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La storiografia, i luoghi della ricerca, le fonti La storiogra/ia Per molto tempo - dall'Unità ai primi decenni del XX secolo -la ri- cerca e il dibattito storiografico si sono intrecciati profondamente col discorso pubblico sul Risorgimento, affidato a giornalisti, intel- lettualifreelance, politici. La conoscenza storiografica ha così fatto passiavanti, quando li ha fatti, in un tortuoso percorso nel quale an- chegli storici si sono trovati più volte impegnati nelle vesti di opin- ion makers che formano il senso comune sull'esperienza risorgimen- tale abeneficiodell'opinionepubblicadeilettoridigiornali,di rivi- steo di biografie. È accaduto allora qualcosa di molto simile a quel- lo che capita adesso per la discussione intorno ai totalitarismi del Novecento, o intorno alla storia dell'Italia repubblicana: la richiesta del giudizio etico-politico (chi ha ragione? chi è il carnefice, chi la vittima?quale ideologia è buona, quale è nefasta?) prevale di gran lunga sul desiderio di conoscere e di capire il comportamento di donne e uomini che hanno vissuto nel passato, spesso secondo cul- turee ideologie - nonostante tutte le apparenze o le somiglianze lin- guistiche- assai diverse da quelle che ci sono familiari. Non sorprende che anche per il Risorgimento sia stato così: quel- loè stato il processo fondativo di uno stato nuovo, un processo alta- menteconflittuale, per di più. E come sempre in questo tipo di dina- miche,in cui le urgenze politiche si riflettono sullo studio del passa- to,anche per il Risorgimento il dibattito ha spesso rispecchiato i pro- 133

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La storiografia, i luoghi della ricerca, le fonti

La storiogra/ia

Per molto tempo - dall'Unità ai primi decenni del XX secolo -la ri-cerca e il dibattito storiografico si sono intrecciati profondamentecoldiscorso pubblico sul Risorgimento, affidato a giornalisti, intel-lettualifreelance, politici. La conoscenza storiografica ha così fattopassiavanti, quando li ha fatti, in un tortuoso percorso nel quale an-chegli storici si sono trovati più volte impegnati nelle vesti di opin-ionmakersche formano il senso comune sull'esperienza risorgimen-taleabeneficiodell'opinionepubblicadei lettoridi giornali,di rivi-steo di biografie. È accaduto allora qualcosa di molto simile a quel-lo che capita adesso per la discussione intorno ai totalitarismi delNovecento,o intorno alla storia dell'Italia repubblicana: la richiestadelgiudizio etico-politico (chi ha ragione? chi è il carnefice, chi lavittima?quale ideologia è buona, quale è nefasta?) prevale di granlunga sul desiderio di conoscere e di capire il comportamento didonnee uomini che hanno vissuto nel passato, spesso secondo cul-turee ideologie - nonostante tutte le apparenze o le somiglianze lin-guistiche- assai diverse da quelle che ci sono familiari.

Non sorprende che anche per il Risorgimento sia stato così: quel-loè stato il processo fondativo di uno stato nuovo, un processo alta-menteconflittuale, per di più. E come sempre in questo tipo di dina-miche,in cui le urgenze politiche si riflettono sullo studio del passa-to,anche per il Risorgimento il dibattito ha spesso rispecchiato i pro-

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filidelle fratture politiche che - in quella o in quell'altra fase- hannoanimato la discussioneo il conflitto. E così, con varie scansionicro-nologiche,le ricerche e le interpretazioni a confronto hanno misura-to il rilievo dei diversi «partiti» risorgimentalinella costruzione delRegno d'Italia, per cui a storici sabaudisti si sono contrapposti stori-ci filomazzinianio storici simpatetici con le ragioni dei democratici.

Ai primi del XX secolo alcune opere di impianto polemico, scrit-te da storici non professionisti, hanno tuttavia lasciato un segno piùduraturo,. per la forza dei loro suggerimenti interpretativi. Nel 1913viene pubblicata La lotta politica in Italia, di Alfredo Oriani (1852-1909),la cui prima edizione, del 1892,era passata del tutto inosser-vata; il libro ora suscita l'attenzione del grande pubblico e le simpa-tie di ambienti nazionalisti, attirandosi d'altronde un buon numerodi critiche da parte di storici professionisti. Valorizzando l'impulsonazionale come cardine dell'azione politica nel Risorgimento, Oria-ni ne critica tuttavia la traduzione operativa, perché da un lato trop-po elitaria,dall'altro costretta in un processo che ha - a suo parere -il carattere di una pura e semplice «conquista regia»: questa è unapremessa a che le nobili speranze dei grandi del Risorgimento, comeMazzini, siano dissipate in una meschina prassi amministrativa,pri-va di slanci ideali, qual è quella che - secondo lui - ha caratterizza-to i decenni postunitari.

Di taglio egualmente polemico, di scrittura brillante, ma scarsa-mente ancorati a ricostruzioni filologicamenteineccepibili, sono an-che i saggipubblicati nel primo dopoguerra da Piero Gobetti 0901-1926),Rivoluzione liberale,del 1924, e Risorgimentosenza eroi, ap-parso postumo nel 1926. Egli vi giudica il Risorgimento come una«rivoluzione fallita», incapace di laicizzare e modernizzare vera-mente il mondo mentale delle masse italiane, di portarle come sog-getti attivi sulla scena della storia. li suo stile è tranchante i suoi giu-dizi sono senza appello:

li Risorgimento italiano [,..] è la lotta di un uomo e di pochi isolaticontro la cattiva letteratura di un popolo dominato dalla miseria. La sto-ria civile della penisola pare talvolta il soliloquio di Cavour, che da unamateria ancora informe in dieci anni di diplomazia cerca di trarre gli ele-menti della vita economica moderna e i quadri dello Stato laico.

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mancavanoforze e partiti ordinati: si supplì con volontari e avventurieri.il nebuloso messianismo di Mazzini, l'entusiasmo di Garibaldi, l'enfasideitribuni furono le forze che favorirono un equilibrio provvisorio. Tut-to questoè materia incomposta e vi affiorano i più profondi vizi della raz-za:una direzione si deve a Cavour. Egli è lo spirito provvidenziale, l'ori-ginalitàdel Risorgimento.

I giudizi. di valore dominano nei suoi testi, controbilanciati soloda uno stile coinvolgente e dalla freschezza e spregiudicatezza dellevalutazioni.

A fronte di lavori di questo genere, tuttavia, negli stessi anni si fastrada anche un diverso tipo di storiografia, più attenta alla cura del-la ricostruzione documentaria, fino ad arrivare al perfezionismo eru-dito, ma capace anche - negli esempi migliori - di non perdere il filodell'interpretazione complessiva della dinamica storica ottocentesca.Tra fine Ottocento e inizio Novecento tale processo è favorito dallanascita di istituzioni culturali specializzate nel coltivare e promuove-re studi ed edizioni di fonti relative alla storia risorgimentale. Nel1883vienefondato l'Istituto storico italiano a Roma; nel 1895 inizialesue pubblicazioni la «Rivista storica del risorgimento italiano»; nel1907si costituiscela Società nazionale per la storia del Risorgimen-to, che dal 1908 pubblica una sua rivista, «TIRisorgimento Italiano».

Tuttavia, la grande stagione della storiografia risorgimentista èaperta veramente dal lavoro di quattro intellettuali di grande statu-ra,molto diversi tra loro per interessi storiografici e sensibilità poli-tica,non specializzati nello studio del Risorgimento, ma (forse ancheper questo, cioè per l'ampiezza degli orizzonti problematici che san-no affrontare nel loro lavoro) tutti capaci di svolgere un magisterometodologico e spirituale di grande rilievo, che si fa sentire a lungosulleseguenti generazioni di risorgimentisti: mi riferisco a Benedet-to Croce (1866-1952), a Gaetano Salvemini (1873-1957), a Giovan-ni Gentile (1875-1944) e a Gioacchino Volpe (1876-1971).

Fin dai primi del Novecento Croce pubblica alcune importantiopere storiche più direttamente dedicate alla vicenda risorgimenta-le, che si ricorderanno più avanti nella sezione bibliografica, perchémeritevoli di essere tutt' oggi considerate parte della più viva elabo-razione storiografica. Ma è anche autore di due lavori storici di va-sto respiro, che fissano in forma sintetica la sua ricostruzione e il suogiudizio sulle vicende della storia dell'Italia liberale e dell'Ottocen-

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to europeo: la Storia d'Italia dal 1871 al 1915, del 1928, e la Storiad'Europa nel secolo decimonono, del 1932. In quest'ultimo lavoro, inparticolare, l'esperienza risorgimentale è collocata nel contesto del-la più generale storia dell'Europa ottocentesca, che Croce ritiene ca-ratterizzata dall'affermazione di una vera e propria «religione dellalibertà»:.

Alla fine dell'avventura napoleonica - così l'incipit del libro - L.,] intutti i popoli si accendevano speranze e si levavano richieste d'indipen-denza e di libertà. L..] Erano in Germania, in Italia, in Polonia, nel Bel-gio, in Grecia e nelle lontane colonie dell'America latina, sforzi e moti dioppresse nazioni contro dominatori e tutori stranieri [...].Erano, in que-gli stessi e in altri popoli, bisogni di garanzie giuridiche, di partecipazio-ne all'amministrazione e al governo mercé istituzioni rappresentativenuove o rinnovate, di varia associazione tra i cittadini per particolari finieconomici, sociali e politici, di aperta discussione delle idee e degli inte-ressi mercé della stampa, di «costituzioni», come allora si diceva.

li processo di unificazione va - a suo parere - inserito in questoquadro; e se il movimento risorgimentale è evidentemente spaccatoin varie anime contrapposte (democratici-repubblicani vs. liberal-monarchici), «nella realtà, l'un partito non abbatteva né diradicaval'altro, e piuttosto ne compieva le manchevolezze». Sulla base diqueste premesse, Croce può offrire una valutazione totalmente po-sitivadell'unificazione come processo puramente liberale:

Se per la storia politica si potesse parlare di capolavori come per leopere dell'arte, il processo della indipendenza, libertà e unità d'Italia me-riterebbe di essere detto il capolavoro dei movimenti liberai-nazionali delsecolo decimonono: tanto ammirevole si vide in esso la contemperanzadei vari elementi, il rispetto all'antico e l'innovare profondo, la prudenzasagace degli uomini di stato e l'impeto dei rivoluzionari e dei volontari,l'ardimento e la moderazione; tanto flessibile e coerente la logicità ondesi svolse e pervenne al suo fine.

Un giudizio che, come si vede, si distanzia moltissimo dal pigliotormentato e aggressivodei suggerimenti di un Oriani (pur valoriz-zato dallo stesso Croce) o di un Gobetti.

Gaetano Salveminicompie le sue più impegnativeprove di stori-co nel campo degli studi medievali, ma non manca di occuparsi an-

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che della storia italiana dell'Ottocento. Coerentemente con le sue in-

clinazioni politiche, il suo ambito di interesse è rivolto soprattuttoallo studio delle personalità e delle forme organizzative del campodemocratico: nel 1905 pubblica Il pensiero religioso politico socialedi Giuseppe Mazzini, mentre nel 1922, all'interno di una fortunatacollana dell' editore Treves di Milano, pubblica Le più belle pagine diCarlo Cattaneo,un'antologia di scritti preceduta da una sua ampiaintroduzione, che vale a riaccendere l'interesse per l'intellettuale epolitico milanese, identificato come il portatore di una possibile- ma sfortunata - via alternativa all'unificazione regia. In questi e inaltri interventi, Salvemini invita a dedicare attenzione all'intrecciotra progetti politici e caratteri della questione sociale:

La questione sociale e il problema del socialismo - ha scritto Simo-netta Soldani al riguardo - non sono [secondo Salvemini] dei dati da cuisi possa fare astrazione nello studio del risorgimento, né è lecito con-trapporre o isolare un movimento nazionale italiano alle lotte economi-chee socialiche avevano dato il tono alla politica di altri paesi, Francia eInghilterrain particolare. Nell'incertezza con cui Mazzini usa il termine«popolo»si riflettono le sue carenze teoriche ed un'oggettiva arretratez-zaitaliana:ma vi influisce anche l'intreccio non facilmente districabile traquestionenazionale e questione sociale, che costituisce appunto il datospecificodegli eventi italiani.

Fin dall'inizio della sua attività intellettuale e filosoficaGiovanniGentilededica attenzione anche alla storia delle idee nell'Italia delRisorgimentoe ad autori chiave del periodo come Alfieri, Cuoco,Rosmini,Gioberti, Spaventa, Manzoni; tuttavia, l'interesse e le valu-tazionidi Gentile nei confronti dell'esperienza risorgimentalesipre-cisanoe si stabilizzano a partire da una sua più stringente riflessionesulpensiero di Giuseppe Mazzini (1919), nel corso della quale, fral'altro,entra anche in polemica con l'interpretazione offerta qualcheannoprima da Salvemini.Dal canto suo, Gentile insiste sull'enormeimportanza della componente religiosa del pensiero mazziniano esull'ideadi nazione che in Mazzini è - certo - definita dai fattori na-turalistici,ma che è soprattutto coscienza di sé, l'acquisizione dellaqualeè premessa indispensabile perché la nazione politicamente at-tivariescaa fondare se stessacome stato. Nel 1923Gentile raccogliei suoiscritti su Mazzini e Gioberti in un libro intitolato I profeti del

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Risorgimento italiano, dedicato «A Benito Mussolini italiano di raz-za degno di ascoltare la voce dei profeti della nuova Italia». La de-dica è indice dell'evoluzione nell'interpretazione del Risorgimentoche Gentile nel frattempo ha maturato: l'epopea risorgimentale (equella mazziniana in particolare) precorre il fascismo, in quanto en-trambi sono movimenti «religiosi», diversi dalliberalismo indivi-dualistico, di cui Cavour è, in qualche misura, espressione; se dopoil 1870è iniziata una decadenza che ha smarrito il filo della genero-sa religionedella nazione, il fascismoha raccolto l'eredità del Risor-gimento proprio per le sue componenti spirituali: «Mazzini profetadel nostro Risorgimento [è] per molteplici aspetti della sua dottrina,maestro dell'odierno fascismo».

Anche Volpe, come Croce, Salveminie Gentile, non è un risor-gimentista, essendosiformato prima della Grande Guerra come bril-lante studioso del Medioevo allalezionedella scuola economico-giu-ridica di Amedeo Crivellucci, quindi con una particolare sensibilitàper le trasformazioni economiche e sociali,oltre che per le istituzio-ni e le culture politiche. Tuttavia anch'egli, nei decenni fra le dueguerre, presta attenzione alla vicenda risorgimentale e, tanto in varisuoi scritti quanto nel capitolo introduttivo della sua fortunata sin-tesi di storia dell'Italia contemporanea, L'Italia in cammino (1927)- ripreso anche nella nuova versione del libro, Italiamoderna(1943-1952)-, suggerisce una lettura del Risorgimento come di un movi-mento che trae le sue origini dal plurisecolare «processo di creazio-ne di una borghesia non municipale ma nazionale», attraverso il qua-le, sin dal tardo Medioevo, «si veniva formando la coscienza di unpopolo italiano come spirituale unità, si venivano logorando moral-mente i piccoli Stati di origine feudale o comunale o teocratica e ma-turando la persuasione che solo nell'unità v'era scampo dall'assaltodella nuova Europa espansiva e conquistatrice»; tale dinamica - ri-tiene Volpe - giunge a una sua prima maturazione nel Settecento,«necessario punto di partenza del XIX secolo», poiché è allora checomincia a delinearsi davvero «quel vagoideale nazionale e unitario,da realizzare mediante una stretta intesa tra gli Stati della penisola».Quanto al Risorgimento in senso più proprio, egli (comeGentile) lovede come l'opera di una minoranza socialmentee politicamente va-riegata: diversamente da altri, tuttavia, Volpe (di nuovo, come Gen-tile) non attribuisce al termine «minoranza» un significatonegativo;anzi spiega che essa è piuttosto una coraggiosaavanguardia politica

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e culturale, la «vera aristocrazia morale della nazione», la cui eredità,semmai,viene smarrita, salvo poche eccezioni, dalla classe dirigentedell'età liberale, per trovare poi una sua ulteriore rinascita nellaguerra e nella «rivoluzione fascista»: questa, però, non è più operadi un' élite appassionata ma isolata dal popolo, essendo invece il mo-mento che - a suo dire - segna la «più attiva e consapevole parteci-pazione del popolo alla vita della nazione e dello Stato».

Influenzata spesso da tutti e quattro questi intellettuali, si forma- tra le due guerre - una generazione di studiosi di storia del Risor-gimento che, un po' schematicamente ma non troppo infedelmente,sipuò dividere in tre diversi gruppi, che, con originalità e nuove ac-quisizioni documentarie, sviluppano temi o suggerimenti di Croce,Salvemini,Gentile o Volpe. Da un lato, dunque, operano storici in-teressatialla storia delle idee e delle organizzazioni politiche, sensibi-li a una valutazione simpatetica dell' azione svolta dalle forze liberal-moderate: tra questi vanno ricordati Adolfo Omodeo (1889-1946),autore di numerose importanti opere, tra cui spicca L'opera politicadelconte di Cavour, del 1940; Walter Maturi (1902-1961), autore distudi significativi sull' età della Restaurazione nel Mezzogiorno d'Ita-lia, ma responsabile anche, fra altre, della bella voce Risorgimentoper l'Enciclopedia Italiana (1936); Federico Chabod (1901-1960),storico modernista, che tuttavia - come studioso e come docente -compieimportanti incursioni nella storia otto-novecentesca: per ciòche.ci riguarda, rilevanti sono tutt'oggi i volumi postumi (L'idea dinazionee Storia dell'idea d'Europa, entrambi editi nel 1961), che rac-colgonoi testi delle lezioni da lui tenute a Milano nell' anno accade-mico1943-1944 e a Roma qualche anno più tardi; e - sebbene abbiapubblicato tutte le sue opere principali nel secondo dopoguerra -RosarioRomeo (1924-1987), su cui ritorneremo tra breve.

Dall'altro lato, alcuni storici cominciano a occuparsi del movi-mento democratico o dei problemi sociali nel Risorgimento, temichetuttavia trovano ovviamente scarsissima attenzione nell' ambien-

te accademico e politico dell'Italia fascista: va segnalato, comunque,illavorosvolto in particolare da Nello Rosselli (1900-1937), che, for-matosicon Salvemini, dopo aver rintracciato le origini del socialismoitalianonei reticoli associativi mazziniani e anarchici postunitari conl'opera Mazzini e Bakounine. Dodici anni di movimento operaio inItalia(1860-1872), del 1927 , nel 1932 pubblica un importante librosuCarloPisacane nel Risorgimento italiano, lavoro che, di nuovo, si

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muove intorno al tema delle origini e dei limiti della democrazia edel socialismo risorgimentale. Al suo fianco si devono ricordare an-che gli studi di Luigi Salvatorelli (Il pensiero politico italiano dal 1700al 1870, del 1935, e Pensiero e azione del Risorgimento, del 1943) che,sebbene metodologicamente risentano della lezione idealistica e siconcentrino soprattutto sulla formazione dei sistemi ideologici,pro-pongono tuttavia una vigorosa rivalutazione del contributo dato daMazzini e dal «liberalismo radicale» (Cattaneo, Ferrari) allo svilup-po storico risorgimentale.

Infine, un nutrito gruppo di studiosi dà vita a una variegata ri-cerca storica di intonazione nazionalista e fascista sul Risorgimento;in realtà - come ricordava Gioacchino Volpe nel 1939- «di fronteal Risorgimento,come in genere di fronte al XIX secolo, il fascismo,in ispecie nei primi anni, si è posto nella posizione di critico alquan-to arcigno. Per cui, nella polemica attorno al 1924-25,liberali e de-mocratici hanno creduto di poter condannare, e fascisti esaltare, ilfascismo come "antirisorgimento"», identificando il Risorgimentocome la premessa per la fondazione dello stato liberale. E un suo ori-ginale percorso non privo di riverberi polemici nei confronti del Ri-sorgimento liberale traccia Alessandro Luzio (1857-1946), sosteni-tore di una rigorosa storiografia filologica,attenta a valorizzare an-che le ragioni dei «nemici» (quindi aperta all'esame delle carte au-striache e incline alla puntigliosa demolizione dei miti risorgimenta-li). Prevale, tuttavia, negli anni seguenti, l'incorporazione del Risor-gimento - nelle sue varie de~linazioni(mazziniana,sabaudista, gari-baldina) - all'interno di una visioneche enfatizzagli elementi di con-tinuità tra esperienza risorgimentale e «rivoluzione fascista». È inquesto contesto che per volere di Cesare Maria de Vecchi, ministrodell'Educazione nazionale, nel 1936 vengono istituite le prime cat-tedre universitarie di Storia del Risorgimento. È in questo contestoche vedono la luce i numerosi lavori di storici come Arrigo Solmi,Albano Sorbelli, Renato Soriga, Domenico Spadoni, Pietro Zama,che - depurati dei loro empiti patriottici - sono non di rado ottimeprove di ricerca, ricche di scoperte documentarie e di non sprege-voli intuizioni analitiche.

Tuttavia, nel secondo dopoguerra, quest'ultima tendenza inter-pretativa perde ogni rilievo, in concomitanza non solo col muta-mento del quadro politico-istituzionale, ma anche con quella tra-

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sformazione nella cultura politica e nella sensibilità che fa sì che gliidealinazional-patriottici, troppo strettamente associati al fascismo,subiscano un processo di radicale svalutazione. Viceversa, la pub-blicazione degli scritti di Antonio Gramsci (1891-1937), fondatoredel Partito. comunista italiano, e per questo recluso in carcere dal1926fino alla morte, e in particolare del volume Il Risorgimento(1949),che fa parte dei Quaderni del carcere, serie di appunti su ar-gomentivari stesi nel lungo periodo di detenzione, rilancia una sto-riografia attenta all'intreccio tra questioni politiche e sociali. Ric-chissimadi spunti metodologici, la riflessione gramsciana presentaanche un quadro interpretativo del Risorgimento di cui si sottoli-neanoi limiti profondi: egli lo considera una «rivoluzione passiva»,ovverouna rivoluzione nella quale le classi dirigenti non sanno o nonvoglionosuscitare «una volontà collettiva nazional-popolare»; e nelRisorgimento italiano le classi dirigenti sono quelle liberal-modera-techesi riuniscono intorno a Cavour; esse - per le debolezze e le ina-deguatezzedei democratici - impongono la soluzione monarchico-annessionista, rifiutandosi al tempo stesso di procedere a una seriariformaagraria che sola avrebbe potuto coinvolgere le masse conta-dinenel processo di unificazione. Due anni prima, peraltro, è già sta-to pubblicato Il capitalismo nelle campagne 1860-1900, di Emilio Se-reni (1907-1977), storico marxista che, indipendentemente dall' ela-borazione gramsciana, fonda la sua analisi delle strutture agrarie ita-lianesull'idea di una persistenza di «residui feudali» (cioè di sistemitradizionalidi produzione e di relazioni di lavoro a carattere pesan-temente vessatorio tra proprietari e contadini), persistenza cheavrebbelimitato la crescita economica e posto su fragili basi lo svi-luppo di un'industria e di un proletariato moderni.

Sulla scia di questi suggerimenti, negli anni seguenti si addensa-nonumerose e importanti ricerche su aspetti diversi della storia del-lecampagne e delle classi rurali. Ma, soprattutto, quella impostazio-nesuscita una dura (e molto efficace) reazione polemica di RosarioRomeo;questi, in un saggio pubblicato nel 1956 sulla rivista «Norde Sud» (La storiogra/ia politica marxista, ripubblicato in R. Romeo,Risorgimento e capitalismo, 1959), sviluppa due principali osserva-zionicritiche: da un lato, individua

nellaposizionedel Gramsci, l'errore comune a tutte le varie forme di re-visionismorisorgimentale che si sono succedute dall'Oriani al Missiroli

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al Gobetti; e che sono tutte caratterizzate dal ricorso a un astratto idealemorale e politico, al quale arbitrariamente si presume che la storia real-mente accaduta avrebbe dovuto adeguarsi, e insieme dal fondamentaleanacronismo di questo criterio di giudizio, che non nasce dalla concretastoria del tempo, ma dai più tardi problemi che allo storico si pongono;

dall' altro lato mostra, piuttosto persuasivamente, che un'ipotetica re-distribuzione delle terre ai contadini, quand'anche avesse potuto es-sere realizzata, avrebbe rischiato di essere economicamente contro-producente e di rallentare lo sviluppo economico italiano molto piùdi quanto non sia realmente avvenuto. Soprattutto la prima delle dueosservazioni ha una notevole forza, anche se nell'immediato l'atten-zione degli storici - anche economici - si concentra piuttosto sullaverifica della validità della seconda. Resta, comunque, che l'imposta-zione originaria del problema-Risorgimento, suggerita da Gramsci,anche grazie a quella discussione, perde lentamente di interesse, seb-bene continui per alcuni anni ancora a ispirare importanti lavori, co-me quelli di Candeloro, Della Peruta e altri, di cui si darà conto piùavanti.

Qualche anno dopo, nel 1964, uno storico marxista, Ernesto Ra-gionieri, si chiede se non sia il caso di parlare di «fine del Risorgi-mento», dato che negli studi recenti non si incontra più un atteggia-mento militante e partecipe agli ideali risorgimentali, com'era fre-quente in precedenza, e dato che gli studi del Risorgimento sembra-no orientarsi a considerarlo come una delle «rivoluzioni borghesi»,dopo quella inglese, americana e francese (Fine del «Risorgimento»?Alcune considerazioni sul centenario del!'unità d'Italia, ripubblicato inE. Ragionieri, Politica e amministrazione nella storia dell'Italia unita,1979). Ma lo studio della «borghesia», delle varie classi sociali attivesulla scena risorgimentale, dei loro rapporti con le ideologie, gli ap-parati statali, le dinamiche economiche è ancora ai suoi albori, per am-missione dello stesso Ragionieri. E si potrebbe aggiungere anche che,un po' paradossalmente, le aperture più interessanti e analiticamentesolide in quella direzione sono state compiute, all'epoca, da uno sto-rico non marxista, ovvero proprio Rosario Romeo, nei suoi studi Il Ri-sorgimento in Sicilia (1950) e Il Risorgimento in Piemonte (1960, poiin R. Romeo, Dal Piemonte sabaudo all'Italia liberale, 1963).

Ad ogni modo, le considerazioni di Ragionieri trovano almeno inuna certa misura delle applicazioni analitiche nella fasecompresa tra

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anniSettanta e primi anni Novanta del Novecento, in una stagionedi.studi che è stata assai ben descritta da Lucy Riall in una sua am-piarassegnabibliografica di qualche anno fa (Il Risorgimento.Storiae interpretazioni,Donzelli, Roma 1997).

Le aree di ricerca che Lucy Riall indica come le più innovative diquellastagione di studi sono quelle relative alla ricostruzione degliapparatiamministratividegli stati italiani preunitari tra 1815e 1859,allostudio della struttura sociale italiana - area nella quale ritiene sisianodistinte per numero e rilievo le ricerche sulle élite nobiliari eborghesi,da un lato, e sul conflitto e sulla devianza sociale, dall'al-tro- e all'analisidei processi di trasformazione economica, con unaparticolareattenzione alle dinamiche protoindustriali.

Tutta questa serie di studi, compiuti da storici molto diversi traloroper formazione o per sensibilità metodologica, può tuttavia es-sereraccolta da Lucy Riall, in fondo senza forzare troppo le cose,sottol'etichetta di storiografia «revisionista».

Perché «revisionista»?Proprio perché questa nuova storiografiasidifferenziada una lunga tradizione, incarnata ancora da prospererivistedi settore comela «Rassegnastorica del Risorgimento»,«li Ri-sorgimento»,o la «Rassegna storica toscana», dato che ha scelto dinon privilegiarele questioni politiche, ideologiche e organizzativedd movimentorisorgimentale - al centro dell'attenzione nella sto-riografiaprecedente -, per osservare invece le dinamiche di trasfor-mazioneeconomica, sociale o istituzionale.

In ciascuna di queste aree, con le ovvie inevitabili eccezioni, lanuovaricercastorica censita dalla Riall trascura di focalizzare la suaattenzionesui personaggi chiave del Risorgimento - da Mazzini aCavour, a Garibaldi, a chiunque altri si voglia -, così come evita diconcentrarsispecificamente su momenti cruciali della lotta risorgi-mentale.

In questo mutamento di sensibilità si devono distinguere varifattori:

a)l'influenza di correnti storiografiche di impatto più generale,chetrascendonolo specifico settore risorgimentale, ma che ad essovengonoapplicate: gli studi di storia dello stato, gli studi di micro-storiao di storia sociale,gli studi sulla protoindustria;

b) questo primo aspetto, tuttavia, non è né il solo né il più rile-vante;un altro impulso importante nasce dal desiderio sincero, inmoltidei protagonisti di quella stagione di studio, di liberarsi da un

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modo esplicitamenteo implicitamente celebrativo o polemico di stu-diare le vicende risorgimentali e, anche, dal desiderio di ricostruireintorno a quelle vicende un contesto sociale, economico e istituzio-nale che potesse aiutare a guardarle con occhi nuovi e a capirne me-glio gli sviluppi;

c) infine, in parte nella forma di presupposto metodologico, inparte come esito deglistudi, c'è anche un certo atteggiamento di suf-ficienza nei confronti delle dinamiche del Risorgimento, considera-te, in fondo, non così rilevanti per lo studio della storia italiana del-la prima metà dell'Ottocento; quando poi capita che siano studiatipersonaggi che più direttamente erano stati coinvolti nelle vicenderisorgimentali, l'interpretazione che viene suggerita in alcuni studiimportanti è che, in fondo, le loro azioni politiche, o le loro decla-mazioni ideologiche, avevano altre finalità, erano mosse da altri in-teressi, da altri obiettivi, normalmente di tipo economico-sociale.Inquesto caso, un'impostazione storica elegantemente neo-materiali-stica tende a sottrarre significatoalle battaglie o alle discussioni o al-la stessa formazione del movimento risorgimentale.

Lucy Riall conclude la sua panoramica in modo un po' interlo-cutorio. Da un lato riconosce la buona qualità della maggior partedegli studi che ha passato in rassegna;dall'altro torna aosservare chequesto «revisionismo» storiografico sembra voler evitare tenace-mente il nodo storico fondamentale del Risorgimento, ovvero la for-mazione di uno stato-nazione.

Detto in altri termini: non c'è dubbio che ciò che caratterizzò inmodo particolare il primo Ottocento italiano fu una radicale ristrut-turazione degli assettigeopolitici della penisola, compiuta da un mo-vimento politico-militare, quello risorgimentale appunto, molto va-riegato al suo interno, fino alla più drammatica conflittualità, maunito nell'obiettivo di dare uno stato alla nazione. Stando così le co-se, Lucy Riallsi chiede allora, piuttosto giustamente: può aver sensofare come se tutto ciò non abbia avuto significato? Può aver sensopresentare il processo di unificazione italiana come un evento ca-suale, realizzato da soggetti che dicevano di volere uno stato per lanazione, ma che in realtà volevanoaltro (comel'espansione dello sta-to regionale di appartenenza o la difesa dei diritti cetuali o degli in-teressi di classe)? Così facendo, alla fine, il processo di costruzionedi uno stato-nazione sembra quasi inesplicabile, una sorta di enor-me scherzo del destino.

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Questa, dunque, è la situazione più o meno alla metà degli anniNovanta.Da allora a oggi hanno ripreso vigore studi che, facendotesorodelle conoscenze sulle strutture economiche e sociali accu-mulateda questa recente tendenza revisionista,sono però tornati adapprofondirel'analisi delle forme organizzative del movimento ri-sorgimentale,delle biografie dei protagonisti, degli aspetti simbolicie antropologicidella cultura nazional-patriottica. E ciò nella con-vinzioneche «malgrado i simboli del Risorgimento siano stati conti-nuamentecontestati, essinondimeno hanno veicolato un importan-te messaggioculturale ed emozionale alla società italiana del XIX edd XX secolo» (Lucy Riall), cosicché dal loro esame dipende unacomprensioneequilibrata dello svolgersidel processo di unificazio-nee del fatto - assolutamente rivoluzionario per i contemporanei -dd crollodi antichi stati e del formarsi, dalle loro ceneri, di un du-raturostato nuovo.

Sitratta di un'esperienza di ricerca di cui questo libro ha cercatodi presentare, in forma sintetica, alcuni risultati essenziali.E tantodeglistudi più recenti, come dei classici fondamentali, si indiche-rannodi seguito i riferimenti, in corrispondenza dei diversi capitoliincuisi articola il libro.

Indicazionibibliogra/iche

Oltre che con il saggio di Lucy Riall, la panoramica storiografica cheprecede può essere approfondita con la lettura di W. Maturi, Inter-pretazionidel Risorgimento, Einaudi, Torino 1962, un libro che, rac-cogliendogli appunti delle lezioni universitarie dell' autore, offre unquadro molto ampio che spazia dalla storiografia militante dei primiannidopo l'unificazione fino alla polemica di Romeo con la storio-grafia marxista. Molto utili anche S. Soldani, Risorgimento, in Ilmondocontemporaneo, voI. I, Storia d'Italia, a cura di F. Levi, U. Le-vra,N. Tranfaglia, t. 3, La Nuova Italia, Firenze 1978; M. Baioni, Fa-scismoe Risorgimento. L'Istituto per la storia del Risorgimento italia-no, in «Passato e Presente», 41, 1997; R. Pertici, Storici italiani delNovecento, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, Pisa-Roma2000.Tutt'oggi preziosa la ricostruzione del dibattito politico-cul-turale sul Risorgimento tra fascismo e dopoguerra compiuta da C.Pavone,Le idee della Resistenza. Anti/ascisti e fascisti di fronte allatradizionedel Risorgimento (1959), in Id., Alle origini della Repub-

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