la valenza politica dell'amicizia

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tesi triennale

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UNIVERSIT DEGLI STUDI DI VERONAFACOLT DI LETTERE E FILOSOFIA

Corso di Laurea inFilosofia

Elaborato finale

la valenza politica dell'amiciziahannah arendt interpreta lessing

Relatore CandidatoChiar.ma Prof.ssa Daniele BASSIOlivia GUARALDOMatr. VR077928

Anno Accademico 2010 2011

Indice

CAPITOLO 1: Hannah Arendt riceve il premio Lessing1.1 Profilo storico 31.2 Ricevere un premio in rapporto con il mondo 41.3 Gotthold Emprahim Lessing: un illuminista non alla moda 5

CAPITOLO 2: Il ruolo politico della compassione2.1 Politica e sentimentalismo132.2 Compassione e rivoluzione16

CAPITOLO 3: Mondo, amicizia e politica3.1 I tempi bui e la fuga dal mondo273.2 La condizione paria283.3 Il valore politico della questione ebraica293.4 Fraternit tra gli oppressi: quali risvolti politici? 323.5 Dopo la catastrofe: la politica come dispositivo umanizzante343.6 Decidere di non condividere il mondo: quali conseguenze?363.7 Emigrazione interiore e padroneggiamento del passato: un 38 problema diffuso3.8 Dalla verit teologica alla ragione scientifica: ripartiamo da 42 Lessing

CONCLUSIONE47NOTA BIBLIOGRAFICA52

CAPITOLO 1: Hannah Arendt riceve il premio Lessing

1.1 Profilo storicoIl 28 settembre del 1959, presso l'universit di Amburgo, venne conferito ad Hannah Arendt un importante riconoscimento, istituito dalla citt, noto come Premio Lessing. In questa occasione Arendt pronunci un discorso che dieci anni pi tardi avrebbe costituito il prologo della raccolta di saggi intitolata Men in dark times. Quest'ultima opera non stata tradotta integralmente in italiano1In lingua italiana infatti non sono stati pubblicati la totalit dei saggi contenuti nella raccolta del 1968. Questa parziale traduzione nota con il titolo Il futuro alle spalle. In essa sono contenuti, tra altri meno celebri, i saggi su Kafka, Brecht e Benjamin, mentre mancano quelli su Heidegger, Jasper, Luxemburg e Papa Giovanni XXIII, cos come non riportato, posto in apertura nel testo inglese, il discorso del '59.

, mentre lo il discorso del '59 a cui ci si pu riferire chiamandolo Discorso su Lessing o, rimanendo fedeli alla sua edizione italiana, l'Umanit in tempi bui. Il premio in questione fu il primo riconoscimento pubblico dell'autrice, ed giusto ritenere assolutamente significativo che tale premio le venne offerto in Germania, suo paese d'origine, dal quale dovette fuggire, in quanto ebrea, nel 1933 e che la condann allo stato di apolide fino al 1951, anno in cui ottenne la cittadinanza americana.Nel corso degli anni cinquanta l'autrice comp gi dei viaggi in Germania, conseguenza di nuovi contatti con i suoi maestri di un tempo, i filosofi Heidegger e Jasper, ma quello che la riport in Europa nel '59 fu la tourne di un'intellettuale i cui libri avevano gi provocato molte discussioni oltreoceano e che ora veniva acclamata nelle principali citt tedesche2Laura Boella, Introduzione a l' Umanit in tempi bui di Hannah Arendt, trad. it. Laura Boella, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2006, p. 9.

.Per qualche anno Arendt sarebbe stata al centro dell'attenzione del dibattito intellettuale e pot godere di una certa fama positiva. Questa celebrit la port a profonde riflessioni, come ci viene testimoniato dall'incipit dello stesso Discorso su Lessing, incentrato tutto sul significato che porta con s l'ottenere un premio, sul nostro rapporto e i sui nostri doveri verso il mondo, che con esso cambiano. Questo periodo, forse l'unico in cui Arendt fu cos integrata ed accolta nella comunit intellettuale a lei contemporanea, non dur molto e si interruppe nel 1963 con lo scoppio del caso Eichmann3Hannah Arendt nel 1961 fu inviata a seguire il processo al gerarca nazista Adolf Eichmann, presso Gerusalemme, per conto del "New Yorker". Dalle sue corrispondenze e dai suoi appunti nascer un libro pubblicato nel 1963 con il titolo La banalit del male. Il testo in questione fece ricadere sull'autrice aspre polemiche legate soprattutto alle critiche mosse da Arendt al neonato stato di Israele specialmente per la gestione del processo stesso. Numerosi intellettuali ebrei accusarono infatti Arendt di "non amare il popolo ebraico". Il libro, al di l della questione ebraica, fece, e fa ancora, discutere per la sua posizione di fondo: rigettando ogni rassicurante manicheismo, Arendt ritiene che Eichmann e tanti altri nazisti rappresentino un male "banale". La banalit di cui parla Arendt consiste nel fatto che tanti funzionari nazisti non furono altro che normalissimi e banalissimi burocrati. Questo tipo di banalit non ridicolizza n sottovaluta l'abominio nazista ma lo rende semmai pi terrificante. A macchiarsi di crimini orribili furono normali persone, che in fondo per molti versi ci assomigliano, non demoni o creature disumane.

. Significativo, a tal proposito, che nel 1964 Hannah Arendt affermer di ritenersi una teorica della politica e scriver nero su bianco di non sentirsi affatto una filosofa e nemmeno di essersi mai vista accolta nella cerchia dei filosofi.Ora importante per noi concentrare l'attenzione sul contenuto della conferenza del '59 e sul profondo legame che intercorre tra essa e l'esperienza biografica dell'autrice. E' infatti opportuno approcciarsi alla lettura dei singoli libri di Hannah Arendt pensandoli come parti di un unico tentativo di comprensione della catastrofe storico-politica del Novecento, che era stata anche per molti aspetti la tragedia della sua vita e, nello specifico, ritenere che il testo del discorso pronunciato in occasione del conferimento del Premio Lessing sia uno degli esempi pi riusciti della capacit arendtiana di tradurre in pensiero e in scrittura il proprio vissuto4Laura Boella, Introduzione a l'Umanit in tempi bui, cit. pp. 15, 18.

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1.2 Ricevere un premio in rapporto con il mondoCome gi accennato, Arendt, ricevendo il Premio Lessing, tiene un discorso pubblico in cui, in apertura, riflette sul significato del conferimento di un onore, come il premio in questione, che in primo luogo impartisce una vigorosa lezione di modestia5Hannah Arendt, L'umanit in tempi bui, trad. it. Laura Boella, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2006, p. 39.

. Questo riconoscimento, attraverso il quale il mondo prende la parola6Ivi. p. 39.

, ci impedisce di giudicare noi stessi e i nostri meriti con i medesimi criteri con cui giudichiamo quelli degli altri.Nel momento in cui tale onore viene accettato, la nostra posizione nel mondo cambia, viene rafforzata7Ivi. p. 40.

e ci lega ad esso in maniera decisiva. Innanzitutto dobbiamo rinunciare a pensare a noi stessi e decidere di agire interamente nell'ambito del nostro rapporto con il mondo8Ivi. p. 39.

: questo non ci muove solo alla gratitudine ma anche a dei doveri verso di esso.Arendt ritiene che ricevere un onore presupponga un accordo con il mondo e tale accordo non mai stato facile nella nostra epoca e nelle condizioni del nostro mondo, e lo ancora meno per noi9Ivi. p. 41.

, riferendosi alla sua appartenenza ebraica.L'esempio di Lessing, a tal proposito, estremamente significativo: egli non trov mai, e forse non volle trovare, la pace con il mondo ma verso quest'ultimo si sent sempre debitore. Il suo atteggiamento fu radicalmente critico10Ivi. p. 44.

. La sua fu una critica che sempre prese partito per il mondo11Ivi. p. 49.

. Lessing comprendeva e giudicava ogni cosa in base alla sua posizione nel mondo in un dato momento senza dunque approdare, per nessuna ragione, ad una visione definita e immune ad ulteriori esperienze. Secondo Hannah Arendt abbiamo molto da imparare da Lessing e da questo suo modo di pensare: un pensare completamente libero, che per amore del mondo non si appoggia alla storia e arriva a sacrificare il principio di non contraddizione, un pensare che noi siamo portati a considerare privo di autorit, perch da Lessing non ci separa solo il XVIII secolo ma anche il XIX, con la sua ossessione per la storia e per l'impegno ideologico.Lessing ha avuto coraggio, non soltanto intelligenza, e questo per Arendt costituisce la straordinaria potenzialit del suo pensiero; semin fermenta cognitionis12Ivi. p. 52.

, non per diffondere conoscenze, ma per stimolare il pensare da s13Ibidem.

senza muovere costrizioni di nessun tipo a s stesso e agli altri.Il monito del "guardare con i propri occhi" fu per lui un precetto imperativo14Nicolao Merker, Introduzione a Lessing, Laterza, Roma, 1991, p. 58

a cui coerentemente non venne mai meno.

1.3 Gotthold Emprahim Lessing: un illuminista non alla modaPrima di addentrarci nel cuore delle questioni sollevate da Arendt nel Discorso su Lessing bene, per ovvie ragioni, cercare di far luce sulla figura di Gotthold Emprhraim Lessing: nato nel 1729 a Kamenz, nella Lusazia superiore, era figlio di un pastore protestante. Studi a Lipsia e Berlino, dove conobbe Voltaire. Lessing, dal 1770, si guadagn da vivere come bibliotecario al servizio del principe ereditario Ferdinando, duca di una piccola citt della Bassa Sassonia. In realt Lessing fu dal duca mal pagato e maltrattato ma, al seguito di quest'ultimo, pot viaggiare e nel 1775 comp anche un viaggio in Italia di cui era appassionato per ragioni artistiche. Nel 1780 spos Eva Knig che per mor poco dopo, insieme all'unico figlio, durante il parto. Lessing cadde cos in una profonda depressione che lo port, insieme ad altre cause, a morire nel 1781. Lessing fu un autore brillante, nella sua carriera scrisse per molte riviste, ma la sua attivit raggiunse l'apice nel teatro. In una lettera alla madre del 1749, in cui tent di spiegarle le ragioni per cui decise di abbandonare l'universit in favore di una piena dedizione al teatro, Lessing parla del teatro come istanza morale e scuola di vita alternativa al sapere libresco. Infatti la convinzione che il teatro fosse un veicolo di idee etico-pratiche illuministe15Ivi. p. 33.

non venne mai meno nel drammaturgo tedesco. Ovviamente queste sue convinzioni portarono il giovane Lessing ad uno scontro con i genitori che, saldamente luterani, vedevano nell'attivit teatrale una pericolosa via di perdizione.L'interesse culturale di Lessing fu prevalentemente riservato alla filosofia dell'arte e alla filosofia della religione. La sua indole, ed soprattutto su questi aspetti che si fonda la ripresa arendtiana dell'autore settecentesco, fu radicalmente antitirannica e antidogmatica. Questa sensibilit si tradusse efficacemente nelle sue opere pi celebri. Tra queste va ricordata il Libero pensatore (1749) che mostra chiaramente la capacit polemico-critica dell'autore di ribaltare luoghi comuni dell'illuminismo dozzinale allo scopo di spingerli al paradosso e cos, denunciandone l'insostenibilit, di mostrare invece che altro doveva essere il livello del rischiaramento vero16Ibidem.

. In questo senso possiamo parlare di illuminismo non alla moda di Lessing. Nell'opera del 1749 viene coraggiosamente messo alla berlina l'anticlericalismo astratto e superficiale di molti "liberi pensatori". Il protagonista infatti, un presunto "libero pensatore", ha un nome fortemente simbolico, Adrasto, ossia l' "irremovibile". Adrasto giudica ipocrita ogni prete, cattolico o protestante che sia, ma nell'opera destinato ad incontrare un altro personaggio, anche lui caratterizzato da un nome emblematico, Teofane, ovvero il "rivelatore di dio". Teofane, che un pastore luterano, non vuole in realt essere depositario di nessuna "Rivelazione" e dimostra concretamente ad Adrasto di proporgli una sincera e leale amicizia. La conclusione rappresenta uno scambio delle parti, almeno rispetto a quanto il lettore possa prevedere nei primi atti. E' infatti il pastore luterano a convincere il "libero pensatore" a non guardare tutto attraverso la lente colorata delle opinioni preconcette (atto V, scena 3). Altra opera giovanile che merita di essere accennata Gli Ebrei, sempre del 1749, costituita da un atto unico impostato anch'esso sulla discrepanza tra ci che per pregiudizio si ritiene vero e poi, invece, vero non . Il protagonista un barone antisemita e la vicenda ruota attorno ad una aggressione da esso subita ad opera di due ladroni barbuti. Pregiudizialmente il protagonista ritiene che i suoi rapinatori siano ebrei mentre, in realt, l'unico ebreo in scena un giovane viaggiatore corso in salvo del barone. Anche qui la morale che il protagonista annebbiato da preconcetti razziali deve ricredersi e incassare l'ammaestramento impartitogli dal suo salvatore (A dir la verit, sono contrario a giudizi generali su interi popoli...direi che in tutte le nazioni c' gente buona e cattiva: scena 6).17Cfr. ivi, pp. 33-34.

Tra le opere non giovanili, invece, bene richiamare la tragedia antitirannica L'Emilia Galotti (1772). In essa, alludendo alla miseria politica e morale della Germania, l'autore mise in realt sulla scena la miseria politica e morale del principe di Guastalla e della corte da cui lui stesso dipendeva. Il duca Ferdinando, infatti, era, tra i principi del settecento tedesco una figura particolarmente spregevole che incamerava soldi vendendo i sudditi come mercenari a potenze straniere.18Ivi. p. 91.

Lessing defin la tragedia in questione come una modernizzazione dell'antico episodio romano di Virginia19Nel terzo libro dell'Ab Urbe Condita, celebre opera dello storico ed autore latino Tito Livio (59 a.C.-17 d.C.), si narra infatti della vicenda in cui coinvolta Virginia, giovane romana di cui Appio Claudio, capo dei decemviri che hanno steso la legge delle XII tavole, si innamorato. Il padre di Virginia, di fronte allimpossibilit di ottenere giustizia dalla legge rappresentata dallo stesso Appio, che ne fa un uso palesemente arbitrario e a suo favore, facendo schiava la ragazza, uccide la figlia, donandole la libert.

e cerc di presentarla pubblicamente come del tutto priva di risvolti politici. In ogni caso al duca, che seguiva la moda delle ambientazioni vagamente classicistiche, bast che il dramma richiamasse, alla lontana, qualcosa narrato da Tito Livio mentre Giuseppe II d'Austria, che nel luglio del 1772 vide due volte l'Emilia ed evidentemente non ne cap nulla, disse che mai in vita sua aveva riso cos tanto durante una tragedia20N. Merker, Introduzione a Lessing, cit., p. 92.

. In scena compaiono pochi personaggi rilevanti: il principe di Guastalla che ,cinico e tiranno, si considera padrone assoluto di tutte le cose e delle persone che vivono nel principato, un ministro di quest'ultimo, Marinelli, fedele servitore del principe, Emilia Galotti, figlia di un vecchio oppositore repubblicano di Ferdinando, e Appiani, un giovane conte promesso sposo di Emilia che, se pur disgustato dalla corte, per un malinteso senso dell'onore, continua a servire il principe. Quest'ultimo, innamoratosi di Emilia, incarica Marinelli di uccidere Appiani e di portare al palazzo l'amata. Sar alla fine costei, presa nel voluttuoso vortice della vita di corte e delle lusinghe del principe a cui non affatto insensibile, a supplicare il padre di ucciderla per poter lei, cos, riscattare la propria alienazione con il supremo atto di libert di una morte volontariamente scelta. Di fatto nessun personaggio coinvolto nella vicenda appare il protagonista decisivo. Alcuni critici hanno interpretato questo elemento caratteristico dell'opera come il frutto di una specifica e consapevole volont dell'autore volta a mostrare che in ci che nel bene e nel male i personaggi fanno, essi sono condizionati da quello che nella tragedia sembra essere il protagonista vero, ma impersonale [...] l'effettivo protagonista dell'azione lo spirito di Guastalla ovvero l'ideologia di un feudoleggiante mini-Stato dispotico la quale nei suoi effetti alienanti coinvolge sia i regnanti che i sudditi21Ivi, p. 93

. L'Emilia Galotti di fatto, dall'inizio alla fine, una denuncia dell'ideologia di corte22Ivi, p. 94

.L'attenzione di Lessing per le questioni legate alla religione e al rapporto tra le religioni, come gi accennato, fu molto profonda e sar al centro di Nathan il saggio, un dramma in versi del 1779, a cui fa riferimento Arendt nel discorso del 1959 dedicando grande attenzione a certi elementi contenutistici che fanno di Nathan il saggio il capolavoro di Lessing e anche, pi in generale, della letteratura tedesca dell'illuminismo. Nathan, vero e proprio monumento di umanesimo etico laico23Ivi, p. 33.

, infatti il poema della tolleranza nel senso pi ampio possibile, non solo, quindi, religiosa. La scena si svolge a Gerusalemme, citt sacra alle tre grandi religioni rivelate, durante la terza crociata. Il protagonista Nathan, ricco e saggio commerciante ebreo. Il primo atto si apre con Nathan che, al ritorno da un lungo viaggio d'affari, scopre che durante la sua assenza un incendio ha colpito la sua casa e che la figlia adottiva Recha sarebbe morta bruciata se non fosse stato per l'intervento di un giovane coraggioso, e inizialmente sconosciuto, templare. Altro personaggio fondamentale il sultano Saladino che, poco prima dell'incendio, aveva liberato il templare, facendolo cos scampare alla pena di morte, perch il giovane soldato gli ricordava un suo fratello morto durante una precedente crociata. Tra i personaggi si creano e si svelano al lettore, progressivamente allo svolgersi del dramma, dei legami profondi. Tra il templare e Recha nasce anche una relazione d'amore, ma nelle ultime scene emerge che i due giovani sono in realt fratelli. Entrambi figli del fratello del sultano.La storia, in sintesi, mostra come Nathan, Saladino e il templare riescano a superare le differenze tra le loro religioni, mentre la complicata vicenda dei due giovani esprime la forza di un amore che rimane tale anche se cambia drasticamente di segno. Ci che l'autore vuole comunicare, attraverso una storia davvero intricata e piena di peripezie, , come accennato, l'importanza della tolleranza e del rispetto tra gli individui. La costruzione teorica che regge questo insegnamento l'idea per cui la storia deve essere letta come storia progressiva. Lessing, in generale accordo con l'illuminismo, aderisce infatti a tale concezione, e ritiene che anche la religione debba essere inserita in questo continuo progresso dell'umanit. Tutte le religioni rivelate sono dunque, allo stesso modo e con la stessa dignit, tappe della coscienza umana. Il punto pi alto dell'opera, sia per contenuto che per suggestione letteraria, la parabola dei tre anelli a cui Arendt, non a caso, si riferisce durante il suo discorso richiamando l'anello perduto24Ivi, p. 88.

. La parabola costituita dalla risposta di Nathan al sultano Saladino dopo la domanda di quest'ultimo relativa alla necessaria veridicit di una religione rispetto alle altre: Tu che sei cos saggio dimmi, una volta per tutte, qual' la fede, qual' per te la legge pi convincente di ogni altra?. Nathan per accontentare la volont del sultano racconta una storia che narra di un anello inestimabile che aveva il potere di rendere grato a Dio e agli uomini chiunque lo porti con fiducia. L'uomo che, molti anni or sono, per primo ottenne in dono tale anello, lo diede in eredit al figlio pi amato lasciando scritto che a sua volta quel figlio lo lasciasse al suo figlio pi amato e che quest'ultimo, per la sola forza dell'anello, diventasse automaticamente il capo e il signore del casato. L'anello cominci cos ad essere tramandato di figlio in figlio fino a quando giunse in mano di un padre che amava ugualmente e indistintamente i suoi tre figli tanto da promettere a tutti questi l'anello. Poco prima di morire, questo padre si rattrist all'idea di dover deludere due figli per favorirne uno e cos pens di incaricare un gioielliere di riprodurre due anelli assolutamente identici al suo. Le copie furono realizzate talmente bene che il padre stesso non fu in grado di distinguerle dall'originale. Rallegratosi per questo, il padre chiam a s i figli, regal ad ognuno un anello, e mor sereno. Da quel giorno, continua Nathan, ogni figlio vuole essere il signore del casato. Si litiga, si indaga, si accusa. Invano. Impossibile provare quale sia l'anello vero come per noi provare quale sia la vera fede. A queste parole il sultano si infastidisce e, credendo che Nathan si stia prendendo gioco di lui, afferma che se pur gli anelli della storia appaiano identici, le religioni a cui lui faceva riferimento si possono distinguere persino nelle vesti, nei cibi e nelle bevande. Nathan, per quanto ammetta giusta l'obiezione di Saladino, ribatte che le religioni non si distinguono per nei fondamenti e riprende la storia portandola a conclusione. I tre figli si accusarono in giudizio e tutti, in assoluta buona fede, giurarono al giudice di aver ricevuto l'anello, e molto tempo prima, la promessa direttamente dal padre. Il giudice decise che la parola spettasse all'anello stesso, in quanto solo quello vero ha il magico potere di rendere amati, grati a Dio e agli uomini, e la domanda che rivolse ai contendenti fu chi di loro risultasse il pi amato. Di fronte all'incapacit dei tre a rispondere il giudice chiuse la questione accusando i fratelli di essere truffatori truffati, ognuno ama solo se stesso dimostrando cos che gli anelli sono tutti e tre falsi. Probabilmente, prosegu il giudice, l'anello vero si perse, e vostro padre ne fece fare tre per celarne la perdita e per sostituirlo. Vostro padre, forse, conclude il giudice, non era pi disposto a tollerare in casa sua la tirannia di un solo anello. E certo vi am ugualmente tutti e tre [] sforzatevi di imitare il suo amore incorruttibile e senza pregiudizi. Ognuno faccia a gara per dimostrare alla luce del giorno la virt della pietra del suo anello25Cfr. e cit. Lessing, Nathan il saggio, trad.it. Andrea Casalegno, Garzanti, Milano, 2007, da pp. 155-163.

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CAPITOLO 2: Il ruolo politico della compassione

2.1 Politica e sentimentalismoNel corso del XVIII secolo si afferm la concezione di una natura umana unitaria, mossa dalla convinzione che comportamento umano e naturale siano la stessa cosa. Vi sono a riguardo teorie celebri che trovano il loro massimo sostenitore in Rousseau, convinto inoltre che il carattere compassionevole dell'uomo sia una palese e oggettiva prova della natura umana comune o, appunto, unitaria.Con un accordo che Arendt definisce degno di nota26Hannah Arendt, L'umanit in tempi bui, trad. it. Laura Boella, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2006, p. 59.

, anche per Lessing l'uomo migliore quello pi compassionevole, tuttavia egli turbato dal carattere egualitario della compassione. Per capire questa posizione di Lessing, che pu in un certo senso sembrare contraddittoria, bene precisare che devono essere distinti due piani: uno lo possiamo definire individuale e sentimentale, l'altro invece rimane propriamente e squisitamente politico. Questa distinzione valida anche per comprendere certe analisi arendtiane sui vari atteggiamenti che gli individui, o intere comunit, possono adottare nei confronti del mondo. Un esempio emblematico, su cui pi avanti ritorneremo, il giudizio che Arendt riserva per il fenomeno della emigrazione interiore, ossia la fuga dalla sfera pubblica in tempi bui. Questa non un male per l'individuo ma da un punto di vista politico, lo indubbiamente per la collettivit. Vi qui un evidente doppio livello di interpretazione: da una parte l'individuo e la sua esistenza privata, e dall'altra la collettivit e la sua esistenza politica. Esso figlio di una convinzione arendtiana molto significativa che la porta a scontrarsi con la concezione aristotelica dell'uomo come zoon politikon. Precisamente, Arendt critica l'idea secondo la quale nell'uomo vi sia un'essenza politica; l'uomo in realt per lei a-politico. La politica non nasce nell'uomo, ma tra gli uomini, dunque decisamente al di fuori dell'Uomo. Perci non esiste una sostanza propriamente politica. La politica nasce nell'infra, e si afferma come relazione27Hannah Arendt, Che cos' la politica?, trad. it. Marina Bistolfi, Einaudi, Torino, 2006, p. 7.

. Tenendo conto di questo, pi facile riuscire a scindere quel doppio piano interpretativo su cui la affermazione di Lessing, un uomo integralmente politico28Hannah Arendt, L'umanit in tempi bui, cit., p 98.

, ci ha portati.Tornando al confronto Rousseau-Lessing, possiamo dire che mentre la Rivoluzione Francese vede nella fraternit il massimo compimento dell'umanit, Lessing preferisce considerare tale l'amicizia, in quanto questa risulta tanto selettiva quanto egualitaria la compassione29Ivi, p. 59.

. Lessing anche convinto che i sentimenti filantropici e le inclinazione fraterne30Ivi, pp. 59-60.

corrano il rischio di portarci ad odiare il mondo in seguito alla condizione in cui riversano gli uomini. Mentre pi avanti vedremo come, nella lettura arendtiana, la fraternit trovi il suo luogo naturale tra gli sfruttati e gli umiliati, ora opportuno riflettere sul ruolo svolto dalla Rivoluzione Francese nell'elevare a categoria politica, insieme alla libert e all'uguaglianza, la compassione.Quest'ultima infatti, intesa alla Rousseau come conferma di una natura umana comune, divenne il motore centrale della rivoluzione di Roberspierre31Hannah Arendt, L'umanit in tempi bui, cit., p. 62.

. La compassione indubbiamente un affetto naturale che colpisce ogni persona normale davanti alla sofferenza altrui e di conseguenza potrebbe costituire la base ideale di un sentimento in grado di istituire una societ in cui gli uomini possano veramente diventare fratelli32Ivi, p. 63.

. Questo almeno era quanto intendeva fare l'umanitarismo rivoluzionario. Per Arendt per non bastano n la compassione n la condivisione delle sofferenze33Ibidem.

per giungere ad un tale tipo di umanit. Nel discorso del '59 Arendt, molto brevemente, dichiarando che non la sede adatta per discuterne approfonditamente, parla di vero e proprio danno provocato dalla compassione alle rivoluzioni moderne, quando ha tentato di riscattare la massa degli sventurati, invece di istituire la giustizia per tutti34Ibidem.

.A tal proposito utile tornare agli antichi, sia per prendere le distanze dal nostro modo di pensare, sia per la loro autorevolezza in materia di politica. La netta opposizione tra la valutazione degli antichi e quella dei moderni riguardo alla compassione colpisce ancora di pi se si considera che entrambi concordano sulla naturalit della stessa. Nell' antichit l'uomo compassionevole non era ritenuto migliore di quello pauroso, proprio perch veniva riconosciuta con chiarezza la natura affettiva della compassione. Paura e compassione sono entrambe emozioni passive e rendono dunque impossibile l'azione, ed per questa ragione che Aristotele le tratta congiuntamente.Ancora pi sorprendente, leggendo Cicerone, sapere che gli stoici paragonavano la compassione all'invidia. Nelle Tuscolane Disputationes leggiamo che poich l'uomo piange la sventura altrui, soffre anche della felicit altrui. Di seguito Arendt si pone quindi la seguente domanda: siamo incapaci di portare aiuto senza provare compassione?.Sostanzialmente da questi stimoli Arendt, che ritiene comunque un errore ridurre la compassione alla paura, come se la sofferenza degli altri facesse nascere la paura per noi stessi35Ivi, p. 64.

, si chiede se gli uomini sarebbero meschini al punto di non poter agire umanamente senza piet, senza essere sollecitati e per cos dire costretti dalla loro propria compassione, quando vedono gli altri soffrire36Ivi, p. 65.

.Qui ovviamente centrale la questione dell'altruismo e dell'apertura agli altri che di fatto la condizione necessaria dell' umanit. Ora chiaro che da questo punto di vista condividere la gioia infinitamente superiore rispetto al condividere la sofferenza37Ibidem.

ed quindi la gioia, non la sofferenza, ad essere loquace. E' la gioia che d il tono al vero dialogo umano, un dialogo intriso del piacere che si prova per l'altra persona e per ci che dice. Un dialogo dunque nettamente distinto dalla semplice conversazione. Il peggior vizio dell'umanit, ci che sembra renderla impossibile, l'invidia. Tale sentimento infatti impedisce a chi ne afflitto di godere della felicit altrui e quindi impedisce quel dialogo umano, sopra descritto, che trova origine solo dalla condivisione della gioia. Ci non toglie, comunque, che l'opposto della compassione non sia l'invidia ma la crudelt, che un affetto tanto quanto la compassione, ma perverso, perch consiste nel provare piacere quando naturalmente si dovrebbe provare dolore38Ivi, p. 66.

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2.2 Compassione e rivoluzioneSe nel discorso del '59 Arendt si limit solamente ad accennare la questione del ruolo dannoso svolto dalla compassione nella storia delle rivoluzioni, nel 1963 la approfondir nel celebre saggio Sulla Rivoluzione. In tale testo l'autrice riconfermer l'idea secondo la quale fu Rousseau ad aver introdotto la compassione nella teoria politica, e sarebbe stato in seguito Roberspierre a portarla sulla pubblica piazza con tutta la veemenza della sua grande oratoria rivoluzionaria39Hannah Arendt, Sulla Rivoluzione, trad. it. Maria Magrini, Einaudi, Torino, 206, pag 86.

. Fino al XVII secolo, per quanto fosse la religione cristiana a determinare i valori morali dell'occidente, la compassione oper al di fuori del campo politico. Fu tra quelli che fecero la rivoluzione francese, uomini del XVIII secolo, che inizi ad essere condivisa una innata ripugnanza a veder soffrire una creatura umana40Ivi, p. 73 Citazione di Rosseau.

. Da allora la passione della compassione, secondo Arendt, ha ossessionato e trascinato gli uomini migliori di tutte le rivoluzioni41Ivi, p. 73.

. Soltanto una rivoluzione si distingue, per questo aspetto, dalle altre. La passione della compassione, infatti, era del tutto assente dalle menti e dai cuori degli uomini che furono artefici della rivoluzione americana42Ivi, p. 89.

. Da qui ha origine la convinzione arendtiana sul fallimento delle due pi celebri rivoluzioni, quella francese e quella sovietica, e la sostanziale riuscita di quella americana. La chiave del successo di quest'ultima, per Arendt, va ricercata nella sua natura squisitamente politica, in quanto fu una lotta per la libert. Il fallimento delle altre due invece rintracciabile nelle scelte dei rivoluzionari che, mossi dalla compassione, decisero di non puntare pi alla libert ma di elevare a scopo della rivoluzione [...] il benessere del popolo43Ivi, p. 62.

. L'autrice ritiene comunque che sarebbe assolutamente scorretto considerare scontato il successo della rivoluzione americana e arrogarsi il diritto di giudicare il fallimento degli uomini della rivoluzione francese. La riuscita della rivoluzione americana non per Arendt dovuta solo alla saggezza, per quanto indiscussa, dei padri fondatori, ma si deve anche considerare che la ragione del successo e del fallimento fu che la condizione di povert era assente dalla scena americana ma presente in tutti gli altri paesi del mondo, intendendo, spiega l'autrice, non l'assenza di controversia fra ricchi e poveri, ma che sulla scena americana mancarono la miseria e il bisogno. I laboriosi in America erano poveri ma non miserabili e questo rappresent il grande vantaggio dei fondatori della repubblica, rispetto ai rivoluzionari europei, che in questo modo non furono spinti dal bisogno, e non arrivarono a sopraffare la rivoluzione. Il problema che essi ponevano non era sociale, ma politico44Ivi, pp. 70-71.

. Arendt, tuttavia, osserva criticamente che l'assenza della questione sociale in America fu piuttosto illusoria, in quanto una miseria abietta e degradante esisteva ovunque nella forma della schiavit e del lavoro dei negri. Tra l'altro ritenere che Arendt muova solo considerazioni positive alla rivoluzione americana sarebbe anche testimonianza di una superficiale lettura dell'ultima parte del saggio del '63, in cui l'autrice analizza la degenerazione dello spirito originario dell'azione politica dei costituenti. Arendt ritiene sostanzialmente che, con l'instaurazione del sistema rappresentativo e l'affermarsi di un modello culturale rivolto al benessere materiale e al consumo della ricchezza, anche in America l'azione politica sia stata liquidata in nome degli interessi materiali.45Cfr. Simona Forti, Hannah Arendt tra filosofia e politica, Bruno Mondadori, Milano, 2006, pp. 261-262.

La sua non quindi una esaltazione tout court della rivoluzione americana, ma il suo interesse per essa motivato proprio dal fatto che la questione sociale, sia che fosse veramente assente o soltanto nascosta nel buio, era inesistente a tutti i fini pratici e con essa mancava la passione pi potente, e forse la pi devastatrice che abbia mai motivato i rivoluzionari: la passione della compassione.46Hannah Arendt, Sulla rivoluzione, cit., pp. 73-74.

Nella sua analisi del fenomeno rivoluzionario francese, invece, Arendt considera un punto di svolta significativo la presa del potere da parte dei giacobini non perch fossero pi radicali ma perch non condividevano la preoccupazione dei girondini per le forme di governo. Fedeli a Rousseau, essi credevano nel popolo piuttosto che nella repubblica e avevano fede nella naturale bont di una classe piuttosto che nelle istituzioni e nelle costituzioni. Ci su cui Arendt riflette maggiormente sono le seguenti parole di Robespierre: Con la nuova costituzione le leggi si dovrebbero promulgare nel nome del popolo francese invece che nel nome della repubblica francese47Ivi, Pag. 79.

. Per l'autrice, questo rappresent il superamento della teoria che pone il consenso popolare come condizione imprescindibile della legittimit di un governo. Per questo i governi rivoluzionari non furono capaci di sanare la frattura che divideva governati e governanti, e inoltre si rivelarono non dissimili in questo dai loro predecessori, non erano n del popolo n eletti dal popolo: tutt'al pi erano per il popolo48Ivi, Pag. 77.

. Tuttavia, contrariamente all'analisi arendtiana, nel corso dell' Ottocento e del Novecento ha avuto successo l'idea per cui la teoria rousseauiana della volont generale sembrerebbe opporsi, in senso democratico, alla verticalit del rapporto politico hobbesiano49Thomas Hobbes (1588-1679), celebre filosofo britannico. Qui ci si riferisce al Leviatano, famoso volume pubblicato nel 1651. Fondamentalmente Hobbes distingue nettamente una condizione naturale, o stato di natura, caratterizzata da una situazione di isolamento e guerra permanente dettata dagli interessi dei singoli, e una condizione civile in cui, grazie alla fondazione dello Stato, prevale la pace e la sicurezza. Secondo la tesi hobbesiana dunque la libert, puro non impedimento, incompatibile con il concetto di pace. La libert equivale infatti ad una ricerca di dominio che deve essere alienata nello stato. Da qui nasce il contrattualismo hobbesiano: l'unico modo in cui gli uomini possono erigere un potere comune quello di delegare e conferire, tramite un patto, ad un uomo, o ad un gruppo comunque ristretto, il loro potere e la loro forza, al fine che tale istituzione possa ridurre tutte le loro volont ad una volont unica. Il patto, o contratto, che rappresenta appunto l'alienazione del diritto naturale, cio della libert assoluta, ha quindi in s i concetti di autorizzazione e rappresentanza.

, in cui il sovrano rappresenta la totalit dei sudditi espropriati della loro capacit di agire pluralmente. Ma Hannah Arendt invece non si limita solamente ad istituire una profonda continuit tra la sovranit di Hobbes e la volont generale di Rousseau, ma ritiene che il proprio del politico, ossia la sua dimensione relazionale, venga maggiormente tradito da un iperpoliticismo scorgibile nella democrazia plebiscitaria e nazionalistica del filosofo di Ginevra ancor pi che nell'obbedienza e nel patto hobbesiani.50Cfr. Simona Forti, Hannah Arendt tra filosofia e politica, cit., p. 159.

Questo perch se Hobbes lasciava sussistere, almeno nel privato, una libert di carattere negativo, e se nel suo appellarsi al consenso originario rimaneva traccia di una pluralit residuale, con Rousseau il monismo politico si farebbe totale. Per quanto mai dichiarato apertis verbis , l'assunto forte di questa interpretazione in alcuni aspetti concorde con tutte quelle letture che vedono nella democrazia rousseauiana i germi di una concezione totalitaria51Ivi, p. 160.

. In sostanza la volont generale di Rousseau, identificata dallo stesso con la "sovranit popolare", uccide anche quello spazio della privatezza che il Leviatano lasciava in vita. Secondo la sensibilit arendtiana, con Rousseau non assistiamo a nessun capovolgimento delle teorie hobbesiane perch la volont generale non restituisce ai sudditi, strappandolo al sovrano, il monopolio della libert di agire. L'identit tra la volont generale e sovranit popolare non che la drastica radicalizzazione della riduzione della pluralit all'unit, messa in atto da Hobbes. La politica rousseauiana sicuramente configurata come una dimensione collettiva, ma il suo soggetto, e in questo senso possiamo, arendtianamente, parlare di tradimento del senso proprio della politica, una volont generale che si comporta come il pi solitario degli uomini e la qualit di questa volont un'unanimit che toglie voce a qualsiasi minoranza e fa tacere ogni dissenso52Ivi, p. 165.

. Per la pensatrice tedesca non infatti un caso che la parola "consenso", che implica una scelta deliberata e una meditata opinione, sia stata sostituita dalla parola "volont", che invece esclude ogni processo di scambio d'opinione ed ogni eventuale tentativo di conciliare opinioni diverse in quanto non vi mediazione possibile tra volont diverse, mentre lo tra diverse opinioni53Cfr. Ivi., p. 166.

.Tornando allo specifico caso della rivoluzione francese, ci che avrebbe dovuto, secondo Robespierre, unificare le diverse classi della societ era la compassione di quelli delle classi alte per quelli del basso popolo. Il retroterra culturale di questa convinzione l'idea di Rousseau secondo la quale la compassione la reazione umana pi naturale alle sofferenze degli altri e perci la vera base di ogni rapporto umano naturale. Sia Rousseau che Robespierre, nota Arendt, non potevano avere idea della bont naturale dell'uomo se non indirettamente, deducendola dalla corruzione della societ. Ci di cui avevano invece esperienza diretta era l'eterno giogo tra ragione e passioni da una parte, e dall'altra il dialogo interiore del pensiero in cui l'uomo conversa con se stesso, e, continua Arendt, poich essi identificavano il pensiero con la ragione, concludevano che la ragione ostacolava sia la passione sia la compassione, poich rivolge la mente dell'uomo su se stessa e lo separa da ogni cosa che potrebbe disturbarlo o affliggerlo54Hannah Arendt, Sulla rivoluzione, cit., p. 84.

. La ragione quindi rende l'uomo egoista e gli impedisce di identificarsi con l'uomo che soffre. Il rischio che corriamo, abituati a considerare rigidamente il XVIII secolo, epoca della ragione e dei lumi, opposto al XIX, epoca del romanticismo, di trascurare o sottovalutare la forza di queste prime voci in difesa della passione, del cuore, dell'anima, specialmente l'anima lacerata di Rousseau. Un'anima insomma divisa in un luogo del due-in-uno che si manifesta in quel tacito dialogo della mente con se stessa che noi chiamiamo pensare. Tacito dialogo che in realt un conflitto che genera passione nel suo duplice senso di intensa sofferenza e intenso ardore. Tale sofferenza venne da Rousseau esaltata contro l'egoismo della societ da una parte, contro l'indisturbata solitudine della mente, impegnata nel dialogo con se stessa dall'altra. Per Arendt a questa sua esaltazione della sofferenza, pi che a qualsiasi altra parte delle sue dottrine, che Rousseau deve appunto la sua enorme influenza [] sugli uomini che erano destinati a fare la rivoluzione e che si trovarono di fronte alle strazianti sofferenze dei poveri. Inoltre quel che contava,in questo grande sforzo di generale solidariet umana, era l'abnegazione, la capacit di immergersi nelle sofferenze degli altri, piuttosto che la bont attiva; e ci che appariva estremamente odioso, e persino estremamente pericoloso, era l'egoismo, piuttosto che la malvagit.55Ivi, p. 85.

Ed qui che per l'autrice dobbiamo cercare le radici della sorprendente crudelt di Robespierre, in cui si prefigurava la perfidia ancora maggiore che doveva svolgere un ruolo cos mostruoso nella tradizione rivoluzionaria56Ivi, p. 95.

. In pratica la volont di migliorare le condizioni del popolo, mossa dalla passione della compassione, gener, ancora una volta, una storia di sacrificio di esseri umani e di terrore. In nome del benessere del popolo tutto era permesso, e questo stato di illegalit [] contribu a scatenare un oceano di infinita violenza57Ivi, p. 98.

. Il fallimento della rivoluzione francese fu poi interpretato dal giovane Marx come conseguenza dell'incapacit giacobina di risolvere la questione sociale. La conclusione marxiana fu la constatazione dell'incompatibilit tra povert e libert. Per Arendt, il contributo pi significativo e originale di Marx alla causa della rivoluzione il fatto ch'egli interpret i bisogni impellenti della povert di massa in termini politici, teorizzando una rivolta che puntasse non solo al miglioramento delle condizioni di vita, ma anche alla libert. Questo perch ci che Marx cap dall'esperienza francese fu proprio che la libert pu essere una forza politica di prim'ordine. La trasformazione della questione sociale in forza politica contenuta nella parola sfruttamento, ossia nel concetto che la povert sia il risultato dello sfruttamento esercitato dalla classe dominante che in possesso degli strumenti della violenza. Marx insegn dunque che la povert non un fenomeno naturale, dipendente da qualche necessit storica o altro, ma un fenomeno esclusivamente politico, non causato dalla scarsit di beni ma dalla violazione e dalla violenza. Questa consapevolezza suscitava uno spirito di ribellione che pu scaturire solo dal sentirsi violentati, non dal sentirsi soggetti all'impero della necessit58Ivi, pp. 63-64.

. Nonostante queste grandi intuizioni, Arendt ritiene che il posto di Marx nella storia della libert umana rester sempre ambiguo perch fu lo stesso Marx che in quasi tutti gli scritti successi al Manifesto del Partito Comunista ridefin lo slancio schiettamente rivoluzionario della sua giovent in termini economici. Sostanzialmente, dove in un primo periodo Marx vide violenza ed oppressione deliberatamente esercitate dall'uomo sull'uomo, e non, come altri, necessit legate alla condizione umana, in seguito, dietro ogni violenza e ogni sopruso ravvis in agguato le ferree leggi della necessit storica. Identificando la necessit, in accordo con gli antichi, con le esigenze impellenti del processo vitale, Marx, secondo Arendt, si trov a rafforzare pi intensamente di qualsiasi altro quella che la dottrina politicamente pi dannosa dell'et moderna, ossia che la vita il bene supremo e che il processo vitale della societ il centro stesso di ogni sforzo umano. Cos, come avvenne nella pratica rivoluzionaria francese, nella teoria marxiana l'obiettivo della rivoluzione non era pi la liberazione degli uomini dallo sfruttamento dei loro simili ma la liberazione del processo vitale della societ dai ceppi della miseria, in modo che potesse prosperare nel fiume dell'abbondanza. Non la libert, ma l'abbondanza diveniva ora lo scopo della rivoluzione59Ivi, p. 65.

. Probabilmente Marx fu spinto a ribaltare le proprie categorie a causa della sua impostazione scientifica e della sua ambizione a sollevare la sua scienza a livello di scienza naturale, la cui categoria fondamentale era ancora la necessit. Per Arendt da un punto di vista politico, questa svolta condusse Marx a una vera e propria capitolazione della liber davanti alla necessit. In generale la lettura arentiana del pensiero marxiano se non perde l'occasione di elogiare la grande acutezza con cui Marx percepisce sia le dirompenti novit del moderno sia l'impossibilit di esprimerle attraverso il quadro concettuale trdito, altrettanto energicamente insiste sul fallimento del pensiero marxiano, rispetto alla sua volont di sovvertire la tradizione. Esso infatti sembra non riuscire ad opporsi al potere coercitivo delle categorie ereditate dalla filosofia politica60Simona Forti, Hannah Arendt tra filosofia e politica, cit., p. 189.

. Ed in questo tentativo di dar voce al nuovo, ma non poterlo fare se non con strumenti concettuali vecchi, che per Arendt hanno origine le aporie, le contraddizioni e i paradossi pi grandi di Marx. Tra quest'ultimi il pi significativo riguarda la glorificazione del lavoro che, storicamente considerato come l'attivit pi degradante, diventa con Marx l'attivit che denota l'uomo in quanto uomo ma che, nella prospettiva della realizzazione del socialismo, dovr essere abolito. In sostanza Marx non abbandona l'idea per cui l'uomo crei se stesso tramite il lavoro (concezione che rigetta intenzionalmente sia il dogma cristiano del Dio creatore, sia la definizione filosofica dell'uomo come animal rationale), ma la fa incosapevolmente convivere con la speranza della liberazione dal lavoro stesso. Per Arendt questo significa che, accanto alla provocazione rappresentata dalla glorificazione dell'attivit lavorativa, in lui rimane in vita il pregiudizio, profondamente radicato nella filosofia, che vede nel lavoro un peso, o una maledizione, da cui ci si deve liberare61Ivi, p. 191

. Altra "colpa" marxiana, argomentata ampiamente da Arendt in Vita Activa, riguarda la mancata distinzione tra processo lavorativo e fabbricazione. Nell'indistinzione operata da Marx, quest'ultimo dimentica la sua stessa definizione di lavoro come "metabolismo dell'uomo con la natura" e insiste sul fatto che il processo lavorativo finisca in un prodotto che produce il mondo umano piuttosto che essere immediatamente inglobato, consumato e annullato dal processo vitale del corpo. Marx, di conseguenza, proiettando, anche qui in perfetta continuit con la tradizione, la sua idea di Uomo al Singolare sugli uomini al plurale, approda ad una concezione della storia umana come processo necessario di fabbricazione di un prodotto che nella prospettiva collettivistica coincide con la societ senza classi. Ed qui implicito, perch dettato dalla relazione mezzi-fini che caratterizza la fabbricazione, l'uso violento e manipolativo della materia prima.62Cfr. ivi, pp. 193-194

Tale violenza altro non che l'inevitabile conseguenza, venuta con Marx in piena luce, del guardare all'azione dal punto di vista della fabbricazione. L'intera interpretazione arendtiana di Marx dunque volta a mostrare come nel patrimonio marxiano precipitino, e trovino sistematizzazione, quelle dinamiche della tradizione filosofica che si sono rese "responsabili" del fraintendimento della politica63Ivi, p. 195

. Per quanto Marx fosse sinceramente mosso dalla speranza di realizzare una societ in cui, grazie ad una produzione enormemente aumentata della forza lavoro, il modello dell'Atene di Pleriche potesse diventare realt per tutti, in verit l'umanit socializzata di cui ci parla si configura piuttosto come una societ di schiavi, nella quale il tempo libero dell' animal laborans non mai speso in altro modo che nel consumo, e pi tempo gli rimane pi rapaci ed insaziabili si fanno i suoi appetiti. Per questo Arendt, come g riportato, vede spostarsi l'obiettivo della rivoluzione, marxianamente intesa, dalla libert politica al soddisfacimento dei bisogni fisici e biologici, soddisfabili tramite l'abbondanza.Secondo la ricostruzione arendtiana della storia del pensiero rivoluzionario Marx ripet cos l'errore di Robespierre e la stessa cosa avrebbe fatto Lenin, il suo pi grande discepolo, nella rivoluzione pi grandiosa e terribile che i suoi insegnamenti abbiano finora ispirato64Hannah Arendt, Sulla rivoluzione, cit., p. 66.

. Anche Lenin per, malgrado il suo marxismo dogmatico, sarebbe stato forse capace di evitare questa capitolazione. Questa possibilit viene dedotta dalla formulazione di Lenin con la quale quest'ultimo tent di riassumere gli scopi della rivoluzione d'ottobre: elettrificazione pi soviet. Per Arendt, tale formula, da gran tempo dimenticata, merita grande attenzione soprattutto perch non riconosce nessun ruolo al partito e non esplicita come obiettivo l'edificazione del socialismo. Al posto di questi due, passati alla storia come mezzo e fine delle teorie e delle pratiche leniniste, troviamo una separazione, del tutto non-marxista, fra economia e politica; una differenziazione fra l'elettrificazione come soluzione della questione sociale russa e il sistema dei soviet come nuova struttura politica, emersa durante la rivoluzione al di fuori di tutti i partiti. Mediante i mezzi tecnici, non quindi tramite il socialismo, il problema della povert diviene risolvibile. Questo, essendo la tecnologia politicamente neutra, al contrario della socializzazione non prescrive n preclude alcuna specifica forma di governo. In sintesi la questione sociale della povert sarebbe stata risolta con l'elettrificazione, la questione politica della libert, invece, con la nuova forma di governo dei soviet. Ma questa idea, osserva Arendt, che rappresenta uno dei casi non infrequenti in cui il talento di Lenin come uomo di stato predomina sulla sua educazione marxista e sulle sue convinzione ideologiche, venne meno quando lo stesso Lenin rinunci alle possibilit di sviluppo economico razionale [] del paese insieme alle potenzialit di nuove istituzioni per la libert, quando decise che solo il partito bolscevico poteva essere la forza motrice sia per l'elettrificazione sia per i soviet65Ivi, p. 67.

. Questo cambiamento di posizione attribuibile a ragioni economiche pi che politiche, in altre parole all'elettrificazione pi che al potere del partito. Lenin, in sostanza, si convinse che il popolo, sia per la sua incompetenza sia per l'arretratezza del paese, non sarebbe stato in grado di risolvere i problemi sociali in condizioni di libert politica. Per questa ragione Arendt sostiene che Lenin fu l'ultimo erede della rivoluzione francese: non aveva un concetto teorico di libert, ma quando nella realt pratica si trov di fronte ad essa, comprese quale posta era in gioco, e quando sacrific le nuove istituzioni di libert, i soviet, al partito che, egli pensava, avrebbe liberato i poveri, le sue motivazioni e il suo ragionamento erano ancora in accordo con i tragici errori della tradizione rivoluzionaria francese66Ivi, p. 68.

. Prima di concludere questa digressione sul ruolo della compassione nelle rivoluzioni, e pi in generale, nella politica, bene precisare che Arendt, lungi dall'essere reazionaria, come spesso stata superficialmente giudicata, non rinuncer mai alla prospettiva di un radicale mutamento che sappia tenere insieme la questione sociale e la libert politica senza che la prima escluda la seconda. Quello arendtiano non dunque un rifiuto della rivoluzione, ma semmai un rifiuto della riduzione degli obiettivi rivoluzionari alle sole problematiche sociali. La rivoluzione legittima finch rimane fedele al suo obiettivo, politico, di creare spazi di libert politica. Per questo la pensatrice tedesca ci mette cos insistentemente in guardia dagli effetti negativi che la compassione, in quanto passione, porta con s nel momento in cui prevale nella sfera politica. Inoltre, ricollegandosi straordinariamente ai contenuti del Discorso su Lessing, Arendt, sempre nel saggio del '63, ci spiega come la compassione, sentimento di per s non negativo, non possa essere elevata a categoria politica perch abolisce la distanza, ossia quello spazio interno fra gli uomini in cui si svolgono gli affari politici e si colloca l'intero campo delle vicende umane67Ivi, p. 91.

. La sua dimensione dunque assolutamente impolitica anche perch alla compassione, che si rivolge solamente al singolo uomo che soffre, del tutto estraneo l'interesse discorsivo e argomentativo per il mondo. Comprendiamo ora a fondo perch Lessing si preoccup del carattere egualitario della compassione e perch ad essa prefer l'amicizia al punto che, scrive Arendt, la sua volont fu di essere l'amico di molti ma il fratello di nessuno68Hannah Arendt, l'Umanit in tempi bui, cit., p. 97.

. Questa prospettiva rivela chiaramente l'altissimo valore politico dell'esistenza di un uomo come Lessing, cos come ci introduce esplicitamente alla problematica della valenza politica ed umanizzante dell'amicizia come condizione necessaria del dialogo tra gli uomini.

CAPITOLO 3: Mondo, amicizia e politica

3.1 I tempi bui e la fuga dal mondoNel Discorso su Lessing Arendt tratta ampiamente una questione da lei giudicata come uno dei maggiori problemi della nostra epoca: il nostro atteggiamento verso il mondo. E' qui centrale la definizione arentiana di mondo, non inteso come il luogo abitato dagli uomini, ma come il luogo che si instaura tra gli uomini. E' questo tra l'oggetto della sua massima preoccupazione. Arendt ritiene infatti evidente che la sfera pubblica abbia perso la sua intensit e luminosit originaria69Ivi, p. 42.

. Tale constatazione inevitabile legata al fatto che sempre pi persone, anche nei paesi occidentali, si ritirano dal mondo e dagli obblighi nei suoi confronti. Ognuno di questi ritiri non necessariamente un male per l'individuo, che pu anzi trarne beneficio, ma lo indubbiamente per il mondo. Si perde queltra, specifico ed insostituibile, che doveva formarsi tra l'individuo e i suoi simili. I periodi in cui le persone non chiedono alla politica niente di pi che non sia assicurare gli interessi vitali e la loro libert privata sono definibili con un'espressione presa in prestito da Brecht: tempi bui70Ivi, p. 57.

, tempi in cui si perde quella luminosit originaria sopra citata. Ci che interessa ad Arendt che il tipo di umanit nella forma della fraternit71Ivi, p. 60.

si manifesti principalmente in tempi bui. La fraternit72Qui ci si riferisce alla concezione arendtiana di fraternit, trattata nel secondo capitolo.

insomma sembra inevitabilmente fare la sua comparsa presso i popoli ridotti in schiavit. In queste comunit i perseguitati si avvicinano gli uni agli altri tanto da cancellare il tra che dovrebbe separare gli individui mettendoli allo stesso tempo in relazione. In pratica, siamo di fronte alla scomparsa del mondo. In queste circostanze si possono verificare casi di bont e gentilezza di cui comunemente gli uomini non sono capaci. Da questo punto di vista siamo davanti al grande privilegio delle comunit dei perseguitati, ed da qui che sembra anche avere origine la vitalit e la gioia che questi popoli, chiamati da Arendt popoli paria, manifestano, e che pu colpire chi entrato in contatto con quei gruppi come un fenomeno quasi fisico73Hannah Arendt, l'Umanit in tempi bui, cit., p. 61.

. Altro vantaggio di queste comunit, strettamente legato alla dinamica della perdita del mondo, che i paria sono di fatto esonerati da qualunque tipo di dovere nei sui confronti. La sensibilit dell'autrice, per, definisce questa perdita del mondo come un duro prezzo da pagare. Per i casi in cui poi la condizione di paria si prolungata per tempi lunghi, Arendt utilizza il termine inglese "worldlessness", traducibile in italiano con "acosmia", indicativo di una mancanza radicale del mondo dichiarando che questa sempre una forma di barbarie74Ibidem.

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3.2 La condizione pariaE' bene per, prima di proseguire, approfondire il concetto di popolo paria. Il termine ha origine nel sistema delle caste indiano e specificatamente indica la casta degli intoccabili75Cfr. Ilaria Possenti, Paria, in Il novecento di Hannah Arendt, a cura di Olivia Guaraldo, Ombre corte, Verona, 2008, p. 92.

. Gi nel corso del XIX secolo era diffusa in Europa la metafora politico-letteraria che paragonava la condizione degli ebrei a quella della casta dei paria. E' con Max Weber per che la rappresentazione del popolo ebraico come popolo paria si trasforma nel modello sociologico di un popolo ospite che vive in un ambiente straniero. In Economia e societ76Max Weber (1864-1920), filosofo, sociologo ed economista tedesco. Economia e societ un'opera pubblicata postuma nel 1922 ed essa rappresenta l'apice degli studi sociologici weberiani. Nell'opera in questione, infatti, l'autore non si limita a definire l'oggetto e il compito della sociologia, ma cerca anche di analizzare il rapporto tra il sistema capitalistico e le forme di comunit e associazione (dalla dimensione domestica alle varie forme di potere, passando anche per le comunit etniche e religiose). Economia e societ, per questa ragione, rimane ancora oggi un efficace ed interessante studio sui caratteri strutturali e distintivi del capitalismo moderno.

, Weber osserva che il popolo ebraico, come gli intoccabili delle caste indiane, fonda la propria identit comunitaria non su un autonomo legame politico, ma sull'esclusione dalla comunit dominante; la credenza in un destino comune e la speranza di redenzione divengono, in casi come questi, la base di un'appartenenza tanto solida quanto esclusiva77Ilaria Possenti, Paria, cit., p 93.

. Hannah Arendt, quando utilizza l'immagine dei paria, debitrice di tale elaborazione weberiana. E' facile, e lo sar maggiormente con i successivi sviluppi della questione, comprendere perch Arendt giudichi tale modello di vita comunitaria come pericolosamente impolitico78Ibidem.

in quanto il sentimento religioso di appartenenza e di amore per il proprio popolo genera una comunit coesa, ma impreparata ad agire e giudicare autonomamente79Ibidem.

. Da parte sua, Arendt allargher la metafora dei paria oltre il popolo ebraico, estendendola a tutti i membri di minoranze, i senza patria e i rifugiati che tra le due guerre si ritrovarono privi di documenti e della protezione di uno stato80Ivi, p. 91.

. In questo senso, la figura del paria si lega a quella, a noi pi comune, dell'apolide. Anche qui la lucida analisi arendtiana mostrer, come nota Judith Butler, che l'apolidia non era un problema ebraico, ma una contraddizione dello stato nazione del ventesimo secolo81Judith Butler, Ebraismo, in Il Novecento di Hannah Arendt, cit., p. 42.

. In Le origini del totalitarismo infatti, nel celebre capitolo sul tramonto dello stato nazione e sulla fine dei diritti umani, l'autrice incentra un paragrafo interamente sulla questione e dichiara che l'apolidicit il fenomeno di massa pi moderno, e gli apolidi sono il gruppo umano pi caratteristico della storia contemporanea82Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, trad. it. Amerigo Guadagnin, Einaudi, Trento, 2009, p. 385.

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3.3 Il valore politico della questione ebraicaCon l'inizio del terzo capitolo dell'Umanit in tempi bui irrompe nella discussione l'esperienza biografica dell'autrice e in particolar modo la sua origine ebraica.In questo contesto non posso passare sotto silenzio il fatto che per molti anni ho ritenuto che la sola risposta adeguata alla domanda chi sei? fosse un'ebrea83Ivi, p. 70.

. Soltanto questa risposta non rappresentava una fuga dal mondo e permetteva di difendersi nell'unico modo possibile, ossia attraverso l'identit che viene attaccata84Ivi, p. 72.

. Dicendo un' ebrea Arendt non intendeva dunque riferirsi ad un particolare tipo di umanit e nemmeno ad una realt dotata di specificit storica, ma non riconosceva altro che un fatto politico85Ivi, p. 71.

.Aver risposto alla domanda chi sei? dicendo una donna o un uomo, come ci restituisce il senso delle parole di Nathan il saggio, sarebbe stata una grottesca evasione dalla realt86Ivi, p. 70.

. La superiorit che certi individui possono sentire nel momento in cui rifiutano le identificazioni che vengono da un mondo ostile la superiorit di un paese dei sogni87Ivi, p. 72.

, una superiorit che non pi di questo mondo88Ibidem.

e che quindi del tutto priva di rilevanza politica.Riportando tale riflessione arendtiana abbiamo in realt toccato una questione non secondaria che riguarda pi in generale il significato politico della questione ebraica, argomento che stato trattato da Arendt ampiamente nel terzo capitolo de Le origini del totalitarismo intitolato Gli ebrei e la societ. Questo capitolo compone, insieme ad altri, la prima parte del libro, in cui l'autrice si cimenta in una ricostruzione storica dell'antisemitismo. E' in particolare il paragrafo Fra paria e parvenu ad essere per noi interessante. Per Arendt la parit di condizioni un requisito essenziale della giustizia e deve essere garantita da un'organizzazione politica nel cui ambito individui diseguali hanno eguali diritti89Ivi, p. 76.

. Secondo l'analisi arendtiana, per, tale concetto politico di eguaglianza stato trasformato, nelle moderne societ di massa, in un concetto psicosociale che scambia l'eguaglianza per una qualit innata di ciascun individuo e questo risulta particolarmente pericoloso quando la societ lascia alle differenze uno spazio relativamente esiguo, dando cos luogo a una gran quantit di conflitti. Ed questa distorsione del concetto di eguaglianza a generare il razzismo che risulta, in questo senso, essere la reazione all'esigenza, posta dal concetto di eguaglianza, di riconoscere ogni individuo come mio pari90Ivi, p. 77.

. Tale distorsione determin, nel caso specifico, che quanto pi le condizioni ebraiche si avvicinarono all'eguaglianza, tanto pi sorprendenti apparivano le differenze. Questa constatazione produsse nell'ambiente circostante sia antipatia che attrazione verso gli ebrei; le due reazioni combinate determinarono la storia sociale dell'ebraismo occidentale. Sia l'antipatia che l'attrazione finirono per avvelenare l'atmosfera sociale, pervertendo i rapporti fra gli ebrei e i gentili e dando vita a quello che stato definito tipo, o tipico atteggiamento, ebraico91Ibidem.

. L'individuazione di uno stereotipo di ebreo determin la possibilit che vi fossero, tra gli ebrei, dei casi d'eccezione che si staccavano dalla massa ebraica e, in conseguenza, potevano essere accettati dalla societ gentile. In pratica la societ inizi a rifiutare gli ebrei a meno che non si trattasse di individui eccezionali. Questi ultimi vivevano l'ambigua condizione di essere ebrei, ma non come gli ebrei ed ecco perch essi volevano allo stesso tempo essere e non essere ebrei. Questo paradosso, per Arendt, aveva comunque una solida base nella realt. Infatti la societ pretendeva che il nuovo venuto fosse istruito come i suoi membri e che, pur non comportandosi come un ebreo comune, fosse e producesse qualcosa fuori dal comune poich, dopotutto, era un ebreo. Sostanzialmente anche se invitati a non comportarsi come gli ebrei comuni, gli ebrei erano accettati soltanto perch tali. All'origine di tale situazione per Arendt vi fu anche un certo umanesimo che, con Herder92Johann Gottfried Herder (Mohrungen, 1744-Weimar 1803) filosofo, teologo e letterato.

, vedeva negli ebrei dei nuovi esemplari di umanit che erano stati creati per tutta la terra e finalmente trovati nei vecchi vicini. Per gli illuministi tedeschi, inoltre, gli ebrei erano la prova vivente che tutti gli uomini erano uomini [ ] e proprio perch era un popolo disprezzato e oppresso, quello ebraico era un modello ancora pi puro di umanit. Per l'autrice questa idea secondo cui era da presumere che gli ebrei, divenuti esempi di umanit, dovessero essere anche individualmente pi umani fu una conseguenza dell'impressione suscitata e del fraintendimento di Nathan il saggio di Lessing93Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., pp. 79-80. Qui l'autrice intende dire che attraverso una superficiale, e forse anche strumentale, lettura del testo di Lessing, si possa ritenere che la figura di Nathan, con la sua cultura, la sua saggezza e la sua bont d'animo, sia proprio l'idealizzazione di questo stereotipo di ebreo rappresentante di una umanit straordinaria, ma che viene riconosciuta solo alla luce dell'originaria appartenenza. Nathan diventerebbe cos anche un simbolo del fenomeno (esposto nella tesi tra poche righe) dell'assimilazione, dunque di una ebraicit svuotata del suo valore politico. Arendt parla di fraintendimento perch evidente che la sua interpretazione di segno radicalmente opposto: Nathan non emblema di assimilazione e non dimentica per nessuna ragione di essere ebreo, ma, semmai, emblema di tolleranza e apertura verso un dialogo (arendtianamente) politico, poich, partendo da questa sua appartenenza, Nathan si apre al dialogo con chiunque, senza disporsi all'esclusione forzata delle differenze tra gli individui ma, eventualmente, alla valorizzazione di queste, intendendole come occasione di crescita umana e come fondatrici di possibili amicizie.

. Queste convinzioni, per Arendt, determinarono tra gli ebrei colti e occidentalizzati degli effetti disastrosi sulla loro posizione sociale e psicologica. Non solo ad essi era richiesto di staccarsi dal loro popolo ma da essi si pretendeva che fossero addirittura eccezionali campioni di umanit94Ivi, p. 81.

. Il vero problema di questa dinamica fu che, nell'arco della loro millenaria esperienza politica, gli ebrei si resero ciechi ai pericoli dell'antisemitismo politico, ma ipersensibili a tutte le forme di discriminazione sociale95Ivi, p. 76.

. Ed stata una disgrazia che soltanto i loro nemici, e quasi mai i loro amici, si rendessero conto che la questione ebraica era essenzialmente politica96Ivi, p. 79.

. I fautori dell'emancipazione si rivelarono incapaci di non ridurre il problema ebraico ad un fatto esclusivamente educativo, diventando cos i fautori di quel fenomeno chiamato, successivamente, assimilazione. Infatti, sempre nel citato capitolo, Arendt presenta la figura del parvenu, ossia l'ebreo assimilato che, per ottenere l'accesso a una societ dove si tollerati soltanto alla condizione di tacere la propria origine ebraica97Ivi, pp. 92-93.

, ha rinunciato per sempre ad attribuire qualsiasi significato politico alla sua appartenenza originaria, vivendo cercando di essere un uomo nella strada e un ebreo a casa98Ivi, p. 91.

. Secondo Hannah Arendt tale formula, proposta da un ebreo russo, potrebbe servire come motto per l'assimilazione nell'Europa occidentale99Ibidem, in note.

. Laura Boella, commentando lo stesso passo del Discorso su Lessing, riporta una significativa lettera di Arendt a Jasper che, oltre a metterci ancora una volta davanti alla necessit di scindere un livello individuale e uno politico, riconferma il senso per cui la pensatrice tedesca attribuiva all'ebraismo un valore esclusivamente politico: Lei mi chiede se sono tedesca o ebrea. Per essere onesta, devo dire che da un punto di vista individuale e personale, la cosa mi del tutto indifferente [...] sul piano politico, parler sempre a nome degli ebrei, in quanto sono costretta dalle circostanze a esibire la mia nazionalit100Laura Boella, Introduzione, in l'Umanit in tempi bui, cit., p. 29.

. Per le stesse ragioni, se nel Terzo Reich un tedesco e un ebreo avessero giustificato la loro amicizia affermando di essere due uomini saremmo stati di fronte ad una fuga dal mondo comune ad entrambi e non ad una presa di posizione contro la persecuzione. Una legge che proibisse ogni rapporto tra ebrei e tedeschi poteva essere elusa, ma non smentita da uomini che negassero ogni realt alla distinzione101Hannah Arendt, l'Umanit in tempi bui, cit., p. 82.

.

3.4 Fraternit tra gli oppressi: quali risvolti politici? Nel discorso del '59 l'autrice insiste nell'argomentare che l'umanit creata dalla fraternit si adatta difficilmente a chi non appartiene al novero degli umiliati e degli offesi e non pu parteciparvi se non mediante la compassione102Ibidem.

. Chi solidarizza dall'esterno con i paria in un'altra posizione rispetto al mondo e di conseguenza ha altre responsabilit nei suoi confronti.Ci non nega che il calore dei paria, sostituto della luce che viene meno nei tempi bui, sia estremamente affascinante per tutti coloro che si vergognano del mondo cos come , al punto di voler rifugiarsi nell'invisibilit103Ivi, p. 67.

. E' qui fondamentale concentrarsi a fondo sul concetto di invisibilit. Nascondersi in essa, nella sua oscurit, significa non avere pi bisogno di vedere il mondo visibile. Eccoci nuovamente davanti alla perdita del mondo e alla misteriosa irrealt che contraddistingue le relazioni umane ogni volta che esse si sviluppano nell'acosmia104Ibidem.

e quindi senza collegamento ad un mondo comune a tutti. In questa circostanza irreale si giunge facilmente alla conclusione che comune agli uomini non il mondo, andato perduto, ma la natura umana. Qui possiamo scegliere la via del razionalismo e insistere dunque sulla ragione, di cui sono universalmente dotati gli uomini, o scegliere di percorrere quella del sentimentalismo ponendo l'accento sulla capacit, comune a tutti, di compatire. Ma nel XVIII secolo queste due vie sono solo due aspetti della stessa situazione105Ibidem.

. Entrambe corrono il rischio di condurci all'entusiasmo eccessivo, portandoci a sentirci legati con vincoli di fraternit a tutti gli uomini106Ibidem.

. Razionalit e sentimentalismo sono qui sostituti psicologici107Ivi, p. 68.

del mondo comune perduto. La natura umana e il corrispondente sentimento di umanit manifestatosi nella condizione di acosmia non solo non pu trovare riscontro nel mondo ma si perderebbe nel momento in cui si dovesse tornare alla visibilit del mondo comune. A sostegno di questa sua tesi Arendt afferma che l'umanit degli umiliati e offesi non mai sopravvissuta all'ora della liberazione108Ibidem.

, volendo cos mostrare che se da un lato servita a rendere sopportabile l'umiliazione109Ibidem.

da un punto di vista esclusivamente politico l'umanit creatasi durante la persecuzione risulta assolutamente irrilevante110Ibidem.

.

3.5 Dopo la catastrofe: la politica come dispositivo umanizzanteCome abbiamo potuto vedere, Arendt non ci parla solo di umanit ma anche di vari tipi di umanit che possono fare la loro comparsa a seconda delle circostanze e in base al tipo di atteggiamento che gli uomini decidono di adottare rispetto ad esse. Il concetto di umanit indubbiamente fondamentale in tutta l'opera di Arendt. Il pensiero arendtiano nel suo complesso ripropone infatti la questione dell'umano in tempi di distruzione di innumerevoli esseri umani, di catastrofe dell'eredit culturale e filosofica europea fondata sul valore o sul postulato dell'umanit111Laura Boella, Umanit, in Il Novecento di Hannah Arendt, cit., p. 128

. In questo senso Hannah Arendt trae le pi amare e demolitrici conclusioni dalla catastrofe della tradizione occidentale culminata nel totalitarismo, e insieme pensa che la partita dell'umanit degli esseri umani non sia definitivamente perduta112Ivi, p. 130.

e si rivela straordinariamente capace di pensare la politica dopo la catastrofe113Olivia Guaraldo, Introduzione, in Il Novecento di Hannah Arendt, cit., 2008, p. 9.

intendendola come un dispositivo di umanizzazione114Laura Boella, Umanit, in Il Novecento di Hannah Arendt, cit. p. 136.

. Questo il significato della politica per Hannah Arendt, della sua fede nella capacit umana di iniziare, della sua utopia luxemburiana e consiliare della politica (innanzitutto antifascista), in cui l'azione direttamente libert e innovazione115Ivi, p. 128.

. La ragione per cui Arendt non attribuisce valore politico a quel tipo di umanit che si manifesta tra gli sfruttati e i perseguitati dovuto al fatto che alla base della sua teoria politica ci sia l'idea che la dignit della condizione umana si giochi quando ne va di qualcosa di pi della vita116Laura Boella, Umanit, in Il Novecento di Hannah Arendt, cit., p. 130.

, intesa come sopravvivenza, quando insomma ne va dell'amore del mondo, della preservazione dello spazio dell'essere insieme117Ibidem.

.E' gi stata trattata l'idea arendtiana per cui il mondo si umanizza nel momento in cui gli uomini, che con la loro pluralit di esseri unici lo vanno anche a costituire, ne fanno oggetto del loro discorso. Il dialogo umano, non la semplice conversazione, ha dunque un'importanza straordinaria. Al riguardo illuminante il capitolo di Vita Activa (1958) dedicato all'azione e nello specifico il paragrafo intitolato, molto significativamente, Il rivelarsi dell'agente nel discorso e nell'azione. In quest'ultimo leggiamo: discorso e azione sono le modalit in cui gli esseri umani appaiono agli altri non come oggetti fisici, ma in quanto uomini. Questo apparire, in quanto distinto dalla mera esistenza corporea, si fonda sull'iniziativa, un'iniziativa da cui nessun essere umano pu astenersi senza perdere la sua umanit118Hannah Arendt, Vita Activa, trad. it. Sergio Finzi, Bompiani, Milano, 2008, p. 128.

. Laura Boella ci insegna a leggere il Discorso su Lessing come l'apertura di una fase cruciale in cui l'impianto del pensiero formulato in Vita activa119Vita Activa venne pubblicato l'anno precedende al Discorso su Lessing, dunque nel 1958.

inizia a dispiegarsi in maniera ampia e precisa120Laura Boella, Introduzione, in L'umanit in tempi bui, cit., pp. 23-24.

. Infatti, sempre nel gi citato paragrafo, troviamo affermazioni di grande aiuto per capire a fondo perch Arendt riservi cos tanta importanza alla relazione tra gli uomini e in che senso parli di rilevanza o irrilevanza politica di alcune esistenze rispetto ad altre. Una vita senza discorso e senza azione, scrive l'autrice, letteralmente morta per il mondo; ha cessato di essere una vita umana perch non pi vissuta fra gli uomini121Hannah Arendt, Vita Activa, cit., p. 128.

. Ed dello stesso capitolo l'idea secondo la quale con la parola e con l'agire che ci inseriamo nel mondo umano, e questo inserimento come una seconda nascita122Ibidem.

. Per Arendt, pensatrice della libert, la politica, dispositivo umanizzante che azione e discorso, entra in gioco quando non la necessit, prima fra tutte quella della sopravvivenza, a condizionarci. La rinascita di cui ci parla un inserimento che infatti non ci viene imposto dalla necessit, come il lavoro, e non ci suggerito dall'utilit, come l'operare. Pu essere stimolato dalla presenza di altri di cui desideriamo godere la compagnia, ma non mai condizionato. Il suo impulso scaturisce da quel cominciamento che corrisponde alla nostra nascita, e a cui reagiamo iniziando qualcosa di nuovo di nostra iniziativa123Ibidem.

. Questi riferimenti alla teoria politica arendtiana, evidentemente caratterizzata da una assoluta originalit, ci mostrano come Hannah Arendt brilla nella schiera di pensatori che, da Battaille a Foucault, dalla Weil a Lyotard, da Levinas a Derrida, fino a Nancy, sono stati capaci di dare vita ad una filosofia radicale e libertaria, in grado di elaborare da un'esperienza storica, in particolare quella del nazismo e dello stalinismo, una categoria teorica, che va al di l della configurazione concreta, e apparentemente contrapposta, di quei regimi124Simona Forti, Male, in Il Novecento di Hannah Arendt, a cura di Olivia Guaraldo, Ombre corte, Perugia, 2008, p. 55.

. Comprendere che il fine della politica, arendtianamente intesa, debba, in ultima analisi, rimanere la libert e che alla politica appartenga la sfera dell'azione e del discorso, attivit umanizzanti, piuttosto che la sfera della necessit fisica e biologica, ci serve anche a comprendere pi a fondo la critica alla tradizione rivoluzionaria trattata nel precedente capitolo.

3.6 Decidere di non condividere il mondo: quali conseguenze?

Attraverso l'esposizione dell'idea arendtiana secondo la quale l'umanit degli umani, e del mondo, non sia una qualit propria, necessariamente data, della condizione umana naturale, ma per cui il dialogo la condizione necessaria all'umanizzazione dell'umano, cos come solo nel momento in cui questo dialogo riguarda il mondo comune (l'infra della relazione), e la volont di prendersene cura, che quest'ultimo diviene umano, siamo giunti alla definizione di politica, la cui essenza l'azione e il discorso, come dispositivo umanizzante. L'umano, arendtianamente inteso, dunque un nome che il risultato di una attivit politicamente discorsiva e plurale, sempre precaria e in trasformazione125Olivia Guaraldo, Introduzione, in Il Novecento di Hannah Arendt, cit., p.11

. A riguardo emblematica la posizione che, in conclusione della Banalit del male, Arendt assume nei confronti della sentenza contro Eichmann. Al processo di Gerusalemme Arendt mosse diverse critiche. Queste furono incentrate prevalentemente sull'argomentazione di una illegittimit di fondo del processo stesso, in quanto il crimine contestato, secondo l'autrice, era un crimine contro l'umanit, perpetrato sul corpo del popolo ebraico e nella misura in cui il crimine era un crimine contro l'umanit, per far giustizia occorreva un tribunale internazionale126Hannah Arendt, La banalit del male, trad. it. Piero Bernardini, Feltrinelli, 2007, Milano, p. 275.

.Inoltre Arendt riteneva palese, basandosi sui toni retorici dell'accusa, che il processo stesse in realt tentando di soddisfare un desiderio, e forse anche un presunto diritto, di vendetta, piuttosto che un desiderio di giustizia, che dovrebbe in realt essere il fine di ogni processo. Arendt, al di l di queste critiche, sembra comunque condividere la condanna a morte dell'imputato, ma la ripropone in una formulazione completamente diversa rispetto a quella della corte. Mentre la ragione ufficiale della condanna a morte di Eichmann stata fondata sulla base di principi antiquati, quali, per esempio, l'idea che un delitto grave offende la natura sicch la terra stessa grida vendetta; che il male viola un'armonia naturale che pu essere risanata soltanto con la rappresaglia127Ivi, p. 283.

, secondo l'autrice, invece, tutti avrebbero visto che il processo di Gerusalemme era giusto se i giudici avessero avuto il coraggio di rigettare la difesa di Eichmann in base al rifiuto dell'idea per cui dove tutti o quasi tutti sono colpevoli, nessuno lo . Eichmann infatti si difese rivendicando che il suo ruolo nello sterminio degli ebrei fu del tutto casuale, ammetendo anche che chiunque altro avrebbe potuto prendere il suo posto. Arendt pensa che la corte avrebbe dovuto rivolgersi all'imputato nella seguente maniera: anche supponendo che soltanto la sfortuna ti abbia trasformato in un volontario strumento dello sterminio, resta sempre il fatto che tu hai eseguito e perci attivamente appoggiato una politica di sterminio [...] e come tu hai appoggiato e messo in pratica una politica il cui senso era di non coabitare su questo pianeta con il popolo ebraico e con varie razze [...] noi riteniamo che nessuno, cio nessun essere umano desideri coabitare con te. Per questo, e solo per questo, tu devi essere impiccato128Ivi, p. 284.

.Abbiamo precedentemente riportato i passi di Vita activa in cui si sostiene che a rivelare la paradossale condizione umana, la condizione dell'unicit nella distinzione, siano esclusivamente l'azione e il discorso. In modo del tutto esplicito l'autrice afferma che nessun essere umano pu astenersi da questa dimensione, necessariamente relazionale, senza perdere la sua umanit. Serve dunque essere capaci di disporsi all'umanizzazione nel senso di accettare la sfida di una umanit in fieri, accettare di condividere con altri il processo mai compiuto di definizione e universalizzazione dell'umano129Olivia Guaraldo, Introduzione, in Il novecento di Hannah Arendt, cit., p. 11.

. Eichmann ha invece deliberatamente scelto di non condividere nulla. Ha infatti obbedito a degli ordini, e in politica obbedire e appoggiare sono la stessa cosa, che, come si legge nella riformulazione arentiana della condanna, lo hanno portato alla non condivisione del mondo (..quasi che tu e i tuoi superiori aveste il diritto di stabilire chi deve e chi non deve abitare la terra130Hannah Arendt, La banalit del male, cit., p 284.

). Eichmann ha deciso di porsi in una posizione non umana e non umanizzante. Dialogo e mondo sono stati, di fatto, rifiutati dalle sue scelte. Heichmann, il burocrate dello sterminio, ha perso la sua umanit. Per questo, e solo per questo Arendt, come dicevamo, dimostrandosi profondamente legata alle sue elaborazioni teotiche, appare favorevole alla sua condanna a morte.

3.7 Emigrazione interiore e "padroneggiamento del passato": un problema diffusoArendt riconosce che tutte le sue riflessioni sulla condizione paria possono essere sentite distanti da chi non ha conosciuto il destino degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale se non per sentito dire, ma ritiene anche significativo che nello stesso periodo esistesse un fenomeno noto come emigrazione interiore131Hannah Arendt, L'Umanit in tempi bui, cit., p. 72.

e scrive che chi sa qualcosa di quell'esperienza pu facilmente riconoscere talune questioni e conflitti che presentano un'analogia con i problemi che ho sollevato132Ibidem.

. Ora l'attenzione dell'autrice rivolta a questa emigrazione interiore, un fenomeno curiosamente ambiguo perch se da un lato capiamo che vi furono individui che scelsero di comportarsi come degli emigrati, anche vero che di fatto non erano emigrati ma ritirati in uno spazio interiore, nell'invisibilit del pensare e del sentire133Ivi, p. 73.

.Anche se in quell'epoca, oltremodo buia134Ibidem.

, in Germania fu particolarmente forte la tentazione di abbandonare lo spazio pubblico in favore di una esistenza interiore o pi semplicemente con la volont di ignorare un mondo insopportabile, Arendt ci invita a non cadere nell'errore di ritenere tale fenomeno rigidamente circoscritto all'area tedesca e al periodo nazista. Finita la guerra, infatti, e non nella sola Germania, si diffusa la tendenza ad agire come se gli anni dal '33 al '45 non fossero mai esistiti,135Ibidem.

a comportarsi insomma come se quelle vicende storiche si potessero rimuovere dai manuali. Il successo mondiale del Diario di Anna Frank mostra per esempio che il tentativo di ridurre l'orrore a sentimentalismo136Ivi, p. 74.

non esclusivo dei tedeschi.Questa incapacit di affrontare la realt del passato figlia dell'emigrazione interiore, oltre che una eredit diretta del Nazismo in quanto conseguenza della colpa organizzata in cui i nazisti coinvolsero tutti gli abitanti dei paesi tedeschi137Ibidem.

, coinvolgendo gli emigrati interiormente non meno dei convinti sostenitori di Hitler138Arendt nella Banalit del male giudicher "isteriche" certe manifestazioni di senso di colpa proprie della giovent tedesca per crimini oggettivamente non commesi da quest'ultima. A riguardo l'autrice torner a parlare di sentimentalismo, definendolo "a buon mercato", come rifugio e via di fuga dai problemi reali.

. Il passato rimane dunque non padroneggiato, ma la Arendt contesta ora che la cosa da fare sia padroneggiarlo: probabilmente ci non possibile con nessun passato, di sicuro non possibile con la Germania di Hitler139Hannah Arendt, l'Umanit in tempi bui, cit., p. 75.

. Ci che possiamo fare riconciliarci con esso140Ivi, p. 77.

. Il massimo che possiamo ottenere sapere cosa stato, riconoscerlo e saper sopportare tale conoscenza per poi aspettare e vedere cosa viene fuori dal sapere e dal sopportare. Per spiegarsi, l'autrice ricorre alla letteratura, ed in particolare alla forma tragica, scegliendo come riferimento il romanzo di William Faulkner, Parabola, mostrando come il tentativo di padroneggiamento del passato141Ivi, p. 75.

, relativo alla Prima guerra mondiale, sia stato fallimentare.Il romanzo in questione, a distanza di quarant'anni da quella guerra, rappresent una rivelazione trasparente della verit segreta degli eventi142Ivi, p. 76.

e solo grazie ad essa fu possibile dire: si, cos che stato143Ibidem.

. Nell'opera di Faulkner vengono spiegate e descritte poche cose e nel modo pi assoluto nulla padroneggiato144Ibidem.

. Alla fine del romanzo, ci che rimane l'effetto del piacere tragico, la sconvolgente emozione che mette in grado di accettare il fatto che qualcosa come quella guerra sia potuta accadere145Ibidem.

. Qui si spiega la scelta della forma letteraria: l'eroe tragico, attraverso il patire, giunge al sapere. L'apice raggiunto nel momento in cui l'agire si trasforma in patire146Ibidem.

, perch ci avvenga necessario che la collera e l'indignazione si siano placate e per questo occorre molto tempo. Ora capiamo in che modo possiamo riconciliarci con il passato: la forma di questa riconciliazione il lamento che sgorga da ogni reminiscenza147Ivi, p. 77.

. Significative al riguardo sono le parole con cui si esprime Goethe nella dedica al Faust: si rinnova il dolore, ripete il lamento / il folle corso labirintico della vita.Padroneggiare il passato pu essere possibile solo nel momento in cui si racconta ci che accaduto. Questo perch la ripetizione nel lamento istituisce il significato di ogni azione che si rivela solo quando si compiuta e diventa suscettibile di narrazione148Ivi, p. 78.

. Tale narrazione, e quindi tale padroneggiamento per, che pur d forma alla storia, non risolve alcun problema e non allevia alcuna sofferenza, in pratica, non si padroneggia nulla una volta per tutte149Ibidem.

. Ci che possiamo fare piuttosto, finch il senso degli eventi rimane vivente150Ibidem.

, dare forma al padroneggiamento con un'incessante narrazione. Fondamentale qui il ruolo dei poeti e degli storici che devono saper avviare l'attivit di narrazione e coinvolgerci in essa. La nostra familiarit con tale processo ha origine nella nostra esperienza in quanto, pur non essendo n poeti n storici, sentiamo il bisogno di raccontare a noi stessi e agli altri gli avvenimenti significativi delle nostre esistenze. In questo senso spesso ci apriamo alla poesia e rimaniamo in sua attesa. E quando essa irrompe in qualche essere umano accade che un racconto in pi, provvisoriamente compiuto151Ivi, p. 79.

, si aggiunge tra le altre cose nel mondo. In questo posto la narrazione sopravviver, continuer a vivere come una storia tra molte152Ibidem.

. Tale bisogno di raccontare agli altri le nostre esistenze ci riporta nuovamente al ruolo fondamentale del dialogo umano e quindi ci ritroviamo, ancora una volta, di fronte all'amicizia e al valore politico che essa pu assumere. Un'amicizia, arendtianamente, pu diventare politica nel momento in cui due individui, nettamente distinti, si pongo in relazione fra loro riconoscendo vicendevolmente la loro reciproca alterit. Solo queste condizioni garantiscono l'inverarsi della paradossale condizione umana, ossia la pluralit di esseri unici. Se un'amicizia, al contrario, negasse la distinzione e narcisisticamente fosse una mera ricerca di s stessi nell'altro, si porrebbe su un piano propriamente impolitico perch, oltre ad essere una condizione che nega quel tra che costituisce il luogo della politica, priverebbe il dialogo del suo significato umanizzante (quindi politico) e lo trasformerebbe in un dialogo tra un individuo e la copia di s stesso.La questione del rapporto con il passato e della sua narrazione si ricollega all'emigrazione interiore e al problema, come gi riportato, giudicato da Arendt come il pi rilevante, ossia il nostro atteggiamento verso il mondo. Nello specifico, ora ci si chiede: quale misura di realt occorra mantenere anche in un mondo divenuto disumano, se non si vuole ridurre l'umanit a vuota frase o fantasma153Ibidem.

. L'autrice ammette che l'emigrazione interiore non sia necessariamente sbagliata e addirittura possa essere l'unico atteggiamento possibile154Ivi, p. 80.

in determinati casi.Ci che fondamentale, e che giustifica la fuga dal mondo in tempi bui, che la realt non venga mai ignorata ma costantemente riconosciuta come ci da cui si deve fuggire155Ibidem.

. In questo modo la fuga rimarrebbe inerente al mondo da cui deve fuggire e la realt del mondo sarebbe espressa cos dalla fuga stessa. In questo caso saremmo davanti ad una scelta per nulla irrilevante ma allo stesso tempo, dice Arendt, non possiamo ignorare il limitato significato politico di una tale esistenza156Ivi, p. 81.

. Dobbiamo insomma stare attenti a non gettare via l'umanit insieme alla realt157Ivi, p. 82.

, come fece chi aborrendo le idee naziste si rifugi nella propria interiorit.Ritorna utile l'esempio dei due amici, uno tedesco e l'altro ebreo, nella Germania di Hitler. Abbiamo visto come questi potevano eludere la legge senza combatterla. Per non perdere il contatto con la realt, la realt della persecuzione, e dare un valore politico alla loro amicizia essi avrebbero dovuto dirsi: tedesco, ebreo, e amici158Ibidem.

. Una posizione di questo tipo quando si verificata ha prodotto una scintilla di umanit in un mondo divenuto inumano159Ivi, pp. 82-83.

.3.8 Dalla verit teologica alla ragione scientifica: ripartiamo da LessingIl riferimento all'amicizia, e alla sua valenza politica, ci porta nuovamente a confrontarci con gli antichi, che specularono molto sulla questione, ma la loro eredit ci pervenuta in qualche modo distorta. Noi siamo portati a pensare che gli amici veri si distinguano nella sfortuna e nella sofferenza, ma nell'antichit l'attenzione era rivolta alla condivisione della felicit, tanto da ritenere quest'ultima impossibile nell'eventuale assenza di un