LA TELEVISIONE DEGLI IMMIGRATI. ANALISI DI “ UN MONDO...
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Università degli Studi di Firenze Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri”
Corso di laurea in Scienze Politiche Tesi di laurea in Sociologia della Comunicazione
LA TELEVISIONE DEGLI IMMIGRATI. ANALISI DI “ UN MONDO A COLORI”
Relatore: Prof. Milly Buonanno Candidato: Silvia Montescagli
Anno Accademico 2002-2003
2
INDICE
INTRODUZIONE p. 4
CAPITOLO PRIMO STORIA DELL’IMMIGRAZIONE IN
ITALIA
1.1 Il ruolo dell’Italia nelle migrazioni del dopoguerra p. 7
1.2 Il Belpaese si scopre terra di immigrazione p. 13
1.3 I primi atti normativi p. 15
1.4 L’inserimento degli immigrati nella società italiana p. 19
1.5 Le attuali caratteristiche del fenomeno immigratorio p. 26
1.6 L’evoluzione del quadro legislativo p. 35
CAPITOLO SECONDO GLI IMMIGRATI E L’IMMIGRAZIONE
NEI MEDIA: LE PRINCIPALI
INDAGINI REALIZZATE
2.1 L’immagine degli immigrati nella fase di latenza: il
caso de “La Nazione”
p. 45
2.2 Dal giornalismo alla fiction, le tante “voci”
sull’immigrazione nella fase di emergenza
p. 48
2.3 I vizi ricorrenti dell’informazione stampata e
televisiva nei primi anni Novanta
p. 58
2.4 Un originale case study sulla stampa modenese p. 64
2.5 La rappresentazione ansiogena degli immigrati nella
stampa
p. 69
3
2.6 Lo stato dell’arte p. 74
CAPITOLO TERZO LA TELEVISIONE DEGLI IMMIGRATI
3.1 La storia e il successo di “Nonsolonero”, primo
programma di approfondimento sull’immigrazione
p. 82
3.2 Nascita e sviluppo di “Un mondo a colori” p. 90
3.3 Dietro lo schermo di “Un mondo a colori” p. 95
CAPITOLO QUARTO ANALISI DI “UN MONDO A COLORI”
4.1 Composizione del campione p.101
4.2 Quindici puntate di “Un mondo a colori” sotto la
lente di ingrandimento
p.104
CONCLUSIONI p.121
BIBLIOGRAFIA p.126
4
INTRODUZIONE
L’Italia è meta di significative immigrazioni da circa trenta anni
e, sebbene il numero di stranieri residenti in Italia sia inferiore a
quello registrato in altri paesi europei, alcuni cambiamenti nella
struttura sociale sono già apprezzabili. Nel 1997, ad esempio, è
aumentato il numero dei bambini iscritti alle scuole elementari
dopo anni di progressiva diminuzione: é un evento eccezionale
per un paese che registra un tasso di natalità molto basso, dovuto
essenzialmente ai numerosi bambini, figli di immigrati, che
hanno raggiunto l’età per la scuola dell’obbligo.
Il primo capitolo di questo lavoro ripercorre la storia
dell’immigrazione in Italia, sottolineando le modalità di
inserimento degli immigrati nella società e l’evoluzione della
normativa in materia di immigrazione.
Il secondo capitolo passa in rassegna le principali ricerche sulla
rappresentazione mediatica del fenomeno immigratorio. La
centralità dei mass-media nella fase di sviluppo di una società
multietnica si collega a tre funzioni che essi assolvono parlando
di immigrazione. “La prima è quella di rendere visibili gli eventi
(...) la seconda, più complessa, è quella di fornire un’immagine,
una rappresentazione cognitiva della realtà (...) la terza, ancora
5
più rilevante, è quella di costruire per i lettori/ascoltatori un
profilo simbolico, un contesto interpretativo dotato di senso”1.
Il terzo capitolo focalizza l’attenzione sulla televisione degli
immigrati, cioè sui programmi televisivi di approfondimento dei
temi legati all’immigrazione. In particolare, dopo aver ricordato
l’esperienza di “Nonsolonero” (iniziata nel 1988 e terminata sei
anni dopo) viene esaminato lo sviluppo e le attuali caratteristiche
di “Un mondo a colori”, la trasmissione di Raidue nata nel 1999
e tuttora in programmazione. L’ultimo capitolo, infine,
approfondisce la conoscenza di “Un mondo a colori”
analizzandone quindici puntate.
Ho potuto trascorrere un’intera giornata nella redazione di “Un
mondo a colori”, e in quella occasione ho raccolto preziose
informazioni sulla trasmissione e sul modo in cui viene costruita.
Desidero quindi ringraziare tutte le persone impegnate nel
programma, per la disponibilità e il tempo che mi hanno
dedicato.
1 Giorgio Grossi, Studiare l’immagine della differenza. Un osservatorio multimediale sulla società multietnica, in Marinella Belluati, Giorgio Grossi, Eleonora Viglongo, L’Antenna di Babele 1. Mass media e società multietnica, Anabasi, Milano, 1995, pag.43.
6
CAPITOLO PRIMO
STORIA DELL’IMMIGRAZIONE IN ITALIA
7
1.1 Il ruolo dell’Italia nelle migrazioni del dopoguerra.
”Un giorno, su quella strada stretta e piena di buche, mio padre
mi insegnò a contare in italiano” (…) “Certo è che da quel
giorno, chissà perché, ho cominciato a pensare all’Italia come
un Paese incantato, felice” (pag.10).
“A Tunisi mi sentivo soffocare. Io sognavo di andarmene, prima
o poi. In molti ragazzi come me il mito dell’Occidente era
grandissimo” (pag.12).
“In Occidente non c’era solo il lavoro, c’era anche la libertà
(…) Mi domandavo: sto partendo come un emigrante
nordafricano o come un qualsiasi ragazzo che vuole conoscere
il mondo?” (pag.14).
Questi brani sono tratti dal libro Immigrato pubblicato nel 1991
da Salah Methnani, giovane tunisino che nel suo diario riporta
speranze e disillusioni comuni a molte persone immigrate in
Italia. A distanza di circa trenta anni dai primi consistenti arrivi, è
possibile tracciare la storia dell’immigrazione nel nostro paese,
sottolineando gli sviluppi intervenuti nel corso del tempo.
Per evidenziare le cause e le caratteristiche della prima
immigrazione in Italia, si può inquadrare tale fenomeno
nell’ambito delle migrazioni internazionali che hanno interessato
l’Europa nel dopoguerra.
8
Umberto Melotti ha proposto una suddivisione delle migrazioni
in Europa dopo la seconda guerra mondiale in tre fasi2. La prima
fase inizia nell’immediato dopoguerra e si conclude nella
seconda metà degli anni Sessanta; in questo periodo le
migrazioni forniscono ai paesi che ne sono carenti la
manodopera necessaria alla ricostruzione postbellica e al
successivo periodo di espansione strutturale. I flussi migratori
provengono prevalentemente dai paesi dell’Europa meridionale e
dal bacino del Mediterraneo, e sono diretti verso i paesi
dell’Europa centro-settentrionale già in precedenza importatori di
manodopera come la Francia, il Belgio e la Gran Bretagna; dalla
metà degli anni Cinquanta anche la Repubblica Federale Tedesca
registra significativi arrivi di immigrati.
In questa prima fase le migrazioni sono motivate dalla forte
domanda di lavoro delle aree d’immigrazione, ma l’aspetto che
maggiormente le caratterizza è quello della temporaneità: i paesi
d’immigrazione considerano i migranti come dei lavoratori
reclutati per compiti definiti e per un periodo di tempo limitato,
presumendo che gli stessi immigrati desiderino rientrare nei paesi
di origine dopo un certo lasso di tempo. Basandosi su tali
presupposti, le aree di immigrazione non prevedono
l’inserimento definitivo dei lavoratori stranieri, auspicando una
2 Umberto Melotti, Le nuove migrazioni internazionali: aspetti generali e problemi specifici del caso italiano, in Gastone Tassinari, Giovanna Ceccatelli Gurrieri, Mariangela Giusti (a cura di), Scuola e società multietnica. Elementi di analisi multidisciplinare, La Nuova Italia, Firenze, 1992.
9
loro rotazione. Questo punto di vista è sintetizzato efficacemente
dall’espressione tedesca “Gastarbeiter” (che significa “lavoratori
ospiti”) utilizzata per designare il sistema con cui i paesi
d’immigrazione governano il fenomeno migratorio negli anni
Cinquanta e Sessanta. Terminiamo l’esame di questa prima fase
ricordando che l’Italia vi partecipa solamente come paese
d’emigrazione.
Secondo lo stesso autore, la seconda fase delle migrazioni
internazionali in Europa inizia nei tardi anni Sessanta e si
conclude agli inizi degli anni Ottanta; a partire dal 1967 si
verifica una grave crisi economica, dovuta al fatto che i settori
economici “protagonisti” della ricostruzione postbellica (come
l’edilizia, la meccanica e la metallurgia) cominciano ad esaurire
la loro forza propulsiva sull’intera economia. Tale situazione si
aggrava con la prima crisi energetica del 1973/1974, quando il
prezzo del petrolio si quadruplica a causa della guerra del Kippur
e dell’embargo sul petrolio arabo. La recessione economica che
ne segue riduce drasticamente la precedente domanda di
manodopera da parte dei tradizionali paesi europei
d’immigrazione, inducendo tali stati a contrastare nuovi arrivi
mediante l’adozione di politiche restrittive. Nella decisione di
adottare misure anti-immigrazione può aver giocato un ruolo
importante anche il fatto che “i vantaggi economici derivanti
dalla forza lavoro immigrata cominciavano a diminuire, poiché i
costi in termini di investimenti sociali (sanità e istruzione per i
10
figli degli immigrati) aumentavano notevolmente”3. Ciò si
collega alla presenza permanente di una parte significativa degli
immigrati, in contrasto con il sistema dei lavoratori-ospiti
elaborato dai paesi europei d’immigrazione.
E’ in questo contesto che paesi tipicamente d’emigrazione come
l’Italia e la Spagna divengono mete di consistenti immigrazioni,
tanto dalle regioni africane che si affacciano sul Mediterraneo
quanto da paesi più lontani come le Filippine, Capo Verde,
l’Eritrea. Uno dei primi studi sull’argomento, l’indagine ECAP-
EMIM su “L’immigrazione straniera nel Lazio”4, sottolinea
alcune importanti caratteristiche della prima immigrazione in
Italia.
Questa inchiesta locale mette in luce una presenza femminile
predominante in molte etnie, diversamente a ciò che si era
verificato nella maggior parte delle grandi migrazioni
internazionali passate, in cui la componente femminile era
tendenzialmente minoritaria e composta per lo più da membri
della famiglia arrivati al seguito del lavoratore maschio, vero
protagonista del viaggio migratorio. In Italia, invece, erano
presenti molte donne, che trovavano occupazione
prevalentemente come lavoratrici domestiche nelle grandi città.
L’indagine evidenzia anche l’alta occupazione nel terziario
sperimentata tra gli immigrati, che spesso possedevano titoli di 3 Percy Allum, Democrazia reale, Utet, Torino, 1997, pag.16. 4 Questa indagine non è mai stata pubblicata; ne ho trovato menzione in Maria Immacolata Macioti, Enrico Pugliese, Gli immigrati in Italia, Laterza, Roma-Bari, 1991, pp.32-33.
11
studio superiori a quelli medi dei paesi di partenza, e largamente
superiori a quelli degli italiani occupati in attività analoghe.
Secondo Umberto Melotti è importante notare l’alta incidenza di
esuli, profughi e rifugiati politici sul totale degli immigrati: a
queste tipologie appartengono molti immigrati giunti da Brasile,
Uruguay, Argentina e Cile dopo i colpi di stato che si sono
susseguiti, così come gli eritrei arrivati in Italia nella seconda
metà degli anni Settanta, in seguito alla controffensiva etiopica
nei territori precedentemente in mano ai movimenti
indipendentistici.
Lo stesso Melotti rileva un’altra peculiarità della prima
immigrazione in Italia, cioè “l’apparente paradosso per cui le
immigrazioni dai paesi del Terzo Mondo si sono estese in Italia
in un periodo di crisi economica grave e crescente, quando il
problema dell’occupazione diventava drammatico per la stessa
manodopera locale”5. Questa considerazione, unita al ricordo
delle politiche restrittive in materia di immigrazione adottate da
molti paesi europei, induce Melotti a ritenere che per molti
immigrati l’Italia rappresenti una “soluzione di ripiego”, un paese
in cui progettare di vivere dopo averne scartati altri impossibili, a
patto di accontentarsi di un’occupazione nel basso terziario.
All’epoca della prima corrente immigratoria, la normativa
vigente in Italia nei confronti dei cittadini stranieri si limitava al
Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1931, che 5 Umberto Melotti, op.cit., pag.29.
12
disciplinava l’ingresso e il soggiorno in Italia nell’ambito di
norme finalizzate alla tutela dell’ordine pubblico. Si trattava
quindi di vecchie regole, emanate per di più in un periodo in cui
l’Italia non era affatto un paese d’immigrazione. Nel periodo
compreso tra le prime immigrazioni e gli anni Ottanta il
Ministero del Lavoro ha elaborato alcune circolari relative
all’accesso al lavoro, ma anche tali circolari si riferivano al Testo
Unico delle leggi di pubblica sicurezza.
E’ questo quadro legislativo carente che ha accompagnato il
nostro paese verso la terza fase delle migrazioni in Europa,
riprendendo la suddivisione proposta da Umberto Melotti.
Secondo l’autore la terza fase è cominciata agli inizi degli anni
Ottanta ed è caratterizzata principalmente dall’estensione delle
aree di emigrazione: la grave situazione economica unita
all’esplosione demografica induce ad emigrare da quasi tutti i
paesi del Terzo Mondo, a cui si aggiungono alcune nazioni
dell’Europa orientale affette da una profonda crisi economica ed i
paesi dell’America Latina, anch’essi in balia di una grave crisi
economica aggravata dal crescente debito estero. Si tratta di
flussi migratori motivati più da fattori di espulsione presenti nei
paesi di origine, che da fattori di attrazione dei paesi di approdo,
come si può evincere considerando che i paesi d’immigrazione
hanno alti tassi di disoccupazione, e appaiono quindi ben poco
“attraenti” per quanto riguarda l’inserimento degli immigrati nel
mercato del lavoro. Umberto Melotti sottolinea come, al
13
prevalere dei fattori di espulsione dai paesi di esodo,
“corrisponde la tendenza alla passiva accettazione di ogni
condizione esterna in cambio di una base economica: un
atteggiamento che inevitabilmente accentua, anziché contrastare,
il già alto rischio di un’esposizione a forme anomale di
sfruttamento”6.
Questi flussi migratori, sempre più consistenti, possono dirigersi
solo verso i paesi dell’Europa mediterranea, giacchè i paesi
dell’Europa centro-settentrionale in quel periodo persistono nelle
loro politiche di chiusura delle frontiere (il che non significa
totale assenza di immigrazioni in dette aree, ma solo il prevalere
di ingressi illegali).
1.2 Il Belpaese si scopre terra di immigrazione.
Gli italiani prendono atto di ciò che sta accadendo intorno a loro
agli inizi degli anni Ottanta: fino a quel momento, infatti,
l’abituale presenza di tanti turisti nel nostro paese ha contribuito
a celare l’esistenza degli immigrati, soprattutto agli esordi,
quando il loro numero era piuttosto circoscritto. E’ stato il
censimento del 1981 a fotografare in maniera più nitida la nuova
realtà: secondo i dati del censimento, continuavano i rientri e le
partenze degli italiani, ma l’autentica novità era costituita proprio
dalle persone che sceglievano l’Italia per realizzare il loro 6 Ibidem, pag. 27.
14
progetto migratorio. Per la prima volta in Italia l’incremento
demografico registrato non era dovuto solo all’incremento
naturale della popolazione, ma ad una differenza positiva tra
immigrati ed emigrati, pari a 273.230 unità7 . Indubbiamente una
parte di questa cifra era imputabile ai ritorni di emigrati
dall’Italia (già negli anni Settanta si era verificata una prevalenza
dei ritorni sulle partenze), ma i rientri non potevano spiegare
completamente la positiva differenza migratoria: era necessario
ammettere una presenza significativa di immigrati. E’
interessante rilevare che il censimento del 1981 evidenziò ancora
il Mezzogiorno come area di emigrazione: il nostro paese era
diventato meta di immigrazione senza rinunciare completamente
al precedente ruolo di paese di emigrazione, e questa
ambivalenza caratterizzerà l’Italia anche negli anni successivi8.
Occorre tuttavia sottolineare alcuni grossi limiti del suddetto
censimento, iniziando dal fatto che solo una parte modesta degli
immigrati presenti all’epoca in Italia è stata censita; la
conoscenza della esatta dimensione quantitativa
dell’immigrazione costituisce un problema ancora oggi, poiché
una parte degli immigrati sfugge alle rilevazioni ufficiali, ma nel
tempo i vari istituti di ricerca hanno cercato di migliorare i criteri
di rilevazione utilizzati, ottenendo dati sempre più verosimili. Più
in generale, si può dire che il censimento del 1981 permetteva 7 Dato riportato in Maria Immacolata Macioti, Enrico Pugliese, op.cit., pag.6. 8 Il “doppio ruolo” dell’Italia è stato recentemente ribadito da Enrico Pugliese in L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne, Il Mulino, Bologna, 2002.
15
solo di registrare alcune caratteristiche macroscopiche
dell’immigrazione nel nostro paese, ad esempio la struttura
demografica delle diverse nazionalità degli immigrati.
Nonostante questi limiti, il censimento del 1981 ha contribuito a
creare interesse attorno al tema dell’immigrazione; Enrico
Pugliese ricorda come, nel corso degli anni Ottanta, la grande
stampa abbia iniziato ad occuparsi del fenomeno, circoscrivendo
però l’attenzione su casi particolari: principalmente si è occupata
delle collaboratrici domestiche provenienti dai paesi del Terzo
Mondo e degli immigrati tunisini in Sicilia. Lo stesso Pugliese
sottolinea la scarsità della letteratura scientifica prodotta in
quegli anni, e il fatto, ancora più grave, che nelle poche indagini
disponibili spesso siano presenti luoghi comuni e fantasia, in
particolare persiste la tendenza a sopravvalutare la dimensione
quantitativa del fenomeno. E questa tendenza non risparmia
neppure gli ambienti politici: una stima condotta da Natale,
relativa al 1984, suggeriva un’ampiezza oscillante tra le 500 e le
750mila persone, quando i politici parlavano di un milione o più
di immigrati.
1.3 I primi atti normativi.
Si può affermare che, nel corso degli anni Ottanta, la
maggioranza degli immigrati si trovava in una situazione di
illegalità o clandestinità. Accanto ad una parte di loro che
16
giungeva in Italia clandestinamente, c’era un’altra parte
(probabilmente maggioritaria) che entrava con un visto turistico,
il quale limitava la durata del permesso di soggiorno; questo
primo periodo di presenza legale terminava con la scadenza del
visto turistico, poichè il Testo Unico delle leggi di pubblica
sicurezza rendeva molto difficile il rinnovo del permesso di
soggiorno. Scaduto il visto turistico, pertanto, gli immigrati
rimanevano in Italia in condizioni di illegalità.
Fortunatamente nella seconda metà degli anni Ottanta ha avuto
luogo un’intensa attività legislativa, che è riuscita almeno in
parte a “modernizzare” il quadro legislativo italiano in tema di
immigrazione.
Nel 1986 il Parlamento ha varato la prima importante legge
sull’immigrazione: la legge n.943 conosciuta anche come “legge
Foschi”, l’allora Ministro del Lavoro. Questa legge recepiva le
norme della convenzione Oil n.143 del 1975, ratificata con la
legge n.158 del 1981; in base a tale convenzione, l’ordinamento
italiano sanciva la parità dei diritti dei lavoratori stranieri
residenti in Italia e delle loro famiglie con quelli dei lavoratori
italiani. In sintesi, grazie a questa legge gli immigrati “in regola”
avrebbero goduto degli stessi diritti sociali e sindacali degli
italiani; inoltre la legge introduceva per la prima volta il diritto al
ricongiungimento familiare e il diritto alla rappresentanza dei
cittadini stranieri mediante l’istituzione delle Consulte Regionali.
Per favorire la regolarizzazione degli immigrati, la legge
17
prevedeva una sanatoria di cui potevano godere le persone
presenti in Italia per motivi di lavoro alla data del 31 dicembre
1986. I “motivi di lavoro” rimandano ad un riferimento costante
della legge, il cui titolo non a caso è “Norme in materia di
collocamento e trattamento dei lavoratori extracomunitari e
contro le immigrazioni clandestine”: è chiaro, quindi, come la
legge si occupi esclusivamente del trattamento dei lavoratori
immigrati, senza affrontare più in generale i problemi connessi al
fenomeno dell’immigrazione. Ciò costituisce un grosso limite
della legge n.943, ma non è l’unico, dato che per regolarizzare la
propria posizione gli immigrati dovevano dimostrare di essere
dipendenti o di cercare un’occupazione di questo tipo,
iscrivendosi alle liste degli uffici di collocamento. E’
indubbiamente vero che la maggior parte degli immigrati
lavorava in qualità di dipendente, ma era molto ingenuo credere
che i datori di lavoro avrebbero denunciato tranquillamente
l’avvenuta assunzione; così, infatti, non è stato: gli immigrati che
si sono regolarizzati grazie alla legge n.943 sono stati poco più di
100mila, tra i quali meno di 40mila in qualità di lavoratori
dipendenti. E’ difficile credere che i restanti 60mila fossero
disoccupati alla ricerca di un lavoro, come hanno dichiarato;
resta più verosimile pensare che per la maggioranza di loro
l’iscrizione agli uffici di collocamento era l’unico modo di
regolarizzarsi, per la scarsa disponibilità dei datori di lavoro o
magari perché svolgevano lavori autonomi. Quest’ultima
18
considerazione evidenzia un altro limite della legge, che consiste
nell’ignorare completamente l’esistenza tra gli immigrati di
lavoratori autonomi, tipicamente i commercianti ambulanti.
Nel loro insieme, i limiti della 943 hanno condotto allo scarso
successo di questo provvedimento, come dimostra l’esiguo
numero di immigrati che è riuscito a regolarizzarsi.
Nel 1990 il Parlamento italiano ha elaborato la legge n.39, più
conosciuta come “legge Martelli”, che ha superato alcune
ingenuità del precedente provvedimento. Innanzitutto la nuova
legge riconosce la possibilità che gli immigrati svolgano un
lavoro autonomo e ne disciplina l’accesso, ampliando così le
condizioni per accedere alla sanatoria prevista dalla legge. La
legge n.39 si interessa anche dei rifugiati politici che giungono
nel nostro paese, abolendo la cosiddetta “riserva geografica” per
il riconoscimento dello status di rifugiato, che fino a quel
momento aveva limitato la possibilità di richiedere asilo politico
soltanto ad alcuni paesi. La legge Martelli ha portato alla
regolarizzazione di 220mila immigrati: più del doppio rispetto al
provvedimento del 1986. Durante la discussione della legge
Martelli e subito dopo la sua approvazione si sono verificate
molte iniziative di opposizione alla legge, che criticavano
soprattutto l’eccessiva “generosità” della sanatoria. A questo
proposito, è significativo sottolineare che, nonostante le
condizioni per regolarizzarsi fossero effettivamente più
“generose” rispetto a quattro anni prima, i risultati della sanatoria
19
appaiono ancora piuttosto modesti: una stima di Natale9
suggeriva una presenza immigrata compresa tra 736mila e
1.060.000 unità, rispetto ai soli 220mila regolarizzati.
1.4 L’inserimento degli immigrati nella società italiana.
Tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, cioè nel
periodo immediatamente successivo alle due leggi di
regolarizzazione, vengono pubblicate indagini significative
sull’immigrazione in Italia.
In vista della Conferenza nazionale sull’immigrazione, tenutasi a
Roma nel giugno 1990, la Presidenza del Consiglio dei Ministri
ha commissionato al Censis un’importante ricerca10 che ha
evidenziato alcune peculiarità del fenomeno immigratorio.
Innanzitutto “dalla ricerca emerge un segnale di cautela nei
confronti di ipotesi eccessivamente allarmistiche sull’“invasione
terzomondiale” nel nostro paese, in quanto è stato possibile
verificare che il trend di crescita è sostenuto ma non
tumultuoso”11. I dati raccolti dal Censis parlano di circa un
milione di immigrati presenti in Italia nel 1990, “certamente
meno rispetto alla percezione minacciosa che la popolazione
9 Maria Immacolata Macioti, Enrico Pugliese, op.cit., pag.19. 10 La ricerca si intitola Migrare ed accogliere - i percorsi differenziati dell’integrazione; i risultati sono stati pubblicati nel volume Censis, Immigrati e società italiana, CNEL-Editalia, Roma, 1991. 11 Ibidem, pag.9.
20
spesso ha del fenomeno”12. Per quanto riguarda le aree di
provenienza, la ricerca del Censis sottolinea come le grandi città
ospitino un numero maggiore di nazionalità, e che gli immigrati
provenienti dallo stesso paese tendono a concentrarsi in un
medesimo luogo: ad esempio a Roma i filippini sono i più
numerosi, a Milano primeggiano gli egiziani, mentre a Trieste e a
Gorizia l’immigrazione è prevalentemente jugoslava. Questi dati
possono essere integrati da un’osservazione di Umberto Melotti,
che ha notato un incremento significativo degli immigrati
provenienti da regioni culturalmente più lontane, ad esempio
dall’Africa a sud del Sahara e dal Pakistan. Quanto all’età della
popolazione immigrata, nell’intera penisola sono risultate
maggioritarie le persone con una età compresa tra i 20 e i 35
anni. Oltre alla giovane età degli immigrati, appare degno di nota
il fatto che la maggioranza degli intervistati, prima di partire per
l’Italia, abitava in una città e solo una minoranza in un villaggio.
Questo dato corrobora altri studi che hanno riconosciuto
l’importanza dell’inurbamento nell’ottica delle migrazioni, ad
esempio Umberto Melotti ha sintetizzato la questione affermando
che “gli inurbati, dopo avervi assaporato un modello di vita che li
accultura alla “modernità”, anche se insoddisfatti non tornano
quasi mai ai loro villaggi o alle loro campagne. Piuttosto
spiccano il balzo per le grandi città dell’Occidente”13. Nelle città
12 Ibidem, pag.6. 13 Umberto Melotti, op. cit., pag. 17.
21
dei paesi di origine si verifica quindi un processo di
socializzazione anticipatoria ai valori propri delle società
d’inserimento degli immigrati.
L’indagine del Censis ha contribuito a fare chiarezza anche sulle
ragioni che giustificano la scelta del nostro paese come meta dei
viaggi migratori. Gli immigrati intervistati dal Censis hanno
riferito tra le ragioni prevalenti quella legata all’aspettativa di un
lavoro stabile, unita all’immagine attribuita all’Italia di paese in
cui regnano il benessere e la ricchezza. La scelta dell’Italia viene
attribuita anche alla facilità di ingresso nel nostro paese, oltre che
alla presenza di amici e parenti, di cui gli “aspiranti immigrati” si
avvalgono per espatriare. Una parte molto interessante della
ricerca è quella in cui vengono messe a confronto le aspettative
che gli immigrati hanno prima di giungere in Italia e le risposte
trovate; dall’indagine è emerso che generalmente i soggetti
nutrono aspettative molto alte rispetto al lavoro e all’alloggio che
troveranno, così come rispetto alla situazione politica italiana,
associata all’idea di democrazia. Lo scarto tra queste aspettative e
le risposte effettivamente trovate appare rilevante, in particolar
modo per ciò che attiene al lavoro e all’alloggio, mentre la
“democraticità” dell’Italia ha un riscontro sostanzialmente
positivo.
La ricerca del Censis ha prodotto risultati significativi anche per
ciò che riguarda il grado di stabilità degli immigrati presenti in
Italia; da tale ricerca è emerso che solo un terzo di essi intende
22
restare definitivamente nel nostro paese, un altro terzo ha in
mente di rientrare nel paese di origine dopo aver raggiunto un
obiettivo di carattere economico e l’ultimo terzo è composto dai
lavoratori stagionali e da coloro che sono in Italia solo di
passaggio, intendendo emigrare altrove. I ricercatori del Censis
hanno commentato tali dati affermando che “questa non
accentuata propensione alla permanenza nel nostro paese può
trovare in parte spiegazione, oltre che nella sfera soggettiva di
scelte e di progetti delle persone, nelle difficoltà che molti di essi
incontrano nell’impatto con la realtà sociale e culturale
italiana”14. Le difficoltà maggiori per gli immigrati attengono al
lavoro, al vitto e all’alloggio, a cui si aggiungono i problemi di
comunicazione linguistica e nei rapporti con le forze dell’ordine.
L’indagine del Censis, così come altre ricerche condotte nello
stesso periodo, si è occupata in modo piuttosto dettagliato
dell’inserimento lavorativo degli immigrati; tutti questi studi
hanno concordato sul loro prevalente impiego ai più bassi livelli
del sistema produttivo. Tra le attività maggiormente diffuse su
tutto il territorio nazionale vengono annoverate quelle relative ai
servizi alle famiglie, altri servizi soprattutto nel settore
alberghiero e della ristorazione (in questo caso gli immigrati sono
assunti come camerieri o come sguatteri, ad esempio), l’edilizia e
l’ambulantato. A parte questi impieghi, gli altri sono molto
diversificati per aree geografiche, in parallelo con la notevole 14 Censis, op.cit., pag.50.
23
differenziazione territoriale che caratterizza il mercato del lavoro
italiano. Gli immigrati che risiedono nell’Italia meridionale
trovano occupazione prevalentemente nell’agricoltura e nella
pesca; l’agricoltura mediterranea richiede impieghi di
manodopera assai variabili nel corso dell’anno, raggiungendo i
massimi livelli nel periodo di raccolta dei prodotti ortofrutticoli.
Di conseguenza, gli immigrati occupati in agricoltura
generalmente soffrono una certa precarietà occupazionale, per
quanto la stagionalità delle operazioni venga apprezzata dalle
persone originarie dei paesi geograficamente vicini al nostro, che
approfittano delle pause tra una raccolta e l’altra per fare ritorno
in patria. In alcuni casi le indagini hanno rilevato l’occupazione
stabile degli immigrati, ma anche i lavoratori fissi si devono
accontentare quasi sempre di salari largamente inferiori ai
minimi contrattuali. Parte degli immigrati giunti nel Meridione
trova lavoro nel settore della pesca, soprattutto in Sicilia, dove
l’insediamento più noto è quello dei tunisini residenti a Mazara
del Vallo, che ha conosciuto un’interessante evoluzione nel corso
del tempo, infatti “dopo l’arrivo di uomini soli, alla ricerca di un
lavoro in grado di garantire la sicurezza economica, è via via
cresciuta la percentuale di donne e di nuclei familiari ricongiunti,
evoluzione che ha conferito alla comunità tunisina di Mazara le
caratteristiche di una realtà consolidata”15. Per quanto riguarda
15 Laura Zanfrini, Leggere le migrazioni. I risultati della ricerca empirica, le categorie interpretative, i problemi aperti, Franco Angeli, Milano, 1998, pag.104. L’autrice, trattando
24
gli immigrati residenti nell’Italia centrale, è frequente il loro
inserimento lavorativo nel settore agricolo; analogamente a ciò
che è stato osservato per le regioni meridionali, anche in questo
caso gli immigrati impiegati nell’agricoltura percepiscono salari
inferiori ai minimi legali, sopportando condizioni di lavoro molto
pesanti. Il dato emergente dalle ricerche dei primi anni Novanta
era la crescente occupazione degli immigrati nell’industria, pur
con dimensioni più ridotte rispetto a quanto stava accadendo nel
Nord Italia. La ragione che ha condotto gli imprenditori ad
assumere manodopera immigrata è comune al Centro e al Nord:
la carenza di offerta autoctona per certi lavori dequalificati,
pesanti, talvolta svolti in orari atipici e che possono nuocere alla
salute. In pratica, di fronte alle forti resistenze degli italiani a
svolgere determinati lavori nell’industria, le imprese “hanno
incontrato una manodopera genericamente disponibile e ne hanno
visto l’adattabilità alle loro esigenze”16. L’inserimento degli
immigrati nel settore industriale ha comportato alcune difficoltà,
tra le quali occorre menzionare la scarsa socializzazione al lavoro
industriale (che significa ad esempio dover “imparare” la
disciplina temporale del lavoro) la poca conoscenza dell’italiano
e l’autoprolungamento delle ferie. Tuttavia, queste difficoltà
sembrano ridimensionarsi con il passare del tempo, e tra gli
il caso di Mazara del Vallo, si riferisce a A.A.Ster, Riconoscere e riconoscersi. Il senso delle società locali e il vissuto dei soggetti migranti in dieci incontri territoriali da Como a Palermo, ricerca condotta per conto del CNEL, Conferenza Nazionale dell’Immigrazione, Roma, 1990. 16 Ibidem, pag.136.
25
imprenditori intervistati prevalgono i giudizi positivi. Sempre a
proposito dell’Italia centrale, è opportuno ricordare il fenomeno
dell’autoimprenditorialità cinese in Toscana, in particolare per
ciò che riguarda il settore della pelletteria. La Toscana vanta una
lunga tradizione nel campo della lavorazione della pelle, che si
basa sull’attività di imprese generalmente piccole in cui lavorano
intere famiglie. Tassinari17 ha individuato alcuni fattori che
hanno favorito il successo di queste imprese, come la
compattezza dei nuclei familiari, l’abitudine al lavoro intenso, la
vicinanza tra luogo di lavoro e abitazione; il dato interessante è
che pure tra i cinesi si verifica una “sovrapposizione famiglia-
unità produttiva, l’interconnessione tra tempo di vita e di lavoro
che si realizza anche tramite la contiguità fisica tra casa e
laboratorio, che spesso coincidono”18. Tali peculiarità hanno
contribuito al rapido successo delle aziende cinesi, che ha
provocato qualche dissapore tra gli artigiani locali e i concorrenti
venuti da lontano.
Nelle regioni del Nord, il dato più significativo agli inizi degli
anni Novanta è il crescente numero di immigrati occupati nel
comparto industriale, di cui si è già parlato. Alcune indagini
pubblicate in quegli anni hanno evidenziato che, tra gli immigrati
impiegati nelle industrie, molti avevano trascorso un primo
17 Alberto Tassinari, L’immigrazione cinese in Toscana, in Giovanna Campani, Francesco. Carchedi, Alberto Tassinari (a cura di), L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1994. 18 Ibidem, pag.113.
26
periodo nell’Italia meridionale, esercitando il commercio
ambulante, per poi trasferirsi nel Nord Italia e approdare al
lavoro industriale: ciò indica un’interessante evoluzione
dell’inserimento lavorativo, che tuttavia solo una parte degli
immigrati esperisce.
Una considerazione spesso presente nelle ricerche condotte tra la
fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta metteva in rilievo
una caratteristica del processo di inserimento nelle imprese
italiane, cioè il fatto che stesse avvenendo “senza la minima
programmazione, senza una politica attiva ed esplicita di
reclutamento concertata tra imprese e istituzioni locali (…) ma
per l’iniziativa spontaneistica e atomizzata delle imprese (quasi
esclusivamente quelle di piccole e medie dimensioni)” 19. In
questo l’esperienza italiana segna una grossa differenza rispetto
agli altri paesi europei d’immigrazione, “dove l’avvio al lavoro
degli immigrati (generalmente nelle grandi imprese) avveniva in
base ad accordi formali con i paesi di provenienza, ed era quindi
programmato e accettato se non esplicitamente ‘voluto’ ” 20.
1.5 Le attuali caratteristiche del fenomeno immigratorio.
Passiamo ad esaminare le più recenti tendenze dell’immigrazione
nel nostro paese, iniziando dall’entità numerica del fenomeno; i
19 Laura Zanfrini, op.cit., pag.136. 20 Ibidem, pag.136.
27
dati divulgati dal Ministero degli Interni segnalano un aumento
costante, anche se contenuto, della popolazione straniera: i
permessi di soggiorno rilasciati nel 1998 sono stati 1.033.235, nel
1999 sono aumentati a 1.251.994 per giungere a 1.388.153 nel
2000. Le statistiche evidenziano che i cittadini stranieri non si
distribuiscono uniformemente sul territorio italiano, come mostra
il fatto che, nel 2000, tre regioni hanno ospitato
complessivamente la metà di loro; in ordine di consistenza
numerica queste tre regioni sono la Lombardia, il Lazio e il
Veneto, mentre nel Mezzogiorno primeggia la Campania, che
però registra solo il 4,9% di soggiornanti stranieri. Tra i motivi
della concessione dei permessi di soggiorno predominano quelli
relativi al lavoro, seguiti dai motivi familiari, che si riferiscono
principalmente a ricongiungimenti. Secondo Patrizia Farina i dati
riportati “confermano un’immagine ormai consolidata: gli
stranieri in Italia sono ancora relativamente pochi rispetto ad altre
realtà europee, sono presenti principalmente per motivi di lavoro
e per questa ragione tendono a concentrarsi nelle regioni che più
di altre offrono loro l’opportunità di esercitarlo”21. Le statistiche
fin qui analizzate erano inerenti alle presenze regolari, ma è
importante prendere in considerazione anche le presenze
irregolari, al fine di quantificare più correttamente la popolazione
straniera; i dati del Ministero degli Interni appaiono confortanti, 21 Gian Carlo Blangiardo e Patrizia Farina, La presenza regolare e irregolare, in Fondazione Cariplo per le Iniziative e lo Studio sulla Multietnicità, Sesto rapporto sulle migrazioni 2000, Franco Angeli, Milano, 2001, pag. 12-13.
28
prospettando un rapporto di circa 10 illegali per ogni 100
stranieri regolarmente presenti in Italia. L’attività di
monitoraggio della fondazione Cariplo-I.S.MU., tuttavia,
propone una visione meno ottimistica in relazione ad alcune
province lombarde (addirittura attesta 25-30 irregolari per ogni
100 regolari nella realtà milanese extrametropolitana e nella
provincia di Varese a metà anno 2000) rendendo auspicabili
azioni di monitoraggio sull’intero territorio nazionale, per
ottenere stime più attendibili del fenomeno. Per quanto riguarda
le aree di provenienza, l’evoluzione delle iscrizioni anagrafiche
tra il 1994 e il 1999 evidenzia che sono aumentati notevolmente
gli albanesi e i rumeni fra gli est europei, tra gli asiatici sono
incrementati soprattutto i filippini, i cinesi e i singalesi, mentre
fra i sudamericani i peruviani hanno registrato il maggior
aumento. Durante il quinquennio considerato sono cresciuti in
numero anche gli africani, ma molto meno rispetto alle
provenienze appena ricordate, probabilmente perché la loro
presenza era già consistente. Passando a valutare il numero di
stranieri iscritti all’anagrafe, secondo i dati Istat in cinque anni
sono aumentati del 77,4% raggiungendo nel 1999 la cifra di
1.116.394; questa significativa crescita concorre a sostenere i
ricercatori dell’I.S.MU. in una convinzione importante: “si
stanno manifestando con più decisione alcuni aspetti che tendono
29
a mettere in evidenza il carattere strutturale della presenza
straniera22”. Un altro di questi aspetti emerge dall’andamento
numerico dei matrimoni, con almeno un coniuge straniero, che
sono stati celebrati in Italia tra il 1992 e il 1996; nell’arco di
questi anni sono aumentati del 19,9% diventando 11.993 nel
1996. Tra l’altro la prevalenza di unioni nelle quali un coniuge,
più frequentemente la sposa, è di cittadinanza italiana può essere
interpretata come un segno di crescente integrazione, pur
ricordando che una parte non quantificabile di stranieri usa il
matrimonio come strumento per poter rimanere in Italia.
L’ipotesi di una tendenza alla stabilizzazione appare
ulteriormente rafforzata considerando che, tra il 1989 e il 1996,
le nascite da almeno un genitore straniero sono aumentate del
145,9% facendo appendere 24.061 fiocchi nel 1996. Ciò ha reso
“multietniche” le Maternità di molti ospedali italiani, spingendoli
ad elaborare strategie utili per accogliere le partorienti nel
miglior modo, per esempio negli ospedali milanesi San Carlo e
San Paolo è stato creato un centro d’ascolto in cui lavorano anche
mediatrici culturali che aiutano i medici italiani a capire e a
rispettare le diverse culture della nascita di cui sono portatrici le
donne immigrate. Un ulteriore indice di stabilizzazione è
costituito dal forte incremento della presenza di alunni stranieri
nelle scuole italiane; i dati forniti dal Ministero della Pubblica
22 Sesto rapporto sulle migrazioni 2000, cit., pag.5.
30
Istruzione mostrano che tra l’anno scolastico 1995/6 e il
1999/2000 gli alunni stranieri sono raddoppiati, arrivando così a
rappresentare l’1,47% del totale degli alunni. Essi si
distribuiscono in modo differenziato secondo l’ordine di scuola,
in particolare nel 1999 erano più numerosi nelle scuole
elementari, seguite dalle medie, dalle materne e, a distanza, dalle
scuole superiori; a questo proposito è interessante sottolineare la
maggiore presenza di femmine nelle scuole superiori, “segno di
un orientamento positivo verso l’istruzione sia da parte delle
famiglie sia nelle ragazze straniere”23. In tale contesto gli
insegnanti italiani si stanno impegnando nel realizzare iniziative
di educazione interculturale, il cui obiettivo principale consiste
nella promozione della conoscenza e del dialogo tra persone
“diverse”, in una prospettiva di reciproco arricchimento.
Per quanto riguarda il volume complessivo del lavoro immigrato,
le analisi più recenti documentano una sua continua crescita, ma
il dato più significativo “è quello della permanenza degli
immigrati in attività scarsamente qualificate, in contrasto con i
buoni livelli di istruzione di parecchi soggetti, con l’esperienza
professionale accumulata in alcuni anni ormai di permanenza in
Italia, e con l’enfasi posta dagli stessi rappresentanti del mondo
imprenditoriale sul fabbisogno di lavoratori qualificati”24. Tra i
fattori che contribuiscono a spiegare questa situazione occorre
23 Elena Besozzi, La scuola, in Sesto rapporto sulle migrazioni 2000, cit., pag.105. 24 Maurizio Ambrosini, Il lavoro, in Sesto rapporto sulle migrazioni 2000, cit., pag.93.
31
ricordare le difficoltà incontrate per ottenere il riconoscimento
dei titoli di studio e una competenza linguistica talvolta ridotta,
che ostacola la ricerca di occupazioni più qualificate. Un’altra
causa è riconducibile al funzionamento delle reti etniche, cioè al
fatto che spesso i contatti con i datori di lavoro vengono forniti
da connazionali già impiegati presso quei datori, i quali,
soprattutto per mansioni a basso contenuto tecnico-professionale,
possono adottare come “criterio di selezione” la conoscenza tra
l’immigrato in cerca di occupazione e un lavoratore straniero
precedentemente assunto. Il funzionamento delle reti etniche
rischia di condurre alla formazione di stereotipi che, associando
gli immigrati di una certa provenienza a un determinato tipo di
lavoro, rendono più difficoltoso il miglioramento professionale
dei lavoratori stranieri. Tale miglioramento appare avversato
anche dagli atteggiamenti dei lavoratori autoctoni, come ha
evidenziato Laura Zanfrini sostenendo che “sui luoghi di lavoro,
la promozione di uno straniero a ruoli di maggiore responsabilità
deve essere “negoziata” con la base lavoratrice, generalmente
poco disposta ad accettare che un immigrato, benché più istruito,
ottenga un ruolo gerarchicamente superiore al proprio” 25. Le
aspirazioni degli immigrati a migliorare la loro condizione
lavorativa trovano espressione nell’avvio di attività autonome,
25 Laura Zanfrini, La discriminazione nel mercato del lavoro, in Fondazione Cariplo-I.S.MU., Quinto rapporto sulle migrazioni 1999, Franco Angeli, Milano, 2000, pag.182.
32
che stanno rapidamente aumentando soprattutto per l’iniziativa
degli egiziani e dei cinesi.
Maurizio Ambrosini ha cercato di sintetizzare i principali modelli
di impiego del lavoro immigrato in Italia,26 mettendo in evidenza
i diversi rapporti tra lavoratori stranieri ed economie locali. Nella
tipologia proposta da Ambrosini troviamo il modello
dell’industria diffusa, caratteristico delle regioni del Nord Est,
della Lombardia orientale e di zone sempre più ampie di Emilia
Romagna, Toscana, Marche e Umbria. In queste aree gli
immigrati trovano lavoro principalmente nelle piccole e medie
imprese, che li assumono per svolgere lavoro operaio
scarsamente qualificato, anche se è in aumento la richiesta di
manodopera qualificata. Vi è poi il modello metropolitano, tipico
di Roma e Milano e, in misura minore, delle altre maggiori città
italiane. Nelle grandi città molte donne immigrate lavorano come
collaboratrici domestiche o come assistenti agli anziani, mentre
gli uomini vengono impiegati prevalentemente nei servizi relativi
alla ristorazione e in quelli inerenti alla manutenzione della
struttura urbana. E’ nelle metropoli inoltre che gli immigrati
stanno dando vita ad attività indipendenti, talvolta in risposta alle
esigenze delle comunità straniere, come nel caso delle macellerie
islamiche. Nelle grandi città è frequente l’impiego irregolare dei
lavoratori immigrati, soprattutto nel lavoro domestico,
nell’assistenza e nell’edilizia. Ambrosini conclude la sua 26 Maurizio Ambrosini, op.cit.
33
tipologia tratteggiando due diversi modelli delle attività
stagionali, uno riferito alle regioni meridionali e l’altro a quelle
centro-settentrionali. Per quanto riguarda il Sud Italia,
l’occupazione immigrata è per lo più irregolare e precaria,
riguarda le campagne di raccolta dei prodotti ortofrutticoli e, in
misura minore, l’industria alberghiera; inserimenti lavorativi più
stabili sono stati rilevati nel settore della pesca, dell’edilizia e
delle serre. Nell’Italia centro-settentrionale il lavoro immigrato è
caratterizzato da maggiore regolarità e tutela, è impiegato nelle
attività agricole e sempre di più nel settore turistico-alberghiero.
Maurizio Ambrosini ritiene probabile che in queste aree gli
immigrati possano sviluppare attività indipendenti in quei settori
che richiedono un capitale fisso contenuto, come avviene ad
esempio nelle pulizie e nel trasporto leggero.
Parlando di lavoro immigrato, è interessante considerare i
risultati di una recente rilevazione del Sistema Informativo
Excelsior, che ogni anno cerca di individuare i fabbisogni di
professionalità delle imprese italiane. L’indagine relativa al
biennio 1999-2000 per la prima volta includeva un
approfondimento relativo alle assunzioni di personale
extracomunitario, e i dati raccolti evidenziano una forte
propensione a ricorrervi: circa ¼ delle imprese che assumono si è
dichiarata disponibile ad impiegare manodopera proveniente da
34
paesi extracomunitari,27 individuando un fabbisogno complessivo
stimabile in 200.589 unità, cioè poco meno di ¼ di tutte le
assunzioni previste. Le sole regioni del Nord Est hanno espresso
la necessità di assumere 77.947 stranieri, ma anche nel resto
d’Italia le cifre sono significative, incluso il Sud e le Isole
nonostante queste regioni siano afflitte da alti tassi di
disoccupazione. Le assunzioni previste si concentrano in settori
che sperimentano difficoltà di reperimento di personale italiano;
per quanto riguarda l’industria, i comparti maggiormente
interessati sono le costruzioni, il metalmeccanico e l’industria del
legno, mentre nel settore dei servizi primeggia il commercio
all’ingrosso, al dettaglio e riparazioni, seguito dai servizi
operativi alle imprese. E’ importante ricordare che i dati raccolti
attraverso l’indagine Excelsior quantificano le assunzioni
previste e non quelle effettive, tuttavia segnalano il carattere
strutturale del fabbisogno di lavoratori immigrati nel nostro
paese, e mettono in rilievo la necessità di investire nella loro
formazione professionale, come dimostra la richiesta di operai
qualificati, tecnici, infermieri, assistenti socio-sanitari.
E’ stato sottolineato che il progressivo radicamento
dell’immigrazione in Italia “avviene in una situazione ancora
caratterizzata da una forbice tra “cittadinanza economica”
(accettata e riconosciuta) e persistente esclusione, per più di un 27 Questo e i successivi dati relativi al Sistema Informativo Excelsior sono tratti da Laura Zanfrini, La programmazione dei flussi per motivi di lavoro, in Sesto rapporto sulle migrazioni 2000, cit.
35
aspetto, da quella che viene definita “cittadinanza sociale”28. A
supporto di tale osservazione , si può riflettere ad esempio sulle
difficoltà esperite dagli immigrati per accedere a condizioni
abitative dignitose e sull’utilizzo ancora limitato dei servizi
sanitari, che tra le varie cause annovera la non consapevolezza
del diritto ad usufruirne, nonché l’incomprensione culturale e
linguistica tra medico italiano e paziente immigrato.
1.6 L’evoluzione del quadro legislativo.
Per quanto riguarda gli sviluppi legislativi, nel 1998 il
Parlamento ha approvato la legge n.40, recepita e integrata dal
decreto legislativo n. 286 del 1998 (Testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero) ed ulteriormente perfezionata
con l’emanazione del Regolamento di attuazione (DPR n.394 del
1999). Questa legge, nota anche come legge Napolitano-Turco,
ha apportato significative novità in materia di immigrazione, a
partire dalla scelta della programmazione annuale quale criterio
per regolare i flussi di ingresso. In base alla nuova legge, ogni
anno un decreto del Presidente del Consiglio determina le quote
d’ingresso per i cittadini extracomunitari, tenendo in
considerazione le esigenze del mercato del lavoro; le quote
vengono fissate per paese di provenienza e a seconda del tipo di 28 Sesto rapporto sulle migrazioni 2000, cit., pag. 6.
36
lavoro da svolgere (lavoro subordinato, stagionale o autonomo)
mediante accordi tra governo italiano e paesi non appartenenti
all’Unione Europea. La legge approvata nel 1998 disciplina il
rapporto di lavoro subordinato stabilendo che il datore di lavoro
può presentare la richiesta nominativa per l’assunzione di uno
straniero residente all’estero oppure, senza scegliere una
determinata persona, può chiedere l’autorizzazione al lavoro per
uno o più iscritti nelle liste degli stranieri che chiedono di
lavorare in Italia. In entrambi i casi l’autorizzazione viene
rilasciata dalla competente Direzione provinciale del lavoro nel
rispetto dei limiti previsti dai decreti e dopo aver verificato le
condizioni offerte dal datore di lavoro, incluso il tipo di alloggio
destinato al lavoratore. La legge in esame prevede poi che lo
straniero non comunitario, entro otto giorni lavorativi dal suo
arrivo, richieda uno dei vari permessi di soggiorno possibili, che
si differenziano per la loro durata: il permesso di soggiorno per
visite, affari o turismo dura non più di tre mesi, quello per lavoro
stagionale da sei a nove mesi, il permesso per gli studenti dura al
massimo un anno (ma è rinnovabile se i corsi sono pluriennali)
mentre il permesso per lavoro autonomo e subordinato a tempo
indeterminato, così come per ricongiungimenti familiari, dura
fino a due anni.
La legge n.40 prevede anche la possibilità di ricorrere alla
prestazione di garanzia da parte di soggetti individuali o
collettivi; in questo caso lo straniero che intende venire in Italia
37
per lavorare può cercare un garante fra italiani e stranieri
(regolarmente presenti nel nostro paese) oppure fra enti ed
associazioni del volontariato. Il garante deve assicurare
l’alloggio, i mezzi di sostentamento, l’assistenza sanitaria e le
spese per il rimpatrio; in tal modo l’extracomunitario può
iscriversi alle liste di collocamento e riceve un permesso di
soggiorno della durata di un anno, al termine del quale deve
lasciare l’Italia se non ha trovato occupazione.
Dopo cinque anni di regolare soggiorno, il cittadino straniero
immune da precedenti penali e con un reddito documentabile può
richiedere la Carta di soggiorno, che consente l’accesso a quasi
tutti i diritti propri della cittadinanza, esclusi quelli riservati agli
italiani (come la difesa dello Stato) e il diritto di voto alle
elezioni amministrative.
Nella parte relativa alla disciplina dei respingimenti e delle
espulsioni vengono stabilite regole di controllo più incisive e
norme più severe. Espulsioni amministrative con
accompagnamento coatto alla frontiera possono scattare per
ingresso illegale, mancata richiesta del permesso di soggiorno,
persone dedite a traffici delittuosi e, se l’accompagnamento non è
immediatamente effettuabile, lo straniero può essere trattenuto in
un centro di permanenza temporanea per un massimo di trenta
giorni. La legge n.40 sancisce pene molto dure, da tre a quindici
anni di carcere, per i trafficanti di clandestini, riservando il
massimo della pena a chi recluta persone da destinare alla
38
prostituzione o minori da impiegare in attività illecite. Gli articoli
dedicati alle politiche di integrazione contengono elementi degni
di nota, come la possibilità di accedere ai bandi per
l’assegnazione di alloggi pubblici. La nuova normativa ha
previsto anche la creazione di organismi composti da molteplici
soggetti che si occupano di immigrazione, comprese le
associazioni dei cittadini stranieri; questi organismi sono la
Consulta nazionale per i problemi degli immigrati e delle loro
famiglie e, a livello provinciale, i Consigli territoriali, incaricati
di individuare le esigenze più urgenti e di promuovere gli
interventi da attuare a livello locale.
E’ interessante esaminare alcune difficoltà emerse nell’attuazione
del Testo unico sull’immigrazione, iniziando da quelle relative
alla determinazione annua delle quote d’ingresso; è stato
evidenziato29 il ritardo con il quale tali quote sono state
determinate nel 1998 e nel 1999, mentre nel 2000 la
programmazione è stata tempestiva ma insufficiente a coprire le
richieste del mondo produttivo, pertanto si è dovuto ricorrere a
un decreto di integrazione per il secondo semestre dell’anno.
Luciano Fasano e Francesco Zucchini hanno analizzato
l’implementazione locale del Testo unico in tre comuni lombardi:
Brescia, Sesto S. Giovanni e Busto Arsizio30. Tra gli elementi
emersi, è opportuno segnalare che le modalità di rilascio della 29 Ennio Cadini, Gli aspetti normativi, in Sesto rapporto sulle migrazioni 2000, cit. 30 Luciano Fasano, Francesco Zucchini, L’implementazione locale del testo unico sull’immigrazione, in Sesto rapporto sulle migrazioni 2000, cit.
39
Carta di soggiorno variano nei tre comuni, richiedendo in genere
documentazione aggiuntiva rispetto alle disposizioni del Testo
unico; per quanto riguarda i Consigli territoriali, molti operatori
locali addirittura ignorano la loro esistenza e, anche quando i
Consigli vengono convocati, non sembrano produrre risultati
significativi.
La normativa in tema di immigrazione è stata parzialmente
modificata dalla legge n.189 del 2002, più conosciuta come legge
Bossi-Fini; essa ribadisce che la politica migratoria italiana si
basa sulla determinazione annuale delle quote di stranieri da
ammettere nel nostro paese per motivi di lavoro, puntualizzando
che il relativo decreto del Presidente del Consiglio deve essere
emanato entro il 30 novembre dell’anno precedente a quello di
riferimento del decreto, salva la necessità di emanare ulteriori
provvedimenti durante l’anno. Come già era stato stabilito nel
1998, i permessi di soggiorno rilasciati per motivi di lavoro
hanno una durata diversa a seconda del tipo di lavoro svolto
dall’immigrato, comunque non superiore ai due anni; questo
termine vale anche per i ricongiungimenti familiari, che però
vengono limitati al coniuge, ai figli minori e ai genitori qualora
non abbiano altri figli nel paese di origine. Una novità introdotta
dalla legge Bossi-Fini consiste nell’obbligo di sottoporsi a rilievi
fotodattiloscopici al momento di richiedere il permesso di
soggiorno; tale norma, attorno alla quale si è acceso un notevole
dibattito pubblico, è stata difesa dai proponenti sostenendo che
40
faciliterà l’identificazione degli immigrati, risultata fino ad oggi
molto complicata in alcuni casi. Rispetto alla legge Napolitano-
Turco, nel nuovo testo legislativo non è prevista la possibilità di
ricorrere alla prestazione di garanzia per venire a cercare lavoro
in Italia, mentre viene elevato a sei il numero degli anni di
regolare permanenza necessari per ottenere la Carta di soggiorno.
La legge n.189, come la precedente, prevede le espulsioni
amministrative, precisando che lo straniero espulso non può
rientrare in Italia senza una speciale autorizzazione del Ministro
dell’Interno, altrimenti commette reato ed è punito al primo
tentativo di reingresso con l’arresto da sei mesi ad un anno, oltre
ad essere nuovamente espulso, mentre al secondo tentativo viene
punito con la reclusione da uno a quattro anni. La recente legge
riafferma che lo straniero in attesa di essere espulso può essere
trattenuto in un centro di permanenza temporanea, fissando un
periodo massimo di trattenimento pari a sessanta giorni, cioè il
doppio di quello sancito dalla legge del 1998. Uno degli obiettivi
della legge in esame è quello di contrastare l’immigrazione
clandestina, a tal fine vengono stabilite pene fino a tre anni per
chi favorisce l’ingresso di clandestini, da quattro a dodici anni
per i loro trafficanti, da cinque a quindici anni per chi recluta
persone da destinare allo sfruttamento sessuale o minori da
impiegare in attività illecite. Oltre a ciò, la legge Bossi-Fini
autorizza le navi della Marina militare a fermare e ad ispezionare
gli scafi sospettati di trasportare illecitamente migranti, compito
41
che finora era riservato alle vedette della Guardia di Finanza,
della Guardia Costiera, o ai mezzi di Polizia e Carabinieri. E’
importante ricordare, infine, che la legge n.189 ha offerto
un’occasione per uscire dall’irregolarità alle domestiche e alle
badanti di origine extracomunitaria; in particolare, la nuova
normativa ha permesso di regolarizzare una colf per famiglia,
senza fissare invece un limite numerico per gli assistenti di
persone anziane, malate o handicappate. Grazie a questa legge i
datori di lavoro hanno potuto presentare una “dichiarazione di
emersione” entro due mesi dalla sua entrata in vigore,
impegnandosi a stipulare un regolare contratto di assunzione e
versando tre mesi di contributi arretrati. Verificata
l’ammissibilità della dichiarazione di emersione, al dipendente
extracomunitario viene rilasciato un permesso di soggiorno
valido per un anno ma rinnovabile alla scadenza.
I ricercatori dell’I.S.MU. hanno commentato la nuova legge
prima che venisse approvata; secondo loro alcune modifiche
normative rimandano al modello del “lavoratore ospite”. In
questa prospettiva si collocano le restrizioni in materia di
ricongiungimento familiare, l’eliminazione della possibilità di
ricorrere alla prestazione di garanzia (che significa entrare in
Italia solo avendo già un lavoro) e l’aumento del numero di anni
necessari per ottenere la Carta di soggiorno. Vincenzo Cesareo
sostiene che concepire l’immigrato come “lavoratore ospite”
appare una visione “troppo limitata a fronte di una situazione
42
reale che vede un forte radicarsi della presenza straniera nel
paese”31. Dall’istituto milanese giunge anche il monito a non
riproporre sanatorie una tantum (come quella prevista dalla legge
Bossi-Fini) optando invece per canali di regolarizzazione
attivabili in ogni momento.
A conclusione di questo capitolo, merita sottolineare che i paesi
membri dell’Unione Europea si stanno impegnando per la
formulazione di una politica comune in tema di immigrazione. Il
Consiglio europeo straordinario di Tampere del 15 e 16 ottobre
1999 ha dato un notevole impulso a tale processo, infatti nel
documento conclusivo del vertice sono state individuate quattro
linee d’intervento sulle quali si basa la politica comune:
partenariato con i paesi di origine, gestione dei flussi migratori,
equo trattamento dei cittadini di paesi terzi, regime europeo
comune in materia di asilo. In quell’occasione il Consiglio
europeo ha espresso la necessità di un “ravvicinamento delle
legislazioni nazionali relative alle condizioni di ammissione e
soggiorno dei cittadini di paesi terzi in base ad una valutazione
comune sia degli sviluppi economici e demografici all’interno
dell’Unione sia della situazione dei paesi d’origine32”. Non è
peraltro facile armonizzare le diverse legislazioni nazionali;
durante il Consiglio europeo di Laeken/Bruxelles del 14 e 15
dicembre 2001 si sono evidenziate “tutte le diffidenze e le 31 Vincenzo Cesareo, Editoriale, in Fondazione Cariplo-I.S.MU., Settimo rapporto sulle migrazioni 2001, Franco Angeli, Milano, 2002, pag.10. 32Paragrafo 20 delle conclusioni della Presidenza del Consiglio.
43
reticenze degli stati membri a coordinarsi in settori considerati
tipicamente riservati alla sovranità statale”33. Malgrado ciò, il
Consiglio europeo ha riaffermato il proprio impegno riguardo
alle linee di intervento stabilite a Tampere. Appare dunque
probabile che nei prossimi anni la normativa italiana
sull’immigrazione debba essere parzialmente modificata, per
conformarsi alle regole fissate a livello europeo.
33 Emanuela Maria Mafrolla, Bruno Nascimbene, Gli orientamenti comunitari, in Settimo rapporto sulle migrazioni 2001, cit., pag.58.
44
CAPITOLO SECONDO
GLI IMMIGRATI E L’IMMIGRAZIONE NEI MEDIA:
LE PRINCIPALI INDAGINI REALIZZATE
45
2.1 L’immagine degli immigrati nella fase di latenza: il caso
de “La Nazione”.
Per molti anni il fenomeno immigratorio ha avuto scarsa
visibilità sui mezzi di comunicazione italiani; in questo senso gli
studiosi parlano di una lunga fase di latenza, protrattasi sino alla
fine degli anni Ottanta. Tra le poche ricerche che hanno
esaminato la trattazione giornalistica dell’immigrazione durante
tale fase, la più significativa è quella effettuata da Mahmoud
Mansoubi sulle pagine locali de “La Nazione” nel decennio
1978-198734. La delimitazione dell’indagine alle pagine di
cronaca cittadina poggia sull’ipotesi che la presenza di immigrati
abbia un diverso impatto sociale in relazione agli specifici
interessi socio-economici dei contesti locali; partendo da questa
considerazione, Mansoubi ipotizza “l’esistenza di
“atteggiamenti” tendenzialmente differenti rispetto agli
immigrati, specie fra le testate giornalistiche maggiormente
legate alle realtà locali”35. Inoltre, durante la fase di latenza la
maggior parte degli articoli relativi agli immigrati sono collocati
proprio nelle pagine locali dei quotidiani.
Per la sua indagine, Mahmoud Mansoubi ha preliminarmente
costruito un campione dei 3490 numeri de “La Nazione”
pubblicati dal primo gennaio 1978 al 31 dicembre 1987; sono 34 Mahmoud Mansoubi, Noi, stranieri d’Italia. Immigrazione e mass-media, Maria Pacini Fazzi Editore, Lucca, 1990. 35 Ibidem, pag.76.
46
stati quindi selezionati 6 numeri per ciascun mese, ottenendo un
campione composto da 720 esemplari. In questo modo, si sono
individuati 370 servizi giornalistici utili alla ricerca, che
Mansoubi ha analizzato nella duplice prospettiva sincronica e
diacronica. Dalla lettura sincronica è emerso che il 69,5% degli
articoli riguardanti i cittadini originari del Terzo Mondo
appartiene al genere “cronaca nera”. Nel 66,5% dei casi, inoltre,
la fonte della notizia è di tipo giudiziario; Mansoubi sottolinea lo
scarso contributo di altre fonti (ad esempio quelle politico-
amministrative e associazionistiche) e lo collega principalmente
al basso livello di interesse mostrato da Enti Locali e associazioni
verso la presenza di immigrati. Tuttavia, ciò “non
giustificherebbe completamente il giornale che (…) avrebbe
potuto variare maggiormente le fonti “scavando” nei risvolti, per
così dire, sociali degli eventi anziché limitarsi semplicemente ai
dispacci dei tribunali e della polizia36”. La prevalenza degli
articoli di cronaca nera, unita al fatto che circa ¾ delle persone a
cui ci si riferisce sono presentate come colpevoli degli episodi
riportati, tende a rafforzare la sub-immagine di straniero
delinquente.
Un’altra caratteristica degli articoli è la forte specificazione della
nazionalità dei soggetti trattati, soprattutto nelle notizie relative a
fatti delittuosi; in tal senso è frequente la sostantivazione
dell’aggettivo che esprime la “diversità” delle persone 36 Ibidem, pag.100.
47
provenienti dal Terzo Mondo, mentre la nazionalità dei cittadini
provenienti dai paesi occidentali è appena menzionata nei servizi
e raramente viene sostantivata.
Per quanto riguarda lo status socio-giuridico dei soggetti
nominati, solo nel 7% dei casi si parla di “migranti”, nel 18,9%
sono genericamente definiti “in posizione irregolare” e spesso gli
articoli non riportano alcuna indicazione di status socio-
giuridico. La bassa frequenza relativa alla classe “migranti”
indica, da parte del giornale, il lento riconoscimento di una figura
diversa dal “turista”: il 1984 è il primo anno in cui “La Nazione”
utilizza parole come “immigrato” ed “emigrato”. L’informazione
appare incompleta anche in relazione allo status lavorativo,
infatti il 73,5% delle persone trattate appartiene alle classi
“dedito ad attività illecite” e “non specificato”. La mancata
connotazione degli immigrati come lavoratori non fa emergere
con chiarezza i motivi della loro presenza, “l’immigrazione
appare, perciò, non tanto l’inevitabile conseguenza di un certo
tipo di sviluppo economico (…) quanto una imposizione, o
meglio una fatalità, legata soprattutto alla posizione geografica e
di frontiera d’Italia nel bacino mediterraneo37”.
La lettura diacronica degli articoli selezionati ha permesso di
cogliere alcuni mutamenti nella trattazione giornalistica degli
immigrati; nel lungo periodo i servizi di cronaca hanno un
andamento lievemente decrescente, che si accompagna al 37Ibidem, pag.116.
48
tentativo di variare maggiormente le fonti di informazione.
Mansoubi ritiene incoraggiante anche la tendenza al ribasso delle
frequenze relative agli immigrati colpevoli, unita al crescente
utilizzo della classe “altro” che include persone citate né come
“colpevoli” né come “vittime”.
Infine, la lettura diacronica ha evidenziato una progressiva
diversificazione dei luoghi menzionati parlando di immigrati: il
centro storico, pur rimanendo prevalente, viene affiancato da altri
quartieri fiorentini, nel presumibile intento di ampliare il campo
di osservazione sul fenomeno immigratorio.
2.2 Dal giornalismo alla fiction, le tante “voci”
sull’immigrazione nella fase di emergenza.
Alla fine degli anni Ottanta termina la fase di latenza, a cui
subentra la fase di emergenza: una serie di eventi richiama
l’attenzione dei mass-media sull’immigrazione nel nostro paese.
Questa fase è stata oggetto di un’ampia analisi diretta da Carlo
Marletti38 che si distingue per la capacità di mettere a fuoco le
tante “voci” che si sono espresse sull’immigrazione durante la
fase di emergenza, infatti viene presa in considerazione non solo
l’informazione stampata e televisiva, ma anche altri generi di
offerta del piccolo schermo come la fiction e la pubblicità.
38 Carlo Marletti, Extracomunitari. Dall’immaginario collettivo al vissuto quotidiano del razzismo, Eri-Vqpt, Torino, 1991.
49
Marletti giustifica tale impostazione affermando che “la
pubblicità, il cinema, il “giornalismo”, lo sport, danno origine a
forme di televisione che (…) possono differenziarsi anche in
modo sensibile proprio nel modo di trattare o affrontare lo stesso
stato-di-cose, lo stesso nucleo simbolico, lo stesso evento-
tema39”. Tra l’altro, il volume “Extracomunitari” costituisce il
primo risultato delle indagini condotte presso l’Osservatorio del
flusso informativo della stampa e della televisione attivato
all’Università di Torino; all’interno di tale Osservatorio nel 1990
è stato avviato un filone di ricerca sull’immigrazione, segno di un
crescente interesse verso l’argomento da parte del mondo
accademico.
Per quanto riguarda l’informazione stampata, Marletti aveva già
osservato40 che il tema dell’immigrazione ha vissuto una fase di
latenza piuttosto lunga, e in “Extracomunitari” lo dimostra
elaborando i dati dell’archivio elettronico de “La Stampa”, scelto
perché è l’unico quotidiano nel nostro paese a disporre di un
archivio che risale fino al 1982. Quell’anno i lettori de “La
Stampa” potevano leggere al massimo una ventina di titoli
relativi all’immigrazione nel corso di un trimestre, pari cioè a
meno di una notizia ogni quattro giorni. Alla fine del 1984 sono
rintracciabili circa settanta titoli a trimestre, e questo basso
livello di attenzione caratterizza anche il 1986. Marletti sottolinea 39 Ibidem, pag.106. 40 Carlo Marletti, Mass media e razzismo in Italia, in Democrazia e diritto, anno 30°, n.6, 1989, pp.107-125.
50
che l’anno in cui si è passati da una trattazione sporadica ad una
più costante è stato il 1987, iniziato con la promulgazione della
legge 943 sull’immigrazione. In tale occasione emerge
l’inesperienza nell’affrontare l’argomento, infatti i giornalisti
prendono spunto dalle code degli stranieri davanti alle questure
per scrivere articoli “dal tono ancora folkloristico e piuttosto
disinformato”41. Nello stesso anno l’inesperienza fa anche
perdere ai giornalisti alcune occasioni preziose per parlare di
immigrazione, come nel caso del naufragio tra la Sicilia e la
Tunisia del peschereccio Massimo Garau. Nonostante a bordo vi
fossero quindici marinai clandestini di origine africana, questo
aspetto rimane sullo sfondo della vicenda, che si preferisce
trattare come un giallo, il giallo della “nave dei misteri”. Secondo
Marletti la fase di emergenza inizia nell’aprile 1988, con i buoni
risultati ottenuti da Le Pen alle elezioni presidenziali in Francia;
ciò stimola l’interesse dei media verso l’immigrazione, ma il
tema viene sviluppato in un’unica direzione: “nelle redazioni
delle maggiori testate, la parola d’ordine diventa quella di darsi
da fare, fiutare in giro, scovare casi nascosti o palesi di
“comportamento razzista” da parte degli italiani”42. Per di più, in
mancanza di fatti più gravi, l’attenzione viene concentrata su
avvenimenti d’ordine simbolico, come l’esito di un sondaggio
condotto tra i liceali di Roma e di Genova che avrebbe fatto
41 “Extracomunitari” , pag.63. 42 Ibidem, pag.67.
51
emergere atteggiamenti razzisti. Quando poi, nella capitale,
alcuni teppisti obbligano una donna eritrea a cedere il suo posto
su un bus, ai giornalisti appare l’episodio ideale per cimentarsi in
deprecazioni e far recitare agli italiani il mea culpa. La ricerca
esasperata di storie di razzismo appare una forzatura, come ha
osservato Luciano Gallino: “forse in Italia si sta esagerando. A
scorrere le prime pagine dei quotidiani italiani di questi giorni,
par quasi di vivere nell’Alabama degli anni trenta se non nella
Baviera del 1938”43 .
Dopo poche settimane il tema diventa autoreferenziale, infatti i
giornali riportano soprattutto le dichiarazioni dei politici, facendo
diminuire l’interesse del pubblico. Nell’agosto del 1989
l’uccisione di Jerry Essan Masslo, sudafricano residente a Villa
Literno per la raccolta dei pomodori, catalizza l’attenzione dei
giornali, ad esempio “La Stampa” dedica tre-quattro notizie al
giorno nel mese di settembre. Anche in questo caso, tuttavia,
prevale la tendenza alla costruzione simbolica dell’evento e
all’autoreferenzialità: le condizioni di vita degli extracomunitari
in Italia interessano i giornalisti per pochi giorni, poi i riflettori
si spostano sugli aspetti celebrativi (in primo luogo i funerali di
Stato offerti a Jerry Masslo) e sulle dichiarazioni di politici e di
esponenti delle associazioni.
Poco dopo l’omicidio di Villa Literno, l’équipe di ricerca
torinese ha iniziato un’osservazione sistematica dei programmi 43 Luciano Gallino, “Il razzismo immaginario”, in La Stampa del 1° giugno 1988.
52
televisivi, con l’obiettivo di quantificare l’offerta di notizie sul
tema degli immigrati extracomunitari. L’osservazione è stata
effettuata per cinque settimane, dal 1° ottobre al 4 novembre
1989, periodo scelto non solo perché nel mese di ottobre
riprendevano programmi sospesi durante l’estate, ma anche
perché il 7 ottobre era stata convocata a Roma una
manifestazione nazionale di protesta contro il razzismo e di
rivendicazione dei diritti degli immigrati. Ciò “rappresentava una
buona occasione per studiare l’intenzionalità del palinsesto
televisivo, ossia per verificare in quale misura non soltanto
l’informazione, per sua natura più flessibile dal punto di vista
della programmazione e delle routines, ma anche programmi di
altro genere e in particolare i programmi di intrattenimento
potessero venire modificati (…) in relazione ad un tema nella
fase montante di un ciclo di attenzione”44. Durante le cinque
settimane prescelte sono stati registrati tutti i programmi andati in
onda dalle ore 18 alle ore 24 sui tre canali Rai ed i tre della
Fininvest, con la sola eccezione di “Nonsolonero” che è stato
registrato malgrado il diverso orario (infatti andava in onda alle
ore 14.45) per la sua attinenza tematica ai fini della ricerca. Da
questa osservazione è emersa la varietà di programmi televisivi
che hanno trattato argomenti relativi all’immigrazione,
all’identità razziale e alla discriminazione. Le tre reti Rai hanno
affrontato questi temi nei telegiornali (proponendo in media una 44 “Extracomunitari” , pag.71.
53
notizia e mezzo al giorno) negli speciali (uno ogni sei giorni in
media) e in vari programmi di attualità, come “Mixer” e
“Samarcanda”. Anche le tre reti Fininvest, nonostante in quel
periodo non avessero telegiornali, si sono occupate degli
argomenti che ci interessano in più occasioni, all’interno di
programmi che spaziano dal “Maurizio Costanzo show” fino a
“Emilio” e “Nonsolomoda”. Questi dati mostrano la permeabilità
del palinsesto televisivo a un tema di attualità come quello
dell’immigrazione, di cui tuttavia continua ad essere privilegiato
il sottotema del razzismo, mentre vengono trattati più
sporadicamente altri aspetti importanti tipo l’adattamento
culturale degli immigrati e le iniziative di solidarietà nei loro
confronti. Tralasciando questo limite, l’elemento positivo da
sottolineare è la posizione di aperto antirazzismo rintracciabile
nell’offerta televisiva, in cui sono stati trovati ben pochi casi di
ambiguità e nessuno di razzismo palese.
L’osservazione sistematica ha permesso di individuare alcune
caratteristiche del giornalismo televisivo; la prima consiste
nell’uso improprio dei verbali delle questure e dei referti redatti
nel pronto soccorso degli ospedali. Ricorrendo a tali fonti “il
rischio del cronista inesperto o trascurato è in primo luogo quello
delle trasposizioni schematiche (…) appiattendo il profilo dei
fatti e banalizzandoli o conferendo ad essi una rilevanza che non
54
hanno”45. Verbali e referti medici, tuttavia, contengono
informazioni preziose per il cronista, come le generalità dei
protagonisti delle vicende, che invece i giornalisti tendono a non
riportare, optando spesso per generalizzazioni come
“extracomunitario”. Marletti ha notato anche la scarsa
tematizzazione del fenomeno immigratorio, ricordando che
tematizzare non vuol dire semplicemente trattare un tema ma
“sviluppare un apprendimento conoscitivo o formarsi un giudizio
riflessivo sopra un evento o un problema”46. Al contrario, il
giornalismo televisivo ricorre di frequente a immagini
stereotipate dell’immigrazione che non contribuiscono a fornire
nuovi elementi di conoscenza. Ciò è stato riscontrato anche in
vari programmi di attualità e talk show andati in onda nel periodo
di osservazione (come “Samarcanda”, “I racconti del 113”,
“Maurizio Costanzo show”) che spesso hanno proposto lo
stereotipo dell’immigrato povero ed emarginato, offrendo a noi
spettatori storie ed immagini di stranieri che frequentano strade
periferiche, sotterranei di metropolitana, stazioni ferroviarie. A
questo proposito Massimo Ghirelli puntualizza che è “difficile
non essere banali, ripetitivi, anche con i migliori intenti. Ci sono
pochi che sono molto visibili e tanti che sono invece poco
visibili, o del tutto invisibili. Non è soltanto questione di occhio
45 Ibidem, pag.80. 46 Carlo Marletti, Prima e dopo. Tematizzazione e comunicazione politica, Eri-Vqpt, Torino, 1985, pag.9.
55
(…) ci sono anche condizioni oggettive, condizioni
materialmente nascoste”47.
Carlo Marletti ha sottolineato che tale rappresentazione
stereotipata contribuisce, tra l’altro, a rafforzare l’idea del “nero
come debole da proteggere”, presente nei programmi di attualità
e nei talk show. In diversi casi, infatti, i conduttori della
trasmissione hanno assunto il ruolo di “paladini” che difendono i
soggetti deboli (gli immigrati) spesso attingendo alla retorica e ai
toni comunicativi propri di un antirazzismo facile. Marletti
ritiene che questo tipo di antirazzismo sia molto rischioso,
poiché, ignorando di fatto “l’esperienza di chi abita e lavora nelle
grandi periferie suburbane, nei centri storici degradati o nelle
campagne della disoccupazione e della povertà endemiche”48,
crea un divario tra le prese di posizione dei media e il vissuto
della gente, con il possibile effetto di rafforzare la circolazione di
pregiudizi ostili agli stranieri.
E’ stato anticipato che l’équipe di ricerca torinese si è interessata
di fiction, partendo dal presupposto che “ la produzione di
immaginario (…) può avere una funzione essenziale nell’aiutarci
a pensare ai problemi in termini nuovi, anticipandoli e
prefigurandoli in maniera creativa e non pregiudiziale”49. Il
47 Massimo Ghirelli, Immigrati brava gente, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 1993, pag.21. 48 Carlo Marletti, I media, la circolazione dei “rumori” e le idee ostili verso gli stranieri, in I barbari tra noi. Problemi sociali e culturali dell’immigrazione, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta, 1998, pag.71. 49 “Extracomunitari”, pag.8.
56
periodo prescelto per l’analisi della fiction va dal settembre 1989
all’agosto 1990; durante questo anno sono stati analizzati sia i
film a tema (ossia quelli che avevano come tema esplicito la
multirazzialità, i problemi di identità etnica, il razzismo o
l’antirazzismo) sia i film di repertorio (quelli che presentavano
elementi significativi di connotazione razziale nello sfondo,
oppure che avevano come protagonista o co-protagonista un
attore appartenente ad una minoranza etnica) andati in onda sulle
reti Rai e Fininvest. Dall’esame è emersa una costante offerta di
fiction razziale nel corso dell’anno, infatti gli spettatori potevano
trovare ogni settimana film a tema (due film il 94% delle
settimane) e film di repertorio (mediamente più di un film ogni
settimana). E’ interessante notare che i film a tema non si
distribuiscono uniformemente durante l’anno considerato, ma
hanno un andamento altalenante con picchi corrispondenti a
periodi in cui si sono verificati eventi eccezionali, come la
manifestazione nazionale convocata a Roma dopo l’uccisione di
Jerry Masslo e la promulgazione della legge Martelli.
Riprendendo un concetto già definito, questo andamento
metterebbe in luce un certo livello di “intenzionalità del
palinsesto”, cioè la capacità di adattare la programmazione in
relazione ad eventi che sensibilizzano il pubblico verso
determinati fenomeni o problemi. Marletti precisa che
l’intenzionalità del palinsesto trova dei limiti non solo nei tempi
di programmazione (generalmente lunghi) ma anche nella
57
disponibilità di determinati film nel magazzino, poiché “i film
disponibili inevitabilmente rispecchiano il divario tra modelli e
problemi, immaginario e vissuto, in quanto sono stati prodotti a
volte anche parecchio tempo prima”50. Quest’ultimo elemento è
risultato particolarmente evidente nell’analisi di un anno di
fiction, infatti la maggior parte dei film a tema narrava storie di
ebraismo e antisemitismo, oppure rappresentava situazioni e
problemi nordamericani. In entrambi i casi, si tratta di realtà
difficilmente rapportabili al vissuto del pubblico italiano, per tale
motivo Carlo Marletti in “Extracomunitari” lamenta la mancanza
di film su immigrazione e razzismo più adeguati alla specificità
del nostro paese.
Il volume in esame dedica un capitolo alla cosiddetta televisione
post-razziale, corrispondente a manifestazioni sportive e
musicali, a servizi sul mondo della moda e ad un certo tipo di
spot pubblicitari (i più emblematici sono quelli di “United Colors
of Benetton”). Questa “altra metà del video”, come l’hanno
definita i ricercatori torinesi, si fonda su criteri culturali post-
razzisti secondo i quali “la differenza è un valore propulsivo per
un modello di socialità fondato sul consumo (per sua natura
egualitario), sul successo (che premia l’individualità, l’estrosità,
la specificità) (…) sulla bellezza”51. La televisione post-razziale,
pur non proponendo un modello esplicito di società multietnica, è
50 Ibidem, pag.60. 51 Ibidem, pag.114.
58
apprezzabile perché introduce nelle case degli italiani
un’originale “rappresentazione simbolica” della differenza.
2.3 I vizi ricorrenti dell’informazione stampata e televisiva
nei primi anni Novanta.
L’Osservatorio di Torino ha continuato la sua attività tramite una
serie di ricerche che si sono concentrate sull’offerta informativa
di stampa e televisione riguardo all’immigrazione e alle relazioni
interetniche. Nel febbraio 1992 sono stati esaminati per tre
settimane i telegiornali serali ed i programmi di attualità e di
informazione delle tre reti Rai, delle tre reti Fininvest e di
Telemontecarlo. Questa indagine ha mostrato che l’argomento
immigrazione è diventato una presenza quotidiana del contesto
informativo, ad esempio nei telegiornali sono stati individuati
complessivamente più di tre riferimenti al tema ogni giorno. La
trattazione costante, tuttavia, si accompagna a “vizi” ricorrenti
che la ricerca ha messo a fuoco; un primo elemento consiste nel
fatto che la maggioranza delle notizie proposte riguarda episodi
di criminalità e devianza. Quando poi gli immigrati sono vittime
di atti di violenza, o in caso di diritti violati, “scatta (…) un
atteggiamento difensivo di prima istanza, ovvero una forma di
antirazzismo facile che si attiva quasi come un automatismo e
che sceglie una posizione di parte senza indagare troppo sugli
59
aspetti del problema”52. Accanto all’antirazzismo facile, già
emerso nelle ricerche precedenti, l’indagine del 1992 segnala la
diffusione di un atteggiamento più cauto di antirazzismo
prudente, adottato dai giornalisti soprattutto nell’affrontare casi
caratterizzati da forti tensioni sociali. Marinella Belluati sostiene
che la ragione di questo nuovo atteggiamento vada ricercata
principalmente nel mutato clima di opinione verso gli immigrati:
eventi come “l’emergenza albanesi” hanno contribuito a
diffondere forme di chiusura e di diffidenza che i media non
possono ignorare.
La ricerca ha ribadito la scarsa capacità di approfondimento
tematico, che sarà ulteriormente confermata negli studi
successivi. Nel 1992 la carenza di approfondimento relativa al
mondo dell’immigrazione è stata riscontrata pur in presenza di
diverse trasmissioni che hanno affrontato l’argomento, e può
essere colta specificando alcune modalità di trattazione ricorrenti.
Molte trasmissioni hanno invitato esperti e uomini politici, oltre a
persone comuni, per articolare un dibattito utile ad una migliore
comprensione del fenomeno immigratorio. La qualità dei dibattiti
risulta però modesta, poiché sono prevalse discussioni litigiose
che hanno soddisfatto un’esigenza di spettacolarizzazione tipica
di certi programmi. I litigi e gli insulti hanno lasciato poco spazio
ad un autentico processo di approfondimento, che tuttavia è 52 Marinella Belluati, Il Paladino, il Prudente, il Facilone, il Cantastorie. Le maschere del giornalismo sul razzismo in TV, in Marinella Belluati, Giorgio Grossi, Eleonora Viglongo, op.cit., pag.125.
60
risultato limitato anche in programmi caratterizzati da toni più
pacati. Marinella Belluati ricorda, ad esempio, la trasmissione di
Raidue “Il coraggio di vivere” che in tre settimane si è occupata
di immigrazione due volte, senza mai arrivare alla rissa ma
neppure problematizzando adeguatamente i temi, impegnandosi
con molta più efficacia a lanciare appelli di solidarietà verso gli
immigrati.
Durante le tre settimane di indagine, i programmi di attualità
hanno ospitato frequentemente gli immigrati, dando la parola
soprattutto a persone che hanno vissuto esperienze dolorose; in
questo modo le storie raccontate hanno contribuito poco ad
approfondire il tema generale dell’immigrazione, ad eccezione di
programmi come “Nonsolonero” e “Missione Reporter” che
hanno saputo utilizzare le esperienze degli immigrati per fornire
informazioni ed elementi interpretativi nuovi. Un’ulteriore prova
di limitato approfondimento può essere individuata nella scarsa
attenzione dedicata ai contesti di origine degli immigrati,
mostrati prevalentemente in trasmissioni di tipo documentaristico
come “Mediterraneo”.
Riportando queste carenze, Marinella Belluati si domanda
“quanto la televisione sia veramente in grado di svolgere questo
compito fino in fondo, o se la sua funzione non sia più che altro
quella di proporre spunti di approfondimento senza dar vita a
processi di vero approfondimento cognitivo, troppo complessi,
61
forse, per essere affrontati soprattutto in video”53. Il guaio è che
“fuori dal video” la situazione appare analoga, come hanno
dimostrato alcune ricerche sull’informazione stampata condotte
nei primi anni Novanta. Ad esempio un’indagine effettuata sui
principali quotidiani italiani da aprile ad agosto 199154 ha
evidenziato un’insufficiente trattazione dei rapporti tra Nord e
Sud del mondo, grave perché l’immigrazione “resta in gran parte
un fenomeno sfuggente e incomprensibile se non viene collocata
nel contesto che la produce, cioè i rapporti tra Nord e Sud, tra
paesi ricchi e paesi poveri del mondo” 55. Durante i cinque mesi
di rilevazione sono stati individuati 129 articoli, la maggior parte
dei quali ha trattato i rapporti Nord-Sud in un’ottica fortemente
eurocentrica, lasciando poco spazio al punto di vista dei paesi del
Sud. La stessa indagine ha esaminato due quotidiani esteri, “Le
Monde” e “El Pais”, che hanno mostrato una maggiore capacità
di approfondimento rispetto ai quotidiani italiani: in cinque mesi
hanno dedicato 203 articoli alla problematica del rapporto Nord-
Sud, prestando una significativa attenzione alla situazione interna
dei paesi del Sud e al tema della cooperazione.
In alcuni casi, lo scarso approfondimento si unisce alla
stigmatizzazione del “pericolo straniero”, come è avvenuto
53 Ibidem, pag.143. 54 I risultati di tale indagine sono riportati in Giorgio Grossi, Ignorare la relazione, ovvero come tematizzare a vuoto il rapporto Nord-Sud nel mondo, in Marinella Belluati, Giorgio Grossi, Eleonora Viglongo, op.cit. 55 Enzo Schiavina, L’Antenna di Babele 2 - Media, società-mondo, formazione, Anabasi, Milano, 1995, pag.62.
62
durante l’esodo albanese verso le coste italiane nel 199156.
All’inizio i quotidiani hanno dipinto gli albanesi come un popolo
storicamente vicino a noi, riproponendo anche lo stereotipo degli
“italiani brava gente”, solidali e generosi verso i più sfortunati. In
breve tempo, però, la stampa ha presentato un’immagine molto
diversa degli albanesi, descrivendoli progressivamente come una
“minaccia” per il Belpaese e definendo “irriducibili” quelli più
decisi a non rimpatriare. Contemporaneamente, i quotidiani
hanno dedicato poca attenzione alla realtà sociale e politica
dell’Albania, proponendo solo 19 articoli di approfondimento in
5 mesi.
La stigmatizzazione dei “pericolo straniero” è stata colta da
Jessika ter Wal analizzando il linguaggio di quotidiani e stampa
periodica dal novembre 1989 al giugno 1990, vale a dire nel
momento dell’introduzione della legge Martelli57. La ricercatrice
olandese ha individuato le metafore e le parole più utilizzate dai
giornalisti italiani parlando di immigrazione, a cominciare da una
serie di immagini che la descrivono come un fenomeno continuo
e inarrestabile. A questo proposito, Jessika ter Wal cita il
frequente uso del termine “flusso”, accanto al quale vengono
spesso inseriti aggettivi come “massiccio”, “incessante”,
“incalzante”. In alternativa, sui giornali possiamo leggere di
56 Le informazioni che seguono sono tratte da Giorgio Grossi, Distinguere tra buoni e cattivi per esorcizzare la “minaccia” vicina o lontana, in Marinella Belluati, Giorgio Grossi, Eleonora Viglongo, op.cit. 57 Jessika ter Wal, Il linguaggio del pregiudizio etnico, in Politica ed Economia, anno 35°, n.4, 1991, pp.33-48.
63
“onda” o “ondata” migratoria, a volte in coppia con aggettivi tipo
“incalcolabile”. Queste parole rimandano all’immagine di acqua
che non si sa come fermare e che può “sommergere” le nostre
città. Talvolta viene usata la metafora dell’esercito, ad esempio
parlando di “esercito dei clandestini”, e a questa metafora si
collega il concetto di invasione, che suggerisce una posizione
ostile nei confronti degli immigrati. Nei giornali troviamo
riferimenti all’invasione terzomondista (Jessika ter Wal
sottolinea che il suffisso “ista”evoca un gruppo organizzato) e
agli “assalti” negli uffici stranieri delle questure. Le diverse
metafore possono trovarsi nello stesso articolo: “L’ondata della
immigrazione deve essere fermata, naturalmente. Altrimenti si
rischia di affogare, altrimenti saremo invasi” (La Stampa,
21/12/1989). In alcuni casi queste metafore vengono affiancate a
cifre e statistiche sugli immigrati, “per dare un’idea di oggettività
e allo stesso tempo per attirare l’attenzione del pubblico su dati
che dimostrano un sensibile aumento degli immigrati” 58. La
ricercatrice olandese si è soffermata anche sulle immagini che
indicano come sottrarsi all’invasione, ad esempio si può
“arginare l’afflusso di stranieri”, “non spalancare le porte”,
“chiudere la fortezza (europea)”. Tutte le immagini individuate
concorrono a descrivere l’immigrazione come un pericolo per il
nostro paese, con il rischio di generare ansia e preoccupazione
nei lettori. 58 Ibidem, pag.43.
64
2.4 Un originale case study sulla stampa modenese.
A Modena è stata esplorata l’influenza della stampa locale sulle
opinioni e rappresentazioni dei modenesi riguardo gli immigrati
presenti nella loro città59. Per raggiungere questo obiettivo, si
sono raccolti gli articoli usciti sui tre quotidiani modenesi (Il
Resto del Carlino, La Nuova Gazzetta di Modena, l’Unità)
dall’agosto 1990 al gennaio 1992, inserendoli poi in un database
costruito con lo scopo di individuare la frequenza di trattazione
dei vari argomenti. La ricerca è proseguita somministrando a
180 modenesi un questionario con aree tematiche simili a quelle
del database; infine sono stati intervistati i rappresentanti delle
comunità extracomunitarie di Modena, che hanno espresso i loro
giudizi sul modo in cui la stampa locale parla di loro.
Durante il lungo periodo preso in esame, nei tre quotidiani locali
sono apparsi 725 articoli sui diversi aspetti dell’immigrazione.
L’argomento trattato con maggior frequenza è quello relativo alla
casa; i 381 articoli che hanno affrontato tale argomento si sono
concentrati su aspetti emergenziali, come i centri di accoglienza,
le occupazioni e gli sgomberi di edifici abbandonati.
Coerentemente a questa offerta informativa, i modenesi
sottoposti a questionario hanno affermato che per gli immigrati è
molto difficile trovare un’abitazione, e che di norma occupano 59 Nico Caponetto, Macchie di inchiostro, ARCI, Modena, 1992.
65
case o fabbriche abbandonate. Anche se gli interpellati hanno
indicato l’osservazione diretta e non i quotidiani come fonte
principale di informazione, si può comunque denunciare
l’incompletezza delle notizie riportate sugli organi di stampa.
Infatti, a fronte di innumerevoli articoli dedicati a “l’emergenza
casa”, pochissimo è stato scritto su intere famiglie che alloggiano
in abitazioni dignitose e sui lavoratori immigrati che pagano alti
affitti per vivere in appartamenti piccoli e degradati.
I quotidiani modenesi hanno pubblicato 168 articoli riguardanti
episodi di cronaca nera, che possono aver indotto
l’omologazione di tutti gli immigrati ai protagonisti di questi
episodi, dato che oltre il 90% dei modenesi è convinto che esista
una connessione tra problemi di ordine pubblico e presenza di
cittadini extracomunitari. Secondo Nico Caponetto, i quotidiani
facilitano tale omologazione anche omettendo di riportare storie
legate alla normale quotidianità vissuta da tanti immigrati.
Il 14% circa delle informazioni prodotte si riferisce
all’ integrazione, termine con il quale sono stati classificati gli
articoli inerenti agli aspetti religiosi delle diverse etnie, alle
iniziative culturali, all’istruzione. Per quanto riguarda le
religioni, il questionario chiedeva di indicare quali fossero
professate dagli immigrati; le risposte hanno denotato una grande
confusione sull’argomento, ad esempio il 62% degli intervistati
esclude che pratichino la religione cattolica, puntando su fedi più
“lontane” come l’induismo e il buddismo. La scarsa conoscenza
66
su questi temi è collegabile a vari motivi, inclusa l’inadeguatezza
dell’insegnamento scolastico, tuttavia i quotidiani non hanno
contribuito ad una maggiore conoscenza pubblicando soltanto tre
articoli relativi agli aspetti religiosi. Sul tema della scuola sono
incentrati 12 articoli, pochi per avvicinare i modenesi ad
un’articolata realtà; infatti la maggioranza degli intervistati ha
indicato l’osservazione diretta come principale fonte di
informazione. La stampa ha invece contribuito a pubblicizzare le
iniziative culturali promosse dagli immigrati visto che, tra chi le
conosce, la maggior parte afferma di esserne stata informata dai
quotidiani.
Nell’arco di tempo esaminato sono apparsi 86 articoli su episodi
di intolleranza, violenza o teppismo a danno di cittadini
extracomunitari. Nonostante quasi l’80% dei modenesi
interpellati abbia dichiarato di conoscere tali episodi, oltre la
metà di loro non sa dire se in città siano presenti gruppi o partiti
politici razzisti. L’autore di “Macchie di inchiostro” sottolinea
che questa incertezza dei modenesi si scontra con le componenti
razziste della Lega Nord e del Msi, e commenta: “di fronte
all’immagine quasi sempre problematica che gli organi di
informazione riproducono della presenza di immigrati a Modena,
il dubbio che la richiesta di rimandare a casa gli stranieri non sia
67
una forma di razzismo (…) ma la difesa della propria tranquillità,
può farsi strada”60.
I quotidiani hanno dedicato 50 articoli al lavoro degli immigrati,
fornendo quindi non molte notizie su un mondo particolarmente
dinamico basato su un’ampia richiesta di manodopera a bassa
qualifica. Gli stessi modenesi dichiarano di aver raccolto
informazioni soprattutto dall’osservazione diretta, mediante la
quale si sono convinti che gli immigrati trovano lavoro con
difficoltà. Probabilmente gli interpellati si riferiscono agli
stranieri disoccupati visti per strada e nei parchi, che “colpiscono
l’immaginario collettivo più di quanto non riesca a fare una
informazione scarsa”61. I pareri dei modenesi divergono dalla
realtà anche per quanto riguarda le attività sindacali svolte dai
lavoratori extracomunitari; l’84% del campione, infatti, ha
riposto di non essere a conoscenza di tali attività, mentre i dati
forniti da Cgil, Cisl e Uil indicano che circa 3000 immigrati
hanno aderito ai sindacati. Questa discrepanza è collegabile,
ancora una volta, alle carenze della copertura giornalistica: i
modenesi hanno potuto leggere solo tre articoli sull’argomento.
Infine, quando i quotidiani hanno parlato di sanità, si sono quasi
sempre riferiti a situazioni di emergenza, persuadendo i modenesi
del fatto che gli immigrati utilizzano il pronto soccorso,
disdegnando invece i medici di base, i consultori e gli specialisti.
60 Ibidem, pag.45. 61 Ibidem, pag.33.
68
I dati riportati mostrano che i tanti articoli scritti hanno proposto
una rappresentazione incompleta dell’immigrazione, dominata da
situazioni problematiche ed emergenziali. Anche da questa
ricerca, inoltre, è emerso un basso livello di approfondimento,
visto che le inchieste rappresentano solo il 3,6% dell’intero
volume informativo. Un ultimo aspetto rilevante attiene all’uso
limitato delle testimonianze degli immigrati, che hanno potuto
esprimersi soltanto in 63 articoli. I ricercatori modenesi hanno
concluso la loro indagine intervistando proprio i rappresentanti
delle comunità di immigrati, per raccogliere le loro opinioni sulla
stampa modenese. I giudizi espressi sono molto polemici, e ad
essere criticato è soprattutto l’ampio spazio dedicato agli aspetti
negativi dell’immigrazione, mentre le storie di migliaia di
immigrati che vivono e lavorano “tranquillamente” non
raggiungono mai le pagine dei giornali. Inoltre viene puntato
l’indice contro le generalizzazioni utilizzate dai giornalisti (ad
esempio quando parlano di “tunisini” o “marocchini”) che
portano il lettore ad esprimere giudizi negativi su interi popoli
anziché sui singoli protagonisti delle cronache. I rappresentanti
degli immigrati ritengono indispensabile che la stampa locale
spieghi i motivi della loro presenza a Modena, e che contribuisca
a divulgare le diverse culture di cui sono portatori.
Mi piace concludere parafrasando le parole di Lisa Rahmani
Latifa, perché rimandano al senso di responsabilità che dovrebbe
69
guidare i giornalisti: informare meglio significa aiutare gli
italiani a conoscere gli immigrati.
2.5 La rappresentazione ansiogena degli immigrati nella
stampa.
Nei primi anni Novanta era già stata rilevata la tendenza della
stampa a presentare l’immigrazione come una pericolosa
minaccia per l’Italia (cfr. paragrafo 2.3); in anni più recenti
alcuni studiosi hanno approfondito la questione, proponendo
interessanti riflessioni.
Alessandro Dal Lago sostiene il ruolo decisivo della stampa
nell’alimentare la paura verso gli immigrati, intendendo
sociologicamente per paura “l’interpretazione e la legittimazione
collettiva di indizi più o meno arbitrari di pericolo come prove
indiscutibili di una minaccia alla stabilità o all’esistenza di una
società”62. Dal Lago ha descritto il processo di elaborazione di
una simile paura nei confronti degli immigrati; tale processo si
basa su un “sapere di fondo” che egli ritiene ampiamente diffuso
nella società, secondo il quale gli stranieri costituiscono una
minaccia perché genericamente criminali e clandestini. I
giornalisti confermano di continuo questo “sapere di fondo”
riportando frequentemente notizie di reati commessi da
62 Alessandro Dal Lago, La tautologia della paura, in Rassegna Italiana di Sociologia, Il Mulino, Bologna, 1999, pag.9.
70
immigrati, e realizzando sondaggi ed inchieste che evidenziano
la preoccupazione e le proteste dei cittadini, nonché le loro
sollecitazioni verso il mondo politico. I rappresentanti politici
intervengono non solo intessendo accesi dibattiti
sull’immigrazione, ma anche proponendo misure legislative o
amministrative “urgenti”, che ribadiscono il frame dominante.
“E’ così- afferma Dal Lago- che “l’emergenza immigrazione”,
cresciuta come una sorta di magma o “blob” politico-mediale in
anni recenti, è divenuta una verità indiscutibile”.63
Anche Alessandra Naldi si è occupata dell’allarme sociale
attorno alla presenza straniera in Italia, specificando come venga
fomentato a partire dai singoli episodi di cronaca nera.64. Le
considerazioni di Naldi sono maturate nel corso di un’indagine
condotta su “Corriere della Sera” e “La Repubblica” per due anni
(1993 e 1995) seguita dall’analisi di alcuni fatti di cronaca nera
riportati dai quotidiani negli anni successivi. In base a queste
ricerche, Alessandra Naldi sostiene che il primo passaggio nella
costruzione dell’allarme sociale consiste nello spostare
l’attenzione dagli immigrati protagonisti dei casi di cronaca
all’intera categoria degli immigrati. Ciò avviene modificando
gradualmente la definizione delle persone coinvolte: all’inizio
vengono usate denominazioni neutre (come “giovani” e
63 Ibidem, pag.23. 64 Alessandra Naldi, “Clandestini” e “criminali”? La costruzione giornalistica dell’allarme sociale attorno alla figura dell’immigrato straniero in Italia, in Giuseppe Scidà (a cura di), I sociologi italiani e le dinamiche dei processi migratori, Franco Angeli, Milano, 2000.
71
“uomini”) oppure basate sulla violenza compiuta (ad esempio
“aggressori” e “stupratori”) ma con il passare dei giorni
prevalgono termini quali “immigrato”, “extracomunitario”,
“clandestino”. Inoltre, gli articoli di cronaca vengono affiancati a
tabelle e a pezzi relativi alla presenza straniera in Italia, nei quali
è introdotta una netta distinzione tra immigrati regolari e gli altri ,
che i quotidiani definiscono indifferentemente clandestini e
criminali. Naldi ha poi evidenziato la frequente associazione tra
tema dell’immigrazione e tema dell’insicurezza urbana,
realizzata mediante l’accostamento di articoli sui due argomenti
oppure parlando di immigrazione all’interno di articoli sulla
sicurezza in città. Infine, i giornali ospitano le opinioni di uomini
politici e di altri attori significativi, come i leaders dei comitati di
quartiere. Gli intervistati possono anche esprimere punti di vista
contrastanti su specifici aspetti dell’immigrazione, ma
generalmente concordano sul fatto che si tratta di un fenomeno
emergenziale. Il consenso dei diversi attori su questa definizione
è importante perché, interagendo con i meccanismi della stampa
precedentemente individuati, contribuisce a costruire l’allarme
sociale attorno agli immigrati. Alessandra Naldi sottolinea che la
sua indagine non consente di puntualizzare gli effetti della
stampa, infatti per questo occorrerebbe prendere in
considerazione i lettori dei quotidiani e i loro processi di
decodifica e reinterpretazione degli articoli. Tuttavia la
ricercatrice ritiene improbabile che vi siano effetti diretti e
72
immediati, mentre evidenzia l’importanza degli effetti di lungo
periodo sulla rappresentazione della realtà dominante nella
società.
L’immagine ansiogena degli immigrati è emersa nitidamente nel
corso di uno studio effettuato dal primo maggio al 31 luglio 1996
sulla stampa romana65; consultando 17 testate sono stati raccolti
396 articoli, numero che “non fa certo dell’immigrazione uno
degli argomenti più importanti fra quelli trattati nella stampa,
anche se (…) sicuramente risulta superiore alle aspettative anche
degli addetti ai lavori”66. Il grado di interesse verso il tema
sembra comunque testimoniato dalla visibilità conferita ai titoli
che lo riguardano, in media pari a 3,6 colonne. L’analisi tematica
dei titoli rappresenta un buon punto di partenza per delineare
l’immagine degli immigrati veicolata dalla stampa; raggruppando
i temi in categorie di significato omogeneo, risultano prevalenti i
titoli incentrati su sicurezza e ordine pubblico (46% dei titoli)
seguiti a distanza da quelli relativi a vita e problemi urbani
(20%). Poca attenzione viene riservata ai servizi di sostegno
all’integrazione (11%) e ancora meno alla cultura
dell’integrazione, cioè ad argomenti come la multiculturalità, il
binomio tolleranza/intolleranza, la solidarietà. In rare occasioni i
titoli richiamano temi di carattere più ampio, quali la politica
65 Raffaele Bracalenti, Claudio Rossi, L’immagine dell’immigrato e dell’immigrazione attraverso la stampa quotidiana: una ricerca empirica svolta nell’area romana, in Raffaele Bracalenti, Claudio Rossi (a cura di), Immigrazione l’accoglienza delle culture. Dalla scuola ai mass media esempi concreti di intercultura, EdUP, Roma, 1998. 66 Ibidem, pag.111.
73
dell’immigrazione e il fenomeno immigratorio in generale.
Risultati analoghi sono pervenuti dall’analisi degli articoli, che
tuttavia si differenziano per lo stile generalmente più equilibrato
rispetto a quello dei titoli, e per i maggiori riferimenti alla
situazione personale degli immigrati, specificabile ad esempio
nella “regolarità/irregolarità della permanenza” e nella “capacità
di inserimento” nella società romana. Questi dati mettono in luce
la tendenza a trattare ampiamente gli aspetti problematici
connessi all’immigrazione, lasciando invece poco spazio ai
risvolti meno patologici del fenomeno.
Focalizzando l’attenzione sui soggetti menzionati negli articoli, è
stato rilevato il protagonismo degli immigrati, accanto ai quali
compaiono soggetti locali (primi fra tutti il Sindaco e il Comune
di Roma) e istituzioni di natura non locale, tra cui spiccano le
Forze dell’ordine. Praticamente assenti risultano gli abitanti di
Roma, le sue forze produttive e il mondo politico; ciò, insieme
alla scarsa correlazione tra i programmi locali e l’immigrazione,
sembra proporre “un modello di mondi separati: da una parte
l’immigrato lasciato nella sua condizione di straniero ed
estraneo; dall’altra, la città, che continua a procedere per la sua
strada (…) senza percepire quale significato strategico (gli
immigrati) abbiano nel futuro di questa città”67. La stampa tende
poi a rappresentare in modo conflittuale i rapporti tra immigrati e
Forze dell’ordine: i primi agiscono a danno della città, le seconde 67 Ibidem, pag.117.
74
colpiscono i comportamenti socialmente devianti degli
immigrati. Le azioni del Comune di Roma, viceversa, vengono
presentate come benefiche per i nuovi cittadini, cosicchè
complessivamente si ricava l’impressione che la città possa
svolgere un ruolo positivo verso gli immigrati, mentre in poche
occasioni la stampa sottolinea l’arricchimento e le conseguenze
positive per la città che l’immigrazione porta con sé.
2.6 Lo stato dell’arte.
Le attuali modalità di rappresentazione degli immigrati nei mass-
media sono state oggetto di una ricerca nell’ambito del progetto
Tuning into Diversity, finanziato dall’Unione Europea e
realizzato in Italia con il contributo del Ministero dell’Interno e
dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni68. Tale ricerca
ha esaminato i programmi televisivi, la stampa quotidiana e
periodica per una settimana campione al mese da maggio a
settembre 2001; i dati relativi alla televisione sono stati
aggiornati mediante una seconda rilevazione effettuata
nell’ultima settimana di settembre 200269.
Tra tutti i programmi andati in onda durante l’intera giornata
sulle reti Rai, le reti Mediaset e Telemontecarlo, poi diventata
68 Censis, Tuning into Diversity. Immigrati e minoranze etniche nei media, Censis, Roma, 2002. 69 Censis, L’immagine degli immigrati e delle minoranze etniche nei media, Censis, Roma, 2002.
75
La7, sono stati analizzati i telegiornali, le rubriche dei TG, i
rotocalchi di “costume e società”, le inchieste, i dibattiti con
argomento socio-politico e i programmi specifici
sull’immigrazione. Un primo dato emerso dall’analisi è che le
notizie e le trasmissioni relative all’immigrazione sono
concentrate tra le ore 7 e le ore 12 della mattina, cioè in una
fascia oraria che ha un’audience molto inferiore rispetto alla
fascia serale. Le tre reti Rai hanno mandato in onda oltre il 60%
dei programmi e delle notizie complessive sull’argomento che ci
interessa, mentre le tre reti Mediaset si attestano intorno al 30%.
Telemontecarlo, poi diventata La7, ha aumentato la trattazione
delle tematiche connesse all’immigrazione, passando dal 4,8%
del 2001 a quasi il 12% nel 2002.
Le indagini hanno evidenziato che la composizione per genere
degli immigrati visibili sul piccolo schermo non rispecchia la
realtà, infatti in oltre l’80% dei casi si tratta di uomini, mentre in
Italia il rapporto tra maschi e femmine è molto meno sbilanciato
(54,2% di maschi e 45,8% di femmine). Anche l’età delle
“presenze televisive” si discosta dai dati reali, con un
sovradimensionamento degli immigrati tra zero e 18 anni ed un
sottodimensionamento di quelli tra 19 e 65 anni; durante i periodi
di osservazione, inoltre, è comparso un unico immigrato ultra
65enne, per di più in “Un mondo a colori”, trasmissione atipica
visto che attualmente è l’unico spazio di approfondimento dei
temi legati all’immigrazione.
76
Passando ad identificare i programmi in cui appaiono persone
immigrate, l’elemento più significativo consiste nell’assoluta
predominanza dei telegiornali. Nelle settimane analizzate fra
maggio e settembre 2001 i telegiornali hanno ospitato il 95,4%
degli immigrati presenti in televisione, mentre nel settembre
2002 la percentuale è scesa all’88,3%, perché la nuova legge
sull’immigrazione ha acceso un intenso dibattito politico di cui si
sono interessati i rotocalchi di costume e società oltre che le
rubriche dei TG. All’interno dei telegiornali, nel 2001 il 90,8%
delle notizie riporta episodi di cronaca (soprattutto cronaca nera)
in cui sono coinvolti immigrati; nel 2002 si assiste ad un aumento
degli argomenti di politica interna, coerentemente con il dibattito
politico che caratterizzava quel periodo. Nonostante ciò, la
cronaca ha rappresentato l’80,9% dello spazio concesso agli
immigrati. Il ruolo rispetto all’episodio narrato è prevalentemente
un ruolo all’interno di una vicenda negativa che significa, in
concreto, presentare l’immagine del “povero immigrato” (vittima
ad esempio di discriminazione o di intoppi burocratici) oppure
quella dello straniero criminale. Comparando i dati del 2001 con
quelli del 2002, è emerso un aumento consistente delle “notizie
neutre”, che riportano azioni non etichettabili in termini di
positivo e negativo; i ricercatori del Censis hanno interpretato
tale variazione come un segnale del fatto che il fenomeno
immigratorio sta finalmente diventando una questione ordinaria,
anche se soltanto ulteriori ricerche potranno confermare la
77
stabilità di questa tendenza. In entrambe le rilevazioni sono
risultati completamente assenti gli immigrati oggetto di
un’azione positiva, mentre i protagonisti di simili azioni nel 2002
passano dal 7 al 3,3%.
La ghettizzazione degli immigrati nell’ambito della cronaca
comporta, nella maggioranza dei casi, il riferimento a individui
specifici; spesso ciò avviene mediante una personalizzazione
senza la persona, ossia si definisce l’immigrato innanzitutto
citandone la nazionalità. In questo modo non viene enfatizzata
l’individualità del soggetto, che sembra rappresentare un’intera
categoria. Alcune definizioni dipendono dagli umori e dal clima
del momento, ad esempio nel 2002 si è parlato molto di
“clandestini”, in linea con le polemiche di allora, invece nel 2001
lo stesso termine era stato utilizzato in poche occasioni. Nelle
due indagini, infine, sono risultate rare le definizioni che possono
avere un senso dispregiativo, come “straniero”, “immigrato”, e
anche la definizione di “extracomunitario” sembra essere caduta
in disuso.
Esaminando gli argomenti affrontati in televisione, nel 2001
primeggia la voce “criminalità/illegalità”, seguita da
“assistenza/solidarietà”; l’anno successivo è stata notata una forte
presenza di “clandestini”, insieme ad un certo interesse verso la
legislazione sul tema dell’immigrazione. I temi appaiono,
dunque, connessi agli episodi contingenti, ma complessivamente
vi è una scarsa varietà di argomenti trattati; in particolare la
78
televisione sembra poco interessata agli aspetti più quotidiani del
fenomeno immigratorio, come il lavoro, e a quelli meno
estemporanei, come il tema generale dell’immigrazione. I
contesti più frequenti nei quali sono inseriti gli immigrati
risultano le comunità di appartenenza e il mondo criminale; i
ricercatori del Censis hanno sottolineato che i riferimenti alle
comunità di appartenenza sembrano isolare gli immigrati in un
mondo a parte, e che l’associazione alla criminalità rientra nella
tendenza ad accostare immigrazione e delinquenza. Dopo i
tragici fatti dell’11 settembre 2001 si è affermato un altro
contesto di appartenenza, sintetizzabile sotto la voce
rappresentanti del mondo islamico. Qualunque sia il contesto,
nello stile di trattazione prevale la modalità descrittiva, ideale per
raccontare episodi di cronaca; nel 2002 aumentano i commenti e
le interpretazioni, che accompagnano il clima politico di cui si è
parlato, ma ciò non smentisce la scarsezza di approfondimento
che caratterizza la trattazione televisiva del fenomeno
immigratorio. Le rilevazioni, inoltre, hanno messo in evidenza
che agli immigrati sono offerte poche opportunità di esprimersi
in prima persona: di solito vengono soltanto citati, raramente
sono intervistati e quasi mai consultati in qualità di esperti.
L’analisi realizzata nel 2001 ha esaminato anche le fiction di
produzione italiana e gli spot pubblicitari andati in onda sul
piccolo schermo. Durante le settimane di osservazione, in 72
fiction sono comparsi personaggi stranieri (immigrati o persone
79
di origine etnica minoritaria) concentrandosi nelle soap opera e
nei telefilm di Canale 5 e di Rai 3. Di solito i personaggi stranieri
sono non protagonisti o comparse, ma nel 10,4% dei casi
risultano comprimari delle storie narrate. Vengono spesso
tratteggiati come personaggi positivi, rivestendo per lo più ruoli
stereotipati tipo il cameriere e il musicista. Quando non è
“buono”, lo straniero incarna la tipologia opposta del “cattivo”;
la visione manichea del mondo e la stereotipizzazione, tuttavia,
non interessano soltanto i personaggi stranieri, infatti sono
caratteristiche tipiche dell’intero linguaggio fictional. In
generale, si può dire che tali dati si discostano dalle
considerazioni riportate in una precedente indagine (cfr.
paragrafo 2.2). In quell’occasione, infatti, era stata sottolineata la
carenza di film contenenti riferimenti all’immigrazione italiana,
mentre l’indagine più recente mostra che la fiction domestica si
sta interessando al tema, coinvolgendo nelle sue trame anche
persone straniere.
Come anticipato, nel corso del 2001 si sono analizzati 32 spot
pubblicitari in cui compaiono personaggi stranieri. In questo caso
sono state confermate le osservazioni precedentemente avanzate
(cfr. paragrafo 2.2), cioè il fatto che la pubblicità rappresenta uno
spicchio di televisione post-razziale, capace di alludere ad un
dialogo alla pari tra etnie diverse.
Infine, nell’ambito del progetto Tuning into Diversity è stata
presa in considerazione l’immagine dell’immigrato nella stampa
80
quotidiana e periodica. Per quanto riguarda la stampa quotidiana,
si sono individuati 1230 articoli, pubblicati prevalentemente sui
quotidiani locali. La stampa quotidiana sembra proporre una
rappresentazione degli immigrati analoga a quella televisiva,
infatti anche i giornali tendono a parlare dell’immigrazione in
riferimento a episodi di cronaca, privilegiando gli argomenti
connessi alla criminalità e all’illegalità, e presentando gli
stranieri come vittime oppure come criminali. Non sono
comunque da sottovalutare le differenze tra le varie testate, ad
esempio Il Sole 24 Ore e Il Manifesto si distinguono per aver
trattato l’argomento in un ampio ventaglio di sezioni tematiche,
dalla politica interna fino gli articoli di società e di cultura. I 46
articoli rintracciati nella stampa periodica presentano
un’immagine in parte diversa degli immigrati, in quanto essi
vengono inseriti in contesti maggiormente diversificati: non solo
il mondo criminale e della giustizia, ma anche la comunità di
appartenenza, il mondo del lavoro e quello politico. Inoltre, sono
importanti le lettere e le testimonianze ospitate nei periodici,
perchè possono agevolare la conoscenza e il dibattito
sull’immigrazione. La stampa periodica è invece accomunata alla
stampa quotidiana per i rari approfondimenti dedicati al tema.
81
CAPITOLO TERZO
LA TELEVISIONE DEGLI IMMIGRATI
82
3.1 La storia e il successo di “Nonsolonero”, primo
programma di approfondimento sull’immigrazione.
Il 1988 rappresenta una data importante per l’informazione
relativa al fenomeno immigratorio, poichè nel novembre di
quell’anno viene avviata la rubrica del Tg2 “Nonsolonero”, che è
stato il primo programma interamente dedicato
all’approfondimento dei temi legati all’immigrazione nel nostro
paese.
“Quasi un milione di immigrati, non solo neri: ai problemi del
difficile rapporto fra diverse culture nel nostro paese, alla
progressiva trasformazione della nostra società in una società
multietnica, è dedicato un nuovo spazio del Tg2, ideato da
Massimo Ghirelli”. Con queste parole, il 19 novembre 1988, il
“Radiocorriere” presenta “Nonsolonero”, trasmesso il sabato alle
ore 14,45 e successivamente la domenica alle 13,30.
Negli anni precedenti Massimo Ghirelli aveva presentato più
volte il progetto ai direttori di rete e dei telegiornali dei tre canali
Rai, che lo respingevano ritenendo eccessivo mettere in
palinsesto uno spazio fisso in cui parlare di argomenti che,
presumibilmente, avrebbero interessato poche persone. La
perseveranza di Ghirelli viene infine premiata nel 1988, quando
Roberto La Volpe, direttore del Tg2, accetta il suo progetto.
Massimo Ghirelli ripresenta la proposta in un periodo particolare,
corrispondente alla citata fase di emergenza: il verificarsi di una
83
serie di eventi richiama l’attenzione dei mass-media
sull’immigrazione in Italia (cfr. paragrafo 2.2).
Il programma nasce con lo scopo di “accompagnare” gli
spettatori alla scoperta dei tanti aspetti dell’immigrazione; ciò è
sintetizzato efficacemente da uno slogan ricorrente nelle puntate
– “andiamo a conoscerli” – che fa davvero pensare ad un
viaggio all’interno di un mondo poco conosciuto e poco
frequentato.
Nella rubrica del Tg2, dalla prima puntata, si possono
individuare diversi elementi innovativi, a cominciare dalla scelta
di far condurre la trasmissione a Maria de Lourdes Jesus, nata a
Capo Verde e giunta in Italia nel 197170. Ghirelli affida la
conduzione a Maria de Lourdes poichè la ritiene “una persona
esperta e professionalmente valida, in grado di diventare un
punto di mediazione, di immagini e contenuti, tra il pubblico
italiano e quello degli immigrati”71. Maria de Lourdes non è
l’unica immigrata coinvolta nella realizzazione di
“Nonsolonero”, infatti tale trasmissione è il frutto di una stretta
collaborazione tra italiani e stranieri. Fin dall’inizio i curatori del
programma hanno invitato in redazione i rappresentanti delle
comunità di stranieri, e questi incontri sono stati utili per
individuare i temi più importanti da affrontare, ma anche per
70 Maria de Lourdes Jesus ha raccontato la sua esperienza migratoria nel libro Racordai.Vengo da un’isola di Capo Verde, Sinnos Editrice, Roma, 1996. 71 Marinella Belluati, Quando “loro” prendono la parola. Verso un’ipotesi di informazione multiculturale, in Marinella Belluati, Giorgio Grossi, Eleonora Viglongo, op.cit., pag. 105.
84
ricevere critiche e suggerimenti. Nella terza serie della rubrica,
inoltre, viene inserita la collaborazione fissa del professore
tunisino Karim Hannaci, in qualità di esperto del mondo arabo.
La presenza fissa di stranieri non si è spinta oltre quella di
Hannaci e di Maria de Lourdes poichè non era possibile
utilizzare troppi collaboratori esterni alla redazione del
telegiornale. Tuttavia, come si è detto, è sempre stato mantenuto
un filo diretto con le comunità di immigrati, anche chiamando in
studio numerosi ospiti stranieri.
Il coinvolgimento continuativo degli immigrati rappresenta un
elemento di grande novità nel panorama informativo italiano,
all’interno del quale “manca (...) sostanzialmente il punto di vista
degli immigrati, la loro partecipazione diretta ai processi di
produzione informativa”72. Viceversa, l’interazione tra autoctoni
e stranieri rende “Nonsolonero” la prima vera esperienza di
televisione multietnica.
Il programma ideato da Ghirelli si differenzia dall’informazione
solitamente offerta dai media per l’attenzione riservata alla scelta
delle immagini mandate in onda: le telecamere di “Nonsolonero”,
riprendendo gli immigrati nei loro molteplici contesti di vita,
hanno evitato di incorrere nello stereotipo dello straniero che
frequenta esclusivamente i luoghi più fatiscenti delle città. Gli
stessi realizzatori del programma riconoscono che le riprese
hanno costituito una delle maggiori difficoltà iniziali, superata 72 Ibidem, pag.100.
85
grazie allo sforzo costante di reperire immagini nuove sul mondo
dell’immigrazione. Tale sforzo, tra l’altro, ha contribuito a
riprodurre visivamente l’eterogeneità del fenomeno
immigratorio, caratteristica spesso celata da una rappresentazione
monotona e parziale.
La rubrica del Tg2 dedica molta attenzione anche al linguaggio
utilizzato, ad esempio evitando di dare del tu alle persone
straniere intervistate (prassi tuttora utilizzata da alcuni giornalisti
italiani) e di contrapporre “noi” a “loro”.
La scaletta del programma è piuttosto strutturata, infatti ogni
puntata propone un servizio sul tema scelto, una scheda
informativa che approfondisce il tema, un notiziario sugli eventi
più importanti e sulle iniziative culturali, editoriali ed artistiche
programmate in Italia per i giorni successivi. Molti servizi
vengono realizzati sotto forma di spot pubblicitari, nella
convinzione di catturare più facilmente l’attenzione del pubblico
tramite messaggi brevi e concisi che, oltre tutto, permettono di
utilizzare in modo intenso i 15 minuti a disposizione. La breve
durata della rubrica, tuttavia, rende difficile affrontare
esaurientemente un tema durante un’unica puntata; per questo
motivo i vari temi vengono proposti in più appuntamenti,
cercando ogni volta di metterne a fuoco un particolare aspetto.
L’impegno nell’approfondire gli argomenti trattati è emerso
chiaramente analizzando la terza serie di “Nonsolonero” (1990-
86
1991)73. Tra i 42 servizi proposti in 30 puntate, il 18% affronta la
questione del mondo arabo sia valutandone l’impatto per l’Italia,
sia parlando dei paesi di origine. L’attenzione dedicata al mondo
arabo è collegabile con lo scoppio della Guerra del Golfo, evento
che ha fomentato sentimenti di diffidenza verso quel mondo. Una
percentuale elevata di servizi riguarda l’inserimento degli
immigrati nella società italiana; in particolare vengono presi in
esame aspetti problematici come la casa, il lavoro e la scuola.
Anche in questo caso la rubrica del Tg2 si discosta
dall’informazione tradizionale nella misura in cui vengono messi
in luce i problemi, ma anche le possibili soluzioni e le iniziative
esistenti. Ad esempio, per quanto riguarda l’istruzione sono stati
realizzati servizi sulle iniziative di pedagogia interculturale
portate avanti in alcune scuole italiane. Il riferimento di cronaca
più frequente nella terza serie della trasmissione è stato quello
relativo alla questione albanese; la redazione di “Nonsolonero” è
riuscita ad andare oltre i fatti di cronaca, presentando schede
sulla situazione socio-economica dell’Albania e affrontando il
tema più ampio delle migrazioni provenienti dall’Est europeo.
Ampio spazio viene dedicato alla dimensione artistico-culturale
del mondo dell’immigrazione, per esempio presentando la
musica africana moderna, risultato dell’unione tra ritmi
tradizionali e nuove tendenze occidentali. Servizi di questo tipo
sono importanti anche perchè contribuiscono ad attenuare l’idea 73 I dati relativi alla terza serie di “Nonsolonero” sono tratti da Marinella Belluati, op. cit.
87
che il fenomeno immigratorio equivalga prevalentemente a
indigenza e a criminalità. D’altronde, “Nonsolonero” ha sempre
cercato di sottolineare gli aspetti positivi connessi
all’immigrazione; emblematici di questa tendenza sono i servizi
sulle iniziative di solidarietà e di accoglienza promosse nella
penisola, molto più numerosi rispetto a quelli che si sono
occupati dello sfruttamento e delle condizioni di vita miserabili
degli stranieri presenti in Italia. Nella terza serie di
“Nonsolonero” si è parlato pure delle esperienze di tanti italiani
emigrati all’estero, utili per riflettere sull’idea di una “storia
comune” che ci avvicina agli immigrati giunti nel nostro paese.
La trasmissione condotta da Maria de Lourdes Jesus ha riscosso
fin dall’inizio un grande successo tra il pubblico, facendo
registrare ottimi livelli di ascolto: tra il 1988 e il 1989
“Nonsolonero” è al settimo posto nella classifica dei 50
programmi maggiormente seguiti, con un ascolto medio
superiore ai 3 milioni di spettatori e uno share medio del 33%.
La rubrica ha raggiunto i suoi massimi livelli di ascolto nel
periodo in cui andava in onda la domenica poichè le persone,
libere da impegni di lavoro, trovavano più facilmente il tempo di
seguirla. Gli ascolti, tuttavia, si sono mantenuti alti anche nelle
ultime serie della trasmissione, che sono andate in onda il
giovedì. I dati disponibili sull’ascolto mostrano che molti giovani
la seguono, ed è un risultato inaspettato considerando il taglio
giornalistico-culturale di “Nonsolonero”. Il programma vanta un
88
ascolto equilibrato tra nord e sud Italia, inoltre annovera una
buona percentuale di donne fra i telespettatori più affezionati.
Questa buona risposta del pubblico indica un interesse piuttosto
diffuso per i temi trattati, e conferma la validità di impostare la
trasmissione in modo dinamico e molto ritmato, ad esempio
usando spot e filmati brevi.
Il programma ideato da Massimo Ghirelli è riuscito ad ottenere
risultati significativi anche “fuori dal video”, diventando
promotore e punto di partenza di varie iniziative. Sulla base dei
materiali della trasmissione, arricchiti da video e filmati di
diversa provenienza, l’associazione MediaS (Media e Sviluppo)
ha proposto la Rassegna video “Nonsolonero”. La prima edizione
della Rassegna si è tenuta a Roma nel luglio 1989 ed ha avuto
larga diffusione in tutta Italia, partecipando a convegni, festival,
mostre e seminari di studio. La stessa sorte è toccata alla seconda
edizione della Rassegna, organizzata in contemporanea a Roma e
Milano nel giugno 1990. Dalle prime due edizioni è nato un libro
che raccoglie le schede relative ai video divise per temi e
comunità, arricchito da alcuni interventi di esperti del fenomeno
immigratorio74. Giunta nel 1991 alla sua terza edizione, la
Rassegna “Nonsolonero” si è confermata un utile strumento di
informazione e di sensibilizzazione sui temi connessi alla
74 Massimo Ghirelli (a cura di), Nonsolonero: rassegna video sull’immigrazione. Prima edizione luglio 1989, seconda edizione giugno 1990, Polistampa, Roma, 1990.
89
presenza di comunità straniere in Italia75. In occasione della
Rassegna è stato presentato l’Archivio dell’immigrazione,
fondato a Roma dall’associazione MediaS e da Idoc
Internazionale; l’Archivio intende riunire e monitorare
l’informazione prodotta nel nostro paese sull’immigrazione, a
cominciare dall’ampio materiale prodotto nella redazione di
“Nonsolonero”.
Risulta difficile motivare la conclusione di questa rubrica del Tg2
che, oltre ad aver conquistato il pubblico italiano, costava poco
perchè utilizzava gli studi, la scenografia, gli operatori e il
materiale di supporto del telegiornale. In pratica le spese
consistevano negli stipendi delle persone che lavoravano a
“Nonsolonero” e nelle uscite della troupe. Tuttavia nel 1994,
quando Clemente Mimun è diventato il nuovo direttore del Tg2,
il programma non è più stato ripreso, senza alcuna spiegazione
per coloro che ci hanno lavorato per sei anni. Probabilmente la
fine di “Nonsolonero” si collega alla scelta di concedere ampi
spazi all’informazione più spettacolare, legata agli eventi, senza
dimenticare possibili motivazioni di tipo politico.
Ghirelli ha cercato di presentare proposte alternative circa
l’orario e la forma del programma, ma questi progetti non sono
stati presi in considerazione.
75 Massimo Ghirelli (a cura di), Nonsolonero: rassegna video sull’immigrazione. Terza edizione luglio 1991, Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per l’informazione e l’editoria, Roma, 1991.
90
3.2 Nascita e sviluppo di “Un mondo a colori”.
La televisione italiana è tornata ad occuparsi con sistematicità del
fenomeno immigratorio nel 1999, con una trasmissione di Rai
Educational intitolata “Un mondo a colori”. La paternità del
programma spetta a Massimo Fichera, che lo ha ideato senza
avere in mente alcun “modello” di trasmissione italiana o
straniera sullo stesso argomento. Il programma ha sempre avuto a
disposizione 15 minuti attorno alle ore 10 su Raidue, da lunedì a
venerdì; questi appuntamenti all’inizio venivano utilizzati con
l’obiettivo esplicito di documentare la condizione degli stranieri
che arrivavano nel nostro paese a ritmo crescente. Marco
Sabatini76, attuale capo-progetto di “Un mondo a colori”, ricorda
che all’esordio della trasmissione il taglio dei servizi spesso
rifletteva gli atteggiamenti contrastanti degli italiani nei confronti
degli immigrati: alcuni servizi proposti, ad esempio, avevano un
taglio eccessivamente buonista, mentre altri presentavano
l’inserimento degli stranieri nella nostra società come un fatto
eccezionale.
Nel corso degli anni sono cambiate le persone che lavorano al
programma, così dopo il primo anno e mezzo Marco Sabatini ha
sostituito Gianni Bellisario in qualità di capo-progetto. Nel tempo
sono cambiati pure gli autori, “alcuni - sottolinea Sabatini - per
scelta nostra, altri perchè non si ritrovavano più nella linea del 76 Ho intervistato Marco Sabatini nella primavera del 2003.
91
programma”. I cambiamenti più significativi, comunque,
riguardano il format e la linea editoriale della trasmissione.
In un primo, lungo, periodo “Un mondo a colori” ha proposto
una serie di servizi mandati in onda uno dopo l’altro, finchè nella
stagione televisiva 2001-2002 è stato realizzato un programma in
studio, con un conduttore che affrontava un tema a puntata
alternando servizi e interviste ad ospiti presenti nello studio. Per
condurre la trasmissione era stato scelto Jean Léonard Touadi,
nato in Congo, autore del programma fin dalla prima edizione; i
telespettatori più affezionati conoscevano già il conduttore,
infatti l’anno precedente era presente in video per lanciare i
servizi di ogni puntata. L’esperienza del programma condotto in
studio è durata un solo anno, poichè il capo-progetto e gli autori
hanno presto individuato vari elementi insoddisfacenti di quella
formula. In primo luogo, la conduzione da studio si è rivelata
piuttosto monotona e “triste” dal punto di vista estetico, che è un
aspetto importante per il mezzo televisivo. Inoltre, Sabatini
ricorda di aver detto che la faccia nera di Jean Léonard Touadi
era “diventata bianca”, nel senso che suscitava molte meno
emozioni rispetto agli anni precedenti, nei quali far apparire in
televisione un conduttore straniero poteva ancora risultare
positivamente provocatorio. Tuttavia, l’elemento che ha
maggiormente influito sugli sviluppi successivi del programma
consiste nella consapevolezza della complessità crescente
92
dell’immigrazione, inadeguatamente rappresentata da un format
che consentiva di affrontare un unico tema a puntata.
Per superare questi limiti, “Un mondo a colori” è stato strutturato
come un magazine, “una formula - spiega Sabatini - che ci dà la
possibilità di parlare di tantissime cose”. In termini concreti, il
magazine si avvale di 25 rubriche, ciascuna delle quali tratta il
fenomeno immigratorio da una particolare prospettiva. Nella
rubrica “Protagonisti”, ad esempio, vengono raccontate le storie
di singoli immigrati, la rubrica “Invisibili” mostra aspetti meno
evidenti dell’immigrazione, mentre nella rubrica “Pagine” si
presentano libri che affrontano l’argomento. Le 25 rubriche
talvolta vengono affiancate da new entries che nascono per
seguire particolari eventi, come dimostra l’ideazione della
rubrica “Voci irachene” durante il conflitto del 2003. Questa
rubrica, che ospita interviste ad iracheni residenti in Italia,
esemplifica la tendenza del programma ad approfondire i fatti di
attualità evidenziandone gli aspetti meno noti al grande pubblico.
Trasformandosi in magazine, “Un mondo a colori” ha adottato
una nuova linea editoriale, infatti il focus è stato spostato dalle
condizioni di vita degli immigrati ad una lettura della loro
presenza in chiave interculturale. L’attuale realtà italiana offre
innumerevoli spunti in questo senso: dal vicino di casa a chi
lavora accanto a noi, dal vestito che si indossa al ristorante dove
mangiare. La prospettiva interculturale è diventata così
importante per gli autori di “Un mondo a colori”, da persuaderli
93
che la migliore definizione del programma sia “rotocalco di
informazione interculturale”.
Un’altra caratteristica del magazine di Raidue consiste nel
ricorso sempre più frequente alla logica della serialità. Premesso
che la stessa articolazione del programma in rubriche costituisce
un dispositivo di serialità, sono stati prodotti servizi in cui opera
tale dispositivo. L’autrice Maria Sardu, per esempio, ha ideato
cinque domande sul significato e il valore da attribuire oggi
all’identità italiana, a cui hanno risposto trenta famosi personaggi
che spaziano da Alberto Bevilacqua a Vittorio Sgarbi, includendo
Carla Fracci. In questo modo sono nati trenta servizi che vengono
mandati in onda in puntate diverse. In maniera analoga Marco
Sabatini, che è anche uno degli autori di “Un mondo a colori”, ha
preparato alcune domande da rivolgere agli ambasciatori presenti
in Italia. Le domande riguardano gli studi e la carriera
diplomatica degli ambasciatori, i rapporti tra il loro paese di
provenienza e l’Italia, la situazione dei connazionali che sono
immigrati nel Belpaese. Le interviste permettono quindi di
sentire le “voci istituzionali” delle varie comunità, che di solito
trovano poco spazio nel panorama televisivo italiano. Inoltre, la
realizzazione di questi servizi ha intensificato la collaborazione
con le ambasciate, che inviano in redazione segnalazioni preziose
su eventi culturali organizzati con il loro contributo e sulle
associazioni di immigrati. I contatti più consolidati con le
comunità di stranieri, invece, sono il frutto di rapporti personali
94
tra singoli immigrati e gli autori o i registi impegnati nella
trasmissione.
Per quanto riguarda gli ascolti, la formula del magazine ha
consolidato lo share sulla media del 6%, superando di un punto
l’obiettivo che la Rai ha assegnato alla trasmissione.
Generalmente vengono registrati ascolti molto più alti nei periodi
festivi, con punte che raggiungono l’11%. La media riportata si
riferisce alla consueta collocazione nel palinsesto mattutino di
Raidue, ma nella stagione televisiva 2001-2002 “Un mondo a
colori” ha iniziato a delinearsi come un programma interrete. In
quella stagione, infatti, hanno preso il via due nuovi
appuntamenti denominati “Un mondo a colori – Cinqueminuti” e
“Un mondo a colori – Speciale”. I “Cinqueminuti”, che prendono
il nome dalla durata del programma, sono andati in onda su
Raitre il sabato mattina. In tali spazi il telespettatore poteva
assistere ad interviste di vario genere; hanno preso la parola
personaggi del mondo artistico sui temi legati al confronto tra le
culture, ma anche immigrati che sono riusciti ad integrarsi e ad
utilizzare le loro competenze. La redazione di “Un mondo a
colori” realizza ancora interviste di questo tipo, inserendole però
all’interno del magazine. Gli “Speciali”, invece, durano mezz’ora
e sono dedicati all’approfondimento di singoli argomenti; essi
non hanno una collocazione fissa nella programmazione della
Rai, solitamente vengono mandati in onda su Raiuno oppure su
Raitre in orario serale.
95
Il target di riferimento del programma include l’intero pubblico
televisivo, e le analisi condotte mostrano che questo obiettivo è
stato raggiunto, infatti “Un mondo a colori” è seguito da un
pubblico eterogeneo sia per età che per attività professionale.
Durante il nostro incontro, Marco Sabatini ha espresso il
desiderio di rafforzare i rapporti con i telespettatori, magari
attraverso il numero verde della trasmissione; finora tale numero
ha avuto pochi utenti, in genere stranieri in cerca di informazioni
sulla normativa italiana in materia di immigrazione. Ad ottobre,
la ripresa della trasmissione ha esaudito il desiderio di Sabatini,
mediante un uso alternativo del numero verde: durante il
programma, i telespettatori vengono invitati più volte a comporlo
per raccontare le loro storie.
3.3 Dietro lo schermo di “Un mondo a colori”.
Ho potuto osservare il tipo di lavoro che precede ogni puntata
messa in onda assistendo ad una riunione di redazione, svoltasi il
30 aprile 2003 presso il centro di produzione Dear della Rai. In
riunione erano presenti i cinque autori di “Un mondo a colori”
(Giovanni Anversa, Maria Chiara Martinetti, Marco Sabatini,
Maria Sardu e Jean Léonard Touadi) e le persone che lavorano in
redazione, occupandosi soprattutto delle molteplici incombenze
organizzative (Veronica Briganti, Federica De Micheli, Alberto
Polimanti, Agostino Pozzi). I quindici registi che collaborano alla
96
trasmissione partecipano raramente alle riunioni di redazione,
poichè il loro lavoro li porta spesso lontani da Roma.
La riunione si è svolta in un clima informale e in certi momenti
scherzoso, testimoniando un buon affiatamento tra i membri del
gruppo di lavoro. Ciascun autore è giunto all’appuntamento con
una lista di spunti da cui partire per realizzare servizi, e nelle
settimane successive è stato interessante vedere in televisione
alcuni servizi proposti durante la riunione del 30 aprile. In
quell’occasione, Maria Chiara Martinetti ha suggerito di
realizzare un servizio su un residence romano in cui abitano
molti immigrati, pagando affitti elevati in cambio di appartamenti
piccoli e fatiscenti. L’autrice è venuta a conoscenza di questa
realtà parlando con i volontari di “Medici senza frontiere”, da
tempo impegnati ad individuare i bisogni urgenti dei residenti e a
porvi rimedio. Il servizio è andato in onda mercoledì 14 maggio
nella rubrica “Invisibili”, intitolato “Vita da formica”. Nel
servizio gli operatori di “Un mondo a colori”, seguendo con la
telecamera nascosta una volontaria di “Medici senza frontiere”,
entrano dentro gli appartamenti documentandone lo stato di
abbandono. La giovane volontaria commenta le immagini e parla
con gli immigrati, informandosi sulle carenze dei singoli
appartamenti e sul numero di persone che ci abitano. L’utilizzo
della telecamera nascosta è riuscita a soddisfare l’esigenza di
rendere visibile l’argomento del servizio; si tratta di un’esigenza
emersa più volte durante la riunione di redazione: i temi
97
affrontati devono essere televisivamente validi, cioè devono
essere “illustrati” da immagini adeguate. Generalmente non
intercorre molto tempo tra l’ideazione e la messa in onda di un
servizio; nel caso di “Vita da formica” sono trascorsi 14 giorni,
talvolta ne passano molti meno. Il 30 aprile, ad esempio, gli
autori hanno deciso di seguire il tradizionale concerto romano del
primo maggio, andando a cercare gli stranieri presenti in piazza.
Da quell’idea è nato il servizio intitolato “Il loro primo maggio”,
in onda mercoledì 7 maggio nella rubrica “Diritti”; nel servizio
prendono la parola immigrati appartenenti a varie comunità,
spiegando quale senso attribuiscono alla Festa del Lavoro e se è
una ricorrenza celebrata anche nel paese di origine.
Le riunioni di redazione, che hanno cadenza settimanale, sono
l’occasione per vagliare tutti i servizi messi in cantiere,
valutandone lo stato di elaborazione raggiunto. Nella riunione
alla quale ho assistito, è stata prestata particolare attenzione ad
una speciale settimana della trasmissione, progettata in
collaborazione con la Fao. Questa settimana intendeva
sensibilizzare i telespettatori sulle dimensioni raggiunte a livello
mondiale dalla mancanza di cibo e di acqua, illustrando anche il
rapporto tra ricerca scientifica, alimentazione e salvaguardia delle
risorse naturali. Il team di “Un mondo a colori” ha concordato di
affrontare tali argomenti costruendo puntate con interviste ad
esperti ed esempi concreti, per le quali era necessario redigere
schede informative sui vari temi, scegliere gli speakers più adatti,
98
montare le immagini in modo coerente ai testi. Il risultato di tutte
queste operazioni, di cui è stato parlato a lungo in riunione, si è
concretizzato nella settimana intitolata “Un mondo a colori per la
Fao”, andata in onda dal 20 al 23 maggio. I titoli delle puntate
(“Emergenza cibo”, “Emergenza acqua”, “Cibo per tutti” e
“Sicurezza alimentare”) hanno sintetizzato efficacemente i temi
approfonditi in ogni appuntamento. La scelta dei titoli è un
aspetto a cui viene riservata grande cura; durante la riunione di
redazione, ad esempio, è stato deciso il titolo per un servizio in
cui viene intervistata Samia Nkrumah, figlia di Kwame Nkrumah
che è il padre dell’indipendenza del Ghana. In un primo
momento è stato proposto il titolo “Era mio padre”, ma Maria
Sardu ha fatto notare che il verbo all’imperfetto non va bene,
poichè il ruolo paterno non viene inficiato dalla morte del
genitore. Così, il servizio è andato in onda giovedì 15 maggio
con il titolo “Mio padre”.
Nel costruire le singole puntate, un ruolo fondamentale è
rivestito dalla durata quotidiana del programma. Sottostare al
vincolo dei 15 minuti è relativamente semplice se la puntata
contiene un unico servizio, ma quando ospita due o tre servizi
significa impegnarsi in un autentico “gioco ad incastri”. Tutti i
partecipanti alla riunione, infatti, in più occasioni hanno provato
a sommare la durata dei servizi disponibili, cercando
combinazioni che rispettassero il tempo a disposizione. In alcuni
casi, inoltre, vengono collocati in un’unica puntata servizi che
99
trattano lo stesso argomento. Nel corso della riunione è stato
anche deciso quando mandare in onda le puntate così costruite,
tuttavia il calendario settimanale può essere modificato,
soprattutto quando si desidera dare proprità ad una determinata
puntata.
100
CAPITOLO QUARTO
ANALISI DI “UN MONDO A COLORI”
101
4.1 Composizione del campione.
Per conoscere più a fondo il magazine di Raidue, sono state
registrate ed analizzate le puntate comprese tra il 10 gennaio e il
10 febbraio 2003. Durante questo mese la trasmissione è andata
in onda tra un quarto alle dieci e le dieci dal martedì al venerdì,
ma in due occasioni ha ceduto il suo spazio ad altri programmi;
pertanto, le puntate esaminate sono quindici, per un totale di
trenta servizi.
DATA RUBRICA TITOLO DEL SERVIZIO
SINTESI DEL SERVIZIO
Venerdì 10 Gennaio
Quotidianità Insieme Storie di amore e di amicizia tra italiani e stranieri
Martedì 14 Gennaio
Quotidianità Fusion Nella casa, negli accessori, nell’immagine, vengono mostrati i prodotti dell’incontro tra culture diverse
Mercoledì 15 Gennaio
1) Integrazioni
2) Eventi
3) Italiani
Indiani d’Italia Dialogo di suoni Identità
Visita al quartiere Esquilino di Roma, che accoglie commercianti e ristoratori indiani Il concerto di un complesso multietnico nella Basilica romana di Santa Maria in Ara Coeli Alberto Bevilacqua parla dell’identità italiana
102
Giovedì 16 Gennaio
1) Integrazioni
2) Fatti
A lezione d’arabo Concorrenza cinese
Il comune di Prato promuove, insieme alla comunità islamica, corsi di lingua e cultura araba per i bambini di origine musulmana Prato: le imprese gestite da cinesi rappresentano una sfida imprenditoriale per gli industriali italiani
Venerdì 17 Gennaio
1) Protagonisti
2) Quotidianità
Mustafá café Diversity manager
Dopo tanti lavori, due fratelli albanesi hanno aperto un bar a Grassina L’Università Bocconi realizza, insieme all’Unione Industriali di Como, corsi di formazione rivolti ai lavoratori stranieri
Mercoledì 22 Gennaio
Vittime Guerre dimenticate
Panoramica sulle guerre che affliggono Sudan, Congo, Mozambico, Molucche, Azerbaigian, Yemen, Bolivia
Giovedì 23 Gennaio
1) Schermi
2) Invisibili
3) Schermi
Guerra e Pace Arrivi e partenze L’appartamento spagnolo
Il documentario “War and Peace”, del regista indiano Anand Patwardhan, raccoglie storie sull’assurdità del nucleare Roma, stazione Anagnina della metropolitana: i rumeni si danno appuntamento in questa area da dove partono furgoni diretti in Romania carichi di pacchi e persone Il film del regista Cédric Klapisch racconta le vicende di uno studente universitario parigino che trascorre un anno di studio a Barcellona, dividendo l’appartamento con sei ragazzi di differenti paesi europei
Martedì 28 Gennaio
1) Fatti
I nuovi emigranti
Sicilia, piana di Ribera: la crisi idrica, danneggiando fortemente la coltivazione di arance, costringe molte famiglie a lasciare l’Italia
103
2) Riflessioni
3) Soloieri
Popolo di migranti Il grande viaggio
Il sociologo Enrico Pugliese presenta il suo libro “L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne” Viene proposto parte del filmato “Il grande viaggio – L’emigrazione italiana negli Stati Uniti”, realizzato da Franco Melandri nel 1963
Mercoledì 29 Gennaio
1) Fatti
2) Fatti
La nuova Rovigo La prima nata
I problemi degli immigrati giunti a Rovigo E’ una bambina bengalese la prima nata in Italia nel 2003
Giovedì 30 Gennaio
1) Protagonisti
2) Polis
3) Eventi
Top Model Poliziotto di quartiere Action machine
Khady, senegalese, racconta come è riuscita a realizzare il sogno di fare la modella lasciando il paese di origine Roma, quartiere Esquilino: i nuovi poliziotti di quartiere in una realtà multietnica La giapponese “Masashi Mishiro Jazz Company” unisce nella danza tradizione orientale e ritmi occidentali
Venerdì 31 Gennaio
Quotidianità Extraitaliani 1 Carlos, Maria, Karima, Sara, Victor. Le voci e i volti di una generazione multietnica
Martedì 4 Febbraio
1 Fatti Tornando in Salento
Vengono visitati alcuni centri di accoglienza dopo aver ricordato la storia dell’immigrazione in questa zona
Mercoledì 5 Febbraio
1) Fatti
2) Emozioni
3) Pagine
Noi siamo i poveri Amici Ondate senza ritorno
A circa 10 anni dalla fine dell’apartheid, il Sudafrica presenta nuove forme di divisione di tipo economico La storia di un’amicizia tra un professore italiano e un fotografo colombiano che convivono Il sociologo albanese Kosta Barjaba presenta il suo libro sull’emigrazione albanese
104
“Ondate senza ritorno”
Giovedì 6 Febbraio
Quotidianità Extraitaliani 2 La quotidianità e i sogni di Carlos, Maria, Karima, Sara e Victor
Venerdì 7 Febbraio
1) Emozioni
2) Pagine
3) Protagonisti
Di mamma ce n’é una sola Guerre minime La mia Cuba
Un immigrato non riesce a far venire la madre in Italia perché la domanda di ricongiungimento è già stata presentata per la prima moglie del padre, sposato con due donne come consente la legge islamica Pierluigi Sullo presenta il suo libro “Guerre minime”, che ripercorre le indagini sul delitto di un marocchino avvenuto nel 1995 a Torino Parla Maria de Los Angeles Flórez, ambasciatrice di Cuba in Italia
4.2 Quindici puntate di “Un mondo a colori” sotto la lente di ingrandimento. L’inizio dell’analisi concerne alcuni aspetti comuni a tutte le
puntate di “Un mondo a colori”. Nella sigla del programma il
suono ritmico delle percussioni richiama l’attenzione dei
telespettatori, mentre sullo schermo rotea un mondo con la
superficie ricoperta dalle lettere dell’alfabeto, colorate e poste in
ordine casuale. Quindi appare il nome del programma e, subito
dopo, quello dei cinque autori. Parte della sigla si ripete alla fine
della trasmissione e separa le rubriche di ogni puntata.
Il titolo della rubrica precede il titolo del servizio, che di solito
compare insieme al nome del suo regista; non viene mai
105
specificato, invece, quale autore ha curato il servizio. Durante i
filmati scorre in sovraimpressione la sintesi del tema affrontato.
Durante il mese di registrazione, la rubrica Fatti è risultata la più
frequente, proponendo complessivamente sei servizi. “Un mondo
a colori” utilizza questa rubrica per esplorare le realtà locali
interessate dal fenomeno migratorio, e per raccontare singoli
episodi relativi a tale fenomeno. Talvolta la rubrica getta lo
sguardo all’estero, con l’obiettivo di documentare la situazione
dei paesi maggiormente svantaggiati.
Tra i sei servizi registrati, ben tre raccontano l’impatto
dell’immigrazione in altrettante città o regioni italiane. In
particolare, il servizio intitolato “Concorrenza cinese” si occupa
di Prato, focalizzando l’attenzione sulle reazioni degli
imprenditori locali e dei pratesi all’ampia presenza di cinesi nel
settore dell’industria tessile e dell’abbigliamento. Come è tipico
di “Un mondo a colori”, vengono presentati i diversi punti di
vista sull’argomento; la concorrenza cinese viene giudicata un
fatto normale dal primo imprenditore italiano interpellato, mentre
un suo collega la ritiene accettabile solo se le regole sono
rispettate da tutti gli imprenditori.
Pure i cittadini pratesi esprimono giudizi eterogenei sui cinesi:
una signora li considera pericolosi perchè, dice, “ci portano via
lavoro e case”, ma poco dopo un concittadino li definisce “gente
per bene”. Il servizio propone il parere di un imprenditore cinese
e di un’insegnante proveniente da Taiwan, accomunati nella
106
convinzione che gli stranieri solitamente si adattano alle norme
del luogo in cui giungono. Entrambi espongono questa
convinzione usando un italiano stentato, e ciò testimonia
l’abitudine del programma a far parlare in prima persona gli
immigrati anche quando la padronanza della nostra lingua è
limitata. E’ tipico della trasmissione, inoltre, riservare
un’attenzione particolare alla musica proposta durante i servizi;
in genere è scelta quella più adatta a sottolineare gli aspetti
salienti dei filmati. Nel caso di “Concorrenza cinese” viene
utilizzata prevalentemente musica tradizionale cinese, eccetto gli
ultimi minuti nei quali una musica occidentale moderna
accompagna l’ingresso della telecamera nel liceo “Rodari” di
Prato, frequentato da 55 cinesi. Luigi Nespoli, preside del liceo,
spiega che agli studenti cinesi viene insegnato l’italiano come
seconda lingua, poichè i loro risultati scolastici sono fortemente
condizionati dalla conoscenza della lingua italiana.
Le immagini dell’immigrazione salentina più frequenti sulle reti
televisive italiane si riferiscono agli arrivi di vecchie
imbarcazioni con troppe persone a bordo. Il servizio “Tornando
in Salento” si discosta da tale tendenza, infatti, dopo aver
ricordato la storia dell’immigrazione nella zona, vengono visitati
i centri di accoglienza “Don Tonino Bello” e “Lorizzonte”, ed il
centro di permanenza temporanea “Regina Pacis”. Il regista
Massimo Frittelli è riuscito a cogliere interessanti spaccati della
vita che si svolge dentro queste strutture: i telespettatori possono
107
vedere e sentire un musulmano che, in arabo, richiama alla
preghiera gli altri fedeli, ed alcune ragazze intente ad ascoltare
allo stereo musica italiana, una canzone di Laura Pausini.
Una giovane ospite del centro “Regina Pacis”, con il viso
oscurato, racconta il viaggio notturno sul gommone che
dall’Albania l’ha portata in Italia, ricordando la paura provata e il
pianto inconsolabile dei bambini presenti a bordo.
Nel finale del servizio è sottolineata la necessità di individuare
strategie e percorsi di supporto per le persone che escono dai
centri di accoglienza, con lo scopo di agevolare un autentico
inserimento degli immigrati nella società italiana.
Ci spostiamo nel Veneto con “La nuova Rovigo”, servizio sulle
difficoltà in cui si imbattono gli stranieri giunti in città. Un primo
aspetto problematico consiste nella sistemazione dei nuovi
arrivati, poichè a Rovigo non esiste una casa di accoglienza. A
tale riguardo è emblematica la testimonianza di una donna
rumena: con voce preoccupata, racconta di non sapere dove
andare a dormire nei giorni seguenti, non potendo più rimanere
presso i frati che le hanno offerto ospitalità per un breve periodo.
Non è semplice neppure trovare un italiano disposto ad affittare
una casa agli immigrati e, quando la ricerca ha esito positivo, di
solito gli stranieri vivono in appartamenti in cattive condizioni.
La cecena Anastasia Votti lo conferma, mostrando il tetto
rovinato e l’unica camera da letto della sua casa abitata da otto
persone, sei bambini e due adulti. Il servizio si conclude
108
nell’abitazione di un gruppo di senegalesi che avanzano la
richiesta, condivisa da molti immigrati, di essere rappresentati
nelle istituzioni locali.77
Il programma propone periodicamente ricette appartenenti a
culture diverse; nel servizio “La nuova Rovigo” un senegalese
illustra la ricetta di un piatto del suo paese a base di riso e di
pesce, che i telespettatori potrebbero essere invogliati a
sperimentare nelle loro case.
Si è accennato (cfr. paragrafo 3.2) che “Un mondo a colori”
tende ad approfondire i fatti di attualità, ed il servizio intitolato
“La prima nata” lo dimostra. Dopo aver presentato la prima
bambina nata in Italia nel 2003, e i suoi genitori bengalesi, il
servizio amplia il discorso intervistando la dottoressa Maria
Sorrentino, responsabile del reparto di ostetricia presso
l’ospedale palermitano Fatebenefratelli dove la bimba è venuta al
mondo. La dottoressa evidenzia alcune peculiarità delle
partorienti straniere: talvolta hanno difficoltà a comunicare in
una lingua diversa dalla propria, e spesso vogliono essere
assistite da personale medico di sesso femminile. La ginecologa
Mariarosa D’Anna ricorda che, proprio per soddisfare
quest’ultima esigenza, la notte del 31 dicembre 2002 in sala parto
c’erano solo donne.
77 Accogliendo tale richiesta, è stata prevista l’elezione dei Consigli Comunali e Provinciali degli Stranieri. A Firenze l’elezione di questi organi consultivi è avvenuta il 30 novembre 2003, con un’ampia affluenza alle urne degli immigrati.
109
La rubrica “Fatti” presenta una realtà di odierna emigrazione
italiana nel servizio “I nuovi emigranti”, ambientato nella piana
di Ribera. Fino a pochi anni fa le arance costituivano la
principale fonte di reddito per questa area siciliana, però una
grave crisi idrica ne ha fortemente ridotto la produzione,
obbligando molte famiglie a trasferirsi in Germania.
L’impegno della rubrica ad osservare ciò che accade fuori dai
confini italiani è esemplificato nel servizio “Noi siamo i poveri”,
che fotografa l’attuale situazione del Sudafrica. Dopo la fine
dell’apartheid resta imponente il divario tra ricchezza e povertà,
sintetizzate dal contrasto tra il moderno quartiere Sandton, a nord
di Johannesburg, e la vicina baraccopoli di Alexandra, dove
abitano 400.000 persone. La causa principale del forte squilibrio
consiste nella mancata applicazione della riforma agraria che
avrebbe dovuto redistribuire la terra dai bianchi ai neri: dal 1994,
anno delle prime elezioni democratiche, ad oggi meno del 2%
della terra è stata redistribuita. Nel frattempo il Movimento dei
Senzaterra è diventato sempre più forte, fino a strutturarsi in
forma organizzata nel 2002. Durante il servizio assistiamo a balli
e canti che, nati nel periodo della lotta all’apartheid, sono ora
utilizzati per dare voce al Movimento dei Senzaterra.
Dal 10 gennaio al 10 febbraio 2003 sono andati in onda cinque
servizi della rubrica Quotidianità , dedicata ai risvolti più comuni
dell’immigrazione. Il servizio “Diversity manager” illustra le
iniziative promosse dall’Unione Industriali di Como per facilitare
110
l’integrazione degli immigrati. Oltre ad organizzare corsi di
formazione in collaborazione con l’Università Bocconi, l’Unione
Industriali ha alleviato il problema abitativo dei lavoratori
stranieri grazie ad una convenzione con l’istituto che gestisce le
case popolari.
Con i servizi “Extraitaliani 1” ed “Extraitaliani 2” il programma
esplora l’esperienza immigratoria di cinque ragazzi poco più che
ventenni, giunti in Italia in tenera età. Nelle due puntate,
caratterizzate da rapidi cambi di immagine e da musica moderna,
la telecamera di “Un mondo a colori” segue i ragazzi nei loro
ambienti scolastici, lavorativi e ricreativi, documentando una
quotidianità assolutamente analoga a quella dei coetanei nati in
Italia, e un’ottima integrazione nel nostro paese. In questo senso
risulta appropriata la connotazione di extraitalianità suggerita nel
titolo delle puntate, tuttavia i cinque protagonisti si confrontano
con l’identità culturale del paese di origine: ad esempio Karima e
Sara, nate rispettivamente in Marocco e in Egitto, stanno
riscoprendo il mondo arabo frequentando l’Università di Lingue
e Civiltà Orientali. Pertanto, i ragazzi dichiarano di affiancare il
patrimonio culturale italiano ai valori e alla cultura del paese di
provenienza; solo Carlos si sente “unicamente italiano”, poichè
visitando Santo Domingo otto anni fa ha capito di essere ormai
estraneo allo stile di vita del luogo in cui è nato.
Nella prima parte del servizio intitolato “Insieme”, che occupa
l’intera puntata del 10 gennaio, Mahjouba Boutere racconta di
111
essere venuta in Italia poichè in Marocco l’unica certezza
consisteva nel doversi sposare e, afferma, “non era quello che
avevo programmato per me stessa”. La giovane immigrata parla
della sofferenza vissuta da chi lascia la propria terra, dovuta al
fatto che “perdiamo tutto: abitudini, amici, parenti”. Mahjouba,
che adesso lavora come colf in una famiglia italiana, sostiene di
“recitare una parte diversa” a seconda dell’interlocutore, per
evitare di offendere le persone a lei care: quando sa di incontrare
una sua amica algerina molto religiosa, ad esempio, cambia il
modo di vestire adeguandosi agli usi dell’amica.
Il servizio prosegue presentando le storie d’amore di tre coppie
multietniche, senza omettere le difficoltà e i pregiudizi che
gravitano attorno ad esse. La mamma di Bianca, ad esempio,
confida di aver provato un vero e proprio shock apprendendo che
la figlia intendeva sposare Freddy, un ragazzo cubano, ma
ammette di aver superato la diffidenza iniziale conoscendolo e
apprezzandolo.
Una donna italiana, partner di un’americana, definisce l’Italia
come “Terzo mondo” dal punto di vista morale, infatti
“nonostante siamo entrati nel terzo millennio – dice – è ancora
difficile per la società accettare una coppia gay, tanto meno una
coppia mista come la nostra”.
Il 14 gennaio è andato in onda “Fusion”, servizio sui prodotti
dell’incontro tra culture diverse maturati nel campo
dell’arredamento, degli accessori e dell’immagine. L’artista cino-
112
malese H. H. Lim, ad esempio, mostra la sua abitazione, il cui
arredamento fonde la cultura e la filosofia occidentale con quelle
orientali, mentre le candele del designer Massimo Guadagno
miscelano colori e forme dell’India e dell’Africa. Per quanto
riguarda l’immagine, viene ricordato che in Occidente il
tatuaggio del corpo mischia l’arte del tatuaggio polinesiana,
maori e indiana; il parrucchiere romano Remo Ciancimino,
inoltre, sottolinea di aver imparato a realizzare anche
acconciature “non europee”, poichè gli vengono richieste sempre
più frequentemente.
Il mese registrato di “Un mondo a colori” include tre servizi della
rubrica Protagonisti, che racconta le eseperienze di singoli
immigrati.
E’ la storia di un’integrazione riuscita quella raccontata dai
fratelli albanesi Agron e Skender Mustafà nel servizio “Mustafà
cafè”. I due fratelli sono giunti in Italia più di dieci anni fa e,
dopo aver cambiato diversi lavori nel settore edile e della
ristorazione, nel 1999 hanno realizzato il sogno di aprire un bar,
rilevando una vecchia latteria di Grassina. Skender ha adornato le
pareti del bar con dipinti ricchi di riferimenti alle vicissitudini e
agli stati d’animo che hanno caratterizzato il suo inserimento in
Italia. L’attuale situazione di Skender è rappresentata nel quadro
intitolato “La vittoria”, in cui una colomba che spicca il volo
allude alle persone finalmente tranquille dopo aver superato il
dolore. Durante il servizio prendono la parola alcuni clienti
113
abituali del bar “Durimi”, esprimendo stima e affetto nei
confronti di Skender e Agron. Questo servizio testimonia
l’impegno del programma a valorizzare la presenza di immigrati
nei piccoli centri urbani, in genere trascurati dai mass media per
l’abitudine a trattare il fenomeno immigratorio esaminando la
situazione delle maggiori città italiane.
La senegalese Khady Diagne ripercorre la sua storia vincente nel
servizio “Top model”. Arrivando a Catania nel 1992, ricorda di
aver provato delusione constatando che la realtà era diversa dal
sogno cullato dentro di sè. Khady ha lavorato inizialmente come
colf, finchè l’incontro con la proprietaria di un’agenzia di
modelle le ha consentito di intraprendere una carriera costellata
di successi. La giovane senegalese dichiara di utilizzare la cultura
di origine per rinnovare il rapporto con il marito, poichè la scelta
di impostare il matrimonio sulla cultura occidentale non ha
prodotto buoni risultati.
Nel servizio intitolato “La mia Cuba” l’ambasciatrice Maria de
los Angeles Florez illustra la propria carriera diplomatica, la
situazione di Cuba e i rapporti che legano l’isola all’Italia, mentre
sul televisore scorrono immagini di Cuba accompagnate dalla
musica locale, “che – sostiene Maria de los Angeles Florez –
continua ad essere un modo molto importante di comunicare con
gli altri popoli”. L’ambasciatrice parla di una buona integrazione
dei circa ottomila connazionali residenti in Italia, impiegati
prevalentemente nel settore artistico e culturale.
114
Generalmente nella rubrica Integrazioni sono proposti esempi di
positivo inserimento nella società italiana, oppure iniziative
progettate per semplificare tale inserimento o per diffondere la
cultura dei luoghi dai quali provengono gli immigrati.
Il 16 gennaio la rubrica ha presentato il servizio intitolato “A
lezione d’arabo”, che si interessa ai corsi di lingua e cultura araba
per i bambini di origine musulmana organizzati dal Comune in
collaborazione con la comunità islamica. Il servizio ci porta
subito dentro l’aula di un corso, dove i piccoli alunni ripetono le
parole arabe pronunciate dall’insegnante. I veri protagonisti sono
i bambini, e i loro interventi rispecchiano una duplice
appartenenza culturale: aspirando molte C affermano di voler
imparare l’arabo, considerata lingua principale, e che tra i piatti
preferiti convivono gli spaghetti e il cuscus. Gli unici adulti
intervistati sono una funzionaria del Comune ed un
rappresentante della comunità islamica, concordi nel sostenere
l’importanza di mantenere vivi i legami con il paese di origine
dei bimbi.
Con il servizio del 15 gennaio intitolato “Indiani d’Italia”, la
rubrica mostra come gli immigrati giunti dall’India abbiano
portato profumi e sapori della loro terra nel quartiere Esquilino di
Roma, aprendo numerosi ristoranti, alimentari e negozi che
vendono prodotti di artigianato. Nel servizio, introdotto e
accompagnato da musica indiana, viene rilevato il successo
115
accordato dagli italiani a tali attività, attualmente intraprese
anche da commercianti di nazionalità italiana.
E’ ambientato nel quartiere Esquilino anche l’unico servizio di
Polis, la rubrica che documenta gli effetti dell’immigrazione
nelle città italiane. In particolare, il servizio “Poliziotto di
quartiere” si occupa della sperimentazione di tale figura
all’Esquilino. Dopo un primo periodo di diffidenza, i molti
stranieri che popolano il quartiere iniziano a rivolgersi ai
poliziotti, soprattutto per avere informazioni in tema di permessi
di soggiorno.
La rubrica Invisibili , dedicata agli aspetti meno evidenti del
fenomeno immigratorio, nel servizio “Arrivi e partenze” mostra
un particolare utilizzo della stazione Anagnina della
metropolitana. I rumeni che vivono e lavorano nella capitale,
infatti, la domenica mattina si ritrovano in questa area, da dove
partono furgoni diretti in Romania carichi di pacchi e di persone.
Nel corso del servizio emergono frammenti di storie personali,
un rumeno ad esempio racconta di firmare per una busta paga di
1200 euro ricevendo però dal datore di lavoro solo 775 euro. In
alcuni momenti prevalgono le emozioni degli immigrati, come la
rabbia e l’indignazione di chi non riesce ad ottenere un permesso
di soggiorno, nonostante viva e lavori in Italia dal 1999.
“Un mondo a colori” ha creato un’apposita rubrica centrata sulle
emozioni degli stranieri; nel servizio intitolato “Di mamma ce
n’è una sola”, la rubrica Emozioni ha fatto emergere la tristezza
116
e il dolore del marocchino Ali Takazut per la forzata lontananza
dalla mamma. Egli vorrebbe far venire la madre in Italia ma
l’ambasciata italiana di Rabat non le rilascia il visto per
raggiungere il nostro paese, poichè i fratelli di Ali hanno già
presentato la domanda di ricongiungimento per la prima moglie
del padre, sposato con due donne come consente la legge
islamica.
Il servizio “Amici”, invece, evidenzia il rapporto di vera amicizia
tra il professore italiano Colombo Tombolini e il fotografo
colombiano Carlos Caballero. L’amicizia è nata durante la
convivenza nella casa romana del professore, oggi in pensione,
ed è stata la figlia di Tombolini a mettere in contatto i due
coinquilini dopo che suo padre era rimasto vedovo.
Con la rubrica Soloieri la trasmissione affronta periodicamente il
tema dell’emigrazione italiana avvenuta nel passato, per
mantenere viva la memoria collettiva di un’esperienza comune a
tanti connazionali. Il servizio intitolato “Il grande viaggio”
propone un estratto dell’omonimo filmato sull’emigrazione
italiana negli Stati Uniti, realizzato da Franco Melandri nel 1963:
le immagini in bianco e nero fanno vedere i nuovi arrivati,
carichi di fagotti, valigie, e, riportando le parole dello speaker,
“di speranza e di timore per il futuro”.
Nella rubrica Italiani parlano i trenta personaggi famosi
contattati dalla redazione di “Un mondo a colori” per riflettere
sull’identità italiana (cfr. paragrafo 3.2). Alberto Bevilacqua, nel
117
servizio “Identità”, sostiene che i nostri emigranti sono i
principali portabandiera del senso di italianità, portato in tutto il
mondo con grande dignità. Secondo lo scrittore parmense essere
italiani oggi significa essenzialmente rapportarsi agli altri paesi
europei, “perchè – afferma – l’Italia non galleggia più in un mare
tutto suo”.
La rubrica Riflessioni solitamente ospita gli interventi di esperti
degli argomenti attinenti al programma. Nel servizio “Popolo di
migranti” il sociologo Enrico Pugliese cita la passata
emigrazione degli italiani presentando un suo libro78, ma
sottolinea con forza che è un fenomeno ancora attuale, poichè dal
Mezzogiorno si continua ad emigrare, dirigendosi verso le altre
regioni d’Italia e verso l’estero.
Durante il periodo di osservazione, “Un mondo a colori” ha
proposto due libri nella rubrica Pagine, ideata per far conoscere
ai telespettatori le pubblicazioni più recenti in tema, quasi
sempre, di immigrazione italiana.
Il 7 febbraio il giornalista Pierluigi Sullo parla di “Guerre
minime”79, libro che ripercorre le indagini sulla morte di Khalid
Moufaguid, caduto misteriosamente nel Po ed annegato la sera
del 16 giugno 1995. L’episodio è reso più grave dal fatto che “da
allora altri due ragazzi sono annegati ai Murazzi, altri sono stati
78 Enrico Pugliese, op.cit. 79 Pierluigi Sullo, Guerre minime. Come Khalid annegò ai Murazzi di Torino, Edizioni Intra Moenia, Napoli, 2002.
118
accoltellati, altri ancora bastonati durante scorrerie che avevano
per bersaglio i marocchini”80.
Nella puntata del 5 febbraio, invece, il sociologo albanese Kosta
Barjaba riassume il volume “Ondate senza ritorno”81, che offre
una visione storica dell’emigrazione albanese trattando in modo
esteso quella diretta verso l’Italia, iniziata nei primi anni
Novanta. Nel servizio Barjaba specifica che gli albanesi giunti in
Italia provengono in prevalenza dalle grandi città e dalla fascia
costiera dell’Albania, cioè dalle zone più sviluppate, dove è più
diffusa la lingua italiana e l’informazione sul nostro paese.
La rubrica Schermi familiarizza il pubblico della trasmissione
con film e documentari contenenti interessanti spunti di
riflessione. Il 23 gennaio questa rubrica ha presentato il film
“L’appartamento spagnolo”, del regista Cédric Klapisch.
Protagonista del film è uno studente universitario parigino che
trascorre un anno di studio a Barcellona nell’ambito del progetto
Erasmus. Durante il soggiorno nella città spagnola, egli matura la
coscienza di essere europeo e di sentirsi tale dividendo
l’appartamento con sei ragazzi di differenti paesi europei.
Nella stessa puntata del programma, il servizio intitolato “Guerra
e pace” si occupa dell’omonimo documentario antinucleare
realizzato da Anand Patwardhan. Il regista indiano spiega di aver
iniziato le riprese, durate tre anni, dopo gli esperimenti nucleari 80 Ibidem, pag.124. 81 Kosta Barjaba, Ondate senza ritorno, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, Roma, s.d.
119
di India e Pakistan del 1998, e di aver girato parte del
documentario negli Stati Uniti, a Hiroshima e a Nagasaki. Dopo
aver vinto il primo premio al Festival del documentario di
Bombay, “War and Peace” è stato vietato dal governo indiano
perchè contiene severe critiche nei confronti del partito di
maggioranza, che sostiene la necessità della bomba nucleare.
La rubrica Vittime , utilizzata per denunciare situazioni
drammatiche, nella puntata del 22 gennaio offre una panoramica
sui conflitti “dimenticati” (perchè i mass media se ne occupano
in rare occasioni) tuttora in corso in Sudan, Congo, Mozambico,
Molucche, Azerbaigian, Yemen, Bolivia. Esperti dei singoli paesi
illustrano le cause delle guerre e le conseguenze patite dai civili,
fornendo il numero approssimativo di vittime, invalidi e profughi
relativi a ciascun conflitto.
Le settimane di registrazione, infine, includono due servizi della
rubrica Eventi, in cui vengono segnalati spettacoli e
manifestazioni di vario genere. Nel servizio “Action Machine”,
andato in onda il 30 gennaio, il coreografo della “Masashi
Mishiro Jazz Company” puntualizza di aver dato vita alla
compagnia ponendosi l’obiettivo di fondere la jazz dance
occidentale con la tradizione giapponese. I movimenti dei dodici
ballerini riflettono l’intento di Masashi Mishiro, e anche i
costumi indossati in scena, infatti sgargianti kimono si alternano
ad abiti occidentali contemporanei. Per quanto riguarda la
musica, il 15 gennaio “Un mondo a colori” ha parlato della
120
“Tarantula Ipertest Orchestra”, un complesso multietnico che
compone brani musicali unendo le sonorità tipiche delle diverse
parti del mondo. Il servizio si riferisce ad un concerto svoltosi
nella basilica romana di Santa Maria in Ara Coeli, e permette di
ascoltare qualche passaggio delle curiose combinazioni create dal
complesso.
121
CONCLUSIONI
La parte conclusiva di questo lavoro intende mettere a fuoco le
caratteristiche che differenziano “Un mondo a colori” dalle
attuali modalità di rappresentazione televisiva degli immigrati.
Come si è accennato nel paragrafo 2.6, le ricerche hanno
evidenziato che i programmi televisivi, pur facendo in genere
riferimento ad individui specifici, definiscono l’immigrato
innanzitutto attraverso il riferimento al paese di provenienza,
“riconducendolo cioè ad una categoria, la nazionalità, in cui
l’individualità tende a perdersi e il soggetto sembra considerato
più come rappresentante di una categoria che come una persona
singola82”. Tale fenomeno di personalizzazione senza la persona
si accompagna ad un limitato accesso degli immigrati ai
microfoni delle trasmissioni televisive: gli immigrati sono citati
nel 64,9% dei casi esaminati dal Censis nel 2002, mentre sono
intervistati direttamente o consultati nel 26,8% dei casi.
“Un mondo a colori” si discosta da entrambe le tendenze, infatti
le puntate registrate dimostrano la volontà di valorizzare le storie
e le emozioni personali degli immigrati, che nel programma
raccontano le proprie esperienze sempre tramite la loro voce.
Presentando il singolo individuo, inoltre, il magazine di Raidue
82 Censis, L’immagine degli immigrati e delle minoranze etniche nei media, Censis, Roma, 2002, pag.12.
122
riporta quasi sempre il nome e il cognome della persona, che
appaiono sul video in caratteri più grandi rispetto al paese di
provenienza e alla professione svolta, quando essa viene
specificata.
Per quanto concerne i contesti nei quali sono inseriti gli
immigrati, i ricercatori del Censis hanno sottolineato che i più
frequenti consistono nelle comunità di appartenenza (30,9% dei
casi) e nel mondo criminale (29,1%). In “Un mondo a colori”,
invece, il contesto privilegiato risulta essere la società italiana
nelle sue molteplici articolazioni (scuola, mondo del lavoro, enti
pubblici, ecc.). D’altronde, ciò è coerente con la nuova linea
editoriale della trasmissione (cfr. paragrafo 3.2) che si propone di
leggere la presenza degli immigrati in chiave interculturale.
Il Censis ha rilevato che l’immigrato riveste prevalentemente un
ruolo all’interno di una vicenda negativa. In particolare,
“l’immagine che si desume da quanto visto in televisione oscilla
(...) dal povero immigrato, vittima di una gamma di possibili fatti
negativi come atti criminosi, discriminazione, errori giudiziari,
ritardi o malfunzionamenti burocratici, allo straniero violento o
criminale”83. Gli innumerevoli immigrati che sono riusciti ad
inserirsi positivamente nel nostro paese, viceversa, compaiono
raramente sul piccolo schermo. “Un mondo a colori” appare in
controtendenza anche da questo punto di vista, nella misura in
cui dà ampio spazio ai casi di buona integrazione nel tessuto 83 Ibidem, pag.10.
123
economico e sociale italiano, come testimoniano le puntate
esaminate.
Enfatizzando eccessivamente le situazioni di marginalità e di
disagio, la televisione italiana contribuisce a sedimentare
un’immagine monolitica (quindi falsa) del fenomeno
immigratorio, che invece è costituito da realtà molto varie. Il
programma in onda su Raidue tenta di familiarizzare i
telespettatori con l’eterogeneità dell’immigrazione. Si è visto,
infatti, che nelle quindici puntate registrate prendono la parola
immigrati di tutte le età, appartenenti alle diverse comunità
presenti in Italia; il programma, inoltre, riprende gli stranieri nei
molteplici contesti di vita quotidiana (luoghi di lavoro,
abitazioni, spazi ricreativi) e documenta le peculiarità del loro
inserimento nelle diverse città italiane. Cercando di rappresentare
le mille sfaccettature del mondo dell’immigrazione, “Un mondo
a colori” inevitabilmente mette in luce pure le difficoltà connesse
alla presenza di stranieri, senza però tralasciare gli sforzi per
superarle. Durante le settimane di osservazione, la trasmissione
si è occupata ad esempio del problema abitativo che affligge
molti immigrati (come è accaduto nel servizio intitolato “La
nuova Rovigo”) offrendo visibilità alle iniziative promosse per
attenuare questo problema (in modo particolare nel servizio
“Diversity manager”).
La ricerca del Censis ha posto in evidenza che “le persone di
origine straniera nel complesso entrano nel mondo
124
dell’informazione quasi solo attraverso le strette (...) maglie della
cronaca”84. Il programma ideato da Massimo Fichera non si
uniforma a questa tendenza diffusa, infatti la cronaca non è il
criterio principale in base al quale vengono selezionati gli
argomenti da affrontare e, comunque, gli eventuali riferimenti ai
fatti di cronaca in genere servono ad introdurre temi più ampi,
come dimostra il servizio intitolato “La prima nata”.
Il costante monitoraggio compiuto dalla redazione di “Un mondo
a colori” consente di far emergere aspetti dell’immigrazione poco
noti al pubblico televisivo. Nella scorsa edizione della
trasmissione, ad esempio, è stato realizzato un servizio intitolato
“Le donne della mia Africa”, in cui il dottor Omar Abdulcadir
illustra l’attività del “Centro per la prevenzione e la cura delle
mutilazioni genitali femminili”, da lui diretto presso la clinica
ostetrico-ginecologica di Careggi. Nel centro fiorentino giungono
donne straniere da ogni parte d’Italia, poichè è l’unica struttura
specializzata esistente nella penisola. Il servizio risale a molti
mesi prima che i mass media accendessero i riflettori sul dottor
Abdulcadir, per la sua proposta di “rito alternativo” alle
mutilazioni compiute su tanti giovani immigrate.
E’ stato sottolineato che i programmi televisivi, parlando di
immigrazione, prestano poca attenzione alla condizione dei paesi
svantaggiati e a temi più vasti come i rapporti tra Nord e Sud del
mondo. Il magazine di Raidue, pur occupandosi prevalentemente 84 Ibidem, pag.9.
125
della realtà italiana, propone interessanti riferimenti allo scenario
internazionale. A conferma di ciò, durante il periodo di
osservazione sono andati in onda due servizi (“Noi siamo i
poveri” e “Guerre dimenticate”) che documentano la difficile
situazione di alcuni paesi. Talvolta, inoltre, “Un mondo a colori”
sensibilizza i telespettatori su argomenti che riguardano il futuro
dell’intera umanità, ad esempio nel servizio intitolato “Guerra e
pace” viene presentato il documentario antinucleare realizzato da
Anand Patwardhan.
Al termine di questa analisi, risulta evidente il tentativo del
magazine di fornire un tipo di informazione diversa rispetto a
quella tradizionale: superando molti “vizi” ricorrenti nel piccolo
schermo, “Un mondo a colori” propone una rappresentazione più
corretta del fenomeno immigratorio. E’ auspicabile, dunque, una
maggiore valorizzazione del programma, che potrebbe essere
collocato in una fascia oraria caratterizzata da un’audience
superiore, almeno potenzialmente, all’attuale.
126
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