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1 LA VIOLENZA MASCHILE SULLE DONNE AL DI FUORI DELL’EMERGENZA uomini e donne dialogano sulla violenza maschile contro le donne Un seminario di confronto tra l’esperienza dei centri antiviolenza, delle case delle donne maltrattate e l’esperienza dei centri per uomini autori di violenza Roma 4 ottobre 2014, Casa Internazionale delle Donne Introduzione di Maria Merelli per LeNove Che cosa lega le tre associazioni che hanno promosso il seminario di oggi? Pezzi di strada negli ultimi anni ci hanno visto variamente insieme: LeNove e Maschile Plurale, Maschile Plurale e la Casa delle donne maltrattate di Milano, LeNove e i Centri Antiviolenza ...il terreno di questi incontri la violenza maschile contro le donne vista da diverse ottiche e pratiche: noi LeNove per l’attività di gestione 1522, lo studio delle reti locali dei servizi a supporto delle donne e degli interventi rivolti agli uomini che agiscono violenza; Maschile Plurale per la riflessione di uomini sulla propria appartenenza di genere e i modelli identitari maschili oltre alla collaborazione con diverse esperienze di Centri Uomini, D.i.RE per il quotidiano lavoro dei centri nell’accogliere e accompagnare le donne verso autonomia e libertà e la strenua difesa del loro operato. Dal primo incontro nel marzo 2013 in cui si avviò la discussione con chi aveva partecipato alla nostra indagine sui Centri Uomini a quelli successivi nel corso del 2013 e 14, si è fatto strada tra noi e Maschile Plurale il desiderio di riunire le voci di queste esperienze per un confronto ravvicinato che facesse fare a tutti un passo in avanti sui nostri paradigmi, pratiche, riflessioni...una proposta condivisa da D.i.RE che ha portato alla giornata di oggi. Dunque una crescita progressiva di fermenti di dialogo, diremmo “prove di avvicinamento” fra mondi che si sono considerati fino ad oggi non solo separati e distanti, ma in conflitto e antagonisti come lo sono le due figure simbolo che questi mondi rappresentano: l’uomo violento/carnefice, la donna vittima. Noi LeNove abbiamo vissuto, nel nostro percorso, il trovarci a scavalco di questi due mondi: il nostro lavoro – siamo figlie del cd. femminismo culturale e della differenza degli anni 80 – porta l’impronta culturale e politica dovuta alla nostra nascita; attraverso di essa abbiamo riflettuto sulle trasformazioni materiali e identitarie delle soggettività femminili: corpo, sessualità, maternità, lavoro e conciliazione, carriere e differenziali salariali, risorse e vincoli individuali, opportunità e resistenze dei contesti sociali. E violenza, dai 6 anni di gestione del 1522, insieme a Le Onde di

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LA VIOLENZA MASCHILE SULLE DONNE

AL DI FUORI DELL’EMERGENZAuomini e donne dialogano sulla violenza maschile contro le donne

Un seminario di confronto tra l’esperienza dei centri antiviolenza,

delle case delle donne maltrattate e l’esperienza dei centri per uomini autori di violenza

Roma 4 ottobre 2014, Casa Internazionale delle Donne

Introduzione di Maria Merelli per LeNove

Che cosa lega le tre associazioni che hanno promosso il seminario di oggi?

Pezzi di strada negli ultimi anni ci hanno visto variamente insieme: LeNove e Maschile Plurale,Maschile Plurale e la Casa delle donne maltrattate di Milano, LeNove e i Centri Antiviolenza ...ilterreno di questi incontri la violenza maschile contro le donne vista da diverse ottiche e pratiche: noiLeNove per l’attività di gestione 1522, lo studio delle reti locali dei servizi a supporto delle donne edegli interventi rivolti agli uomini che agiscono violenza; Maschile Plurale per la riflessione diuomini sulla propria appartenenza di genere e i modelli identitari maschili oltre alla collaborazionecon diverse esperienze di Centri Uomini, D.i.RE per il quotidiano lavoro dei centri nell’accogliere eaccompagnare le donne verso autonomia e libertà e la strenua difesa del loro operato. Dal primo incontro nel marzo 2013 in cui si avviò la discussione con chi aveva partecipato allanostra indagine sui Centri Uomini a quelli successivi nel corso del 2013 e 14, si è fatto strada tranoi e Maschile Plurale il desiderio di riunire le voci di queste esperienze per un confrontoravvicinato che facesse fare a tutti un passo in avanti sui nostri paradigmi, pratiche, riflessioni...unaproposta condivisa da D.i.RE che ha portato alla giornata di oggi.

Dunque una crescita progressiva di fermenti di dialogo, diremmo “prove di avvicinamento” framondi che si sono considerati fino ad oggi non solo separati e distanti, ma in conflitto e antagonisticome lo sono le due figure simbolo che questi mondi rappresentano: l’uomo violento/carnefice, ladonna vittima.

Noi LeNove abbiamo vissuto, nel nostro percorso, il trovarci a scavalco di questi due mondi: ilnostro lavoro – siamo figlie del cd. femminismo culturale e della differenza degli anni 80 – portal’impronta culturale e politica dovuta alla nostra nascita; attraverso di essa abbiamo riflettuto sulletrasformazioni materiali e identitarie delle soggettività femminili: corpo, sessualità, maternità,lavoro e conciliazione, carriere e differenziali salariali, risorse e vincoli individuali, opportunità eresistenze dei contesti sociali. E violenza, dai 6 anni di gestione del 1522, insieme a Le Onde di

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Palermo (e Atesia), al contatto con i Centri AV e le reti dei servizi locali, per arrivare alleiniziative rivolte agli uomini. E’ stato uno spostare il nostro sguardo sulla questione maschile,guidate dall’idea che non si dà possibilità né di prevenzione né di cambiamento della cultura sel’altro da noi – gli uomini e il loro lato oscuro - rimane silente e distante.

Ma spostare lo sguardo non significa pentirsi di un passato e neppure cambiare il percorsointrapreso, bensì arricchirlo, mantenendo, questo sì, immutati gli obiettivi finali: la salvaguardia piùefficace delle donne che subiscono violenza da parte degli uomini e i supporti necessari affinchépossano intraprendere una strada di libertà. Uno sguardo dunque femminista anche quello rivoltoagli uomini (pur consce della pluralità e complessità di significati insiti in una parola,in unacategoria soggetta essa stessa al cambiamento imposto dalle trasformazioni della società e dalricambio di generazioni) e che vuole prendere in considerazione l’altro, l’uomo, poiché si ritieneche solo operando nella prospettiva di una trasformazione radicale dei soggetti e delle relazioni cheli legano sarà possibile combattere la violenza contro le donne mettendo in atto, oltre aindispensabili risposte immediate, strategie che cerchino di operare sulle radici – culturali - delfenomeno.

Il lungo percorso di LeNove (nostro), infatti, e’ stato per molti aspetti un viaggio nelle moltepliciforme di discriminazione di una società che si dice postpatriarcale, ma resiste in molti modi adaccettare pienamente l’affermazione e la pratica della autonomia e libertà delle donne. ConMaschile Plurale e D.i.RE ci accomuna l’analisi che la violenza maschile, nelle molte forme in cuiessa si manifesta, e’ l’estremo tentativo di contrastare questo processo, per mantenere relazioni disubordinazione e soggezione, di asimmetria di ruoli e potere. E, come per Maschile Plurale eD.i.RE, ci accomuna la fiducia nella possibilità di un cambiamento dei comportamenti individuali edei modelli culturali di genere che nella società legittimano tuttora disparità, discriminazioni eviolenza contro le donne. Ci accomuna anche la fiducia nelle capacità trasformative delle vite edelle relazioni che hanno le pratiche rivolte alle donne “vittime” nate dalle relazioni fra donne, erecentemente anche gli interventi rivolti agli autori, che implicano complesse competenze culturalie professionali. Un punto delicato e di differenza, questo, che certamente va riflettuto.

La fiducia prima richiamata è anche il requisito della giornata odierna: fiducia nella possibilità dimettere in comune i saperi che nascono dalle rispettive esperienze, di dialogare senza preconcetti ediffidenze, il che non significa non nutrire perplessità e dubbi...semmai dar loro voce, metterli incomune, confrontarli. E’ necessaria una fiducia nell’ascolto e nella capacità di imparare dagli uni edalle altre, con reciprocità e apertura. Certamente sul piano culturale e politico, ma forse ancorprima rivisitando il bagaglio delle convinzioni personali. C’è un lavoro riflessivo di interrogazione (se non di decostruzione) che ognuno e ognuna deveprobabilmente fare ripensando agli schemi di pensiero che hanno dato forma alla nostra visionedella violenza e delle interazioni dei soggetti coinvolti in una relazione violenta e hanno motivatonel tempo il nostro agire. Oggi, e’ innegabile, c’è più attenzione sociale alla violenza contro le donne, ma l’indignazionemediatica e verbale comporta strabismi e rischi finendo per collimare con l’impostazioneemergenziale e sostanzialmente securitaria ancora prevalente nel discorso pubblico, anchenell’azione legislativa. Per questo noi vogliamo essere/sentirci fuori dalla emergenza che incalza. Solo così si può andare alle radici culturali delle relazioni fra donne e uomini, abbracciarle in tuttele sfaccettature e insieme considerare i percorsi e le modalità di intervento in essere verso le donnee verso gli uomini: per vederne i possibili elementi comuni ma anche andando a fondo sullecaratteristiche e le differenze che l’attività con gli uomini pone. Il confronto, infatti, non può che avvenire a partire dalle differenze che segnano nascita e storia deiCentri per le donne e di quelli per gli uomini; differenze che debbono rimanere come assunti teoricie pratici della lettura sessuata della realtà e delle relazioni fra donne e uomini, fra ragazze e ragazzi.Lettura sessuata imprescindibile.

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A questo proposito mi piace citare Carol Gilligan, il cui studio “Con voce di donna” (In a DifferentVoice, 1987) è stato pietra miliare per il pensiero femminista; anche nel suo ultimo libro “La virtùdella resistenza. Resistere, prendersi cura, non cedere” ribadisce come ragazze e donne “sono lachiave per rivelare le strutture patriarcali”, le dicotomie e le gerarchie sessuate che tengono in piedil’ordine patriarcale... che non riguarda solo le donne ma anche gli uomini... (auspica infine una lottaper affermare l’etica della cura come etica femminista e degli esseri umani per liberarci dalpatriarcato).

È con questa disponibilità reciproca ad ascoltarci, a dialogare su domande e risposte, che crediamosi possono avviare nuovi percorsi, progetti e azioni soprattutto nel campo della prevenzione, dellaeducazione e della formazione.

E, forse, anche per avere più forza di interlocuzione politica.Anche nel nostro paese ci sarebbe bisogno di una interlocuzione politica che con maggiore forzaspinga Governo e istituzioni a scelte adeguate - e finanziate – al sostegno e sviluppo dei servizi diaccoglienza delle vittime e di “recupero” degli autori.

Ma senza aspettare palingenetiche soluzioni di un futuro Piano nazionale che ignoriamo quandosarà pronto, l’incontro odierno traccia una via da percorrere avviando il confronto sui moltiinterrogativi che abbiamo posto nella lettera di invito.

Da ultimo. Abbiamo accostato la complessa azione che altri paesi hanno da tempo messo in campo( se ne è data notizia nel volume Il lato oscuro degli uomini. La violenza maschile contro le donne:modelli culturali di intervento) con politiche integrate a tutti livelli istituzionali e con pienocoinvolgimento delle organizzazioni della società civile. Tra Centri rivolti agli autori e CAV lacollaborazione è strumento stabile di lavoro quotidiano per azioni di prevenzione nellacomunità/società e stimolo nei confronti degli interlocutori istituzionali. La stessa Convenzione diIstanbul, come è stato ribadito nella Conferenza di Roma del 19 settembre (promossacongiuntamente dal Consiglio d’Europa e dal Ministero degli Affari Esteri ) sottolineando lanecessità di un approccio olistico alla violenza contro le donne, indica all’art.16 lo strettocoordinamento delle misure rivolte ai perpetrators con i servizi rivolti alle vittime.

Del resto dall’aggiornamento della situazione italiana fatto per questa occasione, (che si trovaonline sul nostro sito www.lenove.org e di cui darà notizia Stefania Pizzonia), risulta checoordinarsi sul territorio con il CAV e la rete dei servizi antiviolenza e’ già, quasi per tutti, unapratica, più stabile che saltuaria. Dunque una questione da approfondire. Essa mostra, tra l’altro,che nuovi interventi, centri o sportelli rivolti agli autori sono nati nell’ultimo anno, altri prestoapriranno. Così come e’ nata da poco l’associazione RELIFE che molti ne raccoglie, ponendosicome interlocutrice anche verso le istituzioni nazionali e internazionali.

Questa situazione in movimento ci spinge dunque a trovare ponti di comunicazione essendo questoun investimento sul cambiamento possibile, necessario, delle relazioni e per, come si è dettonell’invito, “costruire un’altra civiltà tra uomini e donne”.

Introduzione di Manuela Ulivi (Casa delle donne maltrattate di Milano) per D.i.Re

Le parole non bastano. E’ questo il titolo di un convegno organizzato circa due anni fa conl’associazione Maschile Plurale, a seguito di un lungo confronto intorno a un tavolo che avevamochiamato “tavolo vero tra uomini e donne”.

È stata un’esperienza interessante che si è conclusa proprio nel 2012 subito dopo questo convegno.

In ragione di quell’esperienza oggi parlo esponendo pensieri che nascono dalle mie riflessioni sulla“presa di parola maschile” sul tema della violenza degli uomini contro le donne.

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L’osservazione che mi viene da fare è che gli uomini hanno sempre avuto parola in tutti i campidella conoscenza umana, mentre sono stati particolarmente assenti su di un problema che li hariguardati sempre molto da vicino che è quello della relazione privata, personale, affettiva didominio su una donna.

Sappiamo tutte e tutti che nei rapporti personali ci sono sempre equilibri difficili da trovare, conposizioni dominanti ora dell’uno ora dell’altro sesso. Ma questo fatto non può essere confuso conl’oscura e, direi, malvagia volontà di imperare sulla propria compagna con soprusi e violenze dicarattere psicologico e/o economico. Sarebbe bene noi ci concentrassimo proprio su questi dueaspetti della violenza, al di fuori dell’emergenza, come dice il titolo di questo incontro, perchéquando si tratta di violenza fisica e sessuale il riconoscimento della contrarietà di questicomportamenti al comune vivere civile e al rispetto della persona che si ha di fianco è quasiautomatico.

È così che leggendo i diversi contributi raccolti nell’interessante libro “Il lato oscuro degli uomini”(Ed. Ediesse, 2013) ritrovo un linguaggio, utilizzato da alcuni uomini, che mi dà l’impressione dinon essere autentico. Infatti, come ho rilevato anche durante la mia esperienza al “tavolo vero”, ecome ci siamo detti con Marco e Alessio, è molto difficile guardarsi con attenzione e raccontarsiveramente da dentro. Ovviamente questo vale per uomini e donne, con la differenza che le donnehanno decine di anni di vantaggio, se non vogliamo parlare di secoli e secoli di relazioni duali eamicali, di pensiero sulla loro stessa differenza e sul valore che le donne hanno saputo riconoscere edare a sé stesse.

Date queste premesse, quando si afferma che l’autore di comportamenti maltrattanti “vive e agiscein uno stato di disagio e sofferenza” penso che questo fatto sia ancora tutto da verificare e non è unpresupposto di lavoro che mi convince.

Ho incontrato molti uomini che avevano agito violenza contro una donna che non solo non avevanomaturato alcuna consapevolezza della sofferenza causata alla loro compagna, ma asserivano contono piuttosto convinto quanto arrogante che non avevano fatto niente di male. Il primo istinto èsempre quello di negare anche di fronte all’evidenza, di sminuire la gravità dei propricomportamenti, di cercare di darne una versione manipolata in ogni caso, da ultimo, di trovaregiustificazioni ai fatti attraverso l’imputazione all’altra della ragione delle proprie reazioni. Quandosi viene chiamati a rispondere delle proprie azioni in un ambito giudiziale questo è quanto emerge:il tentativo di sottrarsi alle proprie responsabilità, con ogni mezzo, oltre alla ignobile manovra digettare discredito sulla persona a cui si sono inferte sofferenze di ogni tipo, arrivando ad imputarlel’origine degli stessi mali che ha subito.

Il lavoro dei centri antiviolenza ha svelato una realtà maschile molto diffusa, sorniona e complessa,che limita la libertà femminile in modo indiscutibile, anche nel senso che la donna che la mette indiscussione viene colpita inesorabilmente, dall’uomo che non accetta di essere messo indiscussione.

Uscire di casa, usare il proprio linguaggio, esprimere i propri pensieri, muoversi in casa e nelmondo con agio e libertà, costa ancora oggi alle donne umiliazioni, denigrazioni, attacchi sottili allaloro stessa essenza. Tutto ciò comincia con aggressioni di carattere psicologico, attraverso la messain scacco di qualsiasi capacità della donna di stare al mondo, cominciando a mettere in discussionelo stesso modo in cui si muove e parla insinuando che il mondo che sta fuori la guardi esattamentecome quell’uomo che le sta facendo del male.

Sono meccanismi molto infidi e complessi che portano all’isolamento, alle aggressioni fisiche e avolte colpiscono così nel profondo la donna che finisce per non parlarne con nessuno, che assumeun atteggiamento che può apparire all’esterno scostante, strano, tanto che l’uomo può averemaggiore facilità a trovare persino sostegno e coalizione in altri uomini e donne.

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Quando si creano queste situazioni quella che ho già chiamato malvagità non ha limiti e arriva almassimo attacco alla donna attraverso la messa in discussione della competenza materna e delrapporto con i propri figli.

Noi siamo partite dalla nostra competenza, dal “sé” che abbiamo imparato dalla pratica femminista,con la convinzione di avere una forza e di giocarci questa forza mettendo in campo la relazione tradonne che è divenuta nel corso del tempo la nostra metodologia di lavoro.

Il colloquio può diventare per noi uno scambio di esperienze che parte dall’essere donne edall’avere provato esperienze simili. Possiamo così capire meglio certe emozioni, frustrazioni e imolteplici sentimenti che suscita il comportamento dell’uomo che attacca la donna in quanto donnalibera, con la complicità di tutto il mondo intorno.

Ma ovviamente non esiste un’unica metodologia.

Ci sono ancora prima del metodo tanti linguaggi che provengono da esperienze e competenzemultidisciplinari. La metodologia dell’accoglienza “da donna a donna”, che sopra ho richiamato, èun’esperienza molto forte che ha prodotto risultati enormi e messo in campo la forza della relazionetra donne.

Agli uomini manca ancora il linguaggio, autentico e specifico, per elaborare una metodologia utileall’approfondimento del confronto con il genere femminile. Cominciando dai mass-media cheveicolano molti comportamenti di tutti noi, fino alle nostre relazioni più intime di scambio vero,profondo e affettuoso non abbiamo ancora trovato, a mio parere, una capacità di “confronto nudo”.Questo per me vuol dire la possibilità di stare vicini, di muovere il proprio corpo, di usare losguardo, il tutto ancora prima della parola, con lealtà, rispetto e riconoscimento dell’importanzadell’altro. A questo deve affiancarsi ovviamente la capacità di relazionarsi anche con le parole (chepure “non bastano” come abbiamo detto), cui fare seguire atti pratici che diano conferma delleproprie affermazioni.

Mi spiego: in tutti questi anni in ogni confronto e dibattito pubblico, compreso il nostro “tavolovero”, abbiamo sentito e scambiato parole importanti, con riflessioni molto profonde. Abbiamoanche colto che questo non basta e che quello che conta alla fine sono i comportamenti nell’ambitodelle relazioni quotidiane, la capacità di tradurre in atti le proprie affermazioni e di essere in questomodo coerenti. Non è sufficiente riconoscersi uomini capaci di usare violenza contro le donne e poimagari nel quotidiano usare, anche in modo superficiale e poco attento, l’ancestrale capacità delledonne di essere sul piano pratico produttive di un servizievole accudimento. Capisco che stoscivolando su un discorso difficile e ambivalente, ma voglio ugualmente citare il fatto che le troppedichiarazioni e impegni su un antiviolenza che sta diventando sempre più di carattere commerciale edi lavoro professionale, non corrisponde all’impegno necessario per cercare di estirpare veramentele radici della possibilità che la relazione tra un uomo e una donna divenga perversa.

Cito Sandra Filippini, che ci ha lasciate troppo presto, e che nel suo bellissimo libro “Relazioniperverse” (ed. Franco Angeli, 2005) ha analizzato il rapporto tra narcisismo e perversione mettendoin luce come una serie di tratti del narcisista tra cui: il senso grandioso di importanza; le fantasie diillimitato successo; il potere; il fascino; la convinzione di essere speciale e unico; la mancanza diempatia siano tratti tipici di uomini che maltrattano. Sandra Filippini aggiunge che l’uomonarcisista si può identificare non solo negli aggettivi prima elencati, ci dice che esiste un uomoschivo, silenziosamente grandioso, ipersensibile alla critica e al rifiuto che pure ritroviamo moltospesso nella tipologia del maltrattante. Sempre Filippini ci segnala un’altra peculiarità di questapersonalità narcisista che è quella della mancanza di senso di colpa, quindi la mancanza di pensaredi avere compiuto qualcosa di sbagliato, così come (rifacendosi agli studi di Hirigoyen “Molestiemorali. La violenza perversa nella famiglia nel lavoro”, 1998) mette in evidenza come ilperverso/maltrattante possa “proferire una minaccia con un tono di voce neutro e il voltoimpassibile, così come può, al contrario, esprimere un contenuto leggero o indifferente con

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un’espressione che incute timore. L’importante è disorientare l’altro, tenerlo costantemente sottoscacco. La comunicazione non comunica, non realizza uno scambio, non produce nulla: salvo lasvalutazione, la manipolazione, il controllo”.

Ho sottolineato la felicissima frase di Sandra della comunicazione che non comunica in quanto noncapace di realizzare uno scambio. E’ da questa difficoltà che penso si debba partire, anche tra di noi,per non risponderci come direbbe l’uomo maltrattante: “Che cosa c’è da dire?”

C’è da dire, c’è da fare e c’è sicuramente da cercare la coerenza.

La menzogna, il sarcasmo, la divisione, il disprezzo sono le armi che l’uomo maltrattante usa persqualificare soggiogare la vittima, creando un’atmosfera viziata nella quale si avverte che per laverità non c’è posto, perché verrebbe derisa. Lo scambio in questo modo scivola su un registroinsincero, dove possono trovare posto solo cattiverie e calunnie.

Il nostro scambio deve essere cosciente di tutto questo, tenere sempre presente la possibilità che cipossano essere deviazioni, ma, soprattutto, non può vivere, come dicevo all’inizio, delle sole paroledelle donne, ha bisogno di un linguaggio autentico maschile tutto da inventare.

In questo contesto l’intervento sugli autori del maltrattamento può essere utile se esce dagli schemidella relazione professionista/patologico, che è quello che si sta affermando in ogni Nazione con laconvinzione che questo tipo di relazione di carattere “sanitario” possa essere utile anche alle donnein quanto interessate a mantenere un rapporto con l’uomo che le ha maltrattate. Ovvero in quantomadri di figli comuni, oppure ancora necessitate dall’essere veramente liberate da un pericolopubblico, poiché questo tipo di intervento si prefigge di combattere la recidiva.

Dopo avere conosciuto direttamente molte dinamiche della relazione di aggressione violentadell’uomo sulla donna, ritengo che senza una profonda riflessione di tutti, in particolare degliuomini che devono mettersi in discussione e devono affrontare tra di loro un problema che è loro,con il possibile continuo confronto e di intervento delle donne (non nel ruolo di vestali accudenti,capaci di ascolto, capaci anche di comprensione e di perdono, ancor meno nel ruolo di terapeute)non si possa veramente fermare la violenza maschile.

Introduzione di Marco Deriu per Maschile Plurale

In questo intervento introduttivo vorrei offrire qualche stimolo alla riflessione su tre aspetti:

1) il significato più ampio di un lavoro di donne e uomini sulla violenza maschile

2) le diverse possibilità di intervento e il ruolo della dimensione psicologica e clinica

3) rischi e problematiche (anche a partire dalla nostra esperienza) degli interventi degli uomini e con gli uomini.

1. Sono maturati i tempi per un confronto e un impegno comune? Il coinvolgimento degli uomini in una prospettiva più ampia

Molti di noi vengono da anni di esperienze concrete di scambio, condivisioni e collaborazioni conCentri Antiviolenza, Case delle donne e Associazioni femministe. A Milano abbiamo avuto unpercorso durato diversi anni tra alcune amiche della Casa delle donne maltrattate di Milano e alcuniuomini di Maschile Plurale. Si è trattato di uno scambio profondo e produttivo perché siamo riuscitia spogliarci e a parlare della violenza in maniera più personale mettendo in gioco anche noi stessi ele nostre esperienze. È stato uno scambio che ha avuto anche momenti di conflitto e di pausa, mache a mio avviso ha sperimentato la modalità più interessante, che ritengo ancora un'occasione viva.Questa è stata l'esperienza più strutturata per me, ma altre persone di Maschile Plurale hanno avuto

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esperienze significative di collaborazione e condivisione in altre città. Anche diversi gruppi o centriche lavorano con gli uomini stanno sperimentando forme di collaborazione con realtà delle donne.Quindi mi pare che nella pratica è un momento di sperimentazione e maturazione di questoscambio.

Cosa significa questo scambio? Questa collaborazione? Che cosa apportano gli uomini in questolavoro comune di contrasto alla violenza maschile sulle donne?

A me pare che portino in primo luogo un contributo nella comprensione della violenza comequestione maschile. La presenza e l'impegno degli uomini aiuta a non banalizzare la violenzamaschile, ovvero non naturalizzarla o non darne interpretazioni facili o monocausali. Questosignifica riconoscere molteplici determinanti, molteplici elementi, e anche evidenziare le evoluzionistoriche e le trasformazioni di questa violenza. Allo stesso modo possono aiutare a vedere lerelazioni uomo-donna in una prospettiva storica profonda che attraversa secoli e millenni di storia.

In secondo luogo la presenza degli uomini contribuisce a osservare, riconoscere e nominare unapluralità interna al maschile e agli stessi uomini. Pluralità significa confronto, significa conflitto,significa possibile trasformazione, individuale e collettiva. Il riconoscimento di questa pluralità amio avviso è anche un pezzo del percorso di liberazione delle donne. Significa non percepire l'interaumanità maschile come un tutt'uno, o ogni uomo come una minaccia. Il rischio infatti di rimanereschiacciate da un'immagine devastante e ingombrante di un maschile abusante è uno dei portati piùprofondi e traumatici della violenza. D'altra parte acquisire e liberare un'immagine interioredell'umanità maschile, come qualcosa di plurale, differenziato e conflittuale, rappresenta unpassaggio importante nel percorso di liberazione dalla violenza.

In terzo luogo questo coinvolgimento degli uomini rappresenta un possibile arricchimento perchétestimonia la rilevanza di un'esperienza e di un sapere maschile nei confronti della violenza. Intendonaturalmente un sapere consapevole e riflessivo. E con questo il riconoscimento di un accessoprivilegiato degli uomini al mondo maschile, il riconoscimento del ruolo positivo che possonoassumere esempi o testimonianze di maschilità differenti impegnate nella costruzione di unapossibilità di relazione differente tra uomini e donne, non solo per le donne ma anche per gli stessiuomini. Questo terzo aspetto nelle sue varie dimensioni è per noi il più interessante e anche il piùdifficile e rischioso. Sulle difficoltà e sui rischi tornerò fra poco.

2) Il rapporto tra queste iniziative di taglio psicologico o terapeutico rivolte a singoli individuie il lavoro più culturale di prevenzione della violenza maschile? Le diverse dimensioni dellavoro con gli uomini.

A mio avviso dobbiamo considerare tutte le diverse dimensioni del lavoro con gli uomini: il lavoroculturale, quello sociale e politico, quello individuale e psicologico. Dobbiamo lavorarecontemporaneamente sulla persona, sui contesti sociali e sugli immaginari collettivi.

A volte si contrappone l'approccio psicologico a quello culturale. A mio avviso questacontrapposizione tra approcci psicologici e approcci culturali è essa stessa frutto di un modello disapere maschile o patriarcale. Intendo un modello di cultura che separa la mente dal corpo, laragione dai sentimenti, il conscio dall'inconscio, la persona dalle sue relazioni sociali. C'è dunqueun rischio profondo di usare strumenti di cambiamento che fanno parte di un bagaglio esso stessoproblematico e di incorrere continuamente in cortocircuiti ed empasse.

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Per me è del tutto scontato che la problematica della violenza maschile sulle donne si componga diaspetti culturali, sociali, psicologici, biografici, e che questi siano profondamente eirrimediabilmente intrecciati tra loro.

Chi pensa di poter affrontare la questione della violenza maschile sulle donne rinunciando a uno diquesti aspetti non ha realmente idea della complessità e della profondità del problema.

Non ha idea di quanto le forme culturali (linguaggi, rappresentazioni, dispositivi simbolici, modellidi comportamento) organizzino e ordinino le dimensioni cognitive, psicologiche e affettive(virilità/impotenza, passivo/attivo, preda/cacciatore, puro/impuro, onore/disonore).

Non ha idea di quanto emozioni, paure, angosce, desideri possano concorrere profondamente aplasmare modelli culturali. Pensate solo - per fare un esempio - al timore, all'invidia o al senso diinadeguatezza che la potenza riproduttiva della donna ha sempre suscitato nell'uomo (non a casoaumenta la violenza durante la gravidanza, non a caso il controllo della riproduzione femminile èsempre stato e continua ad essere uno degli spazi del dominio maschile a livello interpersonale esociale), e a come intere strutture sociali e simboliche siano frutto di un tentativo di nascondere eriequilibrare questa asimmetria.

Non ha idea di quanto la violenza si strutturi non solo nelle relazioni interpersonali o non solo per lavolontarietà di specifici individui, ma anche attraverso forme e modelli cristallizzati e incorporatinelle strutture sociali, politiche ed economiche (la scienza, la medicina, il lavoro, il sapereistituzionalizzato).

Non ha idea di quanto, desideri, comportamenti, forme relazionali siano risposte ad attese dispecifici contesti sociali. E di quanto conti in tutto questo - nel bene e nel male - la dimensioneeducativa sia nel contesto famigliare che in quello scolastico o universitario.

Insomma non ha idea della circolarità che si dispiega tutte queste dimensioni.

Dunque, potremmo chiederci qual è lo spazio della soggettività, della libertà, del cambiamentoconsapevole? Ho l'impressione che questo spazio sia connesso alla comprensione e non allarimozione delle trame complesse nelle quali siamo immersi.

Il fatto è che le nostre stesse competenze e conoscenze sono scisse.

Per nostra stessa formazione siamo incompleti e inadeguati. E mentre lavoriamo con gli altridobbiamo in qualche modo ricomporre noi stessi e rivedere i nostri stessi approcci e strumenti.

Abbiamo bisogno di pluralità di approcci e allo stesso tempo di collaborazioni e contaminazioni traapprocci differenti. Abbiamo bisogno di competenze, abilità, strumenti culturali, relazionali,psicologici, sociologici, pedagogici, artistici e comunicativi.

Dunque non ha senso contrapporre dimensioni psicologiche, culturali e sociali. Il punto è semmai seavere e coltivare una più ampia consapevolezza politica o sociale nell'approccio al lavoro con gliuomini. Questo non vuol dire avere un approccio ideologico o dottrinario nel proprio intervento.Significa invece essere consapevoli che i propri schemi e rappresentazioni di cosa siano l'uomo, ladonna, le relazioni, le unioni o le famiglie risentono inevitabilmente di un contesto e devono essereoggetto di riflessione critica. Significa riconoscere che il cambiamento in questo campo non si giocasolo a livello individuale o interpersonale, ma a livello di mutamento di immaginari, di aspettativesociali, di desideri collettivi. Significa infine che quello che si impara e si comprende nella propria

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attività terapeutica, di counseling o formativa deve essere condiviso e socializzato e contribuire adaccrescere la consapevolezza e la capacità di intervento di tutta una comunità.

In questo caso il lavoro con la singola persona non è distaccato da uno sguardo e una prospettiva piùampia. Si aiuta una persona ad affrontare alcune questioni o difficoltà, ma si porta un contributoanche per modificare quegli aspetti educativi, culturali e sociali che predispongono le persone ad uncerto tipo di comportamenti.

In questo caso per me la questione è quanto questi centri per uomini autori di violenza riescono aradicarsi in un territorio, a costruire legami e collaborazioni, confrontandosi e imparandodall'esperienza dei centri antiviolenza, case delle donne, associazioni femminili, ma ancheamministrazioni, cittadini/e ecc… L'accompagnamento al cambiamento può essere dunquestimolato e incoraggiato a livello individuale da questi centri e programmi con le loro rispettivelinee di lavoro, ma il cambiamento più ampio rimane in gran parte nelle mani della comunità nelsuo complesso.

Idealmente questi centri dovrebbero trasferire competenze, conoscenze e acquisizioni allapopolazione locale, ed in particolare agli uomini. Ci dev'essere un'assunzione di responsabilità e unacapacità di intervento che deve riguardare l'intero corpo della comunità.

A questo proposito pongo uno spunto di riflessione. Riusciamo, è possibile, o è difficile - edeventualmente per quale motivo - costruire relazioni, ponti e collaborazioni tra personale dei centrie attività culturali, sociali, educative e politiche (non in senso partitico-elettorale) che vadano nelladirezione di un'integrazione complessa e non un semplice affiancamento?

3) Rischi e problematiche (anche a partire dalla nostra esperienza) degli interventi degli uomini e con gli uomini.

L'ultimo punto che vorrei trattare è quello dei rischi e delle problematiche del lavoro degli uomini econ gli uomini.

A questo proposito prendo spunto da una vicenda che ha riguardato recentemente Maschile Plurale.Una persona della nostra associazione è stata infatti accusata dalla sua ex di aver attuato nei suoiconfronti forme di violenza psicologica. Non è il luogo e il momento per entrare nel merito diquesta storia, ma ci tengo a dirvi quanto ha modificato e segnato lo scambio, i rapporti e lariflessione tra di noi.

Quello su cui vorrei dire qualcosa non è il fatto in sé, ma osservare la nostra capacità di riflettere ediscutere come uomini e tra uomini perché dalle difficoltà e dalle acquisizioni che sono emersecredo ci possano essere indicazioni stimolanti per la nostra discussione.

Al di là dello stupore iniziale, è stato interessante vedere la difficoltà che noi uomini incontriamoquando la violenza viene nominata nelle nostre relazioni, quando ci troviamo a confrontarci non consconosciuti, ma con persone vicine a noi, con cui condividiamo molte cose.

Ho visto per esempio la difficoltà a riconoscere e ad accettare la diversità di vissuti. Il fatto che cisiano vissuti e racconti molto diversi della stessa vicenda, delle stesse situazioni. Questo nondipende semplicemente da diverse sensibilità, ma dalla storica asimmetria di posizioni di potere trauomini e donne in questo genere di situazioni. In queste situazioni c'è sempre questo diverso vissutoe da li - ovvero dal rimando della persona che ha patito su di sé la violenza - si deve partire. In

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questi casi emerge infatti la difficoltà a farsi attraversare dallo sguardo altrui e dall'immagineproblematica e negativa che l'altra persona ci rimanda.

Più in generale ho visto che la nominazione della violenza crea facilmente una logica di"contaminazione" sia negli altri che in noi stessi. Questa paura di essere contaminati dalla violenzaspinge verso due possibili forme di distanziamento: da una parte la rimozione di chi pensa che laquestione non lo riguardi, dall'altra le proiezioni di chi emette un giudizio dall'alto senza calarsinella fatica di ascoltare, di confrontarsi, di discutere e confliggere.

Un elemento di cui ritengo dunque che come uomini dovremmo tener conto nel nostro impegno suquesti temi è la facilità con cui è facile ricadere in dinamiche intramaschili. Da questo punto di vistaè fondamentale per chi lavora in questo campo continuare a intessere e coltivare legami e relazionidi scambio tra uomini e donne.

Ho visto infine quanto per noi uomini sia difficile arrivare a dei cambiamenti profondi e radicali cherimettano in gioco le parti più profonde di noi stessi. Anche per coloro tra noi che sono piùimpegnati in una percorso di riflessione sul maschile e sulle relazioni uomo-donna.

Occorre sempre ricordare che in questo tipo di impegno occorre una doppia apertura. Da una parteuna consapevolezza di genere, ovvero l'appartenere a una storia, a una cultura che influenza estruttura le relazioni tra uomini e donne e i nostri stessi schemi di pensiero e di comportamento.Dall'altra una consapevolezza riflessiva, ovvero una disponibilità a riflettere su se stessi e a mettersiin gioco con le proprie fatiche, ambivalenze o contraddizioni.

Infine credo sia importante sottolineare che ho sentito e patito molto anche la pervasività deipregiudizi e in generale la mancanza di fiducia e di ascolto verso la riflessione ed il contributo dipensiero e interrogazione che alcuni di noi hanno cercato di portare. Come se uno sforzo diriflessione da parte maschile non potesse essere che viziato o manchevole.

Da questo punto di vista credo che ci sia ancora molta strada da fare prima che sia riconosciutacome autorevole anche un'esperienza e una presa di parola maschile sulla violenza contro le donne.

DIBATTITO

Introduzione e Sintesi degli interventi

La giornata del 4 ottobre ha rappresentato un momento significativo nel lungo percorso di incontrie confronti, con convergenze e divergenze, tra coloro - donne e uomini- che sono impegnati nelcontrasto alla violenza di genere. D'altra parte l'interesse per l'iniziativa è attestato dalle numeroserichieste di partecipazioni (più di 200 iscrizioni), dal numero elevato di partecipanti così come degliinterventi i cui i tempi, proprio in ragione di ciò, salvo le tre note introduttive, sono stati limitati acinque minuti.

Varie e diversificate le posizioni emerse nel corso del dibattito che qui vengono sintetizzatecercando di ricondurre gli interventi ai quesiti posti alla base del work shop e già presenti nel testodell’invito. Uno degli obiettivi era infatti quello di passare dalla informazione sulle diverseesperienze in corso in Italia ad un approccio mirato ad una più approfondita conoscenza econfronto. Questo con lo scopo di affrontare i nodi che la nuova e più recente presenza dei Centri

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che si rivolgono agli autori di violenza di fatto pongono, in particolare a chi da oltre un ventennioopera caparbiamente per contrastare la violenza di genere. In primis i Centri Antiviolenza che sullabase dell'esperienza e dei saperi maturati si interrogano e interrogano criticamente i Centri perautori (e tutte noi che ci interessiamo alla tematica) in ragione della necessità di ricercare nuoviequilibri nella lotta alla violenza di genere e nella costruzione delle reti territoriali.

Le sintesi degli interventi sono qui riportate non per ordine cronologico bensì a partire dalledomande poste a base del seminario e affrontate anche nelle introduzioni di LeNove, D.i.Re,Maschile Plurale.

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1 - Sono maturi i tempi per un confronto e un impegno pubblico comune di uomini e donne in

quest'ambito? L'apporto attivo degli uomini può dare un contributo importante o decisivo? Siamo

in grado di investire nelle relazioni e di scambiarci fruttuosamente esperienze e riflessioni e

progettare insieme iniziative e percorsi per un salto in avanti nell'impegno nella costruzione di

un'altra civiltà tra uomini e donne? Oppure, quali sono gli ostacoli che trattengono da questo

scatto politico e culturale?

Il primo quesito posto ci porta subito all’interno del dibattito, affrontando fin dall’inizio il tema delconfronto fra donne e uomini posto al centro del convegno. Numerosi gli interventi provenientidalle/i partecipante/i che offrono una lettura al quesito posto, arricchendo il tema con spuntisignificativi, presi dalla esperienza personale.

Roberto Poggi , Associazione “Cerchio degli uomini” - Torino

…Noi siamo nati come gruppo di uomini nel '99, partendo da quello che ci hanno insegnato lefemministe. Siamo partiti da noi, siamo dei counselor . Da qui siamo andati a vedere le nostreviolenze e siamo partiti da lì. Noi non pensiamo che tutti i centri per autori possano avere lapossibilità di portare avanti un lavoro continuato nel tempo. E' importante che siano uomini che siconfrontano tra loro.

Il discorso della separatezza che noi abbiamo fatto all'inizio poi ci porta alla necessità delconfronto e del dialogo. Di creare relazioni. Noi quindi alla prima domanda posta a base delladiscussione di oggi, se sono maturi i tempi per un dialogo, rispondiamo: in alcuni casi sì, in altrino. Se io ho fatto un percorso su di me in tutte le maniere, ed è culturale, questo si radica in sé.

Quello che preoccupa sono le metodologie seguite all’interno dei centri

Alberto Leiss, giornalista

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…Faccio parte di MP e il mio mestiere è quello di giornalista, non ho esperienze dirette ma miinteressano soprattutto gli interventi dove ci sono una donna e un uomo: di questo esperimento dilavoro con uomini che volontariamente entrano in un gruppo mi è piaciuto il fatto che ci sia unadonna che lavora anche con competenze tecniche oltre che essere donna, mentre l'uomo non ècompetente di qualcosa ma si mette in gioco come tale. Mi sembra interessante che in unaesperienza anche istituzionale (Solidea) ci sia un uomo che si mette in gioco.

Il titolo di questo convegno è giusto: bisogna reagire all'emergenzialismo, ma su questo terminebisogna riflettere. Se emerge qualcosa, è importante e quindi il fenomeno non è più tollerabilecome prima. E' importante per esempio che un giornale come il Corriere dia spazio a queste coseanche se talvolta malamente.

Alcuni di noi cercano di portare avanti relazioni politiche tra uomini e donne. E' un lavorodifficilissimo che registra anche delle empasse. Ripartire dalla violenza forse potrebbe aiutarciperché affronta il più radicale dei temi da cui costruire una relazione politica diversa.

Io sono interessato a vedere i legami tra la violenza individuale e la violenza che attraversa lasocietà, anche questa agita quasi sempre da uomini. Questa battaglia che riconduce alla radicesessuata nelle espressione delle violenza può forse aiutarci a portare avanti queste relazionipolitiche…

Alessandra Campani – Centro Antiviolenza “Nondasola”, Reggio Emilia

È un dibattito importantissimo, ma ho la preoccupazione e la paura che si stabilisca unacontrapposizione che non fa bene a questo dialogo. Sono dell’Associazione Nondasola che gestisceil Centro Antiviolenza a Reggio Emilia. Per me è importante tenere distinto e dividere i due piani.Il piano del dialogo col maschile che va al di là della “gestione” degli uomini che agisconoviolenza e maltrattamenti, perché nel confronto è possibile che escano episodi, storie, opinioniposizioni che possono arricchire anche il lavoro delle donne con le donne vittime di violenza. Ilpunto di vista maschile ci deve interrogare.

Questo piano per me è diverso dal piano di servizi che si stanno pensando e costruendo in giro perl’Italia. Per me questi luoghi sono punti della rete come altri (servizi socio sanitari, forzedell’ordine…). Io credo che non siamo pronte a mescolare questi due piani rischiando di farpagare alle donne i nostri bisogni di maggior chiarezza. Ben venga il dialogo col maschile delresto tante di noi lavorano da anni nell’ambito della prevenzione con ragazzi e ragazze. Mistupiscono alcune testimonianze, che ho sentito da parte di qualcuna, che evidenziano passaggimolto rapidi, più in un’ottica professionale che di pratica di relazione tra donne, dai centriantiviolenza ai centri per uomini maltrattanti.

Olivier Malcor, Pangea, Maschile Plurale.

Ho fatto autocoscienza grazie a MP e mi sono reso conto di quanta violenza avevo accumulato eche dovevo mettermi in gioco.

Mi stupisce che si possa pensare che ai convegni di MP non vadano uomini che agiscono violenza:ma siamo uomini e quindi so che la mia violenza parte dai piccoli gesti.

Qui col teatro dell'oppresso facciamo uno spettacolo su di noi.

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Con Be Free abbiamo mollato perché c'era tutto contro, invece forse è il momento di andare dovegli uomini vogliono parlare di violenza. Io non so chi vuole curare, io voglio condividere. Icuratori vengano agli spettacoli.

I problemi che incontriamo come uomini o come donne sono molti ma sappiamo entrambi se unadonna viene in maniera strumentale o se un uomo viene in maniera strumentale. Poi possoscegliere se continuare il percorso oppure no.

Danila de Angelis, Roma

Ci saranno in Italia degli incontri in cui si porta a conoscenza dell'esistenza di societàsopravvissute alla globalizzazione patriarcale. Società in vita dove l'economia è incentrata sulparadigma della cura. I beni sono comuni e la sessualità è svincolata da qualsiasi dipendenzaeconomica o dai dispositivi della cura o sociale.

Dico questo perché è importante da lì emerge che la violenza maschile non è innata, che non c'èquesto istinto.

La cosa importante per me è cercare di non scivolare sul piano del disagio psicologico. E' lasocietà patriarcale che veicola quei "valori" che veicola la violenza.

Aurora Morelli, psicoterapeuta

Ho lavorato molto sul disagio infantile attraverso il dialogo con i genitori. Io credo che Deriu ci hainvitato ad affrontare la realtà in un modo che elimini una delle piaghe di questa crisi culturale checi circonda che è il riduzionismo. Ci diceva che l'uomo ha bisogno di senso. Vi invito a vedere unfilm uscito a Venezia (I nostri ragazzi) da cui viene fuori che i due adolescenti protagonistidiventano due veri mostri dentro una famiglia agiata e dove i genitori non hanno mai letto quantoaccadeva nei loro figli/e che finiscono con l'uccidere una “homeless”. Noi dobbiamo ricordare chenella nostra specie è antropologica, quindi se noi ..se pensiamo al bullismo è una violenzatrasversale ...

I media oggi escludono dai loro commenti la responsabilità della scuola che non educaemotivamente. Nessuno da la responsabilità alla famiglia. Ma dobbiamo ricordare che l'ordine delmondo si forma sull'uscio di casa, quindi dobbiamo ricominciare a ripercorrere il ruolo dellefamiglie a cui è stato tolto il tempo per l'educazione emotiva dei loro figli. Una società dove non c'ècultura dell'infanzia genera violenza. Quindi per me la collaborazione tra uomini e donne ènecessaria e fondamentale.

Alessandra Pauncz, Centro Ascolto uomini Maltrattanti(CAM) - Firenze

Intervengo in fondo perché ho percepito diverse difficoltà. Da una parte l'invito a dare una rispostaad alcune domande (quelle del seminario) e potrei entrare più nel merito, dall'altra lepreoccupazioni che sento emergere dalle colleghe rispetto a temi importanti.

Le preoccupazioni dei Centri antiviolenza sono molto importanti e mi piacerebbe poter risponderee argomentare. Quindi il rischio è che in 5 minuti non posso spiegare come interveniamo, moltenon sanno che lavoriamo all'interno di un contesto europeo che legge la violenza di genere chepone priorità nei confronti della vittima. Non tutti i programmi per autori sono uguali.

Io imploro da 5 anni un incontro con Dire, così come l'incontro con i Centri Antiviolenza perché cisono questioni fondamentali che solo loro possono rappresentare compiutamente.

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Quindi sono molto contenta finalmente di parlare delle paure, ma sono insieme molto in difficoltàperché non si è davvero parlato delle paure. Posso avere il timore che il contatto partner possainterrompere un suo percorso responsabilizzarla troppo, ecc. Tutti timori fondati e su cui abbiamoriflettuto. Oggi abbiamo bisogno di uno spazio dove poter raccontare e ascoltare. Queste pauresono le mie per prima. E ogni giorno che perdiamo per confrontarci rischiamo di dare spazio ainterventi che magari ci piaceranno molto di meno. Questi tipi di interventi non sono cosapasseggera quindi dobbiamo impegnarci e attraversare questa strada difficile anche di differenze.Io non credo che quando avrò spiegato quali sono le nostre riflessioni poi siate d’accordo con me.Cerco di potermi confrontare su alcune cose per spiegare come funzionano certi programmi diintervento, capire le differenze e fare scelte consapevoli rispetto a quelli che sono i percorsi delledonne che vengono seguite

* * *

2- Da che tipo di percorso nascono i nuovi Centri per gli autori di violenza? Questo moltiplicarsi

di iniziative rivolte ad uomini è il frutto di una maturazione culturale e politica o è semplicemente

una moda, che nasconde problemi e contraddizioni? Che tipo di competenze e risorse culturali,

professionali e umane si stanno mettendo in campo?

Molti gli interventi che hanno cercato di fornire una risposta a questo quesito, facendo riferimentosoprattutto alla propria esperienza. Sappiamo dall’indagine svolta sulla realtà dei Centri per gliuomini quanto siano diversificate le situazioni che hanno portato alla realizzazione di questi primiinterventi. Nel corso del Seminario sono stati messi in luce, innanzitutto, i percorsi di coloro chehanno avvertito l’esigenza di prendersi cura degli uomini maltrattanti a partire spesso dal lavorosvolto all’interno dei Centri antiviolenza, o in servizi rivolti a donne maltrattate .

Carla Centioni, Associazione “Ponte Donna”- Roma

Colgo l'invito a metterci un po' a nudo. Mi occupo di questi temi da 20 anni. Il tema degli interventicon gli uomini non mi toccava. Parto dal lavoro che facciamo nel nostro Centro Antiviolenza dovela priorità assoluta era per le donne. Interrogandoci sul chi è la donna in difficoltà ci siamoaccorte che anche le donne in difficoltà sono attraversate dalla violenza. Inoltre sentendo anche ibambini ci siamo accorte che anche loro ci portavano delle questioni. Ci siamo accorte che noi nonpotevamo non fare i conti con queste. E quindi abbiamo pensato che forse poteva essere utile fareentrare un operatore uomo che si fa chiamare operatrice uomo. E questo operatore/trice hacominciato a lavorare con i bambini. Per me è stata un'esperienza forte far posto ad un uomo. Dalì l'idea di inserire nel servizio gli incontri protetti e qui un nuovo e forte incontro con gli uominimaltrattanti. Queste esperienze ci hanno portato a porci il problema con gli uomini.

Non ce la siamo andata a cercare, ci siamo trovate di fronte ad un problema che si è posto davantia noi che non possiamo evitare…

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L’esigenza quindi di trovare un luogo di lettura del disagio maschile nasce dall’operativitàquotidiana. E’ insieme un lavoro di presa di coscienza politica e culturale.

Desireè Olianas, Associazione “Nuovo Maschile” - Pisa.

Ho iniziato ad occuparmi di queste cose perché sono arrivata ad un Centro Antiviolenza comeutente. Ora lavoro in un Centro che si occupa di uomini. … Il rapporto tra uomini e donne èmolto importante per cambiare. E' importante una cooperazione tra Donne e Uomini che non puòessere giustificazione.

Mi ritrovo in un'ottica multidimensionale: culturale, psicologica, ecc.

Il desiderio di cambiamento arriva dalla parte oppressa. In quella che opprime è più difficile.Sappiamo che la violenza attorno a noi è legata a fattori culturali millenari. Ma crediamo che itempi siano pronti per fare qualcosa di diverso. Siamo partiti dalla volontà di lavorare con gliuomini. Portiamo avanti sia un lavoro culturale sia dando spazio a delle persone che hannodesiderio di affrontare le loro problematiche. Un approccio complesso tra dimensioni psicologichee culturali, non per giustificare.

L’esigenza di occuparsi dell’altra dimensione della violenza o meglio dell’altro soggettorappresentato dagli uomini, è il risultato di una riflessione di natura politica e culturale. Uomini cheinsieme a donne con competenza e professionalità si interrogano sul loro essere protagonisti eportatori di una cultura, minata alle sue radici . È pertanto dalla dimensione culturale e politica chebisogna ripartire per affrontare la questione maschile.

Pur condividendo, spesso, l’urgenza di affrontare anche la questione maschile molti sono i timoriche affiorano da chi da lungo tempo si occupa della parte lesa, delle donne.

Mara Cortimiglia, Associazione “Le Onde – Onlus” - Palermo.

…Temi che portano le donne: “Lui mi fa paura”, “Lui dovrebbe essere aiutato”. Il fatto chenascano delle professionalità ovviamente coerenti con il lavoro dei centri antiviolenza, è unapossibilità. Certo il rischio è far nascere dei centri per la moda, distanti dall’esperienza dei centri.

Ci preoccupa che questo possa diventare una cosa di moda e il fatto che possano amplificare iconflitti tra i servizi in rete.

Da quello che so sono pochissimi gli uomini che hanno portato il percorso alla fine e sonosoprattutto quelli che hanno molto da perdere. Questo ci deve far interrogare sulle relazioni trauomini e donne.

Tra le preoccupazioni è evidente quella della distanza con le metodologie e gli approcci seguiti daiCentri antiviolenza, che troviamo declinati anche nella scelta di contattare o meno le compagnedegli uomini maltrattanti.

Affiora inoltre il timore che all’interno dei Centri possano non essere presenti professionalitàabilitate a farsi carico dei maltrattanti e che la nascita di tali strutture risponda in certi casi più ad

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una pressione emergenziale che ad una reale scelta di portare un ulteriore contributo al contrastoalla violenza sulle donne.

* * *

3- Come si muovono, con che consapevolezza, e che idea di lavoro e di cambiamento gli uomini e

le donne attive in queste esperienze? I Centri Antiviolenza e i Centri rivolti agli uomini sono

soggetti che muovono nella stessa direzione, e che quindi possono collaborare e sostenersi

reciprocamente (come mostrano le esperienze di altri paesi) oppure sottintendono letture,

sensibilità e obiettivi differenti nel contrasto alla violenza?

Risposte ai dubbi rimasti aperti nel precedente quesito sono state fornite da altri interventi.Collaborazione e condivisione di intenti sono gli elementi che caratterizzano, in taluni casi, irapporti tra i Centri Antiviolenza ed i Centri nati per accogliere il disagio maschile.

Monica Dotti, centro “ Liberiamoci Dalla Violenza”, Ausl - Modena

Da diverso tempo era iniziato un rapporto di collaborazione con il Centro Antiviolenza di Modena.Abbiamo visto l’utilità di mettere insieme questa esperienza. I tempi erano maturi per iniziarequesta sperimentazione. Abbiamo scelto il centro ATV come modello di riferimento. Il nostroobiettivo primo è tutelare le donne. E sappiamo che la responsabilità della violenza è maschile.Questo centro porta a far sì che ci siano in giro meno uomini violenti. Ci sono tre colloqui divalutazione per decidere un percorso individuale e di gruppo. La scelta è individuale e su basevolontaria. Gli uomini sono arrivati. Abbiamo avuto circa una novantina di persone. Circa 25hanno concluso il percorso.

La possibilità di collaborazione e dialogo può nascere dalla comune consapevolezza che la violenzaagita è violenza di genere, risponde alle esigenze di un preciso contesto sociale e culturale distabilire a priori ruoli e gerarchie. Siamo di fronte a una cultura patriarcale che seppur sconfitta edelegittimata, permane nelle relazione di intimità e fatica a perdere il suo significato anche sul pianosociale e della comunicazione.

Anna Baldry, psicologa - Roma

…Esperienza con Solidea, e mi interessa parlare del ruolo che possono avere le donne in questiinterventi. Io penso che l'unico approccio è quello che parla della violenza in un ottica di genere.Non dovremmo per questo tirarci fuori. Il rischio, altrimenti, è quello di psicologizzarla e perderequel che devono comprendere gli uomini violenti (ogni uomo avrà qualche problema, ma ..).

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Nel lavoro con gli uomini credo che quello che può essere utile per i centri è di rafforzarmi nellavoro che io faccio con le donne (ma sono due cose distinte e indipendentemente dal lavoroeventualmente con gli uomini)…

Tra l’altro le attività svolte in collaborazione con i Centri Antiviolenza sono utili per acquisireprofessionalità permettendo un “trasferimento” dei saperi posseduti dai Centri e costruiti in unpercorso ventennale, ma offrono anche l’opportunità di operare all’interno delle reti territoriali deiservizi.

Domenico Matarozzo, Associazione “Cerchio degli uomini” - Torino

…Noi nasciamo sull'onda del femminismo. E' da qui che siamo partiti in rete: quindi collaborandocon tanti soggetti. Per noi questo è metodo e contenuti. Dopo cinque anni abbiamo deciso dimettere su questo centro di ascolto per il disagio. E riconfermiamo questa scelta senza giustificareniente. La nostra storia parla per noi.

Per noi questo modello è il nostro riferimento culturale. E' questo il nostro obiettivo. Noi siamoospiti del Centro Antiviolenza della città di Torino e questo ci aiuta a stare in rete e collaborarecon i Centri Antiviolenza in sedi separate…

La condivisione di metodi e finalità non sempre si realizza anche se sarebbe quanto mai auspicabile.Ci sono realtà mature, con esperienze consolidate e percorsi di riflessione approfonditi, dove ilconfronto e la condivisone sono non solo auspicabili ma percorribili; altre invece dove è necessariauna più approfondita riflessione e quindi la possibilità di collaborazione pur non negata è per oraposticipata.

La difficoltà a dialogare, a confrontarsi tra Centro Antiviolenza e Centri per uomini può divenire unostacolo nell’accesso degli uomini ai luoghi che potrebbero prenderli in carico e finisce perselezionare e ridurre solo a specifiche tipologie i maltrattanti che fanno riferimento ai Centri.

Alessia Brunetti, Settore Politiche Sociali - Provincia Bolzano.

...Dovere entrare in contatto con questo progetto è stato difficile. Anche far capire alle operatricil’importanza di questo progetto nel territorio. Questa collaborazione non è sempre ottima. Ci sonodelle difficoltà. Di linguaggio e di collaborazione. Noi finanziamo il progetto per Casa delle Donneprende più di un milione all’anno, e quello per uomini per 39.000 euro. Facciamo fatica araggiungere gli uomini. Attraverso le case delle donne ne arrivano pochissimi. Arrivano dall’Uepee dai Servizi Sociali. Fino ora abbiamo avuto 35 uomini che hanno seguito il percorso e non hannoavuto sconti di pena. Partecipano solo uomini che hanno agito violenza fisica non psicologica.Auspico che da tutte e due le parti ci sia volontà di trovare un incontro e un linguaggio per unlavoro di prevenzione.

L’intervento con gli uomini è visto come un valido strumento per ridurre gli effetti della violenza,per bloccarne la reiterazione e la espansione. Un approccio dunque di tipo preventivo, per

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ostacolare il prodursi e riprodursi di atti violenti. Un intervento prima di tutto politico e culturaleche trova soprattutto nel lavoro con le scuole la sua prima ragione di intervento.

Tania La Tella, Associazione “Donne in genere” - Roma

…(I centri per uomini) sono strumenti di controllo per la riduzione del danno e non per nulla vieneora sposato anche dalle istituzioni ma le istituzioni dicono molte cose. Questo strumento serve acontrollare di più gli autori e questo consente anche di ridurre le spese di investimenti chedovrebbero essere fatti nella prevenzione a partire dalle scuole, dove dovrebbero intervenire donnee uomini. C'è, secondo me, un tentativo di sfruttare questi interventi perché alternativi alladetenzione che costa di più.

Appare una preoccupazione sottintesa da molti ma da alcuni poi espressa: il timore che la sceltadegli uomini di interrogarsi sul proprio vissuto violento copra di fatto solo il desiderio di sfuggire acondanne e a pene, a ingerenze più gravi sul proprio vissuto. E’ qui che entra in gioco in manierapreponderante la professionalità di quanti operano con competenza nei Centri per gli uomini.

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4- Ascoltare e trattare la violenza maschile in centri specializzati e dunque riconoscere un

disagio maschile significa forse psicologizzare, medicalizzare o dare adito ad ulteriori forme di

deresponsabilizzazione per questi uomini? O al contrario è un efficace strumento di

coscientizzazione e di cambiamento personale e sociale?

Il quesito ci porta direttamente dentro le metodiche e gli approcci seguiti all’interno dei Centri peruomini maltrattanti. Il timore è quello di cadere in un quadro culturalmente definito che tende avedere i maltrattanti come vittime di loro stessi e delle loro incontenibili pulsioni, e apre ad unpercorso di deresponsabilizzazione e giustificazionismo purtroppo ancora condiviso in molti ambitisocio-culturali del nostro Paese.

Rita Proto, giornalista - Roma.

Mi sono occupata spesso di tematiche al femminile. Mi sono trovata alla presentazione di un libroche riguardava un femminicidio. Mi è venuto in mente di come si psicologizza il maltrattante. Lopsicologo diceva “non dimenticate che questi sono uomini che hanno ferite narcisisticheprofonde”. Le donne che hanno ferite narcisistiche si deprimono, gli uomini fanno i conti a colpi dicoltello.

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Sono contraria a una psicologizzazione estrema di questi mostri. Soffrono di una forma diincontinenza delle pulsioni. Chi di noi non ha mai sognato di uccidere o fare del male. Gli uominimaltrattanti non sono in grado di mantenere quel pensiero. Non hanno un filtro.

La professionalità e l’importanza dell’esperienza condotta dai Centri antiviolenza di norma sono unantidoto ad interventi deresponsabilizzanti, soprattutto là dove offrono opportunità di condividereanalisi ed approfondimenti.

Amalia Rodontini, collaboratrice Dipartimento di Psicologia - Roma.

La violenza è una scelta. Un punto centrale. Mi hanno chiesto prima ti sei occupata delle donne eora ti occupi degli uomini. Per me il punto centrale è ancora la difesa della donna. Per noi nonsignifica psicologizzare o medicalizzare ma prevenire.

Michele Poli, CAM - Ferrara.

Ci sono diversi livelli: un livello pubblico nel quale esiste il patriarcato ma esiste anche un livelloindividuale dove devo considerare anche le diversità tra uomo e uomo. Dobbiamo considerare tuttie due questi livelli, dobbiamo avere una visione che li comprenda entrambi. Altrimenti si semplificarimandandoci da una visione all'altra.

Oggi mi sono sentito abbastanza solo perché quando lavoro con gli uomini in ogni minuto incontroproblemi grandissimi. Ogni mia scelta di lavoro si porta dietro mondi culturali enormi. Adesempio, un uomo mi si presenta come uomo inetto, incapace, in difficoltà, allora io devo capire sedevo supportare questa parte o se vado ad ascoltare le parole di una donna e mi occupo più di lei.Per cui lo tratto secondo quanto le parole di lei mi dicono. In ogni momento vivo, mi tiro dietrovisioni culturali diversi. Questi momenti sono ineliminabili. In ogni incontro non so cosa accadrà ecome me la caverò.

L'altro aspetto è la responsabilità e quindi capire quanto un uomo è responsabile. Noichiediamo .sempre una liberatoria all'uomo che ci autorizza a contattare la partner perchévogliamo conoscere anche la versione di lei. E se non è andata al Centro Antiviolenza leconsigliamo di rivolgervisi, e comunque cerchiamo di metterla in sicurezza e restiamo in contattocon lei per sapere se corre rischi. Questa è la nostra scelta.

Sulla responsabilità maschile: quanto un uomo autore è responsabile o è vittima di una situazioneper essere cresciuto in un ambiente violento. In ogni momento dovrò saper leggere le sue parolema devo avere ben presente le possibilità culturali di cui si dispone.

A Ferrara lavoriamo in stretto contatto con il Centro Antiviolenza. La stessa progettazione delnostro centro in collaborazione col centro donne e giustizia, facciamo interventi pubblici assieme;andiamo assieme nelle scuole, teniamo i nostri interventi separati e continuiamo questo confronto.

Questo è il punto centrale: dobbiamo individuare luogo dove confrontarci sempre e tenere sempreaperto questo confronto continuando questo lavoro sempre su di noi. Io faccio parte anche diMaschile Plurale, perché ciò che è fondamentale è questo mettersi continuamente in discussione.

I problemi che incontriamo come uomini o come donne sono molti ma sappiamo entrambi se unadonna viene in maniera strumentale o se un uomo viene in maniera strumentale. Poi possoscegliere se continuare il percorso oppure no.

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Chantal Podio, Associazione- Forum “Lou Salomè” - Milano

Sono una donna femminista, lesbica, psichiatra e psicoterapeuta. Qual è la mia storia nel lavorocon gli uomini autori di violenza. Fondamentale il movimento femminista e la mia analisipersonale che non ho vissuto come medicalizzante e psicologizzante. Chi ha fatto analisi sa che nonsi tratta di questo. Apprezzo il richiamo di Manuela alla sincerità. Mi chiedo se siamo in grado dimetterci in discussione e a fare i compiti a casa. Dal movimento delle donne e dalla Libreria delledonne che hanno usato la psicoanalisi. Ho collaborato con la Casa delle donne. La mia esperienzaprincipale. Allora la Casa delle donne aveva invitato VIRES. La mia esperienza è nel carcere congli uomini che hanno ucciso le compagne. Io parlo come donna e anche come psichiatra non possoscindermi. L’esperienza che ho fatto con gli uomini che hanno ucciso le compagne. La professioneserve moltissimo, oltre l’esperienza. Perché non è facile avere l’ascolto di qualcuno senza avere lacapacità di mettere a lato le proprie idee. La professionalità è importante anche se ovviamente nonsufficiente. Questi uomini si erano rivolti a psicologi o altre persone nominando depressioni oaltro. Non c’erano fino a pochi anni fa, centri a cui rivolgersi.

Che cosa è venuto fuori? Che non c’erano stati interventi o che non erano stati adeguati. C’è lacorsa alla commercializzazione? Gli psichiatri li fanno con altri percorsi. C’è semmai la corsa a“non mi compete trattarli”…. Siamo in una logica in cui mettiamo in luce la cosa contraria. Leistituzioni sono ben contente che si spinga sul culturale, per non essere coinvolte. Ma questi uomininon vanno ai convegni di Maschile plurale.

Abbiamo aperto un percorso “uomini non più violenti”. La maggior parte dei percorsi hanno unpercorso profemminista. Come esploro le dinamiche che ho percepito o di cui sono stato autore.

La protezione delle donne. Perché dobbiamo allontanare le donne? Dobbiamo fare un passaggiooltre. Dobbiamo allontanare gli uomini. Tra il dominio e il disagio c’è un nesso. L’allontanamentoaumenta il percorso di rischio. Se faccio un allontanamento ma non c’è un vincolo a un percorsoalziamo il rischio per le donne.

Roberto Poggi, Associazione “Cerchio degli uomini” - Torino

…Noi seguiamo uomini che agiscono violenza da 5 anni. Noi ci siamo chiamati sportello d'ascoltodel disagio maschile e quindi abbiamo parlato da subito di disagio. Ma non per giustificazione. Pernoi voleva dire entrare in quella che è la violenza di tutti i giorni. Il fatto che fossero uomini uscitidai giornali va bene, ma noi volevamo interrogarci sui 5 milioni che non arrivano sui giornali. Equesti portano, quando arrivano, il loro disagio. E' giustificazionista ma è un cuneo che ci permettedi parlare con questi uomini. Quindi prima di tutto smascherare queste cose, parlando con questepersone. Non è psicologizzare ma entrare in contatto relazionale e ciò è fondamentale per ilcambiamento. Noi cerchiamo di dimostrare che il patriarcato non è positivo per loro. Uscire dellaviolenza significa comprendere che si vive meglio. E' proprio il potere che gli fa sentire il disagio.

Quello che preoccupa alcune esponenti dei Centri Antiviolenza è l’immagine che sul territorio sipuò delineare dei Centri rivolti ai perpetrators : che possano essere visti come luoghi “di cura”,riportando il tema della violenza in una ottica che di fatto non risponde alla realtà degli uominiviolenti, se non in un ristrettissimo numero di casi.

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Patrizia Desole, Associazione “Prospettiva Donna” - Olbia

…gli uomini devono ancora interrogarsi e trovare un linguaggio per confrontarsi con le donne.Tanti anni di femminismo, di lotte e ancora tante questioni aperte, prima fra tutte la violenzacontro le donne che è una questione culturale. Come combatterla: è un problema strutturale eculturale. Come risolverlo? I centri per maltrattanti possono aiutare a risolvere il problema? sequesti centri o associazioni di uomini servono per far prendere consapevolezza, per cambiare unacultura, ecc. Vanno benissimo. Quello che mi preoccupa sono i centri che hanno una metodologiamedicalizzante. .. Perché uno dei luoghi comuni è che si pensi che l’autore della violenza siamalato. Noi che lavoriamo sul campo, ci rendiamo conto che gli avvocati spingono per cambiare lepene. ... Mi preoccupa anche la metodologia. Contattano la donna? Quanto può essere pericoloso?Cosa succede? Vorrei porre queste domande sulla metodologia. Sicuramente c’è buona fede. Nonparlo di MP coloro che affrontano questa metodologia, della psicoterapia, non che non serve. Mipreoccupa la percezione che abbiamo all’esterno di questi centri. Ah allora c’ha una patologia, ilproblema non è più culturale.

Ester Ricciardelli, Psicologa ASL /1- Napoli .

…dall'esperienza, ormai di tre anni, (lavoriamo nel pronto soccorso), è nata l'idea di dedicarcianche all'ascolto degli autori. Dopo esserci confrontate con i Centri Antiviolenza, abbiamo decisoche gli autori di violenza di cui ci saremmo occupate sarebbero stati soltanto gli uomini cheavevano concluso il loro rapporto con la giustizia e ciò soprattutto per evitare qualsiasistrumentalizzazioni (di avvocati, ecc.)

Ornella Dutto, Psicoterapeuta - Torino

Rimango colpita quando si associa alla parola psicologia la parola deresponsabilizzazione perchénon credo sia così. Non credo di essere mai stata confluente ma credo di aver fatto un grandelavoro sul senso della violenza.

Volevo fare un invito alla riflessione. Ho letto un libro per me importante (dal dolore alla violenza,De Zelueta) che dà una lettura complessa ma dà dignità e significato al ruolo della educazione,della prevenzione ma anche della clinica. L'invito è quello che nessun settore possa escluderel'altro.

Voglio leggere una frase di Loverso (uno psichiatra che studia la psicopatologia dei criminalimafiosi): "la mafia è la prova inconfutabile che la plasticità del cervello è relazionale, che lamente, la cultura e la relazione possono modificare fino ad annullarlo il dato biologico". Quindi cistiamo dentro proprio tutti.

Laura Storti, consultorio di psicoanalisi applicata “Il cortile” - Roma

Che la violenza maschile sulle donne sia un fenomeno strutturale, multifattoriale, ecc. è ciò di cuisono convinta. Ma parlando con i bambini che accoglievamo nel nostro centro mi sono accorta diquanti stereotipi si portino dietro. Credo anche che vi siano livelli diversi: uno immaginario che è

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quello del corpo maschile e femminile, e per questo abbiamo voluto anche un operatore maschio.Un altro livello è simbolico e lì è più difficile: quando per es. ci troviamo di fronte ai servizi socialiche ci dicono che sia molto importante che prendano contatto con i padri.

Ma questo non mi convince più perché dopo Freud c'è stato Lacan. Nel nostro centro, la funzionepaterna che è quella che separa la madre dai figli così che non diventino una coppia (i figlidiventano un supporto per le donne che subiscono violenza), le operatrici svolgono questafunzione. Ma il padre naturale a volte ritorna. Ieri un giudice al nostro dibattito faceva lopsicanalista ma io non so fare il giudice: parlava a partire dal suo fantasma e cioè dai pregiudiziche nel corso della nostre vite ci costruiamo. Per questo abbiamo pensato di organizzare unariunione di équipe una volta alla settimana per smontare questo sapere. Ciò per dire che per primacosa dobbiamo affrontare tutto a partire da noi. L'offerta genera la domanda e così come èavvenuto per i Centri Antiviolenza, capita anche per i centri per autori, magari così giovani e no,possono cominciare a interrogarsi.

Silvana Migoni, Associazione “Donne Al Traguardo” - Cagliari

Nel nostro centro ci siamo rese conto che accogliere solo donne probabilmente era riduttivo perchétroppi altri problemi restavano fuori. Perciò abbiamo deciso due linee di intervento collaterali: uncentro di ascolto per maltrattanti con automutuoaiuto e un secondo per le coppie che si separanoin maniera conflittuale nelle quali è necessario intervenire nell'interesse dei figli minori.

La nostra associazione non parte da basi ideologiche o femministe. La nostra impostazione è ditipo umanitario pura e semplice. Quindi noi non vogliamo dimostrare qualcosa ma solo cooperareperché queste donne riprendano la loro autonomia. Ci siamo sempre rifiutate di essere il braccioarmato di donne che utilizzano i Centri Antiviolenza come clave verso i loro ex compagni. Noi nonci vogliamo prestare.

Riteniamo che questo percorso sia necessario come misura di prevenzione. Non esistono i mostrima persone che probabilmente sono poco consapevoli che i loro atteggiamenti sono violenti. Noicerchiamo di spiegare che questi atteggiamenti sono negativi anche per loro.

Quello che mi dispiace è che, quando abbiamo aperto questo centro, ci siamo scontrate con ilpregiudizio.

Patrizia Campo, Centro Antiviolenza - Torino

Voglio porre l'accento su alcuni aspetti dicotomici, cioè su alcune contraddizioni che abbiamoaffrontato finora. Una delle più grandi è quella dei percorsi degli uomini autori, percorsimedicalizzati, terapeutici e percorsi più improntati su aspetti più socio-educativi culturali. Io nonvedo una dicotomia tra questi due tipi di percorsi perché non credo che le risposte sianostandardizzate. Gli uomini sono molti diversi tra loro anche nell'agire violenza e vanno tenuti inconto, considerando anche quelli che necessitano di percorsi psicoterapeutici. Per questo siamo incontatto anche col centro che lavora con gli uomini.

Dicotomia sulle risorse: entrambi i percorsi hanno la stessa dignità. Le risposte ci devono essereanche sul piano dei maltrattanti. Non dobbiamo farci la guerra tra di noi.

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5- Che rapporto c'è tra queste iniziative rivolte a singoli individui e un lavoro più culturale e

politico di prevenzione della violenza maschile? Queste realtà riescono a interrogare o a

sensibilizzare anche la comunità locale o rimangono un luogo per addetti ai lavori, tutto sommato

marginali rispetto ai più ampi processi sociali?

Questo forse il quesito che più di altri necessiterà di un ulteriore riflessione ed approfondimento.Sappiamo già dalla lunga esperienza dei Centri Antiviolenza quanto difficile sia rompere il muro dipreconcetti, di stereotipi che intorno alla violenza sulle donne permane nei contesti in cui laviolenza stessa viene agita. Un lungo lavoro di sensibilizzazione che ancora in alcune realtà faticaad affermarsi.

Vanda Lauro, ginecologa - Parma.

Volevo dire qualcosa circa la complicità che abbiamo verso questi comportamenti. È qualcosa chedipende dalla diversità di vissuti che viene da secoli e che si sono incarnati nelle nostre menti.Porto un esempio. C’era un convegno sulla violenza maschile a Parma e contemporaneamentec’era una mostra di Botero in città l’opera scelta per pubblicizzarla era una scultura del ratto diEuropa. Si tratta dell’esaltazione di uno stupro. Un ratto e uno stupro. Perché dunque scegliereproprio questa opera? Com’è che un artista si senta ispirato a rappresentare questo stupro. Questisono i vissuti talmente incarnati. È il vissuto maschile. Bisogna iniziare a interrogarci.

Una cultura che ancora fatica a riconoscere nelle sue interne maglie le origini della violenza, ma cheattraverso la riflessione sviluppata dagli uomini stessi sui loro comportamenti può forse trovare unachiave di lettura di più ampio respiro.

Alberto Leiss, giornalista

…Io penso che una cosa che si potrebbe fare è vedere i nessi, tra la violenza individuale e laviolenza che attraversa la società e che è gestita dagli uomini. Questo tipo di battaglia di carattereculturale che riconduce la matrice sessuata delle forme di violenza può essere fatta.

Sul disagio io non so se ha senso porsi apertamente. La parola dell’uomo maltrattante è una cosache dobbiamo ascoltare.

Antonio Campus, avvocato

sono un avvocato che difende le donne maltrattate. Credo ci si debba intendere anche sul termineprevenzione e rispetto alla prevenzione terziaria. Io devo tutelare l'interesse delle donne, quindi nelmomento in cui mi ritrovo davanti una statistica che mi dice che l'85% che non vengono "trattati"compiono reati più gravi ne deduco che è indispensabile che questi uomini vengano trattati. E'nell'interesse delle mie assistite.

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Sono tanti i casi in cui le donne che si rivolgono ai Centri Antiviolenza e uomini, e a volte non solouomini ma anche donne che sostengono per esempio il fratello che è stato violentatore che nonfanno un percorso o mi pongo il problema per esempio, le figlie che subiscono comportamentiviolenti da parte di uomini che non hanno seguito questo tipo di percorso.

Il concetto di prevenzione ovviamente deve essere anche primaria e secondaria.

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6- Val la pena investire risorse pubbliche – già scarse - per percorsi di accompagnamento al

cambiamento per uomini autori di violenza? L'ampliarsi delle forme di azione ed intervento può

suscitare maggiore sensibilità, attenzione e risorse per il contrasto alla violenza?

Siamo infine giunti al delicato tema delle risorse, che in un fase di grande sofferenza economica peri Centri Antiviolenza e per l’intero sistema di welfare in Italia, riveste un aspetto delicato econtroverso. Una posizione sottolineata soprattutto da chi opera all’interno dei Centri Antiviolenza,dove quotidianamente si sperimentano pesanti difficoltà nel tentativo di continuare a rispondere aibisogni delle donne in difficoltà.

Patrizia Desole, Associazione “Prospettiva Donna” - Olbia

Poi c’è un fatto economico. I Centri stanno chiudendo perché non abbiamo risorse. Due uominiche vanno a prendere consapevolezza, noi abbiamo 400 donne, come facciamo?

È un problema sociale e culturale? Va benissimo l’associazione di uomini che vogliono fare unpercorso, ma non medicalizziamo. Se gli uomini vogliono fare la psicoterapia se la paghino eutilizziamo i soldi per le vittime.

Desireè Olianas, Associazione “Nuovo Maschile” - Pisa.

…Le risorse. Noi pensiamo che stiamo assistendo in Italia a una guerra tra poveri. Noi nonuseremo come risorse quelle pubbliche. E ci rivolgeremo a fondi privati. Siamo convinti che non sidebbano togliere risorse alle donne.

Numerose anche se variegate le opinioni espresse da coloro che vogliono sottrarsi a questacontrapposizione tra i Centri Antiviolenza e i Centri rivolti agli uomini, per trovare invece unachiave di lettura ed intervento che rimetta al centro la responsabilità delle istituzioni che devonofarsi carico di un problema che taglia trasversalmente la società e la vita degli individui, là doveuomini e donne sono alla ricerca di modi nuovi di intendere le relazioni.

C’è chi crede che il lavoro tanto dei Centro Antiviolenza quanto dei Centri dedicati agli uominirisponda ad una esigenza sentita nei territori. Un atteggiamento che esprime la consapevolezza della

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necessità di un intervento prima di tutto di tipo politico rispetto al tema della violenza da inserire inmaniera compiuta all’interno di un piano dei servizi in grado di farsi carico della problematica nellasua interezza. Proprio per inquadrare il tema in un contesto politico e sociale, attraverso ilriconoscimento del lavoro politico e culturale che i Centri per uomini svolgono, sono i servizi e leistituzioni in generale che devono assumersi la responsabilità sia dei Centri Antiviolenza sia deiCentri per uomini.

Carla Centioni, consultorio di psicoanalisi applicata “Il cortile” - Roma

…Non ce la siamo andata a cercare, ci siamo trovate di fronte ad un problema che si è postodavanti a noi che non possiamo evitare.

Non dobbiamo fare la guerra tra poveri. Non è un problema nostro, dobbiamo chiamare in causale istituzioni.

Milva Pistoni, casa delle donne “Lucha y siesta” - Roma.

… Volevo riporre in questione l’aspetto economico. Perché si parla di questione economica e diguerra tra poveri perché ci si limita a vedere la legge o di chi offre il servizio e ha bisogno disicurezza. Però i Centri antiviolenza non sono nati da questi soldi. Ci sono centri che non prendonofinanziamenti e non nascono come servizi. Nascono per rafforzare le donne e per difenderle. Nonsono mostri sono normali.

Perché parlare di risorse. Se la molla è politica e sociale i soldi si trovano. Noi addiritturaospitiamo le donne. Io faccio da alcuni anni un percorso di teatro, lavorando sul maschile. Ma ilpatriarcato opprime anche gli uomini. O noi insieme prendiamo atto di questo e l’affrontiamoinsieme e la liberazione per tutti oppure se aspettiamo che ci dicano ci sono 2 lire per i maschi e 3per le femmine e se non sappiamo se le donne possono lavorare con gli uomini e gli uomini con ledonne, i nostri orizzonti sono ridicoli.

Domenico Matarozzo, Associazione “Cerchio degli uomini” - Torino

Le risorse: la coperta è cortissima, ma per noi da sempre è importante fare prevenzione e pur nonvolendo togliere niente a nessuno. Però si vuole riconoscere se il nostro lavoro è prevenzione o no?

Se non deve essere medicalizzante l'intervento deve essere politico e se questo si riconosce cheserve, servono anche le risorse.

A cura di Alessandra Bozzoli, Stefania Pizzonia – Associazione LeNove-Studi e ricerche sociali