alla vita e alla santità» della Chiesa,
mostra di corrispondere alla sua natura e alle sue proprietà (una, santa, cattolica, apostolica). Mi
soffermo su una delle proprietà, la cattolicità, mettendo in luce, in un primo punto, la cattolicità
della Chiesa particolare e poi, in un secondo punto, in che senso la vita consacrata sia, nella Chiesa
particolare, una risorsa preziosa di cattolicità.
- La cattolicità, dono e compito della Chiesa particolare. La riscoperta della cattolicità quale
dimensione essenziale della Chiesa è una delle principali prospettive dell’ecclesiologia conciliare.
Come scrive il p. Y.M. Congar, «da puramente esteriore e sociologica l’idea di cattolicità ridiventa
interiore e cristologica» (Le proprietà essenziali della Chiesa, in MS VII, Brescia 1972, p. 587). Si è
così ricuperata una dimensione qualitativa della cattolicità, che valorizza meglio le diversità. Ciò ha
portato alla rivalorizzazione della Chiesa particolare, quale ambito adeguato in cui le peculiarità
umane e culturali possono essere assunte dal Vangelo. Faccio notare che il tema cattolicità è molto
vasto e include altri temi: la missione, l’inculturazione, l’ecumenismo, il rapporto con le altre
religioni, la dimensione profetica della Chiesa. Limiterò la mia attenzione ad alcuni aspetti
fondamentali5.
Il testo di Lumen gentium n. 13 è uno dei più illuminanti sulle diverse direzioni in cui il
concilio invita a ripensare la cattolicità della Chiesa.
Il primo capoverso descrive la cattolicità in senso estensivo6. È un esordio che richiama la
«vocazione cattolica» della Chiesa, in Lumen gentium 48 definita «sacramento universale di
salvezza» (cf anche GS 45; LG 1). Essa è aperta e destinata a tutti gli uomini, in forza del disegno
salvifico universale del Padre, e in ciò c’è la ragione del suo essere naturalmente missionaria (AG
2). La missione risponde alle esigenze più profonde della sua cattolicità (AG 1).
5 L’aggettivo “cattolica” applicato alla Chiesa, a partire dalla seconda metà del II secolo ha due significati fondamentali:
il significato di universale e quello di vera, ortodossia, ripiena della verità di Cristo (Y.M. Congar).
6 «Tutti gli uomini sono chiamati a far parte del nuovo popolo di Dio. Perciò questo popolo, restando uno e unico,
deve estendersi a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si compia il disegno della volontà di Dio» (LG 13a).
Il secondo capoverso descrive una cattolicità intensiva «dono del Signore»7. La Chiesa è
cattolica per la sua capacità di essere una nella diversità dei popoli e delle culture.
Nel terzo capoverso viene presentata una cattolicità intraecclesiale di enorme peso, così
descritta: «In virtù di questa cattolicità le singole parti offrono i propri doni alle altre e alla Chiesa
intera, così che il tutto e le singole parti traggano vantaggio dalla reciproca comunicazione di tutti e
dal tendere in unità verso la pienezza. Ne consegue che il popolo di Dio non soltanto si raccoglie da
popoli diversi, ma la suo stesso interno si compone di ordini diversi. Fra i suoi membri infatti c’è
diversità: innanzitutto diversità di funzioni […], poi diversità di condizioni o generi di vita […]»
(LG 13c). A questi accenni sulla varietà interna alla Chiesa, nel testo conciliare segue una più
radicale varietà, quella che tocca gli impianti culturali della fede e della Chiesa: qui si parla per la
prima volta di «Chiese particolari» in senso stretto, ossia di Chiese che hanno «proprie tradizioni»
e costituiscono «varietà legittime». Ecco il testo: «Per la stessa ragione nella comunione ecclesiale
esistono legittimamente le Chiese particolari, che godono di tradizioni proprie, salvo restando il
primato della cattedra di Pietro che presiede alla comunione universale della carità, garantisce le
legittime diversità e insieme vigila perché il particolare non solo non nuoccia all’unità, ma anzi ne
sia al servizio. Tra le diverse parti della Chiesa si creano legami di intima comunione riguardo alle
ricchezze spirituali, agli operai apostolici e alle risorse materiali» (ivi). Il capoverso conclude
facendo appello alla dottrina dei carismi, che debbono concorrere all’armonica unità del corpo.
Anche il papato assume il senso del servizio della promozione delle varietà carismatiche offerte
dalle Chiese, affinché la comunione universale rappresenti una vera ricchezza di apporti da parte di
tutti. Il brano mette in rilievo il dinamismo proprio della cattolicità, vista come principio dinamico
di vita e di crescita ecclesiale. La molteplicità non è semplicemente una somma ed un
conglomerato, ma un’immanenza per cui si vive gli uni degli altri e gli uni per gli altri (J.
RATZINGER, Il nuovo popolo di Dio, Brescia, 1994, p. 411).
Lumen gentium, n. 13 conclude aprendo alla considerazione di altri due orizzonti della
cattolicità: quello ecumenico e quello interreligioso («A questa cattolica unità […] appartengono o
sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, e sia infine tutti gli uomini che la
grazia di Dio chiama alla salvezza» (LG 13d; cf UR 14-15).
A noi qui interessa soprattutto il terzo capoverso. Vi si afferma che la cattolicità della Chiesa
implica la varietà delle Chiese particolari, ma si ribadisce anche che la cattolicità deve caratterizzare
anche ogni Chiesa particolare. Il capoverso mette in rilievo il dinamismo proprio della cattolicità, la
quale, coniugata sempre con l’unità, è vista come principio dinamico di vita e di crescita ecclesiale.
Sulla cattolicità della Chiesa particolare tornano altri testi del concilio: CD 11; LG 23; 26;
AG cap. III (nn. 20; 22). La Chiesa particolare porta con sé tutta la complessa realtà della Chiesa
come popolo di Dio, in quanto coinvolge tutti i battezzati nella loro molteplice e impegnativa realtà
sacerdotale, profetica e regale, con la varietà dei ministeri ordinati e dei carismi.
- La vita consacrata risorsa preziosa di cattolicità nella comunione della Chiesa particolare.
La vita consacrata è caratterizzata da una chiara dimensione universale. Un istituto di vita
consacrata nasce in una Chiesa particolare, risponde a esigenze particolari, ma la sua destinazione è
per la Chiesa universale. In forza della sua natura carismatica qualsiasi istituto, sia esso di diritto
diocesano o pontificio, trascende la dimensione particolare ed è chiamato a servire la Chiesa
universale nella concretezza della Chiesa particolare dove vive ed opera. Fa parte della vocazione
degli istituti essere portatori dell’apertura all’universalità della Chiesa particolare. Sono un dono del
7 «Un unico popolo di Dio si inserisce dunque in tutte le nazioni della terra, di mezzo alle quali prende i suoi cittadini,
per un regno che non è terreno ma celeste. In tal modo tutti i fedeli sparsi per il mondo sono in comunione con gli altri
nello Spirito […] La Chiesa o popolo di Dio, che introduce queto regno, non sottrae nulla al bene temporale dei popoli,
ma al contrario0 favorisce e assume tutte le capacità, le risorse e le consuetudini di vita dei popoli, nella misura in cui
sono buone; e assumendole le purifica, le consolida e le eleva […]» (LG 13b).
Signore alla Chiesa. La nota di universalità di cui sono portatori non è semplicemente una realtà di
ordine geografico, etnico o culturale, bensì una realtà teologica, manifestazione del mistero della
Chiesa. Gli istituti di vita consacrata sono manifestazione della cattolicità della Chiesa. La sola
presenza degli istituti di vita consacrata in una Chiesa particolare costituisce uno stimolo e una
verifica della cattolicità della Chiesa particolare, il che comporta il riconoscimento della vita
consacrata, della sua natura, del suo carisma o patrimonio, della sua autonomia di vita. La cattolicità
della Chiesa particolare, quale pienezza di vita, implica perciò l’aprirsi alla varietà dei carismi (cf S.
RECCHI, Gli istituti di vita consacrata segno dell’universalità nella Chiesa particolare, in
Quaderni di diritto ecclesiale, IX [1996], pp. 58-65: 61, 63; A. CATTANEO, Unità e varietà nella
comunione della Chiesa locale, Marcianum Press, Venezia 2006, pp. 279-324: 289-295).
La proprietà della cattolicità è consentanea alla vita consacrata. La vita consacrata offre un
apporto alla cattolicità estensiva. Si deve prendere atto che gli istituti di vita consacrata sono
presenti nelle Chiese di ogni parte della terra e compiono «un multiforme servizio apostolico al
popolo di Dio» (Vita consecrata, n. 9). Contribuisce pure alla cattolicità intensiva: «Anche oggi la
fioritura nelle giovani Chiese di vocazioni alla vita consacrata manifesta la capacità che questa
possiede di esprimere nell’unità cattolica le istanze di vari popoli e culture» (ivi, n. 47). La Chiesa,
«sacramento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano», viene descritta
spesso con il linguaggio simbolico sponsale. «In questa dimensione sponsale, propria di tutta la vita
consacrata, è soprattutto la donna che ritrova singolarmente se stessa, quasi scoprendo il genio
speciale del suo rapporto con il Signore» (ivi, n. 34). Le donne consacrate sono chiamate a essere
«un segno della tenerezza di Dio verso il genere umano e una testimonianza particolare del mistero
della Chiesa che è vergine, sposa, madre» (ivi, n. 57).
Il decreto sull’attività missionaria, descrivendo come nascono le nuove Chiese, afferma che
la vita consacrata «manifesta anche chiaramente e significa l’intima natura della vocazione
cristiana» (Ad gentes, n. 18).
Realizzare la cattolicità della Chiesa – universale, particolare, della vita consacrata – implica
aprirsi alla varietà delle vocazioni, dei ministeri, dei carismi, ma implica anche evitare ogni
contrapposizione tra diversità e unità, tra particolare e universale. Scrive L. Sartori: «È dentro ogni
particolarità e differenza che deve essere immesso e diventare vita il valore della universalità e della
totalità […]; essere cattolici è tendere alla pienezza, all’”intero”! È qui che si situa il prezioso nuovo
capitolo della teologia della Chiesa locale, che attribuisce proprio a questa il titolo e l’impegno della
cattolicità» (Cattolicità, in Dizionari San Paolo, Teologia, Cinisello Balsamo, Milano, 2002, p.
196).
In diversi testi sia del concilio Vaticano II sia ad esso posteriori, viene descritto il rapporto
di muto arricchimento che si dovrebbe realizzare tra Chiesa particolare e vita consacrata. Sullo
sfondo sta la mutua interiorità tra Chiesa universale e Chiesa particolare. L’esame dei testi che
propongo, consentirà di dire se vi sia giusto equilibrio fra le diverse istanze in relazione: tra la
Chiesa universale e la Chiesa particolare, tra la Chiesa particolare e la vita consacrata, tra Chiesa
universale e la vita consacrata.
a) Servizio della vita religiosa all’edificazione della Chiesa particolare. Giovanni Paolo II,
nell’esortazione postsinodale Pastores dabo vobis, così illustra il servizio prestato dalla vita
religiosa alla Chiesa particolare (e in modo particolare in riferimento ai presbiteri diocesani):
«Il dono della vita religiosa, nella compagine diocesana, quando è accompagnato da sincera
stima e da giusto rispetto delle particolarità di ogni istituto e di ogni tradizione spirituale,
allarga l’orizzonte della testimonianza cristiana e contribuisce in vario modo ad arricchire la
spiritualità sacerdotale, soprattutto in riferimento al corrente rapporto e al reciproco influsso
tra i valori della Chiesa particolare e quelli dell’universalità del popolo di Dio. Da parte loro,
i religiosi saranno attenti a garantire una spirito di vera comunione ecclesiale, una
partecipazione cordiale al cammino della diocesi e alle scelte pastorali del vescovo,
mettendo volentieri a disposizione il proprio carisma per l’edificazione di tutti nella carità»
(n. 74).
b) Presbiterio della Diocesi: presbiteri diocesani e religiosi presbiteri, un unico presbiterio?
Sull’appartenenza dei religiosi presbiteri al presbiterio della Chiesa particolare non tutti gli
autori sono d’accordo, e anche negli statuti dei consigli presbiterali delle rispettive diocesi si
trovano soluzioni diverse. In realtà la questione non aveva trovato nei testi conciliari una
risposta univoca: Christus Dominus, n. 28/a considera il presbiterio costituito dai sacerdoti
diocesani, incardinati o addetti ad una Chiesa particolare; lo stesso documento, però, al n.
34/a riconosce che i religiosi sacerdoti sono da considerare come appartenenti al clero della
diocesi in quanto partecipano alla cura delle anime e alle opere di apostolato sotto l’autorità
dei pastori. Il decreto Presbyterorum ordinis accosta a posizioni restrittive (n. 8/a)
atteggiamenti più aperti (ivi, n. 8/a). Prevarrà nella pratica la linea tracciata in Ad gentes: «I
sacerdoti del luogo attendano con molto zelo all’opera di evangelizzazione nelle giovani
Chiese, collaborando attivamente con i missionari stranieri con i quali costituiscono un
unico presbiterio, riunito sotto l’autorità del vescovo» (n. 20/c). Pastores dabo vobis
afferma: «Dell’unico presbiterio fanno parte, a titolo diverso, anche i presbiteri religiosi
residenti e operanti in una Chiesa particolare. La loro presenza costituisce un arricchimento
per tutti i sacerdoti e i vari carismi particolari da essi vissuti, mentre sono un richiamo
perché i presbiteri crescano nella comprensione del sacerdozio stesso, contribuiscono a
stimolare e ad accompagnare la formazione permanente dei sacerdoti» (n. 74/f). Per la
soluzione del CIC cf c. 498, § 1, 2. Il motivo teologico di fondo, per cui nel presbiterio di
una Chiesa particolare si devono includere tutti i sacerdoti che contribuiscono
all’edificazione di quella porzione di popolo di Dio, si trova nel riconoscimento che, nella
Chiesa particolare, “è veramente presente e opera” la Chiesa una e cattolica (CD 11/a) e che
la Chiesa particolare è immagine della Chiesa universale (LG 23/a).
c) Le opere proprie di un istituto religioso. Il documento Mutuae relationes, allo scopo di
favorire una certa stabilità della cooperazione pastorale, afferma che si deve tenere presente
la differenza che intercorre tra opere proprie di un Istituto e opere affidate ad un Istituto
dall’ordinario del luogo (n. 57/a; cf c. 681, §§ 1-2). Le prime dipendono dai superiori
religiosi a norma delle loro costituzioni, anche se sono soggette, in fatto di pastorale, alla
giurisdizione dell’ordinario del luogo a norma del diritto (c. 678, §§ 1-3). Nel caso di opere
affidate dal Vescovo ai religiosi deve essere stipulata una convenzione tra il Vescovo
diocesano e il Superiore competente dell’istituto, nella quale sia definito espressamente e
con esattezza quanto riguarda l’opera da svolgere, i religiosi da destinarvi e gli aspetti
economici (MR n. 57/b-c; c. 681, § 2). La reciproca intesa non sempre risolve le questioni
che sempre sorgono, nuove o impreviste. La tendenza predominante sembra essere una
crescente domanda da parte dei superiori religiosi di avere più potestà in questi ambiti. Non
è facile armonizzare la legittima autonomia per esercitare l’apostolato secondo il proprio
carisma e la comunione con il Vescovo e i presbiteri della diocesi. La stessa cosa si verifica
in riferimento alle parrocchie, alle scuole cattoliche e/o di ispirazione cristiana, ai luoghi
della ricezione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, ecc. Stiamo assistendo in questi
anni a molteplici adattamenti delle opere proprie degli istituti religiosi. Oltre a mantenere
«con fedeltà la missione» (c. 677, § 1), negli adattamenti vanno tenute presenti le volontà
dei fedeli che hanno donato o lasciato i propri averi (c. 1300) e la loro rilevanza ecclesiale.
d) Gli Istituti Secolari: sono «uno degli innumerevoli doni con cui lo Spirito Santo
accompagna il cammino della Chiesa e la rinnova in tutti i secoli» (Benedetto XVI, Ai
partecipanti alla Conferenza Mondiale degli Istituti Secolari, sabato, 3 febbraio 2007). Il
discorso del Papa tocca i punti fondamentali della forma di consacrazione propria dei
membri degli Istituti Secolari: la ragione teologica dell’inserimento nelle vicende umane, il
cammino di santificazione, i caratteri della missione secolare, la conversione, i mezzi per
realizzare il carattere secolare della consacrazione. Il Papa non approfondisce la relazione
Istituti Secolari e Chiesa locale. Gli Istituti Secolari sono certamente istituzioni ecclesiali,
ma specifiche: hanno lo scopo di formare e sostenere uomini e donne capaci di dare
un’anima al mondo. C’è il rischio che, da parte della Chiesa particolare, la presenza di un
laico/a consacrato/a venga considerata alla stregua di una persona disponibile in tutto alle
attività intraecclesiali. Lo specifico dei membri degli Istituti Secolari non consiste nel
mettersi a disposizione del Vescovo o del parroco per attività di supporto alla Chiesa, sia
pure in ambiti di competenza laicale. Lo specifico di questi è la ricerca del regno di Dio,
trattando le cose temporali per ordinarle secondo Dio (LG 31). Il loro essere Chiesa consiste
primariamente nella messa in atto di tutte le possibilità cristiane ed evangeliche nascoste, ma
già presenti nelle realtà del mondo (Paolo VI, Evangelii nuntiandi, n. 70). Il timore di
utilizzazioni strumentali ha indotto molti istituti secolari a evitare di rendere noti i loro
membri ai Vescovi, innestando così un circolo vizioso di malintesi e di diffidenze,
svantaggiose per tutti. Occorre mettere a fuoco dove si giocano l’ecclesialità dei membri di
un Istituto Secolare, la loro diocesanità, il loro sentire ecclesiale (cf E. TRESALTI, Gli
Istituti Secolari e la Chiesa locale, in Divinarum Rerum Notitia, ed. Studium, 2001 e in
Dialogo, N. 129 – 2001).
e) Le relazioni della Chiesa particolare: - con gli istituti di vita contemplativa
- con gli istituti monastici
- con l’Ordo virginum - …...
f) Non avere paura di essere una “presenza scomoda”: dallo Strumento di lavoro elaborato in
occasione della XLIII Assemblea Generale della CISM (3-8 novembre 2003): «L’essere segno
escatologico ci impone di essere nella Chiesa e nella storia presenza che porta una santa inquietudine
nelle abitudini e nel già consolidato, tanto sul territorio che nelle strutture della Chiesa locale. Povertà,
castità e obbedienza diventano così sfida verso una libertà dalle cose e dai ruoli che ci rende
appassionati alla domanda di senso presente nell’uomo di oggi»: AA.VV., Chiesa locale, Vita
consacrata e Territorio: un dialogo aperto, a cura della CISM, Roma 2004, p. 192.
3. Luci e ombre nelle mutue relazioni tra Chiesa particolare e vita consacrata
Quando si parla del rapporto tra Chiesa particolare e vita consacrata si tende, a volte, a vederlo in
senso conflittuale. Il cammino sino a qui percorso mostra che la vita consacrata è e può essere una risorsa
preziosa per la Chiesa particolare. Fra vita consacrata e Chiesa particolare si dovrebbe attuare un mutuo
arricchimento. Vita consacrata e Chiesa particolare non sono fatte per confrontarsi ma per sorreggersi e
completarsi. In molte Chiese particolari i consacrati sono presenti come segno di comunione e di speranza.
Nella pratica sorgono tuttavia delle difficoltà.
a) Tentazione dell’isolamento. Il documento La vita fraterna in comunità vede nella tentazione
dell’isolamento una possibile difficoltà che potrebbe insinuarsi tra vita consacrata e Chiesa
particolare. Si legge nel testo: «Le difficoltà crescenti della missione e della scarsità di personale,
possono tentare d’isolamento sia la comunità religiosa che la Chiesa particolare: il che non favorisce
certamente la comprensione né la collaborazione reciproca. Così da una parte la comunità religiosa
rischia di essere presente nella Chiesa particolare senza un legame organico con la sua vita e la sua
pastorale, dall’altra si tende a ridurla ai soli compiti pastorali. Ancora: se la vita religiosa tende a
sottolineare con forza crescente la propria identità carismatica la Chiesa particolare avanza spesso
richieste pressanti e insistenti di energie, da inserire nella pastorale diocesana o parrocchiale. Il
Mutuae relationes è lontano sia dall’isolamento e dall’indipendenza della comunità religiosa nei
confronti della Chiesa particolare, sia dal suo pratico assorbimento nell’ambito della Chiesa
particolare». Il documento conclude: «Come la comunità religiosa non può agire indipendentemente
o in alternativa o meno ancora contro le direttive e la pastorale della Chiesa particolare, così la
Chiesa particolare non può disporre a suo piacimento, secondo le sue necessità, della comunità
religiosa o di alcuni suoi membri» (n. 60).
Il documento individua la causa di fondo di questa situazione nella scarsa considerazione del carisma
di una comunità religiosa, il che non è utile né alla Chiesa particolare, né alla comunità religiosa.
«Solo se essa (la comunità religiosa) ha una precisa identità carismatica può inserirsi nella “pastorale
d’insieme” senza snaturarsi, anzi arricchendola del suo dono. Non bisogna dimenticare – continua il
documento – che ogni carisma nasce nella Chiesa e per il mondo, va costantemente ricondotto alle
sue origini e finalità, ed è vivo nella misura in cui vi è fedele» (ivi).
Viene segnalata un’altra ragione del malessere relazionale: «Alla base di molte incomprensioni – si
legge sempre nel documento La vita fraterna in comunità - c’è talvolta la frammentaria conoscenza
reciproca sia della Chiesa particolare che della vita religiosa e dei compiti dei Vescovi nei confronti
di questa» (ivi). Torna, nel testo, una raccomandazione ripetuta molte volte in molti documenti: «Si
raccomanda vivamente di non lasciare mancare un corso specifico di teologia della vita consacrata
nei seminari teologici diocesani, ove la si studi nei suoi aspetti dogmatico-giuridico-pastorale, come
pure i religiosi non vengano privati di una adeguata formazione teologica circa la Chiesa particolare»
(ivi).
b) Il servizio parrocchiale:fonte di tensioni? Un’altra difficoltà spesso segnalata riguarda il servizio
svolto dai religiosi nelle parrocchie. Le tensioni a volte riguardano la vita religiosa ad intra, altre
volte le relazioni con la diocesi. Le tensioni ad intra sono così descritte nel documento La vita
fraterna in comunità: «In alcune regioni per i religiosi sacerdoti la difficoltà di fare comunità
nell’esercizio del ministero parrocchiale crea non poche tensioni. Il vasto impegno nella pastorale
parrocchiale è fatto, a volte, a detrimento del carisma dell’istituto e della vita comunitaria, fino a far
perdere ai fedeli e al clero secolare e anche agli stessi religiosi la percezione della peculiarità della
vita religiosa. Le urgenti necessità pastorali non devono far dimenticare che il miglior servizio della
comunità religiosa alla Chiesa è quello di essere fedele al suo carisma. Ciò si riflette anche
nell’accettazione e conduzione di parrocchie: si dovrebbero privilegiare le parrocchie che
permettono di vivere in comunità e nelle quali è possibile esprimere il proprio carisma. Anche la
comunità religiosa femminile spesso sollecitata ad essere presente nella pastorale parrocchiale in
forma più diretta, sperimenta simili difficoltà. Qui, giova ripeterlo, il loro inserimento sarà tanto più
fruttuoso quanto più la comunità religiosa potrà essere presente con la sua fisionomia carismatica.
Tutto ciò può essere di grande vantaggio sia per la comunità religiosa che per la pastorale stessa,
nella quale le religiose sono normalmente bene accette e apprezzate» (n. 61).
Da parte delle diocesi vengono mossi diversi rilievi. A volte si lamenta il frequente cambio delle
persone religiose destinate al servizio parrocchiale (parroco, vicario parrocchiale, altri coadiutori),
anche senza previa comunicazione. Il fattore tempo, si fa notare, è indispensabile per conoscere le
persone e poter realizzare un credibile servizio comunitario rispondente alla situazione attuale. Altre
volte si riscontra una scarsa attenzione ai requisiti fondamentali e specifici che deve possedere colui
cui viene affidato l’ufficio di parroco. Altre volte si fa notare uno scarso inserimento della parrocchia
affidata ai religiosi nella pastorale integrata ricercata dalla diocesi. Spesso la parrocchia è concepita
come autonoma, il parroco realizza il ministero in modo isolato, a fatica si apre alla missionarietà,
alle attese dei non credenti e dei cristiani “della soglia”.
c) Accentuato ecclesiocentrismo della vita religiosa? Il fondatore e priore della Comunità di Bose,
Enzo Bianchi, nella sua opera: Non siamo migliori. La vita religiosa nella Chiesa, tra gli uomini
(Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, 2000) così introduce la riflessione nel capitolo intitolato Vita
monastica e Chiesa: «Appare ormai sempre più attestata quella tendenza dominante e mai da
nessuno contrastata che noi chiamiamo “ecclesificazione” di tutte le realtà cristiane. Da alcuni
decenni tutto è ordinato intorno alla Chiesa, a volte dimenticando che essa resta strumento, non
protagonista, di salvezza e che essa è il corpo di Cristo, pur mantiene una differenza rispetto a colui
che ne è suo Capo e Signore. Anche la vita religiosa è letta sempre più in riferimento alla Chiesa e
sempre meno in riferimento al Signore della sequela e allo Spirito che la desta e la sostiene nel
cammino verso il Padre. Non crediamo che questa tendenza esalti l’ecclesialità della vita religiosa:
temiamo piuttosto che la mortifichi sulla compaginazione pragmatica e “pastorale” del corpo
ecclesiale. In primo piano occorre sempre mettere in evidenza la sequela di Cristo, l’azione dello
Spirito santo e delle sue energie, la tensione escatologica verso il Regno veniente del Padre perché il
Signore è il Signore della Chiesa e della vita religiosa» (p. 297-298). Alla tendenza di una fuga
Ecclesiae, in parallelo alla fuga mundi, va preferita la via del camminare insieme della vita religiosa
con la Chiesa particolare.
In conclusione:
Da un manuale di teologia: «La comunità religiosa è una comunità della Chiesa particolare, è un dono per la
Chiesa particolare, ma soprattutto quest’ultima è un dono per la comunità religiosa» (J.C.R. GARCÍA
PAREDES, Teologia della vita religiosa, Cinisello Balsamo, Milano 2004, p. 292).
Un testo celebre di Giovanni Paolo II: «Ovunque vi troviate nel mondo, voi siete, con la vostra vocazione,
“per la Chiesa universale” attraverso la vostra missione “in una determinata Chiesa locale. Quindi, la vostra
vocazione per la Chiesa universale si realizza entro le strutture della Chiesa locale. Bisogna far di tutto,
affinché la vita consacrata si sviluppi nelle singole Chiese locali, affinché contribuisca all’edificazione
spirituale di esse, affinché costituisca la loro particolare forza. L’unità con la Chiesa universale, attraverso la
Chiesa locale: ecco la vostra via» (Ai Superiori Generali, 24 novembre 1978, in Insegnamenti di Giovanni
Paolo II, I [1978], Città del Vaticano 1979, p. 204).