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Università degli Studi di Firenze Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” Corso di laurea in Scienze Politiche Tesi di laurea in Sociologia della Comunicazione LA TELEVISIONE DEGLI IMMIGRATI. ANALISI DI “ UN MONDO A COLORI” Relatore: Prof. Milly Buonanno Candidato: Silvia Montescagli Anno Accademico 2002-2003

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Università degli Studi di Firenze Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri”

Corso di laurea in Scienze Politiche Tesi di laurea in Sociologia della Comunicazione

LA TELEVISIONE DEGLI IMMIGRATI. ANALISI DI “ UN MONDO A COLORI”

Relatore: Prof. Milly Buonanno Candidato: Silvia Montescagli

Anno Accademico 2002-2003

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INDICE

INTRODUZIONE p. 4

CAPITOLO PRIMO STORIA DELL’IMMIGRAZIONE IN

ITALIA

1.1 Il ruolo dell’Italia nelle migrazioni del dopoguerra p. 7

1.2 Il Belpaese si scopre terra di immigrazione p. 13

1.3 I primi atti normativi p. 15

1.4 L’inserimento degli immigrati nella società italiana p. 19

1.5 Le attuali caratteristiche del fenomeno immigratorio p. 26

1.6 L’evoluzione del quadro legislativo p. 35

CAPITOLO SECONDO GLI IMMIGRATI E L’IMMIGRAZIONE

NEI MEDIA: LE PRINCIPALI

INDAGINI REALIZZATE

2.1 L’immagine degli immigrati nella fase di latenza: il

caso de “La Nazione”

p. 45

2.2 Dal giornalismo alla fiction, le tante “voci”

sull’immigrazione nella fase di emergenza

p. 48

2.3 I vizi ricorrenti dell’informazione stampata e

televisiva nei primi anni Novanta

p. 58

2.4 Un originale case study sulla stampa modenese p. 64

2.5 La rappresentazione ansiogena degli immigrati nella

stampa

p. 69

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2.6 Lo stato dell’arte p. 74

CAPITOLO TERZO LA TELEVISIONE DEGLI IMMIGRATI

3.1 La storia e il successo di “Nonsolonero”, primo

programma di approfondimento sull’immigrazione

p. 82

3.2 Nascita e sviluppo di “Un mondo a colori” p. 90

3.3 Dietro lo schermo di “Un mondo a colori” p. 95

CAPITOLO QUARTO ANALISI DI “UN MONDO A COLORI”

4.1 Composizione del campione p.101

4.2 Quindici puntate di “Un mondo a colori” sotto la

lente di ingrandimento

p.104

CONCLUSIONI p.121

BIBLIOGRAFIA p.126

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INTRODUZIONE

L’Italia è meta di significative immigrazioni da circa trenta anni

e, sebbene il numero di stranieri residenti in Italia sia inferiore a

quello registrato in altri paesi europei, alcuni cambiamenti nella

struttura sociale sono già apprezzabili. Nel 1997, ad esempio, è

aumentato il numero dei bambini iscritti alle scuole elementari

dopo anni di progressiva diminuzione: é un evento eccezionale

per un paese che registra un tasso di natalità molto basso, dovuto

essenzialmente ai numerosi bambini, figli di immigrati, che

hanno raggiunto l’età per la scuola dell’obbligo.

Il primo capitolo di questo lavoro ripercorre la storia

dell’immigrazione in Italia, sottolineando le modalità di

inserimento degli immigrati nella società e l’evoluzione della

normativa in materia di immigrazione.

Il secondo capitolo passa in rassegna le principali ricerche sulla

rappresentazione mediatica del fenomeno immigratorio. La

centralità dei mass-media nella fase di sviluppo di una società

multietnica si collega a tre funzioni che essi assolvono parlando

di immigrazione. “La prima è quella di rendere visibili gli eventi

(...) la seconda, più complessa, è quella di fornire un’immagine,

una rappresentazione cognitiva della realtà (...) la terza, ancora

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più rilevante, è quella di costruire per i lettori/ascoltatori un

profilo simbolico, un contesto interpretativo dotato di senso”1.

Il terzo capitolo focalizza l’attenzione sulla televisione degli

immigrati, cioè sui programmi televisivi di approfondimento dei

temi legati all’immigrazione. In particolare, dopo aver ricordato

l’esperienza di “Nonsolonero” (iniziata nel 1988 e terminata sei

anni dopo) viene esaminato lo sviluppo e le attuali caratteristiche

di “Un mondo a colori”, la trasmissione di Raidue nata nel 1999

e tuttora in programmazione. L’ultimo capitolo, infine,

approfondisce la conoscenza di “Un mondo a colori”

analizzandone quindici puntate.

Ho potuto trascorrere un’intera giornata nella redazione di “Un

mondo a colori”, e in quella occasione ho raccolto preziose

informazioni sulla trasmissione e sul modo in cui viene costruita.

Desidero quindi ringraziare tutte le persone impegnate nel

programma, per la disponibilità e il tempo che mi hanno

dedicato.

1 Giorgio Grossi, Studiare l’immagine della differenza. Un osservatorio multimediale sulla società multietnica, in Marinella Belluati, Giorgio Grossi, Eleonora Viglongo, L’Antenna di Babele 1. Mass media e società multietnica, Anabasi, Milano, 1995, pag.43.

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CAPITOLO PRIMO

STORIA DELL’IMMIGRAZIONE IN ITALIA

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1.1 Il ruolo dell’Italia nelle migrazioni del dopoguerra.

”Un giorno, su quella strada stretta e piena di buche, mio padre

mi insegnò a contare in italiano” (…) “Certo è che da quel

giorno, chissà perché, ho cominciato a pensare all’Italia come

un Paese incantato, felice” (pag.10).

“A Tunisi mi sentivo soffocare. Io sognavo di andarmene, prima

o poi. In molti ragazzi come me il mito dell’Occidente era

grandissimo” (pag.12).

“In Occidente non c’era solo il lavoro, c’era anche la libertà

(…) Mi domandavo: sto partendo come un emigrante

nordafricano o come un qualsiasi ragazzo che vuole conoscere

il mondo?” (pag.14).

Questi brani sono tratti dal libro Immigrato pubblicato nel 1991

da Salah Methnani, giovane tunisino che nel suo diario riporta

speranze e disillusioni comuni a molte persone immigrate in

Italia. A distanza di circa trenta anni dai primi consistenti arrivi, è

possibile tracciare la storia dell’immigrazione nel nostro paese,

sottolineando gli sviluppi intervenuti nel corso del tempo.

Per evidenziare le cause e le caratteristiche della prima

immigrazione in Italia, si può inquadrare tale fenomeno

nell’ambito delle migrazioni internazionali che hanno interessato

l’Europa nel dopoguerra.

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Umberto Melotti ha proposto una suddivisione delle migrazioni

in Europa dopo la seconda guerra mondiale in tre fasi2. La prima

fase inizia nell’immediato dopoguerra e si conclude nella

seconda metà degli anni Sessanta; in questo periodo le

migrazioni forniscono ai paesi che ne sono carenti la

manodopera necessaria alla ricostruzione postbellica e al

successivo periodo di espansione strutturale. I flussi migratori

provengono prevalentemente dai paesi dell’Europa meridionale e

dal bacino del Mediterraneo, e sono diretti verso i paesi

dell’Europa centro-settentrionale già in precedenza importatori di

manodopera come la Francia, il Belgio e la Gran Bretagna; dalla

metà degli anni Cinquanta anche la Repubblica Federale Tedesca

registra significativi arrivi di immigrati.

In questa prima fase le migrazioni sono motivate dalla forte

domanda di lavoro delle aree d’immigrazione, ma l’aspetto che

maggiormente le caratterizza è quello della temporaneità: i paesi

d’immigrazione considerano i migranti come dei lavoratori

reclutati per compiti definiti e per un periodo di tempo limitato,

presumendo che gli stessi immigrati desiderino rientrare nei paesi

di origine dopo un certo lasso di tempo. Basandosi su tali

presupposti, le aree di immigrazione non prevedono

l’inserimento definitivo dei lavoratori stranieri, auspicando una

2 Umberto Melotti, Le nuove migrazioni internazionali: aspetti generali e problemi specifici del caso italiano, in Gastone Tassinari, Giovanna Ceccatelli Gurrieri, Mariangela Giusti (a cura di), Scuola e società multietnica. Elementi di analisi multidisciplinare, La Nuova Italia, Firenze, 1992.

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loro rotazione. Questo punto di vista è sintetizzato efficacemente

dall’espressione tedesca “Gastarbeiter” (che significa “lavoratori

ospiti”) utilizzata per designare il sistema con cui i paesi

d’immigrazione governano il fenomeno migratorio negli anni

Cinquanta e Sessanta. Terminiamo l’esame di questa prima fase

ricordando che l’Italia vi partecipa solamente come paese

d’emigrazione.

Secondo lo stesso autore, la seconda fase delle migrazioni

internazionali in Europa inizia nei tardi anni Sessanta e si

conclude agli inizi degli anni Ottanta; a partire dal 1967 si

verifica una grave crisi economica, dovuta al fatto che i settori

economici “protagonisti” della ricostruzione postbellica (come

l’edilizia, la meccanica e la metallurgia) cominciano ad esaurire

la loro forza propulsiva sull’intera economia. Tale situazione si

aggrava con la prima crisi energetica del 1973/1974, quando il

prezzo del petrolio si quadruplica a causa della guerra del Kippur

e dell’embargo sul petrolio arabo. La recessione economica che

ne segue riduce drasticamente la precedente domanda di

manodopera da parte dei tradizionali paesi europei

d’immigrazione, inducendo tali stati a contrastare nuovi arrivi

mediante l’adozione di politiche restrittive. Nella decisione di

adottare misure anti-immigrazione può aver giocato un ruolo

importante anche il fatto che “i vantaggi economici derivanti

dalla forza lavoro immigrata cominciavano a diminuire, poiché i

costi in termini di investimenti sociali (sanità e istruzione per i

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figli degli immigrati) aumentavano notevolmente”3. Ciò si

collega alla presenza permanente di una parte significativa degli

immigrati, in contrasto con il sistema dei lavoratori-ospiti

elaborato dai paesi europei d’immigrazione.

E’ in questo contesto che paesi tipicamente d’emigrazione come

l’Italia e la Spagna divengono mete di consistenti immigrazioni,

tanto dalle regioni africane che si affacciano sul Mediterraneo

quanto da paesi più lontani come le Filippine, Capo Verde,

l’Eritrea. Uno dei primi studi sull’argomento, l’indagine ECAP-

EMIM su “L’immigrazione straniera nel Lazio”4, sottolinea

alcune importanti caratteristiche della prima immigrazione in

Italia.

Questa inchiesta locale mette in luce una presenza femminile

predominante in molte etnie, diversamente a ciò che si era

verificato nella maggior parte delle grandi migrazioni

internazionali passate, in cui la componente femminile era

tendenzialmente minoritaria e composta per lo più da membri

della famiglia arrivati al seguito del lavoratore maschio, vero

protagonista del viaggio migratorio. In Italia, invece, erano

presenti molte donne, che trovavano occupazione

prevalentemente come lavoratrici domestiche nelle grandi città.

L’indagine evidenzia anche l’alta occupazione nel terziario

sperimentata tra gli immigrati, che spesso possedevano titoli di 3 Percy Allum, Democrazia reale, Utet, Torino, 1997, pag.16. 4 Questa indagine non è mai stata pubblicata; ne ho trovato menzione in Maria Immacolata Macioti, Enrico Pugliese, Gli immigrati in Italia, Laterza, Roma-Bari, 1991, pp.32-33.

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studio superiori a quelli medi dei paesi di partenza, e largamente

superiori a quelli degli italiani occupati in attività analoghe.

Secondo Umberto Melotti è importante notare l’alta incidenza di

esuli, profughi e rifugiati politici sul totale degli immigrati: a

queste tipologie appartengono molti immigrati giunti da Brasile,

Uruguay, Argentina e Cile dopo i colpi di stato che si sono

susseguiti, così come gli eritrei arrivati in Italia nella seconda

metà degli anni Settanta, in seguito alla controffensiva etiopica

nei territori precedentemente in mano ai movimenti

indipendentistici.

Lo stesso Melotti rileva un’altra peculiarità della prima

immigrazione in Italia, cioè “l’apparente paradosso per cui le

immigrazioni dai paesi del Terzo Mondo si sono estese in Italia

in un periodo di crisi economica grave e crescente, quando il

problema dell’occupazione diventava drammatico per la stessa

manodopera locale”5. Questa considerazione, unita al ricordo

delle politiche restrittive in materia di immigrazione adottate da

molti paesi europei, induce Melotti a ritenere che per molti

immigrati l’Italia rappresenti una “soluzione di ripiego”, un paese

in cui progettare di vivere dopo averne scartati altri impossibili, a

patto di accontentarsi di un’occupazione nel basso terziario.

All’epoca della prima corrente immigratoria, la normativa

vigente in Italia nei confronti dei cittadini stranieri si limitava al

Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1931, che 5 Umberto Melotti, op.cit., pag.29.

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disciplinava l’ingresso e il soggiorno in Italia nell’ambito di

norme finalizzate alla tutela dell’ordine pubblico. Si trattava

quindi di vecchie regole, emanate per di più in un periodo in cui

l’Italia non era affatto un paese d’immigrazione. Nel periodo

compreso tra le prime immigrazioni e gli anni Ottanta il

Ministero del Lavoro ha elaborato alcune circolari relative

all’accesso al lavoro, ma anche tali circolari si riferivano al Testo

Unico delle leggi di pubblica sicurezza.

E’ questo quadro legislativo carente che ha accompagnato il

nostro paese verso la terza fase delle migrazioni in Europa,

riprendendo la suddivisione proposta da Umberto Melotti.

Secondo l’autore la terza fase è cominciata agli inizi degli anni

Ottanta ed è caratterizzata principalmente dall’estensione delle

aree di emigrazione: la grave situazione economica unita

all’esplosione demografica induce ad emigrare da quasi tutti i

paesi del Terzo Mondo, a cui si aggiungono alcune nazioni

dell’Europa orientale affette da una profonda crisi economica ed i

paesi dell’America Latina, anch’essi in balia di una grave crisi

economica aggravata dal crescente debito estero. Si tratta di

flussi migratori motivati più da fattori di espulsione presenti nei

paesi di origine, che da fattori di attrazione dei paesi di approdo,

come si può evincere considerando che i paesi d’immigrazione

hanno alti tassi di disoccupazione, e appaiono quindi ben poco

“attraenti” per quanto riguarda l’inserimento degli immigrati nel

mercato del lavoro. Umberto Melotti sottolinea come, al

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prevalere dei fattori di espulsione dai paesi di esodo,

“corrisponde la tendenza alla passiva accettazione di ogni

condizione esterna in cambio di una base economica: un

atteggiamento che inevitabilmente accentua, anziché contrastare,

il già alto rischio di un’esposizione a forme anomale di

sfruttamento”6.

Questi flussi migratori, sempre più consistenti, possono dirigersi

solo verso i paesi dell’Europa mediterranea, giacchè i paesi

dell’Europa centro-settentrionale in quel periodo persistono nelle

loro politiche di chiusura delle frontiere (il che non significa

totale assenza di immigrazioni in dette aree, ma solo il prevalere

di ingressi illegali).

1.2 Il Belpaese si scopre terra di immigrazione.

Gli italiani prendono atto di ciò che sta accadendo intorno a loro

agli inizi degli anni Ottanta: fino a quel momento, infatti,

l’abituale presenza di tanti turisti nel nostro paese ha contribuito

a celare l’esistenza degli immigrati, soprattutto agli esordi,

quando il loro numero era piuttosto circoscritto. E’ stato il

censimento del 1981 a fotografare in maniera più nitida la nuova

realtà: secondo i dati del censimento, continuavano i rientri e le

partenze degli italiani, ma l’autentica novità era costituita proprio

dalle persone che sceglievano l’Italia per realizzare il loro 6 Ibidem, pag. 27.

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progetto migratorio. Per la prima volta in Italia l’incremento

demografico registrato non era dovuto solo all’incremento

naturale della popolazione, ma ad una differenza positiva tra

immigrati ed emigrati, pari a 273.230 unità7 . Indubbiamente una

parte di questa cifra era imputabile ai ritorni di emigrati

dall’Italia (già negli anni Settanta si era verificata una prevalenza

dei ritorni sulle partenze), ma i rientri non potevano spiegare

completamente la positiva differenza migratoria: era necessario

ammettere una presenza significativa di immigrati. E’

interessante rilevare che il censimento del 1981 evidenziò ancora

il Mezzogiorno come area di emigrazione: il nostro paese era

diventato meta di immigrazione senza rinunciare completamente

al precedente ruolo di paese di emigrazione, e questa

ambivalenza caratterizzerà l’Italia anche negli anni successivi8.

Occorre tuttavia sottolineare alcuni grossi limiti del suddetto

censimento, iniziando dal fatto che solo una parte modesta degli

immigrati presenti all’epoca in Italia è stata censita; la

conoscenza della esatta dimensione quantitativa

dell’immigrazione costituisce un problema ancora oggi, poiché

una parte degli immigrati sfugge alle rilevazioni ufficiali, ma nel

tempo i vari istituti di ricerca hanno cercato di migliorare i criteri

di rilevazione utilizzati, ottenendo dati sempre più verosimili. Più

in generale, si può dire che il censimento del 1981 permetteva 7 Dato riportato in Maria Immacolata Macioti, Enrico Pugliese, op.cit., pag.6. 8 Il “doppio ruolo” dell’Italia è stato recentemente ribadito da Enrico Pugliese in L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne, Il Mulino, Bologna, 2002.

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solo di registrare alcune caratteristiche macroscopiche

dell’immigrazione nel nostro paese, ad esempio la struttura

demografica delle diverse nazionalità degli immigrati.

Nonostante questi limiti, il censimento del 1981 ha contribuito a

creare interesse attorno al tema dell’immigrazione; Enrico

Pugliese ricorda come, nel corso degli anni Ottanta, la grande

stampa abbia iniziato ad occuparsi del fenomeno, circoscrivendo

però l’attenzione su casi particolari: principalmente si è occupata

delle collaboratrici domestiche provenienti dai paesi del Terzo

Mondo e degli immigrati tunisini in Sicilia. Lo stesso Pugliese

sottolinea la scarsità della letteratura scientifica prodotta in

quegli anni, e il fatto, ancora più grave, che nelle poche indagini

disponibili spesso siano presenti luoghi comuni e fantasia, in

particolare persiste la tendenza a sopravvalutare la dimensione

quantitativa del fenomeno. E questa tendenza non risparmia

neppure gli ambienti politici: una stima condotta da Natale,

relativa al 1984, suggeriva un’ampiezza oscillante tra le 500 e le

750mila persone, quando i politici parlavano di un milione o più

di immigrati.

1.3 I primi atti normativi.

Si può affermare che, nel corso degli anni Ottanta, la

maggioranza degli immigrati si trovava in una situazione di

illegalità o clandestinità. Accanto ad una parte di loro che

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giungeva in Italia clandestinamente, c’era un’altra parte

(probabilmente maggioritaria) che entrava con un visto turistico,

il quale limitava la durata del permesso di soggiorno; questo

primo periodo di presenza legale terminava con la scadenza del

visto turistico, poichè il Testo Unico delle leggi di pubblica

sicurezza rendeva molto difficile il rinnovo del permesso di

soggiorno. Scaduto il visto turistico, pertanto, gli immigrati

rimanevano in Italia in condizioni di illegalità.

Fortunatamente nella seconda metà degli anni Ottanta ha avuto

luogo un’intensa attività legislativa, che è riuscita almeno in

parte a “modernizzare” il quadro legislativo italiano in tema di

immigrazione.

Nel 1986 il Parlamento ha varato la prima importante legge

sull’immigrazione: la legge n.943 conosciuta anche come “legge

Foschi”, l’allora Ministro del Lavoro. Questa legge recepiva le

norme della convenzione Oil n.143 del 1975, ratificata con la

legge n.158 del 1981; in base a tale convenzione, l’ordinamento

italiano sanciva la parità dei diritti dei lavoratori stranieri

residenti in Italia e delle loro famiglie con quelli dei lavoratori

italiani. In sintesi, grazie a questa legge gli immigrati “in regola”

avrebbero goduto degli stessi diritti sociali e sindacali degli

italiani; inoltre la legge introduceva per la prima volta il diritto al

ricongiungimento familiare e il diritto alla rappresentanza dei

cittadini stranieri mediante l’istituzione delle Consulte Regionali.

Per favorire la regolarizzazione degli immigrati, la legge

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prevedeva una sanatoria di cui potevano godere le persone

presenti in Italia per motivi di lavoro alla data del 31 dicembre

1986. I “motivi di lavoro” rimandano ad un riferimento costante

della legge, il cui titolo non a caso è “Norme in materia di

collocamento e trattamento dei lavoratori extracomunitari e

contro le immigrazioni clandestine”: è chiaro, quindi, come la

legge si occupi esclusivamente del trattamento dei lavoratori

immigrati, senza affrontare più in generale i problemi connessi al

fenomeno dell’immigrazione. Ciò costituisce un grosso limite

della legge n.943, ma non è l’unico, dato che per regolarizzare la

propria posizione gli immigrati dovevano dimostrare di essere

dipendenti o di cercare un’occupazione di questo tipo,

iscrivendosi alle liste degli uffici di collocamento. E’

indubbiamente vero che la maggior parte degli immigrati

lavorava in qualità di dipendente, ma era molto ingenuo credere

che i datori di lavoro avrebbero denunciato tranquillamente

l’avvenuta assunzione; così, infatti, non è stato: gli immigrati che

si sono regolarizzati grazie alla legge n.943 sono stati poco più di

100mila, tra i quali meno di 40mila in qualità di lavoratori

dipendenti. E’ difficile credere che i restanti 60mila fossero

disoccupati alla ricerca di un lavoro, come hanno dichiarato;

resta più verosimile pensare che per la maggioranza di loro

l’iscrizione agli uffici di collocamento era l’unico modo di

regolarizzarsi, per la scarsa disponibilità dei datori di lavoro o

magari perché svolgevano lavori autonomi. Quest’ultima

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considerazione evidenzia un altro limite della legge, che consiste

nell’ignorare completamente l’esistenza tra gli immigrati di

lavoratori autonomi, tipicamente i commercianti ambulanti.

Nel loro insieme, i limiti della 943 hanno condotto allo scarso

successo di questo provvedimento, come dimostra l’esiguo

numero di immigrati che è riuscito a regolarizzarsi.

Nel 1990 il Parlamento italiano ha elaborato la legge n.39, più

conosciuta come “legge Martelli”, che ha superato alcune

ingenuità del precedente provvedimento. Innanzitutto la nuova

legge riconosce la possibilità che gli immigrati svolgano un

lavoro autonomo e ne disciplina l’accesso, ampliando così le

condizioni per accedere alla sanatoria prevista dalla legge. La

legge n.39 si interessa anche dei rifugiati politici che giungono

nel nostro paese, abolendo la cosiddetta “riserva geografica” per

il riconoscimento dello status di rifugiato, che fino a quel

momento aveva limitato la possibilità di richiedere asilo politico

soltanto ad alcuni paesi. La legge Martelli ha portato alla

regolarizzazione di 220mila immigrati: più del doppio rispetto al

provvedimento del 1986. Durante la discussione della legge

Martelli e subito dopo la sua approvazione si sono verificate

molte iniziative di opposizione alla legge, che criticavano

soprattutto l’eccessiva “generosità” della sanatoria. A questo

proposito, è significativo sottolineare che, nonostante le

condizioni per regolarizzarsi fossero effettivamente più

“generose” rispetto a quattro anni prima, i risultati della sanatoria

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appaiono ancora piuttosto modesti: una stima di Natale9

suggeriva una presenza immigrata compresa tra 736mila e

1.060.000 unità, rispetto ai soli 220mila regolarizzati.

1.4 L’inserimento degli immigrati nella società italiana.

Tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, cioè nel

periodo immediatamente successivo alle due leggi di

regolarizzazione, vengono pubblicate indagini significative

sull’immigrazione in Italia.

In vista della Conferenza nazionale sull’immigrazione, tenutasi a

Roma nel giugno 1990, la Presidenza del Consiglio dei Ministri

ha commissionato al Censis un’importante ricerca10 che ha

evidenziato alcune peculiarità del fenomeno immigratorio.

Innanzitutto “dalla ricerca emerge un segnale di cautela nei

confronti di ipotesi eccessivamente allarmistiche sull’“invasione

terzomondiale” nel nostro paese, in quanto è stato possibile

verificare che il trend di crescita è sostenuto ma non

tumultuoso”11. I dati raccolti dal Censis parlano di circa un

milione di immigrati presenti in Italia nel 1990, “certamente

meno rispetto alla percezione minacciosa che la popolazione

9 Maria Immacolata Macioti, Enrico Pugliese, op.cit., pag.19. 10 La ricerca si intitola Migrare ed accogliere - i percorsi differenziati dell’integrazione; i risultati sono stati pubblicati nel volume Censis, Immigrati e società italiana, CNEL-Editalia, Roma, 1991. 11 Ibidem, pag.9.

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spesso ha del fenomeno”12. Per quanto riguarda le aree di

provenienza, la ricerca del Censis sottolinea come le grandi città

ospitino un numero maggiore di nazionalità, e che gli immigrati

provenienti dallo stesso paese tendono a concentrarsi in un

medesimo luogo: ad esempio a Roma i filippini sono i più

numerosi, a Milano primeggiano gli egiziani, mentre a Trieste e a

Gorizia l’immigrazione è prevalentemente jugoslava. Questi dati

possono essere integrati da un’osservazione di Umberto Melotti,

che ha notato un incremento significativo degli immigrati

provenienti da regioni culturalmente più lontane, ad esempio

dall’Africa a sud del Sahara e dal Pakistan. Quanto all’età della

popolazione immigrata, nell’intera penisola sono risultate

maggioritarie le persone con una età compresa tra i 20 e i 35

anni. Oltre alla giovane età degli immigrati, appare degno di nota

il fatto che la maggioranza degli intervistati, prima di partire per

l’Italia, abitava in una città e solo una minoranza in un villaggio.

Questo dato corrobora altri studi che hanno riconosciuto

l’importanza dell’inurbamento nell’ottica delle migrazioni, ad

esempio Umberto Melotti ha sintetizzato la questione affermando

che “gli inurbati, dopo avervi assaporato un modello di vita che li

accultura alla “modernità”, anche se insoddisfatti non tornano

quasi mai ai loro villaggi o alle loro campagne. Piuttosto

spiccano il balzo per le grandi città dell’Occidente”13. Nelle città

12 Ibidem, pag.6. 13 Umberto Melotti, op. cit., pag. 17.

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dei paesi di origine si verifica quindi un processo di

socializzazione anticipatoria ai valori propri delle società

d’inserimento degli immigrati.

L’indagine del Censis ha contribuito a fare chiarezza anche sulle

ragioni che giustificano la scelta del nostro paese come meta dei

viaggi migratori. Gli immigrati intervistati dal Censis hanno

riferito tra le ragioni prevalenti quella legata all’aspettativa di un

lavoro stabile, unita all’immagine attribuita all’Italia di paese in

cui regnano il benessere e la ricchezza. La scelta dell’Italia viene

attribuita anche alla facilità di ingresso nel nostro paese, oltre che

alla presenza di amici e parenti, di cui gli “aspiranti immigrati” si

avvalgono per espatriare. Una parte molto interessante della

ricerca è quella in cui vengono messe a confronto le aspettative

che gli immigrati hanno prima di giungere in Italia e le risposte

trovate; dall’indagine è emerso che generalmente i soggetti

nutrono aspettative molto alte rispetto al lavoro e all’alloggio che

troveranno, così come rispetto alla situazione politica italiana,

associata all’idea di democrazia. Lo scarto tra queste aspettative e

le risposte effettivamente trovate appare rilevante, in particolar

modo per ciò che attiene al lavoro e all’alloggio, mentre la

“democraticità” dell’Italia ha un riscontro sostanzialmente

positivo.

La ricerca del Censis ha prodotto risultati significativi anche per

ciò che riguarda il grado di stabilità degli immigrati presenti in

Italia; da tale ricerca è emerso che solo un terzo di essi intende

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restare definitivamente nel nostro paese, un altro terzo ha in

mente di rientrare nel paese di origine dopo aver raggiunto un

obiettivo di carattere economico e l’ultimo terzo è composto dai

lavoratori stagionali e da coloro che sono in Italia solo di

passaggio, intendendo emigrare altrove. I ricercatori del Censis

hanno commentato tali dati affermando che “questa non

accentuata propensione alla permanenza nel nostro paese può

trovare in parte spiegazione, oltre che nella sfera soggettiva di

scelte e di progetti delle persone, nelle difficoltà che molti di essi

incontrano nell’impatto con la realtà sociale e culturale

italiana”14. Le difficoltà maggiori per gli immigrati attengono al

lavoro, al vitto e all’alloggio, a cui si aggiungono i problemi di

comunicazione linguistica e nei rapporti con le forze dell’ordine.

L’indagine del Censis, così come altre ricerche condotte nello

stesso periodo, si è occupata in modo piuttosto dettagliato

dell’inserimento lavorativo degli immigrati; tutti questi studi

hanno concordato sul loro prevalente impiego ai più bassi livelli

del sistema produttivo. Tra le attività maggiormente diffuse su

tutto il territorio nazionale vengono annoverate quelle relative ai

servizi alle famiglie, altri servizi soprattutto nel settore

alberghiero e della ristorazione (in questo caso gli immigrati sono

assunti come camerieri o come sguatteri, ad esempio), l’edilizia e

l’ambulantato. A parte questi impieghi, gli altri sono molto

diversificati per aree geografiche, in parallelo con la notevole 14 Censis, op.cit., pag.50.

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differenziazione territoriale che caratterizza il mercato del lavoro

italiano. Gli immigrati che risiedono nell’Italia meridionale

trovano occupazione prevalentemente nell’agricoltura e nella

pesca; l’agricoltura mediterranea richiede impieghi di

manodopera assai variabili nel corso dell’anno, raggiungendo i

massimi livelli nel periodo di raccolta dei prodotti ortofrutticoli.

Di conseguenza, gli immigrati occupati in agricoltura

generalmente soffrono una certa precarietà occupazionale, per

quanto la stagionalità delle operazioni venga apprezzata dalle

persone originarie dei paesi geograficamente vicini al nostro, che

approfittano delle pause tra una raccolta e l’altra per fare ritorno

in patria. In alcuni casi le indagini hanno rilevato l’occupazione

stabile degli immigrati, ma anche i lavoratori fissi si devono

accontentare quasi sempre di salari largamente inferiori ai

minimi contrattuali. Parte degli immigrati giunti nel Meridione

trova lavoro nel settore della pesca, soprattutto in Sicilia, dove

l’insediamento più noto è quello dei tunisini residenti a Mazara

del Vallo, che ha conosciuto un’interessante evoluzione nel corso

del tempo, infatti “dopo l’arrivo di uomini soli, alla ricerca di un

lavoro in grado di garantire la sicurezza economica, è via via

cresciuta la percentuale di donne e di nuclei familiari ricongiunti,

evoluzione che ha conferito alla comunità tunisina di Mazara le

caratteristiche di una realtà consolidata”15. Per quanto riguarda

15 Laura Zanfrini, Leggere le migrazioni. I risultati della ricerca empirica, le categorie interpretative, i problemi aperti, Franco Angeli, Milano, 1998, pag.104. L’autrice, trattando

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gli immigrati residenti nell’Italia centrale, è frequente il loro

inserimento lavorativo nel settore agricolo; analogamente a ciò

che è stato osservato per le regioni meridionali, anche in questo

caso gli immigrati impiegati nell’agricoltura percepiscono salari

inferiori ai minimi legali, sopportando condizioni di lavoro molto

pesanti. Il dato emergente dalle ricerche dei primi anni Novanta

era la crescente occupazione degli immigrati nell’industria, pur

con dimensioni più ridotte rispetto a quanto stava accadendo nel

Nord Italia. La ragione che ha condotto gli imprenditori ad

assumere manodopera immigrata è comune al Centro e al Nord:

la carenza di offerta autoctona per certi lavori dequalificati,

pesanti, talvolta svolti in orari atipici e che possono nuocere alla

salute. In pratica, di fronte alle forti resistenze degli italiani a

svolgere determinati lavori nell’industria, le imprese “hanno

incontrato una manodopera genericamente disponibile e ne hanno

visto l’adattabilità alle loro esigenze”16. L’inserimento degli

immigrati nel settore industriale ha comportato alcune difficoltà,

tra le quali occorre menzionare la scarsa socializzazione al lavoro

industriale (che significa ad esempio dover “imparare” la

disciplina temporale del lavoro) la poca conoscenza dell’italiano

e l’autoprolungamento delle ferie. Tuttavia, queste difficoltà

sembrano ridimensionarsi con il passare del tempo, e tra gli

il caso di Mazara del Vallo, si riferisce a A.A.Ster, Riconoscere e riconoscersi. Il senso delle società locali e il vissuto dei soggetti migranti in dieci incontri territoriali da Como a Palermo, ricerca condotta per conto del CNEL, Conferenza Nazionale dell’Immigrazione, Roma, 1990. 16 Ibidem, pag.136.

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imprenditori intervistati prevalgono i giudizi positivi. Sempre a

proposito dell’Italia centrale, è opportuno ricordare il fenomeno

dell’autoimprenditorialità cinese in Toscana, in particolare per

ciò che riguarda il settore della pelletteria. La Toscana vanta una

lunga tradizione nel campo della lavorazione della pelle, che si

basa sull’attività di imprese generalmente piccole in cui lavorano

intere famiglie. Tassinari17 ha individuato alcuni fattori che

hanno favorito il successo di queste imprese, come la

compattezza dei nuclei familiari, l’abitudine al lavoro intenso, la

vicinanza tra luogo di lavoro e abitazione; il dato interessante è

che pure tra i cinesi si verifica una “sovrapposizione famiglia-

unità produttiva, l’interconnessione tra tempo di vita e di lavoro

che si realizza anche tramite la contiguità fisica tra casa e

laboratorio, che spesso coincidono”18. Tali peculiarità hanno

contribuito al rapido successo delle aziende cinesi, che ha

provocato qualche dissapore tra gli artigiani locali e i concorrenti

venuti da lontano.

Nelle regioni del Nord, il dato più significativo agli inizi degli

anni Novanta è il crescente numero di immigrati occupati nel

comparto industriale, di cui si è già parlato. Alcune indagini

pubblicate in quegli anni hanno evidenziato che, tra gli immigrati

impiegati nelle industrie, molti avevano trascorso un primo

17 Alberto Tassinari, L’immigrazione cinese in Toscana, in Giovanna Campani, Francesco. Carchedi, Alberto Tassinari (a cura di), L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1994. 18 Ibidem, pag.113.

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periodo nell’Italia meridionale, esercitando il commercio

ambulante, per poi trasferirsi nel Nord Italia e approdare al

lavoro industriale: ciò indica un’interessante evoluzione

dell’inserimento lavorativo, che tuttavia solo una parte degli

immigrati esperisce.

Una considerazione spesso presente nelle ricerche condotte tra la

fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta metteva in rilievo

una caratteristica del processo di inserimento nelle imprese

italiane, cioè il fatto che stesse avvenendo “senza la minima

programmazione, senza una politica attiva ed esplicita di

reclutamento concertata tra imprese e istituzioni locali (…) ma

per l’iniziativa spontaneistica e atomizzata delle imprese (quasi

esclusivamente quelle di piccole e medie dimensioni)” 19. In

questo l’esperienza italiana segna una grossa differenza rispetto

agli altri paesi europei d’immigrazione, “dove l’avvio al lavoro

degli immigrati (generalmente nelle grandi imprese) avveniva in

base ad accordi formali con i paesi di provenienza, ed era quindi

programmato e accettato se non esplicitamente ‘voluto’ ” 20.

1.5 Le attuali caratteristiche del fenomeno immigratorio.

Passiamo ad esaminare le più recenti tendenze dell’immigrazione

nel nostro paese, iniziando dall’entità numerica del fenomeno; i

19 Laura Zanfrini, op.cit., pag.136. 20 Ibidem, pag.136.

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dati divulgati dal Ministero degli Interni segnalano un aumento

costante, anche se contenuto, della popolazione straniera: i

permessi di soggiorno rilasciati nel 1998 sono stati 1.033.235, nel

1999 sono aumentati a 1.251.994 per giungere a 1.388.153 nel

2000. Le statistiche evidenziano che i cittadini stranieri non si

distribuiscono uniformemente sul territorio italiano, come mostra

il fatto che, nel 2000, tre regioni hanno ospitato

complessivamente la metà di loro; in ordine di consistenza

numerica queste tre regioni sono la Lombardia, il Lazio e il

Veneto, mentre nel Mezzogiorno primeggia la Campania, che

però registra solo il 4,9% di soggiornanti stranieri. Tra i motivi

della concessione dei permessi di soggiorno predominano quelli

relativi al lavoro, seguiti dai motivi familiari, che si riferiscono

principalmente a ricongiungimenti. Secondo Patrizia Farina i dati

riportati “confermano un’immagine ormai consolidata: gli

stranieri in Italia sono ancora relativamente pochi rispetto ad altre

realtà europee, sono presenti principalmente per motivi di lavoro

e per questa ragione tendono a concentrarsi nelle regioni che più

di altre offrono loro l’opportunità di esercitarlo”21. Le statistiche

fin qui analizzate erano inerenti alle presenze regolari, ma è

importante prendere in considerazione anche le presenze

irregolari, al fine di quantificare più correttamente la popolazione

straniera; i dati del Ministero degli Interni appaiono confortanti, 21 Gian Carlo Blangiardo e Patrizia Farina, La presenza regolare e irregolare, in Fondazione Cariplo per le Iniziative e lo Studio sulla Multietnicità, Sesto rapporto sulle migrazioni 2000, Franco Angeli, Milano, 2001, pag. 12-13.

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prospettando un rapporto di circa 10 illegali per ogni 100

stranieri regolarmente presenti in Italia. L’attività di

monitoraggio della fondazione Cariplo-I.S.MU., tuttavia,

propone una visione meno ottimistica in relazione ad alcune

province lombarde (addirittura attesta 25-30 irregolari per ogni

100 regolari nella realtà milanese extrametropolitana e nella

provincia di Varese a metà anno 2000) rendendo auspicabili

azioni di monitoraggio sull’intero territorio nazionale, per

ottenere stime più attendibili del fenomeno. Per quanto riguarda

le aree di provenienza, l’evoluzione delle iscrizioni anagrafiche

tra il 1994 e il 1999 evidenzia che sono aumentati notevolmente

gli albanesi e i rumeni fra gli est europei, tra gli asiatici sono

incrementati soprattutto i filippini, i cinesi e i singalesi, mentre

fra i sudamericani i peruviani hanno registrato il maggior

aumento. Durante il quinquennio considerato sono cresciuti in

numero anche gli africani, ma molto meno rispetto alle

provenienze appena ricordate, probabilmente perché la loro

presenza era già consistente. Passando a valutare il numero di

stranieri iscritti all’anagrafe, secondo i dati Istat in cinque anni

sono aumentati del 77,4% raggiungendo nel 1999 la cifra di

1.116.394; questa significativa crescita concorre a sostenere i

ricercatori dell’I.S.MU. in una convinzione importante: “si

stanno manifestando con più decisione alcuni aspetti che tendono

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a mettere in evidenza il carattere strutturale della presenza

straniera22”. Un altro di questi aspetti emerge dall’andamento

numerico dei matrimoni, con almeno un coniuge straniero, che

sono stati celebrati in Italia tra il 1992 e il 1996; nell’arco di

questi anni sono aumentati del 19,9% diventando 11.993 nel

1996. Tra l’altro la prevalenza di unioni nelle quali un coniuge,

più frequentemente la sposa, è di cittadinanza italiana può essere

interpretata come un segno di crescente integrazione, pur

ricordando che una parte non quantificabile di stranieri usa il

matrimonio come strumento per poter rimanere in Italia.

L’ipotesi di una tendenza alla stabilizzazione appare

ulteriormente rafforzata considerando che, tra il 1989 e il 1996,

le nascite da almeno un genitore straniero sono aumentate del

145,9% facendo appendere 24.061 fiocchi nel 1996. Ciò ha reso

“multietniche” le Maternità di molti ospedali italiani, spingendoli

ad elaborare strategie utili per accogliere le partorienti nel

miglior modo, per esempio negli ospedali milanesi San Carlo e

San Paolo è stato creato un centro d’ascolto in cui lavorano anche

mediatrici culturali che aiutano i medici italiani a capire e a

rispettare le diverse culture della nascita di cui sono portatrici le

donne immigrate. Un ulteriore indice di stabilizzazione è

costituito dal forte incremento della presenza di alunni stranieri

nelle scuole italiane; i dati forniti dal Ministero della Pubblica

22 Sesto rapporto sulle migrazioni 2000, cit., pag.5.

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Istruzione mostrano che tra l’anno scolastico 1995/6 e il

1999/2000 gli alunni stranieri sono raddoppiati, arrivando così a

rappresentare l’1,47% del totale degli alunni. Essi si

distribuiscono in modo differenziato secondo l’ordine di scuola,

in particolare nel 1999 erano più numerosi nelle scuole

elementari, seguite dalle medie, dalle materne e, a distanza, dalle

scuole superiori; a questo proposito è interessante sottolineare la

maggiore presenza di femmine nelle scuole superiori, “segno di

un orientamento positivo verso l’istruzione sia da parte delle

famiglie sia nelle ragazze straniere”23. In tale contesto gli

insegnanti italiani si stanno impegnando nel realizzare iniziative

di educazione interculturale, il cui obiettivo principale consiste

nella promozione della conoscenza e del dialogo tra persone

“diverse”, in una prospettiva di reciproco arricchimento.

Per quanto riguarda il volume complessivo del lavoro immigrato,

le analisi più recenti documentano una sua continua crescita, ma

il dato più significativo “è quello della permanenza degli

immigrati in attività scarsamente qualificate, in contrasto con i

buoni livelli di istruzione di parecchi soggetti, con l’esperienza

professionale accumulata in alcuni anni ormai di permanenza in

Italia, e con l’enfasi posta dagli stessi rappresentanti del mondo

imprenditoriale sul fabbisogno di lavoratori qualificati”24. Tra i

fattori che contribuiscono a spiegare questa situazione occorre

23 Elena Besozzi, La scuola, in Sesto rapporto sulle migrazioni 2000, cit., pag.105. 24 Maurizio Ambrosini, Il lavoro, in Sesto rapporto sulle migrazioni 2000, cit., pag.93.

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ricordare le difficoltà incontrate per ottenere il riconoscimento

dei titoli di studio e una competenza linguistica talvolta ridotta,

che ostacola la ricerca di occupazioni più qualificate. Un’altra

causa è riconducibile al funzionamento delle reti etniche, cioè al

fatto che spesso i contatti con i datori di lavoro vengono forniti

da connazionali già impiegati presso quei datori, i quali,

soprattutto per mansioni a basso contenuto tecnico-professionale,

possono adottare come “criterio di selezione” la conoscenza tra

l’immigrato in cerca di occupazione e un lavoratore straniero

precedentemente assunto. Il funzionamento delle reti etniche

rischia di condurre alla formazione di stereotipi che, associando

gli immigrati di una certa provenienza a un determinato tipo di

lavoro, rendono più difficoltoso il miglioramento professionale

dei lavoratori stranieri. Tale miglioramento appare avversato

anche dagli atteggiamenti dei lavoratori autoctoni, come ha

evidenziato Laura Zanfrini sostenendo che “sui luoghi di lavoro,

la promozione di uno straniero a ruoli di maggiore responsabilità

deve essere “negoziata” con la base lavoratrice, generalmente

poco disposta ad accettare che un immigrato, benché più istruito,

ottenga un ruolo gerarchicamente superiore al proprio” 25. Le

aspirazioni degli immigrati a migliorare la loro condizione

lavorativa trovano espressione nell’avvio di attività autonome,

25 Laura Zanfrini, La discriminazione nel mercato del lavoro, in Fondazione Cariplo-I.S.MU., Quinto rapporto sulle migrazioni 1999, Franco Angeli, Milano, 2000, pag.182.

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che stanno rapidamente aumentando soprattutto per l’iniziativa

degli egiziani e dei cinesi.

Maurizio Ambrosini ha cercato di sintetizzare i principali modelli

di impiego del lavoro immigrato in Italia,26 mettendo in evidenza

i diversi rapporti tra lavoratori stranieri ed economie locali. Nella

tipologia proposta da Ambrosini troviamo il modello

dell’industria diffusa, caratteristico delle regioni del Nord Est,

della Lombardia orientale e di zone sempre più ampie di Emilia

Romagna, Toscana, Marche e Umbria. In queste aree gli

immigrati trovano lavoro principalmente nelle piccole e medie

imprese, che li assumono per svolgere lavoro operaio

scarsamente qualificato, anche se è in aumento la richiesta di

manodopera qualificata. Vi è poi il modello metropolitano, tipico

di Roma e Milano e, in misura minore, delle altre maggiori città

italiane. Nelle grandi città molte donne immigrate lavorano come

collaboratrici domestiche o come assistenti agli anziani, mentre

gli uomini vengono impiegati prevalentemente nei servizi relativi

alla ristorazione e in quelli inerenti alla manutenzione della

struttura urbana. E’ nelle metropoli inoltre che gli immigrati

stanno dando vita ad attività indipendenti, talvolta in risposta alle

esigenze delle comunità straniere, come nel caso delle macellerie

islamiche. Nelle grandi città è frequente l’impiego irregolare dei

lavoratori immigrati, soprattutto nel lavoro domestico,

nell’assistenza e nell’edilizia. Ambrosini conclude la sua 26 Maurizio Ambrosini, op.cit.

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tipologia tratteggiando due diversi modelli delle attività

stagionali, uno riferito alle regioni meridionali e l’altro a quelle

centro-settentrionali. Per quanto riguarda il Sud Italia,

l’occupazione immigrata è per lo più irregolare e precaria,

riguarda le campagne di raccolta dei prodotti ortofrutticoli e, in

misura minore, l’industria alberghiera; inserimenti lavorativi più

stabili sono stati rilevati nel settore della pesca, dell’edilizia e

delle serre. Nell’Italia centro-settentrionale il lavoro immigrato è

caratterizzato da maggiore regolarità e tutela, è impiegato nelle

attività agricole e sempre di più nel settore turistico-alberghiero.

Maurizio Ambrosini ritiene probabile che in queste aree gli

immigrati possano sviluppare attività indipendenti in quei settori

che richiedono un capitale fisso contenuto, come avviene ad

esempio nelle pulizie e nel trasporto leggero.

Parlando di lavoro immigrato, è interessante considerare i

risultati di una recente rilevazione del Sistema Informativo

Excelsior, che ogni anno cerca di individuare i fabbisogni di

professionalità delle imprese italiane. L’indagine relativa al

biennio 1999-2000 per la prima volta includeva un

approfondimento relativo alle assunzioni di personale

extracomunitario, e i dati raccolti evidenziano una forte

propensione a ricorrervi: circa ¼ delle imprese che assumono si è

dichiarata disponibile ad impiegare manodopera proveniente da

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paesi extracomunitari,27 individuando un fabbisogno complessivo

stimabile in 200.589 unità, cioè poco meno di ¼ di tutte le

assunzioni previste. Le sole regioni del Nord Est hanno espresso

la necessità di assumere 77.947 stranieri, ma anche nel resto

d’Italia le cifre sono significative, incluso il Sud e le Isole

nonostante queste regioni siano afflitte da alti tassi di

disoccupazione. Le assunzioni previste si concentrano in settori

che sperimentano difficoltà di reperimento di personale italiano;

per quanto riguarda l’industria, i comparti maggiormente

interessati sono le costruzioni, il metalmeccanico e l’industria del

legno, mentre nel settore dei servizi primeggia il commercio

all’ingrosso, al dettaglio e riparazioni, seguito dai servizi

operativi alle imprese. E’ importante ricordare che i dati raccolti

attraverso l’indagine Excelsior quantificano le assunzioni

previste e non quelle effettive, tuttavia segnalano il carattere

strutturale del fabbisogno di lavoratori immigrati nel nostro

paese, e mettono in rilievo la necessità di investire nella loro

formazione professionale, come dimostra la richiesta di operai

qualificati, tecnici, infermieri, assistenti socio-sanitari.

E’ stato sottolineato che il progressivo radicamento

dell’immigrazione in Italia “avviene in una situazione ancora

caratterizzata da una forbice tra “cittadinanza economica”

(accettata e riconosciuta) e persistente esclusione, per più di un 27 Questo e i successivi dati relativi al Sistema Informativo Excelsior sono tratti da Laura Zanfrini, La programmazione dei flussi per motivi di lavoro, in Sesto rapporto sulle migrazioni 2000, cit.

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aspetto, da quella che viene definita “cittadinanza sociale”28. A

supporto di tale osservazione , si può riflettere ad esempio sulle

difficoltà esperite dagli immigrati per accedere a condizioni

abitative dignitose e sull’utilizzo ancora limitato dei servizi

sanitari, che tra le varie cause annovera la non consapevolezza

del diritto ad usufruirne, nonché l’incomprensione culturale e

linguistica tra medico italiano e paziente immigrato.

1.6 L’evoluzione del quadro legislativo.

Per quanto riguarda gli sviluppi legislativi, nel 1998 il

Parlamento ha approvato la legge n.40, recepita e integrata dal

decreto legislativo n. 286 del 1998 (Testo unico delle

disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme

sulla condizione dello straniero) ed ulteriormente perfezionata

con l’emanazione del Regolamento di attuazione (DPR n.394 del

1999). Questa legge, nota anche come legge Napolitano-Turco,

ha apportato significative novità in materia di immigrazione, a

partire dalla scelta della programmazione annuale quale criterio

per regolare i flussi di ingresso. In base alla nuova legge, ogni

anno un decreto del Presidente del Consiglio determina le quote

d’ingresso per i cittadini extracomunitari, tenendo in

considerazione le esigenze del mercato del lavoro; le quote

vengono fissate per paese di provenienza e a seconda del tipo di 28 Sesto rapporto sulle migrazioni 2000, cit., pag. 6.

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lavoro da svolgere (lavoro subordinato, stagionale o autonomo)

mediante accordi tra governo italiano e paesi non appartenenti

all’Unione Europea. La legge approvata nel 1998 disciplina il

rapporto di lavoro subordinato stabilendo che il datore di lavoro

può presentare la richiesta nominativa per l’assunzione di uno

straniero residente all’estero oppure, senza scegliere una

determinata persona, può chiedere l’autorizzazione al lavoro per

uno o più iscritti nelle liste degli stranieri che chiedono di

lavorare in Italia. In entrambi i casi l’autorizzazione viene

rilasciata dalla competente Direzione provinciale del lavoro nel

rispetto dei limiti previsti dai decreti e dopo aver verificato le

condizioni offerte dal datore di lavoro, incluso il tipo di alloggio

destinato al lavoratore. La legge in esame prevede poi che lo

straniero non comunitario, entro otto giorni lavorativi dal suo

arrivo, richieda uno dei vari permessi di soggiorno possibili, che

si differenziano per la loro durata: il permesso di soggiorno per

visite, affari o turismo dura non più di tre mesi, quello per lavoro

stagionale da sei a nove mesi, il permesso per gli studenti dura al

massimo un anno (ma è rinnovabile se i corsi sono pluriennali)

mentre il permesso per lavoro autonomo e subordinato a tempo

indeterminato, così come per ricongiungimenti familiari, dura

fino a due anni.

La legge n.40 prevede anche la possibilità di ricorrere alla

prestazione di garanzia da parte di soggetti individuali o

collettivi; in questo caso lo straniero che intende venire in Italia

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per lavorare può cercare un garante fra italiani e stranieri

(regolarmente presenti nel nostro paese) oppure fra enti ed

associazioni del volontariato. Il garante deve assicurare

l’alloggio, i mezzi di sostentamento, l’assistenza sanitaria e le

spese per il rimpatrio; in tal modo l’extracomunitario può

iscriversi alle liste di collocamento e riceve un permesso di

soggiorno della durata di un anno, al termine del quale deve

lasciare l’Italia se non ha trovato occupazione.

Dopo cinque anni di regolare soggiorno, il cittadino straniero

immune da precedenti penali e con un reddito documentabile può

richiedere la Carta di soggiorno, che consente l’accesso a quasi

tutti i diritti propri della cittadinanza, esclusi quelli riservati agli

italiani (come la difesa dello Stato) e il diritto di voto alle

elezioni amministrative.

Nella parte relativa alla disciplina dei respingimenti e delle

espulsioni vengono stabilite regole di controllo più incisive e

norme più severe. Espulsioni amministrative con

accompagnamento coatto alla frontiera possono scattare per

ingresso illegale, mancata richiesta del permesso di soggiorno,

persone dedite a traffici delittuosi e, se l’accompagnamento non è

immediatamente effettuabile, lo straniero può essere trattenuto in

un centro di permanenza temporanea per un massimo di trenta

giorni. La legge n.40 sancisce pene molto dure, da tre a quindici

anni di carcere, per i trafficanti di clandestini, riservando il

massimo della pena a chi recluta persone da destinare alla

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38

prostituzione o minori da impiegare in attività illecite. Gli articoli

dedicati alle politiche di integrazione contengono elementi degni

di nota, come la possibilità di accedere ai bandi per

l’assegnazione di alloggi pubblici. La nuova normativa ha

previsto anche la creazione di organismi composti da molteplici

soggetti che si occupano di immigrazione, comprese le

associazioni dei cittadini stranieri; questi organismi sono la

Consulta nazionale per i problemi degli immigrati e delle loro

famiglie e, a livello provinciale, i Consigli territoriali, incaricati

di individuare le esigenze più urgenti e di promuovere gli

interventi da attuare a livello locale.

E’ interessante esaminare alcune difficoltà emerse nell’attuazione

del Testo unico sull’immigrazione, iniziando da quelle relative

alla determinazione annua delle quote d’ingresso; è stato

evidenziato29 il ritardo con il quale tali quote sono state

determinate nel 1998 e nel 1999, mentre nel 2000 la

programmazione è stata tempestiva ma insufficiente a coprire le

richieste del mondo produttivo, pertanto si è dovuto ricorrere a

un decreto di integrazione per il secondo semestre dell’anno.

Luciano Fasano e Francesco Zucchini hanno analizzato

l’implementazione locale del Testo unico in tre comuni lombardi:

Brescia, Sesto S. Giovanni e Busto Arsizio30. Tra gli elementi

emersi, è opportuno segnalare che le modalità di rilascio della 29 Ennio Cadini, Gli aspetti normativi, in Sesto rapporto sulle migrazioni 2000, cit. 30 Luciano Fasano, Francesco Zucchini, L’implementazione locale del testo unico sull’immigrazione, in Sesto rapporto sulle migrazioni 2000, cit.

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39

Carta di soggiorno variano nei tre comuni, richiedendo in genere

documentazione aggiuntiva rispetto alle disposizioni del Testo

unico; per quanto riguarda i Consigli territoriali, molti operatori

locali addirittura ignorano la loro esistenza e, anche quando i

Consigli vengono convocati, non sembrano produrre risultati

significativi.

La normativa in tema di immigrazione è stata parzialmente

modificata dalla legge n.189 del 2002, più conosciuta come legge

Bossi-Fini; essa ribadisce che la politica migratoria italiana si

basa sulla determinazione annuale delle quote di stranieri da

ammettere nel nostro paese per motivi di lavoro, puntualizzando

che il relativo decreto del Presidente del Consiglio deve essere

emanato entro il 30 novembre dell’anno precedente a quello di

riferimento del decreto, salva la necessità di emanare ulteriori

provvedimenti durante l’anno. Come già era stato stabilito nel

1998, i permessi di soggiorno rilasciati per motivi di lavoro

hanno una durata diversa a seconda del tipo di lavoro svolto

dall’immigrato, comunque non superiore ai due anni; questo

termine vale anche per i ricongiungimenti familiari, che però

vengono limitati al coniuge, ai figli minori e ai genitori qualora

non abbiano altri figli nel paese di origine. Una novità introdotta

dalla legge Bossi-Fini consiste nell’obbligo di sottoporsi a rilievi

fotodattiloscopici al momento di richiedere il permesso di

soggiorno; tale norma, attorno alla quale si è acceso un notevole

dibattito pubblico, è stata difesa dai proponenti sostenendo che

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faciliterà l’identificazione degli immigrati, risultata fino ad oggi

molto complicata in alcuni casi. Rispetto alla legge Napolitano-

Turco, nel nuovo testo legislativo non è prevista la possibilità di

ricorrere alla prestazione di garanzia per venire a cercare lavoro

in Italia, mentre viene elevato a sei il numero degli anni di

regolare permanenza necessari per ottenere la Carta di soggiorno.

La legge n.189, come la precedente, prevede le espulsioni

amministrative, precisando che lo straniero espulso non può

rientrare in Italia senza una speciale autorizzazione del Ministro

dell’Interno, altrimenti commette reato ed è punito al primo

tentativo di reingresso con l’arresto da sei mesi ad un anno, oltre

ad essere nuovamente espulso, mentre al secondo tentativo viene

punito con la reclusione da uno a quattro anni. La recente legge

riafferma che lo straniero in attesa di essere espulso può essere

trattenuto in un centro di permanenza temporanea, fissando un

periodo massimo di trattenimento pari a sessanta giorni, cioè il

doppio di quello sancito dalla legge del 1998. Uno degli obiettivi

della legge in esame è quello di contrastare l’immigrazione

clandestina, a tal fine vengono stabilite pene fino a tre anni per

chi favorisce l’ingresso di clandestini, da quattro a dodici anni

per i loro trafficanti, da cinque a quindici anni per chi recluta

persone da destinare allo sfruttamento sessuale o minori da

impiegare in attività illecite. Oltre a ciò, la legge Bossi-Fini

autorizza le navi della Marina militare a fermare e ad ispezionare

gli scafi sospettati di trasportare illecitamente migranti, compito

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che finora era riservato alle vedette della Guardia di Finanza,

della Guardia Costiera, o ai mezzi di Polizia e Carabinieri. E’

importante ricordare, infine, che la legge n.189 ha offerto

un’occasione per uscire dall’irregolarità alle domestiche e alle

badanti di origine extracomunitaria; in particolare, la nuova

normativa ha permesso di regolarizzare una colf per famiglia,

senza fissare invece un limite numerico per gli assistenti di

persone anziane, malate o handicappate. Grazie a questa legge i

datori di lavoro hanno potuto presentare una “dichiarazione di

emersione” entro due mesi dalla sua entrata in vigore,

impegnandosi a stipulare un regolare contratto di assunzione e

versando tre mesi di contributi arretrati. Verificata

l’ammissibilità della dichiarazione di emersione, al dipendente

extracomunitario viene rilasciato un permesso di soggiorno

valido per un anno ma rinnovabile alla scadenza.

I ricercatori dell’I.S.MU. hanno commentato la nuova legge

prima che venisse approvata; secondo loro alcune modifiche

normative rimandano al modello del “lavoratore ospite”. In

questa prospettiva si collocano le restrizioni in materia di

ricongiungimento familiare, l’eliminazione della possibilità di

ricorrere alla prestazione di garanzia (che significa entrare in

Italia solo avendo già un lavoro) e l’aumento del numero di anni

necessari per ottenere la Carta di soggiorno. Vincenzo Cesareo

sostiene che concepire l’immigrato come “lavoratore ospite”

appare una visione “troppo limitata a fronte di una situazione

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reale che vede un forte radicarsi della presenza straniera nel

paese”31. Dall’istituto milanese giunge anche il monito a non

riproporre sanatorie una tantum (come quella prevista dalla legge

Bossi-Fini) optando invece per canali di regolarizzazione

attivabili in ogni momento.

A conclusione di questo capitolo, merita sottolineare che i paesi

membri dell’Unione Europea si stanno impegnando per la

formulazione di una politica comune in tema di immigrazione. Il

Consiglio europeo straordinario di Tampere del 15 e 16 ottobre

1999 ha dato un notevole impulso a tale processo, infatti nel

documento conclusivo del vertice sono state individuate quattro

linee d’intervento sulle quali si basa la politica comune:

partenariato con i paesi di origine, gestione dei flussi migratori,

equo trattamento dei cittadini di paesi terzi, regime europeo

comune in materia di asilo. In quell’occasione il Consiglio

europeo ha espresso la necessità di un “ravvicinamento delle

legislazioni nazionali relative alle condizioni di ammissione e

soggiorno dei cittadini di paesi terzi in base ad una valutazione

comune sia degli sviluppi economici e demografici all’interno

dell’Unione sia della situazione dei paesi d’origine32”. Non è

peraltro facile armonizzare le diverse legislazioni nazionali;

durante il Consiglio europeo di Laeken/Bruxelles del 14 e 15

dicembre 2001 si sono evidenziate “tutte le diffidenze e le 31 Vincenzo Cesareo, Editoriale, in Fondazione Cariplo-I.S.MU., Settimo rapporto sulle migrazioni 2001, Franco Angeli, Milano, 2002, pag.10. 32Paragrafo 20 delle conclusioni della Presidenza del Consiglio.

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reticenze degli stati membri a coordinarsi in settori considerati

tipicamente riservati alla sovranità statale”33. Malgrado ciò, il

Consiglio europeo ha riaffermato il proprio impegno riguardo

alle linee di intervento stabilite a Tampere. Appare dunque

probabile che nei prossimi anni la normativa italiana

sull’immigrazione debba essere parzialmente modificata, per

conformarsi alle regole fissate a livello europeo.

33 Emanuela Maria Mafrolla, Bruno Nascimbene, Gli orientamenti comunitari, in Settimo rapporto sulle migrazioni 2001, cit., pag.58.

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44

CAPITOLO SECONDO

GLI IMMIGRATI E L’IMMIGRAZIONE NEI MEDIA:

LE PRINCIPALI INDAGINI REALIZZATE

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2.1 L’immagine degli immigrati nella fase di latenza: il caso

de “La Nazione”.

Per molti anni il fenomeno immigratorio ha avuto scarsa

visibilità sui mezzi di comunicazione italiani; in questo senso gli

studiosi parlano di una lunga fase di latenza, protrattasi sino alla

fine degli anni Ottanta. Tra le poche ricerche che hanno

esaminato la trattazione giornalistica dell’immigrazione durante

tale fase, la più significativa è quella effettuata da Mahmoud

Mansoubi sulle pagine locali de “La Nazione” nel decennio

1978-198734. La delimitazione dell’indagine alle pagine di

cronaca cittadina poggia sull’ipotesi che la presenza di immigrati

abbia un diverso impatto sociale in relazione agli specifici

interessi socio-economici dei contesti locali; partendo da questa

considerazione, Mansoubi ipotizza “l’esistenza di

“atteggiamenti” tendenzialmente differenti rispetto agli

immigrati, specie fra le testate giornalistiche maggiormente

legate alle realtà locali”35. Inoltre, durante la fase di latenza la

maggior parte degli articoli relativi agli immigrati sono collocati

proprio nelle pagine locali dei quotidiani.

Per la sua indagine, Mahmoud Mansoubi ha preliminarmente

costruito un campione dei 3490 numeri de “La Nazione”

pubblicati dal primo gennaio 1978 al 31 dicembre 1987; sono 34 Mahmoud Mansoubi, Noi, stranieri d’Italia. Immigrazione e mass-media, Maria Pacini Fazzi Editore, Lucca, 1990. 35 Ibidem, pag.76.

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stati quindi selezionati 6 numeri per ciascun mese, ottenendo un

campione composto da 720 esemplari. In questo modo, si sono

individuati 370 servizi giornalistici utili alla ricerca, che

Mansoubi ha analizzato nella duplice prospettiva sincronica e

diacronica. Dalla lettura sincronica è emerso che il 69,5% degli

articoli riguardanti i cittadini originari del Terzo Mondo

appartiene al genere “cronaca nera”. Nel 66,5% dei casi, inoltre,

la fonte della notizia è di tipo giudiziario; Mansoubi sottolinea lo

scarso contributo di altre fonti (ad esempio quelle politico-

amministrative e associazionistiche) e lo collega principalmente

al basso livello di interesse mostrato da Enti Locali e associazioni

verso la presenza di immigrati. Tuttavia, ciò “non

giustificherebbe completamente il giornale che (…) avrebbe

potuto variare maggiormente le fonti “scavando” nei risvolti, per

così dire, sociali degli eventi anziché limitarsi semplicemente ai

dispacci dei tribunali e della polizia36”. La prevalenza degli

articoli di cronaca nera, unita al fatto che circa ¾ delle persone a

cui ci si riferisce sono presentate come colpevoli degli episodi

riportati, tende a rafforzare la sub-immagine di straniero

delinquente.

Un’altra caratteristica degli articoli è la forte specificazione della

nazionalità dei soggetti trattati, soprattutto nelle notizie relative a

fatti delittuosi; in tal senso è frequente la sostantivazione

dell’aggettivo che esprime la “diversità” delle persone 36 Ibidem, pag.100.

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provenienti dal Terzo Mondo, mentre la nazionalità dei cittadini

provenienti dai paesi occidentali è appena menzionata nei servizi

e raramente viene sostantivata.

Per quanto riguarda lo status socio-giuridico dei soggetti

nominati, solo nel 7% dei casi si parla di “migranti”, nel 18,9%

sono genericamente definiti “in posizione irregolare” e spesso gli

articoli non riportano alcuna indicazione di status socio-

giuridico. La bassa frequenza relativa alla classe “migranti”

indica, da parte del giornale, il lento riconoscimento di una figura

diversa dal “turista”: il 1984 è il primo anno in cui “La Nazione”

utilizza parole come “immigrato” ed “emigrato”. L’informazione

appare incompleta anche in relazione allo status lavorativo,

infatti il 73,5% delle persone trattate appartiene alle classi

“dedito ad attività illecite” e “non specificato”. La mancata

connotazione degli immigrati come lavoratori non fa emergere

con chiarezza i motivi della loro presenza, “l’immigrazione

appare, perciò, non tanto l’inevitabile conseguenza di un certo

tipo di sviluppo economico (…) quanto una imposizione, o

meglio una fatalità, legata soprattutto alla posizione geografica e

di frontiera d’Italia nel bacino mediterraneo37”.

La lettura diacronica degli articoli selezionati ha permesso di

cogliere alcuni mutamenti nella trattazione giornalistica degli

immigrati; nel lungo periodo i servizi di cronaca hanno un

andamento lievemente decrescente, che si accompagna al 37Ibidem, pag.116.

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tentativo di variare maggiormente le fonti di informazione.

Mansoubi ritiene incoraggiante anche la tendenza al ribasso delle

frequenze relative agli immigrati colpevoli, unita al crescente

utilizzo della classe “altro” che include persone citate né come

“colpevoli” né come “vittime”.

Infine, la lettura diacronica ha evidenziato una progressiva

diversificazione dei luoghi menzionati parlando di immigrati: il

centro storico, pur rimanendo prevalente, viene affiancato da altri

quartieri fiorentini, nel presumibile intento di ampliare il campo

di osservazione sul fenomeno immigratorio.

2.2 Dal giornalismo alla fiction, le tante “voci”

sull’immigrazione nella fase di emergenza.

Alla fine degli anni Ottanta termina la fase di latenza, a cui

subentra la fase di emergenza: una serie di eventi richiama

l’attenzione dei mass-media sull’immigrazione nel nostro paese.

Questa fase è stata oggetto di un’ampia analisi diretta da Carlo

Marletti38 che si distingue per la capacità di mettere a fuoco le

tante “voci” che si sono espresse sull’immigrazione durante la

fase di emergenza, infatti viene presa in considerazione non solo

l’informazione stampata e televisiva, ma anche altri generi di

offerta del piccolo schermo come la fiction e la pubblicità.

38 Carlo Marletti, Extracomunitari. Dall’immaginario collettivo al vissuto quotidiano del razzismo, Eri-Vqpt, Torino, 1991.

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Marletti giustifica tale impostazione affermando che “la

pubblicità, il cinema, il “giornalismo”, lo sport, danno origine a

forme di televisione che (…) possono differenziarsi anche in

modo sensibile proprio nel modo di trattare o affrontare lo stesso

stato-di-cose, lo stesso nucleo simbolico, lo stesso evento-

tema39”. Tra l’altro, il volume “Extracomunitari” costituisce il

primo risultato delle indagini condotte presso l’Osservatorio del

flusso informativo della stampa e della televisione attivato

all’Università di Torino; all’interno di tale Osservatorio nel 1990

è stato avviato un filone di ricerca sull’immigrazione, segno di un

crescente interesse verso l’argomento da parte del mondo

accademico.

Per quanto riguarda l’informazione stampata, Marletti aveva già

osservato40 che il tema dell’immigrazione ha vissuto una fase di

latenza piuttosto lunga, e in “Extracomunitari” lo dimostra

elaborando i dati dell’archivio elettronico de “La Stampa”, scelto

perché è l’unico quotidiano nel nostro paese a disporre di un

archivio che risale fino al 1982. Quell’anno i lettori de “La

Stampa” potevano leggere al massimo una ventina di titoli

relativi all’immigrazione nel corso di un trimestre, pari cioè a

meno di una notizia ogni quattro giorni. Alla fine del 1984 sono

rintracciabili circa settanta titoli a trimestre, e questo basso

livello di attenzione caratterizza anche il 1986. Marletti sottolinea 39 Ibidem, pag.106. 40 Carlo Marletti, Mass media e razzismo in Italia, in Democrazia e diritto, anno 30°, n.6, 1989, pp.107-125.

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che l’anno in cui si è passati da una trattazione sporadica ad una

più costante è stato il 1987, iniziato con la promulgazione della

legge 943 sull’immigrazione. In tale occasione emerge

l’inesperienza nell’affrontare l’argomento, infatti i giornalisti

prendono spunto dalle code degli stranieri davanti alle questure

per scrivere articoli “dal tono ancora folkloristico e piuttosto

disinformato”41. Nello stesso anno l’inesperienza fa anche

perdere ai giornalisti alcune occasioni preziose per parlare di

immigrazione, come nel caso del naufragio tra la Sicilia e la

Tunisia del peschereccio Massimo Garau. Nonostante a bordo vi

fossero quindici marinai clandestini di origine africana, questo

aspetto rimane sullo sfondo della vicenda, che si preferisce

trattare come un giallo, il giallo della “nave dei misteri”. Secondo

Marletti la fase di emergenza inizia nell’aprile 1988, con i buoni

risultati ottenuti da Le Pen alle elezioni presidenziali in Francia;

ciò stimola l’interesse dei media verso l’immigrazione, ma il

tema viene sviluppato in un’unica direzione: “nelle redazioni

delle maggiori testate, la parola d’ordine diventa quella di darsi

da fare, fiutare in giro, scovare casi nascosti o palesi di

“comportamento razzista” da parte degli italiani”42. Per di più, in

mancanza di fatti più gravi, l’attenzione viene concentrata su

avvenimenti d’ordine simbolico, come l’esito di un sondaggio

condotto tra i liceali di Roma e di Genova che avrebbe fatto

41 “Extracomunitari” , pag.63. 42 Ibidem, pag.67.

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emergere atteggiamenti razzisti. Quando poi, nella capitale,

alcuni teppisti obbligano una donna eritrea a cedere il suo posto

su un bus, ai giornalisti appare l’episodio ideale per cimentarsi in

deprecazioni e far recitare agli italiani il mea culpa. La ricerca

esasperata di storie di razzismo appare una forzatura, come ha

osservato Luciano Gallino: “forse in Italia si sta esagerando. A

scorrere le prime pagine dei quotidiani italiani di questi giorni,

par quasi di vivere nell’Alabama degli anni trenta se non nella

Baviera del 1938”43 .

Dopo poche settimane il tema diventa autoreferenziale, infatti i

giornali riportano soprattutto le dichiarazioni dei politici, facendo

diminuire l’interesse del pubblico. Nell’agosto del 1989

l’uccisione di Jerry Essan Masslo, sudafricano residente a Villa

Literno per la raccolta dei pomodori, catalizza l’attenzione dei

giornali, ad esempio “La Stampa” dedica tre-quattro notizie al

giorno nel mese di settembre. Anche in questo caso, tuttavia,

prevale la tendenza alla costruzione simbolica dell’evento e

all’autoreferenzialità: le condizioni di vita degli extracomunitari

in Italia interessano i giornalisti per pochi giorni, poi i riflettori

si spostano sugli aspetti celebrativi (in primo luogo i funerali di

Stato offerti a Jerry Masslo) e sulle dichiarazioni di politici e di

esponenti delle associazioni.

Poco dopo l’omicidio di Villa Literno, l’équipe di ricerca

torinese ha iniziato un’osservazione sistematica dei programmi 43 Luciano Gallino, “Il razzismo immaginario”, in La Stampa del 1° giugno 1988.

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televisivi, con l’obiettivo di quantificare l’offerta di notizie sul

tema degli immigrati extracomunitari. L’osservazione è stata

effettuata per cinque settimane, dal 1° ottobre al 4 novembre

1989, periodo scelto non solo perché nel mese di ottobre

riprendevano programmi sospesi durante l’estate, ma anche

perché il 7 ottobre era stata convocata a Roma una

manifestazione nazionale di protesta contro il razzismo e di

rivendicazione dei diritti degli immigrati. Ciò “rappresentava una

buona occasione per studiare l’intenzionalità del palinsesto

televisivo, ossia per verificare in quale misura non soltanto

l’informazione, per sua natura più flessibile dal punto di vista

della programmazione e delle routines, ma anche programmi di

altro genere e in particolare i programmi di intrattenimento

potessero venire modificati (…) in relazione ad un tema nella

fase montante di un ciclo di attenzione”44. Durante le cinque

settimane prescelte sono stati registrati tutti i programmi andati in

onda dalle ore 18 alle ore 24 sui tre canali Rai ed i tre della

Fininvest, con la sola eccezione di “Nonsolonero” che è stato

registrato malgrado il diverso orario (infatti andava in onda alle

ore 14.45) per la sua attinenza tematica ai fini della ricerca. Da

questa osservazione è emersa la varietà di programmi televisivi

che hanno trattato argomenti relativi all’immigrazione,

all’identità razziale e alla discriminazione. Le tre reti Rai hanno

affrontato questi temi nei telegiornali (proponendo in media una 44 “Extracomunitari” , pag.71.

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notizia e mezzo al giorno) negli speciali (uno ogni sei giorni in

media) e in vari programmi di attualità, come “Mixer” e

“Samarcanda”. Anche le tre reti Fininvest, nonostante in quel

periodo non avessero telegiornali, si sono occupate degli

argomenti che ci interessano in più occasioni, all’interno di

programmi che spaziano dal “Maurizio Costanzo show” fino a

“Emilio” e “Nonsolomoda”. Questi dati mostrano la permeabilità

del palinsesto televisivo a un tema di attualità come quello

dell’immigrazione, di cui tuttavia continua ad essere privilegiato

il sottotema del razzismo, mentre vengono trattati più

sporadicamente altri aspetti importanti tipo l’adattamento

culturale degli immigrati e le iniziative di solidarietà nei loro

confronti. Tralasciando questo limite, l’elemento positivo da

sottolineare è la posizione di aperto antirazzismo rintracciabile

nell’offerta televisiva, in cui sono stati trovati ben pochi casi di

ambiguità e nessuno di razzismo palese.

L’osservazione sistematica ha permesso di individuare alcune

caratteristiche del giornalismo televisivo; la prima consiste

nell’uso improprio dei verbali delle questure e dei referti redatti

nel pronto soccorso degli ospedali. Ricorrendo a tali fonti “il

rischio del cronista inesperto o trascurato è in primo luogo quello

delle trasposizioni schematiche (…) appiattendo il profilo dei

fatti e banalizzandoli o conferendo ad essi una rilevanza che non

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hanno”45. Verbali e referti medici, tuttavia, contengono

informazioni preziose per il cronista, come le generalità dei

protagonisti delle vicende, che invece i giornalisti tendono a non

riportare, optando spesso per generalizzazioni come

“extracomunitario”. Marletti ha notato anche la scarsa

tematizzazione del fenomeno immigratorio, ricordando che

tematizzare non vuol dire semplicemente trattare un tema ma

“sviluppare un apprendimento conoscitivo o formarsi un giudizio

riflessivo sopra un evento o un problema”46. Al contrario, il

giornalismo televisivo ricorre di frequente a immagini

stereotipate dell’immigrazione che non contribuiscono a fornire

nuovi elementi di conoscenza. Ciò è stato riscontrato anche in

vari programmi di attualità e talk show andati in onda nel periodo

di osservazione (come “Samarcanda”, “I racconti del 113”,

“Maurizio Costanzo show”) che spesso hanno proposto lo

stereotipo dell’immigrato povero ed emarginato, offrendo a noi

spettatori storie ed immagini di stranieri che frequentano strade

periferiche, sotterranei di metropolitana, stazioni ferroviarie. A

questo proposito Massimo Ghirelli puntualizza che è “difficile

non essere banali, ripetitivi, anche con i migliori intenti. Ci sono

pochi che sono molto visibili e tanti che sono invece poco

visibili, o del tutto invisibili. Non è soltanto questione di occhio

45 Ibidem, pag.80. 46 Carlo Marletti, Prima e dopo. Tematizzazione e comunicazione politica, Eri-Vqpt, Torino, 1985, pag.9.

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(…) ci sono anche condizioni oggettive, condizioni

materialmente nascoste”47.

Carlo Marletti ha sottolineato che tale rappresentazione

stereotipata contribuisce, tra l’altro, a rafforzare l’idea del “nero

come debole da proteggere”, presente nei programmi di attualità

e nei talk show. In diversi casi, infatti, i conduttori della

trasmissione hanno assunto il ruolo di “paladini” che difendono i

soggetti deboli (gli immigrati) spesso attingendo alla retorica e ai

toni comunicativi propri di un antirazzismo facile. Marletti

ritiene che questo tipo di antirazzismo sia molto rischioso,

poiché, ignorando di fatto “l’esperienza di chi abita e lavora nelle

grandi periferie suburbane, nei centri storici degradati o nelle

campagne della disoccupazione e della povertà endemiche”48,

crea un divario tra le prese di posizione dei media e il vissuto

della gente, con il possibile effetto di rafforzare la circolazione di

pregiudizi ostili agli stranieri.

E’ stato anticipato che l’équipe di ricerca torinese si è interessata

di fiction, partendo dal presupposto che “ la produzione di

immaginario (…) può avere una funzione essenziale nell’aiutarci

a pensare ai problemi in termini nuovi, anticipandoli e

prefigurandoli in maniera creativa e non pregiudiziale”49. Il

47 Massimo Ghirelli, Immigrati brava gente, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 1993, pag.21. 48 Carlo Marletti, I media, la circolazione dei “rumori” e le idee ostili verso gli stranieri, in I barbari tra noi. Problemi sociali e culturali dell’immigrazione, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta, 1998, pag.71. 49 “Extracomunitari”, pag.8.

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56

periodo prescelto per l’analisi della fiction va dal settembre 1989

all’agosto 1990; durante questo anno sono stati analizzati sia i

film a tema (ossia quelli che avevano come tema esplicito la

multirazzialità, i problemi di identità etnica, il razzismo o

l’antirazzismo) sia i film di repertorio (quelli che presentavano

elementi significativi di connotazione razziale nello sfondo,

oppure che avevano come protagonista o co-protagonista un

attore appartenente ad una minoranza etnica) andati in onda sulle

reti Rai e Fininvest. Dall’esame è emersa una costante offerta di

fiction razziale nel corso dell’anno, infatti gli spettatori potevano

trovare ogni settimana film a tema (due film il 94% delle

settimane) e film di repertorio (mediamente più di un film ogni

settimana). E’ interessante notare che i film a tema non si

distribuiscono uniformemente durante l’anno considerato, ma

hanno un andamento altalenante con picchi corrispondenti a

periodi in cui si sono verificati eventi eccezionali, come la

manifestazione nazionale convocata a Roma dopo l’uccisione di

Jerry Masslo e la promulgazione della legge Martelli.

Riprendendo un concetto già definito, questo andamento

metterebbe in luce un certo livello di “intenzionalità del

palinsesto”, cioè la capacità di adattare la programmazione in

relazione ad eventi che sensibilizzano il pubblico verso

determinati fenomeni o problemi. Marletti precisa che

l’intenzionalità del palinsesto trova dei limiti non solo nei tempi

di programmazione (generalmente lunghi) ma anche nella

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disponibilità di determinati film nel magazzino, poiché “i film

disponibili inevitabilmente rispecchiano il divario tra modelli e

problemi, immaginario e vissuto, in quanto sono stati prodotti a

volte anche parecchio tempo prima”50. Quest’ultimo elemento è

risultato particolarmente evidente nell’analisi di un anno di

fiction, infatti la maggior parte dei film a tema narrava storie di

ebraismo e antisemitismo, oppure rappresentava situazioni e

problemi nordamericani. In entrambi i casi, si tratta di realtà

difficilmente rapportabili al vissuto del pubblico italiano, per tale

motivo Carlo Marletti in “Extracomunitari” lamenta la mancanza

di film su immigrazione e razzismo più adeguati alla specificità

del nostro paese.

Il volume in esame dedica un capitolo alla cosiddetta televisione

post-razziale, corrispondente a manifestazioni sportive e

musicali, a servizi sul mondo della moda e ad un certo tipo di

spot pubblicitari (i più emblematici sono quelli di “United Colors

of Benetton”). Questa “altra metà del video”, come l’hanno

definita i ricercatori torinesi, si fonda su criteri culturali post-

razzisti secondo i quali “la differenza è un valore propulsivo per

un modello di socialità fondato sul consumo (per sua natura

egualitario), sul successo (che premia l’individualità, l’estrosità,

la specificità) (…) sulla bellezza”51. La televisione post-razziale,

pur non proponendo un modello esplicito di società multietnica, è

50 Ibidem, pag.60. 51 Ibidem, pag.114.

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apprezzabile perché introduce nelle case degli italiani

un’originale “rappresentazione simbolica” della differenza.

2.3 I vizi ricorrenti dell’informazione stampata e televisiva

nei primi anni Novanta.

L’Osservatorio di Torino ha continuato la sua attività tramite una

serie di ricerche che si sono concentrate sull’offerta informativa

di stampa e televisione riguardo all’immigrazione e alle relazioni

interetniche. Nel febbraio 1992 sono stati esaminati per tre

settimane i telegiornali serali ed i programmi di attualità e di

informazione delle tre reti Rai, delle tre reti Fininvest e di

Telemontecarlo. Questa indagine ha mostrato che l’argomento

immigrazione è diventato una presenza quotidiana del contesto

informativo, ad esempio nei telegiornali sono stati individuati

complessivamente più di tre riferimenti al tema ogni giorno. La

trattazione costante, tuttavia, si accompagna a “vizi” ricorrenti

che la ricerca ha messo a fuoco; un primo elemento consiste nel

fatto che la maggioranza delle notizie proposte riguarda episodi

di criminalità e devianza. Quando poi gli immigrati sono vittime

di atti di violenza, o in caso di diritti violati, “scatta (…) un

atteggiamento difensivo di prima istanza, ovvero una forma di

antirazzismo facile che si attiva quasi come un automatismo e

che sceglie una posizione di parte senza indagare troppo sugli

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aspetti del problema”52. Accanto all’antirazzismo facile, già

emerso nelle ricerche precedenti, l’indagine del 1992 segnala la

diffusione di un atteggiamento più cauto di antirazzismo

prudente, adottato dai giornalisti soprattutto nell’affrontare casi

caratterizzati da forti tensioni sociali. Marinella Belluati sostiene

che la ragione di questo nuovo atteggiamento vada ricercata

principalmente nel mutato clima di opinione verso gli immigrati:

eventi come “l’emergenza albanesi” hanno contribuito a

diffondere forme di chiusura e di diffidenza che i media non

possono ignorare.

La ricerca ha ribadito la scarsa capacità di approfondimento

tematico, che sarà ulteriormente confermata negli studi

successivi. Nel 1992 la carenza di approfondimento relativa al

mondo dell’immigrazione è stata riscontrata pur in presenza di

diverse trasmissioni che hanno affrontato l’argomento, e può

essere colta specificando alcune modalità di trattazione ricorrenti.

Molte trasmissioni hanno invitato esperti e uomini politici, oltre a

persone comuni, per articolare un dibattito utile ad una migliore

comprensione del fenomeno immigratorio. La qualità dei dibattiti

risulta però modesta, poiché sono prevalse discussioni litigiose

che hanno soddisfatto un’esigenza di spettacolarizzazione tipica

di certi programmi. I litigi e gli insulti hanno lasciato poco spazio

ad un autentico processo di approfondimento, che tuttavia è 52 Marinella Belluati, Il Paladino, il Prudente, il Facilone, il Cantastorie. Le maschere del giornalismo sul razzismo in TV, in Marinella Belluati, Giorgio Grossi, Eleonora Viglongo, op.cit., pag.125.

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risultato limitato anche in programmi caratterizzati da toni più

pacati. Marinella Belluati ricorda, ad esempio, la trasmissione di

Raidue “Il coraggio di vivere” che in tre settimane si è occupata

di immigrazione due volte, senza mai arrivare alla rissa ma

neppure problematizzando adeguatamente i temi, impegnandosi

con molta più efficacia a lanciare appelli di solidarietà verso gli

immigrati.

Durante le tre settimane di indagine, i programmi di attualità

hanno ospitato frequentemente gli immigrati, dando la parola

soprattutto a persone che hanno vissuto esperienze dolorose; in

questo modo le storie raccontate hanno contribuito poco ad

approfondire il tema generale dell’immigrazione, ad eccezione di

programmi come “Nonsolonero” e “Missione Reporter” che

hanno saputo utilizzare le esperienze degli immigrati per fornire

informazioni ed elementi interpretativi nuovi. Un’ulteriore prova

di limitato approfondimento può essere individuata nella scarsa

attenzione dedicata ai contesti di origine degli immigrati,

mostrati prevalentemente in trasmissioni di tipo documentaristico

come “Mediterraneo”.

Riportando queste carenze, Marinella Belluati si domanda

“quanto la televisione sia veramente in grado di svolgere questo

compito fino in fondo, o se la sua funzione non sia più che altro

quella di proporre spunti di approfondimento senza dar vita a

processi di vero approfondimento cognitivo, troppo complessi,

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forse, per essere affrontati soprattutto in video”53. Il guaio è che

“fuori dal video” la situazione appare analoga, come hanno

dimostrato alcune ricerche sull’informazione stampata condotte

nei primi anni Novanta. Ad esempio un’indagine effettuata sui

principali quotidiani italiani da aprile ad agosto 199154 ha

evidenziato un’insufficiente trattazione dei rapporti tra Nord e

Sud del mondo, grave perché l’immigrazione “resta in gran parte

un fenomeno sfuggente e incomprensibile se non viene collocata

nel contesto che la produce, cioè i rapporti tra Nord e Sud, tra

paesi ricchi e paesi poveri del mondo” 55. Durante i cinque mesi

di rilevazione sono stati individuati 129 articoli, la maggior parte

dei quali ha trattato i rapporti Nord-Sud in un’ottica fortemente

eurocentrica, lasciando poco spazio al punto di vista dei paesi del

Sud. La stessa indagine ha esaminato due quotidiani esteri, “Le

Monde” e “El Pais”, che hanno mostrato una maggiore capacità

di approfondimento rispetto ai quotidiani italiani: in cinque mesi

hanno dedicato 203 articoli alla problematica del rapporto Nord-

Sud, prestando una significativa attenzione alla situazione interna

dei paesi del Sud e al tema della cooperazione.

In alcuni casi, lo scarso approfondimento si unisce alla

stigmatizzazione del “pericolo straniero”, come è avvenuto

53 Ibidem, pag.143. 54 I risultati di tale indagine sono riportati in Giorgio Grossi, Ignorare la relazione, ovvero come tematizzare a vuoto il rapporto Nord-Sud nel mondo, in Marinella Belluati, Giorgio Grossi, Eleonora Viglongo, op.cit. 55 Enzo Schiavina, L’Antenna di Babele 2 - Media, società-mondo, formazione, Anabasi, Milano, 1995, pag.62.

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durante l’esodo albanese verso le coste italiane nel 199156.

All’inizio i quotidiani hanno dipinto gli albanesi come un popolo

storicamente vicino a noi, riproponendo anche lo stereotipo degli

“italiani brava gente”, solidali e generosi verso i più sfortunati. In

breve tempo, però, la stampa ha presentato un’immagine molto

diversa degli albanesi, descrivendoli progressivamente come una

“minaccia” per il Belpaese e definendo “irriducibili” quelli più

decisi a non rimpatriare. Contemporaneamente, i quotidiani

hanno dedicato poca attenzione alla realtà sociale e politica

dell’Albania, proponendo solo 19 articoli di approfondimento in

5 mesi.

La stigmatizzazione dei “pericolo straniero” è stata colta da

Jessika ter Wal analizzando il linguaggio di quotidiani e stampa

periodica dal novembre 1989 al giugno 1990, vale a dire nel

momento dell’introduzione della legge Martelli57. La ricercatrice

olandese ha individuato le metafore e le parole più utilizzate dai

giornalisti italiani parlando di immigrazione, a cominciare da una

serie di immagini che la descrivono come un fenomeno continuo

e inarrestabile. A questo proposito, Jessika ter Wal cita il

frequente uso del termine “flusso”, accanto al quale vengono

spesso inseriti aggettivi come “massiccio”, “incessante”,

“incalzante”. In alternativa, sui giornali possiamo leggere di

56 Le informazioni che seguono sono tratte da Giorgio Grossi, Distinguere tra buoni e cattivi per esorcizzare la “minaccia” vicina o lontana, in Marinella Belluati, Giorgio Grossi, Eleonora Viglongo, op.cit. 57 Jessika ter Wal, Il linguaggio del pregiudizio etnico, in Politica ed Economia, anno 35°, n.4, 1991, pp.33-48.

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“onda” o “ondata” migratoria, a volte in coppia con aggettivi tipo

“incalcolabile”. Queste parole rimandano all’immagine di acqua

che non si sa come fermare e che può “sommergere” le nostre

città. Talvolta viene usata la metafora dell’esercito, ad esempio

parlando di “esercito dei clandestini”, e a questa metafora si

collega il concetto di invasione, che suggerisce una posizione

ostile nei confronti degli immigrati. Nei giornali troviamo

riferimenti all’invasione terzomondista (Jessika ter Wal

sottolinea che il suffisso “ista”evoca un gruppo organizzato) e

agli “assalti” negli uffici stranieri delle questure. Le diverse

metafore possono trovarsi nello stesso articolo: “L’ondata della

immigrazione deve essere fermata, naturalmente. Altrimenti si

rischia di affogare, altrimenti saremo invasi” (La Stampa,

21/12/1989). In alcuni casi queste metafore vengono affiancate a

cifre e statistiche sugli immigrati, “per dare un’idea di oggettività

e allo stesso tempo per attirare l’attenzione del pubblico su dati

che dimostrano un sensibile aumento degli immigrati” 58. La

ricercatrice olandese si è soffermata anche sulle immagini che

indicano come sottrarsi all’invasione, ad esempio si può

“arginare l’afflusso di stranieri”, “non spalancare le porte”,

“chiudere la fortezza (europea)”. Tutte le immagini individuate

concorrono a descrivere l’immigrazione come un pericolo per il

nostro paese, con il rischio di generare ansia e preoccupazione

nei lettori. 58 Ibidem, pag.43.

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64

2.4 Un originale case study sulla stampa modenese.

A Modena è stata esplorata l’influenza della stampa locale sulle

opinioni e rappresentazioni dei modenesi riguardo gli immigrati

presenti nella loro città59. Per raggiungere questo obiettivo, si

sono raccolti gli articoli usciti sui tre quotidiani modenesi (Il

Resto del Carlino, La Nuova Gazzetta di Modena, l’Unità)

dall’agosto 1990 al gennaio 1992, inserendoli poi in un database

costruito con lo scopo di individuare la frequenza di trattazione

dei vari argomenti. La ricerca è proseguita somministrando a

180 modenesi un questionario con aree tematiche simili a quelle

del database; infine sono stati intervistati i rappresentanti delle

comunità extracomunitarie di Modena, che hanno espresso i loro

giudizi sul modo in cui la stampa locale parla di loro.

Durante il lungo periodo preso in esame, nei tre quotidiani locali

sono apparsi 725 articoli sui diversi aspetti dell’immigrazione.

L’argomento trattato con maggior frequenza è quello relativo alla

casa; i 381 articoli che hanno affrontato tale argomento si sono

concentrati su aspetti emergenziali, come i centri di accoglienza,

le occupazioni e gli sgomberi di edifici abbandonati.

Coerentemente a questa offerta informativa, i modenesi

sottoposti a questionario hanno affermato che per gli immigrati è

molto difficile trovare un’abitazione, e che di norma occupano 59 Nico Caponetto, Macchie di inchiostro, ARCI, Modena, 1992.

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case o fabbriche abbandonate. Anche se gli interpellati hanno

indicato l’osservazione diretta e non i quotidiani come fonte

principale di informazione, si può comunque denunciare

l’incompletezza delle notizie riportate sugli organi di stampa.

Infatti, a fronte di innumerevoli articoli dedicati a “l’emergenza

casa”, pochissimo è stato scritto su intere famiglie che alloggiano

in abitazioni dignitose e sui lavoratori immigrati che pagano alti

affitti per vivere in appartamenti piccoli e degradati.

I quotidiani modenesi hanno pubblicato 168 articoli riguardanti

episodi di cronaca nera, che possono aver indotto

l’omologazione di tutti gli immigrati ai protagonisti di questi

episodi, dato che oltre il 90% dei modenesi è convinto che esista

una connessione tra problemi di ordine pubblico e presenza di

cittadini extracomunitari. Secondo Nico Caponetto, i quotidiani

facilitano tale omologazione anche omettendo di riportare storie

legate alla normale quotidianità vissuta da tanti immigrati.

Il 14% circa delle informazioni prodotte si riferisce

all’ integrazione, termine con il quale sono stati classificati gli

articoli inerenti agli aspetti religiosi delle diverse etnie, alle

iniziative culturali, all’istruzione. Per quanto riguarda le

religioni, il questionario chiedeva di indicare quali fossero

professate dagli immigrati; le risposte hanno denotato una grande

confusione sull’argomento, ad esempio il 62% degli intervistati

esclude che pratichino la religione cattolica, puntando su fedi più

“lontane” come l’induismo e il buddismo. La scarsa conoscenza

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su questi temi è collegabile a vari motivi, inclusa l’inadeguatezza

dell’insegnamento scolastico, tuttavia i quotidiani non hanno

contribuito ad una maggiore conoscenza pubblicando soltanto tre

articoli relativi agli aspetti religiosi. Sul tema della scuola sono

incentrati 12 articoli, pochi per avvicinare i modenesi ad

un’articolata realtà; infatti la maggioranza degli intervistati ha

indicato l’osservazione diretta come principale fonte di

informazione. La stampa ha invece contribuito a pubblicizzare le

iniziative culturali promosse dagli immigrati visto che, tra chi le

conosce, la maggior parte afferma di esserne stata informata dai

quotidiani.

Nell’arco di tempo esaminato sono apparsi 86 articoli su episodi

di intolleranza, violenza o teppismo a danno di cittadini

extracomunitari. Nonostante quasi l’80% dei modenesi

interpellati abbia dichiarato di conoscere tali episodi, oltre la

metà di loro non sa dire se in città siano presenti gruppi o partiti

politici razzisti. L’autore di “Macchie di inchiostro” sottolinea

che questa incertezza dei modenesi si scontra con le componenti

razziste della Lega Nord e del Msi, e commenta: “di fronte

all’immagine quasi sempre problematica che gli organi di

informazione riproducono della presenza di immigrati a Modena,

il dubbio che la richiesta di rimandare a casa gli stranieri non sia

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una forma di razzismo (…) ma la difesa della propria tranquillità,

può farsi strada”60.

I quotidiani hanno dedicato 50 articoli al lavoro degli immigrati,

fornendo quindi non molte notizie su un mondo particolarmente

dinamico basato su un’ampia richiesta di manodopera a bassa

qualifica. Gli stessi modenesi dichiarano di aver raccolto

informazioni soprattutto dall’osservazione diretta, mediante la

quale si sono convinti che gli immigrati trovano lavoro con

difficoltà. Probabilmente gli interpellati si riferiscono agli

stranieri disoccupati visti per strada e nei parchi, che “colpiscono

l’immaginario collettivo più di quanto non riesca a fare una

informazione scarsa”61. I pareri dei modenesi divergono dalla

realtà anche per quanto riguarda le attività sindacali svolte dai

lavoratori extracomunitari; l’84% del campione, infatti, ha

riposto di non essere a conoscenza di tali attività, mentre i dati

forniti da Cgil, Cisl e Uil indicano che circa 3000 immigrati

hanno aderito ai sindacati. Questa discrepanza è collegabile,

ancora una volta, alle carenze della copertura giornalistica: i

modenesi hanno potuto leggere solo tre articoli sull’argomento.

Infine, quando i quotidiani hanno parlato di sanità, si sono quasi

sempre riferiti a situazioni di emergenza, persuadendo i modenesi

del fatto che gli immigrati utilizzano il pronto soccorso,

disdegnando invece i medici di base, i consultori e gli specialisti.

60 Ibidem, pag.45. 61 Ibidem, pag.33.

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I dati riportati mostrano che i tanti articoli scritti hanno proposto

una rappresentazione incompleta dell’immigrazione, dominata da

situazioni problematiche ed emergenziali. Anche da questa

ricerca, inoltre, è emerso un basso livello di approfondimento,

visto che le inchieste rappresentano solo il 3,6% dell’intero

volume informativo. Un ultimo aspetto rilevante attiene all’uso

limitato delle testimonianze degli immigrati, che hanno potuto

esprimersi soltanto in 63 articoli. I ricercatori modenesi hanno

concluso la loro indagine intervistando proprio i rappresentanti

delle comunità di immigrati, per raccogliere le loro opinioni sulla

stampa modenese. I giudizi espressi sono molto polemici, e ad

essere criticato è soprattutto l’ampio spazio dedicato agli aspetti

negativi dell’immigrazione, mentre le storie di migliaia di

immigrati che vivono e lavorano “tranquillamente” non

raggiungono mai le pagine dei giornali. Inoltre viene puntato

l’indice contro le generalizzazioni utilizzate dai giornalisti (ad

esempio quando parlano di “tunisini” o “marocchini”) che

portano il lettore ad esprimere giudizi negativi su interi popoli

anziché sui singoli protagonisti delle cronache. I rappresentanti

degli immigrati ritengono indispensabile che la stampa locale

spieghi i motivi della loro presenza a Modena, e che contribuisca

a divulgare le diverse culture di cui sono portatori.

Mi piace concludere parafrasando le parole di Lisa Rahmani

Latifa, perché rimandano al senso di responsabilità che dovrebbe

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69

guidare i giornalisti: informare meglio significa aiutare gli

italiani a conoscere gli immigrati.

2.5 La rappresentazione ansiogena degli immigrati nella

stampa.

Nei primi anni Novanta era già stata rilevata la tendenza della

stampa a presentare l’immigrazione come una pericolosa

minaccia per l’Italia (cfr. paragrafo 2.3); in anni più recenti

alcuni studiosi hanno approfondito la questione, proponendo

interessanti riflessioni.

Alessandro Dal Lago sostiene il ruolo decisivo della stampa

nell’alimentare la paura verso gli immigrati, intendendo

sociologicamente per paura “l’interpretazione e la legittimazione

collettiva di indizi più o meno arbitrari di pericolo come prove

indiscutibili di una minaccia alla stabilità o all’esistenza di una

società”62. Dal Lago ha descritto il processo di elaborazione di

una simile paura nei confronti degli immigrati; tale processo si

basa su un “sapere di fondo” che egli ritiene ampiamente diffuso

nella società, secondo il quale gli stranieri costituiscono una

minaccia perché genericamente criminali e clandestini. I

giornalisti confermano di continuo questo “sapere di fondo”

riportando frequentemente notizie di reati commessi da

62 Alessandro Dal Lago, La tautologia della paura, in Rassegna Italiana di Sociologia, Il Mulino, Bologna, 1999, pag.9.

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immigrati, e realizzando sondaggi ed inchieste che evidenziano

la preoccupazione e le proteste dei cittadini, nonché le loro

sollecitazioni verso il mondo politico. I rappresentanti politici

intervengono non solo intessendo accesi dibattiti

sull’immigrazione, ma anche proponendo misure legislative o

amministrative “urgenti”, che ribadiscono il frame dominante.

“E’ così- afferma Dal Lago- che “l’emergenza immigrazione”,

cresciuta come una sorta di magma o “blob” politico-mediale in

anni recenti, è divenuta una verità indiscutibile”.63

Anche Alessandra Naldi si è occupata dell’allarme sociale

attorno alla presenza straniera in Italia, specificando come venga

fomentato a partire dai singoli episodi di cronaca nera.64. Le

considerazioni di Naldi sono maturate nel corso di un’indagine

condotta su “Corriere della Sera” e “La Repubblica” per due anni

(1993 e 1995) seguita dall’analisi di alcuni fatti di cronaca nera

riportati dai quotidiani negli anni successivi. In base a queste

ricerche, Alessandra Naldi sostiene che il primo passaggio nella

costruzione dell’allarme sociale consiste nello spostare

l’attenzione dagli immigrati protagonisti dei casi di cronaca

all’intera categoria degli immigrati. Ciò avviene modificando

gradualmente la definizione delle persone coinvolte: all’inizio

vengono usate denominazioni neutre (come “giovani” e

63 Ibidem, pag.23. 64 Alessandra Naldi, “Clandestini” e “criminali”? La costruzione giornalistica dell’allarme sociale attorno alla figura dell’immigrato straniero in Italia, in Giuseppe Scidà (a cura di), I sociologi italiani e le dinamiche dei processi migratori, Franco Angeli, Milano, 2000.

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“uomini”) oppure basate sulla violenza compiuta (ad esempio

“aggressori” e “stupratori”) ma con il passare dei giorni

prevalgono termini quali “immigrato”, “extracomunitario”,

“clandestino”. Inoltre, gli articoli di cronaca vengono affiancati a

tabelle e a pezzi relativi alla presenza straniera in Italia, nei quali

è introdotta una netta distinzione tra immigrati regolari e gli altri ,

che i quotidiani definiscono indifferentemente clandestini e

criminali. Naldi ha poi evidenziato la frequente associazione tra

tema dell’immigrazione e tema dell’insicurezza urbana,

realizzata mediante l’accostamento di articoli sui due argomenti

oppure parlando di immigrazione all’interno di articoli sulla

sicurezza in città. Infine, i giornali ospitano le opinioni di uomini

politici e di altri attori significativi, come i leaders dei comitati di

quartiere. Gli intervistati possono anche esprimere punti di vista

contrastanti su specifici aspetti dell’immigrazione, ma

generalmente concordano sul fatto che si tratta di un fenomeno

emergenziale. Il consenso dei diversi attori su questa definizione

è importante perché, interagendo con i meccanismi della stampa

precedentemente individuati, contribuisce a costruire l’allarme

sociale attorno agli immigrati. Alessandra Naldi sottolinea che la

sua indagine non consente di puntualizzare gli effetti della

stampa, infatti per questo occorrerebbe prendere in

considerazione i lettori dei quotidiani e i loro processi di

decodifica e reinterpretazione degli articoli. Tuttavia la

ricercatrice ritiene improbabile che vi siano effetti diretti e

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immediati, mentre evidenzia l’importanza degli effetti di lungo

periodo sulla rappresentazione della realtà dominante nella

società.

L’immagine ansiogena degli immigrati è emersa nitidamente nel

corso di uno studio effettuato dal primo maggio al 31 luglio 1996

sulla stampa romana65; consultando 17 testate sono stati raccolti

396 articoli, numero che “non fa certo dell’immigrazione uno

degli argomenti più importanti fra quelli trattati nella stampa,

anche se (…) sicuramente risulta superiore alle aspettative anche

degli addetti ai lavori”66. Il grado di interesse verso il tema

sembra comunque testimoniato dalla visibilità conferita ai titoli

che lo riguardano, in media pari a 3,6 colonne. L’analisi tematica

dei titoli rappresenta un buon punto di partenza per delineare

l’immagine degli immigrati veicolata dalla stampa; raggruppando

i temi in categorie di significato omogeneo, risultano prevalenti i

titoli incentrati su sicurezza e ordine pubblico (46% dei titoli)

seguiti a distanza da quelli relativi a vita e problemi urbani

(20%). Poca attenzione viene riservata ai servizi di sostegno

all’integrazione (11%) e ancora meno alla cultura

dell’integrazione, cioè ad argomenti come la multiculturalità, il

binomio tolleranza/intolleranza, la solidarietà. In rare occasioni i

titoli richiamano temi di carattere più ampio, quali la politica

65 Raffaele Bracalenti, Claudio Rossi, L’immagine dell’immigrato e dell’immigrazione attraverso la stampa quotidiana: una ricerca empirica svolta nell’area romana, in Raffaele Bracalenti, Claudio Rossi (a cura di), Immigrazione l’accoglienza delle culture. Dalla scuola ai mass media esempi concreti di intercultura, EdUP, Roma, 1998. 66 Ibidem, pag.111.

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73

dell’immigrazione e il fenomeno immigratorio in generale.

Risultati analoghi sono pervenuti dall’analisi degli articoli, che

tuttavia si differenziano per lo stile generalmente più equilibrato

rispetto a quello dei titoli, e per i maggiori riferimenti alla

situazione personale degli immigrati, specificabile ad esempio

nella “regolarità/irregolarità della permanenza” e nella “capacità

di inserimento” nella società romana. Questi dati mettono in luce

la tendenza a trattare ampiamente gli aspetti problematici

connessi all’immigrazione, lasciando invece poco spazio ai

risvolti meno patologici del fenomeno.

Focalizzando l’attenzione sui soggetti menzionati negli articoli, è

stato rilevato il protagonismo degli immigrati, accanto ai quali

compaiono soggetti locali (primi fra tutti il Sindaco e il Comune

di Roma) e istituzioni di natura non locale, tra cui spiccano le

Forze dell’ordine. Praticamente assenti risultano gli abitanti di

Roma, le sue forze produttive e il mondo politico; ciò, insieme

alla scarsa correlazione tra i programmi locali e l’immigrazione,

sembra proporre “un modello di mondi separati: da una parte

l’immigrato lasciato nella sua condizione di straniero ed

estraneo; dall’altra, la città, che continua a procedere per la sua

strada (…) senza percepire quale significato strategico (gli

immigrati) abbiano nel futuro di questa città”67. La stampa tende

poi a rappresentare in modo conflittuale i rapporti tra immigrati e

Forze dell’ordine: i primi agiscono a danno della città, le seconde 67 Ibidem, pag.117.

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colpiscono i comportamenti socialmente devianti degli

immigrati. Le azioni del Comune di Roma, viceversa, vengono

presentate come benefiche per i nuovi cittadini, cosicchè

complessivamente si ricava l’impressione che la città possa

svolgere un ruolo positivo verso gli immigrati, mentre in poche

occasioni la stampa sottolinea l’arricchimento e le conseguenze

positive per la città che l’immigrazione porta con sé.

2.6 Lo stato dell’arte.

Le attuali modalità di rappresentazione degli immigrati nei mass-

media sono state oggetto di una ricerca nell’ambito del progetto

Tuning into Diversity, finanziato dall’Unione Europea e

realizzato in Italia con il contributo del Ministero dell’Interno e

dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni68. Tale ricerca

ha esaminato i programmi televisivi, la stampa quotidiana e

periodica per una settimana campione al mese da maggio a

settembre 2001; i dati relativi alla televisione sono stati

aggiornati mediante una seconda rilevazione effettuata

nell’ultima settimana di settembre 200269.

Tra tutti i programmi andati in onda durante l’intera giornata

sulle reti Rai, le reti Mediaset e Telemontecarlo, poi diventata

68 Censis, Tuning into Diversity. Immigrati e minoranze etniche nei media, Censis, Roma, 2002. 69 Censis, L’immagine degli immigrati e delle minoranze etniche nei media, Censis, Roma, 2002.

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La7, sono stati analizzati i telegiornali, le rubriche dei TG, i

rotocalchi di “costume e società”, le inchieste, i dibattiti con

argomento socio-politico e i programmi specifici

sull’immigrazione. Un primo dato emerso dall’analisi è che le

notizie e le trasmissioni relative all’immigrazione sono

concentrate tra le ore 7 e le ore 12 della mattina, cioè in una

fascia oraria che ha un’audience molto inferiore rispetto alla

fascia serale. Le tre reti Rai hanno mandato in onda oltre il 60%

dei programmi e delle notizie complessive sull’argomento che ci

interessa, mentre le tre reti Mediaset si attestano intorno al 30%.

Telemontecarlo, poi diventata La7, ha aumentato la trattazione

delle tematiche connesse all’immigrazione, passando dal 4,8%

del 2001 a quasi il 12% nel 2002.

Le indagini hanno evidenziato che la composizione per genere

degli immigrati visibili sul piccolo schermo non rispecchia la

realtà, infatti in oltre l’80% dei casi si tratta di uomini, mentre in

Italia il rapporto tra maschi e femmine è molto meno sbilanciato

(54,2% di maschi e 45,8% di femmine). Anche l’età delle

“presenze televisive” si discosta dai dati reali, con un

sovradimensionamento degli immigrati tra zero e 18 anni ed un

sottodimensionamento di quelli tra 19 e 65 anni; durante i periodi

di osservazione, inoltre, è comparso un unico immigrato ultra

65enne, per di più in “Un mondo a colori”, trasmissione atipica

visto che attualmente è l’unico spazio di approfondimento dei

temi legati all’immigrazione.

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76

Passando ad identificare i programmi in cui appaiono persone

immigrate, l’elemento più significativo consiste nell’assoluta

predominanza dei telegiornali. Nelle settimane analizzate fra

maggio e settembre 2001 i telegiornali hanno ospitato il 95,4%

degli immigrati presenti in televisione, mentre nel settembre

2002 la percentuale è scesa all’88,3%, perché la nuova legge

sull’immigrazione ha acceso un intenso dibattito politico di cui si

sono interessati i rotocalchi di costume e società oltre che le

rubriche dei TG. All’interno dei telegiornali, nel 2001 il 90,8%

delle notizie riporta episodi di cronaca (soprattutto cronaca nera)

in cui sono coinvolti immigrati; nel 2002 si assiste ad un aumento

degli argomenti di politica interna, coerentemente con il dibattito

politico che caratterizzava quel periodo. Nonostante ciò, la

cronaca ha rappresentato l’80,9% dello spazio concesso agli

immigrati. Il ruolo rispetto all’episodio narrato è prevalentemente

un ruolo all’interno di una vicenda negativa che significa, in

concreto, presentare l’immagine del “povero immigrato” (vittima

ad esempio di discriminazione o di intoppi burocratici) oppure

quella dello straniero criminale. Comparando i dati del 2001 con

quelli del 2002, è emerso un aumento consistente delle “notizie

neutre”, che riportano azioni non etichettabili in termini di

positivo e negativo; i ricercatori del Censis hanno interpretato

tale variazione come un segnale del fatto che il fenomeno

immigratorio sta finalmente diventando una questione ordinaria,

anche se soltanto ulteriori ricerche potranno confermare la

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stabilità di questa tendenza. In entrambe le rilevazioni sono

risultati completamente assenti gli immigrati oggetto di

un’azione positiva, mentre i protagonisti di simili azioni nel 2002

passano dal 7 al 3,3%.

La ghettizzazione degli immigrati nell’ambito della cronaca

comporta, nella maggioranza dei casi, il riferimento a individui

specifici; spesso ciò avviene mediante una personalizzazione

senza la persona, ossia si definisce l’immigrato innanzitutto

citandone la nazionalità. In questo modo non viene enfatizzata

l’individualità del soggetto, che sembra rappresentare un’intera

categoria. Alcune definizioni dipendono dagli umori e dal clima

del momento, ad esempio nel 2002 si è parlato molto di

“clandestini”, in linea con le polemiche di allora, invece nel 2001

lo stesso termine era stato utilizzato in poche occasioni. Nelle

due indagini, infine, sono risultate rare le definizioni che possono

avere un senso dispregiativo, come “straniero”, “immigrato”, e

anche la definizione di “extracomunitario” sembra essere caduta

in disuso.

Esaminando gli argomenti affrontati in televisione, nel 2001

primeggia la voce “criminalità/illegalità”, seguita da

“assistenza/solidarietà”; l’anno successivo è stata notata una forte

presenza di “clandestini”, insieme ad un certo interesse verso la

legislazione sul tema dell’immigrazione. I temi appaiono,

dunque, connessi agli episodi contingenti, ma complessivamente

vi è una scarsa varietà di argomenti trattati; in particolare la

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televisione sembra poco interessata agli aspetti più quotidiani del

fenomeno immigratorio, come il lavoro, e a quelli meno

estemporanei, come il tema generale dell’immigrazione. I

contesti più frequenti nei quali sono inseriti gli immigrati

risultano le comunità di appartenenza e il mondo criminale; i

ricercatori del Censis hanno sottolineato che i riferimenti alle

comunità di appartenenza sembrano isolare gli immigrati in un

mondo a parte, e che l’associazione alla criminalità rientra nella

tendenza ad accostare immigrazione e delinquenza. Dopo i

tragici fatti dell’11 settembre 2001 si è affermato un altro

contesto di appartenenza, sintetizzabile sotto la voce

rappresentanti del mondo islamico. Qualunque sia il contesto,

nello stile di trattazione prevale la modalità descrittiva, ideale per

raccontare episodi di cronaca; nel 2002 aumentano i commenti e

le interpretazioni, che accompagnano il clima politico di cui si è

parlato, ma ciò non smentisce la scarsezza di approfondimento

che caratterizza la trattazione televisiva del fenomeno

immigratorio. Le rilevazioni, inoltre, hanno messo in evidenza

che agli immigrati sono offerte poche opportunità di esprimersi

in prima persona: di solito vengono soltanto citati, raramente

sono intervistati e quasi mai consultati in qualità di esperti.

L’analisi realizzata nel 2001 ha esaminato anche le fiction di

produzione italiana e gli spot pubblicitari andati in onda sul

piccolo schermo. Durante le settimane di osservazione, in 72

fiction sono comparsi personaggi stranieri (immigrati o persone

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di origine etnica minoritaria) concentrandosi nelle soap opera e

nei telefilm di Canale 5 e di Rai 3. Di solito i personaggi stranieri

sono non protagonisti o comparse, ma nel 10,4% dei casi

risultano comprimari delle storie narrate. Vengono spesso

tratteggiati come personaggi positivi, rivestendo per lo più ruoli

stereotipati tipo il cameriere e il musicista. Quando non è

“buono”, lo straniero incarna la tipologia opposta del “cattivo”;

la visione manichea del mondo e la stereotipizzazione, tuttavia,

non interessano soltanto i personaggi stranieri, infatti sono

caratteristiche tipiche dell’intero linguaggio fictional. In

generale, si può dire che tali dati si discostano dalle

considerazioni riportate in una precedente indagine (cfr.

paragrafo 2.2). In quell’occasione, infatti, era stata sottolineata la

carenza di film contenenti riferimenti all’immigrazione italiana,

mentre l’indagine più recente mostra che la fiction domestica si

sta interessando al tema, coinvolgendo nelle sue trame anche

persone straniere.

Come anticipato, nel corso del 2001 si sono analizzati 32 spot

pubblicitari in cui compaiono personaggi stranieri. In questo caso

sono state confermate le osservazioni precedentemente avanzate

(cfr. paragrafo 2.2), cioè il fatto che la pubblicità rappresenta uno

spicchio di televisione post-razziale, capace di alludere ad un

dialogo alla pari tra etnie diverse.

Infine, nell’ambito del progetto Tuning into Diversity è stata

presa in considerazione l’immagine dell’immigrato nella stampa

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quotidiana e periodica. Per quanto riguarda la stampa quotidiana,

si sono individuati 1230 articoli, pubblicati prevalentemente sui

quotidiani locali. La stampa quotidiana sembra proporre una

rappresentazione degli immigrati analoga a quella televisiva,

infatti anche i giornali tendono a parlare dell’immigrazione in

riferimento a episodi di cronaca, privilegiando gli argomenti

connessi alla criminalità e all’illegalità, e presentando gli

stranieri come vittime oppure come criminali. Non sono

comunque da sottovalutare le differenze tra le varie testate, ad

esempio Il Sole 24 Ore e Il Manifesto si distinguono per aver

trattato l’argomento in un ampio ventaglio di sezioni tematiche,

dalla politica interna fino gli articoli di società e di cultura. I 46

articoli rintracciati nella stampa periodica presentano

un’immagine in parte diversa degli immigrati, in quanto essi

vengono inseriti in contesti maggiormente diversificati: non solo

il mondo criminale e della giustizia, ma anche la comunità di

appartenenza, il mondo del lavoro e quello politico. Inoltre, sono

importanti le lettere e le testimonianze ospitate nei periodici,

perchè possono agevolare la conoscenza e il dibattito

sull’immigrazione. La stampa periodica è invece accomunata alla

stampa quotidiana per i rari approfondimenti dedicati al tema.

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CAPITOLO TERZO

LA TELEVISIONE DEGLI IMMIGRATI

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3.1 La storia e il successo di “Nonsolonero”, primo

programma di approfondimento sull’immigrazione.

Il 1988 rappresenta una data importante per l’informazione

relativa al fenomeno immigratorio, poichè nel novembre di

quell’anno viene avviata la rubrica del Tg2 “Nonsolonero”, che è

stato il primo programma interamente dedicato

all’approfondimento dei temi legati all’immigrazione nel nostro

paese.

“Quasi un milione di immigrati, non solo neri: ai problemi del

difficile rapporto fra diverse culture nel nostro paese, alla

progressiva trasformazione della nostra società in una società

multietnica, è dedicato un nuovo spazio del Tg2, ideato da

Massimo Ghirelli”. Con queste parole, il 19 novembre 1988, il

“Radiocorriere” presenta “Nonsolonero”, trasmesso il sabato alle

ore 14,45 e successivamente la domenica alle 13,30.

Negli anni precedenti Massimo Ghirelli aveva presentato più

volte il progetto ai direttori di rete e dei telegiornali dei tre canali

Rai, che lo respingevano ritenendo eccessivo mettere in

palinsesto uno spazio fisso in cui parlare di argomenti che,

presumibilmente, avrebbero interessato poche persone. La

perseveranza di Ghirelli viene infine premiata nel 1988, quando

Roberto La Volpe, direttore del Tg2, accetta il suo progetto.

Massimo Ghirelli ripresenta la proposta in un periodo particolare,

corrispondente alla citata fase di emergenza: il verificarsi di una

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serie di eventi richiama l’attenzione dei mass-media

sull’immigrazione in Italia (cfr. paragrafo 2.2).

Il programma nasce con lo scopo di “accompagnare” gli

spettatori alla scoperta dei tanti aspetti dell’immigrazione; ciò è

sintetizzato efficacemente da uno slogan ricorrente nelle puntate

– “andiamo a conoscerli” – che fa davvero pensare ad un

viaggio all’interno di un mondo poco conosciuto e poco

frequentato.

Nella rubrica del Tg2, dalla prima puntata, si possono

individuare diversi elementi innovativi, a cominciare dalla scelta

di far condurre la trasmissione a Maria de Lourdes Jesus, nata a

Capo Verde e giunta in Italia nel 197170. Ghirelli affida la

conduzione a Maria de Lourdes poichè la ritiene “una persona

esperta e professionalmente valida, in grado di diventare un

punto di mediazione, di immagini e contenuti, tra il pubblico

italiano e quello degli immigrati”71. Maria de Lourdes non è

l’unica immigrata coinvolta nella realizzazione di

“Nonsolonero”, infatti tale trasmissione è il frutto di una stretta

collaborazione tra italiani e stranieri. Fin dall’inizio i curatori del

programma hanno invitato in redazione i rappresentanti delle

comunità di stranieri, e questi incontri sono stati utili per

individuare i temi più importanti da affrontare, ma anche per

70 Maria de Lourdes Jesus ha raccontato la sua esperienza migratoria nel libro Racordai.Vengo da un’isola di Capo Verde, Sinnos Editrice, Roma, 1996. 71 Marinella Belluati, Quando “loro” prendono la parola. Verso un’ipotesi di informazione multiculturale, in Marinella Belluati, Giorgio Grossi, Eleonora Viglongo, op.cit., pag. 105.

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ricevere critiche e suggerimenti. Nella terza serie della rubrica,

inoltre, viene inserita la collaborazione fissa del professore

tunisino Karim Hannaci, in qualità di esperto del mondo arabo.

La presenza fissa di stranieri non si è spinta oltre quella di

Hannaci e di Maria de Lourdes poichè non era possibile

utilizzare troppi collaboratori esterni alla redazione del

telegiornale. Tuttavia, come si è detto, è sempre stato mantenuto

un filo diretto con le comunità di immigrati, anche chiamando in

studio numerosi ospiti stranieri.

Il coinvolgimento continuativo degli immigrati rappresenta un

elemento di grande novità nel panorama informativo italiano,

all’interno del quale “manca (...) sostanzialmente il punto di vista

degli immigrati, la loro partecipazione diretta ai processi di

produzione informativa”72. Viceversa, l’interazione tra autoctoni

e stranieri rende “Nonsolonero” la prima vera esperienza di

televisione multietnica.

Il programma ideato da Ghirelli si differenzia dall’informazione

solitamente offerta dai media per l’attenzione riservata alla scelta

delle immagini mandate in onda: le telecamere di “Nonsolonero”,

riprendendo gli immigrati nei loro molteplici contesti di vita,

hanno evitato di incorrere nello stereotipo dello straniero che

frequenta esclusivamente i luoghi più fatiscenti delle città. Gli

stessi realizzatori del programma riconoscono che le riprese

hanno costituito una delle maggiori difficoltà iniziali, superata 72 Ibidem, pag.100.

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grazie allo sforzo costante di reperire immagini nuove sul mondo

dell’immigrazione. Tale sforzo, tra l’altro, ha contribuito a

riprodurre visivamente l’eterogeneità del fenomeno

immigratorio, caratteristica spesso celata da una rappresentazione

monotona e parziale.

La rubrica del Tg2 dedica molta attenzione anche al linguaggio

utilizzato, ad esempio evitando di dare del tu alle persone

straniere intervistate (prassi tuttora utilizzata da alcuni giornalisti

italiani) e di contrapporre “noi” a “loro”.

La scaletta del programma è piuttosto strutturata, infatti ogni

puntata propone un servizio sul tema scelto, una scheda

informativa che approfondisce il tema, un notiziario sugli eventi

più importanti e sulle iniziative culturali, editoriali ed artistiche

programmate in Italia per i giorni successivi. Molti servizi

vengono realizzati sotto forma di spot pubblicitari, nella

convinzione di catturare più facilmente l’attenzione del pubblico

tramite messaggi brevi e concisi che, oltre tutto, permettono di

utilizzare in modo intenso i 15 minuti a disposizione. La breve

durata della rubrica, tuttavia, rende difficile affrontare

esaurientemente un tema durante un’unica puntata; per questo

motivo i vari temi vengono proposti in più appuntamenti,

cercando ogni volta di metterne a fuoco un particolare aspetto.

L’impegno nell’approfondire gli argomenti trattati è emerso

chiaramente analizzando la terza serie di “Nonsolonero” (1990-

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1991)73. Tra i 42 servizi proposti in 30 puntate, il 18% affronta la

questione del mondo arabo sia valutandone l’impatto per l’Italia,

sia parlando dei paesi di origine. L’attenzione dedicata al mondo

arabo è collegabile con lo scoppio della Guerra del Golfo, evento

che ha fomentato sentimenti di diffidenza verso quel mondo. Una

percentuale elevata di servizi riguarda l’inserimento degli

immigrati nella società italiana; in particolare vengono presi in

esame aspetti problematici come la casa, il lavoro e la scuola.

Anche in questo caso la rubrica del Tg2 si discosta

dall’informazione tradizionale nella misura in cui vengono messi

in luce i problemi, ma anche le possibili soluzioni e le iniziative

esistenti. Ad esempio, per quanto riguarda l’istruzione sono stati

realizzati servizi sulle iniziative di pedagogia interculturale

portate avanti in alcune scuole italiane. Il riferimento di cronaca

più frequente nella terza serie della trasmissione è stato quello

relativo alla questione albanese; la redazione di “Nonsolonero” è

riuscita ad andare oltre i fatti di cronaca, presentando schede

sulla situazione socio-economica dell’Albania e affrontando il

tema più ampio delle migrazioni provenienti dall’Est europeo.

Ampio spazio viene dedicato alla dimensione artistico-culturale

del mondo dell’immigrazione, per esempio presentando la

musica africana moderna, risultato dell’unione tra ritmi

tradizionali e nuove tendenze occidentali. Servizi di questo tipo

sono importanti anche perchè contribuiscono ad attenuare l’idea 73 I dati relativi alla terza serie di “Nonsolonero” sono tratti da Marinella Belluati, op. cit.

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che il fenomeno immigratorio equivalga prevalentemente a

indigenza e a criminalità. D’altronde, “Nonsolonero” ha sempre

cercato di sottolineare gli aspetti positivi connessi

all’immigrazione; emblematici di questa tendenza sono i servizi

sulle iniziative di solidarietà e di accoglienza promosse nella

penisola, molto più numerosi rispetto a quelli che si sono

occupati dello sfruttamento e delle condizioni di vita miserabili

degli stranieri presenti in Italia. Nella terza serie di

“Nonsolonero” si è parlato pure delle esperienze di tanti italiani

emigrati all’estero, utili per riflettere sull’idea di una “storia

comune” che ci avvicina agli immigrati giunti nel nostro paese.

La trasmissione condotta da Maria de Lourdes Jesus ha riscosso

fin dall’inizio un grande successo tra il pubblico, facendo

registrare ottimi livelli di ascolto: tra il 1988 e il 1989

“Nonsolonero” è al settimo posto nella classifica dei 50

programmi maggiormente seguiti, con un ascolto medio

superiore ai 3 milioni di spettatori e uno share medio del 33%.

La rubrica ha raggiunto i suoi massimi livelli di ascolto nel

periodo in cui andava in onda la domenica poichè le persone,

libere da impegni di lavoro, trovavano più facilmente il tempo di

seguirla. Gli ascolti, tuttavia, si sono mantenuti alti anche nelle

ultime serie della trasmissione, che sono andate in onda il

giovedì. I dati disponibili sull’ascolto mostrano che molti giovani

la seguono, ed è un risultato inaspettato considerando il taglio

giornalistico-culturale di “Nonsolonero”. Il programma vanta un

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ascolto equilibrato tra nord e sud Italia, inoltre annovera una

buona percentuale di donne fra i telespettatori più affezionati.

Questa buona risposta del pubblico indica un interesse piuttosto

diffuso per i temi trattati, e conferma la validità di impostare la

trasmissione in modo dinamico e molto ritmato, ad esempio

usando spot e filmati brevi.

Il programma ideato da Massimo Ghirelli è riuscito ad ottenere

risultati significativi anche “fuori dal video”, diventando

promotore e punto di partenza di varie iniziative. Sulla base dei

materiali della trasmissione, arricchiti da video e filmati di

diversa provenienza, l’associazione MediaS (Media e Sviluppo)

ha proposto la Rassegna video “Nonsolonero”. La prima edizione

della Rassegna si è tenuta a Roma nel luglio 1989 ed ha avuto

larga diffusione in tutta Italia, partecipando a convegni, festival,

mostre e seminari di studio. La stessa sorte è toccata alla seconda

edizione della Rassegna, organizzata in contemporanea a Roma e

Milano nel giugno 1990. Dalle prime due edizioni è nato un libro

che raccoglie le schede relative ai video divise per temi e

comunità, arricchito da alcuni interventi di esperti del fenomeno

immigratorio74. Giunta nel 1991 alla sua terza edizione, la

Rassegna “Nonsolonero” si è confermata un utile strumento di

informazione e di sensibilizzazione sui temi connessi alla

74 Massimo Ghirelli (a cura di), Nonsolonero: rassegna video sull’immigrazione. Prima edizione luglio 1989, seconda edizione giugno 1990, Polistampa, Roma, 1990.

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presenza di comunità straniere in Italia75. In occasione della

Rassegna è stato presentato l’Archivio dell’immigrazione,

fondato a Roma dall’associazione MediaS e da Idoc

Internazionale; l’Archivio intende riunire e monitorare

l’informazione prodotta nel nostro paese sull’immigrazione, a

cominciare dall’ampio materiale prodotto nella redazione di

“Nonsolonero”.

Risulta difficile motivare la conclusione di questa rubrica del Tg2

che, oltre ad aver conquistato il pubblico italiano, costava poco

perchè utilizzava gli studi, la scenografia, gli operatori e il

materiale di supporto del telegiornale. In pratica le spese

consistevano negli stipendi delle persone che lavoravano a

“Nonsolonero” e nelle uscite della troupe. Tuttavia nel 1994,

quando Clemente Mimun è diventato il nuovo direttore del Tg2,

il programma non è più stato ripreso, senza alcuna spiegazione

per coloro che ci hanno lavorato per sei anni. Probabilmente la

fine di “Nonsolonero” si collega alla scelta di concedere ampi

spazi all’informazione più spettacolare, legata agli eventi, senza

dimenticare possibili motivazioni di tipo politico.

Ghirelli ha cercato di presentare proposte alternative circa

l’orario e la forma del programma, ma questi progetti non sono

stati presi in considerazione.

75 Massimo Ghirelli (a cura di), Nonsolonero: rassegna video sull’immigrazione. Terza edizione luglio 1991, Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per l’informazione e l’editoria, Roma, 1991.

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3.2 Nascita e sviluppo di “Un mondo a colori”.

La televisione italiana è tornata ad occuparsi con sistematicità del

fenomeno immigratorio nel 1999, con una trasmissione di Rai

Educational intitolata “Un mondo a colori”. La paternità del

programma spetta a Massimo Fichera, che lo ha ideato senza

avere in mente alcun “modello” di trasmissione italiana o

straniera sullo stesso argomento. Il programma ha sempre avuto a

disposizione 15 minuti attorno alle ore 10 su Raidue, da lunedì a

venerdì; questi appuntamenti all’inizio venivano utilizzati con

l’obiettivo esplicito di documentare la condizione degli stranieri

che arrivavano nel nostro paese a ritmo crescente. Marco

Sabatini76, attuale capo-progetto di “Un mondo a colori”, ricorda

che all’esordio della trasmissione il taglio dei servizi spesso

rifletteva gli atteggiamenti contrastanti degli italiani nei confronti

degli immigrati: alcuni servizi proposti, ad esempio, avevano un

taglio eccessivamente buonista, mentre altri presentavano

l’inserimento degli stranieri nella nostra società come un fatto

eccezionale.

Nel corso degli anni sono cambiate le persone che lavorano al

programma, così dopo il primo anno e mezzo Marco Sabatini ha

sostituito Gianni Bellisario in qualità di capo-progetto. Nel tempo

sono cambiati pure gli autori, “alcuni - sottolinea Sabatini - per

scelta nostra, altri perchè non si ritrovavano più nella linea del 76 Ho intervistato Marco Sabatini nella primavera del 2003.

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programma”. I cambiamenti più significativi, comunque,

riguardano il format e la linea editoriale della trasmissione.

In un primo, lungo, periodo “Un mondo a colori” ha proposto

una serie di servizi mandati in onda uno dopo l’altro, finchè nella

stagione televisiva 2001-2002 è stato realizzato un programma in

studio, con un conduttore che affrontava un tema a puntata

alternando servizi e interviste ad ospiti presenti nello studio. Per

condurre la trasmissione era stato scelto Jean Léonard Touadi,

nato in Congo, autore del programma fin dalla prima edizione; i

telespettatori più affezionati conoscevano già il conduttore,

infatti l’anno precedente era presente in video per lanciare i

servizi di ogni puntata. L’esperienza del programma condotto in

studio è durata un solo anno, poichè il capo-progetto e gli autori

hanno presto individuato vari elementi insoddisfacenti di quella

formula. In primo luogo, la conduzione da studio si è rivelata

piuttosto monotona e “triste” dal punto di vista estetico, che è un

aspetto importante per il mezzo televisivo. Inoltre, Sabatini

ricorda di aver detto che la faccia nera di Jean Léonard Touadi

era “diventata bianca”, nel senso che suscitava molte meno

emozioni rispetto agli anni precedenti, nei quali far apparire in

televisione un conduttore straniero poteva ancora risultare

positivamente provocatorio. Tuttavia, l’elemento che ha

maggiormente influito sugli sviluppi successivi del programma

consiste nella consapevolezza della complessità crescente

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dell’immigrazione, inadeguatamente rappresentata da un format

che consentiva di affrontare un unico tema a puntata.

Per superare questi limiti, “Un mondo a colori” è stato strutturato

come un magazine, “una formula - spiega Sabatini - che ci dà la

possibilità di parlare di tantissime cose”. In termini concreti, il

magazine si avvale di 25 rubriche, ciascuna delle quali tratta il

fenomeno immigratorio da una particolare prospettiva. Nella

rubrica “Protagonisti”, ad esempio, vengono raccontate le storie

di singoli immigrati, la rubrica “Invisibili” mostra aspetti meno

evidenti dell’immigrazione, mentre nella rubrica “Pagine” si

presentano libri che affrontano l’argomento. Le 25 rubriche

talvolta vengono affiancate da new entries che nascono per

seguire particolari eventi, come dimostra l’ideazione della

rubrica “Voci irachene” durante il conflitto del 2003. Questa

rubrica, che ospita interviste ad iracheni residenti in Italia,

esemplifica la tendenza del programma ad approfondire i fatti di

attualità evidenziandone gli aspetti meno noti al grande pubblico.

Trasformandosi in magazine, “Un mondo a colori” ha adottato

una nuova linea editoriale, infatti il focus è stato spostato dalle

condizioni di vita degli immigrati ad una lettura della loro

presenza in chiave interculturale. L’attuale realtà italiana offre

innumerevoli spunti in questo senso: dal vicino di casa a chi

lavora accanto a noi, dal vestito che si indossa al ristorante dove

mangiare. La prospettiva interculturale è diventata così

importante per gli autori di “Un mondo a colori”, da persuaderli

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che la migliore definizione del programma sia “rotocalco di

informazione interculturale”.

Un’altra caratteristica del magazine di Raidue consiste nel

ricorso sempre più frequente alla logica della serialità. Premesso

che la stessa articolazione del programma in rubriche costituisce

un dispositivo di serialità, sono stati prodotti servizi in cui opera

tale dispositivo. L’autrice Maria Sardu, per esempio, ha ideato

cinque domande sul significato e il valore da attribuire oggi

all’identità italiana, a cui hanno risposto trenta famosi personaggi

che spaziano da Alberto Bevilacqua a Vittorio Sgarbi, includendo

Carla Fracci. In questo modo sono nati trenta servizi che vengono

mandati in onda in puntate diverse. In maniera analoga Marco

Sabatini, che è anche uno degli autori di “Un mondo a colori”, ha

preparato alcune domande da rivolgere agli ambasciatori presenti

in Italia. Le domande riguardano gli studi e la carriera

diplomatica degli ambasciatori, i rapporti tra il loro paese di

provenienza e l’Italia, la situazione dei connazionali che sono

immigrati nel Belpaese. Le interviste permettono quindi di

sentire le “voci istituzionali” delle varie comunità, che di solito

trovano poco spazio nel panorama televisivo italiano. Inoltre, la

realizzazione di questi servizi ha intensificato la collaborazione

con le ambasciate, che inviano in redazione segnalazioni preziose

su eventi culturali organizzati con il loro contributo e sulle

associazioni di immigrati. I contatti più consolidati con le

comunità di stranieri, invece, sono il frutto di rapporti personali

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tra singoli immigrati e gli autori o i registi impegnati nella

trasmissione.

Per quanto riguarda gli ascolti, la formula del magazine ha

consolidato lo share sulla media del 6%, superando di un punto

l’obiettivo che la Rai ha assegnato alla trasmissione.

Generalmente vengono registrati ascolti molto più alti nei periodi

festivi, con punte che raggiungono l’11%. La media riportata si

riferisce alla consueta collocazione nel palinsesto mattutino di

Raidue, ma nella stagione televisiva 2001-2002 “Un mondo a

colori” ha iniziato a delinearsi come un programma interrete. In

quella stagione, infatti, hanno preso il via due nuovi

appuntamenti denominati “Un mondo a colori – Cinqueminuti” e

“Un mondo a colori – Speciale”. I “Cinqueminuti”, che prendono

il nome dalla durata del programma, sono andati in onda su

Raitre il sabato mattina. In tali spazi il telespettatore poteva

assistere ad interviste di vario genere; hanno preso la parola

personaggi del mondo artistico sui temi legati al confronto tra le

culture, ma anche immigrati che sono riusciti ad integrarsi e ad

utilizzare le loro competenze. La redazione di “Un mondo a

colori” realizza ancora interviste di questo tipo, inserendole però

all’interno del magazine. Gli “Speciali”, invece, durano mezz’ora

e sono dedicati all’approfondimento di singoli argomenti; essi

non hanno una collocazione fissa nella programmazione della

Rai, solitamente vengono mandati in onda su Raiuno oppure su

Raitre in orario serale.

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Il target di riferimento del programma include l’intero pubblico

televisivo, e le analisi condotte mostrano che questo obiettivo è

stato raggiunto, infatti “Un mondo a colori” è seguito da un

pubblico eterogeneo sia per età che per attività professionale.

Durante il nostro incontro, Marco Sabatini ha espresso il

desiderio di rafforzare i rapporti con i telespettatori, magari

attraverso il numero verde della trasmissione; finora tale numero

ha avuto pochi utenti, in genere stranieri in cerca di informazioni

sulla normativa italiana in materia di immigrazione. Ad ottobre,

la ripresa della trasmissione ha esaudito il desiderio di Sabatini,

mediante un uso alternativo del numero verde: durante il

programma, i telespettatori vengono invitati più volte a comporlo

per raccontare le loro storie.

3.3 Dietro lo schermo di “Un mondo a colori”.

Ho potuto osservare il tipo di lavoro che precede ogni puntata

messa in onda assistendo ad una riunione di redazione, svoltasi il

30 aprile 2003 presso il centro di produzione Dear della Rai. In

riunione erano presenti i cinque autori di “Un mondo a colori”

(Giovanni Anversa, Maria Chiara Martinetti, Marco Sabatini,

Maria Sardu e Jean Léonard Touadi) e le persone che lavorano in

redazione, occupandosi soprattutto delle molteplici incombenze

organizzative (Veronica Briganti, Federica De Micheli, Alberto

Polimanti, Agostino Pozzi). I quindici registi che collaborano alla

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trasmissione partecipano raramente alle riunioni di redazione,

poichè il loro lavoro li porta spesso lontani da Roma.

La riunione si è svolta in un clima informale e in certi momenti

scherzoso, testimoniando un buon affiatamento tra i membri del

gruppo di lavoro. Ciascun autore è giunto all’appuntamento con

una lista di spunti da cui partire per realizzare servizi, e nelle

settimane successive è stato interessante vedere in televisione

alcuni servizi proposti durante la riunione del 30 aprile. In

quell’occasione, Maria Chiara Martinetti ha suggerito di

realizzare un servizio su un residence romano in cui abitano

molti immigrati, pagando affitti elevati in cambio di appartamenti

piccoli e fatiscenti. L’autrice è venuta a conoscenza di questa

realtà parlando con i volontari di “Medici senza frontiere”, da

tempo impegnati ad individuare i bisogni urgenti dei residenti e a

porvi rimedio. Il servizio è andato in onda mercoledì 14 maggio

nella rubrica “Invisibili”, intitolato “Vita da formica”. Nel

servizio gli operatori di “Un mondo a colori”, seguendo con la

telecamera nascosta una volontaria di “Medici senza frontiere”,

entrano dentro gli appartamenti documentandone lo stato di

abbandono. La giovane volontaria commenta le immagini e parla

con gli immigrati, informandosi sulle carenze dei singoli

appartamenti e sul numero di persone che ci abitano. L’utilizzo

della telecamera nascosta è riuscita a soddisfare l’esigenza di

rendere visibile l’argomento del servizio; si tratta di un’esigenza

emersa più volte durante la riunione di redazione: i temi

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affrontati devono essere televisivamente validi, cioè devono

essere “illustrati” da immagini adeguate. Generalmente non

intercorre molto tempo tra l’ideazione e la messa in onda di un

servizio; nel caso di “Vita da formica” sono trascorsi 14 giorni,

talvolta ne passano molti meno. Il 30 aprile, ad esempio, gli

autori hanno deciso di seguire il tradizionale concerto romano del

primo maggio, andando a cercare gli stranieri presenti in piazza.

Da quell’idea è nato il servizio intitolato “Il loro primo maggio”,

in onda mercoledì 7 maggio nella rubrica “Diritti”; nel servizio

prendono la parola immigrati appartenenti a varie comunità,

spiegando quale senso attribuiscono alla Festa del Lavoro e se è

una ricorrenza celebrata anche nel paese di origine.

Le riunioni di redazione, che hanno cadenza settimanale, sono

l’occasione per vagliare tutti i servizi messi in cantiere,

valutandone lo stato di elaborazione raggiunto. Nella riunione

alla quale ho assistito, è stata prestata particolare attenzione ad

una speciale settimana della trasmissione, progettata in

collaborazione con la Fao. Questa settimana intendeva

sensibilizzare i telespettatori sulle dimensioni raggiunte a livello

mondiale dalla mancanza di cibo e di acqua, illustrando anche il

rapporto tra ricerca scientifica, alimentazione e salvaguardia delle

risorse naturali. Il team di “Un mondo a colori” ha concordato di

affrontare tali argomenti costruendo puntate con interviste ad

esperti ed esempi concreti, per le quali era necessario redigere

schede informative sui vari temi, scegliere gli speakers più adatti,

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montare le immagini in modo coerente ai testi. Il risultato di tutte

queste operazioni, di cui è stato parlato a lungo in riunione, si è

concretizzato nella settimana intitolata “Un mondo a colori per la

Fao”, andata in onda dal 20 al 23 maggio. I titoli delle puntate

(“Emergenza cibo”, “Emergenza acqua”, “Cibo per tutti” e

“Sicurezza alimentare”) hanno sintetizzato efficacemente i temi

approfonditi in ogni appuntamento. La scelta dei titoli è un

aspetto a cui viene riservata grande cura; durante la riunione di

redazione, ad esempio, è stato deciso il titolo per un servizio in

cui viene intervistata Samia Nkrumah, figlia di Kwame Nkrumah

che è il padre dell’indipendenza del Ghana. In un primo

momento è stato proposto il titolo “Era mio padre”, ma Maria

Sardu ha fatto notare che il verbo all’imperfetto non va bene,

poichè il ruolo paterno non viene inficiato dalla morte del

genitore. Così, il servizio è andato in onda giovedì 15 maggio

con il titolo “Mio padre”.

Nel costruire le singole puntate, un ruolo fondamentale è

rivestito dalla durata quotidiana del programma. Sottostare al

vincolo dei 15 minuti è relativamente semplice se la puntata

contiene un unico servizio, ma quando ospita due o tre servizi

significa impegnarsi in un autentico “gioco ad incastri”. Tutti i

partecipanti alla riunione, infatti, in più occasioni hanno provato

a sommare la durata dei servizi disponibili, cercando

combinazioni che rispettassero il tempo a disposizione. In alcuni

casi, inoltre, vengono collocati in un’unica puntata servizi che

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trattano lo stesso argomento. Nel corso della riunione è stato

anche deciso quando mandare in onda le puntate così costruite,

tuttavia il calendario settimanale può essere modificato,

soprattutto quando si desidera dare proprità ad una determinata

puntata.

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CAPITOLO QUARTO

ANALISI DI “UN MONDO A COLORI”

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4.1 Composizione del campione.

Per conoscere più a fondo il magazine di Raidue, sono state

registrate ed analizzate le puntate comprese tra il 10 gennaio e il

10 febbraio 2003. Durante questo mese la trasmissione è andata

in onda tra un quarto alle dieci e le dieci dal martedì al venerdì,

ma in due occasioni ha ceduto il suo spazio ad altri programmi;

pertanto, le puntate esaminate sono quindici, per un totale di

trenta servizi.

DATA RUBRICA TITOLO DEL SERVIZIO

SINTESI DEL SERVIZIO

Venerdì 10 Gennaio

Quotidianità Insieme Storie di amore e di amicizia tra italiani e stranieri

Martedì 14 Gennaio

Quotidianità Fusion Nella casa, negli accessori, nell’immagine, vengono mostrati i prodotti dell’incontro tra culture diverse

Mercoledì 15 Gennaio

1) Integrazioni

2) Eventi

3) Italiani

Indiani d’Italia Dialogo di suoni Identità

Visita al quartiere Esquilino di Roma, che accoglie commercianti e ristoratori indiani Il concerto di un complesso multietnico nella Basilica romana di Santa Maria in Ara Coeli Alberto Bevilacqua parla dell’identità italiana

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Giovedì 16 Gennaio

1) Integrazioni

2) Fatti

A lezione d’arabo Concorrenza cinese

Il comune di Prato promuove, insieme alla comunità islamica, corsi di lingua e cultura araba per i bambini di origine musulmana Prato: le imprese gestite da cinesi rappresentano una sfida imprenditoriale per gli industriali italiani

Venerdì 17 Gennaio

1) Protagonisti

2) Quotidianità

Mustafá café Diversity manager

Dopo tanti lavori, due fratelli albanesi hanno aperto un bar a Grassina L’Università Bocconi realizza, insieme all’Unione Industriali di Como, corsi di formazione rivolti ai lavoratori stranieri

Mercoledì 22 Gennaio

Vittime Guerre dimenticate

Panoramica sulle guerre che affliggono Sudan, Congo, Mozambico, Molucche, Azerbaigian, Yemen, Bolivia

Giovedì 23 Gennaio

1) Schermi

2) Invisibili

3) Schermi

Guerra e Pace Arrivi e partenze L’appartamento spagnolo

Il documentario “War and Peace”, del regista indiano Anand Patwardhan, raccoglie storie sull’assurdità del nucleare Roma, stazione Anagnina della metropolitana: i rumeni si danno appuntamento in questa area da dove partono furgoni diretti in Romania carichi di pacchi e persone Il film del regista Cédric Klapisch racconta le vicende di uno studente universitario parigino che trascorre un anno di studio a Barcellona, dividendo l’appartamento con sei ragazzi di differenti paesi europei

Martedì 28 Gennaio

1) Fatti

I nuovi emigranti

Sicilia, piana di Ribera: la crisi idrica, danneggiando fortemente la coltivazione di arance, costringe molte famiglie a lasciare l’Italia

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2) Riflessioni

3) Soloieri

Popolo di migranti Il grande viaggio

Il sociologo Enrico Pugliese presenta il suo libro “L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne” Viene proposto parte del filmato “Il grande viaggio – L’emigrazione italiana negli Stati Uniti”, realizzato da Franco Melandri nel 1963

Mercoledì 29 Gennaio

1) Fatti

2) Fatti

La nuova Rovigo La prima nata

I problemi degli immigrati giunti a Rovigo E’ una bambina bengalese la prima nata in Italia nel 2003

Giovedì 30 Gennaio

1) Protagonisti

2) Polis

3) Eventi

Top Model Poliziotto di quartiere Action machine

Khady, senegalese, racconta come è riuscita a realizzare il sogno di fare la modella lasciando il paese di origine Roma, quartiere Esquilino: i nuovi poliziotti di quartiere in una realtà multietnica La giapponese “Masashi Mishiro Jazz Company” unisce nella danza tradizione orientale e ritmi occidentali

Venerdì 31 Gennaio

Quotidianità Extraitaliani 1 Carlos, Maria, Karima, Sara, Victor. Le voci e i volti di una generazione multietnica

Martedì 4 Febbraio

1 Fatti Tornando in Salento

Vengono visitati alcuni centri di accoglienza dopo aver ricordato la storia dell’immigrazione in questa zona

Mercoledì 5 Febbraio

1) Fatti

2) Emozioni

3) Pagine

Noi siamo i poveri Amici Ondate senza ritorno

A circa 10 anni dalla fine dell’apartheid, il Sudafrica presenta nuove forme di divisione di tipo economico La storia di un’amicizia tra un professore italiano e un fotografo colombiano che convivono Il sociologo albanese Kosta Barjaba presenta il suo libro sull’emigrazione albanese

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“Ondate senza ritorno”

Giovedì 6 Febbraio

Quotidianità Extraitaliani 2 La quotidianità e i sogni di Carlos, Maria, Karima, Sara e Victor

Venerdì 7 Febbraio

1) Emozioni

2) Pagine

3) Protagonisti

Di mamma ce n’é una sola Guerre minime La mia Cuba

Un immigrato non riesce a far venire la madre in Italia perché la domanda di ricongiungimento è già stata presentata per la prima moglie del padre, sposato con due donne come consente la legge islamica Pierluigi Sullo presenta il suo libro “Guerre minime”, che ripercorre le indagini sul delitto di un marocchino avvenuto nel 1995 a Torino Parla Maria de Los Angeles Flórez, ambasciatrice di Cuba in Italia

4.2 Quindici puntate di “Un mondo a colori” sotto la lente di ingrandimento. L’inizio dell’analisi concerne alcuni aspetti comuni a tutte le

puntate di “Un mondo a colori”. Nella sigla del programma il

suono ritmico delle percussioni richiama l’attenzione dei

telespettatori, mentre sullo schermo rotea un mondo con la

superficie ricoperta dalle lettere dell’alfabeto, colorate e poste in

ordine casuale. Quindi appare il nome del programma e, subito

dopo, quello dei cinque autori. Parte della sigla si ripete alla fine

della trasmissione e separa le rubriche di ogni puntata.

Il titolo della rubrica precede il titolo del servizio, che di solito

compare insieme al nome del suo regista; non viene mai

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specificato, invece, quale autore ha curato il servizio. Durante i

filmati scorre in sovraimpressione la sintesi del tema affrontato.

Durante il mese di registrazione, la rubrica Fatti è risultata la più

frequente, proponendo complessivamente sei servizi. “Un mondo

a colori” utilizza questa rubrica per esplorare le realtà locali

interessate dal fenomeno migratorio, e per raccontare singoli

episodi relativi a tale fenomeno. Talvolta la rubrica getta lo

sguardo all’estero, con l’obiettivo di documentare la situazione

dei paesi maggiormente svantaggiati.

Tra i sei servizi registrati, ben tre raccontano l’impatto

dell’immigrazione in altrettante città o regioni italiane. In

particolare, il servizio intitolato “Concorrenza cinese” si occupa

di Prato, focalizzando l’attenzione sulle reazioni degli

imprenditori locali e dei pratesi all’ampia presenza di cinesi nel

settore dell’industria tessile e dell’abbigliamento. Come è tipico

di “Un mondo a colori”, vengono presentati i diversi punti di

vista sull’argomento; la concorrenza cinese viene giudicata un

fatto normale dal primo imprenditore italiano interpellato, mentre

un suo collega la ritiene accettabile solo se le regole sono

rispettate da tutti gli imprenditori.

Pure i cittadini pratesi esprimono giudizi eterogenei sui cinesi:

una signora li considera pericolosi perchè, dice, “ci portano via

lavoro e case”, ma poco dopo un concittadino li definisce “gente

per bene”. Il servizio propone il parere di un imprenditore cinese

e di un’insegnante proveniente da Taiwan, accomunati nella

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convinzione che gli stranieri solitamente si adattano alle norme

del luogo in cui giungono. Entrambi espongono questa

convinzione usando un italiano stentato, e ciò testimonia

l’abitudine del programma a far parlare in prima persona gli

immigrati anche quando la padronanza della nostra lingua è

limitata. E’ tipico della trasmissione, inoltre, riservare

un’attenzione particolare alla musica proposta durante i servizi;

in genere è scelta quella più adatta a sottolineare gli aspetti

salienti dei filmati. Nel caso di “Concorrenza cinese” viene

utilizzata prevalentemente musica tradizionale cinese, eccetto gli

ultimi minuti nei quali una musica occidentale moderna

accompagna l’ingresso della telecamera nel liceo “Rodari” di

Prato, frequentato da 55 cinesi. Luigi Nespoli, preside del liceo,

spiega che agli studenti cinesi viene insegnato l’italiano come

seconda lingua, poichè i loro risultati scolastici sono fortemente

condizionati dalla conoscenza della lingua italiana.

Le immagini dell’immigrazione salentina più frequenti sulle reti

televisive italiane si riferiscono agli arrivi di vecchie

imbarcazioni con troppe persone a bordo. Il servizio “Tornando

in Salento” si discosta da tale tendenza, infatti, dopo aver

ricordato la storia dell’immigrazione nella zona, vengono visitati

i centri di accoglienza “Don Tonino Bello” e “Lorizzonte”, ed il

centro di permanenza temporanea “Regina Pacis”. Il regista

Massimo Frittelli è riuscito a cogliere interessanti spaccati della

vita che si svolge dentro queste strutture: i telespettatori possono

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vedere e sentire un musulmano che, in arabo, richiama alla

preghiera gli altri fedeli, ed alcune ragazze intente ad ascoltare

allo stereo musica italiana, una canzone di Laura Pausini.

Una giovane ospite del centro “Regina Pacis”, con il viso

oscurato, racconta il viaggio notturno sul gommone che

dall’Albania l’ha portata in Italia, ricordando la paura provata e il

pianto inconsolabile dei bambini presenti a bordo.

Nel finale del servizio è sottolineata la necessità di individuare

strategie e percorsi di supporto per le persone che escono dai

centri di accoglienza, con lo scopo di agevolare un autentico

inserimento degli immigrati nella società italiana.

Ci spostiamo nel Veneto con “La nuova Rovigo”, servizio sulle

difficoltà in cui si imbattono gli stranieri giunti in città. Un primo

aspetto problematico consiste nella sistemazione dei nuovi

arrivati, poichè a Rovigo non esiste una casa di accoglienza. A

tale riguardo è emblematica la testimonianza di una donna

rumena: con voce preoccupata, racconta di non sapere dove

andare a dormire nei giorni seguenti, non potendo più rimanere

presso i frati che le hanno offerto ospitalità per un breve periodo.

Non è semplice neppure trovare un italiano disposto ad affittare

una casa agli immigrati e, quando la ricerca ha esito positivo, di

solito gli stranieri vivono in appartamenti in cattive condizioni.

La cecena Anastasia Votti lo conferma, mostrando il tetto

rovinato e l’unica camera da letto della sua casa abitata da otto

persone, sei bambini e due adulti. Il servizio si conclude

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nell’abitazione di un gruppo di senegalesi che avanzano la

richiesta, condivisa da molti immigrati, di essere rappresentati

nelle istituzioni locali.77

Il programma propone periodicamente ricette appartenenti a

culture diverse; nel servizio “La nuova Rovigo” un senegalese

illustra la ricetta di un piatto del suo paese a base di riso e di

pesce, che i telespettatori potrebbero essere invogliati a

sperimentare nelle loro case.

Si è accennato (cfr. paragrafo 3.2) che “Un mondo a colori”

tende ad approfondire i fatti di attualità, ed il servizio intitolato

“La prima nata” lo dimostra. Dopo aver presentato la prima

bambina nata in Italia nel 2003, e i suoi genitori bengalesi, il

servizio amplia il discorso intervistando la dottoressa Maria

Sorrentino, responsabile del reparto di ostetricia presso

l’ospedale palermitano Fatebenefratelli dove la bimba è venuta al

mondo. La dottoressa evidenzia alcune peculiarità delle

partorienti straniere: talvolta hanno difficoltà a comunicare in

una lingua diversa dalla propria, e spesso vogliono essere

assistite da personale medico di sesso femminile. La ginecologa

Mariarosa D’Anna ricorda che, proprio per soddisfare

quest’ultima esigenza, la notte del 31 dicembre 2002 in sala parto

c’erano solo donne.

77 Accogliendo tale richiesta, è stata prevista l’elezione dei Consigli Comunali e Provinciali degli Stranieri. A Firenze l’elezione di questi organi consultivi è avvenuta il 30 novembre 2003, con un’ampia affluenza alle urne degli immigrati.

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La rubrica “Fatti” presenta una realtà di odierna emigrazione

italiana nel servizio “I nuovi emigranti”, ambientato nella piana

di Ribera. Fino a pochi anni fa le arance costituivano la

principale fonte di reddito per questa area siciliana, però una

grave crisi idrica ne ha fortemente ridotto la produzione,

obbligando molte famiglie a trasferirsi in Germania.

L’impegno della rubrica ad osservare ciò che accade fuori dai

confini italiani è esemplificato nel servizio “Noi siamo i poveri”,

che fotografa l’attuale situazione del Sudafrica. Dopo la fine

dell’apartheid resta imponente il divario tra ricchezza e povertà,

sintetizzate dal contrasto tra il moderno quartiere Sandton, a nord

di Johannesburg, e la vicina baraccopoli di Alexandra, dove

abitano 400.000 persone. La causa principale del forte squilibrio

consiste nella mancata applicazione della riforma agraria che

avrebbe dovuto redistribuire la terra dai bianchi ai neri: dal 1994,

anno delle prime elezioni democratiche, ad oggi meno del 2%

della terra è stata redistribuita. Nel frattempo il Movimento dei

Senzaterra è diventato sempre più forte, fino a strutturarsi in

forma organizzata nel 2002. Durante il servizio assistiamo a balli

e canti che, nati nel periodo della lotta all’apartheid, sono ora

utilizzati per dare voce al Movimento dei Senzaterra.

Dal 10 gennaio al 10 febbraio 2003 sono andati in onda cinque

servizi della rubrica Quotidianità , dedicata ai risvolti più comuni

dell’immigrazione. Il servizio “Diversity manager” illustra le

iniziative promosse dall’Unione Industriali di Como per facilitare

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l’integrazione degli immigrati. Oltre ad organizzare corsi di

formazione in collaborazione con l’Università Bocconi, l’Unione

Industriali ha alleviato il problema abitativo dei lavoratori

stranieri grazie ad una convenzione con l’istituto che gestisce le

case popolari.

Con i servizi “Extraitaliani 1” ed “Extraitaliani 2” il programma

esplora l’esperienza immigratoria di cinque ragazzi poco più che

ventenni, giunti in Italia in tenera età. Nelle due puntate,

caratterizzate da rapidi cambi di immagine e da musica moderna,

la telecamera di “Un mondo a colori” segue i ragazzi nei loro

ambienti scolastici, lavorativi e ricreativi, documentando una

quotidianità assolutamente analoga a quella dei coetanei nati in

Italia, e un’ottima integrazione nel nostro paese. In questo senso

risulta appropriata la connotazione di extraitalianità suggerita nel

titolo delle puntate, tuttavia i cinque protagonisti si confrontano

con l’identità culturale del paese di origine: ad esempio Karima e

Sara, nate rispettivamente in Marocco e in Egitto, stanno

riscoprendo il mondo arabo frequentando l’Università di Lingue

e Civiltà Orientali. Pertanto, i ragazzi dichiarano di affiancare il

patrimonio culturale italiano ai valori e alla cultura del paese di

provenienza; solo Carlos si sente “unicamente italiano”, poichè

visitando Santo Domingo otto anni fa ha capito di essere ormai

estraneo allo stile di vita del luogo in cui è nato.

Nella prima parte del servizio intitolato “Insieme”, che occupa

l’intera puntata del 10 gennaio, Mahjouba Boutere racconta di

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essere venuta in Italia poichè in Marocco l’unica certezza

consisteva nel doversi sposare e, afferma, “non era quello che

avevo programmato per me stessa”. La giovane immigrata parla

della sofferenza vissuta da chi lascia la propria terra, dovuta al

fatto che “perdiamo tutto: abitudini, amici, parenti”. Mahjouba,

che adesso lavora come colf in una famiglia italiana, sostiene di

“recitare una parte diversa” a seconda dell’interlocutore, per

evitare di offendere le persone a lei care: quando sa di incontrare

una sua amica algerina molto religiosa, ad esempio, cambia il

modo di vestire adeguandosi agli usi dell’amica.

Il servizio prosegue presentando le storie d’amore di tre coppie

multietniche, senza omettere le difficoltà e i pregiudizi che

gravitano attorno ad esse. La mamma di Bianca, ad esempio,

confida di aver provato un vero e proprio shock apprendendo che

la figlia intendeva sposare Freddy, un ragazzo cubano, ma

ammette di aver superato la diffidenza iniziale conoscendolo e

apprezzandolo.

Una donna italiana, partner di un’americana, definisce l’Italia

come “Terzo mondo” dal punto di vista morale, infatti

“nonostante siamo entrati nel terzo millennio – dice – è ancora

difficile per la società accettare una coppia gay, tanto meno una

coppia mista come la nostra”.

Il 14 gennaio è andato in onda “Fusion”, servizio sui prodotti

dell’incontro tra culture diverse maturati nel campo

dell’arredamento, degli accessori e dell’immagine. L’artista cino-

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malese H. H. Lim, ad esempio, mostra la sua abitazione, il cui

arredamento fonde la cultura e la filosofia occidentale con quelle

orientali, mentre le candele del designer Massimo Guadagno

miscelano colori e forme dell’India e dell’Africa. Per quanto

riguarda l’immagine, viene ricordato che in Occidente il

tatuaggio del corpo mischia l’arte del tatuaggio polinesiana,

maori e indiana; il parrucchiere romano Remo Ciancimino,

inoltre, sottolinea di aver imparato a realizzare anche

acconciature “non europee”, poichè gli vengono richieste sempre

più frequentemente.

Il mese registrato di “Un mondo a colori” include tre servizi della

rubrica Protagonisti, che racconta le eseperienze di singoli

immigrati.

E’ la storia di un’integrazione riuscita quella raccontata dai

fratelli albanesi Agron e Skender Mustafà nel servizio “Mustafà

cafè”. I due fratelli sono giunti in Italia più di dieci anni fa e,

dopo aver cambiato diversi lavori nel settore edile e della

ristorazione, nel 1999 hanno realizzato il sogno di aprire un bar,

rilevando una vecchia latteria di Grassina. Skender ha adornato le

pareti del bar con dipinti ricchi di riferimenti alle vicissitudini e

agli stati d’animo che hanno caratterizzato il suo inserimento in

Italia. L’attuale situazione di Skender è rappresentata nel quadro

intitolato “La vittoria”, in cui una colomba che spicca il volo

allude alle persone finalmente tranquille dopo aver superato il

dolore. Durante il servizio prendono la parola alcuni clienti

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abituali del bar “Durimi”, esprimendo stima e affetto nei

confronti di Skender e Agron. Questo servizio testimonia

l’impegno del programma a valorizzare la presenza di immigrati

nei piccoli centri urbani, in genere trascurati dai mass media per

l’abitudine a trattare il fenomeno immigratorio esaminando la

situazione delle maggiori città italiane.

La senegalese Khady Diagne ripercorre la sua storia vincente nel

servizio “Top model”. Arrivando a Catania nel 1992, ricorda di

aver provato delusione constatando che la realtà era diversa dal

sogno cullato dentro di sè. Khady ha lavorato inizialmente come

colf, finchè l’incontro con la proprietaria di un’agenzia di

modelle le ha consentito di intraprendere una carriera costellata

di successi. La giovane senegalese dichiara di utilizzare la cultura

di origine per rinnovare il rapporto con il marito, poichè la scelta

di impostare il matrimonio sulla cultura occidentale non ha

prodotto buoni risultati.

Nel servizio intitolato “La mia Cuba” l’ambasciatrice Maria de

los Angeles Florez illustra la propria carriera diplomatica, la

situazione di Cuba e i rapporti che legano l’isola all’Italia, mentre

sul televisore scorrono immagini di Cuba accompagnate dalla

musica locale, “che – sostiene Maria de los Angeles Florez –

continua ad essere un modo molto importante di comunicare con

gli altri popoli”. L’ambasciatrice parla di una buona integrazione

dei circa ottomila connazionali residenti in Italia, impiegati

prevalentemente nel settore artistico e culturale.

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Generalmente nella rubrica Integrazioni sono proposti esempi di

positivo inserimento nella società italiana, oppure iniziative

progettate per semplificare tale inserimento o per diffondere la

cultura dei luoghi dai quali provengono gli immigrati.

Il 16 gennaio la rubrica ha presentato il servizio intitolato “A

lezione d’arabo”, che si interessa ai corsi di lingua e cultura araba

per i bambini di origine musulmana organizzati dal Comune in

collaborazione con la comunità islamica. Il servizio ci porta

subito dentro l’aula di un corso, dove i piccoli alunni ripetono le

parole arabe pronunciate dall’insegnante. I veri protagonisti sono

i bambini, e i loro interventi rispecchiano una duplice

appartenenza culturale: aspirando molte C affermano di voler

imparare l’arabo, considerata lingua principale, e che tra i piatti

preferiti convivono gli spaghetti e il cuscus. Gli unici adulti

intervistati sono una funzionaria del Comune ed un

rappresentante della comunità islamica, concordi nel sostenere

l’importanza di mantenere vivi i legami con il paese di origine

dei bimbi.

Con il servizio del 15 gennaio intitolato “Indiani d’Italia”, la

rubrica mostra come gli immigrati giunti dall’India abbiano

portato profumi e sapori della loro terra nel quartiere Esquilino di

Roma, aprendo numerosi ristoranti, alimentari e negozi che

vendono prodotti di artigianato. Nel servizio, introdotto e

accompagnato da musica indiana, viene rilevato il successo

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accordato dagli italiani a tali attività, attualmente intraprese

anche da commercianti di nazionalità italiana.

E’ ambientato nel quartiere Esquilino anche l’unico servizio di

Polis, la rubrica che documenta gli effetti dell’immigrazione

nelle città italiane. In particolare, il servizio “Poliziotto di

quartiere” si occupa della sperimentazione di tale figura

all’Esquilino. Dopo un primo periodo di diffidenza, i molti

stranieri che popolano il quartiere iniziano a rivolgersi ai

poliziotti, soprattutto per avere informazioni in tema di permessi

di soggiorno.

La rubrica Invisibili , dedicata agli aspetti meno evidenti del

fenomeno immigratorio, nel servizio “Arrivi e partenze” mostra

un particolare utilizzo della stazione Anagnina della

metropolitana. I rumeni che vivono e lavorano nella capitale,

infatti, la domenica mattina si ritrovano in questa area, da dove

partono furgoni diretti in Romania carichi di pacchi e di persone.

Nel corso del servizio emergono frammenti di storie personali,

un rumeno ad esempio racconta di firmare per una busta paga di

1200 euro ricevendo però dal datore di lavoro solo 775 euro. In

alcuni momenti prevalgono le emozioni degli immigrati, come la

rabbia e l’indignazione di chi non riesce ad ottenere un permesso

di soggiorno, nonostante viva e lavori in Italia dal 1999.

“Un mondo a colori” ha creato un’apposita rubrica centrata sulle

emozioni degli stranieri; nel servizio intitolato “Di mamma ce

n’è una sola”, la rubrica Emozioni ha fatto emergere la tristezza

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e il dolore del marocchino Ali Takazut per la forzata lontananza

dalla mamma. Egli vorrebbe far venire la madre in Italia ma

l’ambasciata italiana di Rabat non le rilascia il visto per

raggiungere il nostro paese, poichè i fratelli di Ali hanno già

presentato la domanda di ricongiungimento per la prima moglie

del padre, sposato con due donne come consente la legge

islamica.

Il servizio “Amici”, invece, evidenzia il rapporto di vera amicizia

tra il professore italiano Colombo Tombolini e il fotografo

colombiano Carlos Caballero. L’amicizia è nata durante la

convivenza nella casa romana del professore, oggi in pensione,

ed è stata la figlia di Tombolini a mettere in contatto i due

coinquilini dopo che suo padre era rimasto vedovo.

Con la rubrica Soloieri la trasmissione affronta periodicamente il

tema dell’emigrazione italiana avvenuta nel passato, per

mantenere viva la memoria collettiva di un’esperienza comune a

tanti connazionali. Il servizio intitolato “Il grande viaggio”

propone un estratto dell’omonimo filmato sull’emigrazione

italiana negli Stati Uniti, realizzato da Franco Melandri nel 1963:

le immagini in bianco e nero fanno vedere i nuovi arrivati,

carichi di fagotti, valigie, e, riportando le parole dello speaker,

“di speranza e di timore per il futuro”.

Nella rubrica Italiani parlano i trenta personaggi famosi

contattati dalla redazione di “Un mondo a colori” per riflettere

sull’identità italiana (cfr. paragrafo 3.2). Alberto Bevilacqua, nel

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servizio “Identità”, sostiene che i nostri emigranti sono i

principali portabandiera del senso di italianità, portato in tutto il

mondo con grande dignità. Secondo lo scrittore parmense essere

italiani oggi significa essenzialmente rapportarsi agli altri paesi

europei, “perchè – afferma – l’Italia non galleggia più in un mare

tutto suo”.

La rubrica Riflessioni solitamente ospita gli interventi di esperti

degli argomenti attinenti al programma. Nel servizio “Popolo di

migranti” il sociologo Enrico Pugliese cita la passata

emigrazione degli italiani presentando un suo libro78, ma

sottolinea con forza che è un fenomeno ancora attuale, poichè dal

Mezzogiorno si continua ad emigrare, dirigendosi verso le altre

regioni d’Italia e verso l’estero.

Durante il periodo di osservazione, “Un mondo a colori” ha

proposto due libri nella rubrica Pagine, ideata per far conoscere

ai telespettatori le pubblicazioni più recenti in tema, quasi

sempre, di immigrazione italiana.

Il 7 febbraio il giornalista Pierluigi Sullo parla di “Guerre

minime”79, libro che ripercorre le indagini sulla morte di Khalid

Moufaguid, caduto misteriosamente nel Po ed annegato la sera

del 16 giugno 1995. L’episodio è reso più grave dal fatto che “da

allora altri due ragazzi sono annegati ai Murazzi, altri sono stati

78 Enrico Pugliese, op.cit. 79 Pierluigi Sullo, Guerre minime. Come Khalid annegò ai Murazzi di Torino, Edizioni Intra Moenia, Napoli, 2002.

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accoltellati, altri ancora bastonati durante scorrerie che avevano

per bersaglio i marocchini”80.

Nella puntata del 5 febbraio, invece, il sociologo albanese Kosta

Barjaba riassume il volume “Ondate senza ritorno”81, che offre

una visione storica dell’emigrazione albanese trattando in modo

esteso quella diretta verso l’Italia, iniziata nei primi anni

Novanta. Nel servizio Barjaba specifica che gli albanesi giunti in

Italia provengono in prevalenza dalle grandi città e dalla fascia

costiera dell’Albania, cioè dalle zone più sviluppate, dove è più

diffusa la lingua italiana e l’informazione sul nostro paese.

La rubrica Schermi familiarizza il pubblico della trasmissione

con film e documentari contenenti interessanti spunti di

riflessione. Il 23 gennaio questa rubrica ha presentato il film

“L’appartamento spagnolo”, del regista Cédric Klapisch.

Protagonista del film è uno studente universitario parigino che

trascorre un anno di studio a Barcellona nell’ambito del progetto

Erasmus. Durante il soggiorno nella città spagnola, egli matura la

coscienza di essere europeo e di sentirsi tale dividendo

l’appartamento con sei ragazzi di differenti paesi europei.

Nella stessa puntata del programma, il servizio intitolato “Guerra

e pace” si occupa dell’omonimo documentario antinucleare

realizzato da Anand Patwardhan. Il regista indiano spiega di aver

iniziato le riprese, durate tre anni, dopo gli esperimenti nucleari 80 Ibidem, pag.124. 81 Kosta Barjaba, Ondate senza ritorno, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, Roma, s.d.

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di India e Pakistan del 1998, e di aver girato parte del

documentario negli Stati Uniti, a Hiroshima e a Nagasaki. Dopo

aver vinto il primo premio al Festival del documentario di

Bombay, “War and Peace” è stato vietato dal governo indiano

perchè contiene severe critiche nei confronti del partito di

maggioranza, che sostiene la necessità della bomba nucleare.

La rubrica Vittime , utilizzata per denunciare situazioni

drammatiche, nella puntata del 22 gennaio offre una panoramica

sui conflitti “dimenticati” (perchè i mass media se ne occupano

in rare occasioni) tuttora in corso in Sudan, Congo, Mozambico,

Molucche, Azerbaigian, Yemen, Bolivia. Esperti dei singoli paesi

illustrano le cause delle guerre e le conseguenze patite dai civili,

fornendo il numero approssimativo di vittime, invalidi e profughi

relativi a ciascun conflitto.

Le settimane di registrazione, infine, includono due servizi della

rubrica Eventi, in cui vengono segnalati spettacoli e

manifestazioni di vario genere. Nel servizio “Action Machine”,

andato in onda il 30 gennaio, il coreografo della “Masashi

Mishiro Jazz Company” puntualizza di aver dato vita alla

compagnia ponendosi l’obiettivo di fondere la jazz dance

occidentale con la tradizione giapponese. I movimenti dei dodici

ballerini riflettono l’intento di Masashi Mishiro, e anche i

costumi indossati in scena, infatti sgargianti kimono si alternano

ad abiti occidentali contemporanei. Per quanto riguarda la

musica, il 15 gennaio “Un mondo a colori” ha parlato della

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“Tarantula Ipertest Orchestra”, un complesso multietnico che

compone brani musicali unendo le sonorità tipiche delle diverse

parti del mondo. Il servizio si riferisce ad un concerto svoltosi

nella basilica romana di Santa Maria in Ara Coeli, e permette di

ascoltare qualche passaggio delle curiose combinazioni create dal

complesso.

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CONCLUSIONI

La parte conclusiva di questo lavoro intende mettere a fuoco le

caratteristiche che differenziano “Un mondo a colori” dalle

attuali modalità di rappresentazione televisiva degli immigrati.

Come si è accennato nel paragrafo 2.6, le ricerche hanno

evidenziato che i programmi televisivi, pur facendo in genere

riferimento ad individui specifici, definiscono l’immigrato

innanzitutto attraverso il riferimento al paese di provenienza,

“riconducendolo cioè ad una categoria, la nazionalità, in cui

l’individualità tende a perdersi e il soggetto sembra considerato

più come rappresentante di una categoria che come una persona

singola82”. Tale fenomeno di personalizzazione senza la persona

si accompagna ad un limitato accesso degli immigrati ai

microfoni delle trasmissioni televisive: gli immigrati sono citati

nel 64,9% dei casi esaminati dal Censis nel 2002, mentre sono

intervistati direttamente o consultati nel 26,8% dei casi.

“Un mondo a colori” si discosta da entrambe le tendenze, infatti

le puntate registrate dimostrano la volontà di valorizzare le storie

e le emozioni personali degli immigrati, che nel programma

raccontano le proprie esperienze sempre tramite la loro voce.

Presentando il singolo individuo, inoltre, il magazine di Raidue

82 Censis, L’immagine degli immigrati e delle minoranze etniche nei media, Censis, Roma, 2002, pag.12.

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riporta quasi sempre il nome e il cognome della persona, che

appaiono sul video in caratteri più grandi rispetto al paese di

provenienza e alla professione svolta, quando essa viene

specificata.

Per quanto concerne i contesti nei quali sono inseriti gli

immigrati, i ricercatori del Censis hanno sottolineato che i più

frequenti consistono nelle comunità di appartenenza (30,9% dei

casi) e nel mondo criminale (29,1%). In “Un mondo a colori”,

invece, il contesto privilegiato risulta essere la società italiana

nelle sue molteplici articolazioni (scuola, mondo del lavoro, enti

pubblici, ecc.). D’altronde, ciò è coerente con la nuova linea

editoriale della trasmissione (cfr. paragrafo 3.2) che si propone di

leggere la presenza degli immigrati in chiave interculturale.

Il Censis ha rilevato che l’immigrato riveste prevalentemente un

ruolo all’interno di una vicenda negativa. In particolare,

“l’immagine che si desume da quanto visto in televisione oscilla

(...) dal povero immigrato, vittima di una gamma di possibili fatti

negativi come atti criminosi, discriminazione, errori giudiziari,

ritardi o malfunzionamenti burocratici, allo straniero violento o

criminale”83. Gli innumerevoli immigrati che sono riusciti ad

inserirsi positivamente nel nostro paese, viceversa, compaiono

raramente sul piccolo schermo. “Un mondo a colori” appare in

controtendenza anche da questo punto di vista, nella misura in

cui dà ampio spazio ai casi di buona integrazione nel tessuto 83 Ibidem, pag.10.

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economico e sociale italiano, come testimoniano le puntate

esaminate.

Enfatizzando eccessivamente le situazioni di marginalità e di

disagio, la televisione italiana contribuisce a sedimentare

un’immagine monolitica (quindi falsa) del fenomeno

immigratorio, che invece è costituito da realtà molto varie. Il

programma in onda su Raidue tenta di familiarizzare i

telespettatori con l’eterogeneità dell’immigrazione. Si è visto,

infatti, che nelle quindici puntate registrate prendono la parola

immigrati di tutte le età, appartenenti alle diverse comunità

presenti in Italia; il programma, inoltre, riprende gli stranieri nei

molteplici contesti di vita quotidiana (luoghi di lavoro,

abitazioni, spazi ricreativi) e documenta le peculiarità del loro

inserimento nelle diverse città italiane. Cercando di rappresentare

le mille sfaccettature del mondo dell’immigrazione, “Un mondo

a colori” inevitabilmente mette in luce pure le difficoltà connesse

alla presenza di stranieri, senza però tralasciare gli sforzi per

superarle. Durante le settimane di osservazione, la trasmissione

si è occupata ad esempio del problema abitativo che affligge

molti immigrati (come è accaduto nel servizio intitolato “La

nuova Rovigo”) offrendo visibilità alle iniziative promosse per

attenuare questo problema (in modo particolare nel servizio

“Diversity manager”).

La ricerca del Censis ha posto in evidenza che “le persone di

origine straniera nel complesso entrano nel mondo

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dell’informazione quasi solo attraverso le strette (...) maglie della

cronaca”84. Il programma ideato da Massimo Fichera non si

uniforma a questa tendenza diffusa, infatti la cronaca non è il

criterio principale in base al quale vengono selezionati gli

argomenti da affrontare e, comunque, gli eventuali riferimenti ai

fatti di cronaca in genere servono ad introdurre temi più ampi,

come dimostra il servizio intitolato “La prima nata”.

Il costante monitoraggio compiuto dalla redazione di “Un mondo

a colori” consente di far emergere aspetti dell’immigrazione poco

noti al pubblico televisivo. Nella scorsa edizione della

trasmissione, ad esempio, è stato realizzato un servizio intitolato

“Le donne della mia Africa”, in cui il dottor Omar Abdulcadir

illustra l’attività del “Centro per la prevenzione e la cura delle

mutilazioni genitali femminili”, da lui diretto presso la clinica

ostetrico-ginecologica di Careggi. Nel centro fiorentino giungono

donne straniere da ogni parte d’Italia, poichè è l’unica struttura

specializzata esistente nella penisola. Il servizio risale a molti

mesi prima che i mass media accendessero i riflettori sul dottor

Abdulcadir, per la sua proposta di “rito alternativo” alle

mutilazioni compiute su tanti giovani immigrate.

E’ stato sottolineato che i programmi televisivi, parlando di

immigrazione, prestano poca attenzione alla condizione dei paesi

svantaggiati e a temi più vasti come i rapporti tra Nord e Sud del

mondo. Il magazine di Raidue, pur occupandosi prevalentemente 84 Ibidem, pag.9.

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della realtà italiana, propone interessanti riferimenti allo scenario

internazionale. A conferma di ciò, durante il periodo di

osservazione sono andati in onda due servizi (“Noi siamo i

poveri” e “Guerre dimenticate”) che documentano la difficile

situazione di alcuni paesi. Talvolta, inoltre, “Un mondo a colori”

sensibilizza i telespettatori su argomenti che riguardano il futuro

dell’intera umanità, ad esempio nel servizio intitolato “Guerra e

pace” viene presentato il documentario antinucleare realizzato da

Anand Patwardhan.

Al termine di questa analisi, risulta evidente il tentativo del

magazine di fornire un tipo di informazione diversa rispetto a

quella tradizionale: superando molti “vizi” ricorrenti nel piccolo

schermo, “Un mondo a colori” propone una rappresentazione più

corretta del fenomeno immigratorio. E’ auspicabile, dunque, una

maggiore valorizzazione del programma, che potrebbe essere

collocato in una fascia oraria caratterizzata da un’audience

superiore, almeno potenzialmente, all’attuale.

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