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LA STAMPA 3D COME LA TECNOLOGIA RIVOLUZIONE IL FAI DA TE

MARIA ELISABETTA BONAFEDE 40k Unofficial

Indice 40k Unofficial Epigrafe Introduzione 1. Digital fabricator 2. Dal Rapid prototyping al Rapid Manifacturing 3. Le tre generazioni della stampa 3D 4. La Rivoluzione del Do It Yourself 5. «Per fare quasi ogni cosa» Appendice Ti potrebbero piacere anche 40k Unofficial Tra editoria e self publishing, 40k Unofficial è una collana di ebook pensata per prendere i testi lunghi per web e trasportarli verso la lettura “lean back”, nelle circostanze comode e rilassate che solitamente associamo al libro di carta. Negli Unofficial, 40k si occupa del lavoro editoriale di qualità. Ma non selezioniamo i testi: questi sono completa responsabilità dell‟autore.

LA STAMPA 3D La stampante 3D è davvero la macchina di Santa Claus? Le sue potenzialità permettono di rivoluzionare il sistema produttivo dalla massima alla minima scala, con possibilità inimmaginabili per il Do It Yourself. Gli industriali più avveduti e i politici più illuminati se ne sono già resi conto, anche se nell‟opinione pubblica l‟idea non è molto diffusa. Un ebook che racconta i vari aspetti storici e tecnologici oltre che le applicazioni nei più svariati campi: dal design alla medicina, dall‟industria aerospaziale alle nanotecnologie, dalla ludica all‟arte e all‟architettura.

MARIA ELISABETTA BONAFEDE Maria Elisabetta Bonafede, architetto e saggista, si interessa di architettura digitale e tecnologie emergenti. Tra i contributi su questi temi ricordiamo, oltre ai vari saggi reperibili in rete, la recente pubblicazione per la collana IT Revolution in Architecture di Edilstampa.

SHARE RT @MelisabettaB: Un dispositivo economico, ecologico, a portata di tutti, che realizza tutti i desideri. Fantascienza? No, la stampante 3D. https://twitter.com/MElisabettaB/status/405009112762974209

È possibile immaginare una macchina che possa estrarre materiale – anche rocce dalla Luna o da asteroidi –, elaborarlo e costruire con esso pressoché tutti i prodotti: lavatrici, tazze da tè, automobili o navicelle spaziali. Questa macchina potrebbe attingere l’energia dal sole e il materiale dal luogo in cui si trova per produrre a richiesta qualsiasi cosa, sempre che si sappia quali istruzioni darle per farlo. Penso che il nome adatto per un tale dispositivo sia «macchina di Babbo Natale» (Ted Taylor, in Nigel Calder, Spaceships of the Mind, New York, 1978).

Introduzione L‟idea di una macchina universale, capace di realizzare qualunque cosa, perfino se stessa, è da un po‟ che frulla nella mente degli scienziati: il costruttore universale di Von Neumann, i nanorobots di Feynman e Drexler, i foglets di John Storrs Hall, la macchina di Santa Claus di Ted Taylor sono alcune tra le più celebri ipotesi. Inaspettatamente la soluzione è molto più semplice di quanto questi esimi scienziati abbiano pronosticato e viene dall‟evoluzione di un oggetto molto familiare, la stampante. Ognuno di noi ne ha almeno una in casa e, se ricordiamo le potenzialità dei primi modelli che abbiamo visto, ci viene oggi da sorridere. L‟oggetto in sé è di semplice funzionamento: un ugello scorre e getta gocce d‟inchiostro finché sul foglio appare ciò che si vede sullo schermo del computer, dell‟iPhone, dell‟iPad… Miracoloso è ancora oggi tutto ciò per i non nativi digitali (e-migranti) che ricordano le vecchie macchine da scrivere; ma questo è nulla se vediamo qual è la naturale evoluzione del nostro dispositivo domestico: la stampante 3D. Sfruttando lo stesso principio della sua «antenata», ma sostituendo l‟inchiostro con liquidi o polveri che una volta depositate si solidificano velocemente, questa tecnologia additiva ci permette di costruire comodamente a casa propria una vasta gamma di oggetti, dalla guarnizione per la caldaia alle ciabatte per il mare, dal dessert al cioccolato alla riproduzione in scala della Venere di Milo. Chi l‟ha vista in azione non può non esserne incantato: tutto avviene davanti ai nostri occhi, che vedono scorrere l‟ugello che deposita sottili strati dei più svariati materiali – plastica, metalli, ceramica, cemento… – e lentamente

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l‟oggetto desiderato si materializza. E c‟è di più: la stampante 3D, essendo in grado anche di produrre i pezzi che la compongono, è quindi una macchina autoreplicante. Lanciata sul mercato ormai da qualche anno, oggi sta ottenendo il giusto clamore. Sociologi ed economisti stanno indagando le ricadute che la diffusione di questi nuovi mezzi di produzione potranno avere e molti concordano nel ritenere che l‟affermazione di questa tecnologia inaugurerà una nuova era, quella del Do It Yourself, dove ognuno sarà in grado di autoprodursi ciò che gli serve, almeno in parte. Tutto ciò è certamente rivoluzionario, ma è relativamente all‟aspetto creativo che il vaso di Pandora di tutti i beni sta per scoperchiarsi. Negli ultimi decenni del secolo scorso la computazione ha fatto emergere forme astratte sorprendentemente complicate e interessanti: geometrie non euclidee, automi cellulari, dinamiche lineari, frattali, morfogenesi… hanno prodotto configurazioni affascinanti che non era però ancora possibile tradurre in oggetti reali e che perciò restavano confinate nel cybersapazio. Oggi, invece, si scopre che le limitazioni tecniche di realizzazione sono superate grazie a questi semplici dispositivi che permettono il passaggio dalla sfera della virtualità a quella fisica. Così le possibilità del Genetic Space – lo spazio degli infiniti i mondi possibili generabili dalla computazione, descritto da Karl Chu – possono essere trascinate giù dallo schermo delle simulazioni e portate alla realtà.

1. Digital fabricator Una stampante 3D è un fabber (abbreviazione di digital fabricator), cioè un piccolo costruttore che può realizzare oggetti descritti digitalmente. Come e più delle altre tecnologie manifatturiere basate sulla computazione (quali le macchine a controllo numerico), la stampa 3D annulla la distanza dal modello virtuale/informazionale alla realtà fisica: basta premere un tasto e il gioco è fatto. Il suo meccanismo richiama direttamente quello delle stampanti domestiche a getto d‟inchiostro: siamo abituati a scrivere o disegnare sullo schermo e subito stampare su carta la nostra idea; bene, ora possiamo creare il modello digitale di un oggetto e direttamente tradurlo in cosa reale che si può toccare e maneggiare grazie a una stampante 3D, magari in formato desktop, posta sulla scrivania, accanto al monitor. Il processo inizia con un file CAD contenente una descrizione matematica della cosa da realizzare, che può essere: una tua creazione originale; un progetto messo a disposizione dall‟autore su piattaforme per la condivisione delle idee come www.thingiverse.com o in gallery come quella del sito di Autodesk 123D; un‟opera soggetta a licenza Creative Commons (che permette di eseguire copie del lavoro purché ne sia indicato l‟autore); la personalizzazione di un oggetto di open design (una forma di design che condivide pubblicamente le informazioni sui progetti e la possibilità di modificarli); un prodotto industriale protetto da copyright (ma poi scaricabile più o meno legalmente da siti come Pirate Bay); un pezzo di ricambio il cui modello digitale è venduto dalla ditta produttrice; o, più semplicemente, la riproduzione di un oggetto (o soggetto) esistente, utilizzando la scansione 3D, oggi possibile anche come app per iPhone. Dopo aver esportato il file in formato STL, semplicemente premendo «stampa» si passa dal Computer-Aided Design (CAD) al Computer-Aided Manifacturing

(CAM): un software che calcola una serie di sezioni trasversali di spessore piccolissimo dell‟immagine tridimensionale e poi trasferisce i dati alla stampante che costruisce l‟oggetto desiderato depositando gradualmente, uno sopra l‟altro,sottili strati di materiale corrispondenti alle sezioni del modello digitale, ciascuno fatto aderire ai precedenti. Quando tutti gli strati sono deposti e consolidati l‟oggetto è pronto.

Una strenna della Santa Claus Machine con piccoli oggetti e una chitarra 3D printed.

2. Dal Rapid prototyping al Rapid Manifacturing La stampa 3D nasce circa 25 anni fa come Rapid Prototyping, un sistema per la produzione rapida di prototipi basato su tecnologie «additive» che realizzano oggetti anche complessi aggiungendo progressivamente materiale in un processo controllato al computer (Direct Digital Manifacturing), invece di tagliarlo, rimuoverlo e piegarlo con frese, lame, torni per lo stampaggio, presse etc. come avviene nei sistemi «sottrattivi» tipici non solo della produzione tradizionale, ma anche delle macchine a controllo numerico. A causa della sofisticatezza e dei costi, il Rapid Prototyping per un paio di decenni è rimasto una tecnologia di nicchia utilizzata solo da grandi industrie manifatturiere, soprattutto nel settore dell‟industrial design. Tuttavia, man

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mano che i processi sono diventati più efficienti, veloci ed economici, la produzione additiva tende a sostituire quella manifatturiera tradizionale nella creazione di componenti e prodotti finiti (Rapid Manifacturing), come Airbike, la prima bicicletta fatta di nylon realizzata con un metodo di produzione additivo dal gruppo aerospaziale europeo EADS e l‟aereo SULSA realizzato da un team della Southampton University, che ha apertura alare di 2 metri, velocità di circa 150 km/h e struttura in polimeri plastici interamente stampata e montata senza viti o altri elementi di fissaggio tradizionali (www.southampton.ac.uk/~decode/).

Il mini-aereo SULSA (Southampton University Laser Sintering Aircraft).

3. Le tre generazioni della stampa 3D Precursore della stampa 3D è la stereolitografia brevettata nel 1986 da Chuck Hull, fondatore di 3D Systems, la prima azienda di prototipazione rapida con sede nella Carolina del Sud (www.3dsystems.com). La stereolitografia è un metodo di produzione che stampa oggetti formati da strati di fotopolimeri liquidi solidificati per mezzo di luce ultravioletta. È una tecnologia lenta, estremamente costosa e inquinante, pertanto non ha trovato applicazione su vasta scala. L‟idea di stampare oggetti era comunque interessante ed è stata sviluppata, a cavallo tra gli Anni Ottanta e Novanta da ricercatori accademici e da aziende che hanno elaborato processi specifici in relazione a: tipo di applicazione, fattori di costo e materiale da impiegare, che spazia dalla plastica ai metalli (compresi materiali ad alte prestazioni, come polimeri e leghe), dal gesso all‟argilla, dalla sabbia alla cellulosa, dal nylon alle fibre ottiche, fino alle cellule biologiche e alle molecole chimiche. Così agli inizi degli Anni Novanta sono entrate sul mercato macchine per la prototipazione rapida basate su nuove tecnologie: 3D Systems ha brevettato la Selective Laser Sintering (sinterizzazione laser selettiva) che usa il laser per sciogliere polveri di metallo, plastica, vetro o ceramica; Stratasys, la società di stampa 3D professionale con basi in Minnesota e Israele, ha inventato la Fused Deposition Modeling (modellazione a deposizione fusa) che adopera un erogatore riscaldato per deporre materiali termoplastici liquefatti (www.stratasys.com); il Massachusetts Institute of Technology ha sviluppato tecnologie inkjet (Multi-jet Modeling) che creano un oggetto depositando, con una serie di iniettori che si muovono avanti e indietro, strati di polvere tenuti insieme da gocce di legante (rpl.mit.edu/tools/3dPrint.php). Quest‟ultima tecnologia, inizialmente commercializzata da ZCorp (www.zcorp.com), apre la strada alle stampanti di seconda generazione, più piccole, veloci, economiche e facili da usare. Oltre a questi sono stati elaborati una ventina di varianti e mix di sistemi, tra cui una macchina che stampa a più colori e una che consente il getto simultaneo di materiali diversi per realizzare prodotti complessi in un unico processo di costruzione (PolyJet Matrix Technology). Dal 2010 questi dispositivi sono diventati competitivi con le tecniche di produzione tradizionali, e ciò ha portato all‟espansione del loro impiego: la prospettiva è di portare la stampante 3D in tutte le case, come già è successo con i pc e le stampanti 2D. Se una macchina professionale da elevate prestazioni (high-end) ormai può costare anche meno di 20.000 euro, avere un piccolo dispositivo domestico (Personal Manifacturing) è ormai alla portata di tutti. Nel 2004 l‟equipe dell‟Università di Bath guidata dal matematico Adrian Bowye ha lanciato RepRap (Replicating Rapid Prototyper), una «fabbrica da scrivania» – il cui nome evoca il Replicator di Star Trek – che può produrre di tutto, perfino se stessa, e che costa circa 700 euro (reprap.org). Nel 2006 i ricercatori della Carnegie Mellon University, con l‟obiettivo di portare la tecnologia di produzione personale (Personal Fabrication Technology) in ogni casa, hanno sviluppato il progetto Fab@home, che mette a disposizione il necessario per autocostruirsi una stampante 3D in grado di usare una vasta gamma di materiali, dalla plastica al cioccolato; quasi contemporaneamente l‟azienda newyorkese MakerBot ha iniziato la produzione di Thing-o-Matic, una dispositivo alto 16 cm venduto online come kit da montare al prezzo di 1300 dollari.

Bre Pettis, uno dei soci fondatori di Makerbot, con Replicator 2, l’ultimo modello di stampante 3D da scrivania

dell’azienda newyorkese.

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4. La Rivoluzione del Do It Yourself Esperienze come questa dimostrano come la stampa 3D unita all‟etica del DIY (Do It Yourself, estensione tecnologica del movimento nato in ambito musicale negli Anni Ottanta) potrebbe cambiare il paradigma della produzione, permettendo di superare la complessità dei processi industriali e di realizzare oggetti, con maggior rapidità, minor costo e stesse caratteristiche qualitative in luoghi non convenzionali e decentrati come laboratori, garage, a scuola e perfino in casa, venendo incontro alle esigenze di piccole comunità o addirittura personali. Stampare in loco e quando serve riduce i costi logistici ed energetici, soprattutto quando le distanze da percorrere sono notevoli: la NASA ha in programma di portare nel 2014 una stampante 3D sulla Stazione Spaziale Internazionale per stampare pezzi di ricambio (www.madeinspace.us/made-in-space-and-nasa-to-send-first-3d-printer-into-space). Nel numero di The Economist dell‟aprile 2012 si parla di questa tecnologia quale fattore determinate di quella «terza rivoluzione industriale» ipotizzata da Jeremy Rifkin nel bestseller TheThird Industrial Revolution: How Lateral Power Is Trasforming Energy, the Economy, and the World (New York, 2011), secondo il quale internet, l‟energia verde e le nuove tecnologie di produzione digitalizzata introducono l‟era sostenibile del «post-carbonio» e del «capitalismo distribuito» in cui ciascuno potrebbe diventare produttore di ciò che consuma. Chris Anderson, già direttore della rivista Wired, in Makers: The New Industrial Revolution (New York, 2012) sostiene che i protagonisti di questa rivoluzione sono appunto i makers, artigiani tecnologici che trasformano idee digitalizzate in oggetti fisici, o meglio, come amano dire, convertono bit in atomi. It from bit: informazioni al centro della produzione come già John Wheeler (Information, Physics, Quantum: the Search for Links, 1989) le aveva messe al centro della fisica. I makers sono esponenti di una controcultura produttiva che emerge dal basso, ma che avvia importanti processi virtuosi. Operano all‟interno di hackerspace e FabLab (Fabrication Laboratory), spazi in cui si condividono idee e strumenti di produzione d‟avanguardia presenti non solo nei Paesi occidentali, ma anche in villaggi sperduti delle aree sottosviluppate del pianeta. Consentendo una lavorazione a costi ridotti anche su piccola scala, il sistema dei FabLab, rafforzato dalla rete, funziona secondo il modello della «coda lunga» di Chris Anderson (The Long Tail: Why the Future of Business is Selling Less of More, New York, 2006), per cui una produzione che riesce a soddisfare non solo i gusti più comuni, ma anche quelli delle minoranze, alla lunga raggiunge un più elevato numero di utenti e diventa più redditizia della produzione di massa. Questa rivoluzione coinvolge anche le fasi a monte della produzione, allorché la progettazione – grazie ancora una volta a internet – è sempre più affidata all‟intelligenza collettiva: open source, open design, peer production, crowdsourcing sono i nuovi modelli di «democratizzazione dei processi di innovazione» che permettono di sviluppare idee in modo così veloce ed economico da attirare l‟attenzione della stessa agenzia statunitense per la difesa DARPA. «Il futuro è migliore di quanto credete» afferma il presidente della Singularity University Peter H. Diamandis, che nel suo recente libro Abundance: the Future is Better Than You Think (New York, 2012) individua le quattro forze emergenti – tecnologie esponenziali, DIY, tecnofilantropisti e Rising Billion – che stanno cooperando per risolvere i grandi problemi dell‟umanità e inaugurare un‟inedita era di abbondanza per tutti. Ancora una volta la stampa 3D è vista come uno dei protagonisti dello scenario futuro e lo stesso presidente degli USA Barack Obama, nel discorso sullo Stato dell‟Unione del 12 febbraio 2013, ha affermato che questa tecnologia ha la potenzialità di rivoluzionare il modo di produrre e che la sua introduzione potrebbe rinvigorire l‟industria americana; perciò ha chiesto il finanziamento di 15 centri per l‟innovazione per garantire che la prossima rivoluzione industriale sia «made in America» (www.whitehouse.gov/the-press-office/2013/02/remarks-president-personnel-announcements). Così si moltiplicano gli eventi con l‟obiettivo di far comprendere le opportunità di business offerte da questa tecnologia d‟avanguardia, come 3D Printing Conference & Expo, la fiera per l‟industria della stampa 3D che si è svolta a Chicago nell‟estate 2013.

Che le stampanti 3D possano sostituire la catena di montaggio, per esempio nella produzione di automobili, è ormai una realtà. Secondo Wired la nuova generazione di utilitarie per la città sarà prodotta dalle stampanti 3D e il primo esempio c’è già: si chiama Urbee 2, realizzata da Jim Kor con la tecnologia Fused Deposition Modeling. Ha tre ruote e può portare due passeggeri; il materiale è plastica ABS, forte come l’acciaio, ma che pesa la metà (www.urbee.net). Approfondendo l‟argomento possiamo individuare almeno cinque motivazioni perché l‟introduzione di questa tecnologia significhi un ribaltamento rispetto all‟attuale paradigma produttivo ed economico.

4.1 Open source Vs copyright

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Alla base dei principali progetti di Personal Manifacturing sta il concetto di innovazione condivisa proprio della «remix culture», un movimento che, sfidando brevetti e copyright, si batte per una società in cui sia permesso integrare, implementare, rielaborare i progetti esistenti con nuove idee sviluppate da soggetti diversi dall‟autore, sia che si tratti di prodotti software (allora si parla di «software aperto», cioè open source), sia che si parli di prodotti fisici (quindi si parla di «progettazione aperta», cioè di open design). Ai canoni dell‟open design e della produzione collaborativa online aderiscono le stampanti RepRap e Thing-o-Matic, le cui caratteristiche tecniche sono di dominio pubblico e gratuitamente disponibili affinché gli utenti possano contribuire alla loro evoluzione, con la possibilità anche di replicarle con le varianti che ritengono opportuno apportare. Così anche in Italia recentemente si stanno moltiplicando i progetti di macchine derivate come Sharebot, creata sul modello di Thing-o-Matic da un giovane tecnico informatico, Andrea Radaelli, che l‟ha presentata nell‟aprile 2012 al Fuori Salone di Milano; i dispositivi Archimede e Galileo, ideati modificando il design di RepRap da Luciano e Lorenzo Cantini nel loro laboratorio fiorentino Kentstrapper e il progetto WASP del team composto dall‟imprenditore Massimo Moretti e da un gruppo di studenti dell‟ISIA di Faenza che prende spunto non solo dalle stampanti replicanti in kit, ma anche da come la vespa (in inglese appunto wasp) si costruisce il nido per estendere le possibilità della loro stampante 3D fino alla realizzazione di una casa ecologica in argilla. L‟etica della condivisione si lega a un rinnovato spirito anticapitalistico e anticonsumistico, scevro da contaminazioni ideologiche. «Siamo ossessivamente open-source» dice Bre Pettis, cofondatore di MakerBot, che propone di usare internet per condividere idee e prodotti non diversamente da come si genera e si distribuisce l‟informazione. Così raccoglie nell‟«universo di cose» www.thingiverse.com progetti digitali di oggetti fisici di ogni genere proposti da inventori sconosciuti o da grandi aziende come la General Electric, scaricabili gratuitamente e stampabili tridimensionalmente. Domini come Thingiverse costituiscono una comunità globale di utenti e progettisti in progressiva espansione che ha la potenzialità di mettere in discussione l‟economia tradizionale: «Ci chiedono spesso: quando potrò smettere di comprare oggetti?» dice Pettis. «Io penso che questa abitudine stia per diventare una reliquia dello stile di vita consumistico. Non credo che abbiamo bisogno di un mercato. Questo è un mondo di condivisione.» (www.bbc.co.uk/news/technology-16503443). La cultura partecipativa caratterizza molte delle imprese del variegato mondo della stampa 3D, ma non tutte. 3D Systems offre ai progettisti la possibilità di vendere i loro prodotti in un negozio online e di ottenere il 60% dei proventi. Abe Reichental, amministratore delegato dell‟azienda, ritiene che la possibilità di guadagnare denaro possa essere uno stimolo per l‟innovazione: «L‟idea di fondo è che noi pensiamo che la democratizzazione vada pari passo con la monetizzazione. Non credo che la persona media si impegnerebbe a fondo se non potesse trarne un vantaggio economico.» (www.bbc.co.uk/news/technology-16503443). Due visioni profondamente diverse, destinate però a confrontarsi, visto che è molto recente la notizia che un colosso come Stratasys, che fornisce la metà delle stampanti di tutto il mondo, ha acquistato Makerbot, la quale, malgrado le ventiduemila stampanti vendute negli ultimi quattro anni, non ha raggiunto la solidità economica necessaria per competere in un settore sempre più agguerrito. Tuttavia il sogno di Bre Pettis continua: «È come la storia della nocciolina e del cioccolato. Stanno meglio insieme che separati… Gli ultimi due anni sono stati molto eccitanti per noi. Abbiamo un modello di crescita aggressivo e la partnership con Stratasys ci permetterà di raggiungere la nostra missione: dare la possibilità alle persone di realizzare cose usando una Makerbot portando la tecnologia 3D a più gente possibile.» (gadget.wired.it/news/mondo_computer/2013/06/24/stampa-3d-stratasys-compra-makerbot-742895.html).

4.2 Personalizzazione di massa Vs standardizzazione di massa Al di là delle differenze ideologiche e delle strategie commerciali, è grazie alle sperimentazioni sia di compagnie come MakerBot e 3D Systems, sia di ricercatori accademici, sia di hacker e appassionati che agiscono in nome del DIY che si è giunti alla realizzazione di dispositivi accessibili a una vasta utenza, con l‟obiettivo di permettere a tutti di progettare e produrre autonomamente oggetti personalizzati. La stampa 3D presenta infatti il vantaggio di consentire la produzione di piccole serie o addirittura di pezzi unici senza spese aggiuntive poiché gli oggetti sono facilmente modificabili: basta cambiare il modello digitale e la stampante, come una fotocopiatrice produce una o più copie, tutte al medesimo costo. L‟introduzione di questa tecnologia segna quindi il passaggio dalla produzione di massa, seriale e standardizzata, alla personalizzazione di massa (mass customization), flessibile e individualizzata. In pratica la digitalizzazione della produzione fa accadere ai prodotti quello è successo alla musica, alla fotografia e alla letteratura con l‟avvento del mondo digitale, cioè porta la produzione sempre più vicina alle esigenze del singolo consumatore.

L’azienda austriaca Fluid Forms produce Earth Bowl Pinstripe, un portafrutta la cui forma ripropone la topografia di un luogo scelto dal cliente.

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Ormai ciò non riguarda solo la realizzazione di protesi e impianti medici. Aziende che hanno come obiettivo l‟innovazione user-centered offrono sul proprio sito web applicazioni che permettono al consumatore di partecipare alla definizione del prodotto che acquisterà, personalizzandolo nell‟abbinamento dei colori, nella scelta dei materiali e dei dettagli, nell‟aggiunta di iscrizioni, etc. Per esempio 3D Systems con FreshFiber offre servizi per la stampa di accessori personalizzati per iPhone e iPad e l‟italiana Kioròdesign dà la possibilità all‟acquirente di adattare ai propri gusti gli articoli del catalogo. Altre aziende concepiscono l‟intervento del cliente in termini meno banali: non propongono un oggetto, ma, attraverso l‟uso di software parametrici, offrono al consumatore la possibilità di esplorare una serie di soluzioni possibili, una famiglia di forme che possono essere diversamente declinate modificando alcune variabili dell‟algoritmo che costituisce il modello digitale dell‟oggetto, senza che si perdano le caratteristiche essenziali del progetto originale.

4.3 Dilettanti Vs professionisti Se la progettazione digitale parametrica e le tecnologie di produzione additiva permettono a un pubblico sempre più vasto di accedere a modalità di design in cui l‟attività creativa è direttamente collegata a quella produttiva, siamo tuttavia ancora lontani da un‟autoproduzione veramente accessibile a tutti, semplice come scrivere una voce di Wikipedia. Infatti, una limitazione alla diffusione dei sistemi di fabbricazione digitale è che il suo uso dipende dalla conoscenza tecnica dei programmi di progettazione assistita, perché prima è necessario creare la forma al computer e poi la stampante trasforma l‟oggetto digitale in oggetto reale. «La Legge di Moore non è applicabile al campo della fabbricazione additiva» sostiene Ed Grenda in Printing the Future (Arlington, 2006), «perché offre buone opportunità solo a progettisti e ingegneri, ma non è praticabile per gli utenti meno sofisticati». Più ottimista appare Chris Anderson nel già citato Makers, prevedendo una diffusione di massa dei nuovi dispositivi «esattamente come è successo con il Web, che prima è stato colonizzato da società tecnologiche e dai media e poi sono nati software e hardware specifici più facili da usare per la gente comune; così è stato „democratizzato‟ e oggi la maggior parte del web è costituita da dilettanti». In effetti è proprio in questa direzione che ci si sta muovendo: i programmi di modellazione digitale sono sempre più semplici e intuitivi, a volte gratuiti come Google sketchUp. Consentire a chiunque di esprimere la propria creatività a prescindere dalle competenze tecniche è l‟obiettivo del sito interattivo della Cornell University endlessform.com/, che permette di progettare oggetti tridimensionali stampabili grazie a un software morfogenetico che si ispira alla biologia evolutiva e agli studi sull‟emergenza della complessità nei fenomeni naturali. Dopo aver visualizzato una «generazione» di oggetti, l‟utente sceglie quelli che gli piacciono di più e il computer incrocia il patrimonio genetico delle soluzioni individuate per ottenere una nuova generazione di soluzioni migliori delle precedenti e questo processo continua finché non viene raggiunto il risultato ottimale. Un procedimento di design iterativo che mostra la potenza dell‟evoluzione per produrre sistemi complessi attraverso una serie di piccoli cambiamenti e che può coinvolgere idee di vari autori, in un approccio alla progettazione ancora un volta collaborativo e open source.

Lo scultore francese Gael Langevin con una stampante tridimensionale da poche centinaia di dollari, alcuni motori e un circuito, ha realizzato il busto di un robot umanoide funzionante che ha chiamato InMoov e ha pubblicato su Thingiverse le istruzioni di programmazione affinché chiunque possa sperimentare questa idea.

4.4 Locale & globale Per chi non intende sostenere le spese per l‟acquisto e l‟installazione di una stampante sono nate società di servizi online che permettono agli utenti di ordinare la stampa di oggetti progettati con il software. Negli uffici di MakerBot ci sono diciotto macchine che possono essere utilizzate da creativi esterni; nell‟autunno 2012 Shapeways ha aperto a New York la Factory of the Future con cinquanta stampanti professionali che possono creare, nel giro di poche ore, i prodotti progettati dagli stessi clienti; RedEye on demand offre macchine per modellazione a deposizione fusa per realizzare progetti con poca spesa e in varie parti del mondo, a prescindere dalle dimensioni o dalla complessità; la società olandese Freedom of Creation garantisce servizi creativi (design), tecnici (ingegnerizzazione) e di produzione (Rapid Manufacturing); l‟italiana Vectorealism, grazie al taglio laser, trasforma i disegni vettoriali inviati dagli utenti in oggetti reali, facendo pagare solo i minuti impiegati dalla macchina e il materiale; servizi di prototipazione rapida a livello professionale sono offerti dalla community online TechShop e da aziende come CloudFab e Ponoko che forniscono anche piattaforme e-commerce per la distribuzione dei prodotti a livello mondiale. Queste, ovviamente, sono solo alcune delle imprese che operano in questo settore. È una realtà che va crescendo in modo esponenziale, sfruttando le possibilità offerte dall‟interattività propria del mondo digitale, per creare un‟economia al contempo globale e locale. La neozelandese Ponoko, per esempio, utilizzando un portale online ha

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creato un sistema per la produzione decentrata su richiesta, che collega progettisti che lavorano a casa propria, ma con una portata mondiale. Offre ai creativi la possibilità di caricare il loro progetto nella «nuvola» e quando qualcuno lo ordina in qualche parte del mondo, il prodotto viene immediatamente fabbricato in un laboratorio locale, risparmiando in tempo, spese di trasporto, stoccaggio e riducendo rifiuti e inquinamento. Ponoko per ora ha cinque stabilimenti di produzione: a Wellington in Nuova Zelanda, a Oakland in California, a Londra, Berlino e Milano, ma il suo obiettivo è di avere un laboratorio in tutte le principali città, per rifondare l‟artigianato e la produzione con radici locali, rivitalizzati da una sofisticata comunicazione e progettazione online. La decentrazione produttiva significa anche la possibilità di aiutare le popolazioni emarginate a risolvere problemi pratici per uscire da un‟economia di sussistenza, come dimostra il programma FabLab portato avanti in collaborazione con il Center for Bits and Atoms del MIT Media Lab, che ha messo a punto un complesso di macchine digitali e stampanti con cui «costruire praticamente ogni cosa», disponibile in una rete che nel 2013 conta 125 laboratori presenti in 34 Paesi, compresi villaggi sperduti dell‟India e dell‟Africa (fab.cba.mit.edu/about/labs/).

4.5 (Nano)macchine autoreplicanti Dispositivi come la RepRap e Fab@Home permettono anche di stampare i pezzi di cui sono composti, ovvero si avvicinano all‟idea delle macchine autoreplicanti. «La prossima frontiera del MIT» dice Peter Schmitt, che da studente ha stampato un intero orologio funzionante, «è costruire macchine capaci di costruire macchine.» (web.mit.edu/newsoffice/2011/3d-printing-0914.html). L‟idea risale agli Anni Conquanta, quando John von Neumann ipotizzò una macchina universale capace di costruire ogni cosa, perfino se stessa, allorché le vengano fornite le istruzioni appropriate. Quando nei decenni successivi con Richard Feynman s‟iniziò a pensare di costruire macchine alla nanoscala, ci si rese conto che con questi congegni della dimensione di un miliardesimo di metro si sarebbe potuto più facilmente raggiungere l‟obiettivo di von Neumann. Così negli Anni Ottanta Eric Drexler con il suo Engine of Creation ipotizzò nanorobot capaci di realizzare oggetti assemblando molecole a una a una e in grado di fare copie di se stessi. Finora queste idee sono rimaste sulla carta in attesa di un balzo tecnologico in avanti che permettesse di porle in atto. Ed ecco, qualcosa si muove: la costruzione additiva perfezionata alla nanoscala permette di «compilare» oggetti molecola su molecola, atomo su atomo. Su questa strada si stanno muovendo le prime sperimentazioni: i ricercatori di ETHZurigo in collaborazione con l‟IBM hanno sviluppato un metodo economico e veloce per stampare strutture alla nanoscala utilizzabili in microscopi ottici e film di celle fotovoltaiche; la nano-stampante 3D «superfast» messa a punto dalla Technische Universitat Wien stende linee di resina a un ritmo di 5 metri al secondo per dar forma alle fibre ottiche nanoscopiche di un circuito elettrico; la start-up tedesca high tech Nanoscribe stampa microstrutture della dimensione di 30 nanometri; la Cornell University sta lavorando al progetto per la microfabbricazione che si ispira alla biologia (creativemachines.cornell.edu/Rapid-Assembler): come il DNA è composto da un numero discreto di mattoni fondamentali, così i materiali digitali vengono creati stampando con estrema precisione miliardi di piccoli blocchetti fisici (i voxel –volume elements – equivalenti tridimensionali dei pixel, picture elements) che sono i più piccoli volumi che un sistema di stampa 3D può realizzare, combinabili in qualsiasi configurazione per realizzare un prodotto completo di qualsiasi complessità, in un unico processo di generazione.

Macchina da corsa alla scala nanometrica stampata con un’incredibile precisione di dettagli da una équipe della Technische Universitat Wien guidata dal prof. Stampfl e dal dr. Torgensen. In prospettiva, quindi, l‟effetto più dirompente della Terza Rivoluzione Industriale sarà dovuto molto probabilmente all‟alleanza tra sistemi di produzione digitale additiva e nanotecnologie.

5. «Per fare quasi ogni cosa» How to Make Almost Anything. The Digital Fabrication Revolution (Foreign Affairs, nov-dic 2012) di Neil Gershenfeld – direttore del Center for Bits and Atoms del MIT Media Lab – si conclude con queste parole: «La produzione digitale è molto di più della stampa 3D. È l‟evoluzione delle capacità di trasformare dati in cose e cose in dati. Molti anni di ricerca rimangono per completare questa visione, ma la rivoluzione è già ben avviata. La sfida collettiva è di rispondere a questa domanda fondamentale: come sarà vivere, imparare, lavorare, e giocare quando ciascuno potrà fare qualsiasi cosa, ovunque?». Come sottolinea Gershenfeld, la strada da percorrere per poter fare di tutto con la produzione digitale è ancora lunga, ma già oggi possiamo avere un assaggio di quel che sarà la nostra vita a rivoluzione digitale compiuta guardando alle numerose e talvolta veramente creative, per non dire fantasiose, applicazioni della stampa 3D: dai giocattoli alle scarpe su misura, dai gioielli agli occhiali, dagli abiti alle batterie, dal vasellame ai modellini di opere di architettura e ingegneria, dalla ricostruzione di fossili alle repliche di manufatti archeologici, dagli apparecchi acustici alla copia esatta di un violino Stradivari, da una Tower Bridge a scala nanometrica a una barca stampata utilizzando la plastica riciclata delle bottiglie di latte. In prima linea è la produzione di componenti per l‟industria automobilistica e aerospaziale. La General Electric, per esempio, stampa componenti per i motori dei jet e la European Aeronautic Defense and Space Company usa la

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stampa 3D per produrre componenti per i satelliti (www.technologyreview.com/featuredstory/426391/layer-by-layer).

Le stampanti 3D possono facilmente produrre oggetti di qualsiasi complessità. Per esempio Stephen Wolfram, stampandone il modello fisico tridimensionale, «ha portato a vita reale» il multiforme oggetto matematico Spikey creato con il suo programma Mathematica. Questa tecnologia potrebbe rivoluzionare il modo in cui sono realizzati prodotti elettronici come schermi, sensori, antenne, elettrodi, etichette di sicurezza, occhiali per la realtà aumentata e telefoni. In campo bellico se ne sta sperimentando l‟uso per produrre dispositivi di occultamento, droni e armi. Intanto uno studente del Texas ha stampato con una Stratasys Liberator, una pistola di plastica che spara davvero. (www.forbes.com/sites/andygreenberg/2013/05/05/meet-the-liberator-test-firing-the-worlds-first-fully-3d-printed-gun/).

5.1 Organ printing L‟ingegneria biomedica si avvale già da tempo delle tecnologie additive per realizzare protesi in titanio e ceramica. Le ultime novità sono le tecniche inkjet con cui si tenta di costruire tessuti vascolarizzati (Computer Aided Tissue Engineering) e organi (Organ Printing) depositando su un supporto di gel strati di cellule viventi fino a formare strutture tridimensionali. La tecnologia è ancora sperimentale, ma già si stampano cartilagini impiantabili e un ragazzo, che ora va al college, dall‟età di 10 anni vive con una vescica stampata (www.ted.com/talks/antony_atala_printing_a_human_kidney.html). La speranza dei ricercatori è che la Bioprinting, allorché sia in grado di costruire organi per chi è in attesa di trapianto, pelle per i grandi ustionati, arti per un amputato e così via, sia un primo passo verso l‟immortalità. Poi c‟è chi pensa – come Peter Thiel, cofondatore di PayPal – di stampare un tessuto muscolare animale che potrebbe essere tagliato in bistecche, progetto che l‟imprenditore miliardario ha finanziato con 350 mila dollari (techland.time.com/2012/08/16/billionaire-peter-thiels-latest-investiment-3d-printed-meat/).

5.2 Il chemputer Anche la chimica beneficia di questa tecnologia: se il pioniere della biologia sintetica Craig Venter crede che presto sarà possibile direttamente scaricare, stampare e iniettare un vaccino per scongiurare immediatamente qualsiasi contagio, Daniel Kraft della Singularity University in Silicon Valley afferma che «in futuro potremmo non prescrivere farmaci, ma app» (www.techcrunch.com/2012/01/01/healthtech-2012/) e l‟invenzione di Lee Cronin dell‟Università di Glasgow ha approssimato questo futuro. Il chimico, infatti, con un computer e una Fab@home, ha realizzato il «chemputer», un laboratorio domestico che è in grado di controllare le reazioni chimiche per la produzione di molecole e quindi di fare anche chimica farmaceutica. «Quasi tutti i farmaci sono fatti di carbonio, idrogeno, ossigeno e oli vegetali o paraffina e con una stampante dovrebbe essere possibile fare qualsiasi molecola organica con un numero relativamente piccolo di “inchiostri” il cui dosaggio è controllato da un software.» Il passo successivo sarebbe la «chimica scaricabile», un app store che permetta ai singoli utenti in tutto il mondo di scaricare da internet le ricette fornite dalle case farmaceutiche per poi stamparle a casa propria. «Il valore è nella ricetta, non nella produzione. Si tratta di un‟applicazione, in sostanza» sostiene Cronin (www.bbc.com/future/story/20120926-desktop-drugstores/3).

5.3 Un contributo per le arti Recentemente l‟uso della stampa 3D si è esteso ai settori più disparati, come gastronomia, moda, scultura e architettura. Marcelo Coelho e Amit Zoran, due studenti del MIT, hanno progettato Cornucopia, la macchina per la gastronomia digitale semplice da usare che stampa elaborate pietanze, portando in cucina la versatilità del mondo digitale (Amit Zoran – Marcelo Coelho, Cornucopia: the Concept of Digital Gastronomy, in “Leonardo”, Vol. 44, No. 5, pp. 425-431, 2011). La NASA ha intenzione di portare questa tecnologia nello spazio per fornire agli astronauti pasti che soddisfino il gusto oltre che le esigenze nutrizionali.

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Cornucopia – Digital Gastronomy di Amit Zoran e Marcelo Coelho

Le potenzialità della stampa 3D di inaugurare una nuova era nell‟industria dell‟abbigliamento sono state esibite dalla stilista Iris van Herpen alle sfilate di moda di Parigi del gennaio 2013. Non mancano poi gli accessori realizzati con tecnologie additive come scarpe e cappelli.

Abito disegnato per la ballerina Dita von Teese dall’architetto Francis Bitonti e dal designer Michael Schmidt, completamente stampato da Shapeways.

Scarpe realizzate da Andreia Chaves con tecnologie additive esposte al London Print Show 2012, manifestazione in cui sono intervenuti artisti e designer di fama mondiale convertiti a questa tecnologia, che permette di creare forme che in precedenza si potevano solo immaginare.

Cappello stampato disegnato da Elvis Pompilio e Rad Design per MGX by Materialise, ditta belga specializzata in Additive Manifacturing. La stampa 3D sta inaugurando un nuovo capitolo anche per le arti tridimensionali: scultura e architettura. Nell‟era dell‟arte concettuale, dove ciò che qualifica l‟opera non è tanto l‟abilità tecnica e manuale quanto l‟idea che l‟artista esprime, la stampante 3D diventa una lecita protesi di cui l‟artista si avvale per materializzare la propria creatività. Le tecnologie additive permettono inoltre di trasformare in oggetti materiali le creazioni al computer dell‟arte computazionale e generativa, che converte in immagini i risultati dei calcoli di funzioni matematiche come frattali, algoritmi di automazione cellulare o evolutivi.

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Antichron è opera dell’artista californiana Bathsheba Grossman, che crea sculture e gioielli utilizzando la modellazione tridimensionale e la Digital Direct Manifacturing. Le sue opere nascono da algoritmi, ma affascinano anche chi non conosce la matematica.

Michael Hansmeyer, Subdivided Columns, 2011. Hansmeyer, tra i pionieri della «computational architecture», ha realizzato nel 2011 presso il Politecnico di Zurigo il progetto Columnus: partendo da un modello digitale, ha stampato colonne caratterizzate da una serie di dettagli estremamente complessi. «Le colonne sono un tentativo di incorporare strumenti e tecnologie in grado di ampliare l’ambito di ciò che è possibile e ciò che è immaginabile e nel migliore dei casi per creare qualcosa che non è ancora immaginabile» afferma Hansmeyer. (http://www.archrecord.construction.com/features/snapshot/2011/1107snapshot_subdivided_columns.asp). «Chiunque può essere artista» sentenziava Fluxus negli Anni Sessanta e la penna-stampante 3Doodler da pochi mesi disponibile al prezzo di 50 dollari è proprio fatta per questo: senza bisogno di software o collegamento al computer, permette di costruire facilmente oggetti dalle forme più disparate semplicemente scarabocchiando su qualunque superficie e perfino per aria; mentre si disegna, la penna estrude plastica riscaldata che raffredda rapidamente e solidifica materializzando in pochi minuti la nostra idea.

La penna-stampante 3Doodler in azione ed esempi di oggetti realizzati con questo dispositivo. Oltre a dar forma concreta a sperimentazioni estreme di arte contemporanea, la stampa 3D, come già è accaduto con la stampa bidimensionale, può contribuire alla divulgazione della conoscenza artistica. Alcuni musei hanno iniziato a usare sistemi di produzione additiva per creare repliche del proprio patrimonio, come lo Smithsonian, che ha fatto stampare copie da mostrare al pubblico di opere delle proprie collezioni che sono andate perdute o che sono troppo delicate per essere esposte. In Thingiverse, poi, si trovano mappe digitali tridimensionali di sculture presenti nel Getty Museum di Los Angeles e nel Metropolitan Museum of Art di New York, utilizzabili per stampare duplicati in miniatura di questi capolavori con la propria stampante 3D.

Cosmo Wenman, Portraits of Alexander the Great, -300, 1440, 1945. Da un modello digitale ottenuto tramite scansione tridimensionale – che rende disponibile a tutti su www.thingiverse.com/CosmoWenman/overview – con la sua MakerBot Replicator Wenman stampa in bioplastica, trattabile con varie finiture, repliche di statue antiche che risultano incredibilmente simili all’originale, come nel caso delle copie del ritratto ellenistico di Alessandro Magno conservato al British Museum.

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Un team della Cornell University ha prodotto con la stampa 3D copie di tavolette incise a caratteri cuneiformi provenienti dall’antica Mesopotamia. Nella foto a sinistra è ripreso l’originale, mentre le tavolette al centro e a destra sono le copie in formati diversi (creativemachines.cornell.edu/cuneiform).

5.4 Rapid Building Le tecnologie di produzione additiva sono in grado di rivoluzionare l‟industria delle costruzioni, introducendo anche in questo settore l‟abbattimento di costi e tempi, nonché la mass customization verso un‟architettura sempre più performativa. In edilizia il corrispettivo del Rapid Manifacturing è il Rapid Building che esordisce nel 1996, quando alla University of Southern California con sistemi di produzione additiva fu realizzata una parete descritta da un disegno digitale. Oggi un team di ricercatori della stessa università guidato da Behrokh Khoshnevis ha messo a punto Contour Crafting, un processo costruttivo capace di realizzare un intero edificio in un giorno senza l‟intervento manuale dell‟uomo, usando un materiale simile al cemento per stampare layer by layer dalle fondamenta al tetto, compreso l‟inserimento di finiture e componenti impiantistiche (www.contourcrafting.org/). Questo progetto ha suscitato l‟interesse della Singularity University e della NASA che sta valutando l‟idea di applicare questa tecnologia per la costruzione di basi sulla Luna e su Marte (www.media.mit.edu/node/2277). Un esempio realizzato di Rapid Building è Villa Asserbo – che prende il nome dal villaggio in cui sorge, a 60 km da Copenaghen – opera degli architetti danesi dello studio 1:1 Eentileen. Questo edificio con superficie di 125 mq è il progetto pilota per case ecofriendly e personalizzate, prodotte in loco e senza utilizzo di macchinari pesanti, grazie solo a un computer e a una macchina a controllo numerico che taglia i «fogli» di legno che costituiscono la casa nelle forme necessarie per l‟assemblaggio. «Questa casa non è solo Danese» afferma Anders Thomsen del Technological Institute di Danimarca, «ma è globale: quando hai tutte le informazioni, progetto, interfaccia e macchina da taglio, puoi semplicemente spedire il file in Norvegia o in Cina e stampare la casa direttamente nel Paese scelto.» (www.reuters.com/video/2013/08/12/printable-house-present-new-paradigm-in? videold=234397419&videoChannel=2602) Altre sperimentazioni in questo campo sono condotte dalla Loughborough University e dal team di Freeform Construction Ltd., che stanno sviluppando il progetto 3D Concrete Printing, per realizzare con processi additivi componenti edilizi di cemento di notevoli dimensioni (www.buildfreeform.com/). Freeform Construction ha registrato anche il brevetto per Mineral Jet, un sistema di stampa tridimensionale che usa un nuovo composto a base di gesso, completamente riciclabile ma resistente come il cemento e pregiato come il marmo, idoneo alla produzione di componenti edilizi di grandi dimensioni e con un alto grado di personalizzazione sia in termini di estetica e adattamento all‟ambiente, sia in termini di integrazione impiantistica e cablaggio. Tra i principali centri di ricerca in questo settore non può certo mancare il Massachusetts Institute of Technology: l‟architetto Neri Oxman del MIT Media Lab trae ispirazione da modelli presenti in natura e li traduce in algoritmi che un software da lei sviluppato elabora per generare inedite concezioni strutturali, funzionali ed estetiche, realizzabili solo con la stampa 3D. Per esempio, prendendo spunto dalla struttura interna del fusto delle palme, una colonna in calcestruzzo è stampata con bassa densità al centro e con alta densità ai bordi, in modo da ottimizzare la distribuzione del materiale in base alla suddivisione dello sforzo che esso deve sopportare, realizzando così strutture più leggere ed economiche. Lo stesso principio è applicato alle pareti: in quelle non portanti, il calcestruzzo è stampato con dei fori per permettere alla luce di penetrare all‟interno; mentre una parete portante può essere stampata con gli elaborati disegni che corrispondono al flusso delle tensioni interne provocate da una sollecitazione sismica. Tra le sperimentazioni di Oxman c‟è la chaise longue personalizzata Beast che è stata esposta al Museum of Modern Art di New York e al Museum of Science di Boston. In base ai dati inseriti (la forma e la distribuzione del peso del corpo della progettista) il software ha elaborato un modello tridimensionale dotato di una complessa rete di strutture ramificate che sono flessibili, dove serve per la comodità, e rigide, dove è necessario per il sostegno. La stampante ha poi prodotto la sedia utilizzando come materiale polveri di polimeri.

5.5 Architetture free form Oltre ai vantaggi statici e funzionali questa tecnologia permette di raggiungere inediti risultati estetici. Se l‟architettura digitale ha svelato un mondo di affascinanti forme futuribili, ma fino a ora restava il problema di come realizzarle, ecco che un aiuto inaspettato giunge dalla stampa 3D. «La vera invenzione» dice l‟ingenere/maker Enrico Dini «è l‟aver dato, seppur inconsapevolmente, un impulso concreto e una prospettiva di realizzabilità alla geometria generativa e al computational design, quella branca dell‟architettura in cui invece di disegnare delle superfici si lavora su algoritmi di accrescimento, e che fino a poco tempo fa era solo un esercizio accademico.» Infatti, la costruzione layer-by-layer è free form perché permette di realizzare senza costi aggiuntivi forme non lineari, con alternanze di superfici concave e convesse, sottosquadri, texture, sinuosità, sporgenze, inclinazioni e porosità molto difficili o impossibili da raggiungere per mezzo delle tradizionali colate di cemento in stampi e casseforme. Un esempio su tutti: grazie alla stampa 3D oggi è possibile creare le forme organiche di Gaudì con un costo massimo di 2000 euro al metro cubo e Mark Burry, l‟architetto che segue i lavori per il completamento della Sagrada Familia, sta valutando l‟idea di utilizzare questa tecnologia per portare a termine un‟altra opera lasciata incompleta dall‟architetto catalano, la chiesa di Colònia Güell, presso Barcellona (www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-05-17/stampante-bellezza).

5.6 La stampante 3D a scala architettonica

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D-Shape è il nome della stampante deputata a completare l‟opera di Gaudì ed Enrico Dini è il suo inventore. Nel suo capannone situato nella provincia di Pisa il nipote del matematico Ulisse Dini dal 2009 sperimenta la produzione di «case stampate» grazie a questa stampante 3D a scala architettonica, che può realizzare componenti edilizi assemblabili per formare un intero edificio. D-Shape è una macchina con un‟area di lavoro di 36 mq, composta da 4 colonne che sollevano un piano attrezzato con un dispositivo che spande uno strato di D- Sand (miscela di sabbia e ossidi metallici), e con una testa di stampa che versa D- Salt (legante liquido a base di sale marino).

D- Shape, la stampante 3D a scala architettonica.

La stampante si muove pilotata da un software che seziona il disegno digitale del componente edilizio in strati orizzontali e, passaggio dopo passaggio, genera l‟elemento secondo lo spessore, la densità, la forma, il colore dettati dal file. Dopo circa 24 ore, cioè quando è avvenuta la reazione chimica tra sabbia e legante, il sodalizio tra i due componenti si consolida dando origine a un materiale artificiale, simile a una pietra arenaria il cui millenario processo di sedimentazione viene accelerato in un giorno.

Colonna realizzata con D-Shape in cui è evidente la composizione stratificata.

La tecnologia sviluppata da Dini è ecologica e a impatto zero: dato che le materie prime (sabbia e acqua di mare) sono risorse naturali abbondanti nel nostro pianeta, il prodotto è completamente riciclabile e il processo avviene senza sprechi e rifiuti. Altri e non secondari vantaggi sono la drastica riduzione di tempi e costi di realizzazione rispetto alle tecniche costruttive tradizionali. Perciò questa tecnologia può essere utile per costruire velocemente strutture provvisorie per ospitare popolazioni colpite da disastri naturali. Dal punto di vista statico, test specifici hanno dimostrato che questa roccia artificiale ha proprietà meccaniche addirittura superiori rispetto al cemento comune. Inoltre, aggiungendo fibre naturali, le strutture prodotte da D-Shape sono in grado anche di sopportare le azioni sismiche.

5.7 Architetture invisibili e case lunari Tra i progetti di Dini spicca quello per Villa Roccia, sviluppato in collaborazione con l‟architetto australiano James Gardiner di Faan Studio (http://researchbank.mit.edu.au/enserv/mit:160277/Gardiner.pdf). Si tratta di un edificio residenziale di 300 metri quadrati da costruirsi a Porto Rotondo, in Sardegna. Per l‟aspetto esteriore i progettisti hanno tratto ispirazione dal contesto circostante e, grazie a strumenti di progettazione digitale, hanno disegnato forme che sembrano rocce naturali erose dagli agenti atmosferici nel corso di millenni. Il risultato si mimetizza perfettamente nel paesaggio tanto da meritare la definizione di «architettura invisibile». Anche per la soluzione strutturale i progettisti si sono ispirati alla natura. Traendo spunto dalla biologia, propongono per gli elementi strutturali il modello dello scheletro animale che riesce a sopportare il consistente peso del corpo con una massa ridotta grazie al sistema delle trabecole, cioè dei pieni e dei vuoti che ne ottimizzano la funzionalità.

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James Gardiner, Villa Roccia inserita nel panorama di Porto Rotondo.

James Gardiner, l’assemblaggio di componenti edilizi che formano Villa Roccia.

Sezione campione di Villa Roccia stampata con D-Shape.

Stampare case è l‟idea fissa di Dini, ma questo obiettivo – come dimostra il progetto di Villa Roccia che purtroppo non è ancora stato realizzato – trova difficile attuazione perché la committenza è scettica e la normativa pone troppi ostacoli. Tuttavia le potenzialità di D-Shape trovano applicazione anche in altri settori e l‟azienda di Dini sta ottenendo un discreto successo nella produzione di sculture, arredi urbani, barriere coralline artificiali, moli frangiflutti, strutture sommerse per parchi sottomarini, piscine, opere di difesa e molto altro, con richieste da tutto il mondo, dal Marocco alla Russia, dal Sud Africa all‟Australia (www.innovazioneresponsabile.it/sites/default/files/20110910 sabato/1-LItalia-degliinnovatori/slide/Enrico_dini.pdf).

Radiolaria è una scultura alta quasi 24 metri, stampata con D-Shape nel 2008 e collocata in una rotonda del comune di Pontedera. Disegnata dall’architetto Andrea Morgante del londinese Shiro Studio, la forma di Radiolaria si ispira a quella di un’omonima ameba del plancton marino (www.shiro-studio.com/radiolaria.php).

Unacasatuttadunpezzo è il progetto di Marco Ferreri realizzato con la tecnologia D-Shape ed esposto alla Triennale di Milano nel 2010. L’edificio (che misura 2,40×4 m ed è alto 3,50 m) è stato stampato come un pezzo unico in una sessione senza interruzioni: è emerso strato su strato, dalla base fino alla copertura.

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Landscape House è il progetto elaborato dall’architetto olandese Janjaap Ruijssenaars (www.universearchitecture.com) in collaborazione con il matematico e artista Rinus Roelofs che entro il 2014 dovrebbe diventare realtà grazie alla stampante DShape. L’edificio consiste in una superficie continua che, come un nastro di Möbius o un disegno di Escher, si piega, avvolge e svolge trasformando i pavimenti in soffitti, il dentro in fuori. «Landscape House sarà un paesaggio nel paesaggio» dice il suo progettista. Landscape House è tra i partecipanti a una specie di gara per essere il primo a stampare un edificio: altro progetto concorrente è ProtoHouse (2012), concepito dal gruppo londinese Softkill Design che opera all’interno del Design Lab della Architectural Association di Londra. La casa ha una struttura fatta di fibre di plastica, generata da un algoritmo che imita la crescita ossea per depositare il materiale dove serve cioè lungo le linee di stress (www.protohouse.tumblr.com).

A dimostrazione di quanto l‟idea di Dini sia buona, stanno uscendo le prime imitazioni di D-Shape, come la stampante 3D robotizzata Stone Spray dell‟Istituto di Architettura Avanzata di Catalogna che crea strutture spruzzando da un ugello colla e sabbia e funziona a energia solare.

Rendering di una struttura temporanea in sabbia realizzata con la tecnologia Ston Spray messa a punto da un team dell’Institute for Advanced Architecture of Catalonia. Se Dini non è ancora riuscito a stampare le sue case sulla Terra, non demorde e prova sulla Luna. Non si tratta di un‟ironica battuta, ma di un progetto di edifici lunari che l‟ingegnere pisano ha sviluppato in collaborazione con Norman Foster, Alta Space e la Scuola Superiore Sant‟Anna per conto dell‟Agenzia Spaziale Europea (www.fosterandpartners.com/news/foster-+-partners-works-with-european-spaceagency-to-3d-print-structures-on-the-moon/).

Norman Foster – Enrico Dini, Progetto di casa lunare esposto nel 2011 a Torino alla mostra Stazione Futuro. Sostituendo la sabbia con la polvere lunare, si prevede di stampare in loco le strutture necessarie per l’insediamento, aggirando così i problemi di trasporto. Questo metodo ha attirato anche l’attenzione della NASA che sta sviluppando un progetto analogo denominato SinterHab (www.a-etc.net/sinterhab/).

Appendice Intervista a WASPteam Siete stati tra i primi in Italia a sperimentare/saggiare/divulgare questa nuova tecnologia. Com’è avvenuto il primo incontro con l’idea della stampa 3D? «Bisogna specificare che WASPteam, è composto da un gruppo di universitari e laureati in Design Industriale e da Massimo Moretti titolare di un centro sviluppo progetti. L‟interesse di Massimo per frese CNC e stampanti 3D nasce con gli albori di queste tecnologie; fin dagli Anni Ottanta ha progettato e realizzato frese e ha sempre creduto nella forza dell‟idea della prototipazione rapida tramite stampa 3D; questa è la peculiarità del suo lavoro ovvero lo sviluppo di idee innovative. Per quanto riguarda noi Universitari l‟interesse per la stampa 3D nacque in ambito accademico, dalla condivisione delle potenzialità di questa tecnologia per sviluppo e ricerca, infatti facemmo una colletta per comprare la nostra prima stampante 3D, una Mendel Prusa.

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Il nostro approccio parte dall‟esigenza di dar forma ai progetti e per questo abbiamo costruito una piccola fabbrica personale che lavorando per sottrazione di materiali permetteva la realizzazione di prototipi; quando nel mondo dell’open source si sono resi disponibili i software per depositare materiali abbiamo integrato le nostre macchine realizzando, di fatto, la prima fabbrica personale. Questo è importante perché la nostra è una piccola unità produttiva che dà a tutti la possibilità di trasformare in oggetti i loro progetti.» Wasp rappresenta una delle eccellenze italiane del settore, come sottolinea anche l’articolo di Il Sole24ore dell’11/07/2013. Quali sono stati i primi passi della vostra storia imprenditoriale per tradurre questa idea in un’attività di successo? «Noi studenti ci siamo incontrati con Massimo per poter comprendere meglio il funzionamento della nostra stampante 3D; dopo qualche incontro Massimo ci parlò della sua idea di stampare case a basso impatto ambientale e a costo zero. Per quanto ambizioso ci siamo subito lanciati in questo progetto, che da un anno a questa parte ha portato alla realizzazione della PowerWASP e che ora sta progredendo nell‟opportunità di costruire stampanti 3D di grandi dimensioni per la stampa di polimeri e materiali ceramici. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza SPINNER 2013 che finanzia noi borsisti e grazie a Mirco Denicolò (docente di Laboratorio Ceramico) che ci sta accompagnando nella ricerca sugli impasti ceramici. Abbiamo unito una visione, un sogno, un‟utopia alla realizzazione pratica di una stampante di alta qualità; crediamo che la chiave del successo sia avere un sogno ad alto valore simbolico come quello di costruire case per tutti, legato alla costruzione di una stampante di buona qualità. Il sogno ci dà visibilità e la qualità dei nostri progetti ci sostiene.» Potremmo definirvi Makers? Ci potreste spiegare cosa fanno questi «artigiani digitali»? «I Makers sono prima di tutto artigiani, ovvero persone che lavorano o si ingegnano per costruire, aggiustare, modificare, potenziare oggetti e tecnologie accrescendo il proprio bagaglio di conoscenze e di connessioni umane. Insomma la differenza sta nei mezzi: internet, cellulari, computer, software CAD e CAM, stampanti, frese automatiche, plotter. Noi WASPers siamo romagnoli e da queste parti esistono gli sciappinatori, persone che lavorano nei loro garage e passano il loro tempo libero a creare nuovi oggetti, modificarne o aggiustarne altri; sono sempre in fervore e vengono chiamati quando si ha bisogno di una riparazione; sono i proto-maker, quelli che un passatempo che li coinvolge vogliono farlo diventare un mestiere. Essere Makers è essere inventori ogni giorno del nostro presente e del nostro futuro. Noi ci sentiamo parte di questi nuovi artigiani; senza l‟interesse verso il DIY (Do It Yourself) non ci saremmo conosciuti e non avremmo partecipato a un progetto come quello di costruire stampanti per abitazioni. Credere nelle proprie idee e valutare l‟impatto di esse è una delle tante caratteristiche che rende questo movimento (definito la terza rivoluzione industriale) diverso da qualsiasi altro lavoro o hobby.» I vostri prodotti sono open source. Quali sono i reali vantaggi di questo approccio che va controcorrente rispetto al commercio tradizionale? «Continua evoluzione e scambio costante sono vantaggi che non vanno dimenticati, ogni informazione è disponibile quando richiesta. Rapporti umani e nessuna segretezza rendono il proprio lavoro aperto e sereno senza la paura di avere concorrenti che possano rubare le proprie idee, anche perché verrebbero istantaneamente smentiti dalla rete.» In America esistono vari progetti per portare la stampa 3D nelle scuole. Anche in Italia ci si sta muovendo in questo senso? «Anche l‟Italia si sta muovendo e di questo siamo contentissimi, infatti da studenti ci rendiamo conto di quanto l‟autonomia progettuale e creativa possa generare grandi opportunità per i più giovani. Potrà sembrare scontato, ma avere un‟idea e vederla realizzata dà soddisfazione e rende consapevoli che si può e si deve essere agenti attivi del proprio futuro. Tra i World Savers abbiamo istituti tecnici superiori, università, Fab Lab e partecipiamo volentieri a eventi di divulgazione in scuole e per l‟alfabetizzazione digitale.» Come impresa «nata in un garage» (tutte le grandi invenzioni tecnologiche hanno il loro leggendario garage!) vi sentite interpreti della filosofia del DIY? «Il DIY è uno dei nostri interessi e ci accomuna fortemente. Le piccole utilities per il lavoro e la casa, la personalizzazione dei nostri oggetti, il rendere la nostra realtà sempre un po‟ più umana perché tagliata su misura sui nostri bisogni sono alcuni dei nostri punti fissi. Senza il DIY non avremmo creato una fabbrica personale che rispondesse ai nostri bisogni che abbiamo scoperto essere quelli di molti altri! Dare forma ai propri progetti per addizione e sottrazione di materiale, per questo ci siamo contraddistinti nel mercato. In fondo, noi nel nostro garage (che è un laboratorio con capannone) ci siamo ancora e ci troviamo molto bene.» Nel concreto un’azienda come la vostra su quali tipi di committenza si basa principalmente: studenti, imprenditori, giovani, appassionati, famiglie …? «A oggi molti professionisti richiedono i nostri prodotti e servizi, poiché ne hanno compreso le potenzialità, ma durante i primi mesi appassionati di tecnologie e hobbisti erano il nostro unico pubblico. I visionari e i curiosi si lanciano verso nuove imprese e grazie a loro la base di utenza si è allargata fino ad arrivare a professionisti che decidono di occuparsi internamente della stampa 3D piuttosto che utilizzare servizi esterni. La duplice capacità della nostra fabbrica personale la rende uno strumento polivalente. Per quanto riguarda gli studenti molti sono interessati, ma i prezzi sono ancora proibitivi, a meno che le scuole non si facciano carico di questo bisogno e molte università italiane e straniere hanno adottato il nostro progetto, per esempio il Politecnico di Milano, l‟ISIA di Faenza, l‟Ecole Politecnique di Lousanne, le Università di Milano, Bologna, Genova, Pavia, Salerno, Bari e Roma.» Quali sono i prodotti e i servizi maggiormente richiesti?

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«Per quanto riguarda i prodotti sicuramente la nostra stampante 3D i – con anche l‟opzione fresa – con tutto il necessario per stampare. Per quanto riguarda i servizi invece sono i corsi di prima stampa e primo avvio nei quali insegniamo a utilizzare stampante e software e forniamo anche qualche accenno sulla progettazione per la stampa 3D e sulla fresatura. La stampa 3D ha tante potenzialità, ma ha bisogno di accorgimenti e attenzioni come qualsiasi metodo produttivo; quindi o ci si rassegna a prove e tentativi, com‟è successo a noi (la rete in questo caso è una buona aula), o ci si riferisce ai centri sviluppo come il nostro che danno anche gli strumenti per poter affrontare l‟automazione con un buon bagaglio.» Oltre che nel circuito della produzione, siete anche in quello culturale e la vostra collaborazione con l’università lo dimostra… «Il contatto con l‟università è quello che ha fatto partire questo progetto e tutti noi crediamo fortemente nel potenziamento della formazione, a scuola, negli eventi, nelle conferenze, nei workshop. Imparare e scoprire per noi è un lavoro quotidiano, ogni giorno impariamo qualcosa dalle macchine, dai materiali che utilizziamo, dalle soluzioni tecniche, perché allora queste conoscenze dovrebbero rimanere nostro appannaggio? Passando un buon bagaglio a una persona questa ne genera un altro a suo volta, creando un circolo virtuoso che ci arricchisce; per esempio i World Savers hanno presentato i loro progetti per le loro PowerWASP: piano riscaldato, accorgimenti per il bowden corto, lampade UV per creare una camera calda per gli stampati, estrusori ceramici. Senza una buona conoscenza di quello che ci sta attorno e delle potenzialità che possiamo sfruttare non potremmo essere qui e vorremmo che anche altri avessero questa possibilità.» Quali sono le vostre prossime sfide? «Ora comincia il bello: la nostra prima stampante ha avuto il compito di posizionarci e di farci conoscere, questo per realizzare il nostro Sogno: la stampante per le case. Abbiamo in realizzazione una prima stampante con area di stampa 800x800x800mm progettata grazie al sostegno dell‟Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia; questo è il primo passo per la prova sul campo di stampanti di grandi dimensioni e stiamo imparando molto. Ma non stiamo pensando solo al macro, infatti abbiamo instaurato una collaborazione con l‟Università di Bologna per la stampa di gelatine e collagene per la costruzione di tessuti e abbiamo ricevuto interesse da parte di ricercatori dell‟Università di Milano per la realizzazione di strumenti veterinari per la chirurgia su misura e anche per la ricostruzione tessuti. Oltre a questi campi di ricerca molto ambiziosi abbiamo intenzione di sviluppare una linea di stampanti per ogni bisogno: dalla più piccola ed economica, passando per la precisione e definizione per i professionisti fino alla stampante di case per i sognatori come noi. Il progetto World‟s Advanced Saving Project si prefigge di sviluppare progetti per il bene comune investendo l‟utile nella ricerca e sviluppo di nuove tecnologie a servizio del pianeta e allargando la base di ricercatori, oltre a fabbriche personali e frese, sviluppiamo stufe pirolitiche, scarpe ecosostenibili, ognuno è invitato a partecipare!» In quale rapporto siete con le altre aziende italiane del settore come Sharebot e Kentstrapper? «Abbiamo avuto contatto con entrambe le realtà grazie a fiere ed eventi ed essendo stati coinvolti nell‟organizzazione di una conferenza sui Maker presso la nostra università di appartenenza (ISIA di Faenza) abbiamo colto l‟occasione per invitarli e abbiamo ricevuto da Andrea Radaelli (fondatore di Sharebot) e Ugo Cantini (il babbo della famiglia Kentstrapper) grande disponibilità. Non pensiamo che la competitività sia una caratteristica che ci appartenga, ognuno di noi ha interessi e caratteristiche differenti, siamo aziende atipiche e prima di tutto persone che credono nella stessa visione del futuro.» La concorrenza viene anche dal basso, da chi produce stampanti auto-replicanti? «Sia noi studenti con la nostra Mendel Prusa che Massimo con la sua Makerbot veniamo dalle stampanti replicate e replicanti in kit, senza queste non ci saremmo noi, che però abbiamo fatto scelte differenti per rendere il nostro progetto adeguato ad altri usi, come la fresa e la stampa in ceramica per la quale serve un supporto utensile in grado di muovere molti chilogrammi. Parlare di concorrenza fa molto seconda rivoluzione industriale e noi con le nostre diversità conviviamo senza grossi patemi.» Fino a oggi la stampa 3D trasforma in oggetti reali i modelli tridimensionali realizzati con programmi CAD. Per chi non è esperto di tali software, c’è comunque la possibilità di utilizzare la stampante 3D? «Certo, esistono database di file .stl (che è il formato dei file CAD e CAM per la stampa 3D) liberamente scaricabili (vedi www.thingiverse.com) all‟interno della quale gli utenti condividono i propri modelli 3D e le proprie esperienze. Inoltre imparare a modellare in 3D è possibile grazie a tutorial presenti in rete: alcuni World Savers hanno cominciato per scherzo per poi realizzare veri e propri oggetti assemblabili e funzionanti. Ogni novità porta il bisogno di apprendere, così come trent‟anni fa nessuno si sarebbe aspettato di imparare a usare un PC e vent‟anni fa nessuno sentiva l‟esigenza di un cellulare.» Cosa vedete all’orizzonte di più interessante? «Pochi giorni fa hanno stampato un hamburger, si stampano già protesi e presto organi, noi vorremmo stampare case, e ogni giorno qualcuno stampa oggetti di cui ha bisogno e che a volte ha realizzato per sé, si incidono metalli e legno. Dalla scoperta più eclatante fino alla quotidiana scoperta domestica portano in sé un seme che è la forza propulsiva di questa rivoluzione, questo è interessante, vedere la capacità di cooperazione dei singoli per creare nuove prospettive.» Secondo molti analisti, la stampante 3D modificherà i metodi di produzione e quindi l’economia a livello globale. Anche voi ne riconoscete la portata rivoluzionaria? «Non solo la vediamo, ma la auspichiamo. Uno dei punti fondamentali del nostro sogno è creare nuove possibilità e non essere legati a una produzione massificata e sempre uguale a se stessa. Slegarsi dalla visone del denaro come unico valore e voler utilizzare la propria creatività ed esperienza per creare per sé e per gli altri.»