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In appendice In appendice La strada La strada Flaminia Minore Flaminia Minore un tracciato immaginario un tracciato immaginario CESARE AGOSTINI FRANCO SANTI BOLOGNA PIEVE DEL PINO MONZUNO M. VENERE M. BASTIONE MONTECARELLI VETTA LE CROCI BIVIGLIANO REGGELLO PIAN DI SCÒ (CASCIA) LORO CIUFFENNA PIEVE DI GROPINA PONTE A BURIANO CASTIGLION FIBOCCHI MONTEREGGI PELAGO CASTEL SOFIA PONTASSIEVE S. FRANCESCO PONTE DI COLOMBAIOTTO TAGLIAFERRO COMPIOBBI BRENTO MADONNA DEI FORNELLI PASSO DELLA FUTA FIESOLE AREZZO Tutto il percorso BOLOGNA - AREZZO Nuove ricerche e rinvenimenti La strada FLAMINIA FLAMINIA MILITARE MILITARE del 187 a.C.

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EZZO

CESARE AGOSTINI FRANCO SANTI

€ 35,00IVA inclusa

In retrocopertina:Teatro romano in Fiesole (Foto: apt. Firenze)

BOLOGNA

PIEVE DEL PINO

MONZUNO

M. VENERE

M. BASTIONE

MONTECARELLI

VETTA LE CROCI

BIVIGLIANO

REGGELLO

PIAN DI SCÒ (CASCIA)

LORO CIUFFENNA

PIEVE DI GROPINA

PONTE A BURIANO

CASTIGLIONFIBOCCHI

MONTEREGGI

PELAGO

CASTEL SOFIA

PONTASSIEVES. FRANCESCO

PONTE DICOLOMBAIOTTO

TAGLIAFERRO

COMPIOBBI

BRENTO

MADONNA DEI FORNELLI

PASSO DELLA FUTA

FIESOLE

AREZZO

Tutto il percorso BOLOGNA - AREZZO

Nuove ricerche e rinvenimenti

Era l’anno 187 a.C. quando il Senato di Roma diede ordine al console Caio Flaminio di costruire una strada da Bologna ad Arezzo per non lasciare in ozio i soldati dopo la vittoriosa campagna di guerra contro i Liguri nell’Appennino tosco-emiliano.Così ha raccontato Tito Livio.Poi in 2000 anni questa strada è progressivamente scomparsa anche dalla memoria degli uomini, tanto da far sorgere in alcuni il dubbio che lo storico romano avesse errato.Questo dubbio invece non l’hanno avuto Cesare Agostini e Franco Santi dando credito al ricordo tramandato dai loro avi: una strada romana era nascosta alle pendici del monte Bastione, sulla direttrice del passo della Futa, proprio ove è più agevole e veloce l’attraversamento della catena appenninica.Così nel 1977 hanno deciso di andare a cercarla, armati di piccone e badile, lassù in quei boschi a loro famigliari perché percorsi sovente nella loro giovinezza.Alla ricerca sul campo hanno accompagnato una attenta rilettura delle fonti storiche ed un rigoroso confronto con l’orografi a per intuire il percorso più comodo e diretto attendibilmente seguito da C. Flaminio. Contemporaneamente hanno approfondito lo studio delle opere di Tito Livio, Polibio, Strabone, Sallustio ed altri storici per cogliere indizi che potessero orientare le ricerche alla scoperta dell’esatto tracciato.Finalmente nell’agosto 1979 hanno intercettato un primo tratto di pavimentazione di una strada che, per le dimensioni, l’accurata lavorazione delle pietre di arenaria utilizzate e la tecnica costruttiva, dimostrava essere un basolato romano.Da quel giorno ad oggi, per più di trent’anni, hanno impegnato il loro tempo libero nella ricerca di tutto il percorso di questa strada consolare.I loro studi, le rilevazioni topografi che, fotografi che ed i rinvenimenti archeologici sono stati poi raccolti in tre pubblicazioni: la prima, scritta in collaborazione con Vittorio Di Cesare, è uscita nel 1989 con il titolo “La strada Flaminia Militare”, Studio Costa editore, Bologna; la seconda nell’anno 2000 con il titolo: “La strada Bologna-Fiesole del II secolo a.C. (Flaminia Militare)”, CLUEB editore, Bologna. È possibile leggere e scaricare il testo dal sito internet: - www.fl aminiamilitare.it (in lingua italiana);- www.fl aminiamilitare.com (in lingua inglese).Con questa terza ed ultima pubblicazione hanno documentato tutto il percorso della strada consolare da Bologna ad Arezzo, facendo una brevissima sintesi della precedente pubblicazione e, soprattutto, illustrando i nuovi rinvenimenti in territorio toscano.È una narrazione a tutto campo che, senza trascurare la rigorosa documentazione scientifi ca delle scoperte, ha una scorrevole e facile lettura, gradevole e comprensibile anche per i non “addetti ai lavori”. In appendice, infi ne, hanno esposto, seguendo un disarmante buonsenso, i motivi storici, archeologici, topografi ci ed orografi ci che dimostrano la infondatezza di un percorso alternativo di questa stessa strada proposto da alcuni studiosi bolognesi (c. d. Flaminia Minore).

In copertina:Il basolato della Flaminia Militare al monte Poggione (m 851 s.l.m. 3 km a sud del passo della Futa)

La strada

FLAMINIAFLAMINIAMILITAREMILITARE

del 187 a.C.

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Dedichiamo

questo libro alla memoria

dei nostri padri

che ci hanno tramandato

l’atavico ricordo

di una strada romana

nascosta alle pendici

del monte Bastione

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CESARE AGOSTINI FRANCO SANTI

La strada

FLAMINIAMILITARE

del 187 a.C.

Tutto il percorso BOLOGNA – AREZZO

Nuove ricerche e rinvenimenti

In appendice

La strada Flaminia Minoreun tracciato immaginario

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Cesare Agostini e Franco Santi

La strada FLAMINIA MILITARE del 187 a.C.Tutto il percorso BOLOGNA – AREZZO. Nuove ricerche e rinvenimenti

Grafis, 2012

ISBN …

Finito di stampare nel mese di giugno 2012 dallaGrafis - Polycrom (Bologna)

Impaginazione:Ezio Costanti

© 2012 by Cesare Agostini e Franco Santi

Riproduzione vietata ai sensi di legge(art.171 della Legge n. 633 del 22 aprile 1941).Senza adeguata autorizzazione scritta, è vietata la riproduzione della presente opera e di ogni sua parte, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.

Fotografie, cartografia e disegni di Cesare Agostini, Franco Santi, Mauro Bacci, Alberto Facchini ed Oscar Orlandi.

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Pubblicazione realizzata con il parziale finanziamento di

Con il patrocinio di

COMUNE DI SAN BENEDETTO VAL DI SAMBRO (Provincia di Bologna)

COMUNE DI FIRENZUOLA (Provincia di Firenze)

Al termine di questa nostra gratificante faticavogliamo innanzitutto ringraziare due amici fio-rentini, Mauro Bacci ed Alberto Facchini, che cihanno accompagnato nella ricerca di questa stra-da romana in un territorio toscano da noi pococonosciuto, aiutandoci a scoprire quei tratti diviabilità antica da secoli abbandonati ed oggiormai nascosti dagli insediamenti rinascimenta-li e moderni. Il loro aiuto è stato prezioso anchenelle rilevazioni topografiche e fotografiche,indispensabili per documentare questo antichis-simo tracciato. Ad essi si è unito negli ultimitempi il loro amico fiorentino Bruno Boretti. Un’altra utilissima collaborazione ci è statadata dal proprietario della grande “Fattoria diTagliaferro”, il dott. Carlo Billi, che qui voglia-mo ringraziare, il quale ci ha permesso liberoaccesso ai suoi terreni, facilitando le nostreispezioni ed offrendoci anche generosa e cor-diale ospitalità presso la sua abitazione. Nellericerche sul campo siamo stati aiutati da OscarOrlandi, nostro amico di Bologna, dimostratosisempre disponibile a seguirci ed a darci unimportante contributo manuale.Molti altri sono stati coloro che, legati a noi dasincera amicizia, ci hanno dato una preziosaconsulenza su specifici argomenti, segnalando-ci scritti di studiosi che ci erano sfuggiti; inoltreci hanno aiutato a correggere gli immancabili

errori ortografici ed i refusi di stampa. A tuttiquesti amici, ed a quelli che involontariamentenon abbiamo ricordato, vogliamo esprimere lanostra riconoscenza, citandoli in ordine alfabe-tico indipendentemente dall’impegno da loroprofuso ed omettendo i loro titoli accademici:Salvatore e Gianna Argenziano, Anna Brizzola-ra, Fabio Budel, Gianfranco Ceccarelli, RaffaeleRomano Gattei, Francesco ed Enza Piazzi. Adriano Simoncini ha manifestato la sua pro-fonda amicizia scrivendo la prefazione concalorose parole di stima e ammirazione chesuperano i nostri meriti; inoltre, nella sua qua-lità di Condirettore della Rivista “Savena-Setta-Sambro”, ha offerto la sua collaborazio-ne per la diffusione di questo libro. Di tutto ciòlo ringraziamo.Va la nostra riconoscenza al Comune di SanBenedetto Val di Sambro che ha contribuitoalle spese di pubblicazione di questo libromediante l’acquisto di un congruo numero dicopie ed al Sindaco Gianluca Stefanini che hasempre manifestato un personale interesse perle nostre ricerche presenziando, alle volte, adalcune manifestazioni organizzate sul tema.Infine ricordiamo la Signora Claudia Bisi chepazientemente ha trascritto su file il testo diquesto libro interpretando a fatica la nostra,alle volte, indecifrabile calligrafia.

Ringraziamenti

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Prefazione di Adriano SimonciniDue montanari tenaci e di buon senso pag 13

INTRODUZIONE pag 17

I temi trattati pag 19

CAPITOLO ILa fonte storica

1 – Il racconto di Tito Livio pag 212 – La guerra contro i Liguri sull’Appennino tosco-emiliano. pag 223 – Caio Flaminio costruisce la strada transappenninica da Bologna ad Arezzo pag 224 – Marco Emilio Lepido costruisce la strada da Piacenza a Rimini (via Emilia) pag 24

CAPITOLO IIStudi ed ipotesi negli ultimi due secoli sul tracciato transappenniniconel versante emiliano

Ipotesi A: Lungo la valle del fiume Reno pag 25Ipotesi B: Lungo la dorsale tra i torrenti Savena e Setta-Sambro pag 27Ipotesi C: Attraversamento dell’Appennino tosco-romagnolo dalla via Emilia

al Casentino fino ad Arezzo pag 29Ipotesi D: Lungo la dorsale tra il fiume Idice ed il torrente Sillaro pag 29

IL PERCORSO DELLA “FLAMINIA MILITARE” UNA CONCRETA REALTÀ ARCHEOLOGICA

CAPITOLO IIILa viabilità transappenninica preromana tra Bologna e Fiesole

1 – La natura ha indicato all’uomo la pista transappenninica più comoda pag 332 – Fiesole e Felsina: i capolinea della transappenninica etrusca. Cenni topografici pag 35

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SOMMARIO

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3 – Fiesole punto di arrivo della viabilità proveniente dall’Etruria centro-meridionale e contemporaneamente presidio della transappenninica diretta a Felsina pag 37

4 – L’asse diretto Felsina-Fiesole si deduce anche dal racconto di Polibio edalle parole di Paolo Giudici pag 41

5 – Gli Etruschi hanno percorso anche altre strade per collegarsi con Misa (Kainua) e con Felsina pag 426 – Il luogo della fondazione di Bononia scelto a presidio della transappenninica

etrusca nonostante fosse lontano dal fiume Reno e dal torrente Savena pag 44

Premessa al capitolo IV pag 49

CAPITOLO IV Brevissima sintesi dei rinvenimenti transappenninici della strada diCaio Flaminio da Bologna al ponte di Colombaiotto sul fiume Sievenel Mugello

1 – Le ricerche pag 512 – L’intero percorso transappenninico pag 533 – I primi rinvenimenti a m. Bastione pag 534 – I rinvenimenti al m. Poggiaccio pag 575 – I rinvenimenti a Poggio Castelluccio pag 576 – Altri rinvenimenti

6a – I “castellieri” liguri pag 606b – Le fornaci da calce di Piana degli Ossi pag 61

7 – I rinvenimenti a sud del passo della Futa pag 628 – Caratteristiche del tracciato pag 65

8a – Caratteristiche costruttive dei tratti “basolati” pag 658b – Caratteristiche costruttive dei tratti “glareati” pag 67

9 – Il ponte di Colombaiotto sul fiume Sieve in località Bilancino (Barberino del Mugello) pag 69

CAPITOLO VIl percorso della Flaminia Militare dal ponte di Colombaiotto sulfiume Sieve nel Mugello ad Arezzo

1 – Difficoltà nella percezione di indizi nei luoghi intensamente abitati pag 732 – Cautele nella interpretazione dei toponimi pag 743 – Le ricerche dal ponte di Colombaiotto sul fiume Sieve a Fiesole prima dell’anno 2000 pag 754 – Le ricerche dopo l’anno 2000 pag 76

A – Dal ponte di Colombaiotto sul fiume Sieve a Tagliaferro (Comune di S. Piero a Sieve) pag 76B – Da Tagliaferro a Vetta le Croci e Fiesole pag 86C – Da Fiesole a Castel Sofia (Comune di Pelago) passando da Pontassieve pag 99D – Da Castel Sofia (Comune di Pelago) ad Arezzo pag 104E – Premessa all’ipotesi di un tracciato alternativo della Flaminia Militare da

Vetta le Croci a Castel Sofia (Comune di Pelago) attraverso il ponte a Vico pag 108Ipotesi di un tracciato alternativo della Flaminia Militare da Vetta le Croci a Castel Sofia (Comune di Pelago) attraverso il ponte a Vico pag 110

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CAPITOLO VILa lenta scomparsa della strada consolare Bologna-Arezzo, ma nondel suo tracciato nel tratto transappenninico

1 – Testimonianze storiche e prove indirette della percorribilità della strada di C. Flaminio nel I secolo a.C. pag 127

2 – I toponimi miliari sull’asse Bologna-Firenze confermano la percorribilitàdella strada transappenninica consolare ancora nei secoli II e III d.C. pag 129

3 – Il decadimento della transappenninica romana testimoniato indirettamentedal silenzio della “Tabula Peutingeriana” pag 131

4 – Il tracciato della strada di C. Flaminio e delle sue varianti successive è statopercorso fino al secolo XIX pag 132

5 – Le fonti storiche che attestano l’esistenza di una strada mulattiera pag 134

CAPITOLO VIIL’analisi strutturale della pavimentazione, gli avvenimenti storici, lenotizie sulla viabilità transappenninica e le concordi opinioni didocenti dimostrano che quei basolati possono essere stati costruitisoltanto dai Romani

1 – L’analisi strutturale dei basolati e le opinioni di docenti di topografia, geografia estoria antica escludono la loro costruzione in epoca medioevale, rinascimentale o moderna pag 1411a – Analisi strutturale e confronto visivo pag 1411b – Gli studi ed i riconoscimenti di Giovanni Uggeri pag 1411c – I concordi consensi di altri docenti di viabilità antica pag 148

2 – Una attenta analisi degli avvenimenti storici e delle specifiche notizie sulla viabilità dell’Appennino tosco-emiliano conferma che i basolati rinvenuti a nord ed a sud del passo della Futa possono essere stati costruiti soltanto dai Romani pag 1512a – L’epoca delle invasioni barbariche (secc. V – VIII). Il tracciato della

transappenninica medioevale ricalca il percorso della “Flaminia Militare” pag 1522b – L’epoca della dominazione dei Carolingi (secc. IX-X). Il tracciato

transappenninico continua a ricalcare il percorso della “Flaminia Militare” pag 1532c – L’epoca del Feudalesimo (secc. IX – XII). Il tracciato transappenninico

ricalca ancora il percorso della “Flaminia Militare” pag 1542d – Fine secolo XII. Spostamento del tracciato transappenninico sull’asse

Pianoro-Loiano-Monghidoro-Cavrenno-passo della Raticosa-PietramalaLe Valli-Cornacchiaia-passo dell’Osteria Bruciata-S. Agata del Mugello pag 155

2e – Epoca comunale e rinascimentale (secc. XIII-XVII). Ulteriore spostamentoad oriente del valico montano della strada transappenninica (c.d. “maestra”) pag 158

2f – Epoca moderna (dalla metà del XVIII secolo al XX secolo). Costruzione di una variantecon spostamento a sud-ovest del valico appenninico attraverso il passo della Futa pag 163

3 – Conclusioni: i basolati rinvenuti a nord ed a sud del passo della Futa possono essere stati costruiti soltanto dai Romani pag. 165

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CAPITOLO VIIIDa Bologna al passo della Futa seguendo a piedi la FlaminiaMilitare fra realtà di oggi e memorie del passato pag 169

MONTE ADONE pag 170I “COLOMBARI” DI MONTE ADONE pag 170MONTERUMICI pag 173MONTE VENERE pag 174PIAN DI BALESTRA pag 174MONTE BASTIONE pag 175MONTE LUARIO pag 176I “CASTELLIERI” DI M. POGGIACCIO E DI POGGIO CASTELLUCCIO pag 177IL PASSO DELLA FUTA pag 178RIFLESSIONI sulle circostanze che hanno dato un contributo decisivo alla scoperta della Flaminia Militarefatta da due semplici cittadini pag 179

APPENDICE

LA VIA FLAMINIA MINOREUNA MERA IPOTESI ACCADEMICADI UN TRACCIATO IMMAGINARIO

Premessa al capitolo IX pag 187

CAPITOLO IXLa via “Flaminia Minore” un tracciato immaginario.Le dieci argomentazioni che lo comprovano pag 191

PARAGRAFO PRIMO: Nessuna prova archeologica della Flaminia Minore su tutto il tracciato da Claterna ad Arezzo pag 192

PARAGRAFO SECONDO: Tito Livio ricorda che C. Flaminio ha costruito la strada partendo da Bologna e non da Claterna pag 193

PARAGRAFO TERZO: Il tracciato della Flaminia Minore è incompatibile con i principi costruttivi delle strade consolari romane pag 1953a – Breve cenno sulla scelta del percorso delle strade

consolari romane pag 1953b – Il tracciato della Flaminia Minore percorre una dorsale

particolarmente instabile ed attraversa inutilmente corsi d’acqua pag 1963c – Maggiori dislivelli e maggiore lunghezza della Flaminia

Minore per valicare l’Appennino pag 200PARAGRAFO QUARTO: Il tracciato della Flaminia Minore passa lontano da Fiesole pag 202PARAGRAFO QUINTO: La strada costruita di C. Flaminio non è mai stata chiamata

Flaminia dalla storiografia latina né in epoca repubblicanané in epoca imperiale pag 204

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PARAGRAFO SESTO: I toponimi “Flamengha”, “Flaminga”, “Fiamminga”, “Flamigna” etc. non possono derivare dalla strada di C. Flaminio perché non è mai stata chiamata “Flaminia” pag 206

PARAGRAFO SETTIMO: La vera origine dei toponimi “Flamengha” “Flaminga” “Fiamminga” “Flamigna” etc. pag 2077a – La “Regio Flaminia” e la sua influenza sulla nascita dei

toponimi in discussione pag 2077b – La “via Emilia” da Rimini a Bologna, chiamata per secoli

“via Flaminia”, può avere trasmesso il nome al suo diverticolo Claterna – passo Raticosa pag 209

7c – I toponimi “via Flaminia” “via Fiamminga” appellativi di strade anche dirette verso la regione Flaminia (da ovest a est) pag 212

PARAGRAFO OTTAVO: I “Casoni di Romagna” e la “strada romagnola” sono la conferma della nostra interpretazione dell’origine di quei toponimi pag 214

PARAGRAFO NONO: I toponimi “Flamengha”, “Flaminga”, “Fiamminga”, “Flamigna” etc. ritrovati soltanto da Claterna al passo della Raticosa pag 215

PARAGRAFO DECIMO: La “Tabula Peutingeriana” non conferma l’ipotesi del tracciato della Flaminia Minore pag 21710a – Le due diverse opinioni di Alfieri pag 21710b – L’opinione di Ernest Gamillscheg pag 22010c – L’opinione di Luciano Bosio pag 22110d – Le opinioni di A. Gottarelli e P. L. Dall’Aglio pag 222

CONCLUSIONI pag 223

POSTILLA Alcune critiche ai nostri studi ed alle nostre conclusioni pag 225

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE pag 235

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Cesare Agostini e Franco Santi, due montanaridi Castel dell’Alpi divenuti archeologi perchiamata provvidenziale, resteranno nella sto-ria della viabilità antica per aver scoperto, con-tro l’opinione di alcuni appartenenti al mondoaccademico bolognese, il tracciato della stradaromana che, attraverso Fiesole, collegavaBologna ad Arezzo. Nella sua Storia di RomaTito Livio racconta infatti che nel 187 a.C. ilconsole Caio Flaminio, dopo aver sconfitto iLiguri che vivevano sull’Appennino tosco-emi-liano, ne in otio militem haberet, per non man-tenere inoperosi i soldati, fece costruire dallesue legioni una strada da Bologna ad Arezzo.Strada di cui non s’era più trovata traccia, quasiinutilizzata già in epoca imperiale, per granparte distrutta dagli uomini e dagli eventi natu-rali – ventidue secoli lasciano il segno – rico-perta, dove s’era conservata, dalla millenariasedimentazione di terriccio e fogliame. Perchéproprio in mezzo alle faggete del crinaleappenninico i due archeologi dilettanti, scavan-do con tenacia montanara, a volte anche a unmetro di profondità, l’hanno riportata alla lucee alla storia, attribuendole il nome di FlaminiaMilitare sia per ricordare il nome del consolecostruttore, sia per ricordare gli scopi strategicidella sua costruzione.Che sui nostri monti esistesse anticamente unastrada romana si favoleggiava da sempre nellacultura orale contadina e qualche visionario, irri-so dai più, affermava d’averne scorto tracce quae là, e magari l’andava cercando come in sogno.Io stesso, in cammino fra i boschi verso la Futaassieme ad amici naturalisti, incontrando sassisquadrati lungo il percorso, più volte col bastoneli ho indicati come romani, ed erano risate.

Rammento dunque con emozione il giorno del-l’estate del 1979, era forse agosto, quando unostralunato spilungone e un robusto montanarocomparvero in piazza a San Benedetto, dovenoi sfaccendati si godeva il fresco in chiacchie-re sotto i portici del Bar Sport. Allora – sonpassati trent’anni – nella nostra montagna ci siconosceva tutti, perché ci s’incontrava allefeste dei borghi, alle fiere, alle veglie e di cia-scuno si sapeva il nome dei genitori, dei nonni,dove abitava, cosa faceva. Riconoscemmo quindi i due quantunque fos-sero di Castel dell’Alpi. Uno era l’avvocatoAgostini, che una strana coincidenza di even-ti ha voluto idealmente unire all’opera delpadre ingegnere: il figlio ha riportato alla lucel’ultima strada carrozzabile transappenninicaprima della caduta dell’Impero romano, e ilpadre nel 1930, su quelle stesse montagne, haprogettato e costruito la prima strada carroz-zabile moderna che ha collegato Monghidorocon la stazione F.S. di San Benedetto Val diSambro. L’altro, un Santi della Cà, rinomatoscultore-scalpellino, abilissimo nella lavora-zione della pietra arenaria e dotato di partico-lare esperienza nella tecnica di costruzionedelle strade selciate, spesso da lui stessocostruite. Piuttosto ci chiedevamo cosa maivenissero a fare qui a quell’ora del giorno. Idue s’avvicinarono al portico e senza rivolger-si a qualcuno in particolare annunciarono d’a-ver scoperto sul monte Bastione la stradaromana. Un attimo di sbalordimento, poi bal-zammo tutti dalle sedie e: “Andiamo a veder-la!”. Fu un correre alle moto e alle macchine,mentre Cesare e Franco risalivano sulla loro es’avviavano a farci da guida.

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PREFAZIONEdi Adriano Simoncini

Due montanari tenaci e di buon senso

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La fila di automezzi s’arrestò poco sotto lacima del Bastione, dove la carreggiabile termi-nava e a piedi, con davanti sempre i novelliarcheologi, salimmo in uno stato di esaltazione– almeno io: era una leggenda secolare cheincredibilmente s’avverava – salimmo fino alvalico e poco sotto piegammo a sinistra. Uncentinaio di passi dentro la faggeta ed ecco iprimi sassi, poi – meraviglia! – un tratto dilastricato perfettamente conservato, da non cre-dere…. A caldo, sul posto, Cesare e Franco ciriassunsero in breve la vicenda del ritrovamen-to, di come da qualche anno, spinti dal fatto cheFranco aveva trovato una moneta romana nellafessura di una cava d’arenaria dove lavorava,s’erano messi a cercare la strada di cui avevanoparlato più volte i loro nonni. Scavavano dinascosto qua e là nella faggeta, per evitaresbeffeggi e complicazioni, e anche perché nes-suno li avrebbe presi sul serio. Poi Cesare tras-se dalla tasca un metro, ne diede un capo aFranco e misurarono la larghezza del selciato

ottenendo la fatidica misura di circa m. 2,40,corrispondente ai canonici otto piedi romani.Cominciò così il pellegrinaggio di paesani evilleggianti, affascinati e increduli, accompa-gnati sul posto dagli infaticabili scopritori, iquali continuarono a scavare per anni, poco piùche solitari, rinvenendo altri tratti basolati sem-pre allineati sulla direttrice Bologna-Fiesole esempre della costante larghezza romana di ottopiedi. A scavare e a studiare – credo sianodiventati fra i più preparati conoscitori dellaviabilità antica – perché l’opposizione di alcu-ni studiosi bolognesi si fece dura: la cosiddettaFlaminia minor (da loro così chiamata) dovevapassare altrove, nella valle dell’Idice, testimo-niandolo antichi toponimi (ma non se n’è anco-ra trovata traccia): a detta di quegli studiosi ireperti di m. Bastione avevano altra origine,molto probabilmente medievale!Dal quel lontano 1979, coinvolto come tantinell’emozionante percorso della ricerca, conCesare e Franco siamo diventati cari amici, emi vanto d’esserlo (fra l’altro, da ex-insegnan-te, continuo a guidare alla Futa classi di ragaz-zi eccitatissimi, muniti del fatidico metro, diimmancabili macchine fotografiche a immorta-larsi sulla strada romana e addirittura di scopeper liberare il basolato dal leggero manto difoglie con cui l’autunno lo protegge). Ho voluto ricordare quell’episodio, all’appa-renza di rilevanza poco più che paesana, quasiun burlesco confronto fra amici, perché grazieal caparbio impegno di due sconosciuti monta-nari, assolutamente ignari di topografia antica,data da allora la rinnovata conoscenza di unastrada romana rimasta fino a quel giorno sol-tanto in una pagina di Tito Livio. Oggi, trascor-si trentatré anni, il cerchio si chiude. Dopo l’at-tesa pubblicazione del loro primo libro, Lastrada Bologna-Fiesole del II secolo a.C.(Flaminia Militare), summa di due decenni dilavoro con piccone, badile e migliaia di paginecompulsate, ecco dunque l’ultima fatica, que-sto sontuoso volume, coinvolgente per la storiache racconta e bello per le fotografie che l’ac-compagnano, patrocinato dal Gruppo di StudiSavena Setta Sambro, il quale si onora d’esse-re stato scelto a farlo, nella convinzione che inostri hanno ben meritato la stima e la ricono-scenza delle comunità montanare cui il Gruppo

Monte Bastione (25 agosto 1979): Franco Santi eCesare Agostini sul luogo del primo rinvenimento altermine della giornata di scavo.

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intende dar voce con le proprie pubblicazioni.Il libro, se letto senza pregiudizi di parte, dirime-rà una volta per tutte e definitivamente l’ancora,da qualcuno, controversa questione, conferman-do che la strada del monte Bastione è statacostruita in età romana repubblicana. Perchéamicus Plato sed magis amica veritas. In quantocondirettore della rivista Savena Setta Sambro,infatti, visiono le tesi di laurea che partecipano alconcorso bandito annualmente dal nostroGruppo di Studi e continuo a leggere, nelle tesid’argomento storico-geografico, che la cosiddet-ta Flaminia minor percorreva la valle dell’Idice.Qualche altro laureato si destreggia scrivendoche le strade transappenniniche romane eranodue, di cui una lungo la valle del Savena. Questoperché in ambiente accademico gli allievi seguo-no i maestri, mentre Agostini e Santi non hannovoce per sostenervi la loro opinione.

Non intendo qui entrare nel merito dell’argo-mento, altri lo hanno fatto di maggiore autorità emeno coinvolti emotivamente. Sottolineo soltan-to l’evidenza disarmante delle prove addotte dainostri per dimostrare la veridicità inconfutabiledella propria scoperta archeologica. In propositosi vedano le “dieci argomentazioni” che eviden-ziano le contraddizioni in cui cadono gli opposi-tori e a cui si rimanda. In particolare il paragra-fo terzo 3b, titolato “Il tracciato della FlaminiaMinore percorre una dorsale particolarmenteinstabile ed attraversa inutilmente corsi d’ac-qua”, ricorda ai dimentichi che la ricerca sulcampo deve inverare qualsiasi ipotesi, comeCesare e Franco hanno fatto instancabilmenteper decenni.

Adriano SimonciniCondirettore della rivista Savena Setta Sambro

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(1) TITO LIVIO: Storia di Roma, libro XXXIX, par. 2.(2) L’Itinerarium Antonini e la Tabula Peutingeriana. L’Itinerarium Antonini, compilato all’inizio del III secolo d.C.,

indicava le più importanti città sulle strade consolari e le relative distanze. La Tabula Peutingeriana è un documen-to in pergamena lungo m 6,8 risalente al XII-XIII secolo, copia di un’antica carta geografica a colori redatta circanel 340 -360 d.C. raffigurante la geografia, le strade, le distanze, i toponimi dell’Impero romano. Prende il nomedall’umanista tedesco Konrad Peutinger che l’ha pubblicata nel 1511.

(3) GIOVANNI UGGERI: Metodologia della ricostruzione della viabilità romana, in “Rivista di topografia antica, JAT”IV, 1994, pagg. 91-100. Il professor Giovanni Uggeri è titolare di cattedra di Topografia Antica all’Università “LaSapienza” di Roma.

Come noto Tito Livio è l’unica fonte storicache ricorda la costruzione, nel 187 a.C., dellastrada transappenninica Bologna – Arezzo adopera del console Caio Flaminio1. Prima edopo di lui, non si trova alcun cenno nella sto-riografia romana di epoca repubblicana, o diepoca imperiale né in epoca medievale, sullacostruzione di questa importante strada né tan-tomeno la indicazione del suo percorso. Se si tiene conto degli avvenimenti bellici diquegli anni, che hanno indotto Roma a costrui-re questa strada (contemporaneamente alla viaEmilia), è verosimile supporre che essa sia nataper prevalenti intenti strategici, sia come colle-gamento diretto per raggiungere rapidamenteBologna da Roma, sia come strada militare dicontrollo delle non ancora domate popolazioneliguri appenniniche.Nei secoli successivi, cessate le esigenze mili-tari, questa strada perse verosimilmente impor-tanza ed andò progressivamente decadendocome altre strade, tanto da non essere indicatanegli itinerari di epoca imperiale2.Questa evoluzione delle vie consolari èdescritta con efficacia da Giovanni Uggeri inun suo saggio del 1994: “Le grandi vie uffi-ciali dello stato romano, poi dette consolari,nascono di norma per una pregnante motiva-

zione strategica, come rapido ed efficacecollegamento tra Roma e i caposaldi militaridel momento e le teste di ponte più avanzate,al fine di assicurare gli spostamenti dell’e-sercito ed i rifornimenti dalle retrovie. Perciòè possibile tracciarne una specie di strati-grafia orizzontale, legata alla progressivaespansione della politica imperialistica diRoma, per cui alcune scadono a funzionelocale ed altre si protendono verso nuoveconquiste. In età repubblicana le vie sonospesso anche assi di arroccamento lungodirettrici che fronteggiano regioni riottose enon definitivamente sottomesse…Allontanandosi in seguito il fronte delle opera-zioni, le vie finiscono per assumere altre fun-zioni e caratteri, specialmente come tramitepolitico, economico, culturale, artistico e perfi-no linguistico … Con il tardo impero, invece,la situazione finirà per rovesciarsi e quelli cheerano stati i valori positivi dell’arteria strada-le, come la facilità di spostamenti e di traffici,vengono invece avvertiti come negativi per ilsubentrare di nuove circostanze. La stradaavvicina minacce di rapide invasioni e pericolid’ogni genere, per cui viene persino intenzio-nalmente distrutta, trasformandola in unacava,…” 3.

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INTRODUZIONE

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(4) GAETANO LORENZO MONTI: De viis publicis ac militaribus romanorum tempore per agrum bononiensem duc-tis pubblicato nel “Giornale ligustico”, Bologna 1828, pag. 655.

(5) G.L. MONTI 1828, pag. 665; DANIELE STERPOS: Comunicazioni stradali attraverso i tempi. BOLOGNA-FIREN-ZE, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1961; MARIO LOPES PEGNA: Le strade romane del Valdarno,“Quaderni di Studi storici toscani IV”, Firenze 1971, pag. 37; NEREO ALFIERI: Alla ricerca della via Flaminia«Minore», in “Atti dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. Classe di Scienze Morali, Rendiconti”LXIV, 1975-1976, pagg. 51-67; GIOVANNI UGGERI, La via Flaminia “ Minor” in Etruria, in Studi di antichità inonore di Guglielmo Maetzke, Roma 1984, pagg. 577-593.

(6) MARCO TULLIO CICERONE: Filippiche XII, 9; per dettagliate notizie di questo discorso vedasi il capitolo IX,par. 5° di questo libro.

Aggiungasi poi che i Romani non hannomai ricordato questa strada con il nome diFlaminio. Di tale oblio propone una spiegazione GaetanoLorenzo Monti il quale, in un sermone pubbli-cato nel 1828 scrive: “… Ma tuttavia sembrache non sia rimasta la memoria ed il nome del-l’autore od a causa della magnanimità diFlaminio od anche, come credo, per questacausa, cioè che, essendo stata condotta inseguito da Roma fino ad Arezzo e poi fino aFiesole ed a Firenze la via Cassia, la maggiorparte di questa seconda via, fatta da Flaminioattraverso l’Appennino o si unì alla Cassia o fucostruita del tutto inutilmente …” 4.Il decadimento della strada ed il totale silenzionella storiografia protrattosi poi 2000 anni, sonostati motivo di discussione fra gli studiosi, chedalla fine del XVIII secolo si sono dedicati allasua ricerca. Nel corso di quasi due secoli sonostati proposti molteplici tracciati che, seguendovalli o dorsali diretti in Toscana, potevano averevalicato l’Appennino in luoghi diversi.Comunque questi itinerari non si basavano suindizi decisivi, mancando le prove archeologi-che della strada.Finché alla fine degli anni settanta, facendo ricer-che sulla dorsale fra i torrenti Savena e Setta-Sambro, abbiamo portato alla luce numerosi trat-ti di basolato a nostro avviso romano, individuan-do il percorso di questa strada da Bologna alpasso della Futa ed oltre, fino al fiume Sieve(Comune di Barberino del Mugello).Ad essa abbiamo attribuito l’appellativo di“Flaminia Militare”, allo scopo di distinguerladalla Flaminia Roma – Rimini, costruita dalpadre censore Gaio Flaminio nel 220 a.C. edanche al fine di identificare meglio nei nostri

scritti il tratto compreso fra Bologna e Arezzo. Altri studiosi che si sono dedicati alla sua ricer-ca l’hanno denominata in modi diversi. Cosìnel 1828 Gaetano Lorenzo Monti l’ha chiama-ta Flaminia seconda; nel 1961 Daniele Sterposl’ha chiamata Flaminia Minore, nel 1971Mario Lopes Pegna per primo le ha attribuito ilnome di Flaminia Minor e nel 1976 NereoAlfieri ha ripreso Flaminia Minore. Infine nel1984 Giovanni Uggeri ha preferito il nomeFlaminia Minor 5.Questa attuale attribuzione del nome “Flami-nia” (sia essa Militare o Minore o Minor oSeconda) costituisce comunque un arbitrio sto-rico nostro ed anche degli altri studiosi di topo-grafia antica.Infatti in epoca romana repubblicana, il percor-so da Arezzo a Bologna veniva chiamato“Cassia”; essa in partenza da Roma, arrivavaad Arezzo poi, attraversando l’Etruria centrale,giungeva fino a Bologna toccando Fiesole e,nei secoli successivi, Firenze.Di ciò ne è testimonianza storica indiscussa ilfamoso discorso di Marco Tullio Cicerone,tenuto davanti al Senato il 43 a.C., in occasio-ne del quale ricorda che per raggiungereModena da Roma si potevano seguire tre itine-rari: la via Flaminia dalla parte dell’Adriatico,la via Aurelia dalla parte del Tirreno e la viaCassia in mezzo, che percorreva l’Etruria cen-trale: “Tres viae sunt ad Mutinam … a superomari Flaminia, ab infero Aurelia, mediaCassia” 6.Ed il nome “Cassia” si è mantenuto anche nelII sec. d.C. quando è stata chiamata “CassiaVetus” dopo la costruzione della Cassia nuovatra Chiusi e Firenze, nel 123 d. C. ad opera del-l’Imperatore Adriano.

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(7) CESARE AGOSTINI – FRANCO SANTI: La strada Bologna-Fiesole del II secolo a.C. (Flaminia Militare). Storiae testimonianze archeologiche di una ricerca sull’Appennino tosco-emiliano, Editrice CLUEB, Bologna, 2000.Questo libro è esaurito, ma è leggibile e scaricabile nei siti internet: www.flaminiamilitare.it, in lingua italiana.www.flaminiamilitare.com, in lingua inglese.

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Le nostre ricerche ed i nostri studi, dal 1979 al1999, sono stati raccolti in un libro da noi pub-blicato nell’anno 2000 7.In quelle pagine abbiamo esaurientementedocumentato con reperti archeologici, fotogra-fie, precise cartografie, ed attendibili fonti sto-riche il tracciato di questa strada romana daBologna, fino al ponte di Colombaiotto sulfiume Sieve in località Bilancino (Comune diBarberino del Mugello).

I TEMI TRATTATI

Dopo il 2000 abbiamo proseguito le ricerchefino ad Arezzo ed i risultati da noi raggiunti sonoora raccolti in questo libro (cap. V) unitamentead una brevissima sintesi dei nostri studi prece-dentemente pubblicati (cap. IV) per offrire al let-tore un quadro completo dell’intero percorso daBologna ad Arezzo. Prima di documentare questinuovi studi abbiamo ricordato brevemente lafonte storica (cap. I) e le ipotesi fatte negli ultimidue secoli sullo sconosciuto tracciato di questastrada nel versante emiliano (cap. II).Poi, prima di documentare nel dettaglio lenostre recenti ricerche, abbiamo ritenuto indi-spensabile affrontare il problema della indivi-

duazione della probabile viabilità transappen-ninica pre-romana tra Felsina e Fiesole, ricor-dando anche le opinioni dei più autorevoli stu-diosi di topografia antica (cap. III).Nel capitolo VI, dopo avere dimostrato l’a-scendenza romana dei basolati da noi riporta-ti alla luce, avvalorata dai concordi consensidi studiosi della materia, abbiamo illustrato irisultati di una approfondita indagine storicache costituisce un utile corollario per cono-scere la progressiva decadenza, nel trattoappenninico, di questa strada romana; poi nelcap. VII abbiamo fatto la cronologia della uti-lizzazione in toto od in parte del suo tracciatocome mulattiera per le comunicazioni traBologna e Firenze.Prima di terminare questo nostro studio sullaFlaminia Militare abbiamo ripercorso a piedi ilsuo tracciato da Bologna al passo della Futa(cap. VIII), descrivendo i luoghi come sonooggi ed ascoltando le antiche memorie che lecime della dorsale tra Savena e Setta-Sambro ciraccontano con i loro nomi e con le loro testi-monianze archeologiche.Infine, in Appendice (cap. IX) abbiamo docu-mentato la inattendibilità dell’immaginariotracciato alternativo sulla dorsale fra il fiumeIdice ed il torrente Sillaro proposto da NereoAlfieri (c.d. Flaminia Minore).

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Par. 2 … “C. Flaminius consul, cumFriniatibus Liguribus in agro eorum pluribusproeliis secundis factis, in deditionem gentemaccepit et arma ademit... Translatum deinde adApuanos Ligures bellum, qui in agro PisanumBononiensemque ita incursaverant, ut coli nonpossent. His quoque perdomitis consul pacemdedit finitimis. Et quia a bello quieta ut essetprovincia effecerat, ne in otio militem haberet,viam a Bononia perduxit Arretium.

M. Aemilius alter consul agros Ligurum vicos-que qui in campis aut vallibus erant, ipsis mon-tes duos Ballistam Suismontiumque tenentibus,deussit depopulatusque est ... PacatisLiguribus exercitum in agrum Gallicum duxit,viamque a Placentia, ut Flaminiae committe-ret, Ariminum perduxit”

Par. 2 … “Il console Caio Flaminio, dopomolti scontri vittoriosi con i Liguri Friniati pro-prio all’interno del loro territorio, accolse laresa di questo popolo esigendo la consegnadelle armi … In seguito la guerra fu rivoltacontro i Liguri Apuani i quali avevano compiu-to una devastazione tale nelle campagne Pisanee Bolognesi da rendere impossibile la coltura.Assoggettati anche questi, il console conclusela pace con le popolazioni limitrofe. E poichéogni preoccupazione di guerra era ormai ban-dita da tutta la provincia, per non lasciare inozio i soldati, fece costruire una strada daBologna ad Arezzo.

L’altro console M. Emilio saccheggiò e diedealle fiamme il territorio dei Liguri, i loro vil-laggi che erano nelle campagne e nelle vallate,i cui abitanti si erano portati su due montagneBalestra e Suismonzio … Pacificati i Liguri,Emilio condusse l’esercito nel territorio deiGalli e vi fece costruire la strada da Piacenza aRimini per unirla con la via Flaminia”.

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CAPITOLO I

LA FONTE STORICA

1 – Il racconto di Tito Livio

STORIA DI ROMALIBRO XXXIX

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(1) T. LIVIO: libro XXXVIII, par. 42.(2) Dal racconto di Livio è intuibile che ci sia stata questa ricongiunzione sul territorio bolognese: infatti Flaminio ha

iniziato la costruzione della strada partendo da Bologna e, per quanto riguarda M. Emilio Lepido, Livio diceespressamente che è tornato nel paese dei Galli: “Pacatis Liguribus exercitum in agrum Gallicum duxit …”.

(3) T. LIVIO: libro XXXIX, par. 2: “… ne in otio militem haberet viam a Bononia perduxit Arretium”.(4) STRABONE: Geografia, libro V, par. 11: “ … Marco Emilio Lepido e Gaio Flaminio furono infatti colleghi di

consolato. Dopo avere debellato i Liguri, il secondo costruì la via Flaminia da Roma, attraverso la Tirrenia el’Umbria, fino ai dintorni di Ariminum…”.

2 – La guerra contro i Ligurisull’Appennino tosco-emiliano

Il 18 febbraio 187 a.C., nei “comitia” a Romasono stati eletti consoli Marco Emilio Lepido eCaio Flaminio. Livio, a tal proposito, racconta:“…girava voce che nel territorio dei Liguridivampasse un ampio conflitto che, anzi, anda-va estendendosi di giorno in giorno. Per que-sto, ad entrambi i consoli neoeletti, nel giornoin cui avvenne la discussione sulle sfere dicompetenza e sullo stato della Repubblica, ilSenato assegnò la terra ligure come zona dioperazioni; a questo senatoconsulto fece oppo-sizione il console Lepido, il quale sostenevache era indegno di Roma che entrambi i conso-li andassero a rintanarsi nelle vallate liguri…Udite queste lamentele il Senato rimase fermonella propria decisione: il territorio dei Ligurisarebbe stata la zona di operazioni di entrambii consoli…”1.Il malcontento di M. Emilio Lepido derivavadal solito disprezzo verso le popolazioni liguriselvagge, non meritevoli di tale impegno, per-ché praticavano una infida e spregevole guer-riglia che non avrebbe dato gloria ai vinci-tori. I Romani, nel passato, avevano consi-derato le lotte coi Liguri come operazioni dipolizia territoriale, nella convinzione, dimo-stratasi errata, di poter liquidare quando e comevolevano questi fastidiosi montanari.Così si giunse al 187 a.C., dopo una decinad’anni di scontri, senza che i Liguri fosserostati definitivamente vinti, per la mancanza daparte di Roma di una strategia vera e propria diconquista dei territori appenninici e di un pianomilitare organico.Il Senato aveva però capito l’errore e si era reso

conto che il controllo dell’Appennino tosco-emiliano-ligure era fondamentale per la sicu-rezza della regione Padana, dell’Etruria setten-trionale, della Lunigiana e delle coste liguri.Ulteriore campanello d’allarme era arrivato,poi, con la notizia che sulle campagne pisane esu quelle bolognesi, appena colonizzate, sta-vano avvenendo scorrerie dei Liguri Apuanicon devastazione delle colture. Quindi nel 187a.C., nonostante l’opposizione di M. EmilioLepido, il Senato non esitò ad assegnare adentrambi i consoli, come unica zona di opera-zione, la Liguria e, più precisamente, i territoriappenninici compresi fra Pisa e Bologna.

3 – Caio Flaminio costruisce lastrada transappenninica daBologna ad Arezzo

Il console C. Flaminio sconfisse i LiguriFriniati sull’Appennino modenese, e M. EmilioLepido i Liguri Apuani al di là dell’Appennino;pacificato il territorio, ritornò a Bologna ove siricongiunse con le legioni di C. Flaminio anchelui tornato a Bologna2. A questo punto Livioaggiunge:“… E poiché ogni preoccupazione diguerra era ormai bandita da tutta la provincia,per non lasciare in ozio i soldati, fece costrui-re una strada da Bologna ad Arezzo”3.Questa è l’unica citazione relativa alla costru-zione della strada Bologna-Arezzo in tutta l’an-nalistica latina. Tale scarna menzione ha indot-to in errore, fin da quei tempi, lo storicoStrabone (nato in Grecia nel 64 a.C. e vissuto aRoma all’epoca di Augusto4), che non solo l’haignorata, ma, confondendo il padre GaioFlaminio con il figlio Caio Flaminio, attribuì al

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(5) Ludovico Savioli è nato nel 1729 e morto nel 1804.(6) LUDOVICO SAVIOLI: Annali bolognesi, Vol. I Parte I, Bassano 1784, pag. 18: “Resta dunque a pronunziarsi che

Strabone errasse in quanto non convenne con Livio. E so bene essere revocata in dubbio dai difensori di Strabonela via da Bologna ad Arezzo accennata da Livio, ma una via per la quale potessero i Romani comunicare breve-mente dall’Etruria col bolognese per mezzo ai vinti Apuani era pressoché necessaria”.

(7) I lavori sono stati comunque impegnativi nonostante che Flaminio, molto probabilmente, abbia soltanto miglioratoo pavimentato in alcuni tratti ed allargato una strada già esistente da antichissimi tempi.

(8) T. LIVIO: libro XXXIX, par. 20. Le “inchieste” riguardavano i Baccanali.

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figlio la costruzione della strada Flaminia fraRoma e Rimini, realizzata invece nel 220 a.C.dal padre Gaio, poi morto nella battaglia delTrasimeno contro Annibale nel 217 a.C..L’evidente errore di Strabone fece sorgere unconflitto fra gli studiosi del XVIII secolo. Lostorico bolognese Ludovico Savioli5, ricordan-do questa contesa, ha ribadito che CaioFlaminio doveva aver costruito una strada dicollegamento dall’Etruria a Bologna, sul terri-torio dei Liguri Apuani appena sconfitti6. In proposito non crediamo che la motivazioneche indusse i Romani alla costruzione dellastrada sia stata l’opportunità di impegnare letruppe in un lavoro duro per sottrarle all’ozio.Era invece una loro cautela costruire stradeattraverso i territori conquistati. Inoltre Livioha ricordato che le scorrerie dei Liguri si ripe-tevano da anni sulle stesse zone e che il Senatoaveva deciso di tenere definitivamente sottocontrollo quelle province ormai colonizzate. È

stata dunque questa primaria esigenza a con-vincere il Senato, a fare costruire la strada. Che la costruzione di una strada transappenni-nica facesse poi parte di un piano strategicoorganico, è dimostrato anche dalla contempo-ranea costruzione della via Emilia da parte diM. Emilio Lepido.Appare altresì doveroso precisare che C.Flaminio può avere soltanto iniziato la costru-zione, perché il tempo a sua disposizione in que-sto primo consolato era proprio assai ridotto.La ricostruzione degli avvenimenti nel 187 a.C.impone questa cronologia:

- febbraio: eletto Console;- marzo-aprile: concentrazione dell’esercito

vicino a Bologna e preparativi bellici;- maggio-agosto: battaglie contro i Friniati;- settembre: rientro a Bologna e periodo di

riposo;- ottobre: inizio lavori di costruzione della

strada;- dicembre: scadenza dell’incarico consolare.

La lunghezza del percorso (180 Km circa) e ledifficoltà logistiche per la costruzione dellastrada sull’Appennino, anche ad alta quota,fanno ritenere che le squadre dei legionari edei prigionieri abbiano lavorato per almenoalcuni anni7.Si ha conferma indiretta di questo impegnopluriennale negli avvenimenti dell’annoseguente. Livio precisa che i due consoli nomi-nati per l’anno 186 a.C., cioè Quinto Marcio eSpurio Postumio: “… presero in consegna l’e-sercito che l’anno precedente era stato agliordini dei consoli Caio Flaminio e MarcoEmilio Lepido; sulla base di un senatoconsultoricevettero disposizioni di arruolare due nuovelegioni… una volta portate a termine le inchie-ste partì per primo Quinto Marcio per raggiun-gere il territorio dei Liguri Apuani”8.L’arruolamento di due nuove legioni è statonecessario per ricostituire le forze dopo le per-dite umane subite nelle guerre condotte da C.Flaminio e M. Emilio Lepido, ma anche proba-bilmente per rimpiazzare i soldati impegnatinella costruzione di quelle due strade appenainiziate. I legionari dovevano infatti dirigere icantieri, onde evitare la fuga dei prigionieriimpiegati nei lavori e, nello stesso tempo,difendere il territorio da eventuali attacchi deiLiguri non ancora completamente debellati.

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(9) T. LIVIO: libro XXXIX, par. 2.

4 – Marco Emilio Lepidocostruisce la strada daPiacenza a Rimini (viaEmilia)

Livio conclude così la descrizione delle guerreromano-liguri dell’anno 187 a.C.: “…pacifica-ta la Liguria [M. Emilio Lepido] condusse l’e-sercito nei paesi dei Galli e vi fece costruire lastrada da Piacenza a Rimini per unirla con lavia Flaminia. Nell’ultimo combattimento svol-to in campo aperto coi Liguri, fece voto di untempietto a Giunone Regina. Questa fu la cam-pagna militare condotta in quell’anno contro iLiguri…”9.Emilio Lepido, dunque, completò la costruzio-ne delle strade sui territori pacificati, collegan-do finalmente l’antica colonia di Piacenza(fondata già nel 218 a.C.) a Rimini; da qui sipoteva raggiungere Roma attraverso laFlaminia già esistente. Veniva così consolidatoil dominio definitivo sulla Gallia Cisalpina.

Se è vero che M. Emilio Lepido scelse il trac-ciato ed iniziò la costruzione di questa grandearteria, ricordata con il suo nome (via Emilia),è altrettanto vero che occorsero molti anni perultimarla, pare fino al 175 a.C.. Del resto, dodi-ci anni appaiono giustificati dalle opere di con-solidamento nei territori paludosi, nonché dallacostruzione dei ponti sui numerosi fiumi e tor-renti che scendono dalla dorsale appenninica.Nel corso dei lavori e proprio su questo asse via-rio, i Romani hanno poi fondato altre colonie:- Parma e Modena (Mutina) fondate nel 183

a.C. furono le prime due colonie di cittadiniromani;

- Reggio Emilia, durante il secondo consolatodi M. Emilio Lepido, dal quale ha preso ilnome (Regium Lepidi).

Poi nel corso del II e I sec. a.C., tanti altri cen-tri urbani sorsero su questa grande arteria eprosperarono tutti per i lucrosi traffici com-merciali: Fidenza (Fidentia), CastelfrancoEmilia (Forum Gallorum), Claterna, Imola(Forum Cornelii), Faenza (Faventia), Forlì(Forum Livii), Cesena (Caesena).

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Sorprende constatare che, dopo la millenariascomparsa della strada di C. Flaminio, di essa edel suo tracciato se ne trovi menzione, ed ancheper caso, solo dalla fine del XVIII secolo.Nessuna preordinata ricerca archeologica eneppure alcuno studio organico specifico èstato fatto dagli storici e dai ricercatori di topo-grafia antica fino agli ultimi decenni del ‘900.In sostanza, prima dei più recenti studi tenden-ti ad individuare il vero tracciato della“Bononia – Arretium”, le ipotesi si limitavanosostanzialmente a tre direttrici.

IPOTESI A: Lungo la valle delfiume Reno

Partendo da Bologna questa strada si sarebbeinoltrata nella valle del Reno e, valicando ilpasso della Collina avrebbe toccato il territoriodi Pistoia, Firenze o Fiesole per poi raggiunge-re Arezzo. Questo itinerario è stato ipotizzatoda G. A. Mansuelli il quale a proposito del“miliario” di Marco Emilio Lepido ritrovato aBorgo Panigale, sul quale è indicata la distanzadi 286 miglia da Roma, scrive: “… a mio avvi-so è molto più probabile che la distanza siacalcolata in base alla via Bononia – Arretium,costruita da Flaminio contemporaneamente

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CAPITOLO II

STUDI ED IPOTESI NEGLI ULTIMI DUE SECOLISUL TRACCIATO TRANSAPPENNINICO

NEL VERSANTE EMILIANO

Foto n° 1Schizzo planimetrico tratto dal saggio di G. AchilleMansuelli: “LA RETE STRADALE E I CIPPI MIL-LIARI DELLA REGIONE OTTAVA” Presso la R.Deputazione di Storia Patria, Bologna, 1942 – XX,pag. 49.

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all’Emilia. Questa via rappresentava la comu-nicazione più diretta fra la regione emilianaoccidentale e Roma, e per essa, quindi, dove-vano, a preferenza, svolgersi i traffici appuntoverso l’Urbe, evitandosi l’inutile diversioneper Ariminum.”1.Precisa poi nella nota 19: “È lecito pensareche i Romani si siano da principio servitidella via per la valle del Reno, che metteappunto a Pistoia, come più facile, e già dasecoli impiegata per le comunicazioni fral’Etruria e la valle del Po”2. Illustra quindiil presunto percorso della strada allegandouno schizzo planimetrico ove indica due trac-ciati transappenninici: uno appunto lungo lavalle del Reno, verso Pistoia che ritiene esse-re la “Bononia – Arretium” di C. Flaminio, el’altro, sulla dorsale alla sinistra del torrenteSavena attraverso il passo della Futa, percor-so, secondo Mansuelli, dopo la fondazione diFirenze3. Anche D. Sterpos nella sua documentata pub-blicazione del 1961 scriveva: “… È chiaro cheil console Flaminio non poteva costruire exnovo una via così lunga attraverso la catenaappenninica nel poco tempo rimastogli dopola campagna contro i Liguri, e che egli si limi-tò a raccordare e restaurare strade preesisten-ti; di qui la supposizione che il tracciato della“Flaminia minore” si sia sviluppato, attraver-so Marzabotto, Porretta e Pistoia seguendo lavia lungamente usata per i contatti fra Felsinae le città dell’Etruria vera e propria, compre-sa Arezzo.… potremmo senz’altro indicare inessa la via dei primi collegamenti fra le duecittà. Allo stato presente delle ricerche tutto

questo ha però solo valore di ipotesi”4.Questa sua prudente opinione è stata poiriconsiderata dallo stesso Sterpos nei decennisuccessivi e resa nota in occasione di una suarelazione presentata a Borgo S. Lorenzo nel1981: “… La mia ipotesi è quella che la stra-da romana, cioè la Flaminia Minore, scendes-se lungo il Tavaiano alla Sieve e l’incontrassepresso a poco nella zona del Bilancino. Per ilseguito dobbiamo fare i conti con una sugge-stiva ricostruzione di Mario Lopes Pegna….Lopes Pegna dice che la strada costeggiava laSieve fino a Dicomano e Londa e di qui pas-sava attraverso la Colla di Caspriano nelCasentino dove seguiva il corso dell’Arno,discendente verso Arezzo. Quando scrissi ilvolume Bologna – Firenze credevo anch’io aquesta ipotesi, ma ora non mi sentirei più disottoscriverla perché non tiene in debito contola presenza di Fiesole … io sono portato acredere che, una volta entrato in Mugello,Flaminio abbia guardato a Fiesole. Egli puòavere passato la Sieve nei pressi del Bilancinodove c’erano probabilmente due sponde con-sistenti, evitando una zona più ad est, forsepaludosa; quindi essere salito verso S.Giovanni in Petroio e a Spugnole, poi scesoverso Tagliaferro…”5. Dobbiamo osservareche lo Sterpos nel descrivere questo tracciatosi è dimostrato non solo rigorosamente logicoin rapporto alla orografia del territorio e conla riconosciuta importanza di Fiesole, maaddirittura preveggente nell’ipotizzare l’attra-versamento del fiume Sieve proprio dovedieci anni dopo è stato rinvenuto il ponte diColombaiotto in località Bilancino.

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(1) GUIDO ACHILLE MANSUELLI: La rete stradale ed i cippi milliari della regione ottava, in “Atti e memoriedella Regia Deputazione di Storia Patria per l’Emilia e la Romagna”, vol. VII, Bologna 1941-1942, pag. 36 e nota19.

(2) G. A. MANSUELLI 1941-1942, pag. 41.(3) Noi, invece, riteniamo che la prima transappenninica romana sia passata dal valico della Futa nel 187 a.C. e cioè

ben prima della fondazione di Firenze.(4) DANIELE STERPOS: Comunicazioni stradali attraverso i tempi: BOLOGNA-FIRENZE, Istituto Geografico De

Agostini, Novara 1961, pag. 11.(5) DANIELE STERPOS: La viabilità romana e la prima storia del Mugello, Centro documentazione storico-territo-

riale del Mugello. Pubblicazione patrocinata dall’Assessorato alla Cultura della Provincia di Firenze e delComune di Borgo S. Lorenzo, 1981, pag. 4.

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IPOTESI B: Lungo la dorsale trai torrenti Savena e Setta-Sambro

Come già accennato, dopo la citazione di T.Livio, nessuno scrittore latino, o medievale, haricordato il tracciato di questa strada e tantomeno attribuendolo all’opera di C. Flaminio. Ilsilenzio è stato infranto soltanto alla fine delXVIII secolo dallo storico bolognese L. Savioli6

il quale ricorda che la strada costruita daFlaminio diretta in Etruria passava da Brento,località ben nota ed ancora esistente sulla dor-sale, alla sinistra del torrente Savena, che sale

da Bologna e prosegue fino al passo della Futa.Il Savioli lo ricorda citando Brento come unadelle quattordici sedi vescovili dipendenti daRavenna: “Quanto a Brento la ricordò il soloAgnello nel suo libro Pontificale7 e la inclusefra le quattordici [Diocesi] Brento sulla suafede fu una città non lontana a “BononiensiUrbe”; oggi è un piccolo borgo fra Pianoro eMonzone al di là da Savena8, posto sull’anticavia militare che accennammo alla nota “S”della prima Sezione. In tale nota il Savioli,ricordando la discussione fra gli storici a luicontemporanei, sull’errore di Strabone esprimela sua opinione: “... E so ben essere revocata in

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(6) L. SAVIOLI: Annali bolognesi, Vol. I, Parte I, pag. 59 (sez. III) e nota “S”, pag. 17 e ss. (sez. I), Bassano 1784 (7) MARIO PIERPAOLI: Il libro di Agnello Istorico – Le vicende di Ravenna antica fra storia e realtà, Diamont

Byte Società editrice, Ravenna 1988, pag. 65. Pierpaoli ha curato una versione completa, arricchita di note, deldifficile testo latino “Liber Pontificalis” scritto dal sacerdote Andrea Agnello nella prima metà del secolo IX.

(8) All’epoca del Savioli la strada transappenninica più frequentata si snodava alla destra del torrente Savena (oveoggi passa la strada statale n° 65 da Pianoro – Loiano – Monghidoro). E quindi era intuitivo per lui vedere Brento“al di là del Savena” cioè sulla dorsale alla sinistra del torrente.

Foto n° 2Prospettiva dei crinali appenninici sul versante bolognese. In verde è segnato l’itinerario di cresta seguito dagliEtruschi da Felsina al passo della Futa.

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dubbio dai difensori di Strabone la via daBologna ad Arezzo accennata da Livio. Ma unavia per la quale potessero i Romani comunicarbrevemente dall’Etruria col Bolognese permezzo ai vinti Apuani era presso che necessa-ria”9. Un altro storico bolognese, l’abateSerafino Calindri, descrivendo le località del-l’Appennino bolognese, site sulla dorsale allasinistra del torrente Savena, ha più volte ricor-dato il passaggio di una antichissima strada cheda Bologna conduceva in Toscana. Così è statoper Brento che ricorda distrutta nel 439 d. C.:“… da qualcuno dei Barbari che la Italia inon-darono ed il quale dall’Emilia passando inToscana, passar dovette per Brento come luogodi passo in mezzo alla via antichissima di giàaccennata e conducente pe’ monti da Bologna

in Toscana10”. Descrivendo Monzuno richiamail ricordo del transito della strada antichissima:“Passava per questo luogo una strada che con-duceva in Toscana, che vi conduce tuttavia intempo di estate, e che all’articolo Brento avver-timmo esservi passata da remotissimi secoli”11.Ed ancora parlando della località di Cedrecchia,sempre sullo stesso dorsale in direzione sud,cita ancora questa antichissima strada12 cosìcome descrivendo il m. Bastione sul confinetosco-emiliano13. Un altro studioso dell’Otto-cento ha affrontato il problema esprimendo lasua opinione con un articolato e motivato ser-mone sul “Giornale Ligustico” del 1828. Si trat-ta di Gaetano Lorenzo Monti che scrive in lati-no così testualmente tradotto: “… Dove pertan-to si deve credere che, una volta, sedata la

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(9) STRABONE: Geografia, libro V, par. 11.(10) SERAFINO CALINDRI: Dizionario corografico, georgico, orittologico, storico ec.ec.ec, della Italia, I, Bologna

1781, pag. 382, Ristampa anastatica, Arnaldo Forni Editore, Bologna, 1972.(11) S. CALINDRI: op.cit., IV, 1782, pag. 138.(12) S. CALINDRI: op.cit., II, 1781, pag. 285.(13) S. CALINDRI: op.cit., I, 1781, pag. 236.

Foto n° 3Il profilo della pianeggiante dorsale alla sinistra del Savena sulla quale si snoda la Flaminia Militare da m.Venere verso Madonna dei Fornelli vista dalla strada statale n° 65 della Futa nei pressi di Loiano. All’orizzontesi intravede il Corno Alle Scale innevato.

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guerra, sia stata migliorata questa strada daquesto Flaminio il minore? Senz’altro nella suaprovincia come era usanza che fosse fatto nellealtre province dai loro Prefetti. Pertanto nellaprovincia di Flaminio, la Liguria appenninica,era compresa in massima parte una strada cheLivio dice essere stata tracciata da Bolognafino ad Arezzo. Infatti i Liguri, e soprattutto iMugelli, dai quali prende il nome la vallemugellana, occupavano una regione montanache si estendeva tra la Gallia Cisalpina el’Etruria fino al territorio degli abitanti diArezzo. Pertanto si deve pensare che la stradache attraversa la valle mugellana, non superan-do i confini della Provincia, sia stata opera delconsole Flaminio”14. Anche lo storico bologne-se Arturo Palmieri15 ha ribadito l’esistenza diuna strada romana su questa dorsale senza,peraltro, documentare con prove archeologicheo notizie storiche il proprio convincimento.

IPOTESI C: Attraversamentodell’Appennino tosco-romagnolodalla via Emilia al Casentinofino ad Arezzo

Alcuni storici hanno accennato soltanto inciden-talmente che C. Flaminio possa avere raggiuntoArezzo attraversando l’Appennino tosco-roma-gnolo, probabilmente valicando il passo delMuraglione e portandosi poi nel Casentino. Untale itinerario presuppone che sia partito dallavia Emilia vicino a Forlì ed abbia seguito la valledel Montone. Il Gamurrini16 ha ventilato l’ipote-si che Flaminio sia giunto ad Arezzo percorren-

do il Casentino dopo avere attraversato un vali-co tosco – romagnolo. Ed ugualmente nel seco-lo XIX Bartolomeo Borghesi17. Sono questeipotesi del tutto accademiche che non hannoalcun riscontro sul territorio ed ignorano com-pletamente il racconto di Livio secondo il qualeC. Flaminio era partito da Bologna. Ciò escludeuna partenza da Forlì o da Faenza.Infine citiamo lo storico contemporaneoAntonio Bacci il quale nella relazione tenuta alConvegno di Firenzuola – S. Benedetto Val diSambro del sett.-ott. 198918 ha dichiarato: “Inun primo tempo anch’io avevo pensato che lavia casentinese (per Bagno di Romagna), fossela strada costruita da Flaminio, seguendo in ciòil Gamurrini, e suggestionato dagli AnnalesStadenses; ma ora sono costretto, per motivisopraddetti, a correggere tale opinione. Permotivi analoghi sono da escludere gli itinerari(reali) che conducono a Forlì (per il passo dellaCalla) o Faenza”19.

IPOTESI D: Lungo la dorsaletra il fiume Idice ed il torrenteSillaro

Nessuno storico, topografo od archeologo deisecc. XVIII, XIX e XX ha pensato che C.Flaminio abbia calcato questa dorsale partendoda Claterna per dirigersi ad Arezzo valicando ilpasso della Raticosa. Soltanto nel 1976, comenovità assoluta, N. Alfieri ha prospettato l’ipo-tesi che il console romano abbia seguito talepercorso, pubblicando sull’argomento uno stu-dio20 che commentiamo in Appendice.

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(14) G. L. MONTI 1828, pag. 664.(15) ARTURO PALMIERI: La montagna bolognese nel Medio Evo, Bologna 1929, pagg. 331-332.(16) GIAN FRANCESCO GAMURRINI: Arezzo considerata nel suo aspetto strategico, Arezzo 1907, pagg. 21-22.(17) BARTOLOMEO BORGHESI: Della supposta via Flaminia in Etruria. Lettera del Conte Bartolomeo Borghesi al

prof. Cavaliere Francesco Rocchi etc…, in “Atti e Memorie della Regia Deputazione di Storia patria per le pro-vincie di Romagna” V, 1867, pagg. 23-65.

(18) Ricordiamo che tale Convegno fu presieduto autorevolmente e con grande competenza dall’architetto SeverinoMaccaferri allora Soprintendente ai beni archeologici per l’Emilia Romagna.

(19) ANTONIO BACCI: Il territorio aretino, in Atti del Convegno La viabilità tra Bologna e Firenze nel tempo.Problemi generali e nuove acquisizioni (1989), Costa Editore, Bologna 1992, pag. 176 nota 9.

(20) N. ALFIERI 1975-1976.

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IL PERCORSODELLA

FLAMINIA MILITARE

UNA CONCRETAREALTÀ ARCHEOLOGICA

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1 – La natura ha indicatoall’uomo la pistatransappenninica più comoda

Per noi che viviamo nel mondo dei computerse delle telecomunicazioni satellitari, della mec-canica più avanzata, dei veicoli di trasportoaerei e terrestri, che ci permettono di superarein poche ore le più grandi distanze, è difficilecancellare dalla mente le nostre conoscenzeche derivano da oltre 3.000 anni di storia e diciviltà e rivivere i pensieri e la preoccupazionedell’uomo etrusco che nel IX e VIII sec. a.C.voleva valicare l’Appennino.Senz’altro prima di lui molti altri uomini sisaranno avventurati nelle valli risalenti la dor-sale appenninica, per cercare il passaggio piùcomodo, più breve, più sicuro fra i numerosiostacoli che incontravano.E da quel momento tutti gli altri viandantihanno ricalcato quelle orme. Era nato così unsentiero che segnava il percorso per raggiunge-re la mèta voluta; per secoli l’esistenza di quel-la pista rassicurò il nostro antenato etruscoindicandogli il percorso per valicarel’Appennino. Chi lo aveva scelto come traccia-to favorito, aveva senz’altro tenuto presenti letre esigenze primarie del pedone:a - la brevità: allora, come oggi, l’uomo cercadi raggiungere la mèta percorrendo la minoredistanza e ciò è possibile con un tracciato retti-lineo; quando la natura dei luoghi lo permette,quindi, è la “linea di mira” che indica il per-corso da seguire;

b - la comodità: si è cercato sempre di supera-re le distanze con le minori pendenze possibili,su un terreno percorribile con qualsiasi condi-zione di tempo; e se questa percorribilità inalcuni tratti non c’era, l’uomo ha provveduto acrearla stendendo ciottoli, ghiaia o lastricati.c - La sicurezza: i sentieri di crinale sono sem-pre stati preferiti, perché offrivano due rilevan-ti vantaggi:- possibilità di orientarsi e di vedere a grande

distanza; quindi scorgere in tempo la presen-za di eventuali nemici o predoni;

- l’inesistenza di corsi d’acqua: l’attraversa-mento dei fiumi e dei torrenti ha costituitosempre una grande incognita per la certezzadi portare a termine il viaggio. Chi partivaaveva il dubbio costante sulla transitabilitàdei corsi d’acqua e sulla esistenza o meno dipasserelle o ponti sui fiumi di maggiore por-tata; un torrente in piena o una passerellacrollata potevano compromettere il viaggio,anche in vista della mèta.

Nel 1920 l’inglese Alfred Watkins ha colto lagrande importanza del principio della “linea dimira” negli spostamenti dell’uomo primitivo: “Si immagini una popolazione primitiva … cheavesse bisogno di alcuni generi indispensabili,come sale, pietre focaie e, più tardi, metalli,che si potevano ottenere solo da località lonta-ne. La via più breve per raggiungere questi luo-ghi distanti era una linea retta, e la manieracon cui l’uomo può ottenere una linea rettaconsiste nell’avvistamento: di conseguenzatutte queste piste antichissime furono rette etracciate suppergiù nello stesso modo in cui un

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CAPITOLO III

LA VIABILITÀ TRANSAPPENNINICA PREROMANA TRA BOLOGNA E FIESOLE

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tiratore aggiusta la mira del suo fucile, puntan-dolo in linea retta sul bersaglio”1.Il principio della “linea di mira” si rivela sor-prendentemente concreto anche per lo studiodella strada basolata da noi ritrovata a nord e asud del passo della Futa; questa, a differenzadegli altri percorsi ipotizzati, ripropone un“ley”, una linea lungo la quale ancora oggiritroviamo elementi preistorici, etruschi, roma-ni, medioevali e moderni che danno il sensodella continuità d’uso di questo tracciato.Resti pre-romani (Monte Adone, m. Bastione,il Poggiaccio, Poggio Castelluccio), paesimedioevali (Brento, Monterumici, Monzuno,Cedrecchia) gravitano tutti su un allineamentoseguendo il quale, lungo la riva sinistra delSavena, si arriva da Bologna al passo della Futaed oltre.Giovanni Caselli2, seguendo questi principi, haverificato l’esistenza di antiche direttrici di cri-nale e dei loro rapporti con le vie tradizionalidella transumanza. Egli già dal 1978 ha con-cluso l’esplorazione del crinale Setta-Savena,da Bologna al passo della Futa e di un altro, chene è la logica continuazione, dal passo dellaFuta fino all’area di Firenze ed all’Arno.Questo studioso, prendendo la parola alConvegno del 1989, dopo aver illustrato le sueverifiche sulla viabilità di crinale in ogni epocaha affermato: “La strada che da Bologna saleverso M. Adone, transitando per Monzuno,Monte Venere, Madonna dei Fornelli, m.Bastione, per raggiungere la Futa a lo Stale,ossia la dorsale Setta-Savena, ricalca il crina-le più idoneo a servire come base per unadirettrice la cui funzione sia quella di traversa-re la catena appenninica tosco-emiliana neltratto più facile e più breve possibile. Si trattadi una “via naturale”... Questo crinale, fra itorrenti Setta e Savena che si origina alla Futatermina nell’area urbana di Bologna, la qualeè sorta nel punto in cui le propaggini appenni-

niche più si spingono all’interno della PianuraPadana. … Bologna e gli estesi insediamentieneolitici dell’area fiorentina, recentementescoperti, sono sorti in quei luoghi proprio gra-zie all’esistenza di questa direttrice naturale,che costituiva la via di comunicazione piùspontanea fra la Val Padana e l’area tirrenica… La strada della dorsale Setta-Savena è,secondo quanto ho potuto desumere dalle mieosservazioni, una delle più antiche direttrici diattraversamento dell’Appennino”3.Su questa linea di pensiero è anche AntonioVeggiani il quale, ha presentato una relazioneal citato Convegno del 1989 sui caratteri geo-morfologici dell’Appennino tosco-emiliano:“… Nel versante emiliano dell’Appennino,data questa situazione geologica che creauna grande instabilità nei versanti, si è svi-luppata massimamente la viabilità sulle zonedi crinale interfluviale, più asciutte e più dre-nate. Si tratta di una scelta dettata dalla spe-rimentazione quotidiana nel corso di lunghisecoli perché solo sulle creste interfluviali ilpassaggio di pedoni, di animali e di carriag-gi non correvano il rischio di impantanarsi,di incontrare guadi bloccati per pieneimprovvise dei corsi d’acqua e di crolli diponti per ondate eccezionali di piene … Il piùcelebre percorso di crinale tra l’Emilia e laToscana, e in modo particolare tra Bologna eFirenze, è certamente la strada della Futa. …In definitiva risulta che ogni direttrice dibacino toscano porta a determinati settoridell’Appennino emiliano - romagnolo. Sidistinguono due grandi superdirettrici: unadi tipo centro-italico-adriatico che ha i suoiterminali transappenninici tra Rimini eBologna ed un’altra di tipo tirrenico che ha isuoi terminali transappenninici tra Bologna ePiacenza. I confini tra le due superdirettricisembrano ricadere lungo un allineamentoArezzo-Bologna che fa seriamente pensare al

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(1) ALFRED WATKINS, The old straight track, Ed. Garnstone Press, London 1971 (2 ed).(2) GIOVANNI CASELLI: La direttrice «naturale» Bologna-Firenze (dorsale Setta-Savena) sul terreno e nella tradi-

zione, in Atti del Convegno La viabilità tra Bologna e Firenze nel tempo. Problemi generali e nuove acquisizioni(1989), Costa Editore, Bologna 1992, pagg. 105-108.

(3) G. CASELLI 1992, pagg. 106-107.

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percorso di quella via fatta costruire dal con-sole Flaminio nel 187 a.C.”4.È questa una logica conclusione, a cui Veggianiarriva tenendo conto delle sue profonde cono-scenze della geomorfologia della catena appen-ninica, che porta un contributo importante perla conferma del percorso della FlaminiaMilitare da noi sostenuto. L’esistenza di una primordiale pista etrusca cheattraversava l’Appennino su questa dorsale,valicandola al passo della Futa, è riconosciutaanche da Massimo Pallottino, grande studiosodella civiltà etrusca: “… Un altro motivo checollega ab antiquo il villanoviano transappen-ninico alla grande matrice dell’Etruria tirreni-ca si coglie nella sua localizzazione geograficache è rappresentata da due zone limitate imme-diatamente aderenti all’Appennino; la prima inEmilia a Bologna e nei suoi immediati dintor-ni, in corrispondenza dello sbocco delle vallidei fiumi Reno e Savena, cioè dei passi Piastre-Collina e Futa; … ”5.

2 – Fiesole e Felsina: i capolineadella transappenninicaetrusca. Cenni topografici

Tenendo presente i principi esposti nel paragra-fo precedente, non è difficile individuare la“via naturale” indicata da Caselli e Veggiani ericonoscerla come la strada seguita dagliEtruschi per il collegamento fra Fiesole eFelsina. Ripercorrendola a piedi abbiamo potu-to renderci conto della distanza e delle penden-ze constatando la sua sostanziale comodità.Su un percorso totale da Bologna a Fiesole dicirca 94 km, si possono contare, da Bologna alfiume Sieve (località Bilancino) ben 71 chilo-metri seguendo un tracciato tutto di cresta conlievi pendenze e perfettamente in asse con ladirettrice voluta: da Bologna (m 54) sale alPoggiaccio per 50 km, poi scende per 21 kmfino al fiume Sieve (m 206), nei pressi dellalocalità Bilancino.

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(4) ANTONIO VEGGIANI: I caratteri geomorfologici dell’Appennino tosco-emiliano in rapporto all’origine dellaviabilità in Atti del Convegno La viabilità tra Bologna e Firenze nel tempo. Problemi generali e nuove acquisizio-ni (1989), Costa Editore, Bologna 1992, pagg. 30-31.(5)

(5) MASSIMO PALLOTTINO: Etruscologia, Editore Ulrico Hoepli, Milano 1984 (settima edizione rinnovata),pag. 150.

Tavola 1Altimetria del probabile percorso transappenninico etrusco nel tratto Bololgna - fiume Sieve (località Bilancino).

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Dal grafico altimetrico qui riprodotto si puònotare che la dorsale seguita deve affrontarependenze complessivamente modeste se siconsidera che si attraversa tutta la catenaappenninica.Si tratta quindi di un vero e proprio “pontenaturale” fra i due versanti, indubbiamente fre-quentato dagli Etruschi, soprattutto nell’epocadella loro massima espansione territoriale inPianura Padana (secc. VI e V a.C.).A questo punto il percorso più lineare, dopoavere attraversato la Sieve ad ovest delBilancino, per evitare le paludi più a est, sali-va verso San Giovanni in Petroio, fino alTrebbio (m 435) e ridiscendeva a Tagliaferro(m 250).Da questa località le possibili piste versoFiesole potevano essere due. Una lungo la valle del torrente Carza dove,oltre Vaglia saliva sul versante ovest di PoggioTorricella fino alla località “L’Uccellatoio” (m 489); da qui ridiscendeva fin oltreTrespiano (m 266), poi, dopo la Lastra, volge-va verso il torrente Mugnone (m 100) raggiun-gendo Fiesole a m 295.Un’altra, attraversato subito il torrente Carza,iniziava la salita sul versante opposto versoBriano, Casa Altare, passando per Bivigliano(m 585), Poggio Capanne (m 608), Vetta leCroci (m 516) e Montereggi (m 441).Quando abbiamo scritto il libro sulla FlaminiaMilitare nell’anno 2000 avevamo ipotizzatoche gli Etruschi avessero seguito il primo trac-ciato. Ora, dopo avere fatto ulteriori prospe-zioni di superficie e studiato bene la orografiadel territorio, individuando le tracce di unaantica viabilità, riteniamo che il percorso piùprobabile sia stato il secondo in quanto si por-tava subito in quota snodandosi su tutto il cri-nale fino a Fiesole; evitava così di percorrerela stretta valle del torrente Carza per quasi 10chilometri, luoghi propizi per imboscate ed arischio di inondazioni e frane.Peraltro la lunghezza dei due percorsi è identi-ca (km 17) ed i dislivelli totali da superare sonopressoché uguali (m 831 a fronte di m 797).La storia ci insegna che Fiesole e Felsina sonostati i capolinea dei maggiori traffici commer-ciali fra l’Etruria tirrenica e l’Etruria adriaticae la fortuna economica di queste due città è

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SIEVE

CA

RZ

A

BACCANO

PASSO DELLA FUTA

MONTECARELLI

TAGLIAFERRO

TREBBIO

BRIANO

CASA ALTARE

BIVIGLIANO

S. GIOVANNIIN PETROIO

BILANCINO

VETTA LE CROCI

POGGIO CAPANNE

MONTEREGGI

FIESOLE

VAGLIA

FONTEBUONA

UCCELLATOIO

TRESPIANO

LA LASTRA

MUG

NONE

Tavola 2

Il percorso tracciato in verde da Tagliaferro a Fiesoleriteniamo oggi che sia stato preferito dagli Etruschi

rispetto a quello disegnato in rosso da noi ipotizzatonell’anno 2000 al termine delle prime nostre ricerche

in quel territorio.

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derivata, appunto, dalla loro posizione ai piedidei due versanti appenninici.Se si considera poi che questo ponte naturaleè stato percorso fin dalla preistoria, non èazzardato concludere che la via transappenni-nica non è nata per collegare due città già esi-stenti, ma le città sono sorte proprio in queiluoghi strategici per alimentare e controllare itraffici commerciali che già si snodavano sulquel percorso.L’importanza di Felsina, come nodo stradaleper i commerci è riconosciuta anche da G. A.Mansuelli il quale così si è espresso: “Dalpunto di vista della successione storica, invece,possiamo riconoscere nello sviluppo stradaledella regione VIII diverse fasi che qui riassu-mo. La situazione stessa della zona nei periodipre e protostorico ci suggerisce quali siano levie, per così dire, naturali, e constatiamo che,fin dall’età etrusca ebbe preciso e definitocarattere il quadrivio di Bologna …”6. Edancora su questo tema: “… ma numerosi rinve-nimenti della Valle Padana interna e delle zoneprealpine occidentali attestano chiaramente unflusso commerciale verso l’Oltr’Alpe, attraver-so, appunto, la Valle Padana. In questa situa-zione Bologna è venuta a costituire la saldatu-ra fra la via interna etrusca per Orvieto,Chiusi, il Valdarno e i passi appenninici e lapedemontana emiliana, ormai proiettata versoil settore continentale.”7

3 – Fiesole: punto di arrivo dellaviabilità provenientedall’Etruria centro-meridionale econtemporaneo presidiodella transappenninicadiretta a Felsina

Osservando la tavola cartografica n. 3, cheindica i probabili itinerari etruschi per i col-legamenti con il nord, appare con evidenzache un percorso importante passava dal valicodella Futa.Tutti i traffici provenienti dal centro e dal suddell’Etruria, cioè da Tarquinia, Vulci, Saturnia,Roselle, Vetulonia, Chiusi, Arezzo, Siena,Populonia, Volterra etc., e diretti nella PianuraPadana, molto probabilmente convergevano aFiesole e da qui procedevano verso nord indirezione Felsina attraverso il passo della Futa.Questa città, a sua volta, raccoglieva i trafficiprovenienti dall’Etruria padana ed in particola-re da Spina, il porto adriatico più importanteper i commerci con la Grecia e l’Oriente.

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(6) G. A. MANSUELLI 1941-1942, pag. 43.(7) G. A. MANSUELLI: Profilo geografico culturale

dell’Emilia preromana, in Storia dell’EmiliaRomagna, University Press, Bologna 1976, pag. 35.

Tavola 3Le probabili direttrici stradali percorse dagliEtruschi nel V secolo a.C.

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Anche Pericle Ducati evidenzia la posizionestrategica di Felsina ai piedi dell’Appennino,in asse con il passo della Futa, che riconosceil valico più vicino sia alla valle dell’Arno chealla Pianura Padana, attraverso il quale passa-vano i traffici commerciali tra i due versanti:“… Era del resto naturale che a Felsina spet-tasse il primato nella Etruria del nord, data lasua posizione alle falde dell’Appennino, tragli sbocchi in pianura delle due vallate delReno e del Savena. Poiché non è da escludere,come tramite d’immigrazione, anche il minorecorso del Savena appoggiantesi nelle sue sca-turigini al passo della Futa, che è, nella lineadi displuvio tra i due versanti del Tirreno edell’Adriatico nell’Appennino fiorentino-bolognese, il punto più prossimo alla valledell’Arno da un lato, alla pianura padanadall’altro. Si aggiunga che Felsina dovette essere laprima colonia in ordine di tempo ad esserefondata dagli Etruschi, la colonia da cui sisarebbero irraggiate in seguito le altre dellavalle del Po”8.Ed ancora, a questo proposito, P. Ducati a pag.192 riporta l’opinione di von Duhn: “… Anzi ilvon Duhn, supponendo che la via principale dicomunicazione con l’Etruria centrale fossedata non già dalla valle del Reno, ma da quel-la del Savena, allacciantesi al Mugello, fissavalo sbocco di questa via dal sepolcreto delGiardino Margherita, accennante ricchezzamaggiore degli altri sepolcreti…”. Dunque la dorsale che dal passo della Futa,dopo aver valicato il Poggiaccio, discende dol-cemente verso nord puntando direttamente aBologna, è stata fondatamente ipotizzata damolti studiosi come il percorso seguito dagliEtruschi. Comunque si deve ricordare che, pur-troppo, non è mai stata oggetto di specifiche

ricerche e scavi che abbiamo portato a rinveni-menti risalenti a quell’epoca.Aggiungasi poi che quella dorsale è semprestata poco antropizzata, sia in epoca romana chemedioevale; anche in età rinascimentale emoderna non sono stati fatti scavi per costruireinsediamenti abitativi, artigianali od industriali,che avrebbero potuto dare l’occasione di sco-prire fortuitamente resti della civiltà etrusca.Tuttavia una importante testimonianza dellapresenza etrusca su questo tracciato si ha dalritrovamento, murata all’interno di una torrenel castello del Trebbio, di una stele etrusca inarenaria di forma trapezoidale, rastremataverso l’alto, decorata su una sola faccia conuna figura di guerriero, databile al VI secoloa.C.9. La stessa stele è ricordata anche da N.Nieri Calamari nello studio delle transappenni-niche etrusche: “Infatti anzitutto la più breve equindi rapida via di comunicazione fraBologna e Fiesole è quella che varca gliAppennini al passo della Futa: e, quello che hamaggior importanza, la zona presso questa viaè segnata da ritrovamenti sicuramente etruschiproprio nella zona appenninica. Salendo dalsud abbiamo infatti dopo Fiesole: pressoTrebbio, una stele in arenaria ornata con bas-sorilievo di arte locale ed attribuibile al VI-V(C. A., f. 106, p. 6, n. 2 e bibl. ivi cit.), altrastele simile presso Sant’Agata attribuibile allastessa arte locale ed allo stesso periodo (C. A.,f. 98, p. 7, n. 3 e bibl. ivi cit.). Subito passandoal versante nord presso Firenzuola furon trova-te nel 1728 rovine di un tempio etrusco tra cuisi raccolsero una statuetta arcaica e due lami-ne, una di piombo e l’altra di bronzo, recanticiascuna una iscrizione etrusca (C. A., f. 98, p.5-7 e bibl. ivi cit.)… Concludendo: da tutto ciòmi pare che allo stato attuale della conoscenzadel materiale archeologico si possa ritenere …

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(8) PERICLE DUCATI: Storia di Bologna. I tempi antichi, Bologna 1928. Ristampa anastatica Atesa Editrice, Bologna1974, pag.181; si veda anche MAURO CRISTOFANI: Economia e Società, in RASENNA. Storia e civiltà degliEtruschi, Casa Ed. Scheiwiller, Milano 1986; a pag. 135, a proposito dei valichi appenninici frequentati dagliEtruschi, afferma: “ … è su questo bipolarismo che si pone tutto il problema dei rapporti instaurati con gli Etruschie le altre popolazioni che abitavano oltre Appennino. Le comunicazioni, come è noto, erano permesse dalle vie dicresta e dalle valli segnate dagli affluenti del medio corso dell’Arno, il Sieve, il Bisenzio e l’Ombrone le cui sor-genti convergono verso lo spartiacque appenninico, là dove hanno origine il Reno, il Setta e il Savena”. E noi sap-piamo che lo spartiacque ove si originano il Savena e il Setta è il passo della Futa.

(9) FILIPPO MAGI: Stele e cippi fiesolani, in “Studi Etruschi” VI, 1932, pag. 15.

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La via normale di comunicazione più occiden-tale tra Etruria ed Etruria Padana va suppostavalicante l’Appennino presso la Futa, e secomunicazioni vi furono per l’alta valle delReno esse non ebbero tal carattere di costanzada lasciar tracce di stanziamenti …”10.La frequentazione di questo percorso in tempiantichissimi è inoltre attestata dalla scoperta(fatta nel corso delle nostre ricerche) di tre“castellieri” celto-liguri al m. Bastione, al

Poggiaccio ed a Poggio Castelluccio, tutti alli-neati sul percorso da noi studiato ed in vistauno dell’altro. Questa organizzazione difensivaè stata poi probabilmente riutilizzata nellaguerra contro i Romani. A Poggio Castelluccio sono state rinvenutetracce di un abitato dell’età del ferro, che, sunostra indicazione, la Soprintendenza Archeo-logica per la Toscana ha esplorato in occasionedi una campagna di scavi nell’estate 1989.

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(10) NORA NIERI CALAMARI: Sulla topografia del territorio pistoiese, in “Studi Etruschi” VI, 1932, pag. 114.

Foto n° 4Stele etrusca rinvenuta murata all’interno di una torre della villa medicea della Croce al Trebbio in Mugello(Comune di S. Piero a Sieve). Già custodita al Museo Archeologico di Firenze, da pochi anni è stata trasferi-ta al Museo Archeologico di Dicomano. (foto Alberto Facchini)

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Tali scavi sono stati eseguiti sotto la direzionedel dott. Luca Fedeli, il quale ha presentato unarelazione sui risultati raggiunti nel citatoConvegno tenutosi nell’autunno 1989.Da tale relazione emerge che il luogo esplora-to (la vetta di Poggio Castelluccio che sfiora

la strada romana transappenninica) presentatracce di un antichissimo insediamento enumerosissimi frammenti di ceramiche diimpasto del tipo diffuso in Etruria settentrio-nale a partire almeno dal IX – VIII secoloa.C.. Dalle parole del Fedeli si possono trarrenotizie interessanti per la datazione approssi-mativa dell’insediamento: “… Tali strati necoprivano altri due probabili piani di calpe-stio (uu.ss. 207 e 210), il secondo dei qualirivelanti tracce di fuoco sotto forma di radifrustuli carboniosi e di resti di materiali con-cotto … un prelievo da me curato nell’u.s. 210è stato liberalmente analizzato dall E.N.E.A.di Bologna, Dipartimento T.I.B. La datazione è stata fissata al 490 a.C., più omeno novant’anni .”Poi, proseguendo nella sua relazione il Fedeliconclude: “... La datazione degli esemplari[ceramici] confrontati oscilla tra la tarda etàdel bronzo (Allumière) e la prima età del ferro(tutti gli altri esemplari)”11.Seguendo sempre la dorsale da Poggio Castel-luccio verso nord, la sua antichissima frequen-tazione è poi confermata anche dal ritrovamen-to12, due chilometri più a sud di Monte Venerein località Sassorosso, di una fornace per late-rizi, la cui utilizzazione è cessata circa fra il330 a.C. ed il 130 d.C., visto che la datazionedei resti dei carboni rinvenuti nel fornello13 ècompresa in questo ampio periodo di tempo. È attendibile quindi che il primo impianto siastato costruito dagli Etruschi poi riutilizzatodai Romani, trovandosi sul percorso frequenta-to da entrambi i popoli in epoche successive.L’esistenza di una strada etrusca diretta fraFelsina e Fiesole è quindi confermata:

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(11) LUCA FEDELI: Campagna di scavi 1989 presso i tratti stradali della dorsale transappenninica fra il Setta, ilSavena e il Santerno, in Atti del Convegno La viabilità tra Bologna e Firenze nel tempo. Problemi generali e nuoveacquisizioni (1989), Costa Editore, Bologna 1992, pagg. 74, 75, 89.

(12) Il ritrovamento è avvenuto in occasione degli scavi effettuati sul crinale dall’ACOSER per posare i tubi del gas daMonzuno a Madonna dei Fornelli.

(13) Questi carboni sono stati datati con il metodo del Carbonio C 14 dal dott. Agostino Salomoni dell’ENEA diBologna, il quale, in data 18 febbraio 1991, ha rilasciato la certificazione attestante una datazione oscillante fra il330 a.C. e il 130 d.C. Questi carboni quindi, che costituiscono i resti dell’ultima cottura, possono risalire al IV sec.a.C.; è evidente che la costruzione dell’impianto e la sua utilizzazione risale all’epoca etrusco-celtica. Per maggio-ri dettagli su questo rinvenimento si può consultare il capitolo XVI (pagg. 191-195) del nostro libro La stradaBologna – Fiesole dal II secolo a.C. (Flaminia Militare), Editrice CLUEB, Bologna 2000, ora visualizzabile sul sitowww.flaminiamilitare.it.

Foto n° 5Poggio Castelluccio (Sito D/5 - agosto 1989): alcu-ni membri della Cooperativa archeologica diFirenze al lavoro di scavo sulla cima di PoggioCastelluccio, sotto l’attenta sorveglianza del dott.Luca Fedeli della Soprintendenza archeologicadella Toscana (di fronte).

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- da tutte le considerazioni orografiche fatte daeminenti studiosi della viabilità antica (da noiricordati nelle pagine precedenti) che hannodefinito il valico della Futa la “via transap-penninica naturale”;

- dai rinvenimenti archeologici che dimostra-no una antichissima frequentazione di que-sto percorso;

- infine anche da notizie derivate dalla storio-grafia latina che ricordiamo nel paragrafoseguente.

4 – L’asse diretto Felsina-Fiesolesi deduce anche dal raccontodi Polibio e dalle parole diPaolo Giudici

Polibio ricorda la città di Fiesole proprio inoccasione di una invasione dell’Etruria da partedi un esercito di Celti.Nel 225 a.C. un esercito di 70.000 Celti Gesativalicò le Alpi, chiamato dai Galli Boi edInsubri e, superato l’Appennino, dopo aversbaragliato un esercito di Etruschi e Sabinivicino a Fiesole, invase l’Etruria in cerca dibottino, senza incontrare altra resistenza perchéi Romani avevano rinforzato il fronte adriatico,aspettandosi un attacco in territorio piceno. ICelti arrivarono così fino a Chiusi, ove entra-rono in contatto con l’esercito romano di stan-za in Etruria accampandosi vicino a loro.Polibio a questo punto racconta: “… Calata lanotte, i Celti, accesi i fuochi, lasciarono sulposto solo i cavalieri con l’ordine che, levatosiil giorno, sotto gli occhi dei nemici si ritirasse-ro per la stessa loro strada. Essi, invece, sidiressero di nascosto verso la città di Fiesole evi si appostarono con l’intenzione di attender-vi la loro cavalleria ed attaccare di sorpresagli avversari lanciati all’inseguimento. I Ro-

mani, sorto il giorno, visti i cavalieri soli epensando che i Celti fossero fuggiti, si diederoall’inseguimento dei cavalieri per la via dellaloro ritirata...”14.Da questo racconto s’intuisce che la finta ritira-ta della fanteria celtica avvenne, molto proba-bilmente, sulla stessa strada percorsa durantel’avanzata in Etruria, da loro ben conosciuta econsiderata sicura. E se i Celti si fermaronovicino a Fiesole per mettere in atto l’imboscata,è evidente che la strada, dalla quale erano cala-ti in Etruria, passava proprio da Fiesole. È vero-simile, quindi, che C. Flaminio abbia utilizzatola pista transappenninica che raggiungevaFiesole da Felsina tramite il valico della Futa.Questa ipotesi trova ulteriore conferma nelleparole di Paolo Giudici il quale, a propositodella calata dei Celti in Etruria nel 225 a.C.,scrive15: “ … Lucio Emilio Papo assunse ilcomando delle operazioni contro i Galli e conun esercito di ventimila soldati, al quale altret-tanti Umbri si unirono per via, andò adArimino. Un forte esercito di Galli Cenomanie di Veneti, popolazioni che avevano sposato lacausa di Roma, s’accampava intanto minac-cioso ai confini dei Boi e un altro esercito diEtruschi e Sabini, capitanato da un pretore, sipreparava ad impedire al nemico il passodell’Etruria. Un ultimo esercito, infine, rima-neva come riserva a Roma. Calò il formidabi-le esercito dei barbari in Etruria, valicandogli Appennini. Alla loro marcia si oppose l’e-sercito etrusco-sabino nelle vicinanze diFiesole, ma invano, perché le orde barbaricheebbero, nella battaglia che ne seguì, il soprav-vento e, sconfitte le truppe del pretore, prose-guirono il loro cammino saccheggiando fino aChiusi. Anche il Mommsen conferma questosaccheggio16.Dunque Fiesole è stata la prima città etruscaincontrata dai Celti nelle loro calata da nord; èevidente, quindi, che essi utilizzarono la pistatransappenninica esistente tra Felsina e Fiesole,che doveva essere abbastanza comoda e solida

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(14) POLIBIO: Storie, libro II, par. 25.(15) PAOLO GIUDICI: Storia d’Italia narrata al popolo, Casa Ed. G. Nerbini, Firenze 1930.(16) TEODORO MOMMSEN: Storia di Roma, Editrice Aequa, Roma 1938, vol. terzo, cap. terzo, par. 9° pag. 99: “I

Celti trovarono l’Appennino fiaccamente difeso e saccheggiarono a loro agio le ricche pianure etrusche che dalungo tempo non erano visitate dai nemici”.

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per consentire il transito ad un imponente eser-cito di “cinquantamila fanti e ventimila fracavalieri e carristi”17, come attesta Polibio.Pur immaginando le oggettive difficoltà chel’esercito celtico comunque incontrò nell’attra-versamento dell’Appennino, si deve tuttaviapresumere che la “pista” fosse una vera e pro-pria strada, altrimenti gli invasori non sarebbe-ro riusciti a calare in Etruria. Si consideri infat-ti che se ci fosse stato solo un sentiero, venti-mila fra cavalieri e carristi e cinquantamilafanti sarebbero stati costretti a marciare in filaindiana. Alla distanza uno dall’altro anche disolo m 1,5, quando la testa della colonna era aFiesole, la coda era ancora circa a Bologna,rimanendo così l’esercito esposto a facili attac-chi sui fianchi. Inoltre se la larghezza dellapista non fosse stata almeno 2-2,5 metri, i carrinon sarebbero potuti passare e se il fondo stra-dale non fosse stato molto solido, la strada nonsarebbe stata più percorribile dopo il transito dialcune centinaia di carri e cavalieri.Queste riflessioni sono doverose perché cicalano nella realtà di quei momenti e ci aiutanoa percepire notizie importanti sulla viabilitàantica. Nella ricerca delle fonti latine ci siamoabituati a cogliere da una scarna notizia geo-grafica i lumi indispensabili per ricostruire glispostamenti degli eserciti e, conseguentemente,l’esistenza o meno delle strade. In conclusione, questi avvenimenti bellici cihanno confermato l’esistenza, nel 225 a.C., diun asse viario transappenninico importante traFelsina e Fiesole attraverso il passo della Futa;asse viario che poi, nel 187 a.C., è stato miglio-rato e pavimentato, ove necessario, dai legiona-ri romani.

5 – Gli Etruschi hanno percorsoanche altre strade percollegarsi con Misa(Kainua)18 e con Felsina

È, peraltro, evidente che questa non fu l’unicapista transappenninica usata dagli Etruschi peri loro collegamenti con l’Etruria padana.Seguendo quei principi che da sempre hannocondizionato la scelta della via più convenien-te, anche gli Etruschi hanno sicuramente fre-quentato altri tramites per valicare l’Appenni-no, qualora fossero preferibili per la brevitàdel percorso.Se provenivano dall’Etruria del nord (oggiPisa, Lucca, Pistoia etc. ) è molto probabileche per raggiungere Misa o Felsina abbianopraticato il passo della Collina e percorso lavalle del Reno senza passare da Fiesole. Cosìda Fiesole a Faenza, avranno attraversato gliattuali territori di Borgo S. Lorenzo, Marradi,Brisighella senza passare da Felsina. Allora,più di oggi, la brevità del percorso era fonda-mentale perché consentiva economia di tempo;30 km in meno facevano risparmiare un gior-no di viaggio, con i conseguenti vantaggi logi-stici. Anche Misa (vicino a Marzabotto) fuindubbiamente luogo di transito dei commercietruschi, che seguivano la valle del Reno e siproiettavano oltre l’Appennino attraverso ilpasso della Collina.Non crediamo, invece, che i traffici da Felsinadiretti a Fiesole (e quindi diretti anche verso ilcentro sud dell’Etruria), passassero dal valicodella Collina, seguendo il corso del Reno, non-ostante la presenza di Misa in quella valle, per-

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(17) POLIBIO: libro II, par. 23: “… Essi stessi (i Celti) partiti animosamente con tutto l’esercito, mossero versol’Etruria con quasi cinquantamila fanti e ventimila fra cavalieri e carristi…”.

(18) Il nome etrusco dell’importante insediamento venuto alla luce a Marzabotto è incerto. Alcuni studiosi hanno rico-nosciuto in quelle vestigia l’antica Misa. Altri hanno proposto di riconoscere il nome etrusco della città diMarzabotto in Kainua, un toponimo rinvenuto in iscrizioni presenti in due coppe in bucchero (GIUSEPPE SAS-SATELLI, in Culti, forma urbana e artigianato a Marzabotto. Nuove prospettive di ricerca, Atti del ConvegnoBologna 2003, Antequem, Bologna 2005, pagg. 47-55) Senza propendere per l’uno o l’altro nome, soltanto alloscopo di favorire la interpretazione del nostro breve scritto, ci richiamiamo al più noto toponimo Misa lasciandoagli studiosi della materia la decisione finale sul vero nome della Marzabotto etrusca.

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ché avrebbero dovuto percorrere 29-30 km inpiù rispetto alla strada della Futa. Quest’ulti-mo itinerario, poi, poteva essere conveniente-mente utilizzato anche per i collegamenti fraFiesole e Misa. Durante le nostre esplorazioniabbiamo, infatti, constatato che da Monte deiCucchi, 2 km a nord di Pian di Balestra, iniziadiagonalmente, verso sinistra per chi provieneda Fiesole, una dorsale che tocca le borgate diMontefredente, Monte Acuto Vallese e Monto-rio degradando progressivamente fino al fiu-me Setta, a monte di Rioveggio; da questalocalità Misa dista soltanto 9-10 km che sipossono percorrere comodamente, passandodalla borgata “La Quercia” ed attraversando ilparco storico di Monte Sole.

Non condividiamo, quindi, l’opinione di queglistudiosi che ignorano il passo della Futa comevalico preferito dagli Etruschi per i collega-menti con la Pianura Padana.

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Tavola 4

FIESOLE

MONTE DEI CUCCHI

MISA

FELSINA

FELSINA

FIESOLE

BRENTO

MONZUNO

MONTE DEI CUCCHI

MADONNA DEI FORNELLIMONTEFREDENTE

MONTORIO

RIOVEGGIO

LA QUERCIA

SETTA

MISA

Tavola 5

Il percorso diretto Fiesole - Felsina Il tracciato del diverticolo etrusco che da Monte

dei Cucchi percorreva il crinale di Montorio, scendeva a Rioveggio e, dopo aver attraversato il torrente Setta e la località “La Quercia”, raggiungeva Misa

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Misa, peraltro, non poteva certamente compe-tere con Felsina, divenuta nel V secolo a.C. uncentro urbano di primaria importanza, punto diriferimento dei molteplici insediamenti etru-schi nella pianura, in posizione chiave per icontatti con la loro regione d’origine, definitada Plinio “Princeps Etruriae”. Anche Massimo Pallottino evidenzia l’impor-tanza di Bologna etrusca: “… Antico mercato ecentro viario con tutte le sue tradizioniBologna resta la città principale di quella chele fonti antiche considerano la dodecapoli tir-renica: vi convergono in sintesi i diversi fattoridell’etruscità padano-adriatica”19.Quindi gli Etruschi, che provenivano dal centroe dal sud dell’Etruria ed erano diretti a Misa,molto probabilmente convergevano a Fiesole epercorrevano l’asse diretto su Bologna. Giuntia Monte dei Cucchi, seguivano la dorsale sullasinistra che attraversava Montefredente, Mon-teacuto Vallese, Montorio e scendevano a Rio-veggio, ove valicavano il Setta e proseguivanoverso “La Quercia” le pendici di Monte Solefino a Sperticano.

Anche su questo tracciato sono state rinvenutetracce di frequentazioni etrusche: nel 1912 e1934 vicino a Montorio sono stati rinvenutiquattro bronzetti del tipo schematico probabil-mente pertinenti ad una stipe votiva20.A conferma della frequentazione di questodiverticolo etrusco da Monte dei Cucchi aMisa, ci è giunta la notizia della recente sco-perta di importanti resti etrusco-romani nellalocalità “La Quercia”, a nord di Rioveggio, rin-venuti in occasione dei lavori effettuati per lacostruzione della variante di valico autostrada-le sulla Casalecchio-Firenze.

6 – Il luogo della fondazione diBononia scelto a presidiodella transappenninicaetrusca nonostante fosselontano dal fiume Reno e dal torrente Savena

Non possiamo iniziare queste nostre riflessioni,sulle motivazioni della scelta del luogo dellafondazione di Bononia romana, senza riportareuna delle più belle pagine scritte da GiancarloSusini. Questo insigne studioso di storia antica eromana ha saputo comunicarci e trasmetterciemotivamente l’estrema importanza della dispo-nibilità dell’acqua, venerata nel mondo anticocome una divinità. “L’acqua è bene essenziale,forse la prima risorsa dell’uomo; per alcunidegli antichi filosofi era l’elemento fondamenta-le del creato, in ogni tempo costituisce una con-dizione per l’esistenza. Per questo motivo, le piùantiche memorie demiche, cioè le tracce dei piùantichi insediamenti degli uomini, coincidono inogni cultura con la presenza e la disponibilitàdell’acqua; allo stesso modo, i più antichi sen-tieri, le orme degli uomini in movimento da unluogo ad un altro, le loro prime “vie” coincido-no con le tracce degli animali inseguiti nelle

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(19) M. PALLOTTINO 1984, pag. 208.(20) GIOVANNI MILLEMACI: Viabilità transappenninica etrusca (VI-V sec. a.C.), in “Rivista di topografia antica,

JAT” IX, 1999, pag. 135.

Foto n° 6Località “La Quercia” (Comune di Marzabotto),maggio 2011. Cesare Agostini con il nipotino Giulioa fianco al cantiere della variante autostradale divalico ove sono venuti alla luce resti di un insedia-mento etrusco-romano. I tendoni gialli proteggono illuogo degli scavi.

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boscaglie, nelle radure e nei deserti alla ricercadell’acqua: per bere, per guarire. Così accadeche gli idronimi, cioè i nomi dei luoghi dei corsid’acqua, siano i più antichi tra le denominazio-ni date dagli uomini nell’ambiente ed i più tena-ci nella conservazione e nella sopravvivenza”21. Come tutte le popolazioni antiche i Romanihanno tenuto in estrema considerazione lapresenza delle sorgenti e dei corsi d’acquanella scelta dei luoghi di fondazione di inse-diamenti abitativi.Basti pensare alle capitali europee come Romasul Tevere, Londra (Londinium) sul Tamigi,Parigi (Lutetia Parisiorum) sulla Senna, Vienna(Vindobona) sul Danubio, ed altre grandi cittàcome Lione (Lugdunum) sul Rodano e Colonia(Colonia Claudia) sul Reno, Firenze (Floren-tia) sull’Arno etc..E per rimanere in territorio emiliano-romagno-lo ed all’epoca del consolidamento del dominiodi Roma nella Valle Padana, possiamo ricorda-re Rimini (Ariminum) sul Marecchia, Forlì(Forum Livii) sul Montone, Faenza (Faventia)sul Lamone, Imola (Forum Cornelii) sulSanterno, Claterna sul Quaderna, Modena(Mutina) sul Secchia, Reggio Emilia (RegiumLepidi) sul torrente Crostolo, Parma sul torren-te omonimo etc..Alla luce di questa realtà sorprende che i sena-tori Lucio Valerio Flacco, Marco Atilio Seranoe Lucio Valerio Tappone, incaricati di fondarela colonia latina di Bononia nel 189 a.C., nonabbiamo tracciato il primo impianto ortogona-le della città sulla sponda del torrente Savena,che scendeva più ad oriente (anche se allora più

vicino a Bologna rispetto all’attuale corso); nésu quella del fiume Reno, che scorreva più adoccidente. Soprattutto non si spiega perché nonscelsero le sponde del fiume Reno, all’altezzadi Casalecchio, ove confluiva la viabilità pro-veniente da sud lungo il bacino di questofiume, o poco più a valle, nell’attuale quartiereBorgo Panigale, sulla pista pedemontana pro-veniente da Rimini e diretta a Piacenza, già esi-stente prima della costruzione della via Emilia.Poiché sono fuori discussione l’intelligenza e lacapacità dei Romani di utilizzare e sfruttare ilterritorio, traendo da esso ogni vantaggio possi-bile, dovevano esistere motivi di grande interes-se, (addirittura prevalenti rispetto alla necessitàdi disporre di acqua abbondante e comoda) perfare loro preferire un insediamento sulle spondedel modestissimo torrente Aposa22.Forse tali motivi vanno ricercati nell’esigenzadi controllare i traffici commerciali provenien-ti dall’Etruria, attraverso la pista transappenni-nica che, valicato il passo della Futa, percorre-va il crinale alla sinistra del Savena e si immet-teva nella Pianura Padana proprio in quelluogo, ove incrociava la pista pedemontanaproveniente da Rimini e diretta a nord.L’esistenza di una importante pista provenientedall’Appennino è riconosciuta anche da FrancoBergonzoni, eminente studioso di Bolognaromana: “... Bononia si impianta, come s’èdetto, sulla conoide del torrente Aposa, ai piedidelle colline, forse tangenzialmente ad unapreesistente pista pedemontana e nel punto disbocco in pianura di almeno una delle piste diattraversamento dell’Appennino”23.

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(21) GIANCARLO SUSINI: Pagine d’introduzione, in Acquedotto 2000. Bologna, l’acqua del duemila ha duemila anni,Grafis edizioni Bologna 1985, pag. 14 e ss..

(22) La scarsissima e stagionale portata d’acqua del piccolo torrente Aposa non poteva certamente garantire la sicurez-za di un approvvigionamento idrico neppure per le poche migliaia dei primi coloni latini. Si può pensare invece chepoteva essere stata sufficiente per gli abitanti del primo insediamento villanoviano o del primo insediamento etru-sco, ma non certamente per Bononia, destinata a diventare, per la sua posizione strategica, la più importante cittàdell’Emilia. Questa prospettiva di espansione era ben presente nella mente dei Romani, che sappiamo particolar-mente esperti nella scelta dei luoghi per utilizzare al massimo le caratteristiche geografiche, idrografiche e geolo-giche del territorio. Avranno quindi avuto presente la scarsa portata d’acqua del torrente Aposa (e del piccolo ruscel-lo di Vallescura) nel momento della scelta del luogo di fondazione di Bononia.

(23) FRANCO BERGONZONI: Bononia (189 a.C.- secolo V), in Storia di Bologna, Ed. Alfa, Bologna 1984, pag. 63.Inoltre a pag. 62 scrive: “nel luogo d’incontro di due antiche piste, l’una discendente dalla valle del torrente Aposa,e l’altra corrente ai piedi delle colline, nell’anno 189 a.C. venne definito l’impianto ortogonale dell’abitato diBononia”.

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A conferma dell’indubbia influenza che haavuto la preesistenza di questa pista transap-penninica nella scelta del luogo di fondazionedi Bononia, basti osservare lo schema delprimo impianto della città, ricostruito dallostesso Bergonzoni.Si può notare come il cardo massimo (coinci-dente con le attuali via Val d’Aposa, Veneziane Galliera con orientamento nord-sud) fosseperfettamente in asse con l’arrivo della trans-appenninica, mentre il decumano massimo(coincidente con le attuali via Ugo Bassi eRizzoli con orientamento est-ovest), presentas-se un andamento spezzato rispetto alla pistaproveniente da Rimini e diretta a Piacenza,tanto da determinare un angolo nel punto di

inizio della prima viabilità extraurbana. Unatale angolazione rimase anche quando, dueanni dopo, (e cioè nel 187 a.C.) il console M.Emilio Lepido tracciò la via Emilia, ricalcandoverosimilmente il percorso della pista già esi-stente. Sabatino Moscati accennando alle ori-gini etrusche di Felsina, termina con questeparole: “… ma dalla seconda metà dell’VIIIsecolo a.C. le considerazioni si differenziano enuovamente se ne fanno specchio i repertifunerari, che integrano l’avvenuto costituirsi diun gruppo dominante, detentore del poterepolitico e della ricchezza economica. Bolognaha scoperto l’industria e soprattutto ha scoper-to la propria funzione di grande crocevia fra ilcentro e il settentrione d’Italia, sicchè i com-

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Tavola 6

Da questa planimetria del primo impianto stradale urbano di Bononia (189 a.C.) si può notare che il cardo massimo, coincidente con le vie Val D’Aposa, Venezian e Galliera (orientamento nord-sud) è in asse perfetto con la strada discendente dall’Appennino. Invece il decumano massimo, coincidente con le vie Ugo Bassi e Rizzoli (orientamento est-ovest) forma un angolo con la loro prosecuzione sia verso est -strada Maggiore, che verso ovest -via S. Felice. (disegno tratto da “Storia di Bologna”, ed. Alfa, Bologna, 1978: Franco Bergonzoni, pag. 62).

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merci passano necessariamente di là. E così lastoria, da momentanea si fa eterna, perchéancora oggi Bologna è quel raccordo, quel col-legamento, quello smistamento essenziale eprimario”24.Anche G. Susini evidenzia la posizione strate-gica della Bononia romana: “Un centro comeBologna, posto già allora [II sec. a.C.] all’in-crocio naturale (poi organizzato) di stradeimportanti, vide rapidamente uno sviluppopressoché eccezionale della sua economia...”25.Dunque soltanto un polo d’attrazione impor-tante, come il controllo del traffico transappen-ninico, può avere indotto i senatori romani ascegliere questa posizione relativamente lonta-na dai fiumi, indispensabili per l’approvvigio-namento idrico di una colonia in espansione,destinata a diventare la maggiore città dellaregione.Né potevano certamente contare sulla portatad’acqua del torrente Aposa, modestissimaanche d’inverno e dimostratasi poi assoluta-mente insufficiente alle necessità della comu-nità. Dopo quasi due secoli, in epoca augustea,infatti, venne costruito un acquedotto con cuni-colo sotterraneo, lungo circa diciotto chilome-tri e settecento metri che, prelevata l’acqua daltorrente Setta, poco a monte della confluenzacon il Reno, la convogliava a Bologna, fuoriporta S. Mamolo26.

Se sono fondate queste considerazioni, è evi-dente che i Romani, scegliendo due anni dopoil tracciato della strada Bologna-Fiesole-Arezzo, hanno seguito la preesistente edimportante viabilità transappenninica, limitan-dosi a rettificare, allargare e migliorare la car-reggiata, adeguandola alle esigenze ed ai cano-ni tecnici romani e pavimentandola, ove richie-sto dalla natura del suolo.Queste nostre riflessioni, però, possono non esse-re condivise da coloro che giustificano la ubica-zione di “Bononia” con la volontà dei Romani divolere sovrapporsi all’abitato di Felsina.Le nostre controdeduzioni a questa opinionepoggiano sulla logica risposta alla seguentedomanda: perché Felsina sarebbe sorta proprioin quel luogo se fosse stato vero che i trafficiprovenienti dall’Etruria percorrevano soltantola valle del Reno, toccando Misa?In tal caso sarebbe stato logico che l’agglome-rato urbano etrusco si fosse insediato aCasalecchio od a Borgo Panigale tanto più cheavrebbe potuto beneficiare delle abbondantiacque del fiume Reno.Stranamente alcuni studiosi della civiltà etru-sca non accettano queste osservazioni e conti-nuano ad escludere l’esistenza di una impor-tante strada transappenninica diretta tra Fiesolee Felsina attraverso il passo della Futa, comedocumentato nel paragrafo precedente.

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(24) SABATINO MOSCATI: E il crocicchio divenne Bologna, articolo pubblicato sul settimanale “L’Espresso” n° 25,anno XXXIV del 26 giugno 1988, pag. 173.

(25) G. SUSINI: Bononia: Le origini del Comune romano, in Storia illustrata di Bologna, ALEP editore Bologna 1987,pag. 54.

(26) Al termine dell’epoca imperiale questo acquedotto è stato abbandonato e della sua esistenza ha dato notizia l’abateSerafino Calindri che lo ha ispezionato e descritto alla fine del XVIII sec. (Dizionario corografico, georgico, orit-tologico, storico ec. ec .ec. della Italia, I, Bologna 1781, pag. 189) chiamandolo “condotto augustale”. Soltanto nel1862 il Comune di Bologna si è interessato alla sua riattivazione incaricando l’Ing. Antonio Zannoni di effettuarerilievi ed un progetto di massima. Il 5 giugno 1881 è stato ufficialmente riaperto il maestoso condotto. Ancora oggiesso contribuisce all’approvvigionamento idrico di Bologna.

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Abbiamo scritto questo libro allo scopo preminente di raccon-tare e documentare la prosecuzione delle nostre ricerche dellastrada romana dal ponte di Colombaiotto, sul fiume Sieve(Comune di Barberino del Mugello), ad Arezzo.Con la pubblicazione del 20001 infatti avevamo esaurientemen-te comprovato soltanto il percorso da Bologna fino al ponte diColombaiotto. Era quindi indispensabile completare le ricerche fino ad Arezzoper adempiere allo scopo che ci eravamo prefissati quandoabbiamo iniziato la nostra avventura di archeologi dilettanti.Ed appunto nel capitolo V pubblichiamo le prove storiche,archeologiche, fotografiche e cartografiche reperite in questiultimi dodici anni di ricerca fino ad Arezzo.Considerato però che il libro del 2000 è da tempo esaurito,abbiamo ritenuto opportuno ed utile raccogliere nel capitolo IVuna brevissima sintesi di esso affinché i lettori di questo libropossono contestualmente conoscere i nostri precedenti studi,che ci hanno permesso di documentare, anche con numerosireperti archeologici, il percorso transappenninico di questastrada romana.Per evidenti motivi la sintesi è molto breve (meno di un decimodell’originale), ma comunque sufficiente per rendersi contodella continuità del percorso da Bologna ad Arezzo e dell’im-ponenza di questa opera stradale.

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PREMESSA AL CAPITOLO IV

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(1) Tutte le nostre ricerche ed i nostri rinvenimenti sono ampiamenteraccontati e documentati nel libro pubblicato nel 2000: “La stradaBologna-Fiesole del II secolo a.C. (Flaminia Militare)” Casa EditriceCLUEB – Bologna. Poiché questa edizione è esaurita, è possibile leggeree scaricare il testo dal sito internet:www.flaminiamilitare.it in lingua italianawww.flaminiamilitare.com in lingua inglese

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1 – Le ricerche

Sulla base della notizia di Tito Livio, dal 1977abbiamo impegnato il nostro tempo libero allaricerca di questa opera stradale romana. Ci era-vamo convinti che, se il racconto di Livio eraveritiero, qualche tratto della strada, seppursepolto, doveva essersi conservato, in specienei luoghi rimasti da sempre disabitati e sel-vaggi di un valico appenninico tosco-emiliano,ove l’uomo non aveva avuto facilità a predarnele pietre e dove le frane e le acque l’avesserorisparmiato. Pur consapevoli delle difficoltà da affrontare,appunto nel 1977, abbiamo iniziato ad esami-nare i crinali che dal territorio bolognese si pro-tendono verso i valichi appenninici tosco-emi-liani nella fascia compresa fra le valli del Renoe quelle del Sillaro. Al termine delle prospe-zioni di superficie, ci siamo convinti che il per-corso più conveniente per brevità, dislivelli estabilità del terreno, era quello che sfruttava ilcrinale fra il torrente Savena e i torrenti Setta-Sambro. Esso infatti, con orientamento nord-sud, da Bologna raggiunge con lievi pendenzedirettamente il passo della Futa e di là ilMugello. Su quel crinale molto probabilmenteera passata la strada etrusca transappenninicaFiesole-Felsina. Ci siamo decisi a puntare lericerche su questa dorsale, non soltanto per lasua favorevole orografia, ma anche per unasecolare tradizione locale, (che tramandava il

ricordo di una strada romana) nonché per ilcasuale rinvenimento, da parte di Franco Santi,di una moneta romana di epoca repubblicana inuna cava di arenaria nei pressi di Castel del-l’Alpi, sul versante orientale di m. Bastione.

Avvalendoci della conoscenza del territorio1,abbiamo iniziato le ricerche vicino al valicoappenninico nella fitta boscaglia, tagliandocespugli, rovi, felci e quant’altro poteva osta-colarci, facendo piccoli scavi qua e là lungola linea di crinale, ove con maggiore probabi-lità poteva essere stata costruita la strada.Speravamo di intercettare sotto terra alcunepietre contigue che testimoniassero l’operadell’uomo.

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CAPITOLO IV

BREVISSIMA SINTESI DEI RINVENIMENTITRANSAPPENNINICI DELLA STRADA

DI CAIO FLAMINIO DA BOLOGNA AL PONTE DICOLOMBAIOTTO SUL FIUME SIEVE NEL MUGELLO

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(1) Siamo originari infatti di Castel dell’Alpi, un paese sull’alta valle del Savena, e fin da giovani abbiamo frequentatoquei boschi dove abbiamo fatto le ricerche e le scoperte.

Foto n° 7Moneta di bronzo risalente al 320-268 a.C. coniataa Capua e rinvenuta da Franco Santi nella fessuradi una cava di pietra arenaria vicino a Castel del-l’Alpi, sul versante orientale del m. Bastione. Da unlato è rappresentata la lupa che gira il capo versoRomolo e Remo intenti ad allattarsi. L’altro lato raffi-gura un’aquila su un trespolo con la scritta ROMA.

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BOLOGNA

AR

NO

AR

NO

Tavola 7

L’intero percorso della Flaminia Militare

PIEVE DEL PINO

MONZUNO

M. VENERE

M. BASTIONE

MONTECARELLI

VETTA LE CROCI

BIVIGLIANO

REGGELLO

PIAN DI SCÒ (CASCIA)

LORO CIUFFENNA

PIEVE DI GROPINA

PONTE A BURIANO

CASTIGLIONFIBOCCHI

MONTEREGGI

PELAGO

CASTEL SOFIA

PONTASSIEVES. FRANCESCO

TAGLIAFERRO

COMPIOBBI

BRENTO

MADONNA DEI FORNELLI

PASSO DELLA FUTA

A R N O

SI E

VE

S I E V E

CA

RZ

A

PONTE DI COLOMBAIOTTO

FIESOLE

AREZZO

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2 – L’intero percorsotransappenninico

Questa strada in sostanza, partendo daBologna, si portava sul crinale a Paderno, poilo seguiva sempre fino al valico della Futaattraversando Pieve del Pino, le pendici diMonte Adone, Brento, Monterumici, Monzu-no, Monte Venere, Le Croci, Monte Galletto,

Madonna dei Fornelli, Monte dei Cucchi, Piandi Balestra, m. Bastione, Piana degli Ossi, m.Poggiaccio, Poggio Castelluccio, il passo dellaFuta ed oltre. A sud di Montecarelli non è statopossibile effettuare scavi in quanto, sulla stessadirettrice della strada romana, che segue sem-pre la dorsale discendente nel Mugello, è statacostruita nel 1762 la prima strada carrozzabilepoi la strada moderna della Futa (S.S. n. 65) edi terreni contigui sono stati abitati fino dalMedioevo, tanto da ritenere che non sianosopravvissute concrete testimonianze dellapavimentazione antica. Questa situazione deiluoghi non ha tuttavia impedito di effettuareprospezioni di superficie che hanno fatto intui-re il tracciato romano fino al fiume Sieve, il cuicorso taglia ortogonalmente la direttrice dellastrada in località Bilancino (Comune diBarberino del Mugello).

3 – I primi rinvenimenti a m. Bastione

Soltanto nel 1979 la nostra costanza è stata pre-miata con il rinvenimento, vicino alla vetta delmonte Bastione, 60 cm sotto terra, di un primotratto di pavimentazione lungo 20 m, largo m2,40, corrispondente ad 8 piedi romani,costruito con grosse pietre di arenaria. Sul lato a monte sono allineate pietre prevalen-temente larghe 40/50 cm. e profonde 25/30 cm,posate su un letto di piccoli pezzi di pietra are-naria, evidentemente raccolti dal materiale discarto delle cave, ed avente la duplice funzionedi dare stabilità alla pavimentazione e favorireil drenaggio delle acque piovane. Ogni tantoesse sono intercalate da pietre più strette, macomunque sempre profonde 25/30 cm.Nel bordo a valle, invece, sono state utilizzateprevalentemente pietre più strette e profondeche assolvono meglio alla funzione di sostegnodella parte centrale della carreggiata, ove sonoposate pietre di dimensioni più piccole. Tutte lepietre sono perfettamente aderenti l’una all’al-tra e la pavimentazione si presenta compatta esolida. Altri tratti portati alla luce, sempre nelsito A/1, presentano invece il bordo a valle

Tavola 8

Tracciato della strada Flaminia Militare da Bolognaal ponte di Colombaiotto sul fiume Sieve in localitàBilancino (Comune di Barberino del Mugello):

Luoghi dei rinvenimenti archeologici da m. Venerea ponte di Colombaiotto.

Trebbio

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molto sconnesso, ed in alcuni puntiscomparso, mentre il bordo a monte con-serva la sua originale compattezza.È sorprendente poi lo spessore di 60 cmdell’humus sotto il quale è stato ritrovatoil basolato sul lato a monte della carreg-giata. Si deve tener conto, infatti, che inquesto punto la strada si trova soltanto8/10 metri più in basso della sommità delcrinale; è evidente che in questa posizio-ne di vertice non si sono potuti sedimen-tare in abbondanza il terriccio ed i picco-li detriti che vengono normalmente tra-scinati dalle acque piovane, per il sem-plice fatto che a monte della pavimenta-zione non c’è un declivio che abbia potu-to alimentare lo scivolamento di questomicro-materiale, tanto da coprire inpochi secoli la carreggiata stradale. Né si può ipotizzare uno slittamento dipiccole frane superficiali, proprio perchéci troviamo al vertice del crinale. I 60 cmche coprivano il bordo, lato a monte,sono quindi molto significativi, in quan-to sono il frutto di una lentissima sedi-mentazione dovuta in gran parte allacaduta di foglie e rami ed in minorequantità al trasporto, ad opera del vento,di pulviscolo e piccoli detriti; un talespessore della sedimentazione può bengiustificare il decorso di duemila anni2.

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(2) Per dare un’idea della lenta crescita deglistrati sedimentari organici, frutto della mace-razione minuta delle foglie e dei rami, meri-ta riferire la constatazione da noi fatta nellazona del m. Poggiaccio, ove ci siamo imbat-tuti in trincee a uomo scavate da militariamericani nell’autunno 1944; attorno alletrincee abbiamo rinvenuto coperchi di scato-lette, posate, bustine in carta argentata di lio-filizzati di caffè, zucchero etc. che si trova-vano sotto uno strato di humus di soli 2-3cm, e sono passati più di 50 anni!

Tavola 9

Il percorso della strada Flaminia Militare con l’indicazione dei luoghi deirinvenimenti dei resti di pavimentazione romana che hanno facilitato laesatta individuazione del suo tracciato nella parte più alta del valico appenninico.

BOLOGNA

FIESOLE

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Foto n° 8M. Bastione (sito A - direzione nord): il tratto di strada rinvenuto a m. Bastione.

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Foto n° 9M. Bastione (sito A/1-direzione nord): un’immagine ravvicinata della pavimentazione.

Foto n° 10M. Bastione (sito A/1): particolare del bordo a monte della pavimentazione ; sono in evidenza le larghe pietredi arenaria strettamente connesse e lo strato di 60 cm. di terriccio che le ricopriva. È importante notare la vici-nanza della sommità del crinale (8-10 m) che si vede sullo sfondo della fotografia.

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4 – I rinvenimenti al m. Poggiaccio

Dopo questa prima scoperta, per ben dieci annie con grande entusiasmo, abbiamo proseguitosempre da soli le ricerche e gli scavi manualiriportando alla luce saltuari tratti di basolatoromano per una continuità di 8 chilometri finoal passo della Futa.Quattro chilometri a nord del passo della Futa,sulle pendici del m. Poggiaccio abbiamo inter-cettato tratti superstiti di basolato in partescomparsi per piccoli smottamenti delle pendi-ci ed alle volte a causa del secolare transitosulla mulattiera medioevale quando questa si èsovrapposta alla pavimentazione romana. Cosìnelle posizioni in cui questa sovrapposizionenon è stata totale, alcuni bordi sono rimastiintatti e ci hanno permesso di riconoscerlicome appartenenti alla strada consolare per lasua tipologia costruttiva.

5 – I rinvenimenti a PoggioCastelluccio

Seguendo sempre la stessa direttrice, un km piùa sud del Poggiaccio, sulle pendici di PoggioCastelluccio, abbiamo portato alla luce alcunitratti della pavimentazione ben conservati per-ché non coincidenti con il percorso della mulat-tiera, ancora evidente a pochi metri di distanza.Abbiamo, quindi, potuto verificare sia la stessatipologia costruttiva, sia la stessa larghezza diquella rinvenuta a m. Bastione.

Foto n° 11Monte Poggiaccio (sito C/2 – direzione nord): lamulattiera, ove ha coinciso con la strada lastricata,ha causato il dissesto e la scomparsa delle pietrelasciando intatta, invece, quella parte di carreggia-ta che era fuori dal suo percorso.

Foto n° 12Monte Poggiaccio – direzione sud (SITO C/2). Ilbosco di faggio ha ricoperto tutta la carreggiatastradale lasciando spuntare tra le foglie secche sol-tanto il bordo a valle. Ciò è avvenuto per la presen-za in quel punto di un forte declivio della montagnache la strada interseca e che ha favorito il dilava-mento della sedimentazione organica.

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Foto n° 14Poggio Castelluccio (sito D): il basolato perfettamente conservato, percorre rettilineo la sommità del crinalesotto il bosco che lo ha coperto e protetto per secoli dopo il suo abbandono.

Foto n° 13Poggio Castelluccio (sito D direzione sud): Cesare Agostini e Franco Santi al lavoro. La pendenza di questo trat-to non ha favorito la consueta, rilevante sedimentazione che ricopre il basolato; è stato, quindi, agevole portarloalla luce. Si noti che il bordo a monte è ancora ben conservato mentre quello a valle ha subito un cedimento.

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Foto n° 15Poggio Castelluccio (sito D/ direzione nord): al termine dello scavo è riemersa in tutta la sua imponenza lapavimentazione. In evidenza lo strato di 60 cm di sedimentazione sopra la quale i carbonai, inconsapevolidella presenza sotterranea del basolato, per secoli hanno stabilito la loro piazzola di lavoro. È evidente quin-di che il basolato, a memoria d’uomo, era sconosciuto, altrimenti dal Medioevo fino all’epoca moderna i car-bonai non avrebbero potuto utilizzare quel preciso luogo come piazzola per produrre il carbone su una stra-da ancora percorsa.

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6 – Altri rinvenimenti

6a – I “castellieri” liguri

Contemporaneamente abbiamo individuatoaltri importanti reperti archeologici sul percor-so della strada romana, quali i “castellieri”liguri del m. Bastione, di m. Poggiaccio e diPoggio Castelluccio. Questi tre “castellieri” (o “castellari”), per laloro posizione sulla sommità della catenaappenninica ed in vista l’uno dell’altro, hannoi requisiti costruttivi tipici di quelle fortifica-zioni le cui vestigia si trovano numerosissimein Liguria. Renato Del Ponte, studioso della civiltà ligure,così ha descritto questi impianti difensivi: “… disposti in maniera tale da costituire una

vera e propria catena, in vista uno dell’altro,dominano in posizione strategica valli e valichi… di struttura assai elementare i castellariliguri comprendono alcuni anelli di cintamurari di forma ellittica o irregolare, eretti inblocchi di pietre a secco, di solito costruite sucime già difese dalla natura su due o tre ver-santi da strapiombi o scarpate ripidissime.Alcuni castellari più ampi potevano accogliereal loro interno più nuclei abitati; altri, di pro-porzioni minori, in qualità di vere e propriefortezze accoglievano piccole guarnigioni, fos-sero esse stabili o temporanee, in vista di unpericolo imminente…”3. Ed infatti i tre “castel-lari” erano stati costruiti allineati in cinque chi-lometri e prospicienti la antichissima pistatransappenninica dalla quale poteva provenireil pericolo per la loro sicurezza.

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(3) RENATO DEL PONTE, “I Liguri – Etnogenesi di un popolo dalla preistoria alla conquista romana”, Editrice ECIGs.a.s., Genova, 1999, pagg. 176, 177.

Foto n° 16Poggio Castelluccio (sito D): uno scorcio del valloche circonda per 270 gradi le prime pendici diPoggio Castelluccio. Questa opera difensiva ed irinvenimenti ceramici sulla sua cima, confermanola funzione di antico castelliere ligure di questavetta. Si consideri poi che il fossato doveva esseremolto più profondo se è ancora oggi evidente, non-ostante la millenaria sedimentazione delle foglie edei rami scivolati dai lati.

Foto n° 17Poggio Castelluccio (sito D): frammenti ceramici adimpasto grossolano della cultura appenninico- ligu-re (sec.VIII-IV a.C.) rinvenuti in grande quantitàsulla vetta di Poggio Castelluccio.

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Tavola 10Ricostruzione ideale dell’impianto di forni della Piana degli Ossi, che ha trovato confermadalla campagna di scavi (disegno di Stefano Borelli).

6b – Le fornaci da calce di Piana degli Ossi

Abbiamo individuato anche un imponenteimpianto di sei fornaci per la produzione acatena di un ingente quantità di calce, inlocalità Piana degli Ossi, 2 km a sud del m.Bastione in adiacenza del percorso della strada. Quella che appariva meglio conservata è statariportata alla luce dalla SoprintendenzaArcheologica della Toscana, su nostre preciseindicazioni.

Foto n° 18Una fornace della Piana degli Ossi riportata allaluce. Si noti sul fondo lo spessore bianco dellacalce prodotta dalla cottura delle pietre calcaree.

Foto n° 19Piana degli Ossi (luglio 1989): la base interna dellafornace. Si notino i residui carboniosi nel fornello e,a destra, un’ingente quantità di calce viva rimastasul fondo. È in tutta evidenza, inoltre, la parte inter-na del corridoio di accesso alla fornace attraversoil quale veniva alimentato il fuoco necessario per lacottura del calcare.

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7 – I rinvenimenti a sud delpasso della Futa

Per avere la sicurezza che i rinvenimenti dellastrada fossero resti sopravvissuti della transap-penninica costruita dal console C. Flaminio,era importante acquisire le prove archeologicheche lo stesso basolato, con le stesse caratteristi-che costruttive, proseguisse oltre il passo dellaFuta, verso il Mugello. Negli anni ’90 le ricerche sono proseguite ap-punto oltre il passo della Futa. Con l’aiuto dialcuni amici di Bruscoli4, nel frattempo unitisia noi, siamo riusciti ad individuare, 3 km a sud

del passo della Futa (m. Poggione) alcuni trattidi basolato ricoperti da 80-120 cm. di terreno.Dopo alcuni anni di scavo sono riemersi baso-lati perfettamente conservati la cui presenza hadefinitivamente confermato il tracciato versoFiesole di questa strada. Nonostante la pavi-mentazione fosse sepolta anche da più di unmetro di terreno, siamo riusciti ad individuarlafacendo scavi mirati che hanno tenuto contodella fondamentale caratteristica costruttivadelle strade romane: la rettilinearità. Così spesso abbiamo centrato in pieno il baso-lato senza dispersione inutile di fatiche, comedocumentato nella fotografia.

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(4) Emanuele Stefanini ed Andrea Vignoli.

Foto n° 20Monte Poggione (sito G/2). Sotto la rigogliosa e sel-vaggia vegetazione che ricopre tuttora il valicoappenninico, nel corso di uno scavo profondo m1,20, comincia a ritornare alla luce il basolatoromano. Confidando sulla rettilinearità della strada,abbiamo individuato esattamente la posizione dellapavimentazione senza dovere spostare inutilmentenumerosi metri cubi di terreno.

Foto n° 21Monte Poggione (sito G): al termine dello scavo,quando il piano di calpestio si è asciugato, le pietredi arenaria colore grigio chiaro hanno illuminato ilsito, dando la sensazione di un gradito risvegliodopo secoli di letargo forzato sotto un metro diterra.

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Foto n° 22Monte Poggione (sito G): questa immagine evidenzia l’imponenza dell’opera stradale e la sua perfetta rettili-nearità, nonostante si trovi in luogo impervio di valico appenninico, alla quota di 800 m s.l.m..

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Foto n° 23Monte Poggione (sito G/1): il tratto di 16 m del lastricato stradale al termine degli scavi. Il bordo di destra èrimasto parzialmente coperto da resistenti ceppaie di faggio e quindi dà l’errata sensazione di non essere per-fettamente rettilineo. Due mozziconi di tronchi di faggio sono rimasti nella parte interna della carreggiata nonavendo noi voluto danneggiare il basolato nel tentativo di toglierli. (foto V. Cavara)

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8 – Caratteristiche del tracciato

Il tracciato della strada scoperta e documentataarcheologicamente è oggi percorribile per unosviluppo di circa 24 chilometri, da MonteVenere, 21 km a nord del passo della Futa, alm. Poggione, 3 km a sud di esso.I tratti pavimentati presentano caratteristichepeculiari tipiche di una strada ufficiale, quali sipossono registrare in altre strade romane giànote. Esse possono così schematizzarsi:- la strada ha una linearità spiccata e sostanzia-

le; è di crinale, ma corre circa 10-20 metri piùin basso per ripararsi dal vento;

- la larghezza è costante: m 2,40, corrispon-dente alla misura canonica romana di 8 piedi,usata ad esempio, nelle strade centuriali, maanche in altre circostanze; 8 piedi è la misuraminima per la larghezza delle strade pubbli-che, a suo tempo stabilita dalle XII Tavole,risalenti al 450 a.C..

- la pendenza è studiatamente limitata ed uni-formemente ben distribuita.

8a – Caratteristiche costruttive dei tratti“basolati”

Da uno scavo in sezione della pavimentazione siè potuto accertare la tecnica costruttiva adottata.Dopo aver tracciato il percorso, è stato effet-tuato uno scavo largo 3 metri e profondo 60-70cm affondandolo maggiormente a monte se ildeclivio laterale da intersecare con la strada erarilevante, onde incassare totalmente nel terrenoil manufatto in costruzione; si evitava così didover costruire sul lato a valle muri di sostegnodella pavimentazione.

La trincea è stata riempita, per uno spessore di30-35 cm, con pezzatura minuta di arenariatanto da costituire un valido letto di appoggiodel basolato ed assolvere anche alla funzione didrenaggio. Sopra di esso sono poste sui bordigrosse pietre di arenaria, prelevate da vicinecave, opportunamente sagomate per poterleaccostare perfettamente una all’altra, larghe40-50 cm ed alte 25-30 cm; sovente sonotagliate a forma piramidale rovescia affinché,penetrando nello strato sottostante, mantenga-no una perfetta stabilità. All’interno dei bordila pavimentazione è compatta anche se il pie-trame è più minuto.

Foto n° 24M. Poggiaccio (sito C): il bordo a valle della stradasi è conservato compatto e rettilineo nonostanteche, in questa posizione, percorra pendici moltoscoscese. Si noti che il basolato è incassato total-mente nel terreno senza muro di sostegno a valle.

Foto n° 25Poggio Castelluccio (sito D): uno scorcio dei baso-li ancora ben allineati che costituiscono il bordo avalle della strada.

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Se dalle vicine cave di arenaria venivano porta-te ai posatori pietre larghe e sottili, queste veni-vano messe in opera sui bordi in verticale.Molti elementi litici allungati disposti trasver-

salmente, nei tratti in pendenza, tendono a for-mare dei cordoli di deviazione delle acquefuori dalla carreggiata con funzione anche diantiscivolo.

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Foto n° 26Monte Bastione (Comune di San Benedetto Val di Sambro). I resti di una delle cave di arenaria dalla quale ilegionari romani hanno prelevato le pietre per costruire la pavimentazione della strada.

Foto n° 27Monte Poggiaccio (sito C): lo scavo ha messo in evidenza la sezione della stra-da. Le pietre della pavimentazione si presentano con la parte più stretta rivoltaverso il basso (a piramide rovescia); in tal modo si assestavano sempre megliopenetrando nello strato sottostante ed, a parità di superficie, opponevano mag-giore resistenza alle spinte che ricevevano dall’alto.

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Se si tiene conto che la larghezza del basolatorinvenuto è costantemente di circa cm 240 (8piedi romani: cm 29,76x8=cm 238,08) ed ilmateriale impiegato è profondo complessiva-mente come minimo 50 cm, si può calcolareche per ogni metro lineare di strada sono statiutilizzati circa 25 quintali di arenaria. Avendola prova archeologica dell’esistenza della stra-da basolata dal m. Bastione al m. Poggione, peruna continuità di 11 km, (1/9 dell’intero per-corso Bologna-Fiesole) soltanto in questo trat-to il peso complessivo dell’arenaria utilizzata èdi 275.000 quintali, tenuto conto che il pesospecifico di quella arenaria è di 26 quintali almetro cubo. Si tratta quindi di un opera impo-nente ed impegnativa (tanto più perché costrui-ta sul valico appenninico a 1000 m s.l.m.) chesoltanto la forza organizzativa delle legioniromane e la potenza economica di Roma pote-vano realizzare.

8b – Caratteristiche costruttive dei tratti“glareati”

Come noto i Romani nella costruzione dellestrade extraurbane utilizzavano i materiali ido-nei ad assicurare un comodo e duraturo trans-ito, tenendo conto soprattutto della geologia edelle pendenze. Se il terreno era solido e com-patto si limitavano a spianarlo ed a migliorarlostendendo pezzatura minuta di ghiaia, pietra-me etc. (strada “glareata”). Se invece il terre-no era fangoso e molle predisponevano unasolida pavimentazione, così come descritta nelparagrafo precedente (strada basolata).È evidente che ove era stata costruita la stradabasolata si può sperare di individuarla e rile-varne le caratteristiche, mentre una strada “gla-reata” è più difficile da individuare e soprattut-to potere attribuirne la costruzione ai Romani.Anche nella ricerca dei resti della “FlaminiaMilitare” sono state notate differenze dellageologia, tanto che ove erano evidenti gli affio-ramenti di calcare (per esempio da Monte deiCucchi a Monte Venere) si sono cercati resti distrada glareata e si è abbandonata la speranzadi ritrovare basolati.

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Foto n° 28Monte Poggiaccio (sito C): la sezione della pavimentazione ha evidenziato chele pietre larghe e sottili sono state posate in verticale. Su questa pietra si nota-no ancora i segni delle scalpellature fatte al momento della posa. I piccoli segnibianchi sono stati provocati da noi nell’intento di fare la sezione della pavi-mentazione.

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Ove invece tali affioramenti non erano eviden-ti sono state fatte ugualmente ricerche chehanno portato ad un sorprendente risultato inlocalità “Predosa” tra Madonna dei Fornelli eMonte dei Cucchi. Seguendo le tracce della mulattiera medioevale,che ha sempre ricalcato il percorso romano, si ènotato che il suo piano di calpestio si era incas-sato di almeno m 1,50 rispetto all’originariopiano di campagna e che, sui fianchi del fossa-to creatosi nei secoli, appariva evidente unostrato di piccola pezzatura di calcare di 50/60

cm chiaramente posto in opera dai costruttoridella strada. Questa situazione ha fatto ritenereche i Romani, in questo luogo, abbiano costrui-to una strada glareata con la loro consueta tec-nica: dopo avere scavato una trincea larga circa3 metri e profonda 60/70 cm, l’hanno riempitadi calcare minuto prelevandolo dai vicini affio-ramenti e l’hanno compattato avendo cura distendere lo strato di calcare con pezzatura piùgrossa nella parte inferiore del manufatto.Nei secoli successivi, dopo l’abbandono dellamanutenzione romana, il transito millenario deiviandanti medioevali, coincidente esattamente inquesto punto con il centro della strada glareata, ela forza dilavante delle acque, hanno creato un veroe proprio fossato lasciando in evidenza, ai lati, la“lente” del calcare posato dalle legioni romane.

Foto n° 29Tipico esempio di semplice spianamento di unaffioramento di pietra calcarea per realizzare uncomodo e solido piano stradale. Questo si trova600 m a nord della località Predosa (zona archeo-logica “E”) sul tracciato romano, ma, evidentemen-te, non è databile l’opera di spianamento. Sullosfondo la borgata “Bonacca”.

Tavola 11Località Predosa (zona archeologica “E”); sopra:rappresentazione grafica della sezione della stradaglareata al momento della sua costruzione. Sotto:sezione attuale della strada glareata.

Foto n° 30Località Predosa (zona archeologica “E”): dopocauta ripulitura del fianco laterale dell’antica mulat-tiera infossata compare uno strato di piccole pietredi calcare che segue costantemente la direzionedel tracciato, evidenti resti della strada glareata.

Foto n° 31Località Predosa (zona archeologica “E”): i resti dellastrada glareata. Si notino: 1) le pietre più grosseposate nella parte inferiore; 2) il terreno vergine sotto;3) lo strato di terra ed humus sopra, testimonianzadella millenaria sedimentazione.

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9 – Il ponte di Colombaiotto sul fiume Sieve in localitàBilancino (Barberino delMugello)

Dopo i rinvenimenti della strada al m. Poggioneabbiamo proseguito le ricerche seguendo indirezione sud la sommità del crinale che discen-de dolcemente verso il Mugello. Soltanto 1 kmdopo, però, sul quel crinale si innesta la S.S. n°65 (della Futa) che lo segue per 12 km fino alfiume Sieve. Ci è stato quindi impossibile ese-guire saggi di scavo sotto od in adiacenza a que-sto tracciato moderno, anche perché esso è fron-teggiato da case private e terreni recintati. Comunque eravamo e siamo convinti che la stradaromana abbia seguito la sommità di questo crinalefino al fiume Sieve, che scorre con orientamentoortogonale rispetto alla direzione della strada.Abbiamo quindi cercato tracce in loco di resti diun ponte, senza esito. Ci siamo documentati anchesulle fonti storiche per cogliere la notizia dell’an-tica esistenza di un ponte, ma senza risultato.Poi, nell’aprile 1994, siamo venuti a conoscen-za del casuale rinvenimento di alcuni piloni diun ponte sconosciuto, in occasione dei lavori discavo per la costruzione dell’invaso del “Bilan-cino” sul fiume Sieve. I lavori, iniziati negli anni 1990, hanno previsto lacostruzione della diga vera e propria, nonché alcu-ni viadotti sopraelevati, per assicurare la continui-tà dei collegamenti nei tratti di strada che sarebbe-ro finiti sott’acqua, una volta riempito il bacino. Sono stati eseguiti anche imponenti lavori discavo a monte della diga, per ricavare materialeutile alle opere in corso, e nello stesso tempo peraumentare la capacità del bacino. Appuntodurante l’esecuzione di queste opere, nel podere“Colombaiotto”, circa 200 metri a nord dall’at-tuale corso del fiume Sieve, nella primavera del1992 sono emersi i resti di sei pile di un pontesconosciuto lungo 100 metri. Si trovavano allaprofondità di 5-6 metri sotto il livello del pianodi campagna ove, a memoria d’uomo, sono esi-stiti soltanto campi coltivati. Alla sorpresa ditutti si è aggiunto per noi un enorme interesseche ci ha spinti immediatamente sul posto. Queireperti, anche se poco spettacolari, hanno susci-

tato in noi grande emozione perché sentivamo diavere sotto gli occhi il tassello mancante neltracciato romano da Bologna a Fiesole. La loroposizione e l’orientamento erano perfettamentecoincidenti con il percorso da noi ipotizzato nelversante mugellano, confermato proprio nel feb-braio precedente con il rinvenimento del lastri-cato a sud del valico della Futa.

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Per una analisi dettagliata dei resti di questoponte e per le relative considerazioni sull’im-ponenza di questa opera stradale rinviamoall’articolo scritto dal Prof. Vittorio Galliazzo,

docente di archeologia e di storia dell’arte grecae romana presso l’Università “Cà Foscari” diVenezia, pubblicato a pag. 232 e ss. del nostrolibro del 2000.

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Tavola 13

Foto n° 32 Ponte del Colombaiotto sul fiume Sieve (Comune di Barberino del Mugello). Visione generale dei resti delponte dalla pila VII verso la spalla sinistra superstite.

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Foto n° 33Località Bilancino (Comune di Barberino delMugello) - Giugno 1997. I resti di una pila del pontedi Colombaiotto sul fiume Sieve, riemersa in occa-sione degli scavi per costruire la diga del Bilancino,osservata da vicino da Cesare Agostini.

Foto n° 34Resti di una arcata del ponte di Colombaiotto.

Foto n° 35Bacino del Bilancino (gennaio 1999): il sole del precoce tramonto invernale lambisce con i suoi raggi l’acquadel bacino che ha già ricoperto i resti del ponte di Colombaiotto. Quel fortunato destino, che ha temporanea-mente riportato alla luce le sue vestigia, ha voluto che venisse ricoperto per sempre, quasi per rispettare ilsuo secolare riposo.

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REALTÀ E PROBLEMI PER LA RICERCADEL TRACCIATO DI UNA STRADA ANTICADIMENTICATA MA NON DEL TUTTOSCOMPARSA

Già nel libro da noi pubblicato nel 20001 ave-vamo evidenziato alcuni principii ai quali ci sideve attenere nella ricerca del tracciato di unastrada antica scomparsa, così come la FlaminiaMilitare. Riteniamo utile riportare qui tali con-cetti per fare comprendere quali sono state ledifficoltà da noi incontrate e giustificare se inalcuni tratti nella ricerca ci siamo appellatimaggiormente alla continuità logica del per-corso che non a testimonianze archeologiche.

1 - Difficoltà nella percezione di indizi nei luoghiintensamente abitati

Lo sforzo maggiore per chi vive in mezzo adestesi insediamenti abitativi ed industriali èquello di riuscire ad immaginare come potevaapparire duemila anni fa il territorio. Si deveignorare praticamente tutto quanto costruitodall’uomo, perché allora non c’era.

In zone intensamente abitate, come la valle delSieve e del torrente Carza, ed ancora di più lecolline verso Fiesole, con un reticolo di stradeche collegano grossi paesi e piccoli borghicostruiti ovunque, è molto difficile cancellaredagli occhi queste presenze che inconsciamen-te condizionano la ricerca. In particolare la pre-senza della viabilità attuale svia l’attenzione dichi cerca d’intuire il tracciato di una stradaantica scomparsa.Anche per noi è stato problematico guardarequelle valli, quelle colline, quei crinali prescin-dendo dall’intreccio di strade asfaltate e bian-che che si snodano in tutte le direzioni. È stataindubbiamente più agevole la ricerca neiboschi incontaminati del valico appenninico,percorsi per secoli soltanto da frettolosi vian-danti che nulla avevano modificato della natu-ra; essa là ci ha permesso di leggere il lontanopassato avendo lasciato intatti piccoli segnali diquella antichissima presenza nascosta.Ben diverso si è presentato a noi il territorio asud del Sieve. Avevamo abbandonato la speran-za di ritrovare prove tangibili della strada; almassimo avremmo potuto valutare l’apparte-nenza a questo tracciato di resti occasional-mente rinvenuti nel passato ed eventualmentesegnalati da guide archeologiche o da testimo-nianze locali.

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CAPITOLO V

IL PERCORSO DELLA FLAMINIA MILITAREDAL PONTE DI COLOMBAIOTTO

SUL FIUME SIEVE NEL MUGELLO AD AREZZO

A - Dal ponte di Colombaiotto sul fiume Sieve a Tagliaferro (Comune di S. Piero a Sieve)B - Da Tagliaferro a Vetta Le Croci e FiesoleC - Da Fiesole a Castel Sofia (Comune di Pelago) passando da PontassieveD - Da Castel Sofia (Comune di Pelago) ad ArezzoE - Ipotesi di un tracciato alternativo da Vetta Le Croci a Castel Sofia (Comune di

Pelago) attraverso il Ponte a Vico

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(1) CESARE AGOSTINI – FRANCO SANTI, Bologna 2000.

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Ma nulla era venuto a nostra conoscenza primadel 2000. Del resto ciò poteva essere giustifica-to se l’impianto stradale romano, in questo ter-ritorio, non avesse avuto l’inderogabile necessi-tà di una pavimentazione vera e propria, comealle alte quote del valico appenninico. Abbiamopensato che la strada, molto probabilmente inprevalenza glareata, una volta abbandonata lasua utilizzazione a lungo percorso e senza piùmanutenzione, poteva avere perso in brevetempo le caratteristiche della grande viabilità,degradandosi a strada di collegamento locale esubendo le deviazioni imposte dalle esigenzedei nuovi insediamenti abitativi.

2 – Cautele nella interpretazionedei toponimi

Abbiamo tenuto in considerazione anche itoponimi, ma con la dovuta cautela; infatti se inuno stesso luogo si sono succeduti nel corsodella storia insediamenti ed avvenimenti didiversa importanza, può essersi tramandato ilnome del fatto più recente. Come avvengono lesovrapposizioni degli insediamenti, anche itoponimi possono sovrapporsi, cosicché l’unoesclude l’altro.Per non cadere pertanto in errori interpretativioccorre individuare l’epoca esatta a cui i topo-nimi si riferiscono, altrimenti si rischia di avva-lersi di indizi temporalmente lontani fra loroche sviano la corretta ricostruzione storica.Il concetto di “temporalmente lontano” meritaun chiarimento.Come quando si scruta l’orizzonte le immaginilontane si sovrappongono e appaiono vicine fraloro, così, studiando gli avvenimenti della sto-ria antica, siamo indotti a ridurre gli spazi tem-porali, senza percepire le modificazioni verifi-catesi in quelle epoche con il decorso di 50 o100 anni. Quando pensiamo, per esempio, adun avvenimento verificatosi nel 200 a.C. o nel100 a.C., non cogliamo nella loro effettivavalenza le differenze temporali, storiche, poli-tiche ed ambientali verificatesi in quei 100anni, perché abbiamo l’impressione che, più omeno, poco sia cambiato.

Diversa invece è la percezione del decorso deltempo più prossimo. Pensando infatti oggi adun avvenimento risalente al 1900, sono passatisempre 100 anni, ma istintivamente cogliamola molteplicità degli avvenimenti che hannocontraddistinto quest’ultimo secolo e l’enormeevoluzione e le differenze maturate in tutti isettori dell’attività umana. L’appiattimentotemporale degli avvenimenti antichi, del tuttoistintivo, rischia però di dare una falsa rappre-sentazione di quelle lontane realtà, soprattuttoper quanto riguarda le modificazioni interve-nute sul territorio.Questi principi fondamentali, da tenere presen-ti nello studio della topografia antica, sono staticondivisi proprio in riferimento alle straderomane, da Giuliano De Marinis. Merita quiriportare alcuni frammenti di un suo saggiosull’argomento: “Se soffermiamo la nostraattenzione, infatti, sulle fonti letterarie relativeall’epoca “romana”, vedremo come i fatti piùantichi forse riferibili alla viabilità di quest’a-rea, di cui parla T. Livio a proposito dellacostruzione di una strada Bologna-Arezzo adopera di C. Flaminio Nepote, si pongano nelprimo ventennio del II secolo a.C.; mentre i piùrecenti, quelli descritti da Procopio nell’ambi-to di un episodio della guerra goto-bizantina(prima, peraltro, ed unica fonte per il mondoantico in cui appaia il nome Mugello comelocalità geografica), al secondo quarto del VIsecolo d.C.: si tratta, come si vede, di un lassodi tempo di più di sette secoli…. La geomorfo-logia di un territorio, è vero, condiziona forte-mente, dal punto di vista topografico, la collo-cazione delle direttrici di comunicazione, ebisogna ammettere che il mondo antico era, inlinea generale, più conservativo del nostro, mabisogna pensare a quali e quanti eventi storici,e mutazioni anche sostanziali, si siano succe-duti nell’arco cronologico sopra detto… . Sipuò forse pensare che attraverso tutto ciò unarete stradale non abbia subito modificazioni aseconda delle vicende storiche, soprattuttosocio-economiche, che coinvolgevano di voltain volta il territorio relativo?Non vanno dimenticate, infine, le catastrofinaturali … che possono essersi verificate in unperiodo così lungo: alluvioni, movimenti frano-si, terremoti, possono avere, in vari momenti,

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causato danni od interruzioni tali, su singolitratti di tracciato, da renderne impossibile, ocomunque non conveniente, il ripristino, con laconseguenza, quindi, di abbandonarlo a favoredi un percorso alternativo ”2.Non si deve, quindi, considerare uguale lasituazione degli insediamenti e della viabilitàcompresi, per esempio, nei cento anni dal 150a.C. al 50 a.C., quando invece le modificazionisono state enormi e devono essere consideratenella loro cronologia. Ecco perché un toponi-mo deve essere indagato per cercare non sol-tanto il motivo locale che ha tramandato quelnome, ma anche per essere correttamenteinquadrato nel momento storico della sua origi-ne, onde trarre spunti certi per l’esatta ricostru-zione cronologica del territorio.Un esempio chiarisce questo concetto. I topo-nimi “Terzolle”, “Quarto”, “Quinto”, “SestoFiorentino”, “Settimello” etc., di attuali locali-tà vicine a Firenze, che si snodano in direzionedi Barberino del Mugello, sono stati ritenutigiustamente da tutti gli studiosi di origine“miliaria” e, quindi, considerati rivelatori di uncoincidente tracciato romano verso l’Appenni-no. È però discutibile identificare questo trac-ciato con la prima transappenninica costruitadai legionari romani, senza avere preliminar-mente accertato il momento e le motivazionistoriche della nascita di quei toponimi che sonoriferibili, invece, ad una strada costruita, dato ilsuo tracciato, in epoca successiva alla fonda-zione di Firenze, cioè più di 130 anni dopo.Evidentemente questi toponimi sono giuntifino a noi perché il secondo tracciato si è per-petuato più a lungo sostituendo il primo, ormaiabbandonato e caduto nell’oblio.

3 – Le ricerche dal ponte diColombaiotto sul fiumeSieve a Fiesole primadell’anno 2000

Già prima del rinvenimento del ponte (anno1994) avevamo esplorato le colline a sud delfiume Sieve cercando di intuire la prosecu-zione del tracciato romano verso Fiesole. Lefonti storiche antiche menzionavano con-cordemente l’esistenza di estese paludinella valle del f iume ad est del Bilancino.Era intuitivo, quindi, che il percorso romanole avesse evitate salendo verso le colline diS. Giovanni in Petroio e del Trebbio.Dopo il fortuito rinvenimento del ponte, pro-prio nella posizione ove ci aspettavamo chefosse stato costruito, si sono dissolte le ultimeriserve sulla prosecuzione rettilinea della stra-da. Ci siamo dedicati con ottimismo alla ricer-ca del tracciato verso Fiesole, osservando l’o-rografia senza lasciarci influenzare dalle stra-de e dalle costruzioni oggi esistenti.La mancanza di toponimi itinerari sicuramen-te coevi alla prima metà del II sec. a.C., e dirinvenimenti archeologici certi nel territoriocompreso fra il ponte di Colombaiotto eFiesole, ci aveva costretto ad affidarci unica-mente alla minuziosa esplorazione del territo-rio, cercando di intuire quale poteva esserestato il tracciato della “nostra strada”, in rela-zione alla morfologia del paesaggio. Abbiamoimmaginato quelle colline e quelle valliboscose, selvagge e prive di insediamenti abi-tativi di qualche rilievo, con un intreccio disentieri ed attraversate da una unica stradaetrusca che collegava Fiesole con Felsina.Ed ancora più selvaggio ha immaginato ilMugello lo storico toscano dell’Ottocento,Lino Chini quando, nei secoli precedenti ladominazione etrusca e la conquista romana,quel territorio era abitato prevalentementedai Liguri Magelli. La sua immaginariadescrizione è talmente viva e poetica che

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(2) GIULIANO DE MARINIS: La viabilità romana nel Mugello, in Strade fra Val di Sieve e Romagna - storia e archeo-logia pubblicato nel 1995 a cura del Gruppo Archeologico Dicomanese.

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merita di riportarla in nota3. Dopo questaepoca buia riteniamo che soltanto con gliEtruschi la viabilità abbia assunto una valen-za transappenninica. Nella ricerca a sud del ponte di Colombaiotto,era logico seguire il tracciato più rettilineo.Ci eravamo convinti che i Romani, attraversatoil fiume Sieve in corrispondenza di quel ponte(quota 233 s.l.m.), avessero proseguito dirittosalendo a S. Giovanni in Petroio (quota 372s.l.m.) fino al Trebbio (quota 435 s.l.m.) ridi-scendendo a Tagliaferro (quota 250 s.l.m.)nella valle del torrente Carza. Praticamente lastrada in sei chilometri saliva e discendeva dicirca 200 metri, con pendenza media del6,45%. Questo primo tratto (ponte di Colomba-iotto – Tagliaferro) ci aveva convinto; maggio-ri dubbi avevamo avuto nella individuazionedel percorso verso Fiesole. Con doverose riser-ve quindi avevamo ipotizzato un tracciato checosteggiava il torrente Carza fino a Fontebuo-na, saliva a Pratolino e seguiva l’attuale S.S. n°65 fino alla località Il Cionfo, scendeva al tor-rente Mugnone e risaliva a Fiesole.Quest’ultimo percorso però non ci aveva convin-to, tanto che negli anni successivi abbiamo piùvolte raggiunto Fiesole seguendo un altro trac-ciato; abbiamo effettuato accurate prospezioni disuperficie e saggi di scavo seguendo un tracciatosostanzialmente rettilineo, che da Tagliaferro

attraversa subito il torrente Carza e risale il ver-sante opposto fino a Vetta le Croci e Fiesole.Nei paragrafi A, B, C e D di questo capitolo,corrispondenti ai quattro tratti del percorsofino ad Arezzo, illustriamo dettagliatamente irisultati dei nostri studi che abbiamo portato atermine con la collaborazione di nostri amicifiorentini4.

4 – Le ricerche dopo l’anno 2000

A - Dal ponte di Colombaiotto sul fiumeSieve a Tagliaferro (Comune di S. Piero aSieve)

Dopo l’anno 2000, non soddisfatti degli indizigià riscontrati, abbiamo ripreso le ricerche tra ilponte di Colombaiotto (Sito A) e Tagliaferrosperando di trovare qualche traccia del basolatoromano. Il percorso da noi già individuato eraindubbiamente il più aderente ai principicostruttivi delle strade romane: si snodava nelladirezione voluta con andamento rettilineo e col-legava le due località con la distanza più breve,superando con comodità la collina del Trebbio.Permetteva inoltre sia di evitare le paludi alloraesistenti ad est del ponte nella valle del Sieve,sia di dominare il territorio attraversato.

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(3) LINO CHINI: Storia antica e moderna del Mugello, Vol. I, Firenze 1875. Copia anastatica Multigrafica Editrice,Roma 1969, pagg. 54 e 55: “…Con dolce trasporto di patrio affetto io numerava i suoi turriti castelli, i suoi tem-pli, le sue ville, i suoi bianchi casali, i suoi bei campi e vigneti, non senza ringraziare il cielo d’avermi fatto nasce-re in sì ricca non men che bella e felice contrada, per antiche geste e per uomini grandi famosa, e pel carattere one-sto, pacifico, industrioso de’ suoi abitanti degnissima d’onoranza e di affetto. Allorquando dopo un vario succedersiin me di patrie memorie, d’immagini e di affetti, un’antica possente idea mi fulgurò alla mente e con tenace irresi-stibile forza a sé mi avvinse e mi tenne. Profondandomi in essa, ecco a un tratto, siccome in grande lucidissimospecchio, veggo il Mugello addivenire una deserta valle ingombra di orrore e di pauroso silenzio. I suoi castelli, lesue chiese, i suoi villaggi, i suoi casolari spariti, dileguati affatto: de’ tanti suoi ben culti vigneti, ridenti campi, bel-lissime strade, amene rive, ombrosi viali … più nulla; e in quella vece folte e nere boscaglie all’intorno, e profon-do lago di acque nel mezzo, su cui aquile selvagge, falchi e corvi rapaci roteando per l’aria, squassavano le penne,mentre fiumi rovinosi giù scendendo dai monti sturbavano e rimescolavano con rauco fremito la bassa torbiera.Volgo lo sguardo all’intorno, e le più alte vette de’ monti appaiono ammantate di nevi e di ghiacci, e i minori poggidegradanti giù fino alla valle, presentano incominciati disboscamenti presso a rozze ed umili capanne, intorno allequali errano mandrie di bufali e di vacche, e pochi e rari individui aventi figure più di fiere che d’uomini, cinti ilombi d’irsute pelli, irti il crine, con tetro sguardo, con piglio feroce. – Cotal m’apparve in quell’ideale visione ilMugello, e siffatto quadro restommi si fisso nella memoria, che ancora, dopo 18 anni, mentalmente lo vedo e mi stasempre dinanzi. Chiamisi pure, se vuolsi, visione poetica, sogno fantastico o cosa simile: io son d’avviso però averaccennato a fatti molto prossimi al vero, e che al tempo dei Liguri Magelli la nostra contrada fosse anche in piùorrido aspetto e in peggior condizione di quella che ho immaginata e descritta”.

(4) Trattasi di Mauro Bacci di Sesto Fiorentino ed Alberto Facchini di Firenze.

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PONTE DI COLOMBAIOTTO

FIESOLE

AREZZO

BOLOGNA

A

B

CASTEL SOFIA (PELAGO)

D

PASSO DELLA FUTA

Tavola 14

Percorso della Flaminia Militare da Bologna ad Arezzo

tratti A - B - C - D dal ponte di Colombaiotto ad Arezzo

AR

NO

AR

NO

SI E

VE

CA

RZ

A

C

TAGLIAFERRO

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PONTE DI COLOMBAIOTTOsito A

SieveSieve

sito B

sito C

sito D

sito ECarza

sito F/1sito F/2

Tavola 15

Percorso della Flaminia Militare dal ponte di Colombaiotto a Tagliaferro

Luoghi del rinvenimento di basolati romani

Luogo ove si trova l'antica "edicola"

(I.G.M. Autorizzazione n.5034 del 13-07-1999)

S. GIOVANNI IN PETROIO

C. ROTONA

C. DOCCIOLI

TREBBIO

C. RODILOSSO

C.SE CANNETO

TAGLIAFERRO

C. BRIANO

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Abbiamo quindi ripreso con più determinazionele ricerche di indizi sul teorico asse rettilineodella viabilità romana, cercando di non farci con-dizionare dalla viabilità moderna che spesso haun andamento curvilineo per ridurre le pendenzeo per collegare località soltanto oggi esistenti.Così applicando il principio della “linea dimira” ci siamo trovati spesso a percorrere stra-de campestri apparentemente al servizio di pic-coli trasporti locali.Quando ci siamo imbattuti in una traccia cam-pestre che si trovava sull’allineamento dellastrada ricercata, abbiamo scandagliato minuzio-samente il terreno per cogliere l’indizio dellapresenza di minimi resti di basolati. Sarebbestato indubbiamente più probabile trovare restisuperstiti della pavimentazione fuori dalle stra-de moderne anche se poco frequentate e nonancora asfaltate. Non abbiamo invece tenuto inconsiderazione quei tratti selciati che erano evi-dentemente estranei alla direttrice voluta.Tenendo presente questi principi abbiamo subitonotato che dalla sponda destra del Sieve, in esattadirezione del ponte ritrovato, partiva una stradinabianca rettilinea in salita che arrivava a S.Giovanni in Petroio5. Poteva questo essere il per-corso romano che dal ponte di Colombaiotto siportava rapidamente sul culmine della collina oveoggi c’è la chiesa di S. Giovanni in Petroio (quotam 333); una salita breve, di soli 1300 metri conuna pendenza del 10%, del tutto accettabile.Convinti che quella era la direzione giusta,abbiamo proseguito le ricerche verso sud cer-cando di seguire un percorso rettilineo anchequando l’attuale strada bianca carrozzabileeffettuava numerose curve.Dopo alcuni giorni di inutili sondaggi abbiamoconosciuto Rino Cecchini, l’anziano custodedel castello del Trebbio, dimostratosi profondoconoscitore dei luoghi perché discendente dauna famiglia per secoli colà residente, ed essen-do lui stesso nato e vissuto sempre al Trebbio.A lui abbiamo chiesto notizie sulla dimentica-ta antica viabilità che attraversava i campi sul-l’asse da noi cercato e con andamento rettili-neo, al di fuori della moderna viabilità.

Avendo egli inteso lo scopo della nostra inda-gine si è prestato gentilmente ad accompagnar-ci nei campi del podere “Rotona” che si trovapiù o meno a metà strada fra S. Giovanni inPetroio ed il Castello del Trebbio. In uno diquei campi, ci ha indicato l’esatto luogo oveaveva notato alcune pietre di alberese allineatesporgere appena dal terreno; le abbiamo subitoliberate dal terriccio che in parte le copriva.

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(5) Ora la sua parte iniziale è sommersa dall’acqua del bacino del Bilancino.

Foto n° 36Località S. Giovanni in Petroio (Comune diBarberino del Mugello), settembre 2004. Questastrada, discendente rettilinea da S. Giovanni inPetroio in direzione del ponte di Colombaiotto (SitoA), ricalca probabilmente il tracciato romano; sulladestra si intravede la diga del Bilancino.

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Seguendo il loro allineamento abbiamo indivi-duate altre pietre larghe 50 – 60 cm, posiziona-te in perfetta linea retta, che evidentementeerano i bordi superstiti di una importante anti-ca strada pavimentata (Sito B). Essi erano quasiin superficie per la scarsa sedimentazionedovuta alla pendenza del terreno; per le lorodimensioni e la messa in opera ad arte, dimo-stravamo la loro ascendenza all’epoca romana6.La direzione nord-sud di questo basolato, inasse perfetto con l’ipotizzata provenienza dalponte di Colombaiotto e diretto a Tagliaferro,ci ha persuaso di avere trovato una conferma

del tracciato della Flaminia Militare. Ci siamoallora soffermati a lungo ad osservare attenta-mente i campi a sud di questo rinvenimento.A circa 500 metri in località Cà Doccioli (quota402) ha attirato la nostra attenzione un manu-fatto costruito prevalentemente in mattoni nelquale una piccola nicchia custodiva l’immagi-ne della Madonna (Sito C). Si tratta della tipi-ca “edicola” edificata dai devoti per indicare ladirettrice principale in un bivio.

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TREBBIO

Tavola 16

Località Il Trebbio (Comune di S. Piero a Sieve).In questo dettaglio cartografico si può notare che il sito B (basolati) e sito C (edicola) si trovano su un tracciato pressoché rettilineo da S. Giovanni in Petroio al Trebbio, prescindendo dalla attuale viabilità carrabile che effettua molte curve. (Rilievo di Mauro Bacci).

Tracciato della Flaminia Militare

Viabilità carrabile moderna

Viabilità carrabile attuale coincidente con la viabilità romana.

S. GIOVANNI IN PETROIO

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(6) In questa posizione abbiamo riportato alla luce soltanto poche pietre del bordo della strada, ed anche nei tratti più asud, ma sono stati sufficienti per riconoscerle identiche a quelle prime pietre rinvenute dal 1979 al 1999, a nord e asud del passo della Futa (vedasi foto). Allora, abbiamo avuto la forza di scavare manualmente scoprendo i basolatidella strada in tutta la loro larghezza di m 2,40 e per una lunghezza alle volte di 20, 30, 50, 60 m. Nel 2004, venti-cinque anni dopo la prima scoperta, all’età di 67 e 75 anni, non abbiamo avuto più l’energia necessaria per farealtrettanto e, quindi, ci siamo dovuti accontentare di riportare alla luce soltanto alcuni bordi, comunque sufficientiper confermarci l’ascendenza romana della pavimentazione.

Foto n° 37 Podere Rotona, località il Trebbio (S. Piero a Sieve),settembre 2004, Sito B. Franco Santi e FrancoBacci al lavoro per scoprire i basolati ancora inter-rati (direzione nord).

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Foto n° 39Monte Bastione (Comune di Firenzuola), agosto1979. I primi bordi della strada romana individuatinel lontano agosto 1979 sotto una rigogliosa vege-tazione di felci.

Foto n° 40Località Il Trebbio (Comune di S. Piero a Sieve),settembre 2004, Sito B. Cesare Agostini sui bordidel basolato rinvenuto nel podere Rotona (direzio-ne sud). Si noti sullo sfondo il castello del Trebbio el’attuale strada bianca carrozzabile nella quale siimmette, al termine della discesa rettilinea, la stra-da basolata.

Foto n° 38Località Il Trebbio (S. Piero a Sieve), settembre2004, Sito B. Basoli del bordo della strada larghicirca 50-60 cm nel campo del podere Rotona (dire-zione nord). E’ evidente l’estrema somiglianza conil bordo appena scoperto della pavimentazionedella Flaminia Militare riportata alla luce al MonteBastione nel 1979.

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Nulla di così eccezionale, visto che alle volte siincontravano, e si incontrano ancora, sulle stra-de secondarie o già abbandonate a testimonian-za di un antico percorso. Questa però la distin-gue dalle altre per tre motivi:1. si trova all’inizio di un campo ove non si

vedono più i resti di una mulattiera o di unsentiero;

2. la parte anteriore è orientata verso ovest edinvece la strada bianca attuale effettua unadeviazione verso est;

3. il materiale utilizzato per la sua costruzioneè costituito da pietre di alberese (nel basa-mento) e da mattoni; fra di essi abbiamonotato alcuni mattoni di spessore superioreagli altri che ci hanno fatto ritenere essereframmenti di mattoni “manubriati” romani.

L’orientamento della parte anteriore verso ovest,ove non si potevano scorgere tracce di una pas-sata viabilità, ci ha fatto ritenere che fosse moltoantica, costruita su una strada a suo tempo moltofrequentata, ma da secoli abbandonata. L’abban-dono di questo percorso deve risalire a tempi im-memorabili in quanto oggi quel campo è diven-tato proprietà privata recintata come dimostratodalla fotografia.Abbiamo constatato che l’edicola si trova sull’i-deale prolungamento rettilineo dei basolati rinve-nuti 500 metri più a nord e, quindi, ci confermache era stata costruita a conforto dei viandantiche percorrevano nei secoli scorsi la mulattiera,probabilmente ricalcante il tracciato romano.Questa “edicola” non costituisce certamente unaprova dell’esistenza della strada romana, ma unindizio per seguire il suo tracciato soltanto per-ché si trova allineata a basolati trovati poco più anord e poco più a sud. Non riteniamo infatti chedalle semplici presenze di monasteri, pievi odaltri edifici religiosi, si possa trarre la prova chela strada costruita dal console romano sia passa-ta da quei luoghi, senza avere anche sicure testi-monianze archeologiche lungo quel percorso.

Foto n° 41Podere Doccioli, 400 metri a nord del Castello delTrebbio (S. Piero a Sieve), settembre 2004, Sito C.Questa “edicola” con l’immagine della Madonna sitrova fuori dai percorsi moderni in un campo agri-colo recintato dalla proprietà. Il manufatto, in alli-neamento con i basoli rinvenuti poco più a nord epoco più a sud, testimonia l’antichissimo passag-gio, in adiacenza, di una importante strada oratotalmente scomparsa. All’orizzonte si intravede ilpasso della Futa.

Foto n° 42Una foto ravvicinata dell’antica “edicola”; si puònotare che sono stati utilizzati anche mattoni dimaggiore spessore tipici dei laterizi romani.

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Con maggiore impegno abbiamo allora prose-guito le ricerche a sud del Trebbio7, seguendol’attuale strada rettilinea diretta a Rodilosso,convinti, per il suo andamento, che avesse ri-calcato sostanzialmente il percorso della stradaromana. In questa località l’attuale strada car-rabile svolta a sinistra verso Spugnole e,seguendola, siamo stati sviati avendo abbando-nato senza motivo il principio della rettilineari-tà da noi sempre considerato.A questo errore hanno rimediato gli amiciMauro Bacci ed Alberto Facchini i quali, par-tendo da Tagliaferro ci sono venuti incontroscrutando attentamente il territorio appuntofino a Rodilosso.Essi hanno notato in questa località tracce di unvecchio selciato che proseguono in linea rettaproprio dove la strada attuale svolta a sinistraverso Spugnole. Hanno allora seguito l’allinea-mento indicato da quei selciati giungendo aCanneto, oltre il quale hanno individuato unavecchia strada campestre rettilinea diretta aTagliaferro.

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Foto n° 43L’attuale strada bianca carrozzabile rettilinea cheverosimilmente ricalca il tracciato romano sull’alli-neamento del tratto basolato. All’orizzonte si vede ilcastello del Trebbio.

Foto n° 44Il Castello del Trebbio (Comune di S. Piero a Sieve).

Foto n° 45Località Rodilosso (Comune di S. Piero a Sieve),ottobre 2007. Fievoli indizi del bordo sinistro di unantico selciato che prosegue in linea retta a diffe-renza della strada moderna che svolta a sinistra.(Foto Alberto Facchini).

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(7) Abbiamo già ricordato il ritrovamento di una stele etrusca incastonata nella parete di una torre del Castello delTrebbio, a testimonianza della presenza etrusca su questo tracciato. Per maggiori notizie vedere il capitolo III, par.3° ove abbiamo pubblicato anche la foto.

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Seguendola hanno scorto (400 metri a nord diTagliaferro) alcune pietre di alberese allineateche hanno fatto intuire essere i bordi di unastrada basolata (Sito D). Ci siamo recati sulposto ed abbiamo riportato alla luce altre pietreche hanno confermato la loro appartenenza aduna strada antica importante, proprio come ilbasolato rinvenuto da noi 3 km più a nord nelpodere Rotona. Proseguendo nelle ricerche,300 metri più a sud verso Tagliaferro, sempresulla stessa strada campestre rettilinea, hannoindividuato altri resti di selciato (Sito E).Volendone verificare la continuità, hanno ripu-lito dall’erba un ulteriore metro quadro di car-reggiata riportando alla luce una grossa pietradel basolato che per dimensione e forma fapensare ad una sua ascendenza romana.

Foto n° 46Località Canneto (Comune di S. Piero a Sieve).Ottobre 2007. Un tratto rettilineo dell’antica carra-reccia che dal Trebbio scende verso Tagliaferro(Foto Mauro Bacci).

Foto n° 47Località Tagliaferro (Comune di S. Piero a Sieve),ottobre 2007, Sito D. Il bordo della strada rinvenutoa nord di Tagliaferro a confronto con il bordo dellavia Salaria.

Foto n° 48Crepidine sinistra della via Salaria antica dopo ilchilometro 53 (tratta da “Strade romane, percorsie infrastrutture” del prof. Lorenzo Quilici del-l’Università di Bologna. Estratto: la via Salaria daRoma all’alto Velino. Casa ed. L’“Erma” diBretschneider, pag. 103).

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Foto n° 50Località Tagliaferro (Comune di S. Piero a Sieve),ottobre 2007, Sito D. Successivi scavi hanno por-tato alla luce la continuità del bordo della stradada attribuirsi ai Romani.

Foto n° 51Tagliaferro (Comune di S. Piero a Sieve), agosto 2011, Sito D. Da sinistra Oscar Orlandi, Franco Santi eAlberto Facchini impegnati a riportare alla luce il basolato romano 400 metri a nord di Tagliaferro.

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Foto n° 49Località Tagliaferro (Comune di S. Piero a Sieve),ottobre 2007, Sito D. Alcune pietre appartenential bordo della strada antica basolata rinvenuto afianco di una strada campestre. Si noti l’estremasomiglianza con il basolato romano di monteBastione (foto 39).

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I nostri rinvenimenti quindi e quelli dei nostriamici fiorentini sono complementari e compro-vano l’esistenza di un unico contesto stradalemolto antico. Si conferma così la prima ipotesiformulata nel libro pubblicato nel 2000, quan-do abbiamo intuito che il percorso romano,valicato il fiume Sieve, avesse proseguitosalendo al Trebbio e fosse ridisceso fino a Ta-gliaferro, intersecando in linea retta l’attualestrada bianca carrozzabile ove questa effettuacurve e deviazioni.

B – Dal Tagliaferro a Vetta le Croci e Fiesole

Osservando attentamente l’orografia e la idro-grafia del territorio, abbiamo preliminarmenteconfrontato i due percorsi più sensati che sipotevano seguire per arrivare a Fiesole daTagliaferro, sia in riferimento alla lunghezzache all’altimetria.

Consultando la planimetria (Tav. 17) si ha l’i-dea precisa delle due ipotesi di percorso con lelocalità attraversate e dalla altimetria si posso-no verificare i rispettivi dislivelli da superare ela distanza tra Tagliaferro e Fiesole.Constatiamo che i due percorsi sono pressochéequivalenti. Il percorso B (via Fontebuona –Pratolino - Trespiano) è più breve di chilometri1,4, mentre il percorso A (via Bivigliano, Vettale Croci, Montereggi) presenta un minore disli-vello di 138 m. Tuttavia il motivo che ci ha fattodecidere di ricercare le tracce della strada sulpercorso A è essenzialmente di natura strategi-co-militare. Infatti siamo convinti che i Romaninon abbiano costruito la strada nel fondo valledel torrente Carza, per evitare di essere vittimedi facili agguati da parte dei nemici Liguri nonancora totalmente debellati.Essi hanno preferito attraversare subito il torren-te e risalire sul versante opposto fino al crinaleseguendolo in leggera discesa fino a Fiesole.Questo percorso ad ampia visuale poteva siadominare il territorio, sia controllare la stradaproveniente da Bologna che scendeva dalle col-line del Trebbio. Indubbiamente questi vantaggi,uniti al minore dislivello da superare, hanno lar-gamente compensato la maggiore lunghezza diun solo miglio. Del resto è molto probabile chei Romani abbiano seguito una preesistente stra-da etrusca che da Felsina si dirigeva verso ilMugello ed oltre verso sud fino a Fiesole.

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Foto n° 52Località Tagliaferro (Comune di S. Piero a Sieve),ottobre 2007, Sito E. I resti dell’antica strada baso-lata proseguono sotto il manto erboso della stradacampestre che discende rettilinea verso Tagliaferro.Sullo sfondo si vede la S.S. n. 65 della Futa (fotoAlberto Facchini).

Foto n° 53Località Tagliaferro (Comune di S. Piero a Sieve),ottobre 2007, Sito E. Foto ravvicinata di una dellepietre riportata alla luce sotto un sottile strato dihumus, che per la sua grande dimensione, fa pen-sare appartenere ad una strada basolata di ascen-denza romana (foto Alberto Facchini).

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Tavola 17

Tracciato A

Due ipotesi di percorso da Tagliaferro a Fiesole

Tracciato B

CA

RZ

A

TAGLIAFERROC. BRIANO

BIVIGLIANO

VETTA LE CROCI

MONTEREGGI

TREBBIO

TRESPIANO

PRATOLINO

FONTEBUONA

VAGLIA

FIESOLE

MU

GN

ON

E

Che su questo stesso tracciato esistesse una stra-da etrusca è confermato da Francesco Niccolainei suoi scritti del 1914: “Più di una strada etru-sca, traversava la regione [il Mugello] il cuitracciato venne poi seguito dalle vie militariromane. La Via dei Bosconi, che da Fiesole per

TAGLIAFERRO

Tavola 18

Il percorso della Flaminia Militare da Tagliaferro a Fiesole

PINZIBERTI

BADIA DEL BUONSOLLAZZO

C. ALTARE

BIVIGLIANO

POGGIO CAPANNE

SALETTA

BACCANO

MONTEREGGI

TORRE DI BUIANO

ACQUIRICO

BRIANO

A R N O

CA

RZA

FIESOLE

VETTA LE CROCI

MONTE SENARIO

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Montereggi sbocca oggi nella Faetina all’Olmo,segue il percorso di una antichissima etrusca.Perché se una via esistette che univa Fiesole,sede della lucumonia cui il Mugello soggiacque,con Felsina, oltre Appennino, questa doveva purtraversare la valle.”8.Convinti di seguire il percorso giusto abbiamoiniziato le ricerche partendo da Tagliaferro erisalendo il versante opposto verso Briano.Quel territorio da esplorare però è compreso inuna grande fattoria privata il cui accesso carra-bile è chiuso da un cancello. Ci siamo rivoltiquindi al proprietario9, per avere l’autorizza-zione all’accesso e per fare eventuali saggi.Egli si è dimostrato molto interessato ai nostristudi storico-toponomastici e ci ha concessoampia libertà di ricerca partecipando alcune

volte di persona, dandoci anche preziose indi-cazioni sulla antica viabilità campestre. Un primo indizio è stato da noi percepito anord est della casa Briano ove due lunghi filaridi alberi perfettamente rettilinei, dividono icampi coltivati; fra i due filari, distanti l’unodall’altro circa 4 metri, si intravvedevano, frauna incolta fascia di arbusti, numerosi sassi divarie dimensioni, evidentemente gettati in quelluogo per liberare i campi da coltivare. Questasituazione ci ha fatto pensare che delimitasserouna antica strada. Per verificare ciò abbiamospostato tutti i sassi che evidentemente costi-tuivano una semplice discarica e, finalmente,sotto uno strato di terriccio abbiamo trovatonumerose grosse pietre ben posizionate, cioèuna pavimentazione vera e propria (Sito F).

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__________________________________

(8) FRANCESCO NICCOLAI: Mugello e Val di Sieve – Guida topografica storico – artistica illustrata, Borgo S.Lorenzo 1914, Ristampa a cura della Multigrafica editrice, Roma 1974, pag. 140.

(9) Il proprietario della fattoria ci ha dato prova della sua cortese ospitalità invitandoci più volte a pranzo nella sua casa.Per tutto ciò vogliamo qui esprimere la nostra riconoscenza e ringraziamento.

Foto n° 54Località Briano (S. Piero a Sieve), aprile 2010. Il lungo filare di alberi rettilineo che divide i campi nella fatto-ria di Tagliaferro vicino all’antica casa colonica di Briano che si scorge sulla destra. (Foto Alberto Facchini).

SITO D

SITO E

SITO F/1SITO F/2

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Si è potuto così constatare che questa pavimen-tazione è più elevata rispetto ai campi contigui.Ciò dimostra che la pavimentazione è moltoantica in quanto essa è rimasta alla quota delmomento della sua costruzione, mentre i campicontigui, nel corso dei secoli, per la periodicaaratura e l’erosione delle acque si sono pro-gressivamente abbassati. Né si può ritenere chesi tratti di una mulattiera medievale, avendo noipiù volte dimostrato che le mulattiere, nelcorso dei secoli, si abbassano rispetto al pianodi campagna tanto da costituire dei veri e pro-pri fossati, in specie in un percorso in penden-za come questo. Una conferma della continuità di questa stradapavimentata l’abbiamo avuta effettuando una

seconda ripulitura 100 metri più avanti. Colàabbiamo rinvenuto una pavimentazione par-zialmente dissestata, ma costituita da grossepietre perfettamente squadrate anche a forma

Tavola 19

Il percorso della Flaminia Militare Luoghi dei rinvenimenti di basolati romani (siti D, E, F/1 e F/2)

CASE CANNETO

TAGLIAFERRO

C. BRIANO

PINZIBERTI

SITO DSITO D

SITO ESITO E

SITO F/1SITO F/1SITO F/2SITO F/2

CA

RZA

Foto n° 56Località Briano (S. Piero a Sieve), agosto 2011,Sito F/1. I resti di una pavimentazione stradale rin-venuti all’interno dei due filari di alberi che si diri-gono in salita verso Pinziberti.

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Foto n° 55Località Briano (S. Piero a Sieve), aprile 2010, SitiF/1 e F/2.Tra due filari di alberi, folti arbusti ricopronoi sassi gettati dai campi. Sotto di essi sono stati rin-venuti i resti di una antichissima strada pavimentatamolto probabilmente romana (foto Alberto Facchini)

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Foto n° 57Località Briano (S. Piero a Sieve), agosto 2011, Sito F/1. Basoli portati alla luce fra i due filari di alberi; per laloro forma e dimensione sono attribuibili ad una pavimentazione romana. Gli spigoli arrotondati dimostrano ilsecolare transito di veicoli, animali e pedoni. (Foto Oscar Orlandi).

Foto n° 58Località Briano (S. Piero a Sieve), agosto 2011., Sito F/2. Il secondo scavo ha portato alla luce grosse pietresquadrate con forma piramidale rovescia che sono proprie della tecnica di costruzione delle strade romane.

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piramidale rovescia, così come da noi portatealla luce al Poggiaccio ed a Poggio Castelluc-cio, 3 – 4 km a nord del passo della Futa (veda-si capitolo IV paragrafo 5°). Si può quindiaffermare l’ascendenza romana anche di questapavimentazione, della quale sono rimasti sol-tanto alcuni resti per il probabile riutilizzo dellesue pietre nelle costruzioni locali.

Proprio per verificare questa eventualitàsiamo andati a vedere i muri perimetrali diuna antica casa colonica poco distante (locali-tà Briano). Fortunatamente il materiale utiliz-zato era ancora visibile per la mancanza diintonaco. Abbiamo così constatato che la casaera stata costruita con pietre i cui spigoli sonoancora vivi; tra di essi sono visibili grosse pie-tre i cui spigoli sono invece arrotondati inconseguenza della consumazione provocatada un loro precedente utilizzo; queste pietresono uguali per forma e dimensioni a quellefacenti ancora parte della citata vicina pavi-mentazione. Particolarmente significativa èuna pietra a forma piramidale provenientesenz’altro dal basolato.È evidente, quindi, che al momento dellacostruzione dell’antico edificio colonico, lepietre sono state prelevate dal manufatto stra-dale romano ormai da secoli in disuso. Ciò hadeterminato la scomparsa di gran parte dellapavimentazione, ma comunque la parte super-stite è stata sufficiente per dimostrare la suaascendenza romana.Sulla esatta direzione dei citati resti di basolatoprosegue la strada carrabile moderna che sidirige verso la borgata Pinziberti. In un campoarato, adiacente a questa strada, 200 metri so-pra la casa di Briano, abbiamo trovato numero-si frammenti di laterizi (tegole, coppi, anfore,

Foto n° 59Alcune grosse pietre del basolato; si noti il loro arro-tondamento conseguente al logorio del secolarepassaggio di carri, quadrupedi e viandanti, Sito F/2.

Foto n° 60Località Briano (Comune di S. Piero a Sieve),dicembre 2011. Franco Santi (a destra), con gliamici fiorentini, osserva i muri perimetrali dell’anti-ca casa colonica di Briano costruita anche con pie-tre già utilizzate per la pavimentazione della vicinaantichissima strada. (Foto Oscar Orlandi).

Foto n° 61Località Briano (Comune di S. Piero a Sieve),dicembre 2011. La fotografia ravvicinata di uno deimuri perimetrali della casa colonica di Briano mettein evidenza l’utilizzazione di molte pietre arrotonda-te negli spigoli, evidentemente prelevate dai restidella pavimentazione della strada romana pocodistante. (Foto Oscar Orlandi)

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Foto n° 62Località Briano (Comune di S. Piero a Sieve).Dicembre 2011. (Foto Oscar Orlandi). Un dettagliodel muro prospiciente la casa colonica di Brianomette in evidenza una grossa pietra a forma pira-midale sicuramente prelevata dalla vicina stradaromana. E’ evidente l’estrema somiglianza con lepietre utilizzate dai Romani nella costruzione dellastrada da noi riportata alla luce nei pressi del passodella Futa (foto 63) e con quelle della via FlaminiaRoma-Rimini costruita nel 220 a.C. (foto 64).

Foto n° 63Monte Poggiaccio: una pietra della pavimentazio-ne stradale a forma piramidale posata con la puntain basso nella pavimentazione rinvenuta a nord delpasso della Futa.

Foto n° 64Resti della via Flaminia a Carsulae vicino a S.Gemini (prov. di Terni) (da “Le strade romane inItalia” di Daniele Sterpos, “Quaderni di Autostrade”,pag. 31). Si noti la forma piramidale delle pietre.

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Tavola 20

La forma piramidale, diversamente da quella parallelepipeda, garantisce alla pavimentazione una maggiore stabilità; infatti le reazioni generate dai carichi verticali, essendo perpendicolari alle facce oblique della piramide, forniscono ad ogni pietra anche una spinta orizzontale sulle quattro facce che garantisce il mantenimento nella posizione originaria, evitando sia spostamenti laterali, sia il fenomeno del “cullamento”.

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embrici) di impasto romano che hanno attiratola nostra attenzione per la loro quantità. Abbia-mo quindi verificato se poco distante c’erano iresti di una fornace. Il caso ha voluto che nellaparte alta del campo, sia stata aperta recente-mente una strada campestre. Dallo scavo sonoemerse numerose pietre arrossate dal caloreche evidentemente costituiscono i resti dellepareti della fornace. In questo luogo meritereb-be effettuare lo scavo necessario per verificarela nostra ipotesi. Comunque, trattandosi di late-rizi romani, ben riconoscibili per forme tipolo-giche e per caratteristiche dell’impasto, la for-nace, se tale è, molto probabilmente è romana;ovviamente non si può riconoscere se di etàrepubblicana od imperiale.Dopo questi ritrovamenti abbiamo proseguitole ricerche per individuare il tracciato dellaFlaminia Militare consapevoli che in luoghiintensamente abitati nei secoli scorsi difficil-mente si sono conservate prove tangibili dell’e-sistenza di questa strada.Infatti non abbiamo individuato altri basolatiattribuibili sicuramente all’età romana (salvo

quelli trovati in località Melosa – Sito G –)forse perché, anche se un tempo esistenti,sono stati nei secoli utilizzati per altri scopiedilizi, oppure mai posati perché la geologiaera sufficientemente idonea per costruireuna stabile strada “glareata”. Pertanto nellanostra ricerca fino ad Arezzo, abbiamo per-corso il territorio seguendo una direttrice benprecisa, tenendo conto dell’andamento alti-metrico più comodo, della posizione domi-nante e dell’orientamento.

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Foto n° 65Località Briano (S. Piero a Sieve) aprile 2010.Mauro Bacci e Franco Santi sul campo ove sonostati trovati numerosi frammenti di laterizi (tegole,coppi, anfore, embrici) di impasto romano.

Foto n° 66Località Pinziberti (Comune di S. Piero a Sieve),aprile 2010. L’attuale strada bianca carrozzabileche raggiunge il borgo di Pinziberti, prosegue sulladirettrice dei basolati scoperti a Briano ed ha pro-babilmente ricalcato il tracciato romano per la suaevidente rettilinearità.

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Se nelle nostre indagini, preordinate seguen-do i canoni stradali romani, ci siamo imbattu-ti in mulattiere, antiche carrareccie abbando-nate o strade lastricate, le abbiamo considera-te come semplici testimonianze di una resi-dua viabilità antica, compatibile con il per-corso romano, tenendo conto di quei lastrica-ti soltanto come indizi del tracciato e noncome prova archeologica della sopravvivenzadi basolati romani. Sovente infatti la elemen-tare tecnica di costruzione, le modeste di-mensioni delle pietre utilizzate e i loro spigo-li non arrotondati ci hanno fatto escludereuna loro diretta ascendenza romana.Comunque quelle presenze sono state moltoutili ben sapendo che le grandi direttrici dellaviabilità medioevale o rinascimentale hannoseguito, ed alle volte si sono sovrapposte ai per-corsi romani, come da noi constatato e docu-mentato sul valico appenninico.Quindi il complessivo andamento di questaresidua viabilità ci ha aiutato ad orientare ilnostro studio seguendo il filo logico del per-corso più comodo e più rettilineo. Così è stato,

Foto n° 67Località Pinziberti (Comune di S. Piero a Sieve), agosto 2011. In primo piano la strada che da Tagliaferro (anord) sale verso Vetta le Croci e Fiesole (a sud). Con la freccia A è indicata la carrareccia adiacente alla qualeabbiamo rinvenuto i bordi della strada romana proveniente da nord (Siti D ed E). Si noti come da questo ver-sante si può tenere sotto controllo visivo un lungo tratto della strada proveniente dal Trebbio indicato con lafreccia B. (Foto Mauro Bacci)

Foto n° 68La strada inghiaiata rettilinea che tra le case colo-niche di Sodera e Roncuccio si dirige verso CasaAltare proseguendo sulla stessa direttrice del per-corso fin qui seguito. (Foto Mauro Bacci)

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per esempio, per la strada bianca attuale che daBriano raggiunge il borgo di Pinziberti. La suaperfetta rettilinearità ci induce a ritenere cheabbia ricalcato il tracciato romano.Dopo Pinziberti si può seguire una carrarecciarettilinea che porta fino alla strada asfaltatacomunale che collega la Badia di Buonsollazzo10

con Bivigliano. A questo punto la viabilitàmoderna si è sovrapposta ed ha cancellato percirca un km la viabilità antica. Quest’ultima peròsi ritrova presto adiacente ad un filare di alberiche delimita due campi tra le case coloniche diSodera e Roncuccio. Proseguendo, si arriva aduna strada campestre rettilinea fino a Casa Altare.Oltre Casa Altare si può seguire un’ampia car-rareccia che porta sempre alla stessa quota finoa Corte Chiarese, dove poco oltre scomparecausa la forte urbanizzazione abitativa e turisti-

ca del paese di Bivigliano. Ma proseguendo, ladirettrice è ricalcata dalla diritta via Roma, edoltrepassando il centro di Bivigliano, si percor-re una radura, dove, anche se non ci sono piùtracce, è facile riconoscere la direttrice versoVetta le Croci. Seguendola si arriva alla strada asfaltata comu-nale di Monte Senario. Proseguendo sul crina-le, superato Acquirico, si percorre una agevolemulattiera, che transita dal Podere Capanne edarriva a Poggio Capanne (con un’ampia vedutasul Fiesolano e del Pratomagno) poi a Vetta leCroci, ricalcando molto probabilmente il per-corso antico.Tra il Podere Capanne e Poggio Capanne, sultracciato ipotizzato, abbiamo constatato la pre-senza di una serie di basoli che formano il bordodi una consistente strada antica. Esso è stato da

Foto n° 69L’antica strada che da Casa Altare si dirige verso Bivigliano sempre rettilinea non è stata ancora distrutta e ciha permesso di riconoscere la prosecuzione del tracciato. Si notino i basoli che delimitano la carreggiata.(Foto Mauro Bacci)

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(10) In una pianta catastale del 1820 il sentiero nel bosco è ben tracciato e viene indicato come la strada per Buonsollazzo.

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noi ripulito per un tratto di 4/5 metri circa; tutta-via sia prima, che dopo si intravedono, fra l’er-ba, altri basoli che non sono stati ancora scoper-ti. Anche Vittorio Ferrini ricorda “…Sul latonord occidentale di Poggio Capanne è stato pos-sibile rilevare la presenza di una strada selciataprovvista di basolati laterali”11.Da Poggio Capanne verso Vetta le Croci abbia-mo poi individuato un selciato ricoperto dal-l’erba ai bordi di una strada campestre rettili-nea. Questi indizi sono una ulteriore prova chesu questa dorsale esisteva una antica via colli-nare sulla direttrice da noi sostenuta, confer-mata non soltanto nelle parole del Niccolai, giàriportate nelle pagine precedenti (nota 8), maanche nelle seguenti: “…Nemmeno è da tra-scurarsi un’altra tradizione, che ha molta basedi verosimiglianza, la quale vuole che le trup-pe di Radagaiso fossero nella sanguinosa bat-taglia del dì 8 Ottobre del 405 abbattute dalprode Stilicone nella località detta Le Croci,presso l’antica via militare che discendeva inMugello tra gli opposti versanti del Mugnone edel Faltona. Quivi, “sexto ab urbe milliario”,sarebbe stato in tempi posteriori un sacellum,cui sarebbe stato appunto imposta la designa-zione ad cruces per le sepolture di una quanti-tà stragrande di cadaveri.”12.Niccolai indica come luogo dello scontro fragli eserciti di Radagaiso e di Stilicone la loca-lità “Le Croci” precisando che tale località sitrovava “presso l’antica via militare chediscendeva in Mugello”.È evidente che si tratta della strada militarecostruita nel 187 a.C. dai Romani, la qualeappunto discendeva in Mugello seguendo il trac-ciato da noi illustrato e proseguiva in direzione di“Bononia” dopo avere valicato il passo della Futa.Questo episodio di guerra ci suggerisce unaulteriore considerazione a conferma del percor-so della Flaminia Militare. Infatti è inimmagi-nabile che due eserciti così numerosi potesserotransitare sulla dorsale della Vetta le Croci senon ci fosse stata una vera e propria strada agi-bile tra Fiesole e quella località.

Foto n° 70Alcune pietre del bordo della strada antica da noidissepolte sul pianeggiante panoramico crinale checollega Podere Capanne con Poggio Capanne.All’orizzonte si vede Monte Senario. (Foto AlbertoFacchini)

Foto n° 71Nella strada campestre che scende da PoggioCapanne verso Vetta le Croci si intravedono traccedi selciato ricoperto parzialmente dall’erba. Si notila posizione dominante del percorso sempre rettili-neo (foto Alberto Facchini).

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(11) VITTORIO FERRINI: La presenza umana dall’Antichità al Medioevo, in Le antiche Leghe di Diacceto, Monteloroe Rignano, Pontassieve 1988, pag. 155.

(12) Vedi nota 8.

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Un’altra notizia importante ci fornisce ilNiccolai quando ricorda che “sexto ab urbemilliario” sarebbe stato posto un “sacellum”con il nome “ad cruces” in ricordo dei nume-rosissimi soldati morti in quella battaglia.L’attuale Vetta le Croci si trova appunto a quasi9 chilometri da Fiesole, cioè 6 miglia romane.È evidente che questi fatti e queste citazioninon sono riferibili all’età romana repubblica-na, ma sono ugualmente importanti perchédimostrano che il tratto stradale in questionecontinuò ad essere importante anche nelleepoche successive. Siamo dell’opinione che i Romani provenien-ti da Bononia, una volta giunti a Vetta leCroci, probabilmente si sono trovati di frontead un bivio di strade etrusche: una che prose-guiva a destra verso Fiesole e l’altra che anda-va diretta verso Arezzo. Tenendo presente iprincipi seguiti dai Romani nella costruzionedelle strade che dovevano collegare due cittàimportanti, si è indotti a pensare che anche inquesto caso il console romano abbia seguito ilpercorso etrusco più diretto verso Arezzo tra-scurando Fiesole.In un primo momento anche noi abbiamo con-diviso questa ipotesi perché teoricamente è lapiù attendibile, tenuto presente l’interesse cheaveva Roma di collegarsi alle sue colonie con ilpercorso più breve, ed in specie a “Bononia” ,fondata appena due anni prima. Poi quando siamo andati ad esplorare il terri-torio compreso tra Vetta le Croci e CastelSofia (Pelago), ed abbiamo rilevato le distan-ze ed i dislivelli dei due percorsi alternativi,ci siamo convinti che C. Flaminio si sia diret-to verso Fiesole, anche se passando da Fie-sole si allungava il percorso di sei miglia,come risulta dallo studio comparato illustratonel paragrafo E di questo capitolo.Del resto la maggiore lunghezza è modesta, seconsiderata in raffronto all’intera distanza di180 km tra Bologna ed Arezzo (occorrevanosei giorni per percorrerla): trattasi in pratica dimeno di due ore di viaggio che valeva la pena

affrontare per avere il grande vantaggio disostare e rifocillarsi in una città come Fiesole,protetti dai nemici Liguri ancora incombenti. Si deve tenere presente poi che nel 187 a.C. traBologna ed Arezzo non esisteva alcuna altracittà sulla quale contare, se non Fiesole.Sarebbe stato del tutto insensato ed incautoproseguire verso Arezzo, dopo avere attraver-sato l’Appennino, affrontando altri tre giornidi viaggio, soltanto per evitare di camminarequasi due ore in più, ma senza potere godersiil riposo e la sicurezza che offriva Fiesole. Suquesta circostanza ci siamo allineati al pensie-ro dell’Uggeri il quale, in un recente saggio hascritto: “… Firenze, che in età imperiale avevasostituito per importanza Fiesole, alla quale sisarà invece appoggiato il console, come tappaintermedia prima di risalire il Valdarno finoad Arezzo …”13.Inoltre non si deve dimenticare che già esistevauna importante strada etrusca tra Fiesole edArezzo; essa evidentemente collegava le duecittà con il percorso più diretto e C. Flaminioha trovato comodo seguirlo partendo da Fiesolesenza dovere costruire una nuova strada.Ritornando alla individuazione del tracciatodella nostra strada, da Vetta le Croci prose-guendo in direzione di Fiesole (che è ben invista), si scende leggermente fino alla localitàIndicatorio e, ricalcando l’attuale strada comu-nale detta “Dei Bosconi”, ci accorgiamo cheviaggiamo sempre in quota e sul versante ovestdel crinale collinare (posizioni sempre privile-giate dai Romani). Si giunge così alla dorsalecollinare Passo della Catena, fino a Torre diBuiano e Montereggi. Quest’ultima località è ricordata da EmanueleRepetti come punto di partenza di un acque-dotto romano: “... Ma ciò che rende importan-te questo poggio sono le sue fonti copiose eperenni che per acquedotto sino dai tempiromani dentro Fiesole pervenivano, e che a’tempi nostri in varie piazze di Firenze a pub-bliche fontane somministrano costantementeacqua potabile”14.

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(13) G. UGGERI: La viabilità romana nel territorio di Arretium, in Arezzo nell’antichità (a cura di G. Camporeale eG. Firpo), Editore Giorgio Bretschneider, Roma 2009, pag. 227.

(14) EMANUELE REPETTI: Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana, Vol. III, Firenze 1839, pag. 500.

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Proseguendo verso Fiesole la strada passavada S. Margherita a Saletta e Baccano. ABaccano esisteva un bivio importante: in que-sta località, che si trova circa ad un miglio daFiesole, arrivava la strada etrusca che prove-niva da Arezzo e che i Romani hanno verosi-milmente seguito.

In altre parole le legioni facevano sosta aFiesole, poi riprendevano la marcia verso sudripercorrendo quel miglio che divideva Fiesoleda Baccano e seguivano la Flaminia Militareche aveva molto probabilmente ricalcato ilpercorso etrusco fino ad Arezzo.

Foto n° 72La dorsale che da Vetta le Croci degrada dolcemente verso Fiesole, evidenzia l’ampia visuale che aveva lastrada romana che percorreva il suo versante occidentale. Da quella posizione si poteva tenere sotto controllosia il percorso che risaliva lo stesso versante provenendo da Tagliaferro, sia il percorso proveniente dalTrebbio sul versante opposto.

Foto n° 73Le possenti mura di Fiesole etrusca e romana.

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C – Da Fiesole a Castel Sofia (Comune diPelago) passando da Pontassieve

Proseguendo nella ricerca dell’antica stradaverso Arezzo siamo stati facilitati dagli scrit-ti di alcuni studiosi che si sono posti il pro-blema di individuare il percorso della “Cassiavetus”, che in sostanza corrisponde a quelladella “Flaminia Militare”. Infatti abbiamogià chiarito nella premessa che i Romani ave-vano chiamata Cassia la strada che partiva daRoma (ponte Milvio) e raggiungeva Arezzo.Quando C. Flaminio ha costruito la stradaBologna-Arezzo, anche questa venne da lorochiamata Cassia considerandola una sua pro-secuzione; quindi la Flaminia Militare (danoi arbitrariamente così chiamata) non è altroche la Cassia.Questo nome poi è rimasto fino al 123 d.C.,quando l’Imperatore Adriano ha costruito unanuova strada da Chiusi a Firenze senza passa-re da Arezzo, chiamata pure essa Cassia. Alvecchio tracciato della Cassia fu alloraaggiunto l’aggettivo “vetus” per distinguere

le due strade. Volendo individuare il percorsodella strada costruita nel 187 a.C. dobbiamocercare quindi quello della Cassia Vetus,tenendo ben presente che in epoca romanaesso è stato l’asse principale di collegamentotra Fiesole ed Arezzo per ben 310 anni (dal187 a.C. al 123 d.C.) lasciando indelebilitestimonianze del suo percorso. Ciò è pacifi-camente riconosciuto dagli studiosi che cihanno preceduti.Nel 1938 Johan Plesner scriveva: “Una delledue strade di Arezzo (e forse tutt’e due) si chia-mava all’epoca romana “Via Cassia”. È pro-babile che la via più lunga, cioè l’orientale,sopra la riva destra dell’Arno per Pelago ePontassieve, che passa quasi dappertutto su unterreno relativamente facile, sia la più antica,ed è certo che essa rappresenta anche la comu-nicazione naturale, pre-romana fra le cittàetrusche di Fiesole ed Arezzo.” 15.Nel 1978 un profondo conoscitore del territorioed acuto ricercatore toscano, Alvaro Tracchi,ha scritto una monografia che ci ha guidato sututto il percorso Fiesole – Arezzo. A proposito

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(15) JOHAN PLESNER: Una rivoluzione stradale del Dugento, in “Acta Jutlandica X”, Copenaghen 1938. Ristampatoda Papafava editore, Firenze 1979, pag. 57.

SIEVE

Tavola 21

Il percorso della Flaminia Militare da Fiesole a Castel Sofi a

FIESOLE BACCANO

MONTEBENIPONTANICO

COMPIOBBI

CASTEL DEL POGGIO

MONTEREGGI

SIECI - REMOLE

PONTASSIEVE

S. FRANCESCOMONSECCO

PELAGO

PIEVE

MELOSA

PALAIE VECCHIE

CASTEL SOFIA

ARNO

AR

NO

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della “Cassia Vetus” egli scrive: “È il ramo piùantico della via consolare aperta dai romaninella valle dell’Arno dopo la conquistadell’Etruria, utilizzando in gran parte il vec-chio percorso etrusco che univa Arezzo aFiesole attraverso gli altopiani del versantedestro del fiume, lungo le pendici occidentalidel Pratomagno.” 16.Vediamo ora di seguire questa più antica stradaromana.Partendo da Fiesole si doveva ripercorrereverso Montereggi poco meno di un miglio, perarrivare al bivio di Baccano, ove la FlaminiaMilitare iniziava la discesa verso Compiobbi,arrivando alla sponda destra del fiume Arno.L’attuale strada comunale che va verso Casteldel Poggio e Montebeni quindi ricalca proba-bilmente la strada romana.Questa direttrice di crinale prosegue sulla stra-da comunale per Montebeni, fino al bivio perSettignano.Ci troviamo in un territorio da sempre moltoabitato e conseguentemente è molto difficilecogliere indizi della viabilità romana, se non ciaccontentiamo di seguire percorsi medievaliabbandonati, convinti che abbiano ricalcato lapiù antica strada.Così è per un sentiero rettilineo nel bosco dellalarghezza di circa m 2,50 individuato a lato dellastrada comunale che, passando vicino allaChiesa di Pontanico, scende a Compiobbi, ma ilsuo fondo non reca visibili tracce di pietre.Oltre la chiesa di Pontanico, all’altezza delbivio per la località Romena, si intravedonoresti di una vecchia strada ben più diritta del-l’odierna. Un tratto, fra due filari di pietre, cipermette di misurare la larghezza di 3 metri ed,a lato, una canaletta in pietra larga 50 centime-tri; più a valle la strada prosegue nel bosco, edè ancora percorsa da autoveicoli locali (peraccedere ad una zona adibita ad orti).Si è giunti così a Compiobbi, e da qui la stradaproseguiva verosimilmente sulla sponda destradel fiume Arno, ricalcando grosso modo la S.S.

n. 67 Tosco-Romagnola, e passando da LeSieci (l’antica Remole), dov’è una accertatavilla romana, raggiungeva Pontassieve. Trattasidi un percorso pianeggiante a monte dell’alveodell’Arno, e quindi senza rischi alluvionali,come invece è la sponda sinistra verso la pianadi Ripoli.Qui la strada attraversava il fiume Sieve, primadella sua confluenza nell’Arno17, probabilmen-te con un ponte ligneo.Ora si attraversa il corso d’acqua su un robustoponte di pietra costruito dai Medici nella metàdel XVI secolo; nell’alveo, poco a valle, sonovisibili i resti semisommersi di una pila delponte medievale.

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(16) ALVARO TRACCHI: Dal Chianti al Valdarno, “Ricognizioni archeologiche in Etruria 3”, Roma 1978, pag. 127.(17) Successivamente Lopes Pegna, pur sostenendo il tracciato che passava da Pontassieve, ha fatto confusione nel dire

che questo percorso attraversava la Sieve a Ponte a Vico scambiandolo per il ponte mediceo. Vedi Lopes Pegna: Lestrade romane del Valdarno, Firenze 1971.

Foto n° 74Poco a valle di Pontanico si colgono fievoli indizi diuna antica strada, circa all’altezza del bivio per lalocalità Romena. Si notino i bordi laterali del selcia-to che proseguono rettilinei rispetto alla stradabianca attuale che volta a sinistra. (Foto MauroBacci).

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Foto n° 75PONTASSIEVE. Il ponte attuale che attraversa il fiume Sieve ricostruito a metà del XVI secolo dai Medici.(Foto Mauro Bacci)

Foto n° 76Panorama sul percorso in leggera salita della Flaminia Militare dal ponte di S. Francesco alle Palaie Vecchie.(Foto di Mauro Bacci)

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Tavola 22

Il percorso della Flaminia Militare dal ponte di S. Francesco (Pontassieve) a Pieve di Pitiana Località Melosa: rinvenimento di basolato romano (sito G)

SIEVE

MONSECCO

AZZAIA

POGGINANO

PALAIE VECCHIE PONTE DI S. FRANCESCO

PIEVE

CASTEL SOFIA

MELOSA

CASELLINA DI SOPRA

DONNINI

PIEVE DI PITIANA

ARNO

PELAGO

FONTISTERNI

SITO GSITO G

VICANO DI S. ELLERO

VICANO DI PELAGO

V. D

I VIT

OR

CH

ION

I

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Passata la Sieve siamo in località S. Fran-cesco; è fondata l’ipotesi che la nostra viaabbia seguito l’attuale strada ora asfaltata chesale diritta verso Monsecco, ricalcando unpercorso etrusco che attraversava le localitàAzzaia e Le Palaie Vecchie, ed aggirava adestra il Poggio di Monsecco. Dopo aver pas-sato la località Piaggia dei Morti, così chia-mata per rinvenimenti archeologici di unanecropoli romana, attraversava la S.S. n. 70della Consuma, scendendo in direzione dellavecchia Pieve di Pelago, (scomparsa nelCinquecento, causa una notevole frana) eseguiva le attuali strade campestri passanti daPogginano e sotto Gavignano, località cherichiamano due nomi prediali latini.Dopo il guado del fosso di Vitorchioni sioltrepassa Pelagalto e, seguendo un percorso

lineare ricalcante la morfologia del terreno, siarriva al torrente Vicano di Pelago.Qui attualmente non esiste alcun ponte, mabisogna considerare che in questa zona, comein altre, il guado del torrente è abbastanzaagevole e comunque la costruzione di unponte di legno sarebbe stata senz’altro possi-bile in diverse posizioni.Dal Vicano si sale quasi diritto verso LaPieve di Pelago. Da La Pieve a Castel Sofial’antica strada è scomparsa, cancellata dagliodierni campi tutti coltivati ad olivi, ma siauna pianta catastale dell’Ottocento, sia lamemoria del proprietario del casale LePuglie, sia una carta IGM al 25.000 testimo-niano l’esistenza di questa strada. Si puòquindi intuire che il tracciato puntava in lievesalita verso Castel Sofia.

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Foto n° 77Veduta panoramica da sud del percorso della strada romana da Monsecco a Castel Sofia. (Foto Mauro Bacci)

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Questo tratto del percorso da Fiesole a Pelago èconfermato anche dal Tracchi il quale, descri-vendolo in direzione opposta alla nostra, cioèPelago – Fiesole, così si esprime: …”Al di làdel vicano di Pelago poi, l’antico itinerario èancora riconoscibile, anche se a tratti interrot-to dalle trasformazioni agrarie, presso i caso-lari di Gavignano, di Pogginano e sotto l’abi-tato di Monsecco, oltre il quale s’immette nella<strada vecchia> della Consuma che perAzzaia scende nella Sieve nei pressi di S.Francesco di Pontassieve.Oltre la Sieve, infine, la strada doveva seguirela destra dell’Arno, per Le Sieci e Compiobbi.Da questa località infatti iniziava l’ascesaverso Fiesole, mentre più tardi, dopo la dedu-zione di Florentia, un ramo fu condotto anchealla nuova colonia romana.” 18.

D – Da Castel Sofia (Comune di Pelago)ad Arezzo

A Castel Sofia siamo in crinale e la vista spa-zia su un ampio panorama, verso Melosa,Donnini, fino alla Pieve a Pitiana, cioè un trat-to del versante occidentale del Pratomagno conun’ideale prosecuzione verso Arezzo della stra-da romana Cassia Vetus, oggi chiamata deiSetteponti. Da Castel Sofia il percorso (ora scomparso,ma ben visibile sulla carta IGM al 25.000)scende nella vallata sotto Paterno per arrivarealla chiesa di S. Martino a Pagiano, poi risaleleggermente la collinetta dov’è situata Melosa,un borgo rurale dell’XI secolo trasformato invilla-fattoria rinascimentale con vista domi-nante su Donnini e Pieve a Pitiana.

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(18) A. TRACCHI 1978, pag. 131.

Foto n° 78Panorama da ovest del percorso romano che attraversa con modesti dislivelli le ubertose colline toscaneseguendo le pendici del Pratomagno alla destra dell’Arno. (Foto Mauro Bacci)

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La proprietaria di questo complesso storico ciha dato utili indicazioni di un’antica strada,diretta da Melosa verso Donnini. Infatti, pro-seguendo verso sud, sul pianoro è possibilenotare basolati della strada che attraversa dirit-ta ameni oliveti, per poi addentrarsi in ripidadiscesa nel bosco fino al torrente Vicano diSant’Ellero, con un percorso, costituito da unastrada i cui bordi sono in più punti ancora benvisibili. Questo basolato è largo esattamente m2,40 e per la tipologia della costruzione rite-niamo che siano i resti della pavimentazioneromana (Sito G).Arriviamo al torrente Vicano di Sant’Ellero,attraversato da un ponte ricostruito moderna-mente, che collega Donnini a Fontisterni.Da qui la strada prosegue salendo rettilinea aCasellina di Sopra per poi arrivare a Donnini;

l’odierna strada che porta a Pieve a Pitianaricalca probabilmente l’antico tracciato.Se alcuni storici e studiosi di topografia anticahanno proposto anche un altro tracciato roma-no nel collegamento tra Vetta le Croci ePelago, illustrato dettagliatamente nel succes-sivo paragrafo E, univoca è sempre stata inve-ce l’opinione sul percorso della Cassia Vetus(alias Flaminia Militare) tra Pelago ed Arezzo. Anche Emanuele Repetti ha condiviso questopercorso. Dopo avere ricordato la notizia tra-mandata da T. Livio della costruzione dellastrada militare da Bologna ad Arezzo ad operadel console C. Flaminio, si sofferma sullaidentificazione del tracciato tra Fiesole edArezzo sostenendo, con acuta motivazione,che il condottiero romano ha senz’altro segui-to la riva destra dell’Arno (cioè il tracciato

Foto n° 79Località Melosa, dicembre 2011 (Sito G). Basolato ben conservato ancora evidente sul percorso dellaFlaminia Militare tra Melosa ed il ponte di Fontesterni sul vicano di S. Ellero in direzione di Arezzo. Per la sualarghezza (m 2,40) e la tipologia di costruzione riteniamo che si tratti proprio della pavimentazione romana.(Foto Mauro Bacci)

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della Cassia Vetus) non potendo egli, in quali-tà di console, costruire una strada sulla rivasinistra, appartenente già al territorio romano,ove per legge il compito di costruire strade eraesclusivo dei censori. “Non starò a ripetere ciòche è noto a molti, col dire, che una più anticavia militare era stata costruita da Arezzo aBologna dal console C. Flaminio Nepote l’an-no 566, o 567, di Roma, 33 anni innanzi che G.Cassio Longino esercitasse la censura con M.Valerio Messalla, nel qual tempo si vuole chefosse aperta la Via Cassia, ch’era di là daBolsena. Forse qualcuno mi obietterà, che segià dissi all’Art. Via Aurelia, che l’aprire ed ilmantenere le strade consolari al tempo dellarepubblica romana dentro l’Italia d’allora eraufficio riservato ai censori, come poteva unconsole, o proconsole arrogarsi il diritto difare una strada militare dentro i confinidell’Italia stessa, siccome dentro la medesima,anzi nella Toscana, era compresa la cittàd’Arezzo?Ma cotale opposizione perderebbe molta forzaquando si pensasse, che all’età di C. FlaminioNepote la città di Arezzo era posta sul confinesettentrionale dell’Etruria, essendo la medesi-ma situata presso la ripa sinistra dell’Arno,limite all’ora dell’Italia romana, mentre sinoalla ripa destra dello stesso fiume estendere sipoteva la giurisdizione del console C.Flaminio, cui erano state assegnate le provin-cie della Liguria e de’ Galli …” 19.Egli rafforza questa sua opinione nella stessapagina richiamandosi al famoso discorso di M.Tullio Cicerone ed affermando che la Cassiacitata dall’oratore romano non poteva esserequella costruita dall’imperatore Adriano: “Inconclusione, che una Via Cassia passasse inmezzo alla Toscana antica, circoscritta fra ilTevere, l’Appennino, l’Arno ed il Mare, non nelascia dubbio lo stesso oratore romano, matengo opinione altresì che quella Via fosse

diversa affatto dall’altra portata da Chiusi aFirenze dall’Imp. Adriano …” 20.È peraltro evidente che l’originaria stradacostruita nel 187 a.C. ha subito nel corso deisecoli, in specie nel Medioevo ed in epocamoderna, piccole varianti dipendenti soprattut-to dal degrado del territorio, ma nel complessola sua direttrice originaria è rimasta. Ne sonotestimonianza alcuni tratti rettilinei abbandona-ti che rivelano la loro appartenenza al primoimpianto stradale.Questi modesti mutamenti sono evidenziatianche dal Tracchi il quale ricorda che la“Cassia Vetus è ancora oggi in funzione colnome di <strada dei sette ponti>; è però datenere presente che la strada attuale corrispon-de soltanto per brevi tratti a quella etrusco-romana che doveva essere più a valle e contracciato più diritto, poiché è evidente che inquei tempi le testate dei torrenti erano piùfacilmente superabili. Più tardi, a causa deglismottamenti, i corsi d’acqua si sono approfon-diti e allargati per cui si è reso necessario lospostamento di vari tratti viari o il formarsi dilunghe sequenze di curve allo scopo di attra-versare i borri nelle zone più a monte, dove ilprocesso di erosione è meno progredito.” 21.Proprio per questo motivo non è possibile oggiridisegnare tutto il preciso percorso origina-rio22 e soltanto a tratti si possono cogliere indi-zi di esso. Ci limitiamo quindi ad indicare agrandi linee il percorso della Cassia Vetus(alias Flaminia Militare).Da Pieve a Pitiana raggiungeva Cascia (vicinoa Reggello); è noto che il nome di questa loca-lità deriva da Cassia a testimonianza e memo-ria del passaggio della via consolare romana. Il percorso poi proseguiva toccando Pian diScò, Badia di Soffena e Loro Ciuffenna. Primadella valle di Loro nei pressi di Certignano sitrovava la stazione “ ad fines sive casas caesa-rianas” dell’Itinerarium Antonini 23.

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(19) E. REPETTI, Vol. V, Firenze 1843, pag. 711.(20) Ibidem.(21) A. TRACCHI 1978, pagg. 127 e 128.(22) Nel tratto transappenninico invece ciò è stato possibile con il ritrovamento del basolato romano, conservatosi per la

totale assenza di insediamenti abitativi nei successivi 2000 anni.(23) A. TRACCHI 1978, pag. 128.

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Da questa località la strada etrusco-romanaseguiva all’incirca il percorso attuale legger-mente spostata a valle arrivando a Pieve diGropina (toponimo probabilmente derivatodall’etrusco Craupania). Sempre seguendo l’at-tuale strada Dei Sette Ponti si giunge aCastiglion Fibocchi e poi al ponte a Burianoche attraversa l’Arno.Dal ponte a Buriano ad Arezzo il percorso èaccertato minuziosamente dagli studi diGianfrancesco Gamurrini e da Alberto Fatuc-chi come riferito dal Tracchi: “Il percorsoArezzo-Ponte a Buriano può ormai considerar-si interamente accertato. Il tratto iniziale fino aMontione fu rilevato alla fine del secolo scor-so da Gianfrancesco Gamurrini (NS, 1893, p.139), la sua prosecuzione fino all’Arno, attra-verso la distrutta pieve di S. Martino aGolognano (Golonianum, oggi località <GliOrtali>), è stata accuratamente illustrata dalprof. Alberto Fatucchi in un recente studio sullestrade romane del Casentino (FATUCCHI,Strade romane)” 24. Questo percorso è sostanzialmente condiviso,salvo modestissime differenze, anche daUggeri il quale ha fatto uno studio capillare delpercorso della “Cassia Vetus” da Arezzo aFiesole pubblicandolo recentemente in un sag-gio riguardante più in generale la viabilitàromana nel territorio di Arezzo. Merita quiriportare alcuni stralci della sua documentatadescrizione: “… Uscendo da Arezzo attraversola medievale Porta San Clemente la stradapuntava rettilinea verso nord-ovest, in parteperpetuata dalla medievale Via dei Sette Ponti.… L’attraversamento dell’Arno avveniva alPonte a Buriano, che prima della ricostruzionepostbellica conservava incorporate parti diquello romano, che prende nome da unAburius, forse il proprietario del fundus doveera stato edificato il ponte.Entrando nel Valdarno, la strada romana acominciare dalla Costa di Ferro correva sul-l’unghia delle colline sulla destra, ai piedi delmassiccio del Pratomagno, tenendosi perciòpiù in basso rispetto alla medievale Via dei

Sette Ponti che fu attratta progressivamentedallo sviluppo dell’insediamento d’altura.Passava così sotto Castiglion Fibocchi e soprala pieve di Pizzano. In questo tratto la sedestradale lastricata con pietra calcarea locale èstata rilevata in diversi punti fino al villaggiodel Borro e antichi ruderi sono stati segnalatisulla pendice del Monticello presso SanGiustino. … Antichi sono certamente i nomidei villaggi Baciano, Paterna e Gropina, cheha restituito materiale archeologico romano.… Interessante il toponimo Soffena che sembradi origine etrusca. La carreggiata antica conun imponente muro di sostegno è ben conser-vata in questa zona poco a valle della stradamoderna e per Granaia si giungeva aPiandiscò. … La vicina denominazione dellapieve di San Pietro a Cascia, costruita nel1073, rappresenta una chiara persistenza delnome della strada romana. … Da Donnini lastrada antica aveva un andamento diversorispetto all’attuale scendeva al Vicano diSant’Ellero e risaliva per Frontignano,Fontisterni di Pagiano e la scomparsa pieve diSan Gervasio a Sorgnano, ricordata dal pode-re Pieve. Tracce della strada antica sono statesegnalate nella zona tra Santa Lucia eAltomena, l’ultimo villaggio collinare dalquale si scendeva per attraversare il torrenteVicano di Pelago, portandosi così direttamen-te sulla sponda destra dell’Arno … Passandosotto la rupe di Monsavano si giungeva allaconfluenza della Sieve. La strada modernacorre sull’antica fino a Compiobbi, dove ori-ginariamente si lasciava l’Arno e cominciavala salita diretta a Fiesole …”25.Vogliamo infine evidenziare che questo trac-ciato si snoda prevalentemente senza pendenzesignificative se non da Fiesole a Compiobbi(dislivello di m 218) e da Compiobbi a CastelSofia (dislivello di m 316); poi l’andamento ècostante alla quota compresa fra i 326 m s.l.m.di Pian di Scò, i 319 m di Loro Ciuffenna, i318 m di Gropina, i 273 m di CastiglionFibocchi, i 209 m del ponte a Buriano ed infi-ne i 278 m di Arezzo.

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(24) A. TRACCHI 1978, pag. 128 in nota (1).(25) G. UGGERI 2009, pag. 230 e ss..

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E – Premessa all’ipotesi di un tracciatoalternativo della Flaminia Militare da Vettale Croci a Castel Sofia (Comune di Pelago)attraverso il Ponte a Vico

La nostra ricerca del tracciato della FlaminiaMilitare dal ponte di Colombaiotto ad Arezzosi è fondata soprattutto su una capillare indagi-ne del territorio percorrendolo a piedi per intui-re il tracciato che 2200 anni fa sarebbe stato ilpiù breve, il più comodo ed il più sicuro perraggiungere la meta. Una ricerca di questo tipopresupponeva però la perfetta conoscenza diquesti luoghi e la capacità di prescindere datutto quanto costruito dall’uomo in 22 secoli.Dovevamo cioè cancellare dai nostri occhi

i paesi, i borghi, gli edifici e soprattutto le stra-de che oggi si intrecciano in tutte le direzioni,puntando soltanto alla ricerca di una viabilitàscomparsa, ma coerente con la primitiva esi-genza di seguire una sostanziale rettilinearità.Poiché non conoscevamo bene quel territorio,ci siamo avvalsi della fondamentale ed entusia-stica collaborazione di due nostri amici fioren-tini, Mauro Bacci ed Alberto Facchini, cheinvece erano a perfetta conoscenza di tutti iluoghi che intendevamo esplorare.Essi ci hanno accompagnato guidandoci suipercorsi antichi ormai abbandonati riuscendo araggiungerli anche quando erano nascosti dafolta vegetazione o gli attuali confini delle pro-prietà ne impedivano materialmente l’accesso.

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BIVIGLIANO

ACQUIRICO

VETTA LE CROCI

MONTEREGGI

FIESOLE BACCANO

CASTEL DEL POGGIO

MONTEBENI

COMPIOBBI

SIECI-REMOLE

PONTASSIEVE MONSECCO

TEGOLAIA

PIEVE

S. FRANCESCO

PELAGO

MELOSA

CASTEL SOFIA

STENTATOIO

SELVAPIANA

VALLEBONA

DOCCIA

FORNELLO

S. BRIGIDAL’OPACO

PONTE A VICO

AR

NO

SI E

VE

AA

BB

Tavola 23

Percorso A: Flaminia Militare. Percorso B: ipotetico percorso alternativo.

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D’altro canto la nostra ventennale esperienza diricerca, maturata nei boschi del valico appenni-nico, è stata utile sia per escludere alcuni per-corsi, sia per valutare l’epoca di sopravvissutiselciati antichi.Queste complementari conoscenze ci hanno per-messo di raggiungere i risultati che abbiamo illu-strato in questo capitolo, individuando con moltaprobabilità il tracciato romano fino ad Arezzo.Nel corso di questi anni di esplorazioni con-giunte non sono mancate positive incertezze ediscussioni sul percorso più probabile, moltoutili perché hanno contribuito a valutare in con-traddittorio gli indizi ritrovati.In sostanza abbiamo condiviso tutto il percorsodescritto ed illustrato, salvo un tratto di circa 20chilometri compreso tra Vetta le Croci e CastelSofia (Pelago).Infatti Alberto Facchini si è convinto che C.Flaminio, una volta giunto a Vetta le Croci, abbiapuntato direttamente verso Arezzo attraversandola Sieve al Ponte a Vico, mentre noi (MauroBacci compreso) abbiamo ritenuto che il conso-le romano abbia leggermente deviato a destra pertoccare Fiesole e successivamente attraversare laSieve al ponte di S. Francesco (Pontassieve).Per cercare di dirimere questa amichevole emolto utile controversia abbiamo raffrontato

l’altimetria e la lunghezza dei due percorsi pertrarre da questi dati motivi di convincimento.È risultato che il percorso A, che tocca Fiesole,è lungo km 26 e deve superare un dislivellocomplessivo di m 1038. L’altro B, che passa dalponte a Vico, è lungo km 20,3 e deve superareun dislivello complessivo di m 1070.La differenza del dislivello è insignificante edinvece la differenza della lunghezza è di km 5,7+ km 3 (per la distanza di km 1,5 da Baccano aFiesole che si deve percorre 2 volte) e così intotale km 8,7 a vantaggio del percorso B.Anche se il percorso A è risultato più lungo noisiamo rimasti dell’opinione che il grande van-taggio di potere fare tappa a Fiesole, che si tro-vava in posizione intermedia tra Bononia edArretium, è stato largamente preminente datoche, su una distanza totale di km 180, percorri-bile in 6 giorni, si doveva marciare soltanto nonpiù di due ore.Comunque questo nostro orientamento non èstato condiviso dell’amico Alberto Facchini, ilquale ha approfondito lo studio del percorso chepassa da ponte a Vico scrivendo un argomenta-to e documentato saggio che molto volentieripubblichiamo integralmente; è un importantecontributo nella ricerca del percorso dellaFlaminia Militare.

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Ipotesi di un tracciato alternativo della Flaminia militare da Vetta LeCroci a Castel Sofia (Pelago) attraverso il Ponte a Vico

Alberto Facchini

Accompagnando gli amici bolognesi Agostini e Santi alla ricerca di un possibile tracciato della viaFlaminia militare che dalla pieve di San Giovanni in Petroio portasse verso Fiesole e Arezzo, giun-ti alla sommità di Poggio Capanne vicino a Vetta Le Croci, scrutavamo l’orizzonte limpido a sud indirezione dell’antica città etrusca, convenendo che l’attuale via dei Bosconi, culminante nell’anticaPorta Magellana, risultava a tutti il percorso più logico.Poi guardammo a sud-est in direzione di Arezzo verso i monti di Vallombrosa e Pratomagno (Foto1). Tracciando una linea immaginaria fra noi e quelle montagne, l’occhio cadde su due rilievi bosco-si in lontananza: Monte di Croce e Montefiesole. Mi ricordai allora di aver letto di una tradizione secolare nella Val di Sieve, riconsiderata in passatodal Niccolai, nella quale si narra di un tracciato stradale etrusco e poi romano proveniente da Arezzoe diretto a Fiesole “lungo l’antica via che scendeva da Diacceto e per il Ponte a Vico risaliva lacosta del Montefiesole.”1

Di conseguenza, data l’esistenza di una strada che da Bilancino portava a Vetta Le Croci, l’idea diun raccordo che proseguiva a mezza costa nella valle del torrente Sieci per ricongiungersi con l’an-tico tracciato etrusco menzionato non era da scartarsi a priori; certo non passava da Fiesole, ma risul-tava più breve per giungere ad Arezzo ed evitava inoltre l’attraversamento del torrente Sieci, pas-sando sopra la sua sorgente, posta nei pressi della pieve di Lubaco.Il Repetti ammette di non avere un’idea precisa sul percorso fino a Bologna della Via Cassia (cosìera chiamata in antichità la strada fatta costruire da C. Flaminio nel 187 a.C.), tuttavia anche lui sem-bra evitare Fiesole: “…passato il qual bacino (Arno) la via suddetta entrare doveva in Val di Sieve,per valicar l’Appennino del Mugello e arrivare a Bologna senza toccare il Val d’Arno fiorentino”; eancora alla voce “Pitiana”: “…lungo la Via Cassia che passava dalla Pieve a Cascia, la quale pro-babilmente di costa dirigevasi per la Val di Sieve a Bologna”.2

Recentemente altri autori si sono interessati a questo percorso, come lo Scotti, che asserisce di avernotato ancora oggi tra i boschi alcuni tratti della pavimentazione romana,3 e Vittorio Ferrini, studio-so e conoscitore della Valdisieve il quale, unendo notizie di recenti rinvenimenti etrusco-romani adaltre ormai note da anni, evidenzia come questi siano particolarmente concentrati nella zona delPonte a Vico e, in generale, nella direttrice Pelago-Diacceto-Montefiesole-Fornello-Lubaco ipotiz-zando un antico diverticolo stradale della “Cassia Vetus”(la medievale Setteponti) proveniente dalValdarno superiore4. In base a tali riferimenti bibliografici e alla mia personale curiosità ho iniziato un’indagine sul ter-ritorio durata alcuni mesi, talvolta assieme agli amici fiorentini Mauro Bacci e Bruno Boretti, al finedi dare un senso a questa ipotesi, anche in considerazione del fatto che prove certe sull’esistenza in

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(1) F.NICCOLAI, Guida del Mugello e della Val di Sieve, Borgo San Lorenzo 1914, p. 723(2) E.REPETTI, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, Firenze 1833 e segg., volume V, voce “Via Cassia

vecchia e nuova” e volume IV, voce “Pitiana”.(3) P.SCOTTI, Fra Arno e Sieve, Firenze 1978, p. 12 – “Di quello che fu il più antico ponte della zona restano oggi sulla spon-

da destra del fiume soltanto alcuni ruderi. Il ponte di Vico, a metà strada tra Pontassieve e Rufina, serviva l’antica strada etru-sca che da Fiesole portava ad Arezzo. La strada fu poi migliorata dai Romani che la pavimentarono in pietra nei tratti più diffi-cili come è rilevabile in alcuni tratti rimasti intatti fino ai giorni nostri, perché abbandonati nei boschi. Il ponte fu certamentedistrutto più volte dalle piene della Sieve e successivamente ricostruito, ma non si hanno notizie storiche in proposito.”

(4) V.FERRINI, La presenza umana dall’antichità al medioevo. In “Le antiche leghe di Diacceto, Monteloro eRignano”, Pontassieve 1988, pp. 88-140.

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epoca etrusco-romana del ponte di San Francesco a Pontassieve, da cui la maggior parte degli auto-ri moderni (Tracchi 5, Lopes Pegna 6 ecc.) tendono a far passare l’antica Via Cassia, non sono sup-portate né da fonti letterarie latine né da evidenze archeologiche in superficie.Oltre ad accurate perlustrazioni in loco, ho preso in considerazione i toponimi, le quote altimetriche,la linearità del tracciato e la comparazione tra le carte geografiche attuali e quelle storiche, cioè lemappe settecentesche del Paganelli sulle strade della Comunità di Pontassieve7 e le mappe delCatasto Granducale del 1820, scartando le vie e i sentieri non presenti in esse in quanto moderni.Neppure ho sottovalutato la presenza in questo tratto di un numero elevato di pievi: Pelago, Diacceto,Montefiesole, Doccia e Lubaco, la cui organizzazione sul territorio secondo il Plesner 8 viene messain relazione con l’assetto viario ereditato dall’epoca romana.Fatta questa premessa passo ad illustrare questo, ripeto ipotetico, itinerario alternativo precisandoche i vari selciati o basolati che dir si voglia presenti nelle foto, non hanno certo la pretesa di esse-re datati di epoca romana visto che tutta la zona fu molto frequentata nel corso dei secoli, ma tutta-via potrebbero ricalcarne tracciati risalenti ad essa.

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(5) A.TRACCHI, Dal Chianti al Valdarno, volume 3 delle Ricognizioni archeologiche in Etruria, Roma 1978.(6) M.LOPES PEGNA, Le strade romane del Valdarno, Firenze 1971.(7) R.PAGANELLI, Dimostrazione di tutte le strade comunitative esistenti ne’ Popoli delle due antiche Leghe di

Monteloro e di Diacceto componenti al presente la Comunità di Pontassieve, originale presso l’Archivio Comunaledi Pontassieve (1774) e in fac-simile a cura del Comune medesimo, Pontassieve 1984.

(8) J.PLESNER, Una rivoluzione stradale del Dugento, Kopenhagen 1938.

FOTO 1 - Panorama su Vetta le Croci e l’Alberaccio da Poggio Capanne. All’orizzonte i rilievi di Montefiesolee del Pratomagno. Il percorso varcava il naturale avvallamento fra l’Alberaccio e il Poggio Ripaghera.

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Ripartendo da Poggio Capanne, il percorso discendeva dolcemente verso il varco di Vetta le Croci(quota 518) per poi risalire il crinale opposto probabilmente dove adesso esiste un bacino artificialeed entrare nella Val di Sieci superando l’avvallamento esistente fra l’Alberaccio (quota 550) e l’e-strema dorsale occidentale del Poggio Ripaghera.Qui [Punto 1, TAV.1], nel popolo della scomparsa chiesa di San Donato a Ricardeto, doveva esserciun incrocio fra la strada che scende a Lubaco, ancora visibile nella vegetazione e denominata nellemappe settecentesche del Paganelli “Via che va al Borgosanlorenzo”9, e un’altra, della quale resta-no tracce di selciato, che invece puntava verso il Passo della Catena e Fiesole.Considerando dunque la vecchia strada che scendeva in Val di Sieci, si prosegue verso la medievaleTorre de Le Colonne. La strada, abbandonata e a tratti franata, presenta in vari punti tracce di pree-sistenti selciati (Foto 2) che talvolta scompaiono nei campi adiacenti (Foto 3) evitando la tortuositàdella più recente Via delle Croci all’Alberaccio.

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(9) R.PAGANELLI, Op. cit., Foglio n° 5.

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FOTO 2 – Antico tratto di strada fra Le Colonne e l’Alberaccio [Punto 2, TAV.1]

FOTO 3 – Via delle Croci all’Alberaccio. Particolare del vecchio selciato che prosegue rettilineo rispetto all’at-tuale strada bianca. [Punto 3, TAV.1]

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Lasciata dunque la duecentesca torre medievale de Le Colonne (quota 476), la strada, attraversata laprovinciale per Molin del Piano, scende verso Masseto (quota 379) con un bel selciato delimitato dauna doppia fila di cipressi (Foto 4) incrociando l’antica via, per tradizione definita etrusca, che portaa Fiesole passando da Pagnolle, San Clemente e Muscoli.10

Nei campi circostanti non è raro notare frammenti di laterizio risalenti ad epoca romana, cosa peral-tro avvalorata dal ritrovamento poco sotto la Pieve di Lubaco, di materiale vario da mettersi in rela-zione a tombe distrutte da tempo.11

Dalla Pieve di Lubaco, l’antica Alpignano, la strada prende la direzione di Santa Brigida mantenen-dosi ad una quota costante e ricalcando la provinciale fino al ponte sul Fosso Cerreta, superato ilquale ritengo che il vecchio tracciato proseguisse a sinistra verso Linari (Foto 5) e Le Lucole (daLucus, bosco sacro) dove alcune pratiche rituali, mantenutesi presso il Santuario della Madonna delSasso fino alla prima metà del ‘900, sono direttamente riconducibili ai propiziatori riti Arvali prati-cati dai centurioni romani fin dal II secolo a.C.12

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(10) V.FERRINI, Op. cit., P. 138, “Strada collinare per Fiesole”. (11) V.FERRINI, Op. cit., P. 114.(12) J.A.M. PAPI, Oratorio-Santuario Madonna delle Grazie al Sasso, una storia che inizia dal Secolo II a.C.,

Pontassieve 1989, pp.7-12. I Fratres Arvales (da Arvum, Campo) erano sacerdoti che si dedicavano al culto della Terrache nutre. A conferma della ritualità di sacrifici animali operati durante le feste agricole fino al Novecento è ancora oggi visi-bile, anche se trasformato, il locale adibito a mattatoio, cosa questa alquanto singolare nel contesto di un edificio religioso.

FOTO 4 – Grossi basoli ai bordi della strada che scende a Masseto. [Punto 4, TAV.1]

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Da Santa Brigida (quota 402) a Fornello (quota 410) è logico pensare ad un itinerario simile all’at-tuale strada provinciale per Doccia, ma molto meno tortuoso, come appare dalle vecchie carte cata-stali, sia nel varcare il torrente Fornello, che dopo l’attraversamento dell’abitato omonimo, domina-to dai resti del castello di Monte di Croce. Qui la strada proseguiva rettilinea fra i campi (Foto 6) finoalla località Lucente (quota 401), dopodichè manteneva una certa linearità puntando verso Reticagliae Tigliano, poste nei dintorni della pieve di Sant’Andrea a Doccia, seguendo forse un antico sentie-ro visibile nell’Ottocento, ma adesso scomparso sotto uno stagno artificiale.

Tigliano (Atilianu, da Atilius13) doveva essere un nodo stradale di una certa importanza in età etru-sco-romana dal quale partiva un altro percorso, forse militare, che per Galiga (dal latino Caliga,scarpone militare) e Aceraia, attraversava la Valcava fino a San Cresci14.

FOTO 5 – Tracce di vecchi basoli nel sentiero che da Lubaco conducea Linari. [Punto 5, TAV.1]

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(13) S.PIERI, Toponomastica della Valle dell’Arno, Roma 1912.(14) Di una strada romana vennero scoperte le tracce nel 1722 a San Cresci, due braccia sotto terra. Vedi: BROCCHI,

Descrizione del Mugello, p. 33 e L.CHINI, Storia antica e moderna del Mugello, Firenze 1875, Libro II, capitolo IV, p. 133

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FOTO 6 – Vecchia strada da Fornello a Lucente. [Punto 6, TAV.1]

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A Tigliano e nei pressi della pieve di Doccia furono rinvenuti reperti romani di materiale ceramico15.Da Tigliano (quota 414) la vecchia strada non ricalcava l’attuale ed era praticamente un rettilineosolo a tratti visibile oggi fra vigne e oliveti passando dalla località Prunatelli (quota 364), nelle cuivicinanze c’è il toponimo latino Campo Rubbiani (da Rubius16), per scollinare a Monterifrassine(quota 366) e scendere verso la Sieve (vedi Foto 7).

Per cercare di delineare il tracciato di una strada verso il fiume, dato lo stravolgimento agricolo suqueste colline ubertose, ho considerato l’idea che esso dovesse aggirare l’erto poggio di Montefie-sole scendendo poco sotto Vallebona (a quota 360). Passava quindi nei pressi del Podere Poggerello(quota 233) dove ci sono tracce di basoli laterali (Foto 8) e poi da Casa Bencistà (Foto 9) raggiun-geva il Molino di Vico (quota 101) e Ponte a Vico [Punto 10,TAV.1].Numerosi sono i rinvenimenti archeologici di tipo ellenistico elencati dal Ferrini nelle località cir-costanti, quali Grignano, Villa Casellino, Vetrice, Montefiesole, Ponte a Vico17.

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(15) V.FERRINI, Op.cit., p. 115(16) S.PIERI, Op. cit.(17) V.FERRINI, Op. cit. p. 100 - 117

FOTO 7 – Il percorso di mezza costa nella Val di Sieci visto da Montefiesole.

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FOTO 8 – Particolare della strada nei pressi del podere Poggerello [Punto 7, TAV.1]

FOTO 9 – Strada selciata che da Casa Bencistà scende al Ponte a Vico [Punto 9, TAV.1]

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Soprattutto è bene ricordare il bellissimo cippo funerario etrusco del V secolo a.C. (Foto 10) ritro-vato nel 1893 presso la casa colonica di Bellosguardo [Punto 8, TAV. 1] che in origine doveva costi-tuire il segnacolo di una tomba appartenuta a una famiglia etrusca proprietaria terriera del luogo.18

“Di quello che fu ilpiù antico ponte dellazona restano oggi sul-la sponda destra delfiume soltanto alcuniruderi”19 (Foto 11). Aparte la tradizione po-polare che con moltafantasia lo farebbe ri-salire addirittura alleguerre puniche, nes-suno sa quanto anticofosse il Ponte a Vico;certo fu distrutto e ri-costruito più volte acausa delle piene ec’è chi sostiene chenel medioevo era giàin rovina, come sem-brerebbe nella “Cartadei ponti del contadonel XIV secolo”com-pilata dal De La Ron-cière che lo ignora.20

Che vi fosse ancora ilponte o no, di certonel medioevo le duesponde dovevano es-sere in qualche modocomunicanti, poichéla pieve di Montefie-sole ebbe giurisdizio-ne anche al di là dellaSieve nella zona diSelvapiana e Cerbo-gnole con funzionecosiddetta “pontifi-cia”21. Alla fine delsettecento comunque nella mappa del Paganelli compaiono solo quattro pile dirute.22 [TAV.2]

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(18) F.MAGI, Studi Etruschi, Vol. VI, 1932, p. 15 e Carta Archeologica d’Italia, voc. San Piero a Strada.(19) P.SCOTTI, Op.cit., p.12(20) C.M. DE LA RONCIÈRE, Firenze e le sue campagne nel Trecento, Firenze 2005, p. 88 - 89(21) V.FERRINI, Op.cit., p.137(22) R.PAGANELLI, Op.cit., Foglio 8.

FOTO 10 – Il cippo etrusco rinvenuto presso il podere Bellosguardo (Dicomano,Museo Archeologico del Mugello, Alto Mugello e Val di Sieve, anno 2008)

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FOTO 11 – Il Ponte a Vico in una foto degli anni settanta tratta dal libro “Fra Arnoe Sieve” di P.Scotti

TAV. 2 – I resti del Ponte a Vico nella mappa settecentesca

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Varcato il fiume Sieve, come ipotizza il Ferrini, la strada si dirigeva verso sud proseguendo ai piedidelle colline per circa 500 metri; dopodichè vicino alla Villa Giuntini (come del resto appare nellecarte del Paganelli) prendeva a risalire la costa passando da Selvapiana (Foto 13), Casa Pesalova e,superato senza difficoltà il guado del Fosso delle Macinaie, proseguiva dove oggi ci sono solo vignelasciando a sinistra le località di Castelvecchio e Bibbiano (Pred.Vibianu, da Vibius) 23.Qua e là appaiono tracce di selciati difficilmente databili. Interessante è quello fotografato a quota350 (Foto 14) nei pressi del podere I Sodi poco prima di incrociare la via di Bibbiano, anche perchélì vicino lo scavo per canalizzare una sorgente ha portato alla luce una discreta quantità di tegoleromane e sigillata aretina24.Da I Sodi probabilmente si raggiungeva il crinale in località Le Piante, nei pressi di Cafaggio, dovela strada proveniente da Bibbiano si incrociava con la vecchia Casentinese (quota 382) in posizionedominante la Valdisieve (Foto 15), per scollinare nell’opposta vallata del Vicano di Pelago in dire-zione di Travignoli.

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(23) S.PIERI, Op. cit.(24) V.FERRINI, Op.cit., p. 121

FOTO 12 – Panorama da Grignano con vista oltre la Sieve verso il versante orientale della Valdisieve.

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FOTO 13 – Questa strada moderna rettilinea che da Selvapiana risale la costa orientale della Valdisieve, rical-ca probabilmente il tracciato antico [Punto 11, TAV.1]

FOTO 14 – Selciato vicino al podere I Sodi [Punto 12, TAV.1]

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La fattoria di Travignoli [Punto 14,TAV.1] è nota per il ritrovamento nei suoi dintorni di una steleetrusca di tipo fiesolano del VI secolo a.C. (Foto 16) composta di tre formelle in bassorilievo raffi-guranti scene simboliche relative al culto dei morti.25

Le colline di Pelago mantengono la stessa coltura agricola descritta nel versante della Valdisieve; neconsegue naturalmente uno stravolgimento dell’antico assetto viario dovuto alla bonifica dei campi,ciò lo si nota anche dalle numerose pietre accatastate ai lati delle strade poderali. (Foto 17)È opportuno quindi, prima di avventurarsi in inutili congetture, cercare di individuare il guado o ilponte sul torrente Vicano dove passava la strada per il Valdarno.Dalla lettura delle carte sette-ottocentesche si nota nella zona la presenza di due ponti: ad ovest ilPonte di Pelagalto nelle vicinanze dell’antica pieve di San Gervasio a Sorgnano, ormai scomparso acausa del terreno franoso; ad est il Ponte di Linari o Linarino, attualmente provvisto di una passe-rella metallica che poggia su tre pile a sezione leggermente romboidale le quali denotano una certaantichità. (Foto 18)

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(25) V.FERRINI, Op.cit., p.119 (scheda 43) – Carta Archeologica della Provincia di Firenze, 1995 (scheda 32.6)

FOTO 15 – Panorama sulla Valdisieve da Cafaggio. In primo piano il podere I Sodi. [Punto 13, TAV.1]

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FOTO 16 – Stele etrusca di Travignoli (Dicomano, MuseoArcheologico del Mugello, Alto Mugello e Val di Sieve, anno 2008)

FOTO 17 – Strada poderale che da Cafaggio scende nella valle delVicano di Pelago. Tutto il terreno è stato bonificato per le coltiva-zioni, come si vede dai cumuli di pietre sulla destra.

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Inoltre nelle vicinanze sono evidenti fra la vegetazione le tracce di una strada che dall’antica pieve,attraverso questo ponte, conduceva al castello di Pelago in epoca medievale. La pieve fu infattiabbandonata verso la metà del secolo XVI. 26

Possiamo dunque ipotizzare un itinerario che dalla zona di Cafaggio scendeva nei pressi diTravignoli, forse dove ora c’è la villa di Tegolaia (quota 320) per poi seguire la Traversa di Pelagofino a Morgena (quota 300).Da qui una vecchia strada ora scomparsa scendeva al podere di Linarino dove poco sotto c’è il vec-chio ponte sopra descritto.Dopo il ponte, nel risalire la collina opposta, sotto un manto erboso abbiamo individuato una inte-ressante strada selciata larga 2,40 metri che sale dritta verso Linari e che nelle carte granducali èdenominata“Via che dal Peraccio27conduce a Pelago”(Foto 19); essa oltrepassava Linari salendo allafattoria de Le Puglie, provvista di antica torre medievale, da cui con un lungo rettilineo scollinavainfine a Castel Sofia (quota 394) per proseguire nella Setteponti diretta verso Arezzo.

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(26) G:RIGHINI, Mugello e Val di Sieve, note e memorie storico- artistico-letterarie, Firenze 1956, p. 271(27) La località di Castel Sofia nell’Ottocento era indicata col toponimo di Peraccio.

FOTO 18 – Resti di un antico ponte sul Vicano di Pelago nei pressi di Linarino di Sopra. Le vecchie pile furo-no rinforzate alla base con una colata di cemento. [Punto 15,TAV.1]

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FOTO 19 – La strada selciata ricoperta da manto erboso che dal ponte di Linarino sale a Linari[Punto 16,TAV.1]

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FOTO 20 – La collina a nord-ovest di Pelago vista da Castel Sofia

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* (Tutte le foto dell’articolo, tranne la n° 11, sono dell’autore)

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1 – Testimonianze storiche e prove indirette dellapercorribilità della strada di C. Flaminio nel I sec. a.C.

Nei capitoli IV e V abbiamo documentato lascoperta ed il percorso di questa strada conso-lare, che trova in questo capitolo VI una ulte-riore conferma nello studio delle epoche delsuo completo utilizzo e delle successive fasi didecadimento. Se è vero che Tito Livio ha ricor-dato la costruzione di questa strada, è altrettan-to vero che dalle parole di due grandi storici eletterati latini si possono trarre elementi di con-ferma del suo tracciato e dell’epoca della suautilizzazione ancora come strada consolare. Atal proposito Sallustio ricorda importanti episo-di narrando le circostanze della sconfitta diCatilina a Pistoia nel 62 a.C., in occasione dellaquale lo stesso Lucio Sergio Catilina perse lavita1. I momenti decisivi sono narrati daSallustio che descrive gli spostamenti deglieserciti nemici negli opposti versanti del-l’Appennino tosco-emiliano, fornendo indiret-tamente notizie importantissime anche per lanostra ricerca. Dopo aver raccontato le trametessute da Catilina per prendere il potere conl’astuzia o con la forza, sottolinea il contributo

dato alla causa di Catilina da Caio Manlio, dalui inviato a Fiesole e dintorni affinché arruo-lasse un esercito, (Igitur C. Manlium Faesulasatque in eam partem Etruriae... dimisit) conl’ordine di addestrarlo e tenersi pronti allaguerra (… docet se Manlium praemisisse adeam multitudinem quam ad capiunda armaparaverat...) 2. L’Etruria del nord, e soprattuttoFiesole, fu la città ove le forze militari diManlio si organizzarono. Si ha conferma di ciòsempre nel racconto di Sallustio: “... pochigiorni dopo il senatore Lucio Senio lesse inSenato una lettera dicendo che gli era statarecapitata da Fiesole; vi era scritto che CaioManlio aveva preso le armi con un gran nume-ro di uomini … ed allora, per decreto delSenato, Quinto Marcio Re fu inviato aFiesole” 3.Se, dunque, Fiesole era la base di Catilina perpredisporre l’attacco militare, si deve presume-re che quella città si trovasse in una posizionestrategica, soprattutto in vista di una ritirata inGallia Transalpina (così scrive Sallustio), ovecontava su numerosi altri alleati nella congiura.Sapeva cioè di poter percorrere eventualmentela strada transappenninica Fiesole-Bologna,che era, pertanto, ancora perfettamente agibile.La congiura, però, venne scoperta anzitempo.Catilina, non potendo contare sulla sorpresa ed

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(1) SALLUSTIO: De coniuratione Catilinae, par. XXVII. Sallustio era nato ad Amiterno nell’autunno dell’86 a.C..Egli ha vissuto i momenti della congiura di Catilina ed ha potuto quindi raccogliere notizie di prima mano descri-vendo con precisione gli avvenimenti. Ha scritto questa opera nel 43-42 a.C..

(2) SALLUSTIO: op. cit. par. XXVII.(3) SALLUSTIO: op. cit. par. XXX: “Post paucos dies L. Saenius senator in senatu litteras recitavit, quas Faesulis

adlatas sibi dicebat, in quibus scriptum erat C. Manlium arma cepisse cum magna multitudine … Igitur senatidecreto Q. Marcius Rex Faesulas … ea loca missi”.

CAPITOLO VI

LA LENTA SCOMPARSA DELLA STRADA CONSOLAREBOLOGNA-AREZZO MA NON DEL SUO TRACCIATO

NEL TRATTO TRANSAPPENNINICO

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indebolito da molte defezioni, capì che, invecedi attaccare, doveva difendersi dalla reazionedelle legioni regolari, cercando innanzituttola ritirata verso nord con il suo esercito.Comprese anche che non poteva sperare divalicare l’Appennino percorrendo la stradadiretta e più comoda (Fiesole-Bologna), e, pro-prio per questo, probabilmente presidiata dalnemico. Decise allora di tentare di raggiungerela Val Padana attraverso sentieri secondari escoscesi però assolutamente inadatti per unesercito. Queste le parole di Sallustio: “...quelli che restano, a marce forzate, per passiscoscesi, Catilina li conduceva verso il territo-rio di Pistoia, con l’intenzione di ripararesegretamente, per vie poco battute, nella GalliaTransalpina ...”4. Il timore di Catilina, di trova-re l’esercito nemico sulla strada transappenni-nica più comoda, si rivelò esatto, secondoquanto narra Sallustio: “ … Ma Quinto MetelloCelere era stanziato a guardia del Piceno contre legioni; riflettendo sulle difficoltà in cuiCatilina si dibatteva, avendo intuito il suopiano, appena seppe dai disertori dov’eradiretto, fulmineamente levò il campo e si poseai piedi dei monti da dove Catilina, in rapidocammino verso la Gallia, doveva necessaria-mente discendere”5. Le legioni regolari di Q.Metello Celere, dunque, si erano schierate allefalde settentrionali dell’Appennino per affron-tare Catilina se fosse disceso dalla strada piùnota Fiesole-Bologna. Catilina invece si eraspostato verso le montagne pistoiesi, ove peròincontrò difficoltà insormontabili a valicarel’Appennino. Nel frattempo le legioni diAntonio avanzavano da sud. “Del resto nemme-no Antonio era molto distante: braccava il

nemico in fuga con il vantaggio di un grandeesercito muovendosi rapido su un terreno pia-neggiante. Ma Catilina, quando si vide intrap-polato fra i monti e le truppe nemiche, cono-scendo che a Roma la rivolta era fallita e chenon aveva alcuna speranza di fuga né di aiuto… prese la risoluzione di scontrarsi al più pre-sto con Antonio”6. Questi avvenimenti sonoilluminanti perché confermano che Catilinanon trovò una via di fuga sulle montagnepistoiesi (o pratesi) per valicare l’Appennino.A questo proposito non condividiamo l’opinio-ne di Gianluca Bottazzi il quale presupponeche Catilina abbia tentato di valicarel’Appennino pistoiese percorrendo “… unadelle principali vie transappenniniche per laCisalpina …”, quando invece Sallustio raccon-ta che Catilina ha condotto l’esercito “per passiscoscesi” e “per vie poco battute”7.Conseguentemente fu costretto a scendereverso la pianura dell’Arno affrontando lo scon-tro aperto con Antonio e rimanendo ucciso. È evidente che, se (oltre la via Fiesole-Futa-Bologna) fosse esistita un’altra strada transap-penninica agibile per un esercito verso il passodella Collina o verso il passo della Raticosa,Catilina l’avrebbe senz’altro percorsa, sfug-gendo alle legioni di Antonio.Queste conclusioni sono sostanzialmente con-fermate dalla famosa frase di Cicerone8 checita le tre strade che collegavano Roma conModena. Una era la Flaminia che a Rimini sicongiungeva con la via Emilia; un’altra la viaAurelia che, per la verità, era completamentefuori direttrice e comunque inutilmente lunga.La terza, la Cassia, che giustamente Ciceroneindica come intermedia. Questa strada arrivava

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(4) SALLUSTIO: op, cit. par. LVII: “ … reliquos Catilina per montis asperos magnis itineribus in agrum Pistoriensemabducit, eo consilio uti per tramites occulte perfugeret in Galliam Transalpinam ...”.

(5) SALLUSTIO: op. cit. par. LVII: “At Q. Metellus Celer cum tribus legionibus in agro Piceno praesidebat, ex diffi-cultate rerum eadem illa existumans, quae supra diximus, Catilinam agitare. Igitur ubi iter eius ex perfugis cogno-vit, castra propere movit ac sub ipsis radicibus montium consedit, qua illi descensus erat in Galliam properanti”.

(6) SALLUSTIO: op. cit. par. LVII: “Neque tamen Antonius procul aberat, utpote qui magno exercitu loci aequioribusexpeditus in fuga sequeretur. Sed Catilina, postquam videt montibus atque copiis hostium sese clausum, in urbe resadvorsas neque fugae praesidi ulla spem … statuit cum Antonio quam primum confligere”.

(7) GIANLUCA BOTTAZZI, Le comunicazioni antiche fra il Modenese e la Toscana in età romana e nel medioevo, inLa viabilità appenninica dall’Età antica ad oggi, Atti delle giornate di studio 1997, Porretta Terme 1998, pagg. 47-77.

(8) M. T. CICERONE: Filippiche, XII, 9: “Tres viae sunt ad Mutinam.….a supero mari Flaminia, ab infero Aurelia,media Cassia”.

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già da Roma attraversando Arezzo, Fiesole(Firenze), Prato, Pistoia e Lucca. Da Romaera senz’altro la più diretta su Modena, ma perarrivare in questa città si doveva attraversarel’Appennino. Dove? Noi siamo convinti che iRomani utilizzassero l’originaria strada diFlaminio (allora pure essa chiamata Cassia)attraverso il passo della Futa, tanto più chel’episodio di Catilina esclude un’altra alter-nativa per valicare l’Appennino. Se infattiCicerone nel 43 a.C. dava per scontata l’esi-stenza di una strada comodamente percorribi-le da Roma a Modena, a maggior ragione erapercorribile la stessa strada transappenninica19 anni prima nel 62 a.C., quando Catilina,intendendo raggiungere gli alleati nella GalliaCisalpina, non ha voluto percorrerla per nonscontrarsi a Bologna con le legioni romaneche “si erano poste ai piedi dei monti”.

2 – I toponimi miliari sull’asseFirenze-Bologna confermanola percorribilità della stradatransappenninica consolareancora nei secoli II e III d.C.

È evidente che i toponimi miliari qualiTerzolle, Quarto, Quinto, Sesto (Fiorentino),Settimello, Vigesimo, che si incontrano sultratto pedemontano fiorentino ed i corrispon-denti toponimi “Sesto”, “Octo” e “None” che sitrovano nel tratto pedemontano bolognese, cioèa sud e a nord del passo della Futa, attestanol’esistenza di una strada consolare di collega-mento diretto fra le due importanti città9. Nonsi deve però cadere nell’errore di attribuirli atutto il percorso di C. Flaminio, bensì a duedeviazioni dei due tratti terminali del percorsooriginario, nate nei secoli successivi quando lepopolazioni insediate nella valle del Savena a

nord, e dell’Arno e del torrente Marina a sud, lohanno preferito a scapito dei corrispondentitratti di crinale. Ragioni di logica ci portano asostenere questa cronologia nella nascita delledue varianti pedemontane. Infatti, come oggiconstatiamo che da Bologna a Pianoro esisteuna continuità di insediamenti abitativi edindustriali, mentre sul crinale da Paderno aPieve del Pino ciò non è avvenuto, altrettanto sideve pensare che sia accaduto duemila anni fa.Ed è ovvio che in un primo momento sia natauna strada da Pianoro a Bologna, poi sia statacostruita una bretella di collegamento fra Pia-noro e Brento per raggiungere l’originariatransappenninica di crinale diretta in Toscana.Infine questo nuovo tracciato, sempre più fre-quentato, ha sostituito definitivamente l’inizia-le tratto di crinale, diventando la variante giun-ta fino a noi attraverso la testimonianza deitoponimi miliari. Possiamo fondatamente pen-sare che una simile evoluzione abbia determi-nato anche il sorgere della variante di Val diMarina. Sul versante toscano, poi, la cronolo-gia di avvenimenti storici noti avvalora mag-giormente questa ipotesi. È molto probabileche gli insediamenti colonici sui territori defi-nitivamente pacificati siano proliferati mag-giormente nella valle dell’Arno, del Bisenzio edel torrente Marina, piuttosto che sulla monta-gna mugellana. Così il territorio di Fiesole, diPrato e di Calenzano deve avere visto aumenta-re la popolazione e le attività artigianali inmodo progressivo, in specie dopo che, nellaseconda metà del II sec. a.C., venne prolungatala via Cassia da Fiesole a Prato, Pistoia fino aLucca e Pisa. Conferma sostanzialmente que-sta proliferazione di insediamenti la stessa fon-dazione di Firenze, alla metà del I sec. a.C..Questo evento ha indubbiamente spostato gliinteressi economici ed i traffici commercialisul corso dell’Arno, come il precedente prolun-gamento della via Cassia li aveva indirizzativerso Prato e Pistoia. Soltanto dopo questiavvenimenti può essersi avvertita l’esigenza di

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(9) D. STERPOS 1961, pag. 11: “Nei due tratti estremi l’antichità del percorso sembra provata. Infatti, ad una distan-za rispettivamente di sei ed otto miglia romane da Bologna si trovano due toponimi, Sesto e Octò di evidente deri-vazione itineraria”.

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aprire un nuovo tronco stradale che, distaccan-dosi dalla via Cassia all’altezza di SestoFiorentino10, imboccasse la Val Marina perservire da collegamento con il valico appenni-nico della Futa, dopo essersi immesso sull’ori-ginario percorso di C. Flaminio poco prima diMontecarelli. Incerta è la data della costruzio-ne di queste due varianti in quanto non sihanno notizie dagli storici latini, ma si puòrilevare, con fondata approssimazione, che l’e-poca sia posteriore alla fondazione di Firenzee forse anteriore alla costruzione della CassiaAdrianea del 123 d.C..Del resto crediamo che le due varianti al di quaed al di là dell’Appennino siano nate lenta-mente nel corso di decenni per servire in unprimo momento i nuovi insediamenti romaninelle valli, che poi hanno prevalso per impor-tanza sulle parti terminali dell’originario per-corso, raccordandosi con esso ed utilizzandolonel punto di valico. Si tenga presente che dallafondazione di Firenze alla costruzione dellaCassia Adrianea sono passati quasi 170 anni,nel corso dei quali l’antropizzazione dei terri-tori più ospitali e fertili ai piedi dell’Appenni-no è progredita e con essa la necessità di unasempre maggiore e più comoda nuova viabili-tà. Così come nel 187 a.C. la costruzione dellastrada Bologna-Arezzo è stata sostanzialmenteun prolungamento della Cassia, che già daRoma arrivava ad Arezzo, così dopo la costru-zione della Cassia Adrianea del 123 d.C. sonostate usate le varianti preappenniniche già esi-stenti per collegare con un percorso comodoFirenze - Bologna. Si era venuto a creare quin-di un asse diretto Roma-Arezzo-Firenze-Bologna che i Romani hanno chiamato giusta-mente via Cassia. Non si dimentichi che siamostati noi a chiamare convenzionalmenteFlaminia Militare la strada Bologna-Arezzocostruita nel 187 a.C..

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SA

VE

NA

Tavola 24

Il percorso originario della Flaminia Militare (187 a.C.) da Bologna a Fiesole.

Varianti del percorso romano in epoca imperiale

VETTA LE CROCI

FIESOLE

TAGLIAFERRO

PONTE DI COLOMBAIOTTO

MONTECARELLI

PASSO DELLA FUTA

MADONNA DEI FORNELLI

M. VENERE

MONZUNO

BRENTO

PADERNO

PIEVE DEL PINO

BOLOGNA

PIANORO

RASTIGNANO

BRUSCOLI

PIAN DEL VOGLIO

BARBERINODEL MUGELLO

(Vigesimo)

SESTOFIORENTINO

FIRENZE

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(10) G. UGGERI: La via Flaminia “ Minor” in Etruria, in Studi di antichità in onore di Guglielmo Maetzke, Roma 1984,pag. 586: “La diramazione delle due arterie doveva avvenire a Sesto, ossia sei miglia ad ovest di Firenze”.

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3 – Il decadimento dellatransappenninica romanatestimoniato indirettamentedal silenzio della “TabulaPeutingeriana”

Una importante fonte storica ci aiuta a indivi-duare l’epoca approssimativa in cui la transap-penninica Firenze-Bologna ha iniziato la suadecadenza; si tratta della famosa “TabulaPeutingeriana”11 nella quale sono raffigurate lestrade consolari dell’Impero romano sicura-mente percorribili nel momento della sua reda-zione, circa nel 340-360 d.C.. In questa mappaperò non è indicata la transappenninica costrui-ta da C. Flaminio. Si deve quindi presumereche questa strada non fosse più utilizzata comestrada consolare e fosse stata di fatto declassa-ta a strada di collegamento locale, tanto da nonmeritare menzione. Del resto alla fine del IVsec. d.C. ed all’inizio del V la pressione dellepopolazioni barbare provenienti dal nord avevapolarizzato l’attenzione di Roma più sulla dife-sa del territorio che sulla manutenzione dellestrade. E proprio la transappenninica è stataprobabilmente la prima vittima di questoabbandono, nella convinzione anche che unastrada non comodamente percorribile con carrisul valico della Futa avrebbe potuto rallentarela calata delle orde barbariche in Etruria.Comunque il decadimento deve essere statomolto lento se esso non ha impedito il verifi-carsi di questo temuto pericolo, così comericordato da storici quali Niccolai e Calindri.Il Niccolai, come già ricordato nel cap. V para-grafo B, racconta12 una cruenta battaglia avve-nuta l’8 ottobre del 405 d.C. fra Stilicone,comandante della legione romana, e Radaga-

iso, re dei Goti, proprio nel primo e più anticotratto della strada transappenninica, 6 miglia anord di Fiesole nella località oggi chiamata “LeCroci”. Questa antica superstite strada milita-re13, nel 405 d.C. era quindi ancora praticabileda un esercito numeroso come quello dei Goti,dopo quasi seicento anni dalla sua costruzione.S. Calindri, abate e storico bolognese della finedel XVIII secolo, ricorda la distruzione diBrento, “ ... nel 439 d.C. ed anche prima,Brento subì distruzioni da orde di barbari cheinondarono l’Italia e che, passando dall’Emi-lia alla Toscana, transitare dovettero perBrento, come luogo di passo in mezzo alla viaantichissima che conduceva su per i monti inToscana”14. Se dunque il potere centrale diRoma nel IV e V secolo d. C. aveva abbando-nato la diligente manutenzione della transap-penninica, ciò non significa che essa non fossepiù transitabile. Le probabili riparazioni ese-guite dalle comunità locali possono avere pro-lungato nel tempo la sua percorribilità, assicu-rando comunque un passaggio più o meno age-vole. La calata dalla Pianura Padana allaToscana delle orde barbariche con decine dimigliaia di soldati in armi e loro accompagna-tori ne sono prova indiretta, non potendo esse-re avvenuta se non su quel percorso. Poi nel-l’alto Medioevo, il calo demografico, la crisidei centri urbani ed i conflitti che si accompa-gnarono allo stanziamento delle popolazionigermaniche portarono ad un degrado generaledella rete viaria; quella che ne soffrì maggior-mente è stata senz’altro la strada Bologna-Firenze in quanto la dorsale appenninica costi-tuì il confine invalicabile fra i territori tenutidai Bizantini nel versante a nord e daiLongobardi nel versante a sud. Questo secola-re sbarramento ha provocato quindi la materia-le scomparsa della strada, soprattutto nel suo

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(11) La Tabula Peutingeriana . Vedi nota n° 2 in Premessa.(12) F. NICCOLAI 1914, cap. VII, pag. 147.(13) Dopo la pubblicazione del nostro libro (AGOSTINI - SANTI 2000) abbiamo proseguito gli studi e le ricerche del

tracciato della strada di C. Flaminio da Tagliaferro a Fiesole e ci siamo convinti ora che il console romano, una voltagiunto a Tagliaferro, abbia seguito una strada etrusca che, valicato subito il torrente Carza, saliva nel versante oppo-sto, toccando Bivigliano, Vetta le Croci, poi seguiva il crinale fino a Fiesole attraversando le attuali località diMontereggi e Baccano. Per notizie dettagliate su questo tracciato vedasi il capitolo V.

(14) S. CALINDRI: Dizionario corografico, georgico, orittologico, storico ec. ec .ec della Italia, I, Bologna 1781, pagg.381 e 382.

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tratto in alta quota, ove la folta vegetazioneappenninica l’ha coperta e protetta. Su questainterpretazione storica condividiamo in toto ilpensiero di N. Alfieri: “ ...resta il dubbio chel’eventuale persistenza della via Flaminia inepoca romana sia stata interrotta nell’altoMedioevo, quando questo settore dell’Appenni-no costituì la zona di confine – e perciò disbarramento – fra i territori tenuti daiBizantini e dai Longobardi sugli opposti ver-santi”15. Questa situazione di totale sbarra-mento è ricordata anche da D. Sterpos: “Di quaBologna bizantina e di là Firenze longobarda;il territorio intermedio diviso fra due padroni epresidiato militarmente: una situazione com-pletamente negativa per quanto riguarda lecomunicazioni stradali che c’interessano. Sedopo la guerra gotica esistevano ancora dellevie che con un giro più o meno lungo portava-no da Bologna a Firenze, dopo l’invasione lon-gobarda esse non erano certamente più percor-se in tutta la loro estensione. Erano spezzate sidirebbe, dal fronte di combattimento …Collegamenti costanti e di qualche rilievo tra ilBolognese e il Fiorentino non sembra sianostati possibili, considerata la situazione dei dueterritori, dalla fine del secolo VI all’iniziodell’VIII, perché ogni volta che i Longobardivolevano passare nella Tuscia, dovevano sem-pre fare un largo giro a ovest di Reggio Emilia.Del resto dopo la venuta dei Longobardi, spe-cialmente nei primi decenni, la vita del nostropaese s’impoverisce e si immobilizza tanto dafar pensare che le strade in genere svolgesseroallora un’attività limitatissima, si trovassero inabbandono pressoché completo”16.

4 – Il tracciato della strada di C.Flaminio e delle sue variantisuccessive è stato percorsofino al sec. XIX

Nei secoli successivi, quando la situazione poli-tico-militare è sostanzialmente cambiata e labarriera, costituita dal confine fra i territoritenuti dai Bizantini e dai Longobardi è caduta,uomini e cavalli hanno ripreso l’attraversamentodell’Appennino al valico della Futa (allora detto“Dello Stale”). Anche se la primitiva strada nonera più visibile, è stata la comodità del percorsoe la favorevole orografia del valico a consigliarei viandanti medievali a seguire quel tracciatodiretto, tutto sul crinale senza attraversare corsid’acqua. Così a poco a poco è rinato un sentie-ro, poi una pista, una mulattiera che inconsape-volmente ha ricalcato la strada di C. Flaminio.

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(15) N. ALFIERI 1975-76, pag. 55.(16) D. STERPOS 1961, pagg. 21 e 22.

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Foto n° 80Due tipiche mulattiere dell’alto Appennino: unamanifesta evidenti segni di un rozzo lastricatoposato in tempi antichi vicino ad una borgata alloraabitata da molte famiglie.

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Un percorso creato soltanto dal secolare trans-ito di pedoni e animali e non dalla intenzionalecostruzione di una strada. La totale mancanzadi una progettata pavimentazione con pietre hadeterminato un progressivo infossamento delpiano di calpestio della mulattiera ed anche, avolte, un suo andamento curvilineo, per supe-rare meglio gli ostacoli naturali (frane, cadutedi alberi etc.) che via via si presentavano, e lerare pendenze. Le piogge poi hanno contribui-to a dissestare il fondo creando veri e propripiccoli ruscelli.Tuttavia, anche se la transappenninica medie-vale si trovava in così precarie condizioni, veni-va percorsa per la sua naturale comodità,soprattutto nelle stagioni estive.

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Foto n° 82Resti di “crepidoma” della strada basolata a PoggioCastelluccio; in questa, come a volte in altre posi-zioni, la mulattiera medievale ha praticamentedistrutto tutta la strada ricalcandone esattamente ilpercorso, od intersecandola.

Foto n° 83Monte Poggiaccio (direzione nord): in questa posi-zione il percorso della mulattiera, segnato in rosso,ha parzialmente coinciso con la strada basolata,causando il dissesto e la scomparsa delle pietrelasciando intatta, invece, quella parte di carreggia-ta che era fuori dal suo percorso.

Foto n° 81L’altra è incavata rispetto all’originario piano di cam-pagna. Per la mancanza di una pavimentazione ilsecolare transito di persone, di animali e le acque pio-vane hanno provocato un progressivo infossamento.

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Negli anni settanta del Novecento chi percor-reva a piedi il crinale alla sinistra del Savena,partendo da Bologna, arrivato nella partemontana, fra Madonna dei Fornelli e la Futa,si incamminava a volte per un sentiero pro-fondamente scavato nel suolo. Seguendo que-sta pista, ormai abbandonata, attraversavalunghi tratti in cui i segni del passaggio eranostati cancellati dalla vegetazione, che in que-sta zona cresce rigogliosa e spontanea. A volteil passaggio si riconosceva perché delimitato,ai bordi, da filari di alberi; in altri casi, inve-ce, era coperto quasi completamente da prunie felci, cresciuti nei pascoli ormai abbandona-ti da decenni. Questa strada, pur avendo subi-to nel corso del tempo piccole deviazioni,causate dalla necessità di evitare smottamentio cadute di alberi, si mantiene sempre sul cri-nale, oppure si discosta poco. Sono questi iresti della mulattiera chiamata nel XVI secolo“della Faggeta” che dal versante bologneseportava in Toscana attraverso l’antico “passoDello Stale” percorsa fino al XIX secolo.Quaranta anni or sono un viandante, anche seacuto osservatore della natura, avrebbe potu-to soltanto intuire il suo tracciato. Oggi,anche se frettoloso, deve fermarsi ad ammi-rare imponenti basolati della strada romanache si snoda rispetto ad essa a volte paralle-la, a volte coincidente.Questa alternanza dipende unicamente dal-l’andamento sinuoso della via medievale;sono comunque due realtà distinte sullo stessocrinale. Nel corso delle nostre ricerche sulcampo e degli scavi, per portare alla luce ilbasolato romano, abbiamo avuto la confermache la mulattiera correva più o meno vicina adesso, alla sua destra ed, altre volte, alla suasinistra, tanto che il suo percorso ci ha aiutatoad individuare il contiguo basolato romanonascosto da 50/120 cm di terreno. In alcunicasi, ove il tracciato della mulattiera ha inter-secato o si è sovrapposto parzialmente albasolato romano, quest’ultimo era in parte

scomparso. Abbiamo così potuto riportare allaluce soltanto la porzione di pavimentazioneche era rimasta fuori dalla direttrice medioe-vale. Due situazioni del genere, per esempio,si trovano alle pendici di Poggio Castelluccioe del m. Poggiaccio. In un caso il percorsodella mulattiera ha coinciso esattamente conl’asse centrale del basolato romano, depaupe-randolo ed incavandolo tanto da lasciare intat-ti soltanto alcuni basoli dei bordi (foto 82); inun altro caso la mulattiera ha “tagliato” dia-gonalmente il basolato lasciandolo intatto perbuona parte (foto 83).La sovrapposizione dei due percorsi ci ha poipermesso di individuare un tratto di strada“glareata” in località Predosa, come docu-mentato nel capitolo IV, paragrafo 5b. Da que-sti rilievi si deduce, ovviamente, che il baso-lato è stato costruito prima della nascita dellamulattiera, risultando danneggiato soltantoove c’è stata una coincidenza di percorso. Oveinvece l’evidente percorso della mulattiera haseguito un tracciato contiguo, il basolato èrimasto perfettamente conservato17.

5 – Le fonti storiche cheattestano l’esistenza di una strada mulattiera

La più antica notizia, dopo la caduta dell’Im-pero romano, dell’esistenza di questo percorsochiamato “via Clodia” si può trovare in un attodi donazione della fine del VIII sec. d.C.riportato in “Antiquitates Italicae Medii Aevi”di L. A. Muratori (III, Milano 1740, col. 35-36) con il quale il patrizio romano Opilio donanumerose sue proprietà al monastero padova-no di S. Giustina, compresi alcuni fondi postia “Gabiano inter Claudia et strata”. La indi-viduazione della località di “Gabiano” è con-troversa, ma noi condividiamo l’esegesi fatta

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(17) Queste emergenze archeologiche smentiscono chi, per sostenere l’esistenza della Flaminia Minore sulla dorsaledestra del fiume Idice, ha negato la romanità del basolato da noi rinvenuto, attribuendolo alla “mulattiera” medioe-vale, quando invece quest’ultima ha la propria identità ed è separata dalla contigua strada romana.

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da Antonio Gottarelli18 che ritiene essere quelGabbiano che si trova circa un chilometro asud-ovest di Monte Venere tra il Savena ed ilSambro nel Comune di Monzuno. Da un importantissimo avvenimento storicopossiamo intuire l’esistenza di un percorso traBologna e Firenze quando Carlo Magno, nel786, ha valicato l’Appennino. Anche in questocaso riportiamo le parole dello Sterpos: “Incammino verso Roma e il Mezzogiorno (s’eramosso soprattutto per prender provvedimentinei riguardi del clero e per ridurre all’obbe-dienza il duca di Benevento), Carlo con tuttaprobabilità si trovava a Bologna l’11 didicembre 19; è poi certa la sua presenza aFirenze per il Natale. Considerato che lo spo-stamento di un esercito nel territorio montuo-so, di dicembre, non poteva risultare veloce, equanto fosse opportuno per il re arrivarequalche giorno prima della festività, le duedate risultano abbastanza vicine per far pen-sare a un passaggio diretto dall’una all’altradelle predette città, e in conseguenza all’esi-stenza di una strada di congiunzione ben defi-nita e in qualche misura almeno transitabileanche d’inverno”20. Si deve quindi pensareche abbia seguito il tracciato romano che,anche se in parte privo della pavimentazioneper mancanza di manutenzione, comunque eraancora capace di consentire l’attraversamentodell’Appennino. Del resto il tempo impiegato(circa 8-10 giorni), dimostra le difficoltàincontrate dall’ esercito per percorrere soltan-

to 100 chilometri. Data la precaria situazionedella viabilità di quell’epoca (VIII secolo)non si può pensare che Carlo Magno abbiapotuto utilizzare veicoli a ruote, ma soltantocavalli, muli e portantine, che potevano per-correre quella strada classificabile comeimportante “mulattiera”. Se il basolato fossestato ancora in evidenza e percorribile, l’attra-versamento sarebbe stato ben più veloce.Queste estreme difficoltà di transito sono poiconfermate in occasione della discesa in Italiadel re Arnolfo di Germania, nell’anno 895,per raggiungere il Papa a Roma, dal quale erastato chiamato. Oltrepassato il Po, per valica-re l’Appennino divise il suo esercito in due:una parte composta dai Franchi e guidatadallo stesso Arnolfo valicò il passo della Cisaed arrivò a Luni. L’altra parte composta dagliAlemanni proseguì fino a Bologna ove iniziòl’attraversamento dell’Appennino per giunge-re a Firenze. Ed appunto lo Sterpos descriven-do questo viaggio, ricorda: “… Questo spo-stamento di truppe preordinato a distanza dif-ficilmente si spiegherebbe se non ci fossestata una strada sicura e conosciuta, perciòsecondo qualcuno, siamo di fronte alla primaprova diretta dell’esistenza di una transap-penninica Bologna-Firenze. Non dobbiamocomunque supporre che si trattasse di unastrada facile. La stessa fonte che documenta ilviaggio, parla di grandi disagi che l’esercitodovette sopportare nel cammino e dei lunghigiri resisi necessari per gli sconvolgimenti

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(18) ANTONIO GOTTARELLI: La via Claudia di età imperiale tra Bologna e Firenze: nuove ipotesi per una storia deicollegamenti stradali tra la VII e la VIII Regio, in Vie romane tra l’Italia Centrale e Pianura Padana, Modena 1988,pagg. 107-108. Riportiamo qui le sue parole: “… questo Gabiano è chiaramente indicato in Comitato Boloniensee in territorium Bononiensium ... Abbiamo visto come da Monzuno la Bologna-Firenze di età romana segua perTrasasso ad Est di Monte Venere, e l’odierna Gabbiano, pur non distante, è invece lungo la strada che da Monzunovolge al fondovalle del Sambro, a Sud-Ovest di Monte Venere. L’esistenza dei due percorsi spiega esattamente l’af-fermazione“Gabiano inter Claudia et Strata”, in quanto risulta anche qui documentata la presenza di due vie presea confine delle proprietà nominate. Queste andrebbero così localizzate tra la Strata, che corrisponderebbe a quel-la di Gabbiano che da Monzuno volge al Sambro, e la via Clodia o Claudia, esattamente coincidente con la via cheda Nord a Sud segue da Monzuno per Trasasso e Cedrecchia, la stessa da noi già indicata come itinerario dellatransappenninica di età romana tra Bologna e Firenze”.

(19) Secondo Gaetano Lorenzo Monti (Bologna 1828, pag. 657) il giorno di partenza da Bologna dovrebbe essere statoil 9 dicembre (“IV idus decembris”). Questa differenza di date è comunque irrilevante. Ciò che conta è che anchequesto storico conferma che “ … a quel tempo - ma anche in tempi precedenti, quando era fiorente la RepubblicaRomana – c’era nella nostra regione una strada che portava in Etruria …”.

(20) D. STERPOS 1961, pag. 24.

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causati dalle piogge”21. È molto probabilequindi che le stesse difficoltà siano state incon-trate anche da Carlo Magno quando, cento anniprima, percorse la stessa strada. Se i basolatifossero stati ancora in evidenza e percorribilil’attraversamento sarebbe stato ben più como-do e Carlo Magno avrebbe impiegato soltanto4-5 giorni. Anche nell’XI secolo è documen-tata l’esistenza della mulattiera attraverso ilpasso della Futa (allora “Dello Stale”) che col-legava la Toscana a Bologna. Lo ricorda ilRepetti nel suo monumentale Dizionario dellaToscana descrivendo il monte della Futa: “ …Futa (Monte della) ossia Monte di Fo’ nell’Ap-pennino dello Stale. Porta il nome di Futa ilvarco più frequentato della catena centraledell’Appennino, che trovasi a 1560 br. sopra illivello del mare Mediterraneo, circa 60 br. piùdepresso della sovrastante cresta del Monte diFò. Di costà, venendo del cast. di Gagliano,passava l’antica strada maestra, che dallaprovincia del Mugello varcava il giogo delloStale, da dove proseguiva nei territori diBologna. ... Fu in quell’occasione che i reggi-tori della Rep. Fiorentina fecero rintracciarel’istrumento della donazione del territoriodello Stale fatta ai 7 dicembre 1048 dal C.Guglielmo Bulgaro di Fucecchio a favoredella badia di Settimo presso Firenze cui asse-gnò in dote la contrada, che poi prese il nomedi Contea dello Stale, affinché quei monaci vierigessero un ospizio per alloggiarvi i passeg-geri in un tempo in cui non era ancora in usol’arte degli albergatori nelle città, molto menonelle aperte campagne e nei monti più inospi-tali dell’Appennino”22. Dunque nell’anno1048, cioè 53 anni dopo il documentato pas-saggio dell’esercito di Arnolfo, la RepubblicaFiorentina, avendo constatato che il valicodella Futa, del tutto disabitato, era percorso danumerosi viandanti diretti a Bologna, fece

costruire dai monaci della Badia di Settimo unospizio, per dare ospitalità ai “passeggeri”,compensandoli con la donazione di quel vastoterritorio chiamato “Dello Stale”.Una notizia dell’esistenza di questa stradamulattiera, ancora cinquecento anni dopo, si hanella prefazione di Leonardo Rombai, docentedi geografia storica all’Università di Firenze,nel volume “Il libro vecchio di strade dellaRepubblica fiorentina” a cura di GabrieleCiampi23, ove ricorda che nel XVI secolo erachiamata “della Faggeta o delle Cannove”.

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(21) D. STERPOS 1961, pagg. 24 e 25. Nella nota n° 24 (pag. 205) lo Sterpos riporta il testo della fonte storica: AnnalesFuldenses, Hanover et Lipsia 1891, pagg. 126,127: “Quippe ultra Padum, ibi diviso exercitu Alamamnos perBononiam ad Florentiam urbem ire permisit, ipse cum Francis per superiores partes Alpium curtem quae diciturTurris sic usque civitatem Lunam progreditur”.

(22) E. REPETTI: Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana , Vol. II, Firenze 1835, pag. 348.(23) L. ROMBAI: Prefazione a Il libro vecchio di strade della Repubblica Fiorentina (a cura di Gabriele Ciampi),

Francesco Papafava Editore, Firenze 1987, pag. 18.

Foto n° 84La strada inghiaiata costruita negli anni 1950 percollegare la casa della Faggeta (che si intravede fragli alberi) con Pian di Balestra. In questo puntocoincide esattamente con il crinale venendo quindia sovrapporsi al tracciato romano e medievale.

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Queste sono le sue parole: “… la via “dellaFaggeta o delle Cannove” che, percorrendo ilversante sinistro della valle del Savena, sistaccava dalla Bolognese del Giogo a Pianoroe toccando Brento, Trasasso, Cedrecchia, Ma-donna dei Fornelli, il passo del monte Bastio-ne, la Faggeta ed il Passeggere, scendevaugualmente allo Stale per dirigersi tramite“la mulattiera” a Barberino 24.Una indubitabile testimonianza della percorri-bilità, alla fine del XVI secolo, della mulattie-ra della Faggeta, si trova poi in un documentodel 1585 pubblicato da P. Foschi. Trattasi diuna lettera inviata dai massari delle comunitàposte lungo questa mulattiera al Senato bolo-gnese con la quale si lamentavano che imiglioramenti della strada per la Toscana, chepassava da Loiano, Monghidoro e Pietramala,

avevano attratto il traffico commerciale (fattosoltanto con le bestie da soma) a scapito dellamulattiera che passava da Monzuno. Meritache uno stralcio di questa lettera sia qui ripor-tato: “Illustrissimi signori; anticamente li mul-lattieri, et vetturali, che da cotesta città si par-tivano per andare alla città di Firenze, faceva-no la strada di Monte Rumici, Monzune, etdelle Croci, contà di questa città, et parimenteal ritorno, quella istessa facevano. Da pocotempo in qua, et da poi che le strade di Loiano,Scargalasino, et Pietra Mala sono salicate, etacomodate, questi mullatieri, et vetturali hanotralasciata la lor strada anticha per andar adetta città, et voltano per dette strade diLoiano, et Scargalasino …”25. Proprio in que-sti anni abbiamo una ulteriore conferma dellapercorribilità di questa mulattiera in un docu-mento, pure esso pubblicato dalla Foschi: sitratta di una relazione inviata nel 1588 dalperito architetto Dattili al Vice Legato delSenato di Bologna che lo aveva incaricato distudiare la possibilità, la convenienza ed i costiper rendere carrozzabile una delle quattromulattiere che dal versante bolognese si diri-gevano in Toscana.“Molto illustrissimo et Reverendissimo Signoreet patron mio Colendissimo. Havendomidomandato V.S. Reverendissima informationeparticolare delle strade che furono visitate del-l’anno 1584 per poter carrozzare da Bologna aFirenze per obedire a quanto la desidera, sidice che dalla banda de Signori Bolognesi si èvisto quattro luoghi, l’uno separato dall’altro,per veder dove, et per dove si potesse andarecon le carrozze più commodamente fosse possi-bile.”26. Il Dattili quindi elenca le quattromulattiere esistenti e fra di esse, appunto ricor-da, la mulattiera della Faggeta con queste paro-le: “Quarta ed ultima strada de Pianoro, aBrenta, Monterumise per la via de mulli aMoncione, le Croci, al Bastione, Cancellaraalla Fagieda, alle confine del Gran Duca”.

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(24) La casa della Faggeta, ancora esistente, ma diroccata, si trova circa 7,5 chilometri a nord del passo della Futa vici-nissima al confine tosco-emiliano.

(25) PAOLA FOSCHI: Una nuova tappa di studi sulla via Flaminia Minore, in “il Carrobbio” XXIX, 2003, pag. 30.(26) P. FOSCHI: Nuove scoperte documentarie per la via Flaminia Minore in “Atti e Memorie di Storia Patria per le

Province di Bologna”, Volume XLV, 1994 [1995], pag. 308.

Foto n° 85La chiesetta in località “Le Croci” (Monzuno) 4 kma nord di Madonna dei Fornelli sul percorso dellaFlaminia Militare. La mulattiera medievale ha rical-cato il suo tracciato seguendo la cresta dello spar-tiacque tra il Savena ed il Sambro.

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Basandosi su queste relazioni le autorità bolo-gnesi decisero poi di migliorare soltanto la stra-da che era la più frequentata per andare inToscana, cioè quella che passava da Pianoro,Loiano, Monghidoro fino alle Filigare.Soltanto due secoli dopo furono fatti lavoriimpegnativi, per renderla carrozzabile. Lericerche archivistiche della Foschi ci offronoun’altra testimonianza dell’esistenza dellamulattiera della Faggeta nel 1661; si tratta diuna relazione redatta nel 1702 da un incaricatodel Granduca di Toscana di verificare e redige-re la posizione dei cippi confinari con il terri-torio bolognese. La Foschi ricorda questa visi-ta in un suo articolo pubblicato su “il Carrob-bio”. “La visita fu condotta da ovest verso est el’inviato ispezionò tutto il confine del Vicariatodi Firenzuola, quindi al n. 20 incontrò il “ter-mine del Bastione”: qui indicò con il n. 21 la“Strada di Barberino dividente fra Barberino,e Bologna”, cioè la mulattiera che già cono-sciamo e che abbiamo indicato come via delloStale. La strada correva proprio sotto il “Mon-te del Bastione”, indicato con il n. 22, mentreil n. 25 è un albero imponente indicato come“Faggeta”. Anche in questo caso la confina-zione toscana del 1661 anticipa e conferma leinformazioni di circa mezzo secolo posteriorifornite dalle visite bolognesi fatte a partire dal1702 e per tutto il corso del XVIII secolo: lastrada lungo la quale si trovano ancora oggi itermini confinari fra Granducato di Toscana eStato Pontificio e che si pretende romana erainvece la mulattiera ben conosciuta e di gran-de importanza che da Bologna conduceva aFirenze attraverso Barberino del Mugello”27.Questo documento dimostra che la stradamulattiera che andava in Toscana passava pro-prio vicino al cippo confinario n° 22 postosotto la vetta del m. Bastione ed era in quell’e-poca, come dice la Foschi, ben conosciuta e digrande importanza. Noi condividiamo questasua opinione, ma non il suo commento “che si

pretende romana” riferito agli 11 chilometri dibasolati, da noi portati alla luce su quella stes-sa direttrice, che la ricercatrice bolognesesostiene essere stati costruiti nel Medioevo odin epoca rinascimentale28!

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(27) P. FOSCHI 2003, pag. 31.(28) Nel capitolo VII, par.2 di questo libro abbiamo scritto una succinta esegesi degli avvenimenti politici e militari e dei

documenti disponibili riguardanti la viabilità che interessano l’Appennino tosco-emiliano dall’epoca dell’Imperoromano all’epoca moderna, dimostrando che i basolati rinvenuti non possono essere attribuibili ad una mulattieramedioevale o rinascimentale.

Foto n° 86Monte Oggioli, confine tosco-emiliano: un cippo ori-ginale cilindrico in arenaria identico a quello che sitrovava fino al 1992 sul confine tosco-emiliano, allependici di m. Bastione, che Serafino Calindri haricordato di aver visto alla fine del XVIII secolo vici-no ad una antichissima via. Esso è stato un puntodi riferimento per iniziare le nostre ricerche. Proprioquel cippo è stato rubato 20 anni or sono, ma altrioriginali di identica fattura si trovano ancora lungo ilconfine che c’era fra lo Stato Pontificio ed ilGranducato di Toscana, datati 1789, anno in cuivennero posti, com’è testimoniato dalla data scol-pita sul fianco.

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Anche nel XVIII e XIX secolo abbiamo testi-monianze storiche che la mulattiera dellaFaggeta era percorsa con cavalli e muli.Il già citato Abate Calindri ricorda nel 1781 chequesta mulattiera passava alle pendici delmonte Bastione: “... sotto ad esso, a pocadistanza evvi un termine territoriale che pro-priamente rimane poco discosto da una anti-chissima via che da Bologna per Monzone con-duceva in Toscana e per la quale, nelle buonestagioni, vanno ancora alcuni vetturali e vian-danti”29. Qui il Calindri precisa che la frequen-tazione della mulattiera in questo tratto di altaquota (m 1100 s.l.m.) era limitato alle “buonestagioni”. In inverno era preferita la deviazioneda Madonna dei Fornelli verso Qualto, Monte-fredente, Pian del Voglio, Bruscoli fino allaFuta, che rimaneva ad una quota costante dicirca m 800 s.l.m.).Una ulteriore testimonianza della percorribilitàdi quella mulattiera la troviamo in una mappacatastale redatta nel 1823 ove viene chiamata“Strada Vecchia Bolognese” proprio in località“La Faggeta”.Ed infine nella descrizione del territorio dellaParrocchia di Cedrecchia, che ritroviamo nellanota pubblicazione dell’anno 1849: “Chieseparrocchiali della Diocesi di Bologna ritratte edescritte etc.” è ricordato il passaggio di unavia proveniente da Monzuno e diretta in Tosca-na (vol. III pag. 71): “Nella vetta dell’Alpe diQualto sorge la parrocchiale di Cedrecchiaventidue miglia circa da Bologna fuori di PortaS. Stefano, a mezzo miglio dalla sinistra spon-da della Savena nè lontana dalla via diMonzone che per mezzo a Serre s’apre allavolta di Firenze”....

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(29) S. CALINDRI: Dizionario corografico, georgico, orittologico, storico ec. ec. ec della Italia, I, Bologna 1781, pagg.236-237. Il monte Bastione si trova circa 8 chilometri a nord del passo della Futa.

Tavola 25

Porzione di mappa catastale redatta da Luigi Guasti il 2 luglio 1823. In evidenza la località “La Faggeta” ed il percorso della mulattiera che la costeggia chiamata “Strada Vecchia Bolognese”.

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1 – L’analisi strutturale deibasolati e le opinioni didocenti di topografia,geografia e storia anticaescludono la loro costruzionein epoca medioevale,rinascimentale o moderna

1a – Analisi strutturale e confronto visivo

Per quanto riguarda l’analisi strutturale deibasolati romani di epoca repubblicana faccia-mo rinvio alla nostra descrizione nel capitoloIV, par. 5 di questo libro. Qui ci limitiamo amettere a confronto visivo il basolato da noiportato alla luce con quello della via Clodiaall’ingresso di Saturnia, costruita nel 183 a.C..La sua costruzione risale quindi a soli 4 annidopo quella della via Flaminia Militare ed èevidente la totale corrispondenza nella posadelle pietre, con le più grandi sui bordi lateraliche, essendo più solide, avevano la funzione dicontenimento di quelle interne per mantenere ilperfetto allineamento rettilineo.

Soltanto alcuni studiosi bolognesi hanno messoin dubbio la romanità dei basolati della Futaattribuendoli alla mulattiera transappenninicache nel Medioevo ha collegato Bologna aFirenze valicando il passo dello Stale (ora Futa). Invece molti autorevoli docenti universitari ericercatori di viabilità antica hanno ricono-sciuto senza dubbi la realizzazione di questoimponente impianto stradale ad opera dellelegioni romane.

1b – Gli studi ed i riconoscimenti diGiovanni Uggeri

Rilevanti, a tal proposito, sono stati gli studi delprof. Giovanni Uggeri il quale ha ricercato ilpercorso di questa strada prevalentemente nelversante toscano, da Arezzo al passo della Futapubblicando un argomentato saggio1.L’opportunità di dedicarsi a questa ricerca èderivata dall’interesse di Nereo Alfieri di averela sua collaborazione per individuare la prose-cuzione, in territorio toscano, del percorsodella strada di C. Flaminio da lui ipotizzato, inpartenza dalla via Emilia in località Maggio(dove era esistita la romana Claterna), fino alpasso della Raticosa.

CAPITOLO VII

L’ANALISI STRUTTURALE DELLA PAVIMENTAZIONE,GLI AVVENIMENTI STORICI, LE NOTIZIE SULLA

VIABILITÀ TRANSAPPENNINICA E LE CONCORDI OPINIONI DI DOCENTI DIMOSTRANO CHE QUEI BASOLATI POSSONO ESSERE STATI

COSTRUITI SOLTANTO DAI ROMANI

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(1) G. UGGERI 1984, pagg. 577-593.

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Nell’affrontare questo problema l’Uggeri preli-minarmente evidenzia le oggettive difficoltàche incontrano oggi i ricercatori di una stradacostruita quasi 2200 anni fa, il cui utilizzo (erelativa manutenzione) è stato precocementeabbandonato: “... Dobbiamo pensare che peruna strada così antica i manufatti superstiti nonpossano essere numerosi e tantomeno appari-scenti. In questo senso un limite alle nostrericerche è rappresentato per ora dalla mancan-za di un’edizione accurata ed aggiornata dellacarta archeologica, assai lacunosa e bisognosadi revisione soprattutto nel settore montano,generalmente ancora poco conosciuto” 2.Il suo accenno all’importanza di reperire provearcheologiche “nel settore montano” preconiz-za i rinvenimenti dei basolati romani da noi

portati alla luce negli anni ‘80 – ‘90 sulla dor-sale a nord ed a sud del passo della Futa edallora non ancora resi noti.Uggeri poi sottolinea un’altra oggettiva diffi-coltà legata alla scarsa affidabilità dei percorsimedioevali per ricostruire tracciati di stradeconsolari romane. “… Per questo motivo inumerosi studi regionali e locali sulla viabilitàmedievale non sono direttamente utilizzabili. Ildistacco tra la strada repubblicana e le arteriemedievali può essere stato anche più sensibiledel solito in questo tratto dell’Appennino, se sitiene conto delle variazioni imposte ai collega-menti viari dal sopravvenuto confine traLongobardi e Bizantini, perpetuato ed in partecomplicato nel corso del medioevo da nuovefrontiere e gabelle” 3.

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Foto n° 87 Foto n° 88La via Clodia a Saturnia costruita nel 183 a.C.. Si noti la stessa identica tecnica di costruzione della stradacoeva (foto n° 89) da noi rinvenuta vicino al passo della Futa.

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(2) G. UGGERI: La via Flaminia “ Minor” in Etruria, in Studi di antichità in onore di Guglielmo Maetzke, Roma 1984,pag. 583.

(3) G. UGGERI 1984, pag. 583.

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Viceversa attribuisce rilevante importanzaall’individuazione delle più importanti stradeetrusche: “…È infatti fenomeno di portata gene-rale quello relativo all’utilizzo di massima ditracciati viari preesistenti, quando non inter-vengano sovvertimenti naturali, politici od inse-diativi radicali. Possiamo perciò ritenere verisi-mile l’inclusione nella nuova via della vecchiaarteria etrusca, che doveva congiungere sulladestra dell’Arno Arezzo con Fiesole” 4.Egli quindi ipotizza fondatamente che il conso-le romano, nel tratto compreso fra Arezzo eFiesole, abbia riutilizzato l’importante stradaetrusca che aveva collegato per secoli, sullependici occidentali del Pratomagno, le duecittà; si tratta di quella strada che poi vennechiamata “Cassia Vetus” (ora strada dei Setteponti) essendo stata la prosecuzione fino aFiesole ed oltre, della Cassia Roma-Arezzo.Dunque Fiesole era per Uggeri (e noi condivi-diamo in pieno il suo pensiero) la prima tappaimportante dopo Arezzo della strada provenien-

te da Roma e contemporaneamente il capolineadi partenza del tratto transappenninico.L’Autore poi ha affrontato la ricerca del percorsodi avvicinamento al valico appenninico utilizzan-do gli indizi che l’orografia, la storia, la topogra-fia antica e la viabilità medioevale potevanooffrigli. Tenendo fermo il capolinea di Fiesole, haverificato quale, fra le numerose strade medioe-vali, poteva essere quella che con maggiori pro-babilità aveva ricalcato il tracciato romano.Ha quindi scelto, in linea di massima, il territo-rio d’indagine tenendo conto dell’orientamentoorografico dei crinali, delle valli che eranodirette verso nord e che per il loro andamentorendevano comodo l’attraversamento dell’Ap-pennino. Non potendo, però, avvalersi di provearcheologiche, quali resti di basolato che indi-cassero con precisione il percorso seguito, hadovuto ricorrere ad indizi, ancora oggi esisten-ti, di una strada romana che, in partenza daFirenze, si dirigono verso nord-ovest; si trattadi una serie di testimonianze toponomastiche

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Foto n° 89Monte Poggione: questa immagine della FlaminiaMilitare evidenzia l’importanza dell’opera stradalee la sua perfetta linearità, nonostante si trovi inluogo impervio e di valico appenninico alla quotadi 800 m s.l.m.

Tavola 26

La prima ipotesi del tracciato della strada del Console Caio Flaminio secondo l’opinione di G. Uggeri: si noti che il percorso da Arezzo raggiunge Fiesole lungo la Valdarno e non percorre il Casentino. (Schizzo planimetrico tratto da G. Uggeri: “La via Flaminia Minor in Etruria” op. cit. pag. 582).

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(4) G. UGGERI 1984, pag. 583.

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di carattere itinerario quali “Terzolle”, “Quar-to”, “Quinto”, “Sesto” (Fiorentino) poi “Setti-mello” più a nord, incuneato al piede dell’Ap-pennino nella Val di Marina verso Barberinodel Mugello (Vigesimo).Questi toponimi sono senza dubbio la soprav-vivenza di distanze allineate lungo una stradaromana di grande importanza e dall’Uggerisono stati correttamente interpretati, non attri-buendoli alla originaria strada costruita da C.Flaminio nel 187 a.C. , ma ad una deviazione diessa costruita in epoca imperiale dopo la fon-dazione di Firenze.“… Va naturalmente considerato che Firenzenon esisteva ancora, almeno come centro urba-no, all’epoca della costruzione della viaFlaminia minor (187 a.C.); questa doveva pas-sare originariamente ai piedi di Fiesole e ditutto il sistema collinare affacciato sulla destradell’Arno. In età imperiale, però, la nuova colo-nia di Firenze venne ad assumere un tale rilievoda polarizzare tutta la viabilità della zona, cheoriginariamente gravitava a monte su Fiesole ea valle sul guado d’Arno, da localizzare all’in-circa in corrispondenza di Ponte Vecchio” 5.Dalle parole dell’Uggeri si evince con chiarez-za il suo pensiero, e cioè che la strada diFlaminio “...originariamente gravitava a montesu Fiesole ...” (cosa che condividiamo piena-mente) e che il tracciato della via FlaminiaMinor ha subito una deviazione conseguentealla ristrutturazione territoriale imposta dalla“Colonia Florentia”; di ciò è prova la numera-zione dei toponimi miliari che inizia da Firenze. Lo studio dell’Uggeri prosegue poi verso ilvalico Appenninico e ricostruisce il percorsodella Flaminia Minore toccando “Vigesimo”,vicino a Barberino del Mugello e S. Gavino; siporta poi sull’attuale S.S. n° 65 che percorre lacresta della dorsale in progressiva e dolce sali-ta verso le località di Montecarelli e S. Lucia. A questo punto, ancora una volta, l’Uggeri di-mostra un intuito eccezionale, ipotizzando laprosecuzione del tracciato esattamente nel puntoin cui noi, dieci anni dopo, abbiamo portato allaluce imponenti resti del basolato romano.

Riportiamo con vera emozione le sue parole:“… A nord di Santa Lucia (quota m 702) l’an-damento della strada antica si riconosce nellamulattiera rettilinea che rimane ad ovest dellastrada statale; essa è ancora utilizzata comeconfine comunale e questo è un indizio dellaantichità del tracciato” 6.

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(5) G. UGGERI 1984, pag. 586.(6) G. UGGERI 1984, pag. 591.

Tavola 27 Il tracciato della strada di C. Flaminio ipotizzato da G. Uggeri tra S. Lucia e il passo della Futa che ha trovato positiva confermanel successivo rinvenimento di alcuni tratti di basolato romanoperfettamente conservati, qui indicati con due rettangoli gialli.(IGM autorizzazione n° 50334 del 13/07/1999)

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A conferma della sua intuizione, a nord di S.Lucia, sulle pendici del m. Poggione (vedasicartina planimetrica), proprio ad ovest dell’at-tuale S.S. n° 65, e vicino ad un tratto rettilineodella “mulattiera” che delimita il confine tra iComuni di Firenzuola e Barberino del Mugel-lo, abbiamo riportato alla luce, dalla profondi-tà di un metro, imponenti ed intatti basolatiromani. Questi reperti si trovano circa 3 km asud del passo della Futa e sono sulla direttricedi quelli che, negli anni precedenti, abbiamotrovato a nord del passo della Futa, a PoggioCastelluccio, al Poggiaccio ed al m. Bastione,sulla stessa dorsale diretta verso Bologna.Il tracciato indicato dall’Uggeri arriva poi alpasso della Futa, il valico più comodo per attra-versare l’Appennino.A questo punto però aveva proposto una decisadeviazione verso nord-est per raggiungere ilpasso della Raticosa seguendo, in linea di mas-sima, il percorso dell’attuale S.S. n 65 che toccale località La Traversa, Covigliaio e Pietramala.

Foto n° 90M. Poggione in località Monte di Fò, 1 km a nord –ovest di S. Lucia, sono stati da noi rinvenuti tratti dibasolato romano proprio in corrispondenza dellamulattiera che G. Uggeri aveva intuito che ricalcas-se il percorso di C. Flaminio.

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Foto n° 91Se dal passo della Raticosa fosse stata costruita la strada consolare fino al passo della Futa (in primo pianonella foto), il suo percorso (indicato con la linea rossa) sarebbe dovuto passare ai piedi del Sasso di Castroe del m. Beni, con il conseguente rischio di imboscate da parte dei Liguri non ancora totalmente sconfitti.

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Noi siamo convinti che in questa parte finaledella sua ricerca, sia stato condizionato dallanecessità di raccordarsi con la FlaminiaMinore proveniente da Claterna, già ipotizzatasulla dorsale tra Idice e Sillaro. Istintivamenteperò l’Uggeri aveva colto la scarsa attendibilitàdi quel percorso emiliano, tanto è vero che,dopo averlo accettato nel suo tratto montano,poco a sud di Monterenzio Vecchia ha propostola prosecuzione su Bologna percorrendo lavalle del Savena, cioè sul tracciato diretto pro-veniente dalla Futa.Concludeva auspicando che nuovi rinveni-menti archeologici potessero fornire quelleprove che allora mancavano per individuarecon precisione la originaria strada di Flami-nio. E le prove archeologiche da lui auspicatesono oggi a disposizione degli studiosi per irisultati raggiunti dalle nostre ricerche e dainostri scavi.Quindici anni dopo la pubblicazione dei suoistudi abbiamo informato Uggeri dei nostririnvenimenti archeologici invitandolo a fareun sopralluogo. Con cortesia ha accettato nelluglio 2000 di essere accompagnato su alcunitratti di basolato romano a sud del passo dellaFuta. L’ispezione ha suscitato in lui moltointeresse ed un particolare compiacimentoquando ha potuto constatare che in localitàPoggione, a nord-ovest di S. Lucia, la suaintuizione aveva trovato puntuale conferma.Proprio sotto quella “strada mulattiera rettili-nea” che aveva ipotizzato ricalcasse il percor-so romano, ha potuto vedere tratti di basolatoperfettamente conservato ed incredibilmenterettilinei, nonostante il luogo sia particolar-mente impervio.Dalle fotografie si può cogliere il suo com-piacimento, in quanto questi reperti testimo-niavano l’esattezza dei suoi studi fino alpasso della Futa. Tale compiacimento non è venuto meno anchequando reperti altrettanto imponenti, a norddella Futa, hanno dimostrato che la stradaromana, dopo questo valico, proseguiva rettili-nea verso Bologna senza deviare a nord-est perraggiungere il passo della Raticosa, comeaveva ipotizzato nel 1984 per raccordarsi alpercorso dell’ Alfieri.

Del resto, Uggeri aveva istintivamente già per-cepito che il tracciato più logico doveva esserequello diretto su Bologna, avendo indicatonella valle del Savena la sua ipotesi del traccia-to finale romano vicino a Bologna. Rimanecomunque il fatto che, dopo la presa d’attodelle nuove prove archeologiche visionate, hamodificato la sua prima opinione, riconoscen-do la validità del percorso da noi suggeritodalla Futa a Bologna.

L’occasione per esprimere questa sua nuovaconvinzione è venuta il giorno della presenta-zione del nostro libro, organizzata dal Comunedi Fiesole (18 novembre 2000) nel corso dellaquale ha preso la parola descrivendo con unaarticolata prolusione la problematica storica,le caratteristiche costruttive della strada ed

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Foto n° 92M. Poggione, 26 Luglio 2000. Il prof. G. Uggeri acolloquio con Franco Santi sul bordo del basolatoromano riportato alla luce proprio nel luogo da luiipotizzato.

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illustrando il contributo che le nostre scopertehanno portato per la definitiva individuazionedell’esatto percorso seguito dal console C.Flaminio. A cura del Comune di Fiesole gli interventidegli oratori sono stati pubblicati 7 e da essitraiamo queste parole dell’Uggeri: “...Gli stu-diosi bolognesi avevano affrontato il problemadal versante emiliano a loro familiare, ma ave-vano arrestato le loro ricerche allo spartiacqueappenninico. Mi si pose allora il problema diriprendere e completare la ricostruzione deltracciato della strada militare studiata dai col-leghi bolognesi, conducendola sul versantetoscano verso Arezzo, in base alla mia espe-rienza di questi territori.

A conclusione delle mie ricerche, nel 1984,proposi quel tracciato diretto da Bologna versosud, indiziato qua e là da viottoli e mulattiere,che mi pareva il più consono alle esigenze mili-tari che dovevano aver dettato il progetto dellavia Flaminia minor nel 187 a.C.. D’altronde, ilpercorso da me proposto era sicuramente unastrada romana, sia in prossimità di Bologna,come dimostravano le pietre miliari lungo lavalle del Savena (Sesto, Ottavo, e Villa Nonepresso Pianoro), sia in prossimità di Fiesole,per lo stesso motivo, perché la serie di pietremiliari ad ovest di Firenze non si limitava allaCassia per Pistoia (Terzolle, Quarto, Quinto,Sesto), ma proseguiva diramando a nord perSettimello e per Barberino del Mugello, dove

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(7) Presentazione del volume “La strada Bologna-Fiesole del II secolo a.C. (Flaminia Militare)”, 18 novembre 2000,Casa Marchini Carrozza – Fiesole, a cura del Comune di Fiesole.

Foto n° 93Comune di Fiesole. 18 novembre 2000. Presentazione del libro: “La strada Bologna – Fiesole del II secoloa.C. (Flaminia Militare)”: il tavolo dei relatori. Al centro il prof. Giovanni Uggeri docente di topografia anticaall’Università “La Sapienza” di Roma; alla sua destra il prof. Paolo Marcaccini, docente di geografiaall’Università di Firenze, ed alla sua sinistra il prof. Leonardo Rombai, docente di geografia storicaall’Università di Firenze, il prof. Gabriele Ciampi ricercatore di geografia sempre all’Università di Firenze.Ultimo a destra nella foto Cesare Agostini.

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cadeva il XX miglio della strada. Il collega-mento tra questi due tronconi, cioè tra Pianoroe Barberino, poteva essere postulato sicura-mente come romano, anche se rimanevanoincertezze sul tracciato tra Pianoro a nord e ilpasso della Futa a sud. Infatti, a parte variindizi di antica frequentazione, non disponevodi alcun elemento probante per scegliere tra ilpercorso occidentale Brento, Monterumici,Monzuno, Madonna dei Fornelli e quelloorientale... che – erroneamente – mi parevaallora più probabile …. Conscio della precarietà degli indizi, auspica-vo che la paziente ricerca sui luoghi fornissenuovi elementi archeologici. Questi sono venu-ti, ora, da una lunga e faticosa ricerca sulcampo, che era stata già intrapresa dai nostriEroi e che è proseguita per tanti anni con entu-siasmo e abnegazione. Ma anche con grandecompetenza….… Questa strada presenta caratteristiche pecu-liari. Non è, pertanto, una delle tante mulattie-re che in ogni epoca hanno attraversato l’Ap-

pennino; ma ha alcune caratteristiche tipichedi una strada ufficiale, quali si possono riscon-trare in altre strade romane già note. Esse pos-sono così schematizzarsi:La strada ha una linearità spiccata e sostan-ziale; è di crinale, ma corre circa m 10 sottoquesto per ripararsi dal vento.La larghezza è costante; di m 2,40, perfetta-mente corrispondente alla misura canonicaromana di 8 piedi, usata ad esempio nelle stra-de centuriali, ma anche in altre circostanze.I bordi della strada sono rinforzati con pietrepiù grosse e difatti le dimensioni dei blocchi suidue bordi sono notevoli, ossia di ca 40/60 x20/30 cm.Qualche blocco lavorato, notevolmente piùalto, piantato ai lati della strada, serviva anchequi per montare a cavallo.All’interno la pavimentazione è compatta,anche se il lastricato è di pietrame più minuto,facile da reperire e da trasportare.Molti elementi litici allungati, disposti trasver-salmente, tendono a formare dei cordoli di trat-tenuta delle acque ed antiscivolo.La pendenza è studiatamente limitata, unifor-me e ben distribuita.Significative sono anche le diramazioni di col-legamenti viari secondari o locali, quasi sitrattasse di una direttrice un tempo portanteper la viabilità.” 8.

1c – I concordi consensi di altri docenti diviabilità antica

Molti studiosi hanno condiviso l’opinione che ibasolati da noi riportati alla luce siano i restidella strada costruita da C. Flaminio in epocarepubblicana.Fra i primi è stato il parere categorico del prof.Giancarlo Susini, titolare di cattedra di storiaantica all’Università di Bologna ed Accademi-co Nazionale dei Lincei, quando nel 1988,vedendo i nostri basolati così si è espresso: “…non c’è il minimo dubbio, dal punto di vistaarcheologico, … perché l’evidenza dei dati

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(8) G. UGGERI: Prolusione (Fiesole), pag. 9.

Foto n° 94Comune di Fiesole. 18 novembre 2000. Presenta-zione del libro: “La strada Bologna – Fiesole del IIsecolo a.C. (Flaminia Militare)”. Il prof. G. Uggeriosserva con interesse alcune fotografie della stra-da di Caio Flaminio indicate da Cesare Agostini.

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portati è assolutamente schiacciante. Non c’èil minimo dubbio! Si tratta di una strada roma-na, non c’è il minimo dubbio che sia una stra-da romana repubblicana …” 9.

Pochi anni dopo il prof. Nereo Alfieri, che perprimo aveva proposto l’ipotesi del tracciatosulla dorsale alla destra del fiume Idice (c.d.Flaminia Minore), in occasione del Convegnodel 1989, ha riconosciuto la romanità dellanostra strada, pur non attribuendola a C.Flaminio, con queste parole: “ … Su questebasi si è sviluppata una serie di ricerche acarattere interdisciplinare, che hanno megliodefinito il tracciato della via Flaminia nel ver-sante emiliano, distinguendolo nettamente daquello della strada – pur essa romana – dellacontigua valle del Savena ...”10.Sempre su questo argomento una testimo-nianza autorevole è quella portata dal prof.Raymond Chevallier, docente di archeologia elingua latina all’“Université François Rabelais”di Tours (Francia), il quale, nella prolusionetenuta in occasione della presentazione del

nostro libro il 3 maggio 2000 a Palazzo Mal-vezzi (sede della Provincia di Bologna), così siè espresso: “Vorrei insistere sulle caratteristi-che dell’itinerario studiato: linearità, che pro-segue sul versante toscano evidenziando lascelta del passo della Futa, che ho avuto l’oc-casione di percorrere parecchie volte durante ilmio soggiorno alla scuola francese di Roma;larghezza costante di otto piedi romani, quan-do le strutture non sono state rovinate dal traf-fico e dai movimenti del terreno (le frane cosìfrequenti nell’Appennino, probabilmente sonol’origine dell’abbandono della strada).Gli autori hanno osservato che le riparazionisono state accompagnate da una riduzionedella larghezza, osservazione interessante.Altre caratteristiche:• bordi ben costruiti e solidissimi;• disposizione ben curata delle lastre di rivesti-

mento là dove il materiale era disponibile, seno la via è di tipo “glareata” (abbiamo que-sto tipo, il glareato, anche in Francia);

• pendenza limitata al massimo.

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(9) Queste parole sono state pronunciate e registrate in occasione di un suo intervento al termine di una nostra confe-renza (illustrata con diapositive) tenuta il 16 febbraio 1988 al Rotary Club di Bologna.

(10) N. ALFIERI: La via Flaminia “Minore”, in Atti del Convegno La viabilità tra Bologna e Firenze nel tempo.Problemi generali e nuove acquisizioni (1989), Costa Editore, Bologna 1992, pag. 99.

Foto n° 95 Poggio Castelluccio (24 settembre 1988): il Prof.Giancarlo Susini dell’Università di Bologna eFranco Santi sulla strada romana alle pendici diPoggio Castelluccio.

Foto n° 96 Bologna. 3 maggio 2000. Palazzo Malvezzi sededella Provincia di Bologna. Prolusione del prof.Raymond Chevallier, docente di archeologia e lin-gua latina all’Università di Tours (Francia), in occa-sione della presentazione del libro sulla FlaminiaMilitare. A sinistra il Sindaco Poli di S. BenedettoVal di Sambro ed a destra Cesare Agostini.

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Queste caratteristiche, che non si trovano sullemulattiere, interessano l’insieme della via eindicano senz’altro l’unità della concezione …Già esistono numerose prove della romanità diepoca alta della via in questione. Si può accet-tare come ipotesi la data del 187 a.C., io l’ac-cetto e certamente si tratta di una strada diepoca alta.”11

Sempre in occasione della presentazione delnostro libro a Palazzo Malvezzi ha preso laparola il prof. Vittorio Galliazzo, docente diarcheologia e di storia dell’arte greca e romanaall’Università “Ca Foscari” di Venezia, il qualeha tenuto una relazione sul ponte di Colomba-iotto, rinvenuto casualmente 6 metri sotto terranell’alveo antico del fiume Sieve, in occasionedegli scavi per la costruzione del bacino delBilancino. In questa circostanza lo studioso hadescritto i resti di questa importante opera stra-dale ed ha concluso con queste parole: “Edecco allora l’importanza del ponte che è statotrovato. Non è un ponte qualunque, non è sol-tanto un ponte di strada romana, è un ponte

significativo nella cultura occidentale … Orami domando perché un ponte così importante,di circa 100 metri, non sia rimasto nei testi sto-rici. Ciò indica che ha una grande antichità eche quando è crollato stava su un tracciato per-fettamente praticato, e non casualmente, e nonda pecore o da pecorai, e che il costo era enor-me. Ora, nessun territorio, nessuno Stato siimpegna di fare un ponte importante laddovec’è il nulla. Questa è un’altra prova della suaimportanza e delle importanti risorse necessa-rie per la sua costruzione … . Tenete contoquindi che soltanto con i mezzi enormi, congente che sapeva spendere, che era organizza-tissima, si è potuto costruire una strada gran-diosa sull’Appennino tosco-emiliano, e non èper uso personale, ma “ad aeternitatem!”12.Infine sempre sul tema dell’epoca di costruzio-ne di questi basolati riportiamo il parere delprof. Leonardo Rombai, docente di geografiastorica all’Università di Firenze, espresso inoccasione della presentazione del libro sulla“Flaminia Militare” il 18 novembre 2000 alComune di Fiesole: “Quindi i basolati dellaFuta, mai ricordati nelle fonti medievali emoderne, non possono essere e non sono operadi un grande Comune come il fiorentino; lemulattiere e i sentieri che esistono, ancora oggili vediamo, quando si sono conservati, comepercorsi medievali. Basti ricordare la visitafatta dagli ufficiali dell’esercito Lorenese nel1747, la topografia di strade, un’opera ineditadella biblioteca Moreniana, oppure il censi-mento dei Capitani di Parte della viabilità del1763, che è conservato nell’Archivio di Stato diFirenze: sono fonti su strade di valico, soprat-tutto dell’Appennino, che ricordano anche congrande accuratezza la presenza di resti archeo-logici di antichi tratti, soprattutto di lastricatoo di altre opere d’arte, ma in quell’area, intutto questo quadrante che ci interessa, non sifa mai cenno a questi resti antichi. Ecco per cuivi dicevo che nel 1989 mi convinsi, insieme adaltri colleghi presenti a quel Convegno, dellamatrice antica che non può che essere romana,probabilmente su qualcosa che preesisteva,

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Foto n° 97Bologna. 3 maggio 2000. Palazzo Malvezzi sededella Provincia di Bologna. Prolusione del prof.Vittorio Galliazzo, docente di archeologia e storia dell’arte greca e romana all’Università “CàFoscari” di Venezia, in occasione della presenta-zione del libro sulla Flaminia Militare. Al centroFranco Santi lo ascolta in meditazione; a destra ilprof. Carlo Alvisi.

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(11) RAYMOND CHEVALLIER: Prolusione (Bologna), pagg. 19 e 20.(12) VITTORIO GALLIAZZO: Prolusione (Bologna), pagg. 24 e 27.

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come ci raccontava prima l’avv. Agostini, quin-di risalente a tempi etruschi.”13.È da sottolineare che il Rombai, profondo stu-dioso della viabilità dell’Appennino, testimo-nia che i basolati in questione non sono mairicordati nelle fonti medievali e moderne equindi non possono che essere romani.

2 – Una attenta analisi degliavvenimenti storici e dellespecifiche notizie sullaviabilità dell’Appenninotosco-emiliano, conferma chei basolati rinvenuti a nord eda sud del passo della Futapossono essere stati costruitisoltanto dai Romani

Le univoche opinioni di docenti universitari,riportate nel paragrafo precedente, sarebberosufficienti per chiudere la controversia in favore

delle origini romane di questi basolati. Noivogliamo comunque verificare se nella storiadegli avvenimenti politici-militari o dai docu-menti sulla viabilità transappenninica, esistononotizie od indizi che possano fare presumere laloro costruzione dopo l’epoca romana. Teniamo conto innanzi tutto di un dato incon-testabile: i basolati si vedono e quindi c’è laprova archeologica della loro esistenza conti-nuativa per 11 chilometri, dal m. Bastione al m.Poggione, (località Monte di Fò) rispettivamen-te a nord ed a sud del passo della Futa. Questaloro posizione “a cavallo” dello spartiacqueappenninico è la prova dell’appartenenza aduna strada a lunga percorrenza, di raccordo fragli opposti versanti e non per collegamentilocali; non esistono infatti, e non sono mai esi-stiti sulla loro direttrice e nelle loro vicinanze,insediamenti rurali o religiosi che meritasseroun’opera così imponente, la cui realizzazioneha richiesto un impegno organizzativo, tecnicoed economico rilevantissimo; si consideri chesoltanto negli 11 chilometri individuati archeo-logicamente sono stati utilizzati ben 275.000quintali14 di pietre di arenaria locale prelevateda cave limitrofe al tracciato.Pertanto se si vuole negare che sono stati iRomani a costruirla e che si tratta invece di restidi una mulattiera medioevale o rinascimentale oaddirittura moderna, si deve trovare nella sto-riografia e nella documentazione antica omoderna la notizia della data e dello Stato odella Comunità che l’ha costruita. Infatti si trat-ta di un’opera così impegnativa e costosa chedella sua edificazione dovrebbe essersi traman-dato il ricordo non soltanto nella tradizioneorale, ma anche nella storiografia ufficiale.Una tale ricerca avrebbero dovuto farla coloroche sostengono la modernità dei basolati; mapoiché non l’hanno fatto, abbiamo provato noi asfogliare le pagine della storia, epoca per epoca,ed i principali documenti, che hanno visto pro-tagonista il nostro Appennino tosco-emilianodalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente

Foto n° 98Monte Poggione (località Monte do Fò), 16 settem-bre 2000. Franco Santi accompagna sui basolatiromani il prof. Paolo Marcaccini ed il prof. LeonardoRombai dell’Università di Firenze.

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(13) LEONARDO ROMBAI: Prolusione (Fiesole), pag. 17.(14) Il materiale utilizzato è stato da noi calcolato nel precedente capitolo V, paragrafo 5°, tenendo conto che il peso spe-

cifico dell’arenaria è di 26 quintali al metro cubo e che per ogni metro lineare della strada ne venivano impiegaticirca 25 quintali.

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all’età moderna, per accertare se, nel corso diquesti 1500 anni, si può reperire la notizia, oquantomeno validi indizi, della costruzione diquesto imponente impianto stradale.Ci siamo avvalsi anche delle ricerche e delledocumentazioni pubblicate dagli studiosi che sisono interessati di viabilità antica transappen-ninica, traendo da essi le notizie utili per chia-rire l’origine dei basolati. Soprattutto abbiamoattentamente valutato la documentazione pub-blicata da uno studioso dell’argomento, Danie-le Sterpos. Con lui abbiamo preso contatto ed,in occasione di un incontro personale avvenutoa Firenze il 6 giugno 1981, ci ha fatto dono delsuo libro “Comunicazioni stradali attraverso itempi: BOLOGNA-FIRENZE”; in seguitoabbiamo avuto frequenti scambi di opinionisulla viabilità transappenninica antica, traendopreziosi orientamenti con grande nostra soddi-sfazione ed altrettanta riconoscenza. Ci siamoavvalsi anche delle ricerche di studiosi bolo-gnesi e pubblicate in tempi diversi.Interpretando comunque autonomamente ladocumentazione da loro ritrovata, abbiamoletto preziose notizie che hanno contribuitoproprio ad escludere l’origine medioevale,rinascimentale o moderna dei basolati.

2a – L’epoca delle invasioni barbariche(secc. V – VIII). Il tracciato della trans-appenninica medioevale ricalca il percorsodella “Flaminia Militare”

Riportiamo qui le parole dello storico bologne-se Arturo Palmieri che danno un quadro sinte-tico, ma efficace, della situazione delle stradedopo la caduta dell’Impero Romano d’Occi-dente: “Le strade romane avevano perduto nelMedio Evo la loro importanza e <cadderoanzi, segnatamente dal V al X secolo, nel piùtriste e rovinoso abbandono>. Il disordinepolitico, lo scompiglio amministrativo, le guer-re, i contrasti di razza e di religione, la man-canza d’industrie e di commerci, tolsero ogni

mezzo ed ogni occasione per la conservazionedelle strade. Delle vie romane non potè restareche la traccia. Le belle strade selciate scompa-rirono presto per larghissimi tratti e, con l’an-dar del tempo, per tutto il percorso. Rimaserosemplici viottoli formati dal passaggio dicavalli e pedoni.”15.È indubbio che gli eserciti barbari hanno utiliz-zato le superstiti strade per calare in Italia e pervalicare l’Appennino. Così i Goti guidati daRadagaiso, che all’inizio del V secolo era già aFirenze; altrettanto dicasi di Alarico, re deiVisigoti, che nel 408 assediò Roma. La notiziadella lenta marcia di questi eserciti dimostra laprecarietà delle strade che dovevano percorre-re. Il loro scopo di conquista, distruzione e sac-cheggio delle terre occupate esclude qualsiasiipotesi di costruzione di strade basolate tantomeno transappenniniche. Anche nel secolo suc-cessivo le ulteriori ondate degli eserciti barba-rici hanno ricalcato quel poco che era rimastodelle strade consolari romane. Così è stato inoccasione delle guerre contro i Goti, comericorda lo Sterpos: “… Fra i fatti della guerrache, sotto i successori di Teodorico, i Goti com-batterono contro il corpo di spedizione inviatodall’imperatore di Bisanzio, Giustiniano, allariconquista dell’Italia, alcuni se ne conosconoriguardanti così le due città come il territoriofra esse compreso, e perciò anche le strade chepotevano tuttora essere usate per collegareBologna e Firenze e viceversa. E cioè: l’inva-sione iniziale, che porta rapidamente le truppeimperiali a Firenze e a Bologna (537-38), lariconquista gotica e la venuta di un corpobizantino contro Fiesole (e contro Firenze, per-ché pare che essa fosse tornata sotto i barbari)per ristabilire la situazione; il successivoattacco contro Firenze del re goto Totila, ladefinitiva presa di possesso di tutta la regioneda parte di Bizantini, vincitori del conflitto.Questi i momenti in cui le strade sopra consi-derate furono raggiunte dalla guerra e serviro-no per essa…. Uno solo dei predetti episodi, perla narrazione fattane da Procopio, lo storico

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(15) ARTURO PALMIERI: La montagna bolognese del Medio Evo, Bologna 1929. Ristampa anastatica pubblicata daArnaldo Forni Ed., 1981, pag. 322.

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contemporaneo che fu a lungo in Italia alseguito di Belisario, è localizzabile con unacerta precisione attorno a due vie che abbiamoriconosciuto come esistenti in età romana eprobabilmente usate per i collegamenti fra<Bononia> e <Florentia>, precisamente at-torno ai due tronchi da Firenze al Mugello, icui prolungamenti concludono rispettivamenteverso la Futa e verso Faenza”16.In questa situazione di guerra non si può certa-mente immaginare che gli eserciti dei Goti daun lato, e dei Bizantini dall’altro, impegnati afronteggiarsi fino alla vittoria decisiva, abbia-mo avuto l’intenzione di costruire una nuovastrada transappenninica di tale imponenza. Poinella seconda metà del VI secolo l’invasionedei Longobardi ha ulteriormente peggiorato lecomunicazioni fra Bologna e Firenze, tanto dainterromperle completamente in quanto l’eser-cito Bizantino sul versante bolognese, e quelloLongobardo sul versante fiorentino, presidia-vano militarmente i loro confini spezzando difatto i precari collegamenti superstiti. Questasituazione si protrasse più di 150 anni, fino allametà dell’ VIII secolo, quando i Longobardiconquistarono Bologna ed il valico appennini-co. Ci sarebbero quindi state le condizioni poli-tiche per una ripresa delle comunicazioni traFirenze e Bologna sotto l’unico dominio lon-gobardo, ma la successiva calata dei Franchi,guidata da Carlo Magno, ha sconfitto i Longo-bardi impedendo loro di migliorare la viabilitàtransappenninica, ammesso che ne avesseroavuto l’ intenzione.

2b – L’epoca della dominazione dei Carolingi(secc. IX - X). Il tracciato transappenninicocontinua a ricalcare il percorso della“Flaminia Militare”

Le condizioni politiche favorevoli per lariapertura delle comunicazioni tra Firenze eBologna si presentarono proprio dopo la con-

quista dei Franchi, che unificarono sotto illoro dominio sia Firenze che Bologna, anchese quest’ultima città era stata riconosciuta for-malmente come possesso del Papa.Condividiamo quindi le parole dello Sterpos:“... dopo la conquista franca le condizioni sto-riche sono nuovamente favorevoli allo svilup-po delle comunicazioni tra Bologna e Firenze;per stabilire però se tale sviluppo vi sia statodavvero e fino a quale punto, non si hannoabbastanza elementi”17. Significativa è questaconclusione dello Sterpos: lasciando nel dub-bio se sotto i Franchi sia stata rivitalizzata omeno la strada transappenninica, dimostra dinon avere trovato nella storiografia o nelladocumentazione medioevale la notizia dellacostruzione di una strada carrozzabile, comepoteva essere stata quella testimoniata daibasolati rinvenuti al passo della Futa; notiziache gli storici dell’epoca e la tradizione oralenon avrebbero dimenticato di ricordare, datal’importanza di un simile impianto stradale.Possono invece essere sfuggite agli storici lenotizie di eventuali semplici miglioramentidell’obsoleto percorso romano, rendendoloripercorribile con cavalli, muli e portantine e,quindi, riaprendo di fatto una mulattiera suffi-ciente da permettere un collegamento direttotra Bologna e Firenze.Una conferma dell’esistenza di una viabilitàtransappenninica più o meno praticabile si hanell’896 quando una parte dell’esercito del ReArnolfo di Carinzia valicò l’Appennino daBologna a Firenze per dirigersi a Roma. Comericordato nel paragrafo 5° del capitolo VI, loSterpos, ci informa che la stessa fonte chedocumenta il viaggio parla di grandi disagiche l’esercito dovette sopportare nel camminoe “dei lunghi giri resisi necessari per gli scon-volgimenti causati dalle piogge”18. Questo dimostra che sotto la dominazione deiCarolingi non era stata costruita una stradatransappenninica che potesse giustificare lapresenza dei basolati della Futa.

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(16) D. STERPOS 1961, pagg. 19 e 20.(17) D. STERPOS 1961, pag. 24.(18) D. STERPOS 1961, pag. 26.

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2c – L’epoca del Feudalesimo (secc. IX –XII). Il tracciato transappenninico ricalcaancora il percorso della “Flaminia Militare”

I Carolingi per mantenere il dominio effettivodel sovrano avevano concesso beni e diritti aipropri sudditi fedeli. Essi erano diventati iSignori di un territorio ben definito del qualeavevano la proprietà privata ed il potere digoverno. Era nato così il “Feudalesimo” chenon contribuì a creare quelle condizioni di unitàpolitica in Appennino, presupposto necessarioper costruire una strada importante tra Bolognae Firenze. Lo Sterpos bene rappresenta questasituazione di frazionamento territoriale: “Nep-pure in questo periodo dunque il territorio com-preso fra Bologna e Firenze raggiunse quell’u-nità giurisdizionale che sarebbe stata un pre-supposto positivo per i contatti fra le due città eper la fortuna delle comunicazioni stradali.Anzi con il feudalesimo trionfò qui come altro-ve il particolarismo, il potenziamento locale adanno della residua autorità dello stato. Ilcomitato bolognese, in specie la montagna, sifrazionò presto in molti feudi minori, tanto dasubire nello spazio di un secolo, all’incirca trail 950 e il 1050, anche esteriormente, un gran-de cambiamento... per la quasi contemporaneacostruzione di numerosi castelli, rocche, appre-stamenti fortificati. Dall’altra parte, nel comi-tato di Firenze, nobili longobardi e franchi, nondi rado ecclesiastici, avevano preso stanzanella campagna e con vario titolo feudale nedominavano ognuno una porzione piccola ogrande. Nel secolo XII le fortezze del territoriofiorentino si fecero tanto numerose, che in qua-lunque luogo lo sguardo potesse spaziare lonta-no, doveva scorgere il profilo minaccioso diqualche castello…. La vita della regione, per lopiù collinosa e montagnosa, compresa traBologna e Firenze, nei secoli X e XI s’incentracerto attorno a queste munite sedi feudali”19.Per dare una idea della frattura del territoriotosco-emiliano che si era venuta a creare sulladirettrice Bologna-Firenze, sia lungo la valle

del Savena che dell’Idice, con la divisione deipossedimenti dei diversi feudatari, si consideriche nel XII secolo:I Conti di Bologna si estendevano fino aPianoro.I Signori di Monzuno controllavano anche iterritori di Bibulano, Qualto, Castel dell’Alpi eGrizzana.I Conti di Panico, discendenti ed imparentaticon i Conti di Bologna e con i Signori diMonzuno, arrivarono ad avere il dominio suuna vasta area appenninica, sempre nel versan-te emiliano, che comprendeva possedimentianche a Monteacutoragazza, Grizzana, Monte-fredente, Castel dell’Alpi, Qualto, Ripoli,Santandrea etc..I Conti Alberti di Prato (o di Mangona) este-sero i loro dominii anche nel versante appenni-nico emiliano, tanto da confinare con i posse-dimenti dei Conti di Panico. Due diplomiimperiali, uno del 1164 e l’altro del 1209 con-fermano i diritti di questa famiglia sopra i ter-ritori anche di Montecarelli, Baragazza, Casti-glione, Pian del Voglio, Bruscoli, MonteacutoVallese.Gli Ubaldini, padroni dei territori del Mugelloa nord del Fiume Sieve, espansero il loro domi-nio sui valichi appenninici ed oltre, anche nelversante emiliano. Così li troviamo padronidispotici sui territori di Le Valli, Cornacchiaia,Castro Rifredo, Pietramala, Cavrenno, CàBuraccia ed addirittura fino a Monterenzio,Scanello e Barbarolo20.Da questa brevissima carrellata dei feudatariche dominavano le vie naturali transappennini-che si può comprendere che nei secc. X – XI eXII non può essere stata costruita l’imponentestrada testimoniata dai basolati della Futa, nonavendone essi né l’interesse politico-militare, néla forza organizzativa ed economica. Al massi-mo è stata costruita o mantenuta una rudimenta-le rete di mulattiere all’interno dei singoli feudio di collegamento fra di essi, ma non certamen-te con la volontà di realizzare un importanteasse transappenninico tra Bologna e Firenze.

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(19) D. STERPOS 1961, pag. 27.(20) A. PALMIERI 1929, pagg. 54 -55.

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In queste epoche sono sorte anche molte Pievio Chiese battesimali che costituivano un polodi attrazione per la viabilità locale ed un puntodi riferimento per gli spostamenti appenninici apiù lungo raggio. A tal proposito così si espri-me lo Sterpos: “Lungo le vie naturali daBologna a Firenze si susseguivano dunque lechiese battesimali, ognuna rappresentando,non meno del castello, nel territorio sottopostoalla propria giurisdizione, un luogo di conver-genze di tutti gli abitanti, e non solo per inte-ressi spirituali”21.Pur di fronte a questo sostanziale silenzio dellastoriografia ufficiale sulla viabilità, in questeepoche ci sono evidenti indizi di una mulattie-ra che seguiva sostanzialmente il percorso dellaFlaminia Militare valicando l’Appennino allo“Stale” (passo della Futa). Ancora lo Sterposscrive: “Lo sviluppo raggiunto come centro feu-dale della montagna bolognese da Monzuno,… e l’esistenza in quel luogo già all’inizio delXI secolo di un ospedale per alloggio di pelle-grini ed ammalati, tenuto dai Vallombrosani,fanno presumere che si trattasse di un abitatoben collegato con altri borghi e castelli dellamontagna e con Bologna stessa”22. Si tratta diquel percorso romano che ha visto passare insuccessione cronologica prima gli eserciti bar-bari, poi Carlo Magno, quindi Arnolfo diCarinzia ed infine tutti coloro che avevanonecessità di attraversare l’Appennino.

2d – Fine secolo XII. Spostamento del trac-ciato transappenninico sull’asse Pianoro-Loiano-Monghidoro-Cavrenno-passo dellaRaticosa-Pietramala-Le Valli-Cornacchiaia-passo dell’Osteria Bruciata-S. Agata delMugello

Alla fine del XII secolo, però, questo percorsoè stato meno frequentato e si è affermato unaltro itinerario spostato più ad oriente che si eracreato lentamente per servire gli scopi militari

e commerciali della potente signoria degliUbaldini che dominava tutti i territori dell’altoAppennino. Lo Sterpos conferma la nascita diquesto tracciato: “Verso la metà del secolo XIIgli Ubaldini sono saliti a una grande potenza,non certo minacciata ancora dalle forze comu-nali che da alcuni decenni si sono affermate aBologna e a Firenze. … nel territorio sottopo-sto alla giurisdizione della grande famiglia sisvilupparono dei contatti che favorivano lo sta-bilirsi di un tracciato continuo dalla Sieve allealture sulla destra Savena, per S. Agata, Cor-nacchiaia, Pietramala, Cavrenno e Monghido-ro. Ma non il solo bisogno di assicurare alcunicollegamenti indispensabili all’interno dei suoipossessi poteva interessare il feudatario allaviabilità: c’era anche il desiderio di riscuotereun tributo dai viandanti, dai forestieri.”23.Ciò ha determinato uno spostamento nel settoremontano della via principale da Bologna aFirenze che si sostanzia, alla fine del XII seco-lo, in un trasferimento dalla sinistra alla destradel Savena e dal passo della Futa al passo dellaRaticosa. Lo Sterpos così giustifica questa lentae progressiva variazione di itinerario: “ Il cam-biamento di tracciato è stato posto in relazionecon la costruzione del castello di Scaricalasino,e con lo sviluppo di Loiano come centro ammi-nistrativo e commerciale e con quello diBarbarolo come centro religioso. Fattori indub-biamente importanti, che però entrano in gioco,piuttosto tardi e che potevano semplicementedeterminare la nascita di una via Bologna-Pianoro-Loiano-Scaricalasino.”24.Questo nuovo percorso quindi non è il frutto diun organico progetto di un impianto stradalevoluto e realizzato dai poteri politici diBologna e di Firenze, ma il risultato di un natu-rale collegamento della precaria rete stradaleesistente nel territorio degli Ubaldini con unastrada, che su iniziativa dei Bolognesi, permet-teva l’accesso alle nuove località di Pianoro,Loiano e Monghidoro. Si trattava comunque dicollegamenti che non ascendevano al rango di

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(21) D. STERPOS 1961, pag. 29.(22) D. STERPOS 1961, pagg. 29-30.(23) D. STERPOS 1961, pagg. 36-37.(24) D. STERPOS 1961, pag. 35.

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strada, ma soltanto di precarie mulattiere, cometramandato dalla storiografia e dalla tradizioneorale di quelle località. Il Palmieri con pocheparole ci conferma questo quadro disastrosodei percorsi medievali25.Ed una tale situazione non esisteva soltanto perl’attraversamento dell’Appennino tosco-emi-liano, ma era estesa a tutta l’Europa. NorbertOhler, docente di storia all’Università diFreiburg, ha pubblicato un libro che descrive inmodo esauriente le condizioni della viabilitànel Medioevo della rete stradale in alcuni terri-tori europei, evidenziando gli ostacoli ed i peri-coli che dovevano affrontare i viandanti: “Suitorrenti nella migliore delle ipotesi veniva col-locata una trave per i pedoni, altrimenti si pas-sava a guado, come i fiumi. Qui si poteva giàessere contenti se c’era una corda, tesa da unasponda all’altra, a offrire un appiglio di fortu-na. Questo perché il livello dell’acqua potevaaddirittura sovrastare la testa dei passanti edurante le piene anche i piccoli corsi d’acquacostituivano degli ostacoli insormontabili. Lacostruzione e la manutenzione dei ponti eranocostose, e d’altra parte l’allestimento di un ser-vizio di traghetti aveva senso solo se potevagarantire il sostentamento a un barcaiolo conla sua famiglia. … A parte alcune eccezioni,nell’Europa centrale si può parlare di manu-tenzione stradale solo tra la fine del XVIII e l’i-nizio del XIX secolo; fino ad allora le buchesulla strada venivano riempite di terra e fasci-ne …”26. Se questa era la situazione nella pre-valenza delle strade extraurbane, altrettantodisagevoli erano gli spostamenti nella città:

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(25) A. PALMIERI 1929, pag. 325: “Nel primo MedioEvo la manutenzione e perfino l’apertura delle stra-de era lasciata ai passeggeri delle località attraver-sate. Erano essi che con l’andare e tornare formava-no il piano stradale e lo conservavano battuto.Tenevano finchè era possibile l’alto dei monti equando dovevano scendere nelle valli lo facevanosenza troppe tortuosità e con altrettanta concisioneaffrontavano la pendice opposta. È naturale quindiche in tempi di pioggia e di nevi queste strade sortequasi naturalmente si trasformassero in disordinati erovinosi torrenti”.

(26) NORBERT OHLER: I viaggi nel Medio Evo,Garzanti editore Spa, Milano 1988, pagg. 51 e 87.

SANTERNO

T. RIS

AN

O

Tavola 28

Il tracciato della mulattiera medioevale ricalcante la Flaminia Militare.

Il tracciato montano della mulattiera transappenninica preferito dal XII secolo all’inizio del XIV secolo.

CEDRECCHIA

M. GALLETTO

LE CROCI

MADONNADEI FORNELLI

PIAN DI BALESTRA

M. BASTIONE

FAGGETA

M. LUARIO

PASSEGGERE

PASSO DELLA FUTA

S. LUCIA

MONTECARELLI

COLLEBARUCCI

S. AGATA

FIESOLE

FIRENZE

POGGIO CASTELLUCCIO

TRAVERSA

BOLOGNA

BOLOGNA

PASSO OSTERIA BRUCIATA

MARCOIANO

CORNACCHIAIA

LE VALLI

PIETRAMALA

PASSO DELLA RATICOSA

CAVRENNO

FILIGARE

MONGHIDORO

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“… Non esistevano né fognature né raccoltedei rifiuti. Erano già un gran vantaggio se, incaso di pioggia, si riusciva a saltare da unapietra a un’altra, evitando in tal modo di inzac-cherare di fango scarpe e vestiti …”.Ritornando al nostro Appennino, si deve rileva-re che comunque, alla fine del XII secolo edall’inizio del XIII, la fervida attività mercantilee manufatturiera di Firenze aveva un crescenteinteresse a conservare un diretto e sicuro colle-gamento con Bologna, città che le apriva lapossibilità di espandere i propri commerci inPianura Padana ed oltre. In un primo tempo,quindi, il Comune di Firenze, in collaborazionecon quello di Bologna, sulla spinta di precisiaccordi che tendevano a sviluppare i commercied a garantire la sicurezza dei viandanti e rego-lamentare i pedaggi da pagarsi27, miglioraronotratti di strade del sistema viario locale che giàuniva le varie località montane, rettificandoalcuni percorsi ed impegnandosi ad una perio-dica minima manutenzione.Così progressivamente si viene a creare unastrada (così detta strada “maestra”) organica dicollegamento fra le due città che è attestata,come ricorda lo Sterpos: “ ...non più da indiziindiretti, per quanto importanti, ma da esplicitemenzioni delle fonti. I più antichi statuti bolo-gnesi e fiorentini, in rubriche che risalgonorispettivamente al 1262-88 ed al 1250-86 par-lano “della strada per la quale si va a Firenze”e della strada che porta a Bologna”28.Da tali documenti si può ricostruire il suo per-corso che attraversava le seguenti località par-tendo da Bologna: Pianoro, Loiano, Roncastal-do, Scaricalasino (Monghidoro), Cavrenno,

passo della Raticosa, donde scendeva a Pietra-mala, Le Valli, Cornacchiaia (dopo l’attraver-samento del Santerno) e da qui risaliva alpasso dell’Osteria Bruciata, ultimo ostacoloappenninico prima di raggiungere il Mugello aS. Agata. Una conferma di questo percorso sitrova in un documento del Comune di Firenzeil quale, nell’anno 1296, stabiliva di costruiresulla Bologna-Firenze, tra la località “LeValli” e Cornacchiaia, due ponti precisamentesul torrente Risano e sul fiume Santerno29 amonte della confluenza di questi due corsid’acqua che, separatamente, potevano essereattraversati più agevolmente, data la singolaminore portata d’acqua.L’importanza che aveva assunto questa stradaper i traffici transappenninici si desume anchedal fatto che il Comune di Firenze prescrisse dicostruire questi due ponti in muratura (… delapidibus …)30; è noto infatti che sulle norma-li mulattiere di montagna i ponti non eranoaltro che robuste passerelle in legno, sufficien-ti per il transito di muli, cavalli, lettighe o por-tantine. Infine sempre lo Sterpos31 ricorda cheil Wolfger indica S. Agata come luogo di trans-ito per raggiungere Firenze da Bologna all’ini-zio del XIII secolo. Se quindi in quell’epoca sipassava da Cornacchiaia e S. Agata si deve rite-nere attendibile che il percorso valicasse il cri-nale appenninico al passo dell’Osteria Brucia-ta, che si trova appunto sulla loro direttrice.Nonostante questa strada fosse la più frequen-tata in quell’epoca (c.d. strada “maestra”) sitrattava comunque di una mulattiera disagevolenon carrozzabile, anche se la manutenzione eraseguita dai Comuni di Bologna e di Firenze.

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(27) D. STERPOS 1961, pag. 39: “... Infine il 10 marzo 1219 nel palazzo comunale bolognese un trattato viene conclu-so specificamente «sulla questione dei pedaggi o passaggi da pagarsi, alle porte della città di Firenze e dentro lacittà, dagli uomini della città di Bologna e del suo distretto» e «dagli uomini della città e distretto di Firenze, alleporte della città e nella città di Bologna». Si stabilisce che Bolognesi e Fiorentini pagheranno la stessa tariffa perogni soma, una volta sola senza altre aggiunte”. Da questo accordo si desume che i trasporti transappenninici eranopossibili soltanto a dorso di mulo o di cavallo (… per ogni soma).

(28) D. STERPOS 1961, pagg. 40 e 41.(29) Lo Sterpos riporta nella nota 56 (pag. 207) il testo originale della decisione del Comune di Firenze: “ … per stra-

tam per quam a civitate Florentiae itur Bononiam … duo idonei pontes de lapidibus et calcina fieri et costruidebeant inter terram Cornaclarii et terram Vallium in strata predicta … unus videlicet super flumen Risani et alte-rum super flumen Santerni”.

(30) D. STERPOS 1961, nota 56 pag. 207.(31) D. STERPOS 1961, pag. 42.

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Una interessante testimonianza della precariapercorribilità di questa strada si ha quando, nel-l’ottobre dell’anno 1300 il Comune di Bolognadecise di eseguire un restauro generale del trattoPianoro-Pietramala perché si era reso conto, frale proteste dei viandanti, che la strada “maestra”per Firenze era pressoché impraticabile.Soprattutto furono determinanti le proteste dellemigliaia dei pellegrini che dal nord Europa sierano diretti a Roma per il primo Giubileo indet-to da Papa Bonifacio VIII. Lo Sterpos riportauno stralcio della deliberazione del Comune cheè molto significativa: “ ...non solo i mercanti –dice il documento – e tutti quelli che l’usanocontinuamente ci informano che la strada diFirenze è tanto sconquassata e piena di frane danon poterci passare senza pericolo degli uominie delle bestie, ma anche i pellegrini che vanno evengono da Roma per l’indulgenza plenaria”32.Preso atto di questo nuovo tracciato, dobbiamoquindi escludere che i basolati della strada dellaFuta siano stati costruiti in quell’epoca, non sol-tanto perché la loro imponenza strutturale pre-suppone l’esistenza di una strada carrozzabile,ma anche per la loro posizione topografica tro-vandosi su tutta un’altra direttrice.

2e – Epoca comunale e rinascimentale (secc.XIII – XVII). Ulteriore spostamento adoriente del valico montano della stradatransappenninica (c.d. “Maestra”)

L’inizio del XIV secolo vide a Firenze lotteintestine che costrinsero la fazione perdente(Ghibellini e i c.d. Bianchi) a lasciare la città.Essi si allearono agli Ubaldini, ancora signoridelle terre appenniniche e si scontrarono con leforze militari di Firenze, rimanendo però scon-fitti. Il Comune di Firenze allora decise di fon-dare Scarperia, proprio nel cuore del dominiodegli Ubaldini, per controllare i loro possedi-menti più da vicino.

Negli anni successivi, dopo alterne vicende, gliUbaldini si sottomisero formalmente alComune di Firenze il quale, per fare valere inconcreto il proprio dominio, decise di costruireun avamposto nella valle del Santerno, al di làdella prima catena appenninica. Fu così chenegli anni 1328-1330 venne fondata Firenzuo-la, allacciata con Scarperia da una nuova stradache valicava il passo del Giogo e che, dopoFirenzuola, si collegava al percorso precedentediretto a Bologna. Anche in questo caso loSterpos riporta uno stralcio dell’atto degliUfficiali incaricati della fondazione di Firen-zuola nel quale è espressamente stabilito cheattraverso di essa debba passare una via direttaFirenze-Bologna33. Non fu comunque undominio tranquillo quello dei Fiorentini suFirenzuola perché nel 1351, approfittando del-la calata dei Visconti di Milano su Firenze, gliUbaldini si allearono con loro e si impossessa-rono di Firenzuola, incendiandola.Tuttavia nei decenni successivi, cessato il peri-colo dei Visconti e degli Ubaldini, Firenzuolarisorse e con lei la strada nuova assunse l’im-portanza di strada “Maestra” per Bologna.Essa è documentata all’inizio del XV secolodalle annotazioni di Rinaldo degli Albizzi neisuoi numerosi viaggi transappenninici effettuatiper incarico del Governo fiorentino34. Sappiamoda lui, e da altre fonti, che il tracciato della stra-da “Maestra” era allora il seguente: Bologna, S.Ruffillo, Pianoro, Livergnano, La Guarda, Loia-no, Roncastaldo, Scaricalasino (Monghidoro),Cavrenno, passo della Raticosa, Pietramala, LeValli, Firenzuola, Casanova, passo del Giogo,l’Uomo Morto, Ponzalla, Scarperia, S. Piero aSieve, Tagliaferro, Vaglia, l’Uccellatoio, Tre-spiano fino a Firenze. Questo era il percorso piùfrequentato nel secolo XV, tanto che anche ilPapa Pio II lo seguì per dirigersi da Bologna aFirenze nel maggio 1459. Le cronache però rac-contano che il viaggio fu lento, faticoso disagia-to e durò ben cinque giorni35.

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(32) D. STERPOS 1961, pag. 54. (33) D. STERPOS 1961, pag. 65: “in qua et per quam terram Firenzuole sit et esse debeat una via que vadat versus

Florentiam et recte versus Bononiam”.(34) D. STERPOS 1961, pag. 83 e ss..(35) D. STERPOS 1961, pag. 90.

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Altri cronisti ricordano che personaggi impor-tanti come Girolamo Savonarola nel 1490, iMedici nel 1494, Nicolò Macchiavelli nel 1504,il Papa Leone X nel 1515 etc. percorsero questastessa strada. Alla fine del secolo XVI la strada“Maestra” era sempre molto frequentata, e forseper questo anche dissestata, tanto che il Senatobolognese nel 1584 avvertì l’esigenza di miglio-rarla e pensò addirittura di eseguire lavori radi-cali per renderla carrozzabile. Poiché a quell’e-poca c’erano anche altre tre mulattiere transap-penniniche, ma poco frequentate, il Senato volleverificare quale dei quattro itinerari era meglioscegliere per eseguire convenienti lavori radicalidi miglioramento. Per questa verifica venneincaricato il perito architetto Scipione Dattili,(come risulta dalla documentazione pubblicatadalla Foschi36) il quale presentò nel 1588 la suarelazione, elencando il diverso percorso dellequattro mulattiere37 e descrivendo con questeparole le insormontabili difficoltà per rendernecarrozzabile almeno una: “ … Visitate che furondette strade, si fece relatione, che havendo benconsiderato l’una et l’altra strada, che si trova-va molte difficoltà da superare per le gran mon-tade, et discese, che vi si trovano per ridulcirequelli malissimi passi, tanti pericolosi da potercarrozzare per esser necessario mutar le strade,in molti luoghi, per andar fugendo quelle grancadute et montade, volteggiando intorno alli

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(36) P. FOSCHI 1995, pag. 303 e ss..(37) P. FOSCHI 1995, pag. 308: “La prima strada fu

quella che al presente communemente si va daBologna a Firenze per il camino diritto a Pianoro,Livergnano, la Guarda, Anconella, Sabione,Loiano, Scarical’Asino sino al Filigaro, et confinedel Gran Duca di Toscana. La seconda fu quelladella fiumana, cioè per il fiume Idice principiandodalla strada vecchia di Pietramala del Gran Ducacamina sopra la rocca del Cavireno, per la stradamullatiera arriva all’hosteria della Fiumana, aBisano, alle Case del Rio, al Mercadello, et poi aBologna. La terza strada chiamada Fiamenga, siparte pur dalla strada vecchia di Pietramala soprail Poggio di Canda, Cavreno, Puggiolo de TreContadi, Spedaletto, Monterentio, Castel de Britti,et si può anchora descendere al Mercadello et aBologna. Quarta et ultima strada de Pianoro, aBrente, Monterumise per la via de mulli aMorcione, le Croci, al Bastione, Cancellara allaFagieda, alle confine del Grand Duca”.

FIESOLE

Tavola 29

Il tracciato della mulattiera medioevale ricalcante la Flaminia Militare.

Il tracciato montano della mulattiera transappenninica c.d. “Strada Maestra” a partire dalla metà del XIV secolo.

CEDRECCHIA

M. GALLETTO

LE CROCI

MADONNADEI FORNELLI

PIAN DI BALESTRA

M. BASTIONE

FAGGETA

M. LUARIO

PASSEGGERE

PASSO DELLA FUTA

S. LUCIA

MONTECARELLI

COLLEBARUCCI

SCARPERIA

FIRENZE

POGGIO CASTELLUCCIO

TRAVERSA

BOLOGNA

BOLOGNA

PASSO DEL GIOGO

PONZALLA

CASANOVA

RIFREDO

PIETRAMALA

PASSO DELLA RATICOSA

CAVRENNO

FILIGARE

MONGHIDORO

SANTERNO

FIRENZUOLA

LE VALLI

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monti, tagliando, et ritornando innanti, et indie-tro tanto che si possa caminar con carrozze, etper esserli delli luoghi molti difficili nascerannograndissime difficoltà”38. Valutata la relazionedel Dattili, il Senato bolognese decise di limitar-si a migliorare soltanto la “strada Maestra”(Loiano, Monghidoro etc.) più frequentatarinunciando a renderla carrozzabile a causa delledifficoltà tecniche e delle ingenti spese daaffrontare per realizzarla. Probabilmente ilSenato bolognese decise di incaricare il Dattilidietro richiesta del Granduca di Toscana, che nel1583 aveva scritto una lettera per sollecitare ilmiglioramento delle mulattiere transappennini-che nel versante emiliano. Nel testo della lettera,si legge che il Granduca invia il rapporto deisuoi periti, con relativi disegni (i quali avevanoesplorato tre mulattiere transappenniniche), econsiglia di migliorare quella che passa sulladorsale tra l’Idice e il Sillaro: “… il rapporto,che hanno fatto i miei periti, mando loro conquesto dissegno del luogo et delle tre strade, eti miei periti, quanto alla strada ordinaria

segnata A che si frequenta di presente, afferma-no che quelle frane o lazze che chiamino causa-tevi dall’acque, non si potranno mai fermare, etche però si sarebbe potuto commodamente fre-quentare la strada mulattiera contrassegnata Bper il fiume dello Idige, se non fusse ch’ellaapportarebbe troppo gravi spese alle SignorieVostre per li nuovi ponti et novi pezzi di strada,che vi havrebbono a rifare in alcuni luoghi dimaniera che concludevano che il più ammodoet il meglio fosse per tutti l’accomodare et ilrimettere in uso la terza strada chiamataFiaminga, et contrasignata C.”.Pur non essendosi ritrovati i disegni allegati, sicomprende che il percorso “A” è la strada chepassava da Monghidoro, Loiano, Pianoro chia-mato nella lettera “strada ordinaria” cioè la stra-da “Maestra” più frequentata; il percorso “B”percorreva il fondo valle del fiume Idice ed ilpercorso “C” è quello sulla dorsale fra il fiumeIdice ed il torrente Sillaro, chiamato “Flamin-ga”. Poi, il Senato bolognese decise di miglio-rare il percorso “A”.

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(38) P. FOSCHI 1995, pag. 308.

BREVI CONSIDERAZIONI SULL’IMPORTANZA PROBATORIA DI QUESTI DOCUMENTI.Da questa documentazione del XVI secolo si possono trarre conclusioni importanti per escludere chei basolati riemersi nei boschi della Futa siano di epoca medioevale, rinascimentale o moderna.Dobbiamo innanzitutto sottolineare che il Granduca di Toscana nel 1583 non elenca fra le possibilimulattiere da restaurare quella che passava dalla Futa, dalla Faggeta e da m. Bastione. Evidentementei periti non l’avevano presa in considerazione perché poco frequentata e soprattutto perché gli undi-ci chilometri di basolati di quella strada non erano più in evidenza e, quindi, a loro sconosciuti; altri-menti avrebbero suggerito di migliorare quella direttrice che, proprio nel punto del valico appenni-nico, poteva avvalersi di una perfetta e solida strada carrozzabile.Altrettanto dicasi del parere espresso dal perito bolognese, architetto Scipione Dattili, il quale unanno dopo, avendo controllato fino al confine del Granducato il tracciato della mulattiera che trans-itava da Monzuno, dal m. Bastione e dalla Faggeta, sconsigliava di eseguire opere di miglioramentoper gli imponenti e costosi lavori necessari. Se i citati basolati fossero stati visibili, e di conseguen-za percorsi, non avrebbe mancato di segnalarli al Senato di Bologna, consigliando di utilizzare quel-l’itinerario. Queste precise notizie ci portano a concludere che nel XVI secolo quei basolati, nonessendo visibili, o erano già stati sommersi da una plurisecolare sedimentazione di foglie e ramicaduti dalla folta vegetazione, oppure non erano ancora stati costruiti. La prima ipotesi è la più attendibile se si considera che i secoli di disuso sono stati numerosissimi.Infatti gli avvenimenti storici, politici, militari che hanno interessato il nostro Appennino dopo lacaduta dell’Impero romano non rivelano né la notizia né l’occasione della costruzione di una operastradale così importante.

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Dopo i lavori di miglioramento della strada“Maestra” di Toscana si vide un incrementodel traffico commerciale e dei passeggeriattraverso Pianoro, Loiano, Monghidoro, il passo della Raticosa, Pietramala, Firenzuola,il passo del Giogo, Scarperia fino a Firenze.Numerose testimonianze ci provengono dairacconti di viaggio di importanti personagginel XVII e XVIII secolo, che hanno percorsoquesta strada con molte difficoltà e sempre adorso di muli, cavalli o con portantine e letti-ghe. Ancora lo Sterpos ricorda41 che nell’anno

1600 il cardinale Aldobrandini, LegatoPontificio diretto da Firenze a Bologna, per-correndo questa strada fu costretto a montaresu un mulo nelle salite e su un cavallo nellediscese.Altra testimonianza eloquente della consuetu-dinaria percorrenza della strada per la Toscanaricorda sempre lo Sterpos42 citando la famosaguida di viaggi “Nouveau voyage d’Italie” delfrancese M. Misson pubblicata nel 1698, ilquale descrive questo percorso transappennini-co “strada difficile e percorso molto cattivo”.

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(39) P. FOSCHI 1995, pagg. 309-310.(40) È sorprendente che la Foschi non abbia tratto dalle notizie da lei stessa trovate, e riportate in questo paragrafo, la

prova implicita, per connessione logica, che i basolati in questione non possono essere stati costruiti in epocamedioevale rinascimentale o moderna, visto che non è stata tramandata alcuna notizia della loro costruzione, non-ostante l’importanza dell’impianto stradale. (Vedasi in proposito il pensiero di L. Rombai riportato nel paragrafo 1cdi questo capitolo). Infatti quando sono state costruite nei secoli scorsi opere anche di modesta entità, la notizia ègiunta sempre fino a noi.

(41) D. STERPOS 1961, pagg. 112-113.(42) D. STERPOS 1961, pag. 120.

È invece da escludersi l’ipotesi che siano stati costruiti dopo la fine del XVI secolo. Se così fossestato, negli archivi civili o religiosi si sarebbe trovata non soltanto la notizia della costruzione di unacosì imponente opera, ma anche il progetto, il nome dell’Ingegnere direttore dei lavori, lo Stato chesi era assunto l’onere della realizzazione ed il costo relativo. Infatti dal Medioevo all’Età moderna sisono tramandati in forma scritta od orale tutti gli avvenimenti e i lavori realizzati sull’Appennino.Si pensi, ad esempio, alla notizia della costruzione nel 1296 di due ponticelli in muratura sul torrenteRisano e sul fiume Santerno in località Cornacchiaia (come ricordato nel paragrafo precedente) pergarantire il transito sulla mulattiera che proveniva dal passo dell’Osteria Bruciata.Ed ancora notizie di minore importanza storica le ha reperite proprio la Foschi in documenti del XVIsecolo ove sono ricordati i pagamenti, nel 1584, dei compensi al perito architetto Scipione Dattili daparte del Senato di Bologna per i lavori di ispezione sulle strade mulattiere transappenniniche, com-presa proprio quella del Bastione. Riportiamo qui alcune di queste notizie reperite dalla ricercatricebolognese: “ … mentre il 28 giugno, solo cinque giorni dopo la visita alle strade descritte, fu remu-nerato con 169 lire < pro visitatione stratarum Tusciae accomodandarum ad usum rhedarum>. Daun pagamento del 29 agosto di quello stesso anno 1584 scopriamo anche chi mise in lizza la stradadel m. Bastione: il pagamento di 60 l. è <pro visitatione viae propositae a magnifico domino JoanneArmio pro carroceis per viam Monzuni, et Crucium, et casarum novarum, et Fageti usque adBarbarinum> … Il Dattili continuò a ricevere pagamenti per la sua attività di ispezione della stra-da di Toscana, anche il 29 dicembre 1584 per 30 lire e 5 soldi, e addirittura un sussidio di 1000 l. il30 marzo seguente <in remunerationem et recognitionem laborum et fidelitatis>, in considerazioneanche della sua numerosa famiglia, con due figlie da maritare.”39. Sono proprio queste irrilevantinotizie giunte fino a noi che comprovano indirettamente la posa dei basolati della Futa in tempi anti-chissimi, tanto da non essere ricordati40.

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Ed ancora dal racconto del viaggio di LadyMontagu nel 1740 si trova la conferma deltransito da Firenzuola per la descrizione chefa dei fuochi che si sprigionavano dal suolo:“… mi recai a vedere le montagne ardenti pres-so Firenzuola, di cui tutti i naturalisti parlanocome di cosa molto rara”43.Infine merita qui ricordare quanto scritto dalloSterpos relativamente alla traversata appenni-nica, nel 1739 da Bologna a Firenze, diFrancesco Duca di Lorena e Granduca diToscana con la moglie Maria Teresa e con tuttoil seguito di cortigiani. Il Granduca aveva fattosapere che: “...tutte le carrozze, ancorché glioccupanti si fossero serviti di altri mezzi, dove-vano assolutamente arrivare a Firenze, e consopra i bagagli che vi si trovavano, non essen-do roba da caricare sui muli: si provvedessequindi a riparare le strade, a trovare buoi dasostituire ai cavalli a mettere uomini nei luoghipericolosi per sostenere, in caso di bisogno,veicoli a braccia …”44. Questa descrizione dàl’idea delle enormi difficoltà di transito dellecarrozze, anche senza passeggeri a bordo,lungo il percorso Pianoro, Loiano, Scaricalasi-no, passo della Raticosa, Firenzuola, Scarperia,S. Piero a Sieve. Dopo questo tormentato e dis-agevole viaggio il Granduca di Toscana e leautorità bolognesi avvertirono la necessitàimpellente di costruire una vera e propria stra-da transappenninica che fosse comodamentepercorribile con carrozze, non soltanto miglio-rando il fondo del tracciato esistente, ma anche,eventualmente, modificando il percorso neltratto montano, cercando l’attraversamentodell’Appennino in luoghi meno impervi.E così è stato quando, pochi anni dopo (nel1748), iniziarono gli studi di un progetto cheportò alla costruzione di una strada totalmentecarrozzabile a partire dall’anno 1762.

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(43) D. STERPOS 1961, pag. 121.(44) D. STERPOS 1961, pag. 127.

Tavola 30

Il tracciato della mulattiera ricalcante la Flaminia Militare. Percorso della prima strada carrozzabile costruita nel

1762.

CEDRECCHIA

M. GALLETTO

LE CROCI

MADONNADEI FORNELLI

PIAN DI BALESTRA

M. BASTIONE

FAGGETA

M. LUARIO

PASSEGGERE

PASSO DELLA FUTA

S. LUCIA

MONTECARELLI

COLLEBARUCCI

S. PIERO A SIEVE

CAFAGGIOLO

NOVOLITREBBIO

FIESOLE FIRENZE

POGGIO CASTELLUCCIO

TRAVERSA

BOLOGNABOLOGNA

FIRENZUOLA

PIETRAMALA

PASSO DELLA RATICOSA

CAVRENNO

FILIGARE

LOIANO

MONGHIDORO

MADONNA DEI BOSCHI

SANTERNO

COVIGLIAIO

LE MASCHERE

SIEVE

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2f – Epoca moderna (dalla metà del XVIIIsecolo al XX secolo). Costruzione di unavariante con spostamento a sud-ovest del vali-co appenninico attraverso il passo della Futa

Il maggiore interesse a costruire una strada dicollegamento carrozzabile tra Firenze e Bolo-gna l’aveva il Granduca di Toscana il quale,avendo sposato la figlia dell’Imperatored’Austria, voleva un collegamento comodoanche da Firenze a Bologna per potere recarsifrequentemente alla corte di Vienna. Fece quin-di studiare un nuovo tracciato sul versantetoscano che evitasse il passo del Giogo, estre-mamente disagevole. Nello stesso tempo, perconvincere il Reggimento di Bologna ad aderi-re al progetto, propose di allacciarsi alla stradagià esistente dalle Filigare45 a Bologna, chie-dendo che fossero eseguite nel territorio bolo-gnese soltanto opere di miglioramento struttu-rale senza modifiche di percorso.

In Toscana invece veniva studiato un nuovotracciato che a Novoli, 2 km da S. Piero aSieve, si staccava dalla strada del Giogo e, sfio-rando il Castello di Cafaggiolo, si dirigevaverso nord-ovest fino al passo della Futa. Perraggiungere questo valico percorreva la crestadi una dorsale che saliva dolcemente versoMontecarelli e S. Lucia seguendo una mulattie-ra che in sostanza ricalcava il tracciato dellaFlaminia Militare. Poco a sud di Montecarellisi immetteva un’altra mulattiera proveniente daBarberino del Mugello, proprio dove ancheoggi esiste il bivio per dirigersi in quel paese. A questo punto riportiamo le parole delloSterpos il quale, avendo rintracciato il progettodell’Ing. Anastagi46, ha illustrato con precisio-ne il nuovo tracciato fino a Pietramala, ove lavariante si immetteva sulla secolare strada“Maestra” diretta a Bologna e proveniente daFirenzuola: “...dopo Montecarelli (quota 522)si infittivano i lavori tipici della montagna:

Foto n° 99Schizzo del progetto dell’ing. Anastagi per la costruzione della variante carrozzabile in località Monte di Fò.Si noti nella parte alta dello schizzo la tortuosa antica mulattiera e nella parte bassa la variante carrozzabilepiù rettilinea. (Tratto dalla pubblicazione di Daniele Sterpos, op. cit. pag. 133).

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(45) Alle Filigare c’era il confine fra i due Stati.(46) L’Ing. Anastasio Anastagi era stato incaricato dal Granduca di Toscana di studiare il progetto della variante da

Novoli a Pietramala e di dirigere i relativi lavori.

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muri di sostegno e “scogliere” per creare unpiano artificiale. Passava da Montecarelli, unamulattiera assai antica proveniente daBarberino già usata per salire allo Stale eanche per andare a Bologna. Sul tracciato diquesta la nuova strada si doveva orientare finoal valico, nel senso che alcuni tratti di mulat-tiera, allargati, spianati e sistemati nel fondosarebbero stati raccordati da parti interamentenuove. Le varianti più nuove sono prescrittedall’Anastagi nel tratto dopo Montecarelli ed aMonte di Fò, dove viene sostituita tutta la stra-da “che tortuosamente giace nel crine del pog-gio”: infatti il decimo capo o lotto è costituitoda un unico “tramutamento” fra Monte di Fò eil valico. Passato “il luogo detto la Futa” sisegue, adeguandola, la strada, che prosegueper La Traversa … ma anche nella parterestante (ultimi lotti: Traversa-Covigliaio eCovigliaio-Pietramala) dove pure esiste una

passabile strada da seguire con un tratto giàpronto, l’impresa non si presenta facile …Finalmente a Pietramala si ritrova “la stradabolognese già praticata”, cioè quella prove-niente da Firenzuola e diretta alla Raticosa, eper il momento la si lascia come sta.”47.I lavori furono eseguiti nel rispetto di questoprogetto e si conclusero nel 1762, anno che videper la prima volta, dopo l’epoca imperiale roma-na, valicare agevolmente l’Appennino attraversoil passo della Futa con carri e carrozze. L’ing.Anastagi quindi, studiando il tracciato di unastrada che doveva essere carrozzabile, ha sceltoil passo della Futa abbandonando a Novoli ilpercorso della strada “Maestra bolognese”, edevitando così di valicare inutilmente il passo delGiogo e di attraversare il fiume Santerno; pro-prio la stessa scelta che duemila anni primaaveva fatto Caio Flaminio tracciando la stradaBologna-Fiesole-Arezzo (Flaminia Militare).

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(47) D. STERPOS 1961, pag. 134.

Foto n° 100Tratto dalla pubblicazione di Daniele Sterpos, op. cit. pag. 132. Si noti che la larghezza della nuova stradanella parte inghiaiata era 8 braccia, cioè m 4,64, quasi il doppio del basolato da noi portato alla luce in loca-lità Monte di Fò. Non si può quindi ipotizzare che il basolato sia stato posato alla metà del XVIII secolo inoccasione della costruzione della prima strada carrozzabile transappenninica.

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Così la variante del 1762 ci conferma ancorauna volta l’irrazionalità del percorso ipotizzatodai sostenitori della Flaminia Minore che, vali-cato il passo della Raticosa, sarebbe scesa nellavalle del Santerno e risalita al passo delGiogo48. Confrontando questa nuova strada modernacon il percorso della Flaminia Militare si puòconstatare che essa, provenendo da Firenze,una volta giunta al passo della Futa, si è direttaverso nord-est fino a Pietramala per raccordar-si con l’esistente via “Maestra”.La strada di C. Flaminio, invece, dal passodella Futa proseguiva in linea retta verso nord,come testimoniato dai basolati rinvenuti aPoggio Castelluccio, al Poggiaccio ed a m.Bastione. È quindi topograficamente esclusoche quei resti di strada basolata possano attri-buirsi alla variante moderna.Qualcuno però potrebbe sollevare qualche dub-bio sui basolati rinvenuti al m. Poggione, pro-prio sopra l’attuale località di Monte di Fò,dove passava la nuova variante; ma è ipotesifacile da smentire:1. I basolati si trovano distanti circa un chilome-tro dalla nuova variante, a monte di essa, e quindinon si possono considerare suoi resti superstiti;2. La larghezza della strada basolata è di m 2,40(8 piedi romani), mentre quella della variante erapiù del doppio, come documentato dallo Sterposche riporta la sezione disegnata nel progetto del-l’ing. Anastagi con la relativa descrizione co-struttiva: “... Il corpo stradale avrebbe dovutoavere dappertutto le stesse caratteristiche: mas-sicciata larga otto braccia (m. 4,64) alta nor-malmente un braccio nel centro e mezzo braccioagli estremi, contenuta in due guide di pietregrosse, saldate a regola d’arte; da ogni lato dellamassicciata una banchina di terra di due brac-cia, delimitata a sua volta da “una spallettamurata a calcina”; al di là delle spallette, duefosse abbastanza larghe per raccogliere le acquedella strada e quelle dei terreni adiacenti ...”49.È escluso quindi che anche soltanto uno deibasolati da noi scoperti sia attribuibile alla stradamoderna.

3 – Conclusioni: i basolatirinvenuti a nord ed a sud delpasso della Futa possonoessere stati costruiti soltantodai Romani

Al termine di questa analisi della storia e deidocumenti riguardanti la viabilità dell’Appen-nino tosco-emiliano è emerso che dopo l’epo-ca romana non ci sono state notizie, indizi,avvenimenti storici, militari o condizioni poli-tiche che consentano di ipotizzare la costru-zione di un impianto stradale così importante.Non certamente all’epoca delle invasioni bar-bariche, né tantomeno quando i Longobardifronteggiavano i Bizantini sui valichi appenni-nici; né all’epoca dei Carolingi si possonocogliere notizie che presuppongano la costru-zione di una superstrada transappenninica delgenere. E neppure nei secoli immediatamentesuccessivi quando, iniziata l’epoca feudale, lapropensione dei diversi “Conti” o “Signori”della montagna era quella di difendere e chiu-dere i propri confini piuttosto che costruireuna strada transappenninica. Comunque fino all’XI secolo i collegamentitra Bologna e Firenze si svilupparono in modoprecario e disagevole, seguendo la mulattierache ricalcava il percorso della FlaminiaMilitare attraverso il passo della Futa. Poidalla fine del XII secolo, l’asse di collegamen-to fra i due versanti si è spostato ad orientepercorrendo il passo della Raticosa ed il valicodell’Osteria Bruciata, dopo avere attraversatoPietramala e Cornacchiaia, fino ad arrivare aS. Agata del Mugello; è stata quindi abbando-nata la direttrice di Monzuno, m. Bastione edel passo della Futa.Dalla metà del XIV secolo questa così dettastrada “Maestra”, dopo avere valicato sempreil passo della Raticosa, si è ulteriormente spo-stata ad oriente per transitare dal nuovo borgofortificato di Firenzuola, salire al passo delGiogo scendendo poi a Scarperia. Nei secoli

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(48) Sull’argomento vedasi cap. IX, paragrafo 3-c (in Appendice).(49) D. STERPOS 1961, pagg. 132-133.

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successivi la “via Maestra” è transitata sempredalla Raticosa, Pietramala, Firenzuola, passodel Giogo, Scarperia fino al 1762 quando, conla costruzione della prima carrozzabile, si ètornati ad utilizzare il passo della Futa prove-nendo dal passo della Raticosa.In sostanza si può affermare che dall’iniziodelle invasioni barbariche al secolo XI non cisono state le condizioni storiche, militari opolitiche per la costruzione di quella stradabasolata e che successivamente, fino all’Etàmoderna compresa, la direttrice della transap-

penninica più frequentata non ha più toccato ilBastione, il Poggiaccio e Poggio Castelluccioove sono stati rinvenuti i basolati. Tenuto conto quindi delle condizioni della stra-da “Maestra”, che per secoli è stata una mulat-tiera con percorribilità disastrosa, non è verosi-mile che nel periodo compreso dal XII al XVIIIsecolo gli Stati interessati ad una buona transi-tabilità della transappenninica abbiano impe-gnato le loro forze economiche per costruirequegli imponenti ed inutili basolati lontanodalla strada abitualmente percorsa.

Foto n° 101Un autobus in servizio di linea nel 1910 sale faticosamente verso il passo della Futa. Foto tratta da “La StradaFlaminia Militare” di Cesare Agostini, Vittorio Di Cesare e Franco Santi. Costa editore. Bologna 1989, pag. 102.(Dalla raccolta di Vittorio Guardigli).

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Anzi esistono documenti, da noi ricordati nelparagrafo 2-e, in base ai quali risulta che allafine del XVI secolo vennero eseguite perizie especifici rilievi per studiare la possibilità diripercorrere il tracciato della Flaminia Militaremigliorando la mulattiera che passava dal m.Bastione e dalla Futa; si rinunciò però a taleprogetto per le difficoltà tecniche e l’ingentespesa che avrebbe comportato.La nuova strada carrozzabile è stata poi per-corsa fino ai giorni nostri; ad essa sono stateapportate più o meno piccole varianti locali, inspecie sul versante bolognese, ed opere dicostante manutenzione e miglioramento perpermettere un transito agevole ai diversi tipi diveicoli. Prima con le diligenze, poi con i vei-coli a motore vennero istituiti regolari servizidi linea per il trasporto dei passeggeri che cosìpotevano attraversare l’Appennino in condi-zioni di comodità e velocità inimmaginabilefino alla metà del secolo XVIII.

Nel secolo XX ha assunto il rango di stradastatale (S.S. n° 65) ed ha continuato ad esserepercorsa dai veicoli a motore leggeri; il traffi-co pesante preferiva percorrere la strada Por-rettana e valicare l’Appennino al passo dellaCollina per le minori pendenze che imponeva.Poi l’avvento dell’Autostrada del Sole haattratto la quasi totalità del traffico: soltantoalcuni romantici turisti, in prevalenza stranie-ri, percorrono ancora la vecchia strada dellaFuta affrontando lentamente le centinaia dicurve che portano a Firenze. Lungo questotracciato, che si snoda sempre in cresta, pos-sono godersi lo splendido panorama dellecatene appenniniche che si perdono a vistad’occhio all’orizzonte, suscitando le stesseemozioni avute da Stendhal nel 1826 quandoscrisse: “Le numerose vette degli Appenninipresentano la singolare immagine di unoceano di montagne che fuggono ad ondatesuccessive”50.

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(50) STENDHAL: Rome, Naples et Florence tratto da La Futa una strada nella storia, Ed. L’inchiostroblu, Bologna,1991, pag. 71.

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Cartelli segnaletici con il logo della via Flaminia Militare postilungo il segmento da Badolo al m. Poggione, 3 km a sud delpasso della Futa. Alcuni sono corredati dalle distanze daBologna in miglia romane.

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1 – L’analisi strutturale deibasolati e le opinioni didocenti di topografia,geografia e storia anticaescludono la loro costruzionein epoca medioevale,rinascimentale o moderna

1a – Analisi strutturale e confronto visivo

Per quanto riguarda l’analisi strutturale deibasolati romani di epoca repubblicana faccia-mo rinvio alla nostra descrizione nel capitoloIV, par. 5 di questo libro. Qui ci limitiamo amettere a confronto visivo il basolato da noiportato alla luce con quello della via Clodiaall’ingresso di Saturnia, costruita nel 183 a.C..La sua costruzione risale quindi a soli 4 annidopo quella della via Flaminia Militare ed èevidente la totale corrispondenza nella posadelle pietre, con le più grandi sui bordi lateraliche, essendo più solide, avevano la funzione dicontenimento di quelle interne per mantenere ilperfetto allineamento rettilineo.

Soltanto alcuni studiosi bolognesi hanno messoin dubbio la romanità dei basolati della Futaattribuendoli alla mulattiera transappenninicache nel Medioevo ha collegato Bologna aFirenze valicando il passo dello Stale (ora Futa). Invece molti autorevoli docenti universitari ericercatori di viabilità antica hanno ricono-sciuto senza dubbi la realizzazione di questoimponente impianto stradale ad opera dellelegioni romane.

1b – Gli studi ed i riconoscimenti diGiovanni Uggeri

Rilevanti, a tal proposito, sono stati gli studi delprof. Giovanni Uggeri il quale ha ricercato ilpercorso di questa strada prevalentemente nelversante toscano, da Arezzo al passo della Futapubblicando un argomentato saggio1.L’opportunità di dedicarsi a questa ricerca èderivata dall’interesse di Nereo Alfieri di averela sua collaborazione per individuare la prose-cuzione, in territorio toscano, del percorsodella strada di C. Flaminio da lui ipotizzato, inpartenza dalla via Emilia in località Maggio(dove era esistita la romana Claterna), fino alpasso della Raticosa.

CAPITOLO VII

L’ANALISI STRUTTURALE DELLA PAVIMENTAZIONE,GLI AVVENIMENTI STORICI, LE NOTIZIE SULLA

VIABILITÀ TRANSAPPENNINICA E LE CONCORDI OPINIONI DI DOCENTI DIMOSTRANO CHE QUEI BASOLATI POSSONO ESSERE STATI

COSTRUITI SOLTANTO DAI ROMANI

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(1) G. UGGERI 1984, pagg. 577-593.

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Nell’affrontare questo problema l’Uggeri preli-minarmente evidenzia le oggettive difficoltàche incontrano oggi i ricercatori di una stradacostruita quasi 2200 anni fa, il cui utilizzo (erelativa manutenzione) è stato precocementeabbandonato: “... Dobbiamo pensare che peruna strada così antica i manufatti superstiti nonpossano essere numerosi e tantomeno appari-scenti. In questo senso un limite alle nostrericerche è rappresentato per ora dalla mancan-za di un’edizione accurata ed aggiornata dellacarta archeologica, assai lacunosa e bisognosadi revisione soprattutto nel settore montano,generalmente ancora poco conosciuto” 2.Il suo accenno all’importanza di reperire provearcheologiche “nel settore montano” preconiz-za i rinvenimenti dei basolati romani da noi

portati alla luce negli anni ‘80 – ‘90 sulla dor-sale a nord ed a sud del passo della Futa edallora non ancora resi noti.Uggeri poi sottolinea un’altra oggettiva diffi-coltà legata alla scarsa affidabilità dei percorsimedioevali per ricostruire tracciati di stradeconsolari romane. “… Per questo motivo inumerosi studi regionali e locali sulla viabilitàmedievale non sono direttamente utilizzabili. Ildistacco tra la strada repubblicana e le arteriemedievali può essere stato anche più sensibiledel solito in questo tratto dell’Appennino, se sitiene conto delle variazioni imposte ai collega-menti viari dal sopravvenuto confine traLongobardi e Bizantini, perpetuato ed in partecomplicato nel corso del medioevo da nuovefrontiere e gabelle” 3.

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Foto n° 87 Foto n° 88La via Clodia a Saturnia costruita nel 183 a.C.. Si noti la stessa identica tecnica di costruzione della stradacoeva (foto n° 89) da noi rinvenuta vicino al passo della Futa.

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(2) G. UGGERI: La via Flaminia “ Minor” in Etruria, in Studi di antichità in onore di Guglielmo Maetzke, Roma 1984,pag. 583.

(3) G. UGGERI 1984, pag. 583.

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Viceversa attribuisce rilevante importanzaall’individuazione delle più importanti stradeetrusche: “…È infatti fenomeno di portata gene-rale quello relativo all’utilizzo di massima ditracciati viari preesistenti, quando non inter-vengano sovvertimenti naturali, politici od inse-diativi radicali. Possiamo perciò ritenere verisi-mile l’inclusione nella nuova via della vecchiaarteria etrusca, che doveva congiungere sulladestra dell’Arno Arezzo con Fiesole” 4.Egli quindi ipotizza fondatamente che il conso-le romano, nel tratto compreso fra Arezzo eFiesole, abbia riutilizzato l’importante stradaetrusca che aveva collegato per secoli, sullependici occidentali del Pratomagno, le duecittà; si tratta di quella strada che poi vennechiamata “Cassia Vetus” (ora strada dei Setteponti) essendo stata la prosecuzione fino aFiesole ed oltre, della Cassia Roma-Arezzo.Dunque Fiesole era per Uggeri (e noi condivi-diamo in pieno il suo pensiero) la prima tappaimportante dopo Arezzo della strada provenien-

te da Roma e contemporaneamente il capolineadi partenza del tratto transappenninico.L’Autore poi ha affrontato la ricerca del percorsodi avvicinamento al valico appenninico utilizzan-do gli indizi che l’orografia, la storia, la topogra-fia antica e la viabilità medioevale potevanooffrigli. Tenendo fermo il capolinea di Fiesole, haverificato quale, fra le numerose strade medioe-vali, poteva essere quella che con maggiori pro-babilità aveva ricalcato il tracciato romano.Ha quindi scelto, in linea di massima, il territo-rio d’indagine tenendo conto dell’orientamentoorografico dei crinali, delle valli che eranodirette verso nord e che per il loro andamentorendevano comodo l’attraversamento dell’Ap-pennino. Non potendo, però, avvalersi di provearcheologiche, quali resti di basolato che indi-cassero con precisione il percorso seguito, hadovuto ricorrere ad indizi, ancora oggi esisten-ti, di una strada romana che, in partenza daFirenze, si dirigono verso nord-ovest; si trattadi una serie di testimonianze toponomastiche

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Foto n° 89Monte Poggione: questa immagine della FlaminiaMilitare evidenzia l’importanza dell’opera stradalee la sua perfetta linearità, nonostante si trovi inluogo impervio e di valico appenninico alla quotadi 800 m s.l.m.

Tavola 26

La prima ipotesi del tracciato della strada del Console Caio Flaminio secondo l’opinione di G. Uggeri: si noti che il percorso da Arezzo raggiunge Fiesole lungo la Valdarno e non percorre il Casentino. (Schizzo planimetrico tratto da G. Uggeri: “La via Flaminia Minor in Etruria” op. cit. pag. 582).

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(4) G. UGGERI 1984, pag. 583.

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di carattere itinerario quali “Terzolle”, “Quar-to”, “Quinto”, “Sesto” (Fiorentino) poi “Setti-mello” più a nord, incuneato al piede dell’Ap-pennino nella Val di Marina verso Barberinodel Mugello (Vigesimo).Questi toponimi sono senza dubbio la soprav-vivenza di distanze allineate lungo una stradaromana di grande importanza e dall’Uggerisono stati correttamente interpretati, non attri-buendoli alla originaria strada costruita da C.Flaminio nel 187 a.C. , ma ad una deviazione diessa costruita in epoca imperiale dopo la fon-dazione di Firenze.“… Va naturalmente considerato che Firenzenon esisteva ancora, almeno come centro urba-no, all’epoca della costruzione della viaFlaminia minor (187 a.C.); questa doveva pas-sare originariamente ai piedi di Fiesole e ditutto il sistema collinare affacciato sulla destradell’Arno. In età imperiale, però, la nuova colo-nia di Firenze venne ad assumere un tale rilievoda polarizzare tutta la viabilità della zona, cheoriginariamente gravitava a monte su Fiesole ea valle sul guado d’Arno, da localizzare all’in-circa in corrispondenza di Ponte Vecchio” 5.Dalle parole dell’Uggeri si evince con chiarez-za il suo pensiero, e cioè che la strada diFlaminio “...originariamente gravitava a montesu Fiesole ...” (cosa che condividiamo piena-mente) e che il tracciato della via FlaminiaMinor ha subito una deviazione conseguentealla ristrutturazione territoriale imposta dalla“Colonia Florentia”; di ciò è prova la numera-zione dei toponimi miliari che inizia da Firenze. Lo studio dell’Uggeri prosegue poi verso ilvalico Appenninico e ricostruisce il percorsodella Flaminia Minore toccando “Vigesimo”,vicino a Barberino del Mugello e S. Gavino; siporta poi sull’attuale S.S. n° 65 che percorre lacresta della dorsale in progressiva e dolce sali-ta verso le località di Montecarelli e S. Lucia. A questo punto, ancora una volta, l’Uggeri di-mostra un intuito eccezionale, ipotizzando laprosecuzione del tracciato esattamente nel puntoin cui noi, dieci anni dopo, abbiamo portato allaluce imponenti resti del basolato romano.

Riportiamo con vera emozione le sue parole:“… A nord di Santa Lucia (quota m 702) l’an-damento della strada antica si riconosce nellamulattiera rettilinea che rimane ad ovest dellastrada statale; essa è ancora utilizzata comeconfine comunale e questo è un indizio dellaantichità del tracciato” 6.

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(5) G. UGGERI 1984, pag. 586.(6) G. UGGERI 1984, pag. 591.

Tavola 27 Il tracciato della strada di C. Flaminio ipotizzato da G. Uggeri tra S. Lucia e il passo della Futa che ha trovato positiva confermanel successivo rinvenimento di alcuni tratti di basolato romanoperfettamente conservati, qui indicati con due rettangoli gialli.(IGM autorizzazione n° 50334 del 13/07/1999)

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A conferma della sua intuizione, a nord di S.Lucia, sulle pendici del m. Poggione (vedasicartina planimetrica), proprio ad ovest dell’at-tuale S.S. n° 65, e vicino ad un tratto rettilineodella “mulattiera” che delimita il confine tra iComuni di Firenzuola e Barberino del Mugel-lo, abbiamo riportato alla luce, dalla profondi-tà di un metro, imponenti ed intatti basolatiromani. Questi reperti si trovano circa 3 km asud del passo della Futa e sono sulla direttricedi quelli che, negli anni precedenti, abbiamotrovato a nord del passo della Futa, a PoggioCastelluccio, al Poggiaccio ed al m. Bastione,sulla stessa dorsale diretta verso Bologna.Il tracciato indicato dall’Uggeri arriva poi alpasso della Futa, il valico più comodo per attra-versare l’Appennino.A questo punto però aveva proposto una decisadeviazione verso nord-est per raggiungere ilpasso della Raticosa seguendo, in linea di mas-sima, il percorso dell’attuale S.S. n 65 che toccale località La Traversa, Covigliaio e Pietramala.

Foto n° 90M. Poggione in località Monte di Fò, 1 km a nord –ovest di S. Lucia, sono stati da noi rinvenuti tratti dibasolato romano proprio in corrispondenza dellamulattiera che G. Uggeri aveva intuito che ricalcas-se il percorso di C. Flaminio.

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Foto n° 91Se dal passo della Raticosa fosse stata costruita la strada consolare fino al passo della Futa (in primo pianonella foto), il suo percorso (indicato con la linea rossa) sarebbe dovuto passare ai piedi del Sasso di Castroe del m. Beni, con il conseguente rischio di imboscate da parte dei Liguri non ancora totalmente sconfitti.

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Noi siamo convinti che in questa parte finaledella sua ricerca, sia stato condizionato dallanecessità di raccordarsi con la FlaminiaMinore proveniente da Claterna, già ipotizzatasulla dorsale tra Idice e Sillaro. Istintivamenteperò l’Uggeri aveva colto la scarsa attendibilitàdi quel percorso emiliano, tanto è vero che,dopo averlo accettato nel suo tratto montano,poco a sud di Monterenzio Vecchia ha propostola prosecuzione su Bologna percorrendo lavalle del Savena, cioè sul tracciato diretto pro-veniente dalla Futa.Concludeva auspicando che nuovi rinveni-menti archeologici potessero fornire quelleprove che allora mancavano per individuarecon precisione la originaria strada di Flami-nio. E le prove archeologiche da lui auspicatesono oggi a disposizione degli studiosi per irisultati raggiunti dalle nostre ricerche e dainostri scavi.Quindici anni dopo la pubblicazione dei suoistudi abbiamo informato Uggeri dei nostririnvenimenti archeologici invitandolo a fareun sopralluogo. Con cortesia ha accettato nelluglio 2000 di essere accompagnato su alcunitratti di basolato romano a sud del passo dellaFuta. L’ispezione ha suscitato in lui moltointeresse ed un particolare compiacimentoquando ha potuto constatare che in localitàPoggione, a nord-ovest di S. Lucia, la suaintuizione aveva trovato puntuale conferma.Proprio sotto quella “strada mulattiera rettili-nea” che aveva ipotizzato ricalcasse il percor-so romano, ha potuto vedere tratti di basolatoperfettamente conservato ed incredibilmenterettilinei, nonostante il luogo sia particolar-mente impervio.Dalle fotografie si può cogliere il suo com-piacimento, in quanto questi reperti testimo-niavano l’esattezza dei suoi studi fino alpasso della Futa. Tale compiacimento non è venuto meno anchequando reperti altrettanto imponenti, a norddella Futa, hanno dimostrato che la stradaromana, dopo questo valico, proseguiva rettili-nea verso Bologna senza deviare a nord-est perraggiungere il passo della Raticosa, comeaveva ipotizzato nel 1984 per raccordarsi alpercorso dell’ Alfieri.

Del resto, Uggeri aveva istintivamente già per-cepito che il tracciato più logico doveva esserequello diretto su Bologna, avendo indicatonella valle del Savena la sua ipotesi del traccia-to finale romano vicino a Bologna. Rimanecomunque il fatto che, dopo la presa d’attodelle nuove prove archeologiche visionate, hamodificato la sua prima opinione, riconoscen-do la validità del percorso da noi suggeritodalla Futa a Bologna.

L’occasione per esprimere questa sua nuovaconvinzione è venuta il giorno della presenta-zione del nostro libro, organizzata dal Comunedi Fiesole (18 novembre 2000) nel corso dellaquale ha preso la parola descrivendo con unaarticolata prolusione la problematica storica,le caratteristiche costruttive della strada ed

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Foto n° 92M. Poggione, 26 Luglio 2000. Il prof. G. Uggeri acolloquio con Franco Santi sul bordo del basolatoromano riportato alla luce proprio nel luogo da luiipotizzato.

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illustrando il contributo che le nostre scopertehanno portato per la definitiva individuazionedell’esatto percorso seguito dal console C.Flaminio. A cura del Comune di Fiesole gli interventidegli oratori sono stati pubblicati 7 e da essitraiamo queste parole dell’Uggeri: “...Gli stu-diosi bolognesi avevano affrontato il problemadal versante emiliano a loro familiare, ma ave-vano arrestato le loro ricerche allo spartiacqueappenninico. Mi si pose allora il problema diriprendere e completare la ricostruzione deltracciato della strada militare studiata dai col-leghi bolognesi, conducendola sul versantetoscano verso Arezzo, in base alla mia espe-rienza di questi territori.

A conclusione delle mie ricerche, nel 1984,proposi quel tracciato diretto da Bologna versosud, indiziato qua e là da viottoli e mulattiere,che mi pareva il più consono alle esigenze mili-tari che dovevano aver dettato il progetto dellavia Flaminia minor nel 187 a.C.. D’altronde, ilpercorso da me proposto era sicuramente unastrada romana, sia in prossimità di Bologna,come dimostravano le pietre miliari lungo lavalle del Savena (Sesto, Ottavo, e Villa Nonepresso Pianoro), sia in prossimità di Fiesole,per lo stesso motivo, perché la serie di pietremiliari ad ovest di Firenze non si limitava allaCassia per Pistoia (Terzolle, Quarto, Quinto,Sesto), ma proseguiva diramando a nord perSettimello e per Barberino del Mugello, dove

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(7) Presentazione del volume “La strada Bologna-Fiesole del II secolo a.C. (Flaminia Militare)”, 18 novembre 2000,Casa Marchini Carrozza – Fiesole, a cura del Comune di Fiesole.

Foto n° 93Comune di Fiesole. 18 novembre 2000. Presentazione del libro: “La strada Bologna – Fiesole del II secoloa.C. (Flaminia Militare)”: il tavolo dei relatori. Al centro il prof. Giovanni Uggeri docente di topografia anticaall’Università “La Sapienza” di Roma; alla sua destra il prof. Paolo Marcaccini, docente di geografiaall’Università di Firenze, ed alla sua sinistra il prof. Leonardo Rombai, docente di geografia storicaall’Università di Firenze, il prof. Gabriele Ciampi ricercatore di geografia sempre all’Università di Firenze.Ultimo a destra nella foto Cesare Agostini.

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cadeva il XX miglio della strada. Il collega-mento tra questi due tronconi, cioè tra Pianoroe Barberino, poteva essere postulato sicura-mente come romano, anche se rimanevanoincertezze sul tracciato tra Pianoro a nord e ilpasso della Futa a sud. Infatti, a parte variindizi di antica frequentazione, non disponevodi alcun elemento probante per scegliere tra ilpercorso occidentale Brento, Monterumici,Monzuno, Madonna dei Fornelli e quelloorientale... che – erroneamente – mi parevaallora più probabile …. Conscio della precarietà degli indizi, auspica-vo che la paziente ricerca sui luoghi fornissenuovi elementi archeologici. Questi sono venu-ti, ora, da una lunga e faticosa ricerca sulcampo, che era stata già intrapresa dai nostriEroi e che è proseguita per tanti anni con entu-siasmo e abnegazione. Ma anche con grandecompetenza….… Questa strada presenta caratteristiche pecu-liari. Non è, pertanto, una delle tante mulattie-re che in ogni epoca hanno attraversato l’Ap-

pennino; ma ha alcune caratteristiche tipichedi una strada ufficiale, quali si possono riscon-trare in altre strade romane già note. Esse pos-sono così schematizzarsi:La strada ha una linearità spiccata e sostan-ziale; è di crinale, ma corre circa m 10 sottoquesto per ripararsi dal vento.La larghezza è costante; di m 2,40, perfetta-mente corrispondente alla misura canonicaromana di 8 piedi, usata ad esempio nelle stra-de centuriali, ma anche in altre circostanze.I bordi della strada sono rinforzati con pietrepiù grosse e difatti le dimensioni dei blocchi suidue bordi sono notevoli, ossia di ca 40/60 x20/30 cm.Qualche blocco lavorato, notevolmente piùalto, piantato ai lati della strada, serviva anchequi per montare a cavallo.All’interno la pavimentazione è compatta,anche se il lastricato è di pietrame più minuto,facile da reperire e da trasportare.Molti elementi litici allungati, disposti trasver-salmente, tendono a formare dei cordoli di trat-tenuta delle acque ed antiscivolo.La pendenza è studiatamente limitata, unifor-me e ben distribuita.Significative sono anche le diramazioni di col-legamenti viari secondari o locali, quasi sitrattasse di una direttrice un tempo portanteper la viabilità.” 8.

1c – I concordi consensi di altri docenti diviabilità antica

Molti studiosi hanno condiviso l’opinione che ibasolati da noi riportati alla luce siano i restidella strada costruita da C. Flaminio in epocarepubblicana.Fra i primi è stato il parere categorico del prof.Giancarlo Susini, titolare di cattedra di storiaantica all’Università di Bologna ed Accademi-co Nazionale dei Lincei, quando nel 1988,vedendo i nostri basolati così si è espresso: “…non c’è il minimo dubbio, dal punto di vistaarcheologico, … perché l’evidenza dei dati

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(8) G. UGGERI: Prolusione (Fiesole), pag. 9.

Foto n° 94Comune di Fiesole. 18 novembre 2000. Presenta-zione del libro: “La strada Bologna – Fiesole del IIsecolo a.C. (Flaminia Militare)”. Il prof. G. Uggeriosserva con interesse alcune fotografie della stra-da di Caio Flaminio indicate da Cesare Agostini.

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portati è assolutamente schiacciante. Non c’èil minimo dubbio! Si tratta di una strada roma-na, non c’è il minimo dubbio che sia una stra-da romana repubblicana …” 9.

Pochi anni dopo il prof. Nereo Alfieri, che perprimo aveva proposto l’ipotesi del tracciatosulla dorsale alla destra del fiume Idice (c.d.Flaminia Minore), in occasione del Convegnodel 1989, ha riconosciuto la romanità dellanostra strada, pur non attribuendola a C.Flaminio, con queste parole: “ … Su questebasi si è sviluppata una serie di ricerche acarattere interdisciplinare, che hanno megliodefinito il tracciato della via Flaminia nel ver-sante emiliano, distinguendolo nettamente daquello della strada – pur essa romana – dellacontigua valle del Savena ...”10.Sempre su questo argomento una testimo-nianza autorevole è quella portata dal prof.Raymond Chevallier, docente di archeologia elingua latina all’“Université François Rabelais”di Tours (Francia), il quale, nella prolusionetenuta in occasione della presentazione del

nostro libro il 3 maggio 2000 a Palazzo Mal-vezzi (sede della Provincia di Bologna), così siè espresso: “Vorrei insistere sulle caratteristi-che dell’itinerario studiato: linearità, che pro-segue sul versante toscano evidenziando lascelta del passo della Futa, che ho avuto l’oc-casione di percorrere parecchie volte durante ilmio soggiorno alla scuola francese di Roma;larghezza costante di otto piedi romani, quan-do le strutture non sono state rovinate dal traf-fico e dai movimenti del terreno (le frane cosìfrequenti nell’Appennino, probabilmente sonol’origine dell’abbandono della strada).Gli autori hanno osservato che le riparazionisono state accompagnate da una riduzionedella larghezza, osservazione interessante.Altre caratteristiche:• bordi ben costruiti e solidissimi;• disposizione ben curata delle lastre di rivesti-

mento là dove il materiale era disponibile, seno la via è di tipo “glareata” (abbiamo que-sto tipo, il glareato, anche in Francia);

• pendenza limitata al massimo.

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(9) Queste parole sono state pronunciate e registrate in occasione di un suo intervento al termine di una nostra confe-renza (illustrata con diapositive) tenuta il 16 febbraio 1988 al Rotary Club di Bologna.

(10) N. ALFIERI: La via Flaminia “Minore”, in Atti del Convegno La viabilità tra Bologna e Firenze nel tempo.Problemi generali e nuove acquisizioni (1989), Costa Editore, Bologna 1992, pag. 99.

Foto n° 95 Poggio Castelluccio (24 settembre 1988): il Prof.Giancarlo Susini dell’Università di Bologna eFranco Santi sulla strada romana alle pendici diPoggio Castelluccio.

Foto n° 96 Bologna. 3 maggio 2000. Palazzo Malvezzi sededella Provincia di Bologna. Prolusione del prof.Raymond Chevallier, docente di archeologia e lin-gua latina all’Università di Tours (Francia), in occa-sione della presentazione del libro sulla FlaminiaMilitare. A sinistra il Sindaco Poli di S. BenedettoVal di Sambro ed a destra Cesare Agostini.

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Queste caratteristiche, che non si trovano sullemulattiere, interessano l’insieme della via eindicano senz’altro l’unità della concezione …Già esistono numerose prove della romanità diepoca alta della via in questione. Si può accet-tare come ipotesi la data del 187 a.C., io l’ac-cetto e certamente si tratta di una strada diepoca alta.”11

Sempre in occasione della presentazione delnostro libro a Palazzo Malvezzi ha preso laparola il prof. Vittorio Galliazzo, docente diarcheologia e di storia dell’arte greca e romanaall’Università “Ca Foscari” di Venezia, il qualeha tenuto una relazione sul ponte di Colomba-iotto, rinvenuto casualmente 6 metri sotto terranell’alveo antico del fiume Sieve, in occasionedegli scavi per la costruzione del bacino delBilancino. In questa circostanza lo studioso hadescritto i resti di questa importante opera stra-dale ed ha concluso con queste parole: “Edecco allora l’importanza del ponte che è statotrovato. Non è un ponte qualunque, non è sol-tanto un ponte di strada romana, è un ponte

significativo nella cultura occidentale … Orami domando perché un ponte così importante,di circa 100 metri, non sia rimasto nei testi sto-rici. Ciò indica che ha una grande antichità eche quando è crollato stava su un tracciato per-fettamente praticato, e non casualmente, e nonda pecore o da pecorai, e che il costo era enor-me. Ora, nessun territorio, nessuno Stato siimpegna di fare un ponte importante laddovec’è il nulla. Questa è un’altra prova della suaimportanza e delle importanti risorse necessa-rie per la sua costruzione … . Tenete contoquindi che soltanto con i mezzi enormi, congente che sapeva spendere, che era organizza-tissima, si è potuto costruire una strada gran-diosa sull’Appennino tosco-emiliano, e non èper uso personale, ma “ad aeternitatem!”12.Infine sempre sul tema dell’epoca di costruzio-ne di questi basolati riportiamo il parere delprof. Leonardo Rombai, docente di geografiastorica all’Università di Firenze, espresso inoccasione della presentazione del libro sulla“Flaminia Militare” il 18 novembre 2000 alComune di Fiesole: “Quindi i basolati dellaFuta, mai ricordati nelle fonti medievali emoderne, non possono essere e non sono operadi un grande Comune come il fiorentino; lemulattiere e i sentieri che esistono, ancora oggili vediamo, quando si sono conservati, comepercorsi medievali. Basti ricordare la visitafatta dagli ufficiali dell’esercito Lorenese nel1747, la topografia di strade, un’opera ineditadella biblioteca Moreniana, oppure il censi-mento dei Capitani di Parte della viabilità del1763, che è conservato nell’Archivio di Stato diFirenze: sono fonti su strade di valico, soprat-tutto dell’Appennino, che ricordano anche congrande accuratezza la presenza di resti archeo-logici di antichi tratti, soprattutto di lastricatoo di altre opere d’arte, ma in quell’area, intutto questo quadrante che ci interessa, non sifa mai cenno a questi resti antichi. Ecco per cuivi dicevo che nel 1989 mi convinsi, insieme adaltri colleghi presenti a quel Convegno, dellamatrice antica che non può che essere romana,probabilmente su qualcosa che preesisteva,

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Foto n° 97Bologna. 3 maggio 2000. Palazzo Malvezzi sededella Provincia di Bologna. Prolusione del prof.Vittorio Galliazzo, docente di archeologia e storia dell’arte greca e romana all’Università “CàFoscari” di Venezia, in occasione della presenta-zione del libro sulla Flaminia Militare. Al centroFranco Santi lo ascolta in meditazione; a destra ilprof. Carlo Alvisi.

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(11) RAYMOND CHEVALLIER: Prolusione (Bologna), pagg. 19 e 20.(12) VITTORIO GALLIAZZO: Prolusione (Bologna), pagg. 24 e 27.

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come ci raccontava prima l’avv. Agostini, quin-di risalente a tempi etruschi.”13.È da sottolineare che il Rombai, profondo stu-dioso della viabilità dell’Appennino, testimo-nia che i basolati in questione non sono mairicordati nelle fonti medievali e moderne equindi non possono che essere romani.

2 – Una attenta analisi degliavvenimenti storici e dellespecifiche notizie sullaviabilità dell’Appenninotosco-emiliano, conferma chei basolati rinvenuti a nord eda sud del passo della Futapossono essere stati costruitisoltanto dai Romani

Le univoche opinioni di docenti universitari,riportate nel paragrafo precedente, sarebberosufficienti per chiudere la controversia in favore

delle origini romane di questi basolati. Noivogliamo comunque verificare se nella storiadegli avvenimenti politici-militari o dai docu-menti sulla viabilità transappenninica, esistononotizie od indizi che possano fare presumere laloro costruzione dopo l’epoca romana. Teniamo conto innanzi tutto di un dato incon-testabile: i basolati si vedono e quindi c’è laprova archeologica della loro esistenza conti-nuativa per 11 chilometri, dal m. Bastione al m.Poggione, (località Monte di Fò) rispettivamen-te a nord ed a sud del passo della Futa. Questaloro posizione “a cavallo” dello spartiacqueappenninico è la prova dell’appartenenza aduna strada a lunga percorrenza, di raccordo fragli opposti versanti e non per collegamentilocali; non esistono infatti, e non sono mai esi-stiti sulla loro direttrice e nelle loro vicinanze,insediamenti rurali o religiosi che meritasseroun’opera così imponente, la cui realizzazioneha richiesto un impegno organizzativo, tecnicoed economico rilevantissimo; si consideri chesoltanto negli 11 chilometri individuati archeo-logicamente sono stati utilizzati ben 275.000quintali14 di pietre di arenaria locale prelevateda cave limitrofe al tracciato.Pertanto se si vuole negare che sono stati iRomani a costruirla e che si tratta invece di restidi una mulattiera medioevale o rinascimentale oaddirittura moderna, si deve trovare nella sto-riografia e nella documentazione antica omoderna la notizia della data e dello Stato odella Comunità che l’ha costruita. Infatti si trat-ta di un’opera così impegnativa e costosa chedella sua edificazione dovrebbe essersi traman-dato il ricordo non soltanto nella tradizioneorale, ma anche nella storiografia ufficiale.Una tale ricerca avrebbero dovuto farla coloroche sostengono la modernità dei basolati; mapoiché non l’hanno fatto, abbiamo provato noi asfogliare le pagine della storia, epoca per epoca,ed i principali documenti, che hanno visto pro-tagonista il nostro Appennino tosco-emilianodalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente

Foto n° 98Monte Poggione (località Monte do Fò), 16 settem-bre 2000. Franco Santi accompagna sui basolatiromani il prof. Paolo Marcaccini ed il prof. LeonardoRombai dell’Università di Firenze.

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(13) LEONARDO ROMBAI: Prolusione (Fiesole), pag. 17.(14) Il materiale utilizzato è stato da noi calcolato nel precedente capitolo V, paragrafo 5°, tenendo conto che il peso spe-

cifico dell’arenaria è di 26 quintali al metro cubo e che per ogni metro lineare della strada ne venivano impiegaticirca 25 quintali.

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all’età moderna, per accertare se, nel corso diquesti 1500 anni, si può reperire la notizia, oquantomeno validi indizi, della costruzione diquesto imponente impianto stradale.Ci siamo avvalsi anche delle ricerche e delledocumentazioni pubblicate dagli studiosi che sisono interessati di viabilità antica transappen-ninica, traendo da essi le notizie utili per chia-rire l’origine dei basolati. Soprattutto abbiamoattentamente valutato la documentazione pub-blicata da uno studioso dell’argomento, Danie-le Sterpos. Con lui abbiamo preso contatto ed,in occasione di un incontro personale avvenutoa Firenze il 6 giugno 1981, ci ha fatto dono delsuo libro “Comunicazioni stradali attraverso itempi: BOLOGNA-FIRENZE”; in seguitoabbiamo avuto frequenti scambi di opinionisulla viabilità transappenninica antica, traendopreziosi orientamenti con grande nostra soddi-sfazione ed altrettanta riconoscenza. Ci siamoavvalsi anche delle ricerche di studiosi bolo-gnesi e pubblicate in tempi diversi.Interpretando comunque autonomamente ladocumentazione da loro ritrovata, abbiamoletto preziose notizie che hanno contribuitoproprio ad escludere l’origine medioevale,rinascimentale o moderna dei basolati.

2a – L’epoca delle invasioni barbariche(secc. V – VIII). Il tracciato della trans-appenninica medioevale ricalca il percorsodella “Flaminia Militare”

Riportiamo qui le parole dello storico bologne-se Arturo Palmieri che danno un quadro sinte-tico, ma efficace, della situazione delle stradedopo la caduta dell’Impero Romano d’Occi-dente: “Le strade romane avevano perduto nelMedio Evo la loro importanza e <cadderoanzi, segnatamente dal V al X secolo, nel piùtriste e rovinoso abbandono>. Il disordinepolitico, lo scompiglio amministrativo, le guer-re, i contrasti di razza e di religione, la man-canza d’industrie e di commerci, tolsero ogni

mezzo ed ogni occasione per la conservazionedelle strade. Delle vie romane non potè restareche la traccia. Le belle strade selciate scompa-rirono presto per larghissimi tratti e, con l’an-dar del tempo, per tutto il percorso. Rimaserosemplici viottoli formati dal passaggio dicavalli e pedoni.”15.È indubbio che gli eserciti barbari hanno utiliz-zato le superstiti strade per calare in Italia e pervalicare l’Appennino. Così i Goti guidati daRadagaiso, che all’inizio del V secolo era già aFirenze; altrettanto dicasi di Alarico, re deiVisigoti, che nel 408 assediò Roma. La notiziadella lenta marcia di questi eserciti dimostra laprecarietà delle strade che dovevano percorre-re. Il loro scopo di conquista, distruzione e sac-cheggio delle terre occupate esclude qualsiasiipotesi di costruzione di strade basolate tantomeno transappenniniche. Anche nel secolo suc-cessivo le ulteriori ondate degli eserciti barba-rici hanno ricalcato quel poco che era rimastodelle strade consolari romane. Così è stato inoccasione delle guerre contro i Goti, comericorda lo Sterpos: “… Fra i fatti della guerrache, sotto i successori di Teodorico, i Goti com-batterono contro il corpo di spedizione inviatodall’imperatore di Bisanzio, Giustiniano, allariconquista dell’Italia, alcuni se ne conosconoriguardanti così le due città come il territoriofra esse compreso, e perciò anche le strade chepotevano tuttora essere usate per collegareBologna e Firenze e viceversa. E cioè: l’inva-sione iniziale, che porta rapidamente le truppeimperiali a Firenze e a Bologna (537-38), lariconquista gotica e la venuta di un corpobizantino contro Fiesole (e contro Firenze, per-ché pare che essa fosse tornata sotto i barbari)per ristabilire la situazione; il successivoattacco contro Firenze del re goto Totila, ladefinitiva presa di possesso di tutta la regioneda parte di Bizantini, vincitori del conflitto.Questi i momenti in cui le strade sopra consi-derate furono raggiunte dalla guerra e serviro-no per essa…. Uno solo dei predetti episodi, perla narrazione fattane da Procopio, lo storico

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(15) ARTURO PALMIERI: La montagna bolognese del Medio Evo, Bologna 1929. Ristampa anastatica pubblicata daArnaldo Forni Ed., 1981, pag. 322.

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contemporaneo che fu a lungo in Italia alseguito di Belisario, è localizzabile con unacerta precisione attorno a due vie che abbiamoriconosciuto come esistenti in età romana eprobabilmente usate per i collegamenti fra<Bononia> e <Florentia>, precisamente at-torno ai due tronchi da Firenze al Mugello, icui prolungamenti concludono rispettivamenteverso la Futa e verso Faenza”16.In questa situazione di guerra non si può certa-mente immaginare che gli eserciti dei Goti daun lato, e dei Bizantini dall’altro, impegnati afronteggiarsi fino alla vittoria decisiva, abbia-mo avuto l’intenzione di costruire una nuovastrada transappenninica di tale imponenza. Poinella seconda metà del VI secolo l’invasionedei Longobardi ha ulteriormente peggiorato lecomunicazioni fra Bologna e Firenze, tanto dainterromperle completamente in quanto l’eser-cito Bizantino sul versante bolognese, e quelloLongobardo sul versante fiorentino, presidia-vano militarmente i loro confini spezzando difatto i precari collegamenti superstiti. Questasituazione si protrasse più di 150 anni, fino allametà dell’ VIII secolo, quando i Longobardiconquistarono Bologna ed il valico appennini-co. Ci sarebbero quindi state le condizioni poli-tiche per una ripresa delle comunicazioni traFirenze e Bologna sotto l’unico dominio lon-gobardo, ma la successiva calata dei Franchi,guidata da Carlo Magno, ha sconfitto i Longo-bardi impedendo loro di migliorare la viabilitàtransappenninica, ammesso che ne avesseroavuto l’ intenzione.

2b – L’epoca della dominazione dei Carolingi(secc. IX - X). Il tracciato transappenninicocontinua a ricalcare il percorso della“Flaminia Militare”

Le condizioni politiche favorevoli per lariapertura delle comunicazioni tra Firenze eBologna si presentarono proprio dopo la con-

quista dei Franchi, che unificarono sotto illoro dominio sia Firenze che Bologna, anchese quest’ultima città era stata riconosciuta for-malmente come possesso del Papa.Condividiamo quindi le parole dello Sterpos:“... dopo la conquista franca le condizioni sto-riche sono nuovamente favorevoli allo svilup-po delle comunicazioni tra Bologna e Firenze;per stabilire però se tale sviluppo vi sia statodavvero e fino a quale punto, non si hannoabbastanza elementi”17. Significativa è questaconclusione dello Sterpos: lasciando nel dub-bio se sotto i Franchi sia stata rivitalizzata omeno la strada transappenninica, dimostra dinon avere trovato nella storiografia o nelladocumentazione medioevale la notizia dellacostruzione di una strada carrozzabile, comepoteva essere stata quella testimoniata daibasolati rinvenuti al passo della Futa; notiziache gli storici dell’epoca e la tradizione oralenon avrebbero dimenticato di ricordare, datal’importanza di un simile impianto stradale.Possono invece essere sfuggite agli storici lenotizie di eventuali semplici miglioramentidell’obsoleto percorso romano, rendendoloripercorribile con cavalli, muli e portantine e,quindi, riaprendo di fatto una mulattiera suffi-ciente da permettere un collegamento direttotra Bologna e Firenze.Una conferma dell’esistenza di una viabilitàtransappenninica più o meno praticabile si hanell’896 quando una parte dell’esercito del ReArnolfo di Carinzia valicò l’Appennino daBologna a Firenze per dirigersi a Roma. Comericordato nel paragrafo 5° del capitolo VI, loSterpos, ci informa che la stessa fonte chedocumenta il viaggio parla di grandi disagiche l’esercito dovette sopportare nel camminoe “dei lunghi giri resisi necessari per gli scon-volgimenti causati dalle piogge”18. Questo dimostra che sotto la dominazione deiCarolingi non era stata costruita una stradatransappenninica che potesse giustificare lapresenza dei basolati della Futa.

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(16) D. STERPOS 1961, pagg. 19 e 20.(17) D. STERPOS 1961, pag. 24.(18) D. STERPOS 1961, pag. 26.

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2c – L’epoca del Feudalesimo (secc. IX –XII). Il tracciato transappenninico ricalcaancora il percorso della “Flaminia Militare”

I Carolingi per mantenere il dominio effettivodel sovrano avevano concesso beni e diritti aipropri sudditi fedeli. Essi erano diventati iSignori di un territorio ben definito del qualeavevano la proprietà privata ed il potere digoverno. Era nato così il “Feudalesimo” chenon contribuì a creare quelle condizioni di unitàpolitica in Appennino, presupposto necessarioper costruire una strada importante tra Bolognae Firenze. Lo Sterpos bene rappresenta questasituazione di frazionamento territoriale: “Nep-pure in questo periodo dunque il territorio com-preso fra Bologna e Firenze raggiunse quell’u-nità giurisdizionale che sarebbe stata un pre-supposto positivo per i contatti fra le due città eper la fortuna delle comunicazioni stradali.Anzi con il feudalesimo trionfò qui come altro-ve il particolarismo, il potenziamento locale adanno della residua autorità dello stato. Ilcomitato bolognese, in specie la montagna, sifrazionò presto in molti feudi minori, tanto dasubire nello spazio di un secolo, all’incirca trail 950 e il 1050, anche esteriormente, un gran-de cambiamento... per la quasi contemporaneacostruzione di numerosi castelli, rocche, appre-stamenti fortificati. Dall’altra parte, nel comi-tato di Firenze, nobili longobardi e franchi, nondi rado ecclesiastici, avevano preso stanzanella campagna e con vario titolo feudale nedominavano ognuno una porzione piccola ogrande. Nel secolo XII le fortezze del territoriofiorentino si fecero tanto numerose, che in qua-lunque luogo lo sguardo potesse spaziare lonta-no, doveva scorgere il profilo minaccioso diqualche castello…. La vita della regione, per lopiù collinosa e montagnosa, compresa traBologna e Firenze, nei secoli X e XI s’incentracerto attorno a queste munite sedi feudali”19.Per dare una idea della frattura del territoriotosco-emiliano che si era venuta a creare sulladirettrice Bologna-Firenze, sia lungo la valle

del Savena che dell’Idice, con la divisione deipossedimenti dei diversi feudatari, si consideriche nel XII secolo:I Conti di Bologna si estendevano fino aPianoro.I Signori di Monzuno controllavano anche iterritori di Bibulano, Qualto, Castel dell’Alpi eGrizzana.I Conti di Panico, discendenti ed imparentaticon i Conti di Bologna e con i Signori diMonzuno, arrivarono ad avere il dominio suuna vasta area appenninica, sempre nel versan-te emiliano, che comprendeva possedimentianche a Monteacutoragazza, Grizzana, Monte-fredente, Castel dell’Alpi, Qualto, Ripoli,Santandrea etc..I Conti Alberti di Prato (o di Mangona) este-sero i loro dominii anche nel versante appenni-nico emiliano, tanto da confinare con i posse-dimenti dei Conti di Panico. Due diplomiimperiali, uno del 1164 e l’altro del 1209 con-fermano i diritti di questa famiglia sopra i ter-ritori anche di Montecarelli, Baragazza, Casti-glione, Pian del Voglio, Bruscoli, MonteacutoVallese.Gli Ubaldini, padroni dei territori del Mugelloa nord del Fiume Sieve, espansero il loro domi-nio sui valichi appenninici ed oltre, anche nelversante emiliano. Così li troviamo padronidispotici sui territori di Le Valli, Cornacchiaia,Castro Rifredo, Pietramala, Cavrenno, CàBuraccia ed addirittura fino a Monterenzio,Scanello e Barbarolo20.Da questa brevissima carrellata dei feudatariche dominavano le vie naturali transappennini-che si può comprendere che nei secc. X – XI eXII non può essere stata costruita l’imponentestrada testimoniata dai basolati della Futa, nonavendone essi né l’interesse politico-militare, néla forza organizzativa ed economica. Al massi-mo è stata costruita o mantenuta una rudimenta-le rete di mulattiere all’interno dei singoli feudio di collegamento fra di essi, ma non certamen-te con la volontà di realizzare un importanteasse transappenninico tra Bologna e Firenze.

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(19) D. STERPOS 1961, pag. 27.(20) A. PALMIERI 1929, pagg. 54 -55.

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In queste epoche sono sorte anche molte Pievio Chiese battesimali che costituivano un polodi attrazione per la viabilità locale ed un puntodi riferimento per gli spostamenti appenninici apiù lungo raggio. A tal proposito così si espri-me lo Sterpos: “Lungo le vie naturali daBologna a Firenze si susseguivano dunque lechiese battesimali, ognuna rappresentando,non meno del castello, nel territorio sottopostoalla propria giurisdizione, un luogo di conver-genze di tutti gli abitanti, e non solo per inte-ressi spirituali”21.Pur di fronte a questo sostanziale silenzio dellastoriografia ufficiale sulla viabilità, in questeepoche ci sono evidenti indizi di una mulattie-ra che seguiva sostanzialmente il percorso dellaFlaminia Militare valicando l’Appennino allo“Stale” (passo della Futa). Ancora lo Sterposscrive: “Lo sviluppo raggiunto come centro feu-dale della montagna bolognese da Monzuno,… e l’esistenza in quel luogo già all’inizio delXI secolo di un ospedale per alloggio di pelle-grini ed ammalati, tenuto dai Vallombrosani,fanno presumere che si trattasse di un abitatoben collegato con altri borghi e castelli dellamontagna e con Bologna stessa”22. Si tratta diquel percorso romano che ha visto passare insuccessione cronologica prima gli eserciti bar-bari, poi Carlo Magno, quindi Arnolfo diCarinzia ed infine tutti coloro che avevanonecessità di attraversare l’Appennino.

2d – Fine secolo XII. Spostamento del trac-ciato transappenninico sull’asse Pianoro-Loiano-Monghidoro-Cavrenno-passo dellaRaticosa-Pietramala-Le Valli-Cornacchiaia-passo dell’Osteria Bruciata-S. Agata delMugello

Alla fine del XII secolo, però, questo percorsoè stato meno frequentato e si è affermato unaltro itinerario spostato più ad oriente che si eracreato lentamente per servire gli scopi militari

e commerciali della potente signoria degliUbaldini che dominava tutti i territori dell’altoAppennino. Lo Sterpos conferma la nascita diquesto tracciato: “Verso la metà del secolo XIIgli Ubaldini sono saliti a una grande potenza,non certo minacciata ancora dalle forze comu-nali che da alcuni decenni si sono affermate aBologna e a Firenze. … nel territorio sottopo-sto alla giurisdizione della grande famiglia sisvilupparono dei contatti che favorivano lo sta-bilirsi di un tracciato continuo dalla Sieve allealture sulla destra Savena, per S. Agata, Cor-nacchiaia, Pietramala, Cavrenno e Monghido-ro. Ma non il solo bisogno di assicurare alcunicollegamenti indispensabili all’interno dei suoipossessi poteva interessare il feudatario allaviabilità: c’era anche il desiderio di riscuotereun tributo dai viandanti, dai forestieri.”23.Ciò ha determinato uno spostamento nel settoremontano della via principale da Bologna aFirenze che si sostanzia, alla fine del XII seco-lo, in un trasferimento dalla sinistra alla destradel Savena e dal passo della Futa al passo dellaRaticosa. Lo Sterpos così giustifica questa lentae progressiva variazione di itinerario: “ Il cam-biamento di tracciato è stato posto in relazionecon la costruzione del castello di Scaricalasino,e con lo sviluppo di Loiano come centro ammi-nistrativo e commerciale e con quello diBarbarolo come centro religioso. Fattori indub-biamente importanti, che però entrano in gioco,piuttosto tardi e che potevano semplicementedeterminare la nascita di una via Bologna-Pianoro-Loiano-Scaricalasino.”24.Questo nuovo percorso quindi non è il frutto diun organico progetto di un impianto stradalevoluto e realizzato dai poteri politici diBologna e di Firenze, ma il risultato di un natu-rale collegamento della precaria rete stradaleesistente nel territorio degli Ubaldini con unastrada, che su iniziativa dei Bolognesi, permet-teva l’accesso alle nuove località di Pianoro,Loiano e Monghidoro. Si trattava comunque dicollegamenti che non ascendevano al rango di

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(21) D. STERPOS 1961, pag. 29.(22) D. STERPOS 1961, pagg. 29-30.(23) D. STERPOS 1961, pagg. 36-37.(24) D. STERPOS 1961, pag. 35.

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strada, ma soltanto di precarie mulattiere, cometramandato dalla storiografia e dalla tradizioneorale di quelle località. Il Palmieri con pocheparole ci conferma questo quadro disastrosodei percorsi medievali25.Ed una tale situazione non esisteva soltanto perl’attraversamento dell’Appennino tosco-emi-liano, ma era estesa a tutta l’Europa. NorbertOhler, docente di storia all’Università diFreiburg, ha pubblicato un libro che descrive inmodo esauriente le condizioni della viabilitànel Medioevo della rete stradale in alcuni terri-tori europei, evidenziando gli ostacoli ed i peri-coli che dovevano affrontare i viandanti: “Suitorrenti nella migliore delle ipotesi veniva col-locata una trave per i pedoni, altrimenti si pas-sava a guado, come i fiumi. Qui si poteva giàessere contenti se c’era una corda, tesa da unasponda all’altra, a offrire un appiglio di fortu-na. Questo perché il livello dell’acqua potevaaddirittura sovrastare la testa dei passanti edurante le piene anche i piccoli corsi d’acquacostituivano degli ostacoli insormontabili. Lacostruzione e la manutenzione dei ponti eranocostose, e d’altra parte l’allestimento di un ser-vizio di traghetti aveva senso solo se potevagarantire il sostentamento a un barcaiolo conla sua famiglia. … A parte alcune eccezioni,nell’Europa centrale si può parlare di manu-tenzione stradale solo tra la fine del XVIII e l’i-nizio del XIX secolo; fino ad allora le buchesulla strada venivano riempite di terra e fasci-ne …”26. Se questa era la situazione nella pre-valenza delle strade extraurbane, altrettantodisagevoli erano gli spostamenti nella città:

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(25) A. PALMIERI 1929, pag. 325: “Nel primo MedioEvo la manutenzione e perfino l’apertura delle stra-de era lasciata ai passeggeri delle località attraver-sate. Erano essi che con l’andare e tornare formava-no il piano stradale e lo conservavano battuto.Tenevano finchè era possibile l’alto dei monti equando dovevano scendere nelle valli lo facevanosenza troppe tortuosità e con altrettanta concisioneaffrontavano la pendice opposta. È naturale quindiche in tempi di pioggia e di nevi queste strade sortequasi naturalmente si trasformassero in disordinati erovinosi torrenti”.

(26) NORBERT OHLER: I viaggi nel Medio Evo,Garzanti editore Spa, Milano 1988, pagg. 51 e 87.

SANTERNO

T. RIS

AN

O

Tavola 28

Il tracciato della mulattiera medioevale ricalcante la Flaminia Militare.

Il tracciato montano della mulattiera transappenninica preferito dal XII secolo all’inizio del XIV secolo.

CEDRECCHIA

M. GALLETTO

LE CROCI

MADONNADEI FORNELLI

PIAN DI BALESTRA

M. BASTIONE

FAGGETA

M. LUARIO

PASSEGGERE

PASSO DELLA FUTA

S. LUCIA

MONTECARELLI

COLLEBARUCCI

S. AGATA

FIESOLE

FIRENZE

POGGIO CASTELLUCCIO

TRAVERSA

BOLOGNA

BOLOGNA

PASSO OSTERIA BRUCIATA

MARCOIANO

CORNACCHIAIA

LE VALLI

PIETRAMALA

PASSO DELLA RATICOSA

CAVRENNO

FILIGARE

MONGHIDORO

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“… Non esistevano né fognature né raccoltedei rifiuti. Erano già un gran vantaggio se, incaso di pioggia, si riusciva a saltare da unapietra a un’altra, evitando in tal modo di inzac-cherare di fango scarpe e vestiti …”.Ritornando al nostro Appennino, si deve rileva-re che comunque, alla fine del XII secolo edall’inizio del XIII, la fervida attività mercantilee manufatturiera di Firenze aveva un crescenteinteresse a conservare un diretto e sicuro colle-gamento con Bologna, città che le apriva lapossibilità di espandere i propri commerci inPianura Padana ed oltre. In un primo tempo,quindi, il Comune di Firenze, in collaborazionecon quello di Bologna, sulla spinta di precisiaccordi che tendevano a sviluppare i commercied a garantire la sicurezza dei viandanti e rego-lamentare i pedaggi da pagarsi27, miglioraronotratti di strade del sistema viario locale che giàuniva le varie località montane, rettificandoalcuni percorsi ed impegnandosi ad una perio-dica minima manutenzione.Così progressivamente si viene a creare unastrada (così detta strada “maestra”) organica dicollegamento fra le due città che è attestata,come ricorda lo Sterpos: “ ...non più da indiziindiretti, per quanto importanti, ma da esplicitemenzioni delle fonti. I più antichi statuti bolo-gnesi e fiorentini, in rubriche che risalgonorispettivamente al 1262-88 ed al 1250-86 par-lano “della strada per la quale si va a Firenze”e della strada che porta a Bologna”28.Da tali documenti si può ricostruire il suo per-corso che attraversava le seguenti località par-tendo da Bologna: Pianoro, Loiano, Roncastal-do, Scaricalasino (Monghidoro), Cavrenno,

passo della Raticosa, donde scendeva a Pietra-mala, Le Valli, Cornacchiaia (dopo l’attraver-samento del Santerno) e da qui risaliva alpasso dell’Osteria Bruciata, ultimo ostacoloappenninico prima di raggiungere il Mugello aS. Agata. Una conferma di questo percorso sitrova in un documento del Comune di Firenzeil quale, nell’anno 1296, stabiliva di costruiresulla Bologna-Firenze, tra la località “LeValli” e Cornacchiaia, due ponti precisamentesul torrente Risano e sul fiume Santerno29 amonte della confluenza di questi due corsid’acqua che, separatamente, potevano essereattraversati più agevolmente, data la singolaminore portata d’acqua.L’importanza che aveva assunto questa stradaper i traffici transappenninici si desume anchedal fatto che il Comune di Firenze prescrisse dicostruire questi due ponti in muratura (… delapidibus …)30; è noto infatti che sulle norma-li mulattiere di montagna i ponti non eranoaltro che robuste passerelle in legno, sufficien-ti per il transito di muli, cavalli, lettighe o por-tantine. Infine sempre lo Sterpos31 ricorda cheil Wolfger indica S. Agata come luogo di trans-ito per raggiungere Firenze da Bologna all’ini-zio del XIII secolo. Se quindi in quell’epoca sipassava da Cornacchiaia e S. Agata si deve rite-nere attendibile che il percorso valicasse il cri-nale appenninico al passo dell’Osteria Brucia-ta, che si trova appunto sulla loro direttrice.Nonostante questa strada fosse la più frequen-tata in quell’epoca (c.d. strada “maestra”) sitrattava comunque di una mulattiera disagevolenon carrozzabile, anche se la manutenzione eraseguita dai Comuni di Bologna e di Firenze.

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(27) D. STERPOS 1961, pag. 39: “... Infine il 10 marzo 1219 nel palazzo comunale bolognese un trattato viene conclu-so specificamente «sulla questione dei pedaggi o passaggi da pagarsi, alle porte della città di Firenze e dentro lacittà, dagli uomini della città di Bologna e del suo distretto» e «dagli uomini della città e distretto di Firenze, alleporte della città e nella città di Bologna». Si stabilisce che Bolognesi e Fiorentini pagheranno la stessa tariffa perogni soma, una volta sola senza altre aggiunte”. Da questo accordo si desume che i trasporti transappenninici eranopossibili soltanto a dorso di mulo o di cavallo (… per ogni soma).

(28) D. STERPOS 1961, pagg. 40 e 41.(29) Lo Sterpos riporta nella nota 56 (pag. 207) il testo originale della decisione del Comune di Firenze: “ … per stra-

tam per quam a civitate Florentiae itur Bononiam … duo idonei pontes de lapidibus et calcina fieri et costruidebeant inter terram Cornaclarii et terram Vallium in strata predicta … unus videlicet super flumen Risani et alte-rum super flumen Santerni”.

(30) D. STERPOS 1961, nota 56 pag. 207.(31) D. STERPOS 1961, pag. 42.

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Una interessante testimonianza della precariapercorribilità di questa strada si ha quando, nel-l’ottobre dell’anno 1300 il Comune di Bolognadecise di eseguire un restauro generale del trattoPianoro-Pietramala perché si era reso conto, frale proteste dei viandanti, che la strada “maestra”per Firenze era pressoché impraticabile.Soprattutto furono determinanti le proteste dellemigliaia dei pellegrini che dal nord Europa sierano diretti a Roma per il primo Giubileo indet-to da Papa Bonifacio VIII. Lo Sterpos riportauno stralcio della deliberazione del Comune cheè molto significativa: “ ...non solo i mercanti –dice il documento – e tutti quelli che l’usanocontinuamente ci informano che la strada diFirenze è tanto sconquassata e piena di frane danon poterci passare senza pericolo degli uominie delle bestie, ma anche i pellegrini che vanno evengono da Roma per l’indulgenza plenaria”32.Preso atto di questo nuovo tracciato, dobbiamoquindi escludere che i basolati della strada dellaFuta siano stati costruiti in quell’epoca, non sol-tanto perché la loro imponenza strutturale pre-suppone l’esistenza di una strada carrozzabile,ma anche per la loro posizione topografica tro-vandosi su tutta un’altra direttrice.

2e – Epoca comunale e rinascimentale (secc.XIII – XVII). Ulteriore spostamento adoriente del valico montano della stradatransappenninica (c.d. “Maestra”)

L’inizio del XIV secolo vide a Firenze lotteintestine che costrinsero la fazione perdente(Ghibellini e i c.d. Bianchi) a lasciare la città.Essi si allearono agli Ubaldini, ancora signoridelle terre appenniniche e si scontrarono con leforze militari di Firenze, rimanendo però scon-fitti. Il Comune di Firenze allora decise di fon-dare Scarperia, proprio nel cuore del dominiodegli Ubaldini, per controllare i loro possedi-menti più da vicino.

Negli anni successivi, dopo alterne vicende, gliUbaldini si sottomisero formalmente alComune di Firenze il quale, per fare valere inconcreto il proprio dominio, decise di costruireun avamposto nella valle del Santerno, al di làdella prima catena appenninica. Fu così chenegli anni 1328-1330 venne fondata Firenzuo-la, allacciata con Scarperia da una nuova stradache valicava il passo del Giogo e che, dopoFirenzuola, si collegava al percorso precedentediretto a Bologna. Anche in questo caso loSterpos riporta uno stralcio dell’atto degliUfficiali incaricati della fondazione di Firen-zuola nel quale è espressamente stabilito cheattraverso di essa debba passare una via direttaFirenze-Bologna33. Non fu comunque undominio tranquillo quello dei Fiorentini suFirenzuola perché nel 1351, approfittando del-la calata dei Visconti di Milano su Firenze, gliUbaldini si allearono con loro e si impossessa-rono di Firenzuola, incendiandola.Tuttavia nei decenni successivi, cessato il peri-colo dei Visconti e degli Ubaldini, Firenzuolarisorse e con lei la strada nuova assunse l’im-portanza di strada “Maestra” per Bologna.Essa è documentata all’inizio del XV secolodalle annotazioni di Rinaldo degli Albizzi neisuoi numerosi viaggi transappenninici effettuatiper incarico del Governo fiorentino34. Sappiamoda lui, e da altre fonti, che il tracciato della stra-da “Maestra” era allora il seguente: Bologna, S.Ruffillo, Pianoro, Livergnano, La Guarda, Loia-no, Roncastaldo, Scaricalasino (Monghidoro),Cavrenno, passo della Raticosa, Pietramala, LeValli, Firenzuola, Casanova, passo del Giogo,l’Uomo Morto, Ponzalla, Scarperia, S. Piero aSieve, Tagliaferro, Vaglia, l’Uccellatoio, Tre-spiano fino a Firenze. Questo era il percorso piùfrequentato nel secolo XV, tanto che anche ilPapa Pio II lo seguì per dirigersi da Bologna aFirenze nel maggio 1459. Le cronache però rac-contano che il viaggio fu lento, faticoso disagia-to e durò ben cinque giorni35.

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(32) D. STERPOS 1961, pag. 54. (33) D. STERPOS 1961, pag. 65: “in qua et per quam terram Firenzuole sit et esse debeat una via que vadat versus

Florentiam et recte versus Bononiam”.(34) D. STERPOS 1961, pag. 83 e ss..(35) D. STERPOS 1961, pag. 90.

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Altri cronisti ricordano che personaggi impor-tanti come Girolamo Savonarola nel 1490, iMedici nel 1494, Nicolò Macchiavelli nel 1504,il Papa Leone X nel 1515 etc. percorsero questastessa strada. Alla fine del secolo XVI la strada“Maestra” era sempre molto frequentata, e forseper questo anche dissestata, tanto che il Senatobolognese nel 1584 avvertì l’esigenza di miglio-rarla e pensò addirittura di eseguire lavori radi-cali per renderla carrozzabile. Poiché a quell’e-poca c’erano anche altre tre mulattiere transap-penniniche, ma poco frequentate, il Senato volleverificare quale dei quattro itinerari era meglioscegliere per eseguire convenienti lavori radicalidi miglioramento. Per questa verifica venneincaricato il perito architetto Scipione Dattili,(come risulta dalla documentazione pubblicatadalla Foschi36) il quale presentò nel 1588 la suarelazione, elencando il diverso percorso dellequattro mulattiere37 e descrivendo con questeparole le insormontabili difficoltà per rendernecarrozzabile almeno una: “ … Visitate che furondette strade, si fece relatione, che havendo benconsiderato l’una et l’altra strada, che si trova-va molte difficoltà da superare per le gran mon-tade, et discese, che vi si trovano per ridulcirequelli malissimi passi, tanti pericolosi da potercarrozzare per esser necessario mutar le strade,in molti luoghi, per andar fugendo quelle grancadute et montade, volteggiando intorno alli

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(36) P. FOSCHI 1995, pag. 303 e ss..(37) P. FOSCHI 1995, pag. 308: “La prima strada fu

quella che al presente communemente si va daBologna a Firenze per il camino diritto a Pianoro,Livergnano, la Guarda, Anconella, Sabione,Loiano, Scarical’Asino sino al Filigaro, et confinedel Gran Duca di Toscana. La seconda fu quelladella fiumana, cioè per il fiume Idice principiandodalla strada vecchia di Pietramala del Gran Ducacamina sopra la rocca del Cavireno, per la stradamullatiera arriva all’hosteria della Fiumana, aBisano, alle Case del Rio, al Mercadello, et poi aBologna. La terza strada chiamada Fiamenga, siparte pur dalla strada vecchia di Pietramala soprail Poggio di Canda, Cavreno, Puggiolo de TreContadi, Spedaletto, Monterentio, Castel de Britti,et si può anchora descendere al Mercadello et aBologna. Quarta et ultima strada de Pianoro, aBrente, Monterumise per la via de mulli aMorcione, le Croci, al Bastione, Cancellara allaFagieda, alle confine del Grand Duca”.

FIESOLE

Tavola 29

Il tracciato della mulattiera medioevale ricalcante la Flaminia Militare.

Il tracciato montano della mulattiera transappenninica c.d. “Strada Maestra” a partire dalla metà del XIV secolo.

CEDRECCHIA

M. GALLETTO

LE CROCI

MADONNADEI FORNELLI

PIAN DI BALESTRA

M. BASTIONE

FAGGETA

M. LUARIO

PASSEGGERE

PASSO DELLA FUTA

S. LUCIA

MONTECARELLI

COLLEBARUCCI

SCARPERIA

FIRENZE

POGGIO CASTELLUCCIO

TRAVERSA

BOLOGNA

BOLOGNA

PASSO DEL GIOGO

PONZALLA

CASANOVA

RIFREDO

PIETRAMALA

PASSO DELLA RATICOSA

CAVRENNO

FILIGARE

MONGHIDORO

SANTERNO

FIRENZUOLA

LE VALLI

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monti, tagliando, et ritornando innanti, et indie-tro tanto che si possa caminar con carrozze, etper esserli delli luoghi molti difficili nascerannograndissime difficoltà”38. Valutata la relazionedel Dattili, il Senato bolognese decise di limitar-si a migliorare soltanto la “strada Maestra”(Loiano, Monghidoro etc.) più frequentatarinunciando a renderla carrozzabile a causa delledifficoltà tecniche e delle ingenti spese daaffrontare per realizzarla. Probabilmente ilSenato bolognese decise di incaricare il Dattilidietro richiesta del Granduca di Toscana, che nel1583 aveva scritto una lettera per sollecitare ilmiglioramento delle mulattiere transappennini-che nel versante emiliano. Nel testo della lettera,si legge che il Granduca invia il rapporto deisuoi periti, con relativi disegni (i quali avevanoesplorato tre mulattiere transappenniniche), econsiglia di migliorare quella che passa sulladorsale tra l’Idice e il Sillaro: “… il rapporto,che hanno fatto i miei periti, mando loro conquesto dissegno del luogo et delle tre strade, eti miei periti, quanto alla strada ordinaria

segnata A che si frequenta di presente, afferma-no che quelle frane o lazze che chiamino causa-tevi dall’acque, non si potranno mai fermare, etche però si sarebbe potuto commodamente fre-quentare la strada mulattiera contrassegnata Bper il fiume dello Idige, se non fusse ch’ellaapportarebbe troppo gravi spese alle SignorieVostre per li nuovi ponti et novi pezzi di strada,che vi havrebbono a rifare in alcuni luoghi dimaniera che concludevano che il più ammodoet il meglio fosse per tutti l’accomodare et ilrimettere in uso la terza strada chiamataFiaminga, et contrasignata C.”.Pur non essendosi ritrovati i disegni allegati, sicomprende che il percorso “A” è la strada chepassava da Monghidoro, Loiano, Pianoro chia-mato nella lettera “strada ordinaria” cioè la stra-da “Maestra” più frequentata; il percorso “B”percorreva il fondo valle del fiume Idice ed ilpercorso “C” è quello sulla dorsale fra il fiumeIdice ed il torrente Sillaro, chiamato “Flamin-ga”. Poi, il Senato bolognese decise di miglio-rare il percorso “A”.

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(38) P. FOSCHI 1995, pag. 308.

BREVI CONSIDERAZIONI SULL’IMPORTANZA PROBATORIA DI QUESTI DOCUMENTI.Da questa documentazione del XVI secolo si possono trarre conclusioni importanti per escludere chei basolati riemersi nei boschi della Futa siano di epoca medioevale, rinascimentale o moderna.Dobbiamo innanzitutto sottolineare che il Granduca di Toscana nel 1583 non elenca fra le possibilimulattiere da restaurare quella che passava dalla Futa, dalla Faggeta e da m. Bastione. Evidentementei periti non l’avevano presa in considerazione perché poco frequentata e soprattutto perché gli undi-ci chilometri di basolati di quella strada non erano più in evidenza e, quindi, a loro sconosciuti; altri-menti avrebbero suggerito di migliorare quella direttrice che, proprio nel punto del valico appenni-nico, poteva avvalersi di una perfetta e solida strada carrozzabile.Altrettanto dicasi del parere espresso dal perito bolognese, architetto Scipione Dattili, il quale unanno dopo, avendo controllato fino al confine del Granducato il tracciato della mulattiera che trans-itava da Monzuno, dal m. Bastione e dalla Faggeta, sconsigliava di eseguire opere di miglioramentoper gli imponenti e costosi lavori necessari. Se i citati basolati fossero stati visibili, e di conseguen-za percorsi, non avrebbe mancato di segnalarli al Senato di Bologna, consigliando di utilizzare quel-l’itinerario. Queste precise notizie ci portano a concludere che nel XVI secolo quei basolati, nonessendo visibili, o erano già stati sommersi da una plurisecolare sedimentazione di foglie e ramicaduti dalla folta vegetazione, oppure non erano ancora stati costruiti. La prima ipotesi è la più attendibile se si considera che i secoli di disuso sono stati numerosissimi.Infatti gli avvenimenti storici, politici, militari che hanno interessato il nostro Appennino dopo lacaduta dell’Impero romano non rivelano né la notizia né l’occasione della costruzione di una operastradale così importante.

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Dopo i lavori di miglioramento della strada“Maestra” di Toscana si vide un incrementodel traffico commerciale e dei passeggeriattraverso Pianoro, Loiano, Monghidoro, il passo della Raticosa, Pietramala, Firenzuola,il passo del Giogo, Scarperia fino a Firenze.Numerose testimonianze ci provengono dairacconti di viaggio di importanti personagginel XVII e XVIII secolo, che hanno percorsoquesta strada con molte difficoltà e sempre adorso di muli, cavalli o con portantine e letti-ghe. Ancora lo Sterpos ricorda41 che nell’anno

1600 il cardinale Aldobrandini, LegatoPontificio diretto da Firenze a Bologna, per-correndo questa strada fu costretto a montaresu un mulo nelle salite e su un cavallo nellediscese.Altra testimonianza eloquente della consuetu-dinaria percorrenza della strada per la Toscanaricorda sempre lo Sterpos42 citando la famosaguida di viaggi “Nouveau voyage d’Italie” delfrancese M. Misson pubblicata nel 1698, ilquale descrive questo percorso transappennini-co “strada difficile e percorso molto cattivo”.

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(39) P. FOSCHI 1995, pagg. 309-310.(40) È sorprendente che la Foschi non abbia tratto dalle notizie da lei stessa trovate, e riportate in questo paragrafo, la

prova implicita, per connessione logica, che i basolati in questione non possono essere stati costruiti in epocamedioevale rinascimentale o moderna, visto che non è stata tramandata alcuna notizia della loro costruzione, non-ostante l’importanza dell’impianto stradale. (Vedasi in proposito il pensiero di L. Rombai riportato nel paragrafo 1cdi questo capitolo). Infatti quando sono state costruite nei secoli scorsi opere anche di modesta entità, la notizia ègiunta sempre fino a noi.

(41) D. STERPOS 1961, pagg. 112-113.(42) D. STERPOS 1961, pag. 120.

È invece da escludersi l’ipotesi che siano stati costruiti dopo la fine del XVI secolo. Se così fossestato, negli archivi civili o religiosi si sarebbe trovata non soltanto la notizia della costruzione di unacosì imponente opera, ma anche il progetto, il nome dell’Ingegnere direttore dei lavori, lo Stato chesi era assunto l’onere della realizzazione ed il costo relativo. Infatti dal Medioevo all’Età moderna sisono tramandati in forma scritta od orale tutti gli avvenimenti e i lavori realizzati sull’Appennino.Si pensi, ad esempio, alla notizia della costruzione nel 1296 di due ponticelli in muratura sul torrenteRisano e sul fiume Santerno in località Cornacchiaia (come ricordato nel paragrafo precedente) pergarantire il transito sulla mulattiera che proveniva dal passo dell’Osteria Bruciata.Ed ancora notizie di minore importanza storica le ha reperite proprio la Foschi in documenti del XVIsecolo ove sono ricordati i pagamenti, nel 1584, dei compensi al perito architetto Scipione Dattili daparte del Senato di Bologna per i lavori di ispezione sulle strade mulattiere transappenniniche, com-presa proprio quella del Bastione. Riportiamo qui alcune di queste notizie reperite dalla ricercatricebolognese: “ … mentre il 28 giugno, solo cinque giorni dopo la visita alle strade descritte, fu remu-nerato con 169 lire < pro visitatione stratarum Tusciae accomodandarum ad usum rhedarum>. Daun pagamento del 29 agosto di quello stesso anno 1584 scopriamo anche chi mise in lizza la stradadel m. Bastione: il pagamento di 60 l. è <pro visitatione viae propositae a magnifico domino JoanneArmio pro carroceis per viam Monzuni, et Crucium, et casarum novarum, et Fageti usque adBarbarinum> … Il Dattili continuò a ricevere pagamenti per la sua attività di ispezione della stra-da di Toscana, anche il 29 dicembre 1584 per 30 lire e 5 soldi, e addirittura un sussidio di 1000 l. il30 marzo seguente <in remunerationem et recognitionem laborum et fidelitatis>, in considerazioneanche della sua numerosa famiglia, con due figlie da maritare.”39. Sono proprio queste irrilevantinotizie giunte fino a noi che comprovano indirettamente la posa dei basolati della Futa in tempi anti-chissimi, tanto da non essere ricordati40.

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Ed ancora dal racconto del viaggio di LadyMontagu nel 1740 si trova la conferma deltransito da Firenzuola per la descrizione chefa dei fuochi che si sprigionavano dal suolo:“… mi recai a vedere le montagne ardenti pres-so Firenzuola, di cui tutti i naturalisti parlanocome di cosa molto rara”43.Infine merita qui ricordare quanto scritto dalloSterpos relativamente alla traversata appenni-nica, nel 1739 da Bologna a Firenze, diFrancesco Duca di Lorena e Granduca diToscana con la moglie Maria Teresa e con tuttoil seguito di cortigiani. Il Granduca aveva fattosapere che: “...tutte le carrozze, ancorché glioccupanti si fossero serviti di altri mezzi, dove-vano assolutamente arrivare a Firenze, e consopra i bagagli che vi si trovavano, non essen-do roba da caricare sui muli: si provvedessequindi a riparare le strade, a trovare buoi dasostituire ai cavalli a mettere uomini nei luoghipericolosi per sostenere, in caso di bisogno,veicoli a braccia …”44. Questa descrizione dàl’idea delle enormi difficoltà di transito dellecarrozze, anche senza passeggeri a bordo,lungo il percorso Pianoro, Loiano, Scaricalasi-no, passo della Raticosa, Firenzuola, Scarperia,S. Piero a Sieve. Dopo questo tormentato e dis-agevole viaggio il Granduca di Toscana e leautorità bolognesi avvertirono la necessitàimpellente di costruire una vera e propria stra-da transappenninica che fosse comodamentepercorribile con carrozze, non soltanto miglio-rando il fondo del tracciato esistente, ma anche,eventualmente, modificando il percorso neltratto montano, cercando l’attraversamentodell’Appennino in luoghi meno impervi.E così è stato quando, pochi anni dopo (nel1748), iniziarono gli studi di un progetto cheportò alla costruzione di una strada totalmentecarrozzabile a partire dall’anno 1762.

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(43) D. STERPOS 1961, pag. 121.(44) D. STERPOS 1961, pag. 127.

Tavola 30

Il tracciato della mulattiera ricalcante la Flaminia Militare. Percorso della prima strada carrozzabile costruita nel

1762.

CEDRECCHIA

M. GALLETTO

LE CROCI

MADONNADEI FORNELLI

PIAN DI BALESTRA

M. BASTIONE

FAGGETA

M. LUARIO

PASSEGGERE

PASSO DELLA FUTA

S. LUCIA

MONTECARELLI

COLLEBARUCCI

S. PIERO A SIEVE

CAFAGGIOLO

NOVOLITREBBIO

FIESOLE FIRENZE

POGGIO CASTELLUCCIO

TRAVERSA

BOLOGNABOLOGNA

FIRENZUOLA

PIETRAMALA

PASSO DELLA RATICOSA

CAVRENNO

FILIGARE

LOIANO

MONGHIDORO

MADONNA DEI BOSCHI

SANTERNO

COVIGLIAIO

LE MASCHERE

SIEVE

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2f – Epoca moderna (dalla metà del XVIIIsecolo al XX secolo). Costruzione di unavariante con spostamento a sud-ovest del vali-co appenninico attraverso il passo della Futa

Il maggiore interesse a costruire una strada dicollegamento carrozzabile tra Firenze e Bolo-gna l’aveva il Granduca di Toscana il quale,avendo sposato la figlia dell’Imperatored’Austria, voleva un collegamento comodoanche da Firenze a Bologna per potere recarsifrequentemente alla corte di Vienna. Fece quin-di studiare un nuovo tracciato sul versantetoscano che evitasse il passo del Giogo, estre-mamente disagevole. Nello stesso tempo, perconvincere il Reggimento di Bologna ad aderi-re al progetto, propose di allacciarsi alla stradagià esistente dalle Filigare45 a Bologna, chie-dendo che fossero eseguite nel territorio bolo-gnese soltanto opere di miglioramento struttu-rale senza modifiche di percorso.

In Toscana invece veniva studiato un nuovotracciato che a Novoli, 2 km da S. Piero aSieve, si staccava dalla strada del Giogo e, sfio-rando il Castello di Cafaggiolo, si dirigevaverso nord-ovest fino al passo della Futa. Perraggiungere questo valico percorreva la crestadi una dorsale che saliva dolcemente versoMontecarelli e S. Lucia seguendo una mulattie-ra che in sostanza ricalcava il tracciato dellaFlaminia Militare. Poco a sud di Montecarellisi immetteva un’altra mulattiera proveniente daBarberino del Mugello, proprio dove ancheoggi esiste il bivio per dirigersi in quel paese. A questo punto riportiamo le parole delloSterpos il quale, avendo rintracciato il progettodell’Ing. Anastagi46, ha illustrato con precisio-ne il nuovo tracciato fino a Pietramala, ove lavariante si immetteva sulla secolare strada“Maestra” diretta a Bologna e proveniente daFirenzuola: “...dopo Montecarelli (quota 522)si infittivano i lavori tipici della montagna:

Foto n° 99Schizzo del progetto dell’ing. Anastagi per la costruzione della variante carrozzabile in località Monte di Fò.Si noti nella parte alta dello schizzo la tortuosa antica mulattiera e nella parte bassa la variante carrozzabilepiù rettilinea. (Tratto dalla pubblicazione di Daniele Sterpos, op. cit. pag. 133).

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(45) Alle Filigare c’era il confine fra i due Stati.(46) L’Ing. Anastasio Anastagi era stato incaricato dal Granduca di Toscana di studiare il progetto della variante da

Novoli a Pietramala e di dirigere i relativi lavori.

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muri di sostegno e “scogliere” per creare unpiano artificiale. Passava da Montecarelli, unamulattiera assai antica proveniente daBarberino già usata per salire allo Stale eanche per andare a Bologna. Sul tracciato diquesta la nuova strada si doveva orientare finoal valico, nel senso che alcuni tratti di mulat-tiera, allargati, spianati e sistemati nel fondosarebbero stati raccordati da parti interamentenuove. Le varianti più nuove sono prescrittedall’Anastagi nel tratto dopo Montecarelli ed aMonte di Fò, dove viene sostituita tutta la stra-da “che tortuosamente giace nel crine del pog-gio”: infatti il decimo capo o lotto è costituitoda un unico “tramutamento” fra Monte di Fò eil valico. Passato “il luogo detto la Futa” sisegue, adeguandola, la strada, che prosegueper La Traversa … ma anche nella parterestante (ultimi lotti: Traversa-Covigliaio eCovigliaio-Pietramala) dove pure esiste una

passabile strada da seguire con un tratto giàpronto, l’impresa non si presenta facile …Finalmente a Pietramala si ritrova “la stradabolognese già praticata”, cioè quella prove-niente da Firenzuola e diretta alla Raticosa, eper il momento la si lascia come sta.”47.I lavori furono eseguiti nel rispetto di questoprogetto e si conclusero nel 1762, anno che videper la prima volta, dopo l’epoca imperiale roma-na, valicare agevolmente l’Appennino attraversoil passo della Futa con carri e carrozze. L’ing.Anastagi quindi, studiando il tracciato di unastrada che doveva essere carrozzabile, ha sceltoil passo della Futa abbandonando a Novoli ilpercorso della strada “Maestra bolognese”, edevitando così di valicare inutilmente il passo delGiogo e di attraversare il fiume Santerno; pro-prio la stessa scelta che duemila anni primaaveva fatto Caio Flaminio tracciando la stradaBologna-Fiesole-Arezzo (Flaminia Militare).

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(47) D. STERPOS 1961, pag. 134.

Foto n° 100Tratto dalla pubblicazione di Daniele Sterpos, op. cit. pag. 132. Si noti che la larghezza della nuova stradanella parte inghiaiata era 8 braccia, cioè m 4,64, quasi il doppio del basolato da noi portato alla luce in loca-lità Monte di Fò. Non si può quindi ipotizzare che il basolato sia stato posato alla metà del XVIII secolo inoccasione della costruzione della prima strada carrozzabile transappenninica.

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Così la variante del 1762 ci conferma ancorauna volta l’irrazionalità del percorso ipotizzatodai sostenitori della Flaminia Minore che, vali-cato il passo della Raticosa, sarebbe scesa nellavalle del Santerno e risalita al passo delGiogo48. Confrontando questa nuova strada modernacon il percorso della Flaminia Militare si puòconstatare che essa, provenendo da Firenze,una volta giunta al passo della Futa, si è direttaverso nord-est fino a Pietramala per raccordar-si con l’esistente via “Maestra”.La strada di C. Flaminio, invece, dal passodella Futa proseguiva in linea retta verso nord,come testimoniato dai basolati rinvenuti aPoggio Castelluccio, al Poggiaccio ed a m.Bastione. È quindi topograficamente esclusoche quei resti di strada basolata possano attri-buirsi alla variante moderna.Qualcuno però potrebbe sollevare qualche dub-bio sui basolati rinvenuti al m. Poggione, pro-prio sopra l’attuale località di Monte di Fò,dove passava la nuova variante; ma è ipotesifacile da smentire:1. I basolati si trovano distanti circa un chilome-tro dalla nuova variante, a monte di essa, e quindinon si possono considerare suoi resti superstiti;2. La larghezza della strada basolata è di m 2,40(8 piedi romani), mentre quella della variante erapiù del doppio, come documentato dallo Sterposche riporta la sezione disegnata nel progetto del-l’ing. Anastagi con la relativa descrizione co-struttiva: “... Il corpo stradale avrebbe dovutoavere dappertutto le stesse caratteristiche: mas-sicciata larga otto braccia (m. 4,64) alta nor-malmente un braccio nel centro e mezzo braccioagli estremi, contenuta in due guide di pietregrosse, saldate a regola d’arte; da ogni lato dellamassicciata una banchina di terra di due brac-cia, delimitata a sua volta da “una spallettamurata a calcina”; al di là delle spallette, duefosse abbastanza larghe per raccogliere le acquedella strada e quelle dei terreni adiacenti ...”49.È escluso quindi che anche soltanto uno deibasolati da noi scoperti sia attribuibile alla stradamoderna.

3 – Conclusioni: i basolatirinvenuti a nord ed a sud delpasso della Futa possonoessere stati costruiti soltantodai Romani

Al termine di questa analisi della storia e deidocumenti riguardanti la viabilità dell’Appen-nino tosco-emiliano è emerso che dopo l’epo-ca romana non ci sono state notizie, indizi,avvenimenti storici, militari o condizioni poli-tiche che consentano di ipotizzare la costru-zione di un impianto stradale così importante.Non certamente all’epoca delle invasioni bar-bariche, né tantomeno quando i Longobardifronteggiavano i Bizantini sui valichi appenni-nici; né all’epoca dei Carolingi si possonocogliere notizie che presuppongano la costru-zione di una superstrada transappenninica delgenere. E neppure nei secoli immediatamentesuccessivi quando, iniziata l’epoca feudale, lapropensione dei diversi “Conti” o “Signori”della montagna era quella di difendere e chiu-dere i propri confini piuttosto che costruireuna strada transappenninica. Comunque fino all’XI secolo i collegamentitra Bologna e Firenze si svilupparono in modoprecario e disagevole, seguendo la mulattierache ricalcava il percorso della FlaminiaMilitare attraverso il passo della Futa. Poidalla fine del XII secolo, l’asse di collegamen-to fra i due versanti si è spostato ad orientepercorrendo il passo della Raticosa ed il valicodell’Osteria Bruciata, dopo avere attraversatoPietramala e Cornacchiaia, fino ad arrivare aS. Agata del Mugello; è stata quindi abbando-nata la direttrice di Monzuno, m. Bastione edel passo della Futa.Dalla metà del XIV secolo questa così dettastrada “Maestra”, dopo avere valicato sempreil passo della Raticosa, si è ulteriormente spo-stata ad oriente per transitare dal nuovo borgofortificato di Firenzuola, salire al passo delGiogo scendendo poi a Scarperia. Nei secoli

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(48) Sull’argomento vedasi cap. IX, paragrafo 3-c (in Appendice).(49) D. STERPOS 1961, pagg. 132-133.

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successivi la “via Maestra” è transitata sempredalla Raticosa, Pietramala, Firenzuola, passodel Giogo, Scarperia fino al 1762 quando, conla costruzione della prima carrozzabile, si ètornati ad utilizzare il passo della Futa prove-nendo dal passo della Raticosa.In sostanza si può affermare che dall’iniziodelle invasioni barbariche al secolo XI non cisono state le condizioni storiche, militari opolitiche per la costruzione di quella stradabasolata e che successivamente, fino all’Etàmoderna compresa, la direttrice della transap-

penninica più frequentata non ha più toccato ilBastione, il Poggiaccio e Poggio Castelluccioove sono stati rinvenuti i basolati. Tenuto conto quindi delle condizioni della stra-da “Maestra”, che per secoli è stata una mulat-tiera con percorribilità disastrosa, non è verosi-mile che nel periodo compreso dal XII al XVIIIsecolo gli Stati interessati ad una buona transi-tabilità della transappenninica abbiano impe-gnato le loro forze economiche per costruirequegli imponenti ed inutili basolati lontanodalla strada abitualmente percorsa.

Foto n° 101Un autobus in servizio di linea nel 1910 sale faticosamente verso il passo della Futa. Foto tratta da “La StradaFlaminia Militare” di Cesare Agostini, Vittorio Di Cesare e Franco Santi. Costa editore. Bologna 1989, pag. 102.(Dalla raccolta di Vittorio Guardigli).

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Anzi esistono documenti, da noi ricordati nelparagrafo 2-e, in base ai quali risulta che allafine del XVI secolo vennero eseguite perizie especifici rilievi per studiare la possibilità diripercorrere il tracciato della Flaminia Militaremigliorando la mulattiera che passava dal m.Bastione e dalla Futa; si rinunciò però a taleprogetto per le difficoltà tecniche e l’ingentespesa che avrebbe comportato.La nuova strada carrozzabile è stata poi per-corsa fino ai giorni nostri; ad essa sono stateapportate più o meno piccole varianti locali, inspecie sul versante bolognese, ed opere dicostante manutenzione e miglioramento perpermettere un transito agevole ai diversi tipi diveicoli. Prima con le diligenze, poi con i vei-coli a motore vennero istituiti regolari servizidi linea per il trasporto dei passeggeri che cosìpotevano attraversare l’Appennino in condi-zioni di comodità e velocità inimmaginabilefino alla metà del secolo XVIII.

Nel secolo XX ha assunto il rango di stradastatale (S.S. n° 65) ed ha continuato ad esserepercorsa dai veicoli a motore leggeri; il traffi-co pesante preferiva percorrere la strada Por-rettana e valicare l’Appennino al passo dellaCollina per le minori pendenze che imponeva.Poi l’avvento dell’Autostrada del Sole haattratto la quasi totalità del traffico: soltantoalcuni romantici turisti, in prevalenza stranie-ri, percorrono ancora la vecchia strada dellaFuta affrontando lentamente le centinaia dicurve che portano a Firenze. Lungo questotracciato, che si snoda sempre in cresta, pos-sono godersi lo splendido panorama dellecatene appenniniche che si perdono a vistad’occhio all’orizzonte, suscitando le stesseemozioni avute da Stendhal nel 1826 quandoscrisse: “Le numerose vette degli Appenninipresentano la singolare immagine di unoceano di montagne che fuggono ad ondatesuccessive”50.

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(50) STENDHAL: Rome, Naples et Florence tratto da La Futa una strada nella storia, Ed. L’inchiostroblu, Bologna,1991, pag. 71.

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Cartelli segnaletici con il logo della via Flaminia Militare postilungo il segmento da Badolo al m. Poggione, 3 km a sud delpasso della Futa. Alcuni sono corredati dalle distanze daBologna in miglia romane.

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Prima di concludere questa nostra ricercaabbiamo voluto ripercorrere a piedi il tracciatodella strada di C. Flaminio da Bologna al passodella Futa per rivivere ancora una volta la bel-lezza dominante della dorsale che divide lavalle del Savena da quella del Setta e delSambro ed ascoltare le antiche memorie cheessa ci racconta dalle vette delle montagne. Da Bologna saliamo rapidamente a Paderno eproseguiamo in cresta fino a Pieve del Pinoverso Badolo, ricalcando sostanzialmente ilpercorso della attuale strada asfaltata.A poche centinaia di metri da Badolo lasciamol’asfalto deviando a sinistra per seguire una

strada bianca. Su un cartello posto all’incrocioc’è l’indicazione per il Monte del Frate. Anchenoi avevamo messo in quel bivio un cartellocon la scritta: “Flaminia Militare, XIV migliada Bononia”, ma è stato strappato con uninsensato gesto di vandalismo, piegando ancheil paletto di ferro che lo sosteneva; forse crede-vano che, distrutto il cartello, fosse scomparsaper sempre la Flaminia Militare.Lasciato alle spalle il Monte del Frate arrivia-mo alle falde di m. Adone. Questo versante set-tentrionale non ha niente di particolare; è unpendio non tanto erto come quasi tutti i montidel nostro Appennino.Vorremmo subito salire senza sentiero sullacima, ma il timore di incontrare ostruito il pas-saggio da rovi e sterpi ci fa desistere; perciòproseguiamo alla volta di Brento seguendo unastrada bianca quasi tutta scavata, poco primadell’abitato, nella roccia.Duecento metri prima di Brento, svoltiamo adestra, imboccando un sentiero ben frequen-tato abbastanza erto, che ci porta fin su lavetta del monte.È indescrivibile il panorama che si ammira daquesta cima. La vista può spaziare a 360gradi, vedere e dare il nome a monti e paesifin dove il cielo si confonde con il limite del-l’orizzonte. Altra veduta spettacolare sono leguglie che coronano la sua cima; esse sonostate modellate dal vento e dalle piogge chehanno asportato gli strati di roccia meno com-patti mettendo in risalto le falde più compatte;l’insieme crea così un gioco architettonicoveramente raro, se non unico.

CAPITOLO VIII

DA BOLOGNA AL PASSO DELLA FUTASEGUENDO A PIEDI LA FLAMINIA MILITARE

FRA REALTÀ DI OGGI E MEMORIE DEL PASSATO

Foto n° 102Monte Del Frate (544 m s.l.m). La strada biancache si dirige verso Monte Del Frate probabilmentericalca il tracciato romano che doveva aggirare ilm. Adone sul versante orientale molto menoscosceso.

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MONTE ADONE

Questo nome ci riporta molti secoli a.C.quando Adone apparteneva alla mitologiagreco-semitica.Dicono che il suo nome antico sia “Adon”, maanche le genti delle montagne, lassù ai livellipiù alti, dove le nevi stazionano fino ad aprile,guardano in giù, verso la pianura e vedonoAdone senza neve ed i suoi pendii verdi e fiori-ti per la già sbocciata primavera, e lo chiamano“Mont Adon” (con una espressione dialettale). Torniamo giù per il sentiero che poco primaavevamo salito.Vorremmo anche visitare la fantastica “Grottadelle Fate”; sarebbe interessante, ma rinuncia-mo, ci rimettiamo a chi l’ha visitata e descritta.Arriviamo a Brento, il romano Brintum; nonstiamo a descrivere questa antichissima locali-tà; tanti celebri storici hanno riempito pagine diparole per fare la storia di Brento, tutti concor-di: da qui passava l’antica via romana che“menava” in Toscana.Prima di proseguire anche noi verso la Toscana,vogliamo tornare indietro verso Bàdolo, non dadove siamo venuti, ma dal lato opposto di m.Adone, cioè per quella straduccia stretta esinuosa che costeggia le sue pendici occidenta-li. Questo percorso è sovrastato da una spetta-colare parete rocciosa (il contrafforte plioceni-co) che si alza per decine di metri, a tratti apiombo, su tutto il breve tragitto.

I “COLOMBARI” DI MONTE ADONE

A poche centinaia di metri dall’abitato diBàdolo si scorgono, su questa parete, dueaperture, l’una rivolta a sud e l’altra a ovest.Con molte difficoltà saliamo fin lassù; entratidall’apertura a sud, ci troviamo in un vano,tutto scavato nella roccia. Nelle pareti chedelimitano questa camera, ci sono varie deci-ne di nicchie, incavate pure esse nella roccia;sono loculi che contenevano le urne con leceneri dei defunti. Il complesso della laborio-sa costruzione è chiamato “Colombario”; ilnome deriva dal fatto che le nicchie ricordanole costruzioni per il ricovero e l’allevamentodei colombi.

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BOLOGNA

Tavola 30 / bis

La strada di Caio Flaminio da Bologna al passo della Futa percorre le pendici di montagne che evocano antiche memorie.

PIEVE DEL PINO

MONTERUMICI

POGGIACCIO

PASSEGGERE

M. LUARIO

POGGIO CASTELLUCCIO

PIAN DI BALESTRA

MADONNADEI FORNELLI

M. ADONE

M. VENERE

MONZUNO

M. DEL FRATE

PADERNO

M. BASTIONE

BRENTO

BADOLO

PASSO DELLA FUTA

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Come tutti gli altri rinvenuti in Italia, si tratta diuna camera sepolcrale romana che così è statadescritta: “Colombario, tipo di sepoltura collet-tiva, adottata soprattutto a Roma dal I sec. a.C.in poi. L’origine è incerta (si discute se sia etru-sca o romana), comunque i colombari nacque-ro per ragioni pratiche: si trattava cioè di siste-mare in spazio ristretto i vasi che contenevanole ceneri dei defunti (urne cinerarie). Vi era unacamera sepolcrale nelle cui pareti, in più filesovrapposte, talora anche sette, erano scavatipiccoli loculi simili a nicchie di una colombaia,di qui appunto il nome. Questi edifici furonocomuni soprattutto durante l’impero di Augustoe di Tiberio, ma rimasero in uso fino al II e IIIsec. d. Cristo. Erano disposti ai lati delle stradeconsolari, al di fuori delle mura”1.A tal proposito trascriviamo anche un branodello studio di un nostro amico, il prof. France-sco Piazzi: “… Fra i più importanti ritrovamen-ti di colombari a Roma meritano una citazione:• I colombari di Vigna Codini situati tra la via

Appia e la via Latina, a ridosso delle MuraAureliane;

• il colombario di Pompinio Hylas scoperto nel1831 da Giampietro Campana situato nelParco degli Scipioni a poca distanza dallemura Aureliane;

Colombario

Foto n° 103Monte Adone (m 655 s.l.m). Le pareti occidentali del contrafforte pliocenico si ergono pressoché verticali.

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(1) “La Grande Enciclopedia Universo”, Casa editrice Istituto Geografico De Agostini, Novara 1970, Vol. III, pag. 494.

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Foto n° 104Monte Adone. L’accesso alla “stanza” del Colombariosi trova sulla parete verticale occidentale del montealcune decine di metri sopra l’attuale stradaBadolo-Brento.

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Foto n° 105Il Colombario di m. Adone. Sulla parete rocciosa occidentale di questa montagna è stata scavata da tempiimmemorabili un’ampia “stanza” all’interno della quale ci sono decine di nicchie che contenevano in epocaetrusca e/o romana le ceneri dei defunti. Franco Santi, di spalle sul bordo della stanza, ammira l’incantevolepanorama che si affaccia sulla valle del Reno.

Foto n° 106Monteruminci (568 m s.l.m). Fotografia scattata dalla cima di monte Adone: l’attuale strada provinciale, cheda Brento si dirige verso sud, si snoda esattamente sulla sommità del crinale ricalcando l’antichissimo per-corso transappenninico che proseguiva verso Monterumici (in primo piano) e m. Venere (sullo sfondo). Allasinistra la valle del Savena accompagna tutta la dorsale che si vede all’orizzonte e sulla quale abbiamo rin-venuto il tracciato romano.

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• il colombario di via Pescara, risalente a circala metà del I secolo d.C. ed appartenente adun unico nucleo familiare scoperto nel 1932.

Molti colombari sono stati rinvenuti lungo lavia Appia che, a partire dal I secolo d.C., fu uti-lizzata dai Romani come luogo prediletto pererigere monumenti sepolcrali, probabilmente acausa dell’aumento dei prezzi dei terreniall’interno dell’Urbe. Anche per questo l’usodei colombari si diffuse rapidamente.A Roma altri colombari sono stati rinvenutisulla via Piemontese, sull’Isola Sacra traFiumicino e Ostia. Numerosi colombari sonoinoltre presenti in Campania, nella Maremmaed in Sicilia…”Preso atto della presenza del colombario sullaparete ovest di m. Adone, dobbiamo necessa-riamente ritenere che questo cimitero, perchédi cimitero si tratta, sia stato costruito vicino adun centro abitato (e qui c’era Brintum) o vicinoad una strada consolare (e qui passava laFlaminia Militare).

MONTERUMICI

Dopo m. Adone ci incamminiamo verso sudper una straduccia a tratti diritta e piana, altrevolte molto erta e tortuosa: arriviamo così, conun certo fiatone, a una specie di valico dovetermina la salita e inizia la discesa con le stes-se caratteristiche.Seduti sul margine della strada per riprenderefiato, nel silenzio rotto solo da qualche soffiodi vento, ci viene da meditare su questo luogo:Monterumici, nome dall’apparenza insignifi-cante, in specie se comparato ai blasonati vici-ni. Rumici deriva dal latino rumex (pianta, gia-vellotto). L’etimologia di questo nome ci faritenere che qui si allevavano alberi dai quali siricavavano aste per costruire giavellotti; d’al-tronde questo territorio è sempre stato famoso,fin dall’antichità, per la costruzione di armiche hanno fatto la storia.Comunque non è sul nome di questo luogo chevogliamo trattenerci a lungo, ma sulle disav-venture di questa incantevole località delnostro Appennino. Lo era, ma ebbe la malasorte di essere sulla

linea del fronte di guerra fra Alleati e Tedeschi,nei lunghi mesi dell’inverno 1944-1945. Tuttovenne distrutto; anche il modesto cimitero fubombardato, profanate le tombe, in un inde-scrivibile orrore. Oggi sono rimasti qua e làalcuni ruderi; appoggiata a un sasso leggiamosu una lastra sepolcrale: Qui riposa in pace …Ironia della sorte!La chiesetta che si trovava nel punto più altodella montagna, venne, come si suol dire, rasaal suolo. Non possiamo proseguire il nostro viaggioverso sud senza vedere il luogo dove si trovavail sacro edificio.Sulla strada c’è una rudimentale scaletta e uncartello con la scritta: “la Chiesa”. Forse erapiù corretto scrivere: “Dov’era la Chiesa” per-ché, lassù, sulla vetta non c’è proprio niente, senon alcune ginestre piegate dal vento e unastele sormontata da una croce piantata in unrudere di muro.L’epigrafe è molto significativa e commovente:

QUI SI LEVÒ NEI SECOLILA CHIESA PARROCCHIALE

DI MONTERUMICIDEDICATA A SAN MAMANTECHE NEL 1944 SUBÌ INERME

L’ESTREMO OLTRAGGIODELLA DISTRUZIONE BELLICA

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Foto n° 107Monterumici (568 m s.l.m). La pianeggiante cimadi Monterumici con la lapide a ricordo della chiesarasa al suolo dai bombardamenti delle ForzeAlleate nell’inverno 1944 - 1945.

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ANTICHI NON IMMEMORI ABITATORIDELLA MARTORIATA CONTRADAPONGONO OGGI QUESTA CROCE

SEGNO DI CRISTIANA PIETÀPER LE VITTIME INNOCENTI

E MONITO CONTRO GLI ORRORIDEI CONFLITTI ARMATI

22 AGOSTO 1984

Peccato, ci sono voluti quarant’anni per porrequesto modesto, ma struggente ricordo.Commossi giriamo attorno a questa raduradove la vegetazione toglie la vista ad un mera-viglioso panorama; solo dalla parte sud, doveanche qui scende una scaletta, la vista può spa-ziare su tutta l’alta valle del Savena: dal Sassodi Castro al Colle di Savena (dove ci sono lesorgenti dell’omonimo torrente), a m. Freddi epiù giù fino a Loiano; il versante sinistro ènascosto dal costone est di m. Venere; si intra-vedono comunque i versanti orientali del m.Bastione e del m. Poggiaccio.Il corso del torrente Savena, però, è quasi tuttoin vista con le sue sinuosità che costeggiano leultime propaggini dei monti. Prima su unasponda poi sull’altra, le sue acque hanno erosoi terreni più friabili, creando così un magnificogioco di anse.Chissà se da questo sperone occhio umano avràmai ammirato il lago che esisteva prima che leacque del Savena si aprissero un varco in quel-le zone friabili che si innalzavano fra Monteru-mici e Scascoli. I resti del lago si possonovedere oggi, dove le acque, frenate dalla bar-riera, hanno depositato i materiali erosi dai ter-reni a monte.

MONTE VENERE

Dalla radura sulla cresta di Monterumici, dov’e-ra la chiesetta, scendiamo giù per la scaletta dadove eravamo saliti. Sulla strada asfaltata pro-seguiamo verso sud alla volta di m. Venere, cheraggiungiamo dopo avere attraversato l’abitatodi Monzuno adagiato, si fa per dire, sul grembodella dea della bellezza e dell’amore.Da quassù, nei giorni tersi, si può godereun’ampia visuale e scorgere la costa dalmata equasi tutto l’arco alpino fino al Monte Bianco.

Venere è una divinità prettamente italica ed iRomani la considerarono la loro progenitrice,l’antenata divina del fondatore di Roma; quin-di solo i Romani possono avere attribuito ilnome di questa divinità ad una delle cime piùbelle del nostro Appennino, non certamente loStato Pontificio, che diversamente avrebbedato il nome di un santo.La tradizione locale vuole che sulla cima diquesto monte i Romani avessero costruito untempio dedicato alla loro più bella dea; nessu-no può smentirlo e nessuno può affermarlo consicurezza, non essendo state fatte ricercheapprofondite per avere un responso certo.Lasciamo m. Venere e proseguiamo sempreverso sud. Non possiamo soffermarci a descri-vere e fare la storia di tutte le località attraver-sate dalla strada romana: dopo m. Venereincontriamo le località Le Croci, m. Galletto eMadonna dei Fornelli dove la strada tutta retti-linea sale fino al Monte dei Cucchi.

PIAN DI BALESTRA

A Monte dei Cucchi inizia la località Pian diBalestra che si estende tutta in piano per circa3 km, percorsa dalla strada romana.Il nome di questa località ha radici lontane enon è del tutto azzardato ritenere che sia deri-vato dal luogo dello scontro decisivo fra iLiguri e le legioni romane nel 187 a.C., ricor-dato da T. Livio con queste parole: “… M.Aemilius alter consul agros Ligurum vicosquequi in campis aut vallibus erant ipsis montes

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Foto n° 108Monte Venere (m 965 s.l.m). Il versante occidentale.

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duos Ballistam Suismontiumque tenentibusdeussit depopulatusque est. …”2.Non c’è dubbio che “ballistam”, tradotto in ita-liano, significa “balestra”.Non è invece ancora stato tradotto il nome di“Suismontium” e tantomeno individuata la suaubicazione. Volendo proporre una interpreta-zione, quest’ultimo nome potrebbe indicaregenericamente il monte dei “cinghiali” vistoche “suis montium” si può intendere “maialedei monti”, cioè cinghiale. Ci auguriamocomunque che in futuro eminenti latinisti e stu-diosi di storia antica riescano a tradurre questonome e se possibile, individuare esattamente illuogo di questa montagna.

MONTE BASTIONE

Poche centinaia di metri dopo Pian di Balestrasi arriva alle falde di m. Bastione.Questo monte porta il nome di Bastione perchésulla sua vetta c’è una fortezza, un “castelliere”per chiamarlo con il suo nome antichissimo;esso ha una piazza d’armi circolare di circacinquanta metri di diametro, difeso a nord-ovest da due profondi fossati, a sud-est da undirupo. Di lassù si vede tutto il percorso cheabbiamo fatto per arrivarci: giù, giù fino al san-tuario della Madonna di S. Luca sul colle dellaGuardia a Bologna, e la prossima pianura coisuoi paesi.L’abate Serafino Calindri, del quale abbiamola massima stima per avere veramente visitatoi luoghi che descrive nella sua opera, delBastione dice: “ … Nel sito o vetta alla qualepropriamente si da il nome di Bastione, sono-vi tuttora gli avanzi di un Forte di terra consua piazza d’armi, fossa, controfossa, spaltoecc…”.Fin qui tutto vero; ma quando precisa “… fattoin occasione nelle ultime guerre nel Secoloscorso tra i Fiorentini ed il Papa …”3 sorgonoseri dubbi.

Che sia servito anche a una guarnigione difiorentini, può darsi poiché la “fortezza” sitrova in Toscana, poco oltre il confine emilia-no, ma la costruzione risale a numerosi secolia.C., poiché i frammenti di ceramica che sirinvengono su quella cima sono uguali a quel-li rinvenuti negli altri castellieri liguri checoronano verso sud il tracciato della via roma-na, cioè al Poggiaccio ed, in particolare, alPoggio Castelluccio.Il m. Bastione domina tutta la dorsale appenni-nica e può essere visto dagli opposti versantianche da molta distanza.Esso è depositario di tradizioni antiche chesono molto radicate e ricordate e, qualchevolta, sfiorano la leggenda. Per esempio siricorda che ai tempi della transumanza, che ini-ziava ai primi di novembre e terminava intornoalla metà di marzo, sulla “fortezza”, così chia-mavano il Bastione le genti locali, si accende-vano grandi falò per indicare la via del ritornoai transumanti sparsi nel territorio toscano,

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(2) Tito Livio “Storia di Roma”, Libro XXXIX, par. 2.(3) Serafino Calindri, Bologna 1781, Vol. I, pag. 236.

Foto n° 109Monte Bastione (1190 m s.l.m). La fotografia èscattata da nord. La strada è stata rinvenuta sulsuo versante occidentale 100 m al di sotto dellacima. In primo piano Pian di Balestra.

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specie nella Maremma che era la méta inverna-le preferita. Ciò avveniva nelle notti serene, subito prima edopo la festività di San Giuseppe. In quei gior-ni i transumanti spingevano le greggi sulle altu-re e poi, avvistata la direzione, prendevano lastrada del ritorno.A poche centinaia di metri dalla sommità di m.Bastione, nel declivio sud-ovest, abbiamo rinve-nuto il primo tratto di strada basolata dellaFlaminia Militare. La direzione del manufatto ènord-sud, cioè Bologna-Fiesole e quindi ladestinazione dell’opera è evidente: collegare lelocalità da noi fin qui descritte con il versantetoscano. Questi cento metri quadrati di basolatosi sono conservati come furono costruiti, perchépoggiano su uno sperone di roccia che lo ha sal-vato da una grande frana avvenuta sul versantenord, e dall’erosione naturale verso sud. Essisono in vista, tutti li possono ammirare.

Dal m. Bastione fino al m. Poggione (a sud delpasso della Futa), per una lunghezza di circa 11km, s’incontrano in continuità tratti di basolatodella strada da noi liberati dalla sovrastante sedi-mentazione. Tutti uguali; stessa larghezza, stessomateriale impiegato, uguale tecnica di costruzio-ne già ampiamente descritta nel cap. IV.

MONTE LUARIO

Proseguendo verso il passo della Futa incon-triamo il monte Luario dedicato alla Dea Lua,divinità italica fra le più antiche. Secondo lamitologia romana essa presiedeva alle espiazio-ni dei prigionieri e le venivano dedicate le spo-glie dei nemici vinti. Dal lato sud, vicino allavetta, c’è uno spiazzo (artificiale) dove è statoaccertato4, con un profondo scavo di due metri,che anticamente sono stati accesi grandi fuochi.

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(4) Dalla Soprintendenza Archeologica per la Toscana.

Foto n° 110Monte Luario (1140 m s.l.m). La sua cima domina la Piana Degli Ossi ove è stato rinvenuto l’impianto indu-striale di fornaci per la produzione della calce. Questa fotografia risale al luglio 1989 quando iniziarono gliscavi sotto la direzione della Soprintendenza archeologica per la Toscana.

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Questa cima sovrasta il grande impianto indu-striale per la produzione di calce rinvenuto allaPiana degli Ossi (vedasi cap. IV, par. 6b).È noto che lavorare nelle fornaci per la produ-zione della calce non soltanto costituiva unagrande fatica, ma anche che la calce viva, sol-levata dal vento, produceva gravi lesioni agliocchi tanto da portare alla cecità. È molto pro-babile che i Romani avessero assegnato queilavori ai prigionieri alla cui guardia era desti-nata, secondo la tradizione pagana, la dea Lua.

I “CASTELLIERI” DEL M. POGGIACCIOE DI POGGIO CASTELLUCCIO

Procedendo verso sud, oltre il m. Luario, siincontra il castelliere del Poggiaccio, il menovistoso, ma in una importante posizione strate-gica, perché è in vista sia con il castelliere delBastione, che con quello di Poggio Castelluc-cio. Senza il Poggiaccio non si potevano faresegnalazioni dirette fra i citati due castellieri.Dopo il Poggiaccio c’è Poggio Castelluccio, ilcastelliere più grande ed imponente che sovra-sta di poche decine di metri la via romana.Il castelliere di Poggio Castelluccio harichiesto per la sua costruzione un lavoro

enorme che ha comportato l’impiego di cen-tinaia di uomini, tenuto conto di quando èstato fatto (secoli IX – V a.C.); soltanto unagrande Comunità poteva scavare un fossatocosì profondo con gli attrezzi disponibili aquell’epoca.Questo castelliere, come quelli del Poggiaccioe di m. Bastione, è stato costruito in una posi-zione dominante, tanto da potere controllareda vicino la pista transappenninica che giàdall’epoca etrusca sfiorava queste vette. È evidente che i Romani, avendo seguito lostesso tracciato, hanno utilizzato questi castel-lieri già esistenti per presidiare le comunica-zioni fra Bononia e Fiesole; comunicazionicomode che erano possibili dopo la costruzio-ne della strada di C. Flaminio.Ma ormai di questa grandiosa opera non rima-ne più niente in vista; la natura si è ripresatutto ciò che i Romani le avevano tolto 2200anni fa. I pochi tratti che si possono oggi vede-re sono stati, con grande fatica, liberati dallasedimentazione che li copriva e che, alle volte,supera il metro di altezza.Un’altra grande parte della pavimentazione hasubito quelle conseguenze frequenti a tutti iterreni montani, principalmente l’erosione ele frane.

Foto n° 111Poggiaccio (1196 m s.l.m) e Poggio Castelluccio (1131 m s.l.m). Seguendo verso sud sempre la dorsale traSavena-Setta-Sambro, pochi chilometri prima del passo della Futa, emergono le cime del monte Poggiaccioe Poggio Castelluccio sulle quali sono stati individuati due Castellieri. Sotto il Passeggere si scorge il paesedi Bruscoli.

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IL PASSO DELLA FUTA

Oltre il Poggio Castelluccio, verso il Mugelloc’è il passo della Futa; tanto famoso quantoimportante: famoso perché gli storici hannoscritto tutto ciò che era conosciuto. Diciamoconosciuto perché molti grandi avvenimenti cheha visto questa terra nessuno potrà mai descri-verli con esattezza: non ci sono testimonianzenelle tradizioni popolari, né tantomeno scritte.Comunque è certo che questo valico, essendo ilpiù agevole, è stato frequentato in ogni epoca,come da noi ricordato nei precedenti capitoli.Proprio perché questo valico è il più agevoleper superare la catena appenninica tosco-emi-liana, in occasione dell’ultima guerra mondialele forze armate germaniche avevano predispo-sto imponenti fortificazioni (facenti parte dellafamosa “Linea Gotica”) per contrastare il pre-vedibile attacco degli “Alleati” sul passo dellaFuta, avendo capito che sarebbe stato il percor-so preferito dai nemici per l’avanzata verso laPianura Padana.Terminata la guerra il passo della Futa è rimastonel ricordo della Germania come simbolo dell’e-roismo e del sacrificio dei suoi soldati; ha volutoquindi onorare la loro memoria costruendo unimponente cimitero (il più grande d’Italia) cheraccoglie oltre trentamila salme di caduti tede-schi nelle battaglie dell’Italia del nord.Corre voce5 che in occasione della sua costru-zione siano venuti alla luce i resti di un tempioromano proprio in corrispondenza del poggioche sovrasta l’attuale strada diretta a Bruscoli-Pian del Voglio.Purtroppo non abbiamo potuto verificarlo: siamoarrivati tardi! Nonostante quel ritrovamento igenieri tedeschi hanno innalzato in questo luogouna grande muraglia ed un pennone che sembrala vela maestra di un grande bastimento.Terminiamo questa nostra “camminata” sultracciato della Flaminia Militare annotandoche il territorio che abbiamo percorso dal m.Bastione fino alla Futa è oggi incontaminato ecoperto da una folta vegetazione di faggi.Possiamo immaginare che anche quando arri-varono le legioni di C. Flaminio l’ambiente non

doveva essere molto diverso, ma pensiamoinvece che sia stato molto diverso al terminedei lavori di costruzione della strada. Ci sarà stato un “impatto ambientale” negativo,per usare un concetto attuale: prima un mode-sto disboscamento, poi l’apertura delle caveper l’estrazione di grandi quantità del materia-le occorrente e, quindi, la posa del basolato;infine un radicale disboscamento per centinaiadi metri ai lati della strada, come era abitudinedei Romani per evitare agguati improvvisi.Immaginiamo la meraviglia degli sparuti abitan-ti autoctoni nel vedere la costruzione di un’operacosì imponente e l’abbattimento di intere foreste.Queste foreste, oggi non ancora abitate, sonoritornate a coprire le montagne del valico appen-ninico. Nei loro confronti abbiamo un sentimen-to di riconoscenza, soprattutto perché hanno con-servato la pavimentazione romana, ma ancheperché ci hanno permesso, lontano da occhicuriosi, di fare le ricerche ed i saggi qua e là doveabbiamo ritenuto utile, con la massima libertà econ evidenti risultati.

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(5) Secondo le testimonianze di alcuni lavoratori italiani impegnati nella costruzione dell’opera.

Foto n° 112Passo della Futa (m 903 s.l.m). La parte più alta delCimitero Militare Germanico.

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RIFLESSIONIsulle circostanze che hanno dato un contri-buto decisivo alla scoperta della FlaminiaMilitare fatta da due semplici cittadini.

Come scritto nella introduzione al libro pub-blicato nel 2000, abbiamo iniziato la ricerca diquesta strada consolare per passatempo, nellegiornate delle ferie estive. Infatti, per i rispetti-vi impegni di lavoro e di famiglia, nelle altrestagioni non avremmo avuto la possibilità didedicare giornate ad una ricerca che, sullacarta, appariva velleitaria. Anche per questo,all’inizio, non avevamo avuto la comprensionedei famigliari, perché dedicavamo il preziosotempo libero ad una ricerca che, ai loro occhi,era del tutto inutile e molto probabilmenteinfruttuosa.Anche noi, per la verità, avevamo poche spe-ranze di raggiungere un risultato concreto equindi, nei primi tempi, abbiamo cercato diconciliare le giuste pretese dei famigliari con ildesiderio della ricerca. Ricerche peraltro chesono state favorite da due circostanze fonda-mentali: 1 - la dorsale sulla quale avevamo intenzione dieffettuare accurate prospezioni di superficie sitrova a pochi chilometri dalle nostre residenzeestive6, tanto che in dieci minuti di automobileci portavamo nel folto dei boschi ove avevamoipotizzato l’esistenza del tracciato romano.Questa estrema comodità di accesso ci ha con-sentito di utilizzare fruttuosamente le pocheore disponibili senza pregiudicare i doveri deri-vanti dal lavoro e dalla famiglia.2 - Un’altra circostanza favorevole e determi-nante è stata la nostra perfetta conoscenza deiboschi da esplorare, dovuta al fatto che nellagiovinezza avevamo percorso in lungo ed inlargo quella dorsale appenninica e tutta l’altavalle del Savena fino al passo della Futa; uno dinoi per le innumerevoli escursioni effettuate el’altro anche per motivi di lavoro. Avevamoquindi presente nei più piccoli dettagli l’oro-

grafia del territorio, conoscevamo tutti i sentie-ri e, soprattutto, il percorso della mulattiera chesi snodava seguendo il crinale da Monzunofino al passo della Futa ed oltre nel Mugello.Questa nostra conoscenza capillare del territo-rio, e soprattutto la particolare sensibilità diFranco Santi nel cogliere i più piccoli indizidella presenza di un manufatto sepolto che lanatura lasciava ancora intuire, sono stati i pre-supposti determinanti per individuare le traccedel basolato. Senza il possesso di queste cono-scenze difficilmente anche gli studiosi profes-sionisti di topografia antica avrebbero potutoraggiungere i risultati ottenuti da due dilettanti,come, ad esempio, il ritrovamento di tratti dibasolato perfettamente conservato sotto alcuneantiche piazzole per cuocere il carbone. Osservando attentamente la geografia fisicadel versante bolognese dell’Appennino tosco-emiliano, ci siamo convinti che il valico piùcomodo per attraversarlo era quello della Futa,proprio ove passava l’antica mulattiera non piùfrequentata abitualmente dai primi decenni delsecolo scorso.Anche se negli anni Settanta il suo percorso erain molti tratti ostruito dalla disordinata crescitadella vegetazione, comunque il tracciato di cre-sta era ancora visibile. Abbiamo potuto seguir-lo per alcune decine di chilometri, ed esso ci hafatto da guida: ci eravamo infatti convinti chequella mulattiera, perfettamente orientata danord a sud, fosse nata ricalcando il percorsodella strada romana, come tramandato da seco-li nel ricordo dei nostri avi. La speranza di ritrovare le tracce di quellastrada basolata vicino o sotto la mulattiera, sifondava non soltanto sul suo percorso di cre-sta, sostanzialmente rettilineo, ma anche sulritrovamento da parte di Franco Santi di unamoneta romana di epoca repubblicana7 nellafessura di una cava di pietra arenaria vicino aCastel dell’Alpi sulle pendici di m. Bastione.Il ritrovamento della moneta di epoca repub-blicana in quel posto ci ha fatto presumere che

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(6) Le nostre residenze estive sono a Castel dell’Alpi (nel Comune di S. Benedetto Val di Sambro) nell’alta valle delSavena soltanto a 3-4 chilometri da Pian di Balestra e m.Bastione.

(7) Trattasi di una moneta in bronzo coniata fra il 320 e il 264 a.C. nel territorio di Capua (vedasi foto nel capitolo IVparagrafo 1° di questo libro).

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fosse stata persa da un legionario romanodurante il prelievo di pietre di arenaria percostruire la pavimentazione della strada.Abbiamo pensato che, se i Romani avevanocostruito un basolato, avremmo potuto spera-re di trovarne alcuni resti e, quindi, identifi-carne la tipologia costruttiva e l’esatto per-corso seguito dalla strada.E così è stato. Il 25 agosto 1979, dopo due anni di vanericerche ed infruttuosi scavi, abbiamo indivi-duato un bordo della strada, portando allaluce alcune decine di metri quadrati dellapavimentazione, potendo quindi verificareche la larghezza della carreggiata era di m 2,40, corrispondenti ad 8 piedi romani. È stata per noi una grande emozione poteretoccare quelle grosse pietre di arenaria dispo-ste in modo perfetto, una contigua all’altra,tanto da costituire un piano di calpestio soli-do e compatto, come altre note strade romanedi epoca repubblicana.Le nostre speranze e le nostre intuizioni ave-vano trovato una conferma archeologica chemeritava di essere comunicata agli studiosidella materia, affinché potessero valutarla edeventualmente proseguire gli scavi per porta-re alla luce altri tratti. Però in quel tardopomeriggio di agosto eravamo soli nel foltodi un bosco disabitato, calpestando un prezio-so reperto ritrovato senza le doverose autoriz-zazioni di legge, senza la guida ed il confortodella Soprintendenza Archeologica, senza ilparere di un docente di topografia antica.Ci siamo sentiti colpevoli di non avererispettato le regole della burocrazia, ma cisiamo anche domandati: se avessimo richie-sto tutte le autorizzazioni necessarie, leavrebbero concesse a due cittadini qualun-que che prospettavano la speranza di ritro-vare i resti di quella strada romana che ilprof. Nereo Alfieri, docente di topografiaantica dell’Università di Bologna, aveva giàscritto che probabilmente si trovava su unaltro crinale?

Ci siamo convinti che la risposta sarebbe statanegativa.Comunque la mancanza di preventive autoriz-zazioni non ci ha impedito di segnalarla pro-prio a quel docente che, gentilmente, è venutoa vedere quei metri quadrati di basolato8. Eglisi è pronunciato escludendo che quelli fosseroi resti della strada di Caio Flaminio, perchéquella strada consolare, a suo parere, era statada lui già individuata sul crinale fra il fiumeIdice ed il torrente Sillaro, da Claterna alpasso della Raticosa (c.d. Flaminia Minore).

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(8) Per una più dettagliata descrizione di questo sopralluogo vedasi C. AGOSTINI – F. SANTI 2000, pag. 98 e ss..

Foto n° 113Monte Bastione, agosto 1979. Una sbiadita imma-gine del sopralluogo avvenuto alla fine di agostodel 1979 sul primo rinvenimento del basolato dellaFlaminia Militare; Franco Santi (a destra) illustra lanostra opinione al prof. Nereo Alfieri (al centro), cheascolta con attenzione, mentre l’arch. FrancoBergonzoni prende appunti.

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Ha anche precisato, però, che non aveva trova-to materialmente i resti della strada, ma soltan-to toponimi derivati da un nome Flaminiasecondo lui riconducibili alla strada del conso-le C. Flaminio.La riconosciuta mancanza di prove archeologi-che della Flaminia Minore ci ha confortato,tanto da convincerci a proseguire le ricerche egli scavi fino ed oltre il passo della Futa. Ecosì abbiamo fatto nei successivi venti anni,portando alla luce molti altri resti di basolatoper una continuità di undici chilometri dal m.Bastione, al m. Poggione in località Monte diFò 9. In sostanza non abbiamo creduto all’opi-nione di Alfieri, nonostante la sua autorevolez-za, riuscendo a portare alla luce la vera stradadi Flaminio.Ma a questo punto è doveroso chiederci: cosasarebbe successo se noi, invece di essere duecittadini qualunque, fossimo stati degli “studio-si” addetti ai lavori, studenti universitari diarcheologia o ricercatori nella facoltà deldocente di topografia antica, padre dellaFlaminia Minore?La risposta è ovvia: la vera strada di C.Flaminio (c.d. Flaminia Militare) non sarebbemai stata ritrovata, e noi avremmo subito l’au-torità del docente, come tutti gli appartenentialla sua “scuola”, che hanno accettato la suaprima ipotesi, orientando i loro studi soltantoper trovare ulteriori indizi a supporto della tesidel loro “maestro”.Fortunatamente per noi, e per la scoperta delvero tracciato della strada di Flaminio, nonappartenevamo a quella “scuola”, e quindiabbiamo potuto proseguire le ricerche sulcampo e gli approfondimenti storici svincolatida qualsiasi condizionamento. Così abbiamoavuto il plauso di eminenti docenti di storiaromana e topografia antica, anche dell’Univer-sità di Bologna, come ricordato nel paragrafo 1°del capitolo VII. Questi autorevoli pareri e glioggettivi risultati delle nostre ricerche ci hannoconvinto definitivamente di avere ritrovato iresti della strada costruita nel 187 a.C. dal con-sole Caio Flaminio.

In tutta questa nostra ricerca archeologicaabbiamo ricevuto non soltanto autorevoli con-sensi, ma anche critiche tendenti a svalorizzaresia i reperti portati alla luce, sia la nostra com-petenza specifica nella materia, e siamo statitacciati di appartenere a quella categoria didilettanti presuntuosi che sono particolarmentedeleteri nel mondo dell’archeologia.Concludiamo rispondendo a queste critiche conle parole pronunciate dal prof. Giancarlo Susininella sua prolusione tenuta in occasione dellapresentazione del nostro libro il giorno 3 mag-gio 2000 a Palazzo Malvezzi, sede dellaProvincia di Bologna: “ … ma quello che vole-vo dire in questa sede è un’altra cosa: ma chisono questi autori, Cesare Agostini, FrancoSanti e quanti altri hanno con loro collaborato?Chi sono? Sono dei cittadini, io credo che dob-biamo riflettere su questo fatto, sono dei citta-dini, non sono dei professionisti dell’archeolo-gia, non sono dei professionisti della storiaantica, sono dei cittadini e hanno fatto un’ope-ra meravigliosa. E allora riflettiamo un attimosu questo fatto. Sono persone che hanno presta-to una straordinaria attenzione, spontaneamen-te, nessuno gli ha detto di farlo, nessun profes-sore gli ha detto di farlo, nessun professore gliha comandato questo compito; hanno prestatouna straordinaria attenzione, loro, i loro amici,

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(9) Una succinta descrizione cartografica e fotografica è stata riportata nel capitolo IV, par. 2° di questo libro e moltopiù ampiamente nel libro pubblicato nell’anno 2000. (Sito internet: www.flaminiamilitare.it).

Foto n° 114 Monte Poggione (sito G/1 - 3 settembre 1999): ilProf. Giancarlo Susini dell’Università di Bolognascruta il basolato romano pietra per pietra.

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i loro compagni, alla memoria, alla memoriasopravvivente, a quel che si bisbigliava e si sus-surrava o comunque in qualche modo si deliba-va tra le chiacchiere della gente, tra le chiac-chiere dei più vecchi, dei nonni appunto.Seconda cosa, hanno prestato attenzione almanufatto. La storia di quella moneta, che fu ilreperto più antico nel territorio, fa sorridere gliarcheologi: quante volte si trova una moneta?Certo, si capisce, una moneta! Può esserelasciata, caduta, tutto quello che si chiede a unamoneta antica! Però quello è stato il faro d’av-vio di una ricerca che ha portato a questi risul-tati. Allora, l’attenzione al reperto, l’attenzioneal manufatto hanno veramente coinvolto questicittadini portandoli a risultati di questo calibro.…. Poi un’ultima cosa voglio dire. Il libro èchiaro, ma francamente vorrei che, a comincia-

re da me stesso e ad andare a tutti i colleghiprofessionisti dell’archeologia, della topografiaantica, della storia antica etc., vorrei che tuttisapessimo usare parole così chiare, parolecomprensibili, espressioni facili da recepire esu cui ragionare da parte del lettore. ... .Allora,che cosa intendo? Voglio dire che è un motivo digrande orgoglio per noi, per la nostra società,per la nostra collettività, che due cittadini conmestieri diversi, con professioni diverse, conorizzonti diversi abbiano potuto a un certomomento donare con un atto d’amore (ripeto leparole che ho sentito prima) il prodotto dellaloro intelligenza, della loro ricerca, della loropazienza, delle loro delusioni, delle loro illusio-ni, dei loro entusiasmi, abbiano saputo donarecon parole chiare e con tanta accortezza scien-tifica, abbiano potuto e saputo donare quelloche avevano scoperto. Tutto ciò, amici miei, mifa pensare che una volta di meno dovremmoparlare male, come invece tante volte succede,della nostra cultura corrente, della nostra cul-tura comune. Tante volte vien fatto di dire: ma,ci sono gli specialisti. Certo, ci sono gli specia-listi, bravissimi tutti quanti, senza dubbio, maperò due cittadini, due uomini pieni di passionesono riusciti a raggiungere questo traguardo.…. Ecco, tutto ha portato a risultati di questogenere, di cui la scienza deve tenere esatto epreciso conto, con infinita gratitudine a questicittadini che così hanno operato: Grazie, pro-prio a tutti.”10.

E grazie anche a Lei da parte nostra, prof.Susini, per i Suoi preziosi consigli e per i calo-rosi incitamenti a proseguire le nostre ricerchefin da quando, nel 1988, Lei ha riconosciuto,primo fra i docenti universitari, l’ascendenzaall’epoca romana repubblicana della strada danoi riportata alla luce.

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(10) G. SUSINI: Prolusione (Bologna), pagg. 17 e 18.

Foto n° 115Bologna 3 maggio 2000 – Palazzo Malvezzi sededella Provincia di Bologna. Prolusione del prof.Giancarlo Susini, titolare di cattedra di storia anticaall’Università di Bologna ed Accademico Nazionaledei Lincei, in occasione della presentazione delnostro libro sulla Flaminia Militare. Al centro dellafoto il prof. Vittorio Galliazzo, docente di archeologiae di storia dell’arte greca e romana all’Università CàFoscari di Venezia. A destra Franco Santi.

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APPENDICE

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LA VIA

FLAMINIA MINORE

UNA MERA IPOTESI ACCADEMICADI UN TRACCIATO IMMAGINARIO

Absit iniuria verbis(TITO LIVIO, “Storie”, Libro IX, 19, 15)

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Il totale silenzio della storiografia romana in epoca repubblicana ed imperiale, sul percorso seguitodal console Caio Flaminio per collegare Bologna con Arezzo, non ha fornito alcun indizio agli stu-diosi moderni per individuare il suo tracciato. Inoltre fino alla fine del XX secolo non sono stati tro-vati, neppure occasionalmente, resti della sua pavimentazione né basolata né glareata.Pertanto chi si è dedicato a questa indagine ha cercato di intuire quel percorso studiando la orogra-fia dell’Appennino per valutare quale poteva essere stata la valle o la dorsale prescelta.Conoscendosi soltanto i capolinea di partenza e di arrivo di una strada transappenninica, era impor-tante soprattutto trovare il valico più comodo sullo spartiacque tosco-emiliano; infatti, una volta indi-viduato il valico, si sarebbe potuto ricostruire almeno a grandi linee la direttrice seguita.Un altro elemento topografico importante era costituito dalla posizione di Fiesole, unica città alloraesistente sull’asse ricercato, più o meno equidistante da Bologna e da Arezzo. Deve quindi esserestata tenuta in considerazione come irrinunciabile tappa intermedia, tanto più che in epoca etruscaFiesole è stata collegata sia con Arezzo, che con Bologna da una strada che doveva essere importan-te, se utilizzata per gli abituali traffici commerciali con l’Etruria padana.Basta osservare l’andamento delle dorsali ed i valichi esistenti nella catena appenninica tosco-emi-liana per notare che sull’asse diretto Bologna-Fiesole la dorsale più comoda da seguire è quella trail fiume Savena ed i torrenti Setta – Sambro, ed il valico più agevole è il passo della Futa; si devequindi ritenere che, prima gli Etruschi, poi i Romani abbiano costruito la strada su quella direttrice.Da Fiesole ad Arezzo poi l’esistenza di una importante strada etrusca è fuori discussione1; senz’al-tro C. Flaminio l’avrà seguita per ricongiungersi con la Cassia che da Roma arrivava già fino allacittà aretina.All’inizio del II secolo a.C. erano rimaste molto probabilmente tracce evidenti di questa strada ed ilconsole romano, valutata la corrispondenza al percorso voluto, l’ha tenuta indubbiamente comeguida, rettificandola e pavimentandola, ove necessario, per adeguarla alle esigenze costruttive pro-prie dei Romani.Queste considerazioni storiche, orografiche e topografiche dovevano essere tenute presenti da tuttigli studiosi moderni che si sono dedicati a questa ricerca per escludere altri improbabili tracciati.Invece il prof. Nereo Alfieri dell’Università di Bologna nel 1976 ha sostenuto un tracciato diversoed inedito2 che, partendo da Claterna3, avrebbe seguito la dorsale tra il fiume Idice ed il torrenteSillaro fino al passo della Raticosa. Da questo valico avrebbe proseguito fino ad Arezzo passandoda Firenzuola, il passo del Giogo, percorrendo poi il Mugello ed il Casentino senza toccare Fiesole.

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PREMESSA AL CAPITOLO IX

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(1) Sull’argomento si vedano le autorevoli opinioni di numerosi studiosi da noi citati nel paragrafo 4° di questo capitolo.(2) N. ALFIERI 1975-1976.(3) Claterna si trovava nell’attuale località di “Maggio”, sulla via Emilia, a circa 15 km da Bologna verso Rimini.

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BOLOGNA

AR

NO

AR

NO

Tavola 31

Percorso della Flaminia Militare Percorso della immaginaria Flaminia Minore

PIEVE DEL PINO

MONZUNO

M. VENERE

M. BASTIONE

FIRENZUOLA

MONTECARELLI

VETTA LE CROCI

BIVIGLIANO

REGGELLOBIBBIENA

SUBBIANO

PIAN DI SCÒ (CASCIA)

LORO CIUFFENNA

PIEVE DI GROPINA

PONTE A BURIANO

CASTIGLIONFIBOCCHI

MONTEREGGI

PELAGO

CASTEL SOFIA

PONTASSIEVES. FRANCESCO

TAGLIAFERRO

COMPIOBBI

BRENTO

MADONNA DEI FORNELLI

MONTERENZIO VECCHIO

PASSO DELLA FUTA

A R N O

SI E

VE

S I E V E

SANTERNO

PONTE DI COLOMBAIOTTO

FIESOLE

AREZZO

POPPI

DICOMANO

VICCHIO

BORGO S. LORENZO

BADIA MOSCHETA

SCARPERIA

PASSO DEL GIOGO

SASSO DIS. ZENOBI

PASSO RATICOSA

PIANCALDOLI

SASSONERO

SETTEFONTI

CLATERNA

CA

SE

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I NO

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AR

NO

CA’ BURACCIA

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VE

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IDIC

E

S. PIERO A SIEVE

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La sua ipotesi si è basata esclusivamente sulla interpretazione di alcuni toponimi quali“Flamenga”, “Fiaminga”, “Fiamengha” etc., che ha ritenuto essere una evoluzione linguisticaper derivazione etimologica del nome “Flaminia” da lui attribuito erroneamente alla stradacostruita dal console romano.Avendo ritrovato tali toponimi in documenti medioevali e moderni che identificano strade o confinidi proprietà sulla dorsale sopracitata, ha ritenuto che essi ricordassero il passaggio in quei luoghidella strada di Flaminio ed ha chiamato questo percorso via Flaminia Minore.Dopo di lui alcuni ricercatori bolognesi, per lo più appartenenti alla sua scuola, hanno proseguito lericerche archivistiche ritrovando in altri documenti medioevali numerosi simili toponimi, sempreriferibili alla citata dorsale, dando ad essi acriticamente la stessa interpretazione del “maestro” e,quindi, ricadendo nello stesso errore, come si dimostra in questo capitolo.Essi hanno continuato a seguire la linea di pensiero del “maestro” anche dopo che le nostre primescoperte archeologiche sulla dorsale tra Savena e Setta-Sambro erano state rese note con una pub-blicazione nel 19894 ed anche dopo la nostra pubblicazione del 20005 nella quale, con ampia docu-mentazione fotografica e cartografica, abbiamo illustrato i numerosi rinvenimenti archeologici anord ed a sud del passo della Futa che testimoniano il passaggio della strada romana da quel valico.In tutti questi anni però non ci siamo limitati a ricercare il vero tracciato di questa strada, maabbiamo anche verificato i presunti indizi sui quali i fautori della Flaminia Minore hanno basatola loro ipotesi.Il capitolo IX lo dedichiamo proprio all’approfondimento ed alla contestazione delle loro argomen-tazioni dimostrando, a nostro avviso e al di là di ogni ragionevole dubbio, che il tracciato propostoda Alfieri (c.d. Flaminia Minore) è del tutto immaginario.Ci auguriamo che questi nostri chiarimenti siano utili a tutti coloro che scrivono articoli sullaFlaminia Militare, corredati da fotografie di suoi basolati, ma denominandola in assoluta buonafe-de, ed erroneamente, Flaminia Minore.

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(4) CESARE AGOSTINI – VITTORIO DI CESARE – FRANCO SANTI: La strada Flaminia militare, Costa Editore,Bologna, 1989.

(5) C. AGOSTINI – F. SANTI, Bologna 2000.

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• PARAGRAFO PRIMO: Nessuna prova archeologica su tutto il tracciato della Flaminia Minore daClaterna ad Arezzo

• PARAGRAFO SECONDO: Tito Livio ricorda che C. Flaminio ha costruito la strada partendo daBologna e non da Claterna

• PARAGRAFO TERZO: Il tracciato della Flaminia Minore è incompatibile con i principi costruttividelle strade consolari romane3a - Breve cenno sulla scelta del percorso delle strade consolari romane3b - Il tracciato della Flaminia Minore percorre una dorsale particolarmente

instabile ed attraversa inutilmente alcuni corsi d’acqua3c - Maggiori dislivelli e maggiore lunghezza della Flaminia Minore per vali-

care l’Appennino

• PARAGRAFO QUARTO: Il tracciato della Flaminia Minore passa lontano da Fiesole

• PARAGRAFO QUINTO: La strada costruita di C. Flaminio non è mai stata chiamata Flaminia dallastoriografia latina né di epoca repubblicana né imperiale.

• PARAGRAFO SESTO: I toponimi “Flamengha”, “Flaminga”, “Fiamminga”, “Flamigna” etc. nonpossono derivare dalla strada di C. Flaminio perché non è mai stata chiama-ta “Flaminia”.

• PARAGRAFO SETTIMO: La vera origine dei toponimi “Flamengha” “Flaminga” “Fiamminga”“Flamigna” etc.7a - La “Regio Flaminia” e la sua influenza sulla nascita dei noti toponimi 7b - La “via Emilia” da Rimini a Bologna, chiamata per secoli “via

Flaminia”, può avere trasmesso il nome al suo diverticolo Claterna –passo Raticosa

7c - I toponimi “via Flaminia” “via Fiamminga” appellativi di strade anchedirette verso la regione Flaminia (da ovest a est)

• PARAGRAFO OTTAVO: I “Casoni di Romagna” e la “strada romagnola” sono la conferma dellanostra interpretazione dell’origine di quei toponimi

• PARAGRAFO NONO: I toponimi “Flamengha”, “Flaminga”, “Fiamminga”, “Flamigna” etc. ritro-vati soltanto da Claterna al passo della Raticosa

• PARAGRAFO DECIMO: La “Tabula Peutingeriana” non conferma l’ipotesi del tracciato della Flaminia Minore10a - Le due diverse opinioni di Nereo Alfieri 10b - L’opinione di Ernest Gamillscheg10c - L’opinione di Luciano Bosio10d - L’opinione di Antonio Gottarelli e di P. L. Dall’Aglio

CONCLUSIONI

CAPITOLO IX

LA VIA FLAMINIA MINORE:UN TRACCIATO IMMAGINARIO

LE DIECI ARGOMENTAZIONI CHE LO COMPROVANO

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PARAGRAFO PRIMO:Nessuna prova archeologica sututto il tracciato della FlaminiaMinore da Claterna ad Arezzo

Le pluriennali ricerche della strada costruita daC. Flaminio non hanno portato al rinvenimentodi alcun reperto archeologico riferibile ad unapavimentazione stradale romana in tutta la sualunghezza di 180 km da Claterna ad Arezzo.Neppure in occasione di scavi effettuati neisecoli scorsi ed in età moderna per la costru-zione di qualsiasi tipo di opera (edifici, strade,gallerie, fognature, acquedotti etc.) sono statirinvenuti casualmente resti di questa strada né“basolata” né “glareata”. Lo stesso Alfieriavverte la mancanza di testimonianze archeolo-giche ed esprime le conseguenti difficoltà nellaricerca del percorso seguito da Flaminio:“D’altra parte una indagine specifica sullaintera strada (lunga non meno di km 180) nonsembra ancora possibile senza disporre di unaaggiornata carta archeologica, che non solocomprenda il vasto territorio interessato, masoprattutto puntualizzi i ritrovamenti nel setto-re montano”1.

Dopo di lui Catarsi – Dall’Aglio hanno affron-tato la stessa ricerca e si sono posti l’obiettivoimportante di trovare concrete sopravvivenzedel tracciato romano, ma senza risultati: hannoinfatti individuato qua e là laterizi di epocaromana, che testimoniano soltanto la presenzadi insediamenti rustici2. Si tratta di frammentidi embrici e mattoni, “probabili” avanzi di un

edificio rustico; ed ancora resti di “probabili”insediamenti rurali di età romana. Peraltro dal“Catalogo della Mostra Monterenzio e la valledell’Idice” del 19833, nel contributo alla CartaArcheologica (foglio 87-88-98), sono elencatimolti siti con reperti di età romana (embrici,mattoni manubriati, laterizi etc…) che testimo-niano un popolamento sparso anche sul crinaletra Idice e Sillaro e luoghi adiacenti. Tuttavia,nonostante capillari ricognizioni di superficie erecupero di notizie locali, non sono stati trova-ti concreti indizi di pavimentazione basolata oglareata romana; né può avere un valore indi-ziario la individuazione di un breve tratto diuna antica strada in località Scaruglio, 1 chilo-metro a sud di Monterenzio Vecchio (scheda n°81, pag. 398). Ben poca cosa, quindi, per dimo-strare il passaggio da quei luoghi di una stradaconsolare romana!Anche un altro appartenente alla scuola diAlfieri ha ricordato il rinvenimento di lateriziromani ed, illustrando in particolare una presun-ta “deviazione” della Flaminia Minore, porta aconforto della sua ipotesi il percorso di unamulattiera ove in alcuni tratti ha riconosciuto unpiano stradale al quale attribuisce (anche se inmodo dubitativo) una ascendenza romana4.Invece, a ben guardare, dalla fotografia che hapubblicato, si vede chiaramente che non è unbasolato “costruito”, ma un semplice livella-mento di affioramenti naturali di arenaria, coin-cidenti con il tracciato della mulattiera e sapien-temente utilizzati per ottenere una pavimenta-zione solida e duratura. Anche l’Uggeri, che hafatto ricerche della Flaminia Minore sul versan-

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(1) N. ALFIERI 1975-76, pag. 55. Sottolineiamo l’importanza attribuita da Alfieri ad auspicati ritrovamenti nel “set-tore montano”, cosa che si è avverata con le nostre scoperte al passo della Futa.

(2) MANUELA CATARSI – PIER LUIGI DALL’AGLIO: Ancora sulla via Flaminia “Minore”, in “Attidell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. Classe Scienze Morali, Rendiconti” LXVII, 1978-79, pagg.156, 158. Oggi Pier Luigi Dall’Aglio è Professore associato confermato e docente di Topografia Antica presso ilDipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna.

(3) MONTERENZIO E LA VALLE DELL’IDICE. ARCHEOLOGIA E STORIA DI UN TERRITORIO: Catalogo dellaMostra a cura di D. Vitali, Monterenzio 1983, Edizioni Grafis, Casalecchio di Reno (Bologna) 1983.

(4) ANTONIO GOTTARELLI: Toponimi di origine miliaria lungo la via Flaminia Minore, in “Atti e Memorie dellaDeputazione di Storia Patria per le provincie di Romagna” n.s. XXXVI, 1986, pag. 122. Oggi Antonio Gottarelli èRicercatore confermato presso il Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna e Direttore del centroT.E.M.P.L.A. (Tecnologie Multimediali per l’Archeologia) istituito presso lo stesso Dipartimento; è inoltre Direttoredel Museo Civico Archeologico “L. Fantini” di Monterenzio ove sono raccolti reperti etruschi e celtici trovati aMonte Bibele (Comune di Monterenzio).

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te toscano, lamenta la mancanza di testimonian-ze archeologiche: “Dobbiamo pensare che peruna strada così antica i manufatti superstiti nonpossono essere numerosi e tantomeno appari-scenti. In questo senso un limite alle nostrericerche è rappresentato per ora dalla mancan-za di un’edizione accurata ed aggiornata dellacarta archeologica, assai lacunosa e bisognosadi revisione soprattutto nel settore montano,generalmente ancora poco conosciuto ...5”(vedasi anche nota 1). La necessità di provearcheologiche è ancora sottolineata dall’ Uggerinelle sue conclusioni: “un ulteriore sviluppodella ricerca potrà essere raggiunto focalizzan-do l’attenzione su nuovi dati, che specialmentei ritrovamenti archeologici non mancheranno difornire, a precisazione di un tracciato topogra-fico tante volte e per troppe ragioni alteratosinel corso di oltre due millenni.6”

PARAGRAFO SECONDO:Tito Livio ricorda che CaioFlaminio ha costruito la stradapartendo da Bologna e non daClaterna

Negli scritti dei sostenitori del tracciato dellaFlaminia Minore emerge subito una contraddi-zione storica della quale non danno alcuna giu-stificazione. Essi infatti sostengono che il con-sole C. Flaminio avrebbe iniziato la costruzionedella strada partendo da Claterna, (oggi località

denominata Maggio) posta a 15 km da Bolognasulla via Emilia in direzione Rimini. Nel ricor-dare la costruzione di questa strada Tito Livioinvece precisa testualmente: “ne in otio militemhaberet, viam a Bononia perduxit Arretium”7.Lo storico indica dunque come capolinea dipartenza “Bologna” e come punto di arrivo“Arezzo” senza specificare altre località inter-medie o deviazioni. Dopo Livio nessuno ha piùricordato questa strada e tanto meno ha descrit-to il suo percorso.Non si capisce dunque per quali motivi, secon-do il parere di Alfieri, si dovrebbe ritenere ine-satto il racconto dello storico romano, tanto daaffermare, dopo 2000 anni, che per Bononia sidebba intendere l’area bolognese, comprenden-te anche una località distante 15 km, ed addi-rittura fuori dalla direttrice di Arezzo. Siamodel parere che Livio abbia nominato Bononiaintendendo riferirsi proprio al suo centro urba-no e non alla sua provincia. Livio infatti scri-veva alla fine del I sec. a.C.8, quando indubbia-mente questa strada era nota, ancora conserva-ta ed utilizzata non per scopi esclusivamentemilitari, come al momento della sua costruzio-ne, ma anche per il transito commerciale leg-gero ai fini di un veloce collegamento con laToscana. Sempre in quel periodo, inoltre esi-steva anche Claterna, come esisteva ed eramolto importante la via Emilia9, sulla quale sisviluppavano tutti i traffici che provenivano daRoma lungo la via Flaminia10 fino a Rimini e sidirigevano al nord Italia.È noto che Claterna nel I secolo a.C. eradiventata una città, tanto da equivalere forsea Bologna.

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(5) G. UGGERI: La via Flaminia “ Minor” in Etruria, in Studi di antichità in onore di Guglielmo Maetzke, Roma 1984,pag. 583. Gli auspicati rinvenimenti “nel settore montano” sono poi sopravvenuti con le nostre ricerche al passodella Futa.

(6) G. UGGERI 1984, pag. 593.(7) T. LIVIO: libro XXXIX, par. 2° - 2° cpv.(8) Tito Livio nacque nel 59 a.C. a Padova dove morì nel 17 d.C.. Iniziò a scrivere la “Storia di Roma” nel 27 a.C. pro-

seguendola fino alla morte.(9) Ricordiamo che la costruzione della via Emilia venne iniziata da Piacenza per arrivare fino a Rimini, ad opera del

console Marco Emilio Lepido proprio nel 187 a.C., contemporaneamente alla costruzione della Bologna-Arezzo adopera dell’altro console in carica C. Flaminio, al termine della campagna militare contro i Liguri e dopo aver paci-ficato la fascia appenninica tosco-emiliana in corrispondenza dell’asse Bologna-Fiesole.

(10) Ci riferiamo alla strada costruita da Roma a Rimini nel 220 a.C. dal censore Gaio Flaminio, padre del console CaioFlaminio, costruttore della Bologna-Arezzo.

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Se ne trova conferma in uno scritto di Ciceroneche Ottavio Mazzoni Toselli riporta nella suadissertazione. “… Era fin dai remotissimitempi al nostro oriente Claterna; dieci migliala separavano da Bologna, ed il fiume Idice nedivideva i due territori. Che essa vi fosse efosse antica non è da porsi in dubbio. Non fare-mo alcun conto dell’autorità di Livio, poichéaccennando sotto l’anno 541 [ cioè 212 a.C.]l’espugnazione del castello Cliterno non si puòaccertare se egli parlasse di questa. Solo ciappiglieremo all’autorità di Cicerone il qualeci fa conoscere con la epistola 5 del Lib. 12scritta a Cassio, che a Claterna doveva esserecapace di svernare un esercito consolare afronte di un nemico, poiché l’inverno, invitandoi militari al riposo, Antonio svernava i suoieserciti in Bologna, Hirzio in Claterna eCesare in Imola (magno praesidio Bononiamtenebat Antonius. Erat autem Claternae nosterHirtius, ad Forum Cornelium Caesar).”11.Poiché Livio era nato a Padova, si presupponeche conoscesse bene l’Italia settentrionale. Sela strada in discussione fosse partita effettiva-mente da Claterna, citando Bologna lo scritto-re avrebbe commesso una banale inesattezzafacilmente riconoscibile dai suoi contempora-nei, rischiando quindi di perdere credibilità sututta la sua “Storia di Roma”. È come se oggiun cronista scrivesse che l’autostrada Parma-La Spezia parte da Milano, dato che quest’ulti-ma città è molto più importante della cittadinaemiliana!Alcuni nostri critici però potrebbero obiettareche nel 187 a.C. Claterna o non esisteva od eraun piccolo insediamento, tanto da non meritarela citazione del famoso storico romano. Questaeccezione avrebbe un suo parziale fondamentosoltanto se Livio fosse vissuto ed avesse scritto150 anni prima, cioè quando Claterna potevaessere meno nota di Bononia. Solo in tal casosi sarebbe potuto supporre che avesse fatto rife-rimento alla città già esistente al più vicino

punto d’innesto con la via Emilia, cioè aBologna. Livio scriveva invece alla fine del Isec. a.C. , quindi quest’ipotesi non vale per unostorico che viveva e scriveva nello stessomomento in cui Claterna era una città grande efiorente come Bologna12. Anche ammettendola fondazione di Claterna dopo il 187 a.C.,Livio avrebbe scritto che il console Flaminioaveva tracciato una strada fino ad Arezzo par-tendo dalla via Emilia, in corrispondenza delluogo ove alla sua epoca c’era Claterna. Un’altra considerazione si deve fare con rife-rimento alla organizzazione del lavoro dicostruzione delle due strade da parte dei dueconsoli, che avvalora la partenza da Bolognadella strada costruita da C. Flaminio. Livioinfatti precisa che M. Emilio Lepido hacostruito la sua strada partendo da Piacenza(… a Placentia … Ariminum perduxit), impie-gando verosimilmente non pochi anni percompletarla fino a Rimini. Quindi anche il tratto Bologna-Claterna facevaparte di quella importante opera stradale affi-data a M. Emilio Lepido, tratto che avrà realiz-zato verosimilmente alcuni anni dopo il 187a.C.. Se C. Flaminio nel 187 a.C. avesse ini-ziato da Claterna la transappenninica, avrebbedovuto costruire anche il collegamentoBologna-Claterna, che invece era di competen-za di M. Emilio Lepido ancora impegnato nellostesso anno a costruire la via Emilia in territo-rio piacentino. Ma questa ipotesi non è attendi-bile, a meno che M. Emilio Lepido non abbiadistaccato un contingente di suoi legionari erelativi operai per costruire subito la trattaBologna-Claterna ad uso ed utilità di C.Flaminio. Congetture queste del tutto gratuiteche si è costretti a fare soltanto se si vuolesostenere la partenza della strada transappenni-nica da Claterna. Se si accetta invece il precisoracconto di Livio, le opere realizzate dai dueConsoli non si erano sovrapposte essendo statoaffidato a ciascuno un tracciato separato.

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(11) OTTAVIO MAZZONI TOSELLI: Delle antiche strade militari che dai Romani si praticavano nel territorio bolo-gnese pubblicata a Bologna nel 1826 dalla stamperia Cardinali e Frulli, pag. 42.

(12) Il destino di Claterna ha seguito poi quello di Bologna, se è vero che nel 387 d.C. il Vescovo Ambrogio di Milanofece un triste elenco di “cadaveri” di città semidiroccate: Claterna, Bologna, Modena, Reggio, Brescello e Piacenzatutte comprese nella Provincia “Liguria-Aemilia”.

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Crediamo quindi che mettere in dubbio la noti-zia dello storico romano, dando su di essa unaimmotivata interpretazione estensiva, servasolo a giustificare la tesi di quanti voglionoancora sostenere l’itinerario Claterna - passodella Raticosa, cioè la Flaminia Minore.Questi studiosi bolognesi, peraltro, pur rima-nendo fermi in linea di massima nel loro con-vincimento, negli anni più recenti si sonomanifestati incerti sulla individuazione delcapolinea di partenza della strada del consoleromano. Così Alfieri si è espresso a questo pro-posito nel Convegno su “La viabilità traBologna e Firenze nel tempo”: “Diverse perciòsono state le ipotesi avanzate sul sito di inseri-mento della via Flaminia nella via Emilia. Essesi distribuiscono in un tratto di km 20, tra lelocalità di Marazzo (un km ad ovest di CastelS. Pietro) e Bologna”13

Anche il Gottarelli, formulando l’ipotesi diuna “deviazione” trasversale della FlaminiaMinore da Monterenzio Vecchio a Bologna,rivela la consapevolezza che il vero capolineadi partenza era Bologna. Egli quindi nellostesso tempo ha dovuto proporre una devia-zione per non disattendere il percorso monta-no sostenuto dall’Alfieri e dal Dall’Agliosulla dorsale tra Idice e Sillaro.Recentemente Marco Destro, facendosi inter-prete dei nuovi orientamenti, condivide lo spo-stamento del capolinea da Claterna versoBologna: “… Forse già alla fine dell’età repub-blicana il tronco originario della strada roma-na che puntava su Claterna doveva aver persoalmeno in parte la sua importanza a favore diun percorso più occidentale che … permettevadi allacciarsi alla via Emilia più vicino aBologna, presso l’attraversamento dello stessoIdice nella località omonima ...”14. Su questalinea di pensiero si è poi espresso anche P.L.Dall’Aglio il quale, in un articolo pubblicatonel 2008 scrive: “… Basandoci quindi sulla

funzione e natura di “Bononia” e sugli obietti-vi connessi con la costruzione della strada latraduzione più convincente del “a Bononia”liviano sembra essere la seconda, vale a direche la strada di Flaminio partisse direttamente“da Bologna”15. Ed ancora ha espresso questasua nuova convinzione in un altro saggio pub-blicato nel 2011: “… Ci sembra preferibileintendere per analogia l’indicazione “aBononia” come “da Bologna” e non “ dal ter-ritorio bolognese” e quindi supporre che nel187 a.C. la via Flaminia minore partisse diret-tamente dalla città con un tracciato oggisostanzialmente ricalcato da via SantoStefano…”16.Quindi anche i sostenitori della FlaminiaMinore hanno infine riconosciuto la prevalenzadi Bologna su Claterna accettando implicita-mente come preciso il racconto liviano.

PARAGRAFO TERZO:Il tracciato della FlaminiaMinore è incompatibile con iprincipi costruttivi delle stradeconsolari romane

3a – Breve cenno sulla scelta del percorsodelle strade consolari romane

Alla viabilità i Romani hanno dedicato partico-lare attenzione e cura tanto da passare alla sto-ria come i migliori e più grandi costruttori distrade fino all’epoca moderna.I loro meriti hanno trovato espressione, oltreche nella perfezionata abilità tecnica di costru-zione del manufatto, soprattutto nella capacitàdi scelta dell’itinerario migliore per raggiunge-re le mete prefissate.

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(13) N. ALFIERI 1992, pag. 99.(14) MARCO DESTRO: La Flaminia Minore e i collegamenti tra Bologna e Firenze, in La linea e la rete – Formazione

storica del sistema stradale in Emilia Romagna (a cura di P.L. Dall’Aglio e I. Di Cocco), Touring Club Italiano,Milano, 2006, pag. 247 e ss..

(15) P.L. DALL’AGLIO, Un nuovo documento sulla via Flaminia “Minore”, in “Ocnus” 16, 2008, pagg. 123-130.(16) P.L. DALL’AGLIO- C. FRANCESCHELLI, La viabilità del territorio bolognese nelle carte del secolo XI, in

Bologna e il secolo XI. Storia, cultura, economia, istituzioni, diritto, Bologna 2011, pagg. 452-453.

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Nel decidere il tracciato stradale non tenevanoconto soltanto della brevità e della comodità,ma anche della geografia e della geologia delterritorio da attraversare. Specialmente se lastrada doveva assolvere a scopi strategico-militari tendevano a scegliere percorsi su ter-reni stabili, tali da garantire che il manufattonon subisse interruzioni per frane, o comun-que non comportasse l’impegno di una onero-sa manutenzione.Se la strada doveva valicare colline o monta-gne, prediligevano percorsi di cresta per moti-vi di sicurezza ed, a maggior ragione, cercava-no di evitare terreni instabili come le argillescagliose ed i calanchi. Se poi parte del per-corso doveva necessariamente attraversarevalli o pianure, tendevano ad evitare le zonepaludose e l’attraversamento dei fiumi; leprime per le difficoltà tecniche di costruzionedel tracciato stradale e per la continua manu-tenzione che esso richiedeva; i secondi nonsoltanto per l’ovvia necessità di edificareponti, ma soprattutto per i rischi di improvvi-se interruzioni dovute a cause naturali, meteo-rologiche o ad opera del nemico.Le strade militari, cioè, venivano costruite conil duplice scopo di dominare il territorio con-quistato e di arrivare velocemente là dove eraurgente la presenza delle legioni. Non potevanoquindi rischiare di giungere in ritardo a desti-nazione per interruzioni della strada dovute afrane ed a crolli di ponti. Non disdegnavanoinfine di utilizzare piste o strade già esistenti,se esse avevano i requisiti tecnici, geografici egeologici sopra descritti limitandosi, in questicasi, a fare piccole rettifiche del tracciato ed aposare, ove necessario, una solida pavimenta-zione. Questi principi sono stati indubbiamen-te seguiti anche dal console Caio Flaminio nelmomento in cui, debellate le popolazioni liguridall’Appennino tosco-emiliano, ha avuto l’in-carico di costruire una strada da Bologna ad

Arezzo. Non v’è dubbio che questa strada aves-se scopo strategico-militare: cioè il precisoobiettivo di mantenere il dominio di quellafascia appenninica appena pacificata17 e di col-legare velocemente Arretium con la giovanecolonia latina di Bononia, fondata soltanto dueanni prima.Le legioni romane, cui venne affidato il compi-to della costruzione di questa strada18, benconoscevano il territorio montano per avercombattuto palmo a palmo contro le tribù ligu-ri poche settimane prima, ed hanno senza dub-bio scelto un tracciato che rispettasse i canonielementari della brevità, comodità, sicurezza estabilità, tutti requisiti inesistenti sul tracciatodella Flaminia Minore.

3b – Il tracciato della Flaminia Minore per-corre una dorsale particolarmente instabileed attraversa inutilmente alcuni corsi d’acqua

Seguiamo ora l’ipotetico percorso dellaFlaminia Minore per verificare se è attendibileche le legioni romane abbiano scelto quel trac-ciato in relazione alla geologia della dorsale edalla presenza di corsi d’acqua da attraversare.Partendo da Bologna, la Flaminia Minore, diri-gendosi verso est, doveva subito valicare il tor-rente Savena e, dopo pochi chilometri, il fiumeIdice. Ci si rende conto quindi che i problemitecnici e di sicurezza non mancavano fin dall’i-nizio del suo percorso.Dopo 15 km circa arrivava a Claterna nell’at-tuale località denominata Maggio. Questa loca-lità era a quel tempo, ed anche molti secolidopo, circondata da paludi, così come siapprende da Ottavio Mazzoni Toselli: “Oltreessere poi Claterna, per se stessa un fortebaluardo e per chi la possedeva e per coloroche l’avevano alleata era poi attorniata damolte selve e paludi ...”19. Prosegue poi:

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(17) Non bisogna infatti dimenticare che con la vittoriosa campagna militare condotta dai due consoli C. Flaminio eMarco Emilio Lepido nel 187 a.C. venne pacificata soltanto una fascia dell’Appennino tosco-emiliano compresofra il faentino ed il modenese. La fascia appenninica a nord-ovest del Frignano, fino a tutta l’attuale Liguria, videancora per oltre 15 anni le legioni romane impegnate contro le popolazioni liguri.

(18) T. LIVIO: libro XXXIX, par. 2: “Ne in otio militem haberet viam a Bononia perduxit Arretium”.(19) O. MAZZONI TOSELLI 1826, pagg. 44 e 45.

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“Ognuno sa essere Gaiana nelle vicinanze diClaterna e perciò si può ben credere che niunConsole senza aver prima soggiogato i Boi oavuto in suo potere la capitale pensasse acostruire una strada militare fra selve e paludi eattorniata dai nemici i quali se non sconfitti, odinsidiosi potevano offrire un libero passaggio.”20.Si deve quindi dedurre che la strada dovevaaffrontare problemi costruttivi non indifferentigià nei pressi di Claterna. Da questo luogo iltracciato cambiava direzione puntando versosud, cioè verso la catena appenninica e siimmetteva sul crinale che fa da spartiacque tral’Idice ed il Sillaro e che termina al passo dellaRaticosa. Trattasi di una dorsale particolarmen-te tormentata dalla presenza costante di calan-chi ed argille scagliose, che non danno alcunaffidamento per la stabilità di un tracciato stra-dale, anche se vengono costruiti muri di soste-gno, sottofondi con massicciata e robusti baso-lati. Le frane e gli smottamenti, che sono pro-vocati anche da un semplice temporale, creano

improvvise interruzioni di qualunque strada,mulattiera o sentiero.Questa situazione, esistente tutt’oggi, può esse-re facilmente verificata percorrendo questo iti-nerario, con l’augurio di non essere sorpresidalla pioggia perché, altrimenti, la prosecuzio-ne del viaggio diventerebbe problematica. Di tale precarietà sono stati testimoni molti sto-rici. Il Calindri, per esempio, parlando dellaparrocchia dei Casoni di Romagna (che si trovanei pressi del crinale) dice testualmente: “Ésituata sulla vetta di una giogaia di Montedetto la Serra De’ Casoni presso i confini dellaToscana e più dappresso a quelli delMarchesato di Tossignano. La chiesa e le casecorrispondono alla miseria ed all’asprezza delluogo; il clima ventosissimo, il terreno cretoso,ocraceo e galestrino”21.Circa cento anni dopo, esattamente nel volume“L’Appennino Bolognese” Descrizioni edItinerari, pubblicato nel 1881 a cura del CAI diBologna, il Bombicci si sofferma a descriverel’oro-idrografia e la geologia dei crinali chefanno da cornice all’Idice ed al Sillaro: “DaMonte Armato si susseguono con ondulazioniassai dolci i poggi di Monte Bugnolo, diSettefonti, di Ciagnano, di Ozzano di Sopra, diCastel dei Britti, con fianchi peraltro frequen-temente squarciati, resi lavinosi, tormentatissi-mi ed impraticabili nel pendio dalle argillescagliose”. Prosegue poi descrivendo l’area deltorrente Quaderna: “Basta notare che circa lametà dell’area di questo bacino è occupatadalle argille scagliose per immaginarne il pre-valente aspetto. I soliti calanchi lungo gli alveidei torrentelli , la inerente orridezza nelle tintee nei dirupi frastagliatissimi, dispongono l’e-scursionista alle impressioni che il più vasto e

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(20) Il Mazzoni Toselli si riferisce alle campagne di conquista romana del territorio dei Boi che hanno preceduto di alcu-ni anni la campagna del 187 a.C. contro i Liguri. La strada militare a cui allude quindi non è quella costruita da C.Flaminio. La sua annotazione è comunque rilevante perché conferma l’estrema pericolosità della zona attorno aClaterna, per la presenza di selve e paludi, indubbiamente esistenti anche pochi anni dopo, quando Flaminio avreb-be tracciato la strada. Che le paludi e le selve esistessero in quella zona anche molti secoli dopo, lo conferma, sem-pre nelle stesse pagine, riportando un brano del Ghirardacci, il quale riferisce sotto l’anno 1123 che “ … moltiClaternati andarono ad abitare Faenza, Rimini, Bologna, ecc. e se pure alcune famiglie vi restarono, poco tempovi stettero; perché, oltre alle ruine occorse a quelle città, anco per l’aere pessimo che cagionavano le acque mortedalle quali era circondato, furono forzati d’indi partirsi”.

(21) S. CALINDRI: Dizionario corografico, georgico, orittologico, storico ec.ec.ec della Italia, II, Bologna 1781, pag.167 e ss..

Foto n° 116Le argille scagliose provocano i tipici “calanchi” chesi incontrano numerosi lungo il tracciato dellaFlaminia Minore sul versante emiliano.

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consimile campo di studi potrà ricevere dallacontigua regione dal Sillaro al Santerno“22.Descrivendo il carattere oro-idrografico domi-nante del bacino del Sillaro ed in particolare icontrafforti che, scendendo, s’allineano lungoil corso del fiume, aggiunge: “... e vedremo iloro fianchi solcati da profondi borri; intaglia-ti da ripidissimi e dentellati calanchi, bene espesso franati a picco e corrosi dalle acque chevi scorrono in ruscelli e torrenti”23.Ed ancora, altri cento anni dopo, l’Alfieri rico-nosce apertamente l’instabilità di quel territo-rio: “Nel caso particolare il tronco finoraaccertato ha il carattere di strada di crinale,vale a dire presenta la soluzione tecnica otti-male sul terreno particolarmente franoso”.Egli poi prosegue: “dopo Monterenzio e i mo-desti speroni che scendono al Sillaro odall’Idice, il contrafforte si ramifica, sicché ogniulteriore intuizione non va al di là di ipotesi dilavoro, anche perché i calanchi hanno modifi-cato notevolmente il paesaggio”24. Poi puntua-lizza ulteriormente la particolare instabilità delterreno: “Infine è importante tenere presente lafacile erodibilità dei terreni dell’Appennino esoprattutto del Subappennino emiliano dove lemarne e le argille scagliose danno luogo a

smottamenti e calanchi tanto che si ha qui unadelle plaghe italiane tipicamente franose”25.Questa precaria situazione è ben presente aDall’Aglio: “... il confine occidentale divienenecessariamente la “strada Flamigna” e que-sta – in dipendenza della natura franosa delterreno – va posta lungo il crinale spartiacquefra Idice e Sillaro”26.

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(22) L’APPENNINO BOLOGNESE. Descrizione e itinerari, Tipografia Fava e Garagnani, Bologna 1881, pagg. 658, 683.(23) L’APPENNINO BOLOGNESE 1881, pag. 697.(24) N. ALFIERI 1975-76, pagg. 66 e 67.(25) N. ALFIERI 1975-76, pag. 57.(26) CATARSI - DALL’AGLIO 1978-79, pag. 164.

Foto n° 117Il tracciato della Flaminia Minore a sud di RoncoBritti si snoda sinuoso sopra instabili argillescagliose.

Foto n° 118Un altro scorcio della Flaminia Minore a sud diMonterenzio Vecchia. E’ una ipotesi del tutto teme-raria pensare che C. Flaminio abbia costruito lastrada consolare su questo crinale.

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Anche la Foschi, a proposito del Monasterocamaldolese di S. Cristina di Settefonti, ricor-da che si trova: “in una zona del Bolognesenon particolarmente nota o ricca, ma anzisu un crinale inospitale, argilloso e quindifranoso…”27.Ad ulteriore dimostrazione della instabilità diquella dorsale, merita ricordare un documentodel 1682, ritrovato dalla Foschi, nel quale siordina alle comunità locali la costruzione diuna nuova strada lungo la valle del torrenteQuaderna fino a Bisano per potere trasportarela legna proveniente dalla località “La Selva”.Queste sono le parole della Foschi: “La stradadeve venire costruita per permettere il traspor-to in città del legno ricavabile dalla foresta enon deve essere impedita da calanchi o da altrimali passi in modo da poter essere facilmentetransitabile da persone e carri. ... La notiziariportata, oltre ad attestare nuovamente iltoponimo, fornisce un dato importante sull’im-praticabilità della Flaminia “minore” a causadella franosità del terreno, tanto da renderenecessaria la costruzione di una nuova stradanel fondovalle Quaderna.”28. Dunque se nelXVII secolo si è deciso di costruire una stradanel fondo valle del Quaderna e dell’Idice,escludendo la dorsale, per effettuare trasportilocali di legna, si può ben ritenere che anche C.Flaminio non abbia utilizzato quella dorsalefranosa ed instabile per costruire una importan-te strada militare transappenninica. I Romaninon potevano certamente rischiare di doverefermarsi e tornare indietro perché ai Casoni diRomagna, per ipotesi, una improvvisa franaaveva interrotto la strada.I sostenitori della Flaminia Minore, però, nonhanno tenuto conto di queste ovvie considera-zioni, che da sole sarebbero sufficienti per

escludere quel tracciato, ed hanno ipotizzato lasua prosecuzione nel versante toscano attraver-sando ancora luoghi che mai i Romani avreb-bero percorso.Infatti una volta superato il primo valicoappenninico al passo della Raticosa29 si devenecessariamente scendere a Firenzuola nellaampia depressione della valle del fiume Santerno, che è posta in posizione ortogonale rispettoalla direttrice nord-sud che si deve seguire perraggiungere il Mugello. In questo punto il fon-dovalle del Santerno è abbastanza ampio e pia-neggiante, cosicché quel fiume, anche se pocodistante dalla sorgente, uscendo facilmente dal-l’alveo naturale con numerose ramificazioni,aveva creato indubbiamente una zona di acquastagnante, tanto da costituire un ostacolo siaper la costruzione di una strada, quanto per lasua sicurezza. Trattasi della così detta piana diFirenzuola, ove appunto oggi esiste la omoni-ma cittadina fondata soltanto nel 1328, unavolta bonificata la zona e regolamentato ilcorso delle acque.Chi sostiene quindi il percorso della FlaminiaMinore, a parte i problemi che derivano dai dis-livelli da superare (trattati nel paragrafoseguente), deve anche considerare il problemadell’attraversamento di questo fondovalle e delSanterno, il quale, avendo natura torrentizia,poteva costituire un ostacolo insuperabile inoccasione di piogge o temporali. Era cioè indi-spensabile la bonifica della valle e la costru-zione di un ponte, che comportava il rischio diinterruzione o di imboscate, costituendo essoun punto di passaggio obbligato per valicare lacatena appenninica. Del resto, per evitare tuttiquesti ostacoli, non ci sarebbe stata altra alter-nativa, dopo il passo della Raticosa, che prose-guire verso il passo della Futa, seguendo più o

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(27) PAOLA FOSCHI: Flaminia Minore e via dello Stale, due strade fra Bologna e la Toscana, in “il Carrobbio” XIV,1988, pag. 166. Paola Foschi, laureata in Lettere moderne all’Università di Bologna con una tesi sull’insedia-mento altomedioevale nel territorio bolognese, ha poi continuato a studiare soprattutto l’insediamento, il paesaggioagrario e la viabilità medievale del territorio bolognese. Presso il Comune di Bologna ha svolto, dal 1985 al 2005,all’interno dell’Unità Organizzativa Studi e Interventi Storico Monumentali, ricerche storiche su edifici comunalisoggetti a restauro. Attualmente svolge la sua attività presso la sezione Manoscritti e rari della Biblioteca Comunaledell’Archiginnasio.

(28) P. FOSCHI 1988, pagg. 163-164.(29) Od in alternativa, con poca differenza, al Sasso di S. Zenobi con direzione Cà Buraccia ed il Peglio, si giunge sul

fiume Santerno, poco a valle di Firenzuola.

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meno l’odierna Statale n° 65; si doveva, però,transitare sotto il Monte Beni ed il Sasso diCastro (vedasi foto 91 a pag. 145), due vetterocciose che sovrastano a picco il percorso eche potevano costituire il luogo ideale perarroccamenti ed imboscate da parte dei super-stiti Liguri da poco battuti e dispersi in quellafascia appenninica. Percorso quindi non idealeper una strada di interesse prettamente militare.Oltre a questi potenziali pericoli, non avrebbeavuto senso, partendo da Bologna, arrivare alpasso della Futa attraverso il passo dellaRaticosa, essendo ben più comodo e velocearrivarci percorrendo il crinale diretto daBologna sul tracciato della Flaminia Militarecon un minore percorso di 27 km30. Per di piùsu questo crinale nel settore da Pieve del Pinoa Pian di Balestra la geologia presenta affiora-menti di calcare e fino al passo della Futaaffioramenti di arenaria stratificata (c.d.“Macigno di Monghidoro”) che offrono unfondo solido in qualsiasi condizioni di tempo,particolarmente adatto per prelevare materialeper la costruzione di una strada.Continuando a seguire l’ipotetico tracciatodella Flaminia Minore, dopo l’attraversamentodel Santerno, si deve risalire il versante oppo-sto fino al passo del Giogo per ridiscenderefino a Scarperia e raggiungere S. Piero a Sieve,Borgo S. Lorenzo e Dicomano per poi puntareverso il Casentino.Gli elementi negativi finora evidenziati sonopiù che sufficienti per escludere ragionevolmente questo tracciato. Ad essi si aggiunge unaltro importante aspetto negativo consistente inmaggiori dislivelli e in una sua maggiore lun-ghezza rispetto al percorso che si può seguiresulla dorsale fra Savena e Setta-Sambro.

3c – Maggiori dislivelli e maggiore lunghezzadella Flaminia Minore per valicare l’Appennino

Abbiamo voluto mettere a confronto i due per-corsi transappenninici per verificare l’altimetriae la lunghezza di ciascuno. Partendo da Bolognaabbiamo preso a riferimento due località che sitrovano nel Mugello ai piedi dell’Appennino,ambedue sul fiume Sieve: Borgo S. Lorenzo edil ponte di Colombaiotto in località Bilancino; ilprimo sul tracciato ipotetico della FlaminiaMinore diretta ad Arezzo attraverso il Casentino,ed il secondo pochi chilometri più ad occidentesul percorso della Flaminia Militare diretta adArezzo passando da Fiesole.Dai grafici altimetrici si possono trarre iseguenti risultati:A. percorso della Flaminia Minore sulla dor-

sale fra Idice e Sillaro:dislivello complessivo m 3626; lunghezza km 86,5.

B. percorso della Flaminia Militare sulla dor-sale fra Savena e Setta-Sambro: dislivello complessivo m 2534; lunghezza km 72.

Il tracciato della Flaminia Minore comportaun dislivello maggiore di m 1092 ed una mag-giore lunghezza di km 14,5.Concludendo possiamo così riassumere gliaspetti negativi del tracciato della FlaminiaMinore rispetto alla Flaminia Militare:– era necessario attraversare tre corsi d’acqua:

il torrente Savena, il fiume Idice e il fiumeSanterno che si sarebbero evitati percorren-do l’altra dorsale;

– si dovevano percorrere 35 - 40 km su un cri-nale particolarmente instabile per la presen-za di argille scagliose e calanchi;

– si dovevano superare dislivelli superiori(+1092 m) e percorrere maggiori chilometri(+14,5).

È evidente quindi che oggi, come nel 187 a.C.,nessun assennato progettista di strade avrebbescelto il percorso della “Flaminia Minore”.

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(30) Infatti, per giungere alla Futa da Bologna seguendo la dorsale Savena/Setta-Sambro si evitano i 15 km da Bolognaa Claterna ed i 12 km dalla Raticosa alla Futa.

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Altimetria della ipotetica Flaminia Minore per valicare la catena appenninica da Bologna fino a Borgo S. Lorenzo sul fiume Sieve.

Altimetria della Flaminia Militare per valicare la catena appenninica da Bologna fi no al Ponte di Colombaiotto sul fi ume Sieve (località Bilancino).

FLAMINIA MINOREDislivello totale metri 3626

FLAMINIA MILITAREDislivello totale metri 2534

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15

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56,5

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Tavola 33

Tavola 32

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PARAGRAFO QUARTO:Il tracciato della FlaminiaMinore passa lontano da Fiesole

Data l’importanza che ha avuto la Fiesole etru-sca e romana non si può pensare che C.Flaminio abbia costruito la Bologna-Arezzosenza passare da questa città. Già prima del IIsec. a.C. essa era collegata con Arezzo da quel-la strada che successivamente venne chiamata“Cassia Vetus” e che percorreva la spondadestra dell’Arno in posizione pedemontanarispetto al Pratomagno. Fiesole poi era collega-ta anche con Felsina e costituiva il punto di arri-vo dei traffici provenienti dall’Etruria meridio-nale e centrale e, contemporaneamente, il capo-linea di partenza della strada transappenninicadiretta nell’Etruria padana (vedasi cap. III).Era quindi un caposaldo fondamentale a presi-dio non soltanto dei traffici commerciali trans-appenninici, ma anche a difesa dai nemici pro-venienti dal nord. Già abbiamo commentato ilracconto di Polibio31 quando ricorda la città diFiesole proprio in occasione della invasionedell’Etruria da parte di un esercito di Celti nel225 a.C.. È molto probabile che la strada, dallaquale erano calati in Etruria, passasse proprioda Fiesole e quindi, che abbiano utilizzato lastrada transappenninica che raggiungeva Fieso-le da Felsina tramite il valico della Futa.Altrettanto percorribile doveva essere la stradache da Fiesole portava ad Arezzo ed oltre, finoa Chiusi in quanto Polibio ricorda che l’eserci-to dei Celti arrivò fino a Chiusi. “... I Celti,calati in Etruria correvano la campagna deva-standola impunemente, poiché nessuno oppo-neva loro resistenza, infine mossero contro lastessa Roma. Quando furono presso la cittàchiamata Chiusi, a tre giorni di marcia daRoma fu loro annunciato che li seguivano perattaccarli le forze romane di stanza inEtruria....”32.

Dunque se nel 225 a.C. esisteva una stradaetrusca da Felsina a Fiesole che proseguivafino a Chiusi passando da Arezzo, è sicuroche questa strada esisteva anche 38 anni dopoquando, nel 187 a.C., il console Flaminio haricevuto l’incarico di costruire una stradamilitare da “Bononia” ad “Arretium”. Per luinulla di più comodo che seguire questo col-laudato tracciato, limitandosi a rettificarealcuni tratti della strada etrusca ed a pavimen-tarla ove ciò era necessario per esigenze ditransitabilità militare33.Di fronte a questa preesistente viabilità non sipuò quindi pensare che i Romani abbianocostruito una strada su un percorso completa-mente nuovo passando lontano da Fiesoleattraverso il Casentino, come ipotizzano isostenitori del percorso della FlaminiaMinore. Del resto questa nostra opinione èconfortata dagli studi dello Sterpos: “… ilLopes Pegna dice che la strada costeggiava laSieve fino a Dicomano e Londa e di qui passa-va attraverso la Colla di Caspriano nelCasentino dove seguiva il corso dell’Arnodiscendente verso Arezzo. Quando scrissi ilvolume “Bologna-Firenze” credevo anch’io aquesta ipotesi, ma ora non mi sentirei più disottoscriverla perché non tiene in debito contola presenza di Fiesole. … Fiesole, dice il famo-so storico Arnold Toynbee, era il caposaldo diRoma verso le tribù liguri dell’Appennino, e inquesto inizio del II secolo, come si poteva pen-sare di andare da Bologna ad Arezzo trascu-rando il centro più importante che si trovassenella zona, forse l’unico al quale ci si potesseappoggiare? Io sono portato a credere che,una volta entrato in Mugello, Flaminio abbiaguardato a Fiesole”34

Anche l’Uggeri non ha avuto dubbi nel rico-noscere che Flaminio ha collegato Arezzo pas-sando da Fiesole. “Se identifichiamo con iltracciato ora individuato in linea di massimal’antica via Flaminia Minor, è evidente che

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(31) Vedasi cap. III, par. 4° di questo libro.(32) POLIBIO: Storie, libro II, par. 25.(33) Sull’argomento vedasi par. 3a di questo capitolo.(34) D. STERPOS 1981, pag. 4.

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dovremo ammettere che nel primo tratto, ossiada Arezzo fino all’incirca a Fiesole, questadovesse avere percorso comune con la prose-cuzione della via Cassia … Va naturalmenteconsiderato che Firenze non esisteva ancora,almeno come centro urbano, all’epoca dellacostruzione della via Flaminia minor (187a.C.): questa doveva passare originariamenteai piedi di Fiesole e di tutto il sistema collina-re affacciato sulla destra dell’Arno”35.Infatti lo stesso studioso considera poi pacifi-camente riconosciuto che la strada di Flaminiocollegava Arezzo a Fiesole, tanto da giudicarenon meritevole di approfondimento le ricerchesu questo tratto. “Non ci soffermiamo in questasede sul tratto viario da Arezzo a Firenze, inquanto comune alla via Cassia, sia nel primi-tivo tracciato pedecollinare in rapporto aFiesole, sia nella variante lungo l’Arno conse-guente alla fondazione di Firenze.”36. E quan-do scrive: “... sia nel primitivo tracciato pede-collinare in rapporto a Fiesole …” è evidenteche si riferisce al percorso della strada di C.Flaminio chiamata successivamente “CassiaVetus”, che correva alla destra dell’Arno aipiedi del Pratomagno e collegava appuntoArezzo con Fiesole. Che la “Cassia Vetus” avesse ripercorso unastrada etrusca è confermato anche da AlvaroTracchi: … [la “Cassia Vetus”] è il ramo piùantico37 della via consolare aperta dai romaninella valle dell’Arno dopo la conquistadell’Etruria, utilizzando in gran parte il vec-chio percorso etrusco che univa Arezzo aFiesole attraverso gli altipiani del versantedestro del fiume, lungo le pendici occidentalidel Pratomagno. Il vecchio tracciato è ancoraoggi in funzione col nome di < strada dei set-teponti>; è però da tenere presente che la

strada attuale corrisponde soltanto per brevitratti a quella etrusco-romana che dovevaessere più a valle e con tracciato più diritto…”38. In conclusione tutte queste testimonian-ze storiche ed opinioni di autorevoli studiosicomprovano che, dopo avere valicato l’Ap-pennino, il console romano non ha percorso ilCasentino, ma ha seguito il Valdarno passan-do da Fiesole.Su questo specifico tema non possiamo omet-tere di ricordare il totale disaccordo delDall’Aglio. Egli infatti in proposito ha scritto:“Il recente ritrovamento di un lastricato inpietra locale nella valle del Savena, ha peròportato alcuni appassionati locali a negarequalsiasi valore ai contributi dell’Alfieri edella sua scuola e a identificare la viaFlaminia “minore”, da loro chiamata “milita-re”, con tale lastricato. Questa nuova ipotesisi basa sostanzialmente sul fatto che la valledel Savena è la più breve per andare daBologna a Firenze e sull’aprioristica e anti-storica convinzione che una strada provenien-te da Arezzo e diretta al nord non potesse pre-scindere da Fiesole. Si tratta di argomentazio-ni prive di qualsiasi valore. Se infatti è vero,come è vero, che la valle del Savena è la viapiù breve fra Bologna e Firenze, non vi è nes-suna prova che nel II sec. a.C. Fiesole rive-stisse una qualche importanza strategico-militare per i Romani…” 39.Negare l’importanza che Fiesole aveva per iRomani nel II secolo a.C. è molto discutibile enon sembra tenere nel debito conto la lorocapacità strategica.Perciò, siamo indotti a pensare che le sue paro-le abbiano l’unico scopo di privilegiare il per-corso attraverso il Casentino, appunto negandol’importanza di Fiesole.

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(35) G. UGGERI: La via Flaminia “ Minor” in Etruria, in Studi di antichità in onore di Guglielmo Maetzke, Roma 1984,pag. 586.

(36) G. UGGERI 1984, pag. 587.(37) Il ramo più antico non può essere che quello costruito da C. Flaminio.(38) A. TRACCHI 1978, pag. 127.(39) P.L. DALL’AGLIO: La viabilità romana in Emilia Romagna e nelle Marche settentrionali, in Vie del commercio in

Emilia, Romagna, Marche, Silvana Editoriale, Milano 1990, pag. 43.

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PARAGRAFO QUINTO:La strada costruita da CaioFlaminio non è mai stata chiamata“Flaminia” dalla storiografialatina né in epoca repubblicana néin epoca imperiale

Come già detto, dopo il ricordo di Tito Livio,della strada costruita da C. Flaminio nel 187a.C. non si sono avute più notizie storiche, néper quanto riguarda il nome, né tanto menoper quanto riguarda il suo tracciato. Questoinspiegabile silenzio, protrattosi per oltre2000 anni, ha meravigliato molti studiosi ditopografia antica come, ad esempio, DanieleSterpos: “... chiaro che un console o un cen-sore, pure esercitando il potere per un tempoassai breve, riusciva a fare per una stradaqualcosa che bastava ad assicurargliene lapaternità. E doveva essere l’appalto dei lavo-ri (prerogativa dei censori ed eccezionalmen-te dei consoli) e la scelta del tracciato....Quindi chi aveva per primo disegnato l’anda-mento di una strada ne rimaneva nella tradi-zione legittimamente come il padre.” Poi loSterpos richiama alcuni esempi: “É il casodella via Emilia, creazione, come si è visto, diEmilio Lepido, dell’Appia, creazione di AppioClaudio censore nel 312 a.C. ... e di altri”.Infine sottolinea con un velo di delusione:“Sulla Bologna-Arezzo del 187 a.C. nonabbiamo nessuna altra notizia antica oltrequella di Livio; non ne parlano storici e geo-grafi, non figura negli itinerari romani che cisono rimasti. Alcuni studiosi avanzano anzil’ipotesi della inesistenza di questa strada”40.Lo studioso fiorentino conclude però espri-mendo il suo convincimento che la notizia diLivio sia esatta e cerca di capire perché nonsoltanto il tracciato, ma anche il nome di que-sta strada di Flaminio, non sia stato tramanda-to ai posteri come tutte le altre strade consola-ri. Egli spiega questo silenzio partendo dalla

constatazione che la strada di Flaminio, unavolta giunta ad Arezzo da Bologna, è stataconsiderata dai Romani una prosecuzionedella Cassia. E da ciò trae queste conclusioni:“Questa ipotesi porterebbe a spiegare ancheperché della via Flaminia minore si sianopersi il nome ed il ricordo. Infatti, costruita laCassia fino ad Arezzo [da Roma] e poi avantifino a Pistoia e Luni, la Flaminia per la parteFiesole-Arezzo diventava un settore dellaCassia e per il rimanente un proseguimentodella Cassia verso l’Appennino; in questecondizioni il nome Cassia può avere fagocita-to quello della Flaminia”41.Questa acuta ipotesi trova puntuale confermanel famoso discorso di Cicerone tenuto inSenato il 4 gennaio 43 a.C., ove si discutevadell’opportunità di inviare ambasciatori a trat-tare la pace con Marco Antonio, che si trova-va a Modena. Cicerone si manifestò contrariosoprattutto perché temeva di dovere andare luia capeggiare l’ambasceria. E per evitare taleincarico ha messo in evidenza i pericoli cheavrebbe dovuto affrontare durante il viaggioverso Modena, illustrando i tre possibili itine-rari ed i conseguenti agguati che probabil-mente avrebbe subito.Merita qui riportare alcuni stralci del suo dis-corso che evidenziano la sua famosa eloquen-za e ci forniscono notizie decisive per il nostrostudio sulla viabilità transappenninica allametà del I sec. a.C.: “Più volte abbiamo cerca-to di indurre Antonio alla pace; egli ha prefe-rito la guerra. Ambasciatori gliene abbiamomandati già altre volte; io ero contrario, mal’invio è avvenuto lo stesso, e gli sono staticosì portati i nostri ordini. Non ha obbedito. Èstato diffidato a non assediare Bruto, ad allon-tanarsi da Modena: ha lanciato attacchi piùviolenti. A costui che ha già respinto i nostrimessaggeri di pace vogliamo ora mandarealtri ambasciatori a trattare la pace? ... Che seun accordo si riteneva necessario col sistemabrigantesco di Marco Antonio la personameno indicata per concluderlo doveva essere

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(40) D. STERPOS 1981, pagg. 2 e 3.(41) D. STERPOS 1981, pag. 4.

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proprio la mia”42. Poi, dopo avere indicato imotivi per i quali era inopportuno che propriolui dovesse andare a trattare con MarcoAntonio, passa ad elencare le strade esistentiper raggiungere Modena ed i relativi pericoliche avrebbe dovuto affrontare nel corso delviaggio. “Quando mi sarò avventurato incodesto viaggio, per giunta così lungo, pensa-te che non ci saranno insidie di sorta da teme-re? Tre sono le vie per Modena ...: la Flaminiadalla parte dell’Adriatico, l’Aurelia dallaparte del Tirreno; in mezzo la Cassia… LaCassia attraversa l’Etruria: sappiamo noi, oPansa, in quale località in questo momentoLentone Cesennio sta esercitando la sua auto-rità settemvirale? Certo non sta dalla partenostra, né col corpo, né con l’anima. Se sitrova a casa sua o nei paraggi certo si trova inEtruria, cioè lungo la via che dovrei fare io…”43. Questa autorevole testimonianza cidimostra che all’epoca di Cicerone la stradache da Roma percorreva l’Etruria centraleverso nord era chiamata “Cassia”. Il nome diC. Flaminio quindi non era ricordato neppurenel tratto da Arezzo a Fiesole, la cui costru-zione era da attribuire a Flaminio.Ma ancora più importante è un’ulteriore affer-mazione di Cicerone che, in riferimento sem-pre a questo viaggio diretto a Modena, paventain particolare i pericoli che incontrerebbe attra-versando l’Appennino.“Qui a Roma i pericoli posso prevenirli; mi èfacile guardandomi attorno, vedere donde escoe dove vado, chi c’è a destra e chi a sinistra.Forse che la stessa cosa mi sarà possibile nei

passi dell’Appennino?”44. Quindi la strada cheda Roma arrivava a Modena era chiamata nellaseconda metà del I sec. a.C. Cassia e nonFlaminia. Ed il nome di Cassia è rimasto anco-ra per alcuni secoli per individuare l’asse Roma- Firenze - Bologna. Infatti con assoluta sicu-rezza sappiamo che la strada Roma - Firenze sichiamava via Cassia fino all’inizio del II sec.d.C. e di ciò fornisce testimonianza il miliarioadrianeo del 123 d.C. che ricorda la costruzio-ne della strada diretta da Chiusi a Firenze. Perquanto riguarda il nome di Cassia attribuito altratto appenninico, oltre al già citato discorsodi Cicerone, riteniamo fondata l’osservazionedel Gottarelli il quale ritiene che: “… le primedirettrici della penetrazione romana inAppennino si delineano come sviluppo ed inte-grazione delle primitive viae publicae a Norddi Roma, fra le quali va sicuramente ricono-sciuta la Cassia”45. Il nome “Claudia” al postodi Cassia compare nel III sec. d. C. ricordatonell’”Itinerarium Antonini” ed in alcune fontiepigrafiche non anteriori al II sec. d.C..Sempre in riferimento al tratto appenninicoGottarelli ha sostenuto che nell’VIII secolo lastrada Bologna-Firenze era chiamata Claudia;egli esprime questa sua opinione interpretan-do un atto di donazione dell’VIII sec.46, da noigià ricordato nel par. 5° del capitolo VI inquesto libro.Poi il nome di “Claudia” si è esteso anche al trat-to della via Emilia compreso fra Bologna eParma, cosicché alcuni studiosi hanno ritenutoche in età romana un itinerario transappenninicodoveva giungere a Bologna da sud collegando

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(42) MARCO TULLIO CICERONE: Filippiche XII par. 5, 7: “... Multis rebus a nobis est invitatus ad pacem Antonius:bellum tamen maluit. Missi legati repugnante me, sed tamen missi; delata mandata: non paruit. Denuntiatum estne Brutum obsideret, a Mutina discederet: oppugnavit etiam vehementius. Et ad eum legatos de pace mittemus quipacis nuntios repudiavit?... Quod si habenda cum M. Antoni latrocinio pacis ratio fuit, mea tamen persona ad istampacem conciliandam minime fuit deligenda”.

(43) M. T. CICERONE: op. cit. , XII par. 9: “... quid censetis, cum iter ingressus ero, longum praesertim, nullasne insi-dias extimescendas? Tres viae sunt ad Mutinam .... a supero mari Flaminia, ab infero Aurelia, media Cassia. ...Etruriam discriminat Cassia. Scimusne igitur, Pansa, quibus in locis nunc sit Lentonis Caesenni VII viralis aucto-ritas? Nobiscum nec animo certe est nec corpore. Si autem aut domi est aut non longe a domo, certe in Etruria est,id est in via”.

(44) M. T. CICERONE: op. cit. XII par. 10: “Haec ego in urbe provideo: facilis est circumspectus unde exeam, quo pro-grediar, quid ad dexteram, quid ad sinistram sit. Num idem in Appennini tramitibus facere potero? ”.

(45) A. GOTTARELLI 1988, pag. 101.(46) A. GOTTARELLI 1988, pag. 107.

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l’Emilia tramite la Cassia-Clodia. In conclusio-ne in epoca romana fino al II secolo d.C. l’assestradale Roma – Arezzo - (Fiesole) Firenze –Bologna - Modena veniva chiamato via Cassia;poi dal III secolo è stato chiamato Via Clodia oClaudia. Quindi mai la strada costruita dallelegioni di C. Flaminio tra Bologna ed Arezzoè stata chiamata “Flaminia”.

PARAGRAFO SESTO:I toponimi “Flamengha”“Flaminga” “Fiamminga”“Flamigna” etc. non possonoderivare dalla strada di C. Flaminio perché non è maistata chiamata “Flaminia”

Nereo Alfieri ricorda che lungo la via Flaminiacostruita da G. Flaminio nel 220 a.C. da Romaa Rimini si incontrano toponimi quali“Flamenga”, “Fiamminga”, “Flamenia”,appellativi di evidente derivazione per evolu-zione linguistica dal nome “Flaminia”, attri-buito fin dal tempo della sua costruzione aquella strada. Egli scrive che: “L’esempio piùeloquente si coglie in Umbria dove anche lacartografia moderna registra un borgo“Fiamenga” con la relativa chiesa “Madonnadella Fiamenga” lungo il rettifilo stradale cheda Bevagna conduce poco a Nord di Foligno.

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Tavola 34

Ripartizione amministrativa delle regioni fi no al 215 d.C.

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I due toponimi si trovano sul tratto dell’anticavia Flaminia che univa Mevania (Bevagna) aForum Flaminii (S. Giovanna Profiamma).Ugualmente nelle Marche, ad Ovest diAcqualagna – tra la via Flaminia (antica emoderna) e il Piano della Valeria, dove sorge-va Pitinum Mergens – una contrada porta tut-tora il nome di “La Fiamminga”. Il toponimosta evidentemente ad indicare l’antico traccia-to di un diverticulum che, diramandosi dallavia Flaminia, portava al municipio romano.Altre menzioni di una strada “Flamenia,Flamenga, Flambegna” compaiono nei docu-menti medievali della valle dell’Esino, che eraattraversata da un diverticulum della Flaminiaalla volta di Iesi e del mare”47. Anche noisiamo convinti che questi toponimi derivano daquella strada sempre chiamata Flaminia. Non condividiamo invece l’opinione di chisostiene che gli appellativi identici o simili daloro ritrovati in documenti medioevali e/omoderni sulla dorsale tra Idice e Sillaro sianola sopravvivenza, per evoluzione etimologicadal “nomen” Flaminia attribuito alla stradacostruita da C. Flaminio nel 187 a.C. che,secondo loro, colà sarebbe transitata. L’eviden-za dell’errore del parallelismo interpretativodei toponimi sta nella dimostrata circostanzache, la strada Roma-Rimini è sempre statachiamata “via Flaminia”, mentre la stradaBologna-Arezzo è stata chiamata nei primisecoli via Cassia poi via Clodia o Claudia emai “Flaminia”. Sembra quindi contrario ad ogni logica inter-pretativa sostenere che tali appellativi derivinodal nome di una strada mai chiamata Flaminia.Eppure quei toponimi esistono e sono stati tro-vati in numerosissimi documenti che si riferi-scono a luoghi individuati sulla dorsale traIdice e Sillaro tutti a nord del passo dellaRaticosa. Ed allora se non derivano dalla stradadi Flaminio, perché sono stati chiamati conquel nome? Qual è la loro vera origine?

PARAGRAFO SETTIMO:La vera origine dei toponimi“Flamengha” “Flaminga”“Fiamminga” “Flamigna” etc.

Così dimostrato che la strada del 187 a.C. non èmai stata chiamata “Flaminia”, dobbiamo ricer-care quale è la vera origine dei toponimi“Flamenga” “Flaminga” “Fiamminga” “Flamin-gha” “Fiamenga” etc. che sicuramente esistononei documenti medievali e moderni ritrovati.Da un attento esame della evoluzione topono-mastica del territorio emiliano possiamo fon-datamente ritenere che tali appellativi siano lasopravvivenza, per evoluzione linguistica, del“nomen” Flaminia attribuito fin dall’epocaimperiale:7a – alla “Regio Flaminia”, nata nel 216 d.C.

dalla bipartizione amministrativa dellaRegio VIII in Regio Aemilia nella suaparte nord – ovest e in Regio Flaminianella sua parte sud – est;

7b – al tratto orientale della via Aemilia, daBologna a Rimini chiamata “viaFlaminia” dal III sec. d.C. fino ad epocarecente.

7a – La “Regio Flaminia” e la sua influenzasulla nascita dei toponimi in discussione

Quando si parla di via Flaminia si intende oggi,come si intendeva duemila anni fa, la stradacostruita dal censore Gaio Flaminio nel 220a.C. tra Roma e Rimini. Questa strada è passa-ta alla storia per la sua importanza ed è stataricordata sempre dagli storici romani, bizantinie medievali con questo nome.Tanto influente è stata la sua presenza nella vitadi Roma repubblicana ed imperiale che, dall’i-nizio del III sec. d.C., ha dato il nome ad unaprovincia amministrativamente individuata.Infatti in un primo tempo la Regio VIIIAugustea (Regio Aemilia) includeva, in un’uni-ca provincia, tutta l’attuale Emilia Romagna.

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(47) N. ALFIERI 1975-76, pag. 58.

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Successivamente, dall’inizio del III sec. d.C., laRegio VIII venne di fatto divisa in due regioni:il territorio corrispondente più o meno all’at-tuale Romagna venne chiamata RegioFlaminia (che si estendeva fino a Pesaro) men-tre la restante parte dell’VIII Regio, a nord del-l’allineamento foce del Po – Ferrara – Castel S.Pietro – passo della Raticosa, venne denomina-ta Regio Aemilia48.Anche Antonio Bacci ci conferma, ricordandogli scritti di autorevoli storici, il confine appros-simativo fra le due regioni: “… I confini dellaregione Flaminia, poi detta Romagna in epoca

carolingia, partivano, secondo la gran partedegli studiosi e cosmografi, dal fiume Santernod’Imola: così il Biondo e l’Ughelli, già ricorda-ti, l’Orlendi (F. ORLENDI, Orbis Sacer etProfanus, II, Firenze 1731, pagg. 708-709, IlMuratori (Annali d’Italia, anno 571: “anchedel Foro di Cornelio, città della Flaminia …).Di certo si può dire che la Flaminia o laRomagna si estendeva da Imola fino all’Appen-nino di Pietramala, dove sono rimasti i toponi-mi “Flaminga”, “Flammenga”, scoperti dal-l’Alfieri, ma altresì quello più moderno di “Ro-magna” (Casoni di Romagna)49.

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(48) GIANFRANCO TIBILETTI, L’Amministrazione romana, in Storia dell’Emilia Romagna, vol. I, University Press,Bologna 1976. Il Tibiletti a pag. 143 e ss. del suo saggio riassume schematicamente l’evoluzione amministrativadell’Emilia Romagna dal periodo augusteo a quello longobardo; a tal proposito significative sono le sue conclu-sioni: “All’inizio del sec. II la Flaminia e l’Aemilia appaiono divise, ma non secondo il vecchio limite fra Rimini ePesaro: la Flaminia comprende ora anche la zona orientale dell’Aemilia, il cui nome rimane d’ora in poi confina-to alla parte occidentale della vecchia regione. ... È singolare che il confine fra la nuova, ridotta, Aemilia e laFlaminia richiami a grandi linee quella che dopo millenni e dopo le vicende bizantine, longobarde e medievali, saràla suddivisione fra la Romagna e i moderni ducati”.

(49) ANTONIO BACCI: Il territorio aretino, in Atti del Convegno La viabilità tra Bologna e Firenze nel tempo.Problemi generali e nuove acquisizioni (1989), Costa Editore, Bologna 1992, pag. 177, nota 13.

Tavola 35

Ripartizione amministrativa delle regioni dal 216 d.C.

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Anche il Mansuelli ricorda questa bipartizionedella Regio VIII: “… Ora appunto rifacendo lastoria dei provvedimenti amministrativi esoprattutto della riorganizzazione tetrarchica edelle sue variazioni tardo imperiali, assistiamoad una nuova frattura fra l’Aemilia, per lo piùconnessa con la Liguria, e la Flaminia, per lopiù connessa col Picenum (o soltanto colPicenum Annonarium). Il binomio Aemilia-Flaminia press’a poco corrisponde al binomioEmilia-Romagna, sicchè da qualche studiosola Provincia Flaminia è stata vista come ildiretto antecedente storico della Romagna.”50.Per l’accrescersi dell’importanza politica emilitare di Ravenna, designata a sede dellacapitale dell’Impero Romano di Occidente,anche tutta la regione Flaminia ne trasse bene-ficio, divenendo il centro degli interessi econo-mici di tutta l’Italia del nord ed un polo di attra-zione culturale e religioso. Questa situazionefaceva indubbiamente gravitare verso Ravenna,e quindi verso la regione Flaminia, multiformiinteressi, non ultimi quelli di natura commer-ciale, che hanno determinato un indubbioafflusso di traffici da tutte le regioni italianeverso la capitale bizantina. Anche MazzoniToselli riconosce la grande importanza diRavenna: “… Quella Ravenna che fu il princi-pale porto dei Romani nell’Adriatico, ove sole-va ogni anno trasferirsi Cesare dalle Gallie …ove Augusto alcune volte si trasferì allorchésoleva inoltrare gli eserciti o in Panonia od inGermania. Quella Ravenna dunque che fu poisede degli Imperatori Romani, indi capitaledella Flaminia ...”51.Questo nome della regione si è poi conservatofino all’epoca carolingia (secc. VIII-X) quandoha cominciato ad essere chiamata Romagna. Edè proprio l’attuale confine nord-occidentaledella Romagna che ci aiuta ad individuare quel-lo che è stato il confine della Regio Flaminiacon la Regio Aemilia. In particolare al fine deinostri studi, interessa constatare che questoconfine, nella parte a sud della “Regio Aemilia”passava proprio sulla dorsale tra Idice e Sillaro

e terminava pochi chilometri prima del passodella Raticosa ove iniziava, come inizia ora, ilterritorio toscano. La contiguità della regioneFlaminia con questo crinale ha indubbiamenteinfluenzato la toponomastica del territorio equella delle strade che lo percorrevano. Cosìquando nei numerosi documenti medioevali emoderni si trova l’appellativo “de Flamenga”,“de Flamminga” etc., che accompagnava laindividuazione di una località o di un terreno,significa che si trovavano nelle vicinanze delconfine con la regione Flaminia (ad es:“Ospitale S. Bartolomei de Flamenga” oppure“in loco dicto a la Flamingha”ed ancora “Silvade Flaminga” etc.). Quando invece l’appellati-vo faceva preciso riferimento ad una strada (ades.: “Iuxta stratam Flamenga” “Iuxta stratamde Flamengha” “via Flaminga” etc.) l’appella-tivo stava a specificare che quella strada passa-va vicino al confine della regione Flaminiaoppure si dirigeva verso quella regione.Per quanto riguarda poi l’asse principaleClaterna - Sasso di S. Zenobi - passo Raticosa,il toponimo della strada può avere avuto origi-ne anche come diverticolo del ramo orientaledella via Emilia, chiamata per molti secoli“via Flaminia”, tema che trattiamo nel para-grafo seguente.

7b – La via Emilia da Rimini a Bologna chia-mata per secoli “via Flaminia” può avere tra-smesso il nome al suo diverticolo Claterna -passo della Raticosa

Numerose sono le testimonianze storiche chericordano il nome di via Flaminia attribuito allavia Emilia nel suo tratto compreso fra Rimini eBologna.Illuminanti sono le ricerche fatte da AntonioBacci, il quale ha riassunto le sue opinioni,supportate da documenti medievali, nel suointervento al Convegno tenutosi nel 1989 52:“… Del resto la stessa sorte è toccata ad altrestrade importanti, come anche alla stessa via

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(50) G. A. MANSUELLI 1976, pag. 17.(51) O. MAZZONI TOSELLI 1826, pag. 52.(52) A. BACCI 1992, pagg. 169-178.

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Emilia che per tutto il Medioevo fino ad epocamoderna, da Bologna a Modena e oltre, è statadenominata via Claudia o Clodia: <ClaudiaStrata appellari quae antiquis Aemilia fuit>.Ciò sarà probabilmente accaduto, dice ilMuratori, per qualche restauro da parte diqualcuno della gens Claudia. Da sottoBologna fino a Rimini invece l’Emilia eradenominata Flaminia, in evidente relazione econtinuazione con la vera Flaminia, da Riminidiretta a Roma”53. Il Bacci si avvale di dueantichi documenti che qui riportiamo: “DagliAtti del martirio di S. Cassiano, patronod’Imola (e di Bressanone), come si leggono

negli antichi Lezionari dell’Ufficio sacro diquella diocesi sappiamo che Cassiano vennetorturato e ucciso ad una colonna marmoreaposta ad un quarto di miglio da Imola, lungo laVia Flaminia nella direzione di Bologna(Bononiam versus): <Quae columna usque inhodiernum diem via Flaminia prope moeniacivitatis sub cellula adservata, indigenissumma est in veneratione> (ACTA SANCTO-RUM XIII Augusti Tomus III, cap. III, p. 19,Venezia 1752) … la colonna fu rinvenuta nel1085 e il tempietto (sacellum) venne eretto nel1192” 54. Ancora più interessante è un docu-mento riportato dal Bacci tratto dall’ “Italia

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(53) A. BACCI 1992, pag. 172.(54) A. BACCI 1992, pag. 177, nota 13.

Tavola 36

Tratto della via Emilia da Bologna a Rimini chiamato dal Medioevo all’Età Moderna via Flaminia. Tratto della via Emilia chiamato via Claudia. Percorso della Flaminia Militare. Percorso della ipotetica Flaminia Minore.

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illustrata” redatta dal Biondo da Forlì nel 1473:“Che Imola fosse posta lungo la Via Flaminiace ne danno notizia molti altri autori, tra cuiprincipalmente il Biondo da Forlì nella suaItalia Illustrata (1453). Egli fa partire i confi-ni tra la <contrada> Flaminia e la contradaEmilia dal fiume Vatreno (Santerno) d’Imola epoi così prosegue: “A man destra del fiumeVatreno fra terra ne la strada Flaminia è Imolachiamata dagli antichi il Foro di Cornelio,dove comincia la regione Emilia” (BIONDO,Italia Illustrata, Regione VI): Romagna dettaanche Romagnola e da li antichi Flaminia.Poco oltre egli poi annota che l’antica città diClaterna, di cui rileva le antiche vestigia, eraanch’essa posta lungo la Via Flaminia …”55.La testimonianza che questa via Flaminia (exvia Emilia) arrivava da Rimini f ino aClaterna conferma che i noti toponimi trovatisull’asse stradale Claterna - passo dellaRaticosa possono avere avuto origine da unsuo diverticolo, chiamato pure esso viaFlaminia. Il nome via Flaminia (della ex viaEmilia) arrivava poi fino a Bologna, doveprendeva il nome di via Claudia.Così testimonia autorevolmente il Mansuelli:“… Fin qui la documentazione monumentale:le vicende storiche posteriori permettono diconstatare l’immutata importanza della via,anche se non se ne ritrovano espresse men-zioni. Alla fine del mondo antico il nome diAemilia si perde. Il tratto ad occidente diBologna assume fin dall’età carolingia ilnome di Claudia, forse perché, deviandosiusualmente da Bologna il percorso per Romaattraverso la Toscana, si considerava questotratto di strada tutt’uno con la Clodia. Il trat-to orientale invece, fino ad età molto recentemantenne il nome di Flaminia, sia perchéconsiderato continuazione naturale dellaFlaminia stessa, sia per l’influenza del nomedella Flaminia dato alla regione che, in certiperiodi, comprese l’intera Romagna.”56.Merita qui sottolineare che le parole di

Mansuelli confermano l’importanza di Bolo-gna come incrocio, punto di incontro fra l’as-se stradale Rimini-Piacenza e quello direttoin Toscana, a riprova che Bologna è stata nel-l’antichità il capolinea di partenza dellatransappenninica per Arezzo-Roma. Se inve-ce fosse stata Claterna il punto di partenzaper valicare l’Appennino (come affermano isostenitori della Flaminia Minore) il nome di“via Claudia” lo avremmo incontrato a Cla-terna e non a Bologna.A tal proposito dobbiamo ricordare che anchela Foschi, senza coerenza con la sua tesi sulpercorso della Flaminia Minore (che conside-ra Claterna il capolinea di partenza della stra-da di C. Flaminio), riconosce in sostanza cheBologna è stato il punto di arrivo della trans-appenninica proveniente da Firenze, che nelMedioevo era stata chiamata via Claudia:“...Tale frattura dell’unità del percorso via-rio, confermata e ribadita dalla persistenzadi confini politici ad ovest di Bologna finoall’età comunale, dovette a mio parere favo-rire il processo di differenziazione onomasti-ca fra i due tronconi dell’Emilia: ad ovest diBologna via Claudia, ad est via Flaminia. Ladenominazione del tratto occidentale sottoli-neava dunque la continuità con la transap-penninica per Firenze, mentre la denomina-zione del tratto orientale evidenziava la pro-secuzione della Roma-Rimini. Del resto laparte orientale della via Emilia continuò adessere chiamata Flaminia fino all’Unitàd’Italia, cioè fino alla scomparsa del confinedello Stato Pontificio ad ovest di Bologna.”57.In queste poche righe della ricercatrice bolo-gnese si trova anche la conferma del nome di“via Flaminia” attribuito fino al XIX secoloal tratto della via Emilia da Rimini a Bolo-gna. Questa circostanza ci ha fatto ritenereche i noti toponimi potessero essere derivatianche dal nome di un diverticolo di questa viaFlaminia che aveva percorso la dorsale traIdice e Sillaro.

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(55) A. BACCI 1992, pag. 177, nota 13.(56) G. A. MANSUELLI 1941-1942, pag. 39.(57) P. FOSCHI 1988, pag. 173.

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Da tutte queste attestazioni appare evidente chenel corso dei secoli si è verificato un trasferi-mento del nome derivato dalla primitiva viaFlaminia (Roma-Rimini) che ha influenzato latoponomastica dei territori a nord di essa. Cosìper fare una cronologia di questa evoluzionetoponomastica si può riconoscere che: dal nome della prima via Flaminia è derivatoil nome di “Regio Flaminia” al territorio sepa-rato nel 216 d.C. dalla “Regio Aemilia”.Poi dal nome della regione Flaminia (oppure

come prosecuzione della via Flaminia Roma-Rimini) è derivato il nome di “via Flaminia” altratto della via Emilia compreso fra Rimini eBologna.Infine dal nome “via Flaminia”, dato per seco-li a questo tratto di strada della ex via Emilia,possono essere nati per evoluzione linguistica itoponimi “Via Flamenga”, “via Fiamminga”,“stratam de Flamengha” etc. lungo il suodiverticolo Claterna-Sasso di S. Zenobi, passodella Raticosa.

7c – I toponimi “via Flaminia” “viaFiamminga” appellativi di strade dirette ancheverso la regione Flaminia (da ovest ad est)

Le prove che i noti toponimi derivano dallacontiguità, o comunque dalla regione Flaminia,si possono trarre anche da alcuni documentiche ricordano l’esistenza di due strade nell’altavalle dell’Idice chiamate con i noti appellativi,che dal territorio bolognese si dirigevano versoest in territorio romagnolo. Esse quindi aveva-no un orientamento ortogonale rispetto alladirezione della Flaminia Minore, che invece sidirigeva da nord a sud. Un primo documentoparticolarmente significativo è tratto dalCatasto Boncompagni del 1787. La piantinacatastale si riferisce ad un territorio nelComune di Campeggio e la strada indicata conil nome “Flaminia” metteva in comunicazioneMonghidoro con il Santuario della Madonnadei Boschi e Gragnano. Si tratta quindi di loca-lità che si trovano molto lontane dalla regione

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Tavola 38

Nella cartografi a austriaca del 1851 è indicata una “Strada Fiamminga” sulla direttrice ovest-est, Pietramala-Piancaldoli, cioè verso la regione Flaminia. Il presunto tracciato della Flaminia Minore è invece sulla direttrice nord-sud, Tre Poggioli-Ca’ Buraccia.

Tavola 37

Nel Catasto Boncompagni del 1787 è indicata una via Flaminia che, da Madonna dei Boschi (Comune di Monghidoro), conduceva a Gragnano (Comune di Campeggio) con orientamento ovest-est verso la regione Flaminia.

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Flaminia in specie Monghidoro e Madonna deiBoschi. Anche Campeggio e Gragnano, trovan-dosi alla sinistra dell’Idice nel versante oppostoal crinale ove sarebbe passata la FlaminiaMinore, nulla hanno a che fare con quel trac-ciato. Questa strada aveva un orientamentoovest-est, verso la dorsale Idice-Sillaro. È evi-dente quindi che il nome “Flaminia” indicavala strada diretta verso quella regione.Altrettanto importante è l’appellativo “Fiam-minga” che si trova nella cartografia austriacadel 1851 (vedasi cartografia riprodotta) cheindica la strada dal passo della Raticosa aPiancaldoli. Anche in questo caso si tratta diuna strada con orientamento ovest-est che tagliaortogonalmente il crinale tra Idice e Sillaro(tracciato della Flaminia Minore) ove essa vali-cherebbe l’Appennino tra il Sasso di S. Zenobie Ca’ Buraccia. Questa strada si dirige verso laregione Flaminia e da essa appunto deriva l’e-voluzione linguistica di “Fiamminga”.L’appellativo “Fiamminga” di questa strada èpoi confermato dal corposo lavoro “L’Appenni-no Bolognese” pubblicato dal Club AlpinoItaliano nel 1881 ove è scritto testualmente: “Lastrada detta “Fiamminga” si mantiene rotabileda Radicosa a Piancaldoli (km 11,500).”58

Ed ancora nella descrizione del tracciato dellastrada che segue la dorsale tra Idice e Sillaro (ecioè l’ipotizzata Flaminia Minore) si legge(pag. 707): “Finalmente una strada discreta,riunisce Monterenzio ed i Casoni di Romagna,sopra un terreno scoperto, con macchie basse.Dai Casoni di Romagna ai Tre Poggioli èinterrotta da frane. Giunge alla rotabile detta“Fiamminga”. Questa descrizione chiarisceche l’appellativo in questione non si riferisceal tracciato nord-sud, proprio della FlaminiaMinore, ma all’asse stradale ed essa ortogona-le passo Raticosa-Piancandoli; infatti il verbogiunge rivela la diversa direzione delle duestrade. Del resto è noto che la totale mancanzadi segnaletica stradale dal Medioevo fino alXIX secolo ha fatto nascere l’abitudine diattribuire alle strade il nome derivato dallalocalità più importante verso la quale eranodirette, per indicare ai viandanti la destinazione.

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(58) L’APPENNINO BOLOGNESE 1881, pag. 732.

Regio

Flaminia

AREZZO

CLATERNA

Tavola 39

Tracciato della via Flaminia nel Catasto Boncompagni del 1787. Tracciato della Strada Fiamminga nella Cartografi a Austriaca del 1851. Tracciato della ipotetica Flaminia Minore. È evidente che i tracciati arancione e blu si dirigono verso

la regione Flaminia intersecando ortogonalmente l’ipotetico percorso della Flaminia Minore.

TRE POGGIOLI

CA’ BURACCIA

CAMPEGGIO

GRAGNANO

SILLARO

IDIC

E

SETTEFONTI

MONTERENZIOVECCHIO

CASONIDI ROMAGNA

MADONNADEI BOSCHI

S. BENEDETTODI QUERCETO

PASSO DELLARATICOSA

PIETRAMALA

PIANCALDOLI

MONGHIDORO

Flam

inia

Flam

inia

Fiamminga

Strada

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Questa consuetudine è talmente radicata cheanche oggi, nonostante una minuziosa segna-letica, si sono conservati nell’uso popolare(talvolta recepito nella segnaletica ufficiale) inomi dei luoghi di destinazione: la via“Toscana” in partenza da Bologna è la stradadiretta a Firenze; in senso opposto la via “Bo-lognese” in partenza da Firenze è quella diret-ta a Bologna. Così dicasi per altre strade inpartenza da Bologna: la via “Porrettana”diretta a Porretta Terme, la via “Ferrarese” èdiretta a Ferrara, la via “Bazzanese” è diretta aBazzano etc..In conclusione tutte le prove storiche e docu-mentali illustrate in questo settimo paragrafosono da sole sufficienti a dimostrare che i notitoponimi non derivano per evoluzione lingui-stica dal nome attribuito alla strada costruita daC. Flaminio nel 187 a.C..

PARAGRAFO OTTAVO:“I Casoni di Romagna” e “La strada Romagnola” sono la conferma della nostrainterpretazione dell’origine diquei toponimi

Sulla dorsale fra il fiume Idice ed il torrenteSillaro, in corrispondenza dell’ipotetico trac-ciato della Flaminia Minore, circa 7 km a suddi Monterenzio Vecchio e 7 km a nord delSasso di S. Zenobi c’è una piccola borgata:“Casoni di Romagna”. È evidente che questonome le è stato attribuito perché si trova sulconfine dell’attuale Romagna e si è volutocosì identificarne la posizione. Nulla di stranoin tutto ciò; ci siamo però chiesti: perché que-sta località ricorda la regione Romagna quan-do invece i vicini noti toponimi in discussionesono la sopravvivenza per evoluzione lingui-stica del nome Flaminia?

Ovviamente perché questa borgata è statacostruita quando la regione confinante conl’Emilia veniva già chiamata Romagna e non piùFlaminia. Se essa fosse sorta invece moltoprima, quando quel territorio si chiamava regio-ne Flaminia, indubbiamente si sarebbe traman-dato il nome di “Casoni di Flaminia”, oppure“de Flamenga” o “di Fiamminga”; in questocaso un solerte ricercatore di topografia anticasarebbe potuto cadere nell’errore di attribuirequell’appellativo al passaggio della stradacostruita da C. Flaminio nel 187 a.C., come èavvenuto per i toponimi in discussione. Questanostra interpretazione trova conferma in undocumento risalente al 1711, pubblicato daAntonio Bacci negli Atti del Convegno tenutosinel 1989. Si tratta di una relazione sulla indivi-duazione del confine fra la Comunità diCavrenno, nell’alta valle d’Idice, e quella di Ca’Buraccia sul versante toscano, allegataall’Estimo di Cavrenno del 1707 (ASF, DecimaGranducale n° 7403) nella quale si cita una “viaFiaminga”. “Si proseguì avanti il confino fra ladetta Comunità di Cavrenno e quella diCaburaccia, ed esservi una terra in mezzo allaquale vi è una via Pubblica chiamata la viaFiaminga o si è vero Romagnola, che divide,esserne per confino divisorio fra le dueComunità … E cominciati per la detta serra, evia fiaminga o sia romagnola per lo spazio didue tiri di sasso in circa si giunse al Poggio deitre Contadi ove resta la Comunità di Caburac-cia”59. Come si vede gli estensori di questa rela-zione chiariscono che la così detta “viaFiaminga” veniva chiamata anche “via Roma-gnola”. A quel tempo evidentemente quella stra-da era chiamata indifferentemente con due nomiche erano equivalenti, avendo la funzione diindicare il suo percorso diretto in quella regione,che nel XVIII secolo si chiamava “Romagna”,ma nei tempi più antichi “Flaminia”. Dunque da queste osservazioni si deve necessa-riamente concludere che i toponimi in discussio-ne sono una evoluzione linguistica del nome“Flaminia” attribuito dal 216 d.C. alla regioneconfinante con la dorsale Idice – Sillaro e, moltisecoli dopo, chiamata Romagna.

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(59) A. BACCI 1992, pag. 177, nota 13.

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PARAGRAFO NONO:I toponimi“Flamengha”,“Flaminga”,“Fiamminga”,“Flamigna” etc.ritrovati soltanto daClaterna al passodella Raticosa

Abbiamo constatato che il per-corso della presunta via Flami-nia Minore è lungo 180 chilome-tri. Il tratto compreso fra Clater-na ed il passo della Raticosa è dicirca 50 chilometri e, quindi, daquesto valico ad Arezzo riman-gono 130 chilometri. Le ricerche toponomastiche deifautori della Flaminia Minorehanno portato alla scoperta di27 documenti medioevali emoderni60 che ricordano luoghicon gli appellativi “Flamen-gha” “Flaminga” “Fiamminga”“Flamigna” etc. vicino o sulladorsale fra l’Idice ed il Sillaro,ma tutti compresi fra Clater-na ed il passo della Raticosa,ove confinava la regione Flami-nia. Dal passo della Raticosa adArezzo, dove non confinava laregione Flaminia, non è statotrovato alcuno di quei toponimi. Conseguentemente è logicopensare che, se i noti toponimiderivassero dal passaggio dellastrada del console C. Flaminio,almeno alcuni di essi si do-vrebbero trovare su tutto il per-corso della strada, anche neltratto fra il passo della Ratico-sa ed Arezzo.

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(60) P. FOSCHI 2003, pag. 22.

BOLOGNA

AR

NO

Tavola 40

Percorso della presunta Flaminia Minore. Simboli indicanti i luoghi attestati dai documenti medievali

che riportano i nomi Flaminga, Fiammenga, Flaminia, etc.Si può notare che su un percorso complessivo di 180 km da Claterna ad Arezzo i luoghi di quei toponimi si trovano tutti sul versante bolognese vicino al confi ne con la Regio Flaminia.

FIRENZUOLA

BIBBIENA

SUBBIANO

MONTERENZIO VECCHIO

PASSO DELLA FUTA

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SANTERNO

FIESOLE

AREZZO

POPPI

DICOMANO

VICCHIO

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BADIA MOSCHETA

SCARPERIA

PASSO DEL GIOGO

SASSO DIS. ZENOBI

PASSO RATICOSA

PIANCALDOLI

SASSONERO

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Nella Tavola 41 abbiamo indicato il percorsodella Flaminia Minore ove la distanza da A e Brappresenta i 50 km da Claterna al passo dellaRaticosa e la distanza da B a C i 130 km dallaRaticosa ad Arezzo. Si può notare che il tratto A- B, ove sono stati trovati i 27 e più documenticon i noti toponimi, è strettamente contiguo allaregione Flaminia, ed invece il tratto B - C, ovenon è stato trovato alcun documento, il confinedella regione Flaminia è molto lontano.Su questo specifico tema merita commentareun recente articolo di P. L. Dall’Aglio, unodei più tenaci epigoni di Alfieri, il quale, nonpago di avere a disposizione più di 27 topo-nimi (da noi dimostrati inutili ai fini dellaprova della teoria del “Maestro”), ha pubbli-cato un articolo dal titolo: “Un nuovo docu-

mento sulla via Flaminia “Minore”61.Ci siamo accinti alla sua lettura con vivo inte-resse credendo di trovare la notizia che final-mente era stato individuato uno dei noti topo-nimi in una località compresa tra il passo dellaRaticosa ed Arezzo.Nulla di più deludente: anche questo toponi-mo, citato in una pergamena redatta nell’anno1069, si trova a nord del passo della Raticosaed addirittura, secondo Dall’Aglio, all’im-bocco della valle dell’Idice. Quindi un topo-nimo che costituirebbe un nuovo indizio delpercorso della Flaminia Minore diretta alpasso della Raticosa.Quello però che ci ha maggiormente sorpresoleggendo questo articolo è la forzatura inter-pretativa del documento da parte di Dall’Aglio.

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(61) P.L. DALL’AGLIO 2008, pagg.123-129.

Tavola 41

Percorso della Flaminia Militare. Percorso della ipotetica Flaminia Minore.

Nel tratto emiliano della ipotetica Flaminia Minore (A - B), contigua al confi ne della regione Flaminia lungo soltanto 50 km, sono stati trovati più di 27 toponimi in discussione; nel tratto toscano (B - C), lungo 130 km, non è stato trovato alcun toponimo, evidentemente perché il suo tracciato è distante dal confi ne della regione Flaminia.

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Questa pergamena, infatti, è giunta fino a noidanneggiatissima per lacerazioni, tanto che ladescrizione del luogo è priva di otto lettere, cherendono problematica la decifrazione del testo.Giorgio Cencetti, che per primo nel 1936 hacercato di farne una lettura, ha ipotizzato che illuogo sia: “… In strata qui vocatur Maiore nonlonge fluvio Sa[vena] a strada qui vocaturFla[bian]a62 (cioè vicino al fiume Savena versoS. Rufillo ove esisteva un fundum Flabiano).Il Dall’Aglio invece ha fatto una lettura diversaintegrando le lettere mancanti in modo che sipossa leggere: “… In strata qui vocatur Maiorenon longe fluvio [Ise]ce a strada qui vocaturFla[mini]a (o Fla[mign]a)”.Lo stesso Dall’Aglio, però, si è reso conto dellaforzatura interpretativa ed ha ammesso: “… Aquesto punto il problema è dato dal fiume. Seinfatti la lettura Savena di Cencetti fosse cor-retta, ne conseguirebbe che è errata la rico-struzione del tracciato della Flaminia minoreproposta da Alfieri o che, quanto meno, ènecessario supporre una duplicità del traccia-to di questa strada: uno sul crinale Idice-Sillaro, l’altro sul crinale occidentale delSavena, entrambi con il medesimo nome”63. Quindi secondo Dall’Aglio, dallo stesso docu-mento si potrebbero leggere due diversi percorsi:a tanto arriva pur di salvare la Flaminia Minore! Ritornando ora all’importanza della localizza-zione dei discussi 27 toponimi, anche GianlucaBottazzi ha evidenziato che essi si trovano tuttisul versante emiliano dell’Appennino. Da que-sta osservazione ha tratto, come noi, la logicaconseguenza che i toponimi “Flamenga” datala loro ubicazione, non costituirebbero un indi-zio del passaggio della strada di C. Flaminio:“Gli interessanti e numerosi contributi dellacosidetta <Flaminia minore> hanno attestatouna direttrice viaria che da Bologna (o meglioda Ponte Idice) e da Claterna si inoltravanell’Appennino con un tracciato di crinale.Essa è detta nel Medioevo <Flamegna>: se

fosse effettivamente una seconda consolareFlaminia, che sarebbe stata tracciata nel 187a.C. contestualmente all’Aemilia, si dovrebbe-ro avere attestazioni dell’odonimo e del trac-ciato in tutta l’area toscana fino al presuntocapolinea (Arretium).”64

Quale è quindi la conclusione che si deve trar-re? La risposta è ovvia: gli appellativi in que-stione, ricordati nei documenti ritrovati, nonderivano dal nome della strada costruita da C.Flaminio su quella dorsale, ma dal nome dellacontigua regione detta Flaminia per molti seco-li prima di essere chiamata Romagna65.

PARAGRAFO DECIMO:La “Tabula Peutingeriana” nonconferma l’ipotesi del tracciatodella Flaminia Minore

10a – Le due diverse opinioni di Alfieri

Quando nel 1976 l’Alfieri pubblicò il suo stu-dio sulla Flaminia Minore era convinto chenella “Tabula Peutingeriana” non ci fosse trac-cia della strada costruita da C. Flaminio, diver-samente dalla contemporanea via Aemilia,della quale è rimasto vivo il ricordo perché eradiventata l’arteria demografica, commercialeed economica della romanizzazione dellaCispadana. Egli così giustificava questo silen-zio della “Tabula”: “ … Al contrario per la viaFlaminia si sarebbe portati ad ipotizzare che,assolta la sua iniziale funzione di congiungerela recente fondazione romana nel cuore del ter-ritorio boico con la tradizionale piazzafortedell’Etruria, la strada non venisse più mante-nuta in funzione oppure perdesse la propriaautonomia, così da confondersi con uno deglianonimi “tramites Appennini” del suo settore.

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(62) GIORGIO CENCETTI, Le carte bolognesi del secolo decimo, Zanichelli, Bologna 1936, pagg. 68-70.(63) P.L. DALL’AGLIO 2008, pag. 126.(64) GIANLUCA BOTTAZZI, La rete itineraria, in Aemilia. La cultura romana in Emilia Romagna dal III secolo a.C.

all’età costantiniana, Bologna 2000, p. 83 e nota 23.(65) Abbiamo già ricordato che nel 216 d.C. la Regio Aemilia venne divisa in Regio Flaminia (corrispondente più o

meno all’attuale Romagna) e in Regio Aemilia (corrispondente al restante territorio).

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Certo è che, fuori dell’accenno di Tito Livioalla sua costruzione, nessun’altra fonte antica,ne dà testimonianza.”66.Anche l’Uggeri ha esplicitamente affermatoche nella “Tabula Peutingeriana” non c’è trac-cia di questa strada. Egli, nella relazione tenu-ta al Convegno del 1989 (pag. 193), giustificaquesto silenzio: “Gli <Itinerari scripta> e la<Tabula Peutingeriana> hanno, d’altronde,carattere ecumenico e non possiamo pretende-re di trovarvi altro che le grandi vie di comuni-cazioni vitali nell’economia dell’Impero tra ilIII e il IV sec. d.C. e servite dal “cursus publi-cus”. Tra Roma e la Cisalpina vi compaionosoltanto la “Flaminia” [la Roma-Rimini] la“Faventina” e la Clodia” (Lucca-Parma)”.Questo univoco riconoscimento è stato succes-sivamente contraddetto dallo stesso Alfieri, ilquale, in occasione del citato Convegno, conuna articolata relazione illustrativa del traccia-to della Flaminia Minore, fornisce una nuovalettura interpretativa della “Tabula Peutingeria-na”, sostenendo che la linea rossa contigua alfiume Idice (disegnato con il colore verde) staad indicare il tracciato discendente dall’Appen-nino della strada costruita da C. Flaminio, chetroverebbe quindi nella “Tabula” una confermastorica autorevole. A tal proposito egli scrive:“… Infine, l’importanza della Flaminia anchein età imperiale romana è dimostrata dallatabula Peutingeriana, che offre la prima rap-presentazione cartografica del settore bologne-se. Vi sono disegnati, in maniera perspicua,tanto gli elementi di geografia fisica (l’Appen-nino e l’Idice) quanto quelli di geografiaantropica (le strade e le relative tappe). Sulladestra (e cioè ad est) di Bononia sono segnatedue tappe della via Emilia: Isex fl(umen)(fiume Idice) e Claterna (Ozzano dell’Emilia).La prima tappa è un esempio della correlazio-ne fra le strade e i corsi d’acqua che esseincontravano: infatti la stazione di sosta fraBononia e Claterna prende il nome dal fiume.Che si tratti dell’Idice è ulteriormente specifi-cato da una scritta in color rosso: fl(umen)Isex. Questo (delineato in verde) scende dal-

l’Appennino, interseca la via Emilia e proseguefino a confluire nel Po. Il suo corso è accom-pagnato da una linea rossa continua, contras-segno di una strada che – dall’Appennino finoall’incrocio con la via Emilia - ovviamente è laFlaminia <Minore>”67.Purtroppo l’Alfieri non spiega come è giunto aquesta affermazione, e perché è così categoriconel riconoscere nella linea rossa la prova deltracciato della strada di C. Flaminio (“ovvia-mente è la Flaminia Minore”). Egli pubblicauna foto in bianco e nero della porzione della“Tabula” riguardante questo settore con suocommento, che qui riproduciamo. Non possiamo però astenerci dal sottolineare chenella Tabula Peutingeriana il segno rosso, conti-guo a quello verde raffigurante il fiume Idice,

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(66) N. ALFIERI 1975-76, pagg. 52-53.(67) N. ALFIERI 1992, pagg. 99, 100.

Foto n° 119Fotografia di una porzione della TabulaPeutingeriana pubblicata con commento da N. Alfierinegli Atti del Convegno su “La viabilità tra Bolognae Firenze nel tempo” Costa Editore, Bologna 1992,pag. 98. La didascalia in calce a questo settore bolo-gnese della Tabula Peutingeriana dimostra chel’Alfieri ha impropriamente interpretato il segnorosso che affianca il corso del fiume Idice, ritenutoda lui indicativo della via Flaminia Minore.

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non si interrompe alla via Emilia, ma lo accom-pagna fino alla sua confluenza nel Po come rico-nosciuto dallo stesso Alfieri. Se quindi fosseesatta la interpretazione del docente bolognese sidovrebbe necessariamente ritenere che la stradadi C. Flaminio era ancora perfettamente percor-

ribile nel IV secolo d.C. e non si arrestava aClaterna, ma, attraversata la via Emilia, prose-guiva nella Pianura Padana fino a raggiungere ilPo, seguendo poi il suo corso fino al mareAdriatico, visto che la linea rossa costeggia que-sto grande fiume per tutta la sua lunghezza.

Foto n° 120Tabula Peutingeriana: territorio bolognese. Osservando questa documento si può notare che tutti i fiumi, com-preso l’Idice (fl. Idex) tra Bologna e Claterna, sono indicati con una linea verde affiancati da una linea rossache evidentemente non rappresenta un percorso stradale. Se così fosse dovremmo ritenere che i fiumi sareb-bero stati costeggiati da strade consolari che li accompagnavano fino al mare, ben oltre la via Emilia. Questaipotesi è esclusa anche dalla constatazione che le strade sono segnate con linee rosse continue, rettilineeche non costeggiano il corso dei fiumi, ma li intersecano.

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Questa critica è fondata anche se la raffigura-zione della “Tabula” non è dettagliata, né puòesserlo data la ristretta prospettiva del paesag-gio; infatti il fiume Idice appare confluire nelPo a valle di “Hostilia” mentre allora confluivamolto probabilmente, come oggi, nel Renopoco a sud della cittadina di Argenta.

10b – L’opinione di Ernst Gamillscheg

Poiché non eravamo convinti di questa nuova“lettura” di Alfieri, abbiamo colto l’occasionedi assistere nel 1996, presso la bibliotecacomunale di Porretta Terme, ad una conferenzasulla Tabula Peutingeriana68 tenuta dal prof.Ernst Gamillscheg, docente all’Università diVienna e Direttore della Biblioteca nazionaleaustriaca, ove è custodita la copia medioevaleoriginale di quel prezioso documento.Egli ha illustrato nel dettaglio le informazioni chesi possono trarre da essa, per una migliore cono-scenza della più importante rete stradale romanaall’epoca della sua prima redazione (340-360d.C.), dei posti di tappa, delle distanze da città acittà, dei corsi dei fiumi etc. La sua esposizione,in lingua italiana, è stata particolarmente coinvol-gente, anche perché i presenti hanno potuto segui-re le sue descrizioni su una copia a colori in gran-dezza naturale (6,80 m x 34 cm) dell’interaTabula che, via via, veniva mostrata69. Al terminegli abbiamo posto due quesiti: - il primo inteso a chiarire per quale motivo lastrada Bologna-Arezzo, costruita da C. Flaminionel 187 a.C., non sia indicata nella Tabula.A parere del prof. Gamillscheg questa stradanon aveva mai raggiunto l’importanza e lo “sta-tus” delle altre strade consolari, cadendo pro-gressivamente in disuso, tanto che nel IV sec.d.C., quando è stata redatta la Tabula, non èstata inclusa nella grande viabilità. Del restoanche molte altre strade di epoca repubblicananon figurano in questa carta antica, avendo

essa voluto rappresentare la rete delle stradepiù importanti dell’Impero mantenute in per-fetta efficienza nel IV sec. d.C.;- il secondo: su come si doveva interpretare ilsegno rosso affiancato al segno verde scuro cheindica il corso dei fiumi; più specificamenteabbiamo chiesto se la linea rossa che accompa-gna il segno verde del “flumen Isex” (fiumeIdice) a sud ed a nord della via Emilia, vicino aClaterna, si poteva leggere come l’indicazionedi una strada diretta verso l’Appennino.Egli ha fatto notare che le strade sono rappre-sentate con linee rosse rettilinee e con indica-zioni di distanze e non seguono mai il corso deifiumi, ma li intersecano. Il segno rosso checosteggia la linea verde scuro, rappresentante ilcorso dei fiumi, è soltanto un rafforzativo; per-tanto la linea rossa che costeggia il corso delfiume Idice non indica assolutamente l’esisten-za di una strada diretta verso gli Appennini.La prima risposta, in sostanza, ha chiarito quan-to ragionevolmente si poteva comprendere dallalettura della Tabula: ha confermato cioè l’anti-chissimo abbandono di questa strada transap-penninica, che giustifica poi la sua scomparsaed il suo oblio.La seconda risposta, invece, era in disaccordocon il pensiero di Alfieri. Questa differenteinterpretazione del significato di quella linearossa ci ha lasciato interdetti e, nonostante l’au-torevolezza del prof. Gamillscheg, il dubbio ci èrimasto fin tanto che, su una espressa nostrarichiesta, egli ci ha confermato, con lettera del4 giugno 1997, la sua opinione, che riportiamotradotta testualmente: “alla domanda che lei miha posto riguardo la linea rossa sulla TabulaPeutingeriana, posso rispondere nel modoseguente. Come è riconoscibile dalla copia dalei trasmessa, le strade sono rappresentatecome linee diritte con indicazioni di distanza.La linea rossa lungo il corso dei fiumi è daintendere solo come conferma di queste indica-zioni topografiche.”70. Ci siamo allora convinti

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(68) Per notizie sulla Tabula Peutingeriana vedasi nota n. 2 nella Introduzione.(69) A Pierangelo Ciucci va il merito di aver organizzato la conferenza ed al Comune di Porretta Terme la lodevole ini-

ziativa di avere acquistato quella copia che ora rimane a disposizione di tutti coloro che la vogliono consultarepresso quella biblioteca.

(70) Vedasi fotocopia della lettera nella pagina a fianco.

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definitivamente che l’Alfieri era caduto in unerrore interpretativo nella lettura della simbolo-gia riportata nella Tabula Peutingeriana, forsenella speranza di trovare almeno una prova sicu-ra del tracciato della Flaminia Minore.Al termine della conferenza abbiamo invitato ilprof. Gamillscheg a tornare sul nostro Appen-nino, nell’estate successiva, per visitare i rinve-nimenti della strada romana.Nei giorni 25 e 26 luglio 1997 è stato nostroospite; lo abbiamo accompagnato su alcunitratti di basolato insieme al dr. Luca Fedelidella Soprintendenza Archeologica per laToscana. Egli ha manifestato sincera ammira-zione per i rinvenimenti ed ha espresso l’opi-nione che si tratti effettivamente di un impian-

to stradale romano, per la solidità ed imponen-za della struttura in rapporto al luogo in cuiessa si trova. E proprio in relazione alla suaubicazione, sulla sommità del crinale appenni-nico a quote che superano i 1000 metri di alti-tudine, egli ha pienamente giustificato il suoabbandono in epoca imperiale e, conseguente-mente, la mancata indicazione del relativo trac-ciato nella Tabula Peutingeriana.

10c – L’opinione di Luciano Bosio

Il problema interpretativo della linea rossa afianco di quella verde dei corsi d’acqua era statosfiorato da Luciano Bosio nel suo studio dellaTabula Peutingeriana71 senza peraltro arrivaread una soluzione univoca. Le sue parole espri-mono una sostanziale incertezza: “…questosegno distintivo potrebbe fare pensare alla pre-senza qui di un percorso fluviale, anche se peralcuni ciò solleva perplessità e dubbi data laloro attuale scarsa e difficile navigabilità ... . Atal riguardo è probabile che il compilatore dellaCarta, nell’accompagnare con una linea rossa il

Foto n° 121Lettera del prof. Ernest Gamillscheg Direttore dellaBiblioteca Nazionale di Vienna, presso la quale ècustodita la copia medievale originale della TabulaPeuntigeriana. Egli esclude che le linee rosse con-tigue ai fiumi stiamo ad indicare l’esistenza di unastrada (vedasi traduzione nel testo).

Foto n° 122Monte Poggione, 27 luglio 1997. Il prof. ErnstGamillscheg (al centro con la camicia scozzese)Direttore della Biblioteca Nazionale di Vienna, oveè custodita la copia medioevale originale dellaTabula Peutingeriana, sul basolato romano accom-pagnato da Franco Santi (di schiena a sinistra).

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(71) ANTONIO BOSIO: La Tabula Peutingeriana. Una descrizione pittorica del mondo antico, Maggioli Editore,Rimini 1983.

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corso di alcuni fiumi si sia rifatto a particolarifonti e documenti che indicavano in modo preci-so la presenza lungo questi corsi d’acqua di unitinerario fluviale”72. L’ipotesi che la linea rossavoglia significare la navigabilità dei corsi d’ac-qua ad essa contigui non ci convince. Se siosservano i tre fiumi che sono disegnati nellaporzione di “Tabula” da noi riprodotta, e cioè ilPanaro che tocca “Forum Gallorum”(Castelfranco Emilia) il Reno (che costeggiaBononia) e l’Idice che passa vicino a Claterna,si può constatare che non sono oggi navigabili eprobabilmente non lo erano nel IV sec. d.C.. Illoro alveo discendente dagli Appennini è stretto,l’acqua scorre veloce e la portata d’acqua èmodesta. Soltanto una volta raggiunta la pianu-ra potevano avere assunto caratteristiche di rela-tiva navigabilità per piccole imbarcazioni. Ma intal caso non meritavano certamente l’annotazio-ne nella “Tabula”. Altrettanto si può dire se per“itinerario fluviale” il Bosio ha inteso riferirsi astrade che costeggiavano le sponde di questifiumi; potevano essere strade destinate al massi-mo a traffici locali e non certamente strade pub-bliche consolari; infatti mai i Romani avrebberocostruito strade importanti seguendo il corso deifiumi sia per la loro tortuosità, sia per i pericoliderivanti dalle improvvise piene ed inondazioni.

10d – Le opinioni di A. Gottarelli e di P. L.Dall’Aglio

Anche il Gottarelli ha affrontato il problemainterpretativo di questa linea rossa che costeggiai corsi d’acqua, ma si è limitato a prendere inconsiderazione soltanto i torrenti od i fiumi chescendono dall’Appennino verso la via Emilianel tratto compreso da Piacenza ad Imola. Dopoarticolate argomentazioni, in sostanza Gottarelliritiene che la linea rossa stia ad indicare la pre-senza di strade romane costeggianti quei corsid’acqua. “Il tratto della via Emilia compreso traPlacentia (Piacenza) e Forum Corneli (Imola)risulta essere attraversato da nove corsi d’ac-

qua e di questi ben sei presentano una linearossa che ne accompagna il corso. È indicativoche, in tutti i casi, vi sia una significativa coin-cidenza tra le linee idrografiche bordate conlinea rossa e l’esistenza per esse, accertata oipotizzata, di assi stradali di età romana.”73.È per noi difficile condividere questa opinionenon essendo attendibile che nel breve tratto dicirca 170 km, da Piacenza ad Imola, sulla viaEmilia confluissero sei strade transappenninicheromane così importanti, provenienti dalla Liguriae dalla Toscana, da meritare una precisa indicazio-ne pittorica su una carta stradale che dovevadescrivere tutta la viabilità dell’Impero romano.Se così fosse, dovremmo supporre che questestrade proseguivano il loro percorso anche al dilà della via Emilia in quanto la linea rossa con-tinua a seguire i corsi d’acqua anche nellaPianura Padana e di esse non abbiamo notizieda altre fonti storiche. Si può notare infattinella porzione di “Tabula” da noi riprodotta acolori (foto 120), che per esempio, il fiumePanaro, (che attraversa Castelfranco Emilia,l’antica “Forum Gallorum”) il fiume Reno, checosteggia “Bononia” ed il fiume Idice (Isex)che passa a pochi chilometri da Claterna,hanno la riga rossa che li accompagna anche anord della via Emilia. Ci sarebbe stato quindiun intreccio di strade consolari del tutto ingiu-stificato in un territorio così piccolo.Certo è che Gottarelli ha avuto il merito diaffrontare un problema interpretativo di un aspet-to pittorico della “Tabula” che era stato trascura-to, ma riteniamo che sia giunto a conclusioni nonconvincenti. Egli infatti per sostenere che ilsegno rosso contiguo a quello verde, rappresentauna strada, ha elevato arbitrariamente ad impor-tanza consolare tutti questi segni rossi. Invece levere strade consolari sono segnate inequivocabil-mente con linee rosse rettilinee e ad angoli retti.Da queste considerazioni di carattere generaleil Gottarelli, poi, trae motivo per concludereche la linea rossa che costeggia il fiume Idicerappresenta una strada consolare e cioè la stra-da costruita da C. Flaminio.

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(72) A. BOSIO 1983, pag. 61.(73) ANTONIO GOTTARELLI: La Tabula Peutingeriana e i collegamenti stradali tra la VII e la VIII regio, in “ il

Carrobbio” XVIII, 1992, pag. 233.

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È evidente qui il suo vizio di ragionamento conl’inversione dell’onere della prova: prima siavvale dell’ipotesi (che invece è la tesi da pro-vare) che la Flaminia Minore percorreva lavalle dell’Idice per dimostrare che tutte le lineerosse discendenti dall’Appennino (propriocome quella che costeggia l’Idice) rappresenta-no strade consolari, poi, dando per certo ciò, faintendere che anche il segno rosso che fian-cheggia questo fiume, rappresentando una stra-da consolare, costituirebbe un’autorevole provadocumentale che il percorso tracciato da C.Flaminio passava in quella valle. Egli infattiscrive, a proposito della linea rossa contigua alfiume Idice: “Isex fl (Idice). Linea rossa cheaccompagna il corso del fl(uvius) Isex (Idice),immediatamente a monte della stazione stra-dale Isex fl. Sul versante di destra della valledell’Idice (spartiacque Idice-Sillaro) si ipotiz-za il passaggio della Bononia-Arretium, dettanel medioevo via Flaminia … Il significato iti-nerario nel bordo rosso che si accompagna alcorso di alcuni fiumi sembra dunque trovareimportanti elementi di riscontro nel sistemadei collegamenti stradali di età romana delBolognese. ”74.È palese lo sforzo interpretativo del Gottarelli,che tende a portare anche qui un contributo

indiziario in favore del percorso della FlaminiaMinore senza, peraltro, essere convincente.Sulla stessa linea di pensiero dell’Alfieri e delGottarelli si è schierato Dall’Aglio in relazio-ne al significato della linea rossa che costeg-gia il corso del fiume Idice nella “TabulaPeutingeriana”.Anche per lui quella linea rossa sta ad indicare ilpercorso della strada costruita da Caio Flaminiosulla dorsale tra l’Idice ed il Sillaro. A tal pro-posito così si esprime: “… Per tutti questi moti-vi, riteniamo che a tutt’oggi l’ipotesi ricostrutti-va a suo tempo avanzata dall’Alfieri sia ancorala più valida e quindi si debba ritenere che la viaFlaminia <minore> risalisse la valle dell’Idice,corrispondendo così a quella strada rappresen-tata dalla Tabula Peutingeriana con una linearossa disegnata accanto a quella azzurra cheindica l’Isex fiume …”75.Egli non ha affrontato specificamente questoproblema interpretativo e si è allineato all’opi-nione di Alfieri e Gottarelli senza dare una giu-stificazione propria. Se avesse invece ben esa-minato la “Tabula” avrebbe potuto facilmentetrarre le conclusioni alle quali siamo pervenutinoi riconoscendo l’assoluta improponibilitàprobatoria di quella linea rossa come testimo-nianza del percorso della Flaminia Minore.

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(74) A. GOTTARELLI 1992, pagg. 233 e 239.(75) P. L. DALL’AGLIO 1990, pag. 43.

CONCLUSIONI

Abbiamo iniziato questo studio con lo scopodi analizzare attentamente gli indizi portatia sostegno della Flaminia Minore. Ci siamoimposti di fare una valutazione obiettiva e sere-na che prescindesse sia dall’influenza che pote-vano avere su di noi le scoperte fatte sulla dor-sale fra i torrenti Savena e Setta-Sambro ed alpasso della Futa, sia dall’influenza che potevaavere avuto sui discepoli dell’Alfieri la volontàdi portare comunque un contributo positivo allasua teoria. Nell’analizzare questi indizi ci siamocomunque convinti che non si sarebbe potutigiungere alla conclusione di riconoscere come

provata l’esistenza della strada di Flaminio suquella dorsale.Una doverosa critica deve essere fatta quando èstata “forzata” la interpretazione dei singoli reper-ti, o documenti, indirizzandoli verso lo scopodesiderato. Infatti non si possono ragionevolmen-te considerare indizi della presenza di una stradaconsolare il semplice ritrovamento di embrici omattoni romani (P.L. Dall’Aglio); così come nonsi può sostenere che il tracciato abbia deviato daMonterenzio Vecchia a Bologna (attraversandoinutilmente tre colline e due corsi d’acqua) sol-tanto per salvare il percorso montano della

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Flaminia Minore e, contemporaneamente, rispet-tare il racconto liviano (A. Gottarelli); né si puòipotizzare (come sostenuto dalla Foschi) che esi-stesse una strada consolare romana di collega-mento fra due conventi dell’XI secolo (cioè 1300anni dopo) distanti più di 100 chilometri negliopposti versanti dell’Appennino, soltanto perchéappartenevano allo stesso ordine religioso.È evidente poi che non è stata tenuta presenteuna visione complessiva della possibile viabili-tà antica transappenninica in rapporto all’anda-mento delle diverse dorsali disponibili per igenieri romani. Così sotto questo aspetto iseguaci della teoria dell’Alfieri non hanno valu-tato negativamente il tracciato della FlaminiaMinore, ed invece, positivamente l’altro traccia-to che valica comodamente l’Appennino al pas-so della Futa (c. d. Flaminia Militare). Comunque questi ricercatori dovevano almenoriconsiderare la loro ipotesi76 dopo che, nel 1989,abbiamo stampato il nostro libro77 e presentato alnoto Convegno78 i risultati concreti delle nostrericerche sul campo, pubblicando anche unamonografia di puntuale critica alla loro tesi79.Nonostante ciò, hanno continuato a sostenere iltracciato della Flaminia Minore, sia contro ladimostrata inesistenza di quel percorso, sia con-tro i documentati ritrovamenti del vero traccia-to della strada di C. Flaminio sulla dorsale traSavena e Setta-Sambro ed al passo della Futa.A questo punto delle ricerche, e dopo oltre 30anni dai nostri primi rinvenimenti archeologi-ci, resi noti a tutti, facciamo fatica a giustifi-care coloro (pochi per la verità) che continua-no a scrivere che i basolati da noi portati allaluce appartengono ad una “mulattiera” medio-evale, rinascimentale o addirittura moderna; ècome se noi sostenessimo che la necropoli dimonte Bibele, non è celtica, ma è un cimiterodi caduti tedeschi della guerra 1940-1945!!

Ed ancora come si può scrivere nel dicembre2005, che: “… Nulla aggiunge, per quantoriguarda la via Flaminia Minore, la recenteopera di C. Agostini F. Santi “La strada Bologna-Fiesole del II secolo a.C.”, Bologna 2000, dove siripetono concetti ed impostazioni a nostro avvi-so non condivisibili a livello metodologico”80.Affermare che “nulla aggiungono” i nostri rin-venimenti archeologici, i nostri studi e le nostreargomentazioni al problema della individuazio-ne del percorso seguito da C. Flaminio, signifi-ca considerare tutto quanto da noi fatto e scrittocome vano e senza alcun fondamento, del tuttoinutile ai fini del chiarimento di questo misterodi topografia antica.Siamo stati accusati di avere seguito una “meto-dologia” sbagliata.Ed allora ci domandiamo se è una metodologiasbagliata, dopo avere studiato attentamente ilpercorso più attendibile, andare a scavare conpiccone e badile nei boschi incontaminati delvalico appenninico, riportando alla luce unbasolato sicuramente romano per una conti-nuità di 11 km, a riprova archeologica dell’esi-stenza di quella strada proprio sulla dorsaleprecedentemente ipotizzata.Non si è trattato infatti di un rinvenimento for-tuito, avvenuto in occasione di uno scavo effet-tuato per altri scopi (ad es. scavi per opere agri-cole o per la costruzione di edifici, canali,fognature etc.) come capita nella maggioranzadei casi. I nostri rinvenimenti sono la inconfuta-bile conferma archeologica delle attese che ave-vamo, dopo avere studiato la storia, l’orografiaappenninica ed i principi costruttivi degli itine-rari privilegiati dai Romani. Per questo motivola nostra scoperta ha un valore aggiunto rispet-to a quelle fortuite; essa costituisce “in re ipsa”la prova archeologica proprio dell’esistenza diquella strada ricercata.

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(76) A questo proposito desideriamo invece esprimere la nostra stima nei confronti di Giovanni Uggeri che ha poi rico-nosciuto la validità del percorso della Flaminia Militare.

(77) C. AGOSTINI – V. DI CESARE -F. SANTI 1989.(78) C. AGOSTINI – F. SANTI: Cronistoria di una scoperta (la strada Flaminia Militare), in Atti del Convegno La via-

bilità tra Bologna e Firenze nel tempo. Problemi generali e nuove acquisizioni (1989), Costa Editore, Bologna 1992,pag. 51 e ss.

(79) C. AGOSTINI – F. SANTI: Analisi critica della Flaminia Minore, Costa Editore, Bologna 1989.(80) P. L. DALL’AGLIO: Le infrastrutture territoriali. Toponomastica e centuriazione, in Storia di Bologna, Bologna

nell’antichità, Bononia University Press, Bologna 2005: nota bibliografica a pag. 477.

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A – P. Foschi “NUETER – STORIA, TRADIZIONE E AMBIENTE DELL’ALTA VALLE DEL RENO”.Porretta Terme, dicembre 1987, n° 2, nota a pag. 53.

Quindi, i basolati del passo della Futa sarebbero “moderni” e non sono romani perché costruiti conpietra arenaria locale (!), facendosi intendere che se la strada l’avesse costruita C. Flaminio l’avreb-be pavimentata con basoli di trachite prelevati dai Colli Euganei a 130 km di distanza, mentre è bennoto che i Romani utilizzavano, ovviamente, sempre il materiale idoneo che trovavano in loco; pernon ricordare, poi, che nel 187 a.C. i Colli Euganei erano in territorio “straniero”, anche se i Venetisono stati tradizionalmente alleati con Roma.

“NOTA – dopo avere visto personalmente tratti della strada, ne èuscita confermata l’impressione che si tratti di un manufatto moder-no, in quanto essa è costruita in arenaria locale, in lastre di formairregolare e spesso bislunga, delimitata ai bordi da lastre dispostecon i lati corti verso l’esterno, a formare un rinforzo di contenimen-to. Si può facilmente notare l’estrema somiglianza con strade sicura-mente moderne.Le strade romane di “Bononia”, in bàsoli poligonali relativamenteregolari di trachite d’importazione, profondamente segnate dalle ruotedei carri, sono manufatti di un tipo assolutamente diverso, come chiun-que può constatare esaminandone i resti messi in evidenza in vari luo-ghi della città (sottopassaggio di piazza Nettuno, Palazzo Lupari inStrada Maggiore, sotterranei dell’Hotel Baglioni, ecc.)”.

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POSTILLA

ALCUNE CRITICHE AI NOSTRI STUDIED ALLE NOSTRE CONCLUSIONI

Al termine di questo nostro studio, riportiamo qui conserena obiettività alcune opinioni contrarie ed alcunecritiche alle nostre scoperte archeologiche e, più ingenerale, alle nostre conclusioni, affinché si possa valu-tare la loro fondatezza o meno a confronto con le nostreosservazioni.

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B – P. Foschi “FLAMINIA “MINORE” E VIA DELLO STALE, DUE STRADE FRA BOLOGNA ELA TOSCANA”, il Carrobbio, anno 1988, XIV. Edizione Luigi Parma, Bologna, pag. 162:

Da queste parole si evince che, già nel 1988, erano considerate “inaccettabili” le nostre ipotesi e siproponeva di dimostrarlo con documenti d’archivio. Quindi senza avere fatto verifiche in loco sul-l’attendibilità del tracciato da noi proposto e dei basolati da noi scoperti, né avere trovato documen-tazione contraria alla nostra tesi, ci si è schierati aprioristicamente a favore del percorso della“Flaminia Minore”, in totale ossequio alla linea di pensiero di Alfieri.

C – P. Foschi “FLAMINIA MINORE E VIA DELLO STALE, DUE STRADE FRA BOLOGNA E LATOSCANA”, il Carrobbio, anno 1988, XIV, Edizione Luigi Parma, Bologna, pag. 175.

Si dimostra qui di non avere capito che la mulattiera percorsa fino all’età moderna ha un propriotracciato distinto dalla strada romana, anche se lo ha sostanzialmente ricalcato, perché il più como-do per attraversare l’Appennino. Inoltre si trascura di valutare correttamente l’influenza degli agen-ti atmosferici nella formazione della sedimentazione su una strada di montagna e di crinale con fortipendii; va osservato, appunto, che nei tratti di maggiore pendenza la pioggia e la neve hanno dis-solto l’annuale sedimentazione di foglie e di terriccio, lasciando in rare posizioni perennemente insuperficie, e quindi in evidenza, parte della sua pavimentazione. Al contrario, nei tratti di minorependenza, abbiamo rinvenuto il basolato in media sotto 60 – 70 cm di terreno ed in alcuni casianche 120 cm; se si considera che la strada segue quasi sempre la sommità del crinale, si può facil-mente comprendere che un tale spessore di sedimentazione giustifica attendibilmente un decorso dioltre 1500 anni.

“Non si può dunque accettare l’affermazione degli scopritori del sel-ciato di m. Bastione che questo era coperto da un tale strato di terrada risalire certamente ad un’età molto antica: questa via selciata erapercorsa certamente fino al 1881 e molto probabilmente fino all’iniziodel nostro secolo. D’altronde, basta osservare lo strato di foglie che siaccumula su di essa ogni autunno per calcolare agevolmente che unostrato di terra che in alcuni punti si assottiglia fino a lasciare scoper-to il lastricato si può benissimo formare in un’ottantina d’anni e noncerto in 20 secoli”.

“Tale ricerca mi ha portato a riconsiderare il tema dei collegamentifra Bologna e Firenze lungo la valle del Savena fra l’età imperialeromana, il Medioevo e l’età Moderna; riconoscendone la peculiaritàe la distinzione nettissima dalla Bologna-Arezzo di Flaminio. Ancheper questo tema ho preso in considerazione documenti d’archivioappartenenti ad un arco temporale molto ampio, fra alto Medioevo eXIX secolo, tentando per prima cosa di sgombrare il campo dalle partiinaccettabili delle ipotesi avanzate dagli scopritori del selciato di m.Bastione”.

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Foto n° 123M. Poggione. Il basolato romano riemerge sotto una sedimentazione di ben 120 cm a testimonianza di oltre1500 anni di abbandono.

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D – P. Foschi “LA VIABILITÀ MEDIEVALE TRA BOLOGNA E FIRENZE” in “Atti del Convegnosulla viabilità tra Bologna e Firenze nel tempo”, Costa Editore, Bologna 1992, pagg. 132 – 133.

Lasciamo alle due fotografie messe a confronto il giudizio su queste argomentazioni tendenti adegradare il basolato romano al livello di una massicciata sconnessa che si trova, peraltro, lonta-no dalla direttrice di crinale. Non è verosimile che i basolati da noi portati alla luce siano staticostruiti “in età moderna” dai pochi e sparuti abitanti di quella montagna “per esigenze dellapopolazione locale”.Con queste affermazioni si dimostra di non conoscere le condizioni di vita e della viabilità di queiluoghi, non soltanto nel Medioevo, ma neppure fino all’Età Moderna. Non si sa, per esempio, che fino al 1930 gli abitanti delle frazioni di Castel dell’Alpi, Madonna deiFornelli, S. Benedetto Val di Sambro e Ripoli si potevano collegare all’unica strada carrozzabiletransappenninica che arrivava a Bologna passando da Monghidoro, con mulattiere percorribili sol-tanto a piedi od a dorso di quadrupedi1. E quando avevano necessità di trasportare merce pesante siservivano di un rudimentale veicolo a slitta (chiamato “treggia”), trainato da mucche o da buoi, perpotere superare gli ostacoli costituiti da pietre grosse e sconnesse esistenti nella mulattiera ridottaormai ad un fossato. Su queste mulattiere, infatti, anche i piccoli veicoli, se a ruote, non riuscivanoa transitare.Se la Foschi si fosse documentata su quelle precarie condizioni di viabilità (ed anche ben peggiorisul valico appenninico) non avrebbe irragionevolmente attribuito all’opera di 20 – 30 famiglie delleisolate case nell’alta valle del Savena la realizzazione di 11 km di una strada basolata, costruita a per-fetta regola d’arte, larga m 2,40, che ha comportato la posa di ben 275.000 quintali di pietre di are-naria opportunamente sagomate.

“Il ritrovamento di tratti del selciato presso m. Bastione non può inve-ce essere riferito ad un’epoca antica, sia per l’assoluta mancanza dimateriali datanti in maniera inconfutabile il manufatto, sia per il ritro-vamento di un selciato identico ad esso per tecnica costruttiva e mate-riale usato, ma con direzione ad esso perpendicolare, cioè da monte avalle, e precisamente da Monte Luario a Fonte Ghirello. Anche questamulattiera è pavimentata in lastre di arenaria locale ed ha i bordi for-mati da lastre poste di coltello; la sua larghezza è del tutto simile alselciato di m. Bastione, ma la sua direzione verso una sorgente è con-gruente con una mulattiera di età moderna nata per le esigenze dellepopolazioni locali. Di conseguenza il moltiplicarsi nello stesso luogodi selciati uguali esclude per essi l’origine romana e in particolareavalla l’ipotesi che la strada di m. Bastione sia effettivamente lamulattiera che da Bologna per Monzuno conduceva a Barberino delMugello e Firenze, come ho già proposto in altra occasione.”

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(1) Infatti la prima strada carrozzabile di collegamento fra queste frazioni con Monghidoro e con la stazione ferrovia-ria di San Benedetto Val di Sambro è stata inaugurata nell’anno 1931.

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E – P. Foschi “NUOVE SCOPERTE DOCUMENTARIE PER LA VIA FLAMINIA MINORE” in “Attie Memorie”, Deputazione di Storia patria per le province di Bologna, Vol. XLV, anno accade-mico 1994, Bologna 1995, pagg. 300 – 301.

Del tutto improponibile è l’esplicito confronto fra la mulattiera (peraltro inesistente) che collegaMonte Luario alla fonte del Ghirello con il basolato di m. Bastione, allo scopo di suggerire al letto-re l’idea che l’imponente opera stradale basolata sia stata costruita dagli abitanti di quei luoghi pernon impantanarsi quando andavano ad attingere l’acqua alle sorgent i !

“Per di più una ricognizione fatta nella zona portò a scoprire nellevicinanze di m. Bastione, e più precisamente dal Monte Luario giù finoa Fonte Ghirello, una mulattiera selciata identica a quella vicina dicrinale: stesse lastre di arenaria, stesso cordolo esterno fatto di lastremesse di coltello e non di piatto, stessa lunghezza, ma uno scopo benpreciso e tutto locale: raggiungere la fonte senza impantanarsi”.

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Foto n° 124Fotografia e didascalia tratte dall’articolo della P.Foschi pubblicato in “Atti del Convegno sulla viabi-lità tra Bologna e Firenze nel tempo”. CostaEditore, Bologna 1992, pag. 137.

Foto n° 125La strada romana al m. Poggione. È evidente l’enor-me differenza di questa pavimentazione con quelladella mulattiera vicino alla fonte del Ghirello (qui afianco) pubblicata dalla P. Foschi che sostiene essereuguale a quella di crinale, cioè al basolato romano.

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Non si possono fare confronti con le due opere stradali poiché “la fantastica strada” Monte Luario –Fonte Ghirello non esiste e non è mai esistita.Monte Luario si trova sullo spartiacque tra l’alto corso del torrente Savena ed il fiume Setta, che inquel tratto si chiama Gambellato. L’altro capolinea, la Fonte Ghirello, è posto quasi sul crinale tra ilSavena ed il Santerno; sarebbe quindi stato necessario un ponte sul Savena.Sul Monte Luario non è mai esistito un villaggio né nell’antichità, né nell’età moderna; ora ci sonosoltanto due case coloniche nel versante ovest, la “Faggeta” ed il “Capannone”, entrambe fornite divicine sorgenti ricche di acqua anche in estate.In merito alla fotografia allegata al suo articolo (foto 124), dobbiamo doverosamente precisare cheil sentiero si trova sulle ultime propaggini di Monte Freddi e corre parallelo al Savena, alle volte sel-ciato malamente, altre volte solo sterrato, dentro al territorio della grande riserva di caccia dei NobiliBaldi Delle Rose. Detto sentiero termina poche centinaia di metri più a sud fino ad un laghetto edalle macerie di una casa.Chiarito ciò, è evidente che in questo scritto si vuole dare una informazione volutamente inesatta,all’unico scopo di svalorizzare i basolati della Flaminia Militare, ingannando l’ignaro lettore chemolto probabilmente non ha mai visto l’alta valle del Savena.Volendo escludere l’intenzione mendace, emerge comunque l’inconsapevolezza che in questi luoghi lecase sono state costruite vicino alle sorgenti, peraltro numerosissime, copiose e perenni e, quindi, dicomoda utilizzazione da parte degli abitanti senza dovere costruire lunghe e costosissime “mulattiere”selciate. Non si è neppure pensato che i costi di costruzione di questa strada basolata sarebbero stati cosìelevati che gli abitanti di quei luoghi, risparmiandoli, avrebbero potuto vivere di rendita per sempre.Ed allora valeva la pena rinunciare ad una millenaria agiatezza per andare alla vicina sorgente senzabagnarsi alle volte i piedi? Problema che, peraltro, potevano facilmente risolvere gettando nelle rareposizioni fangose alcune grosse pietre che ne facilitassero l’attraversamento. Aggiungasi poi che gliundici chilometri della strada basolata si snodano a cavallo del passo della Futa, ove non sono maiesistite abitazioni; è evidente quindi la sua importante funzione di collegamento transappenninicodei due versanti emiliano e toscano.

F – P. Foschi “LA VIABILITÀ MEDIEVALE TRA BOLOGNA E FIRENZE” in “Atti del Convegnosulla viabilità tra Bologna e Firenze nel tempo”, Costa Editore, Bologna, 1992, pag. 136.

Queste affermazioni trovano puntuale smentita nel paragrafo 7° del capitolo IX (in Appendice), alquale facciamo rinvio.

“Queste altre numerose e inequivocabili attestazioni dimostrano anco-ra una volta, se ce ne fosse stato bisogno, che la strada [la FlaminiaMinore] correva sul crinale fra Idice e Sillaro, … da Castel de’ Brittial passo della Raticosa, senza soluzione di continuità né temporale néspaziale. Né vale inventare improbabili mulattiere trasversali, chebisognerebbe ammetterne numerose, lungo tutta la valle e tutte chia-mate con lo stesso nome di Fiamenga; né vale congetturare artificio-samente che la strada non abbia preso il nome dal console che la trac-ciò per esplicita affermazione di T. Livio … . Le fonti parlano chiaro euna quantità impressionante di documenti storici indica oggi concor-demente la via Flaminia “minore” sul crinale orientale dell’Idice;altri argomenti mi sembrano vani e pretestuosi”.

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G – P. Foschi “LA VIABILITÀ MEDIEVALE TRA BOLOGNA E FIRENZE” in “Atti del Convegno sullaviabilità tra Bologna e Firenze nel tempo”. Costa Editore, Bologna, 1992, pag. 147, nota 78.

La Foschi si riferisce qui alla monografia da noi pubblicata nel 1989 che porta il titolo: “Analisi cri-tica della Flaminia Minore”, Studio Costa editore, Bologna, 1989. Questo gratuito e perentorio commento alle nostre analisi critiche ha trovato oggi nel capitolo IX inAppendice una puntuale ed esauriente smentita scientificamente e razionalmente argomentata.

H – P. Foschi “UNA NUOVA TAPPA DI STUDI SULLA VIA FLAMINIA MINORE” in il Carrobbio,Patron Editore, Bologna 2003, XXIX, pag. 35, nota 18.

Rileviamo con piacere che tre anni dopo la nostra pubblicazione del 2000 sono state rettificate le cri-tiche alla nostra ipotesi, riconoscendo che il percorso da noi proposto è stato tracciato dai Romani;però inspiegabilmente si continua a sostenere che la pavimentazione della strada non è di ascendenza

“Oggi le ricerche compiute dagli scopritori della strada di m. Bastionesono state da loro sintetizzate e illustrate in un volume: F. Santi – C.Agostini “La strada Bologna-Fiesole del II secolo a.C. (FlaminiaMilitare). Storie e testimonianze archeologiche di una ricercasull’Appennino tosco-emiliano”, Bologna 2000. Occorre dire che losforzo di sistemazione e organizzazione necessario per l’elaborazionedel volume ha giovato anche all’approfondimento della ricerca, rispet-to ai primi tentativi citati; anche la critica esercitata dalla comunitàscientifica in questi anni (di cui gli Autori hanno fatto tesoro, anche setaciuta del tutto) ha permesso agli Autori di aggiustare il tiro, di correg-gere o abbandonare molte affermazioni avventate, di precisare e giusti-ficare meglio le ipotesi; tuttavia, se resta molto probabile l’attribuzioneall’età romana della direttrice di traffico, come si è detto nel testo, nonsi può ancora condividere l’ipotesi che il selciato ritrovato sia romano eche la strada così delineata sia la Flaminia del 187 a.C., con qualunquenome la si voglia chiamare, minore, secunda o militare”.

“Il recente volume di AGOSTINI-SANTI 1989, dimostrando almenotanta presunzione quanta incompetenza, si accontenta di isolare ipunti più deboli della teoria, pretendendo di confutarli con un siste-matico travisamento delle fonti e della bibliografia; d’altro cantoignora volutamente le numerose prove, alcune definitive, a sostegnodella teoria stessa. Un procedimento di questo tipo, assolutamenteinaccettabile in ambiente scientifico, dimostra anche, a mio parere,l’assoluta parzialità degli Autori che, pur di osteggiare ad ogni costola teoria, inventano risibili ipotesi presentate come certezze assodate.Un testo così smaccatamente “a tesi” non merita neppure una confu-tazione puntuale”.

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romana e tanto meno attribuibile a C. Flaminio. In sostanza, secondo la Foschi, i Romani avrebberotracciato il percorso transappenninico, ma non avrebbero posato i basoli di arenaria, lasciando aiposteri questo compito, in palese contrasto con la loro ben nota tecnica costruttiva delle strade. A tantosi arriva pur di non riconoscerne la paternità a C. Flaminio perché ciò escluderebbe di fatto l’esisten-za del tracciato della Flaminia Minore.

I – P. L. Dall’Aglio “LE INFRASTRUTTURE TERRITORIALI. TOPONOMASTICA E CENTURIA-ZIONE”, in “Storia di Bologna – Bologna nell’antichità”, Bononia University Press, dicembre2005, pagg. 464-465.

Su questo specifico argomento vedasi il paragrafo 4° del capitolo IX in Appendice.

L – M. Destro “LA FLAMINIA MINORE ED I COLLEGAMENTI TRA BOLOGNA EFIRENZE” in “La linea e la rete – Formazione storica del sistema stradale in Emilia-Romagna”,Touring Club Italiano, Milano 2006, pag. 252.

In questo articolo l’Autore si è limitato a riportare in modo succinto ed incompleto le opinioni deglistudiosi che nei decenni precedenti avevano tentato di provare l’attendibilità del tracciato della

“In conclusione, non sembra che la strada di monte Bastione rinvenu-ta sul terreno, sia una strada romana, né tantomeno quella tracciatada Gaio Flaminio, anche se in parte può avere ricalcato il tracciato diuna via antica testimoniata dai toponimi miliari citati. Con ciò, è beneribadirlo, non si toglie nulla all’importanza delle ricerche condotte;dal punto di vista storico avere riportato alla luce una strada di etàrinascimentale o moderna dimenticata non ha certo minor valore del-l’aver scoperto una strada romana”.

“Un altro asse citato dalle fonti letterarie che aveva in Bologna il pro-prio capolinea era la c.d. via Flaminia “minore”… . La mancanza diqualsiasi indicazione nelle fonti itinerarie ha fatto sì che siano statiproposti diversi tracciati. Secondo la tradizione degli studi bolognesila via consolare doveva risalire la valle del Reno mentre più recente-mente il ritrovamento di un lungo tratto di strada lastricata ha fattosupporre ad alcuni studiosi locali che la via Flaminia minore seguis-se la direttrice Bologna - Firenze per la valle del Savena. In realtà glistudi di Nereo Alfieri hanno ampiamente dimostrato come la viaFlaminia minore non passasse per la zona di Firenze, ma puntassedirettamente su Arezzo attraverso il Mugello, dove arrivava percor-rendo il crinale tra Idice e Sillaro e la testata di valle del Santerno,…”.

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Flaminia Minore. Si tratta di una sintesi piatta e lacunosa, che non merita alcuna attenzione se nonla sottolineatura della sua frase conclusiva ove, con ironica benevolenza, ci attribuisce comunque ilmerito di avere scoperto una strada dimenticata anche se è rinascimentale o moderna!

M – P. L. Dall’Aglio “UN NUOVO DOCUMENTO SULLA VIA FLAMINIA MINORE” in OCNUS,16, 2008, pag. 125.

Dunque, secondo questo studioso sostenitore della Flaminia Minore, una strada romana esisteva daBologna alla Toscana sulla dorsale sinistra del Savena, ma non era stata costruita da C. Flaminio,bensì in un’epoca posteriore di 150 anni attribuendo a questa epoca la costruzione dei basolati da noiriportati alla luce.Quindi il console romano non avrebbe seguito la strada già esistente tra Bologna e Fiesole (comericonosce lo stesso studioso), ma avrebbe scelto un nuovo percorso, totalmente contrario ai principiseguiti dai Romani nella costruzione delle strade.Ci sorprende che ancora nel 2008, pur di non fare naufragare nell’immaginario la Flaminia Minore,si tenti di spostare la data di costruzione della transappenninica della Futa di 150 anni, senza avereperaltro alcuna notizia diretta od indiretta di tale costruzione alla fine del I secolo a.C.

“… I collegamenti tra Bologna e Firenze, che indubbiamente esisteva-no già prima della fondazione della colonia di Bononia, verrannosistemati dai Romani solo dopo la definitiva sconfitta dei Liguri e lanascita di “Florentia”. La strada per la valle del Savena, a cui posso-no appartenere i tratti di massicciata scoperti fino ad oggi, sembra piùverosimilmente pertinente a questa seconda fase e nulla ha a che vede-re con la Flaminia minore del 187 a.C. …”.

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