LA SANTA MESSA - donboscoparrocchia.pcn.net · LA SANTA MESSA nella Basilica di San Giovanni Bosco...
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La Chiesa Dio è ovunque e non è legato ad alcun luogo. Tuttavia si può parlare di una particolare
dimora in rapporto all'azione divina o alle persone. Così Dio è presente in maniera specialissima
nell'Eucaristia, in modo particolare nel battezzato, sempre quando due o più sono uniti nel nome
di Gesù. Dove si raduna la comunità dei credenti, vengono celebrati i sacramenti, si prega con
maggior facilità, Dio è presente e il luogo si può a ragione considerare sacro, "casa di Dio",
simbolo del Regno e della nuova alleanza. Anche la struttura nella Chiesa rimanda a Dio. Essa
attualmente comprende tre parti: l'atrio per disporsi ad andare verso Dio, la navata, in cui
l'assemblea è quasi in "navigazione" verso il Signore, il presbiterio, dove è situato l'altare,
simbolo di Cristo.
L’atrio L'atrio è il luogo dove i fedeli si dispongono ad entrare in Chiesa.
Davanti alla Basilica San Giovanni Bosco si trova uno zona semicircolare che degrada
verso la Piazza, da cui si entra nel portico che è parte dell'edificio ed è aperto davanti e ai due lati
con archi. In esso c'è spazio sufficiente per il passaggio dei fedeli, per esposizioni o iniziative varie
in particolari circostanze, per affiggere avvisi nelle numerose bacheche.
Verso l'interno del portico si aprono cinque grandi ingressi. Sull'architrave della porta
centrale è scolpito in latino il motto: "Dammi le anime, prenditi il resto". I giganteschi battenti
allineano a metà altezza i simboli dei 4 evangelisti e 4 pannelli figurativi, opera di Federico Papi,
che fissano quattro momenti della vita di Don Bosco: Pio IX benedice l'opera del Santo, Leone
XIII gli affida la costruzione della Basilica del Sacro Cuore di Roma, Messa di S. Giovanni Bosco
nella stessa Basilica, apostolato giovanile a Roma. Le altre porte recano appropriate scritte
al di sopra delle architravi ad arco. Le due estreme accolgono due poderose statue in bronzo di
Attilio Selva: Cristo risorto e S. Giovani Battista. L'ingresso mediano è alto 10 metri, mentre i
4 laterali sono tagliati a metà da un'architrave, che separa i battenti. metallici dalle vetrate ad arco in
alto. I due mediani poi sono chiusi da due bussole sormontate da balconcini. Contro i parapetti sono
posati due angeli, opera in bronzo di Eugenio De Courten, del quale sono pure i 4 gruppi angelici
librati sui 4 confessionali addossati alla parete di fondo.
Le navate La navata è il luogo dell'assemblea. Il termine viene da "nave". Indica un popolo
peregrinante, navigante verso il cielo. Nelle chiese c'è una navata principale; alcune chiese ne
hanno tre, altre anche cinque.
La Basilica San G. Bosco è una chiesa a tre navate. Quella centrale, al primo colpo
d'occhio appare un ambiente arioso ed accogliente. E' larga 29 metri; dodici pilastri la dividono
dalle due laterali, che sono come due corridoi di quasi tre metri di larghezza. La copertura della
Chiesa si stende come una lamina traforata da due cupole. La cupola grande apre sulla navata
mediana. Sopra un grande fascione ricoperto da una splendida policromia musiva si innalzano i
loggiati; quello inferiore, alto m. 10,50 è chiuso all'esterno da ampie vetrate e con i suoi pilastri si
prospetta verso l'interno; quello superiore di m. 6, 65 è chiuso all'interno da finestre e lascia
all'esterno la fitta pilastratura circolare. Quasi tutta la superficie della Chiesa è rivestita di marmi a
macchia aperta, senza cornici, zoccoli e fregi. Grande è la ricchezza dei marmi di toni vari, ma
sempre caldi. Predomina giallo di Siena e rosso orobico, il pavimento è del vanvitelliano
Mondragone.
Il presbiterio La navata centrale e tutto l'edificio sacro converge sul presbiterio, che ha al centro
l'altare rivolto verso il popolo, l'ambone e la sede. Con questa centralità la comunità proclama
l'importanza fondamentale dell'Eucaristia. II presbiterio è lo spazio riservato ai presbiteri
(anziani-sacerdoti ) e ai ministri e ministranti dell'altare. Per quanto è possibile i vari
elementi del presbiterio devono essere artistici, perché la bellezza è prerogativa divina.
Nella Basilica S. Giovanni Bosco il presbiterio si trova al centro del transetto, che si apre
oltre le navate, separato dalla Chiesa da 4 pilastri e ha ai lati in alto due larghe tribune, una per il
grande organo con 5.000 canne della Ditta Tamburini, l'altra a destra con gradinata di banchi.
Sopra il presbiterio si eleva in forma analoga alla grande cupola il tamburo della cupola minore,
che sopra il fascione ornato a mosaici presenta solo un ordine di snelle vetrate a colori e insiste sul
presbiterio come un elegante baldacchino.
L'attuale presbiterio che sta al centro del transetto non è quello originale, che era
delimitato da una balaustrata e nei bracci laterali era costituita da una sequenza di fitti pilastrini.
Tre cancelletti di bronzo, di cui quello sulla navata centrale era particolarmente curato, si aprivano
verso il luogo dell'assemblea. Erano opera di Luigi Venturini. Il pavimento era di pregiata
macchia verde con caldi colori. L'attuale presbiterio è del 1992 ed è opera dell'architetto
Costantino Ruggeri. Al fondo sono situate le sedi, al centro l’altare, a fianco l'ambone e sul
gradone il battistero. Ai bordi dell'attuale presbiterio, che appare senza delimitazione, sono stati
posti i pannelli di bronzo forato, che erano situati nella balaustrata. Sono del Venturini e
raffigurano angeli e simboli eucaristici. Al fondo sono posti quattro gruppi angelici. I due
esterni, che prima erano situati ai lati della balaustra, sono di Lyda Preti: in piccole urne gli angeli
ostentano due insigni reliquie, la seconda vertebra cervicale di S. G. Bosco e una rotula di S.
Domenico Savio. Gli altri due gruppi di angeli sono di Francesco Messina e portano le lampade
del Santissimo.
L’altare L'altare è un elemento sacro alla religiosità degli uomini di ogni religione, il suo nome
proviene dal latino ( alta res = cosa alta), e indica l'elevazione, la tensione verso il ciclo, verso
Dio. Nelle Chiese cristiane è il punto focale di tutto l'edificio ed ha la forma di una mensa che fa
riferimento alla mensa dell'ultima cena, dove Gesù ha anticipato nel rito il sacrificio della croce,
che è attualizzato ogni volta che si celebra la Messa. E' concepito come simbolo di Cristo "pietra
angolare", su cui sta tutto l'edificio della Chiesa; e questo simbolo ha una pregnanza particolare
dato che Cristo è nello stesso tempo l'altare su cui si sacrifica, la vittima che viene offerta e il
sacerdote che la immola. L'altare è preferibilmente di pietra e rimanda all'acqua sgorgata dalla
roccia nella peregrinazione del deserto e a Dio che è sempre stato considerato la "roccia" del
popolo eletto. Perché sia segno, l'altare deve essere sobrio. Si deve fare attenzione a non ridurre
l'altare a supporto di oggetti che nulla hanno a che fare con la liturgia eucaristica. Anche i
candelieri e i fiori devono essere sobri come numero e dimensione.
Nella Basilica S.G. Bosco l'altare è costituito da un maestoso blocco unico di marmo
bianco di 10 tonnellate delle Alpi Apuane. Alla base il blocco sembra spezzarsi, per simboleggiare
quanto avvenne sul Calvario e quanto sempre avviene nello spezzare del Pane. Il precedente altare
maggiore viene ora a trovarsi dietro le sedi. E' un grande blocco rosa aurora del Portogallo, nella
cui parte superiore Luigi Venturini ha ricavato un motivo decorativo con foglie e cherubini. Anche
i 4 candelieri minori sono del Venturini. Il palliotto è di lapislazzuli.
L’ambone L'ambone ( da "anabaio = salgo ) era all'inizio uno spazio elevato e nobile che , oltre al
vantaggio pratico dell'ascolto esprimeva soprattutto la centralità della parola di Dio. E' il luogo, la
"mensa" della Parola, che sta in stretta connessione con la mensa del Pane, ma non deve
interferire sulla priorità dell'altare. In certe chiese antiche si costruivano amboni monumentali con
distinti ripiani per l'Antico testamento e per il Vangelo, mentre il salmo era cantato sui gradini
dell'ambone e perciò era chiamato "graduale"; questa complessità la si può ancora ammirare nella
chiesa di S. Clemente a Roma, che risale al V secolo . I "pulpiti", che troviamo nella parte centrale
della navata di alcune chiese, non avevano la funzione dell'ambone, ma servivano per il canto e per
la predicazione e solo in qualche periodo per le letture della Messa. Le cantorie furono costruite
per le corali.
Nella Basilica S. G. Bosco l'ambone è situato alla sinistra dell'altare (alla destra per
l'assemblea). E' un grande blocco di marmo bianco, che da un lato assume quasi la forma delle
zolle di un campo arato, per significare che alla luce della Parola di Dio la nostra anima deve
aprirsi, come la terra al seme.
La sede La sede della presidenza aveva nei tempi antichi una grande importanza, specialmente
quella in cui presiedeva il Vescovo. Era in questo caso chiamata "Cattedra". Cattedra veniva
chiamata anche l'intera comunità cristiana sotto la guida del Vescovo e la Chiesa dove la comunità
si riuniva. Tale chiesa si chiama anche oggi "cattedrale". Nel calendario liturgico celebriamo il 22
Febbraio la festa della "Cattedra di S. Pietro". Poi un segno tanto importante ha finito per
evolversi e perdere il suo significato originale. La riforma del Vaticano II l'ha riportata in auge.
Ora la sede è di nuovo uno dei poli della celebrazione e richiama una delle grandi presenze di
Cristo nella Messa: Specie eucaristiche, Parola, Assemblea, Presidente. La sede è il luogo
liturgico che esprime il ministero di colui che guida l'Assemblea e presiede la celebrazione nella
persona di Cristo, capo e pastore, e nella persona della Chiesa suo corpo. La sede della
presidenza è vista anche come segno dell'ultima convocazione alla fine dei tempi per celebrare la
Pasqua eterna.
Nella Basilica San Giovanni Bosco la sede del presidente sta al centro di due ampi
emicicli che sono le sedi riservate ai ministri. Tutto è di marmo bianco delle Alpi Apuane, come
l'altare, l'ambone e il battistero ed è stato progettato dall'architetto Costantino Ruggeri.
Battistero II Battistero è il luogo dove viene amministrato il Battesimo. Nella Basilica San
Giovanni Bosco un Battistero di concezione originale si trova nella prima cappella a sinistra.
Sorge su piano rialzato di macchia verde come un grosso stelo e si apre a coppa in un unico blocco
semisferico di granito di Solberga. Dal centro della superficie rotonda del granito sorge una
piramide di ottone scanalato con quattro angioletti alla base e uno sulla cuspide, ai due lati, quasi a
custodi, due angeli. L'opera è di Emilio Greco. Anche il bassorilievo marmoreo in alto, con scene
battesimali, è del Greco.
Ma nel 1992 l'architetto Ruggero Costantini nel progetto del nuovo presbiterio ha previsto
un secondo grande battistero circolare di marmo bianco, che ha situato al lato destro dell'altare
(alla sinistra per l'Assemblea) posandolo su un vasto gradone sottostante; il battistero si staglia
come una conca aperta, roccia da cui zampilla l'acqua per il battesimo. A lato è ora situato il
monumentale candeliere per il cero pasquale, che rispetta la stessa struttura degli altri candelieri.
E' opera della scultrice Lyda Preti.
Custodia dell’ Eucaristia L'Eucaristia, dopo la consacrazione, nei primi secoli veniva custodita nelle case private.
Durante quasi tutto il primo millennio sacerdoti e monaci erano soliti portare nei lunghi viaggi il
pane eucaristico in una teca appesa al collo. Fino al quindicesimo secolo l'Eucaristia veniva
conservata nella vicinanza della Chiesa, in luoghi attigui separati e sicuri, soprattutto per portare
il viatico ai moribondi. La comunione a chi non aveva partecipato alla Santa Messa e l'adorazione
eucaristica non erano allora scopi principali.
Ha inizio verso il secolo XI, in seguito ad eresie sorte per influenza di Berengario,
l'uso di conservare l'Eucaristia al centro dell'altare, ma è dopo il Concilio di Trento, soprattutto
per opera di S. Carlo Borromeo, che l'Eucaristia è depositata in tabernacoli solenni al centro
dell'altare. Dal XVI al XX secolo la spiritualità cattolica è profondamente segnata dal culto
eucaristico fuori della Messa. Dopo il Concilio Vaticano II lentamente si sta tornando alla
tradizione più antica e si tende a conservare il Santissimo Sacramento in luogo diverso dall'altare
della Messa, possibilmente in una cappella separata.
In non poche Chiese la custodia resta nell’antico tabernacolo. Così è anche nella
Basilica di S. Giovanni Bosco, dove il tabernacolo, con uno splendido crocifisso d'argento,
spicca sulle venature dell'ametista, dietro l'antico altare. Nella sua porta d'argento è raffigurata la
resurrezione. In alto, sopra il crocifisso, è posto il tronetto con grande movimento di angeli
adoranti, raggiera con angioletti a corona, e angeli portaluce. Il tutto è in bronzo e ottone con brillio
d'oro. Tabernacolo, crocifisso e tronetto sono del Fazzini.
Parete di fondo Il santo cui è dedicata la Chiesa è posto in evidenza nelle chiese o con una statua o con un
quadro, che ne riproduce l'effigie e talora anche scene della sua vita.
La nostra Basilica è dedicata a San Giovanni Bosco e tutta la parete di fondo è segnata dalla
sua figura e da scene della sua vita. Questa parete si presenta come un grandioso scenario
innalzato fino all'anello della cupola minore e richiama l'attenzione dei fedeli da qualsiasi punto
della chiesa. E' una superficie di 220 metri quadrati, ove il grande mosaico di Giovanni
Brancaccio è messo in risalto per contrasto dalle due candide quinte di bassorilievi che lo
fiancheggiano. Il mosaico e di mq. 100 ed è formato da 15 milioni di tesserine. Raffigura la gloria
di S. G. Bosco in paramenti sacerdotali, sollevato da un gruppo di angeli e atteso in alto dalla
Vergine Maria. Ai fianchi del Santo appaiono, alla sinistra di chi guarda, il Beato Michele
Rua, primo successore di D.Bosco, D. Andrea Beltrami e il principe Beato Augusto Czartorisky, alla destra San Domenico Savio con altri due giovani. Nella zona mediana sono
rappresentate le missioni d'Occidente con Mons. Cagliero, poi Cardinale, e alcuni indigeni patagoni
col beato Zeffirino Namuncurà, figlio di un gran cacico, dal lato opposto le missioni d'Oriente con
i santi martiri Mons. Luigi Versiglia e D. Callisto Caravario. Una suora di Maria Ausiliatrice e
la beata Laura Vicina rappresentano l'ordine femminile fondato da D. Bosco. Due larghe lesene
di bassorilievi marmorei, a guisa di grandiose quinte, delimitano ai due lati il mosaico. Entrambe
sono divise simmetricamente in quattro pannelli da strisce orizzontali, su cui una scritta fa da
didascalia a quanto è scolpito nel pannello stesso. Sono otto bassorilievi di circa 14 metri
quadrati ciascuno, opera di 4 scultori. I primi due in basso sono di Alessandro Monteleone:
rappresentano il sogno dei nove anni e la morte del Santo. Seguono due bassorilievi di Luigi
Venturini che raffigurano da un lato Giovannino giocoliere e apostolo e dall'altro l'opera
missionaria salesiana. Gli altri due riquadri sono di F. Nagni: presentano la prima Messa di D.
Bosco e la fondazione dell'Ordine femminile. Gli ultimi due in alto sono di Ludovico Conforti e
rappresentano la prima dimora dell'Oratorio e la fondazione della Società Salesiana.
PERSONE E GESTI
L'Assemblea Entrando in una Chiesa durante la celebrazione della Messa ciò che si nota
immediatamente è un gruppo di persone riunite. Di "riunione" si parla nel NT ( es. "il primo
giorno della settimana si erano riuniti per spezzare il pane" : Ai 20, 7) ; e nei primi tempi della
Chiesa ( es.: "riuniti nel giorno del Signore spezzate il pane e rendere grazie " :Didaché 1°
secolo), "nel giorno detto nel sole ....ci riuniamo (anno 150 ), "nessuno si mostri pigro ad andare
alla riunione della comunità": Tradizione Apostolica - anno 220 a Roma).
Questo gruppo di fedeli è l'"assemblea liturgica", che in greco si dice " ekklesia", da cui
l'italiano "chiesa", termine che indica la comunità sia universale che locale e l'edifìcio in cui si
riunisce. L'assemblea è la protagonista, il soggetto della Messa. In essa si rende efficace il mistero
della Chiesa, come comunità dello Spirito Santo in cui è presente Cristo, che ha promesso: "
Dove due o più sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro". L'assemblea non partecipa alla
Messa, ma la "celebra", sotto la presidenza del sacerdote. E' la comunità cristiana che si riunisce,
ascolta e celebra la parola di Dio, prega, ringrazia, offre il memoriale della morte di Cristo,
mangia e beve il suo Corpo e il suo Sangue. Quando, ogni giorno in tutto il mondo, gruppi di
fedeli per quanto piccoli partecipano alla Messa, è in qualche modo presente tutta la chiesa. Per
il sacramento che viene celebrato, lo stare uniti insieme, il clima di festa, l'accostarsi in gruppo
all'Eucaristia, la comunità cristiana è segni della realtà futura, della Gerusalemme celeste.
L'assemblea non è un circolo di perfetti e di intimi, ma una riunione di santi e di
peccatori, di tutti coloro che hanno ricevuto il Battesimo. Ma, per essere un'assemblea
testimoniante, non basta che sia un gruppo di persone che sta insieme nello stesso luogo, canta,
eleva preghiere, si scambia un gesto di pace, deve tendere ad essere sacramento della presenza
di Cristo, assemblea di persone che professa la fede e che cerca di viverla.
E' anche importante che l'assemblea appaia come vera comunità e non sia un gruppo
anonimo, i cui componenti s'incontrano come estranei. Per esempio sarebbe opportuno all'inizio
"mettersi in situazione", essendo presenti qualche minuto prima, evitando la brutta sbitudine di
arrivare a messa iniziata, accogliendosi vicendevolmente, preparando la celebrazione; celebrando
come persone che si conoscono e vivono in pace; salutandosi prima di tornare a casa, ecc..
Il Presidente Nell'ambito dell'Assemblea che celebra ci sono i ministri. Uno di questi è il Sacerdote
chiamato a presiedere, non solo per una necessità organizzativa.
Il vero Sacerdote celebrante è Gesù Cristo. Egli agisce sia nella proclamazione della Parola
che nella celebrazione del Memoriale della sua morte. L'azione salvifica di Cristo è resa visibile
dal Presidente, Vescovo o Sacerdote, che ha ricevuto nel sacramento dell'Ordine una speciale
configurazione a lui. Il Sacerdote è il sacramento della presenza di Cristo in mezzo alla
Comunità. In lui Cristo è presente in modo speciale, in lui è Cristo che parla, benedice e
attualizza il Memoriale della Pasqua del Signore. Egli è lo strumento di cui si serve Cristo per
raggiungere con la sua grazia la comunità. Il sacerdote unisce e guida la comunità nella
celebrazione, è il segno visibile della comunione ecclesiale; si rivolge a Dio a nome del popolo e al
popolo a nome di Dio.
Alcuni atti della Messa sono propriamente presidenziali. In particolare lo sono: la
preghiera eucaristica, in essa il sacerdote agisce con maggiore intensità come presidente, come
segno visibile di Cristo, come capo della comunità, l'omelia, in cui è segno di Cristo,
l'evangelizzatore per eccellenza; le varie orazioni, in cui raccoglie le intenzioni dei fedeli e le
presenta a Dio; il saluto iniziale e la benedizione finale, in cui annunzia alla comunità la presenza
di Cristo e conclude e trasmette, a nome di Cristo, i doni di Dio.
Ministranti Alcuni fedeli laici svolgono nella Santa Messa compiti attinenti alla sacra Liturgia, come
leggere i brani biblici, guidare i canti, animare la Messa, preparare le ostie, tenere in ordine il
presbiterio, ecc. .
Nella Parrocchia San Giovanni Bosco una quindicina di laici adulti, uomini e donne,
hanno l'incarico ufficiale di lettori delle letture bibliche o di ministri straordinari dell'Eucaristia,
cioè di fedeli che hanno la possibilità di distribuire la Santa Eucaristia durante le Messe o di portarla
agli ammalati. I laici che spesso si vedono in presbiterio vestiti con un camicie bianco, sono lettori
o ministri straordinari, incaricati dalla Diocesi di Roma.
Posizioni Posizione eretta. E' quella che i fedeli tengono durante buona parte della Messa. E' la
posizione del figlio davanti al Padre, perché il cristiano ha avuto nel battesimo il dono della
figliolanzadivina. E' anche la posizione di chi è attento al Signore che parla ed è pronto a
passare all'azione. In particolare si ascolta inposizione eretta il Vangelo, perché è la rivelazione
che ha fatto la stessa Parola di Dio incarnata.
In ginocchio. E' un atteggiamento che indica profondo rispetto, che rivela umiltà e
riconoscimento della profonda distanza tra l'uomo e Dio; è anche un atteggiamento adorante , un
restare senza parola davanti ai misteri infiniti di Dio; in particolare alcuni stanno in ginocchio
durante la consacrazione. Lo stare seduti. Indica raccoglimento, meditazione della parola di Dio e anche
confidenza e familiarità con Dio, perché Gesù ha accettato di farsi nostro fratello e lo Spirito
Santo è presente in noi come consigliere, guida, amico. Lo stare seduti diventa una necessità quando
la celebrazione si prolunga. L'assemblea resta seduta durante le prime letture e quando il sacerdote
fa l'omelia.
L’incedere. I fedeli incedono quando entrano o escono dalla Chiesa, quando vanno a
ricevere la comunione e quando fanno la processione offertoriale; il Presidente quando fa i
vari movimenti prescritti. L'incedere liturgico esclude la fretta ma anche il movimento
stanco o sciatto. E’ sempre un andare verso Dio o un partire da lui per portarlo al mondo.
Il salire. Non è un movimento che attualmente avviene spesso, ma c’è almeno un salire dal
luogo dell’assemblea al Presbiterio. Il salire indica lasciare la vita quotidiana, distaccarsi dalla
terra, liberarsi da ciò che è meschino e superfluo ed entrare nella casa di Dio, a contatto con lui,
collocarsi su un piano superiore. Un'antica usanza prevedeva tre gradini, simbolo delle tre virtù
teologali, la fede, la speranza e la carità, le tre forze divine che elevano a Dio.
Nella Basilica San Giovanni Bosco c'è anche un salire dalla Piazza alla Chiesa.
Gesti della mano Mani giunte. E' un gesto di umiltà e di riverenza verso Dio
Mani distese. Il sacerdote che distende le mani sull'altare intende appoggiarle a Cristo:
le distende sulle offerte per invocare la venuta dello Spirito che le trasformi nel Corpo e Sangue di
Cristo e sui fedeli per invocare su di loro la potenza trasformante dello Spirito.
Mani benedicenti. Il sacerdote benedice i fedeli, chiede che la benedizione di Dio fluisca
su di essi.
Darsi la mano. I fedeli si scambiano un gesto di pace, come augurio di pace e impegno
di vivere in pace con tutti. Il sacerdote prende per mano per dare sicurezza e condurre al Signore.
Il silenzio L'azione liturgica prevede spazi di silenzio per ascoltare, riflettere, pregare, accogliere la
parola di Dio. Alcuni spazi di silenzio sono richiesti a tutti, altri all'assemblea.
Silenzio dei fedeli. Mentre il sacerdote compie atti o recita preghiere propriamente
presidenziali, l'assemblea sta in silenzio per una serena partecipazione alla preghiera e alla
celebrazione.
Silenzio penitenziale. E' molto importante, ma purtroppo spesso è molto breve. Questo
silenzio contempla l'esame di coscienza, che dispone ad un sincero pentimento dei peccati.
Silenzio dell'orazione. Segue l'invito che il celebrante fa prima dell'orazione iniziale:
"Preghiamo", e ha lo scopo di
consentire a ciascun fedele di esprimere al Signore le intenzioni personali.
Silenzio dopo l'omelia. E' un silenzio indispensabile soprattutto in questo nostro tempo di
ascolto senza riflettere. Ed è particolarmente propizio per ascoltare lo Spirito Santo che parla
all'anima illuminandola. Purtroppo è spesso trascurato.
Silenzio dopo la Comunione. Certamente non possono bastare pochi secondi per
ringraziare il Signore che si è donato nella comunione, ma un breve momento di silenzio dopo la
comunione è almeno il segno che tutta la vita deve essere un ringraziamento a Dio per i suoi doni.
Canto Le assemblee cristiane esigono il canto, e le acclamazioni, come l'Alleluia (= lodate il
Signore) o il Santo, lo reclamano in maniera particolare. Non è necessario che ci sia in tutte le
Messe; importante è che primariamente sia un rendere gloria a Dio e avvenga con la
partecipazione del popolo, perché è in funzione della comunità. Il canto ufficiale della liturgia è
il gregoriano ma è consentita ogni altra espressione che si armonizzi con il contenuto della
preghiera.
Nella Parrocchia San Giovanni Bosco ci sono vari gruppi canori; il più significativo è la
"Corale Don Bosco", che ha una storia multidecennale ed anima la liturgia dei giorni festivi
alle 11, 00 e delle principali solennità.
Accoglienza II fedele che viene in Chiesa entra nella casa di Dio e della comunità cristiana. Niente di
più naturale che qualcuno lo accolga.
Sarebbe necessario che alcuni fedeli, abitualmente partecipanti ad ogni singola Messa,
stiano alle porte della Chiesa, fino al momento in cui ha inizio la celebrazione, per salutare, dare
spiegazioni, ascoltare eventuali proposte, offrire foglietti liturgici e programmi della settimana, ecc..
OGGETTI
Croce La Croce ricorda il gesto supremo di obbedienza amorosa del Figlio al Padre e il mezzo
di salvezza per gli uomini. E' divenuto segno dei cristiani e oggetto della loro devozione. E'
presente nelle Chiese in posizione centrale e nella liturgia appare sia nella forma di nudo legno, sia
in quella con l'immagine di Gesù scolpita o dipinta. Questa forma è chiamata più propriamente
"crocifisso", mentre la prima forma è detta "croce". Ma con il termine "croce" vengono
generalmente indicate le due forme.
La croce cominciò ad apparire nelle liturgie per aprire le processioni, dopo le quali veniva
sistemata ai fianchi dell'altare per essere rimossa alla fine della celebrazione. All'inizio del
secondo millennio ebbe una sistemazione stabile, isolata, sopra l'altare o
addirittura sopra il tabernacolo. Talora la croce in grandi dimensioni venne posta sulla parete di
fondo; crocifissi furono in seguito sistemati anche negli altari laterali o negli angoli della chiesa.
La collocazione più consona alla liturgia è a fianco dell'altare, diagonalmente, in modo da essere
visibile dal celebrante e dai fedeli. Nella liturgia sia la croce, che il crocifisso, che sono simbolo e
immagine delle morte del Signore, ricevono la stessa riverenza, vengono entrambi incensati, ad
essi ci si rivolge con l'inchino e, nel Venerdì Santo, con la genuflessione.
Nella Basilica S. Giovanni Bosco uno splendido crocifisso d'argento spicca al centro
dell'antico altare maggiore sulle venature d'ametista: è di Pericle Fazzini. Un grande crocifisso di
bronzo campeggia su marmo di Siena nella prima Cappella a destra; è opera di Venanzo Crocetti.
Da qualche anno ai lati dell'altare si trova un altro crocifisso di legno, che talora viene
momentaneamente tolto per aprire le processioni iniziali della Messa.
Cero pasquale e candela Il cero pasquale viene benedetto nella Veglia di Pasqua e resta acceso durante la
celebrazione della Messa e dei Sacramenti per tutto il tempo pasquale e negli altri periodi
dell'anno quando si amministrano i battesimi e durante i funerali. Rappresenta Cristo risorto, luce
del mondo. S. Anselmo fa le seguenti specificazioni: "La candela è simbolo di Gesù Cristo, la cera,
prodotto dalle api vergini, è simbolo della carne di Cristo, nato dalla Vergine Maria, lo stoppino è
simbolo della sua anima, la fiamma della sua divinità".
Nella Basilica S. Giovanni Bosco il cero pasquale viene posto su un monumentale
candeliere, opera di Lyda Preti, che rispetta la struttura degli altri candelieri della Chiesa.
Le candele dell'altare sono un omaggio a Dio del frutto delle api e del loro lavoro, un
ringraziamento per il dono della luce, un segno della preghiera, che sale a Dio. Sono anche un
invito a diventare "figli della luce” illuminati dalla sua parola, accesi dall'amore di Cristo e
diffusori del suo amore; per questo al battezzato, diventato "figlio della luce" , viene consegnata una
candela. Le candele vengono poste sull'altare, accompagnano e affiancano il ministro che legge il
vangelo, talora si pongono anche ai quattro angoli del feretro, in omaggio al corpo del cristiano
membro del Corpo mistico di Cristo.
Nella Basilica S. Giovanni Bosco molti candelieri sono situati dietro l'antico altare maggiore, in un complesso artistico comprendente il tabernacolo, il crocifisso d'argento, il
tronetto, angeli adoranti, angeli porta luce, lesene. Il complesso è opera di Pericle Fazzini, i
candelieri sono di Alcide Ticò. Dello stesso scultore e di struttura analoga sono molti altri
candelieri situati nelle cappelle laterali.
Per l’illuminazione della Basilica ci sono molti fari, ma risaltano ancora gli elementi
dell'illuminazione iniziale: sono 32 lampadari di Murano in vetro oro, eseguiti a mano, pendenti
lungo le navate e due fascioni pure in vetro oro con rosoni, alla base delle tribune, per illuminare il
presbiterio.
Vasi sacri Per la celebrazione della Santa Messa sono necessari alcuni vasi sacri, che devono essere
benedetti: il calice che sostituisce la coppa. Essendo destinato ad accogliere il vino consacrato
deve essere dorato, almeno all'interno. E' consigliabile che la decorazione sia sobria,
la patena è un piccolo piatto concavo, destinato al pane consacrato detto "ostia" (=vittima)
o particola ( =piccola parte ). Deve essere dello stesso materiale del calice . E' un segno della
“frazione del pane", fatta da Gesù e che il sacerdote ripete spezzando l'ostia in tre parti. Talora è
sostituito da una patena più ampia, fatta a forma di coppa.
la pisside (dal greco: " scatola ", “bossolo”) era all’inizio un cofanetto destinato a
custodire i gioielli ed era usato dai sacerdoti e dai monaci che nei primi secoli portavano con sé
l'Eucaristia. Quando si cominciò a conservare l'Eucaristia nelle Chiesa fu necessario adottare
contenitori simili, ma di maggior formato . Le pissidi vengono chiuse da un coperchio.
L’ostensorio (dal latino: ostendere = mostrare) risale probabilmente al XIII secolo,
quando, istituita la festa del Corpus Domini, si cominciò a portare l'Eucaristia solennemente in
processione. L'attuale ostensorio comprende anche una lunetta, ossia due lamine a forma di mezza
luna per reggere l'Ostia e due vetri al centro di una raggiera.
Vesti Gli apostoli e i primi sacerdoti celebravano l'Eucaristia con le vesti abituali, tanto in
Palestina, come a Roma e nell'Oriente. In un secondo tempo i cristiani avvertirono il bisogno di
adottare vesti speciali. Ha certamente influito la tradizione del mondo ebraico nel quale il
sacerdote indossava vesti particolari, avranno contribuito l'Apocalisse, che indica il vittorioso come
vestito di vesti bianche e S. Paolo che spesso ricorda le vesti nuove, per indicare la vita nuova.
Le principali vesti liturgiche attuali sono: il camice. "La sacra veste comune a tutti i ministri di qualsiasi grado è il camice, stretto ai
fianchi dal cingolo, a meno che non sia fatto in modo da aderire al corpo anche senza cingolo. Se il
camice non copre pienamente attorno al collo l'abito comune, prima di indossarlo, si deve mettere
l'amitto". ( PNMP 298 )
Attualmente il camice è confezionato in modo da rendere inutile l’amitto e il cingolo.
Comunque il cingolo è una cordicella doppia che cinge (da cui viene il termine " cingolo" ) e
simboleggia la mortificazione; l'amitto ( dal latino= avvolto ) è un quadrato di stoffa bianca che
avvolge il collo, copre le spalle e parte del petto; simboleggia la speranza e la salvezza.
Il camice deriva dalla tunica romana, l'abito comune dell'antico e medio impero romano.
Era generalmente di lino bianco o comunque di colore chiaro. Da qui anche il nome di alba (=
bianca ). Una veste bianca veniva indossata dal battezzato subito dopo l'immersione battesimale e
indicava la nuova vita del cristiano. Un ricordo di questa consuetudine l'abbiamo nel vestitino che
viene usato nel Battesimo per i bambini. Attualmente è una veste a sacco che scende fino a terra
con maniche e aperture per il passaggio del capo.
Quando verso il XVI secolo i sacerdoti cominciarono a usare la veste talare, il camice
venne in parte sostituito dalla "cotta", una sorta di camice accorciato, che derivava dalla mantella
di pelliccia che nei paesi nordici veniva usata dai monaci e che veniva chiamata anche
"superpelliceo". Attualmente la cotta è scarsamente usata.
la stola. E' una lunga striscia di stoffa piegata in due. L'origine della stola è
controversa; sembra si richiami alla sciarpa o al fazzoletto per tergere il sudore o la bocca o le
lacrime; dal momento che si trovava a contatto con la bocca nei primi secoli si chiamava
"orarium" {dal latino: os-oris ). Il nome di "stola" ( dal greco: veste ) lo troviamo nel IV secolo
e deriva dal fatto che era una doppia fascia ornamentale che scendeva ai bordi di una veste aperta
sul davanti ed era considerata un segno di distinzione. Presto assunse un significato simbolico,
perché interpretato in relazione alla preghiera e alla predicazione (orare-pregare-predicare) e
divenne l'insegna delle persone qualificate per la predicazione, vescovo, sacerdote, diacono. Il
Vescovo e il Sacerdote l'indossano lasciandola pendere liberamente, il diacono la dispone a
tracolla, dalla spalla sinistra, incrociandola sul fianco destro; per i diaconi è anche il segno del loro
impegno di servizio. la casula. La casula ( dal latino: piccola casa ) era inizialmente un mantello di forma
circolare con un foro al centro per passarvi la testa, che aveva sostituito, già dal II secolo, la tunica
romana ed era diventata segno distintivo dei senatori. La casula avvolge e ricopre la persona del
sacerdote a ricordare l'investitura ricevuta e lo fa quasi scomparire come individuo per
evidenziare che egli agisce a nome e nella persona di Cristo e della Chiesa.
La casula ha sostituito la veste in uso prima dell'ultima riforma liturgica, detta "pianeta",
nome derivato dal fatto che poteva girare intorno al collo come i pianeti, anche perché era senza
maniche. La pianeta derivava della "phenula" romana, riduzione del mantello, usata dai pubblici
ufficiali, ed era simile al "manto" che nell’AT indossava il Sommo Sacerdote, quando entrava nel
Santo dei Santi.
Il piviale. Il piviale, ( dal latino, "pluvia" = pioggia ) è un mantello lungo, aperto ai
fianchi, con nel retro il residuo di quello che era il cappuccio, destinato a riparare dalla pioggia. Il
Sacerdote lo porta sopra il camice e la stola durante le processioni, nell'esposizione del Santissimo
e nei Vespri solenni.
Colori Le vesti di vari colori hanno il significato di rendere onore a Dio, richiamare le realtà della fede e suscitare la devozione. Nei primi secoli predominava il bianco, perché nella cultura
mediterranea era il colore della festa e delle grandi occasioni. La sensibilità al linguaggio dei colori
si è accentuata nel Medioevo, Attualmente i colori liturgici sono sei:
il bianco che esprime da noi il clima di festa. Viene impiegato nel Tempo di Natale e di
Pasqua, nelle memorie e feste della Beata Vergine e dei Santi confessori.
il verde indica la speranza ed esprime la normalità. E’ il colore del Tempo ordinario,
quello che segna il cammino della Chiesa verso il Regno futuro.
il rosso richiama il fuoco santificatore dello Spirito santo, il sangue di Gesù e dei martiri,
la regalità di Cristo. Si usa a Pentecoste, nella Domenica delle Palme, nel Venerdì Santo, nella
solennità dell'Esaltazione della Croce, nella memoria dei Martiri.
il viola è il colore della penitenza ed esprime impegno e speranza. E' indicato nei Tempi
di Avvento e di Quaresima e nella liturgia dei defunti. Il viola, nella liturgia dei defunti ha
sostituito il nero, che non è più in uso.
il rosaceo è il colore della gioia. Si può usare nelledomeniche 3° di Avvento {"Gaudete ") e
4° di Quaresima ("Laetare"), in cui la liturgia ha una tonalità di gioia.
il giallo-oro è un colore che indica la festa. Può sostituire il bianco.
Sacri lini La liturgia oltre che i tessuti per le vesti ne usa anche altri per l'altare. In particolare hanno
posto nella Messa:
le tovaglie che non possono mancare sull'altare, simbolo di Cristo. Le tovaglie rappresentano
le vesti del corpo del Signore e nobilitano l'altare. Il fatto che si pongono due tovaglie
originariamente era suggerito dalla necessità di assorbire eventuali versamenti di vino.
il corporale che è un quadrato di lino da porre sotto il calice e la patena. Talora viene
inamidato, affinché la superficie lucida consenta di raccogliere eventuali frammenti dell'ostia
consacrata.
la palla che è un quadratino più rigido, destinato a coprire il calice, per evitare che insetti,
attratti dal vino, vi si introducano
Libri liturgici Per la celebrazione della Messa servono alcuni libri liturgici, debitamente approvati dalla
Chiesa.
il messale contiene il complesso di preghiere, antifone, prefazi, preghiere eucaristiche,
parti fisse e variabili della Messa, parti proprie dei santi, formulari per messe rituali, dei defunti....
i lezionari contengono le letture della Messa, i salmi responsoriali, le antifona al Vangelo.
I lezionari sono vari.
l’orazionale contiene formularì di preghiere dei fedeli.
i foglietti. Generalmente nelle chiese vengono messi a disposizione dei foglietti con le
letture e le preghiere del giorno. Non sono previsti dalla liturgia, ma favoriscono una migliore
partecipazione e hanno il vantaggio di poter rivedere a casa i testi della Messa.
i messalini. Varie editrici hanno pubblicato per i fedeli messalini di vario tipo, che
contengono quanto si trova nei libri liturgici usati dal sacerdote. Sono editi normalmente in due
volumi: messalino festivo e messalino feriale.
Pane e vino Fedele all'esempio di Cristo, la Chiesa ha sempre usato il pane e il vino per celebrare la
Cena del Signore.
il pane deve essere solo di frumento, confezionato di recente e azzimo, secondo l'antica
tradizione della Chiesa. Va preparato in modo che il sacerdote possa spezzarlo e, quando
èpossibile, distribuirne parte ai fedeli. La frazione è segno dell'unità di tutti nell'unico pane, la
distribuzione è segno della carità. Quando ci sono molti fedeli è necessario consacrare o tenere in
custodia ostie piccole per la comunione di tutti.
il vino deve essere tratto dal frutto della vite, naturale, genuino e non misto a sostanze
estranee. Va conservato con la massima cura, perché non diventi aceto.
COME APPARE
Una gioiosa celebrazione A chi entra in una Chiesa la Messa appare come una celebrazione religiosa festiva. Della
celebrazione religiosa ha tutte le caratteristiche: un sacerdote che presiede, fedeli oranti, dialoghi,
benedizioni, ecc. .
Della festa la Messa ha tutta l'impostazione ed è normalmente una festa. I partecipanti
danno un tocco di festività; spesso sono numerosi, talora sono una grande comunità. Il canto e la
musica rendono la Messa più solenne e festosa. Talora la celebrazione è intessuta di canti o sono
cantate almeno alcune parti. Ma anche senza musica la Messa rimane un unico grande canto. I
salmi sono canti, il prefazio è un inno, l'alleluia e l'amen sono invocazioni con sapore di canto, i
testi sono pieni di ritmo. Il silenzio stesso talora diventa il canto più gioioso. Durante una Messa
ben celebrata si può esclamare: "Che cosa hai, anima mia che canti?"
Anche i movimenti hanno una caratteristica festiva. Non c'è Messa senza ingresso, senza
uscita e senza processione di chi proclama le letture e di chi va a ricevere la comunione; spesso c'è
l'ingresso solenne dei celebranti e la processione per le offerte; in certe messe africane è usuale la
danza sacra. I paramenti dei ministri si distinguano dai vestiti usuali e l'abbigliamento di chi
partecipa la domenica alla Messa è festivo, che non significa dispendioso, ma adeguato alla festa.
Naturalmente sono del tutto fuori posto i pochi che si presentano alla Messa vestiti in modo non
conveniente ad una celebrazione religiosa.
Culto reso a Dio La Messa appare subito come un grande culto ufficiale reso a Dio dalla chiesa. Rendere
culto significa rendere onore a Dio, di cui si riconoscono le supreme perfezioni. Il culto reso a Dio
è di adorazione (in greco "latria "), mentre ai santi si rende solo un culto di venerazione. Fine
della liturgia è glorificare il Padre, da cui tutto ha inizio e in cui deve avere il suo termine.
Il culto perfetto è quello di Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, che compie totalmente la
volontà di Dio, fino a donare la vita. Gesù è l'unico sacerdote a pieno titolo, è la fonte della
liturgia e ha designato la Chiesa a rendere presenti gli atti di culto al Padre che Egli ha offerto
nella sua vita terrena. La liturgia è azione di tutta la Chiesa e ogni fedele è di essa membro attivo e
beneficiario; oltre ad essere adorazione, lode e ringraziamento, è sorgente di santità. La Messa è la
suprema azione liturgica della Chiesa e il cristiano trova in essa quanto gli occorre per vivere
secondo Cristo. Essa esige prima di tutto una conoscenza e una partecipazione attiva.
Dimensione trinitaria Chi segue attentamente la Santa Messa si accorge che essa ha una dimensione trinitaria. E'
offerta a Dio, da parte della comunità, del pane e del vino che, per virtù dello Spirito Santo, si
trasforma nel Corpo e Sangue di Cristo.
Durante il sacro rito sono frequentissimi i richiami trinitari. La Messa inizia col segno
della croce: “ nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo " . Un saluto iniziale suona
cosi: "La grazia di Gesù Cristo, l'amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con
tutti voi". Il "Confesso a Dio onnipotente" è rivolto alla Trinità. Il "Gloria a Dio" rivolto al Padre
e a Gesù, ricorda alla fine lo Spirito Santo. Le orazioni, rivolte al Padre, terminano con " per il
nostro Signore Gesù Cristo, che è Dio e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo ". Il
credo è una solenne professione di Fede alla Trinità. In vari dei molti prefazi, rivolti al Padre, in
cui è ricordato il Figlio, è indicato lo Spirito Santo. La Trinità è presente nelle "epiclesi" delle
nuove preghiere eucaristiche. La dossologia ( = parola di gloria) con cui terminano le preghiere
eucaristiche sono ricordate le Tre Persone Divine: " Per Cristo, con Cristo e in Cristo, nell'unità
dello Spirito Santo, a te Padre, ogni onore e gloria" . La Trinità è presente nella preparazione
personale del sacerdote alla comunione: " Signore Gesù Cristo, figlio del Dio vivo, che per volontà
del Padre e con l'opera dello Spirito Santo, morendo hai dato la vita al mondo" . La benedizione
finale è data nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
La Messa è “segno” La Messa appare chiaramente come "segno". Il segno è una realtà fondamentale della vita
umana a tutti i livelli. L'uomo per comunicare ha bisogno di segni. Segno è una cosa che porta alla
conoscenza di qualche altra cosa; per esempio la parola è segno eminente per la comprensione di
ogni realtà; lo scritto è segno della parola.; le immagini sono segni che indicano persone,
avvenimenti, cose, azioni. Una specie particolare di segno sono i simboli, come il fuoco che indica
l'amore, l'acqua che rimanda alla realtà spirituale, ecc. . Oggi si è instaurato l'uso di segni astratti,
come numeri, linee, sigle alfabetiche, segnali audiovisivi. Dio può farsi sentire direttamente, e
talora lo fa in forme mistiche, ma ordinariamente per comunicare i suoi doni ricorre alla via
normale dei segni. Sceglie per santificarci segni santi, come la sua parola, le "cose sacre", in
particolare l'Eucaristia, le persone sacre, autorizzate a farsi portatrici della sua parola e della sua
grazia. Gesù non ha dubitato di far uso di segni, come parole, gesti, oggetti significativi, per
esempio abluzioni, sollevamento al cielo degli occhi, lavanda dei piedi, tocco sui malati, uso della
saliva, soffio sugli apostoli, ecc. . Il segno ad un tempo rivela e nasconde la realtà, ma senza
segni non si comunica. Perché riveli ciò che indica, deve essere compreso e deve esserci volontà
di accogliere la verità sottesa. La Chiesa nell'uso dei segni s'ispira a Gesù e orna di essi in maniera abbondante la Messa.
I segni liturgici sono desunti dalla natura e servono a destare conoscenze e sentimenti dello
spirito. Moltissimi fedeli non conoscono la maggior parte dei numerosi segni della Messa. Lo
studio di essi aiuta a scoprire la continua novità e freschezza della Messa, anche dopo anni di
partecipazione.
La Messa è "segno", indica realtà grandissime riguardanti la relazione tra Dio e gli
uomini. Nell’Eucaristia subito la Chiesa ha percepito il contenuto di "segno" di tali realtà. Lo ha
subito percepito come "segno" di comunione con Cristo e, attraverso lui, col Padre, con la sua
Parola, con la sua Persona, con i fratelli. In seguito la Chiesa si è preoccupata di adontare il
fatto fondamentale della Cena con indicazioni e norme liturgiche che sono altrettanti "segni",
spesso chiari, mentre altre volte hanno bisogno di una spiegazione.
Come la celebriamo oggi la Messa è tutto un susseguirsi di segni che siamo chiamati a
comprendere e cui dobbiamo adeguarci. Ecco alcuni esempi :
Il luogo della celebrazione è un "segno": la navata che converge a un centro, il presbiterio;
il presbiterio che converge a un centro, l'altare, "segno" di Cristo, che è il centro della Messa.
La pietra dell'altare significa che ci sarà un sacrificio, la tovaglia indica il convito, i fiori
dicono che la Messa è festa.
Il popolo che si alza al vangelo indica il rispetto per la parola di Dio, il segno di croce su
fronte, labbra e petto dice che quella parola ha bisogno di mente, bocca e cuore puri, lo stare in
piedi, la libertà dei figli di Dio.
Le mani con le braccia aperte da orante indicano preghiera e speranza, con le
braccia allargate, dopo la consacrazione, ricordano l'apertura all'azione dello Spirito Santo,
incrociate in segno di pace, indicano l'offerta e l'accoglienza della pace, che spezzano il pane,
parlano del sacrificio di Cristo per il mondo.
La frazione del pane, segno che risale a Gesù Cristo stesso, è insieme simbolo della sua
donazione nel sacrificio della croce e nell'eucaristia dell'unità di tutti in un unico pane e della
carità, per il fatto che un unico pane è distribuito a tutti i fratelli.
La consacrazione è il segno principale della Messa, perché è il segno originale,
primordiale dell'Eucaristia uscito così dalle mani di Cristo. Tutti i segni fanno capo qui. La
liturgia della Parola è per disporsi alla consacrazione; l'offertorio, è la preparazione del cuore della
consacrazione e la comunione la conclusione concreta della consacrazione. La Chiesa, nella storia
della liturgia, ha sempre circondato di grande attenzione questo perno unitario del rito
eucaristico, l'ha circondato di estrema venerazione, ha sempre voluto il silenzio in questo punto
della Messa. La consacrazione è segno di dono, di annientamento di Cristo, che si immola per
l'uomo, di comunione: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in
lui" ( Gv 6, 56).
La comunione. II secondo segno più impegnativo della Messa è la comunione, che
rimonta direttamente a Cristo. E' un segno che esige conoscenza di ciò che si compie e impegno ad
agire di conseguenza, a far calare Cristo nella vita. Significa comprendere che "non sono più io
che vivo, è Cristo che vive in me" (Gal 4, 4 ). Significa pensare, parlare, agire, avere i gusti, fare le
scelte di Cristo. Si può dire che la comunione comincia soprattutto dopo la Messa.
Nomi della Messa Al Sacramento istituito da Gesù nell'ultima Cena sono stati dati molti nomi. Paolo la chiama
"Cena del Signore". E' una definizione che significa mettersi a tavola col Signore, essere in
convito con Lui. Gli Atti degli Apostoli parlano di "Frazione del pane", gesto liturgico che ripete
precisamente quello che Gesù fece nell'ultima cena. Luca precisa che veniva celebrata ogni giorno
nelle case ed era tra i tratti distintivi della prima comunità. Il termine "Eucaristia" compare dopo
gli anni 100 con Ignazio di Antiochia. Eucaristia vuoi dire ringraziamento; il ringraziamento di
Cristo al Padre a cui noi ci uniamo. L'Eucaristia ha avuto ed ha anche altri nomi: "Pasto del
Signore" equivale a "cena"; "Santi Misteri" significa che l'Eucaristia è la celebrazione liturgica
per eccellenza; "Santo Sacramento" indica il corpo e il sangue di Cristo reso presente nella
celebrazione; "Sacrificio Eucaristico" designa l'offerta sacrificale; "Comunione" è usato per
indicare la partecipazione al pasto eucaristico. La parola "Messa" è il nome più popolare, ma non il
più significativo. Essa deriva dal "congedo" rivolto ai catecumeni dopo la Liturgia della Parola e
quello rivolto a tutti alla fine della celebrazione.
COSA E’ LA MESSA
Cuore della Chiesa “ La celebrazione della Messa, in quanto azione di Cristo e del popolo di Dio
gerarchicamente ordinato, costituisce il centro di tutta la vita cristiana per la Chiesa universale,
per quella locale e per i singoli fedeli". Se il Battesimo è la porta d'ingresso nella comunità
cristiana, l'eucaristia ne è il centro e l'attuazione suprema. Ma la fede nell'Eucaristia non è facile,
come non è facile accogliere il mistero della croce di cui è la ripresentazione sacramentale. Per
questo la Chiesa l'ha circondata di tanti mirabili segni di adorazione, di amore e di bellezza:
monito sempre attuale per prevenire le tentazioni della superficialità, dell'abitudine e
dell'incredulità.
“L’Eucaristia è il cuore e il culmine della vita della Chiesa, poiché in essa Cristo associa
la sua Chiesa e tutti i suoi membri al proprio sacrificio di lode e di rendimento di grazie offerto al
Padre una volta per tutte sulla croce; mediante questo sacrificio egli effonde le grazie della salvezza
sul suo Corpo, che è la Chiesa. L’Eucaristia è il memoriale della Pasqua di Cristo, cioè dell’opera
della salvezza compiuta per mezzo della vita, della morte, della risurrezione di Cristo, opera che
viene resa presente nell’azione liturgica. E’ Cristo stesso, sommo ed eterno sacerdote della nuova
alleanza, che agendo attraverso il ministero dei sacerdoti, offre il sacrificio eucaristico. Ed è
ancora lo stesso Cristo, realmente presente sotto le specie del pane e del vino, l’offerta del
sacrificio eucaristico” ( CCC 1407-1410 ).
Fonte e apice “I fedeli, incorporati nella Chiesa col Battesimo, partecipando al sacrificio eucaristico,
fonte e apice di tutta la vita cristiana, offrono a Dio la Vittima divina e se stessi con Essa” (
Lumen Gentium 11 ) .
Affermando che il sacrificio eucaristico è il culmine e l’origine di tutta la vita cristiana, il
Concilio ha detto una cosa straordinaria, che esige seria riflessione. Ha detto che la Messa è il
centro, il cuore della religione, il tutto di essa, il centro propulsore della sua vitalità, la vetta e
la sorgente del culto e di tutta la forza che muove la chiesa, l’inizio e la conclusione, il primo
principio e l’ultimo fine, la meta, l’obiettivo, lo scopo, il mezzo.
Il sacrificio eucaristico è l’atto supremo di amore di Dio per l’uomo e l’atto supremo di
amore che l’uomo può esprimere verso Dio. L’Eucaristia dona la vera vita, la vita eterna, senza la
quale l’uomo fallisce l’esistenza. Gesù stesso lo ha dichiarato: “ Se non mangiate la carne del
Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e
beve il mio sangue dimora in me ed io in lui…chi mangia questo pane vivrà in eterno” ( Gv 6, 56-
58 ). Della Messa non si può fare a meno. Il cristiano autentico vive di Eucaristia. Essa è tutta la
fede cristiana e il tutto della fede.
Memoriale L’Eucaristia è il dono per eccellenza lasciatoci da Gesù Cristo, perché “dono della sua
presenza, della sua persona, della sua umanità nonché della sua opera di salvezza”. La
salvezza non rimane confinata nel passato, giacché tutto ciò che Cristo è, tutto ciò che ha compiuto
e sofferto per gli uomini partecipa dell’eternità divina e perciò abbraccia tutti i tempi . Gesù, che
ci ha salvato col suo sacrificio, è tornato al Padre, ma ci ha lasciato il mezzo per parteciparvi come
se fossimo presenti. Questo mezzo è l’Eucaristia, “memoriale della morte e risurrezione del
Signore”, evento centrale della salvezza, ossia Sacramento che lo rende presente. Partecipando
all’Eucaristia ogni fedele può attingere i frutti della salvezza. La Chiesa vive del sacrificio
redentore e ad esso accede non solo per un ricordo pieno di fede, ma con un contatto attuale,
poiché con l’Eucaristia diventa sempre presente. E l’Eucaristia applica agli uomini di oggi la
riconciliazione ottenuta una volta per tutte da Cristo per l’umanità di ogni tempo.
Sacrificio L’Eucaristia è il sacramento della presenza reale di Gesù Cristo e anche della sua
passione e risurrezione, del suo sacrificio. Gesù stesso presenta il dono del suo corpo e del suo
sangue in riferimento alla sua morte, accettata per salvare gli uomini. L’ultima cena è una
celebrazione rituale nella quale Cristo fa del suo sacrificio un sacramento donato alla Chiesa.
Ogni celebrazione eucaristica, rinnovando ciò che Gesù ha compiuto nell’ultima cena, ricongiunge
e rende presente il sacrificio della croce. Il sacrificio di Cristo ristabilisce l’ordine voluto da Dio.
Ripara i danni del peccato, restaura l’alleanza, ripristina la comunione col Signore e la
partecipazione alla santità. L’uomo è salvo e la sua vita ha senso solo per il sacrificio di Cristo,
avvenuto una volta sola sulla croce ma sempre presente presso il Padre come inesauribile fonte di
redenzione. La Messa è sacramento, memoriale di questo sacrificio unico. Non è un ricordo o un
simbolo ma l’attualizzazione della morte gloriosa di Cristo. E’ la ripresentazione, nel contesto di
una preghiera di lode e di ringraziamento, del sacrificio pasquale. Siamo salvi se vi partecipiamo
e riceviamo l’Eucaristia con coerenza di vita.
Alleanza nuova Ogni giorno nella Messa sentiamo le parole di Cristo: “Prendete e bevetene tutti, questo è il
calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei
peccati”. Gesù, dandoci la Messa, parlò di alleanza nuova e di alleanza di sangue .
E’ un’alleanza nel sangue. Per un semita l’alleanza era una cosa solennissima, era un patto
di sangue. Gesù dandoci la Messa ci introduce in un rito del mondo semita e usa il suo linguaggio.
La Messa è un atto solenne, importante come un giuramento, anzi supera il giuramento perché
significa un contratto di nuova parentela, una parentela con Dio.
E’ un’alleanza nuova. L’Eucaristia è l’alleanza nuova in quanto è la dedizione definitiva e
irrevocabile di Dio in Gesù Cristo. Essa ci comunica, mediante il dono dello Spirito di Gesù, tale
autodonazione che ci rende capaci di vivere e morire come è vissuto ed è morto lui. Nell’Eucaristia
si “compie”, in modo sublime tutta la storia delle alleanze di Dio con il suo popolo e dall’Eucaristia
nasce un popolo nuovo, la Chiesa. La nuova alleanza, data in modo pieno e definitivo, destina
l’uomo a divenire libero, figlio di Dio, coinvolge tutta la sua esistenza e la trasforma, la rende
capace di adesione totale a Dio e ai fratelli. E’ un’alleanza per la remissione dei peccati.
L’Eucaristia è la forza per vincere il peccato che è il grande ostacolo all’alleanza con Dio ed è
anche incitamento ad impegnarsi contro ogni male.
Comunione La Messa è segno di comunione con Cristo e, attraverso Cristo. col Padre. E' comunione a
tre livelli: con la sua Parola (liturgia della Parola), con la sua Persona (liturgia eucaristica), con
i fratelli. Se è comunione con la Parola di Cristo, non è sufficiente ascoltarla. E' necessario
accoglierla e assimilarla. Se è comunione con la persona di Cristo, devo calarmi nella mentalità di
Cristo. " Non sono più io che vivo ( dovrei dire dopo la Messa ) è Cristo che vive in me ". Se è
comunione con i fratelli, allora devo accorgermi dei diritti, dei bisogni, delle pene, delle gioie dei
fratelli.
Ricevere l’Eucaristia nella Comunione reca come frutto principale l’unione intima con
Cristo Gesù. Il Signore dice: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in
lui” (Gv 6, 56 ). La vita in Cristo ha il suo fondamento nel banchetto eucaristico: “Come il Padre,
che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà di
me” ( Gv 6, 57 ) . Ciò che l’alimento materiale produce nella nostra vita fisica, la comunione lo
realizza in modo mirabile nella nostra vita spirituale. La Comunione alla carne del Cristo risorto,
“vivificata dallo Spirito Santo e vivificante”, conserva, accresce e rinnova la vita di grazia
ricevuta nel Battesimo. La crescita della vita cristiana richiede di essere alimentata dalla
comunione eucaristica, pane del nostro pellegrinaggio, fino al momento della morte, quando ci sarà
dato come viatico (CCC 1391-1392). La comunione unisce al Cristo salvatore, ci fa partecipare al
suo mistero di morte e di risurrezione; la comunione ci riempie dello Spirito di Cristo, ci mette in
atteggiamento di lode, di azione di grazia e di eucaristia verso Dio nostro Padre; la comunione al
sangue, “versato per la remissione dei peccati”, ci libera e ci purifica dalle nostre colpe
quotidiane, da quelle che non ci escludono dall’Eucaristia; la comunione ci unisce ai nostri fratelli,
costruisce e unisce la comunità dei credenti, il corpo ecclesiale di Cristo; la comunione ci fa
partecipare da ora alla vita eterna e mette i germi della risurrezione.
Trasformazione Con la Messa la vita di Cristo si inserisce in noi e noi siamo inseriti in lui. "Io sono il pane
della vita...chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me ed io in lui" (Gv 6,52).
"Nella Messa partecipiamo realmente al corpo del Signore, siamo elevati alla comunione con lui e
tra noi. (L.G.7) Ma dobbiamo partecipare "realmente", altrimenti annulliamo, per quanto
dipende da noi, l'efficacia del corpo e del sangue del Signore. La Messa non produce un effetto
magico. La forza divina entra in azione a condizione che ci apriamo ad essa, che collaboriamo con
essa.
Tensione escatologica L’Eucaristia è tensione verso la meta : “nell’attesa della tua venuta”. Essa esprime
l’attesa fiduciosa che “si compia la beata speranza”. Chi riceve l’Eucaristia ha già la “vita eterna” e
la garanzia della risurrezione : “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io
lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54). Essa è “farmaco di immortalità, antidoto contro la
morte” (S. Ignazio di Antiochia ). Nella celebrazione eucaristica ci uniamo alla liturgia celeste ed
essa esprime e consolida la comunione con la Chiesa celeste. L’Eucaristia è uno squarcio di cielo
che si apre sulla terra.
Presenza reale L’Eucaristia, ripresentazione sacramentale della morte e risurrezione di Cristo, implica una
sua presenza reale specialissima (anche le altre presenze sono “reali”, ma questa lo è in forma
eminente). La consacrazione comunica certamente una grazia particolare, ma rende anche
presente colui che di ogni grazia è l’origine. E’ Gesù stesso che ha dichiarato esplicitamente la sua
presenza eucaristica. Egli ha detto: “Questo è il mio corpo… questo è il mio sangue”. E’ normale
che i cristiani che cercano di riflettere sulla loro fede si pongano degli interrogativi sulla presenza
di Cristo nel Sacramento eucaristico. I teologi hanno cercato e cercano di esprimere questa
presenza con parole. Il Concilio di Trento ha detto “ Con la consacrazione del pane e del vino si
opera la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo, nostro
Signore, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo Sangue. Questa conversione in modo
conveniente e appropriato è chiamata dalla Santa Chiesa cattolica transustanziazione” . ( Sess.
XIII )
Convito La Messa è un banchetto di famiglia con Dio e con i fratelli. Siamo invitati dal Signore alla
sua mensa e dobbiamo andare da lui:
vestiti a festa. Non si può andare vestiti di egoismo, di orgoglio, di sensualità. E'
necessario cambiare abito, prima di andare a Messa, togliere il peccato. San Paolo dice: "chiunque
in modo indegno mangia il pane e beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del
Signore" (1 Cor 11, 27).
con le mani piene, con la disposizione di adeguarsi durante e dopo la Messa alla volontà
di Dio.
col cuore aperto a tutti. Non ha senso andare alla mensa comune col cuore indurito dal
rancore o dall'odio verso qualcuno. "Se presenti la tua offerta sull'altare e ti ricordi che tuo fratello
ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va prima a riconciliarti con il
tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono" (Mt 5,23-24).
Conversione La Messa è chiamata, impegno e strumento di conversione. Chi nella Messa non entra in
crisi e non si converte non ha capito la Messa. La Messa è un'alleanza, cioè un'amicizia, che esige
una sintonia con Dio, quindi una conversione. "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue"
(Lc 26,20).
Ringraziamento La Messa è il più grande grazie della storia umana, perché è il grazie del Figlio di Dio
per l'uomo, che è costato una vita tutta spesa per Dio e per l'uomo. Il nostro ringraziamento
attraverso l'Eucaristia è un grazie detto con Cristo, per Cristo e in Cristo e comporta l'impegno di
affrontare la vita con la mente di Cristo e col suo cuore.
Offerta a Dio Nella Messa il sacerdote impresta a Cristo i movimenti e la voce per fare e dire quanto
Gesù fece nell'ultima cena. Ma è Cristo che si offre per noi. Il cristiano deve unirsi a lui e
offrirsi a Dio. Offrirsi a Dio significa:
ascoltarlo, afferrare il messaggio di Dio su di noi, mettersi davanti a questo problema:
"Signore che cosa vuoi da me?" e coglierne la risposta.
essere come lui ci vuole, o almeno voler essere, desiderare di essere come lui ci vuole.
crescere nell'unità coi fratelli, perché il nostro egoismo ci pone sempre in rottura, imparare
a vivere con gli altri, ascoltarli, comprendere, condividere.
compiere un’opera difficile, perché bisogna sbaragliare l'egoismo umano. Perciò ci vuole
un lavoro paziente e graduale. Non arriviamo mai ad offrirci bene, fino in fondo, con assoluta
autenticità. Ma è necessario impegnarsi per essere coerenti con la fede.
A Dio dobbiamo offrire tutto, non riservarci nulla. Dobbiamo offrire:
la nostra intelligenza, il mondo del nostro pensiero, perché sia un giardino privilegiato
per Dio, dove possa seminare e raccogliere, perché sia libero dall'orgoglio e da ogni cattiveria e
aperto alla verità, perché a noi si possa riferire la beatitudine del Signore: "beati i puri di cuore".
la nostra volontà. E' il dono più duro, quindi il più bello. Significa offrire a Dio i nostri
progetti, il nostro amore, la nostra amicizia, tutta la nostra vita, vivere non come piace a noi, ma
come piace al Signore, sicuri che la volontà di Dio è il meglio che noi possiamo desiderare per la
nostra esistenza, anche se talora esige lotte e sacrifici.
il nostro fisico, il corpo, gli occhi, la lingua, i sensi…., perché sia strumento dell'azione di
Dio, perché agisca, si muova e operi secondo la volontà di Dio.
Proviamo a offrirci sul serio al Signore nell'Eucaristia e sarà impossibile che viviamo
un'esistenza vuota, piatta, banale, senza vita.
STRUTTURA DELLA MESSA
La Santa Messa è costituita da due parti, la "Liturgia della Parola" e la "Liturgia
eucaristica", così strettamente congiunte tra loro da formare un unico atto di culto. Nella Messa
viene imbandita tanto la mensa della Parola di Dio, quanto la mensa del Corpo di Cristo e i fedeli ne
ricevono istruzione e ristoro. Ci sono inoltre alcuni riti che iniziano e altri che concludono la
celebrazione.
La Messa inizia con i "riti di introduzione", che precedono la Liturgia della Parola e sono
l'introito, il saluto, l'atto penitenziale, il Gloria e l'orazione, detta colletta. Scopo di questi riti è
che i fedeli, riuniti insieme, formino una comunità e si dispongano ad ascoltare con fede la
parola di Dio e a celebrare degnamente l'Eucaristia,
La "Liturgia della Parola" consiste nella proclamazione delle letture scelte dalla Sacra
Scrittura, che ne costituiscono la parte principale, dall'omelia, dalla professione di fede e dalla
preghiera dei fedeli. Nella liturgia della Parola Dio parla al suo popolo , gli manifesta il mistero
della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spirituale. Il popolo fa propria questa
Parola divina con il silenzio e i canti e vi aderisce con la professione di fede. Così nutrito, prega
per le necessità di tutta la Chiesa e per la salvezza del mondo intero.
La "Liturgia Eucaristica" è disposta come l'ultima Cena del Signore, quando Gesù istituì
il sacrificio e convito pasquale per mezzo del quale è reso continuamente presente nella Chiesa il
sacrificio della croce. Cristo infatti prese il pane e il calice, rese grazie, spezzò il pane e lo diede
ai discepoli dicendo: "Prendete, mangiate, ….bevete; questo è il mio corpo;….. questo è il mio
sangue. Fate questo in memoria di me". La liturgia eucaristica inizia con la preparazione dei
doni: vengono portati all'altare pane e vino con acqua, cioè gli stessi elementi che Cristo prese tra
le sue mani. Poi si rendono grazie a Dio per tutta l'opera della salvezza e le offerte diventano il
Corpo e il Sangue di Cristo. Segue la frazione del pane e la comunione e i fedeli, benché
molti, si cibano del Corpo dell'unico Signore dall'unico pane e ricevono il suo Sangue
dall'unico calice, allo stesso modo con il quale gli Apostoli li hanno ricevuti dalla mani di Cristo
stesso.
I "Riti di conclusione" comprendono brevi avvisi, se necessari, il saluto e la benedizione
del sacerdote, il congedo del popolo, il bacio dell'altare da parte del sacerdote, l'inchino profondo
da parte di tutti i ministri.
PARTI DELLA MESSA
Riti di introduzione
Ingresso Segno di croce Saluto Atto penitenziale Gloria Orazione del giorno (Colletta)
Liturgia della Parola.
Prima lettura Salmo responsoriale Seconda lettura Vangelo Omelia Credo Preghiera dei fedeli
Liturgia eucaristica
Offertorio
Presentazione dei doni Preparazione dell'altare Purificazione del sacerdote Invito alla preghiera
Orazione sulle offerte Preghiera eucaristica
Prefazio Santo Epiclesi per la consacrazione Racconto della Cena: consacrazione
Anamnesi: celebrazione della memoria Epiclesi per la comunione Intercessioni Dossologia finale
Riti di comunione
Padre nostro Preghiera per liberazione dai mali e pace Segno della pace Frazione del pane Agnello di Dio
Preghiera per la purificazione Invito alla comunione
Comunione
Riti di conclusione Orazione Saluto Benedizione Congedo
RITI DI INTRODUZIONE
La Liturgia della Parola è preceduta dai riti d'introduzione: l'introito, il saluto, l'atto
penitenziale, il Gloria e l'orazione o colletta.
Introito Quando il popolo è radunato, mentre il sacerdote fa il suo ingresso con i ministri, si inizia il
canto d'ingresso. La funzione propria di questo canto è di dare inizio alla celebrazione, favorire
l'unione dei fedeli riuniti, introdurre il loro spirito nel mistero del tempo liturgico o della festività
e accompagnare la processione del sacerdote e dei ministri. Il popolo canta in piedi e sottolinea
così l'unità dell'assemblea. Il canto d'ingresso una volta era un lungo salmo, interrotto da versi o da invocazioni; di
questo salmo è restata nel messale solo l'antifona, parola greca che significa "suono davanti" o
"voce premessa" che è intonata alla festa o alla domenica ed è detta "introito", perché introduce.
Il canto che ora sostituisce il salmo, deve avere le stesse caratteristiche e la stessa intonazione alla
liturgia. Quando non ci sono canti, il sacerdote si limita alla lettura dell'antifona.
In particolari festività viene fatta la processione d'ingresso. Nella forma più solenne va
davanti il turiferario e la nube dell'incenso precede la processione, come la colonna di nube il
popolo d'Israele (Es. 13, 21 ), segue il crocifero che collocherà la croce ai lati dell'altare e i
coriferari con le candele accese, poi il Diacono che porta sollevato il libro dei Vangeli, quindi i
concelebranti e per ultimo il sacerdote che presiede. La processione percorre almeno una parte
della Chiesa e per il corridoio centrale si avvia verso l'altare. La processione d'ingresso trae origine
da quello che avveniva in antico a Roma con la partecipazione di tutto il clero e con a capo il
Sommo Pontefice. Ricorda il cammino della Chiesa pellegrinante verso la casa di Dio nella gloria
e dice che viene Cristo Signore: la croce è il suo segno, il libro dei vangeli contiene la sua
parola, il sacerdote è la sua mano, i ceri ricordano che Egli è luce, l'incenso che a lui si deve
onore.
Saluto all'altare Giunti in presbiterio, il sacerdote ed i ministri salutano l'altare con un profondo inchino.
Quando nella zona del Presbiterio si trova il Santissimo, si fa la genuflessione. Dopo l'inchino, in
segno di venerazione, il sacerdote bacia l'altare. E' chiaro nell'inchino e nel bacio il significato di
profondo rispetto e amore a Cristo. L'altare intatti rimanda a Cristo, che è l'unico altare del
cristianesimo.
Nelle Messe solenni a questo punto vengono incensati l'altare e la croce. La nuvola
d'incenso avvolge in certo senso altare e fedeli bisognosi di benedizione, come la nube della
presenza di Dio avvolgeva la Tenda del Convegno. ( Es 40, 35)
Segno di croce e saluto al popolo Subito dopo le riverenze, il Sacerdote e i ministri, quando ci sono, dovrebbero recarsi alle
sedi. Terminato il canto d'ingresso il sacerdote, stando in piedi alla sede, con tutta l'assemblea, si
segna col segno della croce. La Messa inizia cosi con questo tipico segno del cristiano, nel nome
della Trinità, perché la Messa è avvento di Dio nella nostra vita.
Poi il sacerdote con il saluto annunzia all'assemblea radunata la presenza del Signore. Il
saluto sacerdotale, che può essere espresso in varie forme, e la risposta del popolo manifestano il
mistero della Chiesa radunata. Durante il saluto, il sacerdote allarga le braccia e le racchiude e
così augura e annunzia il legame con il Signore. Il gesto potrebbe forse anche significare un
abbraccio che avvolge l'assemblea in un saluto di pace.
Salutato il popolo, se non c’è stato canto iniziale, il sacerdote legge l'antifona di
introduzione, poi lo stesso sacerdote, o anche un ministro, può fare una brevissima introduzione
sulla Messa del giorno.
Atto penitenziale II sacerdote invita all'atto penitenziale che, dopo una breve pausa di silenzio, viene
compiuto da tutta la comunità mediante una formula di confessione e si conclude con
l'assoluzione del sacerdote, che non ha lo stesso valore del sacramento della Penitenza. E’ un atto
che trae origine dalla solenne "prostratio" della Messa papale del primo Medioevo ed è rimasto per
tempo avvolto dai canti dell'Introito. Dopo il Concilio Vaticano II ha preso la forma attuale.
La liturgia penitenziale ha inizio con l'invito a "riconoscere i peccati" e quindi con una
breve pausa di silenzio, di cui non si può fare a meno ma che di solito è troppo breve per riuscire
efficace, e anche per questo alla messa è necessario andare preparati. La formula più usata di
preghiera penitenziale è il Confiteor (nell'alto Medioevo si trova già un Confìteor simile
all’attuale) con cui ci riconosciamo colpevoli davanti a Dio e agli uomini e diciamo di aver "molto
peccato", anzi “troppo” (nimis), per nostra grandissima colpa, in "pensieri, parole, opere e
omissioni" e ci rivolgiamo a Maria, nostra "avvocata" , agli Angeli, ai Santi e anche ai nostri
fratelli e sorelle, come noi peccatori, perché intercedano presso Cristo nostro Signore. Il gesto di
battersi il petto accompagna il Confiteor: è un gesto che indica riconoscimento di colpa.
Nel messale si trovano altre forme penitenziali che sostituiscono il Confiteor. L'atto
penitenziale prosegue con una triplice invocazione detta dal celebrante e ripetuta dal popolo:
"Signore pietà! Cristo pietà! Signore pietà!" . Il testo originale in greco della triplice
invocazione (Kyrie eleison! Cristo eleison! Kyrie eleison! ) è entrato nella Messa romana già dai
tempi di S. Gregorio Magno ed è l'unica espressione in lingua greca conservata nella celebrazione
eucaristica per molti secoli; attualmente la si ripete solo se cantata. Il sacerdote conclude con una
supplica di perdono. In alcune circostanze, per esempio nella Quaresima, l'atto penitenziale è sostituito
dall'aspersione. Essa è ricordo del Battesimo, atto penitenziale, lavaggio e purificazione. Il
sacerdote benedice l'acqua, poi, mentre il coro canta, si reca in mezzo ai fedeli e asperge
l'assemblea con l'acqua benedetta, tornato al suo posto, recita la relativa preghiera di chiusura.
Una delle formule con cui ha inizio l'atto penitenziale dice: "per celebrare degnamente i
santi misteri, riconosciamo i nostri peccati”. Non si può partecipare alla Santa Messa se si è in
stato di peccato. Se si fa l'atto penitenziale con pentimento sincero, se si chiede perdono a Dio, per
l'offesa arrecata a lui col peccato, se c'è la decisione di non peccare più, il Signore perdona le
colpe e si possono "celebrare degnamente i santi misteri". Tuttavia se sono stati commessi peccati
mortali per ricevere la Santa Comunione è necessario prima fare la Confessione.
Gloria All'atto penitenziale, nei giorni festivi, segue il Gloria, che viene intonato dal Presidente e
cantato o recitato dal popolo. Talora è chiamato "inno angelico", perché inizia con le parole degli
Angeli alla nascita di Gesù. E' un inno antichissimo e venerabile, con il quale la Chiesa, radunata
nello Spirito Santo, glorifica, supplica Dio Padre e l'Agnello, esprime gioia, lode riconoscente,
benedizione, adorazione, celebrazione della gloria del Signore.
Colletta Dopo il Gloria, o dopo l'atto penitenziale se non c'è il Gloria, il sacerdote invita il popolo a
pregare e, tutti insieme con lui, stanno per qualche momento in silenzio, per prendere coscienza di
essere alla presenza di Dio e formulare nel cuore le proprie intenzioni di preghiera, quindi il
presidente conclude con l'orazione detta "colletta", termine che proviene dal latino "colligere "
(raccogliere), e indica il fatto che il sacerdote raccoglie le preghiere dei fedeli e conclude con una
preghiera che è rivolta al Padre, per mezzo di Cristo, nello Spirito Santo. Il popolo, unendosi
alla preghiera, fa propria l'orazione con l'acclamazione: "Amen". Nelle Messe si dice sempre una
sola colletta, che nei giorni festivi può essere scelta tra due che sono a disposizione, una prima
solenne, concisa, poetica e antica, una seconda composta dopo la riforma liturgica del secolo
scorso, che riassume mirabilmente i principali temi delle letture bibliche.
LITURGIA DELLA PAROLA
La parte principale della liturgia della parola è costituita dalle letture bibliche con i canti
che le accompagnano. Alle letture seguono l'omelia, la professione di fede e la preghiera
universale o dei fedeli. Nelle letture , che vengono spiegate nell'omelia, Dio parla al popolo; il
popolo fa propria la parola divina con il silenzio e i canti, vi aderisce con la professione di fede e
prega per le necessità della Chiesa e la salvezza del mondo.
Le lettura Le letture devono essere tratte sempre dalla Sacra Scrittura. In esse viene preparata ai
fedeli la mensa della Parola di Dio e vengono loro aperti i tesori della Bibbia. E' messa in luce
l'unità dei due Testamenti e della storia della salvezza. Le letture proposte per la liturgia della parola
sono tre più un salmo nei giorni festivi, e due più un salmo in quelli feriali.
Nei giorni festivi le letture variano secondo un ciclo triennale, durante il quale i Vangeli
dell'anno A sono secondo Matteo, quelli dell'anno B , secondo Marco, e i Vangeli dell'anno C ,
secondo Luca; la prima lettura è ricavata normalmente dall'Antico Testamento, eccetto che nel
Tempo Pasquale, quando è tratta dagli Atti degli Apostoli, e la seconda proviene dagli Scritti del
Nuovo Testamento. Il Vangelo di Giovanni viene letto come gli altri, non però in un anno
specifico, ma nelle domeniche di Quaresima, di Pasqua e in particolari solennità e circostanze.
Nelle 34 settimane del periodo ordinario dei giorni feriali le letture sono suddivise in due
cicli, secondo gli anni pari e dispari. I Vangeli sono tratti per nove settimane da Marco, per dodici
da Matteo e per tredici da Luca; le prime letture sono dell'Antico o del Nuovo Testamento.
Negli altri tempi la scelta delle letture è fatta secondo le caratteristiche del periodo liturgico.
Le letture vengono proclamate dall'ambone. Le prime due da un lettore, il Vangelo da un
diacono o da un sacerdote. Al termine della prima e della seconda lettura chi legge pronunzia
l'acclamazione "Parola di Dio”, intendendo dire che è stata proclamata una parola ispirata da
Dio, infatti, come dice Paolo: "tutta la Scrittura è... ispirata da Dio e utile per insegnare,
convincere, correggere e formare alla giustizia" (2 Tm 3, 16). Non è esatto sostituire
l'acclamazione con : "E’ parola di Dio”, che non traduce esattamente il latino: "Verbum Domini”.
L'assemblea dà onore alla Parola di Dio, accolta con fede e con animo grato rispondendo;
"Rendiamo grazie a Dio". Al termine del vangelo l'acclamazione è: "Parola del Signore" e
intende asserire che si tratta di parola di Gesù e la risposta è: "Lode a te, o Cristo ". Chi proclama
le letture bibliche deve farlo con dignità e proprietà, in maniera che tutti possano udire; la dizione
va fatta in modo che la voce renda viva la parola e ne favorisca la comprensione, prestando
attenzione a non diventare teatrale.
Prima e seconda lettura Nei giorni festivi la prima lettura è in sintonia col tema principale del brano evangelico.
La seconda è tratta da un libro della Bibbia, i cui brani vengono proposti in lettura semicontinua
per alcune domeniche di seguito. In tempi particolari dell'anno e nelle solennità anche la seconda
lettura è in sintonia col tema principale del Vangelo.
Nei giorni feriali le due letture concordano nel tema durante i periodi forti, mentre nelle 34
settimane del tempo ordinario vengono proposti in lettura semicontinua i Vangeli di Marco.
Matteo e Luca e brani di vari libri dell'Antico e del Nuovo Testamento.
Salmo responsoriale Tra la prima e la seconda lettura si colloca il Salmo responsoriale. Si chiama "salmo" ,
perché è ricavato da uno dei 150 Salmi della Bibbia, "responsoriale" ( dal latino "responsorium" =
risposta ) perché rappresenta la risposta della comunità alla Parola di Dio ascoltata nella prima
lettura. E' una preghiera, anch'essa parola di Dio, che vuol essere il commento-risposta
all'argomento trattato nella prima lettura. Ha una lunga tradizione; anche gli ebrei usavano alternare
nelle loro sinagoghe la lettura col canto dei salmi. Normalmente il Salmo responsoriale viene
recitato alternativamente dal lettore e dal popolo, ma sarebbe meglio cantarlo, almeno per quanto
riguarda la risposta del popolo.
Vangelo La proclamazione del Vangelo è preceduta da un'acclamazione, con la quale
l'assemblea accoglie e saluta il Signore che sta per parlare nel Vangelo e manifesta la propria fede.
E' costituita normalmente da un versetto che si trova nel lezionario e dall'alleluia. L'alleluia (
dall'ebraico " allelu-jah"= lodate Jhave= lodate il Signore), che dovrebbe sempre essere cantato, è
previsto per tutti i periodi dell'anno, eccetto che nel tempo di Quaresima, quando è sostituito da:
"Lode a te, o Cristo, re d’eterna gloria".
In alcune circostanze, prima dell'alleluia, viene letta o cantata una Sequenza, che è
obbligatoria solo per la Pasqua e la Pentecoste. L'assemblea resta in piedi durante il canto o la
lettura della sequenza, dell'alleluia e del Vangelo.
Prima che venga proclamato il Vangelo, il Sacerdote ( o il Diacono, quando c’è ) richiama
l'attenzione dei fedeli con l'augurio: “Il Signore sia con voi “ e l'assemblea ricambia: '"E con il
tuo spirito", perché chi legge il Vangelo deve essere consapevole del suo alto incarico. Salutato il
popolo viene annunziato il libro da cui è tratto il brano che viene letto; " Dal Vangelo di ...", cui
il popolo risponde: "Gloria a te, o Signore". Lettore e assemblea affermano cosi che le parole e i
gesti di cui tratta il Vangelo sono di Gesù, che è presente, perché accompagna con la sua assistenza
chi con devozione legge e ascolta. Mentre annunzia la lettura il ministro segna con una crocetta il
libro e poi, imitato dai fedeli, traccia tre piccole croci: sulla fronte, perché la parola di Dio occupi
la mente, sulla bocca, perché essa venga annunziata agli altri, sul cuore, perché il cuore ne resti
infiammato. Segue la lettura, al termine della quale il sacerdote bacia la pagina letta. Il bacio è
rivolto a Gesù, in segno di riconoscente amore. Al termine l'acclamazione: "Parola del Signore" e
la riposta dell'assemblea: "Lode a te o Cristo". Talora dopo la lettura del Vangelo viene ripetuto
l'alleluia, ma questo rito non è previsto dalle norme liturgiche. Quando il Vangelo viene proclamato
dal diacono, terminata la lettura, l'evangeliario viene portato dallo stesso diacono al Presidente, che
lo bacia.
Nelle Messe solenni, specialmente quando è presente il Vescovo, la lettura del Vangelo è
preceduta da altri riti. Dopo la prima e la seconda lettura, il Presidente pone l'incenso nel
turibolo, e lui stesso, o il sacerdote lettore recita la preghiera: " Purifica il mio cuore e le mie
labbra, o Dio onnipotente, perché possa annunziare degnamente il tuo Vangelo". Se c'è un
Diacono, dopo la posa dell'incenso nel turibolo, dice al Presidente: "Benedicimi o Padre" e il
Sacerdote risponde: " Il Signore sia nel tuo cuore e nelle mie labbra, perché tu possa annunziare
degnamente il suo Vangelo. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo." Il lettore,
accompagnato dai due ministrati che portano i ceri, si reca in piccola processione all'ambone in
segno di onore a Gesù, e incensa il Libro da cui leggerà il brano evangelico.
Omelia L'omelia {dai greco: “omilia” = colloquio familiare ) fa parte delle liturgia; la richiedono
naturalmente le letture bibliche che mediante l'omelia diventano ancora di più Parola viva. Essa
consiste non in una catechesi, ma nella spiegazione o di qualche aspetto delle letture della Sacra
Scrittura o di qualche altro testo dell'Ordinario o del Proprio della Messa del giorno, tenuto conto
sia del mistero che viene celebrato, sia delle particolari necessità di chi ascolta . Compito
dell'omelia è attualizzare la parola di Dio, esprimere ciò che Dio dice nel tempo presente; in essa
deve risaltare la parola della Chiesa circa la parola di Dio.
Chi la pronunzia compie la funzione del profeta che, in nome di Dio, annunzia la sua
parola, la spiega e l'applica alla situazione dell'assemblea. Di solito è tenuta personalmente dal
sacerdote celebrante; talora da un sacerdote concelebrante e , secondo l'opportunità, anche da un
diacono, non però da un laico. Nei giorni festivi non può essere omessa, nei giorni feriali di
Avvento, Quaresima e nelle feste è vivamente raccomandata, negli altri giorni è consigliata.
E' opportuno, dopo l'omelia, osservare un breve minuto di silenzio.
Professione di fede A conclusione della Parola di Dio nelle domeniche e nelle solennità e in particolari
celebrazioni solenni, segue il Credo, che è una professione di fede, che va proclamata o
cantata in piedi dal Sacerdote insieme con il popolo. Del Credo il Messale italiano presenta
due formulazioni. Quello comunemente recitato fu introdotta nella Messa della Chiesa di Roma
nell'undicesimo secolo, è chiamato simbolo niceno-costantinopolitano, perché proposto prima dai
Vescovi riuniti nel Concilio di Nicea (a. 325) e poi accolto, con un'aggiunta, da quelli riunito nel
Concilio di Costantinopoli (a. 381). Nelle Chiesa d'Occidente contiene in più il termine "fìlioque",
proposto dai vescovi di Spagna. L'altro è stato introdotto nel Messale nella seconda metà del
ventesimo secolo ed è denominato "simbolo Apostolico", è fatto risalire al tempo degli Apostoli
e veniva insegnato agli adulti che si preparavano al Battesimo.
Il termine "simbolo" proviene dal greco e significa segno di riconoscimento. Il Credo è
la “tessera" di riconoscimento del cristiano. Presenta l'insegnamento della fede
sull'Unità e Trinità delle Divine Persone e in un certo senso riassume i fatti salienti della storia
della salvezza: creazione, caduta dell'uomo, peccato originale, annunzio del Salvatore, redenzione
apportata dal Figlio di Dio con l'incarnazione, passione e morte, risurrezione e ritorno per
risuscitare e giudicare l'umanità, Chiesa, sacramenti, vita eterna.
La professione di fede ha come fine che tutto il popolo riunito risponda alla parola di Dio,
proclamata nella lettura della Sacra Scrittura e spiegata nell'omelia e che, recitando la regola di
fede, torni a meditare e professi i grandi misteri della fede, prima della loro celebrazione
nell'Eucaristia.
Preghiera universale La preghiera che fa seguito al Credo è una felice innovazione della riforma liturgica
avvenuta dopo il Concilio Vaticano II, anche se nei primi secoli era frequente e un esempio di essa
si trova nella Liturgia del Venerdì Santo. E' detta preghiera universale o dei fedeli, perché è
elevata a Dio dal popolo che prega per la salvezza di tutti.
Ordinariamente le intenzioni, che devono essere sobrie, formulale con sapiente libertà e con
poche parole, devono avere la seguente successione: per le necessità della Chiesa, per i governanti
e la salvezza del mondo, per quelli che si trovano in difficoltà, per la
comunità locale. Le introduce e le conclude il sacerdote. Le intenzioni vengono lette dall'ambone
o da altro luogo conveniente dal diacono o dal cantore o dal lettore o da un fedele laico. Il popolo,
stando in piedi, esprime la sua supplica con un'invocazione comune dopo la formulazione di ogni
singola intenzione, oppure pregando in silenzio.
LITURGIA EUCARISTICA
Nell’ultima Cena, Gesù Cristo istituì il sacrificio e convito pasquale per mezzo del quale è
reso continuamente presente nella Chiesa il sacrificio della croce, allorché il sacerdote, che
rappresenta Cristo, compie ciò che il Signore fece e affidò ai discepoli, perché lo facessero in
memoria di lui. Cristo infatti prese il pane, rese grazie, spezzò il pane, … prese il calice e li diede ai
suoi discepoli dicendo: “Prendete, mangiate,…. bevete; questo è il mio Corpo;…. questo è il
calice del mio Sangue. Fate questo in memoria di me”. Perciò la Chiesa ha disposto tutta la
celebrazione della liturgia eucaristica in vari momenti, che corrispondono a queste parole e gesti
di Gesù. Infatti:
nella preparazione dei doni vengono portati all’altare pane e vino con acqua, cioè gli
stessi elementi che Cristo prese tra le sue mani.
nella Preghiera Eucaristica si rendono grazie a Dio per tutta l’opera della salvezza, e le
offerte diventano il Corpo e il Sangue di Cristo.
mediante la frazione del pane e per mezzo della Comunione, i fedeli si cibano del
Corpo del Signore nell’unico pane e ricevono il suo sangue nell’unico calice, allo stesso modo
con il quale gli Apostoli li hanno ricevuti dalle mani di Cristo stesso.
La preghiera dei fedeli conclude la Liturgia della parola; ad essa segue la Liturgia
eucaristica. Lo stacco fra le due parti è oggi avvertito solo per la preparazione delle offerte e il
movimento del Presbitero. Nei tempi antichi lo stacco era netto, perché a questo punto venivano
congedati i Catecumeni che si preparavano al Battesimo, i pubblici peccatori durante il periodo
della penitenza e coloro che erano esclusi dalla comunione dei fedeli per ostinata ribellione o
credenze eretiche. In quei tempi e per la gente di allora l’allontanamento era segno chiaro di una
realtà che è sempre attuale: la Messa è un fatto religioso , in cui è presente il Figlio di Dio, che
esige comunione con Dio e con i fratelli battezzati. Oggi non è escluso nessuno, ma il
peccatore è invitato a riconciliarsi con Dio e il non battezzato a riflettere seriamente sul mistero
che si celebra.
L’altare prima della liturgia eucaristica dovrebbe essere spoglio di tutti gli oggetti
richiesti per l’Eucaristia e il Sacerdote dovrebbe trovarsi alla sede.
Offertorio
Preparazione dei doni Prima di tutto si prepara l’altare, o mensa del Signore, che è il centro della liturgia
eucaristica, ponendovi sopra il corporale, il purificatoio, il Messale e il calice; si portano all’altare
pane nella patena e vino, che diventeranno il corpo e il sangue di Cristo; il sacerdote o il diacono li
riceve in luogo opportuno e adatto e li depone sull’altare. Si possono fare anche offerte in
denaro, o presentare altri doni per i poveri o per la Chiesa, portati dai fedeli o raccolti in Chiesa, che
vengono deposti in luogo adatto, fuori dalla mensa eucaristica. Il corteo di chi reca i doni, viene
chiamato “processione offertoriale”. Il canto di offertorio accompagna la processione e si protrae
fino a quando i doni sono deposti sull’altare. E’ possibile accompagnare i riti dell’offertorio col
canto anche se non si svolge la processione con i doni.
Offerta dei doni Accolti i doni, ha luogo la “piccola elevazione”: il sacerdote alza leggermente la patena
con l’ostia verso il cielo, simbolo della trascendenza di Dio, che non può essere legato a nessuno
spazio e dice: “ Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo, dalla tua bontà abbiamo ricevuto
questo pane, frutto della terra e del lavoro dell’uomo; lo presentiamo a te perché diventi per noi
cibo di vita eterna” e il popolo risponde: “ Benedetto nei secoli il Signore”. Deposta la patena
sull’altare, il sacerdote versa nel calice il vino con un po’ d’acqua e dice: “ L’acqua unita al vino
sia segno della nostra unione con la vita divina di colui che ha voluto assumere la nostra natura
umana”. Con l’acqua unita al vino è richiamato il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio che
ha assunto la natura umana per unire la nostra a quella divina.
L’unione dell’acqua al vino ha una lunga storia; era presente da tempo nella Messa quando
se ne è occupato il Concilio di Firenze (1438 ) per confermarla, dopo che i monofisiti l’avevano
abolita in coerenza con la loro convinzione che in Cristo ci sarebbe la divinità pura, non mischiata;
è intervenuto il Concilio di Trento (1545) dato che Martin Lutero aveva respinto l’aggiunta
dell’acqua perché l’opera umana non pregiudicasse la pura opera divina e la riforma liturgica
posteriore al Vaticano II l’ha confermata. Questo rito è anche particolarmente esigente, perché
indica anche che l’offerente dovrebbe dissolversi come una goccia d’acqua nel vino del sacrificio
di Cristo.
Poi il sacerdote eleva al cielo il calice, come ha fatto per l’ostia e dice: “ “Benedetto sei tu,
Signore, Dio dell’universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo vino frutto della vite e del
lavoro dell’uomo, lo presentiamo a te, perché diventi per noi bevanda di salvezza”. E l’assemblea
risponde: “ Benedetto nei secoli il Signore”.
Nelle due benedizioni è indicato il senso dell’offerta e il come sarà raggiunto il fine
dell’unione con la vita divina : l’offerta è destinata a diventare quel cibo, che ci unirà a Dio in
una vita beata, operando la nostra salvezza. I testi delle due benedizioni sono della riforma della
liturgia dopo il Concilio Vaticano II e sono stati composti con la collaborazione personale di
Paolo VI, partendo dalla “berakha”, la preghiera conviviale degli ebrei.
Lavami, Signore Nelle messe solenni, dopo le due elevazioni, vengono incensati i doni posti sull’altare,
l’altare e la croce, per significare che l’offerta della Chiesa e la sua preghiera si innalzano come
incenso al cospetto di Dio. Dopo anche il sacerdote, in ragione del suo sacro ministero, e il
popolo, per la sua dignità battesimale, ricevono l’incensazione dal diacono o da un altro ministro.
Quindi il sacerdote si lava le mani ai lati dell’altare, dicendo in silenzio: “Lavami, Signore
da ogni colpa, purificami da ogni peccato”, che è una citazione tratta dal salmo 50. Qualunque
possa essere stato il primo motivo che ha fatto introdurre nella Messa questo rito, oggi ha un
carattere penitenziale. Con esso il sacerdote esprime il desiderio di purificazione interiore,
ripetendo la richiesta di perdono.
Orazione sulle offerte Deposte le offerte sull’altare e compiuti i riti che accompagnano questo gesto, il sacerdote
invita i fedeli ad unirsi a lui nella preghiera e pronunzia l’orazione sulle offerte: si conclude così
la preparazione dei doni e ci si prepara alla preghiera eucaristica. L’invito del sacerdote avviene
con la seguente o con una simile formula: “ Pregate o fratelli (orate fratres ), perché il mio e
vostro sacrificio sia gradito a Dio Padre onnipotente”. L’assemblea risponde: “ Il Signore riceva
dalla tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua
santa chiesa”. Segue la preghiera sulle offerte fatta dal Sacerdote, cui l’assemblea risponde con :
“Amen”.
Nell’invito e nella risposta dei fedeli: “mio e vostro sacrificio”, “riceva dalle tue mani”,
vengono sottolineate sia la partecipazione dei fedeli al sacrificio, sia nella sua celebrazione la
funzione originale ed unica del sacerdote. I motivi della preghiera sulle offerte sono soprattutto
che i doni si trasformino in sacramento di salvezza, ci ottengano il premio della vita eterna, ci
santifichino e diventino principio di vita nuova.
Preghiera eucaristica
A questo punto ha inizio il momento centrale e culminante dell’intera celebrazione, la
Preghiera Eucaristica, ossia la preghiera di ringraziamento e di santificazione. Il Sacerdote invita
il popolo ad innalzare il cuore verso il Signore nella preghiera e nell’azione di grazia, e lo associa a
sé nella solenne orazione, che egli, a nome di tutta la comunità, rivolge a Dio Padre, per mezzo di
Gesù Cristo nello Spirito Santo. Il significato di questa preghiera è che tutta l’assemblea dei
fedeli si unisca insieme con Cristo nel magnificare le grandi opere di Dio e nell’offrire il sacrificio.
La P.E. esige che tutti l’ascoltino con riverenza e silenzio.
La denominazione, dal VI secolo fino all’ultima riforma liturgica, era “Canone”, termine che
deriva dal greco “kanon”, che significa “regola”, perché non erano consentite variazioni di sorta. Il
termine usato dai cristiani d’oriente e talora anche in occidente, è “Anafora”. Deriva dal greco
“anafero”, che significa “porto in alto, sollevo”, quindi “elevazione”.
In Oriente ogni chiesa ha la propria anafora. Ciò è spiegabile con il fatto che la liturgia si è
formata nelle diverse chiese. Dopo la riforma del secolo scorso, nel Messale sono state inserite
quattro preghiere eucaristiche.
La prima, detta anche “Canone romano”, ha una lunga storia, risalente ai primi
secoli, nella sua composizione hanno collaborato anche Ambrogio, Damaso, Leone Magno,
Gregorio Magno e fu diffuso nel mondo intero dai missionari; la seconda è la più breve ed è anche
antichissima, fu composta da Ippolito, vescovo dei primi secoli di una sconosciuta chiesa
orientale; la terza e la quarta sono composizioni recenti dei tempi della riforma liturgica
posteriore al Concilio Vaticano II, ne è autore il padre Cipriano Vagaggini, benedettino
dell’abbazia di S. Andrè presso Burges. In seguito sono state inserite nel Messale altre
preghiere eucaristiche: la quinta in quattro versioni diverse ( 5 a : Dio guida la Chiesa – 5 b
: Gesù nostra via - 5 c : Gesù modello della Chiesa - 5 d : La Chiesa in cammino verso l’unità )
; la Preghiera eucaristica della riconciliazione in due versioni (I : riconciliazione come
ritorno al Padre - II : riconciliazione fondamento di umana concordia); la Preghiera eucaristica
per la Messa dei fanciulli in tre versioni. Di tanti canoni i più utilizzati normalmente sono il 2°
nei giorni feriali e il 3° in quelli festivi. Gli elementi principali delle P.E si possono distinguere come segue:
Prefazio La preghiera eucaristica inizia col prefazio, termine proveniente dal latino, che significa
“dire prima”. E’ parte integrante della Preghiera eucaristica. Si apre con un augurio: “Il
Signore sia con voi”, cui l’assemblea, risponde: “E con il tuo spirito”, segue un
ringraziamento: “ Rendiamo grazie al Signore nostro Dio” e l’assemblea risponde : “E’ cosa
buona e giusta”, poi il sacerdote conferma il sentimento dei fedeli, quasi commentando: “E’
veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza rendere grazie sempre e in ogni
luogo a te, Signore…”. Quindi il sacerdote, a nome di tutto il popolo, glorifica Dio Padre e gli
rende grazie per tutta l’opera della salvezza o per qualche suo aspetto particolare, a seconda
della diversità del giorno, della festa o del tempo.
Nella storia i prefazi furono molto numerosi, fino a raggiungere in certi periodi il numero
di due-trecento, poi nel Messale di Pio V si ridussero a 11; nel nuovo Messale ne troviamo circa
novanta.
Santo
Il prefazio si conclude con un’acclamazione, sotto forma di breve inno, che risulta di due
parti: il “Santo” e il “Benedetto”. Il “Santo” riproduce quanto Isaia udì cantare dai Serafini
davanti al trono dell’Altissimo: “ Santo, Santo, Santo il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena
della sua gloria “ ( Is 6, 3 ). Il “Benedetto” richiama il grido della folla che accolse Gesù
nell’ingresso trionfale a Gerusalemme. “Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna
nel più alto dei cieli” ( Mt 21, 9 )”.
Epiclesi consacratoria
Dopo il Santo, e prima del racconto dell’istituzione dell’Eucaristia, la Chiesa si rivolge al
Padre come fonte della santità e implora con speciali invocazioni la potenza dello Spirito Santo,
perché i doni offerti dagli uomini siano consacrati, cioè diventino il Corpo e il Sangue di Cristo e
perché la vittima immacolata, che si riceverà nella Comunione, giovi per la salvezza di coloro che
vi partecipano. La terza preghiera eucaristica dice chiaramente: “ manda il tuo Spirito a santificare
i doni che ti offriamo, perché diventino il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo”. Questa parte della
Preghiera eucaristica è detta “epiclesi” di consacrazione, per distinguerla dall’epiclesi di
comunione. Epiclesi è una parola greca che significa invocazione, preghiera.
Mentre recita l’epiclesi il sacerdote compie due gesti: distende le mani sopra il pane e su
di esso traccia un segno di croce. L’imposizione delle mani, secondo alcuni richiama il gesto
ebraico di imporre le mani sopra l’animale destinato al sacrificio e indica che Gesù è colui che si
offre al Padre per la salvezza del mondo, secondo altri si rifà all’imposizione delle mani che
avviene anche nell’amministrazione di altri sacramenti: Battesimo, Cresima, Ordine, Penitenza. Il
segno di croce fu aggiunto dal Concilio di Trento e indica che l’Eucaristia è vero sacrificio di
Cristo, sebbene senza spargimento di sangue, a differenza di quanto è avvenuto sul Calvario;
questo segno è qui molto opportuno.
Racconto dell’istituzione-Consacrazione Il momento centrale della Messa è il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia da parte di
Gesù, nell’ultima cena. Il racconto inizia così: “ la vigilia della sua passione” (1° Canone );
“Egli, offrendosi liberamente alla sua passione” ( 2° canone ); “nella notte in cui fu tradito ( 3°
canone); “Egli, venuta l’ora di essere glorificato da te” ( 4° canone ) ….
Mediante le parole e i gesti di Gesù, si compie il sacrificio che Cristo stesso istituì
nell’ultima cena, quando offrì il suo Corpo e il suo Sangue sotto le specie del pane e del vino, li
diede a mangiare e a bere agli Apostoli e lasciò loro il mandato di perpetuare questo mistero. Le
parole della consacrazione sono riportate nella stessa forma in tutte le preghiere eucaristiche:
“Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi.”. “ Prendete
e bevetene tutti: questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per
voi e per tutti, in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me.” Dopo le parole sul pane, il sacerdote presenta l’ostia consacrata al popolo, la depone sulla
patena, genuflette e, dopo le parole sul vino, presenta al popolo il calice, lo depone sul corporale
e genuflette in adorazione. Queste elevazioni sono state introdotte quando il sacerdote recitava a
voce bassa le parole, con le spalle volte ai fedeli. Il segno fu mantenuto opportunamente nella
riforma fatta dopo il Vaticano II. La presentazione avviene perché si guardi con fede e ci si unisca
all’adorazione del sacerdote che la esprime anche con l’inchino e la genuflessione.
Nell’ultima riforma fu introdotta la proclamazione che fa a questo punto il sacerdote
dicendo “ Mistero della fede” e l’acclamazione del popolo fatta con la seguente o altra formula
simile: “Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione nell’attesa della tua
venuta”. Con questa acclamazione l’assemblea professa la sua fede nel Signore presente
veramente, realmente, personalmente, riconosce la presenza di colui che morì, risorse e ritornerà;
professa un credo in forma ridotta.
Anamnesi La preghiera eucaristica continua. Adempiendo il comando ricevuto dal Signore per mezzo
degli Apostoli, la Chiesa celebra il memoriale di Cristo, commemorando specialmente la sua
beata passione, la gloriosa risurrezione e l’ascensione al cielo. Si tratta di un ricordo, termine che
il greco indica con “anamnesi”.
Nel corso di questo memoriale, la Chiesa offre al Padre in rendimento di grazie, la
vittima immolata.
Epiclesi Poi viene invocato lo Spirito Santo per la comunione; questa preghiera è detta anche
“epiclesi (=preghiera ) di comunione; il terzo canone la esprime così: “ dona la pienezza dello
Spirito Santo, perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito”.
Intercessioni Seguono le intercessioni; con esse si esprime che l’Eucaristia viene celebrata con tutta la
chiesa, sia celeste che terrena e che l’offerta è fatta per essa e per tutti i suoi membri, vivi e defunti,
i quali sono stati chiamati a partecipare alla redenzione e alla salvezza ottenuta per mezzo del Corpo
e del Sangue di Cristo.
Le intercessioni non hanno nelle varie preghiere eucaristiche il medesimo ordine e
l’identica estensione. Nella terza, ad esempio, si prega per il mondo intero, per la Chiesa, per
il Papa, per il vescovo della diocesi, il collegio episcopale, il clero, il popolo e i fratelli defunti.
Il canone romano ha anche un’intercessione per i viventi, che possono essere nominati. Nella II e
nella III preghiera eucaristica si trova una preghiera per i partecipanti alla Messa (“di noi tutti
abbi misericordia” : 2° - “concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre” : 3° ).
Nel giorno delle esequie si può anche dire il nome del defunto.
Dossologia finale La Preghiera eucaristica si conclude con la seguente dossologia ( termine greco
che significa: “glorificazione” – “celebrazione”): “Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te Dio
Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli”,
detta o cantata dal sacerdote, cui il popolo risponde : “Amen”. Il sacerdote mentre canta o recita la
dossologia, eleva la patena con l’Ostia e il Calice e li presenta all’adorazione dell’Assemblea.
Riti di Comunione
Poiché la celebrazione eucaristica è un convito pasquale, conviene che, secondo il
comando del Signore, i fedeli ben disposti ricevano il suo Corpo e il suo Sangue come cibo
spirituale. A questo mirano i riti preparatori che dispongono immeditamente alla comunione. Essi
sono il Padre nostro, i riti della pace, e la frazione del pane.
Preghiera del Signore Nella preghiera del Signore si chiede il pane quotidiano, nel quale i cristiani scorgono
un particolare riferimento al pane eucaristico e si implora la purificazione dai peccati, così che
realmente i santi doni vengono dati ai santi. Il sacerdote rivolge l’invito alla preghiera, che tutti i
fedeli dicono insieme con lui. La collocazione del Padre nostro in questo punto della Messa, risale
al 600 ed è opera di Gregorio Magno; prima probabilmente era collocato al termine della
celebrazione.
Dopo il Pater, il Sacerdote recita una preghiera, chiamata “embolismo” ( il termine
proviene dal greco “en-ballein” = gettare dentro- inserimento ), che chiede per tutta la comunità
dei fedeli la liberazione dal potere del male e che sviluppa l’ultima domanda del Padre nostro
(“liberaci dal male” ); essa dice: “ Concedi la pace ai nostri giorni……vivremo sempre liberi dal
peccato e sicuri da ogni turbamento.” E’ un testo nella cui stesura ha contribuito San Gregorio
Magno. La risposta dell’assemblea: “: “ Tuo è il regno, tua la potenza e la gloria dei secoli” è stata
inclusa nell’ultima riforma liturgica, ma esisteva nella Liturgia orientale ed è rintracciabile nella
Didaché ( 70-90 dopo Cristo ) ; è l’invocazione per una pace ecumenica.
Segue una preghiera per la pace nella Chiesa, per la quale si chiede “unità e pace”.
S’intende la pace interiore della Chiesa in genere, del papa e del collegio episcopale, dei teologi e
del magistero della chiesa, dei laici e dei sacerdoti, della comunità unita per la celebrazione
eucaristica.
Rito della pace Si continua col tema della pace, ma il rito cambia. Il sacerdote allarga le braccia e
dice: “La pace del Signore sia sempre con voi”. Augura la pace alla comunità e le braccia
allargate manifestano questo augurio. La Chiesa implora la pace e l’unità per se stessa e per
l’intera famiglia umana.
A questo punto della Messa la riforma liturgica del secolo scorso ha introdotto un segno di
pace, perché i fedeli esprimano la comunione ecclesiale e l’amore universale, prima della
comunione sacramentale. In Italia consiste normalmente in una stretta di mano tra i fedeli e in
un abbraccio tra sacerdoti, ma in altre culture può essere un altro segno. Conviene che ciascuno dia
la pace a chi gli sta vicino in modo sobrio.
Frazione del pane Scambiata la pace, il sacerdote compie un rito importante, ma essendo
meno vistoso e accompagnato da un’invocazione fatta a bassa voce, per lo più non è percepito
dai fedeli. Egli spezza il pane eucaristico. E’ il gesto della frazione del pane compiuto da Cristo
nell’ultima cena, che fin dal tempo apostolico ha dato il nome a tutta l’azione eucaristica. Significa
che i molti fedeli, nella comunione dall’unico pane di vita, che è Cristo morto e risorto per la
salvezza del mondo, costituiscono un solo corpo ( 1 Cor 10, 167).
Nello spezzare il pane il sacerdote dice: “ Il Corpo e il Sangue di Cristo, siano per noi
cibo di vita eterna”, poi mette una parte dell’ostia nel calice, per significare l’unità del Corpo e del
Sangue di Cristo nell’opera della salvezza, cioè del Corpo di Cristo Gesù vivente e glorioso.
La frazione del pane è normalmente accompagnata dal canto o dalla recita dell’
“Agnello di Dio”. Le prime due invocazioni terminano con: “ abbi pietà di noi” e la terza, con:
“dona a noi la pace”.
Comunione Il sacerdote, dopo la frazione del pane e l’Agnello di Dio si prepara, con una
preghiera fatta a voce bassa e a mani giunte, a ricevere con frutto il Corpo e il Sangue del Signore.
Il Messale propone due preghiere a scelta: “ Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che per
volontà del Padre e con l’opera dello Spirito Santo, morendo hai dato la vita al mondo, per il santo
mistero del tuo Corpo e del tuo Sangue, liberami da ogni colpa e da ogni male, fa che sia sempre
fedele alla tua legge e non sia mai separato da te”; ” La comunione con il tuo Corpo e il tuo
Sangue, Signore Gesù Cristo, non diventi per me giudizio di condanna, ma per tua misericordia sia
difesa e rimedio dell’anima e del corpo”. Anche i fedeli fanno una preparazione immediata,
pregando in silenzio.
Quindi il sacerdote genuflette, prende l’ostia e la mostra ai fedeli, invitandoli al
banchetto eucaristico: “Beati gli invitati alla cena del Signore. Ecco l’Agnello di Dio che toglie i
peccati dal mondo”. E, insieme col popolo, esprime sentimenti di umiltà: “ O Signore, non son
degno di partecipare alla tua mensa, ma dì soltanto una parola e io sarò salvato”.
Il Presidente rivolto all’altare dice sottovoce: “Il Corpo di Cristo mi custodisca per
la vita eterna”. E con riverenza si comunica al Corpo di Cristo. Poi prende il calice e dice
sottovoce: “Il Sangue di Cristo mi custodisca per la vita eterna”. E con riverenza si comunica al
Sangue di Cristo. Prende poi la pisside e si porta verso i comunicandi. Nel presentare l’Ostia la
tiene alquanto sollevata e dice: “Il Corpo di Cristo”; il comunicando risponde: “Amen” e riceve la
comunione nella bocca o sulle mani. In alcune circostanze è consentito ricevere la comunione
sotto le due specie. Ciò si può fare bevendo al calice; in questo caso il comunicando, dopo aver
ricevuto il Corpo di Cristo, va dal ministro che dice: “ Il Sangue di Cristo” e risponde: “Amen”, poi
il ministro porge il calice che lo stesso comunicando accosta alle labbra con le sue mani, beve un
po’ dal calice, lo restituisce e si allontana; il ministro asterge con il purificatorio il labbro del
calice. La comunione sotto le due specie si può fare anche per intinzione; in questo caso il
comunicando, tenendo la patena sotto il mento, va dal sacerdote , che prende l’ostia, ne intinge una
parte nel calice e mostrandola dice: “Il Corpo e il Sangue di Cristo”, il comunicando risponde:
“Amen” , dal sacerdote riceve in bocca il Sacramento e poi si allontana.
Mentre il Sacerdote assume il sacramento inizia il canto di comunione, che deve essere
adatto alla circostanza e che si protrae durante la distribuzione del Sacramento ai fedeli. Se non ci
sono canti, un lettore o il sacerdote stesso recita l’antifona di comunione.
Terminata la distribuzione della comunione il sacerdote, o un altro ministro, asterge
la patena e il calice dicendo : “ Il Sacramento ricevuto con la bocca sia accolto con purezza nel
nostro spirito, o Signore e il dono a noi fatto nel tempo sia rimedio per la vita eterna”. Segue un
momento di silenzio in cui si medita sul grande dono ricevuto e si ringrazia l’Ospite divino.
Questo ringraziamento è certamente insufficiente, esso deve continuare dopo la Messa, nella vita.
Per completare la preghiera del popolo di Dio e per concludere il rito di comunione,
il sacerdote recita l’orazione dopo la comunione, nella quale invoca i frutti del mistero celebrato.
Il popolo fa sue le intenzione rispondendo: “Amen”.
RITI DI CONCLUSIONE
La preghiera dopo la comunione conclude l’azione eucaristica. Con Cristo nel
cuore e il ringraziamento al Padre abbiamo ottenuto tutto e tutto donato. L’assemblea può
sciogliersi e questo avviene dopo i riti di conclusione, che comprendono:
Brevi avvisi La Santa Messa è anche un momento importate d’incontro del sacerdote con i fedeli.
E’ naturale che egli approfitti dell’occasione per qualche comunicazione di carattere pastorale.
Gli avvisi naturalmente devono essere brevi.
Benedizione e saluto La benedizione, con cui si conclude la Messa , è preceduta dal saluto augurale: “Il Signore
sia con voi”, cui l’assemblea risponde : “E con il tuo spirito”, Viene impartita a braccia allargate,
quale segno di affezione con l’intenzione di abbracciare tutti, con un largo segno di croce e con la
formula: “Vi benedica Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo” , cui il popolo risponde:
“Amen”. In alcuni giorni e in certe circostanze si può arricchire con l’orazione sopra il popolo o
con un’altra forma più solenne.
Congedo del popolo L’ultima frase della Santa Messa è: “La Messa è finita, andate in pace”, che è la traduzione
dell’“Ite missa est “, antico invito proveniente dalla tradizione romana, che nell’ambito civile
serviva come formula conclusiva delle assemblee, specialmente parlamentari; fu presa e trasferita
nell’assemblea del popolo di Dio e fu impiegata quando si congedavano i catecumeni, poi fu
trasferita al termine della celebrazione eucaristica. E’ l’unica volta che nella celebrazione
eucaristica la Cena del Signore viene chiamata “Messa”, ma forse si tratta di una traduzione non
esatta, perché il termine latino “missa” indica piuttosto “missio”, ossia congedo e allora la
traduzione migliore sarebbe: “ Andate è ( il momento del ) congedo”. E’ un invito a rientrare
nella vita quotidiana. alle sue opere di bene, lodando e benedicendo Dio, con la pace apportata
dall’Eucaristia. All’invito del sacerdote, il popolo risponde: “ Rendiamo grazia a Dio”. All’invito
e alla risposta, nel periodo pasquale , si aggiunge : “Alleluia”.
Congedo del sacerdote Il sacerdote si congeda dall’altare baciandolo e facendo la riverenza alla croce e al
tabernacolo se questo è collocato nello spazio del presbiterio. L’altare rappresenta Cristo, in
quanto luogo del sacrificio consumato e del banchetto offerto, perciò il sacerdote come lo ha baciato
all’inizio, fa lo stesso nel congedarsi. Poi il sacerdote, e , se ci sono, gli altri ministri, che hanno
anche essi fatto un atto di riverenza all’altare e alla croce, tornano in sacrestia
L’assemblea si scioglie in maniera molto sobria. La pietà popolare ha aggiunto un
canto finale, segno di gioia, omaggio e ringraziamento, che si canta muovendosi.
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Redentionis sacramentum L.E.V. 2004
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