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LA STORIA

DI

RUTH

Giancarlo Larossa www.parolaviva.com

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LA STORIA DI RUTH DEDICA: Non vi è altro messaggio che conosco, che valga l’impegno di essere meditato e considerato così profondamente come “Lui stesso”. A tutti coloro che come me amano di sparire d’innanzi a se stessi per vedere solo Lui... Sapienza e potenza, queste pagine dedico con il Salmo 27: 3-5.

“Anche se si accampasse un esercito contro di me, il mio cuore non avrebbe paura; anche se scoppiasse una guerra contro di me, anche allora avrei

fiducia. Una cosa ho chiesto all’Eterno e quella cerco; di dimorare nella casa dell’Eterno tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza

dell’Eterno e ammirare il suo tempio. Perché nel giorno dell’avversità Egli mi nasconderà nella sua tenda, mi occulterà nel luogo segreto della sua

dimora, mi leverà in alto sopra una roccia”.

° ° °

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INTRODUZIONE

Il libro di Ruth è un libro di grande insegnamento per tutti coloro che come lei hanno il coraggio di lasciare la loro terra, la loro casa, il loro parentado per seguire la “dolcezza” (Naomi) della guida fraterna verso la redenzione, fra le vie della sofferenza e della amaritudine. Per scoprire così di trovarsi nel popolo di Dio senza rendersene conto. Amare l’incontro del redentore, il parente stretto, e amare la sua redenzione. Imparare a servire il Signore nel Suo campo, per divenire mietitori, intercessori, ristoratori di rovine. Per coloro che amano di lavorare e che vogliono imparare a lavorare, questa meditazione può essere proficua per avere una immagine di come Dio ci lavora a tale proposito. Lo scopo è quello di sollevarci al di sopra di un piano dottrinale fatto di formule e comandi, e volare negli estesi territori dello Spirito per essere uno spirito solo con lui. Molte volte non consideriamo che gli ordinamenti dottrinali non hanno potere sulla concupiscenza che guerreggia nelle nostre membra, pur non di meno si continua insistentemente a rimembrarle e a ripeterle in continuazione. Non sarebbe un problema se per questo non si trascurerebbe la contemplazione del figlio di Dio nel figlio dell’uomo. Ma, tale posizione di fede purtroppo è dimenticata oramai nella maggioranza dei fedeli. Quel che spero sia il mio contributo in questi scritti, è il proposito fermo di vsibilizzare l’immagine dell’invisibile Iddio onde potere dare stimolo alla fede e a quella dinamica di trasformazione che si riceve e realizza nel contemplare Colui che è l’incarnazione del regno di Dio e di ogni dottrina e sapienza. Possa il Signore benedire queste pagine.

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LA STORIA DI RUTH

Prima di iniziare l’analisi del racconto, volevo accennare ad alcune curiosità informative.

Il libro di Ruth e quello di Ester, sono gli unici due libri con il nome di donna in tutta la bibbia. Fra i due, vi è una differenza che comunque li accorda. Nella storia di Ester vediamo una donna Ebrea che sposa un re pagano per salvare il popolo d’Israele dal massacro. In quella di Ruth, una donna pagana che sposa un uomo Ebreo. Per mezzo di Ruth mantenne la linea, la discendenza da cui sarebbe venuto il Cristo; per mezzo di Ester, mantenne in vita il popolo da cui doveva venire il Cristo. Ruth fu ricordata e menzionata nella genealogia del redentore insieme a Tamar e a Rahab; Bath-Sceba fu solo ricordata come moglie di Uria; Maria alla fine, come colei nella quale il Cristo nacque. (Mt. 1:3-6). Ruth, Tamar e Rahab sono le tre donne macchiate di cattiva fama, ma che trovarono grazia agli occhi di Dio perché: Rahab era una prostituta, ma nascose le spie d’Israele con un manto di lino, segno di protezione e difesa per la giusta causa. Tamar fece la prostituta e rischiò di essere arsa, ma lei fu saggia e Dio si prese cura di lei; il tutto per conservare la progenie del Cristo che inconsapevolmente a mezzo di lei continuò dal seme di Giuda, suo suocero. Fu la provvidenza di Dio a impedire che Tamar concepì dai suoi precedenti mariti e che evitò di essere presa anche dal terzo figlio, i tre figli di Giuda. Ruth era una Moabita, un popolo pagano e nemico di Israele. Usavano sacrificare i bambini al loro dio Moloc. Ma, seguì la suocera e accettò il Dio di lei e il suo popolo, quindi abbandonò il suo proprio, la sua terra con il loro

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falso dio. Accettò la legge del Signore e divenne moglie di Boaz per portare avanti una progenie per il suo marito defunto, segno di risurrezione. Notiamo come Rahab, Tamar, Bat-sceba e Ruth sono le quattro donne attraverso cui il Cristo (la progenie della donna, Gen. 3:15) doveva venire. Maria fu colei nella quale questa discendenza si concretizzò. Stranamente, tutte queste donne hanno in comune la sofferenza, il disprezzo, l’abbandono… l’umiliazione. Che strano diremmo. Come, le donne involontariamente protagoniste della continuazione della discendenza del Messia, erano in queste condizioni? I Passi del Figlio dell’Uomo sono fra le rovine degli uomini. La linea che è destinata a portare il Cristo è una linea dura e di sacrificio. Gesù doveva venire da Giuda, la lode. Gesù viene dalla lode. Il messia viene dalla lode sebbene cammina su sentieri di umiliazione. Vediamo come pur di mantenere in vita la discendenza del Cristo, qual tipo di sacrifici dovettero affrontare. Perfino Maria dovette sopportare l’insulto di essere vista come una fornicatrice, visto che portava in grembo un bambino prima ancora di sposarsi. Chiunque vuole ospitare la progenie della donna (il Cristo), e lasciare che passi o continui attraverso di sé, conoscerà le vie della umiliazione. In queste donne vediamo questo contrasto; l’umiliazione e le prove “su” di loro, mentre, “dentro” di loro e attraverso di loro si muoveva e continuava la progenie di Cristo. Gesù camminava in e attraverso di loro.

Ma diamo uno sguardo un pò più da vicino a queste donne e quel che ci rappresentano.

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TAMAR: “PALMA”

La palma è una pianta molto alta. Non ha rami, ha un unico fusto e cresce dall’interno formando dei bordi frastagliati, come un anello alla volta su cui crescono le foglie. Man mano che cresce, le foglie cadono e si sviluppa un altro anello, portando nei bordi frastagliati le cicatrici del cambio delle foglie. Alla sommità, porta foglie sempre verdi. Il tipo di palme che si trovano nelle terre d’Israele, sono le palme da dattero. I datteri sono molto ricercati per il loro valore nutritivo. I noccioli tritati servono anche da alimento per i cammelli del deserto. I persiani hanno menzionato 360 usi della palma da datteri. Un uso frequente per alimento è tratto dal centro del fusto; Se ne fora la parte interna della spata per estrarne il succo, quest’ultimo per evaporazione dà lo zucchero. La fermentazione o la distillazione trasforma il succo in una bevanda forte chiamata Arrak. Molto significativa è la palma.

Il credente è simile alla palma. Cresce anche lui dall’interno; ci ricordiamo le parole di Gesù: “Pulisci prima l’interno della coppa e del piatto, affinché anche l’esterno sia pulito ”. (Mat. 23:25,26; ed anche, 12:33-35). China il suo capo e nel suo cuore ascolta la voce di Dio. Man mano che il Signore ci forma in una nuova statura, cresciamo attraverso le prove e le sofferenze; portiamo foglie (virtù e possiamo anche dire frutti) che poi dobbiamo lasciare per continuare in una nuova statura e crescita. Porteremo anche noi le cicatrici, salutari cicatrici che ci ricordano e testimoniano che siamo stati nella presenza di Dio e nella battaglia contro la podestà delle tenebre e abbiamo portato la vittoria. Nello stesso tempo anche le conseguenze degli errori, sbagli, peccati in un salutare pentimento. Queste ferite ci ricordano quanto siamo fragili e che abbiamo sempre bisogno di Lui,

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di concentrarci nella vita interiore. Nel mentre che Dio ci scava nel centro della nostra vita, estrae lo zucchero, la dolcezza; da questo prenderemo in considerazione il significato del nome Naomi (dolcezza, piacevolezza). Come la palma, anche il credente porta i suoi frutti verso l’alto. Ogni cosa è indirizzata e dedicata al Signore, vero proprietario dei doni. Tale l’invito della Shulammita al suo sposo: “Entri il mio diletto nel suo giardino e ne mangi i frutti squisiti! ” (Cant. 4:16).

Significa, ritornare i frutti al legittimo proprietario. Anche Davide espresse questo pensiero: “Ma chi sono io e chi è il mio popolo, che siamo in grado di offrirti tutto questo spontaneamente? Tutte le cose infatti vengono da te, e noi ti abbiamo semplicemente dato (o ridato) ciò che abbiamo ricevuto dalla tua mano ” (1Cron. 29:14). Il frutto di un tale cristiano è dolce e nutriente per coloro che ne possono gustare. Tamar fu così, sebbene inconsapevolmente, come i veri grandi della fede, non sapeva neanche che sarebbe riuscita a continuare la linea del Cristo e che ne ricevette onore e una testimonianza arrivata fino a noi. Venne ricordata diverse volte nelle genealogie come in 1Cron. 2:4; Mat. 1:3, e fu anche ricordata dal popolo d’Israele quando benedisse Naomi in Ruth 4:12. I figli di Giuda erano malvagi, almeno i primi due di sicuro. Il primo fu marito di Tamar, ma essendo malvagio, il Signore lo fece morire. Il secondo fu pure malvagio e morì anch’esso. Entrambi non avevano lasciato figliuoli a Tamar, così che si vide usata senza procreare, portare alla luce una nuova vita. Voleva una progenie ed essere madre, desiderava anche che la legge di Dio, che le dava il diritto di avere il terzo figlio di Giuda, fosse applicata, visto che non aveva ancora avuto figli. Con gli occhi dello spirito, dobbiamo essere capaci di vedere anche oltre a questi soli motivi. Lei aveva la rivelazione che era Dio ad avergli impedito di concepire dai figli di Giuda, doveva essere Giuda colui che

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avrebbe continuata la discendenza attraverso di lei, che avrebbe portato il redentore. Il Messia deve venire da Giuda, dalla lode. Quando Giuda fece portare a Tamar il prezzo trattato per il suo essersi concessa a lui, non la trovò. Quando gli fu riferito che sua nuora si era prostituita lui disse: “Conducetela fuori e sia arsa! ” (Gen. 38:24). Fece come Davide quando il profeta Nathan gli parlò in parabola per mostrargli il suo peccato, in modo nascosto, per far conoscere a lui stesso la sua reazione di fronte a un tanta ingiustizia… si giudicò da se. Davide disse: “Come è vero che l’Eterno vive, colui che ha fatto questo merita la morte! Egli pagherà quattro volte il valore dell’agnella, per aver fatto una tale cosa e non aver avuto pietà”. Nathan rispose: “Tu sei quell’uomo ” (2Sam. 12:5-7). Parlò di pietà. Quanto patetica è la pietà dell’uomo, il quale si sente capace di esercitare la pietà da sé, senza rendersi conto che la pietà è un grande mistero, non mero sentimentalismo.

Giuda rispose pressappoco così. La condannò quando lei era più giusta di lui e, sopra tutto era lui stesso il padre dei bambini (era incinta di due gemelli). Profeticamente Tamar gli chiese di dargli un segno che l’avrebbe pagata, e volle il suo sigillo, il cordone e il bastone (v. 38:18). Notiamo l’analogia con quel che disse Giacobbe prima di morire, quando benedisse Giuda, suo figlio: “Lo scettro (sigillo) non sarà rimosso da Giuda, né il bastone del comando di fra i suoi piedi, finché venga lo Sciloh; e a lui ubbidiranno i popoli. Egli lega (cordone) il suo asinello…”. Rischiò di essere arsa, ma prese come pegno dei segnali, degli oggetti di proprietà di Giuda, attraverso i quali, presentandoli, ebbe salva la vita. Presentò quei segni e tenne in vita la discendenza attraverso cui sarebbe venuto lo Sciloh. Gloria a Dio! Giacobbe vide quei segni, e li menzionò perché avrebbero salvato la vita di quanti li avrebbero presi dallo Sciloh, Gesù, il redentore. Se prendiamo

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quegli oggetti dalle mani del pacificatore (lo Sciloh), avremo salva la vita. Egli regnerà su e in noi, e quegli oggetti (valori, virtù), saranno di benedizione anche ad altri.

RAHAB: “INSOLENZA, VIOLENZA, ORGOGLIO, ARROGANZA, FORZA ” Un'altra versione è: “Largo”. Rahab era anche un appellativo con cui

definire l’Egitto, figura del mondo (Isa. 30:7), ed anche un mostro marino (Isa. 51:9). Così era lei dentro le mura di Gerico, fin quando non fu risparmiata e salvata da Giosuè.

Come l’Egitto rappresenta il mondo con la sua idolatria e concupiscenza, così la sua condizione sventurata all’interno delle mura di Gerico là dove abitava, come dire imprigionata. Fin tanto che era in quella condizione, possiamo dire che il suo nome (carattere e natura) porta le caratteristiche elencate: Insolenza, orgoglio… Quando sente le grandi cose che Dio ha fatte per mezzo d’Israele, il suo cuore viene meno e riceve il timore del Signore (Gios. 2:10,11). Il mostro indicato in Isaia 51:9, che ha il suo stesso nome (segno questo che il mostro, il peccato, è insito nella nostra identità, nel nostro nome), venne sconfitto. Così, da quel momento, il significato del suo nome prende le caratteristiche della seconda traduzione che abbiamo dato: Largo. Questa parola la vediamo attribuita al Dio misericordioso in Isaia 55:7:

“Lasci l’empio la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri e ritorni all’Eterno che avrà compassione di lui e al nostro Dio che perdona largamente”.

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Perdona largamente, quindi riceve chi si ravvede e si pente e che si avvicina al Suo soccorso. Lei vide un’opportunità attraverso quelle spie, e non si lasciò scappare l’occasione di far loro del bene; li ospitò e li risparmiò, fu larga nel usar loro protezione e aiuto. Il mostro del peccato in lei fu sconfitto. Dobbiamo considerare che lei avrebbe potuto farli catturare con facilità, perché già qualcuno si era accorto che delle spie erano entrate fra le mura per perlustrare la città e la cosa fu anche riferita al re. Quindi, si può facilmente immaginare che il popolo di Gerico, avrebbe potuto organizzare un agguato e coglierli di sorpresa, visto che non avevano altri informatori sul posto. Quindi Rahab non solo protesse quelle due spie, ma impedì che il suo re, oltre ad imprigionare le due spie, potesse fare un attacco a sorpresa a tutto il popolo d’Israele, nella notte.

Sappiamo che se anche sarebbe successo, il Signore avrebbe avvisato Giosuè, o l’avrebbe detto prima ancora di mandare le spie. Ma se guardiamo le cose sempre dal lato della onnipotenza di Dio, non impariamo mai a guardare le vie di come ci raggiunge e si muove dentro di noi nel far conoscere noi a noi stessi, al fine di farci conoscere Lui. Quindi, l’Egitto, il mondo con la sua concupiscenza; il mostro del peccato con la sua ferocia; si muovevano in lei così come in ciascuno di noi. Arriva il tempo per ognuno che Dio si prende cura di liberarci da questa terribile condizione. Il Signore si prese cura di lei perché ospitò le spie; indirettamente fece del bene a Israele perché poteva subire un assalto essendo impreparato. Ospitò le spie perché aveva udito l’evangelo delle gesta e della potenza dell’Iddio d’Israele e si convertì a Lui. Desiderò salvarsi con la casa di suo padre e Dio la esaudì. Nessuno pensi che fu come il caso di Sansone quando entrò da una meretrice (Gidc. 16:1). Lui peccò con quella donna, mentre

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Rahab non peccò con quei giovani. Giacomo esprime così il suo comportamento:

“Perciò vedete che l’uomo è giustificato per le opere e non per fede soltanto. Similmente anche Rahab, la prostituta, non fu essa giustificata per le opere quando accolse i messi e li rimandò per un’altra strada? ”

Vediamo chiaramente che fu un momento solenne, condito del timore di Dio. In questo versetto è messo in risalto l’azione, come opere. In Ebrei 11:31 viene messa in risalto la fede, per far dei due un discorso armonico:

“Per fede Rahab, la prostituta, non perì con gli increduli, perché aveva accolto in pace le spie ”.

Si noti come in entrambi i versi viene ricordato che era una prostituta. Non era perché si voleva sminuire la sua immagine, ma anzi, per far risaltare che nonostante era quel che era, ricercò il perdono nel Dio degli Ebrei, non si scoraggiò fermandosi alla sua condizione di peccato, ma fu ardita; voleva imparare a vivere una vita santa col popolo di Dio, per amore del Dio che l’avrebbe perdonata e salvata. Lei confidò in Dio e Lui si prese cura di lei. Che fede!

Le spie, per entrare nella città, non ebbero bisogno di aiuto se non per alloggiare. Per uscire, ebbero bisogno che Rahab sviò le guardie per dare alle spie il tempo e la via libera di fuggire. Questa è una gran difesa. Si prese cura fino alla fine. Anche Gesù fece così con la donna adultera; quando lo interrogarono Lui rispose depistandoli nelle vie della coscienza, proteggendo la donna che aveva bisogno di un'altra opportunità nel Suo perdono.

“Accolse in pace le spie”; Fu propizio quel lavoro segreto in lei che mise l’armonia nel cuore, che la trovò pronta nel momento di ospitarli nel giusto tempo. Per tutto questo, l’Iddio fedele diede un marito a una tanta

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donna, grande peccatrice, ma più grande nel ravvedimento e penitenza (Mat. 1:4,5). Dio gli diede Salmon (o Tsalmon), che significa: ombreggiato. Dalla sua sofferenza ed umiliazione, Rahab trovò refrigerio all’ombra del suo marito perché dato dal Signore. Quel che non dice lo scritto lo dice il significato di un nome. Salmon era figlio di Nason che fu il principe dei figli di Giuda. Il principe della lode, da lui venne il refrigerio dell’ombra per Rahab.

Da questa unione nacque Boaz, colui che diventò il marito di Ruth. Da loro venne Obed, poi Jesse, poi Davide e dal seme di Davide venne il Cristo. Alleluia!

RUTH: ”AMICA ”

Il termine amica, o amicizia, è uno dei più belli nella scrittura, come nella realtà degli uomini. Dio stesso disse che parlò con Mosè a tu per tu, come un amico parla con un amico (Es. 33:11). Anche Gesù chiamò amici i suoi discepoli (Giov. 15:15). Abrahamo fu chiamato amico di Dio (Giac. 2:23; Isa. 41:8).

Il termine amico è importante; niente a che vedere di come è usato nel mondo. “Ruth aiutò Naomi nella sua sofferenza”, non la lasciò sola, ed in questo volle seguirla ed accettare il suo Dio ed il suo popolo. Ruth lasciò le sue origini, entrò nel popolo eletto e fu vista per quel che ricordano le sue origini. Certo non fu facile per lei inserirsi se non fosse per la custodia della suocera e l’aiuto e la comprensione di Boaz. Venne da un popolo sprezzato dagli ebrei e da Dio stesso. Non perché Dio disprezza gli uomini, ma per la idolatria feroce che esercitavano sacrificando i bambini al loro dio Moloc. Una sprezzata di un popolo straniero fu lodata poi alla fine, quando Boaz, il

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parente stretto, il parente redentore superò le difficoltà, gli ostacoli che avrebbero potuto impedirgli di prenderla in moglie.

BATH SCEBA: “FIGLIA DI GIURAMENTO ”

Appare nelle scritture ed è menzionata in modo particolare, per l’incidente famoso che vede lei e Davide protagonisti di un adulterio. Il suo ingresso nella vita di un tanto uomo come Davide, che fu chiamato: L’uomo dal cuore verso il Signore, fu devastante per lui. Ma pure, da quella donna con cui commise adulterio, causando anche la morte del marito Uria lo Itteo, nacque di poi Salomone, il pacificatore. Figura dello Sciloh (il Pacificatore, il Cristo) che doveva venire, e che venne dalla discendenza di Salomone figlio di Davide. Il giuramento, di cui il suo nome ha significato, è un patto. Il Signore giurò di mantenere sempre un trono a Davide, da cui sarebbe venuto il Re dei re. Stranamente, usò una donna già sposata che subì anche la perdita del marito, a causa di un uomo di cui mai si sarebbe aspettato un gesto simile, il re Davide. Bath-Sceba subì questo assalto nella sua vita, improvvisamente. Fu scomodata, diremmo, dalla posizione in cui era, direi anche strappata dalla vita corretta che aveva. Il marito, Uria, era un uomo saggio e valoroso; ma all’improvviso cambiarono le cose. Spesso avvengono, nella vita degli eletti e degli uomini in generale, svolte improvvise che cambiano la nostra vita.

Mentre era custodita in una vita corretta non portò alla luce nulla, dal punto di vista del figlio erede di Davide, in riferimento a Cristo come Re. Mentre, quando fu sconvolta da un evento peccaminoso, l’adulterio e l’omicidio del marito (da parte di Davide); con il responsabile di questi peccati ebbe, portò alla luce il figlio erede, dalla qual discendenza venne il Cristo. Com’è strano il procedere di Dio. Anche lei subì l’umiliazione dalle

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cose che passò in quei fatti. Ricordiamo che il profeta Nathan, disse a lei di intercedere presso Davide per la corona del figlio e che nel mentre, Nathan sarebbe sopraggiunto per confermare i fatti raccontati e la stessa intercessione a favore del figlio Salomone (1Re 1:11,12,14,22,23). Questo gesto di intercessione salvò la sua vita e quella di Salomone (v.12). Il semplice fatto di essere moglie del re, avere avuto il figlio erede della sua discendenza, non fu sufficiente dal punto di vista del trono, visto che Adonijah si era eletto re da se stesso. Esattamente come fanno tanti che si nominano servi di Dio senza che Dio li approvi, come in quel caso, Davide non ne sapeva nulla (v.11).

Visto la rivalità, l’eredità e la possibilità che vi era anche per Salomone di salire al trono, perché Adonijah era più grande di Salomone, avrebbe sicuramente cercato di togliergli questo diritto se la madre Bath-Sceba e Salomone stesso l’avessero preteso o se il popolo avesse potuto preferirlo. Era necessaria l’intercessione della madre, di quella madre, una donna strappata dal suo destino di prosperità e di moglie, e introdotta in un altro destino in cui acquista un nuovo marito, per la morte del primo, avendo da quest’ultimo il figlio erede. Da prospera moglie a madre che intercede per il diritto del figlio al trono secondo la promessa. Come si cambia! Ora non è per dir male di Uria, perché era un uomo di gran valore e fu, in quella circostanza, più giusto di Davide nella sua fedeltà e partecipazione al bisogno del popolo. Bath-Sceba sapeva che senza una presentazione e consacrazione ufficiale davanti al popolo da parte del re stesso, il diritto al regno sarebbe stata solo una pretesa. Adonijah il cerimoniale lo fece per se, auto eleggendosi. Invitò personaggi di guerra che combatterono per il re, Joab, e il sacerdote Abiathar, che partecipò a tutte le sofferenze di Davide (1Re 1:7,9; 1Re 2:26). Invitò anche gli altri fratelli ma non Salomone. E’ sempre così; i

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figli che non hanno ricevuto la promessa sprezzano i figli che hanno la promessa (del trono, 1Re 1:30). Una donna, una moglie, una madre che dà alla luce il figlio erede della promessa del trono e da cui sarebbe venuto il Cristo, e che intercede per lui perché abbia la promessa. Possa riceverla per stabilire la pace.

° ° °

MARIA: DALL’EBRAICO = MARYHÀM, CHE A SUA VOLTA PROVIENE DALL’EGIZIO, MYRHIAM = “PRINCIPESSA”, “AMATA DAL DIO AMON”.

OPPURE: MARA = “AMAREZZA, INFELICE, AFFLITTA”. Maria è la giovane donna in cui la discendenza di Abrahamo, che passò da Rahab, Tamar, Ruth, Bath-Sceba, prese vita e si concretizzò. Possiamo identificare a questa penta-linea anche i cinque ministeri accennati dall’apostolo Paolo in Efesini 4:11. E’ come dire che questa mano (con le sue cinque dita) ci ha donato il Cristo. Il Messia è passato da quella mano. Come abbiamo detto, la linea della discendenza del Cristo è nell’umiliazione; così come anche quelle sante mani furono trafitte. Gesù disse a Tommaso di guardare e di toccare le sue mani… (Giov. 20:27) Questo aspetto figurativo ci insegna ad avere rispetto dell’opera del ministerio, a tenere in considerazione il modo in cui Dio lavora attraverso di essi, nonostante la loro debolezza. Spesso non si dà la giusta importanza al lavoro ministeriale, e si diventa anarchici prendendo per sé le parole del redentore nella promessa dello Spirito Santo il quale avrebbe rivelato, guidato e insegnato a chiunque. Così facendo, tanti cadono in una seduzione spirituale perché non si sottomettono al lavoro che lo stesso Spirito Santo svolge e a cui è legato ed identificato, nei servi ch’egli stesso a scelto.

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Notevoli i contrasti dei significati del nome. Da un lato, principessa; dall’altro, amarezza e afflizione. Sono sempre i due contrasti che distinguono la nuova natura da quella vecchia. Portare Gesù nel nostro grembo non è uno scherzo. E’ somma benedizione e onore da un lato, ma afflizione e persecuzione dall’altro. Maria raccolse le testimonianze che il Signore lasciò, come indizi, dandoci insegnamento di come chinarsi e custodire nel cuore; come il seme nel terreno (Luc. 2:19,51). Rincontreremo questo gesto nel nostro studio. L’ubbidienza a una missione strana, concepire senza conoscere uomo; figura che l’uomo (per meglio dire il suo intervento, la sua forza) non ha parte nell’opera del Signore. Tutto viene dallo Spirito. Il messaggio, l’invito di una tanta donna fu (è), di fare tutto quello che Lui dirà (Giov. 2:5). Maria non fu solo colei che partorì Gesù; non fu solo testimone della sua nascita come Giuseppe, ma anche della sua morte e risurrezione. Maria è un grande esempio per i credenti.

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ENTRANDO NEL LIBRO

(Capo 1) Il periodo della storia di Ruth è parallela a quella di Gedeone. Nel periodo nero della storia dei giudici, la storia di Ruth brilla come una stella, in contrasto alla condizione nella quale il popolo era caduto. “Al tempo in cui governavano i giudici, ci fu nel paese una carestia…” (Rt 1:1). La carestia accennata è probabilmente una punizione di Dio su Israele verso la fertilità della terra e i raccolti. Nel tempo dei giudici, il popolo d’Israele si era disorientato dal seguire e temere l’unico vero Dio, Jahvé.

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Volse verso Baal la sua fede per i raccolti e la fertilità della terra insieme ad Astarte, (Gdc. 2:11; 3:7). Altre volte il Signore usò la carestia per punire il suo popolo, ricordiamoci del caso di Elia. Continua il verso: “…E un uomo di Betlemme di Giuda andò ad abitare nel paese di Moab con la moglie e i due figli ”. Qui inizia la storia, l’uomo era Elimelek, la moglie Naomi e i figli, Mahlon e Kilion. L’informazione è precisa: “Si stabilirono” (v.2). Dopo questo, è detto che Elimelek morì. Si noti come certi fatti di ovvia intuizione vengono narrati chiaramente: “Poi (dopo che si stabilirono) Elimelek, marito di Naomi, morì ed essa rimase con i suoi due figli ”(v.3). Fu un periodo oscuro quello in cui vivevano, Elimelek e la sua famiglia. Era il tempo in cui i Madianiti devastavano Israele. Quel che leggiamo in Giudici 6:1-6 è in sintesi che Madian oppresse Israele, e per paura di loro, i figli d’Israele si fecero delle caverne nei monti, spelonche e forti. Quando Israele seminava, i Madianiti con gli Amalekiti e con i figli dell’Est salivano, si accampavano e distruggevano i raccolti, lasciando Israele privo anche di bestiame. Israele fu ridotto in grande povertà a motivo di Madian. In una condizione del genere, in quel tempo, Elimelek pensò di trasferirsi e scampare da quella oppressione. Andò a cercare rifugio in un paese caratterizzato da una idolatria omicida; sacrificavano i bambini al loro dio Moloc. Nel momento della prova, nel momento difficile, facilmente si perde fiducia nel Signore che ha ogni evento nelle mani. Quando non si vedono possibilità, vie di scampo a breve termine, allora, scoraggiati in noi stessi, cerchiamo soluzioni comode per noi. Soluzioni che a loro tempo si dimostreranno dannose. Quando cerchiamo soluzioni umane fuori del controllo di Dio ci mettiamo in condizioni peggiori. Il Signore, quando non ci

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apre una porta, una via d’uscita, ci vuole fermi nel saper attendere una soluzione, la sola, che venga dalla Sua mano, che segni la via della Sua volontà nel Suo governo. Anche Abrahamo fu tentato ad andare in Egitto a causa di una carestia (Gen. 12:10). Lo stesso capitò a Isacco (26:1,2). Entrambi anticiparono il possibile male e imbastirono lo stesso stratagemma, e cioè fecero credere alla gente del luogo che la loro moglie era la sorella. Per il timore della morte caddero entrambi, padre e figlio nello stesso sotterfugio. La carestia è una brutta piaga, e l’uomo è molto provato quando costretto ad affrontarla. Tornando a Elimelek, perse di vista il redentore di Giacobbe. Anche per Israele Dio aveva dato delle promesse. A volte cerchiamo e preferiamo la fuga al posto di riflettere, semmai dobbiamo ravvederci di qualche torto, di qualche condizione di peccato. Il Signore ci stringe nel cerchio della prova al fine di ritornare a Lui più e meglio di prima. Per Elimelek, quel trasferirsi significava un fuggire e un coprire i suoi abissi. Quando così, Dio, a volte punisce anche con la morte. Elimelek trovò la morte a Moab. Là dove, non solo giunse ed entrò, ma anche si stabilì. Dopo che si stabilì, si ancorò, qualcosa avvenne, un fatto inaspettato; la morte lo prese. La precisazione ovvia della conseguenza che la moglie di lui rimase con i figli, un pò come un resoconto, è per attirare l’attenzione su ciò che produce il farsi i conti lontano dalla volontà di Dio. E’ doveroso considerare comunque che vi era un piano di Dio che si muoveva dietro Elimelek, che fu un pò come la nave che a causa della tempesta raggiunge provvisoriamente un porto straniero. I due figli, sposarono delle donne Moabite, Orpha e Ruth. Dimorarono altri dieci anni in quel paese dalle usanze, dalla fede e cultura diverse e contrarie al loro paese natio, il paese dell’eredità, della promessa. Dopo i

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dieci anni Mahlon e Kilion morirono. Un'altra constatazione ovvia ci ricorda come il risultato dello sgravarsi le responsabilità nei confronti dell’essere nella volontà di Dio, porta le sue pene: “E così la donna (Naomi) rimase priva dei suoi due figli e del marito” (v.5). Possiamo vedere come quel ch’è nato da noi, sebbene nato nel paese della promessa, dimorando nel territorio nemico, contrario a Dio, porta il significato di debolezza e bisogno. Mahlon significa: malaticcio, Kilion: che langue. Il verso continua: “Allora si levò con le sue nuore per tornare dal paese di Moab, perché nel paese di Moab aveva sentito dire che l’Eterno aveva visitato il suo popolo, dandogli del pane” (v.6). Nel paese perverso, contrario allo Spirito di Dio, La voce del ristoramento giunse fin nel paese straniero e nemico. Non è sorpresa, il messaggio che Dio risponde, benedice dando il pane arriva sicuramente fino a Moab, ossia, agli infedeli, ai peccatori. Se fra le loro file dovessero trovarsi dei credenti, amanti della verità, hanno la possibilità di ritonare… essere anche immagine ed esempio di conversione agli increduli stessi.

° ° ° Il viaggio di ritorno

Naomi cominciò ad avviarsi con le due nuore, ma ad un certo punto disse loro di tornare in casa delle loro madri. Aggiunse la benedizione di Dio nella Sua bontà in riferimento a come loro sono state buone con quelli che sono morti (i mariti e il suocero) e con lei (v.8). Nella benedizione data in vista della bontà di Dio, era il trovare riposo nella casa del proprio marito (v.9). Le due nuore non vollero lasciare Naomi; da qui vediamo come anche nel paese straniero trovasi ancora buoni sentimenti.

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Inizialmente dissero entrambe che sarebbero tornate con lei al suo popolo (v.10), ma nel momento della scelta finale non fu così. Naomi, dinanzi la loro intenzione di seguirla, vide la sua limitatezza e povertà allorché fece una ovvia considerazione: “Perché verreste con me? Ho forse ancora dei figli in grembo che possano diventare vostri mariti? ” (v.11). Segue l’illustrazione della possibilità ipotetica di un matrimonio immediato, che se pur fosse, avendo altri figli, avrebbero esse aspettato fino la loro crescita? Si sarebbero astenuti dal maritarsi per aspettare tanto, e con uno sbalzo d’età così irragionevole? Lei stessa rispose: “No, figlie mie, perché la mia condizione è più amara della vostra, poiché la mano dell’Eterno si è stesa contro di me” (v. 12,13). Loro avrebbero potuto risposarsi e trovare riposo, mentre a lei rimaneva solo la sua amarezza e la speranza di tornare al suo popolo se pur con una nuova identità, quella caratterizzata dalla umiliazione di aver perso tutto.

Naomi vide il nulla di se, arrivata alla polvere non poteva sostenere un'altra situazione come la sostenne all’inizio. Invero, “quanto sconforto nelle evidenti disfatte”. Il respiro si affievolisce, gli orizzonti delle possibilità umane svaniscono e come per reazione si comincia a sospirare guardando confini lontani come aspettando qualcuno che ci porti buone notizie. Il postino è, a quel punto, l’indefinito redentore avvolto nel mistero di tanta amarezza. La frase: la mano dell’Eterno si è stesa contro di me, non è la sola uscita da quella bocca, fu la prima constatazione dell’avvilimento che in lei si faceva strada. Arrivata che fu a Betlemme, dette delle spiegazioni agli sguardi meravigliati di chi la ricordava com’è la natura del suo nome, piacevolezza e dolcezza, che richiama il significato di Eden, delizia. Lei si sentì come trasformata da giardino di Dio a giardino abbandonato, preda delle spine. Così rispose: “Non chiamatemi Naomi (delizia); chiamatemi Mara

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(amarezza), poiché l’Onnipotente mi ha riempita di amarezza. Io partii nell’abbondanza e l’Eterno mi ha riportato a casa spoglia di tutto. Perché chiamarmi Naomi, quando l’Eterno ha testimoniato contro di me e l’Onnipotente mi ha resa infelice? ” Ripercorriamo questi eventi estendendo le immagini dei personaggi a situazioni spirituali più vicine a noi tutti, onde trarne profitto. Ruth e Orpah ci rappresentano due gruppi. Uno spirituale, che si avvia verso la santa vocazione e la superna vocazione. L’altra, quelli che hanno apprezzato e amato, anche, le cose di Dio viste in Naomi (la chiesa matura che passa dalle sofferenze), sono quelli che però ritornano indietro. Ricordiamo che Moab, il cui significato è: uscito da un padre, fa pensare e ricorda il vecchio uomo. Moab, nato da un rapporto incestuoso, diviene la patria di quelli che non vogliono seguire la chiamata di Dio. Non è Israele, è abbastanza ovvio; non sono tutte le anime nelle diverse chiese o religioni. Questo è più difficile da inquadrare per tanti che hanno identificato in questa figura, tutti i religiosi. In gran parte, certamente è vero; saranno molti che ritorneranno in Moab e ne faranno la loro casa. Molti religiosi, che sembrano credenti, ritorneranno in Moab e aggiungo, ai loro dei (false dottrine e proprie immaginazioni); ma tanti altri, quelli che hanno fatto esperienza con la croce nel ravvedimento e pentimento dei peccati, anche se non saranno la sposa, seguiranno la figura (testimonianza) della chiesa matura ma che ancora passa e cammina nell’amarezza (sofferenza). Le figure non sono perfettamente nitide, sono ombre imperfette (non sbagliate, solo imperfette) ma che sanno lasciare l’idea del vero. Sull’argomento della identificazione delle categorie, dei posti che occupano i diversi credenti nel cospetto di Dio, le figure hanno diversi accenni, a seconda di ciò che si vuol mettere in evidenza. Vi è il confronto e distinzione fra le vergini avvedute e disavvedute, senza paragonarli con

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quelli identificai nella figura di Orpah, sono un'altra classe. Vi sono quelli soli che ritorneranno in Moab, che sono stati parenti di Naomi, quindi imparentati, vicini, simili a Ruth ma diversi nell’ubbidienza. Tali non hanno piegato il loro collo all’ubbidienza, Orpah significa collo. Vi sono quelli che affronteranno il viaggio con Naomi e Ruth, vantando miracoli, prodigi e una grande teologia; sanno far uso del nome del Signore ma saranno scacciati da Gesù quando saranno davanti a Lui. Vi sono ancora quelli che saranno misurati in base alla coscienza, come ci riferisce Paolo. Ma, prudenza, non speculiamo… All’inizio, tutt’é due piangevano e per un certo tempo volevano continuare il viaggio con Naomi, iniziarono, ma la donna sazia di sofferenze sentì di insistere, perché comprendeva che se non è veramente per grazia di Dio, e mediante una elezione, una scelta, nessuno può lasciare il suo parentado ed entrare in un altro popolo. Dopo l’uguale strepito apparente, Orpah tornò indietro. Guardò in se stessa, conobbe se stessa, considerò la sua vocazione ed elezione e capì che non poteva essere in grado di amare di entrare in una terra in cui il Signore è Re assoluto. Naomi fu saggia nel riconoscere la verità che distingue la qualità delle persone nella constatazione: “Ecco, tua cognata è tornata al suo popolo e ai suoi dei” (v.15). Notevole il realismo della confessione sui suoi “dei” pur dinanzi a tanto sentimentalismo e strepiti. Non ebbe paura di urtare i sentimenti di Ruth, perché a lei stava parlando e giacché anch’essa apparteneva a quella idolatria. Le sofferenze non sbiadirono la sua fede (che fece la distinzione con gli dei di Moab) nell’unico e sovrano Dio.

Una donna come Naomi, che non aveva più nulla, ridotta al nulla di sé, non aveva alcuna cosa su cui appoggiarsi, qualcosa in cui riporre l’impegno gioioso di vivere, non voleva trascinare le nuore nel suo vuoto, nelle sue sofferenze. Un pò ci ricorda Gesù quando disse ai discepoli: “Non ve ne volete

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andare anche voi? ”. Gesù in un tale appello invitava i discepoli a riguardarsi bene addentro, al fine di inquadrare la loro vocazione. Il piano di Dio è quello di renderci chiaramente coscienti di quello che sono le nostre scelte per Lui. Altrimenti falliremmo. Paolo disse: “Ma colui che sta in dubbio, se mangia è condannato, perché non mangia con fede; or tutto ciò che non viene da fede è peccato” (Rom. 14:23). Tale fu il senso della richiesta amorevole di Naomi verso le nuore. Ma Iddio, che conosce i sospiri del cuore, gli ha dato una ragione, uno scopo per andare avanti ed essere utile, si, anche adesso che aveva perso tutto. Rimase fedele alla chiamata Ruth perché amava veramente la suocera, fino al punto di lanciare una affermazione che divenne un patto, su di una scelta consapevole che derivava dall’aver assaggiato la dolcezza di quella palma… (dal cui centro si estrae lo zucchero), di quel giardino…(delizia) non ancora abbandonato dal suo Dio. Notiamo il timbro deciso nella risposta: “Non insistere con me perché ti abbandoni e lasci di seguirti, perché dove andrai tu andrò anch’io, e dove starai tu io pure starò; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio”(v.16). Perdita dopo perdita, rinuncia dopo rinuncia; che spettacolo di umiliazione e di riduzione aveva davanti a se nella nuora, in una decisione così seria di seguire la suocera, per lei, solo per lei. Ma perché tanto amore, tanto interesse per una derelitta come me? Naomi stava cominciando a capire qual era lo scopo di quella compagnia, di quelle sofferenze, di quel perdere tutto. Ma, è forse poca cosa tutto questo? Continuiamo: “Dove morirai tu morirò anch’io (basta?) e là sarò sepolta. Così mi faccia l’Eterno e anche peggio, se altra cosa che la morte mi separi da te!” (v.17). Si conclude il dialogo nella meraviglia di un cuore che non si aspettava più nulla dalla vita, se non di attendere la morte nel suo

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paese natio. “Quando Naomi si rese conto che Ruth era decisa a seguirla, smise di parlare con lei” (v18). Arrivò il segno, quello che convalida un patto, la devozione fino alla morte, compresa la sepoltura. Si può morire in Egitto come Giacobbe e Giuseppe, e lasciare ordine mediante profezia, di portare il corpo o le ossa in un altro paese, che potrebbe per lei essere ancora il paese natio, ma per lei valeva la stessa forma di profezia, se pur inconsapevole, che le sue spoglie dovevano restare nel paese della promessa accanto alla dolcezza ridata alla sua suocera da Dio, mediante ristoramento. Lezione: La chiesa, quando parte con il suo marito, raffigurato da qualche servo di Dio, in cerca di protezione in paese straniero, lontano (se pur vicino) dalla volontà di Dio, mentre si sentiva al sicuro, perde tutto! Sebbene si rivelò una sciagura, e possibilmente si poteva pensare che il marito l’aveva condotta male, non è così. Dietro quel viaggio c’era proprio il volere di Dio. Elimelek significa: Dio è Re. Nonostante le controversie è Re assoluto. Dopo che si erano stabiliti morì, segno che il suo ministerio finì in quella missione, servì per quello. Ciò che ci insegna l’allontanarsi dalla terra promessa rimane sempre. E’ necessario imparare ad armonizzare gli eventi in relazione alle responsabilità. Il volere di Dio circa la fede e il rimanere nel paese è stabile, per questo ci sono sempre le conseguenze. Ma, quando è Lui stesso che guida al di fuori, tutto ciò che ci capita è per il bene nostro e di qualcuno che aveva bisogno di un pioniere coraggioso che rischiasse. Il servo morì, arriva il tempo che veniamo lasciati soli per cominciare a pensare che dobbiamo tornare al paese. Questa volta, il viaggio (di ritorno) è con una parente, che caratterizza un legame. Parte condotta dal servo (il marito), torna da conduttrice di chi aveva bisogno di lei e di una patria nuova. Acquista una compagnia per mezzo di una parentela, e ritorna indietro da dove è venuta. Solo, in questo viaggio fece perdita di tutto ma guadagnò

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una sposa per colui che fu il parente redentore. Trasse in salvo una sposa dal mondo idolatra e peccaminoso, per mezzo di una parentela (predestinazione) che la legò a lei. Benedetto sia il nome del Signore. Ogni riduzione a noi, serve per la guida e dedicazione ad altri che ancora inesperti hanno bisogno del nostro aiuto per trovare il parente redentore, prima, poi sposo.

° ° ° Arrivo in Betlemme

(v.19) Inizia il verso dicendo: “Così fecero il viaggio assieme fino a che giunsero a Betlemme”. Così, con i significati che abbiamo cercato di esprimere, come segnando la fine di un passato devastante ma educativo, partirono, lasciarono per sempre il paese straniero. Ad attenderle erano gli albori della resurrezione, un nuovo principio. Quando arrivarono, le donne dicevano: “E’ questa Naomi? ”. La città fu in agitazione. Riflettiamo un momento. Perché la città era in agitazione? Fu per Naomi! Quel che videro sconvolse chi? E’ detto: le donne! LE CHIESE. Quelli che dicevamo, seguono con Naomi e Ruth accompagnati da segni e prodigi ma verranno rifiutati. Furono in agitazione… Che aveva mai fatto quella povera donna? Era partita facoltosa, con famiglia, e ora è sola con una straniera idolatra!? Ma come è possibile? Oh, i piani misteriosi di Dio. Come il Signore aveva condotto Naomi per vie sconosciute, come è detto che Dio guida i ciechi per una via che non conoscono (Isaia 42:16). Quelle donne (chiese) che erano rimaste nel paese, avevano sbrigato i loro affari nel mentre che Naomi era come esiliata in paese straniero. Erano rimasti nella congregazione, nella scrittura, con i fratelli, hanno lavorato nel

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paese. Naomi invece no! Dov’eri tu? Chi hai portato con te? E’ tutto qui quello che hai prodotto nelle vie di Dio in tutti questi anni? Una pagana? Da qui la domanda che spesso fanno tutti: E’ questa Naomi? E’ questa la sposa, la chiesa eletta?

Naomi, vista la sorpresa con cui fu accolta, riconobbe la sua nuova identità, che la vestiva di umiliazione (v.20). Dichiarò un nome diverso di quello con cui partì, non esitò. E’ proprio vero, la chiesa ha i segni della sofferenza, le stigmate di Cristo; “chiamatemi Mara”. Nessuno se ne vergogni. Dio ha un piano più alto dei confini dei nostri occhi.

Precisiamo; le donne rimaste, diremmo, le chiese ufficiali, quelli che sembrano fratelli spirituali, non sono solo i falsi, gli imitatori. Vedremo alla fine della nostra storia che alcune delle donne riconosceranno e benediranno Naomi come madre, e Ruth con la sua discendenza. Vi è sempre una parte che ha la fede originale e una parte che ha il miscuglio.

Oggi sono molti che si vantano di essere nel paese, nel senso della generale verità, ma nella loro espressione, nelle opportunità in cui si aprono nella fratellanza, la loro conoscenza, la loro fede, la loro dottrina e virtù viene messa alla prova, pesata e trovata mancante. Come funziona nella realtà del popolo di Dio, come è sempre successo, solo un rimanente, come essendo il frutto di una selezione, ritorna e si avvicina alla chiesa madre, la fratellanza matura, quella che si è messa nella breccia per portare la fede della promessa a chi ancora non l’ha realizzata.

Pensiamo alla dichiarazione di Naomi circa il motivo del suo nuovo ma provvisorio nome: “Non chiamatemi Naomi; chiamatemi Mara, poiché l’Onnipotente mi ha riempita di amarezza. Io partii nell’abbondanza e l’Eterno mi ha riportata a casa spoglia di tutto. Perché chiamarmi Naomi,

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quando l’Eterno ha testimoniato contro di me e l’Onnipotente mi ha reso infelice? ” (v.20,21). “Così”, e conclude il discorso, tornò con Ruth. Come è difficile confessare una tal cosa. Dio ha testimoniato contro di me. La testimonianza cristiana con le sue relative promesse è che Dio è con chi crede, e si occupa di testimoniare a favore, non contro. In questo quadro vediamo la sofferenza, con un sottofondo di delusione, della donna chiamata dolcezza, nel paragone fra due condizioni: La condizione in cui si trovava nella partenza con quella del ritorno. Possedendo nell’andare, perdendo nel ritornare. Il velo di delusione c’era, vista la constatazione come paragone. Per ciascuno è difficile accettare una così grande umiliazione; arrivare a pronunciare con la propria bocca una testimonianza così contraria, tanto da definire una differenza così grande fra la condizione dell’andata con quella del ritorno. Lei stessa si cambiò il nome, non permise agli altri di farlo. Non fu Dio a chiamarla Mara. Con un simile atto, era come se stava indossando l’abito della penitenza, vestita a bruno, la veste scomoda chiamata sacco insieme alla cenere. Questo ci ricorda una frase dell’apostolo Paolo: “Anzi avevamo già in noi stessi la sentenza di morte, affinché non ci confidassimo in noi stessi, ma in Dio che risuscita i morti ”(2 Cor. 1:9). Chi non ha una ribellione nel cuore accetta di umiliarsi, dichiarando già per se stesso una sentenza di morte nel riconoscere la sua incapacità di liberarsi da solo, e l’accettazione di non sfuggire, un'altra volta, alla carestia che gli si presenta. Un'altra carestia stava passando, peggiore della prima, quella di vedere che il suo Dio testimoniava contro di lei. La prima era materiale, la seconda spirituale. Nella prima seguì il marito, ed era giusto così; però comunque sfuggì davanti alla carestia. Ne uscì danneggiata; nella seconda non volle fare tentativi, ossia non cercò di difendersi trovando qualche scusa (qualche verso biblico). Andò dritto al centro; Dio aveva testimoniato contro di lei. Accettò

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dunque, non si ribellò ma accettò la penitenza e l’umiliazione… che diremmo? E’ questa Naomi? Impariamo con devozione… mentre lei si nominò col nome e la condizione che definiva amarezza, sento di esprimere… era veramente NAOMI! Fai che io impari o Signore da una tanta donna. Non sapeva che quel che lei chiamava, contraria testimonianza, era in realtà una testimonianza in favore, tanto che nel mentre che lei gustava l’amarezza delle sue perdite, produceva una nuova dolcezza che da sola o solo per il suo nome non poteva produrre. Tanto veniva amareggiata, tanto produceva il miele della dolcezza in lei; la delizia che produsse nel mentre che l’amarezza gli avvelenava il cuore, era migliore di quella che aveva quando era partita con la sua famiglia. “La tristezza è preferibile al riso, perché davanti a un volto triste, il cuore diventa migliore”(Ecclesiaste 7:3). Lei si definì col nome di chi è amareggiata, ma realmente era veramente Naomi, dolcezza, delizia, l’Eden che Dio desidera.

° ° ° ( Capo 2 )

Mentre il primo capitolo finisce con l’informazione che arrivarono a

Betlemme quando si cominciava a mietere l’orzo, il secondo inizia dall’informazione che Naomi aveva un parente di suo marito, della famiglia di Elimelek, di nome Boaz. Dopo tutto quel percorso di riduzione, in quanto perse tutto; il menzionare il periodo della mietitura fa pensare ai primi raggi sereni di ristoramento. L’alba di un nuovo principio cominciava a presentarsi. Era partita in un momento di carestia, tornava nel momento della raccolta.

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Subito si fa menzione del possibile parente redentore. Diciamo possibile perché ci fu un altro più prossimo di Boaz. Ma non anticipiamo.

Dal primo raggio di speranza nel vedere la raccolta, al ricordo del parente redentore. Così il Signore comincia a riscaldare un cuore affranto, un cuore che ha bisogno che il suo Creatore si ricordi di lui, perché lui stesso non sa più ritrovarsi in se stesso. La misericordia di Dio non viene per ubriacare di gioia esplosiva ed esaltante, ma desidera accarezzare l’anima afflitta per aprirla e invitarla ad un amore ristoratore ed educativo. Il sofferente ha bisogno di essere raccolto con garbo, esattamente come chi ha subito un incidente, deve essere raccolto dagli addetti al soccorso, che per un movimento falso in alcuni casi si è peggiorata la situazione fino alla morte. Solo Dio sa veramente recuperare l’anima afflitta. Ruth, la straniera, sottomessa a Naomi, la delizia (nonostante lei si definiva il contrario e che suscitò perplessità nel paese), godette della sua dolcezza. Fu attratta intimamente a quel tipo di sapore, diversamente da Orpha che lasciò la presa. Per seguire qualcuno bisogna vedere bene dentro, la dolcezza effettiva e non quello che appare. Ruth ebbe questa intuizione e trovò il coraggio di seguirla, nonostante le apparenze. Grande è il mistero che lega le anime l’una a l’altra, tale mistero si articolava anche quando Gesù era sulla terra. Quelli che lo seguivano vedevano in Lui qualcosa di delizioso che inizialmente non si spiegavano, ma che al tempo opportuno, quando sarebbe sceso lo Spirito Santo, compresero più da vicino. L’anima afflitta non se ne accorge nemmeno, anzi lei si definisce “amara”, sono gli altri che se ne accorgono e ne gustano il dolce sapore. Tanti rimarranno perplessi come quelle donne che potevano vantare le loro conquiste spirituali (più precisamente, religiose) per essere rimaste nel paese promesso, nel momento della carestia, e vi diranno: E’ questa la delizia di Dio? E’ questo l’Eden? Ma

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Ruth non disse così. Quanto diversa la figura degli eletti in confronto ai religiosi ed anche a quelli che sono i chiamati, che a loro tempo usciranno dalla forma ecclesiastica e impareranno dalla sposa giovane, chiamata dai confini di Moab (il mondo) e formantesi nel paese della promessa (le promesse e le scritture), stando vicina alla chiesa matura e agli spiriti dei giusti resi perfetti gustandone la delizia (Naomi). Non ci dimentichiamo che fu proprio Naomi ad affermare che Dio aveva testimoniato contro di lei. Pensiamo che per Ruth era facile stare vicino e accompagnare, seguire una tanta espressione di miseria e di dolore? Ma qualcosa che l’accomunava c’era in lei; la perdita del marito. Erano entrambi vedove. Prive del “primo” marito. Ognuno che viene a Cristo e lo incontra, perde il primo marito (la legge di Dio attraverso Mosè) e diviene libero di maritarsi a Cristo il nuovo sposo dell’anima. Dopo, o oltre questa esperienza vale quel che dicevamo all’inizio di Elimelek, come un servo di Dio che ci conduce fino a un certo punto per la Sua provvidenza, per adempiere uno scopo maggiore. Ruth non disse semplicemente di andare a spigolare, dimostrando desiderio di lavorare, perché la chiesa non dimora nell’ozio, ma dimostrò una qualche fede nella grazia… “Dietro a colui agli occhi del quale troverò grazia” (v.2). Si rimise alla grazia che gli sarebbe venuta incontro attraverso qualcuno. Quanto valore vi è in questi esempi? Se penso a quanto ci si perde dietro a dottrine e dottrine, ragionamenti strettamente misurati solo per definire quel che si deve fare e non fare, trascurando la sostanza dello scopo delle scritture. Nulla in contrario a tutto ciò che appartiene a Dio, sia sulla base di dottrine e ubbidienze, concetti spieganti cose ed eventi futuri, sia bene inteso, ma quando si trascura la sostanza, lo Spirito, allora tutto ciò a cui ci dedichiamo o cerchiamo di spiegare, rimane distorto e superficiale, ibrido, non produce ne vita ne calore. Lo stile delle osservazioni

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e della meditazione di queste pagine, è nella stessa linea delle parole di Pietro, nella descrizione dei valori che si aggiungono l’uno a l’altro (2 Pietro 1:1-15). Chi è savio per davvero ricerca e si concentra in quel che è la parte migliore (Luca 10:42). Ruth non rimase oziosa, la chiesa di Cristo ama di lavorare, e dalla chiesa madre, diremmo matura (1Tess. 2:7), compresi come abbiamo detto gli spiriti dei giusti resi perfetti, la chiesa universale anche nella testimonianza della loro storia, riceverà il santo consenso. Confermata nell’armonia del carattere di Cristo, il capo della chiesa. Rimessa nella fiducia di trovare grazia. Era indifesa, senza sostegno, senza un lavoro, ma confidava in qualcosa… quel rimanere vicina a Naomi, nel gustare quella dolcezza, cominciò a confidare nel Dio invisibile di Naomi, nonostante la sua visibile situazione. Erano le sue parole e attitudine quand’erano ancora in Moab: “Il tuo Dio sarà il mio Dio”. Molte volte ci si muove senza sapere di preciso quel che si fa, ma nell’amore materno di una matura fratellanza, impariamo a cercare e sperare nella grazia, assorbiamo le virtù seguendo qualcuno più spirituale di noi, gustando la dolcezza del suo spirito. Spesso, proprio quando sappiamo tanto, facciamo la cosa sbagliata, mentre quando ci affidiamo e aspettiamo la grazia, coscienti ch’è la sola cosa che ci rimane, abbiamo il soccorso di Dio. Che bell’esempio è Ruth! Quindi non in un campo che lei avrebbe scelto o che lei preferiva, un qualsiasi campo, ma nel campo dietro a colui che avrebbe trovato grazia. Dietro, consapevole del suo ruolo; non invadenza, non arroganza, non fretta, dietro! Seguendo chi è più avanti di lei, quelle donne che erano rimaste nel paese, nel campo, quando Naomi se ne era andata. Quanto vale la consapevolezza di sé e della propria condizione davanti a Dio. “Così Ruth andò e si mise a spigolare in un campo dietro ai mietitori; e le capitò per

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caso di trovarsi nella parte del campo appartenente a Boaz, che era della famiglia di Elimelek”(v.3). L’apprendista straniera si mise in ordine rispetto quelli che c’erano prima di lei; seguì i mietitori, dietro di loro, si fece guidare da chi conosceva già la strada e il lavoro. In quel sentiero di umiliazione e di umiltà, Ruth lavorò senza lamentarsi; seguì i mietitori, e per “caso”, si trovò nella parte del campo che apparteneva a Boaz, colui che sarà il suo redentore e di sua suocera. Le vie e i metodi misteriosi della provvidenza! Per caso, come vagando nel buio si trovò nel campo propizio a lei. Invero, chi cerca la grazia vera, troverà dei mietitori a cui dovrà seguire e sottomettersi, e senza che ci si rende conto trovarsi nel campo del Signore. Come disse la Sulamita: “Non so come ma il mio desiderio mi ha posta sui carri del mio nobile popolo”(Cant. 6:12).

…Benedetta grazia, tu che ispiri fiducia al misero e disperso, dal cuor bisognoso e affranto, responsabile di altri più limitati; incoraggi ad

afferrare quelle mani tese in favore di chi spera in te. Non disdegni i limiti di chi è debole, ma inviti a ricevere il dono attraverso la possibilità e

opportunità che solo in te risiede, come un porta che permette il passaggio ad un'altra condizione. In quella stanza, entrare nel segreto di essa, dove il

Padre ha desto l’orecchio per ascoltare e vedere i bisogni che ti hanno spinto ad accettare della Sua grazia l’invito.

Nel verso quattro ci viene detto dell’arrivo di Boaz nel campo; veniva da Betlemme. Così vediamo realizzarsi in questa figura quel che disse l’apostolo Paolo a Tito: “Infatti la grazia salvifica di Dio è apparsa a tutti gli uomini”(Tito 2:11). Esattamente come abbiamo detto della grazia che Ruth

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cercò, la speranza nella grazia che gli sarebbe venuta incontro. La fede nel Dio d’Israele stava facendosi strada in lei. Quando Boaz arrivò nel campo di fatti, ci fa vedere come in figura appare il Cristo nella nostra vita. Non solo per darci grazia per la salvezza, ma per continuare in un cammino di grazia sopra grazia (Giov.1:16).

Il parente redentore veniva da Betlemme, esattamente come il Redentore del mondo: “Ma tu, o Betlemme Efratah, anche se sei piccola fra le migliaia di Giuda, da te uscirà per me colui che sarà dominatore in Israele…” (Michea 5:2). Efratah era moglie di Caleb, da lei nacque come primogenito Hur, da cui venne Salma padre di Betlemme. Sebbene piccola e fra le migliaia di Giuda, “da te”, nel connubio fra due virtù divine: fruttifero e casa del pane, uscirà per Me il dominatore. Solo dalla fertilità di un cuore arreso e umile, svuotato di se, che Dio produce il Suo Pane nella Sua casa.

Betlemme viene chiamata anche Efrathah, fu la moglie del valoroso Caleb. Quel grande compagno di lotte di Giosuè, distinti dal fatto che erano gli unici due della generazione che uscì dall’Egitto, ad entrare nella terra promessa. Gli altri morirono tutti.

Sappiamo bene che vi è anche chi, amante della falsità, propone e offre il pane senza fertilità spirituale alcuna (Prov. 9:17). La falsa chiesa, con le sue figlie (le chiese tutte, ogni sistema religioso), offrono acqua e pane rubato, mangiato di nascosto. Non è in questo modo che Dio vuole sfamare i Suoi, e non gradisce chi trae il pane dalla sterilità, cioè, dalla sterilità reale nella loro condizione di falsità, che porta al furto del pane di Dio. Si! Il diavolo deruba Iddio. Così, questo seduttore, nella falsa chiesa inganna e seduce con un pane rubato a Dio per mangiarlo di nascosto. Attira al sotterfugio, alla polemica e politica, al discredito; l’accusatore dei fratelli. Un pane lievitato per gonfiare la superbia degli uomini. Mentre Gesù, vera vite feconda e

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fruttifera, accoglie in un innesto d’amore e comunione santa, i tralci per far produrre il Suo frutto e condividerlo con altri. Da Efratah (fruttifero), Betlemme (casa del pane), viene il vero e unico dominatore e redentore.

Boaz apparve subito dopo che Ruth esce per cercare lavoro presso chi gli farà grazia, come abbiamo già detto, seguendo i mietitori, e per questo si trovò per caso nel campo di Boaz. Dopo questi eventi appare il parente redentore. Al suo arrivo dunque, salutò “tutti” con la benedizione del Signore, “poi”si rivolse al “suo servo incaricato alla sorveglianza”, il responsabile (v.4). Il Signore si rivolge a tutti i mietitori indistintamente in un saluto benedetto, da loro ricambiato con lo stesso affetto. Il saluto non è da ignorare come se fosse di poco conto. La parola Salu significa: Esaltare. Il Signore esalta glorifica i Suoi lavoranti, e i lavoranti esaltano e glorificano Lui. Ma, per quanto riguarda i ruoli d’ordine, si avvicina ai sorveglianti, i Suoi ministri. Notò subito una nuova arrivata, e chiese al sorvegliante: “Di chi è questa fanciulla? ”(v.5). A chi appartiene? Invero, è una domanda che si pongono tutti in genere. Anche i religiosi, quando cercano di sapere a chi appartieni, con lo scopo di impadronirsi di te per signoreggiare. Ma è importante notare ed apprezzare il significato visto in colui ch’è più grande di Boaz, Cristo, come Egli si interessa della nostra provenienza per liberarci ed aiutarci. Il fine, essere Sua proprietà. Il servo, uomo di compassione, impersonificava la grazia del suo padrone, così come i servi di Dio impersonificano la grazia di Dio. Accolgono l’errante, il solitario, il bisognoso. Così fece quel servo. Rese testimonianza della donna nel modo in cui si propose a lui: “E’ una fanciulla moabita, che è tornata con Naomi dal paese di Moab. Ella ci ha detto: “Vi prego, lasciatemi spigolare e raccogliere le spighe tra i covoni dietro ai mietitori”. Così essa è venuta ed è rimasta da questa mattina fino ad ora; si è riposata in casa solo un momento” (v.6,7).

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E’ moabita, è (viene) dall’incesto di questo mondo, dal miscuglio. Ma, è “tornata” (uscita) con Naomi (delizia), insieme a Naomi, insieme alla delizia dal paese di Moab, dal mondo, dal peccato. E’ moabita ma è tornata con Naomi. Ci ha detto, vi prego… Ha pregato. E’ uscita di casa cercando la grazia, e ha pregato per ottenerla, disposta a “seguire” i mietitori. Si è riposata solo un momento. Oh!… cara sorella Ruth.

La ricerca della grazia e la preghiera, onorano la sua parte spirituale. Che animo nobile. Per quanto riguarda la parte pratica, nel lavoro, si riposò solo un momento. La chiesa cerca anch’essa la grazia e respira nella preghiera per ottenerla, consapevole delle sue origini di peccato, ma pure amando la delizia di Dio. Nel lavorare per il regno di Dio, si riposa solo un momento, il tanto che serve, ama lavorare, come è descritta la donna virtuosa in Proverbi 31:10-31.

° ° °

L’incontro dei due cuori Boaz parla al cuore della sua serva

“Allora Boaz disse a Ruth: “Ascolta figlia mia, non andare a spigolare

in un altro campo, non allontanarti da qui, ma rimani con le mie serve. Tieni gli occhi sul campo che mietono e và dietro a loro. Non ho forse ordinato ai miei servi di non molestarti? Quando hai sete và dove sono i vasi, a bere l’acqua attinta dai servi”(v.8,9).

Dopo la presentazione/descrizione che il servo fece, Boaz non perse tempo di dare buoni consigli alla nuova arrivata. Gli disse di non spigolare in un altro campo e di non allontanarsi da dov’era. Tieni gli occhi sul campo! La chiesa di Cristo deve imparare da queste figure a: “non spigolare in un

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altro campo, a non allontanarsi, e tenere gli occhi sul campo del redentore”. Concentrarsi su di esso. Qualche servo di Dio ha identificato questo campo alla scrittura, come campo da investigare, coltivare, per lavorare dentro le parole di Dio, per cercarne il senso intimo, il significato. Condivido appieno, anche se possiamo vederlo come la chiesa che deve essere coltivata per produrre frutto alla gloria di Dio. Varie sono le interpretazioni, o per meglio dire, punti di vista da dove si guardano le cose; a seconda del lato che si vuole evidenziare vi è un significato diverso. Non nel senso che ognuno interpreta come vuole, a proprio piacimento le scritture, ma nel senso armonioso di come lo Spirito le vuole portare, a seconda di cosa vuole dire attraverso certi esempi. In effetti, la chiesa non deve andare a spigolare in altri campi, sia la sacra scrittura che la chiesa come corpo, non deve allontanarsi perch’é pericoloso, ma deve tenere lo sguardo fisso sulle parole di Dio. “Insieme alle Sue serve”, la fratellanza, perché il Signore ha ordinato nel suo campo di “non molestarsi” l’uno con l’altro. Gesù ci ha chiamati alla pace, a vivere e lavorare nella Sua pace.

Anche quando avrai sete vai a bere nei vasi, l’acqua attinta dai servi. Come detto in Isaia 52:11, i vasi del Signore, che sono nel Suo campo, sono i riscattati che fanno scorta d’acqua perché si sono abbeverati da “quella fonte benedetta”, e quell’acqua che Dio darà diventerà una fonte che manterrà pulita e fresca l’acqua che rimane nel vaso. Attingono nei vasi. Tu che sei nuova, non temere di abbeverarti dai vasi che hanno attinto i servi, perché il messaggio del proprietario è quello che nessuno deve molestarti, nessuno dei Suoi vasi ha il diritto di rifiutare la Sua acqua agli altri vasi che hanno bisogno di essere riempiti. Questo ci è di grande lezione! Gesù disse: “L’acqua che io ti darò…” (Giov. 4:14). Gesù non rifiuta la Sua acqua agli assetati. I Suoi operai devono fare lo stesso.

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“Allora Ruth si gettò giù, prostrandosi con la faccia a terra, e gli disse: “Per quale ragione ho io trovato grazia ai tuoi occhi al punto che tu presti attenzione a me che sono una straniera? ” (v.10). Si prostrò, dinanzi a tanto interesse ed onore. E… come abbiamo letto, chiese a meraviglia (e questo ci fa vedere la nobiltà d’animo di una donna che non si sente meritevole) per quale ragione aveva trovato GRAZIA. Per quale ragione… la ragione, caro lettore, è nelle viscere di misericordia del Dio di grazia che bruciano di passione per te. “Ai tuoi occhi…” Lui ci guarda e sotto quello sguardo così perfetto vede tante mancanze, ma che sa coprire con la misericordia e l’interesse di aiutarti, o cuore nobile. “Tu mi hai rapito il cuore, o mia sorella, sposa mia; tu mi hai rapito il cuore con un solo sguardo dei tuoi occhi, con uno solo dei monili del tuo collo” (Cant. 4:9). Questo è l’effetto che fa la sposa allo sposo, insieme ai monili del suo collo, che gli parlano di ubbidienza e docilità nel piegare il capo. Sappiamo come sovente Dio rimproverava Israele di essere di collo duro. Anche Orpha, che significa “collo”, tornò indietro e non seguì Naomi, la delizia. Non si nutrì della sua dolcezza. Anche lo sposo lancia occhiate alla sua chiesa per invitarla ad aprire il cuore (Cant. 2:9).

Vediamo dunque come si prostrò dinanzi a Boaz, colui che l’aveva “adocchiata” e si era interessata di lei. Lei si meravigliò di tanto interesse per una straniera, ma il redentore è stato manifestato per ricondurre gli stranieri e farli Suo popolo legittimo, “A tutti quelli che lo hanno ricevuto ha dato il diritto di diventare figli di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome” (Giov. 1:12).

Atteggiamento che si unisce alla reazione di Davide quando Dio gli parlò attraverso Nathan in merito al tempio e alla sua discendenza. Leggiamo: “Allora il re Davide andò a sedersi davanti all’Eterno e disse: “Chi sono io, o

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Signore, o Eterno, e cos’è la mia casa, da farmi arrivare fino qui? ” (2 Sam.7:18). Davide si andò a sedere davanti al Signore, prese i panni, la posizione di uno scolaro, entrò nell’ascolto, nel riposo; si abbassò danti a Dio per aprirgli il cuore e ringraziarlo di come Lui si interessa alla sua progenie dopo di lui. Il modo di come terrà vivo il suo ricordo fra gli uomini, e anticipando già le sofferenze vicarie del Cristo, il messia (v. 12-16). Il Signore non poteva dargli una visione più bella.

Ruth interpretò la stessa fragranza di umiliazione e di riconoscenza, posizione di ubbidienza e arrendevolezza. Gloria a Te Signore! Queste sono le cose che dobbiamo studiarci di contemplare.

Boaz rispose a quel fiore che si stava schiudendo, nel mentre che come una preghiera esalava il suo profumo: “Mi è stato riferito tutto ciò che hai fatto per la tua suocera dopo la morte di tuo marito, e come hai lasciato tuo padre, tua madre e il tuo paese natio, per venire a vivere con un popolo che prima non conoscevi. L’Eterno ti ripaghi di quanto hai fatto, e la tua ricompensa sia piena da parte dell’Eterno, il Dio d’Israele, sotto le cui ali sei venuta a rifugiarti” (v.11,12). Non si finirebbe mai di meditare queste parole, è il Signore che le ha scelte per noi e le ha fatte scrivere. Ora lo Spirito Santo ce le spiega. Gli era stato riferito; aveva dei servi fedeli e precisi che sapevano osservare e riportare le qualità dei nuovi arrivati. Segno questo che nelle chiese o chiesa, quando si avvicina un anima nuova, bisogna saperla incoraggiare, riconoscere e notificare al Signore, capo del campo, i pregi del novizio piuttosto che far notare le cose che non ha ancora capite o virtù ancora non ricevute. Puntare sul bene fatto da buone intenzioni; il resto verrà appresso. Intanto si è presa cura di Naomi, ha curato la delizia (l’amore di Dio), l’ha seguita (questa delizia, dolcezza e grazia), e questo gli ha dato la forza e la determinazione di lasciare suo padre, sua madre e la sua terra. Le

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sue origini. Aveva davanti a se solo due cose: Un nuovo Dio e un nuovo popolo, che non conosceva, ma che probabilmente conosceva per sentito dire e in modo senz’altro spregevole dai moabiti.

La chiesa di Cristo lascia e continua a lasciare la sua natura, le sue origini solo e quando trova qualcuno vicino a lei, che gli è stata affiancata da Dio, per aiutarla. Qualcuno in cui vi è del miele santo, la delizia del Signore, ossia la carità, la pietà di Cristo, la misericordia, tutto ciò che riguarda la sana dottrina. Non sulla base solo di insegnamenti definiti in formule e ubbidienze esteriori, o dottrine, ma come primieramente è definito in Tito 2:1-10. Gustando questa delizia, le anime affamate di Verità troveranno la forza di lasciare ogni legame; ricordiamo Abrahamo, nessuno poteva in quel tempo parlargli della terra promessa, ma udì la Voce di Un Dio che andò conoscendo sempre meglio. Questo gli diede la forza di lasciare il suo parentado. Da qualche parte per gli eletti c’è sempre un favo di miele da cui attingere la dolcezza dello Spirito, virtù e amore di Dio.

La grazia che lei si chiedeva, per cui si meravigliava, era espressa dagli occhi del suo parente redentore, che rivelavano le viscere di un amore divino per lei, non interessi personali, non altri motivi. Egli ci ha amati il primo, e noi lo amiamo per questo, perché Lui è Amore (1Giov. 4:18,19). Questo amore è l’origine della grazia che diviene remissiva, salvifica, occupando un ruolo di espiazione (1Giov. 4:10). In effetti, il parente redentore, fu per lei e Naomi una salvezza visto la situazione in cui si trovarono. Ruth stessa non perse tempo di cercare lavoro.

La benedisse con una benedizione rimuneratrice, esaltando che Dio ricompensa coloro che si fanno carico delle difficoltà altrui. Lui ricompensa, non sempre secondo come possiamo immaginare, ma paga. Si era immedesimata nella suocera, sentiva i suoi bisogni e le sue sofferenze, e quel

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che la valorizza è che riusciva a vedere il miele dentro Naomi nonostante l’apparente sconfitta e amarezza.

Colei che cerca la grazia nello sguardo del redentore, senza conoscenza alcuna del Dio d’Israele, se non qualche spiegazione data da Naomi, si sentiva spinta a confidare in questo Dio predicatogli dalla suocera, tanto che “cercò rifugio nella Sua grazia”. Un cuore nobile guarda le persone nel modo in cui guarda Dio. Ricordiamo le bellissime parole del Salmo 91: 1 : “Chi dimora nel riparo dell’altissimo, riposa all’ombra dell’onnipotente”. In questo “chi”, è la definizione di chiunque cerca la grazia di Dio e il Suo rifugio. Come detto nelle parole di questo Salmo, troviamo la stessa espressione che usò Boaz: “Sotto le cui ali sei venuta a rifugiarti”.

Le ali del Signore hanno un significato importante nella realtà dello spirito. Esse fanno pensare alla voce di Dio. Guardiamo in Ezechiele 1:24 e 10:5 come viene descritta l’immagine delle ali: (1:24) “Quando essi si muovevano, io sentivo il fragore delle loro ali, come il fragore delle grandi acque, come la voce dell’onnipotente…”. (10:5) “Il rumore delle ali dei cherubini fu udito fin nel cortile esterno, come la voce di Dio onnipotente quando parla”.

Il pensiero che riesce a vedere le immagini suggerite dallo Spirito Santo al nostro spirito, ci dà di raccoglierne la visione del fiato, della voce, del sospiro di Dio quando parla, cioè quando è Lui che parla direttamente e non a mezzo di qualcuno. Le ali di protezione che ombreggiano sulla coraggiosa pioniera della fede nel cercare uno sguardo di grazia, quando si leveranno, quando è il momento di volare, al loro sbattere, al loro fragore sentirà il soffio, prezioso soffio dello spostamento d’aria generato dalla forza delle ali, udrà in quel soffio la voce dell’onnipotente. Quelle ali indicano che la voce di

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Dio trasforma e porta in alto, a staccare i piedi dal terreno; camminare nello spirito. Beati coloro che dimorano sotto le ali del Signore. Comprendiamo bene quindi la risposta alla domanda di Ruth: “Perché ho trovato grazia ai tuoi occhi? Perché tanta attenzione? (v.10).

Ora vediamo come si esprime la donna al suo redentore: “Possa io trovare grazia ai tuoi occhi, o mio signore, poiché tu mi hai consolata e hai parlato al cuore della tua serva, sebbene io non sia neppure come una delle tue serve.” Rivediamo il verso due: “…Dietro a colui agli occhi del quale troverò grazia”; verso tredici: “Possa io trovare grazia agli occhi tuoi”. La preghiera di una tanta donna fu esaudita! Lo sguardo benigno da cui trovò grazia fu proprio quello del suo parente redentore. Le parole rivoltegli, l’interessamento che gli mostrò, formarono quel santo linguaggio che toccò il cuore della donna desiderosa di grazia. Beato chi ha imparato alla scuola del Figlio dell’Uomo e Redentore, il ristoratore di rovine, tanta disciplina; parlare - al - cuore! In Isaia 50:4 è scritto: “Il Signore, l’Eterno, mi ha dato la lingua dei discepoli perché sappia sostenere con la parola lo stanco”. Non si riferisce all’uso dei versi biblici, piuttosto, a quel santo parlare disciplinato dallo Spirito Santo, nel soffiare della voce di Dio nella bocca del discepolo arreso nelle mani del suo Maestro e Signore. Ricordiamoci di cos’è il vero refrigerio… il lasciar riposare lo stanco (Isaia 50:4,5). Conoscendo bene le sue origini, ritenne troppo per lei tanta considerazione da parte di un tal uomo. Non osò, la donna, paragonarsi neanche alle serve di lui. Nel discorso che va dal verso 10 al verso 13 Ruth era prostrata (faccia a terra) davanti a Boaz. Iniziò con una domanda sul perché della grazia e tanta attenzione verso di lei, e finì con una richiesta di grazia nuova (sempre fresca).

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I due si divisero fino all’ora del pranzo e quindi: “Al momento del pasto, Boaz le disse: “Vieni qui, mangia il pane e intingi il tuo boccone nell’aceto”. Così ella si pose a sedere accanto ai mietitori. Boaz le porse del grano arrostito, ed ella mangiò a sazietà e mise da parte gli avanzi” (v.14). Al momento del pasto! Vi è un tempo in cui il Signore vuole nutrirci per avere comunione intima con la sua chiesa. Com’è presentato il fatto in quella occasione, appare la figura di Cristo presentarsi alla sua chiesa, il come la chiama con amore condiscendente, i consigli di spigolare nel Suo campo, quel savio e amorevole “parlare al suo cuore”, per poi invitarla alla sua mensa per avere comunione con lei e con i lavoratori, i servi. Mangiò a sazietà. Nessuno che va alla mensa del Signore rimane digiuno, o insoddisfatto. Ne conserva anche gli avanzi. Questi avanzi sono quel che rimane di vivo nel cuore al momento del ritorno alle proprie faccende. Troppe volte al ritorno a casa da una riunione si rimane vuoti. Portare gli avanzi significa aver ricevuto davvero qualcosa da parte di Dio, qualcosa che ci portiamo a casa, e condividere con altri. Ricordiamo anche Gesù nell’ultima cena; come rivelò il traditore? Giovanni chiese questo. Gesù rispose dando due accenni particolari corrispondenti. Uno era: “Colui che intingerà meco nel mio piatto” (Matteo 26:23). “E’ colui al quale io darò il boccone, dopo averlo intinto” (Giovanni 13:26). Prima ci fu l’atto di Giuda come “pretesto”, attinge niente meno dal piatto del Grande Maestro. Poi vi è la risposta del Sommo Maestro all’ignorante discepolo, dandogli il boccone Lui stesso, come a favorirlo e fargli credere di essere stato gradito. Oh! Quanto vi è in questo atto! Ci ricordiamo delle parole di Paolo circa l’efficacia di errore… (2Tessalonicesi 2:11). Dopo che Gesù rispose a quel gesto pretenzioso di Giuda, come dire: Guardate! Io attingo dal piatto del Maestro; il diavolo entrò in lui! Quanto è pericoloso stare vicino a Gesù,

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illudendosi di fare la sua volontà e dando l’impressione di avere comunione con lui, perché si attinge nello stesso piatto, quando realmente non è così! Ma queste cose le notiamo per osservare lo stile del Maestro perfetto, la sua tenerezza, il suo amore nel non rifiutare l’affetto anche a un nemico, rivelando che là dove vi è più bisogno di tenerezza la sua mano è pronta a dividere il suo piatto ed a porgere il boccone. In questa figura, vediamo l’invito di Boaz a Ruth e la sua tenerezza, ad una comunione introduttiva con lui e i suoi servi.

“Poi si levò per tornare a spigolare, e Boaz diede quest’ordine ai suoi servi, dicendo: lasciatela spigolare anche fra i covoni e non rimproveratela” (v.15).

Finito di mangiare e fare scorta, senza perdere tempo tornò al lavoro. Boaz, da un altro lato, fece un lavoro invisibile per lei; ordinò ai suoi servi di non rimproverarla quando lei si avvicinerà ai covoni per spigolare, cioè la fase finale di raccolta che qualcun altro avrebbe fatto, là dove il grano è raccolto e legato assieme. Caro lettore, molti o pochi verranno a spigolare là dove è più facile, sul tuo lavoro lungo e sofferto di anni, là dove hai con fatica e meditazione raccolto in ordine delle massime, delle rivelazioni. Non preoccuparti se altri raccoglieranno, o addirittura se poi si prenderanno i meriti di quel lavoro, come fosse il loro. Dai sempre, raccogli per il tuo fratello, cedi sempre. Lascia che altri raccolga, è il tuo padrone che te lo chiede.

Ai credenti maturi viene detto di lasciar cadere delle spighe di proposito, quindi senza farsi vedere, in modo che il nuovo arrivato possa essere agevolato a raccogliere (imparare, senza essere distratto dal troppo lavoro pratico) il più possibile. L’avviso a non sgridarla è ovviamente perché vi erano delle regole di equilibrio e giustizia da rispettare, visto che ognuno

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lavorava per se stesso. Nello stesso tempo, è doveroso notare l’insistenza sui richiami di difesa a non preoccuparsi dei rimproveri dei servi. Caro lettore, oltre a giustizie interne di ogni ordine lavorativo d’insieme, rispetti di ruoli doverosi, si muovono nascoste molte invidie e pregiudizi. Anche nell’ambito della chiesa. A questo proposito intendiamo le parole di Paolo a Timoteo: “Io ti scongiuro davanti a Dio, al Signore Gesù Cristo, agli angeli eletti, che tu osservi queste cose senza pregiudizio, non facendo nulla con parzialità” (1Timoteo 5:21). Da notare anche l’insistenza di Paolo, a guardarsi dai pregiudizi. Quasi mettendo Timoteo dinanzi un tribunale… Dio, Gesù, gli angeli eletti. Questo pone il giovane evangelista in uno stato di coscienza tale da guardarsi in modo molto serio a proposito, sugli avvisi ricevuti. Un uomo esperto in delusioni, in disillusioni, sa quanto è fragile la natura umana. Per questo avvisa con proporzione il giovane Timoteo. Nel caso di Ruth, sapevano che era Moabita, straniera, da un paese idolatra.

Vediamo la cura che il nostro Maestro ha con i più deboli, quale considerazione! Mentre ai nuovi pare di essere soli e sconsolati, il Padrone lavora nei suoi servi già capaci, la disciplina necessaria per saperli accudire. “Badando bene che nessuno rimanga privo della grazia di Dio e che non spunti alcuna radice di amarezza, che vi dia molestia e attraverso la quale molti vengano contaminati” (Eb. 12:15). Anche Naomi si definì amarezza; ed era necessario che “un’amica” come Ruth gli stesse accanto affinché non spuntasse in lei radice velenosa a dare molestia e inabissarla nel dolore oltre misura.

Questo è il lavoro che lo Spirito Santo fa nei servi per non creare molestia verso i nuovi, e quindi disporsi ad aiutarli. Badando bene che non rimangano privi di quella grazia per la quale si sono mossi, che hanno cercato per loro e per quelli che sono con loro; come fece Ruth. Vi sono

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anche dei momenti in cui non bisogna sgridare, vi sono tempi specifici per questo. Gesù non sempre sgridava; prendeva di mira il bene dell’anima che aveva davanti ed esprimeva la “Sua dottrina”. Non “questo e quello”, ma i metodi del Padre nel saper parlare opportunamente allo stanco (Isaia 50:4,5). Lo scopo di Gesù nei suoi è quello di indicare un traguardo come orizzonte e fornire l’aiuto necessario, opportuno, per raggiungerlo.

“Lasciate cadere per lei delle spighe dai manipoli e abbandonatele, perché essa le raccolga, e non sgridatela” (v.16). I lavoratori, i servi già esperti, lasciano cadere per la nuova arrivata delle spighe per agevolarla. Dovevano lasciarle cadere per lei e abbandonarle. Significa che dovevano stare attenti, seguire la situazione perché anche altri avrebbero potuto raccoglierli, e così il gesto non sarebbe andato a buon fine. Prendersi cura di chi raccoglie, lavora. Come Maria che accennavamo all’inizio, raccoglieva gli indizi, i segnali che si manifestavano davanti e intorno a lei a causa della nascita di Gesù ed anche di tutta la Sua vita fino alla morte. Le raccoglieva e serbava nel cuore. “Così ella spigolò nel campo fino alla sera, poi batté quello che aveva raccolto, e ne venne fuori circa un’efa di orzo” (v.17). Il sole tramontò sul suo lavoro, non sull’ozio; questa è una gran virtù sopra tutto per una novizia, addirittura straniera e veniente da un popolo pagano. Alla fine, batté le spighe, cioè le scosse. Non solo semplice raccolta ma anche battitura. L’opera delle tue mani deve essere scossa… pigiata, scossa e traboccante (Luca 6:38). Quel che il Signore ci dà, deve essere raccolto umiliandoci e sudando per ottenere; poi deve essere battuto, scosso per separare ciò ch’è utile da ciò ch’è inutile, quel che serve da ciò che non serve. L’ultimo gesto di completa pulizia dei chicchi, era di ventolarlo. Quel che rimaneva, una volta separati dagli steli veniva lanciato in aria per far

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disperdere la pula dal vento. Come questo gesto ci parla della lode! Ventola il frumento di Dio! Lancialo in aria con un alleluia! Loda il Signore, e Lui separa dalla tua vita la pula, l’inutile, dal grano, l’utile. Vi è sempre una parte che deve essere presa e una parte lasciata. Solo allora, fatto quest’ultimo lavoro di battitura raccolse l’utile, quello che portò a casa sua. Vi è un inizio, un proseguo e una fine. Spesso facciamo tanto ma concludiamo poco o niente. Il Signore ci insegni a seguirlo nel Suo ordine. “Il mio cibo è di fare la volontà di colui che mi ha mandato e di compiere l’opera sua” (Giovanni 4:34). Come vediamo dalle parole di Gesù, non basta solo il “fare”, ma anche condurre l’opera a compimento (Isaia 55:11). Chiese aiuto per portare a casa il frutto del suo lavoro? “Se lo caricò addosso, entrò in città e sua suocera vide ciò che essa aveva spigolato. Ruth tirò quindi fuori ciò che le era rimasto del cibo dopo essersi saziata e glielo diede” (v.18). Anche Maria al sepolcro voleva “caricarsi” il “corpo” (che diventò il pane della cena, 1Corinzi 11:23-32) del Signore “addosso” per riportarlo nel sepolcro. Gesto coraggioso e amorevole, ma bisognoso di risurrezione (Giovanni 20:15).

Vide e non vide. E’ secondo l’ordine di Dio che chi ha occhi per vedere veda ciò che l’operaio ha raccolto nel campo di Dio. Spesso nella fratellanza succede che chi lavora in ispirito, nel campo del Signore (la presenza di Dio, le scritture, la preghiera), viene visto come portando “pesi” piuttosto che “cibo” per sé e per tutti. E’ triste questa realtà, tanto che specie chi è spirituale, viene “visto” come un filosofo, come portando pesi di logica umana, cultura religiosa. Chi è in tale condizione è semplicemente cieco e ha bisogno di aiuto. Ma la chiesa matura, insieme, come già detto, ai ministri di tutti i tempi, dai personaggi della bibbia ad oggi anche se già col Signore,

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imparando da “tutti”, (tutti i profeti, Luca 24:27) vede ciò che essa aveva spigolato, alleluia! Ma, quel lavoro era da conservare; la cena (comunione) in quella sera doveva essere fatta con quel che lei avanzò di quello che mangiò insieme al suo redentore (v.14). Tirò fuori gli avanzi (quel che Naomi non vide), di quello che conservò di “quella” cena. Partecipò a Naomi. Degna donna era Ruth. Quando si cena con il redentore, si portano gli avanzi, cioè, la prova che il Signore è generoso dispensatore e che abbiamo davvero ricevuto dalla Sua mano. Ovvie le domande sul dove aveva lavorato in quel giorno per raccogliere così tanto. Aggiunse una benedizione degna di nota: “Benedetto colui che ti ha prestato attenzione!” (v.19). Se consideriamo il verso due, dove Ruth propose di uscire per cercare lavoro dietro a colui agli occhi del quale avrebbe trovato grazia, vediamo che la grazia accordatagli è la SUA ATTENZIONE! Si! La grazia di Dio è la Sua attenzione alla tua vita. Lui è attento a te, come Boaz fu attento (ebbe interesse) a Ruth; Dio è amore. Dopo avergli detto il nome del benefattore, Naomi disse: “Sia egli benedetto dall’Eterno, che non ha ritirato la sua benignità ai vivi e ai morti” e aggiunse: “Quest’uomo è nostro parente stretto, uno che ha il diritto di riscattarci” (v.20). Ruth continuò a narrare dell’uomo distinto la gentilezza: “Rimani con i miei servi, finché abbiano finito tutta la mia mietitura” (v.21). Non ha ritirato la sua benignità (Grazia, Attenzione per amore) ai vivi e ai morti. Lei si definiva morta, ricordiamo il nome che diede a se stessa, Mara! Si consideravano entrambe morte, per questo fece il paragone con i vivi, quelli che erano rimasti in Israele nel momento della carestia, che potevano essere sembrati più fedeli al Signore. Ma, un lampo di luce si fece nella (sua) valle di Akor (turbamento, Osea 2:14,15), e vide questa

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porta di speranza dove sarebbe ritornata a cantare, come ai giorni della sua giovinezza, quando era ancora “Naomi”. In quei momenti si sentiva di aver perduto quella dolcezza di cui era comunque cosciente, e vide farsi strada nella sua vita il cattivo sapore dell’amarezza. E’ la via della valle del turbamento in cui tutti passeremo. Si assaggia il cattivo sapore delle nostre disillusioni, la fragilità delle nostre credute forze, la nullità del nostro io. Quando tutt’a un tratto, si intravede il “benedetto”, colui che ha diritto di riscatto, il redentore! “Questo” fu il lampo che suscitò in lei la visione della fede per cui poté vedere il riscatto di entrambe: “Riscattarci”! Qual beatitudine. Naomi rispose alla nuora acconsentendo alla parola del redentore, di andare con le sue serve al fine di non essere trovata in un altro campo (v.22). Benedetto lavoro Dio fa nella chiesa matura…

° ° ° Nota: Per chiesa matura intendo, i santi maturi in vita da cui impariamo e che vegliano sui più giovani o più deboli, essendo anche carichi di sofferenze, “amarezza”. Tutti i personaggi della bibbia, i servi di Dio nel corso della storia, esattamente come esprime in senso elevato lo scrittore agli Ebrei: “Ma voi vi siete accostati al monte Sion e alla città del Dio vivente, che è la Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all’assemblea universale alla chiesa dei primogeniti che sono scritti nei cieli, a Dio, il giudice di tutti, agli spiriti dei giusti resi perfetti” (12:22,23). Tutti quelli che si convertono al Signore, hanno in qualche modo relazione spirituale con questo tipo di assemblea. Più si cresce nella maturità spirituale, nell’invisibile, più si estende questa realtà. Essere seduti nei luoghi celesti, come dice Paolo (Efesini 2:6), non è semplicemente essersi avvicinati

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all’evangelo o aver accettato Gesù nel ravvedimento e pentimento, avendo ricevuto il perdono dei peccati. Piuttosto, si riferisce a una crescita tanto quanto si va perdendo nel visibile, nel diminuire in noi stessi. Man mano si diventa credenti spirituali, e si sperimenta questa comunione con la chiesa universale, in ispirito, e la comunione con i luoghi celesti.

° ° ° Continuiamo. La chiesa matura, quindi, avverte solennemente la chiesa giovane a ubbidire alla parola del redentore, a rimanere vicina e seguire le sue serve, e lavorare con loro. L’attenzione speciale è sul campo del redentore, a non essere trovata in “un altro campo”. La chiesa matura sa come consigliare la chiesa giovane. Quei consigli della suocera alla nuora, erano l’espressione di quel miele, quella dolcezza che caratterizzava il significato del suo nome, mentre lei vedeva ancora la realtà della sua amarezza. I veri santi sono riconoscibili dallo spirito contrito e penitente. Ruth fu saggia a nutrirsi di quel miele. Stai vicina alle serve, hai ancora tante cose da imparare da loro, sii umile e lavora nella pace. Se farai da sola, incorrerai nel pericolo di trovarti in un altro campo. Questa è la voce del messaggio. Purtroppo, tanti si allontanano dalla fratellanza (le serve) perché non vogliono soffrire insieme a loro. Come vedono delle ingiustizie nella chiesa, si allontanano e se ne stanno soli. Abbandonano i fratelli a loro stessi. Così via via, ci si troverà in un altro campo senza neanche accorgersi. “Ella rimase perciò a spigolare con le serve di Boaz sino alla fine della mietitura dell’orzo e del frumento. Ed abitava con sua suocera” (v.23). Perciò; per questo motivo, per quello che Naomi gli aveva detto. Rimase fino alla fine della mietitura. Costanza nel lavoro e nel portarlo a termine. Di Ruth

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è detto che rimase a casa di Naomi, abitava con lei, ma vuol dirci anche più di questo; gli stava vicino. Non usciva per andare a divertirsi o per cercare qualche interesse; lo vediamo anche dalle parole di Boaz quando Ruth andò a coricarsi ai suoi piedi (capo 3:10). Vi è del pericolo nel uscire in modo sprovveduto o disavveduto. Ricordiamoci di Dina, figlia di Giacobbe. Mentre a Ruth fu chiaro l’invito di lavorare insieme ai servi di Boaz, quindi usciva per questo, di Dina è detto: “Or Dina, la figlia che Lea aveva partorito a Giacobbe, uscì per vedere le figlie del paese”. Subito dopo questo: “E Sichem, figlio di Hamor lo Hivveo, principe del paese, vedutala la rapì, si coricò con lei e la violentò” (Genesi 34:1,2). Vi sono dei motivi per cui succedono le cose. Quella curiosità verso le “figlie del paese”, fu fatale. Anche molti credenti sono affascinati dalle figlie (chiese) del paese. Ruth non era così. Lei era ubbidiente e restava vicino a sua suocera non solo per sua personale protezione, ma per aiutarla e assisterla.

° ° ° (Capo 3)

“Poi Naomi, sua suocera, le disse: Figlia mia, non cercherò io un posto di riposo per te, affinché tu sia felice?” (v.1). La chiesa matura non si dà pace fin che non trova un posto di riposo per la chiesa giovane, lei sa che essa ha bisogno di un protettore. All’inizio, i principianti o chi è ancora in fase di crescita, si appoggia alla fratellanza matura tenendoli come punti di riferimento, ma a un certo punto bisogna entrare in una relazione intima, solitaria col Signore. Dapprima la chiesa giovane si è nutrita della dolcezza, del miele spirituale della chiesa matura del loro nuovo nome, della sua identità, perché dato dal Signore, cioè il

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frutto della loro personale esperienza con Lui. Così Ruth con la suocera. Avvenute le prime esperienze nella conoscenza del redentore, la chiesa matura “vede”, per quella esperienza intima nello spirito, la possibilità legittima di un matrimonio riscatto, per legare definitivamente la chiesa giovane al suo redentore. In questo modo, viene vista la possibilità di un riscatto di entrambe: della chiesa giovane, come matrimonio (parte della sposa). Della chiesa matura, come “rinnovamento” di proprietà. Un pò come disse Paolo ai suoi figli, frutto del suo insegnamento: “…Noi siamo il vostro vanto, così anche voi sarete il nostro nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo” (2 Corinzi 1:14). Si noti come Naomi mirava al matrimonio come “riposo” per Ruth esattamente come disse in precedenza, capo 1:9. Sappiamo che negli ultimi tempi vi saranno di quelli che in un modo o nell’altro vieteranno il matrimonio (1 Timoteo 4:1-3). In un modo o in un altro intendo che, generalmente si pensa che questo divieto sia chiaro e preciso, con affermazioni definite chiaramente a vietare il matrimonio. Ma non è così! E’ importante di capire che le cose dette, nel loro adempimento hanno una misura più vasta delle parole, in casi come questi. Ad esempio, se quando ci si tiene in conversazioni fraterne si esprimesse un qualche elogio sul matrimonio del tipo: Vedrai che quando ti sposerai starai meglio; oppure, hai bisogno di una moglie, di un marito; e, qualcuno rispondendo tenderebbe a declassare questo tipo di proposte e inviti, lo spirito di menzogna che viene annunciato dall’apostolo è già all’opera. Nessuno può dire di fronte a questo tipo di espressioni, che esaltano il valore del matrimonio, qualcosa di diverso o contrario, con quel pretesto untuoso di voler esaltare Dio tipo: “Ha bisogno del Signore piuttosto”. Ovviamente è vero, ma è fuori contesto! Esattamente come quando i farisei dissero: “Da gloria a Dio!”, e subito dopo parlando di Gesù dissero che era un peccatore (Giovanni 9:24). Vediamo come si può

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avere il pretesto di glorificare il Signore e nello stesso tempo profanarlo. Invitare a esaltare Dio mentre rifiuti il Cristo è completamente fuori contesto. Qualsiasi opposizione a un invito legittimo allo sposarsi, al matrimonio in se, o a trattarne l’argomento, è dallo spirito di menzogna che annuncia Paolo nella lettera a Timoteo. Riposo! Che meravigliosa parola. Per Ruth era anche una consolazione per la perdita del primo marito. Un nuovo principio gli stava davanti, legarsi al suo redentore per sempre e avere un erede da lui, una progenie, una “continuazione”. Continuare a vivere attraverso il “seme” di lui, tale il significato mistico di progenie. Anche la chiesa giovane trova riposo nel matrimonio col suo redentore, sebbene la chiesa è fidanzata a Cristo fino a tanto che vive nel mondo, ma se lo consideriamo da un punto di vista spirituale e simbolico gustiamo anche questo aspetto mentre siamo in questa vita di un matrimonio col Signore. Il fine? Essere felice! L’unica felicità che la chiesa conosce è trovare riposo nel Signore, in una relazione intima. Benedetto Iddio! Continua il discorso: “Ora Boaz, con le serve del quale tu sei stata, non è forse nostro parente? Ecco, questa sera egli deve vagliare l’orzo sull’aia” (v.2). La domanda è per proporre una possibile ovvia - proposta salvezza - nel ribadire il ricordo della parentela. Vediamo anche come le serve, vengono menzionate insieme a Boaz, segno di appartenenza e comunione. Dio non è separato, e non lavora separatamente ai suoi servi.

Edificando l’altare, cercando la posizione del diritto di riscatto

“Perciò lavati, ungiti, mettiti le vesti migliori e scendi nell’aia; ma non

farti riconoscere da lui fino a che non abbia finito di mangiare e di bere”

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(v.3). Lavati, preparati ad incontrarlo, devi essere pulita. Il Signore ama la pulizia, che in questo caso ci ricorda quella dello spirito. Ungiti, che in quel tempo era la profumazione, “renditi gradita”. Quando ci accostiamo al redentore, impariamo a sentirci responsabili della solennità e importanza del momento. Il Signore “gradisce chi si prepara” e si mette in ordine secondo coscienza e secondo la Sua parola. Il consiglio venne dalla suocera che sapeva come bisognava comportarsi. La chiesa matura sa per esperienza come essere graditi e compiacere al suo redentore. In questo passaggio dobbiamo considerare la base su cui edificare una pulizia dello spirito e nella mente. Dio si aspetta da noi che mettiamo a posto le cose che Lui ha riordinato mediante il suo profeta in quest’ultimo tempo (William Branham). Non è per esaltarlo personalmente perché è un uomo come tutti; ma come è sempre stato, possiamo con armonia informare il nostro prossimo degli eventi che Dio ha eseguiti per noi in questo nostro tempo. Il centro è la persona di Cristo! Ma, vi sono delle verità che lo coronano, in modo che fanno parte di Lui. Chi le rifiuta si allontana dalla suprema vocazione! Non perché sono importanti oltre misura, ma perché semplicemente fanno parte della sua Verità! Chi ama la verità l’accetta per quella che è, qui il punto, e non per quella che vorrebbe che sia. E’ semplicemente un atto di amorevole ubbidienza.

Scendi nell’aia ma non farti riconoscere. Scendi, fa pensare a un gesto di riduzione, l’umiliazione di Cristo. Però, senza farti riconoscere! La chiesa sa che deve imparare a camminare nella oscurità per nascondersi, coperta per non farsi vedere; la chiesa, ama di essere nascosta. Non farti vedere andare da lui nel mentre che ti presenti portando la richiesta di levirato. Generalmente è l’uomo che si fa avanti e si dichiara verso la donna che ama, ma qui sarà Ruth che farà la richiesta per sé, per trovare riposo in un marito,

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presso di lui, il suo redentore e per continuare la progenie del marito defunto, togliendosi di dosso la sua vedovanza. La chiesa del Signore non fa mostra delle sue richieste, non si fa vedere dagli altri servi nella ricerca di intimità col suo redentore. Fino a quando? Fino alla fine del mangiare e del bere; quando si sarebbe coricato vicino al suo grano. Cristo ha una relazione speciale con i suoi “servi”, il mangiare e bere con loro rivela speciale e intima comunione, poi il dirigersi verso la raccolta, la scorta, il cibo. Questo per vegliare sul raccolto; Lui è l’assoluto responsabile. Lui distribuisce ai Suoi servi il cibo adatto e in misura che serve (Matteo 14:16-19. Marco 4:33). Lui veglia sul cibo e perciò a Lui dobbiamo chiedere la dispensa di volta in volta. Ora Naomi dà un’indicazione a Ruth su cui lo Spirito Santo non finirà mai di estenderne il suo immenso significato sulla persona di Gesù: “Quando andrà a coricarsi, osserva il luogo dove si corica; poi và, scoprigli i piedi e coricati tu stessa. Ed egli ti dirà ciò che devi fare” (v.4). Tu sei lavata, pulita, unta e nascosta nell’umiliazione. Ti manca solo di andare a scoprire i piedi del tuo redentore. Quale immenso significato ha per la chiesa questa espressione. La chiesa matura e la chiesa giovane sono complici in questa comunione con lo scoprire i piedi, i passi del redentore. Le parole erano quelle che abbiamo letto, ma la voce dello Spirito dietro quelle poche parole, pare avesse detto: Segui e raccogli i passi del tuo sposo, umiliati anche in una richiesta di matrimonio, portando in te il diritto di essere fecondata per la legge del levirato, abbi questo coraggio! Un pò come il coraggio di Ester nell’entrare nel cortile interno per andare dal re, perché se non stendeva lo scettro verso di lei sarebbe morta. Anche lei in quel caso trovò grazia presso il re.

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Ruth cercò nel levirato la fecondazione, la continuazione di una progenie, così come la chiesa cerca la nuova creazione attraverso il redentore, il principio (l’origine) della creazione di Dio (Apocalisse 3:14). Nel levirato vediamo la figura della resurrezione. Il primo marito è passato, ma nel nuovo, vi è una resurrezione, una nuova vita. Ruth fu coraggiosa nel richiamare, in quel gesto, l’attenzione di Boaz sulla sua responsabilità. Occupati di studiare il cammino del Figlio dell’Uomo, quella parte del corpo ch’è il sostegno, che si sporca di più e facilmente. Segui i suoi passi, perché quei piedi sono piedi trafitti… Entrambe, Naomi e Ruth, erano uno in questo proposito, la chiesa matura sa consigliare alla giovane cosa è veramente necessario e importante da fare nella comunione con Cristo, che anche porti frutto. Anch’essa avendone fatta l’esperienza, continua a rimanervi indicandone la via alla più giovane. Nelle chiese in genere, ci si occupa molto della parte “oggettiva” e pochissimo della parte “soggettiva”. Tanto su dottrine, miracoli, evangelismo e proselitismo, eventi, ministri e regole precise; ma aimè, quasi nulla sulla persona di Gesù, “l’ammirabile”. Quanto sono importanti quei piedi che furono inchiodati sulla croce per me e per te… Quei passi portano alla croce! All’umiliazione, alla perdita di se stessi e della propria volontà. Il fine è quello che Cristo possa regnare completamente nella nostra vita. La donna peccatrice, così ricordata, baciò quei piedi benedetti nel suo pentimento. In quel gesto, in quel significato vediamo la storia di Naomi e di Ruth. Oh, i passi del redentore dell’umanità nell’umanità. La Sulammita espresse bene l’importanza dei piedi del suo sposo, quando lei si “occupava di descriverlo”, che tale è l’atteggiamento, la confidenza e l’espressione della sposa: “Le sue gambe sono colonne di marmo, fondate su basi d’oro puro” (Cantico 5:15). Quale forza, quale valore! Forza di non smettere mai di camminare per le vie della misericordia,

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forza di trascinare quelli che non riescono a camminare e di calcare serpenti e scorpioni. Bacia quei piedi, lavali con le tue lacrime, ungili d’olio “odorifero”, perché quei piedi percorrono le vie della tua salvezza. Asciugali con i tuoi capelli, il segno che ti nasconde il capo (in ispirito, come chiesa) per mettere in evidenza il Suo (di Cristo) (1 Corinzi 11:3,5,10,15; Efesini 1:10). Ecco il perché è detto: “Quanto son belli i piedi di coloro che annunziano la pace” (Romani 10:15), Perché quelli sono i piedi di Un altro. Questo è il risultato di impegnarsi a raccogliere i passi del Maestro. Non dimentichiamo l’insegnamento del lavaggio dei piedi. Contempliamo il risorto nel come appare e cosa propone ai suoi discepoli: “Guardate le mie mani e i miei piedi, perché sono io” (Luca 24:39). Segno di riconoscimento! Guarda i suoi piedi e non sarai mai disperso. Dai piedi si vede meglio il Maestro, il modo di camminare, di condursi. Che dire di Maria? Stava ai piedi di Gesù, ed ascoltava la parola della sua voce. Che posizione! Che contegno da assumere! Da quella posizione, una volta che “scoprirai” quei piedi, che significa investigare con amore, ricevere rivelazione su quei passi, che vedrai sorgere l’alba, il sole della giustizia (Malachia 4:2) e gusterai la meravigliosa realtà del: “sarà Lui che ti dirà cosa dovrai fare”! Coricati vicino ad essi, riposati! Egli ti dirà cosa devi fare, ma tu occupati di seguirlo e di imparare le sue vie. Non ti occupare di favole, di tutte quelle cose che ti distraggono da quel cammino, discorsi e sotterfugi. Enfatizzare contorni e dottrine sulla base di ubbidienze esterne, Dio incomincia a creare una base nell’interiore. Non ci illudiamo, questo è lo spirito religioso, si! Proprio quello che alcuni condannano così tanto (giustamente), ma poi sono nel pieno della sua stessa seduzione. I farisei, come sappiamo, erano una di quelle classi religiose che rappresentava questo spirito di seduzione. Di loro Gesù disse: “Guai a voi,

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scribi e farisei ipocriti! Perché pulite l’esterno della coppa e del piatto, mentre l’interno è pieno di rapina e d’intemperanza. Fariseo cieco! Pulisci “prima” l’interno della coppa e del piatto, “affinché” anche l’esterno sia pulito” (Matteo 23:25,26). Quanto vi è da imparare da queste parole! Colui che non tiene in considerazione questa verità, non può insegnare nulla di Dio alle anime. Si ripete troppo spesso la frase: adorare Dio in spirito e verità; ma poi in effetti, non si sa neppur che significa veramente! Uno dei termini più sconosciuti nell’ambito del cristianesimo è proprio la parola: “in ispirito”. Prima d’ogni cosa è necessario intervenire sull’ostacolo principale, la fede e l’orientamento, sulla base di una guida spirituale che si misura sul tanto quanto l’anima è in grado di portare volta per volta, passo dopo passo. Non siamo noi che convertiamo le anime, ma è lo Spirito Santo, amen! Occupati di scoprire i piedi del redentore, il suo santo camminare, e Lui ti dirà cosa devi fare! Dio sia lodato. Ruth, come Maria, colei nel quale la sua “discendenza” prese forma, disse a Naomi: “Farò tutto quello che dici” (v.5). Quando dunque Boaz andò a coricarsi accanto al mucchio di grano: “Allora ella venne pian piano, gli scoperse i piedi e si coricò” (v.7). Quel pian piano fa parte del nascondimento e modestia che accennavamo, nel non farsi riconoscere da nessuno. La chiesa del Signore è modesta ma coraggiosa, solo, non vuole disturbare il Suo redentore in una calma e serena comunione: “Non destate e non svegliate l’amor mio, finché così le piace” (Cantico 2:7). Altri saranno i momenti in cui si dovrà gridare e invocare con forza il Signore, ma non in quella circostanza. Lo studio prezioso dello scoprire i passi dell’agnello, del contemplare il camminare del redentore vivente, è fatto nella calma e nel “riposo”. Alleluia! La chiesa cammina senza far rumore. Ricordiamo quando Davide era pronto ad attaccare i Filistei, prima di quel famoso evento del portare l’arca di Dio a

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Gerusalemme, su di un carro nuovo; quando Dio folgorò Uzzah. I Filistei salirono nuovamente contro di lui, chiese al Signore cosa doveva fare, e Dio rispose di andare alla battaglia, ma in modo differente della prima volta (2 Samuele 5:19). Questa volta doveva aggirarli alle spalle. Il quando e il come ci è di lezione nel nostro soggetto: “Quando udrai un rumore di “passi” sulle cime dei balsami, lanciati subito all’attacco…” (v.24). Oh, quei passi… Ci ricordano la realtà vera del redentore e pastore nella di Lui guida verso il suo gregge: “E, quando ha fatto uscire le sue pecore, va davanti a loro; e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce” (Giovanni 10:4). Lui va davanti, le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Esattamente come Davide, aveva ascoltato il consiglio di Dio; seppe cosa fare. Dio sia lodato! Ci ricordiamo anche di una figura bellissima dell’agnello che doveva essere mangiato tutto per la pasqua: “Non ne mangerete niente di crudo o di lessato nell’acqua, ma sia arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le interiora” (Esodo 12:9). Se riflettiamo bene su queste parole, troveremo subito qualcosa che non va. Ma, com’è il linguaggio biblico, mira a ciò che Dio “vuole dire” più di quello che “dice”, in vista dell’agnello Uomo, Gesù. Se un agnello ha le “gambe” allora dovrebbe avere anche le “mani”. Non è per fare una osservazione speculativa ma semplicemente profetica e spirituale. Come sappiamo, è giusto dire le zampe, ma in questo caso, lo Spirito Santo vuole farci vedere il panorama del grande orizzonte di colui che sarebbe venuto in forma umana. A Lui sia la gloria. “Verso mezzanotte egli si svegliò di soprassalto e si voltò; ed ecco, una donna giaceva ai suoi piedi” (v.8). La mezzanotte è profetica, parla di un ora critica. Si svegliò; qualcuno stava rendendo scomodo il suo sonno (riposo). Così coricata, nel Suo riposo, la chiesa chiama all’attenzione il Suo redentore, non lo lascia dormire. Un quadro lo abbiamo anche quando Gesù e i discepoli

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erano nella barca, mentre c’era la tempesta (Matteo 8:24,25). In quel momento il ricercato benefattore vide che una donna era coricata (si riposava) ai suoi piedi. Là ci vuole trovare il Signore quando lo cerchiamo, quando lo invochiamo. “Chi sei tu?” le disse. Ella rispose: “Sono Ruth, tua serva; stendi il lembo del tuo mantello sulla tua serva, perché tu hai il diritto di riscatto” (v.9). Il Signore fa questa domanda a tutti. Ricordiamo quando Dio nell’angelo lottò con Giacobbe: Qual è il tuo nome? (Genesi 32:27). E’ importante la dichiarazione del nostro nome. Il Signore ci dà la possibilità di vedere dentro noi stessi e di conoscerci in relazione al nostro nome (carattere, identità). Ricordiamoci del nome che si diede Naomi. Ruth e Naomi vanno viste insieme, come in un'unica realtà. Ruth rappresenta quella scintilla del nuovo nome (amica) rimasta in vita nonostante “l’amarezza” di Naomi. Ruth gustò la dolcezza spirituale di Naomi, un anima ricca, sebbene lei non vedeva più niente in sé; Naomi riprese forze “dall’amicizia” di Ruth (tale il significato del suo nome), che rappresentò quell’opportuno rinnovamento che gli serviva per ritrovare se stessa.

Chi sei dunque? Sono Ruth, tua serva. “Identità e ruolo”. Si rivelò interamente; non nascose nulla. Nulla le impedì di ricercare ancora nuova grazia, grazia fresca; la benedizione del suo redentore. Stendi il lembo del tuo mantello sulla tua serva, perché tu hai il diritto di riscatto! Qui entriamo in un significato spirituale meraviglioso. Non potendo soffermarci troppo, cerchiamo di esprimere il necessario. In ebraico la parola usata per lembo è Kanap che significa “ali”. Quindi riprendiamo la frase: Stendi (o apri) le tue ali sulla tua serva, perché tu hai il diritto di riscatto. Il motivo è il riscatto, il modo di prendere e proteggere la bisognosa è il riparare sotto le sue possenti ali. Tale il significato visto nel Signore. Si

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consideri la donna dal flusso di sangue, nel cercare di toccare il “lembo” della sua veste. E, il “lembo” della veste d’Aronne toccato dall’unzione dell’olio (Salmo 133:2). Il Salmo 61:4 ci dice: “Io abiterò nella tua tenda per sempre, cercherò rifugio all’ombra delle tue ali (sela)”. In Malachia 4:2: “Ma per voi che temete il mio nome, si leverà il sole della giustizia con la guarigione nelle sue ali, e voi uscirete e salterete come vitelli di stalla”. La chiesa cerca rifugio sotto le ali del Signore, alla sua ombra. Se pensiamo agli uccelli, possiamo subito attribuire il gesto a quel senso materno di protezione verso i piccoli e indifesi (Salmo 91:4). Nella parola in Malachia, vediamo la forza guaritrice, la benedizione come effetto, nel momento in cui si leverà come il sole di giustizia, cioè, puntualmente sorge e illumina, mette tutto in luce, dichiara la giustizia. Il significato più intimo lo abbiamo nella “voce dell’onnipotente”. Il fragore delle ali dei cherubini era come la voce del Signore (Ezechiele 1:24; 10:5). Quindi, nell’ascoltare “quella Voce”, la chiesa prenderà il volo nelle traiettorie dello Spirito. Come anche ci viene detto dello Spirito del Signore che “aleggiava” sulla superficie delle acque (Genesi 1:2). Aleggiava! Volava come un uccello, aveva l’impressione di sbattere le ali. Si rilegga molto attentamente e con preghiera, Ezechiele 2:15. “Ricevi le mie parole nel cuore” (v.10). “Va e recati” (v.11). “Quindi lo Spirito mi sollevò” (v.12). “Udii pure il rumore delle ali” (v.13). “Così lo Spirito mi sollevò e mi portò via” (v.14). “Giunsi…” (15). Se ne consideri il processo. Sarà la voce suprema del Signore a dare l’autorevole comando che risusciterà i morti in Cristo, e trasformerà definitivamente i corpi mortali dei credenti viventi che lo aspettano, la Sua chiesa (1 Tessalonicesi 4:16). Quindi: Scoprendo i suoi piedi, il suo camminare e riposandoci sulle sue orme,

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udremo la Sua Voce. Ci dirà cosa dobbiamo fare e saremo trasformati di volta in volta sollevandoci in volo, “vivere in ispirito”. Benedetto sia il Signore! “Egli disse: Sii benedetta dall’Eterno, figlia mia! La bontà mostrata quest’ultima volta supera quella di prima, perché non sei corsa dietro a giovani, poveri o ricchi. Ora dunque, non temere, figlia mia; io farò per te tutto ciò che richiedi, perché tutta la gente della mia città conosce che sei una donna virtuosa” (v.10,11). Caro lettore, contemplare la vita nello spirito… che beatitudine! Lui la benedisse, e la chiamò con uno dei titoli affettivi più teneri e intimi, “figlia mia”. La parola bontà, detta e ripetuta diverse volte in questa storia, è Hesed, e significa questo concetto: Lealtà del patto di Dio verso il suo popolo. Include la grazia anche quando non meritata. In quella benedizione del verso dieci, ritornando alla lotta di Giacobbe con l’angelo, era come la dichiarazione del nome del Signore a lui. “Quivi lo benedisse”, come risposta alla sua richiesta e bisogno (Genesi 32:29,30).

Questa bontà, supera quel che fino a quel momento aveva espresso verso la suocera. Poiché non sei corsa dietro a giovani, poveri o ricchi. Cosa ci vuol dire dunque lo Spirito di Dio in questa scena? Di quale bontà si parla, che supera quella di prima? Lei andò a mettersi nel suo posto per il diritto della legge di levirato, richiamando il dovere del parente redentore nel riscattarla. Non perse tempo per se stessa, per i suoi piaceri, e consideriamo che era pagana, sotto un certo punto di vista avrebbe potuto sentirsi libera di fare quello che voleva secondo le sue tradizioni, usi e costumi. Ma lei, accettando di seguire e accompagnare Naomi, rinunciò alla possibilità di prendere marito nel suo paese, secondo le sue (loro) usanze. Quante donne sono così oggi? Lei si mise nel flusso del fiume della legge per quelle

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circostanze, e andò con coraggio a coricarsi (riposarsi) al posto, cioè vicino a colui il quale poteva riscattarla. Questa è, per noi oggi, la fede! Essa ti dice, vai mettiti al tuo posto, riposati vicino ai piedi del tuo redentore Gesù Cristo, perché non sei stato abbandonato, ma in Lui puoi avere ancora una nuova, progenie eterna.

Possiamo infatti vedere questo nell’esempio che l’apostolo Paolo ritratta ai Romani (7:1-6). Di Adamo siamo figli eredi del peccato, e abbiamo bisogno di un nuovo Padre per essere generati a seme incorruttibile e santi. Nei confronti della legge siamo sposati a lei, come legame per ordine di orientamento, avere cioè una dottrina, che faccia da educatore. Quindi, “nati” e soggiogati ad una “educazione”. Morti ad Adamo siamo orfani e bisognosi del Padre celeste in una nuova creazione; morti alla legge siamo “vedovi”. A causa però che sussiste la legge della continuazione della progenie del primo marito (le promesse nella legge e la sua profezia), abbiamo il diritto di metterci ai piedi del nostro redentore per prendere questo diritto ed essere fecondati e continuare quel che Dio aveva promesso per noi. Così impegniamo il nostro redentore a mantenere il suo dovere in merito al suo piano e alle sue promesse. Adamo e la legge hanno una relazione. In Adamo vi è il “peccato”; nella legge di Mosè c’è la “condanna del peccato”. Per questo il vecchio padre deve morire definitivamente, e noi rifiutiamo ciò che ci ha trasmesso nell’eredità di peccato. Mentre, nei confronti della legge lasciamo la sua signoria su di noi, divenendo vedovi di lei. Però abbiamo o rimane, il diritto di levirato verso il parente più prossimo, quello promesso nella profezia della legge stessa. Quindi, mentre il vecchio padre, Adamo, deve morire senza continuazione alcuna; della legge invece, una morte con spiraglio di resurrezione, che addita il Cristo come parente vincitore sul peccato e sul diavolo, primo pretendente. Di fatti: “L’Eterno protegge i

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forestieri, soccorre l’orfano (del nostro padre Adamo) e la vedova (della legge mosaica), ma sovverte la via degli empi (i piani del diavolo, il primo pretendente)” (Salmo 146:9). Ora sai che Gesù è morto per il riscatto dell’intera umanità; dipende da te prendere questa possibilità accompagnata dalle sue stesse promesse che chiunque andrebbe a lui, non perirebbe e non sarebbe scacciato. Mettersi al posto giusto, il posto che Gesù, con quell’atto ha riconquistato per te. “Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca ma abbia vita eterna” (Giovanni 3:16). Tu devi solo andare a prenderlo, occupare così il tuo posto, sotto le sue ali nella sua protezione dandogli la tua vita. La sacra scrittura ti dice: “E voi sapete che egli è stato manifestato per togliere via i nostri peccati; e in lui non vi è peccato” (1 Giovanni 3:5). “In questo è l’amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che lui ha amato noi e ha mandato il suo Figlio per essere l’espiazione per i nostri peccati” (1 Giovanni 4:10). Davanti a tanta dichiarazione dobbiamo andare pian piano, come abbiamo descritto nella figura di Ruth, a riposarci in un posto che è il nostro, e che non ci sarà negato. C’è posto per tutti, Dio è amore. Per concludere: “Ma a tutti coloro che lo hanno ricevuto, egli ha dato l’autorità di diventare figli di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome” (Giovanni 1:12). Va dunque a prendere il tuo posto ai piedi del Maestro. Richiama la sua attenzione sulla sua responsabilità della sua stessa promessa. E’ importante la precisazione che prima di presentare e usare il diritto di levirato, è necessario morire (staccarsi) alla legge, al Giudaismo (o alla lettera della scrittura, alle forme, alle regole).

Per quelli che cercano la grazia di Dio nella Sua benignità, trovano rifugio in questo sentimento sovrano, protettivo e risolutivo. La mia grazia ti

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basta! Furono le parole del Signore a s.Paolo. Comprendere queste parole, o meglio, la loro estensione, è impresa ardua. Ma basti considerarne qualche cenno, per avvicinarci il tanto che ci serve in questo contesto.

La grazia di Dio è quel che conta, il centro della ricerca dell’anima per respirare nella fede, e trovare riposo in Dio. Tutte le virtù di Dio partono e consistono nella Sua grazia, l’amore, che è anche sua essenza. Per questo, Dio è geloso di quando poniamo un altro centro nella nostra vita che non sia la sua grazia. Quando la base e lo scopo della nostra fede è la parte oggettiva di Dio, ossia, dottrine, comandamenti, ubbidienze su azioni esteriori, atte a stimolarne il timore di un Dio quasi dittatore e pretenzioso; allora si ottiene il contristare lo Spirito Santo! La grazia dell’amore di Dio, ci basta ad orientare le nostra fede in Lui. La parte “soggettiva” viene prima di ogni cosa, la sua persona! Tutto il resto viene dopo attraverso i Suoi metodi.

Gesù, parlando della sua crocifissione, espresse qualcosa che è da considerarsi ben oltre il solo significato specificativo di che morte doveva morire. Ma, piuttosto di una vita vissuta in tale condizione spirituale. Leggiamo: “Ed io, quando sarò innalzato dalla terra, attirerò tutti a me” (Giovanni 12:32)

Parlava della sua morte, ma anche della nostra vita, di come lo dobbiamo innalzare nella nostra vita. Allora sarà Lui ad attirare le anime a lui stesso. Vivere nello Spirito significa volare, non nel senso fantasioso, ma reale come sono reali i miracoli e le risurrezioni. Questo è l’uomo spirituale, il quale non si basa più sul visibile. “Non conosciamo più nessuno secondo la carne” (1 Corinzi 5:16).

Quando risuscitò e si presentò ai discepoli, salì definitivamente nel cielo, “salì”…! Tornando a Boaz, chiamò Ruth, donna virtuosa. Anche nei

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proverbi abbiamo il ritratto della donna virtuosa a ragione del fatto che la benedizione di Dio, rende virtuosi (Proverbi 31:10-31).

Nei versi 12 e 13 Boaz spiega che c’è un altro parente più stretto di lui che ha diritto di riscatto. Da qui la sfida; se farà valere il suo diritto bene, se no si farà avanti lui e la riscatterà, “Com’è vero che l’Eterno vive!” Intanto: “Stà coricata fino al mattino”. Quando nelle scritture troviamo la frase l’Eterno vive, non è per esprimere semplicemente un ovvietà. Ma, siccome il popolo d’Israele dimenticava spesso che il suo Dio è vivente, si dava all’idolatria. L’accento al fatto che Dio vive è per metterlo in evidenza e considerarlo così, in modo che la nostra fede non prenda l’inclinazione della formalità religiosa. In questo modo Egli vuole essere ricordato e glorificato!

Ruth rimase coricata ai suoi piedi in quella notte, diciamo, al posto che gli spettava (secondo il diritto che poteva reclamare), fino al mattino. All’alba, si sarebbe alzata quando una persona non può riconoscere un’altra, e se ne sarebbe tornata a casa. L’alba, profezia di tante circostanze per i santi di tutti i tempi. Ci ricorda la risurrezione, un nuovo principio o il suo inizio.

Nessuno sappia che sei stata qui! Quando nessuno può riconoscerti, vai! Vi sono momenti che il Signore stesso occulta la nostra stretta consacrazione a Lui, preparazione questa di un lavoro di liberazione e preparazione a nuove benedizioni, come nel caso di Ruth. Intanto solo loro sapevano di questo anticipo di intimità… Era rimasta vicino al “grano” insieme al proprietario, tutta quella notte. La chiesa, vicino al suo redentore è in comunione col cibo celeste. Chiesa, veglia sul cibo celeste, ricordati anche di Gedeone… (Giudici 6:11).

Aggiunse, per non mandarla a mani vuote da chi gli aveva dato quei giusti consigli, di sorreggere il mantello di cui era cinta e glielo riempì di orzo (v.15). Apriti al Signore e Lui riempirà il tuo mantello! Questo è anche

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un buon invito alla preghiera; quando ti avvicini a Gesù per riposare con e in Lui, sarà generoso con te, non ti farà andare a mani vuote. Tu occupa i tuoi diritti di riscatto presso il tuo redentore, cercalo ed entra nel Suo riposo e Lui ti arricchirà. Il manto con cui si coprì per andare da lui e anche si nascose, ci fa ricordare l’efod, che significa “copertura”. Indica la grazia, il coprire moltitudini di peccati (atto di pietà verso altri), l’umiliazione di nascondersi per andare a Lui redentore dell’anima. Protetti dalla grazia ricevuta nel Cristo, dono di Dio, diviene poi il contenitore del grano, grazia su grazia. L’insegnamento che prendiamo è nei rapporti fra Naomi e Ruth. Naomi, la chiesa matura, dà alla chiesa giovane consigli validi e concreti. Cerca sempre di non distrarla da ciò che è efficace. I consigli sono stati preparatori a mettersi in ordine perché doveva incontrare il suo redentore. Gli elementi erano il lavarsi, il profumarsi, il vestirsi, compreso quel mantello che la doveva nascondere. Per la chiesa giovane era nascondimento e apertura a prendere il cibo. Un mezzo di utilizzo spirituale concreto.

Tornò dalla suocera e riferì il tutto dicendo che Lui si era preso pensiero anche per la suocera (v.17). “Rimani qui figlia mia, finché tu sappia come andrà a finire la cosa, perché quest’uomo non si darà riposo, finché non abbia sistemato oggi stesso la cosa” (v.18).

Rimani! Attendi qui! Con me, insieme, e osserviamo il nostro redentore come fin ora ha dato riposo a noi, mentre ora sarà lui che non si darà (se lo negherà per se stesso) riposo; mentre noi continueremo a stare all’ombra delle sue ali, nel riposo che egli ci ha dato. Anche Gesù fu tormentato, vituperato e schernito, e come dice Isaia: “Il castigo per cui abbiamo la pace è su di lui” (Isaia 53:5). Lui era il parente redentore e lui doveva interessarsi del riscatto. Il problema come dicevamo, era che c’era un altro parente più prossimo di lui. Nello spirito, il parente più prossimo di Gesù per noi è il

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diavolo. Lui ha diritto di riscatto perché tutti siamo nati nel peccato, e quindi lui verrebbe prima di Dio. Per questo è detto che siamo figli d’ira, e vi è inimicizia fra l’uomo e Dio. (Romani 8:7; Efesini 2:3,15,16). In Colossesi 2:14 si parla di un documento fatto di ordinamenti contro di noi; ma il Signore, il Redentore l’ha tolto di mezzo, per mezzo della croce.

Ora, il secondo redentore (tale perché eravamo separati da Dio, come abbiamo detto), si muove per cercare il primo. Vuole sistemare la questione subito, senza perdere tempo.

La chiesa giovane rimanga vicino alla chiesa matura, nell’attesa che il suo redentore e sposo regoli i conti con il parente più prossimo. E’ saggio rimanere in comunione con i santi compiuti in un momento così delicato, sarebbe terribile impegnarsi dietro ad altre cose o per qualcun altro nel mentre che il nostro redentore si impegna per noi. Rimanga in concentrazione e comunione con chi la può aiutare. I santi compiuti sono un buon anticipo di Cristo.

° ° ° (Capo 4)

Boaz andò alla porta della città e si sedette quivi; quando ecco arrivare il parente di cui aveva parlato. Lo chiamò: “O tu, tal dei tali, avvicinati e siediti qui”(v.1). Tal dei tali; non ha personalità alcuna degna di nota. Se fosse stato importante davanti a Boaz non si sarebbe rivolto così a lui. Tratto da un commentario: “L’espressione, “tal dei tali” diventò uno slogan in Israele; i testi rabbinici utilizzavano tale designazione per uno sconosciuto, “tizio”. Per noi, da come le scritture riportano il fatto, possiamo fare questa considerazione spirituale riferendoci alla battaglia fra Cristo e il diavolo.

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Uomo qualunque! Non sei nessuno che conti veramente, non hai nessuna autorità. Quando Gesù era di fronte a Pilato, apparentemente era inferiore a lui. Quel governatore sembrava essere una autorità su Gesù; e sappiamo che gli disse che aveva l’autorità di condannarlo o di liberarlo. Ma, Gesù rispose che non aveva nessuna autorità su Lui se non gli fosse dato da alto (Giovanni 19:10,11). Nessuno è qualcosa di importante! A chi cerca il bene altrui e sopra tutto il rimedio per una redenzione, nessuno che si opponga e sembri abbia qualche importanza conta veramente, quando si deve difendere la causa del debole. Così era ai tempi della peste e di altre malattie infettive; nonostante il pericolo di contagio e di morte, chi aveva pena e a cuore la salvezza dei suoi cari, non esitava a stargli vicino e a curarli. Neanche la gravità della malattia era un ostacolo.

Vediamo ora Boaz presentare la causa di Ruth e Naomi, ed è saggio notare come lui poteva dire a Ruth di andare direttamente ai piedi del primo parente, ma preferì prendersi cura lui della faccenda, perché lei scelse “l’uomo giusto”. La difese. Boaz prese dieci uomini come testimoni e dichiarò il caso: “Naomi è tornata dal paese di Moab, ha venduto la parte di terra che apparteneva al nostro fratello Elimelek. Ho pensato di informarti e di dirti: “Compralo alla presenza degli abitanti del luogo e degli anziani del mio popolo. Se vuoi riscattarlo, riscattalo; ma se non intendi riscattarlo dimmelo, affinché io lo sappia; poiché nessuno fuori di te ha il diritto di riscatto, e dopo di te vengo io”. Quegli rispose: “Farò valere il mio diritto” (v.3,4). Boaz informò il parente più stretto, il “tal dei tali”, che Naomi era tornata e che aveva messo in vendita un campo, proprietà di Elimelek, il marito defunto. Invitava perciò al parente primo di acquistarlo se voleva, o

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comunque far sapere qual era la sua posizione in merito; altrimenti l’avrebbe comprato lui. A questa informazione rispose che avrebbe fatto valere il suo diritto, quindi, l’avrebbe comprato. Boaz andò cauto. Propose il caso con prudenza; incominciando dalla proprietà di Naomi per vedere come avrebbe reagito il parente più stretto e perché vedessero anche i testimoni. Quando si espresse e accettò di riscattare il campo, allora Boaz proseguì includendo anche il riscatto di Ruth. “Il giorno che acquisterai il campo dalla mano di Naomi, tu lo acquisterai anche da Ruth, la Moabita, moglie del defunto, per far rivivere il nome del defunto nella sua eredità”. Colui che aveva il diritto di riscatto rispose: “Io non posso riscattarlo per me, perché rovinerei la mia propria eredità; riscatta tu ciò che avrei dovuto riscattare io, perché io non lo posso riscattare” (v.5,6). Di fronte alla presentazione dell’acquisto del campo, si dimostrò favorevole a far valere il suo diritto. Ma, quando si parlò di riscattare anche la nuora ci ripensò. Naomi ormai era anziana e da lei, pensava il parente, non avrebbe potuto avere figli. Da Ruth invece, prendendola per moglie, avrebbe potuto e dovuto generare un erede che portasse, o continuasse il nome del marito di lei defunto, e che sarebbe poi diventato il destinatario del terreno riscattato dal parente dalla mano di Naomi. Non avrebbe portato il suo nome quindi ma quello del defunto di Ruth. Probabilmente avrebbe anche potuto diventare erede beneficiario dei terreni o beni propri del parente stesso. In questo modo, era come se lui perdesse la possibilità di trasmettere a una sua propria discendenza il suo nome; i suoi beni era come se passassero alla famiglia della casa di Elimelek continuando il nome di Mahlon, il marito defunto di Ruth. Il levirato è come una rinuncia al proprio nome. Questo valeva solo per il primogenito ovviamente. Tutto questo ci fa vedere come il

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Signore ha smascherato il diavolo e la sua autorità sugli uomini. Ha così fatto risaltare la differenza fra il Figlio di Dio e il Suo amore, con l’incapacità di riscatto che il diavolo pur aveva, ma non poteva gestire con la sua diabolica sapienza. Amore e forza di Dio in confronto della sapienza e forza del diavolo. A cosa servì nelle mani di Dio un re come Saulle con la sua forza e sapienza, se non a far risaltare la differenza di un re come Davide, re e uomo secondo il cuore (amore) di Dio? Vediamo ed apprezziamo come il Signore ci ha liberato dal vecchio padre Adamo (dal quale siamo eredi di peccato), dandoci una nuova e definitiva paternità in Cristo. Vedovi della legge, ma per far riviverne le promesse sempre tramite il redentore. Tutto questo per chi lascia la legge, la lettera, il giudaismo. Vediamo come rispecchia perfettamente il mondo spirituale. Quando si parla di proprietà, cioè possibilità di “commercio”, era favorevole. Così il diavolo! Quando si tratta di riscattare qualcuno, si mostra favorevole. Molte volte riesce ad accontentare i suoi amanti con i suoi travestimenti da “parente stretto”, riesce con i suoi trucchi a farti credere che vali tanto più degli altri, ti spinge in imprese ardue per te, pericolose, e ti sostiene favorevolmente. Ma è tutto un inganno! Tutto ciò porta all’aridità e sterilità. Tutto è per fare commercio dell’anima tua, come detto in Apocalisse 18:11-13. In oltre, parlando del diavolo, alla fine ti conduce sempre in rovina. Quando si parla di riscattare colei dalla quale potrebbe avere una discendenza che porti, non il suo nome, ma quello di un altro, e soprattutto del primo marito di lei, la vedova, allora ritiene questo atto di fertilità una distruzione per lui: “Io non posso riscattarlo per me, perché rovinerei la mia propria eredità”. Il diavolo non vuole far rivivere la memoria e il nome del defunto, perdendo così la possibilità di una sua propria progenie che porti e continui

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orgogliosamente il suo nome. Sappiamo il suo inganno nel sedurre Eva nel giardino di Eden, come riuscì a fargli credere che l’avrebbe riscattata mostrandogli qualcosa che Dio non gli aveva ancora mostrato. Lei si affidò, si fece imbrogliare e attraverso il corpo del serpente, che in quel tempo e momento non era un rettile strisciante bensì simile ad un uomo, ebbe un rapporto sessuale con lei da cui nacque Caino. Ebbe così la sua progenie, qualcuno che portò il suo nome, inteso come carattere e identità oltre che anche sanguigna. Vediamo quindi come il diavolo ha tutto l’interesse, com’è sempre stato, di farsi una progenie per lui, senza avere niente a che fare con il far “rivivere il nome di un altro”. Se guardiamo a Giuseppe, anche lui come Boaz rifiutò il suo nome sul nascituro perché consapevole che non era figlio suo, ma se ne prese cura teneramente e lo amò. Gesù non fu ricordato come figlio di Giuseppe, e lo sappiamo bene, ma come Figlio di Dio. Come figlio del falegname fu ricordato per dare merito ad un onesto lavoratore come Ruth e Boaz, per gradire l’opera sa, il frutto delle sue fatiche, come è di ogni onesto credente.

Abbiamo visto il significato della legge in riferimento agli uomini, come ad essa siamo legati come a un marito, un tutore. Mentre nei confronti di Adamo siamo figli, eredi della sua disubbidienza e peccato. Il diavolo non vuole assolutamente far rivivere il nome del defunto perché questo andrebbe a permettere l’adempimento delle promesse della legge, il primo marito. Spieghiamoci. In Adamo siamo peccatori, ed eredi del suo peccato con la relativa condanna. La chiesa di Cristo lascia il primo padre terreno con tutto ciò che di negativo ci rappresenta, insieme alla condanna del suo peccato, per accettare e prendere la Paternità di Dio Padre, attraverso l’evangelo di Cristo. In Adamo siamo peccatori e morti, in Cristo siamo stati riconciliati a Dio a salvezza per mezzo di Gesù Uomo. Quindi, a riguardo della paternità non vi

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era bisogno di una “continuazione”, di una legge di levirato che permettesse di far rivivere il nome del padre defunto. Stiamo parlando della chiesa, e della sua relazione spirituale con Cristo. Il nostro padre Adamo, deve morire senza risorgere. Per questo Gesù è definito “l’ultimo” Adamo, e non il secondo, come spesso si sente dire. Vi è la definizione di “secondo uomo” a ragione, per il confronto umano, come dire che Dio è venuto come uomo per riparare l’errore di Adamo il primo uomo (1 Corinzi 15:45,47). Quindi il primo Adamo doveva morire in Cristo senza bisogno di una continuazione del suo nome, mentre della legge, intesa e vista come nostro marito, si. Un po’ come Ruth; Moabita di origine, Moab significa “uscito da un padre”, ha rinunciato al suo popolo per seguire Naomi, ha rinunciato alle sue origini, come dire al suo vecchio padre e non è più tornata da lui. Fu vedova ma cercò l’opportunità di continuare il nome del defunto attraverso il parente redentore.

Vediamo il perché. La legge di Dio è giusta e perfetta: “Così, la legge è certamente santa, e il comandamento santo, giusto e buono”. (Romani 7:12). In essa vi erano le promesse del messia e la redenzione in forme figurative, in ombre: “…I sacerdoti che offrono i doni secondo le legge, i quali servono di esempio ed ombra delle cose celesti”. “La legge infatti, avendo solo l’ombra dei beni futuri e non la realtà stessa delle cose…” (Ebrei 8:4,5; 10:1). La legge, si intende non solo come comandamenti e regole, ma soprattutto come significato, rimane. Ci ricordiamo dell’affermazione di Gesù: “Perché in verità vi dico: Finché il cielo e la terra non passeranno, neppure un iota o un solo apice della legge passerà, prima che tutto sia adempiuto” (Matteo 5:18). Quindi la legge aveva in se un cuore divino, ed è per questo che gli uomini religiosi hanno fallito in merito a questo, perché puntavano lo

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sguardo alle regole, al senso legale e non al senso intimo, allo scopo, all’adempimento… il Cristo, il redentore (Romani 10:4). Gesù rimproverò gli scribi, i fanatici letteralisti delle scritture, per la loro ipocrisia nel considerare attentamente le cose “seconde” della legge e trascuravano le prime: “…Trascurate le cose più importanti della legge…” (Mattteo 23:23). Paolo ci spiegò inoltre che nel cercare il cuore della legge, il suo adempimento, il suo senso intimo ed elevato, comunque non annulliamo la legge sebbene siamo nella grazia, la legge dello Spirito, ma la stabiliamo: “Annulliamo noi dunque la legge mediante la fede? Così non sia; anzi stabiliamo la legge” (Romani 3:31). Stabilire in questo caso sta per accoglierne e accettarne il compimento in Gesù Cristo. Quindi, gli uomini sono stati maritati alla legge per avere un tutore, un sorvegliante fino a quando è venuto il redentore che l’ha compiuta. Mentre ora siamo sotto la grazia, nella legge dello Spirito, abbiamo lasciato il primo marito (la legge) e come vedove abbiamo accettato il nuovo marito (Gesù). Dio stesso ci dà il diritto di levirato per continuare la “discendenza” del primo marito (la legge, con le sue promesse e benedizioni e la sua profezia del redentore) accettandone l’adempimento nel redentore. Noi abbiamo questo diritto davanti a Lui, e Lui ha questo dovere e responsabilità davanti a noi. In Adamo vi è la morte e in Cristo muore senza continuare, nella legge vi sono le promesse, le benedizioni e la profezia del Messia, che sebbene deve sparire come forma ed ombra, prosegue nell’adempimento in Cristo, perché la legge di Dio è comunque perfetta. Per questo il diavolo non può far rivivere la discendenza del primo marito (la legge), perché ne farebbe rivivere il “nome” (profezia, benedizioni, promesse). Per questo reputa per se una rovina (v.6). Piuttosto vuole far rivivere il vecchio padre Adamo in noi, affinché la legge di peccato continui e la legge trovi di che accusare.

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Nel verso sette vi è l’atto di cessione dunque, con l’antico rito del togliersi un sandalo (o i sandali) e consegnarlo al secondo parente. Volendo così significare che il primo parente permette al secondo di camminare sulla proprietà, che gli viene ceduta dal primo, per farla sua definitivamente. In effetti, era (ed è ancora per noi oggi) un termine frequente in Israele che il luogo che la pianta del tuo piede calcherà la possederà, diviene proprietario (Giosuè 1:3). Il primo parente, con quel gesto, diede l’autorizzazione al secondo parente di “camminare” sul campo cedutogli. Era da considerarsi come una chiave per avere l’accesso e l’ingresso alla proprietà. Generalmente il significato dei calzari è che prendendo polvere e sporcizia a causa del cammino, vengono “lasciati” (o messi in un posto apposito nel caso di viandanti a quei tempi in cui si camminava molto di più) per rifiutare tale sporcizia insieme ad essi, o per non portarla dentro casa. Ci dà il senso, questo caso, come di un lasciare, cedere la proprietà, rinunciare. Così avvenne la cessione a Boaz il quale disse: “Voi siete oggi testimoni che io ho acquistato dalle mani di Naomi tutto ciò che apparteneva a Elimelek, a Kilion e a Mahlon. Inoltre mi sono acquistato per moglie Ruth, la Moabita, moglie di Mahlon, per far rivivere il nome del defunto nella sua eredità, perché il nome del defunto non si estingua tra i suoi fratelli e alla porta della sua città” (v.9,10). Non si estingua tra i suoi fratelli! Quanto è importante questa visione. Quanto ci deve far riflettere! Nel nascondimento e dimenticare noi stessi, quindi nell’offrirci in sacrificio, non facciamo sparire la memoria dei nostri fratelli.

Ha acquistato da Naomi tutto ciò che era del marito e dei figli. Qui, alla fine del libro, ricompare Elimelek, l’uomo di cui abbiamo parlato all’inizio, come proprietario di beni che devono continuare ad essere amministrati. Insieme a lui vengono ricordati i figli, di cui uno era il marito di Ruth. Loro

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sono morti ma quel che loro possono rappresentare troverà un parente redentore che continuerà la loro memoria, anche se quella partenza era comunque una realtà permissiva a causa che si allontanavano dalla terra promessa. Possiamo così dire che il Signore ha prima concesso una situazione permissiva nel andare nel paese straniero, per poi dare il rimedio attraverso il redentore.

Boaz ha riscattato i beni di questi personaggi, anche di Mahlon che significa, “malaticcio”. Visto che era il primo marito di Ruth, diciamo che la legge a cui eravamo sposati (legati), era malaticcia, debole ad aiutare il peccatore, copriva i peccati con dei rimedi (i sacrifici mediante sacerdozio), ma non aveva la forza di togliere il peccato. Ci voleva il parente redentore Boaz, che significa “forza”, per continuare ad amministrare quei beni solo raffigurati. Ci voleva Gesù, la realtà, per adempiere quell’incarico, di liberare dalla schiavitù del peccato perché ha potuto toglierlo per il suo sacrificio una volta per sempre. La legge (Mahlon) non poteva farlo, era debole, malaticcio; ma Gesù (Boaz) è forte ed ha potuto. A Lui sia la gloria! Gesù ha portato, si è fatto carico delle nostre “malattie”, delle nostre debolezze, dei nostri “languori” (Kilion, fratello di Mahlon, significa “che langue”), ed ha adempiuto, portato a termine, quel che era nella legge.

Comprese anche Ruth in quell’acquisto, prendendola per moglie e ricordando ancora il primo marito disse che avrebbe mantenuto al suo dovere e responsabilità di “far rivivere il suo nome nella sua eredità”. Ha acquistato il terreno da Naomi, per darlo in eredità al figlio che avrebbe avuto da Ruth. Ne ha cominciato a fare un campo fertile, sotto il nome del primo marito per mantenere il tutto nella eredità e nella casa di Elimelek e Mahlon.

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Il diavolo non farebbe mai questo genere di cose. Lui ha sempre cercato di avere una progenie tutta sua e di portare avanti solo il suo nome e il suo commercio. Per questo nel Salmo 146:9 è detto che il Signore soccorre l’orfano (del primo padre Adamo) e la vedova (della legge, il primo marito). Il popolo rispose: “Ne siamo testimoni. L’Eterno renda la donna che entra in casa tua come Rachele e come Lea, le due donne che edificarono la casa d’Israele. Possa tu ottenere potenza in Efrathah e divenire famoso in Betlemme” (v.11). Invocarono una benedizione per questa coppia affinché Dio potesse concedere grazia di una progenie santa e numerosa. Da loro infatti, vennero i grandi re e il Re dei re; Davide e Gesù Cristo. Fecero un confronto paragone, ricordando Rachele e Lea. Rachele per prima, sappiamo che era la donna amata da Giacobbe da cui venne Giuseppe e Beniamino. Non è a caso che furono menzionate. Come sappiamo Rachele partorì Beniamino sulla via di Efrathah cioè Betlemme (era un altro nome per indicare Betlemme). Il confronto e l’augurio vuole dire che, mentre Rachele non arrivò a partorire in Betlemme, Ruth ci arriverà, come continuazione ed armonia spirituale. Rachele era sterile come sappiamo, così come Ruth nel paese di Moab quand’era col primo marito, ma come il Signore si ricordò dell’una si ricordò dell’altra. La lotta dei santi è per arrivare, raggiungere Betlemme (casa del pane di Dio), perché là troveremo, incontreremo il nostro parente redentore, che ci feconderà e ci benedirà. Il Signore riposa e veglia sul raccolto, come abbiamo già visto nel capo tre, e intendiamo che Lui si trova dove è il pane fresco! Non miserabile ripetizione del vero.

Rachele e Lea ci rappresentano anche due aspetti, o livelli della chiesa. Di loro fu detto appunto che erano le due donne che edificarono la casa

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d’Israele. A questo proposito vorrei fermarmi un attimo per delineare un profilo della costituzione della chiesa che oggi è tremendamente ignorato. Rachele era la preferita da Giacobbe, nello spirito rappresenta la beneamata, la preferita dal Signore Gesù. Nei confronti di chi? Nei confronti di Lea, che pur essendo moglie di Giacobbe legittima, non era la preferita; questa la differenza e distinzione. Ci rappresenta quella classe della chiesa che prende l’immagine delle vergini stolte. Esse non saranno la sposa, ma fanno parte della chiesa, del corpo mistico di Cristo. Il Signore si riferisce alla sua chiesa sposa come suo corpo particolare, mentre “in generale”, comprendendo le vergini stolte (raffigurate dall’immagine di Lea) e rivolgendosi a “tutta la chiesa” (compresa la sposa), le chiama suo corpo. Non si può definire con chiarezza chi possano essere le vergini stolte, ed è meglio così; Dio ci liberi dai pregiudizi e giudizi iniqui. Basti avere l’immagine che ci saranno queste due classi di popolo Cristiano, e che devono, per volontà di Dio amarsi e collaborare dove si può per l’avanzamento del regno e della testimonianza Cristiana. Ricordiamo cosa è detto della sposa di Salomone: “Ritorna, ritorna, o Shulammita, ritorna, ritorna, perché possiamo ammirarti. Che cosa vedete nella Shulammita? Come “una” danza a “due” schiere?” (Cantico 6:13).

Nella Sposa (la Shulammita) vengono viste come schiera (chiesa) anche le figlie di Gerusalemme, le quali insieme alla sposa devono danzare (muoversi a tempo) in armonia con lo sposo. Vediamo anche come quando la sposa ammirava lo sposo per la sua bellezza (per noi, bellezza spirituale) e come sapeva farsi amare dalle fanciulle (le figlie di Gerusalemme). Disse allo sposo: “Attirami a te! Noi ti correremo dietro. Il re mi ha portato nelle sue camere. Noi gioiremo e ci rallegreremo in te; noi ricorderemo il tuo amore più del vino. A ragione ti amano” (Cantico 1:3,4). Anche qui si nota come la richiesta è al singolare, “attirami a te”, ma la conseguenza è al plurale,

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coinvolgente, “noi ti correremo dietro”. La chiamata il Signore la indirizza a tutta la sua chiesa, ma la sposa è colei che per prima accoglie nel cuore l’invito dello sposo. Essa è desiderosa di essere attirata a Lui. In quel lavoro intimo, quando viene introdotta nelle Sue stanze, la benedizione ricevuta nella fecondità, allora attirerà e saprà partecipare gioia e allegrezza alle fanciulle, le figlie di Gerusalemme. Anche qui è detto al singolare, “Il re mi ha portato”, ma l’effetto fu che, “Noi gioiremo e ci rallegreremo… Noi ricorderemo…”. La sposa è la primogenita: “Ma la mia colomba (la Shulammita), la mia “perfetta”, è “unica”; è l’unica di sua madre, la “prescelta” di colei che l’ha partorita” (Cantico 6:9). Come tale deve preoccuparsi anche di quelli che non sono la sposa, i secondi geniti, ma saranno salvati. Chiunque di questa seconda “schiera” merita tutta l’attenzione della sposa, per essere aiutate a ricercare il redentore loro per mantenere viva la loro vocazione e portarla a compimento. Questo è un ruolo importante per la sposa. Molti pensano che nella loro vita, nel loro cammino, devono aver a che fare solo con quelli ch’essi pensano far parte della sposa. Ciò è un laccio del maligno! Nel cammino cristiano, le anime fanno un cammino progressivo che per alcuni và, dai figli della madre (la prostituta, la Babilonia), a fanciulle, figlie di Gerusalemme, figli di Sion e in fine la sposa, la preferita. Occorre pazienza al fine che questo processo abbia luogo. L’immagine di Ruth come sposa o chiesa giovane, è nella sorella minore (Cantico 8:8-10).

L’espressione energica di quegli anziani su Rachele (in primo luogo) e Lea fu che, “queste due donne” hanno edificato la casa d’Israele!

Chi esclude concettualmente e praticamente Lea (le vergini stolte, o figlie di Gerusalemme) da quel lavoro di edificazione, pensando che il merito è solo di Rachele (la sposa), si sbaglia di grosso, e dimostra di non essere un

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vero primogenito, perché il primogenito ha il compito di curare i più piccoli, i più deboli, cioè in questo caso, gli altri membri della famiglia. Ricordiamo che Lea ebbe più figli di Rachele, per dire che la cerchia dei salvati è più vasta di quella della sposa.

L’immagine di Rachele e Lea è molto importante per la maturità e la vocazione della sposa. Essa sente il richiamo dello sposo perch’è intima con quella voce, e incomincia lei a farsi attirare. Chiede ed intercede in favore delle fanciulle, le figlie di Gerusalemme, e loro vedendo nella sposa l’immagine dello sposo la seguiranno. Così la sposa, la più bella fra le donne, si moltiplica in coloro che in lei vedono tanta virtù. Come anche le parole del Levitico: “Io sarò santificato da coloro che si avvicinano a me, e sarò glorificato davanti a tutto il popolo” (Levitico 10:3).

Il Signore sarà santificato da coloro che si “avvicinano” nell’intimità particolare di una sposa, e sarà glorificato, risplenderà “davanti a tutto il popolo”. Che ruolo ha la chiesa sposa! Possa Iddio sostenerci in tanto lavoro.

Possa trovare potenza, tale il significato del suo nome, in Efrathah (fruttifero), là dove Rachele morì mentre dava alla luce il suo secondo genito. Per te Boaz non deve essere così. Tu arriverai, otterrai quella forza che è nel tuo nome e diverrai conosciuto in Betlemme. La tua testimonianza “ciberà” gli abitanti della casa del pane. Qui ricompare anche Tamar e Peres. Questa casa del pane dev’essere come quella di Peres, colui ch’è l’immagine del Figlio dell’Uomo.

“Così Boaz prese Ruth, che divenne sua moglie. Egli entrò da lei e l’Eterno le concesse di concepire, ed ella partorì un figliuolo” (v.13). Entrò da lei, così come il redentore, il Suo Spirito, entra nella chiesa giovane, dentro di lei, intimità, per lasciargli il Suo seme e fecondarla dandogli una nuova vita. Ricompaiono anche le donne che erano rimaste in Israele mentre

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Naomi se ne era andata a Moab, e una parte di loro le dissero: “Benedetto l’Eterno, che oggi non ti ha lasciato senza un redentore” (v.14). Vasta è la cerchia dei salvati, delle figlie di Gerusalemme.

“Possa egli ristabilire la tua vita ed essere il sostegno della tua vecchiaia, perché lo ha partorito la tua nuora che ti ama e che vale per te più di dieci figli” (v.15). Che bel messaggio di incoraggiamento e di edificazione da parte di quelle donne, diversamente di quando la videro ritornare da Moab, stupite chiesero a sorpresa: E’ questa Naomi? E’ questa la chiesa matura da cui dobbiamo imparare? Lei si definiva Mara, amarezza. Ma queste donne compresero le sue sofferenze e la benedirono dicendogli che possa il Signore, ristabilire la tua vita, tornò ad essere Naomi (delizia) anche davanti a se stessa. Questa nuora che ti ha partorito questo figlio, la nuova creatura, anche ti ama. Dopo tutto il bene che vi siete fatto l’una per l’altra, ora vi compensate a vicenda, ritorna a lode di Dio la benedizione. La chiesa matura aiuta la più giovane, e la più giovane aiuta la matura e si fa aiutare.

“Naomi quindi prese il bambino, se lo pose in grembo e gli fece da nutrice” (v.16). La chiesa matura ama il frutto della chiesa più giovane. Prende la nuova creatura, tutto ciò che è nuovo in lei e se lo pone nel grembo, lo porta nel cuore come fosse il suo.

“Le vicine gli diedero un nome e dicevano: E’ nato un figlio a Naomi! Lo chiamarono Obed. Egli fu padre d’Isai, padre di Davide” (v.17). Cambia l’aggettivo per le donne, che ora sono le “vicine”, sempre più intimità, diedero il nome a questo bambino dicendo che era nato un figlio a Naomi. Quando la chiesa giovane partorisce la nuova creatura da una relazione intima col redentore, i testimoni lo considerano come fosse della chiesa matura… Partecipazione e comunione.

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Obed significa, “servo”. La chiesa matura e la giovane partoriscono sempre il servizio a Dio. Servi di Dio servi degli uomini. Nella parte finale del libro notiamo come Ruth non appare più e neanche Boaz, vengono solo menzionati. Il libro di Ruth incomincia con la delizia (Naomi) diventata amarezza (Mara), e termina con l’amarezza trasformata in doppia delizia, Naomi e Ruth.

SIGNORE, INSEGNACI A LEGGERE QUESTO LIBRO CON I TUOI OCCHI.

Amen!

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CONCLUSIONE

La storia di Ruth, è una grande lezione per la chiesa di tutti i tempi. Personalmente ringrazio il Signore di questo commento riflessivo e contemplativo su questo libro. Se leggeremo lentamente e con il cuore aperto, le perle spirituali che questa meditazione offre, saremo certamente arricchiti. Il Signore, nel Suo amore Divino, ci ha dato il diritto di diventare suoi figli se lo accettiamo con tutto il cuore. Appressiamoci dunque ai suoi piedi con coraggio per riposarci sul diritto di riscatto di cui il nostro redentore è responsabile e Lui ci dirà cosa fare. Siamo invitati alla comunione col corpo di Cristo, a nutrirci cioè della Sua persona, comunione intima con Lui. Iddio ci benedica caramente, a Lui la gloria!

Amen

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INDICE

Dedica……………………………………………………………………………………………1 Introduzione…………………………………………………………………………………..2 La storia di Ruth………………………………………………………………………………3 Tamar …………………………………………………………………………………………..5 Rahab ……………………………………………………………………………………………8 Ruth ……………………………………………………………………………………………11 Bat-Sceba ……………………………………………………………………………………..12 Maria …………………………………………………………………………………………..14 Entrando nel libro. Capo 1………………………………………………………………..15 Il viaggio di ritorno ………………………………………………………………………..18 Arrivo in Betlemme ………………………………………………………………………..24 Capo 2 ………………………………………………………………………………………….27 Boaz parla al cuore della sua serva.……………………………………………………34 Capo 3 ………………………………………………………………………………………….49 Edificando l’altare ………………………………………………………………………….51 Capo 4 ………………………………………………………………………………………….66 Conclusione.…………………………………………………………………………………..81

Giancarlo Larossa www.parolaviva.com