L’EDITORIALE€¦ · sandi et operandi è l’idea che il cittadino debba poi vedersela da sé,...

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APPROFONDIMENTO Adozioni dal seminario all’intervista In ricordo di Don Gallo La alternative al carcere News - 1 - L’EDITORIALE di Luigi Numis Gentili (e pazienti) lettori, il numero di LiberaMente che vi accingete a leg- gere è dedicato ad un tema sempre attuale, “la libertà”. Un argomento assai complesso e deli- cato, in tutti i tempi in cui l’umano pensiero ha cercato di darne una visione dalle differenti an- golature: teologica, teleologica, filosofica, poli- tica, scientifica. Nell’epoca contemporanea, oltre a tutte le va- rianti della materia e a tutti i risvolti legati alle contingenze dei costumi e del diritto in perenne trasformazione, nonché alle mode e agli stili di vita anch’essi in continuo movimento, due sono le concezioni fondamentali di libertà che hanno animato il dibattito politico/sociale e creato so- stanziali differenze di vedute e di prospettive: “li- bertà di” e “libertà da”. La prima forma di libertà, in estrema sintesi, pone l’accento e l’obiettivo soprattutto sulla li- bertà di fare e di prendere iniziative autonome nel campo dell’economia e del lavoro. Conse- guenza quasi inevitabile di questo modus pen- sandi et operandi è l’idea che il cittadino debba poi vedersela da sé, anche in altri settori e fac- cende della vita, ricorrendo sempre alla facoltà più importante che lo Stato o chi per esso gli mette a disposizione, la “libertà di” appunto. E quindi libertà di studiare nelle scuole e nelle uni- versità che si vuole, libertà di avere e professare idee e religioni diverse fra loro, libertà di lavorare autonomamente nei giorni e negli orari preferiti, libertà di arricchirsi e di possedere beni, libertà di scegliersi i fornitori dei servizi essenziali, libertà di essere sempre al centro di un mercato e di una potenziale scelta, anche per le prestazioni sociali e sanitarie. L’altra variante di libertà invece, la “li- bertà da”, si preoccupa soprattutto di liberare i cittadini dal bisogno e dall’indigenza, da modalità di vita e di lavoro ritenute eccessive e squalificanti per la dignità e le caratteristiche dell’uomo. Su tale differenza, fino a pochi decenni fa, si con- trapponevano i due blocchi militari che control- lavano e contendevano le sorti del mondo. Da una parte gli Stati Uniti con il loro sogno armato di libertà di, dall’altra l’Unione Sovietica con il suo socialismo totalitario di libertà da. Come è andata a finire la partita lo sappiamo tutti, ma VILLA DORA - Sede della Comunità Terapeutica dell’Associazione “La Casa sulla Roccia”

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APPROFONDIMENTO

Adozioni dalseminarioall’intervista

In ricordo diDon Gallo

La alternativeal carcere

News

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L’EDITORIALEdi Luigi Numis

Gentili (e pazienti) lettori,il numero di LiberaMente che vi accingete a leg-gere è dedicato ad un tema sempre attuale, “lalibertà”. Un argomento assai complesso e deli-cato, in tutti i tempi in cui l’umano pensiero hacercato di darne una visione dalle differenti an-golature: teologica, teleologica, filosofica, poli-tica, scientifica.Nell’epoca contemporanea, oltre a tutte le va-rianti della materia e a tutti i risvolti legati allecontingenze dei costumi e del diritto in perennetrasformazione, nonché alle mode e agli stili divita anch’essi in continuo movimento, due sonole concezioni fondamentali di libertà che hannoanimato il dibattito politico/sociale e creato so-stanziali differenze di vedute e di prospettive: “li-bertà di” e “libertà da”.La prima forma di libertà, in estrema sintesi,pone l’accento e l’obiettivo soprattutto sulla li-bertà di fare e di prendere iniziative autonome

nel campo dell’economia e del lavoro. Conse-guenza quasi inevitabile di questo modus pen-sandi et operandi è l’idea che il cittadino debbapoi vedersela da sé, anche in altri settori e fac-cende della vita, ricorrendo sempre alla facoltàpiù importante che lo Stato o chi per esso glimette a disposizione, la “libertà di” appunto. Equindi libertà di studiare nelle scuole e nelle uni-versità che si vuole, libertà di avere e professareidee e religioni diverse fra loro, libertà di lavorareautonomamente nei giorni e negli orari preferiti,libertà di arricchirsi e di possedere beni, libertàdi scegliersi i fornitori dei servizi essenziali, libertàdi essere sempre al centro di un mercato e di unapotenziale scelta, anche per le prestazioni socialie sanitarie. L’altra variante di libertà invece, la “li-bertà da”, si preoccupa soprattutto di liberare icittadini dal bisogno e dall’indigenza, da modalitàdi vita e di lavoro ritenute eccessive e squalificantiper la dignità e le caratteristiche dell’uomo.Su tale differenza, fino a pochi decenni fa, si con-trapponevano i due blocchi militari che control-lavano e contendevano le sorti del mondo. Dauna parte gli Stati Uniti con il loro sogno armatodi libertà di, dall’altra l’Unione Sovietica con ilsuo socialismo totalitario di libertà da. Come èandata a finire la partita lo sappiamo tutti, ma

VILLA DORA - Sede della Comunità Terapeutica dell’Associazione “La Casa sulla Roccia”

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non è questo l’elemento importante per lanostra discussione.E’ importante invece constatare come,oggi, tale netta divisione fra concetti e pra-tiche diverse di libertà risulti superata e nonpiù ideologizzata come nel recente passato.Infatti, dopo la fine dell’impero sovietico eil deciso cambiamento di impostazione eco-nomica della Cina (storico alleato del-l’Unione Sovietica), ad un primo periodo di(apparente) trionfo della libertà “americana”e dei suoi corollari, oggi segue un (necessa-rio) ritorno alla libertà “socialista” dal biso-gno e dalla povertà. Ovviamente taleritorno di fiamma è in gran parte favorito,persino negli “United States of freedom”,dalla crisi globale che da diversi anni sta ren-dendo il mondo occidentale sempre più po-vero, tenendo presente chel’espressione/contenitore “mondo occiden-tale” oggi comprende anche quello cheprima era definito e categorizzato comeorientale o asiatico. Seguendo questa linea

allora, solo quando tutto il mondo sarà “oc-cidentale” potremo dire di avere sconfitto lamiseria e la fame nera…Purtroppo man-cano ancora all’appello vastissime parti dimondo, forse in fase di “occidentalizza-zione” delle culture (che non sempre è unprogresso) ma non per questo vicine aglistandard e ai livelli di vita occidentali.Sicuramente, dopo tutte le vicende che sisono accavallate nell’ultimo secolo, l’evo-luto occidente europeo si sta incamminandosulla strada che porterebbe finalmente a co-niugare e integrare le due fondamentali vi-sioni di libertà di cui abbiamo detto.Almeno, gran parte degli intellettuali edell’opinione pubblica sembrerebbero decisiverso questa sperimentazione (che poi pro-prio sperimentazione non è). Da un lato di-verso e contrapposto, come ormai abbiamoimparato, vi sono organismi di governo so-vranazionale che proprio non vogliono sen-tir parlare di politiche economico/socialiimprontate alla “libertà da”, e, sfruttando

l’enorme potere economico di cui sono ri-cettatori, vogliono imporre e impongono atutti altre strade. Tuttavia, sull’impulso di di-sperazione e dell’istinto di sopravvivenzagenerati dalla crisi, e sulle ali delle nuove at-tese di libertà civili, i cittadini, le famiglie, ilavoratori, i popoli, i governi nazionali (ad-dirittura!) stanno facendo sentire la lorovoce e chiedendo più o meno esplicita-mente a tali entità una nuova sostanza di li-bertà: una flessibile libertà economicaancorata ad una solida libertà di protezionesociale e arricchita dalla garanzia dei diritticivili. Magari…Come spesso succede negliultimi anni, i governati sono costretti a det-tare la linea ai governanti.Venendo invece al nostro giornale, nelle pa-gine che seguono sarà possibile leggere ar-ticoli e pensieri dei nostri fluttuanti redattorirelativi a diverse sfumature della parola li-bertà in uso nella società che viviamo: dalcontesto familiare a quello più intimo e pri-vato, da quello politico a quello religioso, daquello artistico/musicale a quello filosofico.E ancora, dalle dinamiche di dipendenza edi liberazione dalla dipendenza all’attivitàsportiva, dalle problematiche più marcata-mente sociali e assistenziali fino a quelle digenere. Un consiglio, di parte ma nontroppo: leggeteli tutti.Un’ultima precisazione. Abbiamo pubbli-cato tre articoli collegati, pur in modo di-verso, all’adozione; non è una nostrafissazione né vuole essere una pubblicitàmartellante dell’associazione “La Maloca”che si occupa di adozioni internazionali. E’soltanto il risultato di un bel seminario te-nuto sull’argomento e di una piccolo difettodi comunicazione interna…Grazie. E piacevole lettura.

experience & support

La Casa sulla Roccia è un’ Associazione di Volontariato cheopera sul territorio come centro di solidarietà dal 1985. E’composta da un gruppo di soci volontari e da un’equipe dioperatori che offronoFar parte dell’Associazione significa voler essere al serviziodelle persone avendo a cuore il miglioramento della qualità

-miamo la responsabilità di operare in maniera trasparente aiu-tando la persona ad aiutarsi ed a raggiungere un maggiorebenessere.

Rione San Tommaso 85 - Avellino

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SPECIALE ADOZIONI

Seminario:Benvenutimamma e papà..Uno sguardo tecnicodi Annalisa Barone

Non è un caso che l’articolo abbia questa intestazione. “Benvenutimamma e papà” è il titolo del seminario che si è tenuto lo scorso3 maggio ad Avellino, presso la Biblioteca Comunale e che ha vistola partecipazione di operatori sociali, volontari, coppie di genitoriadottivi e quanti fossero interessati all’argomento dell’adozione in-ternazionale.

I relatori invitati sono stati la dott.ssa Santona Alessandra, ricerca-trice e docente dell’Università “Bicocca” di Milano, psicologa e psi-coterapeuta da molti anni impegnata nel settore delle adozioniinternazionali ed in particolare con gli adolescenti adottati, ladott.ssa Pina Pedicini assistente sociale, nonché responsabile del-l’ultima fase del programma terapeutico di Progetto Uomo, il Rein-serimento, e una coppia di genitori, Claudia Saccò e suo maritoStefano Rossolini, i quali hanno adottato due bambini colombiani,oggi adolescenti.Quello delle adozioni è un tema delicatissimo perché riguarda bam-bini che provengono da situazioni di abbandono o di separazionedalle famiglie di origine per trascuratezza, povertà, maltrattamentoo abuso. La separazione dai propri genitori biologici è certamenteuno degli eventi più dolorosi nella vita di un bambino, che condi-zionerà il suo futuro sviluppo emotivo e cognitivo. L’essere stati la-sciati provoca pensieri intensi relativi a sé stessi e al proprio valore(“Non sono degno d’amore”, “Nessuno mi vuole”, “Sono destinatoad essere abbandonato”) che influiranno profondamente sul benes-sere del soggetto, sui convincimenti relativi a sé, agli altri e almondo, e sulle future relazioni interpersonali. In aggiunta a questo,nel caso delle adozioni internazionali si è di fronte a bambini cheperdono anche il precedente contesto di vita, si separano dagli

odori e dai colori della loro terra, dai loro paesaggi, dal suono dellaloro lingua.Uno dei punti cruciali che la Dott.ssa Alessandra Santona, invitataproprio ad approfondire lo sviluppo cognitivo, psicologico ed af-fettivo del bambino abbandonato, ha messo in luce nel corso delseminario è stata l’azione “riparatrice della famiglia adottiva”, conla sua possibilità di sanare, ricucire, “trasformando una ferita almassimo in una cicatrice”. La letteratura sull’argomento, infatti,evidenzia che, se da un lato la separazione dai genitori biologici haimportanti conseguenze che investono l’ambito cognitivo, fisico,intellettivo, emotivo e relazionale, dall’altro la presenza di nuovefigure significative quali i genitori adottivi sembra avere un’influenzapositiva in termini di crescita fisica, sviluppo cognitivo, sviluppodella fiducia di base e modelli operativi interni sicuri. A questo pro-posito, è interessante notare come la famiglia adottiva vada educataa conoscere, accogliere e condividere emotivamente la storia delbambino, il bagaglio di sofferenza e di fatiche affrontati fino a quelmomento: “solo se il pregresso del bambino adottato diventa partedel tessuto dell’esperienza adottiva, pezzo sostanziale del destinodi essere figli da un lato e genitori dall’altro, l’adozione può consi-derarsi riuscita”.

A questo punto diventa chiaro come il ruolo principe in tutto que-sto sia svolto dalla relazione, basata su un ascolto sincero, su un’at-tenzione condivisa, su un’accoglienza autentica del vissuto dell’altro,su una comprensione dell’estraneità, dell’alterità. In proposito, laDott.ssa Giuseppina Pedicini fa uno straordinario parallelo tra ilcambiamento dentro la relazione che caratterizza sia la famigliaadottiva sia quella del soggetto dipendente: tale cambiamento haluogo come risultato di un faticoso percorso educativo, formativo,di supporto e accompagnamento che vede impegnati i principaliprotagonisti coinvolti. A seguito di tale percorso la relazione, daesclusivamente biologica o “di sangue”, molte volte impossibilitatao incapace di offrire aiuto e sostegno, si trasforma in “relazione af-fettiva, calda, contenitiva su cui i nostri ragazzi, così come i bambiniadottivi, potranno sempre contare come luogo di accoglienza au-tentica”.Infine, un contributo importante al seminario viene da Claudia eStefano, genitori adottivi, ma anche soci volontari del centro ado-zioni internazionali “La Maloca”. La loro esperienza consta di due

adozioni in Colombia, avvenute in momenti distinti, che hannoportato in Italia e nelle loro vite due meravigliosi ragazzi sedicenni,con pochi mesi di differenza l’uno dall’altra. I due fratelli, anche senon sono legati da legami biologici, sono la prova tangibile che alcentro del benessere individuale e/o familiare vi è la relazione: perpoter favorire l’inserimento in famiglia e iniziare a stabilire un con-

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COLOMBIA

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tatto è essenziale essere consapevoli delle difficoltà e dello statod’animo della persona che accogliamo. Come emerge dal raccontodi Claudia e Stefano, il bambino adottato ha bisogno di capirecome i genitori reagiscono ai suoi comportamenti e se assomiglianoalle figure di riferimento passate, in particolare si chiedono comereagiranno alle sue trasgressioni: ”Che cosa mi accade se combinodisastri? Intendono anche loro abbandonarmi? Mi considerano dav-vero loro figlio?”. Attorno a questi interrogativi si sviluppano leprime relazioni: solo il tempo e la disponibilità dei genitori permet-tono al bambino di rendersi conto che è possibile fidarsi e che c’èqualcuno in grado di contenere emozioni e reazioni, di affrontare ilpeso del suo passato, di sostenerlo in questo percorso.

In linea con questo, concludo con un concetto che è emerso nelcorso del seminario e che mi ha molto colpito: i bambini in generalee i bambini adottivi in particolare non desiderano genitori supere-roi, infallibili, perfetti, ma genitori che, come loro, hanno vissutodei momenti dolorosi, critici, e che sono in grado di accogliere ecomprendere le sofferenze dei figli perché per primi le hanno spe-rimentate su se stessi. Solo avendo accanto genitori capaci di af-frontare, discutere, confrontarsi con pensieri ed emozioni anchepenose ed infelici, con le fragilità, le incertezze, gli errori propridegli uomini, il bambino ha la possibilità di imparare, crescere estrutturare la propria identità nella maniera più adeguata possibile.

Intervista ad unacoppia di genitoriadottividi Laura Torelli

Quest’anno ho avuto il piacere di collaborare con l’ufficio “AdozioniInternazionali e Consulenza Familiare - La Maloca” presso La Casasulla Roccia. In questi mesi ho constatato la mole di lavoro che c’èdietro un percorso di adozione internazionale, ma la cosa che mispinge ancora oggi a collaborare con lo stesso ufficio è la compli-cità e l’unione che ci sono tra l’ufficio e le coppie. Pochi giorni faho vissuto un momento davvero emozionante, ossia l’arrivo di trefratellini colombiani di cui due gemelli. Un momento magico chenon scorderò. La gioia della coppia, l’esplosione dei bambini cu-riosi di tutto ciò che li circondava, gli occhi dei coniugi amorevoli

e felici d’intraprendere una nuova vita da genitori. E allora mi sonochiesta se genitori non si nasce ma si diventa in un percorso dieducazione permanente che accompagna la crescita dei bambini.Ho sempre più la percezione che chi adotta ha un quid in più, hala voglia di mettersi in gioco, la consapevolezza che esser genitorinon significa essere onnipotenti ma significa sbagliare e adattarsi,rimodularsi a seconda delle fasi di crescita dei bambini. Una con-sapevolezza che i genitori naturali acquisiscono con il tempo e ne-anche completamente. E che a volte non condividono.Allora mi sono chiesta: ma venti anni fa com’era il processo adot-tivo? I genitori erano preparati come oggi all’adozione? Avevanouna libertà di scelta o pur di diventare genitori optavano per ado-zioni internazionali? Sulla base di questi interrogativi personali hointervistato due amici di famiglia che 20 anni fa adottarono duebambine bulgare. Sostanzialmente alle domande ha risposto la mo-glie, sotto lo sguardo attento del marito.

Io mi chiamo A. , sono diplomata al magistrale e insegno pressole scuola primaria di Mercogliano. Mentre mio marito G. ha un di-ploma tecnico ed è impiegato presso le ferrovie dello stato nell’uf-ficio “Ingegneria e Tecnologie”. Ci siamo sposati nel 1984.

E’ stata una scelta condivisa dalla coppia?Dopo il primo anno di matrimonio provammo ad avere figli e sic-come non arrivavano decidemmo di andare a fondo. Dopo unaserie di indagini scoprimmo che mio marito aveva la varicocele. Aseguito di questa notizia il dottore mi consigliò di seguire altrestrade per avere figli. Così optammo per la FIVET (Fertilizzazionein Vitro con Embryo Transfer), ma dopo aver fatto tre tentativi vanidecidemmo di avviare le pratiche per l’adozione internazionale.Ero stanca dei diversi tentativi fatti, dei medicinali e della cadenzacon la quale dovevo assumerli, tutto ciò mi procurava ansia e stress.Così decidemmo, dopo 8 anni di matrimonio, di intraprendere ilpercorso adottivo, e da subito ci orientammo per l’adozione in-ternazionale.

Sapevo bene che per adottare un bambino italiano occorrevanoanni e anni, noi avevamo il desiderio di adottare un bambino chene avesse veramente bisogno. Il motivo scatenante era di dare

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amore a chi ne era privo.

Si, eravamo pienamente complici anche in questo percorso. Ri-tengo che sia fondamentale la volontà e l’unione di entrambi perintraprendere il percorso adottivo.

Andammo al Tribunale per i minori di Napoli, facemmo dei colloquicon delle psicologhe, vennero da noi delle assistenti sociali per lavisita domiciliare di rito e successivamente per degli incontri men-sili, mi ricordo che una di loro si chiamava Vanda. Poi, dopo circaun anno, abbiamo ottenuto il decreto di idoneità per uno o piùbambini. Devo dire che subito ci orientammo per due femminucce.Una volta avuto il decreto, dopo pochi giorni accadde una cosadavvero strana.

Mi chiamarono dalla clinica Malzoni, penso fosse un’ostetrica, chie-

dendomi se avessi fatto richiesta di adozione. Alla mia risposta af-fermativa mi informarono che da loro c’era un bambino disponi-bile…Io ero completamente esterrefatta dall’accaduto, macomunque decidemmo di andare alla clinica. Una volta lì sco-primmo che c’era un neonato affetto da sindrome Down. Spaven-tati, non sapevamo cosa fare. Io dissi al personale della clinica cheinnanzitutto mi sembrava una pratica anomala, e che poi noi era-vamo orientati per una adozione internazionale.

Un giorno mio marito incontrò causalmente un vecchio amico diBaiano, il quale aveva adottato due bambine bulgare. Così quandotornò a casa mi raccontò tutto e mi chiese se volevamo incontrarloper avere spiegazioni in merito all’adozione in Bulgaria. E cosi fu.Questo amico conosceva un prete che attraverso un’avvocatessarese possibile le adozioni delle bambine. Era l’avvocatessa a svol-gere le pratiche burocratiche e tutto il resto. Questo accadde adottobre, a fine novembre del 1994 avemmo la fortuna d’incontrare

l’avvocatessa e decidemmo cosi definitivamente per la Bulgaria. Agennaio del 1995 fummo contattati dalla stessa perché c’era la di-sponibilità per una bambina di 4 anni. Accettammo subito, e cosìincominciò tutto…

Verso la fine di gennaio ci recammo in Bulgaria, ad accoglierci c’eral’avvocatessa e il prete con i quali subito andammo in orfanotrofio.Mi ricordo che la struttura era veramente malandata. Rimasi im-pallidita nel vedere tutte quelle bambine. L’orfanotrofio era divisoin sezioni, da 0 a 3 anni e da 3 a 12 anni. La prima visita fu unpo’ strana perché non guardavo solo mia figlia ma tutte quelle bam-bine, così con il benestare della direttrice dell’istituto decidemmodi fare una festa con tutti i bambini e gli offrimmo il pranzo. Nondimenticherò mai la gioia di quei bambini, lo stupore nel mangiaretutta quella roba, ossia un primo e un secondo… Il dolce poi nonsapevano neanche mangiarlo, erano gelati .

L’incontro con Mariana fu pieno di emozioni, me ne innamorai su-bito, i suoi occhi e i suoi capelli era splendidi. Ma dopo averla in-contrata per ben tre volte in una settimana avemmo l’occasione dipassare del tempo con lei e facemmo, per così dire, una gita nellasua città. Il rientro fu terribile…Ma così imponeva la burocrazia. Civoleva ancora qualche mese per ultimare l’adozione. Infatti noi an-dammo a trovarla ben tre volte, di nostra iniziativa e sempre conl’appoggio del prete e dell’avvocatessa. Finalmente, nell’agosto del1995 Mariana arrivò in Italia. Successivamente siamo tornati an-cora una volta in Bulgaria per firmare gli ultimi documenti.

Si, ma con il tempo mi resi conto che tutto ciò che regalavamo,abiti e giocattoli, andava ai figli della direttrice e non potevamofarci nulla.

Quando adottammo Maria chiesi alla direttrice delle sue origini, emi fu detto che era la tredicesima di quattordici figli. Mi fu dettoanche che la sorellina di pochi mesi si trovava in orfanotrofio e cheal compimento del primo anno d’età sarebbe stata dichiarata adot-tabile. Al che ci rendemmo subito disponibili ad accogliere ancheAngelica. D’accordo con l’avvocatessa e la direttrice dell’istitutoavviammo le pratiche per la seconda adozione.

Mah…Lì c’era tanta miseria, fame, degrado. Credo che le sorellinefossero state abbandonate per povertà, per mancanza di soldi,erano 14 fratelli…Inoltre so che per dichiararli in stato d’adozionescrivevano nel libretto sanitario dei bambini patologie false o ingi-gantivano malattie banali.

Come al solito, una volta arrivati in Bulgaria ci siamo incontrati

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con il prete e l’avvocatessa che si prese l’impegno di occuparsi ditutta la parte burocratica della faccenda. Noi nel frattempo trascor-remmo circa dieci giorni con Maria. Ricordo la prima sera comefosse oggi. Eravamo impauriti, la bambina ovviamente parlava soloil bulgaro, infatti chiesi all’avvocatessa di dormire con noi la primanotte. Fu una settimana infernale, ricordo la prima notte: Marianon volle mettersi il pigiamino, secondo me non sapeva cosa fosse.Dormì vestita, con il soprabito, in un angolino del letto. Durante lanotte ebbe una crisi di pianto per un’ora, mi sentivo male e nonsapevamo cosa fare. Dalle ripetute visite in istituto ho sempre avuto

l’impressione che Maria da subito mi percepì come la sua mamma,quindi non si spiegava perché non l’avessi portata via da lì prima.E per questo aveva paura che la lasciassimo di nuovo. Una voltaarrivati in Italia tutto andò per il meglio.

Per Angelica la parte burocratica fu molto più veloce, il nostro de-creto d’idoneità infatti aveva durata di cinque anni. Appena fu di-chiarata in stato d’adottabilità avviammo tutte le pratiche e nel1996 arrivò in Italia.

In Bulgaria si recò solo mio marito, io e Maria rimanemmo in Italia.La bimba era piccola per viaggiare e ancora tanto fragile. Mio ma-rito stette in Bulgaria un ventina di giorni, con la bambina in un al-bergo per tutto il periodo. E perse più di cinque chili…Quandoarrivarono in Italia Angelica vedeva sempre come punto di riferi-mento mio marito, e io iniziai a cambiarle il pannolino solo dopocinque sei mesi dal suo arrivo. Maria l’accolse subito, abituata d'al-tronde a condividere tutto con gli altri, era un po’ gelosa ma nientedi che.

Siiii…Lei rispetto ad Angelica ha dei ricordi, un piccolo vissuto cheancora oggi le fa dire che odia la Bulgaria. Mi raccontò che dormi-vano in delle camerate e che in ogni culla c’erano due bambini. Eche se uno dei due faceva la pipì si doveva continuare a dormire.Ricorda il silenzio di quelle camerate, il buio.Avete avuto difficoltà relative all’integrazione familiare e sociale?Le bambine si sono da subito alleate tra loro. Da subito abbiamo

fatto una famiglia. Scolasticamente solo Maria ha avuto dei pro-blemi con la lingua, per il resto hanno avuto problemi comuni atutti i bambini. In realtà chi mi ha fatto domande rispetto ai genitorie alle sue origini è stata Angelica, la più piccola. E ancora oggi ècuriosa.

No, non ce n’è stato bisogno. Ripeto, si sono inserite subito. Mariaa luglio si laurea presso l’Accademia delle Belle Arti di Roma in“Grafica editoriale”, mentre la più piccola Angelica frequenta l’ul-

timo anno del liceo artistico e quest’anno conseguirà anche il di-ploma di danza.

Per Maria ci sono voluti nel 1994 15 milioni, mentre per Angelica13 milioni.

Che è un percorso lungo, faticoso e meraviglioso. Ritengo cheprima di avviarsi verso l’adozione si debba avere una piena consa-pevolezza della situazione e si debba entrare nell’ottica di donare,di aiutare dei bambini che ne hanno bisogno, in una convinzionecomune con il partner. Uniti. Lo rifarei, oggi siamo una famigliasolida e felice, non finirò mai di ringraziare tutte quelle persone chehanno reso possibile tutto questo. Un’altra cosa: oggi Maria ed An-gelica hanno deciso di adottare due bambini a distanza, così ab-biamo una bambina filippina, Marika, e un maschietto indiano dinome Jojhua. Questo per me è bellissimo, lo farò sempre perchéper noi la solidarietà è una regola di vita.

Dopo una chiacchierata del genere non avevo più molte parole,avevo solo la certezza di aver parlato con delle persone speciali,una coppia unita e solida che ha fatto dell’amore la ragione di vita.Una famiglia dalla quale traspare a chiare linee la semplicità, lagioia nel fare le cose, anche le più semplici, ma soprattutto la tran-quillità nell’affrontare problemi, ansie, gioie e dolori delle loro ra-gazze. Oggi sono stata fortunata, porterò e farò tesoro di questaesperienza.

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Nella vita di tutti i giorni la tua famiglia può incontrare diverse difficoltà chenon sempre è facile superare da soli. Il nostro lavoro è quello di ascoltarti,aiutarti a comprendere e, se vuoi, risolvere insieme i tuoi problemi familiari.Chiamaci, anche solo per un cosiglio o un ascolto. Siamo qui per questo, gra-tuitamente.

la casa sulla roccia | rione san tommaso 85, [email protected] / www.lacasasullaroccia.it

Per appuntamenti contattare la segreteria dell’Associazione tutti i giorni ferialidal lunedì al venerdì dalle 9,00 alle 13,00 e dalle 15,00 alle 17,00.

[email protected] - http://www.lacasasullaroccia.it

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Perché larivoluzione delconcilio è mortaIntervista a don Gallo a cura di LucaKocci, in “la Repubblica” del 4 ottobre2012

Prete di strada, parroco dei centri sociali, l’immancabile prete co-munista: si sprecano le definizioni utilizzate dai media per descri-vere don Andrea Gallo, il sacerdote genovese della Comunità diSan Benedetto al Porto. Spesso, però, ne manca una e don Galloci tiene a ricordarlo: «Io sono un prete del Concilio». Un prete checontinua a sognare «una Chiesa povera e dei poveri», come vuoleil Vangelo, come sperava il Concilio. «Oggi la Chiesa non riflettepiù su se stessa, perché è sazia e ha assunto nella società un ruolodominante e una posizione di potere. La curia romana e le gerar-chie ecclesiastiche lo sanno, ma tacciono. In questo modo laChiesa abbandona la profezia e dimentica la forza eversiva del Van-

gelo».Non si mette più in discussione perché la tentazione del potere haavuto la meglio?Esatto. E così il Concilio, che è stato una “rivoluzione copernicana”,dopo cinquant’anni, è morto.Sarà possibile riportarlo in vita?Quella della Chiesa è una crisi di sistema, strutturale. Per risolverlaci vorrebbe una risposta teologica, invece si preferisce organizzarei raduni di massa, i pellegrinaggi, le offensive mediatiche, che peròsono solo fumo negli occhi, perché la crisi rimane intatta. L’unicasperanza per salvare la Chiesa sono il popolo di Dio e i cattolici dibase. Lo ha scritto Hans Küng nel suo ultimo libro Salviamo laChiesa, il grande teologo a cui Wojtyla ha proibito di insegnarenelle università cattoliche (...).Di chi sono le maggiori responsabi-lità? Chi ha affossato il Concilio e addomesticato la forza eversiva

del Vangelo?Le responsabilità sono di tutti i cattolici, ma è ovvio che bisognapartire dall’alto, ovvero dalla gerarchia ecclesiastica. Ai tempi delConcilio avevo un amico che stava a Roma e che era molto vicinoa Roncalli. E Roncalli un giorno gli confessò: sai perché non spingotroppo l’acceleratore per le riforme? Perché questi venerabili uominidella curia romana si rivolterebbero a tal punto che, dopo di me,eleggerebbero come mio successore un uomo che affosserebbetutto quello che ho cominciato. Ecco di chi sono le responsabilità.

Pare che la “profezia” di Roncalli si sia avverata…Completamente. Già Paolo VI, successore di Giovanni XXIII, fecequalche passo indietro, ad esempio con l’enciclica Humanae vitae,quella contro la pillola. Con Wojtyla è iniziata la vera e propria re-staurazione. Ha decapitato la teologia dellaliberazione, che invece aveva pienamente abbracciato il Concilio(...). E poi è arrivato Ratzinger... È la struttura ecclesiastica ad es-sere seriamente malata, e la causa della malattia è il sistema di go-verno romano, che si è affermato nel corso del secondo millenniograzie soprattutto alla riforma gregoriana che ha concentrato tuttii poteri nelle mani del papa e della curia, e che ancora resiste. Maquesto è un vero e proprio scisma, il più grave di quelli che laChiesa ha conosciuto.Uno scisma?Esattamente. Nella storia della Chiesa ci sono stati tre scismi. Ilprimo nel secolo XI secolo, con la divisione fra Chiesa d’Occidentee Chiesa d’Oriente; il secondo nel XVI secolo, con Lutero e la se-

parazione fra cattolici e protestanti; il terzo nei secoli XVIII e XIX,tra il cattolicesimo romano e il mondo moderno. Il Concilio Vati-cano II aveva tentato di ricomporre questo scisma, perché la Chiesaera ancora quella della Controriforma, nemica della modernità.Benché il suo pontificato sia durato meno di cinque anni, GiovanniXXIII era riuscito ad aprire le finestre della Chiesa sul mondo, no-nostante la forte resistenza della curia, e a indicarle, con il Concilio,la via del rinnovamento e dell’aggiornamento, in direzione di unannuncio del Vangelo al passo con i tempi, di un’intesa con le altreChiese cristiane, di un’apertura nei confronti delle altre religioni, acominciare dall’ebraismo, di una riconciliazione con la democrazia.Questa finestra però è stata immediatamente richiusa dalla mac-china della curia, che ha fatto di tutto per tener sotto controllo ilConcilio, e così lo scisma si è riaperto. Papa Giovanni è mortotroppo presto, e il sistema romano ha vinto. E comanda soprattutto

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oggi che siamo tornati indietro a una Chiesa preconciliare. (...)Però c’è una parte di Chiesa e molte organizzazioni cattoliche cheaiutano i poveri…È vero, ma bisogna fare molta attenzione. La gerarchia ecclesiasticae alcuni settori del mondo cattolico propongono una solidarietà cheha degli aspetti positivi ma che si limita all’assistenzialismo. Lastrada da percorrere, invece, è quella della solidarietà liberatrice,che mette in discussione il neoliberismo. La Chiesa non ha ancorafatto una scelta chiara e netta. Ma Se la Chiesa vuole essere cat-tolica, deve essere cristiana, se vuole essere cristiana deve esserepovera, altrimenti sarà un apparato che governa nel mondo, manon è certo l’ecclesia di Gesù. Io, comunque, continuo a speraree a sognare….

Cosa?… Un Concilio Vaticano III, con al centro tre temi: la povertà dellaChiesa, l’abolizione del celibato obbligatorio, il sacerdozio femmi-nile.

L’ABECEDAR IODELLA COPPIA:“R” COMERESPONSABILITA’di Maria LombardiLa parola responsabilità è l’arma bianca di tutti i rapporti di coppiae ha una doppia accezione e un duplice utilizzo.

È uno dei primi concetti espressi nel momento in cui due personematurano l’idea di un matrimonio o di una convivenza, o come sisuol dire di “passare il resto della propria vita insieme”.Si decide volontariamente di farsi carico di un’altra persona e dimantenere gli impegni concordati.Quando la coppia vive il momento felice dei primi tempi, e ancoranon sono nati problemi e incomprensioni, la parola responsabilitàdiventa sinonimo di “merito” e viene usata nella sua accezione po-sitiva.Classica è l’espressione “è merito mio se oggi stiamo insieme”,molto frequente soprattutto quando una coppia si relaziona conaltre persone, quando si presenta e dichiara nella società e nelgruppo.In questo caso il concetto di responsabilità viene usato come affer-mazione di essere coscienti e consapevoli di aver fatto una scelta

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e di assumersi tutti gli oneri e gli onori.Quando la coppia, invece, comincia a vacillare e iniziano le incom-prensioni, i problemi, e molto spesso la chiusura, la responsabilitàdiventa sinonimo di “colpa”, ed è la prima parola da sfoderare pergiustificare la rottura.In tal caso la frase classica e più frequentemente usata è “tu non tisei assunto le tue responsabilità”.Per spiegare le motivazioni che hanno portato all’allontanamentosi utilizza un solo aggettivo rispetto all’altra persona: irresponsa-bile.Improvvisamente “responsabilità” diventa la parola chiave e ne so-stituisce altre, usate in precedenza, come amore, affetto, stima, fi-ducia, e se ne abusa l’utilizzo in qualsiasi discorso e in ambitidiversi. Si usa nelle discussioni tra le mura domestiche, si usa neicorridoi dei tribunali, si usa durante il caffè con l’amico del mo-mento per spiegare il nostro punto di vista, si usa con i colleghi sulposto di lavoro, si usa addirittura quando si racconta la nostra storiaalla cassiera del supermercato mentre ci sta facendo il conto.Diventa la nostra arma e il nostro alibi. Ci rifugiamo nel concettodi responsabilità e usare questa parola diventa il modo per far ca-pire subito che noi ci siamo impegnati nel rapporto di coppia, mal’altro non lo ha fatto.Vari poi ne sono gli utilizzi. Diventa oggetto di responsabilità qual-siasi cosa, anche quelle che non avremmo mai pensato. Scopriamo,in base a ciò che l’altro ci rinfaccia, che era nostra responsabilitànon solo mantenere fede a degli accordi relativi ad una responsa-bilità di tipo morale, ma anche: raccogliere la posta nella buca dellelettere, portare fuori il cane, portare giù l’immondizia, innaffiare il

prato, sciacquare il bicchiere eccetera eccetera. E sono queste lefrasi che più frequentemente gli “addetti ai lavori” si sentono direquando ci si trova di fronte due persone che fanno terapia di cop-pia.Sono sempre, tutte, giustificazioni. E sono il dito dietro al quale na-scondersi.In realtà, quello che si cela dietro quelle parole è ben altro e solita-mente il concetto di responsabilità si aggancia ad altri concetti, al-trettanto importanti.Ciò che emerge è che i partner iniziano a non assumersi le loro re-sponsabilità nel momento in cui non ci si sente più accolti e amatidall’altra persona. Le responsabilità e i compiti che erano stati con-cordati non interessano più, non vale più la pena rispettarli. Ciòsimboleggia la mancanza di interesse nei confronti dell’altro e ingenerale del rapporto di coppia.Se inizialmente la responsabilità consisteva nella volontà di farsicarico dell’altro e di prendersene cura, l’irresponsabilità è la dichia-razione di non aver più voglia di farlo. Molto spesso, infatti, i par-tner cominciano a farsi ciò che apparentemente sembrano dei“dispettucci”, in realtà bisogna leggere cosa ci sia dietro e cosa quei“dispettucci” rappresentino. Solitamente chi è coinvolto in prima

persona non ha la lucidità per farlo, e riuscire a fargli ammettere ladebolezza è il primo passo per poter ripristinare una comunica-zione matura e sensata tra i partner.Alle volte si scopre che gli atti di irresponsabilità sono la confermadella fine di un rapporto e si giunge ad una rottura. Altre volte, in-vece, rappresentano semplicemente delle incomprensioni che perstanchezza, per routine, per mancanza di dialogo si possono veri-ficare ma che, risolte, rendono la coppia più forte.In teoria, la soluzione è a monte ed è costituita da un’efficace co-municazione e soprattutto dall’onestà quando si stabiliscono i ca-pisaldi di un rapporto.Poi la pratica, come sempre, è tutt’altra cosa.Chi lavora con una coppia sa di trovarsi di fronte ad un sistema, eche tale sistema ha perso la propria stabilità e utilizza, invece, falsiequilibratori. Volendo tradurre il concetto dallo psicologesco aduna lingua comprensibile a tutti, ciò significa che la coppia “scop-piata” inizia ad adottare comportamenti sbagliati, bislacchi pur dimantenere una certa stabilità. Molto spesso, infatti, i partner, purdi non litigare in continuazione (e per evitare che i vicini di casavadano a bussare alla loro porta un giorno si e l’altro pure), smet-tono di comunicare, arrivando addirittura al punto di non rivolgersipiù la parola. Questo è il trampolino di lancio per la caduta nelvuoto. E si tratta, a questo punto, di tentare di riempire dei vuoti.Frequentemente ciò viene fatto iniziando a sostituire l’altra personacon altre figure, nella migliore delle ipotesi con un amante. Allorainizia la discesa in atti sempre più irresponsabili, fatti consciamenteo inconsciamente per attaccare l’altra persona.Il consulente, il mediatore o il terapeuta, utilizzando i trucchi del

mestiere cerca di capire innanzitutto se tra i partner c’è ancoraqualcosa e se ci sono risorse, personali o di coppia, sulle qualipoter lavorare. In particolare, usando spesso la lente di ingrandi-mento, si ricerca l’elemento più importante, la “motivazione”, ov-vero, sempre traducendo dallo psicologesco, il reale interesse avoler ricostruire.Lo scoglio più grande è il recupero della comunicazione. Inizial-mente sembra di assistere, in alcuni casi, ad una rissa davanti adun bar malfamato dei bassifondi, nella maggior parte dei casi aduna competizione sportiva. I due giocatori cercano di ottenere unpodio immaginario agli occhi di chi sta loro di fronte. Tutto questosembrerebbe una cosa sbagliata, ma ad ogni modo è comunica-zione, è espressione del proprio disagio ed è la maniera in cui ipartner ricominciano a “giocare” insieme. A questo gioco, però,vanno applicate delle regole da rispettare. E’ proprio dall’esserecapaci di farlo e, soprattutto, dal volerlo fare, che si ricomincia. Siristabilisce tutto e si riparte dalle cose basilari. Ed è a questo puntoche ritorna di nuovo la parola magica “responsabilità”, reinterpre-tata in maniera più matura e rivista sotto un’altra luce, non piùquella accecante del dover fare, ma quella del faro che illumina lanotte per non farci perdere più la rotta.

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Editore, Tecniche Nuove

Dalla prima edizione di questo libro, la com-prensione dell’onnipresenza del giudice in-teriore, sia personale che come “grandefratello” collettivo, si è diffusa enormemente.Sembra ormai una cosa quasi accettata uni-versalmente la presenza di questa strutturainterna di controllo e gli effetti a dir pocoambivalenti che essa produce. Il libro spiegachiaramente che non è sufficiente capire in-

tellettualmente la portata degli effetti limitanti e distruttivi del giudiceinteriore, ma come sia assolutamente necessaria una pratica costanted’attenzione nella vita d’ogni giorno. Questo significa imparare a rico-noscere le emozioni e i sentimenti legati all’attività di giudizio, le tensionifisiche che l’accompagnano, le paure e il senso di colpa. Significa anchecambiare i propri comportamenti in modo da cominciare a sostenereuna visione e una pratica basata non sul conflitto e la divisione ma sucooperazione, solidarietà e riconoscimento profondo.

Editore, Feltrinelli

Dall'infanzia nelle campagne del Transkeialle township di Johannesburg, dalla primamilitanza nell'Anc, attraverso ventisetteanni di carcere, al Premio Nobel per lapace e alla presidenza del suo paese. Illungo cammino verso la libertà di NelsonMandela è il lungo cammino verso la li-bertà politica e la conquista di un valore ir-

riducibile: la dignità dell'essere umano.

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l’APPROFONDIMENTOx

CATTIVE PRATICHEDI DEMOCRAZIARAPPRESENTATIVAElezioni amministrative e libertà divoto.

di Enza Petruzziello

In un periodo in cui tutto costa caro, anche la libertà di voto diventa unlusso. E già, perché se la nostra Costituzione sancisce chiaramente che ilvoto è libero, la realtà dei fatti è un tantino diversa. Certo quando votiamo,nascosti dietro quella tendina, siamo solo noi a decidere a chi dare la no-stra preferenza. Ma le pressioni che riceviamo da questo o quell’altro can-didato, da questo o quell’altro amico, o peggio da questo o quell’altrofamiliare, non permettono di votare proprio in libertà. Quella libertà che ti

consente di dire “ho votato per me”.Lo dimostrano le ultime elezioni amministrative della nostra città (Avellino).Ben 650 avellinesi hanno deciso di candidarsi. Chi perché la politica l’hasempre fatta e ci crede veramente, chi semplicemente per riempire una listaa sostegno del candidato sindaco, chi per gioco: un Risiko trasformatosi inuna guerra all’ultimo voto. Si è calcolato che ad Avellino ci fosse un candidatoogni settanta persone. E per una città che conta 60.000 abitanti questo si-gnifica che tra i 650 candidati qualcuno inevitabilmente rientrasse nel propriogiro di “amicizie”. È partita così una caccia al voto. Richieste a destra emanca. Telefonate. Messaggi. Post sui social network. Allusioni. Abbiamoperfino dovuto ascoltare promesse di posti di lavoro. Ancora!Così quella libertà di voto prevista dall’articolo 48 della Costituzione italianaha iniziato ad incrinarsi. Come fai a non votare tuo fratello, tuo cugino, tuozio? Come fai a dire no al tuo datore di lavoro che in un momento di crisi ge-neralizzata ti offre l’opportunità di lavorare? E poi c’è il vicino di casa semprecosì disponibile. In fondo ti chiede solo di scrivere il suo nome e cognome.Come puoi negare loro la tua preferenza? E che importa se il loro partito ole loro idee politiche non ti rappresentano?...In effetti concretamente potremmo decidere di testa nostra. Ma esistono icontrolli. All’usanza comune di chiedere il voto, infatti, ne consegue un’altra:verificare se quei voti risultino effettivamente dati.Il giorno dopo lo spoglio abbiamo assistito a dei drammi familiari in stile Be-autiful. Per dei voti non trovati i parenti si sono trasformati in serpenti, gliamici in nemici, i vicini in lontani. Qualcuno ha vinto, qualcun altro non cel’ha fatta. A perdere però è stata la democrazia, e quella libertà di voto ne-gata.

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Tutti mi dicono che sono troppo vecchioper trovarmi qui. Mi dicono che a novan-t'anni stare accovacciato ai piedi di un al-bero, all'alba, durante una tempesta dipolvere, non sia il massimo per la salute.Ma che devo farci... Io qui ci sono cresciuto,questo è il mio piccolo pezzo di terra, colti-vato a trifoglio, ormai, perché il granturcoè troppo faticoso per me. No, non per l'età,ma perché non sono mai stato troppo in-namorato della terra, del zappare-seminare-sarchiare-mietere di routine, sempre uguale,sempreugualesempre. E quando è arrivatala siccità, quando i nugoli di polvere gioca-vano all'acchiapparello nei campi semprepiù scarni, ho abbandonato il granturco e

convertito tutto in trifoglio.Perché a me piace suonare. E tutti mi co-noscono appunto per questo. Nessuno michiama più solo per nome; per tutti io sonoe sarò sempre Fiddler Jones, cioè Jones ilviolinista. E devo dire che mi piace davverotanto il mio nome, perché è ciò che sono,che sono stato, e che, bontà divina permet-tendo, sarò.Mica è stato facile esserlo, però. Quandoero uno sbarbatello, all'epoca del vigore edell'entusiasmo, mi dovevo sorbire CooneyPotter, che, sbronzo di sole e fatica, cercavadi convincermi di quanto era bello coltivareil granturco, quanto era stupendo il gran-turco, di quanto sicuro introito fosse il gran-turco, e di come avrei dovuto prendere altraterra da coltivare, perché si stava avvici-nando un periodo di siccità mai visto! Aparte il fatto che, secondo il vecchio Potter,ogni anno sarebbe stato anno di vacchemagre; a parte anche che non avevo nem-meno il tempo di coltivare il mio fazzoletto,dato che gran parte della mia giornata eradedicata ad impeciare l'archetto del mio vio-lino, quindi non sognavo minimamente dicomprare altra terra; ma la ragione principedel perché non mi dedicavo anima e corpoall'agricoltura era che a me la terra parlavain maniera diversa. Quando Cooney ci fa-ceva notare i vortici di polvere che si alza-vano dai campi, io non vedevo la siccitàimminente, ma vedevo la gonna di Jennyturbinare al ritmo sfrenato del toor-a-loor.

Sentivo la terra vibrare di suoni, la sentivopulsare di un ritmo primordiale, che mispingeva, più che a coltivarla, a cantarla, ametterla in musica e versi e a declamarlanelle piazze, nei vicoli, nelle sagre di Paese.E ogni volta che suonavo, mi sentivo libero.LIBERO.Libertà... L'ho vista sonnecchiare, dormireaddirittura in quei campi coltivati, coltivatia cielo ed amore, a cielo e denaro, confi-nata in limiti e termini scavati nella terra,protetta da un filo spinato, baluardo erto adifesa di un bene indifendibile, a protezionedi un dono da elargire, a delimitare un infi-nito non capito, non vissuto, tantomenosfruttato. Ma, miracolosamente, ogni voltache suonavo, vedevo la libertà svegliarsi daquel sonno e mettersi a danzare con ungruppo di fanciulle dal viso rubizzo per lafrenesia della festa, coccolare un compagnostracco di lavoro, carezzare il viso di unbimbo allattato dalla madre. Perché, ap-pena il mio archetto sfregava sui crini di ca-vallo, io esprimevo il mio vero io, la miavera natura. E la gente lo sapeva, capivache la vera libertà la possedevo io. Perchéla libertà, quella che tutti cercano, a volteinvano, è semplicemente vivere la vita perquello che si è.Ora, a novant'anni, mi ritrovo con i campiinvasi dalle ortiche, con i ricordi che mi af-follano la testa, con un violino consumato,con un archetto rotto. E nemmeno un rim-pianto.

IO, UOMOLIBERO

Libertà in musica eparole: liberaparafrasi De

"Il suonatore Jones"

a libertà piùdifficile

Nella società globalizzata estandardizzata dovremmo ognitanto fermarci a (ri)trovare la li-bertà di ignorare criticamentetutte le libertà, e di essere noistessi.di Donatella Psquali

Siamo tutti uomini liberi. D’altronde oggi la schiavitù sembra esseresolo un ricordo, il totalitarismo solo storia passata. Viviamo in unasocietà democratica, dove tutti possono arrivare a realizzare i proprisogni e possono scegliere ciò che più desiderano. Abbiamo tutti la

facoltà di vivere, di muoverci, di agire in modo autonomo, secondola nostra volontà e la nostra natura, senza essere sottoposti a limi-tazioni e costrizioni. La nostra è una società aperta e la libertà neè lo slogan. Libertà, autonomia, autodeterminazione, scelta...Siamo liberi perfino di sceglierci le nostre identità, giorno dopogiorno, e di indulgere liberamente nei piaceri del consumo. Pos-siamo scegliere, grazie alla pubblicità e ai mass media, a chi vo-gliamo somigliare, quale abito di attore famoso vogliamo comprareai prossimi saldi…e i media sono liberi di scegliere l’attore più in

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voga del periodo…Possiamo sfruttare i prodotti standardizzati a di-sposizione sul mercato per cambiare la nostra identità, scegliendoquali, tra quelli che il negoziante da cui siamo soliti andare, ha de-ciso di proporre in quella stagione, in base ai capi che l’azienda dicui fa parte, ha liberamente deciso, a sua volta, di fornirgli…E pos-siamo permetterceli sempre e comunque, grazie alla rateizzazionesponsorizzata da negozi e istituti bancari, che a loro volta libera-mente possono pignorare quanto abbiamo acquistato, se non pos-siamo più pagarlo… Oppure possiamo intervenire sul nostro corpoper renderlo più desiderabile e socialmente accettato, magari con

una dieta di cui parla l’esperto in tv, il fitness, o perché no, con unbel tatuaggio, magari proprio come quello di quel calciatore di suc-cesso…Possiamo scegliere quale canale tv ci “informerà”, e perfinole emittenti televisive possono scegliere su cosa la gente dovrà es-sere informata, e su come e quanto. Possiamo vedere e leggere ciòche vogliamo, e anche il governo è libero di decidere di mettereuna nota di riservatezza su dei documenti, cosi come altri possonoscegliere di non pubblicizzare certi eventi, certi libri o certi film.Posso decidere la facoltà universitaria che voglio seguire, sempreperò tenendo conto delle previsioni lavorative che le statistiche uf-ficiali hanno diffuso…Sono anche libero di vivere e sentire le mieemozioni, di esprimerle in modo naturale, seguendo i modelli chemi sono offerti dai film che liberamente ho scelto di vedere, e dallepersone che liberamente scelgo di frequentare. Anche le personeche frequento sono libere di mostrare come esprimermi e cosa ri-velare, perché ogni cultura e ogni gruppo ha precise regole di com-portamento e gestione dei sentimenti. Sono libere di farmi sentirefuori posto o incompetente. Possono rendermi felice o farmi sentireun fallito…Insomma, io sono libero. Ma non come uomo, bensì come consu-

matore. In quanto tale sono libero di decidere quale giornali, riviste,libri, canali televisivi, film “comprare”. Ho davvero un’ampia varietàdi scelte disponibili.Non è colpa mia, poi, se le alternative che ho a disposizione sonodelle false alternative, se lo sconcertante assortimento di scelta cheho mi dà solo l’impressione di libertà…Se esistono dei sistemi disorveglianza che controllano il mio comportamento esteriore e imiei sentimenti interiori, con la proliferazione di telecamere nei luo-ghi pubblici, con l’incremento dell’uso di carte di fidelizzazione neinegozi. Entrambi questi sistemi permettono l’accurato e continuomonitoraggio di ciò che facciamo. La fidelity card del supermercato,tanto per fare un esempio chiaro a tutti, mi permette di scontarealcuni prodotti e dà alla direzione del negozio la libertà di sapereesattamente che cosa e come consumo e di programmare i suoimagazzini in base alle mie necessità.Sono libero, o meglio, credo fermamente di esserlo, anche se sonovincolato in tutto ciò che faccio…Ma in fondo non è colpa mia…Sono tanto preso da quello che mi circonda, dalle cose che devofare e da quelle che desidero fare, dalla routine e dallo sballo delfine settimana o delle ferie estive, che non mi conosco. Non socosa voglio davvero, perché non so come sono fatto. Non conoscole mie aspirazioni più profonde, i miei veri bisogni, i talenti che pos-seggo…Forse non perché non ne sono capace, ma perche non neho il tempo, perché mi hanno sempre insegnato a fare come glialtri, a sentirmi realizzato nell’essere qualcuno completamente den-tro “questo sistema”. Mi hanno detto di essere me stesso, ma mestesso in un modo e in mondo prestabiliti…Forse però potrei darmi la libertà di ascoltarmi e di conoscermi.Potrei finalmente usare la mia creatività. Potrei provare ad esser“libero di essere me stesso”…In fondo, è la piena realizzazione delmio essere l’unica cosa che oggi può rendermi davvero libero.

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Per parlare di libertà utilizzerò il metodo in-duttivo, cioè, partendo dall'osservazione diun caso particolare, cercherò di ricavarne ilprincipio generale che, secondo me, ne èalla base.Il caso particolare è quello di Nelson Man-dela.Il motivo per cui ho scelto di parlare propriodi Mandela è dovuto al fatto che nei giorniprecedenti la stesura dell’articolo ho so-gnato che mi veniva suggerito di parlare pro-prio di lui, l’uomo conosciuto in tutto ilmondo come l’uomo che ha sconfitto l’apar-theid in Sudafrica, luogo del più bieco razzi-smo contro i neri. Nel 1993 è stato insignitodel Nobel per la pace e dal 1994 al 1999 èstato Presidente del suo Paese.Sarà utile, però, prima di parlare di Mandelafare una breve sintesi della situazione poli-tica e sociale del Sudafrica negli anni in cuiegli fu attivista del movimento per la libera-zione dei neri.La lotta interna al Sudafrica fu tra la popo-lazione autoctona nera di etnie diverse checostituivano l’80% degli abitanti e gli afrika-neer bianchi al potere i quali, pur essendouna minoranza, detenevano completamentee saldamente il potere politico ed econo-mico.Essi, con una serie di leggi razziste, neglianni ’40 avevano istituito una rigidissima di-scriminazione razziale teorizzata nella for-mula dell’apartheid, come la proibizione deimatrimoni e dei rapporti interrazziali o laproibizione alle persone di colore di entrarenei quartieri riservati ai bianchi, essendo perloro “assegnati” solo dei ghetti, o ancoral’impossibilità per le persone di colore di ac-cedere ai gradi alti dell’istruzione e del la-voro, fino alla privazione della cittadinanzasudafricana alla popolazione nera.Come è risaputo Nelson Mandela fu impri-gionato per quasi 30 anni dal governobianco a causa della sua azione politica con-tro l’apartheid e, fin qui, purtroppo, una si-tuazione abbastanza comune e diffusa nelmondo, dove esistono ancora tante palesiingiustizie e prepotenze.La novità invece è costituita dall’atteggia-mento che Mandela ha avuto non solo du-rante i duri anni di prigionia, ma anchedopo, quando venne abolito l’apartheid equando, finalmente da uomo libero, ha tra-ghettato il Paese verso la democrazia, no-nostante l’incombente minaccia di unasanguinosa e rovinosa guerra civile. NelsonMandela fu a capo di una commissione ( cheistituì i tribunali del perdono) chiamata a pa-cificare il Paese, dopo anni di efferati criminie soprusi a danno dei neri.Il suo atteggiamento fu di “perdono”, manon nel senso cui siamo abituati ad inten-derlo. Non un atteggiamento implicito di su-premazia, da parte di una vittima o dei suoi

cari che hanno subito un grave torto, per cuiscelgono di concedere o meno il perdonostesso, ma un atteggiamento di reciprocità,dove si parte comunque dai ruoli di vittimae di carnefice e si ristabiliscono le diverse re-sponsabilità.Il processo, però, non si esaurisce in questo.Mandela prova ad uscire fuori da questoschema, guardando “oltre” l’odio, oltre larabbia, testimoniando con coerenza che èpossibile farlo, proprio perché ha provato

sulla sua pelle le difficilissime condizioni car-cerarie; come lui stesso dichiara ha provatoa “sorprenderli con la compassione”, com-prendendo che “il perdono libera l'anima ecancella la paura”.Egli parte dalla consapevolezza di essere “ilpadrone del mio destino, il capitano dellamia anima”, arrivando a mettere in praticaquello che ha intuito e in cui ha creduto:“Sapevo che l'oppressore era schiavoquanto l'oppresso, perché chi priva gli altridella libertà è prigioniero dell'odio, è chiusodietro le sbarre del pregiudizio e della ristret-tezza mentale. L'oppressore e l'oppressosono entrambi derubati della loro umanità”.Capisce che non si può solo “predicare”,che per essere testimoni autentici bisognainiziare da se stessi: “Se io non so cambiarequando le circostanze lo impongono, comeposso chiedere agli altri di cambiare?”…Spingendomi un po’ oltre, provo a fornireuna cornice spirituale e motivazionale a ciòin cui ha creduto Mandela, senza darne unaconnotazione strettamente religiosa: “Cri-

sto è per tutti perché è in tutto. E’ la Suafaccia che il perdono ti permette di vedere.E’ nella Sua faccia che vedi la tua. Ed è laverità che rende liberi”. D’altronde Mandelaè fortemente convinto che nel mondo sia in-dispensabile garantire a tutti libertà e giusti-zia e che l’una è imprescindibile dall’altra.“Nessuno è nato schiavo né signore, né pervivere in miseria, ma tutti siamo nati per es-sere fratelli”.La libertà è essere privi di condizionamenti,

credenze e paure soprattutto interiori.Ma cosa c’entra il perdono con la libertà, michiederete?E’ lo stesso Mandela che spiega, in un passo

della sua autobiografia “Long walk to free-dom”, il suo concetto di libertà che partedal proprio modo di vivere la libertà e cheimplica un concetto di cammino interiore, dicrescita personale e spirituale: “Quandosono uscito di prigione, questa era la mia

NON C’E’ NESSUNASTRADA FACILE PER LALIBERTA’di Anna De Stefano

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OGNIBAMBINOHA BISOGNODI UNOSPAZIO DOVEGIOCARE

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OGNI BAMBINO HABISOGNO DI UNO

SPAZIO DOVE GIOCARE

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Promuovere e realizzare forme di solidarietà sociale e impegno civile tese a superare l’emarginazione; svolgere un’azione di stimoloe di coinvolgimento nell’accoglienza delle nuove famiglie, simpatizzanti e benefattori; porre in atto iniziative concrete per un’efficaceprevenzione e una corretta informazione sulle dipendenze e sul disagio sociale in genere; promuovere e curare la formazione deipropri soci quale occasione dell’approfondimento della cultura e dei valori dell’azione volontaria (estratto dallo statuto sociale).

Tutti i membri prestano la loro opera in modo assolutamente volontario, tentano di diffondere sui territori di provenienza la culturadell’ascolto e della solidarietà coinvolgendo enti pubblici e privati partendo dal principio che i problemi derivanti dall’uso di droga ei disagi sociali, soprattutto giovanili, non riguardano solo loro ma tutta la società civile. All’Associazione aderiscono anche singoli vo-lontari che, pur non avendo nessun familiare coinvolto nel programma, vogliono sposare la linea educativa e terapeutica della Casasulla Roccia facendosi anch’essi promotori di iniziative.

Non è uno slogan ad effetto ma è la realtà che si trova ad affrontare chiunque voglia uscire dai canoni della delega e della derespon-sabilizzazione. In una società basata sull’immagine, l’Associazione Famiglie Progetto Uomo vuole proporre ai propri soci, innanzitutto,e a tutte le persone che si lasciano coinvolgere, un modello sociale basato sulla responsabilità e sulla collaborazione reciproca, doveognuno è parte del tutto e il tutto è patrimonio del singolo anche se vissuto in modo diverso a seconda delle proprie capacità,sensibilità e livello di coinvolgimento.

ASSOCIAZIONEFAMIGLIE

PROGETTOUOMO

missione, liberare sia gli oppressi che l’op-pressore. Qualcuno afferma che lo scopo èstato raggiunto. Ma io so che non è questoil caso. La verità è che noi non siamo ancoraliberi; abbiamo soltanto conquistato la libertàdi essere liberi, il diritto a non essere op-pressi. Non abbiamo ancora compiuto l’ul-timo passo del nostro viaggio, ma il primodi un lungo e anche più difficile cammino.Per essere liberi non basta rompere le ca-tene, ma vivere in un modo che rispetti eaccresca la libertà degli altri”.Spero cominci a delinearsi in maniera piùampia cosa voglio intendere per “libertà”.La parola libertà ha un’etimologia incerta,forse si avvicina al piacere: libare, libidine.E anche alla fratellanza, alla famiglia: in la-tino i "liberi" sono i figli, e ancora oggi le li-beralità sono i doni incondizionati.La libertà, così intesa, è ben lontana dall'ar-

tista viaggiatore: non è un'erranza capric-ciosa e irresponsabile. La libertà sta in unatrama complessa che comprende interioritàe realtà esterna (ci son più vincoli in ognunodi noi che in cento dittature). Dopotutto,qual è l'opposto della libertà? Forse la “cat-tiveria”, dal latino prigioniero, originaria-mente prigioniero di guerra e che vive instato di schiavitù. L’uomo cattivo, quindi,non è per sua natura malvagio ma lo diventaperché è prigioniero, perché vive costretto,non libero.Ed eccola allora la grandezza di Mandela:pur vivendo prigioniero, in schiavitù nel-l’apartheid, è sempre rimasto un uomo li-bero: un uomo consapevole di chi e cosaveramente fosse, che non si identifica con ilcorpo né con la mente, e che è riuscito adandare oltre la “cattiveria” delle sue condi-zioni materiali , vivendo la “spiritualità”, la

grandezza alla quale siamo destinati:“La nostra paura più profonda non è di es-sere inadeguati. La nostra paura più pro-fonda è di essere potenti oltre ogni limite. E'la nostra luce, non la nostra ombra, a spa-ventarci di più. Ci domandiamo: chi sono ioper essere brillante, affascinante, ricco di ta-lenti, meraviglioso?In realtà, chi sei tu per non esserlo? Tu seifiglio di Dio. Il nostro giocare in piccolo nonserve al mondo. Non c'è nulla d'illuminatonello sminuire se stesso affinché gli altri nonsi sentano insicuri intorno a te. Siamo natiper manifestare la gloria di Dio che è dentrodi noi.Non è solo in qualcuno di noi, è in ognuno,e quando permettiamo alla nostra luce dibrillare, consapevolmente diamo agli altri ilpermesso di fare lo stesso. Quando ci libe-riamo dalle nostre paure, la nostra presenzaautomaticamente libera gli altri.” (Riportatoda Marianne Williamson, filosofa del “NuovoPensiero”, che ha citato un discorso di Nel-son Mandela)Proprio in queste ore, mentre scrivo questoarticolo partendo dall’esperienza vissuta edelaborata da Mandela, giunge la notizia cheNelson è stato di nuovo ricoverato in ospe-dale per un infezione polmonare. E’ per mel’occasione di inviargli i migliori auguri dipronta guarigione. Per quello che ancorapotrà donare all’umanità e ringraziarlo perciò che, invece, ci ha già regalato.

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Progetto de

La Casasulla Rocciae del Teatrodi GLUCK

LA LIBERTA’DALLA“PRIGIONIA”DELLEDIPENDENZEdi Maria LombardiQuando sono venuti ad arrestarmi, ho detto “Finalmente! Quipotrò avere un po’ di libertà!”.Una frase solo apparentemente paradossale ma che esprime tuttoil desiderio di uscire da una prigionia ancora più terribile, che èquella della droga.La libertà è un concetto molto ampio e con svariate sfaccettature,ma sicuramente è ciò a cui ognuno di noi aspira nella vita.Quando facciamo delle scelte, solitamente avviene in maniera li-bera, seguendo quello che i nostri principi, il nostro cuore e la no-stra educazione ci suggeriscono.Quello che perseguiamo è il desiderio di spezzare le catene che citengono legati alle nostre paure, al giudizio degli altri, alle regole

che ci vengono imposte; ricerchiamo per noi il maggior bene peril maggior numero di dinamiche che riguardano la nostra vita.L’uomo da sempre insegue la libertà, ha cercato di farla sua, di im-padronirsene, di conoscerla a fondo, di propagandarla.Chi ha una formazione classica e umanistica, sfogliando un testodi filosofia la ritrova dappertutto. Svariati sono i trattati su di essae i pensatori che, a partire dal mondo greco, hanno cercato didarne un significato e una spiegazione l’hanno collocata al primoposto tra i bisogni e gli scopi che l’essere umano ha nella propriaesistenza. Personalmente ciò che ho maggiormente interiorizzatoe fatto mio è il concetto di libertà espresso nella “Repubblica” diPlatone, e nella fattispecie mi riferisco al “Mito della caverna”. Il

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mito, come molti sanno, parla e descrive la prigionia psicologica emorale personificata da un insieme di uomini incatenati in una ca-verna, che vivono delle loro ombre, che conoscono solo esse e cheritengono che la verità, che il mondo reale, sia quello. Ad un certopunto, però, rompono le catene che li tenevano vincolati, si libe-rano e scoprono che il vero mondo è quello che si trova fuori dallacaverna, sperimentando finalmente la libertà, quella vera e auten-tica.Molto spesso capita, purtroppo, che nella smania di cercare di im-padronirsi della libertà, si diventa prigionieri di essa. Essa non vienepensata e interiorizzata più da un punto di vista morale e psicolo-gico, ma viene interpretata e vissuta come facoltà di fare quelloche si vuole, anche andando contro le regole che il vivere comunestabilisce. Diventa una trasgressione, un sentirsi “spiriti liberi”, unribellarsi, una evasione. Ed è a questo punto che realmente si di-venta schiavi.Varie possono essere le forme di evasione e di trasgressione e avari livelli.Tra queste c’è l’uso di sostanze. Queste creano uno stato di fuoriu-scita dagli schemi, dalla realtà, vanno a compensare delle mancanzee generano uno stato emotivo di derealizzazione e di fuga da unarealtà che non viene accettata e percepita come giusta e soddisfa-cente.Si tratta ovviamente di una libertà artificiale e apparente, che portaviceversa ad una prigionia dalla quale è difficile venirne fuori.In alcuni casi chi fa uso di droghe, e parlo soprattutto di personeche vivono in zone e quartieri “a rischio”, non solo si infila nelmondo della dipendenza da sostanze, ma anche in quello della de-linquenza ad esso legato. Reati come rapine, furti, estorsione, spac-cio di sostanze stupefacenti, vengono solitamente commessi peravere la possibilità economica per acquistare la sostanza. Lo Statoitaliano e le sue leggi riconoscono tali reati come reati minori datossicodipendenza ed è stata creata una normativa ad hoc che nedisciplina la pena. Il legislatore parte dall’assunto che il tossicodi-pendente che delinque è un soggetto che va riabilitato, e offre lapossibilità di farlo con la cosiddetta “pena alternativa”. La legge in-fatti stabilisce che per i reati minori, con un massimo di 4 o 6 annidi pena prevista dal codice, il detenuto tossicodipendente possa

scontare la pena non in carcere ma intraprendendo un percorsocomunitario.Molte strutture offrono questo tipo di possibilità e accettano l’in-serimento di detenuti tossicodipendenti agli arresti e in affido. Unadi queste strutture è “La casa sulla Roccia”.A me piace pensare a questa struttura come un grande cuore pul-sante, al quale le varie arterie apportano sostegno e nutrimento, eche tale cuore sia composto da tante persone che con amore e de-dizione lavorano e operano per un fine comune. In settore dedicatodel Centro, i detenuti interessati ad intraprendere il percorso co-munitario vengono seguiti per un certo periodo di tempo per viaepistolare dai volontari del settore. Viene valutata la reale motiva-zione a cambiare il loro stile di vita e a riscattarsi, la volontà delleloro famiglie a “camminare” insieme nel percorso e, se vengonoriscontrati tutti i presupposti, viene autorizzata la richiesta al ma-gistrato di sorveglianza di commutare la pena detentiva carcerariain percorso comunitario.Nelle lettere i detenuti si raccontano, parlano delle loro storie, e lamaggior parte delle volte le dinamiche e i vissuti sono molto similitra di loro. Non parlano quasi mai della loro detenzione e dei reaticommessi, ma soprattutto della loro tossicodipendenza. A chi leggearriva il disagio, il rammarico per la corsa verso qualcosa di effi-mero, la sofferenza, il dolore per vite non vissute, e non rispettoalla restrizione in carcere bensì rispetto alla schiavitù della dipen-denza. Paradossalmente, invece, la detenzione risulta una libera-zione, un modo per essere fermati e per essere allontanati inmaniera forzata dalla sostanza.Ciò che però arriva forte e preponderante, oltre alla richiesta diaiuto, è il bisogno di ritornare ad essere uomini e donne liberi. Li-beri non solo dalla cella in cui si trovano, ma dalle catene che ten-gono la loro anima imprigionata.La libertà che cercano è quella dei prigionieri della caverna di cuiparla Platone, quella che fa essere non individui ma persone, chefa vivere la propria esistenza in maniera autentica, che fa sceglierein maniera autonoma ma sempre tutelando se stessi e gli altri, se-guendo principi e valori non imposti ma interiorizzati. E che, so-prattutto, consente di perseguire sempre il rispetto della propriadignità personale.

La Casa sulla RocciaAvellino0825/72420 - 72419

[email protected] 21 -

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LIBERTA’?..Una speranza (di libertà) daun giovane sessantenne.

di Nicola De Rogatis

Dal latino: [libertas] l'essere libero.Le parole archetipiche sono spesso le piùcomuni e le più difficili - difficile scovarnegli etimi più profondi, trarne i significati piùpuri e completi. La libertà, forse, si avvicinaetimologicamente al piacere: libare, libidine;e anche alla fratellanza, alla famiglia: in la-tino i "liberi" sono i figli, e ancora oggi le li-beralità sono i doni incondizionati. Anchein altre lingue è forse così: pensiamo al"freedom" inglese, così affine al "friend", al-l'amico, e al "Freiheit" tedesco, così affinealla "Friede", alla pace.”Se inserite nella ricerca in google le parole“libertà etimologia” questa è la prima defi-nizione che troverete sul sito www.unapa-rolaalgiorno.it.Nel sito di Wikipedia, la famosa enciclope-

dia online, si può leggere questo:Per libertà s'intende la condizione per cuiun individuo può decidere di pensare, espri-mersi ed agire senza costrizioni, usando lavolontà di ideare e mettere in attoun'azione, ricorrendo ad una libera sceltadei fini e degli strumenti che ritiene utili ametterla in atto.Secondo una concezione non solo kan-tiana, la libertà è una condizione formaledella scelta che, quando si tramuterà in atto,in azione concreta, risentirà necessaria-mente dei condizionamenti che le vengono

dal mondo reale, sottoposto alle leggi fisichenecessitanti, o da situazioni determinanti dialtra natura.Riguardo all'ambito in cui si opera la liberascelta si parla di libertà morale, giuridica,economica, politica, di pensiero, libertà me-tafisica, religiosa ecc.Quindi, mentre nel primo caso c’è un acco-stamento della libertà al piacere, all’amiciziae alla pace, nel secondo di parla di una con-dizione che l’uomo può sfruttare a secondadelle occasioni e delle proprie convinzionimorali, politiche, religiose, ecc.Io che non sono più tanto giovane e che,nel “68 iniziavo la mia avventura nel glo-

rioso Liceo Scientifico P.S. Mancini di Avel-lino, covo di rivoluzionari e di potenzialibrigatisti/e rossi/e, ricordo ancora benel’odore che si viveva in termini di libertà, omeglio, di liberazione da tutto ciò che im-brigliava l’essere umano in leggi, norme eprecetti vari. Lo slogan dell’epoca era “Vie-tato vietare” e lo si poteva leggere sullemura delle università italiane e francesi. Em-blema musicale fu la famosa canzone “Fre-doom” di Richie Havens – scomparsopoche settimane fa - che aprì la tre giornidi “pace, amore e musica” nella localitàamericana di Woodstock nell’estate del1969. Certamente la rivoluzione culturaledella fine degli anni “60 e degli inizi dei “70rese evidente e palpabile la voglia di libertàdei giovani di allora, il sogno di cambiare ilmondo, di dare una stoccata decisiva a po-litici e preti per farsi da parte e lasciare spa-zio alle nuove proposte.Ma non intendo fare un’analisi di quel pe-riodo e di tutto ciò che ne seguì, né tanto-meno analizzare il senso della libertà dalpunto di vista etico. Non ne ho le capacitàné il tempo. Quello che, invece, voglio direè la mia esperienza di libertà, l’esperienzadi chi, a poco a poco, anno dopo anno, haacquisito delle convinzioni più pragmaticheche teoriche, facendo tesoro dei tanti falli-menti e delle tante delusioni. La libertà, in-

nanzitutto, è un dono! Sì, un dono che civiene dall’alto, da Dio per il credente e dallaNatura per il non credente. Essa viene in-serita nel dna di ogni essere umano easpetta solo di essere scoperta. È come sa-pere, durante il corso della propria esi-stenza, di avere un enorme tesoro a cuiattingere e riuscire ad impossessarsenepoco per volta, senza farne indigestionecome chi dilapida un’enorme ricchezza inpoco tempo. La consapevolezza di esserenati liberi – un vecchio disco del Banco s’in-titolava “Io sono nato libero” – e di usarenel modo giusto questa libertà è parte di unlungo cammino di crescita, magari accom-pagnato da qualcuno che ci può indicare lastrada e sostenerci nei momenti di smarri-mento. Anche il Vangelo ci può aiutare:Giovanni riporta le parole di Gesù “Se ri-manete fedeli alla mia parola, conosceretela verità e la verità vi farà liberi”. E allora?Abbiamo bisogno di conoscere la verità peressere liberi? Ma - che cos’è la verità? - civerrebbe da chiedere come fece Pilato aGesù senza ottenere risposta. Probabil-mente, senza tirarla troppo per le lunghe,posso concludere dicendo quel che ho ca-pito dopo quasi sessant’anni: la libertà,come la verità, è qualcosa che non puoi maiessere certo di avere trovato una volta pertutte. Non è un pacco di biscotti che puoicomprare al supermercato e mangiarlo.

Non è una cosa che ti appartiene, anche seè parte del tuo dna. Ma, soprattutto, è qual-cosa che va sperimentata quando ne hail’occasione. E, infine, anche se non è tua,puoi donarla a chi vuoi: il prete alla Chiesa,il marito alla moglie, il volontario all’asso-ciazione, e così via. Non credo di esagerarese dico che l’uso migliore che posso faredella mia libertà è di perderla per amore,donandola all’altro. D’altronde è quanto hafatto Gesù, donando la sua vita e la sua di-vinità a un manipolo di esseri umani ingratie malfattori. Ma c’è anche chi ne ha fattobuon uso di questo dono, e sono certo chece ne saranno ancora molti altri, di uominie donne.

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Iniziativa dell’Associazione “La Casa sulla Roccia”Assistenza Legale Gratuita a persone in difficoltà

Per appuntamento telefonare alla segreteria dell’Associazionesita in Avellino al Rione San Tommaso, 85tel.: 0825/72420 – 72419 fax 0825/71610

http://www.lacasasullaroccia.it – email : [email protected]

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A LIBERTA’POLITICA

Solo tornando alla costituzionepossiamo ritrovare la nostrafondamentale libertà

di Giovanni Sarubbi

Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti perconcorrere con metodo democratico a determinare la politica na-zionale.Politica = malaffare. Questa è l'equazione che oramai pervade la

coscienza della grande maggioranza del popolo italiano . E la parolapolitica viene associata al termine “partito” e così chiunque siaiscritto ad un partito o, peggio ancora, ricopra un incarico ancheminimo in un qualsiasi partito, viene considerato un traffichino, unimbroglione, un ladro, uno che sta li per fare solo i propri interessi,per garantire un posto ai propri figli, o per ottenere qualche pre-benda.E queste idee non appartengono solo a chi è fuori da qualsiasi par-tito o non va mai a votare, ma sono condivise anche da chi è unsemplice iscritto ad un partito o un semplice elettore. Secondo al-cune indagini demoscopiche, pensa così il 96% degli italiani. Chifa politica pensa solo a se stesso, questa la conclusione a cui sigiunge quando si tenta di parlare di politica mentre magari si va allavoro in un pullman o si è al bar con gli amici. E i fatti accadutinegli ultimi anni, come il furto di ben 13 milioni di finanziamentopubblico dell'ex partito della Margherita da parte del suo tesoriere,non fanno altro che confermare questi ragionamenti, che vengonoanzi gridati a più non posso proprio da quei giornali di destra chepiù di altri hanno contribuito a che la situazione politica diventassequello che oggi è.Se queste sono le idee dominanti, e purtroppo lo sono, ciò significache l'art. 49 della nostra Costituzione, quello che garantisce la li-

bertà di potersi organizzare in partiti per esercitare la propria so-vranità di cittadino, nei modi e nei limiti sanciti dalla Costituzione(come recita l'art. 1), è stato già distrutto nei fatti. Non è stato abo-lito formalmente ma lo è nella coscienza collettiva degli italiani, cherifiutano la politica ed i partiti e sono oramai pronti psicologica-mente ad accettare l'avvento di una dittatura aperta, con conse-guente abolizione di tutti i partiti. E i segnali in tal senso sono moltie preoccupanti.Eppure l'articolo 49 esprime idee difficilmente attaccabili da qual-siasi punto di visto lo si voglia leggere, da quello etico a quello mo-rale, a quello filosofico a quello giuridico perché in esso sonoespressi i principi base della democrazia.Innanzitutto viene sancito il “diritto di associarsi liberamente in par-titi”. Non ci sono autorizzazioni da chiedere o carte bollate o tasseda pagare per associarsi in partiti. Non c'è un potere regio chepossa impedirlo, né un partito unico a cui doversi necessariamenteiscrivere pena l'esclusione da qualsiasi posto di lavoro o la perditadi qualsiasi diritto civile come era nel periodo fascista.L'articolo 49, parte proprio dall'esperienza drammatica del regimefascista durante il quale i partiti erano aboliti, c'era un partito unicoa cui bisognava necessariamente essere iscritti, fin dalla più teneraetà (si cominciava coi balilla fin dalla scuola elementare), se si volevaevitare di essere perseguitati, di essere mandati al confino o pro-cessati dal Tribunale Speciale.L'articolo 49 elimina, in poche parole cariche di significato, tuttele leggi fasciste che avevano instaurato il regime mussoliniano, lecosiddette “leggi fascistissime”, fra cui il Regio Decreto 1848/26,che prevedeva lo scioglimento di tutti i partiti, associazioni e orga-nizzazioni che esplicavano azione contraria al regime rendendo ilPartito Fascista l'unico ammesso.Nell'articolo 49 ci sono, ancora, altri tre concetti su cui occorresoffermarsi che sono espressi nella parte conclusiva con la frase“concorrere con metodo democratico a determinare la politica na-zionale”.C'è innanzitutto il concetto espresso dal verbo “concorrere”, c'èpoi il concetto di “metodo democratico”, c'è infine il concetto di“politica nazionale”.Cosa significa “concorrere”? Significa innanzitutto che non può es-serci un partito unico. Il verbo “concorrere”, che deriva dal latinoconcŭrrere che significa “correre con”, “correre insieme a qual-cuno”, indica l'azione del “dare il proprio contributo a qualcosa”, o

meglio ancora, cooperare, contribuire, partecipare a realizzare qual-cosa insieme ad altri. Nessun partito, da solo, può avere la rappre-sentanza assoluta dell'intera “politica nazionale” che diventa unbene comune costituzionalmente garantito. C'è quindi sia il con-cetto di molteplicità dei partiti che insieme cooperano, sia quellodi relativismo del contributo di ognuno di essi, che deve necessa-riamente confrontarsi con quello di altri partiti e cioè di altre libereassociazioni di cittadini che con metodo democratico, ecco il se-condo punto, cercano di determinare la politica nazionale, ecco ilterzo punto.Quindi unità nella molteplicità, bene comune di tutta la nazione,

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I GIOVANI E LOSPORTUn indispensabile strumento di librtà

di Noè Di Paola

“Muoversi è libertà”: ogni giorno, in mille luoghi del pianeta, cor-

rere, giocare, allenarsi, disputare una partita significa anche affer-mare la libertà e il diritto fondamentale al movimento, o utilizzareil gesto sportivo per rivendicarli. Muoversi per sentirsi liberi. Inqualche caso è come se il gesto sportivo offrisse ai giovani la pos-sibilità di esprimersi in una lingua “diversa” che consente di comu-nicare con il mondo e di realizzarsi.Lo sport, tra i più giovani, è considerato una delle ruote più im-portanti per lo sviluppo della vita, svolge un ruolo importantissimonella formazione, nello sviluppo e nell’educazione, per molti essoè un’opportunità con cui tenere in allenamento il fisico e la mente,per altri ancora una guida culturale molto significativa.Lo sport è anche legato alle passioni. Si sceglie senza mezzi terminichi sostenere fino all’ultimo, chi seguire con il fiato sospeso; ognidisciplina sportiva ha intorno una massa di tifosi che si sentono

parte di un mondo speciale dove spesso i toni, il linguaggio e leparole sono comprese solo da chi vi appartiene e non è importantese “gli altri non capiscono”.L’importante è sapersi riconoscere, anche tra chi non si è mai visto,e sapere, anche solo per un momento, di far parte di un “piccolocosmo” dove si consumano passioni comuni.Lo sport è una straordinaria fabbrica di emozioni (forse un po’troppo catena di montaggio), a volte le proviamo in solitudine, avolte in un piccolo gruppo: l’evento sportivo, sia esso un grandesuccesso o una cocente sconfitta, viene vissuto come in pezzo distoria individuale e collettiva, con tutte le emozioni che ne seguono.Per tanti giovani avere successo nello sport significa anzitutto porsidegli obiettivi, raggiungerli grazie all’impegno e alla fiducia in sestessi, significa assaporare una piacevole sensazione di soddisfa-zione sia durante l’attività sia quando essa si è conclusa.Un ulteriore aspetto su cui soffermarsi è la capacità di vivere ingruppo; sentirsi parte di un determinato contesto sociale è uno deibisogni primari di ciascun individuo. Infatti una delle principali mo-tivazioni dei giovani allo sport è legata al desiderio di vivere e diraggiungere obiettivi personali, sentendosi però parte di ungruppo. L’evidenza formativa di questa abilità è fuori da ogni dub-bio: saper rispettare le regole del gruppo e collaborare anche inun ambiente competitivo sono abilità interpersonali che ciascunodi noi dovrebbe avere. L’attività sportiva rappresenta uno stru-mento indispensabile all’apertura sociale, all’educazione, all’am-biente e allo studio pratico del mondo; essa è particolarmente

adatta agli obiettivi di lotta contro qualsiasi forma di discrimina-zione: di genere, di etnia, di abilità fisiche. Lo sport non è piùun’isola felice. Tra i ragazzi che praticano sport abbonda quello chein termini sociali si chiama “disagio giovanile”. I ragazzi poco tute-lati da genitori e allenatori, piuttosto che campioncini dello sport,possono diventare soggetti a rischio: si comincia dagli integratori,poi gli anabolizzanti…e il doping neanche per i più giovani è untabù.Per essere efficace e produrre risultati duraturi e tangibili al-l’interno del mondo giovanile, il sistema sportivo dovrà essere ingrado di conciliare la sua dimensione economica con quella popo-lare, educativa, sociale e culturale: solo così riuscirà ad allargare ea valorizzare la sua sfera di influenza ai giovani.

quello che l'art. 49 chiama “politica nazionale”, che deve esserel'elemento ispiratore di tutte le iniziative dei partiti che per tale mo-tivo non possono avere padroni, o essere organizzati o diretti dalogge segrete in mano a gruppi di potere.Quindi, democrazia finalizzata al bene comune e non al raggiungi-mento degli interessi di singole classi, che utilizzino il loro potereeconomico per mettere in discussione il bene comune (cioè la “po-litica nazionale”), per favorire i propri interessi personali o digruppo sociale.Tutto quello che dall'inizio degli anni '90 del secolo scorso ad oggiè stato fatto sul tema dei partiti è dunque palesemente anticostitu-

zionale, a cominciare dalle leggi elettorali, che hanno messo in di-scussione proprio lo spirito e la lettera dell'articolo 49, fino all'ul-tima che prescrive addirittura l'obbligo per le coalizioni o per isingoli partiti di indicare il “candidato premier”, che è una categoriachiaramente incostituzionale e che ha portato nei simboli di varipartiti il nome dei capi-proprietari di tali partiti, a destra come asinistra, tutte cose che sono violazioni esplicite dell'art. 49 dellaCostituzione.Per uscire dunque dalla situazione nella quale ci troviamo, repe-tita iuvant, bisogna ritornare alla Costituzione e al suo rispetto in-tegrale, diventando "partigiani della Costituzione".

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DIVENTARE LIBERIUna prima piccola libertàdi Mircko De Quattro, Lorenzo Sarno, Simone Savoia

La libertà: quante volte abbiamo pronunciato o udito questa parolanella nostra vita?Quante volte abbiamo risposto a chi ce lo chiedeva che il nostrosogno nel cassetto si chiamava libertà?Sono stati spesi fiumi d’inchiostro per cercare di individuare il verosenso del sentirsi liberi, ma per noi il più delle volte è parsa comeuna meta quasi irraggiungibile. Anche noi ci siamo interrogati pertanto tempo sul senso di libertà ed abbiamo sperimentato altrettantimodi per comprenderlo, il più delle volte rifugiandoci in meccani-smi che, anziché liberi, ci rendevano schiavi. Dipendere da una so-stanza è essenzialmente rinunciare ad essere liberi, rifiutarsi dilottare per realizzare i propri sogni ed i propri desideri , arrendersialle proprie paure, accettare una condizione di totale solitudine.In Accoglienza abbiamo iniziato ad assaporare il sapore della li-bertà. Terminata la dipendenza fisica ci alzavamo la mattina senzaavere alcun bisogno di assumere una sostanza a andavamo a lettoe riuscivamo a dormire. Ci sembrava un piccolo miracolo. Ma non

ci sentivamo ancora veramente liberi, eravamo ancora fortementecondizionati dalle nostre paure, dominati dai nostri giudizi. Grazieal processo di rivalorizzazione intrapreso in Comunità abbiamoiniziato ad avere consapevolezza di noi e quindi a vederci con occhidifferenti da prima. In questo modo abbiamo compreso l’esistenzadi un’interiorità. Questi sono stati i nostri piccoli passi verso la fe-licità.Per sentirci liberi ora affrontiamo ciò che ci condiziona: la paurache spesso ha influenzato e influenza ancora le nostre scelte, l’ideache la vera prigione è la solitudine. Noi tutti giorni lottiamo peruna libertà che deriva dall’accettazione di sé come uomo fatto dipregi e difetti, punti di forza e limiti. Come una persona chequando cade lotta per rialzarsi, che quando sbaglia chiede scusa,che abbraccia il proprio amico quando gli vuole bene, senza sentirsidebole per questo.Ecco, la nostra libertà la stiamo trovando così: ciò che per tantotempo abbiamo affannosamente ricercato in altro ora lo stiamo tro-vando in noi stessi e nelle persone. Nel valori della responsabilità,del rispetto per sé e per gli altri, nell’onestà. Nell’umiltà.Oggi riusciamo ad applaudire o denunciare, ammirare o indignarci,piangere e sorridere ma non vogliamo essere mai più neutrali, in-differenti, passivi e rassegnati. Noi siamo vivi e sentiamo le emo-zioni. Questa è la nostra piccola libertà.

LIBERTA’ DIRICORDAREL’ISOLAINCANTATA

Respiro profondamente. Di nuovo. Ancora e ancora una volta.Apro gli occhi e resto quasi accecata dalla luce di metà mattinata.Mi alzo e inizio la mia routine quotidiana.Ieri sera mi è venuta voglia di riascoltare un album dei Nomadi, icari vecchi Nomadi con il buon Augusto e il suo timbro che ti facevascuotere lo stomaco anche se , come me, ancora non avevi (allora)l’età per poter dire di essere diventata signorina. “La casa dei serviè alta su quel monte, la casa dei mercanti è in basso dopo ilponte…”Capita spesso la malinconia del passato. Un passato molto remoto,

un luogo lontano della mente dove il ritornarci ti riporta a odoriantichi e mani rugose che ti accarezzano teneramente. Il crescendodi Augusto è d’accompagnamento ad un incedere di ricordi che siaccavallano e mi rendono sempre più difficile trattenere le miriadidi istantanee che si affollano davanti ai miei occhi. Affetti dimenti-cati riprendono posto nello stomaco, accanto a quelli che oramainon ci sono più . Le mie labbra si tendono in un sorriso accennato,ricordo di una battuta ripetitiva , identificativa dello sguardo amo-revole di nonno.Devo fare uno sforzo per non perdermi in tutto quel marasma dipezzetti ritrovati di me. Certo oggi mi riesce più facile ritrovarmi.Ma la voglia di essere ieri mi spinge ad accendere il mio stereo. Lamusica ha un potere straordinario . Le mie emozioni vengono fuoricome fossero lava incandescente e il dito non smette di batteresulla tastiera, desideroso di segnare i pensieri che si affollano.Di nuovo Augusto “Peter Pan non lotta più, ha venduto il suo pu-gnale, Capitan Uncino manda Wendy a battere sul viale…” E le fa-

vole che leggevo da bambina si trasformano in una modernità quasiincredibile. Era il 1992 , eppure a risentire oggi queste parole unbrivido mi percuote la schiena e pian piano lo stupore di una simi-litudine fa posto alla rabbia per una rassegnazione dilagante. Nellamia ignoranza politica quella “lottizzazione dell’isola incantata” mifa male. Le percentuali hanno segnato una ingovernabilità salvatain calcio d’angolo da un qualcuno che in realtà nessuna di quellepercentuali aveva immaginato per sé. E comincio a pensare che laresponsabilità di questo caos sia da ricercare in una lettura sba-gliata o in una non lettura delle favole. Le persone si formanodalla nascita. Riuscire a renderli abili a rispondere dei loro diritti

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sarebbe già un grande passo in avanti. E renderli consapevoli chele scelte vanno prese per il bene comune…Beh, ma a quanto parequesta è una storia scritta e riscritta negli annali di un’Italia senzaun Sé. E così mi abbandono tra le strade di un “Cile disperato” to-talmente presa dalle note di Salvador e resto attonita quando l’acu-stico introduce “Di antichi fasti la piazza vestita…Corre il dolorebruciando in strada… Quando ciascuno ebbe tinta la mano, quandoquel fumo si sparse lontano, Jan Hus di nuovo sul rogo bruciava”.Mi viene da piangere, non so bene perché. So soltanto che spesso,troppo spesso ci si dimentica del passato, dei gesti che hanno cam-biato il mondo, o anche solo un pensiero. Resto intanto estasiatadalla descrizione dell’uomo di Monaco e mi rivedo con mio fratellostrimpellare e intonare un “Io vagabondo” emblema di intere ge-nerazioni. E del “dorato privilegio incantato” delle figlie dei mer-canti mi domando quanti si soffermino ad ascoltare, oggi. A cercare

di riprendersi i pezzi della vita che tendono a finire in un dimenti-catoio stracolmo troppo spesso di sorrisi persi, per dare spazio aserietà di convenienza-convivenza. E quanto di quello che è stato,in termini di passione, idee, sogno viene condiviso con chi traman-derà non solo il nostro corredo genetico, ma la proiezione di noistessi in un futuro nel quale saranno i loro-noi ad essere i prota-gonisti?E così, ormai riportata alla realtà dalla mia piccola donna, proie-zione della mia anima, mi concedo un replay, sperando cheanche qualcun altro stia riascoltando un po’ della sua vita: “Gra-zie a mia madre per avermi messo al mondo, a mio padre sem-plice e profondo, ai miei amici e alla loro convinzione, ai giornifelici della mia generazione…Ma che film la vita. Storia infinita, aritmo serrato, da stare senza fiato.

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Un posto dove andare,un lavoro per lavorare, un amico di cui po-tersi fidare, una famiglia da amare.Quattro ingredienti per la ricetta della feli-cità.Una casa enorme,un auto di lusso, un amore illusorio, amici-zie virtuali e un enorme conto in banca.Noti le differenze?Quattro ingredienti per vivere meglio? Perrealizzare la tua felicità?Ogni giorno che passa, domande ricor-renti, una su tutte: quale verità?Cerco casa al centro per avvicinarmi al la-voro e agli amici che ormai vivono tutti incittà, gli affitti troppo alti e la paura di ri-manere solo.Il lavoro ormai uno sfruttamento costante,

A LIBERTA’ DISCEGLIERE AL DILA’ DELLA PAURA

VITA IN ARMONIA

REAGIRE ALLA DISCRIMINAZIONE

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lo senti sulla carne e nelle ossa, senti il rumore delle lancettedell’orologio scandire ogni secondo la verità di una dignità messasotto terra.Cerchi conforto nelle persone che conosci, in quelle che tistanno più vicino, quelle che ci sono state, quelle che ci sono eanche in quelle che speri possano esserci.Ma nessuno ci crede più.E’ troppo faticoso, troppo rischioso, un prezzo troppo alto da pa-gare anche senza mettere mano al portafoglio.Tutte le tue sicurezze vacillano, anche il rifugio per eccellenza, lacasa in cui vivi diventa ostile. Tutti gli esempi di vita che aveviappreso, inseguito, ritrovato, diventano delusioni o forse sor-prese o forse lo sapevi già, da sempre. Che le cose andavanocosì…Il salario è troppo basso, non puoi permetterti un auto per spo-starti, non puoi permetterti una stanza in autonomia, non puoipermetterti di immaginare come potrebbe essere un giorno latua vita. Meglio non pensarci…Il calore umano di una donna o di un uomo che ti stringono, perun’ora o qualche giorno, ti riscalda come un foglio di quadernobruciato, dopo poco torna il freddo e quello lo senti fino a den-tro la tua anima.Non c’è organo che non avverta la tua solitudine, tutto intorno ate sembra venirti addosso e schiacciarti.Apri il cassetto dei ricordi e cerchi di ritrovare un momento bello,felice, e riviverlo. Allora trovi le foto del mare, del tuo comple-anno, di tua madre e tuo padre abbracciati, della tua famiglia algran completo, dei tuoi anni passati e senti la tua appartenenza,rifletti e ascolti la voce del tuo cuore. Ti accorgi che è troppopresto per andare, troppo tardi per tornare.Ma qui, ora.Agisci come se…Buongiorno Vita,

senti qualcosa di grande, di forte, devastante.Rileggi ancora,qui, ora.Agisci come se…Buongiorno Vita.Il dolore diventa sorriso.Il cuore torna a battere forte.La speranza ha la sua porta spalancata.L’immaginazione ti porta lontano,le tue cellule si attivano, si rigenerano, l’ossigeno prende sapore,il sapore della Vita.Quella che non puoi permetterti di offendere, di mancare di ri-spetto, di assaporarla anche quando nel piatto c’è una piccolaporzione.Non puoi voltarle le spalle e far finta di niente. Non puoi men-tirla, non puoi raggirarla, non puoi dimenticarla da qualche parteo lasciarla nelle mani di qualcuno o di qualcosa.Devi, dicendolo a te stesso, ritornare a dargli il giusto senso, ilgiusto valore e continuare a viverla. Perché ti è stata data, do-nata, regalata, dal gesto d’amore più grande che gli essere umanipossano compiere.Tu non puoi altro che ringraziare, restituire con lo stesso gestod’amore quello che hai ricevuto.Il sogno magnifico e terrificante che ci rende meravigliosi, la ra-zionalità che spegne ogni illusione di gloria alla vista del tramontosul mare. L’ingegno che si vergogna di non poter altro che ammi-rare l’alba di un mattino innevato. Il cuore che batte e batte,forte, ti dà la sensazione che continuerà a farlo anche dopo es-sersi fermato.Ti resta solo da scegliere.Prendere o lasciare.Tutto quello che vuoi è aldilà della paura.

COSASTIAMOFACENDOAL NOSTROPIANETA ?

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Sentire il bisogno di raccontare.Così, come quando l’acqua raggiunge ilpunto estremo, quando le molecole si spez-zano per dar vita a quel bollore, cocente.E’ un intenso corposo e denso corpo emo-tivo. E’ lì che ti travolge, ti coinvolge e ri-schia di implodere. Dentro.Tante volte ti fermi ad ascoltare. Nel silen-zio. E quando sei lì, vicina un palmo a toc-care quasi con mano quel denso, il suonodel treno tra gli alberi ti distrae. E poi è losquillare del telefono, o il rombo di un aereoche talmente forte pare stia per entrarti incasa. Ed ogni singolo rumore ti distoglie dalcontatto completo con il cocente caloredella tua anima.E lei è lì, che aspetta, stracolma di pensieri, ansimante. Ricerca un modo per fermare

l’incedere del tempo e con esso l’avvicinarsidel punto X, della meta finale, dell’attimoin cui l’eruzione provoca l’incendio dellemembra. Il corpo si ritira tra pagine e pa-gine di vite altrui, di storie romanzate che sivorrebbero fare proprie e le mani comin-ciano a sorreggere decine e decine di vetrifumanti vapori alcolici. La mente pare an-nebbiarsi, ma la lucidità di uomo ti riportacostantemente, continuamente a queldenso e cocente mondo dentro di te.La ricerca di un modo per appartenertisenza la tensione di un corpo gravido.E d’improvviso mi accorgo che il calore di-minuisce. Ecco, la mia mano comincia ascorrere su fogli bianchi. L’inchiostro tra-sforma quel denso in parole urlanti, i graffitisecolari scolpiti nella mia anima si susse-guono, l’uno dopo l’altro in un racconto di

vita, racconto di sorrisi e lacrime, di quelbruciore che ti fa male allo stomaco e diquello sfarfallio proprio al di sotto della tuapancia che noi chiamiamo piacere. E più ifogli si riempiono di me e più mi sento leg-gera.Eccoli di nuovo, i pensieri dimenticati, se-polti nel caos primordiale di una adole-scenza comune. Messi in fila come all’uscitadi scuola, fuoriescono da me e mi allegge-riscono.Ed eccola la mia anima. Ribolle ora di fre-nesia e di entusiasmo. Ha trovato sollievoin quel blu dell’inchiostro.Danza come tarantata al ritmo di frasi chesi susseguono.Il silenzio nell’espressione di sé: la sua pri-gione. La scrittura come pennello per di-pingere sé: la sua Libertà.

LA LIBERTA’ PIU’ INTIMA CHE HO

Senza tetto Non senza diritti

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Raffaele: Si, mi sento responsabile, o co-munque mi impegno per esserlo e tutti igiorni faccio i conti con la mia svogliatezza.Cristian: Ovvio che io mi senta responsa-bile, fa parte di me. Sono convinto che laresponsabilità premia sempre, devo solocercare - per quel che mi riguarda - di nonfarla diventare un eccesso, un’ossessione.

Raffaele: E’ quella “cosa” che quando arrivia sera, ti permette di guardarti allo spec-chio con soddisfazione perché sai che inquella giornata ti sei impegnato in tutto.Cristian: Per me è un modo per sentirmicoerente con la vita. Se vuoi, puoi agire efare!

Raffaele: Wow, ce l’ho fatta!! Sono final-mente cambiato, non devo sforzarmi più!Cristian: Dopo un momento di terrore e didisorientamento, cercherei di essere un“buon irresponsabile”…Ma non mi vedocosì, proprio non ce la faccio.

Raffaele: No, non mi pesa, anzi, cerco dimigliorare sempre perché qualche voltavengo meno e quello che mi pesa è proprioquesto, non la responsabilità, che invece mirassicura e mi dà il peso del mio cambia-mento.Cristian: Oggi che riesco a gestire megliola responsabilità, senza farla diventare unamania o un’ossessione fine a se stessa,sono contento che questo valore sia mio.

Raffaele: Ti voglio bene.

Cristian: Voglio una sicurezza nel lavoro.

Raffaele: Sveglia, ma con i 5 minuti di ri-tardo che mi caratterizzano, doccia veloce,barba e pulizia in tutta la casa e poi corrialtrimenti perdi il pullman; e poi corri per-ché c’è lezione all’Università; e poi corriperché hai un appuntamento al Centro; epoi corri perché c’è Cristian che ti aspetta;e poi corri perché devi andare a lavorare.Cristian: Come al solito, aspetto il pullmanper andare al lavoro e come al solito perogni mio appuntamento, sono sempre inanticipo, troppo in anticipo, non so che faree mi domando: “Sei sicuro, Cristian, che tipiace essere così?”.

Raffaele: Non mi va e non lo faccio, tantochi se ne importa!Cristian: Mi piace la solitudine, voglio re-stare da solo.

Raffaele: La tossicodipendenza, tutte le sueconseguenze e quello che ha rappresentatonella mia esistenza.Cristian: Il tentativo di suicidio, la voglia dirinunciare alla mia vita.

Raffaele: L’ammettere a me stesso che qual-cosa nella mia vita non andava e che poi lavita che facevo per strada non era così bellacome l’avevo sognata, e aver chiesto unamano per recuperare la mia vera strada,quella che avevo perso.Cristian: L’incontro con Dio e con mestesso.

Raffaele: …Malgrado tutte le cadute, anchequelle “piccole” quotidiane, continuo te-stardo e determinato ad andare avanti lungola mia strada, strada che a poco a poco in-contra gioie e soddisfazioni, piccole felicitàa volte poco visibili agli occhi, ma chedanno senso e calore alla mia vita.Cristian: …Tenendo a bada l’egoismo, pen-serò sempre a quello che fa realmente benealla mia vita.

Beh, noi ci siamo divertiti un po’ con questebattute, domande e risposte, mettendoanche un pizzico d’ironia tra le nostre pa-role; le conclusioni e le riflessioni le la-sciamo a Voi lettori. Leggeteci benevoli…

Auto)Intervista doppia - e semiseria - a due rappresentanti dellasocietà odierna, Raffaele e Cristian, due persone completamentediverse tra loro, ma con molti punti in comune. Uno di questi è laresponsabilità.

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CICREDOdi Giovanni Esposito

Resto da solo a guardare,chi ero, chi sono, cosa voglio essere.Resto da solo a pensare,cos’era, cos’è, cosa sarà.Resto da solo a sognare,cosa volevo, cosa voglio, cosa vorrei.Resto da solo ad esclamare,cosa restava, cosa resta, cosa resterà.Resto da solo a camminare,a correre e a scappare.Da solo a ritornare,a sorridere e a festeggiare.Da solo per riflettere,per decidere ed affrontare.Poi scrivo,leggo e rileggo.Decido di portarti con me,perché da solo l’ho deciso.Ho scelto,non voglio restare.

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L'ordinamento penale vigente si è fatto carico della possibilità di consentireal “condannato”, ricorrendo particolari situazioni, di espiare la propria penaall'esterno del carcere e seguendo determinati e specifici percorsi “alterna-tivi”.Le alternative possibili rispetto alla pena detentiva carceraria sono: Affida-mento in prova al servizio sociale; Affidamento per tossicodipendenti; Lavorodi pubblica utilità; Detenzione domiciliare; Detenzione domiciliare speciale;Detenzione domiciliare per pene fino a diciotto mesi, Misure per soggettiaffetti da gravi malattie; Espulsione alternativa alla detenzione; Semilibertà;

Liberazione condizionale.

L'art. 47 dell'Ordinamento Penitenziario consente di “affidare al servizio so-ciale” il condannato fuori dall'istituto di pena per un periodo uguale a quellodella pena da scontare.Affinchè ciò possa avvenire la pena detentiva inflitta (o il residuo pena) nondeve superare i tre anni di reclusione; a ciò si aggiungono i requisiti del doveressere detta misura alternativa effettivamente utile, nel caso concreto, allarieducazione del reo e utile, contemporaneamente, alla prevenzione del pe-ricolo che egli commetta altri reati.Quando i condannati siano soggetti affetti da AIDS conclamata o da gravedeficienza immunitaria o da altra malattia particolarmente grave l'affidamentoin prova al servizio sociale non soggiace a limiti di pena (art. 47 quater OP).Taluni particolari delinquenti, condannati per delitti particolarmente odiosi(associazione mafiosa o finalizzata al traffico di stupefacenti), possono ottenerel'affidamento in prova al servizio sociale (ed anche le altre misure alternative)solo se collaborano con la giustizia; altri condannati per altre categorie (esem-pio i delitti commessi per finalità di terrorismo) possono essere ammessi al-l'affidamento (o ad un'altra misura alternativa) solo se non hanno più contatticol mondo di provenienza ed abbiano cessato le attività delinquenziali.

E' disciplinata dall'art. 94 del d.p.r. 309/1990, ed è possibile per i condannatitossicodipendenti con pene fino a 6 anni (anche se residuo di maggior pena),la cui tossicodipendenza è documentata e che hanno in corso, o intendano

sottoporsi, ad un programma di recupero/terapeutico concordato dal con-dannato con una A.S.L. o con altri enti, pubblici e privati, espressamenteindicati dall'art.115 d.p.r. 309/1990.Una struttura sanitaria pubblica o privata deve attestare lo stato di tossicodi-pendenza o alcooldipendenza e l'idoneità, ai fini del recupero, del programmaterapeutico concordato.Detto beneficio dell'affidamento in prova in casi particolari non può essereconcesso più di due volte.

Previsto dall'art. 73 comma 5-bis del d.p.r. 309/1990, è la prestazione diun’attività non retribuita a favore della collettività da svolgere presso lo Stato,le regioni, le province, i comuni o presso enti e organizzazioni di assistenzasociale o volontariato.Anche i condannati per guida in stato di ebbrezza o sotto l'influenza di stu-pefacenti possono (Artt. 186 comma 9-bis e 187 comma 8-bis deld.lgs.285/1992) beneficiare del fatto che la pena detentiva e pecuniaria perla guida in stato di ebbrezza sia sostituita con quella del lavoro di pubblicautilità di cui all'articolo 54 d.lgs.274/2000, il quale consiste nella prestazionedi un'attività non retribuita a favore della collettività da svolgere, in via prio-ritaria, nel campo della sicurezza e dell'educazione stradale presso lo Stato,le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenzasociale e di volontariato, o presso i centri specializzati di lotta alle dipendenze.

Come detto, può accedere a detta pena alternativa i commette i reati previstidal comma 5 dell’art. 73 (produzione, traffico e detenzione illecita di sostanzestupefacenti di lieve entità), quando non può essere concesso il beneficiodella sospensione condizionale della pena; oppure chi è condannato perguida sotto l'effetto di alcolici o stupefacenti.La prestazione di lavoro non è retribuita ed ha una durata corrispondentealla sanzione detentiva irrogata.

Prevista dall'art. L'art. 47 ter OP essa è l'espiazione della pena nella propriaabitazione o in altro luogo di privata dimora o luogo pubblico di cura, assi-stenza e accoglienza.

Le alternative al carcere, ovvero:come e quando è possibile espiarela pena in maniera diversa.a cura degli avvocati Fabiola De Stefano e Danilo Iacobacci

L’AVVOCATO RISPONDE

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Per la concessione la pena detentiva inflitta, o anche residuo pena, non devesuperare quattro anni, e devono ricorrere le seguenti situazioni in capo alcondannato, essere: donna incinta o madre di prole di età inferiore ad annidieci con lei convivente; padre, esercente la potestà, di prole di età inferioread anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimentiassolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole; persona in condi-zioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con ipresidi sanitari territoriali; persona di età superiore a sessanta anni, se inabileanche parzialmente; persona minore degli anni ventuno per comprovateesigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia.Altro genere di detenzione domiciliare (art. 47 ter comma 1 bis OP) si ha sela pena detentiva inflitta (o il residuo pena) non sia superiore ai due anni ese: non ricorrono i presupposti per l'affidamento in prova al servizio sociale;l'applicazione della misura sia idonea ad evitare il pericolo che il condannatocommetta altri reati; non si tratti di condannati che hanno commesso i reatidi particolare gravità (specificati nell'art. 4 bis OP).V'è poi anche un ulteriore ipotesi di detenzione domiciliare (art. 47 ter comma1 ter OP) che coincide coi casi in cui si possa disporre il rinvio obbligatorioo facoltativo della esecuzione della pena (artt. 146 e 147 del c.p.), casi diparticolari condizioni di “gravità” dello stato del condannato.

E' revista dall'art. 47 quinquies dell' Ordinamento Penitenziario e consentealle condannate, se madri di bambini di età inferiore agli anni dieci, di espiarela pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero inluogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e al-l’assistenza dei figli.La detenzione domiciliare speciale può essere concessa, quando non ricor-rono le condizioni di cui all’articolo 47 ter (pena inferiore ai 4 anni), solo senon sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi èla possibilità di ripristinare la convivenza con i figli.La detenzione domiciliare speciale può essere concessa, alle stesse condizionipreviste per la madre, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta, oimpossibilitata ad assistere i figli e non vi è modo di affidare i figli ad altri cheal padre.

Ai condannati con pena detentiva (anche residua) non superiore a diciottomesi, può essere concesso dal Tribunale di Sorveglianza la possibilità di scon-tare la pena presso la propria abitazione o un altro luogo, pubblico o privato,che lo accolga.Sono esclusi da tale beneficio: i condannati per i reati particolarmente gravi(quelli previsti dall’art. 4 bis della legge sull’ordinamento penitenziario); i de-linquenti abituali, professionali o per tendenza (artt. 102, 105 e 108 del co-dice penale); i detenuti sottoposti al regime di sorveglianza particolare (art.14 bis della legge sull’ordinamento penitenziario); i casi in cui vi sia la concretapossibilità che il condannato possa darsi alla fuga o commettere altri delitti;ed in casi in cui il condannato non abbia un domicilio idoneo alla sorveglianzae alla tutela delle persone offese dal reato commesso.

L'art. 47-quater OP consente ai soggetti affetti da aids o da grave deficienzaimmunitaria o da altra malattia particolarmente grave (accertate ai sensi del-l'articolo 286-bis, comma 2, del codice di procedura penale) e che hanno incorso o intendono intraprendere un programma di cura e assistenza pressole unità operative di malattie infettive ospedaliere ed universitarie o altre unitàoperative prevalentemente impegnate secondo i piani regionali nell'assistenzaai casi di aids, la possibilità di accedere alle misure alternative o di comunitàpreviste dagli articoli 47 (affidamento in prova al servizio sociale) e 47 ter(detenzione domiciliare), anche oltre i limiti di pena ivi previsti.Il Tribunale di sorveglianza non può concedere il beneficio qualora l'interessatoabbia già fruito di analoga misura alternativa o di comunità e questa sia statarevocata da meno di un anno.

L’espulsione come misura alternativa alla detenzione (art. 16 del decreto le-gislativo 25 luglio 1998 n. 286, Testo Unico delle disposizioni concernentila disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) è di-sposta nei confronti del detenuto straniero, identificato, che deve scontareuna pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni.Si applica, inoltre, quando (art. 13 comma 2 del Testo Unico) lo straniero,entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e vi si ètrattenuto senza chiedere il permesso di soggiorno, ed è considerato social-mente pericoloso ai sensi della legge 27 dicembre 1956 n. 1423.

Il condannato, in questo caso, resta in stato di detenzione ma v'è il suo rein-serimento nell'ambiente libero (anche se in forma parziale). E' regolamentatadall'art. 48 dell'ordinamento penitenziario (l.354/1975) e consiste nella con-cessione al condannato e all'internato di trascorrere parte del giorno fuoridall'Istituto di pena per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunqueutili al reinserimento sociale, in base ad un programma di trattamento, la cuiresponsabilità è affidata al Direttore dell'Istituto di pena.Soggiace a particolarissimi requisiti sia in termini di pena residua che di sog-getti, che pure di condanna per delitti di particolare gravità.

La liberazione condizionale consiste nella possibilità di concludere la pena al-l'esterno del carcere in regime di libertà vigilata; anch'essa soggiace a parti-colarissimi requisiti sia in termini di pena residua che di soggetti, che pure dicondanna per delitti di particolare gravità.

Dette alternative al carcere sono le modalità pensate dal Legislatore italianoper consentire a chi si sia ravveduto, od intenda ravvedersi, oppure a chi si

trova in particolari condizioni di disagio psicofisico, di poter “subire” una con-danna che sia davvero giusta e quanto più possibile parametrata al fatto com-messo, alle condizioni del soggetto che ha delinquito ed ad una umana erieducativa sanzione penale nell'ottica costituzionale.

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NEWS

Presentato il nono rapporto di Medici senza Frontiere. Nel 2012solo il 4 per cento dei notiziari ha parlato dei conflitti internazionali,il dato pi basso dal 2006. Eppure gli italiani, secondo un sondaggioEurisko, vorrebbero essere pi informati. Spopolano le soft news.http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/440704/De-creto-carceri-un-primo-passo-contro-il-sovraffollamento4

Una piattaforma online su cui segnalare casi sospetti di sfrutta-mento sessuale di minori realizzata in collaborazione con le forzedi polizia il principale strumento previsto della Campagna Don'tlook away della rete Ecpat.http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/440707/Mon-diali-2014-social-media-e-app-contro-l-abuso-dei-bambini

Genitori che condividono i lavori, bambini adottati, famiglie miste,genitori dello stesso sesso, mamme o pap soli Dall'associazioneScosse un censimento online di volumi per l'infanzia che valorizzal'assenza di pregiudizihttp://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/440697/Il-primo-archivio-dei-libri-per-bambini-senza-stereotipi-di-genere

E' ''Amicizia, amore sesso, parliamone adesso'', pubblicato daErickson nella collana ''Laboratori di autonomia'', curata dall'Aipd.Le autrici sono Monica Berarducci e Anna Contardi. Esiste un di-ritto alla sessualit anche per le persone con disabilit.http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/440729/Di-sabili-un-libro-sull-educazione-sessuale

Oggi linaugurazione, lo spazio gi attivo dal primo marzo. Al suointerno lavorano neurologi e psicologi, mentre le famiglie possonoscambiarsi strategie e conforto. Spesso lintero nucleo familiare ad

ammalarsi di Alzheimerhttp://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/440748/A-Torino-apre-l-Alzheimer-Caffe-per-combattere-la-malattia-con-l-aggregazione

A Cesena l'unico corso a livello nazionale. A disposizione dellemamme un team di psicologi, neuropsichiatri e legali per rispon-dere a tutti i dubbi. Nasce grazie all'esperienza personale di Car-men Latorraca.http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/440717/A-Cesena-il-primo-corso-pre-parto-per-mamme-sole

Tredici scatti fotografici mostrano diversi testimonial immortalatidavanti al muro del Cie di Gradisca dIsonzo con la bocca tappatadal nastro adesivo...http://www.redattoresociale.it/Multimedia/Photogallery/Detta-glio/440580/Mai-piu-zitti-campagna-contro-la-tortura-nei-Cie

E figlie che diventanomamme delle loro mamme: questo scambio di ruoli, complicato estraordinario, che Laura Chiossone racconta nel suo primo lungo-metraggiohttp://www.redattoresociale.it/Multimedia/Video/Dettaglio/440623/Mamma-a-carico-quando-le-madri-diventano-figlie-delle-loro-figlie

Edito dallArchivio della memoria un libro che mette insieme le tantee diverse storie che popolano la casa di riposo e la rsa dellIstitutoSan Michele di Roma.http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/440711/Rsa-come-laboratori-di-vita-un-libro-racconta-la-quotidianita-di-molti-anziani

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Bimestrale dé La Casa sulla Roccia

Registrazione presso :Tribunale di AvellinoN. Reg. Stampa :5/10 R. del 15/07/2010

Mauro Aquino

Enza Petruzziello

Francesco Iannicelli

Luigi Numis

Anna De StefanoAnnalisa BaroneDanilo IacobacciDonatella PasqualeFabiola De StefanoGiovanni SarubbiGiovanni EspositoLaura TorelliLorenzo SarnoMaria LombardiMircko De QuattroNicola De RogatisNoé Di PaolaRamona BarbieriSimone CipollettaSimone Savoia

AssociazioneLa Casa sulla Roccia ONLUSVia San Tommaso, 8583100 Avellinohttp://www.lacasasullaroccia.it

tel.: 0825/72420 - 72419fax: 0825/71610mail : [email protected]

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Don Andrea Gallo