La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela...

65
La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme del 2008/2009? (*) Lav. nelle p.a., 2009, 3-4, 0553 Paolo Pascucci SOMMARIO: 1. Premessa: un ricordo veronese. - 2. Costruzione e modifica del d.lgs. n. 81/2008. - 3. Sicurezza sul lavoro e pubbliche amministrazioni. - 4. La definizione di "lavoratore": l'importanza dell'organizzazione. - 5. I soggetti equiparati al lavoratore: in particolare, la nuova disciplina per i volontari. - 6. Particolari figure di lavoro: somministrazione, distacco, lavoro parasubordinato, telelavoro. - 7. La definizione di "datore di lavoro". - 7.1. L'evoluzione della definizione. - 7.2. L'individuazione del dirigente- datore di lavoro e la sua presunta assimilabilità alla delega. La questione della spettanza dei poteri di gestione. - 7.3. Qual è l'organo di vertice che individua il datore di lavoro? - 7.4. Le responsabilità dell'organo di vertice. - 7.5. Il funzionario-datore di lavoro e l'ipotesi della sua mancanza. - 7.6. Gli autonomi poteri decisionali e di spesa. - 7.7. I poteri del datore di lavoro e la delega di funzioni. - 7.8. La novità della sub-delega. - 8. Altre disposizioni rilevanti per le pubbliche amministrazioni. - 8.1. Le definizioni di azienda, dirigente e preposto. - 8.2. La vigilanza e il sistema istituzionale. - 8.3. La responsabilità del datore di lavoro e del dirigente. - 8.4. Gli appalti. - 8.5. La valutazione dei rischi. - 8.6. Il servizio di prevenzione e protezione. - 8.7. La sorveglianza sanitaria. - 8.8. I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e i comitati paritetici. - 8.9. I modelli di organizzazione e di gestione. - 9. Conclusione. 1. Premessa: un ricordo veronese. Quando quasi undici anni fa, esattamente il 20 novembre del 1998, qui a Verona Donata Gottardi organizzò la presentazione del volume collettaneo su "Telelavoro e diritto" (Gaeta, Pascucci 1998), si pensò di affidare la relazione introduttiva a Massimo D'Antona. Quel volume trattava delle varie questioni giuridiche poste dal telelavoro in senso generale, con riferimento al settore privato ed a quello pubblico. Poiché proprio in quella stagione si stava lavorando alla costruzione della disciplina del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, a cui aveva dato impulso l'allora Ministro della funzione pubblica Franco Bassanini con l'art. 4 della l. 16 giugno 1998, n. 191, Massimo calibrò la sua relazione essenzialmente sul telelavoro nel settore pubblico: come responsabile delle relazioni sindacali alla Funzione pubblica, stava contribuendo da par suo al decollo di quella disciplina, convinto che il telelavoro potesse rappresentare uno strumento capace di innovare il "sistema in ritardo" della nostra pubblica amministrazione puntando sul fattore umano (D'Antona, 2000, 9). Pochi mesi dopo, nella primavera del 1999, quell'intenso lavoro iniziò a dare i primi frutti con l'approvazione del d.p.r. 8 marzo

Transcript of La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela...

Page 1: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme del 2008/2009? (*)

Lav. nelle p.a., 2009, 3-4, 0553

Paolo Pascucci

SOMMARIO: 1. Premessa: un ricordo veronese. - 2. Costruzione e modifica del d.lgs. n. 81/2008. - 3. Sicurezza sul lavoro e pubbliche amministrazioni. - 4. La definizione di "lavoratore": l'importanza dell'organizzazione. - 5. I soggetti equiparati al lavoratore: in particolare, la nuova disciplina per i volontari. - 6. Particolari figure di lavoro: somministrazione, distacco, lavoro parasubordinato, telelavoro. - 7. La definizione di "datore di lavoro". - 7.1. L'evoluzione della definizione. - 7.2. L'individuazione del dirigente-datore di lavoro e la sua presunta assimilabilità alla delega. La questione della spettanza dei poteri di gestione. - 7.3. Qual è l'organo di vertice che individua il datore di lavoro? - 7.4. Le responsabilità dell'organo di vertice. - 7.5. Il funzionario-datore di lavoro e l'ipotesi della sua mancanza. - 7.6. Gli autonomi poteri decisionali e di spesa. - 7.7. I poteri del datore di lavoro e la delega di funzioni. - 7.8. La novità della sub-delega. - 8. Altre disposizioni rilevanti per le pubbliche amministrazioni. - 8.1. Le definizioni di azienda, dirigente e preposto. - 8.2. La vigilanza e il sistema istituzionale. - 8.3. La responsabilità del datore di lavoro e del dirigente. - 8.4. Gli appalti. - 8.5. La valutazione dei rischi. - 8.6. Il servizio di prevenzione e protezione. - 8.7. La sorveglianza sanitaria. - 8.8. I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e i comitati paritetici. - 8.9. I modelli di organizzazione e di gestione. - 9. Conclusione. 1. Premessa: un ricordo veronese. Quando quasi undici anni fa, esattamente il 20 novembre del 1998, qui a Verona Donata Gottardi organizzò la presentazione del volume collettaneo su "Telelavoro e diritto" (Gaeta, Pascucci 1998), si pensò di affidare la relazione introduttiva a Massimo D'Antona. Quel volume trattava delle varie questioni giuridiche poste dal telelavoro in senso generale, con riferimento al settore privato ed a quello pubblico. Poiché proprio in quella stagione si stava lavorando alla costruzione della disciplina del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, a cui aveva dato impulso l'allora Ministro della funzione pubblica Franco Bassanini con l'art. 4 della l. 16 giugno 1998, n. 191, Massimo calibrò la sua relazione essenzialmente sul telelavoro nel settore pubblico: come responsabile delle relazioni sindacali alla Funzione pubblica, stava contribuendo da par suo al decollo di quella disciplina, convinto che il telelavoro potesse rappresentare uno strumento capace di innovare il "sistema in ritardo" della nostra pubblica amministrazione puntando sul fattore umano (D'Antona, 2000, 9). Pochi mesi dopo, nella primavera del 1999, quell'intenso lavoro iniziò a dare i primi frutti con l'approvazione del d.p.r. 8 marzo 1999, n. 70, che disciplina a tutt'oggi il telelavoro subordinato nel settore pubblico, a cui fecero seguito l'atto di indirizzo all'Aran ed il contratto collettivo quadro del 23 marzo 2000 fino all'introduzione di specifiche norme nei contratti collettivi di comparto. Nelle pubbliche amministrazioni il telelavoro è ancora ad uno stadio sperimentale, nonostante alcune interessanti esperienze. Gli enti pubblici sembrano ancora non fidarsi del lavoro telematico a distanza sebbene dispongano di una disciplina legislativa, regolamentare e contrattuale

Page 2: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

particolarmente innovativa che non ha eguale nel settore privato (nel quale, alcuni anni dopo, è sopraggiunto soltanto un accordo interconfederale che ha recepito un accordo europeo), così evidenziandosi un altro campo (come quello della rappresentanza sindacale) nel quale la disciplina del lavoro pubblico pare in grado di fungere da "apripista" a quella del settore privato. L'intuizione di Massimo D'Antona, sul telelavoro come strumento di innovazione organizzativa, è così rimasta sospesa, come purtroppo, sempre in quella primavera del 1999, è stata tragicamente interrotta la sua giovane vita. In un successivo volume sul telelavoro nelle pubbliche amministrazioni (Gaeta, Pascucci, Poti 2000) abbiamo pubblicato, postume, le parole che Massimo pronunciò allora a Verona. Il suo discorso si chiudeva più o meno così: la grande scommessa riguarda l'innovazione organizzativa e questa richiede investimenti non solo normativi (D'Antona, 2000, 9). 2. Costruzione e modifica del d.lgs. n. 81/2008. Quelle parole di Massimo D'Antona si attagliano perfettamente anche al tema che mi è stato affidato. In effetti, sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori negli ultimi tempi si sono concentrati sforzi considerevoli specialmente dal punto di vista normativo. Basta pensare: a) all'approvazione, dopo trent'anni di attesa (dalla riforma sanitaria di cui alla l. 23 dicembre 1978, n. 833) di un testo unico in materia, il d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (Zoppoli, Pascucci, Natullo 2008; Tiraboschi 2008a) (che, tuttavia, vero e proprio testo unico formalmente non è: Pascucci 2008a, 23), elaborato fra l'altro in una quanto mai turbolenta congiuntura politico-parlamentare, qual è stata quella della XV Legislatura, che non sembrava lasciare grandi speranze sull'esito della delega prevista dall'art. 1 della l. 3 agosto 2007, n. 123 (Pascucci 2008a, 4); b) alla riconduzione ed alla rivisitazione, appunto nel nuovo d.lgs. n. 81/2008, delle principali normative tecniche esistenti nel nostro ordinamento fin dalla metà del secolo scorso; c) alla determinazione di principi generali che, pur confermando quanto già era emerso nel precedente d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626, si inseriscono in un sistema più organico e che si avvale di un considerevole apparato istituzionale pensato per governare e coordinare le politiche pubbliche della prevenzione. Questa notevole innovazione normativa non ha ancora dato tutti i suoi frutti. Anzi, a dire il vero, ne ha dati solo alcuni, anche perché, fra l'altro, molte delle sue innovazioni postulano o un impulso da parte delle istituzioni, che non sempre c'è stato, o un'attuazione da parte di una decretazione regolamentare che ancora non ha visto la luce. Basta ricordare, da un lato, la mancata attivazione, finora, della Commissione per gli interpelli che, ai sensi dell'art. 12 del d.lgs. n. 81/2008, fornisce risposte su quesiti di ordine generale sull'applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro, che possono essere posti anche dagli organismi associativi a rilevanza nazionale degli enti territoriali (come Anci e Upi), a riprova che le delicate questioni relative alla materia in esame riguardano anche il settore pubblico; da un altro lato, il ritardo nell'emanazione del decreto previsto dall'art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 81/2008 per la definizione delle regole tecniche necessarie per la realizzazione ed il funzionamento del nuovo Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (Sinp) istituito per fornire dati utili per orientare, programmare, pianificare e valutare l'efficacia delle attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e per indirizzare le attività di vigilanza (La Peccerella, Signorini 2008, 142). Né vanno

Page 3: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

dimenticate le proroghe relative all'entrata in vigore di importanti previsioni (Pascucci 2009a, 177) e riguardanti anche la normativa regolamentare di adeguamento per non poche pubbliche amministrazioni che, nel rispetto della direttiva quadro europea del 12 giugno 1989, n. 89/391/CEE (1), l'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 81/2008 ha prefigurato per rispondere alle effettive particolari esigenze connesse ai servizi espletati o alle loro peculiarità organizzative (2) (su cui v. criticamente Ieva 2009, 1178). L'originario termine ultimo di emanazione dei decreti ministeriali di adeguamento (12 mesi dall'entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2008) è stato prorogato di ulteriori 12 mesi (3), restando provvisoriamente in vigore i decreti ministeriali emanati in base al d.lgs. n. 626/1994 (4). Non si deve peraltro trascurare che l'applicazione del d.lgs. n. 81/2008 ha scontato il repentino cambio di maggioranza parlamentare e di governo verificatosi poco dopo la sua emanazione. Così come dovrà ora misurarsi con le non poche modifiche contenute nel d.lgs. 3 agosto 2009, n. 106, emanato a fini correttivi ed integrativi ai sensi dell'art. 1, comma 6, della legge delega n. 123/2007. Non è questa la sede per esaminare tutte le innovazioni del d.lgs. n. 81/2008 (ancorché limitatamente al suo Titolo I) né, tanto meno, tutte le modifiche apportate dal d.lgs. n. 106/2009. Non può tuttavia sottacersi come, almeno con riferimento al Titolo I del d.lgs. n. 81/2008, il decreto legislativo correttivo abbia risentito positivamente dell'intenso e vivace dibattito sviluppatosi dopo l'approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del primo schema di decreto correttivo (27 marzo 2009). Le notevoli criticità di alcune previsioni di quest'ultimo - specialmente l'art. 2-bis (presunzione di conformità) e l'art. 10-bis (obbligo di impedimento) - hanno indotto la maggior parte delle Regioni ad esprimere lo scorso 29 aprile parere negativo in sede di Conferenza Stato-Regioni; dal canto loro Commissioni parlamentari competenti hanno sollecitato il Governo a valutare attentamente l'opportunità di conservare tali disposizioni nella loro originaria formulazione, non dovendosi inoltre dimenticare le forti perplessità espresse in ambienti sindacali e da parte di alcune associazioni professionali del settore della sicurezza sul lavoro (Smuraglia, Bonardi, Masera 2009, 371). Nel d.lgs. n. 106/2009, di quelle due norme (5) non resta altro che qualche indiretta e remota traccia, sebbene il testo definitivamente approvato presenti altre criticità (Pascucci 2009b, 24). Il ripensamento governativo accresce quindi il rammarico per quelle modifiche del d.lgs. n. 81/2008 che, dopo la sua emanazione, lo stesso Governo ha unilateralmente apportato mediante decretazione d'urgenza senza dar corso ad alcuna consultazione dei soggetti (istituzionali e non) che avevano concorso alla sua predisposizione (6). Eppure, l'art. 1, comma 6, della l. n. 123/2007 aveva chiaramente previsto che le modifiche del d.lgs. n. 81/2008 fossero predisposte, oltre che nel rispetto dei criteri di delega, seguendo lo stesso iter procedimentale di quest'ultimo che, oltre al parere delle Commissioni parlamentari ed alla consultazione delle parti sociali, in ossequio alla competenza concorrente in materia delle Regioni (art. 117 Cost.) contemplava soprattutto il parere della Conferenza Stato-Regioni. Come emerge dalla Relazione che accompagna il d.lgs. n. 106/2009, il ripensamento governativo non si è limitato alle due norme summenzionate, ma si è opportunamente esteso ad altre proposte correttive presenti nel primo schema su cui si erano appuntate, in particolare, le critiche delle Regioni (ad esempio in materia di interpello, di incompatibilità tra attività di consulenza e

Page 4: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

di vigilanza, di trasmissione da parte dei medici competenti al Servizio sanitario nazionale dei "flussi" di dati utili alla prevenzione degli infortuni). In questa sede ci si limiterà a segnalare soltanto alcuni degli aspetti della disciplina del Titolo I del d.lgs. n. 81/2008 (dedicato ai principi fondamentali) che possono presentare maggiore interesse per le pubbliche amministrazioni, verificandone il tasso di innovazione rispetto alla normativa previgente e cercando nel contempo di evidenziare anche l'impatto di alcune delle recenti modifiche apportate dal d.lgs. n. 106/2009. È appena il caso di precisare, come del resto traspare dal titolo di questo scritto, che qui si tratta delle pubbliche amministrazioni riguardate esclusivamente come datori di lavoro e non, invece, come soggetti che, in certi casi, costituiscono parte integrante di quel complesso sistema istituzionale che, come risulta dal Capo II del Titolo I del d.lgs. n. 81/2008, ha fra l'altro il compito di promuovere la prevenzione nei luoghi di lavoro e di controllare l'applicazione della disciplina di tutela. Questa indagine verrà condotta - parafrasando le parole di D'Antona - avendo ormai ben chiaro che, in questa materia, le norme, anche le migliori, servono a ben poco se non riescono soprattutto ad incidere sul piano dell'organizzazione (aziendale o amministrativa che sia) (D'Antona, 2000), convincendo (o altrimenti costringendo) il datore di lavoro a realizzare una vera e propria prevenzione primaria, vale a dire capace - come pretende la direttiva "madre" europea n. 89/391/CEE - innanzitutto di eliminare i rischi alla fonte e, solo in secondo luogo, di ridurli ove non sia tecnicamente possibile eliminarli (Maggi 1997, 328). 3. Sicurezza sul lavoro e pubbliche amministrazioni. Una riflessione sulla sicurezza del lavoro non dovrebbe prescindere da una considerazione sulle fonti e sul difficile riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni su questa materia, su cui insistono, oltre alla competenza concorrente regionale, non poche competenze esclusive statali; senonché, data l'economia di questo lavoro, si è costretti a rinviare all'ampio dibattito sul tema (Smuraglia 2007, 333; Montuschi 2007, 27; Carinci 2008a, 343; Natullo 2007a, 35; Natullo 2007b, 77; Bonardi 2007a, 23; Trojsi 2008, 15; Pascucci 2008a, 12). Per altro verso, è pressoché superfluo sottolineare che la disciplina sulla sicurezza del lavoro si applica anche nelle pubbliche amministrazioni. Sotto questo profilo, il d.lgs. n. 81/2008, sulla scorta di un chiaro criterio di delega (7), conferma quanto era progressivamente divenuto evidente con l'evoluzione della disciplina del d.lgs. n. 626/1994 prodotta dal d.lgs. 19 marzo 1996, n. 242 (Zoppoli 1997, 83; Tampieri 1996, 123). D'altronde, come ben evidenziato all'epoca (Zoppoli 1997, 87), finché il concetto di "tutela della salute" è rimasto essenzialmente confinato alle sole (peraltro legittime) esigenze di garanzia della incolumità fisica dei lavoratori, riconducibili, prevalentemente, ai settori dell'industria, dell'agricoltura e dell'edilizia - dove il rischio di gravissime patologie o di infortuni, non di rado mortali, è più avvertito -, "il lavoro burocratico è stato considerato alla stregua di un lavoro sicuro"; mentre nel momento in cui il concetto di salute si è ampliato, fino a ricomprendere patologie legate, per esempio, all'utilizzazione di tecnologie (soprattutto i videoterminali), o a situazioni di stress, fino ad arrivare al mobbing, la situazione è cambiata, in quanto almeno i "nuovi rischi" ai quali sono esposti i lavoratori sono diffusi in egual misura, nel lavoro privato, come in quello pubblico. Anche in forza del principio di cui all'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 81/2008 - applicabilità del decreto a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le

Page 5: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

tipologie di rischio -, lo stesso d.lgs. n. 81/2008, pur con le precisazioni indicate, vale sicuramente per tutte le pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (art. 2, lett. b, secondo e terzo periodo, del d.lgs. n. 81/2008). Il riferimento alle "amministrazioni" (art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001) e non ai loro "dipendenti" (art. 2, comma 2; art. 3) fa sì che in qualsiasi pubblica amministrazione valgano le regole del d.lgs. n. 81/2008, ferme restando, da un lato, le esigenze di adeguamento per le amministrazioni espressamente previste dall'art. 3, commi 2 (8) e 3 (9), e, dall'altro lato, le eventuali specifiche disposizioni ordinamentali relative al personale in regime di diritto pubblico di cui all'art. 3 del d.lgs. n. 165/2001, le quali dovranno comunque coordinarsi con le norme del d.lgs. n. 81/2008, dato che l'art. 304, comma 1, lett. d, di quest'ultimo dispone l'abrogazione di ogni disposizione legislativa e regolamentare nella materia disciplinata dal d.lgs. n. 81/2008 incompatibile con lo stesso. 4. La definizione di "lavoratore": l'importanza dell'organizzazione. Il primo aspetto da indagare, su cui si registra una sensibile innovazione rispetto al passato, riguarda la nozione di "lavoratore", identificata dall'art. 2, lett. a, del d.lgs. n. 81/2008 nella persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un'arte o una professione. Un concetto di stampo universalistico, in omaggio al criterio di delega, che fa leva sull'inserimento nell'organizzazione ed a cui peraltro - come emerge dal successivo art. 3, comma 5 ss. - si collega una disciplina variabile in ragione dell'intensità del vincolo negoziale- organizzativo esistente tra datore e lavoratore. È quindi tutelato anche il lavoratore non subordinato o quello che addirittura non ha vincoli contrattuali con il datore di lavoro (v. infra § 6). Particolarmente interessante, in questa sede, è il richiamo al concetto di organizzazione, riferito non solo al datore di lavoro privato ma anche a quello pubblico, evocandosi così un termine più volte ricorrente nel d.lgs. n. 165/2001 (artt. 5 e 6; Titolo II). Diversamente dal passato, il d.lgs. n. 81/2008 dedica all'organizzazione un'attenzione del tutto particolare. Il nucleo essenziale della nozione di lavoratore non è più rappresentato dalla prestazione del "proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro" (come nel d.lgs. n. 626/1994), bensì dall'inserimento funzionale dell'attività lavorativa (indipendentemente dalla tipologia contrattuale) nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro (Carinci 2008b, XLVII): tale inserimento funzionale diviene la "causa" della speciale protezione del soggetto "lavoratore" e, poiché prescinde dal "titolo" contrattuale, consente anche di superare il muro della subordinazione. L'elemento dell'organizzazione riaffiora subito dopo nella stessa definizione di datore di lavoro, come già avveniva anche nel d.lgs. n. 626/1994. Tuttavia, mentre in quest'ultimo la parola organizzazione valeva ad identificare l'assetto dell'impresa, nel nuovo decreto essa si identifica con la stessa impresa nonché con qualsiasi altra entità in cui il lavoratore operi. Se vale ad identificare qualsiasi entità datoriale (imprenditoriale e non), il termine organizzazione sta anche a significare che ognuna di esse, anche la più piccola e meno strutturata, consiste pur sempre in una realtà organizzata nella quale, appunto, non possono non esistere regole di organizzazione. Si potrebbe tuttavia obiettare che il legislatore delegato abbia richiamato l'organizzazione solo nel caso della definizione del datore di lavoro privato (art.

Page 6: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

2, lett. b, primo periodo) e non di quello pubblico (art. 2, lett. b, secondo periodo). Senonché, la definizione del datore pubblico (su cui si veda il § 7.1 ss.) non sembra contraddire il fondamento sostanziale su cui è costruita la nozione del datore di lavoro privato, almeno nella parte in cui quest'ultimo emerge in relazione alla responsabilità gestionale dell'organizzazione ed all'esercizio dei poteri decisionali e di spesa: non smentendo tali principi, la definizione speciale del datore pubblico evidenzia piuttosto, proprio in ragione della peculiare struttura organizzativa delle pubbliche amministrazioni, i particolari requisiti soggettivi e le procedure necessarie per far emergere la figura datoriale in tali contesti. In breve, il concetto di organizzazione travalica i confini dell'art. 2082 c.c. per connotare qualsiasi entità in cui si svolga lavoro umano e venga quindi in gioco il bisogno di tutela della salute dei lavoratori. 5. I soggetti equiparati al lavoratore: in particolare, la nuova disciplina per i volontari. Nel testo originario dell'art. 2, lett. a, del d.lgs. n. 81/2008, si rivelava di sicuro interesse per le pubbliche amministrazioni l'equiparazione al lavoratore dei volontari, come definiti dalla l. 1° agosto 1991, n. 266, dei volontari del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco e della protezione civile, dei volontari che effettuano il servizio civile e dei lavoratori di cui al d.lgs. 1° dicembre 1997, n. 468 e successive modificazioni (lavoratori socialmente utili). Al di là delle specificità dei loro rapporti di lavoro, tutti questi soggetti dovevano essere tutelati al pari del lavoratore "classico" (subordinato o autonomo) per il fatto di prestare un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro, che in molti di quei casi è pubblico. Tale scelta ha tuttavia suscitato una certa discussione specie nel mondo del volontariato (anche della protezione civile), temendosi in particolare che la suddetta equiparazione potesse essere interpretata nel senso di configurare come datori di lavoro per la sicurezza (con tutto il connesso carico debitorio) i responsabili delle associazioni di volontariato e così finendosi per disincentivare questa meritoria attività di fondamentale supporto alle funzioni sociali e protettive di molte pubbliche amministrazioni. Pur confermando l'equiparazione al lavoratore dei volontari della protezione civile e dei Vigili del fuoco, il d.lgs. n. 106/2009 ha introdotto all'art. 3 del d.lgs. n. 81/2008 un nuovo comma 3-bis, in base al quale, nei riguardi delle organizzazioni di volontariato della protezione civile, ivi compresi i volontari della Croce rossa italiana e del Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico, e i volontari dei Vigili del fuoco, nonché nei confronti delle cooperative sociali di cui alla l. 8 novembre 1991, n. 381, le disposizioni del d.lgs. n. 81/2008 sono applicate tenendo conto delle particolari modalità di svolgimento delle rispettive attività, individuate entro il 31 dicembre 2010 con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Dipartimento della protezione civile e il Ministero dell'interno, sentita la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro. Il d.lgs. n. 106/2009 ha invece eliminato dalle equiparazioni al lavoratore i volontari di cui alla l. n. 266/1991 ed i volontari che effettuano il servizio civile, per i quali è stata introdotta una disciplina ad hoc (art. 3, comma 12-bis, del d.lgs. n. 81/2008). Questa fa leva, da un lato, sull'applicazione delle tutele previste per i lavoratori autonomi (10), secondo modalità di attuazione che possono essere indivi duate mediante accordi tra il volontario e l'associazione di volontariato o l'ente di servizio civile. Dall'altro lato, la disciplina prevede

Page 7: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

obblighi a carico del datore di lavoro che "utilizza" le prestazioni dei volontari, che, come si diceva, assai spesso potrebbe essere una pubblica amministrazione, anche locale: ove il volontario svolga la propria prestazione nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro, questi deve fornirgli dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti negli ambienti in cui è chiamato ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività; inoltre deve adottare le misure utili ad eliminare o, ove ciò non sia possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze tra la prestazione del volontario e altre attività che si svolgano nell'ambito della medesima organizzazione. Tra il comma 3-bis ed il comma 12-bis dell'art. 3 del d.lgs. n. 81/2008 potrebbero crearsi sovrapposizioni ove i volontari della protezione civile, a cui si riferisce la prima di tali disposizioni, fossero inquadrabili anche tra quelli di cui alla l. n. 266/1991. Peraltro, con riferimento alle attività di protezione civile, la disciplina di cui al comma 3-bis riveste un carattere di specialità che dovrebbe farla risultare prevalente su quella contenuta nel comma 12-bis. Ciò non toglie che la disciplina regolamentare evocata dal comma 3-bis dovrà considerare adeguatamente le "ragioni" delle associazioni di volontariato poc'anzi richiamate, senza peraltro trascurare il ruolo di garanzia dell'utilizzatore che emerge nel comma 12-bis. Se le innovazioni contenute nell'art. 3, comma 12-bis, possono apparire fondate per quanto concerne i volontari di cui alla l. n. 266/1991, risultano assai meno convincenti rispetto ai "volontari che effettuano il servizio civile" per i quali sarebbe stato più opportuno conservare l'equiparazione al "lavoratore": costoro, infatti, svolgono la propria attività nell'ambito delle amministrazioni pubbliche, delle associazioni non governative e delle associazioni no profit che operano negli ambiti specificati dalla l. 6 marzo 2001, n. 64 e dal d.lgs. 5 aprile 2002 n. 77, a fianco dei "normali" lavoratori di queste, senza tuttavia che la loro attività sia "mediata" dalla presenza delle associazioni di volontariato come nel caso dei soggetti di cui alla l. n. 266/1991. Per concludere sul tema delle equiparazioni (su cui v. già Tampieri 1996, 144), va ricordato che, anche dopo la riforma del 2009, ai fini della tutela della salute e sicurezza si considerano a tutti gli effetti "lavoratori" delle pubbliche amministrazioni, oltre ai già menzionati lavoratori socialmente utili, i soggetti che effettuano tirocini formativi e di orientamento in base all'art. 18 della l. 24 giugno 1997, n. 196 o alle specifiche leggi regionali (Pascucci 2008b, 321), nonché (ma questo riguarda il settore dell'istruzione e della formazione) gli allievi degli istituti di istruzione ed universitari e i partecipanti ai corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ivi comprese le apparecchiature fornite di videoterminali limitatamente ai periodi in cui gli allievi siano effettivamente applicati alla strumentazioni o ai laboratori in questione. In tutte queste ipotesi non sono previste normative regolamentari di adeguamento (come accade invece nel caso dei volontari dei Vigili del fuoco e della protezione civile, equiparati al lavoratore ma soggetti a norme ad hoc), dovendo quindi applicarsi a tali soggetti tutta la normativa di tutela di cui al d.lgs. n. 81/2008. In ogni caso, in base all'art. 4 del d.lgs. n. 81/2008, tutti i soggetti equiparati fin qui menzionati (tirocinanti, allievi, lavoratori socialmente utili, volontari dei Vigili del fuoco e della protezione civile), nonché i volontari di cui alla l. n. 266/1991 ed i volontari che effettuano il servizio civile non risultano

Page 8: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

computabili nell'"organico aziendale" là dove alcune norme del decreto condizionano la propria applicabilità al numero di lavoratori. 6. Particolari figure di lavoro: somministrazione, distacco, lavoro parasubordinato, telelavoro. La tutela della salute e sicurezza dei lavoratori che operano mediante forme contrattuali flessibili esisteva anche prima del d.lgs. n. 81/2008. Così è avvenuto prima per il lavoro temporaneo, alla luce delle norme della l. n. 196/1997 (in seguito abrogate), e poi per la somministrazione ex d.lgs. n. 276/2003, nonché per il lavoro parasubordinato a progetto sempre ex d.lgs. n. 276/2003. E così è accaduto anche per quelle ipotesi di flessibilità non già tipologica, ma relativa alle modalità di esecuzione della prestazione, come il telelavoro in base al d.p.r. 8 marzo 1999, n. 70. Tra queste discipline speciali della tutela della salute e sicurezza, soltanto quella per la somministrazione e quella per il telelavoro (quest'ultima in modo esclusivo) riguardavano le pubbliche amministrazioni, laddove le regole per il lavoro a progetto restavano confinate al settore privato. Il d.lgs. n. 81/2008, sollecitato dalla delega, ha sostanzialmente recuperato quelle discipline (Antonucci 2008), provvedendo peraltro a colmarne alcune lacune. Senza poter in questa sede entrare in dettaglio (rinviandosi, se si consente, a Pascucci 2008a, 35 ss.), balza agli occhi l'estensione della tutela per i lavoratori parasubordinati (art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 81/2008) oltre i confini del lavoro a progetto di cui all'art. 61 ss. del d.lgs. n. 276/2003, ricomprendendosi i collaboratori coordinati e continuativi di cui all'art. 409, comma 1, n. 3, c.p.c. presenti anche nelle pubbliche amministrazioni (nelle quali non si applicano le regole del lavoro a progetto) (11). L'estensione della tutela a tutti i "parasubordinati" deve tuttavia misurarsi, da un lato, con il limite della esecuzione della prestazione nel luogo del committente (limite che non sembra tenere in debito conto la crescente diffusione delle nuove forme di lavoro, specie tecnologico) e, dall'altro lato, con i problemi relativi alle modalità di esercizio dei poteri datoriali "per la sicurezza" nei confronti di lavoratori che svolgono la propria prestazione con ampi margini di autonomia (Soprani 2004, 142; Sciortino 2004, 244; Lazzari 2006, 259). I lavoratori parasubordinati (a progetto e non) si computano nell'organico aziendale ai fini dell'applicazione di determinate disposizioni del d.lgs. n. 81/2008 solo ove la loro attività sia svolta in forma esclusiva a favore del committente (art. 4, comma 1, lett. l, del d.lgs. n. 81/2008), risultando comunque ampliato il novero dei soggetti computabili, non più limitato ai dipendenti del datore di lavoro (Pascucci 2008a, 60). Rinviando ulteriori considerazioni sul lavoro parasubordinato alle riflessioni sul telelavoro contenute al termine di questo paragrafo, occorre far ora menzione della somministrazione, per la quale l'art. 3, comma 5, del d.lgs. n. 81/2008, da un lato tiene fermo quanto specificamente previsto dall'art. 23, comma 5, del d.lgs. n. 276/2003 e dall'altro lato configura in capo all'utilizzatore tutti gli obblighi di preven zione e protezione previsti dallo stesso d.lgs. n. 81/2008. A tale proposito possono qui succintamente richiamarsi le osservazioni critiche, già svolte in altra sede, circa la non perfetta ripartizione degli obblighi di prevenzione e protezione tra il somministratore e l'utilizzatore che emerge dal citato art. 23, comma 5, del d.lgs. n. 276/2003, fatto salvo dal d.lgs. n. 81/2008. In particolare, non sembra credibile che l'attività del somministratore possa espandersi al di là di una informazione di carattere generale, mentre, per quanto concerne la formazione e l'addestramento relativi all'uso delle attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento dell'attività lavorativa

Page 9: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

dedotta in contratto, è difficile pensare che lo stesso somministratore possa garantire una formazione ed un addestramento non generico (Pascucci 2008a, 38). Né va trascurato che l'art. 37, comma 5, del d.lgs. n. 81/2008 impone ora che l'addestramento venga effettuato da persona esperta (che certamente non sarà il somministratore) e sul luogo di lavoro (dell'utilizzatore), mentre il comma 4, lett. a, seconda parte, della stessa norma prevede che, in caso di somministrazione di lavoro, la formazione e l'addestramento specifico (ove previsto) devono avvenire in occasione dell'inizio dell'utilizzazione. In realtà, in capo all'utilizzatore continueranno a gravare gli obblighi di informazione e formazione per tutto quanto non espressamente richiamato dall'art. 23, comma 5, primo periodo, del d.lgs. n. 276/2003 e soltanto a lui potrà competere l'effettuazione dell'addestramento all'uso delle attrezzature di lavoro. Più in generale, invece di concentrarsi sulla relazione di sicurezza tra lavoratore somministrato e utilizzatore (che emerge con tutta evidenza dall'ampia definizione di "lavoratore" di cui all'art. 2, lett. a), l'art. 3, comma 5, del d.lgs. n. 81/2008 avrebbe semmai dovuto prevedere disposizioni specifiche capaci di declinare più adeguatamente il contenuto degli obblighi di prevenzione e protezione in relazione alle specificità della somministrazione. Ad esempio, la previsione del coinvolgimento del somministratore avrebbe potuto rivelarsi più opportuna in relazione alla verifica dell'idoneità dei lavoratori prima dell'invio presso gli utilizzatori (12). Per quanto riguarda le pubbliche am ministrazioni, una più attenta valutazione del riparto dei vari compiti di prevenzione e protezione potrebbe essere effettuata già in occasione della necessaria selezione delle agenzie di somministrazione, dovendosi peraltro prestare la massima attenzione a che l'offerta più vantaggiosa non dipenda dal "risparmio" sui costi della sicurezza (Natullo 2004, 153). Ai fini dell'applicazione di determinate disposizioni del d.lgs. n. 81/2008, i lavoratori somministrati sono computabili nell'organico dell'amministrazione utilizzatrice sulla base del numero di ore di lavoro effettivamente prestato nell'arco di un semestre (art. 4, comma 2). La stessa previsione vale nel caso dei lavoratori a tempo parziale, dovendosi quindi ritenere applicabile anche nel settore pubblico, ovviamente alla luce e con le limitazioni dell'art. 10 del d.lgs. 25 febbraio 2000, n. 61 e successive modificazioni (13). L'art. 3, comma 6, del d.lgs. n. 81/2008 ha previsto una disciplina anche per il caso del distacco del lavoratore, formalmente distinta tra settore privato e settore pubblico, ma ispirata al medesimo principio della responsabilità del distaccatario (14). In particolare, il secondo periodo di tale disposizione stabilisce che, per il personale delle pubbliche amministrazioni che presta servizio con rapporto di dipendenza funzionale presso altre amministrazioni pubbliche, organi o autorità nazionali, gli obblighi del d.lgs. n. 81/2008 siano a carico del datore di lavoro designato dall'amministrazione, organo o autorità ospitante. Per quanto riguarda il telelavoro, l'art. 3, comma 10, del d.lgs. n. 81/2008 appresta una tutela specifica per i telelavoratori subordinati anche pubblici (grazie pure all'espresso richiamo del d.p.r. n. 70/1999) ai quali si applicano le disposizioni del Titolo VII (relativo alle attrezzature munite di videoterminali), indipendentemente dall'ambito in cui si svolge la prestazione stessa. Si prevede inoltre che ove il datore di lavoro fornisca attrezzature proprie, o per il tramite di terzi, tali attrezzature siano conformi alle disposizioni del Titolo III. I telelavoratori (impropriamente denominati "lavoratori a distanza") sono informati dal datore di lavoro circa le politiche aziendali in materia di salute e

Page 10: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

sicurezza sul lavoro, in particolare in ordine alle esigenze relative ai videoterminali ed applicano correttamente le direttive aziendali di sicurezza. Al fine di verificare la corretta attuazione della normativa in materia di tutela della salute e sicurezza da parte del telelavoratore, il datore di lavoro, le rappresentanze dei lavoratori e le autorità competenti hanno accesso al luogo in cui viene svolto il lavoro nei limiti della normativa nazionale e dei contratti collettivi, dovendo tale accesso essere subordinato al preavviso e al consenso del lavoratore qualora la prestazione sia svolta presso il suo domicilio. Lo stesso telelavoratore può peraltro chiedere ispezioni. In omaggio ad un'ampia nozione di salute e sicurezza, il datore di lavoro deve adottare misure dirette a prevenire l'isolamento del telelavoratore rispetto agli altri lavoratori interni all'azienda, permettendogli di incontrarsi con i colleghi e di accedere alle informazioni dell'azienda, nel rispetto di regolamenti o accordi aziendali. Confrontando tale disciplina con quella già vigente per i telelavoratori dipendenti dalle pubbliche amministrazioni (Viscomi 2000, 145), si evidenzia innanzitutto come quest'ultima preveda espressamente che le amministrazioni pubbliche provvedano alle spese relative al mantenimento dei livelli di sicurezza ed alla copertura assicurativa delle attrezzature in dotazione (art. 5, comma 2, dell'accordo quadro del 23 marzo 2000). Esse debbono inoltre fornire la formazione necessaria perché la prestazione di lavoro sia effettuata in condizioni di sicurezza per il lavoratore e per chi vive in ambienti prossimi al suo spazio lavorativo (art. 5, comma 5, dell'accordo quadro). Questo esplicito richiamo all'obbligo di formazione è stranamente assente nell'art. 3, comma 10, del d.lgs. n. 81/2008, trattandosi peraltro di una lacuna superabile già sulla scorta di altre previsioni dello stesso decreto (15), nonché della norma dell'accordo quadro. Nella disciplina speciale del telelavoro pubblico si rinviene un'ulteriore previsione non contemplata in quella generale di cui all'art. 3, comma 10, del d.lgs. n. 81/2008. L'art. 4, comma 2, del d.p.r. n. 70/1999 prevede infatti che il telelavoro possa essere effettuato nel domicilio del dipendente solo ove sia disponibile un ambiente di cui l'amministrazione abbia preventivamente verificato la conformità alle norme generali di prevenzione e sicurezza nelle utenze domestiche. Sempre nel caso di telelavoro domiciliare, oltre a stabilire che il telelavoratore deve attenersi strettamente alle norme di sicurezza vigenti, la disciplina speciale pubblicistica contiene previsioni solo in parte analoghe a quelle del d.lgs. n. 81/2008 sull'accesso ai locali: infatti, l'art. 8, comma 2, del d.p.r. n. 70/1999 e l'art. 6, comma 2, dell'accordo quadro prevedono l'obbligo del telelavoratore di consentire, con modalità concordate, l'accesso alle attrezzature in uso da parte dei manutentori nonché del responsabile della prevenzione e della protezione e del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza per la verifica della corretta applicazione delle norme di sicurezza; come si è visto, l'art. 3, comma 10, del d.lgs. n. 81/2008, pur sempre al fine di verificare la corretta attuazione della normativa in materia di tutela della salute e sicurezza da parte del telelavoratore, stabilisce invece che siano il datore di lavoro, le rappresentanze dei lavoratori e le autorità competenti ad aver accesso al domicilio del telelavoratore, previo preavviso e con il consenso del medesimo, nei limiti della normativa nazionale e dei contratti collettivi. Non sembra tuttavia che tra l'art. 3, comma 10, del d.lgs. n. 81/2008 e le precedenti disposizioni sui telelavoratori pubblici esistano contrasti, ben potendosi sostenere l'esigenza di una loro lettura integrata. In ogni caso, la

Page 11: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

disciplina regolamentare di cui al d.p.r. n. 70/1999 deve essere interpretata coerentemente con quanto previsto dal d.lgs. n. 81/2008, stante il disposto del suo art. 304, comma 1, lett. d, che prevede l'abrogazione delle altre disposizioni legislative e regolamentari nella materia disciplinata dal d.lgs. n. 81/2008 incompatibili con lo stesso. L'ultima considerazione sul telelavoro attiene alla carenza di una disciplina per la tutela della salute e sicurezza dei telelavoratori parasubordinati: carenza evidenziata dalla limitazione al solo lavoro subordinato sia della specifica disciplina del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni del 1999-2000, sia della previsione del d.lgs. n. 81/2008. In particolare, viene in luce la combinazione nel d.lgs. n. 81/2008 tra la limitata previsione dell'art. 3, comma 10 (applicabile al solo lavoro subordinato) e quella dell'art. 3, comma 7, che, applicando la normativa di tutela ai lavoratori parasubordinati solo se la prestazione lavorativa si svolga nei "luoghi di lavoro del committente" (Bubola 2008, 274), sembrerebbe escludere dalla tutela qualunque telelavoratore parasubordinato (Pascucci 2008a, 58): ciò almeno ove si ritenga, con una interpretazione restrittiva, che per "luoghi di lavoro del committente" si intenda esclusivamente la "sede di lavoro" (vale a dire "quella dell'ufficio al quale il dipendente è assegnato", secondo la definizione del d.p.r. n. 70/1999), cioè il luogo al di fuori del quale, ai sensi della predetta definizione, può effettuarsi telelavoro. Qualora invece si ritenga, in senso più elastico, che l'espressione "luoghi di lavoro del committente" si riferisca anche a qualsiasi luogo (pur diverso dalla "normale" sede di lavoro) di cui il committente abbia la disponibilità, si potrebbe sostenere che la limitazione dell'art. 3, comma 7, non riguardi tutti i telelavoratori parasubordinati (Antonucci 2008, 450): sarebbero ad esempio sottratti a tale limitazione ed assoggettati alla tutela generale coloro che operano in una postazione di telelavoro collocata in un centro remoto o satellitare che tale centro ponga a disposizione, mediante locazione, dell'amministrazione committente. Al di là di questi aspetti, resta comunque difficile interpretare l'espressione "luoghi di lavoro del committente" come comprensiva di qualsiasi luogo in cui operi il telelavoratore, come in particolare il suo domicilio. D'altronde, mentre nel settore privato (nel cui ambito il telelavoratore parasubordinato deve essere "a progetto") si può fare appello almeno alle "eventuali misure" di tutela da indicare nel contratto ex art. 62, comma 1, lett. e, del d.lgs. n. 276/2003, ciò non potrebbe valere nel settore pubblico, nel quale le collaborazioni parasubordinate non sono disciplinate dal d.lgs. n. 276/2003. Già in altre sedi, a cui si rinvia, si sono proposte interpretazioni volte ad individuare qualche varco per riconoscere una pur minimale tutela ai telelavoratori parasubordinati (specialmente a domicilio) (Pascucci 2008a, 59) ed a riconsiderare concettualmente l'espressione "luoghi di lavoro del committente" di cui all'art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 81/2008 (Pascucci 2009c). Non si deve infatti trascurare l'ormai alta probabilità che, anche nel settore pubblico, i lavoratori parasubordinati "totalmente esterni" siano molto spesso identificabili proprio come telelavoratori (sia on line sia off line), stante la massiccia e crescente utilizzazione delle tecnologie informatiche da parte dei soggetti che operano con un contratto di lavoro parasubordinato. D'altra parte, un superamento del tradizionale rilievo del "luogo di lavoro" ai fini della salute e sicurezza potrebbe essere stimolato dalla valorizzazione dell'organizzazione nel d.lgs. n. 81/2008: il che, però, come si è visto, finora è rimasto sulla carta (Carinci 2008b, XLVIII).

Page 12: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

7. La definizione di "datore di lavoro". Un aspetto di preminente interesse per le pubbliche amministrazioni, sul quale occorre verificare il tasso di innovazione del d.lgs. n. 81/2008, concerne la nozione di datore di lavoro pubblico per la sicurezza: nozione che, prima dell'attuale definizione di cui all'art. 2, lett. b, secondo e terzo periodo, del d.lgs. n. 81/2008, ha subito una certa evoluzione che qui vale la pena riassumere brevemente. 7.1. L'evoluzione della definizione. In origine, l'art. 2, lett. b, del d.lgs. n. 626/1994 non distingueva datore di lavoro privato e pubblico, contenendo un'indistinta nozione riferita a qualsiasi persona fisica o giuridica o soggetto pubblico che è titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore e abbia la responsabilità dell'impresa ovvero dello stabilimento (Tampieri 1996, 131; Riccardi 1999, 227). Un provvidenziale chiarimento era intervenuto con due norme del d.lgs. n. 242/1996: a) da un lato, l'art. 2, comma 1, lett. b, aveva identificato il datore di lavoro nelle pubbliche amministrazioni di cui al d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 con il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale (Tampieri 1996, 134, anche per alcuni rilievi sulla non esaustività di tale definizione); b) dall'altro lato, l'art. 30 aveva previsto che entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto gli organi di direzione politica o, comunque, di vertice delle amministrazioni pubbliche procedessero all'individuazione dei datori di lavoro pubblici tenendo conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività. Questa disciplina emerge accorpata e ulteriormente precisata nella definizione di cui all'art. 2, lett. b, secondo e terzo periodo, del d.lgs. n. 81/2008 (16), nella quale, da un lato, scompare il riferimento agli "organi di direzione politica" abilitati alla individuazione del datore di lavoro, da un altro lato si sottolinea che quest'ultimo deve essere dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa e, da un altro lato ancora compare la previsione che, valorizzando un orientamento giurisprudenziale (17), stabilisce che, in caso di omessa individuazione o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l'organo di vertice medesimo. Previsione che, fra l'altro, per come è concepita, rende superflua l'apposizione di un termine per adempiere (Soprani 2008b, 64). Si è osservato come, per le pubbliche amministrazioni, la legge non riproduca la previsione che, nel settore privato, consente di configurare come datore di lavoro ogni responsabile di unità produttiva (18), rilevandosi peraltro come ciò derivi "dallo speciale meccanismo di individuazione del datore di lavoro pubblico... che impone comunque agli organi apicali di tenere conto, nell'effettuare la nomina, 'dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività'". Di qui la conclusione che anche nel settore pubblico occorra individuare "un diverso datore di lavoro in ogni distinta unità produttiva" (19) (Stolfa 2008, 67-68; Stolfa 2007, 180). Tale conclusione potrebbe tuttavia rivelarsi eccessivamente rigida, apparendo preferibile un'interpretazione più duttile che tenga conto delle singole specifiche realtà. Vigente il d.lgs. n. 626/1994, si era ad esempio sostenuto che, "poiché le funzioni specifiche del datore di lavoro sono di nomina, designazione, impulso, vigilanza e controllo, di norma si dovrà trattare di un

Page 13: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

unico soggetto per ciascuna amministrazione, in particolare del dirigente al quale vengono attribuiti i più ampi poteri di gestione o comunque i poteri di gestione più utili ad intervenire in materia di tutela degli ambienti di lavoro", essendo "possibile individuare più dirigenti o, anche funzionari" quali datori di lavoro solo ove l'amministrazione presenti una particolare articolazione e complessità, che renda difficoltoso l'esercizio dei poteri datoriali (Zoppoli 1997, 97-98; Polimeni 2003, 86). È evidente che "l'ubicazione e l'ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività" costituiscono criteri/limiti oggettivi con cui fare i conti ai fini dell'individuazione del datore di lavoro, non sembrando ragionevole individuare un soggetto che non abbia alcunché a che fare con un determinato ufficio o realtà amministrativa. Ovviamente, come già accadeva sotto l'egida del d.lgs. n. 626/1994, in quelle pubbliche amministrazioni per le quali l'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 81/2008 ha previsto una speciale disciplina regolamentare di adeguamento in ragione delle specificità ivi presenti, i criteri di individuazione del datore di lavoro pubblico potranno essere diversi (Tampieri 1996, 136), pur non dovendo smentire i principi fondamentali sottesi all'art. 2, lett. b, del d.lgs. n. 81/2008. 7.2. L'individuazione del dirigente-datore di lavoro e la sua presunta assimilabilità alla delega. La questione della spettanza dei poteri di gestione. Come è stato rilevato, "non individuando espressamente il dirigente o il funzionario cui attribuire la qualifica di datore di lavoro", l'art. 2, lett. b, "rimanda alle singole pubbliche amministrazioni e precisamente all'organo di vertice, il compito di determinare il soggetto (o, più probabilmente, i soggetti) cui conferire la responsabilità datoriale, emettendo un apposito atto formale di organizzazione interna" (Bacchini 2008a). Tale individuazione deve essere "espressa" (Ieva 2009, 1181), servendo ad indicare il "datore responsabile" in organizzazioni, come gli enti pubblici, in cui non è sempre agevole identificare le responsabilità (Ieva 2009, 1183). L'individuazione non è però libera, ma deve comunque ispirarsi ai criteri fondamentali indicati dal legislatore, finalizzati a garantire che essa raggiunga lo scopo di creare un sistema prevenzionistico in grado di tutelare adeguatamente i lavoratori. In tal senso vanno letti i requisiti della "dirigenza con poteri di gestione" e della "dotazione di autonomi poteri decisionali e di spesa" (su cui si tornerà) che il legislatore si è preoccupato di indicare, lasciando quindi all'autonomia dei singoli enti il compito (doveroso) appunto di individuare il datore. di lavoro entro la cornice garantistica fornita da detti requisiti. Si tratta dunque di una responsabilizzazione dell'organo di vertice dell'amministrazione (anche su questo si tornerà) il quale, rispettando i predetti vincoli, dovrà procedere ad una "scelta organizzativa", che sarà ovviamente condizionata dalla natura, dall'assetto e dalla complessità della singola amministrazione (Bacchini 2008a). Data l'esplicita previsione nel d.lgs. n. 81/2008 dell'istituto della delega di funzioni (art. 16), in precedenza disciplinato essenzialmente dalla giurisprudenza (Brunelli 2008, 228), occorre chiedersi se l'individuazione del dirigente-datore di lavoro possa ascriversi a tale istituto (come è affiorato in giurisprudenza sotto l'egida del d.lgs. n. 626/1994 (20)). In verità, pur presentando non pochi elementi che emergono anche nel caso della delega di funzioni di cui all'art. 16, l'individuazione del dirigente-datore di lavoro non può configurarsi come delega (Soprani 2008b, 64). Come già rilevato rispetto alla normativa previgente, il dirigente riveste la qualifica datoriale a titolo originario

Page 14: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

e non derivativo (Polimeni 2003, 88) e sempre a titolo originario risulterà debitore di sicurezza nei confronti dei lavoratori (Basenghi 1996, 72): non a caso il legislatore parla di "individuazione", come a significare che il datore di lavoro già esiste in astratto e va appunto individuato in concreto. Elementi comuni ai due istituti possono essere senz'altro la forma scritta dell'atto (con data certa) (cfr. art. 16, comma 1, lett. a), l'attribuzione di autonomi poteri decisionali e di spesa (cfr. art. 16, comma 1, lett. c e d), l'adeguata e tempestiva pubblicità dell'incarico (cfr. art. 16, comma 2), nonché l'obbligo di vigilare sull'operato del soggetto incaricato (cfr. art. 16, comma 3). Diversamente dalla delega di funzioni, potrebbe non essere sempre elemento necessario per l'individuazione del dirigente-datore di lavoro il possesso da parte dello stesso di specifici requisiti di professionalità ed esperienza (cfr. art. 16, comma 1, lett. b), sebbene sia ampiamente auspicabile che così sia: si pensi ad un'amministrazione con un solo dirigente non particolarmente competente in materia, ma che, in quanto dirigente, non potrebbe non essere individuato come datore di lavoro dall'organo di vertice. A tale proposito è stato rilevato che il d.lgs. n. 81/2008 non prevede che il datore di lavoro sia un esperto di sicurezza, richiedendogli infatti competenze puramente gestionali: "egli deve semplicemente possedere i requisiti professionali di un buon dirigente, all'altezza del delicato compito che gli viene affidato" (Stolfa 2008, 69, il quale osserva altresì come, anche nel settore pubblico, l'"esperto" di sicurezza sia "il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione, che, a capo di una équipe più o meno ampia... sarà chiamato ad assistere tecnicamente e organizzativamente il datore di lavoro nell'attività prevenzionale") (21). Sarebbe tuttavia auspicabile che il riferimento del legislatore alla spettanza al dirigente dei poteri di gestione non oscurasse totalmente il profilo delle specifiche competenze. D'altro canto, quel riferimento potrebbe rischiare di rivelarsi tautologico ove lo si interpretasse semplicemente nel senso che il dirigente deve avere poteri gestionali: in sostanza, potrebbe non trattarsi di un vero requisito, dal momento che la spettanza di tali poteri rientra comunque tra le capacità "istituzionali" dei dirigenti pubblici ex art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001 (che riconosce loro i poteri gestionali). Poiché un dirigente pubblico che non abbia poteri di gestione semplicemente non è effettivamente un vero dirigente pubblico che agisce come tale, potrebbe dubitarsi che il legislatore, con quell'espressione, abbia fornito un criterio efficace per effettuare la scelta tra più dirigenti, a meno di non pensare, invece, che abbia voluto riferirsi al dirigente con i maggiori poteri di gestione: per verificare in concreto che cosa si intenda per "maggiori" poteri, si dovrebbe presumibilmente optare per una lettura della capacità gestionale nel senso della sua "pienezza" ed "effettività", anche in termini patrimoniali (Cass. pen., sez. III, n. 4671/1999 (22); Polimeni 2003, 83-84). Non è del tutto chiaro se, richiamando la "spettanza dei poteri di gestione", il legislatore, oltre a prevedere un requisito per l'individuazione, abbia voluto altresì enfatizzare il fatto che al dirigente-datore di lavoro per la sicurezza spettano, grazie alla individuazione, gli specifici poteri di gestione necessari a tal fine. Pur rivelando anch'essa una discreta dose di tautologia - non essendo concepibile che un datore di lavoro per la sicurezza non disponga di quei poteri -, quest'ultima ricostruzione potrebbe non essere incoerente con la complessiva ratio della norma, anche se, per essere davvero convincente, avrebbe presupposto un dato letterale strutturato diversamente, come, ad

Page 15: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

esempio, il seguente: "... per datore di lavoro si intende il dirigente, ovvero il funzionario..., individuato dall'organo di vertice delle singole pubbliche amministrazioni tenendo conto..., al quale spettano i poteri di gestione e che è dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa". Al di là della possibile sovrapposizione tra "poteri di gestione" e "autonomi poteri decisionali e di spesa" (i primi non possono non contenere i secondi: v. amplius Ieva 2009, 1179 ss.; Polimeni 2003, 83-84 e infra § 7.6), un simile testo avrebbe meglio evidenziato la indiscutibile spettanza dei poteri datoriali di gestione anche al funzionario, ove individuato come datore di lavoro: la norma vigente, invece, si limita a richiederne, ai fini dell'individuazione, la preposizione "ad un ufficio avente autonomia gestionale" (su ciò v. infra § 7.5). Nonostante il silenzio della legge, il requisito della spettanza dei poteri gestionali non dovrebbe comunque escludere (fatte salve le ipotesi a cui si è accennato poc'anzi, relative alle amministrazioni con un unico dirigente) l'importanza della specifica idoneità e capacità del dirigente ad occuparsi di salute e sicurezza: l'organo di vertice, all'atto dell'individuazione, dovrebbe preoccuparsi di identificare il dirigente che non solo abbia effettivi poteri gestionali, ma che possieda anche le migliori competenze specifiche per svolgere la funzione datoriale in materia (art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001). Tornando al confronto tra individuazione e delega, diversamente da quest'ultima non pare costituire elemento necessario della stessa individuazione l'accettazione da parte del dirigente (cfr. art. 16, comma 1, lett. e), dal momento che l'individuazione dell'organo di vertice è comunque vincolata ad alcuni elementi oggettivi - quali l'ubicazione e l'ambito funzionale degli uffici in cui viene svolta l'attività - che sembrano dover prevalere sull'eventuale non gradimento della funzione da parte del dirigente che vi è preposto. Ove poi si ritenga che le competenze richieste siano solo gestionali, non sembra del tutto convincente che l'accettazione sia necessaria solo qualora il dirigente non appartenga all'area tecnica (Stolfa 2008, 69) (23), visto che, al di là della sua specificità, la individuazione quale datore di lavoro ai fini della sicurezza è vincolante per il dirigente alla stregua di qualsiasi altro incarico dirigenziale e negli ampi limiti dell'oggetto del suo contratto di lavoro (Stolfa 2008, 69, il quale rileva come in giurisprudenza si rinvengano interventi non particolarmente argomentati (24)). D'altro canto, mentre l'istituto della delega di funzioni di cui all'art. 16 è finalizzato, in una prospettiva di facoltatività, ad attribuire soltanto alcune delle funzioni datoriali, fatta eccezione per quelle non delegabili (art. 17 (25)), l'individuazione del dirigente-datore di lavoro fa scaturire invece l'intero carico obbligatorio gravante sul datore di lavoro. Inoltre, come risulta per tabulas, la delega di funzioni costituisce un atto del datore di lavoro (cfr. art. 16, comma 1, incipit), laddove l'individuazione del dirigente-datore di lavoro può farsi rientrare negli atti di alta organizzazione ex art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001 (Ieva 2009, 1182). Né può ritenersi che la configurazione sussidiaria della posizione datoriale in capo all'organo di vertice in caso di omessa o non conforme individuazione, ovvero la permanenza di una culpa in vigilando (26) (Soprani 1999, 1934), costituiscano elementi in grado di suffragare una presunta titolarità originaria del ruolo di datore in capo al medesimo organo di vertice, come pure è emerso in passato in certe interpretazioni, così in qualche modo riaffacciandosi l'ipotesi della delega: infatti, l'organo di vertice, preposto all'indirizzo politico, essendo privo degli autonomi poteri gestionali necessari

Page 16: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

per garantire la sicurezza dei lavoratori, non può cedere (delegare) ad altri ciò che non ha, ma deve/può soltanto individuare il soggetto naturalmente dotato di quei poteri affinché questi possa legittimamente e pienamente esercitarli. Pertanto, in caso di mancata individuazione, l'organo di vertice non "conserva" la qualità di datore di lavoro (27) (in questi termini l'individuazione sarebbe una delega), ma tale qualità sorge ex novo in capo all'organo di vertice che non abbia effettuato l'individuazione. La previsione della sua configurazione sussidiaria come datore di lavoro assume piuttosto una valenza sanzionatoria finalizzata a scoraggiare atteggiamenti dilatori o inappropriati dello stesso organo di vertice. 7.3. Qual è l'organo di vertice che individua il datore di lavoro? Anche alla luce del nuovo decreto appare attuale l'opinione secondo cui gli organi di vertice di cui si discute debbano "individuarsi applicando le disposizioni legislative e, soprattutto, statutarie che disciplinano la distribuzione delle competenze fra i vari organi", assumendo specifica rilevanza la competenza concernente il conferimento degli incarichi dirigenziali che, ad esempio, negli enti locali, appartiene al sindaco o al presidente (Zoppoli 1997, 98-99; Stolfa 2008, 68), sebbene non manchino opinioni propense ad attribuire la competenza alla giunta (Padula 1998, 57). Secondo alcune interpretazioni, con il d.lgs. n. 81/2008 la competenza apparterrebbe ora al vertice amministrativo e non più agli organi politici elettivi, dovendosi attribuire rilevanza alla scomparsa del riferimento "agli organi di direzione politica" (Venturi 2008, 161). A ciò si è replicato che, al di là del fatto che quella scomparsa sembra invece rispondere a mere esigenze stilistiche, se l'individuazione rientra, come pare, fra gli atti di alta organizzazione di cui all'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001, finalizzati alla definizione delle linee fondamentali dell'organizzazione degli uffici, essa non può non essere di competenza degli organi di governo (Stolfa 2008, 68) (28). A ben guardare, una lettura "aperta" o "elastica" dell'espressione "organo di vertice" (v. diffusamente Bacchini 2008a; Venturi 2008, 161) merita senz'altro attenzione perché tiene conto della cangiante realtà dell'assetto dei processi decisionali nelle varie pubbliche amministrazioni italiane, che pare riflettersi anche nella stessa formulazione contenuta nella definizione di cui all'art. 2, lett. b, secondo periodo, del d.lgs. n. 81/2008. Più dubbio è invece che una simile lettura possa senz'altro legittimare l'identificazione dell'"organo di vertice" non con il vertice politico ma con quello amministrativo (direttore generale) (Bacchini 2008a, il quale, per la verità, ritiene ciò possibile nelle amministrazioni statali, più che negli enti locali). Più in particolare, se è vero che ai sensi dell'art. 19, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001, nelle amministrazioni statali gli incarichi di direzione degli uffici di livello dirigenziale sono conferiti dal dirigente dell'ufficio di livello dirigenziale generale (previsione richiamata, pur dubitativamente, a fondamento della identificazione dell'organo di vertice con il direttore generale: Bacchini 2008a), è altresì vero che, nel caso qui in esame, ci si trova dinnanzi ad una fattispecie speciale rispetto ad un mero incarico di direzione di un ufficio di livello dirigenziale. Ma v'è di più, perché, in termini più generali, lo stesso d.lgs. n. 165/2001, all'art. 4 - non a caso rubricato "Indirizzo politico-amministrativo. Funzioni e responsabilità" e dedicato agli organi di governo - contiene un'indicazione inequivoca circa la prioritaria identificazione degli "organi di vertice" con quelli "politici", affermando al comma 4 che "le amministrazioni pubbliche i cui organi di vertice non siano direttamente o indirettamente

Page 17: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

espressione di rappresentanza poli tica (29), adeguano i propri ordinamenti al principio della distinzione tra indirizzo e controllo, da un lato, e attuazione e gestione dall'altro". È questo, a ben guardare, il riferimento del d.lgs. n. 165/2001 (decreto espressamente richiamato nell'art. 2, lett. b, secondo periodo, del d.lgs. n. 81/2008) che deve considerarsi decisivo per l'identificazione dell'organo di vertice evocato da quest'ultimo articolo. Infatti, poiché il d.lgs. n. 81/2008 non contiene alcuna definizione dell'organo di vertice, tale nozione dovrà innanzitutto essere ricavata dalla disciplina legislativa in cui è posta e che, non a caso, è comunque richiamata dallo stesso d.lgs. n. 81/2008: una disciplina (l'art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 165/2001) che, come si è appena visto, se da un lato riferisce prioritariamente la nozione di organo di vertice alla dimensione politica, dall'altro lato non esclude che in certi casi tale nozione si rifletta in modi diversi, purché si rispetti il principio della "distinzione dei poteri" (30). Per altro verso, proprio questo obbligo di adeguare gli ordinamenti al principio della "distinzione dei poteri", unitamente all'adozione, nell'art. 2, lett. b, secondo periodo, del d.lgs. n. 81/2008, dell'espressione "organo di vertice" (in luogo di quella di "organi di direzione politica"), dovrebbe valere definitivamente ad escludere, nelle pubbliche amministrazioni il cui organo di vertice non sia politico, la immediata configurabilità in capo ad esso del ruolo di "datore di lavoro" per la sicurezza. È il caso, ad esempio, delle Aziende sanitarie locali (Asl), al cui vertice è posto il direttore generale, al quale la giurisprudenza ha riconosciuto la qualifica di datore di lavoro per la sicurezza essenzialmente in ragione del fatto che tale soggetto è titolare di poteri gestionali (31) (Fimiani 2003, 2320). Se il possesso di poteri di gestione costituisce un requisito per la ricorrenza della qualifica datoriale per la sicurezza, il direttore generale della Asl possiederebbe solo tale requisito: infatti, da un lato, mancherebbe comunque l'individuazione dell'organo di vertice dell'amministrazione (Stolfa 2008, 73; Ieva 2009, 1182), che è lui stesso, non potendosi certo pensare ad un'autoindividuazione, o confondere l'individuazione con l'atto di nomina dello stesso direttore generale di cui all'art. 3-bis del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, introdotto dall'art. 3, comma 3, del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, dato che, al di là di ulteriori profili, tale nomina è effettuata da un soggetto che non è l'organo di vertice della Asl; dall'altro lato, è più che dubbia la sua qualificazione come dirigente (Stolfa 2008, 73, ma v. Zoppoli 1997, 97), stante l'assoggettamento del suo rapporto di lavoro alle norme civilistiche sul lavoro autonomo da parte dell'art. 3-bis, comma 8, del d.lgs. n. 502/1992. Nelle Asl, quindi, spetterà proprio al direttore generale l'atto di individuazione del dirigente-datore di lavoro, ferme restando le conseguenze previste dalla legge in caso di omessa individuazione (emergendo solo in tal caso la dimensione datoriale del direttore generale) che escludono l'ipotesi di un'autoindividuazione. Le considerazioni che precedono (comprese quelle relative al direttore generale della Asl) appaiono del resto coerenti con il fondamentale principio della distinzione tra la funzione di indirizzo politico-programmatico, propria degli organi di governo, e quella di gestione amministrativa, attribuita invece ai dirigenti (Palladini 2001, 137-138). Anzi, su questa linea, l'individuazione del dirigente-datore di lavoro sembra rappresentare la formalizzazione di uno specifico obiettivo o programma - quello relativo alla sicurezza - che il dirigente deve attuare. 7.4. Le responsabilità dell'organo di vertice.

Page 18: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

È stato giustamente rilevato che, stante l'inequivoca formulazione legislativa che comporta l'imposizione di precisi doveri ai soggetti destinatari del precetto, l'individuazione del dirigente-datore di lavoro "deve ritenersi un vero e proprio atto dovuto che gli organi di governo devono compiere necessariamente al momento del proprio insediamento" (Stolfa 2008, 69; Bacchini 2008a). Non è del tutto chiaro, però, se la mancata individuazione sia penalmente sanzionabile ex art. 328 c.p. (Stolfa 2008, 69): al di là dei suoi requisiti soggettivi, astrattamente configurabili nel caso di specie, tale norma (su cui v. Stile 1974) sembrerebbe riferirsi, almeno nel primo comma, solo al rifiuto (e non anche all'omissione) di atti da compiere peraltro per ragioni diverse da quella in esame (nonostante vi si menzioni l'igiene e la sanità). Non sembra tuttavia peregrina l'incriminabilità in base al secondo comma della stessa norma almeno nel caso in cui, a fronte di una individuazione non conforme ai dettami legislativi, il dirigente faccia rilevare l'inadempienza all'organo di vertice chiedendogli di porvi rimedio e questi non provveda nei termini. Resta ferma, in ogni caso, la responsabilità penale dell'organo di vertice ex art. 55 del d.lgs. n. 81/2008, che gli deriva dalla sua configurazione sussidiaria come datore di lavoro (art. 2, lett. b, terzo periodo), ove non provveda ad adempiere i doveri di sicurezza, eventualmente in concorso con i vari dirigenti. Costoro, infatti, non possono ritenersi assolti dai doveri di sicurezza iure proprio connessi alle loro funzioni (art. 18) a causa della mancata creazione del complessivo sistema prevenzionale previsto dalla legge. Alla luce della nuova norma, c'è da chiedersi se abbia ancora fondamento quell'orientamento giurisprudenziale e dottrinale secondo cui in capo agli organi di vertice (in particolare il soggetto apicale: sindaco, presidente della provincia ecc.) residuerebbe comunque una responsabilità concorrente connessa alla violazione del generale dovere di vigilanza sull'operato del dirigente individuato come datore di lavoro (32): orientamento che ricalca quello analogo tradizionalmente espresso, soprattutto dalla giurisprudenza, in tema di delega di funzioni e che peraltro riconosce che il controllo non deve esplicarsi mediante una presenza costante del delegante sul luogo di lavoro. Con riferimento alla disciplina previgente, si era sostenuto (Stolfa 2008, 70-71) che il controllo richiesto agli organi di governo (come, in generale, al delegante) "non si configurasse come un vero e proprio dovere autonomo, bensì come corollario dell'atto elettivo iniziale, una sorta di dovere di verifica dell'idoneità del delegato". In sostanza si riteneva congruo pretendere che "l'organo di vertice verificasse l'idoneità del dirigente-datore di lavoro non solo al momento della nomina e sulla base dei requisiti inizialmente posseduti (o dichiarati), ma anche e soprattutto alla luce del suo concreto operare", non dovendosi peraltro trascurare che, stante l'incompetenza tecnica dell'organo di governo, questi dovesse rilevare non già tutte le inadempienze del dirigente-datore di lavoro, ma solo quelle di tale evidenza da far dubitare, appunto, della sua idoneità al compito assegnatogli. Una vigilanza degli organi di governo, dunque, da esercitare in sede di valutazione periodica dei risultati di gestione, anche sulla base dei risultati conseguiti, del resoconto fornito dagli organi tecnici di supporto (ad es. dai nuclei di valutazione) e della stessa relazione del dirigente-datore di lavoro. Più che una vigilanza costante, allora, una valutazione periodica e approfondita. Una simile prospettiva - che, per inciso, avvalora l'importanza dell'idoneità del dirigente-datore di lavoro - sembra plausibile anche alla luce della nuova norma, qui non rilevando peraltro l'espressa previsione dell'obbligo di vigilanza

Page 19: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

a carico del delegante ex art. 16, comma 3, dato che l'individuazione del dirigente-datore di lavoro è estranea alla logica della delega di funzioni. E si tratta di una prospettiva che appare coerente con quell'obbligo dell'organo di vertice di intervenire immediatamente che la giurisprudenza riconosce in capo ad esso qualora venga, di fatto, comunque, a conoscenza di una situazione di rischio o di una palese inadempienza ai doveri prevenzionistici. Peraltro, richiamando espressamente soltanto la figura del dirigente o, in subordine, del funzionario, la nuova disposizione sembra escludere recisamente la possibilità emersa nella prassi che gli stessi organi di governo siano nominati datori di lavoro. Secondo alcuni, alla luce del regime previgente, l'attribuzione delle funzioni datoriali agli organi di governo sarebbe stata legittima solo nelle marginali ipotesi in cui la legge attribuisce espressamente i poteri di gestione agli organi di governo dell'ente (si pensi alla possibilità per gli enti locali con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, anche al fine di operare un contenimento della spesa, di attribuire compiti gestionali ai componenti dell'organo esecutivo) (Polimeni 2003, 88). Non è detto però che ciò corrisponda alla ratio del d.lgs. n. 81/2008. 7.5. Il funzionario-datore di lavoro e l'ipotesi della sua mancanza. Come già accadeva con il d.lgs. n. 626/1994, il legislatore ha ammesso la possibilità di individuare come datore di lavoro un funzionario - ancorché nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale - senza tuttavia precisare che ciò può avvenire "in mancanza di dirigenti". A prima vista, l'individuazione del funzionario (posta in subordine nel testo dell'art. 2, lett. b, secondo periodo, del d.lgs. n. 81/2008) sembrerebbe imporsi essenzialmente nelle ipotesi di mancanza di figure dirigenziali: si pensi ai Comuni privi di qualifiche dirigenziali nei quali, ai sensi dell'art. 109, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000, a seguito di provvedimento motivato del sindaco è possibile attribuire le funzioni dirigenziali ai "responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, anche in deroga ad ogni diversa disposizione" (33). Data l'assenza dell'inciso "in mancanza di dirigenti", non può tuttavia escludersi che, qualora una particolare articolazione dell'amministrazione lo richieda, accanto al dirigente-datore di lavoro (o ai dirigenti-datori di lavoro nel caso di amministrazioni di vaste dimensioni) vengano individuati funzionari-datori di lavoro (Zoppoli 1997, 97-98), i quali peraltro potrebbero svolgere la funzione datoriale limitatamente all'ufficio avente autonomia gestionale al quale sono preposti. Nel caso del funzionario, il richiamo del legislatore all'"ufficio" sembra infatti identificare i confini dell'ambito di esercizio dei suoi poteri, fatto salvo, forse, il caso in cui, in una piccolissima amministrazione priva di dirigenti, soltanto un ufficio abbia autonomia gestionale. In tal senso, infatti, si potrebbe valorizzare il fatto che, dopo aver precisato il collegamento tra il funzionario ed il suo ufficio, il legislatore prevede che l'individuazione tenga conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività, non potendosi quindi escludere che, in casi marginali, il funzionario possa svolgere le funzioni datoriali in un ambito più ampio del proprio ufficio. Riagganciandosi qui al discorso condotto in precedenza circa la valenza dell'espressione riferita al dirigente "al quale spettano i poteri di gestione" (retro § 7.2), si deve rimarcare come il tenore dell'art. 2, lett. b, secondo periodo, non renda completamente giustizia alla posizione del funzionario individuabile come datore di lavoro, rispetto al quale, come si è detto, si limita

Page 20: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

a richiedere la preposizione ad un ufficio avente autonomia gestionale senza far esplicito cenno all'esercizio dei poteri connessi alla funzione datoriale. Poiché, come è evidente, non è ammissibile una simile funzione priva di poteri, la formulazione legislativa dovrebbe essere interpretata nel senso che la "preposizione del funzionario ad un ufficio avente autonomia gestionale" identifichi non solo il requisito per l'individuazione del funzionario (prima dell'individuazione), ma anche la sua spettanza degli specifici poteri gestionali per la sicurezza (dopo l'individuazione). Sotto l'egida del d.lgs. n. 626/1994 si era posto il problema relativo all'individuazione del datore di lavoro nelle amministrazioni prive di. dirigenza e nelle quali "il funzionario responsabile dell'unità autonoma non abbia i titoli o le capacità per occuparsi della sicurezza" (Zoppoli 1997, 99). Poiché, per questi aspetti, la formulazione del d.lgs. n. 81/2008 non è mutata, il problema è ancora attuale, dovendosi peraltro precisare, alla luce sia del dato normativo sia delle considerazioni svolte in precedenza sui "requisiti" dei candidati (retro § 7.2), che la mancanza da parte del funzionario "dei titoli o delle capacità per occuparsi della sicurezza" va intesa essenzialmente come mancanza di preposizione ad un ufficio avente autonomia gestionale. La questione riguarda evidentemente i comuni di piccole dimensioni, per i quali si è anche prospettata la soluzione dell'affidamento di un "incarico ad hoc per la gestione dell'organizzazione del lavoro, ivi compresa la sicurezza, ad un medesimo funzionario da parte di più comuni limitrofi" ovvero di un incarico al segretario comunale (Zoppoli 1997, 100). Ancorché non previste dal legislatore, simili soluzioni, in quanto finalizzate a fronteggiare situazioni "di frontiera", parrebbero condivisibili anche oggi, potendosi eventualmente fare appello alle disposizioni di cui al Titolo II, Capo V, del d.lgs. n. 267/2000 relative alle forme associative degli enti locali. Anzi, a ben guardare, oggi quelle soluzioni potrebbero avere anche maggiore fondamento, poiché, prevedendo espressamente, a differenza del passato, i casi in cui si verifica la coincidenza del datore di lavoro con l'organo di vertice, il d.lgs. n. 81/2008 sembrerebbe indicare che ciò non possa avvenire al di fuori di tali casi. A stretto rigore, sarebbe invero illogico che detta coincidenza potesse realizzarsi in tutte le ipotesi in cui, a prescindere dai motivi, l'organo di vertice non avesse proceduto alla individuazione del datore di lavoro. L'ultimo periodo dell'art. 2, lett. b, prevede tale coincidenza solo in caso di omessa individuazione o di individuazione non conforme ai criteri di legge: una previsione che, come risulta anche dal suo tenore letterale, ha una funzione deterrente/sanzionatoria ed alla quale non pare riconducibile l'ipotesi della assoluta impossibilità di effettuare l'individuazione a causa della oggettiva mancanza di soggetti idonei (34). L'argomentazione logica deve tuttavia coordinarsi con le esigenze preminenti imposte dai beni fondamentali in gioco. Il diritto alla salute ed alla sicurezza dei lavoratori non ammette deroghe, come si evince a chiare lettere dalla norma di chiusura rinvenibile nell'art. 299 del d.lgs. n. 81/2009, il quale prevede che le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all'art. 2, comma 1, lett. b (datore di lavoro), d (dirigente) ed e (preposto) "gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti". Si potrebbe perciò ipotizzare che qualora, in mancanza di qualsiasi figura individuabile come datore di lavoro, l'organo di vertice non dimostri di avere fatto tutto il possibile per sopperire a tale carenza (anche ricorrendo alle soluzioni "d'emergenza"

Page 21: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

poc'anzi menzionate), la configurazione in capo allo stesso organo del ruolo datoriale possa comunque emergere o in forza dell'art. 2, lett. b, ultimo periodo, o, comunque, in base all'art. 299 del d.lgs. n. 81/2009. 7.6. Gli autonomi poteri decisionali e di spesa. L'autonomia gestionale, che, alla luce dei principi generali in materia di sicurezza e della stessa formulazione legislativa, deve accompagnare la individuazione del datore di lavoro, consiste anche nel potere di disporre di apposite e adeguate risorse finanziarie destinate a soddisfare le esigenze di sicurezza (Ieva 2009, 1180 lo definisce "effettività della autonomia gestionale"). In passato, vigente il d.lgs. n. 626/1994, si era dubitato che l'autonomia gestionale dovesse comprendere anche veri e propri poteri di spesa (Padula 1998, 226; Cass. pen., sez. III, n. 6176/2000 (35)). Si è tuttavia replicato come un simile dubbio fosse essenzialmente fondato su argomenti formalistici, legati alla diversa espressione usata dal legislatore - che, per il datore di lavoro privato, richiamava i poteri decisionali e di spesa (art. 2, lett. b, primo periodo, del d.lgs. n. 626/1994), mentre per quello pubblico parlava solo di autonomia gestionale (art. 2, lett. b, secondo periodo, del d.lgs. n. 626/1994) (sul punto v. Guariniello 1996, 19; Polimeni 2003, 78) - laddove il concetto di autonomia gestionale non esclude affatto il potere di spesa che, anzi, deve ritenervisi connaturato (36) anche considerando proprio il contesto delle pubbliche amministrazioni, nel quale "autonomia gestionale significa appunto, innanzitutto, affidamento al dirigente della possibilità di disporre di un apposito capitolo di bilancio e di un piano esecutivo di gestione (PEG)" (Stolfa 2008, 74-75; v. anche Riccardi 1999, 240; Polimeni, 2003, 83-84). D'altronde, la responsabilità penale o amministrativa in materia di sicurezza non può che riguardare soggetti che siano dotati di tutti i poteri necessari a realizzare gli interventi cautelari imposti dalla legge (Zoppoli 1997, 91). In ogni caso, la nuova formulazione di cui all'art. 2, lett. b, secondo periodo, del d.lgs. n. 81/2008 taglia la testa al toro. In essa non solo si afferma che al dirigente "spettano i poteri di gestione" e che l'ufficio a cui è preposto il funzionario "abbia autonomia gestionale", ma si precisa altresì che il dirigente, come anche il funzionario, deve essere "dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa" (37). Si noti: "autonomi" poteri decisionali e di spesa, i quali si accompagnano, da un lato, ai poteri di gestione (dirigente) e, dall'altro, all'autonomia gestionale dell'ufficio (funzionario). Tutto ciò sembra indicare che, sebbene potere ed autonomia gestionale presuppongano già in sé la titolarità di autonomia decisionale e di spesa, nel caso della sicurezza sul lavoro l'autonomia decisionale e di spesa costituisca un quid pluris che si aggiunge ai normali poteri del soggetto in questione: ai fini di cui al d.lgs. n. 81/2008, i "poteri decisionali e di spesa" sono "autonomi" sia in termini di indipendenza (nessuno può ingerirsi nelle decisioni del titolare degli stessi), sia in termini di specificità (si tratta di poteri specificamente funzionali alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori). Come è stato opportunamente sottolineato, il dirigente-datore di lavoro "non potrà essere ritenuto penalmente responsabile dell'omissione di atti che non aveva concretamente il potere (giuridico ed economico) di compiere" (Stolfa 2008, 75). La carenza di effettiva ed adeguata autonomia gestionale corrisponderebbe, dunque, a quella "individuazione non conforme ai criteri" legali richiamata nell'ultimo periodo dell'art. 2, lett. b, del d.lgs. n. 81/2008, il

Page 22: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

quale anche in tal caso (come in quello di omessa individuazione) fa coincidere il datore di lavoro con l'organo di vertice, al quale pertanto andranno ricondotte le varie responsabilità. Appare comunque condivisibile la precisazione che, per liberarsi da qualsiasi responsabilità, il dirigente individuato irregolarmente come datore di lavoro abbia l'onere di segnalare agli organi competenti gli adempimenti necessari e di adottare le misure prudenziali provvisorie in attesa dell'intervento degli organi dotati dei poteri di spesa (Stolfa 2008, 75), come anche la sospensione dell'attività lavorativa ove questa risulti esposta a rischi intollerabili (Soprani, 2001, 251-252). Così come può ampiamente condividersi l'assunto che, facendo implicitamente leva sulla specialità della disciplina della sicurezza sul lavoro e sul rango dei beni in gioco, sottolinea come in questa materia l'attribuzione dell'autonomia gestionale costituisca un atto dovuto correlativamente all'individuazione del datore di lavoro, nonché una condizione essenziale per l'esonero degli organi apicali e, comunque, per la costruzione di un apparato prevenzionale conforme al disposto legislativo, che trascende qualsiasi ulteriore considerazione sulla natura o sulle dimensioni delle pubbliche amministrazioni (Stolfa 2008, 76; Zoppoli 1997, 95). D'altro canto, riferendosi al dirigente al quale "spettano" i poteri di gestione, l'art. 2, lett. b, secondo periodo, del d.lgs. n. 81/2008 sembra non solo evidenziare un requisito del dirigente, ma anche indicare che è un dovere dell'organo di vertice attribuire la specifica autonomia gestionale al dirigente-datore di lavoro (con tutto ciò che ne consegue in termini economici), così come è un diritto-dovere di quest'ultimo pretenderla ed ottenerla. Una volta individuato come datore di lavoro per la sicurezza, i poteri di gestione del dirigente non potranno non riguardare la specifica materia della sicurezza sul lavoro: infatti, imponendo una specifica individuazione del dirigente quale datore di lavoro per la sicurezza, il legislatore richiede una specifica autonomia gestionale a questo specifico fine. In linea generale, la responsabilità del dirigente-datore di lavoro dovrebbe operare entro i limiti fissati dalle risorse attribuitegli, cosicché, per gli adempimenti non realizzabili perché esorbitanti quei limiti, dovrebbero essere responsabili gli organi di vertice che non abbiano "attuato gli adempimenti contabili necessari ad assicurare maggiori disponibilità finanziarie" (Stolfa 2008, 76). Dato che la disponibilità finanziaria da attribuire al dirigente-datore di lavoro deve essere adeguata alle esigenze di sicurezza dell'ente e quindi proporzionata all'entità dei rischi valutati, una precisa determinazione potrà aversi soltanto dopo l'effettuazione della valutazione dei rischi di cui all'art. 28 del d.lgs. n. 81/2008, con la quale si individueranno i necessari interventi prevenzionistici (Stolfa 2008, 76). Come puntualmente già osservato alla luce della disciplina previgente, dovrebbe spettare al dirigente-datore di lavoro, nella fase di elaborazione del bilancio o del piano esecutivo di gestione, segnalare all'organo di vertice le esigenze relative alla sicurezza in funzione delle quali, poi, quest'ultimo dovrà predisporre le necessarie disponibilità finanziarie (Zoppoli 1997, 98; Soprani 2001, 251-252; Polimeni 2003, 93). Peraltro, ove il dirigente-datore di lavoro non provveda a segnalare tempestivamente all'organo di vertice l'eventuale inadeguatezza delle risorse fornitegli e si dimostri una colposa inerzia dello stesso dirigente-datore, non è del tutto chiaro se anche questa ipotesi equivalga ad un'"individuazione non conforme ai criteri", tale cioè da legittimare la configurazione sussidiaria del

Page 23: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

ruolo datoriale in capo all'organo di vertice (art. 2, lett. b, ultimo periodo, del d.lgs. n. 81/2008). 7.7. I poteri del datore di lavoro e la delega di funzioni. Una volta individuato come datore di lavoro, al dirigente spettano i poteri direttivi e organizzativi "specifici" (vale a dire connessi alla gestione del sistema prevenzionistico) necessari a svolgere il proprio compito. In forza dell'ampia nozione di "lavoratore" accolta nel decreto, ciò significa che tali specifici poteri potranno e dovranno esplicarsi anche nei confronti di quei lavoratori non legati all'ente da un vincolo di subordinazione, come i collaboratori parasubordinati, ai quali risultano del resto applicabili le sanzioni previste dall'art. 20 del decreto a carico dei lavoratori. Resta aperta peraltro la questione relativa alla modalità di esercizio dei predetti poteri datoriali nei confronti di lavoratori parasubordinati, a cui si è già fatto cenno (retro § 6). Se alla competenza esclusiva del dirigente-datore di lavoro spettano tutti gli atti connessi all'adempimento degli obblighi prevenzionistici datoriali, senza che alcuno possa ingerirsi ad esempio nei processi decisionali di nomina, ci si deve chiedere se, in quanto datore di lavoro, egli possa delegare ad altri le proprie funzioni (delegabili) nel rispetto dell'art. 16. Questa possibilità era stata ammessa già sotto l'egida del d.lgs. n. 626/1994, rilevandosi peraltro come, nel settore pubblico, fermi restando i requisiti all'epoca evidenziati dalla giurisprudenza per il settore privato "(capacità, autonomia decisionale ed economica del delegato, completezza, specificità e prova certa della delega)", quest'ultima "costituisca un vero e proprio provvedimento amministrativo, dal momento che difficilmente avrà ad oggetto solo aspetti riguardanti la gestione dei rapporti di lavoro o, comunque, le materie nelle quali le amministrazioni" operano con i poteri del privato datore di lavoro. In particolare si era rilevato che, poiché gli obblighi di sicurezza mirano a tutelare anche soggetti terzi rispetto ai dipendenti, in forza della nozione di lavoratore, e comportano "l'adozione di interventi (e dei relativi provvedimenti) di carattere 'strutturale' (ad esempio adeguamento dei luoghi di lavoro)", può rendersi "necessario ricomprendere nella delega anche il trasferimento di poteri pubblicistici" evidenziandosi particolari requisiti procedimentali e di forma della delega (Zoppoli 1997, 101; v. anche Tampieri 1995, 122). Di provvedimento amministrativo parla anche chi, dopo l'approvazione del d.lgs. n. 81/2008, invece nega l'ammissibilità della delega di cui all'art. 16 nelle pubbliche amministrazioni. Ripetendo nel contenuto l'attribuzione delle funzioni dirigenziali, la delega dovrebbe essere oggetto di un provvedimento amministrativo, la cui configurabilità deve essere esplicitamente prevista dalla legge: legge che, però, avrebbe già disciplinato questo potere negli artt. 17, comma 1-bis, e 17-bis del d.lgs. n. 165/2001, nei quali tuttavia non sarebbe riconducibile la delega di funzioni dell'art. 16, dato che la prima delle due norme prevede una delega estremamente circoscritta e temporalmente limitata, mentre la seconda si riferisce ad una delega che dovrebbe essere disciplinata dalla contrattazione collettiva (Venturi 2008, 162-163). Per quanto concerne la presunta inammissibilità della delega di cui all'art. 16, può osservarsi che quella della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro costituisce una disciplina legislativa la quale, date le peculiari finalità che persegue ed il rango di preminente interesse costituzionale dei beni tutelati (art. 32 Cost.), riveste un carattere sicuramente speciale che le consente di prevalere sulle disposizioni di carattere generale, a maggior ragione qualora

Page 24: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

queste ultime possano ostacolare l'applicazione delle norme prevenzionistiche (38). Occorre inoltre rilevare che quando il legislatore delegato del 2008, anche per rispettare la delega del 2007, ha previsto regole particolari per le pubbliche amministrazioni (intese come datori di lavoro) lo ha fatto espressamente (39), mentre negli altri casi ha assimilato datori di lavoro privati e pubblici, come del resto risulta apertis verbis dall'art. 3, comma 1, in base al quale il d.lgs. n. 81/2008 "si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio", e come risulta dalla definizione di "azienda" di cui all'art. 2, lett. c . Pertanto la previsione del potere di delega di cui al d.lgs. n. 165/2001 non assorbe quello di cui all'art. 16 del d.lgs. n. 81/2008, né pare in grado di limitarlo o addirittura escluderlo. Se, sotto questi profili, non sembrano sorgere ostacoli per l'applicabilità dell'art. 16 del d.lgs. n. 81/2008 nelle pubbliche amministrazioni, occorre tuttavia verificare se, alla luce di tale norma e del più complessivo sistema del d.lgs. n. 81/2008, la delega di funzioni richieda un atto amministrativo. In termini più analitici occorre accertare se: - dato che l'individuazione del dirigente-datore di lavoro pubblico costituisce un atto organizzativo ex art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001, - dato che l'art. 5, comma 2, dello stesso d.lgs. n. 165/2001 prevede che, nell'ambito delle leggi e dei predetti atti organizzativi, "le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro", rientrando, in particolare, "nell'esercizio dei poteri dirigenziali le misure inerenti la gestione delle risorse umane nel rispetto del principio di pari opportunità nonché la direzione, l'organizzazione del lavoro nell'ambito degli uffici", - dato che le misure relative alla salute e sicurezza dei lavoratori appaiono comunque attinenti alla gestione dei rapporti di lavoro, l'adozione di tali misure possa avvenire con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro, vale a dire con atti tipicamente datoriali e non pubblicistici, e se, appunto con un tale atto datoriale, il dirigente-datore di lavoro possa delegare alcune sue funzioni ad altri soggetti dell'organigramma nel rispetto dell'art. 16 del d.lgs. n. 81/2008. Nessun problema sorge intanto rispetto alla sussistenza dei requisiti di validità della delega, dato che l'art. 16 del d.lgs. n. 81/2008 ne individua una nutrita serie (Soprani 2008a, 64): necessità di forma scritta con data certa; possesso da parte del delegato di tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; attribuzione al delegato di tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; attribuzione al delegato dell'autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate; accettazione della delega per iscritto; adeguata e tempestiva pubblicità della delega; obbligo di vigilanza del delegante. Requisiti che, a ben guardare, corrispondono in parte ai requisiti procedimentali e formali la cui esigenza è stata segnalata anche da chi ha sostenuto l'ammissibilità della delega postulando l'atto amministrativo (Zoppoli 1997, 101). Per la verità, l'esigenza del provvedimento amministrativo è stata avvertita dallo stesso autore soprattutto per l'insufficienza dei poteri del "privato datore di lavoro", conseguente alla necessità sia di tutelare anche soggetti che non sono dipendenti dell'amministrazione, sia di adottare interventi di carattere strutturale (Zoppoli 1997, 101).

Page 25: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

Per quanto attiene al primo aspetto, va osservato che il d.lgs. n. 81/2008, tramite l'ampia definizione di "lavoratore", ha addirittura allargato la platea dei soggetti tutelati, ma, sottolineando l'irrilevanza della tipologia contrattuale e mediante la tecnica delle equiparazioni, ha ricondotto tutti i soggetti tutelati sotto l'ombrello protettivo del "datore di lavoro". Tuttavia, "questo" datore di lavoro (ex d.lgs. n. 81/2008) si identifica con il "classico" datore di lavoro ex art. 2094 c.c. solo nel caso dei suoi lavoratori subordinati, mentre negli altri casi (per riferirsi solo ad alcuni) corrisponde o ad un soggetto che è parte di un contratto di lavoro non subordinato (il committente di lavoro autonomo e parasubordinato), o ad un soggetto che non è parte del contratto di lavoro subordinato con il lavoratore (l'utilizzatore della somministrazione), o addirittura ad un soggetto che non è parte di alcun contratto, tanto meno di lavoro, con il soggetto tutelato (il soggetto che ospita tirocini formativi e di orientamento) (Pascucci 2008a, 42; Speziale 2009). Se è così, le tradizionali categorie lavoristiche, specialmente quelle connesse ai poteri datoriali, potrebbero non rivelarsi sufficienti per inquadrare gli atti di un soggetto che è sì datore di lavoro, ma "per la sicurezza" e, in quanto tale, è "datore di lavoro" anche nei confronti di chi non sia un "suo classico" lavoratore o semplicemente non sia un "classico" lavoratore. Mutando la dimensione del "lavoratore", tende a mutare inevitabilmente anche quella del "datore di lavoro" e altrettanto potrebbe accadere per quanto riguarda gli strumenti connessi alla relazione tra tali soggetti. Orbene, il dirigente-datore di lavoro di cui all'art. 2, lett. b, secondo e terzo periodo, del d.lgs. n. 81/2008, così come il suo omologo del settore privato (art. 2, lett. b, primo periodo) è, a ben guardare, un "garante e debitore di sicurezza", i cui specifici atti sono disciplinati dalle specifiche norme legali sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Tali norme pongono precetti (presidiati da sanzioni pubblicistiche: penali e amministrative) che i destinatari (in primis il datore di lavoro) debbono osservare avvalendosi degli strumenti organizzativi di cui dispongono. Nel caso del datore di lavoro, questi rispetterà i suoi doveri - che, in quanto finalizzati alla prevenzione ed alla protezione, sono essenzialmente doveri di organizzazione - esercitando all'uopo i poteri tipici della propria organizzazione. Nel campo della sicurezza sul lavoro, questi poteri organizzativi svolgono quindi una funzione servente rispetto all'assolvimento dei doveri organizzativi previsti dalla legge. I poteri di cui si discute non sono altro che i poteri di cui il datore di lavoro dispone per organizzare il lavoro: di questi infatti si tratta visto che la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori dipende dall'organizzazione del lavoro (Montuschi 1986; Maggi 1997, 346; Maggi 2006, 16). Questa dimensione strumentale dei poteri organizzativi imprenditoriali fa sì che divenga irrilevante il fatto che, tramite il loro esercizio, si tuteli un lavoratore subordinato o un somministrato o un tirocinante. Non a caso la legge definisce "lavoratori" tutti questi soggetti, così come definisce "datore di lavoro" colui che ad alcuni di tali soggetti non dà lavoro, ma deve comunque dare sicurezza per il sol fatto che operano in qualche modo nella sua organizzazione. Poiché questi sono inseriti nell'organizzazione del datore, sarà in e tramite quell'organizzazione che quest'ultimo dovrà tutelarli, esercitando appunto i poteri connessi a tale organizzazione. Ecco allora che, nel settore pubblico, tali poteri non potranno non essere quelli a cui si riferisce l'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, vale a dire la capacità e i poteri del privato datore di lavoro con cui si assumono le misure inerenti alla

Page 26: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

gestione dei rapporti di lavoro e le determinazioni per l'organizzazione degli uffici (Ales 2007, 7; Bellavista 2009): ed è in questa dimensione "privatistica" che dovrebbe collocarsi anche la delega di funzioni di cui all'art. 16 del d.lgs. n. 81/2008. D'altro canto, sostenendo la necessità del provvedimento amministrativo per l'insufficienza dei poteri datoriali privatistici a tutelare i "lavoratori" non dipendenti, tale provvedimento occorrerebbe allora non solo per la delega, ma anche per tutti gli altri atti del datore di lavoro finalizzati a tutelare la salute e la sicurezza di quei "lavoratori". Chiarito ciò, occorre tuttavia osservare che la necessità di inquadrare la delega di funzioni nell'ottica degli atti amministrativi potrebbe essere più avvertibile relativamente al secondo aspetto segnalato in dottrina, vale a dire in riferimento all'esigenza di realizzare, per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, interventi strutturali esorbitanti rispetto alla normale gestione delle risorse umane che presuppongono il trasferimento di poteri pubblicistici (Zoppoli 1997, 101). Potrebbe tuttavia residuare il dubbio che, riguardando comunque l'organizzazione degli uffici e del lavoro - come sempre avviene quando si deve garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori -, tali interventi davvero eccedano la normale gestione delle risorse umane e non possano invece essere disposti anch'essi con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro di cui all'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, con ciò che ne consegue anche in ordine alla delega che li preveda. In verità, si tratta di un dubbio il cui fondamento deve comunque misurarsi con un altro aspetto già opportunamente segnalato (Venturi 2008, 162) e che parrebbe, questo sì, probabilmente decisivo: infatti, dato che, mediante la delega, il dirigente-datore di lavoro trasferisce ad altri soggetti poteri, risorse e responsabilità attribuitegli dall'organo di vertice mediante l'atto di alta organizzazione consistente nell'"individuazione", di questo atto la delega dovrebbe necessariamente condividere la natura amministrativa (v. anche Tampieri 1996, 148). Quanto alle più recenti innovazioni sulla delega, apportate dal d.lgs. n. 106/2009, di quella relativa alle modalità di esercizio dell'obbligo di vigilanza del delegante sul delegato (che riguarda il secondo periodo del comma 3 dell'art. 16) si farà cenno nel prosieguo trattando dei modelli di organizzazione e di gestione (infra § 8.9). Dell'altra, riguardante la sub-delega, ci si occuperà immediatamente nel prossimo paragrafo. 7.8. La novità della sub-delega. Se si ritiene che anche nelle pubbliche amministrazioni sia ammissibile la delega di funzioni di cui all'art. 16 del d.lgs. n. 81/2008, ci si deve chiedere se lo stesso valga anche per il nuovo istituto disciplinato dal comma 3-bis dello stesso art. 16, introdotto dal d.lgs. n. 106/2009: la cosiddetta sub-delega, ovvero la delega da parte del delegato, la quale non era esplicitamente preclusa, ma neppure prevista dal legislatore del 2008. Secondo la nuova disposizione, il delegato, previa intesa con il datore delegante, può delegare specifiche funzioni in materia prevenzionistica alle medesime condizioni alla stregua delle quali è ammessa la delega, vigendo altresì l'obbligo del "delegante" (da intendersi presumibilmente come "delegato-delegante" e non come "datore-delegante") di vigilare sul corretto espletamento delle funzioni trasferite al sub-delegato, il quale non può, a sua volta, delegare le funzioni delegate. Accedendo alla tesi poc'anzi sostenuta secondo cui il dirigente-datore di lavoro può delegare le funzioni datoriali (quelle delegabili, ovviamente), si potrebbe

Page 27: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

essere tentati di rispondere subito positivamente alla domanda. Non sembra tuttavia fuori luogo verificare se, per l'ammissibilità della sub-delega nelle pubbliche amministrazioni, sia sufficiente il requisito della previa intesa del delegato con il datore delegante (che nella fattispecie è un dirigente a sua volta individuato come datore di lavoro dall'organo di vertice), oppure se sia invece necessario che la previa intesa tra "dirigente-datore di lavoro-delegante" e "funzionario-delegato-subdelegante" si estenda al soggetto (l'organo di vertice) da cui il datore di lavoro è stato pur sempre individuato. Per la verità, il coinvolgimento dell'organo di vertice non sembra. prospettabile oltre i termini di un'eventuale opportuna informazione. Imporre al delegato-subdelegante, al fine della possibilità di delegare parte delle sue funzioni, un vero e proprio obbligo di acquisire il consenso non solo del dirigente-datore di lavoro, ma anche dell'organo di vertice (obbligo che non è previsto da alcuna norma del d.lgs. n. 81/2008) significherebbe in ultima istanza legittimare interferenze dell'organo di vertice nell'esercizio dei poteri del dirigente-datore di lavoro che appaiono incoerenti con il complessivo sistema prevenzionistico di cui quest'ultimo è il principale garante. Se nessuna ingerenza può essere esercitata sul dirigente-datore di lavoro in merito all'assolvimento dei suoi obblighi indelegabili ex art. 17 (valutazione dei rischi e nomina del Rspp) (Stolfa 2008, 77), né può essere esercitata ove egli intenda delegare parte dei suoi doveri ad altri soggetti, nessun'altra ingerenza dovrebbe riguardare l'ipotesi in cui il suo delegato intenda effettuare una sub-delega, fatta salva appunto l'ingerenza del dirigente-datore di lavoro-delegante che si attuerà mediante la previa intesa con il delegato-subdelegante. Diversamente opinando si finirebbe in sostanza per ricadere nell'errore di prospettiva, precedentemente criticato, secondo cui l'individuazione del dirigente-datore di lavoro equivarrebbe ad una delega di funzioni, con la paradossale conseguenza che, introducendo in questo modo un ulteriore gradino nella scala del trasferimento delle responsabilità, l'eventuale delega da parte del dirigente-datore di lavoro si configurerebbe in realtà essa stessa come una sub-delega, mentre la vera e propria sub-delega (che l'art. 16, comma 3-bis, del d.lgs. n. 81/2008 consente al delegato nei confronti di un altro soggetto) risulterebbe preclusa, dato che l'ultimo periodo di tale norma impedisce al soggetto al quale sia stata conferita la sub-delega di delegare a sua volta le funzioni delegate. D'altronde, come in parte anticipato, l'ammissibilità della delega - e anche della sub-delega - si giustifica in ragione della netta specialità della disciplina della sicurezza sul lavoro contenuta nel d.lgs. n. 81/2008, tale da prevalere su altre previsioni ancorché di portata settoriale, ma pur sempre di carattere generale. Va da sé che la sub-delega non può giustificare un abbassamento dei livelli di tutela, né può comunque tradursi in un facile escamotage per scaricare a cascata e con eccessiva disinvoltura le responsabilità prevenzionistiche sui livelli inferiori dell'organizzazione, come emerge anche dalla recente giurisprudenza di legittimità (40) e dai requisiti indicati nella nuova disposizione.. Per quanto concerne in particolare la previa intesa con il delegante, si tratta di un requisito perfettamente ragionevole e che - anche al di là della dubbia riconducibilità della delega di funzioni in tema di sicurezza sul lavoro allo schema civilistico del mandato, visto che tale delega riverbera effetti sul piano della responsabilità penale - appare formalmente rispettoso anche dei

Page 28: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

tradizionali principi generali desumibili dal diritto civile secondo cui, senza l'autorizzazione del delegante, delegatus delegare non potest (arg. ex art. 1717 c.c.). Ovviamente, la giusta e necessaria "previa intesa" con il datore di lavoro deve essere genuina, potendo rivelarsi più che opportuno ai fini probatori (ancorché ciò non sia espressamente previsto) che anch'essa, come la delega, risulti da atto scritto con data certa. Alla opportuna conferma anche per la sub-delega della necessaria sussistenza di tutti i requisiti di ammissibilità della delega (art. 16, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 81/2008) (41), si affianca inoltre non solo il già menzionato divieto di un'ulteriore sub-delega (di secondo grado), ma anche la previsione che la sub-delega può essere conferita solo per "specifiche" funzioni (limite non sussistente invece per la delega), permanendo comunque in capo al delegato-subdelegante le responsabilità connesse al complesso delle altre funzioni delegategli dal datore di lavoro. In altri termini, la nuova previsione sembra evidenziare un modello nel quale il datore di lavoro (fatta eccezione per i propri compiti indelegabili ex art. 17 del d.lgs. n. 81/2008) può delegare nuclei di responsabilità ad altri soggetti, i quali possono a loro volta sub-delegare solo specifiche porzioni di tali responsabilità ad altre persone. Per l'individuazione dei sub-delegati non potrà prescindersi non solo dai requisiti di professionalità ed esperienza di cui all'art. 16, comma 1, lett. b, del d.lgs. n. 81/2008, ma anche dalle definizioni soggettive di cui all'art. 2, lett. d ed e, dello stesso decreto, non dovendosi in ogni caso trascurare quanto previsto dall'art. 299 del d.lgs. n. 81/2008 relativamente all'esercizio di fatto di poteri direttivi. Un ulteriore elemento posto a garanzia della effettività della sub-delega è rappresentato dall'obbligo formalmente gravante sul sub-delegante di vigilare sull'operato del sub-delegato (art. 16, comma 3-bis, secondo periodo, del d.lgs. n. 81/2008), pur non potendo esclu dersi che anche il datore delegante debba esercitare un controllo in tal senso. A tale proposito ci si può chiedere se tale obbligo possa intendersi assolto mediante l'adozione e l'efficace attuazione del sistema [modello] di verifica e controllo di cui all'art. 30, comma 4, come è ora previsto nel caso della delega principale dopo la modifica dell'art. 16, comma 3, secondo periodo, del d.lgs. n. 81/2008 da parte del d.lgs. n. 106/2009 (v. infra § 8.9): anche se il secondo periodo del comma 3 si riferisce esclusivamente al primo periodo della stessa norma, una interpretazione estensiva non pare inammissibile. Quanto alla natura dell'atto con cui esercitare la sub-delega nelle pubbliche amministrazioni, valgono le stesse considerazioni a cui si è pervenuti al termine del paragrafo precedente a proposito della delega. 8. Altre disposizioni rilevanti per le pubbliche amministrazioni. Dopo questa lunga disamina delle questioni connesse alla figura del datore di lavoro pubblico, è opportuno passare in rassegna altri aspetti della disciplina che presentano un peculiare interesse per le pubbliche amministrazioni. 8.1. Le definizioni di azienda, dirigente e preposto. Fra le altre definizioni contenute nell'art. 2, balza agli occhi innanzitutto il concetto di "azienda" (art. 2, lett. c) che, ai fini del d.lgs. n. 81/2008, dismette la propria tradizionale dimensione privatistico-imprenditoriale (di complesso dei beni organizzato dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa: art. 2555 c.c.) per assumere quella del "complesso della struttura organizzata dal datore di lavoro pubblico o privato", conseguendone che, tutte le volte in cui il legislatore parla di azienda, il riferimento è anche agli enti pubblici (v. ad esempio le norme sul rappresentante dei lavoratori per la sicurezza).

Page 29: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

Viene poi in luce la definizione di "dirigente" (art. 2, lett. d) che, ai fini della sicurezza del lavoro, è la persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l'attività lavorativa e vigilando su di essa. Figura, quindi, che, nelle pubbliche amministrazioni, potrà anche coincidere con quella giuslavoristica generale purché quest'ultima non sia stata individuata come datore di lavoro pubblico. Nel comparto dei Ministeri potrebbe trattarsi anche dei vicedirigenti di cui all'art. 17-bis del d.lgs. n. 165/2001, non potendosi escludere che, nelle pubbliche amministrazioni, possa considerarsi "dirigente" ai fini del d.lgs. n. 81/2008 anche un soggetto che non sia formalmente dirigente in senso giusla voristico, ma che svolga le funzioni indicate dallo stesso decreto (ad esempio, il personale in posizione organizzativa negli enti locali, quello di categoria Ep nelle università) (sul punto v. amplius Tampieri 1996, 137 ss.). Per quanto attiene al preposto, vale innanzitutto la definizione di cui all'art. 2, lett. e, la quale si riferisce alla persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa. Una definizione che appare coerente con quanto già indicato in passato dalla dottrina, la quale, sulla scorta della giurisprudenza, segnalava come la concreta individuazione di tale figura dipendesse sia dal dato formale - le "funzioni desunte dalla qualifica e dal profilo professionale" - sia dal dato sostanziale, vale a dire "le mansioni in concreto esercitate in base alla ripartizione interna delle competenze (Zoppoli 1997, 100; Tampieri 1995, 118). L'individuazione dei preposti deve comunque tenere conto anche di un ulteriore elemento, ricavabile dall'art. 28, comma 2, lett. d, ai sensi del quale il documento di valutazione dei rischi deve contenere l'individuazione delle procedure per l'attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli dell'organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri. Ciò pare confermare l'esigenza di uno specifico incarico formalizzato in un atto gestionale-organizzativo (Nibbio, Venturi 2008, 674), fermo restando in ogni caso quanto disposto dall'art. 299 del d.lgs. n. 81/2008. 8.2. La vigilanza e il sistema istituzionale. Per quanto concerne la vigilanza, qui riguardata dal lato passivo, le pubbliche amministrazioni sono assoggettate alle stesse regole valide per i datori di lavoro privati (art. 13 del d.lgs. n. 81/2008). In certi casi, tuttavia, sono previsti adattamenti, come accade per le strutture sanitarie del Servizio sanitario nazionale, nei cui confronti la vigilanza dei servizi di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro delle Asl può essere svolta congiuntamente all'Ispesl (42). In attesa del complessivo riordino delle competenze in tema di vigilanza, l'art. 13, comma 3, del d.lgs. n. 81/2008 mantiene ferme quelle attribuite ai servizi sanitari e tecnici istituiti per le Forze armate e per le Forze di polizia e per i Vigili del fuoco: previsione ripetuta in modo ridondante dal comma 1-bis dello stesso art. 13, introdotto dal d.lgs. n. 106/2009, in base al quale nei luoghi di lavoro delle Forze armate, delle Forze di polizia e dei Vigili del fuoco la vigilanza è svolta esclusivamente dai servizi sanitari e tecnici istituiti presso le predette amministrazioni.

Page 30: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

Sempre ai sensi dell'art. 13, comma 3, i predetti servizi sono competenti altresì per le aree riservate o operative e per quelle che presentano analoghe esigenze da individuarsi, anche per quel che riguarda le modalità di attuazione, con un decreto ministeriale. È inoltre previsto che l'amministrazione della giustizia possa avvalersi dei servizi istituiti per le Forze armate e di polizia, anche mediante convenzione con i rispettivi Ministeri, nonché dei servizi istituiti con riferimento alle strutture penitenziarie. 8.3. La responsabilità del datore di lavoro e del dirigente. Diversamente dall'art. 4 del d.lgs. n. 626/1994 (che prevedeva tutti insieme gli obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto, creando non pochi problemi di interpretazione: Ferraro 1997, 109), l'art. 17 del d.lgs. n. 81/2008 indica autonomamente gli obblighi indelegabili del datore di lavoro, vale a dire la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall'art. 28 e la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (Rspp). A sua volta, l'art. 18 prevede solo gli obblighi per il datore ed il dirigente (sia quelli delegabili al dirigente sia quelli iure proprio del dirigente medesimo). In un'ulteriore disposizione (art. 19) figurano gli obblighi per i preposti. Tale distinzione, che deve comunque raccordarsi con le definizioni di "dirigente" e di "preposto" ora contenute nell'art. 2 del decreto, va salutata con favore, contribuendo a semplificare l'individuazione dei rispettivi compiti e delle connesse responsabilità (Nicolini 2008, 244). Per quanto attiene più specificamente alle responsabilità datoriali, occorre ricordare che l'originario schema di decreto legislativo correttivo del d.lgs. n. 81/2008, approvato dal Consiglio dei Ministri il 27 marzo 2009, conteneva una discutibilissima previsione (l'art. 10-bis), che, fra l'altro, con un'evidente eccesso di delega, introduceva una più che dubbia modifica al sistema della responsabilità penale di cui all'art. 40, cpv., c.p., il quale, come è noto, stabilisce che "non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo". L'art. 10-bis prevedeva infatti che, nei reati commessi me diante violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all'igiene sul lavoro, il non impedire l'evento equivalesse a cagionarlo a condizione, fra l'altro, che l'evento non fosse imputabile ai soggetti di cui agli artt. 56, 57, 58, 59 e 60 del d.lgs. n. 81/2008 per la violazione delle disposizioni ivi richiamate (lett. d). Come tempestivamente denunciato da autorevoli esponenti della dottrina penalistica (Marinucci ed altri 2009), tale norma esonerava da responsabilità i soggetti (datore di lavoro e dirigenti) collocati in posizioni apicali nell'impresa, i quali non sarebbero stati più obbligati ad impedire eventi lesivi o mortali nei luoghi di lavoro quando a concausare gli eventi fossero condotte colpose di altri soggetti. Le possibili censure di incostituzionalità di tale previsione concernevano innanzitutto, come detto, l'art. 76 Cost., sotto forma di eccesso di delega, dal momento che la legge delega, vincolante anche nei confronti del decreto correttivo, non faceva alcun riferimento ad una forma di limitazione di responsabilità per datori di lavoro e dirigenti; in secondo luogo, riguardavano l'art. 3 Cost., attribuendosi irragionevolmente prevalenza agli interessi del datore di lavoro rispetto a quelli dei lavoratori in un quadro costituzionale nel quale l'iniziativa economica è libera, a condizione però che non si svolga in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (art. 41, comma 2, Cost.); infine, toccavano l'art. 117 Cost. perché la disposizione violava gli obblighi comunitari di cui all'art. 5 della direttiva n. 89/391/CEE che consente agli Stati membri di

Page 31: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

limitare l'esclusione della responsabilità del datore di lavoro alle sole ipotesi di intervento di fattori eccezionali ed imprevedibili (Marinucci ed altri 2009). Il d.lgs. n. 106/2009 conserva di quella norma soltanto una lontana ed indiretta eco nel proprio art. 13. Quest'ultimo, mirando a scongiurare la responsabilità datoriale (e dirigenziale) sovente rilevata in sede giudiziaria anche a fronte di violazioni commesse da altri soggetti (ad es. i lavoratori), aggiunge all'art. 18 del d.lgs. 81/2008 il comma 3-bis, il quale obbliga il datore di lavoro ed i dirigenti a vigilare in ordine all'adempimento degli obblighi gravanti sugli altri soggetti del sistema di prevenzione (artt. 19, 20, 22, 23, 24 e 25 del d.lgs. n. 81/2008), ferma restando l'esclusiva responsabilità di questi ultimi soggetti qualora la mancata attuazione dei predetti obblighi sia addebitabile unicamente agli stessi e non sia riscontrabile un difetto di vigilanza del datore di lavoro e dei dirigenti. Esplicitando a chiare lettere l'obbligo datoriale di vigilanza sull'adempimento degli obblighi gravanti sugli altri soggetti, la nuova norma esalta l'indefettibile ruolo del datore di lavoro quale primario garante e coordinatore della sicurezza in azienda; per altro verso non altera il regime delle responsabilità perché ritiene il datore esonerato da responsabilità a condizione che abbia correttamente vigilato sull'adempimento degli altri soggetti (vigilanza da intendersi in senso "attivo" e "dinamico", con tutto ciò che ne consegue specialmente in relazione ai provvedimenti da adottare a fronte delle inosservanze) e che non abbia altresì "alcuna" responsabilità in ordine all'inattuazione degli obblighi da parte degli stessi soggetti, risultando tale responsabilità unicamente addebitabile a questi ultimi. Per intendersi, un datore di lavoro che non abbia ottemperato all'obbligo di formazione o che non abbia correttamente effettuato la valutazione dei rischi, al di là della sanzionabilità specifica di tali comportamenti, ben difficilmente potrà non essere considerato responsabile o corresponsabile nel caso di un infortunio causato da una violazione commessa da un preposto o da un lavoratore non formato o comunque costretto ad operare in un sistema aziendale non adeguatamente protetto. Se malauguratamente l'art. 10-bis fosse stato approvato, al di là della sua probabile caducazione per incostituzionalità, nelle pubbliche amministrazioni avrebbe potuto dar luogo ad un ulteriore paradosso: quello per cui, qualora l'organo di vertice non avesse affatto individuato il dirigente-datore di lavoro o non l'avesse correttamente individuato, la configurazione sussidiaria in capo allo stesso organo di vertice del ruolo datoriale avrebbe potuto non comportare conseguenze per tale soggetto nel caso di un infortunio concausato da un lavoratore. In buona sostanza, non solo si sarebbe esentato il datore da responsabilità (come nel settore privato), ma si sarebbe anche svuotata di significato la previsione finalizzata a dare effettività alla disciplina a fronte della inerzia o scorrettezza dell'organo di vertice. Lo stesso art. 18 del d.lgs. n. 81/2008, contiene al comma 3 una previsione relativa alla dissociazione tra proprietà dei locali e uso degli stessi (Ieva 2009, 1178): gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare, ai sensi del d.lgs. n. 81/2008, la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico dell'amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione. In tale caso gli obblighi previsti dallo stesso decreto, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o

Page 32: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all'amministrazione competente o al soggetto che ne ha l'obbligo giuridico (43). 8.4. Gli appalti. Qualche riflessione deve essere svolta a proposito della speciale disciplina relativa alla sicurezza negli appalti di cui all'art. 26 del d.lgs. n. 81/2008, la quale, dopo i ritocchi del d.lgs. n. 106/2009, riguarda l'affidamento di lavori, servizi e forniture all'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa (che può ben essere una pubblica amministrazione), nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima: disciplina che si applica, dopo la novella del 2009, sempre che il datore di lavoro abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto o la prestazione di lavoro autonomo. La prima riflessione riguarda l'art. 26, comma 3, relativo all'obbligo di elaborazione del documento unico di valutazione dei rischi da interferenze (Duvri) tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva: obbligo che incombe sul datore di lavoro committente al fine di promuovere la cooperazione ed il coordinamento degli interventi di prevenzione e di protezione relativi all'opera appaltata. Il d.lgs. n. 106/2009 ha aggiunto al predetto comma 3 un quinto periodo il quale dispone che, nel campo di applicazione del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (codice dei contratti pubblici), il Duvri sia redatto, ai fini dell'affidamento del contratto, dal soggetto titolare del potere decisionale e di spesa relativo alla gestione dello specifico appalto. A prima vista, potrebbe aversi l'impressione che questa previsione sia più rigida di quella relativa agli appalti "privati", dove l'obbligo del datore di elaborare il Duvri è comunque delegabile (diversamente dall'obbligo di elaborare il documento di valutazione dei rischi di cui all'art. 28): infatti, evocando il soggetto titolare del potere decisionale e di spesa, il legislatore sembrerebbe riferirsi esclusivamente al datore di lavoro "pubblico" di cui si è a lungo parlato in precedenza. Non può escludersi tuttavia che il legislatore, in omaggio ad un principio di effettività, si sia disinteressato delle qualificazioni formali, incardinando l'obbligo in questione in capo a chi sia effettivamente titolare del potere decisionale e di spesa relativo alla gestione dello specifico appalto: titolarità che ben potrebbe essere rinvenibile in capo al datore di lavoro per la sicurezza dell'amministrazione appaltante, ma che potrebbe anche essere stata da questi delegata ad un altro soggetto nel rispetto dei requisiti di cui all'art. 16 del d.lgs. n. 81/2008, fra cui rientra non a caso l'attribuzione al delegato di tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate e dell'autonomia di spesa necessaria a svolgere le medesime funzioni. Tale interpretazione, insomma, sarebbe coerente con la delegabilità dell'obbligo relativo al Duvri che emerge dalla combinazione tra l'art. 17 e l'art. 18, comma 1, lett. p, del d.lgs. n. 81/2008 (il quale ultimo prevede ora la possibilità di elaborare il Duvri anche su supporto informatico ex art. 53, comma 5, del d.lgs. n. 81/2008). Alla luce delle specifiche norme sui contratti pubblici occorrerà poi verificare se anche nelle pubbliche amministrazioni sia applicabile il nuovo comma 3-bis dell'art. 26, secondo cui l'obbligo di elaborazione del Duvri non riguarda i servizi di natura intellettuale, le mere forniture di materiali o attrezzature nonché i lavori o servizi la cui durata non sia superiore ai due giorni, sempre che essi non comportino rischi derivanti dalla presenza di agenti cancerogeni, biologici, atmosfere esplosive o dalla presenza dei rischi particolari di cui all'Allegato XI del d.lgs. n. 81/2008. Tale esenzione non è comunque immune

Page 33: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

da critiche almeno per quanto concerne il criterio temporale della durata dei lavori (2 giorni), che, al di là della sua esiguità, potrebbe non rivelarsi del tutto convincente ove l'appalto coinvolga un considerevole numero di lavoratori e/o presenti una sua intrinseca complessità di per sé foriera di interferenze. Vanno inoltre ricordate due ulteriori innovazioni del d.lgs. n. 106/2009. La prima risulta dal comma 3-ter dell'art. 26, a mente del quale, qualora il contratto sia affidato dai soggetti di cui all'art. 3, comma 34, del d.lgs. n. 163/2006 (44), o in tutti i casi in cui il datore di lavoro non coincida con il committente, il soggetto che affida il contratto redige il Duvri recante una valutazione ricognitiva dei rischi standard relativi alla tipologia della prestazione che potrebbero potenzialmente derivare dall'esecuzione del contratto. Il soggetto presso il quale deve essere eseguito il contratto, prima dell'inizio dell'esecuzione, deve integrare il predetto documento riferendolo ai rischi specifici da interferenza presenti nei luoghi in cui verrà espletato l'appalto e l'integrazione, sottoscritta per accettazione dall'esecutore, integra gli atti contrattuali (45). La seconda novità si rinviene nel comma 5 dell'art. 26, il quale non richiede più di indicare specificamente nel contratto di appalto, a pena di nullità ex art. 1418 c.c., i costi relativi alla sicurezza del lavoro con particolare riferimento a quelli propri connessi allo specifico appalto (Angelini 2007b), bensì i costi delle misure adottate per eliminare o, ove ciò non sia possibile, ridurre al minimo i rischi in materia di salute e sicurezza sul lavoro derivanti dalle interferenze delle lavorazioni: costi non soggetti a ribasso. 8.5. La valutazione dei rischi. Il d.lgs. n. 106/2009 ha ulteriormente differito l'entrata in vigore dell'obbligo di valutare anche i rischi collegati allo stress lavoro-correlato, secondo quanto previsto nell'accordo europeo dell'8 ottobre 2004 (recepito in Italia mediante l'accordo interconfederale del 9 giugno 2008, peraltro limitatosi a tradurre il testo inglese). Il nuovo comma 1-bis dell'art. 28 del d.lgs. n. 81/2008 dispone infatti che la valutazione dello stress lavoro-correlato è effettuata nel rispetto delle indicazioni elaborate dalla Commissione consultiva permanente (art. 6, comma 8, lett. m-quater) e che il relativo obbligo decorre dalla elaborazione delle predette indicazioni e comunque, anche in difetto della stessa, a far data dal 1° agosto 2010. Vale la pena ricordare che le parti firmatarie del predetto accordo, pur riconoscendo che le molestie e la violenza sul posto di lavoro sono potenziali fattori di stress lavoro-correlato, hanno stabilito di escludere dall'oggetto dell'accordo la violenza, le molestie e lo stress post-traumatico, e quindi i vari fenomeni di mobbing (spesso presenti nelle pubbliche amministrazioni). Ciò tuttavia non significa che gli eventuali rischi da mobbing non debbano essere valutati, dal momento che l'obbligo di cui all'art. 28, comma 1, riguarda comunque tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavora tori e che quelli ivi espressamente menzionati sono indicati "in particolare", non esaurendo quindi il panorama dei rischi valutabili. Fra questi rischi particolari va salutata con favore la ricomprensione di quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro. L'innovazione recepisce suggerimenti da tempo emersi in dottrina (Natullo 2004, 151; Lai 2005, 99; Smuraglia 2007, 343; Angelini 2007a, 103; Tiraboschi 2008b, 65; Pascucci 2008a, 36), ponendo finalmente in luce gli insidiosi rischi da "flessibilità" che, al di là della pericolosità o meno della prestazione dedotta in contratto, emergono nei rapporti di lavoro temporanei o discontinui, nei quali il lavoratore sconta soprattutto la scarsa

Page 34: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

contestualizzazione nel sistema aziendale. Nel caso delle pubbliche amministrazioni, ove sussista una distinzione tra il "dirigente-datore di lavoro che gestisce i rapporti di lavoro" ed il "dirigente-datore di lavoro per la sicurezza", la valutazione dei rischi "da flessibilità", pur dovendo essere effettuata da quest'ultimo datore di lavoro, presuppone il coinvolgimento anche dell'altro, al quale spetta la scelta di avvalersi di una delle tipologie contrattuali flessibili di cui all'art. 36 del d.lgs. n. 165/2001. Non sembrano particolarmente condivisibili le prime obiezioni avanzate sulla innovazione del d.lgs. n. 106/2009 in merito alla certezza della data del documento di valutazione dei rischi (Dvr). Il comma dell'art. 28 prevede ora che tale documento - che può essere tenuto, nel rispetto dell'art. 53 del d.lgs. n. 81/2008, su supporto informatico - sia munito, anche tramite le procedure applicabili ai supporti informatici di cui all'articolo 53, di data certa o attestata dalla sottoscrizione del documento medesimo da parte del datore di lavoro nonché, ai soli fini della prova della data, dalla sottoscrizione del Rspp, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls) o del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale (Rlst) e del medico competente, ove nominato. Tale scelta, che probabilmente non interesserà granché le pubbliche amministrazioni a cui non dovrebbero mancare gli strumenti per dare certezza alla data, sembra comunque condivisibile ed in linea con la filosofia "partecipata" del sistema prevenzionistico aziendale d'ispirazione comunitaria: questa dovrebbe esserne la chiave di lettura e non quella, un po' maliziosa, che vi intravede la possibilità di combine a causa del rapporto di dipendenza dal datore di lavoro dei soggetti evocati dalla norma: un rapporto che potrebbe anche non esistere nel caso del Rspp e del medico competente (ove esterni), e che sicuramente non sussiste nel caso del Rlst. Colmando un'evidente lacuna che il d.lgs. n. 81/2008 presentava rispetto al d.lgs. n. 626/1994, il nuovo comma 3-bis dell'art. 28 pre vede che, in caso di costituzione di nuova impresa, il datore di lavoro sia tenuto ad effettuare immediatamente la valutazione dei rischi elaborando il Dvr entro novanta giorni dalla data di inizio della propria attività. È peraltro evidente come il termine "impresa" debba qui intendersi (come anche in altre parti del decreto) in senso atecnico, non potendo certo sottrarsi alla citata previsione una pubblica amministrazione di nuova istituzione (si pensi alle nuove province). Non particolarmente commendevole appare l'altra innovazione (art. 28, comma 2, lett. a, secondo periodo) secondo cui il Dvr viene redatto in base a criteri scelti dal datore di lavoro, il quale vi provvede con criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, in modo da garantirne la completezza e l'idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione. A tale proposito non deve sottacersi il rischio che così, a fronte dell'esigenza di criteri il più possibile oggettivi e fondati su dati scientifici, si favorisca invece la proliferazione di una miriade di modelli redazionali. Un opportuno ruolo di indirizzo potrebbe essere giocato dalle istanze di rappresentanza degli enti pubblici, le quali tuttavia, diversamente dalle associazioni datoriali del settore privato, non sono rappresentate in seno alla Commissione consultiva permanente (v. infra § 9). Ci si può chiedere se le disposizioni "agevolative" contenute nell'art. 29 del d.lgs. n. 81/2008, senz'altro pensate essenzialmente per le piccole e medie imprese private, riguardino anche le pubbliche amministrazioni: senonché anche a quest'ultime sembra riferirsi il legislatore là dove parla genericamente di "datori di lavoro". Pur non auspicando che se ne avvalgano, anche per gli

Page 35: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

enti che occupino fino a 10 lavoratori vale l'art. 29, comma 5, relativo alla temporanea autocertificazione dell'effettuazione della valutazione dei rischi (46), mentre anche a quelli che occupano fino a 50 lavoratori dovrebbero riferirsi le disposizioni di cui all'art. 29, commi 6 e 6-bis, che consentono di effettuare la valutazione dei rischi sulla base di procedure standardizzate adottate nel rispetto dell'art. 28 (47). Per approdare a diverse conclusioni occorrerebbe far leva indirettamente sul fatto che lo stesso art. 29 (ai commi 5 e 7) esclude le predette "agevolazioni" nel caso di attività particolarmente pericolose svolte da imprese private: ma si tratta di un argomento tanto contorto quanto fragile e che non sembra in grado di superare il chiaro riferimento testuale ai "datori di lavoro" (privati e pubblici), senza trascurare poi che, tra le attività pericolose, rientrano quelle svolte da alcune pubbliche amministrazioni come le strutture di ricovero e di cura con oltre 50 lavoratori (art. 31, comma 6, lett. g) (48). 8.6. Il servizio di prevenzione e protezione. Presumibilmente condizionato dall'impatto delle questioni della sicurezza nelle imprese private, il legislatore del 2008 non ha dedicato la debita attenzione ad alcuni profili organizzativi che dovrebbero interessare anche le pubbliche amministrazioni. Per quanto concerne il servizio di prevenzione e protezione dai rischi, ciò si percepisce nel caso dell'art. 31, comma 8, là dove si consente l'istituzione di un unico servizio di prevenzione e protezione nei casi di gruppi di imprese, trascurandosi ad esempio le analoghe esigenze dei consorzi di comuni. Anche in tal caso, un'interpretazione elastica ed evolutiva sembrerebbe meglio rispondere alle esigenze della moderna organizzazione amministrativa. Nella Sezione III del Capo III del Titolo I del d.lgs. n. 81/2008 si rinvengono alcune disposizioni dedicate a pubbliche amministrazioni. Una di queste è l'art. 31, il quale, al comma 6, lett. g, impone nelle strutture di ricovero e cura anche pubbliche con oltre 50 lavoratori l'istituzione del servizio di prevenzione e protezione all'interno dell'azienda, ovvero dell'unità produttiva, mentre al successivo comma 7 prevede che in dette strutture il Rspp sia interno (49). Sempre nelle stesse strutture, ai sensi dell'art. 34, comma 1, il datore di lavoro non può svolgere direttamente i compiti propri del servizio di prevenzione e protezione dai rischi, di primo soccorso, nonché di prevenzione incendi e di evacuazione. Altre previsioni su pubbliche amministrazioni si rinvengono nell'art. 32, il quale, al comma 8, dispone che negli istituti di istruzione, di formazione professionale e universitari e nelle istituzioni dell'alta formazione artistica e coreutica, il datore di lavoro che non opti per lo svolgimento diretto dei compiti propri del servizio di prevenzione e protezione designi il Rspp individuandolo tra: a) il personale interno all'unità scolastica in possesso dei requisiti di cui all'art. 32 che si dichiari a tal fine disponibile; b) il personale interno ad una unità scolastica in possesso dei requisiti di cui all'art. 32 che si dichiari disponibile ad operare in una pluralità di istituti. Secondo il comma 9, in assenza del personale appena menzionato, gruppi di istituti possono avvalersi in maniera comune dell'opera di un unico esperto esterno, tramite stipula di apposita convenzione, in via prioritaria con gli enti locali proprietari degli edifici scolastici e, in via subordinata, con enti o istituti specializzati in materia di salute e sicurezza sul lavoro o con altro esperto esterno libero professionista. La possibilità prevista dal comma 9 suscita ulteriore rammarico per la dimenticanza del legislatore, nell'art. 31, comma 8, dei gruppi di comuni, ma

Page 36: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

costituisce tuttavia un'indicazione che dovrebbe essere valorizzata anche al di là dell'art. 32, comma 9, per non penalizzare le piccole realtà amministrative. Infine, il comma 10 stabilisce che, nelle ipotesi di cui al comma 8, il datore di lavoro che si avvalga di un esperto esterno per ricoprire l'incarico di Rspp deve comunque organizzare un servizio di prevenzione e protezione con un adeguato numero di addetti. Al di là di segnali sporadici, manca una chiara indicazione del legislatore che segnali la sua preferenza per un servizio di prevenzione e protezione interno alle amministrazioni pubbliche (Zoppoli 1997, 93): privato e pubblico sono trattati più o meno alla stessa stregua, conservando attualità le considerazioni svolte in passato sul tema (Zoppoli 1997, 91; Tampieri 1996, 149). D'altro canto, come è stato rilevato, nelle pubbliche amministrazioni non sempre sono agevolmente individuabili le professionalità necessarie per lo svolgimento dei compiti di cui si sta parlando, risultando certo legittima, dove possibile, la scelta dell'esternalizzazione, ferme restando le osserva zioni che in tal senso possono svolgersi sul piano della spesa (Nibbio, Venturi 2008, 675). 8.7. La sorveglianza sanitaria. Qualche breve considerazione va operata anche con riferimento alla sorveglianza sanitaria, rilevando preliminarmente come l'art. 2, lett. h, del d.lgs. n. 81/2008 abbia fornito una nuova definizione della figura del medico competente nella quale, al di là dei requisiti che egli deve possedere (descritti nell'art. 38), si fa leva opportunamente sulla sua funzione collaborativa con il datore di lavoro specie ai fini della valutazione dei rischi. Per quanto riguarda i profili che interessano le pubbliche amministrazioni, va innanzitutto ricordato che, in merito ai requisiti del medico, il d.lgs. n. 106/2009 ha introdotto al comma 1 dell'art. 38 una nuova lett. d-bis che, con esclusivo riferimento al ruolo dei sanitari delle Forze armate, compresa l'Arma dei carabinieri, della Polizia di Stato e della Guardia di finanza, richiede lo svolgimento di attività di medico nel settore del lavoro per almeno quattro anni. Secondo l'art. 39, comma 3, il dipendente di una struttura pubblica, assegnato agli uffici che svolgono attività di vigilanza, non può prestare, ad alcun titolo e in alcuna parte del territorio nazionale, attività di medico competente. Tale previsione fa il paio con quella di cui all'art. 13, comma 5, in base alla quale il personale delle pubbliche amministrazioni, assegnato agli uffici che svolgono attività di vigilanza, non può prestare, ad alcun titolo e in alcuna parte del territorio nazionale, attività di consulenza. L'art. 39, comma 6, stabilisce che, nei casi di aziende con più unità produttive, nei casi di gruppi d'imprese nonché qualora la valutazione dei rischi ne evidenzi la necessità, il datore di lavoro possa nominare più medici competenti individuando tra essi un medico con funzioni di coordinamento: anche in questo caso, con riferimento ai gruppi di imprese, valgono le considerazioni già svolte in precedenza a proposito dei consorzi di comuni (retro § 8.6). Una significativa novità apportata dal d.lgs. n. 106/2009 (peraltro già "annunciata" nella precedente decretazione d'urgenza) riguarda l'ammissibilità delle visite mediche preventive in fase preassuntiva non solo da parte dei dipartimenti di prevenzione delle Asl, ma anche da parte del medico competente (art. 41, comma 2, lett. e-bis) (prevedendosi, anche in quest'ultimo caso, il ricorso all'organo di vigilanza contro il giudizio del medico: art. 41, comma 9). Si evidenziano così seri dubbi circa la compatibilità di questa novità con l'art. 5 Stat. lav. (il quale consente, per evidenti ragioni di imparzialità, le

Page 37: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

visite preassun tive solo ad opera di medici "pubblici", sebbene la sua formulazione - relativamente alla parola "lavoratore" - abbia dato adito ad interpretazioni non univoche): dubbi che potrebbero forse essere superati (evitandosi il rischio di un'abrogazione implicita della norma statutaria) ove si interpretasse l'innovazione limitandola solo - come peraltro dovrebbe essere, trattandosi di una visita medica relativa alla sorveglianza sanitaria - alla valutazione dell'idoneità del lavoratore a svolgere una mansione che lo esponga a rischi particolari per i quali sia necessaria la sorveglianza sanitaria. Per quanto concerne le pubbliche amministrazioni, l'innovazione rischia di creare qualche ulteriore problema data la possibile coincidenza della fase preassuntiva con quella del concorso pubblico. Al di là delle considerazioni appena svolte sulla necessità di una interpretazione restrittiva della nuova previsione, pare evidente che la visita preassuntiva di cui all'art. 41, comma 2, lett. e-bis, del d.lgs. n. 81/2008 deve comunque rispettare il principio di imparzialità che governa la fase precedente all'assunzione (art. 97, comma 3, Cost.), non potendosi consentire una visita da parte di un medico diverso da un medico pubblico "indipendente", appartenente al dipartimento di prevenzione della Asl. Non si deve peraltro trascurare che lo stesso art. 41, comma 2, lett. e-bis, al secondo periodo afferma in modo alquanto sibillino che "la scelta dei dipartimenti di prevenzione non è incompatibile con le disposizioni dell'art. 39, comma 3, del d.lgs. n. 81/2008" (il quale, come si è visto, contempla l'incompatibilità tra la funzione di medico competente e quella di medico dipendente di una struttura pubblica assegnato agli uffici che svolgono attività di vigilanza). Per quanto oscura, questa disposizione sembra poter significare soltanto che il medico dipendente della Asl, assegnato ad un ufficio che svolge vigilanza in materia di sicurezza sul lavoro (che non può quindi essere medico competente) può effettuare la visita preassuntiva solo in quanto medico pubblico. Quanto agli esiti delle visite inserite nella sorveglianza sanitaria (D'Amore 2009, 16 ss.) l'art. 42, nel suo testo originario, prevedeva che, ove il lavoratore risultasse inidoneo alla mansione specifica, fosse adibito, ove possibile, ad altra mansione compatibile con il suo stato di salute e che, in caso di adibizione a mansioni inferiori, conservasse la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonché la qualifica originaria; qualora, invece, fosse adibito a mansioni equivalenti o superiori, la norma prevedeva l'applicazione dell'art. 2103 c.c., fermo restando quanto previsto dall'art. 52 del d.lgs. n. 165/2001 per i pubblici dipendenti. Il d.lgs. n. 106/2009 ha radicalmente modificato tale norma eliminando la possibilità di adibire il lavoratore alle mansioni superiori: nel caso di adibizione a mansioni inferiori, ha previsto soltanto il diritto a conservare la retribuzione corrispondente alle mansioni di provenienza, cancellando il diritto del lavoratore a conservare la qualifica originaria. 8.8. I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e i comitati paritetici. Già dalla rubrica della Sezione nella quale sono contenute (50) , le disposizioni del d.lgs. n. 81/2008 sulla "tutela collettiva della sicurezza" confermano quell'approccio partecipativo già presente nel d.lgs. n. 626/1994 (Zoppoli 1997, 102), ma mai pienamente decollato (Campanella 2008, 397; Ricci 2008, 435). Per quanto attiene alle pubbliche amministrazioni, sotto l'egida del d.lgs. n. 626/1994, era stato stipulato un apposito contratto collettivo quadro (10 luglio 1996) sugli aspetti applicativi del medesimo decreto riguardanti il Rls. La nuova

Page 38: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

normativa intervenuta nel 2008 - che ha subito modeste modifiche da parte del d.lgs. n. 106/2009 per quanto attiene al Rls e più marcate innovazioni con riferimento agli organismi paritetici - postula una revisione di quel contratto quadro perché, ancorché in una prospettiva di continuità con le norme previgenti, introduce non poche novità (Campanella 2008, 397, per il Rls; Ricci 2008, 434, per i comitati paritetici). Non potendosi certo anticipare qui scelte che dovranno essere effettuate dalle parti negoziali, dati i non pochi rinvii alla contrattazione collettiva contenuti nel d.lgs. n. 81/2008, ci si limiterà a segnalare le principali novità, che imporranno una revisione anche degli accordi fin qui raggiunti in materia. La prima di queste, già segnalata, riguarda il concetto di "lavoratore" ai fini del computo per l'applicazione delle norme del d.lgs. n. 81/2008 sul Rls, che continuano a distinguere la dimensione "aziendale" tra "fino a 15" e "più di 15", dovendosi prendere in considerazione non più solo i dipendenti, ma tutti i soggetti computabili ai sensi dell'art. 4 del d.lgs. n. 81/2008. La considerazione dei "lavoratori" (e non più dei soli dipendenti) come base di calcolo per l'applicazione delle disposizioni sull'individuazione dei Rls non potrà non riverberare effetti sul piano sia dell'elettorato attivo sia di quello passivo (per la situazione previgente v. Tampieri 1996, 153): i "nuovi" Rls dovranno essere espressione dei "nuovi" lavoratori a cui si rivolge il d.lgs. n. 81/2008 e potrebbero teoricamente essere, secondo le previsioni della contrattazione collettiva, anche lavoratori non subordinati o non standard. La seconda riguarda l'individuazione del Rls nelle amministrazioni o unità lavorative (per usare la terminologia del contratto quadro del 1996) che occupano fino a 15 lavoratori, per le quali l'art. 47 del d.lgs. n. 81/2008 stabilisce ora che il Rls sia "di norma" (questa espressione rappresenta una novità) eletto direttamente dai lavoratori al loro interno, oppure sia individuato per più "aziende" (51) nell'ambito territoriale o del comparto produttivo secondo quanto previsto dall'art. 48 (52). Per le realtà con più di 15 lavoratori, si conferma la previsione antecedente secondo cui il Rls è eletto o designato dai lavoratori nell'ambito delle rappresentanze sindacali in azienda, laddove, mancando queste ultime, il Rls è eletto dai lavoratori della azienda al loro interno. La novità consiste nel fatto che, ove non si proceda all'elezione (ma anche alla designazione), fatte salve diverse intese tra le associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, le funzioni di Rls sono esercitate dai Rlst o dai rappresentanti di sito. Si tratta, dunque, di una ulteriore forte indicazione sulla "necessarietà" della rappresentanza (Natullo 1996, 711), che risulta confermata anche dalla previsione (questa non nuova) sul numero minimo di Rls a seconda dell'organico aziendale, peraltro derogabile in melius in sede di contratta zione collettiva (apparentemente di qualunque livello essa sia: art. 47, comma 5) (53). L'art. 47 riconferma il cosiddetto election day, con qualche ulteriore precisazione rispetto alla disciplina immediatamente previgente (ex l. n. 123/2007). Si tratta, come è noto, della previsione secondo cui l'elezione dei Rls aziendali, territoriali o di comparto, salvo diverse determinazioni in sede di contrattazione collettiva, avviene di norma in corrispondenza della giornata nazionale per la salute e sicurezza sul lavoro, individuata, nell'ambito della settimana europea per la salute e sicurezza sul lavoro, con un decreto ministeriale sentite le confederazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Page 39: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

L'art. 48 si occupa diffusamente del Rlst, il quale, come già previsto dopo la modifica apportata al d.lgs. n. 626/1994 dall'art. 3 della l. n. 123/2007, esercita le competenze del Rls nei termini e con le modalità previste dall'art. 50 con riferimento a tutte le aziende o unità produttive del territorio o del comparto produttivo di competenza nelle quali non sia stato eletto o designato il Rls. Al di là delle varie questioni interpretative poste da tale previsione (su cui v. Campanella 2008, 403), la figura del Rlst è finalizzata essenzialmente a fronteggiare il deficit di rappresentanza nelle piccole imprese private, pur non potendosi escludere la sua utilità anche nel settore pubblico, sopperendo con la sua funzione erga omnes all'eventuale, anche se non molto probabile, mancanza di Rls "interno". Nel rispetto della delega, l'art. 49 del d.lgs. n. 81/2008 ha introdotto la nuova figura del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di sito produttivo (Rlssp), che, individuato in specifici contesti produttivi caratterizzati dalla compresenza di più aziende o cantieri (54), riguarda per lo più imprese private. La previsione può tuttavia interessare anche le pubbliche amministrazioni ove esse si atteggino come committenti di opere nei contesti di cui all'art. 49. L'art. 50 del d.lgs. n. 81/2008 ha aggiunto nuove attribuzioni del Rls a quelle già definite dall'art. 19 del d.lgs. n. 626/1994, come modificato dalla l. n. 123/2007 (55), mentre il d.lgs. n. 106/2009 ha ora stabilito che la tempestiva consegna da parte datoriale al Rls di copia del Dvr e del Duvri possa avvenire anche su supporto informatico, puntualizzandosi peraltro che tali documenti sono consultati esclusivamente in azienda (art. 18, comma 1, lett. o): ciò conferma per tabulas quanto era comunque evidente anche in precedenza circa il divieto di divulgare in alcun modo all'esterno il contenuto del documento. Passando ad esaminare brevemente le disposizioni del d.lgs. n. 81/2008 sugli organismi paritetici, occorre innanzitutto richiamare la loro definizione apprestata dall'art. 2, lett. ee. Si tratta di organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazio nale, quali sedi privilegiate per: la programmazione di attività formative e l'elaborazione e la raccolta di buone prassi a fini prevenzionistici; lo sviluppo di azioni inerenti alla salute e alla sicurezza sul lavoro; l'assistenza alle imprese finalizzata all'attuazione degli adempimenti in materia; ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento. Dati i soggetti costituenti e quelli che vengono evocati come beneficiari della loro azione, potrebbe aversi l'impressione che gli organismi paritetici siano pertinenti al solo settore privato. Si tratta tuttavia di un'impressione fallace perché, come già il d.lgs. n. 626/1994 (art. 20), anche il d.lgs. n. 81/2008 contiene un esplicito riferimento che conferma il ruolo di detti organismi nelle pubbliche amministrazioni (Tampieri 1995, 133): infatti l'art. 51, comma 5, dispone che gli organismi paritetici, agli effetti dell'art. 9 del d.lgs. n. 165/2001, siano parificati ai soggetti titolari degli istituti della partecipazione di cui a tale norma (56). D'altro canto, lo stesso contratto collettivo quadro del 1996, nella sua parte seconda, si era già occupato di tali organismi, affidando innanzitutto alla contrattazione di comparto la determinazione delle modalità operative per la costituzione degli stessi (allora disciplinati dall'art. 20 del d.lgs. n. 626/1994) su base territoriale, secondo la struttura del comparto, assegnando le funzioni ivi previste. Lo stesso contratto quadro ha stabilito che la funzione (riconosciuta a tali organismi dal predetto art. 20) di prima istanza di

Page 40: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

riferimento (conciliativo) in merito a controversie sorte sull'applicazione dei diritti di rappresentanza, informazione e formazione, previsti dalle norme vigenti, non escluda il ricorso alla via giurisdizionale: con tale previsione, il contratto quadro del 1996 ha largamente anticipato l'art. 51, comma 2, del d.lgs. n. 81/2008, il quale, ribadendo esattamente il contenuto dell'art. 20 del d.lgs. n. 626/1994, ha tuttavia fatte salve le previsioni della contrattazione collettiva. Per realizzare le funzioni relative alla partecipazione, il contratto quadro ha previsto che gli organismi paritetici si raccordino, in base al territorio di competenza, con i soggetti istituzionali di livello regionale o provinciale, operanti in materia di salute e sicurezza. Da tutto ciò discende la necessità di leggere la definizione contenuta nell'art. 2, lett. ee, come riferita anche al settore pubblico, interpretando in senso lato sia l'espressione "associazioni dei datori... di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale" sia la parola "imprese", sì da riferirle, rispettivamente, anche all'Aran ed alle pubbliche amministrazioni. All'indomani dell'emanazione del d.lgs. n. 626/1994, si era discusso circa la rilevanza dei diritti di partecipazione riconosciuti agli organismi paritetici, rilevandosene in particolare l'autonomia rispetto a quelli attribuiti ai Rls (Tampieri 1996, 159) e la differente destinazione funzionale, dati i compiti formativi e conciliativi di tali organismi (Santucci 1996, 46-47), così escludendosi che le informazioni nei loro confronti avessero la stessa "valenza giuridica" e fossero assistite "dallo stesso apparato sanzionatorio previsto per gli specifici diritti sindacali" (art. 28 Stat. lav.) (Zoppoli 1997, 104). Più in generale è stato altresì osservato come i primi contratti collettivi del settore pubblico non abbiano enfatizzato i riferimenti all'ambiente di lavoro e soltanto in rari casi abbiano inserito la sicurezza dei lavoratori fra le materie oggetto di informazione (Zoppoli 1997, 103). Peraltro, anche nei contratti più recenti, l'invito del contratto collettivo quadro del 1996 a costituire gli organismi paritetici è stato accolto solo in parte (57), dovendosi auspicare che la necessità di dare attuazione al d.lgs. n. 81/2008 favorisca ora tale costituzione, anche per l'importanza del ruolo di tali organismi in merito alla formazione. Fra l'altro, il d.lgs. n. 106/2009 ha aggiunto all'art. 37 del d.lgs. n. 81/2008 il comma 7-bis in base al quale la formazione dei preposti (novità, questa, dell'originario d.lgs. n. 81/2008 rispetto al d.lgs. n. 626/1994) e dei dirigenti (novità, questa, del d.lgs. n. 106/2009 rispetto all'originario d.lgs. n. 81/2008) può essere effettuata anche presso gli organismi paritetici o le scuole edili, ove esistenti, o presso le associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori (58). Della principale novità introdotta dal d.lgs. n. 106/2009 nella disciplina degli organismi paritetici si tratterà nel prossimo paragrafo. 8.9. I modelli di organizzazione di gestione. Come si è visto qua e là, nei casi in cui il d.lgs. n. 81/2008 non si è curato di dare il giusto risalto al fatto che, al pari dei datori di lavoro e dei lavoratori privati, anche quelli pubblici sono destinatari a tutti gli effetti della sua disciplina, occorrono interpretazioni adeguatrici per rimarcare tale principio. Talora, però, la disciplina del decreto del 2008 non lascia scampo, riferendosi inequivocabilmente al solo settore privato. È questa l'ipotesi di cui all'art. 30, che si occupa dei modelli di organizzazione e di gestione della sicurezza sul lavoro e dei requisiti che essi debbono possedere per risultare idonei ad avere efficacia esimente della responsabilità delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di

Page 41: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

personalità giuridica di cui al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. In caso di adozione di tali modelli di organizzazione e di gestione, a fronte di un infortunio che presenti gli estremi dei reati di omicidio colposo o di lesioni colpose, ferma restando la responsabilità personale dei soggetti che vi hanno dato causa, l'ente (privato) potrà non subire le pesanti sanzioni pecuniarie ed interdittive previste dal d.lgs. n. 231/2001 (Marra 2008, 483): sanzioni non applicabili alle pubbliche amministrazioni in base all'art. 1, comma 3, di quest'ultimo decreto, il quale menziona espressamente lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici nonché gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale. Mediante l'art. 30 e lo "sconto" di cui si è parlato, si incentivano le imprese collettive private ad adottare i modelli di organizzazione e di gestione della sicurezza che possono fornire un sostegno nella realizzazione di un moderno sistema di prevenzione (quantomeno secondaria: Maggi 1997, 330). È tuttavia evidente che se, tramite il suo collegamento con il d.lgs. n. 231/2001, l'art. 30 si riferisce essenzialmente alle imprese private, ciò non esclude che ad esso possano guardare anche le pubbliche amministrazioni per migliorare il proprio sistema prevenzionistico: pure per queste sarebbe peraltro auspicabile qualche meccanismo incentivante, anche considerando i costi di quei modelli organizzativi e di gestione. Poiché l'incentivo non può consistere nella estensione del campo di applicazione del d.lgs. n. 231/2001 alle pubbliche amministrazioni, si dovrebbe verificare se, mediante un'interpretazione ancora una volta elastica, anche gli enti pubblici che abbiano fino a 50 lavoratori possano beneficiare, come le "imprese" di pari dimensione, della previsione dell'art. 30, comma 6, in base al quale l'adozione del modello di organizzazione e di gestione in tali contesti rientra tra le attività finanziabili ai sensi dell'art. 11. Tale adozione potrebbe essere comunque agevolata dal nuovo comma 5-bis dell'art. 30 introdotto dal d.lgs. n. 106/2009, secondo il quale la Commissione consultiva permanente di cui all'art. 6 elabora procedure semplificate per la adozione e la efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza nelle piccole e medie imprese, procedure recepite con decreto del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali (fermo restando che anche per questa norma occorrerebbe un'ampia interpretazione del termine "imprese"). Diversamente, o in aggiunta, si potrebbe pensare ad altre forme di agevolazione per le amministrazioni virtuose sul piano della sicurezza, come, ad esempio, eventuali deroghe ai non pochi vincoli imposti per legge (sospensione dei blocchi delle assunzioni; deroga al patto di stabilità; deroga ai limiti posti alla contrattazione integrativa). Occorrerebbero finanziamenti ad hoc, naturalmente, ma non si vede perché mai si possano trovare per il settore privato e non per quello pubblico, visto che la salute fisica e psichica dei lavoratori non fa differenza a seconda del settore. Non foss'altro, a ciò non si potrebbe certo obiettare che le pubbliche amministrazioni, in quanto pubbliche, sono virtuose "per definizione" o che gli infortuni sul lavoro non le riguardano se non in minima parte (59). Un ulteriore aspetto da esaminare concerne un'innovazione introdotta dal d.lgs. n. 106/2009 a proposito degli organismi paritetici, la quale si collega all'art. 30, ma si riflette anche sull'art. 16 del d.lgs. n. 81/2008. Il nuovo art. 51, comma 3-bis, dello stesso d.lgs. n. 81/2008, dopo aver affermato che gli organismi paritetici svolgono o promuovono attività di formazione, anche attraverso l'impiego dei fondi interprofessionali di cui all'art. 118 della l. 23

Page 42: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

dicembre 2000, n. 388 e dei fondi di cui all'art. 12 del d.lgs. n. 276/2003, prevede che tali organismi, su richiesta delle imprese, rilascino un'attestazione dello svolgimento delle attività e dei servizi di supporto al sistema delle imprese, tra cui l'asseverazione della adozione e della efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza di cui all'art. 30, della quale gli organi di vigilanza possono tener conto ai fini della programmazione delle proprie attività; in base al successivo comma 3-ter, per le predette finalità gli organismi paritetici istituiscono specifiche commissioni paritetiche, tecnicamente competenti. Con riferimento all'art. 30 del d.lgs. n. 81/2008, la predetta asseverazione non sembra assumere altra rilevanza al di là del suo possibile effetto sulla programmazione delle attività di vigilanza: infatti, a valutare l'adozione e l'efficace attuazione del modello di gestione ai fini dell'esonero della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche di cui al d.lgs. n. 231/2001 (art. 30, comma 1, del d.lgs. n. 81/2008) sarà pur sempre il giudice. Nonostante la precipua correlazione dell'art. 30 con le imprese collettive private, la nuova previsione potrebbe interessare anche le pubbliche amministrazioni (sempre a condizione di interpretare ancora una volta in senso lato il termine "imprese"), le quali - ove adottino volontariamente il modello di cui all'art. 30 - potrebbero richiedere agli organismi paritetici di asseverarne l'adozione e l'efficace adozione, potendo così beneficiare di una particolare attenzione nella programmazione delle attività di vigilanza. Come si diceva, la nuova norma può riflettersi anche sull'art. 16 del d.lgs. n. 81/2008 che, lo si è visto, disciplina la delega di funzioni e che, a sua volta, ha subito una modifica da parte del d.lgs. n. 106/2009. Se ne parla qui avendo in precedenza sostenuto la tesi dell'applicabilità dell'art. 16 anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni (retro § 7.7). L'art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 81/2008 prevede che la delega di funzioni non escluda l'obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro delegante in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite. Il testo originario del secondo periodo di tale disposizione prevedeva che la vigilanza del delegante potesse esplicarsi anche attraverso i sistemi di verifica e controllo del modello organizzativo e di gestione di cui all'art. 30, comma 4, restando quindi fermo, evidentemente, il potere di controllo degli organi competenti e del giudice sull'effettività di detta vigilanza. Tale periodo è stato ora sostituito dal d.lgs. n. 106/2009, stabilendosi che l'obbligo di vigilanza del delegante "si intende assolto" in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all'art. 30, comma 4. Questa innovazione presenta innanzitutto qualche confusione terminologica: il "sistema di controllo" dell'art. 30, comma 4, diviene nel nuovo art. 16, comma 3, secondo periodo, il "modello di verifica e controllo", laddove il "modello" è, ex art. 30, piuttosto il complessivo "modello di organizzazione e di gestione" che ingloba il proprio "sistema di controllo". Per altro verso, con l'espressione "si intende assolto", la nuova previsione sembrerebbe introdurre, peraltro discutibilmente, una sorta di presunzione, ammesso poi che di questo si tratti, dal momento che, ex art. 2727 c.c., le presunzioni sono le conseguenze che la legge (o il giudice) trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignoto: in questo caso, il fatto noto dovrebbe essere l'adozione ed efficace attuazione del sistema [modello] di verifica e controllo, mentre quello ignoto sarebbe l'assolvimento dell'obbligo di vigilanza del delegante. Ammesso che si tratti di una presunzione - la quale, per il proprio

Page 43: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

tenore letterale, alla luce dei criteri di cui all'art. 2728 c.c. parrebbe comunque configurarsi come relativa, conseguendone l'ammissibilità della prova contraria -, non può tuttavia sottacersi la criticità di una simile innovazione che incide sull'effettività di un obbligo (quello di vigilanza del delegante) posto a garanzia dell'effettività della delega di funzioni: poiché quest'ultima comporta il trasferimento soggettivo di responsabilità penali, non appare convincente che la sua certezza sia affidata a meccanismi tutt'altro che certi, e ciò anche nell'interesse del responsabile principale (il delegante) il quale non sarebbe liberato da responsabilità ove, vincendosi la presunzione, si dimostrasse la sua mancata vigilanza sul delegato. Per tentare di fugare almeno in parte le perplessità derivanti dalla nuova formulazione dell'art. 16, comma 3, secondo periodo, del d.lgs. n. 81/2008, il "sistema di controllo" del "modello organizzativo e di gestione" imposto dall'art. 30, comma 4, dovrebbe in ogni caso essere effettivamente "idoneo" anche per quanto attiene alla vigilanza sull'operato dei delegati, dovendosi quindi intendere anche in questo specifico senso l'espressione "adozione ed efficace attuazione" del sistema [modello] di verifica e controllo. Non si deve peraltro trascurare la possibilità che la nuova previsione sia letta anche tenendo conto del menzionato potere degli organismi paritetici di asseverare, ex art. 51, commi 3-bis e 3-ter, del d.lgs. n. 81/2008, l'adozione e l'efficace attuazione dei modelli di gestione di cui all'art. 30. Sebbene tale previsione si riferisca all'adozione ed efficace attuazione dei modelli di gestione, mentre l'art. 16, comma 3, secondo periodo, si occupa dell'adozione ed efficace attuazione del sistema [modello] di verifica e controllo (di quei modelli), è evidente la possibilità di tentare un collegamento tra l'una e l'altra previsione, tutte facenti riferimento all'art. 30 del d.lgs. n. 81/2008. Per instaurare una connessione tra la predetta asseverazione (che riguarda il "tutto": adozione ed efficace attuazione del modello di gestione di cui all'art. 30) e l'art. 16, comma 3, secondo periodo, del d.lgs. 81/2008 (che si riferisce invece ad "una parte del tutto": adozione ed efficace attuazione del sistema [modello] di verifica e controllo di cui all'art. 30, comma 4), occorrerebbe che la stessa asseverazione avesse a proprio fondamento un'attenta analisi circa l'esistenza e l'efficacia di tale sistema con specifico riferimento alla vigilanza sull'operato dei delegati. Orbene, qualora ciò avvenga, non può escludersi che, invocando il combinato nuovo disposto dell'art. 16, comma 3, secondo periodo, e dell'art. 51, comma 3-bis, del d.lgs. n. 81/2008, si tenti di far scaturire dall'asseverazione medesima anche quegli effetti presuntivi che sembrerebbero emergere dallo stesso art. 16, comma 3, secondo periodo, sostenendo cioè che, una volta asseverata, l'adozione e l'efficace attuazione del modello di gestione e, nello specifico, del suo sistema di verifica e controllo, costituisca appunto il "fatto noto" di cui all'art. 2727 c.c. sul quale si fonderebbe la presunzione. Peraltro, quand'anche a ciò si arrivasse, resterebbe comunque la possibilità, come si è detto, della prova contraria. Al di là di questi possibili scenari, sullo sfondo della vicenda si stagliano comunque alcuni interrogativi di carattere generale. Gli organismi paritetici sono davvero in grado di svolgere compiti tecnici così delicati come quelli in esame che potrebbero riverberare effetti sulle responsabilità personali dei datori di lavoro e che, peraltro, potrebbero esporre gli stessi organismi a rischi ove malauguratamente la loro asseverazione risultasse infondata? Sebbene il nuovo art. 51, comma 3-ter, preveda non a caso che, proprio per svolgere quei delicati compiti, gli organismi paritetici istituiscano specifiche "commissioni

Page 44: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

paritetiche tecnicamente competenti", può davvero tale previsione porre al riparo dal rischio di discrepanze tra le valutazioni dei vari organismi paritetici, e tra esse e l'attuale sistema di certificazione dei sistemi di gestione basato su standard internazionali? Non sarebbe stato forse più opportuno attribuire alla Commissione consultiva permanente, al di là del compito di elaborare procedure semplificate per l'adozione e l'efficace attuazione dei modelli di gestione nelle piccole e medie imprese (art. 30, comma 5-bis, del d.lgs. n. 81/2008), la funzione di stabilire per tutte le imprese criteri univoci ispirati a quegli standard internazionali per valutare l'idoneità dei sistemi di controllo dei modelli di gestione, a cui si sarebbero dovuti attenere anche gli organismi paritetici nell'attività di cui si è parlato poc'anzi? 9. Conclusione. Dati gli scopi di questa ricognizione, le pubbliche amministrazioni sono state qui riguardate esclusivamente come datori di lavoro e non, invece, dal punto di vista di soggetti che, in certi casi, costituiscono parte integrante di quel complesso sistema istituzionale che - come risulta dal Capo II del Titolo I del d.lgs. n. 81/2008 - ha fra l'altro il compito di promuovere la prevenzione nei luoghi di lavoro e di controllare l'applicazione della disciplina di tutela (Pennesi, Caselli 2008, 687). Anche là dove non coinvolte in tale sistema istituzionale, le pubbliche amministrazioni sono comunque considerate dal legislatore come soggetti che debbono prioritariamente favorire lo sviluppo della cultura della sicurezza sul lavoro. Ne costituiscono prova alcune previsioni contenute nell'art. 11 del d.lgs. n. 81/2008 (attività promozionali), come quella di cui al comma 6 secondo il quale, nell'ambito dei rispettivi compiti istituzionali, le amministrazioni pubbliche promuovono attività specificamente destinate ai lavoratori immigrati o alle lavoratrici, finalizzate a migliorare i livelli di tutela dei medesimi negli ambienti di lavoro. Oppure quelle di cui ai commi 1, lett. c, e 4, relativamente alle attività delle istituzioni scolastiche, universitarie e formative finalizzate a favorire la conoscenza delle tematiche della salute e della sicurezza. Anche rispetto a questo tema, vale l'autorevole insegnamento in base al quale occorre guardarsi dalla "presunzione" secondo cui le pubbliche amministrazioni sarebbero comunque datori di lavoro "migliori" (Rusciano 1978) (non avendo quindi, ad esempio, bisogno di premi o incentivi). Se i rischi per i lavoratori, privati o pubblici, sono insiti nella stessa organizzazione del lavoro, la finalizzazione dell'organizzazione a scopi istituzionali (Rusciano 1978, 337), piuttosto che a scopi di profitto, potrebbe non contare granché perché almeno i "nuovi rischi" (da quelli psichici a quelli connessi all'uso delle moderne tecnologie) incidono in modi non dissimili nel settore privato ed in quello pubblico. In tal senso, quella "sicurezza" che nell'art. 41, comma 2, Cost. costituisce un limite all'iniziativa economica privata potrebbe essere letto latamente anche come limite alla stessa organizzazione amministrativa. Peraltro, anche senza pretendere di istituire un discutibile collegamento tra tale norma costituzionale e le pubbliche amministrazioni, il "limite" della salute e sicurezza dei loro lavoratori emerge sul piano costituzionale sol a combinare gli artt. 32, 35 e 97 Cost. Rispetto alle imprese private, le pubbliche amministrazioni possono vantare un sistema di regole complessivamente più stabile che potrebbe aiutarle a svolgere meglio i propri compiti anche in tema di prevenzione: basta pensare al sistema di relazioni sindacali o alla disciplina degli appalti pubblici, per non

Page 45: La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici ... · Web viewTitle La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme

parlare della disciplina dei rapporti di lavoro che, diversamente da quanto accade nel settore privato, non ammette eccezione alcuna (si pensi all'efficacia dei contratti collettivi). Forse anche ciò potrebbe essere un motivo delle leggerezze, lessicali e non, con cui il d.lgs. n. 81/2008, preoccupato essenzialmente di fronteggiare i rilevanti problemi della sicurezza nelle imprese private, talora sembra aver proprio dimenticato le pubbliche amministrazioni, mentre talaltra, invece di valutarne le specificità, le ha troppo sbrigativamente assimilate ai soggetti privati (Ieva 2009, 1184). Nel d.lgs. n. 81/2008 esistono aspetti che non sono stati presi adeguatamente in considerazione: dai sistemi incentivanti che consentano agli enti pubblici di migliorare i livelli di tutela, a quello della loro rappresentanza collettiva (specialmente per gli enti locali), espressamente evocata soltanto in tema di interpello ed invece anche strategica per la costruzione di una effettiva cultura della sicurezza. Perché, ad esempio, istanze associative come Anci o Upi non figurano tra i componenti della Commissione consultiva permanente a fianco delle tradizionali associazioni del settore privato? Fermo restando che la presenza in tale organismo di vari rappresentanti di enti pubblici non vale a compensare quella carenza (dato che i rappresentanti ministeriali e regionali siedono in quel consesso per altri scopi istituzionali), la mancanza della voce dei datori di lavoro pubblici (specie di quelli più piccoli, ma più diffusi sul territorio) evidenzia il rischio che nell'esercizio delle sue importanti funzioni, specialmente quelle di carattere promozionale, la Commissione non tenga nella dovuta considerazione le specifiche questioni del settore pubblico (60). Un parziale ausilio potrebbe forse derivare da un'adeguata valorizzazione in tal senso dell'art. 6, comma 4, che consente alla Commissione, oltre che di avvalersi della consulenza degli istituti pubblici con competenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro, di richiedere la partecipazione di esperti nei diversi settori di interesse. Dato che in materia di salute e sicurezza le norme comunque non mancano, va tuttavia auspicata una loro interpretazione basata "su principi giuridici dinamici, che coniughino garanzia e duttilità" (Zoppoli 2008, 14). Anche questo potrebbe aiutare le pubbliche amministrazioni a svolgere meglio i propri compiti datoriali di prevenzione e protezione. Certamente, come ammoniva Massimo D'Antona undici anni fa, le norme da sole non bastano per migliorare ed ammodernare l'organizzazione del lavoro pubblico e privato. Sarebbe tuttavia già un significativo passo avanti avere la chiara consapevolezza che la delicata scommessa della salute e della sicurezza dei lavoratori si gioca proprio sul terreno dell'organizzazione del lavoro (Montuschi 1986).