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Gianni FarinettiLa verità del serpente

romanzo Marsilio

La verità del serpenteG

ianni Farinetti

Lido di Venezia, settembre. Una villa affondata in uno smisurato giardino sulla laguna, molti ospiti capitati lì per caso (o forse no) per il festival del cinema o mossi da altri segreti intenti. Nel fitto chiacchiericcio di un’occasione mondana, fra una maestosa tomba di famiglia (forse in vendita) e una festona in uno storico palazzo del Canal Grande, una passeggiata mattutina da campo Santo Stefano a campo San Beneto e la visita a una casa disabitata (o forse no) alla Giudecca, matura un’irrisolta tragedia. Uno sceneggiatore romano (Sebastiano Guarienti, personaggio chiave nei romanzi di Farinetti che qui ritroviamo alle prese con la soluzione dell’enigma) e due anziane sorelle torinesi, un’elegante signora milanese e un eccentrico svizzero con amichetta al seguito, una simpatica ragazza di buona famiglia e una formidabile cuoca - per tacere del subisso di comprimari tra i quali Jean Genet, Pëtr Il’ic Cajkovskij e Giambattista Tiepolo - saranno tutti coinvolti nel più classico dei misteri della camera chiusa dove il palcoscenico dell’azione è l’intera Venezia di fine estate (con doveroso epilogo invernale).L’atteso ritorno di Gianni Farinetti in un romanzo a molte voci soprattutto femminili nel quale s’intreccia, a rancori sopiti e inespressi rimpianti, una devastante passione d’amore. Con un sospetto che vibra tra le pagine: e se Venezia, così ammaliante, così crudele, essa stessa un minaccioso, elusivo serpente, non fosse altro che un alibi?

gianni farinetti (Bra, 1953) ha esordito in narrativa con Marsilio con il romanzo Un delitto fatto in casa (premio Grinzane Cavour autore esordiente 1997, premio Premier Roman Chambery 1997). Con Marsilio ha pubblicato anche L’isola che brucia (premio Selezione Bancarella 1998), Lampi nella nebbia (2000) e Regina di cuori (2011). Con Mondadori sono usciti In piena notte (2002), Prima di morire (2004) e Il segreto tra di noi (2008) e, con Cartacanta, il racconto illustrato L’ombra del vulcano. I suoi romanzi sono tradotti nei maggiori Paesi d’Europa. Vive a Torino.

«A Venezia bisognerebbe arrivare via mare, ma poi bisognerebbe andarsene sempre col mezzo più rapido, il più in fretta possibile, quando è ora»

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Gianni FarinettiLa verità del serpente

romanzo Marsilio

La verità del serpenteG

ianni Farinetti

Lido di Venezia, settembre. Una villa affondata in uno smisurato giardino sulla laguna, molti ospiti capitati lì per caso (o forse no) per il festival del cinema o mossi da altri segreti intenti. Nel fitto chiacchiericcio di un’occasione mondana, fra una maestosa tomba di famiglia (forse in vendita) e una festona in uno storico palazzo del Canal Grande, una passeggiata mattutina da campo Santo Stefano a campo San Beneto e la visita a una casa disabitata (o forse no) alla Giudecca, matura un’irrisolta tragedia. Uno sceneggiatore romano (Sebastiano Guarienti, personaggio chiave nei romanzi di Farinetti che qui ritroviamo alle prese con la soluzione dell’enigma) e due anziane sorelle torinesi, un’elegante signora milanese e un eccentrico svizzero con amichetta al seguito, una simpatica ragazza di buona famiglia e una formidabile cuoca - per tacere del subisso di comprimari tra i quali Jean Genet, Pëtr Il’icˇ Cajkovskij e Giambattista Tiepolo - saranno tutti coinvolti nel più classico dei misteri della camera chiusa dove il palcoscenico dell’azione è l’intera Venezia di fine estate (con doveroso epilogo invernale).L’atteso ritorno di Gianni Farinetti in un romanzo a molte voci soprattutto femminili nel quale s’intreccia, a rancori sopiti e inespressi rimpianti, una devastante passione d’amore. Con un sospetto che vibra tra le pagine: e se Venezia, così ammaliante, così crudele, essa stessa un minaccioso, elusivo serpente, non fosse altro che un alibi?

gianni farinetti (Bra, 1953) ha esordito in narrativa con Marsilio con il romanzo Un delitto fatto in casa (premio Grinzane Cavour autore esordiente 1997, premio Premier Roman Chambery 1997). Con Marsilio ha pubblicato anche L’isola che brucia (premio Selezione Bancarella 1998), Lampi nella nebbia (2000) e Regina di cuori (2011). Con Mondadori sono usciti In piena notte (2002), Prima di morire (2004) e Il segreto tra di noi (2008) e, con Cartacanta, il racconto illustrato L’ombra del vulcano. I suoi romanzi sono tradotti nei maggiori Paesi d’Europa. Vive a Torino.

«A Venezia bisognerebbe arrivare via mare, ma poi bisognerebbe andarsene sempre col mezzo più rapido, il più in fretta possibile, quando è ora»

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ROMANZI E RACCONTI

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Dello stesso autorenelle «Farfalle»Lampi nella nebbia

nei «Tascabili»Un delitto fatto in casaL’isola che brucia

nelle «Gocce»Regina di cuori

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Gianni FarinettiLa verità del serpente

Marsilio

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© 2011 by Marsilio Editori® spa in Venezia Prima edizione digitale 2011 da edizione Marsilio 2011 ISBN [email protected] Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata

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alla mia amica Laura Sottovia(Castello 1116)

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LA VERITÀ DEL SERPENTE

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Perché noi andiamo e la bellezza resta.

Josif Brodskij, Fondamenta degli Incurabili

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Alla Leonella, Lido di Venezia, in settembre

La famiglia:

Lorenza Leonelli, giovane, flessuosa

Giorgio jr Leonelli, suo padre

Tiziana, nervosa, madre di Lorenza,con secondo marito Jean, bellissimo

Berta, nervosa anche lei, da quarant’anni in casa Leonelli

Erminio, giardiniere, omuncolo,con nipote Sandro, giovane, flessuoso

Amici e ospiti:

Sebastiano Guarienti, sceneggiatore,con compagno Duccio

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Checco, ragazzone amico da sempre di Lorenza

Renata Lequio, avvocato

Due attempate sorelle di Torino, Marisi, vedova Boffa,e la tremula Anita

Monsieur “micio micione” Jürgens, svizzero,con fidanzata Ramona, finta troia,

con amica Wilma non presente nell’azione ma assai citata da Ramona

Giovanni Carpeneto, bellissimo anche lui,con cane Tana

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Primo tempo

Il male s’insinua

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Subito il corpo si è inabissato. Per riaffiorare poco dopo, sospinto dall’oziosa marea della laguna, più in là verso silenziose fondamenta raschiate dall’eterno moto marino.

Potrebbe essere il cadavere di un animale, o il ramo di un albero, così scuro e indistinto. O una boa sfonda-ta, nera, inservibile.

L’uomo che scorge la massa a filo d’acqua non si do-manda cosa può essere, semplicemente si avvicina facen-do virare la sua barca. Quasi ogni giorno gli capita di veder galleggiare qualcosa di indefinito in laguna, il più delle volte è l’untuoso intreccio di cime e vecchie nasse alla deriva.

Sporge un remo, rivolta il groviglio. Ma le cime sono invece capelli, e un dorso, e poi un volto con gli occhi spalancati al cielo.

L’uomo impreca fissando quegli occhi stupefatti. Biso-gna subito, in questo pomeriggio di fine estate nel qua-le Venezia luccica vaporosa, dare l’allarme prima che l’acqua si confonda con altra acqua.

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1.Dal vaporetto (Linea 1, Piazzale Roma - Lido)

Dal vaporetto (Linea 1, Piazzale Roma - Lido) Seba-stiano Guarienti fissa l’avvicinarsi dell’attracco della fer-mata Giardini. C’è il solito movimento, quasi un giro di cortesia, tra imbarcazioni in arrivo allo stesso momento, tocca a quello che giunge dal Lido fermarsi per primo, scaricare e ricaricare turisti, viaggiatori, locali. Poi è la volta di quello dove è lui.

Come sempre rimane affascinato dai gesti del marinaio che srotola rapido la cima, l’aggancia salda alla bitta, grida: «Giardini!»

Si domanda, e non per la prima volta, da dove piova-no questi marinaretti Actv veneziani. Per lo più biondi o comunque chiari, giusti di proporzioni, con il guizzo gentile dei muscoli sotto il camiciotto azzurro con lo stemmino della società trasporti. Un suo amico torinese ha tutta una teoria: che sì, li disegna in serie – loro, non i camiciotti – un famoso stilista con la propensione alla divisa. O, altra suggestiva ipotesi, che sono rigorosamen-te vuoi figli, vuoi nipoti di antichi gondolieri, frutto a loro volta di mitici accoppiamenti con dame ben nate e di robusti appetiti. E qui cita sempre la storia della Tro-na che a Venezia conoscono tutti.

La gentildonna, moglie di un conte Tron e dunque, alla veneziana, la Trona, era a fine Settecento signora di

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comprovate virtù cortigiane celebre per essere piuttosto svelta di coscia. Pare che alla richiesta di prestare il suo palco a teatro a un gentiluomo straniero – il duca di Curlandia – glielo avesse graziosamente ceduto, ma a pagamento. In città era corso subito il motteggio: «Bra-va la Trona, la vende il palco più caro de la mona.» E lei, saputolo, aveva ribattuto pronta: «Eh, no! La Trona, la mona, la dona.» Per dire di questo galante luogo.

Di mona, qui adesso in accaldata discesa e salita alla fermata Giardini, ce n’è una moltitudine. Le solite ado-lescenti nerocapellute e nerocchialute, tutte con medesi-mi straccetti nerogriffati – ma sono lampanti imitazioni made in China – così come lo sono le svariate, e di di-versa caratura, pochette Vuitton che occhieggiano sul vaporetto (rarissime quelle originali, ormai praticamente indistinguibili dalle altre). Ecco la cavallona norvegese, entusiastona, tutta un nitrito di beatitudine mentre indi-ca la bianca linea dell’isola di San Servolo, gli invitanti giardini della Biennale, qualunque variopinto barcozzo, qualunque vetusta bricola (ma cos’è ’sta storia che le vogliono sostituire con altre di plastica?), qualunque smemorato gabbiano. Seguono delle mamme con passeg-gini, molti passeggini, donne sbrigative che al Lido van-no a fare la spesa, e altre che invece ci vanno, ci stanno andando, per lo stesso motivo di Sebastiano, il festival du cinemà.

Di donne da festival ce n’è un’assortita campionatura: due non giovani, anzi avviate alla terza età, in vasti ca-micioni di cotone bianchi e violetti, orecchini berberi d’argento, copiosi bracciali idem, capaci borsone di cor-da già pienotte di cataloghi, accrediti, golfini arrotolati, forse anche scialli, magari una pashmina perché tornan-do, questa sera dopo le proiezioni, farà freschetto. E non solo sul vaporetto ma soprattutto al PalaBiennale con l’aria condizionata a palla che c’è (e la barba di quelle

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sedie scomodissime). Una riccia, bionda, e l’altra scura, abbronzata in modo inaudito. Milanesi? O romane? Mah, i romani non è che si spostino tanto per venire a Venezia, e comunque preferiscono le lance dei grandi alberghi alla più plebea Linea 1.

A Sant’Elena, ultima fermata prima del Lido, sale in-vece una donna di difficile collocazione. Un’attrice qui per il festival? Sebastiano lo esclude, se lo fosse la rico-noscerebbe. Naso aquilino sottile, tenuemente abbronza-ta, rossetto tendente all’arancio – il rossetto sempre, il solito amico torinese –, pochissimo trucco. Rughe non molte e comunque ben portate. Anche lei ha un cami-cione – ma di lino –, di un marrone spento, collana d’ambra, un piccolo Baume et Mercier vecchio modello, magari ricevuto in regalo per i diciotto anni da una non-na o madrina, il cinturino consunto di coccodrillo. Si ripara gli occhi dal sole con una mano, si volta, per un attimo incrocia lo sguardo di Sebastiano che subito lo distoglie. Ha nel fondo degli occhi, chiari e liquidi, come una rassegnazione. Per qualche antica delusione non an-cora del tutto soffocata? Qualche rimpianto duro a sva-nire? Dunque tra le donne “deluse” o “non del tutto vinte”. Forse vedova, comunque, a occhio, senza un uo-mo tra i piedi.

Sulla scia del vaporetto spumeggia il settembre vene-ziano, quella luce che c’è solo qui in rarissime, prodigio-se giornate in cui uno capisce Giambattista Tiepolo – che è nato a un passo dalla fermata Giardini nella ristretta e trascurabile, ma non per questo meno gustosa, corte San Domenico. Viene da pensare che per vedere un cielo così doveva arrampicarsi per una scaletta su fino all’al-tana – ma c’è solo nato o anche cresciuto in corte San Domenico? – e alzare gli occhi per scrutare se era una di quelle giornate in cui tutti gli azzurri concepibili di Venezia riflettevano, come oggi, la loro eterna, illusoria

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promessa di felicità. Oppure no, magari gli bastava, ma-gari nelle tenebre di qualche abbazia, nella gioiosità di Ca’ Rezzonico, ricordarlo quel cielo e semplicemente, per trattenerlo, per non lasciarselo sgusciare dallo sguardo, scegliere il pennello giusto, la giusta miscela di pigmenti.

Uno, si dice Sebastiano, in una giornata veneziana così crede di essere vicinissimo – lì dietro quell’ennesimo ponte, aggirata la centesima bricola – alla soluzione degli enigmi più arcani. Senza penetrare, invece, un bel nien-te di questo luogo troppo guardato, troppo apparente-mente rivelato da milioni di scatti fotografici, miliardi di rètine – sbigottite, estatiche, sature – accecate come la sua sulla Linea 1 tra piazzale Roma e il Lido.

Così, con l’unica confortante certezza che il bello del mistero è che permanga tale il più a lungo possibile, il vaporetto attracca al capolinea di Santa Maria Elisabetta col tonfo sordo dei legni che cozzano l’uno contro l’altro e il suo carico umano che si riversa fuori, occhiali grif-fati, pochette Vuitton, passeggini. Rimane, solitario e cesellato nel luminoso incedere delle cinque del pome-riggio, il marinaio che, legata la cima, va a fumarsi una sigaretta sul pontile in attesa di una nuova partenza.

Sebastiano osserva ancora per un momento la fascino-sa signora col Baume et Mercier che si sta mescolando alla folla e sparisce. Ma, con la sua sacca e la tracolla, invece di dirigersi subito a piedi verso la Leonella, va a sedersi sulla terrazza di un bar del viale a bere un caffè freddo. Eccomi qua, si dice con un privato palpito, un’al-tra volta a Venezia.

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Post scriptum

Ah, Tiziana e Jean hanno perduto la faccia. Letteral-mente. Lui per i motivi che conosciamo – pineta pecca-minosa – che lei non gli ha perdonato (ma sarà stato davvero Checco il bieco delatore? chissà).

Lei perché le è caduto, si suppone in uno dei suoi celebri furori, il naso. Che si è fatta rifare da un chirur-go plastico trentacinquenne, genere brutto che piace, così a occhio decisamente etero. Vedremo.

Ah, Ramona. Lei e la sua amica Wilma hanno poi sposato due fratelli di Verbania che hanno una conces-sionaria di automobili. Wilma ha due figli, Ramona uno. Le due coppie hanno comprato una villetta a Piancaval-lo con vista lago, ci passano i fine settimana e buona parte dell’estate.

A Milano Ramona era stata per qualche settimana, ma aveva capito senza rimpianti che quel mondo lì non fa-ceva per lei.

Ora in certe sere d’estate stanno in giardino a guarda-re i bambini giocare sul prato. Quello di Ramona è un maschietto molto simpatico, affettuoso. Lei lo prende in braccio e cullandolo, ridendo fra sé, a volte lo chiama sottovoce micione.

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