“la valle dei templi tra archeologia e paesaggio“ · La varietà e la complessità culturale...

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testi di Aurelio Burgio Giuseppe Barbera e Maria Ala foto in copertina di Giò Martorana “la valle dei templi tra archeologia e paesaggio“ regione siciliana assessorato bb.cc.aa. e p.i dipartimento bb.cc.aa. ed e.p. progetto scuola museo

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testi diAurelio BurgioGiuseppe Barbera e Maria Ala

foto in copertina diGiò Martorana

“la valle dei templi tra archeologia e paesaggio“

regione sicilianaassessorato

bb.cc.aa. e p.idipartimento

bb.cc.aa. ed e.p.

progetto scuola museo

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progetto scuola museo

“la valle dei templitra archeologia e paesaggio”

regione sicilianaassessoratobeni culturali ambientali e pubblica istruzionedipartimentobeni culturali ambientali ed educazione permanente

testi diAurelio BurgioGiuseppe Barbera e Maria Ala

Agrigento 2008

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Progetto Laura CappugiSegreteria di redazione Patrizia Di GiovanniProgetto grafico Tommaso Guagliardo

Copia omaggio - Vietata la vendita

scheda cip

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Fra le varie problematicheaffrontate da Consiglio delParco, un posto importante hacostituito il tema della didatticae dei servizi da offrire alle scuole,per il quale sono stati individuatidiversi strumenti: dallarealizzazione di laboratorididattici, alla pubblicazione di unapiccola guida fatta apposta per ibambini e, infine, all’attuazione delprogetto Scuola-Museo finanziatodal Dipartimento Beni Culturalidell’Assessorato Regionale BeniCulturali e Ambientalisull’esercizio finanziario 2007,di cui questa piccolapubblicazione costituisce l’esitofinale, mentre gli altri sonoancora in fase di realizzazione.Con il progetto Scuola Museo,che l’AmministrazioneRegionale manda avanti, ormai,da diversi anni si intende, fra

l’altro, offrire ai docentistrumenti efficaci per laconoscenza specifica del Parcoe per la fruizione degli itinerariarcheologici e naturalistici alsuo interno.La varietà e la complessitàculturale dei molteplici aspettidella Valle dei Templi ci hannoindotto a scegliere come primetematiche di carattere generaleda sviluppare sul pianodidattico, quelle checostituiscono gli elementifondanti del Parco stesso: l’archeologia e il paesaggio.I due contributi - “Il contestostorico-topografico, il circuitodifensivo, l’evoluzioneurbanistica ed architettonicadella città greca” e “Riscoprire ilpaesaggio agrario della Valle deiTempli tra miti, storia,letteratura e tradizione” –

redatti dagli stessi specialistiche hanno effettuato le lezioni,forniscono in maniera sinteticagli elementi fondamentali per lacomprensione dei grandi temiculturali che rendono la Vallecelebre in tutto il mondo.Ringrazio le Scuole e i Docentiche ci hanno voluto seguire inquesto percorso, gli autori deitesti per i loro esaustivicontributi, la Direzione e gliUffici del Parco che si sonoadoperati per la realizzazione diquesto progetto redatto dalladott.ssa Laura Cappugi, che daanni si occupa di didattica perconto dell’AmministrazioneRegionale, cui va il mio più vivoringraziamento insieme alladott.ssa Assunta Lupo, nostroreferente presso il DipartimentoBeni Culturali, per la fiduciaconcessa.

Premessa

Rosalia Camerata ScovazzoPresidente del Consiglio del Parco

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Il Parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi diAgrigento ha costituito un’area didattica con il preciso intento dirichiamare l’attenzione e l’interesse della Scuola alla conoscenzadella Valle e di stabilire rapporti continuativi di collaborazione conesse, nelle forme e nei modi possibili, per promuovere esperienzeformative finalizzate alla conoscenza e alla fruizione delpatrimonio archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi, chedarebbero attuazione anche ad una forma di turismo scolastico digrande rilevanza.Nell’ambito delle proprie attività istituzionali dedicate alladidattica, ha organizzato un modulo formativo rivolto ai docentidelle Scuole di Agrigento e Provincia, che per la rilevanza delprogetto e le sue peculiari finalità conferma la strategia dieducazione ai beni culturali, caratteristica della Regione Siciliana.Destinatari di tale attività didattica sono stati circa 70 docenti,ripartiti tra scuole elementari, medie e superiori, visti come“mediatori”, anche nella verifica di aspettative, bisogni formativi einformativi, tra il Parco, gli educandi e le famiglie. I temi sviluppatinell’ambito di tale attività hanno riguardato l’archeologia e lastoria di questo territorio, nonché gli aspetti paesaggistici, checostituiscono la secolare attrattiva di esso. La pubblicazione, oggi,degli argomenti trattati nel corso della suddetta attività, vuoleessere un ulteriore contributo allo sviluppo dei rapporti Parco-Scuola, nella consapevolezza che possa costituire un utilestrumento di conoscenza della Valle e di suoi beni.

Pietro MeliDirettore del Parco

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Chi opera nel settore dellacultura e dell’educazione èperfettamente consapevole delforte bisogno culturale da partedella società civile, che oggireclama sempre di più unacondivisione della conoscenzadelle tracce e dei documentimateriali del proprio passato.L’archeologia spesso vienepercepita da non pochi cittadinicome una proprietà privatadegli addetti ai lavori, uncomplesso di testimonianzenon sempre decifrabile,accattivante e ricco di stimoli.Per questo motivo l’approccioad un sito archeologico non puòfondarsi sulla meracontemplazione di frammenti delpassato, ma piuttosto sul valoree sui significati delle struttureriemerse dal sottosuolo, vistecome documenti leggibili edeloquenti di antiche civiltà.I giovani che si recano a visitareun qualsiasi sito archeologico,spesso si limitano a percorreregli ambienti e a esplorarne lediverse strutture che locompongono senza viverne lapotente seduzione. Talvoltacercano di fare anche unosforzo di immaginazione per

cercare di ricostruire la vitadegli antichi abitanti, lefunzioni precise degli edifici, iriti e i costumi sociali.Ecco perché ritengo che siaestremamente significativooffrire un monumento il menopossibile sclerotizzato e avulsodalla realta’ quotidiana,proponendo innanzitutto unalettura storica e antropologica,corredata da informazionidettagliate sui manufatti dalpunto di vista archeologico eartistico.Per gli studenti l’archeologiacosì può assumere pertanto unvalore didattico di notevoleimportanza, il cui scopoprincipale sarà quello difacilitare l’apprendimentodell’arte, della storia, e delleculture antiche, ma soprattuttodi suscitare nuovi motivi diinteresse, che possono dareluogo ad ulterioriapprofondimenti.Il progetto elaborato per ilParco della Valle dei Templi hacome finalità più evidente larealizzazione di strumentiefficaci di mediazione einformazione. Ma non è l’unicoobiettivo, né il più importante.

La mia esperienza didatticamaturata negli anni conbambini e ragazzi ha dimostratoche l’approccio ai temi dellastoria antica e dell’archeologiaè maggiormente efficacequanto più viene sollecitata lanaturale curiosità. E’ la curiositàtipica che si riserba a quanto ciè lontano e sconosciuto e chedel resto è il motivo per cui ildocumentario storicodivulgativo, il cinema e laletteratura di genere fantasyabbiano così tanto successo. Lastessa storia antica che tantoannoia, quando è codificata inun libro di testo, può incuriosiree affascinare dopo la visita adun museo o ad un sitoarcheologico, in cui si trovinoidonei elementi di mediazione(apparati didascalici, guide,operatori) e la possibilità dipartecipare ad attività inlaboratori didattici.Questa pubblicazione quindi sipresenta come il primonecessario strumento per unaefficace conoscenza del sito, persensibilizzare e rafforzare illegame col territorio,promuovere attenzione per larealtà ambientale e scoprire le

Introduzione

Laura Cappugi

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componenti storiche naturali eantropiche. E’ la prima risorsadocumentaria di tipo didatticoattraverso cui il Parco intende

aprirsi al mondo della Scuola edè rivolta soprattutto ai docenti,affinché trovino valido supportoper le attività propedeutiche

alla visita del sito e perl’approfondimento di teminell’ambito dei programmicurriculari.

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tteessttii ddii Aurelio Burgio

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Il sito e le vicende storiche

Il sito dell’antica Akragas,culminante a Nord con i duerilievi della collina di Girgenti(m 326 s.l.m.) e della RupeAtenea (m 351), entrambedelimitate da alte pareti astrapiombo (fig. 1), si distendesu un altipiano calcarenitico indolce pendio, chiuso a Sud dallac.d. collina dei Templi, una ripamarina del Quaternario inferioreche si sviluppa per circa 2 kmda Est ed Ovest (fig. 2). AdOriente e ad Occidente i limitidell’area urbana seguono le altebalze rocciose che sovrastanodue modesti corsi fluviali,rispettivamente l’Akragas (oggiS. Biagio) e l’Hypsas (oggiDrago), quest’ultimo alimentatosulla sinistra dal torrente delleCavoline. I due principali corsid’acqua confluiscono a Sud,all’esterno dell’antica città,nell’attuale fiume S. Leone, chesolca un’ampia fasciaalluvionale del Quaternariorecente (Piano S. Gregorio), aicui margini orientali si elevano i

dolci rilievi culminanti in PoggioMuscello (m 117). Ad Ovestdella foce del S. Leone sidistende infine la bassa estretta collina di Montelusa, oMaddalusa (m 76), nei cui pressiera collocato l’emporion dellacittà.Il contesto paesaggistico nelquale è inserita Akragas ècircondato da altre colline,molte delle quali furono inantico sedi di insediamentiumani: subito a Nord si trova lalunga cresta rocciosa diSerraferlicchio (m 316), ad Est

la collina di Poggio (o Cozzo)Mosè (m 178), mentre ad Ovestla lunga e stretta dorsale diMonserrato (m 317) chesovrasta il corso dell’Hypsas.Pochi km a Nord-Est si eleva lacollina di Caltafaraci (m 533),anch’essa occupata da unpiccolo centro abitato.

Le più antiche testimonianze divita di questo territorio – cheattrasse l’interesse di Paolo Orsi,Pirro Marconi e Jole BovioMarconi, fino alle più ampie esistematiche ricerche di Pietro

AAkkrraaggaass.Il contesto storico-topografico, il circuito difensivo,l’evoluzione urbanistica ed architettonica della città greca.

Fig. 1 – La Rupe Atenea, veduta aerea daNE (da MERTENS 2006).

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Griffo, Ernesto De Miro eGraziella Fiorentini, di recentepresentate in una articolatavisione d’insieme da parte diDomenica Gullì – risalgono allapiù antica storia della Sicilia.L’età neolitica è documentatasia attraverso un saggiostratigrafico sulla collina deiTempli, subito ad Ovest deltempio di Zeus, sia attraversorinvenimenti di superficie incontrada Maddalusa ed aSerraferlicchio. Villaggidovevano avere sede in tuttequeste aree, come pure, nelleetà successive, a Serraferlicchio,

Poggio Mosè e Monserrato.All’Eneolitico ed alla prima etàdel Bronzo si data il deposito ingrotta (probabilmente un luogodi culto) di Serraferlicchio, neicui pressi si trovava anche unabitato, ed alla prima età delBronzo le necropoli ed i villaggidislocati sia ad Est di Agrigento,sulla lunga cresta di Poggio Mosè(dal c.d. S. Calogero Bianco alnucleo più antico dell’attualevillaggio Mosè), sia ad Ovest, aMonserrato; qui, di recente, sonostate localizzate anche tomberisalenti alla media e tarda età delBronzo. A questo stesso periodo

sembrano riferirsi le capannedel settore più occidentale dellacollina dei Templi (sempre nelleimmediate vicinanze del tempiodi Zeus), e nei pressi del poggiodi S. Nicola.Una lunga frequentazionedall’Eneolitico al tardo Bronzocaratterizza l’area intorno alsantuario rupestre di S. Biagio,mentre dal Bronzo antico all’etàdel Ferro si datano le numerosetombe a grotticella e a cameraidentificate sui versantisettentrionale e orientale dellaRupe Atenea. Se poi ci si spostaalle pendici sud-occidentalidella città antica, si noterà chel’ampia zona compresa tra iltratto finale dell’Hypsas, lecontrade S. Anna e Pezzino, finoall’estremità della collina deiTempli, sembra essere stataoccupata in modo stabile in etàpre- e protostorica.Di estremo interesse sono leattestazioni di relazionicommerciali transmarine con ilmondo egeo documentate nellapiana di Cannatello, a Sud-Estdi Poggio Mosè, dove già sulfinire dell’800 fu identificato unabitato preistorico: è possibileche da questa area provengal’anforetta a staffa micenea,acquistata da Paolo Orsi pressola “marina di Girgenti” agli inizidel ’900, mentre a partire daglianni ’80 è stato portato allaluce parte di un vero e proprio“emporio”, con fortecaratterizzazione miceneo-cipriota, frequentato tra lamedia età del Bronzo e la primaetà del Ferro.Non sono documentate finoratracce di villaggi riferibili alla

Fig. 2 – La collina dei Templi, vista da Est(da DE MIRO 1994).

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prima età del Ferro nell’areadella città di Akragas e nelle sueimmediate vicinanze, segnoforse che gli indigeni dovevanoabitare già in centri posti un po’più all’interno, quando agli inizidel VI sec. a.C. coloni di Gela,con il concorso di genti rodio-cretesi, diedero vita alla nuovacittà. La presenza indigena ècomunque forte, espressa forse– come ha sottolineato E. DeMiro – attraverso la presenza dipiccole sedi di culto; tra queste,un ruolo importante potevaavere il santuario extraurbanodi contrada S. Anna, posto forsenon a caso poche centinaia dimetri a Sud-Ovest della città,proprio di fronte a quel settoredella collina del Templi delquale è stata segnalatal’occupazione stabile in etàpreistorica e protostorica. Nelsantuario di S. Anna, di etàarcaica (ma non mancanoreperti dell’età del Bronzo), èstata rinvenuta ceramica diproduzione indigena adecorazione impressa, attestataanche sulla collina diMaddalusa, nei cui pressi sitrovava l’emporio stabilitoprobabilmente dai primi coloni:dalla necropoli provieneceramica di produzioneindigena a decorazioneimpressa e incisa, ceramica diimportazione ionica e corinzia,ed alcuni sarcofagi, uno deiquali, in marmo, decorato ametope e triglifi, è oggi espostoal Museo Archeologico diAgrigento.

Nel 582 a.C. dunque, sotto laguida dei due ecisti Aristonoose Pystilos (i loro nomi ci sonotramandati da Tucidide), Geloi eRodio-Cretesi fondarono

Akragas. Il territorio dovevaessere noto almeno in parte, sesi pensa alle numerosetestimonianze coeve ad Ovest diGela, in particolare nei dintornidell’attuale Palma diMontechiaro, là dove unimportante nodo di transito èrappresentato dalla strettoiamorfologica chiusa tra i rilievidel Castellazzo e di Piano dellaCittà, sedi di due importantiinsediamenti. Ciò suggeriscel’interesse dei Geloi per tutta lafascia costiera occidentale,tanto più che già alla metà delVII secolo coloni di MegaraHyblaea avevano fondato,molto più ad Ovest, lasubcolonia di Selinunte.La fase più antica della storiapolitica di Akragas, già nellaprima metà del VI sec. a.C., èdominata dalla figura deltiranno Falaride, la cui politicadi espansione si indirizzò inmodo deciso sia verso l’internodella Sicilia, a spese dei Sicani,sia lungo la fascia costiera. Fuprobabilmente a partire daquesti anni che la cittàcominciò ad acquisire unasempre crescente floridezzaeconomica, di cui può essereespressione, sul finire delsecolo, la costruzione del c.d.tempio di Eracle, il più anticotra gli edifici di culto.La storia ricorda un secondotiranno, Terone, della famigliadegli Emmenidi, che resse lesorti di Akragas tra il 488 ed il471 a.C., continuando la politicaespansionistica di Falaride:l’interesse della città si spinse inmodo ancor più deciso versol’interno della Sicilia, mirandoad una dimensione tirrenica,nella direzione della calcideseHimera. In questa prospettiva si

inseriranno l’interventocartaginese e lo scontro traCartaginesi e Sicelioti, checulmineranno con la battagliadi Himera del 480 a.C.La vittoria che i Greci di Siciliaottennero ad Himera suiCartaginesi, e su quei Siceliotiloro alleati, rappresentò peralcune poleis greche – eAkragas fu tra queste – unafase di notevole ricchezza, inparticolare quando dopo lamorte di Terone e la cacciatadel figlio Trasideo (471 a.C.)venne istituito un governodemocratico che si manterràfino alla fine del V secolo. Lerisorse economiche (il bottino diguerra) ed umane (schiavi)convenute nella città dopo lavittoria di Himera furonoprobabilmente alla base delnotevole sviluppo edilizio, chevide la collina dei Templiinfittirsi di edifici sacri. Si ricordiche Diodoro Siculo (XI, 25, 3)riferisce che i prigionieri diguerra venivano sfruttati sia perla costruzione di templi e per larealizzazione del complessosistema di acquedotti e dellaKolymbethra, sia come forzalavoro nella città e nei campi. Ilclima di ricchezza ed il favore dicui godettero in quel periodo –non certo in modo disinteressato– le lettere e le arti, è benespresso dalla presenza adAkragas di Simonide e Pindaro,il quale celebrò nelle sue Odi (IIe III Olimpica, VI Pitica, IIIIstmica) proprio le vittorie diTerone e della sua corte, mentrenella XII Pitica celebrava labellezza della città.Nel corso del V secolo, ilcontrollo politico-territoriale,diretto e indiretto, di Akragas siampliò a buona parte della Sicilia

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centro-meridionale, giungendofino alla zona di spartiacque tral’alta valle del Platani (l’anticoHalykos) e l’Imera Meridionale,dove tra gli altri spicca il grandecentro abitato di Terravecchia diCuti, sede di un santuarioextraurbano ricchissimo distatuette fittili di tipoagrigentino.Più tardi, alla fine del V sec., ilnuovo intervento cartaginese inSicilia produsse il progressivoannientamento di quasi tutte lepoleis siceliote, a partire daSelinunte: nel 406, dopo unlungo assedio, Akragas venneoccupata, ed ai suoi cittadini fuconsentito di rientrare l’annosuccessivo in una città il cuiimpianto difensivo era stato inbuona parte smantellato,economicamente ridotta a cittàtributaria di Cartagine. Gli scaviarcheologici condotti in alcune

aree della città, anzitutto il c.d.quartiere punico, hannodocumentato trasformazioni didestinazione d’uso rispettoall’età precedente la distruzionecartaginese.

Una fase di oscurità, per quantonoto attraverso le fonti,attraversa la prima metà del IVsecolo ed oltre. Bisogna infattiattendere gli anni diTimoleonte, che tra il 344 ed il338 a.C. condusse la lottacontro i Cartaginesi, perassistere ad una ripresa diAkragas, e proprio in queglianni sotto la guida degli ecistiMegillo e Feristo giunsero incittà nuovi coloni provenientidalla lucana Elea. Questoepisodio fu celebrato come unanuova fondazione, ed è forseall’origine di un massicciointervento che riguardò sia le

mura, che certo dovetteroessere restaurate, ma forse inalcuni luoghi ristrutturatesecondo le più modernetecniche di poliorcetica, sial’impianto edilizio benriconoscibile nel c.d. quartiereellenistico-romano ed in quelload Ovest del Tempio di Zeus.Sul finire del IV secolo Akragasprovò ad assumere via via unruolo autonomo rispetto allacittà che aveva assunto la guidadella Sicilia, Siracusa, e talescelta potrebbe essere stataindotta dalla sua posizione, acontatto con l’epicraziacartaginese estesa nella partepiù occidentale della Sicilia.Infatti, intorno al 310, mentre iltiranno siracusano Agatocle sitrovava impegnato in Africa inuna spedizione militare, gliAkragantini cercarono di darevita ad una federazione di cittàgreche, che tuttavia avrà unadurata limitata, ed anzi nel 307e 306 Akragas fu due voltesconfitta da Siracusa.Circa un trentennio più tardi,alle soglie dell’affermazione diRoma nella Sicilia, fu il tirannoFinzia (287-279 a.C.) a reggerele sorti della città: il suoterritorio si amplia fino a quellache un tempo era stata lamadrepatria, Gela, che fudistrutta ed i cui abitanti furonospostati in una città cui iltiranno diede nome, Finziade,sulla collina che sovrastal’attuale Licata. Pochi annidopo, nel 276, sarà Pirro, redell’Epiro, a conquistarenuovamente Akragas.Con la prima guerra punica siapre un lungo periodo

Fig. 3 – Akragas. Planimetria della città an-tica (da SCHMIEDT-GRIFFO 1958).

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particolarmente difficile: nel262 la città si arrende dopocirca sei mesi all’assedio deiRomani; un decennio più tardi,nel 255, sono i Cartaginesi aporre l’assedio, finché riesconoa conquistarla, sconfiggendo laguarnigione romana che avevaprovato l’ultima resistenza nelTempio di Zeus, trasformato infortezza.Infine, schieratasi contro Romadurante la seconda guerrapunica, viene assediata esaccheggiata nel 210 daiNumidi alleati dei Romani,cessando di essere cittàautonoma.

Topografia generale della cittàgreca

La prima completapresentazione d’insieme dellacittà, impostata in modoscientificamente corretto, sideve allo Stato MaggioreItaliano, che nel 1863 realizzòuna carta in scala 1:10.000,pubblicata nel 1867. Questacarta venne rielaborata daGiulio Schubring, che nel 1870pubblicò la HistorischeTopographie von Akragas,stampata nel 1887 nellatraduzione italiana (Topografiastorica di Agrigento), curata daG. Toniazzo, con il corredo diuna carta archeologica in scala1:15.000.Risale al 1958 la successivaplanimetria della città, ancoravalida nel suo impiantod’insieme, elaborata in scala1:10.000 da Giulio Schmiedt ePietro Griffo (fig. 3) attraverso

le fotografie aeree, ma che oggirichiede puntualizzazioni edaggiornamenti.L’area della città, ampia circa450 ettari, chiusa dalle duecime della collina di Girgenti aNord-Ovest e della Rupe Ateneaa Nord-Est, si sviluppa su unpendio inclinato da Nord a Sudfino alla cresta della c.d. collinadei Templi, mentre i versanti Ested Ovest sono delimitati dalcorso dei due fiumi e da altepareti rocciose, interrotte inalcuni punti da vallette che siincuneano parzialmenteall’interno del perimetrourbano, sul fondo delle quali ingenere si aprono le porteurbiche. Nel tratto a valle dellapiù ampia depressionemorfologica che spezzaall’estremità sud-occidentale lacollina dei Templi, tra le areesacre dell’Olympieion e del c.d.tempio di Vulcano, si trovò ilmodo di raccogliere le acqueche vi confluivano tramite ivalloni ed una serie di condotti,i c.d. acquedotti di Feace: quiebbe sede la celebreKolymbethra (fig. 4). Infine, laposizione delle necropoli

conferma che fin dall’inizio fuselezionata l’intera areadescritta, dal momento cheall’interno del perimetro urbanonon sono note sepolture.Polibio (Storie, IX, 27), neldescrivere Akragas (che eglivide probabilmente negli anni212-210 a.C.), sottolinea ladifferenza rispetto a molte altrecittà del suo tempo, rilevandoneinoltre sia la posizionestrategica, sia la bellezza dellecostruzioni, sia la distanza dalmare (18 stadi, pari a circa 3,2km), tale da apportare beneficialla città ed ai suoi abitanti;evidenzia quindi lecaratteristiche delle mura e laposizione della città rispetto aifiumi che la circondano. Passaquindi a indicare l’acropoli, che“sovrasta la città dal lato cheguarda l’oriente estivo, limitataall’esterno da un inaccessibileburrone, e avente dalla parteinterna una sola strada che viconduce dalla città. Sulla cimac’è un santuario di Atena e diZeus Atabyrios, come anche aRodi”. Si sofferma quindi sullaricchezza e opulenza degliedifici sacri e pubblici: la città è

Fig. 4 – La Kolymbethra ed il santuario del-le Divinità Ctonie (da DE MIRO 2000).

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infatti “magnificamente ornatadi templi e di portici, e benché iltempio di Zeus Olimpio nonabbia avuto compimento, perinvenzione e per grandezza nonsembra essere inferiore anessuno di quanti sono in Grecia”.La descrizione di Polibiopermette quindi di collocarel’acropoli sulla Rupe Atenea, lacollina a Sud-Est, quella che“guarda l’oriente estivo”, ipotesipiù che verosimile, che tuttavianon incontra il favore di tutti glistudiosi, a partire già dalloSchubring, il quale preferivaporre l’acropoli sul colle diGirgenti. D’altra parte sullasommità della Rupe sono stateportate alla luce quasiesclusivamente strutture acarattere militare, opere diterrazzamento e difortificazione pertinenti a fasidistinte, due ascrivibili al Vsecolo (una forse all’assediocartaginese del 406), una terzaal IV ed un’altra ancora al IIIsecolo sec. a.C. Da segnalareanche la presenza di uncomplesso artigianale (oleificio)attivo tra la seconda metà delIV ed il III sec. a.C.Quanto al colle di Girgenti, nonc’è dubbio che dovesse essereparte integrante dell’anticacittà, e non solo perché vi sitrova un tempio della primametà del V secolo, inglobatonella chiesa di S. Maria deiGreci (tempio di Atena), maanche per la sua posizionefortemente strategica. D’altraparte non sono pochi gli esempidi città greche (Locri Epizefiri)che hanno incluso all’internodella cinta muraria le più altecolline, senza che ciò implicassela fitta e capillare occupazionedelle aree più impervie.

Le fortificazioni

La conformazione morfologicadell’area su cui sorse la cittàcondizionò anche lo sviluppodel sistema difensivo, che siattestò sulle due cime del colledi Girgenti e della Rupe Atenea,sull’orlo dei valloni chedelimitano l’area urbana ad Este ad Ovest, ed ancora lungo lacresta della collina dei Templi. Ilrisultato fu un circuito che sisviluppava per circa 12 km,definendo così il solo spazio chepresentava confini fisici benmarcati, tali da poter essererinforzati con opere difortificazione che nonrichiedevano, almeno in unaprima fase, particolariaccorgimenti.Polibio (IX, 27), ricorda che lefortificazioni “si stendono suuna roccia alta e scoscesa, inparte così per natura, in parteper mano dell’uomo”, chiarendoin poche parole che la lineadifensiva appare ai suoi occhicome coronamento epotenziamento di unasituazione naturale. Seguendo iltracciato difensivo, lungo ilcostone roccioso in più luoghi laroccia appare oggi intagliata,talora si individuano blocchi insitu ovvero si distingue lasuperficie levigata, destinataalla messa in opera dei blocchi,talvolta accompagnata daconsistenti tracce di bruciato,ciò che rimane della distruzioneper effetto del fuoco. Il dissestoidrogeologico checontraddistingue la collina, piùaccentuato lungo il ciglio, hadeterminato in più punti frane esmottamenti. L’aspetto attuale èperò condizionato anche dallarealizzazione di cave lungo il

circuito difensivo, insiemeall’apertura di tombe adarcosolio di età paleocristiana ebizantina, soprattutto nel trattocompreso tra i templi detti diHera e della Concordia, segnoche le fortificazioni avevanoormai perduto la loro funzione.A questo sistema diadeguamento alla morfologia edi potenziamento delle difesenaturali – elemento per nullalegato alla cronologiadell’impianto – si associanovere e proprie opere difortificazione, soprattutto làdove si presentano particolarisituazioni sfavorevoli per ladifesa, e presso le porte,strutturate secondo il principiodella porta scea (la porta èdotata di un rientrante obliquorispetto alle mura, difeso dastrutture più massicce sulladestra dell’attaccante, chepoteva in tal modo esserecolpito sul lato di norma nonprotetto dallo scudo). Tutte leporte si aprono di norma incorrispondenza di naturali vie diaccesso, depressioni o vallonitributari dei due fiumi checircondano la città, ovvero nellevicinanze dei principali edificisacri. Nell’insieme, sono nove leporte che si aprono lungo ilcircuito difensivo, alle quali siaffiancano alcune postierle.Numerose sono le postierleidentificate: una ai piedi deltempio di Demetra, due tra leporte IV e V (una incorrispondenza dell’angolo SOdell’Olympieion), una poco oltrela porta V, una ad Ovest deltempio di Vulcano. Alcune porte(II, III) recano nettissimi i solchilasciati in antico dal transito deicarri, forse approfonditi neltempo dagli agenti atmosferici.

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Talvolta, interventi sia di etàantica che moderna (unfrantoio a fianco della porta II)hanno ulteriormente contribuitoa trasformare la struttura,mentre non mancano (porta III,V) resti murari e traccericonducibili alla presenza ditorrioni di difesa. Nicchiescavate sulle pareti, destinatead accogliere pinakes votivi,sono presenti nei pressi di più diuna porta (II, IV, IX).G. Schubring e P. Marconi,rispettivamente alla finedell’800 ed intorno al 1930,prospettano ipotesi differentiper il tratto lungo laKolymbethra: Schubring nonosservò qui tracce del muro dicinta, e ritenne che la lineadifensiva scendesse verso vallesbarrando con una diga il lettodell’Hypsas, per poi continuarelungo il suo corso. Marconisegnala invece uno spessostrato di conci nella parteinferiore della Kolymbethra, maanche spezzoni del muro econci sparsi sul costone in alto,ritenendo che il muro di cinta ela diga fossero un tutt’uno.Griffo ritiene invece che lastruttura di fondazionesegnalata dal Marconi siatroppo avanzata verso valle. Osservazioni tecniche condottelungo il circuito hanno fattoipotizzare a Marconi che ilmuro fosse in alcune zone (peresempio sul versanteoccidentale, tra il tempio diVulcano e Poggio Meta)articolato in salienti erientranti, e che la larghezzafosse pari a m 1,25/1,30, pari adun blocco disposto per testa ed

uno per taglio. In altre zone (siveda il tratto individuato a Norddel tempio di Hera),l’affioramento di tratti muraripermette di osservare la tecnicacostruttiva dell’impiantodifensivo.Porta I si apre ai piedi dellacresta sulla quale si trova iltempio di Demetra (fig. 5): siconserva soltanto la frontedestra (riferita a chi guarda), dicui rimane la parte iniziale diuno sperone obliquo,aggettante dal muro di cinta.Poche decine di metri a Sud-Ovest si trova il c.d. baluardo atenaglia, scavato da EttoreGabrici nel 1925: si tratta diuna sofisticata opera difensivacostituita da due strutturemurarie, disposte in modoobliquo rispetto alla linea dellemura e convergenti verso untorrione aggettante ampio m8,30 x 6,80. Il baluardo è statoeretto sul fondo di una valleattraverso la quale si entra inmodo agevole nel cuore della

città antica, ed è verosimile chesia stato costruito proprio perrinforzare questo versante,particolarmente esposto, e chenon appartenga alla fase piùantica del sistema difensivo.Poco oltre si trova Porta II(detta anche Porta di Gela),all’estremità sud-orientale dellaRupe Atenea, là dove il costoneroccioso che sovrasta il corsodel fiume piega nettamenteverso Ovest. Il sistema difensivodi Porta II, descritto già da G.Schubring e indagato con alcunisaggi da P. Marconi, si articolain un lungo corridoio naturale,incassato tra pareti di rocciaartificialmente intagliate inmodo pressoché verticale epotenziate con opere murarie.La strada, ricavata nel bancoroccioso, corre ad unaprofondità media di 6 mrispetto al terreno sovrastante,raccordandosi al vallone S.Biagio, e da qui ai percorsi cheprocedono verso Oriente,seguendo forse la direttrice che

Fig. 5 – Porta I ed il baluardo a tenaglia (daMARCONI 1930).

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passa alle spalle di Cozzo Mosè.Sulle pareti che fiancheggianola strada si trovano alcunenicchie, destinate all’inserzionedi pinakes votivi, segno dellapresenza di un santuario rupestrecui si riferiscono anche alcunepiccole fosse ed un recintoquadrangolare; ceramiche edaltri oggetti qui rinvenutiattestano che l’area sacra fuattiva tra il V ed il I sec. a.C. Porta III, subito ad Ovest deltempio di Hera. La porta vera epropria si trova al termine di unbreve corridoio (m 7 x 2,5),preceduto da uno slargoquadrangolare di m 10 x 6; essaera dominata sul fianco destrodal maestoso rilievo sui cuisorge il Tempio, e sulla sinistrada una torre, i cui resti P.Marconi riconosceva nellaroccia ed in una serie di taglidestinati all’alloggiamento deiblocchi.Porta IV, o Porta Aurea, dovevaessere in corrispondenza dellavia più importante, checonduceva dalla cittàall’Emporio, ma è anche la portache oggi si presenta piùdanneggiata, a causa delnotevole approfondimento dellacarreggiata stradale. Studirecenti propongono diindividuare questa porta pochecentinaia di metri più a oriente,tra il tempio di Eracle e VillaAurea, là dove sono visibili, sulfianco di un’ampia lacuna (m 9)del costone roccioso, una seriedi nicchie, proprio come neipressi di altre porte agrigentine(Porta II); come è statoosservato, tale squarcio nelcostone roccioso, coincide conl’incrocio tra la plateia M-L e lostenopos che delimita ad Estl’area del Ginnasio.

La porta V, anch’essa oggetto diinterventi di scavo in annirecenti, è la struttura meglioconservata del sistema difortificazione. E’ ben visibile ilbaluardo sul fianco destro, unrientrante obliquo lungo oltre25 m, articolato con quattromuri disposti a ventaglio, adaltezze crescenti; il baluardoconsente al difensore didominare l’avversario sul suofianco destro, sicché la portaappare strutturata sul principiodella porta scea. La porta V siinnesta sulla via che conducevaal santuario delle DivinitàCtonie, raccordandosi quindialla plateia Est-Ovest che limitail santuario di Zeus.Porta VI si trova al fondo di unapiccola valle, subito a Nord diPoggio Meta. Essa si apre alcentro di una lunga e poderosalinea difensiva (m 62 dilunghezza), ed è rafforzata dadue torri, quella di SE lunga m15,60 ed aggettante oltre 3 mrispetto al filo del muro. La portavera e propria è un corridoiolargo m 8,60 e lungo m 11,90.La Porta VII si trova alcunecentinaia di metri a Nord, lungoil torrente delle Cavoline, ed èl’unica ad essere dotata di unapprestamento difensivo a valle(c.d. Ponte dei Morti): ad unadistanza di ca. 120 m si trovainfatti un baluardo avanzato,ampio m 15,20 x 12,60, altoquasi 7 m, collegato ad unlungo e robusto muro dispostoortogonalmente alla lineadifensiva della porta. Questaarticolazione si spiega bene sesi considera che il vallone siincunea all’interno dell’areaurbana, nella direzionedell’acropoli, e che tutto questoversante è sovrastato

dall’estremità della cresta diMonserrato.Ancora più avanti, poco primadel campo sportivo, il Marconiaveva individuato unosbarramento difensivo nel qualedoveva aprirsi la Porta VIII; pocooltre, sulle pendici che salgonoverso la sella che separa la RupeAtenea dalla collina di Girgenti,si trovava la Porta IX.

La cronologia dell’impianto nonè del tutto chiara, benché ingenere si intenda collocarla, inmodo pressoché unitario, nelcorso del VI secolo, piuttostoche farla risalire già almomento della fondazione,come preferiva P. Marconi.D’altra parte in alcuni settori,specie là dove sono staticondotti saggi stratigrafici,sono state messe in evidenzatecniche murarie differenti(struttura piena in blocchisquadrati; paramento di blocchied emplecton di pietrame), ericavati più precisi daticronologici. Quanto noi oggivediamo è nell’insieme frutto diun continuo lavorio, che prendele mosse dalla realizzazione delregolare impianto urbanistico(intorno al 500 a.C.), con ilquale certo il sistema difensivodoveva integrarsi, perattraversare l’intero V secolo,culminante nell’assediocartaginese del 406, in vista delquale si dovette intervenire inalcuni settori (per esempio sullaRupe Atenea); numerose sono leopere successive, riconducibilialle età di Timoleonte (sullacima, e nella zona sud-orientaledella Rupe Atena, non lontanoda Porta II) e di Agatocle (zonasud-orientale della Rupe, nonlontano da Porta II).

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L’impianto urbanistico

L’impianto urbanistico si presentaassai organico, articolato secondoassi in prevalenza ortogonali(alcuni già notati da Pirro Marconi,soprattutto nella zona meridionaledella città), e verosimilmente èstato realizzato in modo unitario.Dopo le acute osservazioniformulate da F. Castagnoli nel1956, la sua ricostruzione si fondasulla fotointerpretazioneeffettuata nel 1958 da P. Griffo eG. Schmiedt (fig. 3), ma solo inpoche aree sono state effettuatemirate indagini di scavo.La città si distende dalle pendicidella Rupe Atenea, a partire daquota 190 ca. (zona delloStadio-via Petrarca, e, più adEst, dell’attuale Villa Genuardi,“Albergo” nella planimetria diSchmiedt-Griffo 1958) fino alleestreme propaggini della collinadei Templi (quota 100 ca.),occupando quasi per interol’area compresa entro le mura difortificazione. L’assettomorfologico generale si rivelaabbastanza omogeneo: ilpendio, modesto, è rivoltoprevalentemente a Sud-Ovest efrazionato da piccole balze,alcune con orientamento est-ovest (a NE di Poggio Meta, e avalle di Villa Genuardi), altreinvece disposte in senso NE-SO,vale a dire il medesimoorientamento delle vieprincipali dell’impianto urbano.Due valloni solcano la città,confluendo nella Kolymbethra:il principale scorre da NE a SO,articolando l’area urbana in duesettori dalle caratteristicheleggermente differenti. Infine,circa al centro della città anticaemerge il poggio di S. Nicola (m125 s.l.m.), area cardine del

tessuto morfologico eurbanistico, dove oggi sorge ilMuseo Archeologico; gli scaviqui condotti per la suarealizzazione – tra il 1959 ed il1963 – hanno portato allascoperta di un ampio complessodi carattere sacro e politico, chea seguito degli scavi più recenti(a partire dal 1983) si è rivelatoparte essenziale della piùgenerale sistemazione urbana.

L’impianto urbano si fonda susei vie principali (plateiai),orientate sulla direttrice NE-SO(denominate A-B, C-D, E-F, G-H,I-L, ed M-N, a partire dalla piùsettentrionale), distanti tra lorocirca 300 m. Le plateiai sonotagliate ortogonalmente dacirca trenta vie secondarie(stenopoi), che procedono inmodo pressoché rettilineononostante le pendenze,probabilmente regolarizzate inalcuni punti da rampe.L’aspetto complessivo è dunquequello di una città articolata interrazze, leggermentedigradanti da NE a SO. Ladisposizione regolaredell’impianto non è però rigida:solo le due plateiai meridionali(I-L ed M-N) e la quarta da Sud(E-F) appaiono – nellaplanimetria di Schmiedt e Griffo– perfettamente parallele pertutta la loro estensione, mentrela terza da Sud (G-H) mutaorientamento nel tratto piùoccidentale, al di là del valloneche alimenta la Kolymbethra.Qui infatti l’orientamento ruotaleggermente verso Ovest, forsea causa di una più contrastatamorfologia del terreno,interessando gli isolati definititra il muro di fortificazione e ledue plateiai più settentrionali

(A-B e C-D). Tra Poggio Meta ela collina di S. Nicola non tuttigli assi viari sono al momentoperfettamente leggibili, ed alcunistenopoi sembrano procederesecondo linee spezzate.Le plateiai principali sembranoessere la seconda e la quarta daSud (I-L ed E-F). La E-F mette indiretto collegamento la zonadella porta I con la collina di S.Nicola, probabilmente l’area piùimportante dal punto di vistapolitico. La plateia E-F sembraessere più larga delle altre (ca.11 m, contro una media di 7 m),ed è l’unica che per un buontratto ha mantenuto inalteratanel tempo la sua funzione, alpunto da essere ricalcata, aNord del c.d. quartiereellenistico-romano, prima daldecumanus maximus della cittàromana, ed oggi da un rettilineodella SS 115 (sia pure con unaleggera declinazione versoNord). La plateia I-L collegainvece le porte II e V, lambendosul lato settentrionale l’isolatoin cui è inserito il tempio diZeus. Anche di questo asse èpossibile riconoscere a trattiforme di continuità nelpaesaggio attuale, limitate apartizioni agrarie.Quanto agli stenopoi, distantitra loro ca. 35 m, sono noti perlo più solo attraverso lafotointerpretazione, e là dove èstato possibile misurarnel’ampiezza sono risultati larghi m5. E’ verosimile che, come in altricentri antichi (Naxos per esempio),alcuni stenopoi abbiano svoltoun ruolo più importante,concretamente espresso dallamaggiore ampiezza. Si tratta di unaspetto documentabile solo inpresenza di scavi archeologici,che potrebbe tuttavia essere

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indiziato da forme di sopravvivenzae di continuità funzionale: sinoterà che il rettilineo dellaattuale SS che conduce al Poggiodi S. Nicola ricalca uno stenopos(del quale è verosimilmente piùampio), e che quando nel 210 a.C.Akragas fu presa dai Romani(Livio, XXVI, 40, 9) questiattraversarono Porta Marinamarciando in colonna verso ilForo, collocato in media urbis,quasi certamente nello stessoluogo dell’agorà greca.L’incrocio tra plateiai e stenopoisuddivide dunque l’area urbanain isolati di m 300 x 35 ca.,frazionati nel senso dellalunghezza da un canale didrenaggio (comunementedefinito ambitus secondo ladenominazione adottata perl’urbanistica di età romana)largo in media 40 cm. Gli isolatidovevano essere in prevalenzaregolari nonostante lacontrastata morfologia delterreno, ma è verosimile che inpiù luoghi sia stato necessarioricorrere a scale e gradinate persuperare i dislivelli, come è beneevidente per esempio nella zona

a valle del quartiere ellenistico-romano. Proprio tale differentestruttura morfologica potrebbeavere condotto alla scelta di unorientamento leggermentedeclinante verso Ovest per ilsettore nord-occidentale dellacittà, a monte del ruscello chealimenta la Kolymbethra. Ma sipuò andare forse ancora oltre:lo schema regolare offerto dallarestituzione fotogrammetrica, lecui tracce si leggono taloranella attuale partizione dei lottie nelle stradelle interpoderali,potrebbe celare più ampie ediffuse differenze diorientamento, ancora tutte daindagare, sia tramite mirateindagini di scavo, sia per mezzodel puntuale rilevamento a terradelle tracce visibili in foto aerea.Quartieri di abitazionedovevano inoltre sorgere ancheall’esterno della zonaorganicamente pianificata,come è bene dimostrato nel c.d.quartiere punico, un quartiere“artigianale” (vi sono statirinvenuti infatti anche pani diargilla cruda, ed ambientichiaramente destinati a

magazzini e depositi) portatoalla luce alla metà degli anni’80 nei pressi di Porta II. Sitratta di una zona interessatadalla presenza di un’area sacrafrequentata già alla fine del VIsec. a.C., sui cui resti siimpiantò dopo la distruzionecartaginese del 406 unquartiere attivo fino alla metàdel III sec. a.C., quando sidatano le strutture in crollo.L’orientamento dell’isolato sidiscosta notevolmente dal restodella città, e tuttavia anch’essoè ampio m 35 e diviso in sensolongitudinale da un ambitus didrenaggio largo ca. 50 cm;anche lo stenopos individuato aSud-Ovest, largo m 5,5,presenta le misure consuete. Latecnica edilizia qui adottatanon si fonda sull’uso dei concisquadrati documentati nellestrutture edilizie di età classica;è stata adottata invece latecnica detta “a telaio”, bennota e diffusa in Sicilia inambiente punico (Selinunte,Mozia), ed è per tale ragioneche l’area viene anche definitaquartiere “punico”.Particolarmente significativo èil dato cronologico: laricostruzione del IV sec. a.C. nonalterò l’impianto preesistente,anteriore al 406 a.C., mentre lapresenza di uno strato di crolloe incendio dimostra che gliedifici furono distrutti intornoalla metà del III sec. a.C.,verosimilmente in rapporto aglieventi della prima guerra punica.Non è possibile allo statoattuale riconoscere concertezza quale sia stato losviluppo della città già nella

Fig. 6 – Il quartiere ad Ovest dell’Olympie-ion (da DE MIRO 2000).

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prima fase, per quanto lapianificazione di un centrourbano nella sua interezzaappartenga alla tradizionedell’urbanistica greca coloniale.D’altra parte, gli scavistratigrafici condotti in alcunezone della città antica, comenel quartiere ad Ovestdell’Olympieion, hannodocumentato strutture di etàclassica perfettamente aderentialle insulae della faseellenistico-romana (fig. 6).Come in altre città greche, gliisolati già nel V sec. a.C. siriempiranno di case, dotate divani che di norma si aprono aSud su un cortile (intorno alquale sono a volte disposti adL); l’ampiezza standard dellacase sembra essere di m17,40/17,80 x 13,00/13,70(rispettivamente in senso E-O eN-S). Una situazione analoga èstata riscontrata nel quartierepunico presso Porta II, dove èstata ricostruita una sequenzadi lotti quadrangolari di m 17,5x 17,5 alternati a lottirettangolari di m 17,5 x 9,5.In definitiva, va messa in rilievonon solo la sostanzialeunitarietà dell’impiantooriginario, ma anche la suaforza cogente, poiché esso vienerispettato attraverso l’etàellenistica e imperiale, edancora oltre, fino ai tracciatidella strada statale e dinumerose strade rurali, oltreche nella attuale lottizzazioneagraria, fenomeno comune amolti centri antichi.

La cronologia dell’impianto

urbanistico si lega a quella deltempio di Zeus (Olympieion),realizzato probabilmente apartire dal 480 circa, cherappresenta il terminus ante quem.Il santuario è infatti inserito inmodo perfetto nel tessutoviario, ed è dunque ad essosuccessivo (fig. 7): si noterà cheè marginato a Nord dallaplateia I-L, e che il medesimoorientamento hanno gli edificidella prima metà del V secoloportati alla luce nel quartiere adOvest dell’Olympieion; inoltre,sia il tempio di Zeus che ilvicino tempio L, a differenza ditutti gli edifici sacri più antichipresenti in questa area (daltempio di Eracle al c.d. tempiodei Dioscuri), hanno ilmedesimo allineamento dellapianta urbana. Ciò è statointerpretato – già da F.Castagnoli, ed accolto dallastragrande maggioranza deglistudiosi successivi – comeobbedienza ad unapianificazione urbanistica checoinvolgeva l’intera città,piuttosto che come esigenza diculto, esattamente come è statoverificato nella polismagnogreca di Metaponto.Anche il terminus post quem perla realizzazione dell’impiantourbano sembra essere legato

agli scavi condotti nel settoreoccidentale della collina deiTempli, oltre ad una serie disaggi stratigrafici eseguiti incontrada S. Nicola. Su tali basiE. De Miro propone unadatazione alla fine del VI sec.a.C., mentre P. Griffo ritenevache le condizioni economichefavorevoli alla realizzazione diun impianto così vasto earticolato dovessero esseresuccessive alla vittoria diHimera del 480.In definitiva, l’impianto urbanodi Akragas è anteriore allaedificazione dell’Olympieion edel tempio L, e va datato nonoltre la fine del VI sec. a.C.,trovando confronti con altriimpianti per strigas noti incolonie siceliote e magnogreche.

All’interno dello schemadescritto trovarono posto learee pubbliche, sia quelle sacre,sia quelle destinate all’eserciziodelle attività politiche.L’ubicazione dell’agorà è stataoggetto, in particolare neglianni più recenti, di studi ericerche che hanno condotto adipotizzare l’esistenza di duedistinte agorai (“superiore” ed“inferiore”), localizzate nelsettore centrale della città,ipotesi che tuttavia non vede

Fig. 7 – Il settore centrale ed occidentaledella collina dei Templi (da MERTENS

2006).

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d’accordo tutti gli studiosi (siveda in particolare MERTENS

2006). E’ bene evidente in ognicaso l’esistenza di una vastazona pubblica, ancora non deltutto chiara nelle suearticolazioni, di raccordo tra iltemenos dell’Olympieion e lacollina di S. Nicola, con ampiearee destinate alle attivitàpolitiche, soggetta a profondetrasformazioni tra il IV-III sec.a.C. ed il I sec. d.C., e nella qualesono pure attestati pochi altriinterventi in età costantiniana.La c.d agorà superiore vienecollocata nei pressi della collinadi S. Nicola (fig. 8), in posizionecentrale e di cerniera tra lediverse aree della città,agevolmente raggiungibileattraverso la plateia E-F, comesi è detto la più ampia tra tutte,che in età romana costituirà(ma con un dislivello di ben 8m) il decumanus maximus. Letrasformazioni monumentaliche hanno interessato questazona ne hanno mutato in partefisionomia e funzione, poichéagli edifici sacri di VI-V secolo(riconosciuti attraverso letracce dei cavi di fondazione di

un temenos, sulla terrazza piùalta del poggio), succedono traIV e III secolo edifici pubblicicivili, dopo un’imponente operadi sbancamento e diregolarizzazione del versantesud del poggio. Il c.d.ekklesiasterion ed ilbouleuterion appartengonoinfatti ad età ellenistica:entrambi furono realizzatiprobabilmente alla fine del IVsecolo, ma non si può escludereche in precedenza funzionianaloghe fossero svolte inquesta stessa area (aMetaponto e Poseidonia sononote infatti in età arcaica eclassica strutture similiall’ekklesiasterion; proprio ilconfronto con Poseidonia hafatto ipotizzare che la strutturacircolare dell’ekklesiasterion,dotata di banchine ricavatenella roccia, potesse costituire illuogo centrale dell’areapubblica, tanto più che esso sitrova esattamente al centrodello spazio delimitato dalleplateiai E-F a Nord e G-H a Sud,che potevano così definirel’agorà). Sull’ekklesiasterion fueretto tra II e I sec. a.C. untempietto prostilo, il c.d.Oratorio di Falaride, mentre ilbouleuterion, dopo una fase diabbandono, fu trasformato inodeion in età imperiale. Indefinitiva, la sistemazionemonumentale dell’area pubblicasulla collina di S. Nicola definìin età ellenistica una vasta areaterrazzata, larga quattro isolatie lunga uno (circa m 160 x 300,strade comprese).Una “agorà inferiore” è statalocalizzata nei pressidell’Olympieion, subito ad

Nord-Est del santuario, servitadalla strada che uscendo dallaattuale Porta Aurea collegava lacittà al mare. In questa area(attualmente destinata aparcheggio) P. Griffo avevaindividuato intorno al 1950 unpiazzale con pavimentazione alastre. Il reticolo stradale ècostituito dalla plateia I-L (chemargina a Nord l’area pubblica)e da quattro stenopoi, ciascunobipartito da un ambitus didrenaggio: lo stenopos piùoccidentale corre sulla frontedell’Olympieion, collegandosiproprio a Porta Aurea, mentrequello più orientale è allineatocon il complesso monumentaledel Ginnasio, individuatonell’isolato a Nord della plateiaI-L. Negli isolati pertinentiall’agorà inferiore lo scavoarcheologico ha documentatol’esistenza di edifici pubblici,prevalentemente di etàellenistica, ma nei quali sonoattestati anche livelli di etàtardo-arcaica e classica: unedificio a pianta rettangolarenell’isolato 3, un complesso diambienti disposti ad L intornoad un cortile centralenell’isolato 1, e due grandiedifici rettangolari eretti tra VIe V sec. a.C. lungo l’asse dellaplateia I-L.Inoltre, proprio negli isolati aNord di questa, sono stateportate alla luce una serie distrutture murarie, una dellequali si sviluppa conorientamento NO-SE(parallelamente agli stenopoi)per circa 200 m, costituendoprobabilmente un muro diterrazzamento della metà del Vsec. a.C. circa. Su tale strutturaè stato messo in luce ilbasamento di un portico di etàFig. 8 – L’agorà superiore (da MERTENS 2006).

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ellenistica, identificato con unGinnasio già intorno al 1950 perla presenza di un lungo sedileiscritto con dedica di Lucio adHermes ed Herakles. A questidati si affianca la più recentescoperta in situ di due distintefile di sedili affrontati, ad unadelle quali appartiene l’epigrafegià nota; di estremo interesse èla scoperta di iscrizioni sullaspalliera dei nuovi sedili, cheattestano la dedica ad Augustoda parte del gimnasiarca Lucio,mentre il rinvenimento diframmenti di tegole coniscrizione “GYM” prova ladestinazione funzionaledell’edificio.L’ipotesi di associare il ginnasiodi età romana alla posizione delForo, il quale avrebbe potutooccupare lo stesso luogodell’agorà di età classica(situazione che si presenta conuna certa frequenza nelle cittàantiche), si fonda tra l’altroanche su un passo di Cicerone,il quale nelle Verrine (II, 4, 94)riferiva che il Foro della cittàromana era posto nei pressi deltempio di Ercole. Tuttavia, èstato notato che l’attribuzionead Eracle dell’edificio sacro chesovrasta Porta Aurea è di naturaerudita, fondata proprio sulpasso ciceroniano, il chesignifica che la stessaassociazione ginnasio-agorà(inferiore)-Foro romano èun’ipotesi ancora da dimostrare.Ha dunque forse maggiorcredito l’ipotesi che l’agoràfosse collocata nei pressi dellacollina di S. Nicola,agevolmente raggiungibileattraverso lo stenopos posto inasse con la posizione di PortaIV, che secondo una recenteproposta andrebbe collocata più

ad Est. Come già osservato, lanotevole importanza di questostenopos può d’altra partespiegarne la continuitàfunzionale fino ai nostri giorni.Tale ipotesi è peraltro piùconfacente al citato passo diLivio sulla presa di Agrigento adopera dei Romani.

La suddivisione urbana descrittaè stata talvolta riferita alloschema “ippodameo”, in modoimproprio tuttavia: è infattinella tradizione dell’urbanisticasiceliota e magnogreca (si vedanoi casi di Selinunte e Metaponto,ma anche Himera, Naxos eCamarina) l’elaborazione dipiani urbanistici regolaricontraddistinti da isolatiallungati (si parla, mutuandoun’espressione latina, diimpianti per strigas). Inoltre, lecaratteristiche dell’impianto diAkragas sono ben diverse daimoduli dell’urbanisticaippodamea, che peraltro, sulpiano cronologico, trova la suaespressione alcuni decenni piùtardi, in città pianificate tra lametà e la fine del V secolo(Thurii, Pireo, Rodi). Ulteriori considerazioniriguardano la distribuzionefunzionale all’interno dell’areaurbanizzata. I santuarioccupano sempre luoghirilevanti, vicini alle mura ed alleporte più importanti, in assenzadelle quali potevano essereserviti da una postierla che limetteva in comunicazione conl’esterno (si veda quella presso iltempio detto della Concordia),evidentemente anche perragioni di culto.

Per quanto riguarda i quartieridi abitazione, le informazioni in

nostro possesso sono ancoraframmentarie per le fasi piùantiche, a causa della lungacontinuità di vita attraverso leetà ellenistica e romana.Intorno al 1920 P. Marconiportò alla luce, sulle pendicimeridionali di quota 192, nelsettore nord-occidentale dellacittà, un quartiere di abitazioni,databile tra il VI ed il IV sec.a.C., caratterizzato da casedisposte a schiera, dotate dicortile in comune, pozzo ocisterna. Le case erano tutte dipiccole dimensioni (larghe 2/3m e profonde 2/4 m, di radofino a 6,25 m), di norma con unsolo ambiente (raramente astanza doppia); l’altezza nondoveva superare i 2,5 m, ed itetti erano a doppio spiovente.Gli scavi condotti a partire dal1970 nel settore posto tral’Olympieion ed il santuariodelle Divinità Ctonie hannorivelato l’esistenza di unquartiere con case disposte ablocchi, dotate di cortile ad L edambienti che si aprono su diesso, realizzate con blocchettidi pietrame.

Le aree sacre

L’aspetto più caratteristico,davvero peculiare per la città diAkragas, è la collocazione deisantuari urbani in luoghiparticolarmente rilevanti, per lopiù presso le mura ed invicinanza delle principali porte.Oltre al santuario di località S.Anna, sono stati identificati ilc.d. Santuario Rupestre, ai piedidel tempio di Demetra, e, alcentro del Piano S. Gregorio,quello dedicato ad Asclepio.Le più antiche aree sacre della

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città greca, dedicate alleDivinità Ctonie (Demetra eKore), si trovano – già alla metàdel VI secolo a.C. – nella partepiù occidentale della collina deiTempli, in particolare tra iltempio di Zeus e laKolymbethra, di fronte alsantuario extraurbano dilocalità S. Anna, anch’essodedicato alle Divinità Ctonie. Ilsantuario urbano sorge dunqueall’estremità della collina, inuna vasta area frazionata in treterrazzi, che vedranno sorgerevia via altari e tempietti, e nellaprima metà del V secolo dueedifici peripteri (c.d. tempio deiDioscuri e tempio L), oltre a duefondazioni sovrapposte relativea due templi non portati acompimento. Ulterioririfacimenti interessano l’areafino ad età ellenistica, quandosulla più alta delle tre terrazzeche scandiscono l’area fu erettoun portico ad L, che sisovrappose al muro di temenose alla lesche arcaica, ed unedificio circolare (tholos).Altri edifici di età arcaica sononoti sia al di sotto dell’attualetempio di Vulcano, dunquesullo sperone roccioso che stadi fronte S. Anna, sia nell’areadel tempio di Zeus, sia più adOccidente, nei pressi di VillaAurea. Quello sotto il tempiodi Vulcano è un tempietto inantis (?) di m 13,25 x 6,50,dotato di terracottearchitettoniche policromedatate alla metà del VI secolo,mentre al 530 a.C. circa èriferito l’edificio rettangolarevicino Villa Aurea,caratterizzato da una piantaallungata (m 31,55 x 10,35), dicui rimangono in vista pocopiù delle fondazioni.

Un altro temenos è statoindividuato, si è detto, sottol’ekklesiaterion.

Ma, come è stato notato, è il Vsecolo il momento in cuiAkragas assume un ruolo diparticolare rilievonell’evoluzione dell’architetturatemplare siceliota. Dopo il c.d.tempio di Eracle vengonocostruiti il tempio di Zeus(Olympieion) e quello dedicato aDemetra; quindi, uno dopol’altro, i templi peripteriagrigentini posti in fila lungo lacresta meridionale, dal c.d.tempio di Giunone Lacinia alc.d. tempio di Vulcano, cui siaffiancò il tempio di Atena sullacollina di Girgenti. Proprio talesequenza ha suggeritol’esistenza di una scuola diarchitetti, tesi alperfezionamento delleproporzioni tra il volumecomplessivo del tempio e lesingole membraturearchitettoniche, confermato inanni recenti da puntualirilevamenti strumentali.L’edificio più antico è il c.d.tempio di Eracle (tempio A),eretto alla fine del VI sec. a.C.Ha una pianta rettangolareallungata (m 25,33 x 67) grazieallo pteron profondo dueinterassi alle due estremità,dotato di una peristasi di 6 x 15colonne, e pronao edopistodomo distili in antis; lacella è piuttosto larga (quasi 12m), con la conseguenza che gliambulacri laterali risultanoalquanto stretti.L’Olympieion (tempio B) fu forserealizzato a seguito dellavittoria di Himera del 480, e diesso una suggestiva e puntualedescrizione ci è stata

tramandata da Diodoro (XIII, 82,2), che riteneva che si trattassedi un edifico mai portato acompimento; opinione oggi nonpiù da tutti condivisa. Costruitosu poderose fondazioni (altefino a 6,70 m) e crepidinepiuttosto elevata (5 scalini),misurava m 56,30 x 112,60/70,dunque con un quasi perfettorapporto 1:2 tra larghezza elunghezza. Lo sviluppo inaltezza è ancora incerto, poichéper le colonne sono stateipotizzare altezze variabili (tra19,20 e 21,57 m); quasi 6,50 mera l’altezza della trabeazione.Si tratta di un tempiopseudoperiptero, dotato di 7 x14 semicolonne all’esterno, cuicorrispondono pilastriall’interno, scandito in modopressoché perfetto in tre navatenel senso della lunghezza. Imuri della cella sono sostenutida robusti pilastri, aggettantisia all’esterno che, in misuramaggiore, all’interno; tripartitain pronaos, naos ed opistodomo,è dotata di unico pilastrocentrale sulla porta del naos,mentre pronaos ed opistodomosono privi di sostegni in antis. Ilnaos era ipetro, cioè privo ditetto, mentre le due navatelaterali, attraverso le quali siaccedeva da Oriente all’internodell’edificio, erano coperte datetti a doppio spiovente, conkalypteres dalle decorazionipolicrome; la sima era dotata digocciolatoi a protome leonina, ilcui unico esemplare noto vienedatato all’ultimo quarto del Vsecolo. Le pareti esterne eranodecorate con i telamoni,collocati circa a metà altezza,forse elementi strutturalioltreché estetici, destinatianche a reggere il peso della

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trabeazione. I due frontoni,infine, erano alti al centro circa6 m, e decorati conGigantomachia ad Est edIlioupersis ad Ovest.Il tempio di Demetra (tempio C),in età normanna trasformato inchiesa, dedicata a S. Biagio, sitrova nella zona sud-orientaledella Rupe Atenea. Databileintorno al 480-470 a.C., è unedificio ampio m 13,30 x 30,20,distilo in antis, cioè dotato didue colonne inquadrate tra leante della cella, non circondatada un colonnato (peristasi); iltetto era coronato da una sima(cornice) in calcare congocciolatoi a protome leonina.Dell’edificio antico è oggivisibile il vespaio di fondazione,a graticcio, e parte dell’elevatoin blocchi isodomi inglobatonelle strutture della chiesa. Lapresenza di due altari subito aNord del tempio, insieme alrinvenimento di offerte votive,statuette e busti fittili, haindotto ad attribuire il tempio aDemetra e Kore.Ai piedi di questo edificio,all’esterno della linea dellefortificazioni, si trova il c.d.santuario rupestre delle DivinitàCtonie, nel quale al momentodella scoperta furono rinvenutibusti fittili femminili. Si trattadi un complesso dalla strutturaparticolare, attivoprobabilmente dal VI agli inizidel III secolo; esso comprendedue grotte ed un “vestibolo”sulla fronte, di piantarettangolare allungata,collegato tramite un canale aduna serie di vasche.Sulla collina di Girgenti è iltempio di Atena (tempio E),

come si è detto inglobato neilivelli inferiori della chiesa di S.Maria dei Greci, databile pocodopo la metà del V secolo.Quasi nulla rimane (ma dovevaessere un periptero di 6 x 13colonne) del tempio L,identificato nel settore piùoccidentale della collina deitempli, ad Ovestdell’Olympieion.Ma ciò che colpisce di piùl’orizzonte è la sequenza diedifici sacri sulla c.d. collina deiTempli, eretti in massima partetra il 460 e la distruzionecartaginese del 406.Il tempio di Hera, o di Giunone(tempio D), è un doricoperiptero dotato di 6 x 13colonne (m 16,95 x 38,13),eretto su un alto basamento inposizione enfatica (fig. 9),all’estremità orientale dellacollina del Templi, ben visibileper chi proveniva da Est. Sullafronte si trova l’altare,monumentale, ampio quantol’edificio sacro.Il c.d. tempio della Concordia(tempio F) rivela caratterianaloghi al precedente, dalpossente basamento su cui èeretto, alle dimensioni, alnumero delle colonne. Costruitopoco dopo il tempio di Hera,

deve il suo stato diconservazione all’essere statotrasformato in basilica cristianaalla fine del VI secolo dalvescovo Gregorio, episodio chepure ha prodotto alterazioninella struttura originaria(realizzazione di arcate nei muridella cella).Infine, oltre i templi di Eracle edi Zeus, si apriva l’ampia areasantuariale prossima a Porta V,dove oggi svetta il tempioperiptero detto dei Dioscuri,anch’esso con peristasi di 6 x 13colonne. Realizzato nella primametà del V secolo(probabilmente intorno al 470-450), sono state risollevate intempi moderni quattro colonned’angolo, peraltro utilizzandoelementi diversi dall’area delsantuario.Chiude la serie, sulla piccolaterrazza che domina laKolymbethra, il c.d. tempio diVulcano (tempio G), della finedel V secolo, sempre dotato diuna peristasi di 6 x 13 colonne(m 20,66 x 42,82). La presenzadi bugne sulle colonne e sullacrepidine suggerisce che iltempio non sia stato portato acompimento, forse a seguitodegli eventi culminati conl’assedio cartaginese.

Fig. 9 – Il tempio di Hera (veduta da NO).

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Bibliografia essenziale

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D. DEORSOLA, Il Quartiere di Porta IIad Agrigento, in Quaderni diArcheologia dell’Università diMessina 6, 1991, pp. 71-105.P. GRIFFO, Akragas-Agrigento. Lastoria, la topografia, i monumenti,gli scavi, Agrigento 1997.D. GULLÌ, Agrigento prima dei Greci,in Quaderni di Archeologiadell’Università di Messina 3, 2003,pp. 5-83.M. LOMBARDO, E. DE MIRO, s.v.Agrigento, in BibliografiaTopografica della ColonizzazioneGreca in Italia e nelle IsoleTirreniche, vol. III, 1984, pp. 66-128.

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tteessttii ddii Giuseppe Barberaee Maria Ala

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La Valle dei Templi, per imonumenti archeologici e per ilpaesaggio agrario e naturaleche li contiene e li conserva, èinserita dall’Unesco, tra i“patrimoni dell’umanità”, il checonferma non solo il suostraordinario valore culturale,ma rafforza anche ilconvincimento che costituiscauna risorsa da valorizzare inquanto paesaggio culturale,espressione di una interazionedinamica tra l’uomo e la naturae testimonianza di una lunga,ininterrotta evoluzionebiologica e culturale (Barbera,Di Rosa, 2000). La creazione,con la L.R. 20 del 2000, di unParco della Valle dei Templidichiaratamente denominato“archeologico e paesaggistico”,non fa che confermarel’accresciuta consapevolezzadei valori della Valle e del suopaesaggio che è ascrivibile,secondo la classificazioneproposta da Meeus (1995) per ipaesaggi agrari europei, allatipologia della “colturapromiscua”: nei terreni miglioripianeggianti o subpianeggiantiil mandorlo e l’olivo prevalgonosui seminativi e sulla vite,

mentre il carrubo, il pistacchioe il ficodindia sono presenti neiterreni più poveri o conrocciosità affiorante. Nelle areedove maggiore è la disponibilitàdi risorse idriche, non mancano“giardini” di agrumi e fruttetiirrigui. Importanti sono anche ilembi di macchia, di comunitàrupicole e, seppure fortementedegradate, di comunità riparialiin alcuni tratti di fiumi. In questiultimi anni poi il paesaggio si èarricchito di porzioni dirimboschimento, realizzatesoprattutto con pini ed eucalipti.Il paesaggio della Valle è ilrisultato dell’incontro tra icaratteri naturali e l’ingegnodell’uomo, della lentaevoluzione del rapporto tranatura e cultura, di un progettocollettivo che ha misurato lanecessità di produrre con lerisorse disponibili e con icaratteri dell’ambiente. Unpaesaggio agrario tradizionale icui caratteri fondanti appaionomolto remoti: già nel 480 a.C.,Diodoro Siculo riporta lapresenza di vigneti e alberi dafrutto e le attività agricolerappresentarono insieme alcommercio la base principale

dell’economia durante ilperiodo greco. Alla base delsuccesso agricolo del territorioagrigentino è la sua fertilità,caratteristica che colpiscel’attenzione di Al-Idrisi,geografo arabo alla cortenormanna, che nel 1138 visitala città ormai arroccata sullacollina che “possiede orti egiardini lussureggianti, nonchéun’ampia varietà di prodottifrutticoli... Numerosi sono i suoigiardini, ben note le suederrate” e si conferma neiresoconti dei viaggiatori delGrand Tour che giunti per iresti archeologici scoprono unaricca agricoltura in unpaesaggio di straordinariafertilità (Barbera, 2003).Per J. H. von Riedesel (1767) “ildeclivio dalla città fino al mare...è coperto di vigneti, di olivi, dimandorli, di superbe biade, dilegumi eccellenti, insomma ditutte le produzioni che puòsomministrare la terra, piantatealternativamente con la piùgraziosa varietà, dove lepossessioni dei diversi proprietarisono separate da siepi di aloe edi fichi d’India... è un paesaggiodi delizie, vero e proprio Eden”.

Riscoprire il paesaggio agrario della Valle dei Templitra miti, storia, letteratura e tradizione

Giuseppe Barbera, Maria Ala

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Per P. Brydone (1770) “lacampagna... produce grano,vino ed olio in grandeabbondanza e allo stessotempo è ricolma di fruttamagnifica di ogni qualità:aranci, limoni, melegrane,mandorle, pistacchi... gli occhine gioivano quasi altrettantoche a rimirare le rovine da cuigermogliano”. Swinburne,baronetto di antica famigliacattolica che visita Agrigentonel 1777, scrive: “le rovinedella città antica appaionodistintamente tra la verdecampagna... Nessuno puòrendere giustizia alla bellezzadella valle... rigogliosamentecoltivata a sempreverdi ealberi di mandorli in fiore”. Aldi là delle descrizioni del vastopaesaggio punteggiato dallerovine, in Swinburne si cogliecon maggiore interesse, ilrapporto tra le rovine e glielementi vegetali. Per la Tombadi Terone, egli scrive che è“circondata da antichi alberi diolivo che proiettano unaselvaggia e irregolare ombra

sulle rovine”. Si tratta diun’attenzione che saràricorrente nel nuovo spirito.Del Tempio di Giunone Münter(1785) dirà: “Questa rovina èinesprimibilmente bella epittoresca. Ne ho viste pocheche facciano una impressionecosì sublime, poiché tutto, igiardini profumati, gli alberiche si intrecciano tra i ruderi...tutto contribuisce a riempirel’animo di un sentimento dipace solenne…”. Questasensibilità verrà evidenziata, daHoüel in poi, nell’iconografia

dei templi che accompagna laletteratura dei viaggiatori. Nel1794 Friedrich Leopold contedi Stolberg, di aristocraticafamiglia danese, amico diMünther e di Goethe, realizzail sogno del viaggio verso sud.Questi trova proprio adAgrigento l’atmosfera idealeper la sua sensibilità di poetastudioso e innamorato delmondo classico. Allospettacolo delle rovine delTempio di Giove resta colpitodalla forza della natura: “Ladistruttiva mano dell’uomodemolisce in un unicoammasso; il potente abbracciodella natura soltanto hapotuto scagliare questiingombranti massi in tantacaotica mescolanza. Sempregiovane, sempre vittoriosa,essa (la natura) sorride sotto lerovine di un’arte superba, maimponente: tra questi pilastrila terra fa spuntare unboschetto verdeggiante di fichi

Fig. 1 – Tête d’un géant du Temple de Jupi-ter Olimpien en Agrigente. Peint parHubert.

Fig. 2 – Rovine di Agrigento. Gustavo Straf-forello, 1891.

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e alberi di mandorle. Il primoalbero di pistacchio che io vidifu nel Tempio di Giove Olimpo,ed era un tempo coperto difiori e di rossi frutti appenaapparsi”. Della Valle scrive che“è ripartita in fertili campi digrano, vigneti, alberi di fico, emelograni. Questi frutti sonotutti eccellenti nella lorospecie: non potrò mai scordareil piacere che ho provato sottoun albero di gelso distraordinaria grandezza.Infatti, sebbene sopraffattidalla grande calura, noipotemmo sopportarla, andandodi rovina in rovina, taloracavalcando e taloracamminando, rinfrescati daquesti frutti paradisiaci. Lecoltivazioni di mandorlo sonoaltrettanto estese e lemandorle si mangiano ancoraacerbe, e a me sembrano moltopiù gustose di quando sonomature; oltre a ciò sonoritenute molto salutari. Alberidi olivi e fertili campi di granodeliziano la vista d’ogni parte”.Ed è significativo che Stolbergconcluda il suo resoconto suAgrigento e, insieme, il terzovolume delle sue “lettere” conentusiastica descrizione della“ferula o finocchio giganteselvatico” di cui esalta lequalità prodigiose e chericollega ai più antichi miticantati dai più grandi poetigreci, citando brani di Esiodo,Eschilo ed Euripide. “Ho conosciuto qui la ferula ofinocchio gigante, una piantache produce un fiore adombrello o ciuffo. I Greci lochiamavano nardex. Essoraggiunge l’altezza di un uomoe assomiglia al finocchio chequi cresce altrettanto alto, e lo

stelo è cavo e ripieno di unasorta di essenza che si accendecome un fiammifero e a lungocontinua a brillare. Da ciò gliantichi immaginavano chePrometeo portò il fuoco dalcielo nello stelo di questapianta...”.Ancora più celebri le parole diGoethe che soggiorna adAgrigento dal 23 al 27 aprile1787. “Girgenti, martedì 24 aprile1787.Una primavera splendida comequella che ci ha sorriso stamaneal levar del sole, certo non ci èstata mai concessa nella nostravita mortale. ... Dalle nostrefinestre abbiamo contemplatoin lungo e largo il lieve decliviodella città antica, tutto rivestitodi orti e di vigneti, sotto la cuiverzura non si supporrebbenemmeno la traccia di quartieriurbani un tempo così vasti ecosì popolosi. Il tempio dellaConcordia si vede appenaspuntare all’estremitàmeridionale di questo pianotutto verde e tutto fiori...”.Con precisione scientificaGoethe, scrive ancora:“Girgenti, giovedì 26 aprile 1787.... Per piantar le fave usavano ilsistema seguente: praticanobuche nel terreno a giustiintervalli, vi gettano un pugnodi letame, aspettano la pioggiae poi seminano... L’ordine incui avvicendano le colture è:fagioli, grano, tumenia; alquart’anno il terreno vienelasciato a maggese. Per fagioliqui s’intendono le fave. Ilgrano è meraviglioso. Latumenia, il cui nomederiverebbe da bimenia o datrimenia, è un bellissimo donodi Cerere, una specie di grano

estivo che matura in tre mesi.Lo seminano da Capodannofino a giugno ed è semprematuro alla data stabilita. Nonabbisogna di pioggiaabbondante, ma di forte caldo;all’inizio la foglia è moltodelicata, ma poi cresce insiemecol grano e alla fine si rafforzaassai. La semina del granoavviene in ottobre e novembre,e a giugno è maturo. Ai primidi giugno è anche maturol’orzo seminato a novembre...Le superbe foglie dell’acanto sisono aperte. La Salsolafruticosa cresce abbondante... Ifichi avevan messo tutte lefoglie e cominciano a spuntarei frutti... I mandorli eranocarichi; da un carrubo potatopendevano baccelli a nonfinire. L’uva da tavola vienetesa su pergolati sorretti dalunghi pali. A marzo piantano ipoponi, che a giugno sonomaturi: crescono prosperosi inmezzo alle rovine del Tempiodi Giove, senz’ombra diumidità. Il vetturino mangiavadi buon appetito carciofi ebroccoli di rapa crudi; bisognadire che sono più dolci esucculenti dei nostri. Quandosi attraversa un campo icontadini lasciano per esempiomangiar fave a volontà”.Charles Didier, ventiduennetormentato ed inquieto, giungein Sicilia nel 1829 e visoggiorna per sei mesi. Durantela sua visita ad Agrigentorimane particolarmente colpitodal Ficodindia e così scrive: “itempli si nascondono in parte,qui sotto la pallida ombradell’olivo, là tra il fogliamespesso e cupo del carrubo. Ilcolore giallo e ardente dellecolonne contrasta col verde dai

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mille riflessi, dalle milletonalità. Il fico d’India siimpadronisce di ogni angolo espande sulle pietre le sue fogliegrasse e immobili; insensibile alsoffio della brezza, non si piegamai su se stesso; è rigido,inerte, lo si crederebbe più unfinto arbusto, metallico,anziché una pianta con linfa evita; accanto a lui, al contrario,il mandorlo muove i suoi ramileggeri e flessibili al minimosoffio di vento...”. Profetiche, rispetto alle recentivicende urbanistiche, sono leparole dell’economista Laugel(1872): “La natura è meglio diquanto siano gli uomini; conquale manto meravigliosoavvolge questi grandi simulacridi una religione antica! Ilfogliame argentato degli ulivi, ifiori rosa dei mandorli, i verdigermogli dei fichi, l’erba alta, ifiori di campo stendono unmeraviglioso manto sul grandecimitero”.Frances Elliot Minto, nel suofortunato Diary of an idlewoman in Sicily, pubblicato aLondra nel 1881, descrive cosìla Città dei Templi: “Girgenti,la magnifica, Akragas dei greci,Agrigentum dei romani, è unacittà luminosamente bianca,arroccata su di un’altura difronte al mare. La storia sidimentica dinnanzi allostupendo panorama, secondoin bellezza solo a quello diTaormina. La squisita armoniadelle coltri di verdi spighe e divigneti in germoglio che sirincorrono con le ondepurpuree dei boschi: qui e lì unfico o un carrubo delimitano icampi di grassa erba cosparsidi fiori, giù fino alle muragreche, cintura d’oro sul mare

cobalto e turchese, a fascedigradanti nell’azzurro piùtenero fino all’incontro colcielo... Quando al mio arrivodiedi uno sguardo alpanorama, dai luridi vetri dellamia finestra, appena realizzaiche cosa mi stava di frontericaddi in un estaticorapimento che non riescoancora a dimenticare...Cerchiamo di immaginare, enon è difficile, un giovanegreco senza pensieri, sdraiatolungo l’argine, con la faccia alsole, in attesa di una Lesbia odi una Cloe, mentre respiral’arte nella natura intorno. …ledivinità fluviali inseguono leninfe tra gli alti canneti; lebaccanti col capo adorno dipampini d’uva battono il ritmoesasperato delle danze dellaLidia: ogni cosa, invitante,parla ai suoi sensi. La terraricca offre frutti, selvaggina,pesci, subito preparati nellepiccole capanne sotto lepalme, dove i pastorizufolando conducono le greggidal vello soffice all’ombra deipergolati, mentre i flauti diPari risvegliano echi di motivipastorali nel folto dei giardini”. Nel 1896 Gastone Vuillier giuntoad Agrigento scrive: “La notteera dolce ed io feci tardi sulbalcone dell’albergo, addossatoalla città. Da quell’altezza mipareva quasi librarmi nellospazio; la luna splendeva nelcielo, ove qualche stella filavaancora... Tutto il piano dormivain un diafano mistero, e inlontananza, attraverso i pallidiulivi e i neri carrubi,intravedevo, come in un sogno,colonnati dei templi antichi. Ilpaesaggio era grandioso... Lanatura s’è nuovamente

impadronita di quell’anticosepolcro d’un popolo e fioriscesulla terra cruenta e stillaprofumi nelle ceneri dei morti...giunsi presto al Tempio diConcordia... Esso domina selved’ulivi, di messi ed infine ilmare...”.Il milanese Luigi VittorioBertarelli segna, invece, l’iniziodi un nuovo modo di affrontareil viaggio, più vicino ai nostricanoni, sempre menocircondato da suggestioni emiti. Bertarelli viaggia inbicicletta raggiungendo la Valledei Templi che descrive inquesta maniera: “La strada ècompletamente deserta, ilterreno in qualche parteincolto, coperto di palme nane(Chamaerops humilis), i campibordati di lunghe righe di agavispinose, il cui scapo fiorito sialza in fusti sottili e graziosifino ad otto metri. Nell’ariaardente, che brucia le fauci,tutto oscilla: dove unatumefazione del terreno portala strada un pò’ in su e l’occhiocorre tangente alla curva chesale, ivi il tremolìo dell’ariacalda è così vivo, che un fiumeinvisibile si direbbe scorra sullaterra. L’arsura traspare dallefoglie anelanti, di legniscrepolati, dal suolo pieno difenditure, dai colorì, dalsilenzio, dal cielo infuocato. E’un paesaggio africano”.Attraverso questo excursus èpossibile confrontare leimmagini del paesaggiodescritto o disegnato con quelledel paesaggio esistente;confronto dal quale si puòconstatare la verosimiglianzadelle stesse immagini e dedurreche esso non è sostanzialmentecambiato da quando la Valle dei

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Templi è diventata anche“paesaggio culturale” (Barbera,Di Rosa, 2000).

Il paesaggio dell’arboricolturaasciutta: il “bosco di mandorlie ulivi”

Il paesaggio agrario della Valledei Templi riconosce nelmandorlo e nell’olivo la suacomponente vegetale piùcaratterizzante. E’ un paesaggioche ricorda una paginaimportante nella storiadell’agricoltura siciliana: quellache, a cavallo tra il XVIII e XIXsecolo, ha visto lavalorizzazione attraverso glialberi da frutto delle colline deilatifondi prima dominate dalpascolo e dai seminativi.Il mandorlo, che fiorisce nelpieno inverno da dicembre amarzo con colori che vanno dalbianco candido alle variegradazioni di rosa, è uno deglielementi che più alimentano ilmito dell’eterna primavera del

sud, coprendo le colline dellaSicilia interna, come quella diAragona che scrive Bartels(XVIII secolo) ha “tanti mandorliquante stelle ha la via Lattea”.Insieme all’ulivo dà vita alpaesaggio definitodell’arboricoltura asciutta, persua resistenza all’aridità, e al“bosco di mandorli e ulivi” dellaValle così come definisce LuigiPirandello nel suo romanzo “Ivecchi e i giovani”, il paesaggioasciutto del mandorlo edell’ulivo della Valle dei Templi.Il mandorlo, non ha particolarinecessità nei confrontidell’acqua tradizionalmentescarsa nell’isola e si adatta asuoli con rocciosità affiorante e,come nessuna altra specie dafrutto, ai terreni calcarei,entrambi molto diffusi. Ha,inoltre, necessità diinvestimenti ridotti e di limitatecure colturali, risultando cosìidoneo a sistemi agricolimarginali come sono quelli dellearee interne collinari. Il frutto,prodotto tipico dell’economia dì

sussistenza, ma allo s tessotempo richiesto dai mercatiinternazionali, si conservafacilmente a lungo,sopportando trasporti disagevolianche per lunghi viaggi(Barbera, 2000). Il mandorlo, originario delleregioni montagnose dell’Asiacentrale, arriva nel bacinomediterraneo in epoca e incircostanze ignote. Certamentedall’Asia Minore, comedimostrano alcuneconsiderazioni linguistiche e leconnessioni con i miti greci,che spesso lo citano, e piùantichi miti orientali. Ilmandorlo, in Sicilia sembraessere presente già nel Vmillennio a.C., come evidenziauna recente esplorazionepaleobotanica condotta nellaGrotta dell’Uzzo nei pressi diSan Vito Lo Capo (Trapani), cheha portato al rinvenimento dialcuni semi carbonizzati già inquel periodo. La tradizionevuole, però, che sia giunto con iFenici o, anche più tardi,tramite la dominazione greca.Catone (che per primo impiegail termine utilizzato dagliscrittori latini nux grecae),Plinio e Columella sonotestimoni della sua diffusionenel mondo latino e decisipropugnatori, con indicazioni dicarattere agronomico ancoraattuali, della sua espansione incoltura (Barbera, 2000).L’esportazione dall’isola apparegià attiva nel IV secolo a.C.,come dimostrerebbero alcunemandorle di origine siciliana,

Fig. 3 – La Valle dei Templi imbiancata daimandorli in fiore, 1920 ca. (Fotote-ca Museo Civico di Agrigento).

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rinvenute in un relitto al largodell’isola di Maiorca. Perquanto riguarda la Sicilia, sonoparticolarmente interessanti letestimonianze del viaggiatorearabo Al Idrisi (XII secolo), chericorda l’esportazione da Carini,e la diffusa presenza neifrutteti promiscui della Concad’Oro. E’ però tra il XVIII e il XIXsecolo, che i mandorli vengonodiffusi ampiamente nell’isola,soprattutto nei pressi dei centriabitati dove vi è disponibilità dilavoro contadino e si ha ladiffusione di contratti dienfiteusi che minano la grandeproprietà latifondistica. Viene

impiantato insieme all’ulivo,spesso seguendo la vite, neiterritori interni a dimostrareinsieme evoluzione tecnica,nuova organizzazioneterritoriale e certezza delpossesso. Alla diffusione dellaspecie molto contribuiscel’opera di Paolo Balsamo, primoagronomo siciliano moderno,convinto assertore degli alberi ein modo particolare delmandorlo. Agli inizi dei XIXsecolo, infatti così si pronuncia:“... non dubito di riputare ilmandorlo, come uno dei piùutili, e pregevoli alberi traquelli, che vi sono in Sicilia, ed

oso pronunziarlo uguale, osuperiore in merito all’istessoulivo. Certo che questo dura dipiù, e negli anni più fertili dàassaissimo, ma quello è piùpresto a dar frutto, losomministra quasi regolarmenteogni anno, e chiunque sa diraccolto delle mandorle èincomparabilmente menocostevole che quello delle ulive”.Dal XVIII secolo la diffusionedella coltura è rapida in tuttal’isola, con un incremento dellesuperfici particolarmenteavvertito negli anni a cavallodei secoli XIX e XX, quando laspecie si estende a scapito dei

Fig. 4 – Il “bosco di mandorli e ulivi” della Valle dei Templi (Foto di A. Pitrone).

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vigneti distrutti dall’invasionedella fillossera. E’ a partire daglianni ‘60, con l’espansione dellamandorlicoltura californiana espagnola e l’affermarsi di queisistemi colturali intensivi, cheinizia il regresso economico etecnico della specie in Sicilia. Lacoltura del mandorlo nella Valledei Templi, e in generale nelterritorio agrigentino, ha fattoregistrare il crollo delleproduzioni, come riflesso dellaconcorrenza esercitata dacolture ritenute piùremunerative e di unprogressivo abbandono chegiunge, oggi, fino alla mancataesecuzione delle operazionicolturali più elementari(Barbera e Monastra, 1989).A ciò si aggiunge il tristefenomeno della morìa deimandorli, con conseguentediradamento dell’arboreto,

dovuto al propagarsi di diversemalattie fungine (gommosiparassitaria, cancro dei rami edelle gemme, carie dei tronchiecc.) che lentamente, com’è neicaratteri propri di questepatologie, si diffondono in tuttele parti della pianta causandonela morte in breve periodo.Diverse superfici risultanocompletamente prive di alberi enelle altre, la densità diimpianto è scesa dalle 150-200piante ad ettaro di un buonmandorleto tradizionale, alle50-80 attuali. Il dannomaggiore prodotto da questograve fenomeno, è la scomparsadi parte delle varietà, o megliodi eco-tipi, di mandorlo chespesso sono proprie della Valle enon si ritrovano altrove. Traqueste sicuramente le piantecon la suggestiva fiorituradicembrina (Lo Pilato, 1995).

Nel 1997, un’azione volta asalvare e conservare labiodiversità del mandorlo, si èconcretizzata nellarealizzazione del MuseoVivente del Mandorlo intitolatoal Prof. Francesco Monastra,con il supporto dellaSoprintendenza BB.CC.AA diAgrigento e della ProvinciaRegionale di Agrigento. Uncampo collezione che conservacirca 300 varietà tradizionalidell’antica mandorlicolturasiciliana, recentementearricchito dalle collezionivarietali siciliane di pistacchio,carrubo, olivo. Il disegno ricalcal’aspetto di un mandorletotradizionale dove frammisti aimandorli, si trovano olivi,carrubi, pistacchi, gelsi, sorbi earbusti caratteristici dellafrutticoltura non irrigua dellaSicilia. Un mandorleto, oltre

Fig. 5 – Il Museo Vivente del Mandorlo “Francesco Monastra”.

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che a conservare la biodiversità,ha anche la funzione dimostrare, con finalitàdidattiche, le tecniche colturalidell’agricoltura tradizionale.Servirà, come banca digermoplasma, a valutare levarietà in funzione del lorovalore paesaggistico fino adiffonderle in modo, adesempio, da offrire fioriturecontinue da dicembre ad aprile,bianche o colorate con tutti itoni del rosa, e potrà stimolarela promozione di produzioniartigianali, come quellepasticciere, legate al mandorloe ai suoi prodotti. Dovrà, indefinitiva, non solo conservarele risorse genetiche dellaspecie, ma costituire, anche,un’utile indicazione per lasalvaguardia del paesaggioagrario tradizionale della Valle,un originale esempio dimusealizzazione all’aperto(Barbera, 2000). Fondamentale per lo studiodella biodiversità e per ilrecupero paesaggistico deisistemi agrari e naturalidegradati e, nell’accezione piùampia, per la tutela evalorizzazione del paesaggioculturale della Valle dei Templi,è un laboratorio attrezzato perla caratterizzazione e laconservazione di germoplasma,recentemente realizzato in unantica masseria ottocentescanota come “Case Fiandaca”,grazie a un’azione comune delParco Archeologico ePaesaggistico della Valle deiTempli e il Dipartimento diColture Arboree di Palermo.Nell’antica casa rurale èprevista anche una sezioneetno-antropologica cheraccoglierà testimonianze

materiali della storia e dellacultura e che considererà nonsolo la fase agricola ma anchequella di lavorazione etrasformazione, comprendendo,così, anche le produzioniartigianali pasticciere. Dovrà, indefinitiva, non solo conservarele risorse genetiche della speciema costituire, anche, un’utileindicazione per la salvaguardiadel paesaggio agrariotradizionale e dei suoi valori(Barbera, 2003).Tradizionalmente per far caderei frutti dei mandorli della Valle, irami venivano “bacchettati” condelle lunghe canne secche cheprovenivano dal Giardino dellaKolymbetra. Qui gli agricoltoridopo aver raccolto le canne dalfiume, le facevano asciugare alsole poggiate agli alberi diarancio, per poi venderle, riunitein fasci e divise per altezza, perla raccolta delle mandorle edelle olive, ma anche per lacoltivazione della vite e dialcune specie da orto (Ala, 2005). Il frutto può essere consumatointero, dalla formazione(allegazione) all’indurimentodel guscio. I semi si utilizzanosia allo stato fresco, a partiredal mese di giugno, quando icotiledoni delle varietà aguscio premice e semipremice(mollesi) sono induriti, chesecco. I semi allo stato seccosono impiegati per il consumodiretto e soprattutto inpasticceria per la produzionedella pasta “reale”, che siottiene macinando i semi emiscelandoli con lo zucchero. Ifrutti di “martorana” (dal nomedi un vecchio conventopalermitano), venduti comedolci tipici durante le feste deimorti, sono costituiti solo di

questa pasta, mentre gli“agnelli pasquali”, dolci aforma di agnello, ricoperti diglassa e confetti, sonopreparati anche con un cuoredi pasta di pistacchio.Tradizionale è anche laproduzione di “latte dimandorla”, una emulsione dizucchero e mandorle pelate epestate e filtrata più volte che,bevuta fredda in estate, rendeplausibile ciò che scriveva untrattato francese di fitoterapiadegli inizi dell’Ottocento circai suoi benefici effetti “sugliipocondriaci, sui romanzieri,sui poeti, il cui cervelloaffaticato dagli sforzi diun’immaginazione ardentecade talvolta in un vago deliriocon l’avvicinarsi della notte”(Barbera, 2007). Oltre che come alimento, i semisono impiegati in farmacopea.L’olio di mandorle, ottenuto perpressione a freddo, ha funzioniriconosciute di tipo analgesicoed antinfiammatorio, ed èutilizzato sia in medicina che incosmetica. E’ tradizionalmenteadoperato in Sicilia come“rinfrescativo e purgativo,adoprandolo in qualunquetempo, ora e momento ed inqualunque malattia” (Sestini,1780). Dopo l’estrazionedell’olio, la farina residua puòutilizzarsi tal quale o unita allafarina di frumento. I gusci, dopol’estrazione dei semi, un tempovenivano utilizzati comecombustibile solido. Il malloveniva impiegato sia perl’alimentazione animale sia,dopo l’incenerimento, per laproduzione di carbonato dipotassio (lisciva o potassa)usato come fertilizzante e per laproduzione di sapone molle che,

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ottenuto con la cenere dellabruciatura dei malli, mescolataad olio o grasso animale, è statoimpiegato per usi domestici finoagli anni ’50. Di questa anticausanza ne parla anche Goethenel 1827, durante il suosoggiorno ad Agrigento: “Igambi delle fave vengono arsi, ene ricavano una cenere cheadoperano per il bucato. Nonusano sapone. Bruciano pure igusci delle mandorle e se neservono in luogo della soda,lavando la biancheria prima conl’acqua e poi con questa lisciva”.La corteccia delle radici delmandorlo è stata usata comecolorante naturale, mentre gliessudati gommosi del tronco,conosciuti come “gomma delpaese”, come sostituti dellagomma arabica (Barbera, 2000). Insieme ai mandorli, gli enormi“ulivi saraceni”, citati così daPirandello nel romanzo “I vecchie i giovani”, costituiscono il“bosco di mandorli e ulivi” dellaValle, dando vita a “gruppi dimeravigliosi alberi... a cuisoltanto il magico tocco delCreatore potrebbe renderegiustizia”, come scriveva illetterato inglese HenrySwinburne nel 1777. Nei vecchiimpianti di mandorli e ulivipromiscui e in consociazione,l’impalcatura era molto alta,fino a 2 m, per non ostacolare ilpassaggio di animali econsentire le colture erbacee.L’altezza più frequente è peròintorno a 1,20-1,40 m e solonegli impianti più recentiscende al di sotto di 1 m. Per

quanto riguarda le lavorazioni,tradizionalmente si operava 2-3volte l’anno - in novembre, infebbraio dopo la fioritura e inaprile-maggio - ricorrendo allavoro animale e all’aratro achiodo (Barbera, 2000).L’olivo è l’albero che più ditutti ha seguito la natura e lastoria dell’uomo, almeno daseimila anni. L’uso, invecedell’oleastro è ancora piùantico. Dalla Mezzaluna fertilel’olivo si diffuse nel secondomillennio verso Occidente.Arriva nella Grecia antica dovesarà considerato l’albero dellaciviltà come la quercia eradella mitica età dell’oro,quando gli uominimangiavano le ghiande.Secondo la mitologia è donodella dea Atena che ottiene digovernare sull’Attica perché,piantando il primo olivosull’acropoli, ha regalato agliuomini “il dono migliore” e hacosì vinto la disputa conPoesidone che aveva dato indono un cavallo. L’albero diAtena che darà il nome allacittà, era ancora venerato aitempi romani; nei saccheggicui fu sottoposta Atene gli

alberi sacri furono risparmiatidagli spartani.Per i Greci, del resto abbattereo bruciare olivi era un reatopunito dagli dèi, ma non daipersiani che non riuscironoperò a sopprimerli visto chesubito riformarono, ricacciandodalle radici, nuove chiome(Barbera, 2007). Nel VI secoloa.C., l’olivo era ancoraconosciuto in Italia, Spagna eAfrica. Virgilio scrive nelleGeorgiche: “Al contrario non c’ènessuna coltura per gli olivi.Essi non attendono la roncolaricurva e o rastrelli resistenti,quando hanno attecchito suicampi e sopportato le brezze.Da sola alle piante offre umorebastevole la terra se aperta conun dente adunco, e se arata conun vomere darà frutti pesanti.Perciò fai crescere il pingueolivo caro alla Pace”.Plinio, circa l’uso della specie,scrive: “I greci, promotori diogni vizio, ne hanno indirizzatol’impiego alla mollezza,diffondendone l’uso nei ginnasi...La maestà romana ha riservatoall’olivo un alto onore, perchécon esso vengono incoronati glisquadroni di cavalieri...”.

Fig. 6 – Vecchi impianti di mandorli e ulivipromiscui, in consociazione con col-ture cerealicole, 1920 ca. (Fotote-ca Museo Civico di Agrigento).

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La Bibbia testimonia lacoltivazione dell’olivo nelleterre della Palestina e moltisono i riferimenti a questaspecie nella Genesi, nell’Esodo,nel Levitico, nel Deuteronomio.L’olivo sarà albero sacro per lareligione ebraica, per quellacristiana e per quella islamica.L’innesto degli oleastri o le piùantiche tecniche dimoltiplicazione che utilizzanola capacità della specie diemettere radici da parte diporzioni della parte aerea,possono aver dato origine agliulivi della Valle, classificatioggi come “monumentali”,perpetuando anche così e per il

sovrapporsi nei secoli di storie,leggende, riti, il valore sacrodella specie. “Alberi non amisura di vita umana e chehanno perciò a che fare con lafede e con la religione”, cosìscriveva Leonardo Sciasciariferendosi ad alcuni olivisiciliani. L’età di questi alberi èconsiderevole, ma impossibile adeterminarsi ricorrendo allaconta degli aneli diaccrescimento che siaggiungono uno sull’altro,anno dopo anno, a far crescereil tronco. Dagli ammassi digemme che formano le formeglobose conosciuti come ovoliche si trovano alla base del

tronco (il pedale o ciocco),infatti, si formano incontinuazione nuovi tronchiche si sovrappongono nel corsodei secoli. Questo modo dicrescere è all’origine dellaforma contorta e dellasopravvivenza millenaria dialberi che Pirandello chiamava“saraceni”. In effetti, glistudiosi di olivicoltura,assegnano all’olivo addiritturala qualifica di albero perenneosservando che quando muorela parte aerea (per il taglio, unincendio, un fulmine), dalpedale riparte sempre unpollone pronto riformarel’albero. Nella Valle i

Fig. 7 – Mandorli in fiore e ulivi monumentali della Valle dei Templi.

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monumentali ulivi saraceni,con le loro straordinarie formee dimensioni sono ancora lì atestimoniare, insieme aimandorli, il lento trascorreredel tempo.

Il paesaggio dell’arboricolturairrigua: il “Giardino dellaKolymbetra”

Accanto al paesaggiodell’arboricoltura asciutta delmandorlo e dell’olivo della Valle,laddove maggiore è ladisponibilità di risorse idriche esolitamente in prossimità diedifici rurali, agrumeti e fruttetiirrigui danno vita al paesaggiodell’arboricoltura irrigua. Tra igiardini di agrumi della Valle,quello della Kolymbetra sicarica di un ulteriore estraordinario valore storico-archeologico. Il “giardino”, così come sichiamano in Sicilia gli agrumetitradizionali per sottolinearnel’utilità e la bellezza che essiracchiudono, è coltivato infattiin una piccola valle all’estremitàoccidentale della Collina deiTempli tra il Tempio dei Dioscurie il Tempio di Vulcano, nel sitoidentificato con quello dellapiscina greca (kolumøqra=piscina, bagno, cisterna,peschiera) di cui scrive DiodoroSiculo nel I sec. d.C., a propositodei lavori compiuti dagli schiavicartaginesi dopo la battaglia diHimera (480 a.C.) (Barbera etal., 2005). Essi “abbellirono lacittà e il territorio... questitagliavano le pietre con le qualinon solo vennero costruiti i piùgrandi templi degli dei, mavennero costruiti anche gliacquedotti per gli sbocchi delle

acque della città... Fusovrintendente di queste operel’uomo, che avendo ilsoprannome di Feace, fece sìche, per la rinomanza dellacostruzione, da lui gliacquedotti venissero chiamatiFeaci. Gli agrigentinicostruirono anche una sontuosapiscina che aveva lacirconferenza di sette stadi e laprofondità di venti cubiti: inessa vennero condotte le acquedei fiumi e delle sorgenti,diventando così un vivaio, cheforniva molti pesci perl’alimentazione e per il gusto; epoiché moltissimi cignivolavano giù verso di essa, lasua vista era una delizia. Ma inseguito trascurata, venneostruita, e infine, distrutta perla quantità del tempo trascorsoe gli abitanti trasformaronotutta la regione, che era fertile,in terreno piantato a viti, edensa di alberi di ogni tipo, cosìda ricavarne grandi rendite”. Quando all’orto ed alle pianteda frutto si aggiunsero gliagrumi, prese la denominazionedi giardino per sottolineare,come si usa in Sicilia, lacoincidenza dell’utilità e dellabellezza in un campo coltivato.Così avviene almeno dagli anniin cui furono introdotte, nei“sollazzi” dei re arabi e poinormanni, le più importantispecie agrumicole e anchequando, dalla metà del XIXsecolo, si affermerà lamonocoltura indirizzata aimercati del nord. Ciòtestimonia come ad essi sianoriconosciute, non disgiuntedalle produttive, funzioniculturali fondate sul piacereestetico e sensoriale che derivadalla forma degli alberi, dal

colore e dal sapore dei frutti,dall’appariscente e profumatafioritura della zàgara,dall’ombra e dalla frescuraassicurata dalla chiomasempreverde. Nella Siciliaorientale, ancora gli agrumeti sidefiniscono “paradisi” e aPantelleria si chiamano“giardini” imponenti edifici dipietra a secco che conservanoun solo albero di arance olimoni.Non più coltivato negli ultimiventi anni, il giardino dellaKolymbetra rischiava discomparire e con esso, unacultura materiale e unpaesaggio, ogni giorno semprepiù minacciati. Finché nel 1998il FAI - Fondo per l’AmbienteItaliano - firma unaconvenzione con la RegioneSicilia, che concede l’area per25 anni in cambiodell’intervento di recuperoambientale e paesaggistico del“giardino”. Portato a termine ilprogetto, il giardino dellaKolymbetra è stato aperto alpubblico il 9 novembre del 2001con l’obiettivo di restituire aivisitatori un paesaggio agrario,ma anche culturale diinestimabile valore (Ala, 2005).L’abbandono nascondeva unalunga storia produttiva fondatasulla fertilità del suoloalluvionale, sull’abbondanzadelle acque e su un microclimache le pareti di calcareniteassicurano mite per l’interoanno. Nelle zone più acclivi, lagariga e la macchiamediterranea si presentavanocon esemplari di mirto eterebinto di dimensionieccezionali, mentre il degradonascondeva, fino a soffocare,ciò che restava di un paesaggio

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culturale di grande valorestorico, agronomico epaesaggistico: nel fondovalle, aldi là del piccolo e perennefiume bordato di canne, un

giardino mediterraneonell’accezione di un orto-frutteto e in particolare di unagrumeto e, nelle zone nonirrigue, l’arboreto asciutto del

mandorlo e dell’olivo (Barberaet al., 2005).L’intervento di recupero è statovolto a conservare l’uso delsuolo, le specie, le varietà, letecniche agronomiche, ilpaesaggio dell’agricolturatradizionale, favorendo conpiccoli interventi(camminamenti, sedute,attraversamenti) la visita e laconoscenza di un “giardino” chemantiene i caratteri di unsistema e di un paesaggioagrario storico: quello dell’orto-agrumeto siciliano.Quando nel 2000 si è datol’avvio al recupero, il primointervento è consistito

Fig. 9 - Il Giardino della Kolymbetra con il Tempio di Castore e Polluce sullo sfondo.

Fig. 8 - Tempel des Castor und Pollux. G.F.von Hoffweiler, Sicilie, Leipzig, 1870.

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nell’eliminazione della florainfestante che coprivainteramente il suolo fino asommergere gli agrumisopravvissuti. Solo allora èstato possibile leggere ilgiardino in tutti i suoi elementicostitutivi: l’originario sestod’impianto degli agrumi, imanufatti del sistema irriguotradizionale, la trama deimuretti a secco, iterrazzamenti, i sentieri, gliattraversamenti. Gli interventihanno riguardato il ripristinodelle colture agrarietradizionalmente praticate, lacura degli spazi naturali,nonché il restauro dei muretti asecco e dei manufatti diparticolare pregio, il recuperodel sistema irriguo tradizionale,

la pulizia e la riqualificazionedel torrente, il recupero dellarete di sentieri e la creazione didue attraversamenti del fiumeper facilitare il percorso deivisitatori. Si è proceduto alripristino delle fallanzedell’agrumeto, procedendoall’impianto dei portinnestitradizionali (arancio amaro) e alsuccessivo innesto con varietàdella tradizione agrumicolasiciliana (Barbera et al., 2005).L’abbandono pluriennaledell’agrumeto ha, inparticolare, reso necessariauna potatura straordinaria diriforma e risanamento degliagrumi: per questa operazionesi è ricorso ad alcuni potatoriprovenienti dalla Conca d’oroche, in possesso dell’antica

cultura materiale, erano ingrado di recuperare le vecchiepiante salvaguardandone il piùpossibile la forma originaria.Potature straordinarie hannoriguardato anche gli altrialberi da frutto e quelli dellavegetazione naturalericorrendo, ove necessariosulle pareti della valle e per gliesemplari di grandi dimensioni,ad interventi di tree climbing.L’esigenza di disporre di unacartografia informatizzata checonsentisse di programmare gliinterventi di manutenzione erisultasse utile alla fruizione, haportato alla realizzazione di unSIT (Sistema InformaticoTerritoriale).Oggi la Kolymbetra riassume insei ettari il paesaggio agrario e

Fig. 10 - Antica tecnica di potatura degli agrumi.

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naturale della Valle dei Templi.Nelle zone più scoscese, lepiante della macchiamediterranea: il mirto, illentisco, il terebinto, la ginestra,la fillirea, l’euforbia, l’alaterno,la palma nana. Nel fondovalle,al di là del piccolo fiumealimentato dalle galleriedrenanti ancora perfettamentefunzionanti e bordato da canne,pioppi, tamerici e salici, unagrumeto con limoni,mandarini, aranci rappresentatida antiche varietà e irrigatosecondo le tecniche della anticatradizione araba. Dove l’acquanon arriva, gelsi, carrubi,fichidindia, mandorli egiganteschi olivi “saraceni”.La straordinaria bellezza delgiardino della Kolymbetra viene

ricordata nelle pagine dei diaridei viaggiatori del Grand Tour ein tanti altri racconti eimmagini pittoriche. GastonVuillier nel 1896 descrive ilsenso di benessere che, alloracome oggi, il giardino regalaper i suoi colori, profumi,silenzi, forme, ombre e frescure:“Gli antichi templi mostrano leloro colonne attraverso glialberi di arancio e al di là siscopre il mare infinito. Vi sonorimasto a lungo, debole per ilcaldo, con lo sguardo perso trale foglie che tremano eluccicano ai soffi irregolaridella brezza marina e il miopensiero errante ha preso arisalire il corso degli anni.Lasciammo l’orlo del burrone eandammo a riposarci all’ombra

d’un folto carrubo; i massi delTempio di Zeus Olimpio eranoammonticchiati intorno a noi, edi là dagli ulivi, stentati e sottili,si estendeva il mare infinito efremente. Nessun rumoreturbava quella solitudine; solodi quando in quando lecavallette, facendo del frusciofra le erbe secche, richiamavanola nostra attenzione”.A esprimere il fascino del luogoimpareggiabile è peròPirandello che ne “I vecchi e igiovani” da della Kolymbetrauna descrizioneprevalentemente morfologica“nel punto più basso delpianoro, dove tre vallette siuniscono e le rocce si dividono ela linea dell’aspro ciglione sucui sorgono i Tempii è interrotta

Fig. 11 -Alberi di arancio in frutto del Giardino della Kolymbetra.

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da una larga apertura” perriprendere le suggestioni delsuo paesaggio scrivendo dellatenuta Valsanìa che “restava diqua, scendeva con gli ultimiolivi in quel burrone, golad’ombra cinerulea, nel cuifondo sornuotano i gelsi, icarrubi, gli aranci, i limoni lietid’un rivo d’acqua che vi scorreda una vena aperta laggiùinfondo, nella grotta misteriosadi San Calogero”.I vecchi agricoltori che inpassato hanno coltivato ilgiardino, ricordano di grandiproduzioni di frutti che, raccoltie messi dentro le coffe - borserealizzate con foglie intrecciatedi palma nana - venivanotrasportati dai muli fino almercato di piazza Ravanusella,

nel centro storico di Girgenti,per essere venduti insieme allezucchine, alle melanzane, aipomodori, ai peperoni e aicavoli raccolti dall’orto cheveniva coltivato al di sotto dellechiome degli agrumi e sulleterrazze. Affinché le piantecrescessero rigogliose,all’intemo del giardino furealizzato un complesso sistemad’irrigazione alla maniera araba,costituito da vasche di raccoltadelle acque provenienti dagliipogei, da tubazioni interracotta e soprattutto da unameticolosa sistemazione delterreno che consentivaall’acqua, attraverso canali diterra, conche realizzate attornoagli alberi e piccoli argini, diraggiungere ogni pianta. L’orto,

coltivato al di sotto degli arancie dei limoni secondo antichepratiche agronomiche, vieneancora irrigato secondo unpreciso disegno e delle regoleereditate dalla civiltà islamica:l’acqua proveniente da alcuniipogei, ancora perfettamentefunzionanti dopo 2500 anni,viene accumulata nelle“gebbie”, antiche vasche diraccolta, e da queste passa nelle“saje”, condutture in muratura oin terra battuta a cielo aperto,per poi passare nei “cunnutti”,canali di terra che portanol’acqua nelle “casedde”, concherealizzate attorno al troncodell’albero e da qui tra i “vattali”,arginelli di terra importanti peraumentare l’efficienzadell’irrigazione (Ala, 2005).

Fig. 12 - Un antico ipogeo e una gebbia (vasca di raccolta d’acqua) del giardino della Kolymbetra.

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“Tirare la terra” è una tipicaespressione dialettale chedescrive, questo meticolosolavoro di zappa che il contadinodeve effettuare periodicamenteper sistemare il terreno, perchéa ogni singola pianta possaarrivare l’acqua che, sfruttandoanche le minime pendenze delsuolo, trova il suo corso.Connessa alla pratica irrigua erala tecnica della forzatura deilimoni che consiste nel lasciare lepiante prive d’acqua sino alla metàdi luglio per poi irrigarle: i limoniproducono, in questo modo, unastraordinaria fioritura checonsente la raccolta, nell’estatesuccessiva, dei cosiddetti “verdelli”.L’agrumeto è costituito dapiante disposte in quadro consesti di 3,5 m, consociato inalcuni tratti del giardino, conspecie da orto (cavoli, peperoni,carciofi, melanzane, pomodori,

zucchine ... ). Gli alberi di agrumioggi presenti sono circa 600, divisiin aranci dolci, aranci amari,limoni, mandarini e clementine.In generale ogni specie èrappresentata da antichevarietà (arancio “Vaniglia”,arancio “Vanglia sanguigno”,arancio “Tarocco”, arancio “Moro”,mandarino “Avana”, limone“Lunario”, limone “Monachello”...)(Barbera et al., 2005).La Kolymbetra è anche unantico giardino siciliano riccodi antiche varietà da frutto,ormai quasi del tuttoscomparse dalle nostre tavole.E’ un giardino basato sutecnologie agronomiche erisorse genetiche non adeguatealle dominanti necessità delmercato globale e all’efficienzaproduttiva il cui interesserisiede non tanto nellafunzione produttiva, ma

piuttosto in quella ambientale.Per queste caratteristiche, sipone in antitesi con i moderniimpianti da fruttomonoculturali intensivi, magaripiù produttivi ed efficienti, maprivi di tutti quegli odori,sapori, colori e forme cheinvece caratterizzano i“giardini” dell’agrumicolturatradizionale, testimoni anche diantichi saperi contadini e diuna cultura materiale in via discomparsa.Nonostante il gruppo piùrappresentato sia quello degliagrumi, numerose altre specieda frutto sono presenti atestimoniare un’elevatabiodiversità specifica:azzeruolo, banano, carrubo,cotogno, fico, ficodindia, gelsobianco, gelso nero, kaki,melograno, nespolo delGiappone, nespolo d’inverno,

Fig. 13 - Irrigazione dell’orto-frutteto della Kolymbetra con antiche tecniche irrigue.

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pistacchio, sorbo. In generaleogni specie è rappresentata daantiche varietà in gran partenon più in coltura nei sistemifrutticoli moderni. Alcune diqueste piante (soprattutto ivecchi olivi) hanno un elevatovalore paesaggistico. Gli ulivi, inparticolare, per le straordinariedimensioni raggiunte e per labellezza delle forme del tronco,sono da annoverare, insieme aimirti, tra le piante monumentalidel giardino.Di particolare interessenaturalistico anche alcuniesemplari della floraspontanea: tra le piantearboree si distinguono gliolivastri tra gli anfratti dellaroccia calcarenitica, l’alloro conle sue foglie aromatiche dallericonosciute proprietàantisettiche che un tempovenivano vendute, raccolte in

mazzetti, come “addagaru” perbambini (alloro per bambini).Era pianta sacra ad Apollo e hapreso il nome greco da Dafne,la ninfa amata dal dio. Nelmondo classico l’alloro erausato come simbolo di gloria efama: le corone da porre sulcapo dei vincitori ne eranointrecciate (Ala, 2005). I carrubicon le loro grandi chiomesempreverdi regalano ombra efrescura. Come dimostral’origine araba del nome, ilcarrubo arriva in Sicilia durantela dominazione islamica,insieme all’arancio amaro e allimone. E’ una specie longeva ea lento accrescimento. La polpadolce e nutriente dei suoinumerosi frutti, costituì, untempo, una parte importantedel vitto delle popolazionirurali. Nell’antichità i semi, diforma lenticolare, venivano

usati come unità di pesodell’oro, da cui deriva il terminedi “carato” (Ala, 2005).Sulle pareti di calcarenite delgiardino, numerose sono lespecie arbustive della macchia:il lentisco, la fillirea, l’alaterno,l’euforbia arborea, speciestraordinaria per i colori, dalverde, al giallo al rosso, chenell’arco dell’anno sisusseguono sulla stessa pianta,conferendo al paesaggiovariazioni cromatiche uniche edin continuo mutamento. Tra lespecie della macchia, anche lapalma nana occupa i versantiscoscesi del giardino. E’rappresentante d’eccezionedelle macchia ed è l’unicapalma che cresce spontanea nelmediterraneo. Ha rivestito nellastoria un ruolo importante,tanto che in antiche monete emedaglie siciliane sono stati

Fig. 14 - La sistemazione del suolo, con i termini dialettali, per l’irrigazione degli agrumi (disegno di M. Ala).

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rinvenuti i disegni delle suefoglie a ventaglio. Le sue fronde,fino a pochi anni fa, venivanoutilizzate per lavori di intreccioed il crine per imbottiture, perfare cordami o stuoie e scope,chiamate con il terminedialettale di “giummarre”.I mirti, chiamati in dialetto“murtedda”, che solitamenterientrano tra le specie arbustivedella macchia, all’interno delgiardino, per le eccezionalidimensioni e forme assunte neltempo, sono da annoverareinsieme agli “ulivi saraceni”, trale piante monumentali dellaKolymbetra. Producono bellissimifiori bianchi dal profumo intensoe bacche, di colore nero-bluastro o bianco che maturanoin estate. Pianta sacra a Venere,prende il nome da Myrsine,fanciulla greca trasformata daPallade in un arbusto di mirto.Nel mondo classico era usatocome simbolo di trionfo: con isuoi rami si intrecciavanoghirlande per incoronare poetied eroi (Ala, 2005).Lungo il perenne corso d’acquache attraversa il giardino,particolarmente abbondante è ilcanneto, della cui presenza siha notizia già nel 1225all’interno di un’anticapergamena che testimonia laconcessione al Vescovo Ursonedi Agrigento di una “terra in cuivi era un canneto in prossimitàdelle cave dei giganti” (l’attualeTempio di Giove). Le canne untempo venivano periodicamenteraccolte dai contadini delgiardino, divise per le diversealtezze e riunite in fasci che,poggiati agli alberi di arancio,

erano lasciati al sole adasciugare per poi essere venduteper la raccolta delle mandorle eper la coltivazione della vite e dialcune specie ortive, come lazucchina e il pomodoro.Allo scopo di favorire la fruizioneè stata recuperata la viabilitàoriginaria: le tracce rinvenute nelterreno e le interviste ai vecchiagricoltori che per ultimi si sonopresi cura dei giardino, hannopermesso di ricostruire i tracciatioriginali. Alcuni nuovi sentieri interra battuta sono stati tracciatiallo scopo di collegare le diverseparti del giardino o di portare ilvisitatore in luoghi panoramici osignificativi dal punto di vistaculturale e paesaggistico (ipogei,piante monumentali, restiarcheologici).Lungo i percorsi, per favorire lafruizione, sono state realizzate, inluoghi panoramici o ombreggiati,sedute con materiali naturali(blocchi di pietra di tufo e assidi legno). In legno e ferro sono idue ponti realizzati perl’attraversamento del torrente.Per una visita più ricca, deipannelli didattici disposti lungoil percorso, danno informazionisulla storia, il paesaggio e leantiche specie coltivate. Altriindicano la direzione versomanufatti di interessearcheologico, storico epaesaggistico: ipogei, latomie,muretti a secco, gebbie, piantemonumentali, punti panoramici(Barbera et al., 2005).Per le classi di scuola primaria esecondaria un nuovo itinerariodi visita del giardino è una sortadi “caccia al tesoro” dove iragazzi diventano protagonisti

attivi dell’esperienza. Con l’aiutodi schede didattiche diosservazione e scoperta, glistudenti divisi in gruppi,approfondiscono alcuni aspettidel giardino legati alla storia, alpaesaggio e alle tradizionicontadine, rivestendo ciascunoun ruolo diverso: alcuni hanno ilcompito di porre domande, altridi orientarsi sulla mappa, altri dicontrollare il tempo o di farsiportavoce del gruppotrasformandosi in ciceroni. Sottola guida di un operatoredidattico, ogni gruppo esponepoi al resto della classe quantoscoperto. Di ritorno in aula, glistudenti possono poi completareil lavoro, utilizzando le schede diapprofondimento scaricabilianche dal sito www.faiscuola.it.Numerose sono, inoltre, lemanifestazioni organizzateall’interno del giardino come la“Scialata giurgintana”, unafesta della tradizione conpranzo rustico ispirato allacucina contadina, da consumarenell’area attrezzata all’ombra dialberi di arancio e di una grandealloro, la “Vapulanzicula”, unagrande festa dedicata aibambini cui vengono proposti igiochi dei loro nonni, la “Festadel pane”, una mostra ditradizionali forme di pane edell’antico ciclo di produzione,la “Notte tra gli aranci”, unafesta di metà agosto con cena emusiche eseguite dal vivo e la“Festa di S. Martino”, la festadel vino nuovo condegustazione guidate da espertisommelier e incontri concantine ed enotechespecializzate.

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stampa officine grafiche riunite, spapalermo, ottobre 2008