La Russia e i Conflitti Nel Caucaso

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Contributi di ricerca

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FONDAZIONE GIOVANNI AGNELLILaboratorio di Ricerche e Relazioni Culturali

Europee e Internazionali

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EdizioniFondazione Giovanni Agnelli

La Russia e i conflitti nel Caucaso

a cura di Piero Sinatti

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Copyright © 2000 by Edizioni della Fondazione Giovanni Agnellivia Giacosa 38, 10125 Torino

tel. 011 6500500, fax 011 6502777

e-mail: [email protected] Internet: http://www.fondazione-agnelli.it

Traduzione dal russo di Luigi Giacone (saggi di V. Belozerov,

E. Pain e A. Zubov) e di Adriana Oberto (saggio di M. Ro¡Øin).

Traduzione dall’inglese di Luigi Giacone (saggio di L. Vardomskij)

e di Martina Scalzerle (saggio di ¢. ZajonØkovskaja).

ISBN 88-7860-171-3

La Russia e i conflitti nel Caucaso / a cura di Piero Sinatti –

XXIX, 292 pagg.: 21 cm

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IntroduzionePiero Sinatti IX

Avvertenza XXV

Cartine XXVII

Il futuro politico del Caucaso: saggio di analisi comparatae retrospettivaAndrej Zubov1. L’analogia balcanica 12. Etnie e civiltà: la configurazione del Caucaso 33. La configurazione geopolitica del Caucaso 11

3.1. Primo periodo di dominazione dell’Impero del Nord

(1801-1917) 124. Mutamenti nella realtà geopolitica del Caucaso negli anni

1917-22 254.1. Secondo periodo di dominazione dell’Impero del Nord

(1921-91) 525. Il Caucaso nel periodo delle nuove tempeste (1988-99) 60

5.1. Prospettive di un nuovo Impero del Nord 72

Analisi comparativa e valutazione del rischio di conflittietnopolitici lungo le frontiere russe: il ruolo della RussiaEmil’ Pain1. Le principali zone di conflitti etnopolitici nello spazio

postsovietico 812. La politica della Russia nelle aree di conflitto della Csi 87

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3. Il Caucaso settentrionale: la zona di maggiore rischioper la Russia. Gli scenari delle possibili minacce 963.1. Primo scenario. Nascita del «Grande imamato». Sviluppo

dell’espansionismo ceceno e dell’estremismo islamico 1013.2. Secondo scenario. La «Nuova guerra del Caucaso»: la Russia

amplia la zona delle azioni militari nel Caucaso settentrionale 1063.3. Terzo scenario. La lenta erosione del potere feudale nelle

repubbliche islamiche del Caucaso settentrionale e il loro

graduale allontanamento dalla Russia 108Conclusioni 113

Dagestan: un enigma dei tempi postsovietici. È possibile un’ulteriore destabilizzazione?Michajl Ro¡Øin1. La situazione etnica in Dagestan 1162. La situazione religiosa in Dagestan 126Conclusioni 133

La Cecenia: una tragedia che viene da lontanoPiero Sinatti

1. Profilo storico 1352. Dopo la Rivoluzione d’ottobre 1433. La deportazione 1454. Dopo la morte di Stalin 1485. La fine dell’Urss e l’inizio del separatismo: D§ochar Dudaev 1506. Il fattore petrolio 1607. La prima campagna di Cecenia (1994-96) 1618. La pace e la presidenza Maschadov 1689. La crisi daghestana e la seconda campagna di Cecenia 178

10. Le successive fasi del conflitto 193

Aspetti etnici dei flussi migratori nel Caucaso settentrionalee conseguenze politicheVitalij Belozerov1. Migrazione e dinamica distributiva della popolazione russa 2022. Flussi migratori e diaspore delle etnie titolari delle repubbliche

del Caucaso settentrionale 212

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3. Processi etnodemografici presso i popoli non titolari delle repubbliche nordcaucasiche 217

Migrazioni fra paesi della Csi e Russia: passato, presentee futuro¢anna ZajonØkovskajaIntroduzione 2231. Nuovi fattori 2242. Tendenze generali 2263. Migrazioni fra la Russia e le altre ex repubbliche sovietiche 2284. Rimpatri 2325. Rifugiati e migrazioni forzate 2376. Particolarità delle regioni russe 2407. Il Caucaso settentrionale nel contesto della Fr 2438. Politiche di immigrazione 252

Le risorse energetiche e lo scenario geopolitico nelle regionidi confine della RussiaLeonid Vardomskij1. Le nuove condizioni del complesso energetico della Russia 2552. Caratteristiche sociali, economiche e geopolitiche delle zone

di confine della Fr 2613. Il fattore energetico e le attuali tendenze di sviluppo nelle

zone di confine della Russia e nei vicini stati postsovietici 2704. Le prospettive di completamento del progetto energetico:

conseguenze geopolitiche per la Russia 279

Nota sugli autori 289

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La disgregazione dell’Urss e la formazione degli stati postsovie-tici, in primo luogo quella della Federazione Russa (Fr), sono statisicuramente il fatto di maggior portata storica, diremmo epocale,con cui si è chiuso il secondo millennio. Scenari di crisi e prospetti-ve di sviluppo si sono intrecciati nel magmatico periodo della tran-sizione dal sistema sovietico a un altro, non ancora ben definito, nétantomeno compiuto, che dovrebbe portare i segni della democraziapolitica e dell’economia di mercato. Un periodo che già copre undecennio e del quale possono essere messi a fuoco una serie di temiin rapporto al mutamento – oltre che del sistema politico e di quelloeconomico – degli equilibri e dei rapporti interetnici, dei confinidello spazio ex sovietico, dei flussi migratori, in una parola del nuo-vo quadro geopolitico e interetnico che si è venuto a creare.

La Fondazione Giovanni Agnelli nell’ambito dei suoi program-mi di ricerca ha già dedicato una particolare attenzione alla Russia eai complessi problemi della transizione, chiedendo, organizzando eraccogliendo i contributi degli studiosi russi più qualificati e rappre-sentativi sui principali indirizzi emersi negli anni Novanta. Un annofa è apparso nelle edizioni della Fondazione un volume sui nuoviassetti e le nuove dinamiche socioeconomiche e culturali dal titoloLa nuova Russia. Oggi si è voluto puntare l’obiettivo su una regionepeculiare dello spazio postsovietico: il Caucaso, che nelle sue regio-ni settentrionali è ancora parte integrante della Fr. È sicuramente ilprincipale luogo di crisi – costellato di tensioni interetniche e con-flitti armati –, di lotta per l’influenza e di rilevanti trasformazioninella sua composizione etnica, grazie alle sue specificità demografi-che e ai nuovi, epocali processi migratori.

IntroduzionePiero Sinatti

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Per questo sono stati chiesti, di nuovo, i contributi di personalitàdel mondo accademico russo, alcune delle quali hanno indossatoper più o meno lunghi periodi gli scomodi panni di consiglieri delPrincipe, un principe umorale e contraddittorio come Boris El’cin.

Per la Fr, il Caucaso rappresenta, in termini geopolitici, il luogopiù frammentato e più critico dell’ex Urss. Basti pensare che solonella parte non russa troviamo tre stati di nuova indipendenza: laGeorgia con le «autonomie» conflittuali dell’Abchazia, dell’Ossetiameridionale e, in misura minore, dell’Ad§arija; l’Azerbajd§an el’Armenia con l’enclave separatista Nagorno-Karabach, conteso traBaku ed Erevan. E della Russia fanno parte – dell’area caucasica –due grandi territori (kraj), Krasnodar e Stavropol’ e ben sette repub-bliche: Adygeja, Cabardino-Balcaria, KaraØaevo-Æerkessija, Nord-Ossetia, Inguscetia, Cecenia, Dagestan: è questo l’anello più deboledella catena federale.

In termini geopolitici il Caucaso è al centro di un arco di instabi-lità che va dalla penisola balcanica (ex Jugoslavia) all’Asia Centrale(Tad§ikistan e Afghanistan). Sotto il profilo economico, la sua im-portanza è data sia dalle grandi riserve petrolifere del prospicienteMar Caspio, seconde nell’Eurasia solo a quelle dei paesi del Golfo,sia dalle rotte del petrolio e del gas dell’area Caspio – Kazachstan –Turkmenistan verso i mercati internazionali. Alle une e alle altre,con la fine dell’Urss, si è rivolto l’interesse attivo delle potenze re-gionali (Turchia e Iran), delle grandi compagnie multinazionali pe-trolifere e dei governi occidentali, in primo luogo quello degli Usarivelatosi il governo più attento e dinamico nello stringere rapportipolitico-diplomatici e di cooperazione economica e militare con glistati di nuova indipendenza del Transcaucaso (Azerbajd§an e Geor-gia) e dell’Asia Centrale che si affacciano direttamente sull’area ca-spica (Kazachstan e in misura minore Turkmenistan) o vi convergo-no (Uzbekistan).

La fine della superpotenza sovietica ha fatto dell’area caucasico-caspico-centroasiatica un nuovo luogo di lotta per l’influenza politi-ca e il controllo delle risorse. Vi sono impegnate in primo luogo laRussia, in secondo Turchia e Iran, paesi che gravitano su quella re-gione e hanno con essa forti legami storici, e infine gli Stati Uniti ilcui fine è quello di consolidare i paesi di nuova indipendenza dellaregione, impedire alla Russia di riprenderne l’egemonia e il control-

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lo, sviluppare e rafforzare la propria influenza ai fini dello sfrutta-mento delle risorse energetiche. Si tratta di fini esplicitamente di-chiarati dall’amministrazione Clinton e da alcuni teorici del mono-polarismo americano, come Zbigniew Brzezinski. In una parola, ilcontrollo delle risorse e delle vie di comunicazioni è la principaleposta in gioco1.

I saggi raccolti in questo volume offrono un’informazione qua-lificata e specialistica sull’area che fa da contesto al conflitto russo-ceceno, sicuramente il più grave e prolungato tra quelli che sonoavvenuti nello spazio dell’ex Urss. Informazione necessaria in rap-porto alla scarsa attenzione che in Italia – a differenza di quanto èavvenuto in altri paesi occidentali – hanno riservato al Caucaso lacultura accademica e i media.

Per la varietà degli aspetti geografici, etnico-linguistici, storici,economici e politici commisurati allo spazio relativamente piccoloche li comprende, il Caucaso costituisce l’area più complessa delcontinente euroasiatico.

La regione ha al suo centro una catena montuosa che si estendein direzione sud-est, per oltre 1200 chilometri, dal Mar Nero al MarCaspio, segnata da vette che superano i 5000 metri e da una serie dialtopiani, aree pedemontane, valli e pianure in cui si articolano, sidividono e si chiudono i suoi territori.

Il paesaggio varia da quello alpino a quello della steppa, da am-pie e fertili valli e pianure solcate da fiumi nati dai ghiacciai cauca-sici alle coste subtropicali del Mar Nero e alle depressioni del Ca-spio.

Oltre quaranta etnie vivono nel Caucaso e parlano altrettante lin-gue e dialetti appartenenti sia alla famiglia delle lingue caucasiche,sia a quella delle lingue dei popoli allogeni là penetrati nel corso deisecoli: indoeuropea (iranica e russa), turca e mongola.

Introduzione

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1 Z. Brzezinski, La Grande Scacchiera, Milano, Longanesi, 1997, pagg. 167 sgg.Per il punto di vista russo di reazione si veda A. Kulikov, «Trouble in the NorthCaucasus», in Military Review, luglio-agosto 1999. Sui rapporti tra conflitti interet-nici, petrolio e penetrazione americana si veda P. Sinatti, «La Russia ha perso ilGrande Gioco», in Limes, n. 4, 1998.

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Due le confessioni religiose fondamentali: la musulmana e lacristiana, suddivise tra le diverse osservanze, confraternite e autoce-falie. Quanto alla storia, il Caucaso – le vestigia della cui civiltà ri-salgono al terzo millennio prima di Cristo – ha conosciuto migra-zioni, invasioni, occupazioni e interrelazioni, imposte dalla suaposizione di cerniera tra Europa e Asia: dall’Assiria alle coloniegreche del Mar Nero (è dal Caucaso – la mitica Colchide – che pro-vengono i miti ellenici degli Argonauti e di Prometeo); dall’Imperoromano a quello persiano; dalle invasioni e dominazioni di sarmati,sciti, tataro-mongoli, fino a quelle dei turchi ottomani, per finire al-la progressiva e decisiva penetrazione e colonizzazione dei russi.Quest’ultima è iniziata sotto Ivan IV il Terribile (XVI secolo) e si ècompiuta dopo la metà del XIX secolo.

Del Caucaso si può parlare come di regione istmica o di linea diincontro-scontro tra Europa e Asia, tra due civiltà, quella cristianadi origine greco-bizantina, e quella islamica. Tuttavia, troviamo siaa sud che a nord del Grande Caucaso presenze dell’una e dell’altrache rendono meno netta quella linea. Tanto il cristianesimo (domi-nante in Armenia e Georgia, cristianizzate nella prima metà del pri-mo millennio, molti secoli prima dei russi), quanto l’Islam (la cuipenetrazione nel Caucaso è durata quasi un millennio), sono arriva-ti dal Vicino Oriente e hanno sostituito il paganesimo (e lo iazdi-smo) delle popolazioni indigene, prima dell’insediamento russo.

L’importanza politica della regione è attestata dal numero diguerre per il suo controllo che, a partire da Pietro il Grande, hannoopposto la Russia alla Persia, ma soprattutto all’Impero ottomano,dal secolo XVIII al XIX, nel momento in cui i due imperi andava-no indebolendosi. La conquista russa è costata lunghi e cruenticonflitti iniziati a partire dalla fine del Settecento. Da qui una seriedi migrazioni, insediamenti, deportazioni che hanno segnato finoad oggi quella regione e i rapporti degli «invasori» russi con le po-polazioni indigene.

La conquista e il controllo del Caucaso hanno avuto per la Rus-sia imperiale vari fini. Uno ideologico: la realizzazione di un com-pito di civilizzazione nei confronti di popolazioni «selvagge» comei «montanari» del Caucaso settentrionale (è il grande AleksandrPu¡kin che esalta per primo la conquista russa del Caucaso) e diprotezione nei confronti delle nazioni cristiane della Transcaucasia,

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l’armena e la georgiana, che più volte dal XVI al XIX secolo hannoinvocato «lo zar cristiano russo» per sottrarsi al dominio musulma-no. Uno geopolitico: l’espansione a danno dei due imperi musulma-ni del Sud (persiano e ottomano) per avvicinarsi ai «mari caldi» emeglio proiettarsi in Asia Centrale, entrando in concorrenza conl’Impero britannico (è il Great Game di cui racconta Rudyard Ki-pling). Uno economico: il controllo delle vie di comunicazionecommerciali verso il Sud (un tempo parte della mitica Via della Se-ta), la conquista di nuovi mercati e delle produzioni offerte in ab-bondanza dallo stesso Caucaso. La principale divenne il petrolio delCaspio, sul finire del secolo XIX. Il suo primo sfruttamento e tra-sporto fu, tuttavia, opera delle grandi compagnie britanniche. Almomento dello scoppio della Prima guerra mondiale si può dire chequesti fini fossero stati realizzati.

La fine di quella guerra, il crollo caotico della monarchia e del-l’Impero, la conquista bolscevica del potere dettero vita a un «pe-riodo di torbidi» come pochi altri nella storia russa. Il Caucaso di-venne teatro di tentativi indipendentisti, spesso in violento contrastotra loro, di nazioni ed etnie locali (armeni, georgiani, azeri, «popolimontanari») e di interventi stranieri (Germania, paesi dell’Intesa,«Giovani Turchi»): tutti interessati ad eliminare dalla regione l’ege-monia russa.

Alla fine di questa fase convulsa, i bolscevichi stabiliscono nelCaucaso il dominio ferreo del nuovo impero sovietico. Nei loro mo-di violenti, distorti e distruttivi (collettivizzazione delle campagne;lotta antireligiosa; decimazione dell’intelligencija locale; deporta-zioni etniche) proseguono il processo di modernizzazione iniziato,con altre prospettive, metodi e fini, sotto Alessandro III e Nicola II.

Innanzitutto, l’ingegneria geopolitica dei bolscevichi frammental’Impero e il Caucaso in un gran numero di unità etno-territorialisconosciute al centralismo zarista dei «governatorati» (gubernija).Le si delimitano con nuovi e arbitrari confini all’insegna del divideet impera. Come altrove, anche nel Caucaso si dà a talune etnie latitolarità del territorio anche se minoritarie (Adygeja). Si accorpanoin una stessa «autonomia» etnie differenti (circassi e karaØai, cabar-di e balkari, ceceni e ingusci). Un medesimo gruppo etnico vieneassegnato a unità etno-territoriali diverse: l’Ossetia settentrionale

Introduzione

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alla Repubblica federativa russa (Rsfsr) e quella meridionale allaGeorgia; l’esigua minoranza abchaza diventa titolare della regionein cui i georgiani sono maggioranza; i lezghi sono divisi tra Dage-stan meridionale e Azerbajd§an settentrionale; gli armeni del Na-gorno-Karabach sono sottoposti all’Azerbajd§an e gli azeri del Na-chiØevan all’Armenia (cfr. cartine pagg. XXVII e XXIX).

Grazie al principio leninista della korenizacija kadrov (radica-mento etnico dei quadri), i posti di direzione politico-amministrati-va sono assegnati prevalentemente a elementi dell’etnia che «inti-tola» la repubblica o regione autonoma, indipendentemente daimeriti e dalla quota percentuale di quell’etnia sull’insieme della po-polazione.

Nel contempo le misure radicali imposte dalle élite comuniste edall’ideologia dominante (collettivizzazione; ateismo di stato; anti-tradizionalismo) aprono nuove ferite nel Caucaso dove non si eranorimarginate – specie tra i ceceni – quelle antiche, provocate dallatrentennale Guerra del Caucaso del secolo XIX. Tuttavia, sono ledeportazioni etniche di massa staliniane degli anni Quaranta a la-sciare tra i «popoli montanari» repressi (segnatamente i ceceni) lapiù forte russofobia.

Il dominio sovietico viene percepito come dominio dei «russi»,nonostante le élite sovieto-comuniste si proclamino «internazionali-ste». In quello stesso periodo nel Caucaso hanno luogo un intensosviluppo industriale, segnatamente nel settore petrolifero, una forteurbanizzazione, un’alfabetizzazione di massa. Si creano, per la pri-ma volta, le lingue scritte locali, pur restando il russo (né poteva es-sere altrimenti) la lingua franca della regione e d’accesso a forme dicultura e di sapere superiori. Tuttavia, si vietano l’insegnamento e lostudio dell’arabo, la lingua sacra dei musulmani. Si chiudono mo-schee e madrasa. Si formano élite amministrative e tecnico-speciali-stiche locali; si crea una rete di servizi sociali (istruzione e sanità) edi infrastrutture stradali e ferroviarie, accompagnata da accresciutiflussi immigratori soprattutto russi nell’area nord caucasica (aree ur-bane, capitali di repubbliche, regioni e «autonomie»).

Si accentua nel contempo il divario socio-culturale e di redditotra città e campagna, mentre cresce a dismisura il tasso di natalitàtra le etnie indigene nelle aree agricole e montane più che nellecittà; sono ancora diffuse le norme dei codici consuetudinari (ven-

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detta di sangue; ratto della sposa). Inoltre, nell’assenza di vita de-mocratica, comune a tutta l’Urss, nel Caucaso (come in Asia Cen-trale) le scelte dei quadri locali e il controllo delle risorse avvengo-no secondo le appartenenze familiari, di clan e localistiche.

Dopo il caotico e destabilizzante ritorno dei «popoli deportati»del Caucaso nel periodo chruscioviano e il periodo di relativa tran-quillità vissuto durante la leadership di Bre§nev e dei suoi successo-ri Andropov e Æernenko, nel periodo tardo gorbacioviano la regionesi trasforma, di nuovo, in un «punto caldo» dell’Unione Sovietica:come dopo il crollo della monarchia, vi si affermano spinte rivendi-cative, disgregatrici e centrifughe cruente, in parallelo a quelle cen-trifughe, ma pacifiche e civili, dell’area baltica.

Ci troviamo di fronte a quattro ordini di fenomeni: separatismoindipendentista rispetto all’Urss, nel caso di Georgia, Azerbajd§ane Armenia; conflitti interetnici che si trasformano in conflitti inter-statali, come nel caso di Armenia e Azerbajd§an che si contendonoil controllo del Nagorno-Karabach, dopo che le élite dei due paesihanno promosso e accelerato nelle élite dei due paesi la separazionedall’Urss e l’autoidentificazione nazionale; conflitti armati tra alcu-ne repubbliche non russe e loro «autonomie»: la Georgia control’Ossetia del Sud, le cui élite chiedono l’unione con l’Ossetia delNord all’interno della Fr; la Georgia contro l’Abchazia, che si vuoledistaccare da Tbilisi ed entrare nella Fr; l’Azerbajd§an contro la suaenclave armena del Nagorno-Karabach che si vuole aggregare aErevan; infine, conflitti nel Nord Caucaso: l’Ossetia settentrionalecontro gli ingusci; i separatisti ceceni contro la Fr, che non vuole ri-nunciare alla sua sovranità sulla Cecenia.

Da quest’ultima contrapposizione prende origine il conflitto as-solutamente più grave dell’età postsovietica per perdite umane, di-struzioni materiali, durata nel tempo (due guerre l’ultima delle qua-li ancora in corso), quantità di truppe e armamenti impiegati, riflessiinterni nella Russia (politici, economici e sociali) e internazionali.

Perciò, con l’eccezione del Tad§ikistan, periferia dell’Asia Cen-trale – alla cui instabilità ha contribuito l’evolversi della guerra ci-vile afghana – è il Caucaso la regione in cui la disgregazione del-

Introduzione

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l’Urss ha assunto in assoluto i caratteri più destabilizzanti, cruenti edi maggior durata temporale.

Ora, i saggi qui riuniti si incentrano su alcuni aspetti del panora-ma sin qui schematicamente tracciato. I primi due, rispettivamentedi Andrej Zubov ed Emil’ Pain (uomini che hanno ricoperto ruoli diconsulenza politica in quanto specialisti di altissimo livello della re-gione), ci offrono del Caucaso due diverse rappresentazioni, parten-do dalla medesima constatazione di eccezionalità della regione.Storica la prima, geopolitica la seconda.

Zubov rivendica il ruolo civilizzatore e modernizzatore esercita-to dalla Russia nel Caucaso negli ultimi due secoli. Il suo apprezza-mento va al periodo zarista più che a quello sovietico. Per questo,trattando la fase della conquista, egli non evidenzia gli aspetti cheinfluirono negativamente sull’intero periodo successivo: in primoluogo, la dura strategia coloniale (incendio dei villaggi e dei campicoltivati, taglio dei boschi) che, attuata per la prima volta dal gene-rale e governatore Ermolov (esaltato da Pu¡kin), segnerà i compor-tamenti dei generali governatori successivi (condannati da Lev Tol-stoj) nei confronti dei «popoli montanari» durante la Guerra delCaucaso; successivamente, la grande emigrazione nell’impero otto-mano di centinaia di migliaia di «montanari» dopo la sconfitta delloro protagonista nella Guerra, l’Imam ¿amil’.

Maggiormente si sofferma Zubov sul caotico periodo che seguela caduta della monarchia, di cui ricostruisce con sintesi efficace lediverse e complicate fasi. Et pour cause: questo, infatti, gli permet-te di stabilire un significativo parallelismo tra «i torbidi» di queglianni e quelli del periodo postsovietico. Questo per dare più forza auno stesso giudizio: la secessione dalla Russia rappresenta per tutti ipopoli del Caucaso una fonte di disordine, tensioni e conflitti inte-retnici, di governi inetti e corrotti che fanno delle contrapposizionietniche uno strumento di manipolazione e controllo di vaste massepopolari. E in simile contesto, si fanno avanti potenze regionali e«globali», le quali perseguono i propri fini di controllo strategicodell’intera area e delle risorse (petrolio) locali, grazie all’estromis-sione della Russia. Nel 1918-21 come oggi, conclude Zubov.

Come si vede, si tratta di una percezione che i non russi defini-rebbero sicuramente «imperiale» e che sbocca in un’ipotesi di ri-

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composizione dell’area caucasica in una nuova struttura sovrana-zionale. Lo scenario che si contrappone a quello del dissolvimentodella stessa Fr, inevitabile se non si interrompono i processi centri-fughi, è quello della gubernizacija, cioè un ritorno ai governatoratimultietnici, i soli che siano in grado di superare la distruttiva fram-mentazione etnocentrica ed etnocratica. Questo è possibile solo –afferma con forza Zubov – se prima di tutto la Russia stessa saprà«ricostruirsi» nelle istituzioni e nell’economia. È singolare che il ri-torno ai governatorati, dopo essere stato uno dei cavalli di battagliadel nazionalista Vladimir ¢irinovskij, sia diventato nel maggio2000 uno dei capisaldi della strategia del nuovo presidente russoVladimir Putin.

Nel saggio successivo, di Emil’ Pain, l’autore fa appello allaRussia perché rafforzi le proprie istituzioni e funzioni come unostato federale democratico, teso prima di tutto a risanare e moder-nizzare la propria economia. È il presupposto perché possa riaffer-mare la sua egemonia, libera da qualsiasi volontà imperiale, sulCaucaso, divenendo il principale artefice del suo sviluppo. ComeZubov, anche Pain condivide l’idea (più volte ribadita anche neisuoi numerosi interventi sulla stampa russa) che, fuori da una strettacooperazione e interrelazione economica e politica con la Russia,non c’è avvenire per il Caucaso. Al tempo stesso, se non sono con-trastate le tendenze disgregatrici nel Caucaso settentrionale, questepossono contagiare altre aree musulmane della Fr (Ba¡kortostan,Tatarstan).

Sostenere che il Caucaso in generale non possa fare a meno del-la Russia è posizione legittima e realistica, dal momento che da unaparte né l’Iran, né la Turchia hanno sistemi politici, mezzi materialie cultura adeguati all’influenza che vorrebbero esercitare nella re-gione coprendo il vuoto lasciato dall’Urss e che la nuova Russia fi-nora non ha saputo riempire, per assenza di una politica coerente elungimirante; dall’altra, sul terreno delle interrelazioni di mercati,cultura e capacità di intervento, neppure gli Usa e l’Europa occiden-tale possono sostituirsi (non foss’altro che per le distanze culturali egeografiche) alla Russia.

Tuttavia, a differenza di Zubov, le cui valutazioni negative siconcentrano più che su Mosca, sui paesi del Caucaso di nuova indi-pendenza, Pain è molto più critico e pessimista sulla capacità di

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Mosca di superare la frammentazione e la crisi in atto nel Caucaso.Mosca, per Pain, vi ha svolto, caduta l’Urss, ruoli incoerenti e con-traddittori: forza di pace e di mediazione nei conflitti che non la ri-guardavano direttamente, ha tuttavia partecipato ad alcuni di essicome fornitrice di armi e di consiglieri e assistenti militari (peresempio ai separatisti abchazi contro la Georgia, agli armeni delKarabach contro gli azeri, agli ossetini contro gli ingusci). Talvoltagli aiuti sono andati in duplice direzione, nella misura in cui Moscaha lasciato ai propri generali in loco un’incomprensibile libertà diintervento. Da qui, lo scandalo della partecipazione militare russa afianco dei separatisti antigeorgiani abchazi sostenuti dai separatistiantirussi ceceni, successivamente corretta nell’assunzione del ruolodi mediazione e forza di interposizione tra georgiani e abchazi.

Soffermandosi sul conflitto ceceno (la cui ricostruzione storico-politica è affidata a un nostro articolo, scritto a completamento diquesto volume), Pain mette in evidenza gli obiettivi che i russi han-no perseguito intervenendo alla fine del 1994 in Cecenia: porre finea un banditismo e terrorismo endemici; mantenere il controllo stra-tegico sul Caucaso, di cui la Cecenia costituisce la parte centrale;controllare i flussi del petrolio dell’area caucaso-caspica (e kaza-cha), tramite l’«oleodotto russo» Mar Caspio - Mar Nero, Baku-No-vorossijsk che attraversa Dagestan e Cecenia.

Tuttavia, i modi, i tempi e la scelta stessa dell’intervento mera-mente militare russo in Cecenia sono stati fallimentari nella primacampagna (1994-96): con Pain lo dicono gli esiti di quel conflitto.Si sarebbe dovuto intervenire sul terreno economico e politico, an-dando alla radice socioeconomica della crisi cecena e, più in gene-rale, caucasica. Dopo la sconfitta da parte federale (agosto-settem-bre 1999) del tentativo dei «wahhabiti» ceceni e daghestani di farsollevare il Dagestan contro Mosca e di creare la «Grande Cecenia»come stato islamico unito al centro del Caucaso, il secondo inter-vento militare in Cecenia è andato ben oltre i tempi brevi e le limi-tate perdite umane e materiali che all’inizio avevano promesso l’al-lora premier Vladimir Putin e i generali russi. È successo quantoPain aveva previsto, evidenziando la lunga tenuta della guerra diguerriglia dei ribelli ceceni.

Alla crisi del Dagestan è dedicato l’intervento dettagliato di Mi-chail Ro¡Øin (un accademico impegnato in prima persona contro la

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guerra di Cecenia). Il Dagestan è un mosaico a sé all’interno delmosaico caucasico. Più di trenta sono le etnie che lo abitano e le lin-gue che vi si parlano. Oltre a offrire una ricognizione del mondo po-litico e religioso attraverso il prisma delle differenziazioni etniche,il saggio di Ro¡Øin coglie l’importanza e il significato della sconfit-ta in quella repubblica del disegno separatista degli islamici radicalio wahhabiti (gli ultimi arrivati nella regione, dove le confraternitesufi hanno ancora un’influenza prevalente sull’Islam); la permanen-za del Dagestan in seno alla Fr è l’unico scenario possibile, se sivuole evitare quella guerra di tutti contro tutti che sicuramente av-verrebbe se le diverse principali etnie decidessero di dar vita a pro-prie separate formazioni etnico-territoriali2.

I successivi due interventi riguardano i diversi flussi migratori ele variazioni della composizione etnica tanto nel Caucaso in sé (Vi-talij Belozerov) quanto nel Caucaso in rapporto al più generale spa-zio postsovietico nelle aree di confine (¢anna ZajonØkovskaja). Leconclusioni delle due relazioni possono sintetizzarsi nella fonda-mentale constatazione di Belozerov: «Nel corso di poco più di undecennio, i russi hanno perso gran parte di ciò che avevano creatonel corso di un secolo e più». Balzano evidenti le differenze tra iflussi migratori del Caucaso degli anni Sessanta-Settanta e quellidegli anni Ottanta-Novanta. Nei primi si coglie l’ultima fase ascen-dente della penetrazione russa – distribuita quasi interamente nellearee urbane, più che in quelle della campagna, nel Nord Caucasopiù che nella Transcaucasia dove la partenza di russi e russofoni giàera cominciata. Nei secondi, una decisa inversione di tendenza di-minuirà variamente la presenza russa nelle diverse aree, culminan-do nel 90 per cento e oltre di russi e russofoni che abbandonano laCecenia tra il 1991 e il 1996, ma non tralasciando di sottolineare lepartenze massicce di russi e russofoni dall’Azerbajd§an, dallaGeorgia e dall’Armenia.

Al tempo stesso, si assiste alla composita immigrazione nei terri-tori (kraj) russi di Krasnodar e di Stavropol’ e della regione (oblast’)di Rostov sul Don. Là arrivano negli anni Novanta sia russi e rus-

Introduzione

XIX

2 Al Dagestan ha dedicato un ampio studio antropologico R. Chenciner, Daghestan- Tradition and Survival, London, Curzon, 1997.

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sofoni provenienti dalle «repubbliche» caucasiche della Fr, daglistati non russi del Caucaso, dall’Asia Centrale; sia caucasici, so-prattutto armeni (dopo il terremoto di Spitak e il conflitto azero-ar-meno), ma anche georgiani a seguito del conflitto abchazo-georgia-no, ossetini per il conflitto sud-ossetino-georgiano e ingusci per ilconflitto nord-ossetino-inguscio e infine ceceni per il conflitto rus-so-ceceno.

Il dato più rivelatore è che, per sfuggire alla guerra russo-cece-na, aumenta significativamente la diaspora cecena in Russia. Que-sto significa – come ci indica l’ampia e articolata relazione di ¢an-na ZajonØkovskaja ricca di tabelle e di cifre – che nel processo didisgregazione e di diffusa conflittualità nelle diverse aree dell’exUrss, la Russia, e nessun’altra repubblica postsovietica, è ancoral’unica terra di asilo di quanti cercano di sfuggire alle tensioni e aiconflitti etnici, al degrado economico e civile e alla disoccupazio-ne, alle discriminazioni etniche: tutti fenomeni che nelle aree nonrusse della Csi sono ben più marcati ed evidenti che nella Fr. E que-sto nonostante gli ostacoli burocratici, le sopravvivenze sovietiche(come i permessi speciali o propiski per stabilirsi a Mosca e a SanPietroburgo) e le difficoltà di ogni genere che si incontrano nellastessa Russia e che la ZajonØkovskaja stigmatizza.

Tornando al Caucaso, nonostante i nuovi arrivi russi dai territoridella Csi e i trasferimenti dei russi dalle repubbliche del Nord Cau-caso ai limitrofi kraj, la presenza russa in quella regione è diminuitain misura massiccia: tanto in cifre assolute che in percentuale. Il fe-nomeno è provocato da una parte dalla forte emigrazione di russi (erussofoni), dall’altra dall’incremento demografico delle etnie indi-gene, parte dei cui componenti determinano a loro volta flussi emi-gratori in altre parti della Russia (territori del Medio Volga, BassiUrali, Russia centrale).

Infine, il petrolio: con i due «contratti del secolo», del maggio1992 (Chevron - Kazachstan) e del settembre 1994 (consorzio dimultinazionali americane e in misura minore euroccidentali e Azer-bajd§an) la Russia vede crollare il proprio controllo esclusivo sulleriserve petrolifere del Caspio e dell’Asia Centrale. Al tempo stesso,viene messo in discussione e in crisi, con progetti occidentali dioleodotti e gasdotti che la bypassano (direzione Georgia e Turchia;

Piero Sinatti

XX

Page 23: La Russia e i Conflitti Nel Caucaso

o verso l’Iran da parte turkmena), il suo pluridecennale monopoliodei trasporti di quei combustibili dalla grande area caspico-centroa-siatica fino ai terminali di Novorossijsk sul Mar Nero lungo la diret-trice Baku-MachaØkala-Groznyj-Tichoreck-Novorossijsk. Non è uncaso che il conflitto russo-ceceno scoppi solo tre mesi dopo la firmadel «contratto del secolo» tra il presidente azero Gejdar Aliev e ilConsorzio delle grandi multinazionali occidentali (Aioc), ad ege-monia americana e con rilevanti interessi di Georgia e Turchia.

L’ultimo saggio, quello di Leonid Vardomskij, non è circoscrittoal Caucaso, ma offre un panorama generale delle risorse energeti-che della Russia e dei suoi riflessi sulle regioni di confine. E dallasua ricognizione complessiva delle maggiori aree energetiche spar-se per la Fr cogliamo meglio l’importanza che hanno per la Russiail petrolio del Caucaso e le sue rotte in quella regione verso i merca-ti internazionali: specie in un periodo in cui essa deve affrontare icosti crescenti, la frammentazione societaria del settore petrolifero,le difficoltà manageriali e d’investimenti, nonché il declino dellesue tradizionali riserve, le grandi aree petrolifere siberiane, e legrandi difficoltà nel mettere in valore le nuove.

Concludendo, dagli interventi emerge una medesima convinzio-ne: il destino del Caucaso e in particolare quello della sua parte set-tentrionale non sono separabili dal destino più generale della Rus-sia: flussi migratori, equilibri etnico-politici, superamento delleattuali tensioni e dei conflitti non possono trovare una soluzionenelle formazioni statali etnocentriche ed etnocratiche quali attual-mente sono disegnate, né tantomeno nella loro proliferazione. L’e-sperienza del Caucaso ha dimostrato che le partenze massicce deirussi non hanno portato benefici di alcun genere alle popolazioni lo-cali e ai loro governi etnocentrici. Semmai, è avvenuto il contrario,come dimostrano gli anni della Cecenia di Dudaev prima dell’inva-sione russa del 1994.

La Russia resta il principale polo di riferimento e di attrazione,come dimostrano le dinamiche dei flussi migratori, per l’intera areadella Csi. Né gli altri paesi della regione, né quelli dell’Occidentepossono, per motivi storici, culturali, economici e politici sostituirsiad essa. Di questo punto fondamentale ci convincono i materiali chequi pubblichiamo.

Introduzione

XXI

Page 24: La Russia e i Conflitti Nel Caucaso

Tuttavia, si deve dire che nei processi disgregativi e nei conflittidell’ultimo decennio gravi e numerose sono state le responsabilità,dirette e indirette, di Mosca. Gli interventi di questo volume metto-no in luce queste responsabilità. Le principali sono l’assenza di unapolitica coerente verso il Caucaso e il ricorso all’intervento armato,come nel caso della Cecenia, dopo aver mancato di intervenire pre-ventivamente sul terreno politico, su quello del controllo dei depo-siti di armamenti in loco e su quello economico (qui c’è da metterein conto le enormi difficoltà di bilancio della Russia).

Ora, se la Russia vuole contenere il processo disgregativo e inter-rompere la sequenza delle spinte centrifughe deve, innanzitutto, pre-sentarsi come partner più autorevole, affidabile e stabile di quelloche ha lasciato trasparire durante la mercuriale leadership di El’cin.La ricostruzione democratica, l’affermazione della legalità nella di-rezione del Paese e nell’economia, di cui la nuova leadership di Vla-dimir Putin dovrebbe garantire il risanamento e lo sviluppo, sonocondizioni perché anche nel Caucaso si possa arrivare ad una svoltapositiva e costruttiva. Al tempo stesso, si dovranno costruire nuovirapporti federali, tenendo conto del fatto che una gubernizacija im-posta dall’alto, d’autorità, livellatrice e russificante, non permette-rebbe di superare l’attuale fase di crisi, ma la aggraverebbe, conconseguenze incalcolabili. E dal modo in cui la Russia saprà risolve-re le gravi contraddizioni della sua politica nel Caucaso settentrio-nale, segnatamente la guerra di Cecenia, dipenderanno non solo irapporti con le unità etnico-territoriali di quella regione, ma anchecon i paesi di nuova indipendenza dell’intera regione caspico-cauca-sica, alcuni dei quali sono attirati (Georgia, Azerbajd§an) da impro-babili partenariati con gli Usa o con la Nato finalizzati alla riduzioneo all’azzeramento dell’influenza russa.

Durante la conferenza dedicata al tema del Caucaso e della suastabilità, organizzata un anno fa a Mosca dalla Fondazione Gor-baØev in concorso con le associazioni umanitarie Links e Adept,l’ex segretario generale del Pcus e ex presidente sovietico ebbe a di-re che dalla stabilità nel Caucaso settentrionale dipende non soltan-to la stabilità e il benessere della gente che là vive, ma anche il de-stino dello stato russo. Le anguste rappresentazioni e costruzionietnocentriche o, sul versante opposto, la riproposizione di logichemilitari e imperiali si sono rivelate nefaste. Il dialogo, la ricerca del

Piero Sinatti

XXII

Page 25: La Russia e i Conflitti Nel Caucaso

«vivere insieme», il venirsi incontro sono molto più efficaci dello«spararsi addosso l’un l’altro» – sottolineava nel suo intervento Mi-chail GorbaØev3. Quando il discorso veniva pronunciato non era an-cora divampata la crisi del Dagestan, né le truppe federali avevanovarcato il Terek, né a quelle del 1994-96 si erano aggiunte le nuovee più terribili distruzioni di città e villaggi ceceni, né la tragedia deiprofughi aveva assunto le proporzioni massicce dell’autunno-inver-no 1999-2000.

Tuttavia, nonostante l’aggravamento della situazione (la cui re-sponsabilità non può essere ascritta unicamente alla Russia, magariassolvendo o giustificando l’avventurismo oltranzista e distruttivodei radicali ceceni alla Basaev), è evidente che la via del dialogo in-dicata da GorbaØev rimane ancora la via più realistica e costruttivada percorrere.

Introduzione

XXIII

3 Gli interventi pronunciati al Convegno internazionale della Fondazione GorbaØevsul Caucaso, si veda: Stabilizacija situacii i mirnoe razvytie na Severnon Kavkaze[Stabilizzazione della situazione e sviluppo pacifico nel Caucaso settentrionale],Moskva, Links-GorbaØev-Fond-Adept, 1999. L’intervento di M. GorbaØev è allepagg. 12-18.

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Per i nomi russi si è seguita la trascrizione diacritica:

– «Ø» si pronuncia come «c» in cena– «¡» si pronuncia come «sc» in scena– «§» si pronuncia come «j» in jour– «c» si pronuncia come «z» in rozzo– «ch» si pronuncia come «h» in house– «z» si pronuncia come «s» in rosa– «’» l’apostrofo corrisponde al segno debole (mjagkij znak). Il

segno debole serve a raddolcire la consonante che precede.

Avvertenza

XXV

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XXVII

AOGagra

ASSR

Abchazia

Suchumi

Repubblica Federativa Socialista Sovietica della Russia

Karacaevo-Æerkessija

TcharØeli

Zugdidi

PotiKutajsi

GEORGIA

BatumiASSR

Adiar BorzhomiAchaltzine

Achalkalaki

Gon

SSR

Rustavi

TelaviTbilisi

ASSRASSR

ASSR

Cabardino-Balcaria Nal’chik

Nord-Ossetia

Ceceno-Inguscetia

GroznyjVladikavkaz(Grazhonokidze)

Sud-OssetiaAO

TzhinvaliASSR

Dagestan

Kizljar

MachaØkala

TURCHIA

ARMENIASSR

Erevan

ASSRNachiØevan

NachiØevan

Gjumri Karaklis

(Alaverci)

(Kirovakan)(Leninakan)Razda

Zakatal

Derbent

Kuba

¿eki

AZERBAJD¢ANSSR

¿emacha Sumgait

Baku

Ali-Bairamly

KjurdamirDashkesan

Gjand§aMingetchaur(Kirovabad)

Lenkoran’

Astara

AOStepanakert

Nagorno-Karabach

Cartina 1. Il sistema amministrativo del Caucaso sovietico nel 1987

Legenda:

linea rossa: confini degli statilinea grigia: confini delle unità autonomeASSR: Repubblica Autonoma Socialista SovieticaSSR: Repubblica Socialista SovieticaAO: Regione Autonoma

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XXVIII

Gagra

Abchazia

Suchumi

Karacaevo-Æerkessija

TcharØeli

Zugdidi

PotiKutajsi

GEORGIA

Batumi Adiar Borzhomi

D§avach

Achalkalaki

Gon

Rustavi

TelaviTbilisi

RUSSIA

Cabardino-Balcaria Nal’chik

Nord-Ossetia

InguscetiaGroznyj

Vladikavkaz

Sud-Ossetia

TzhinvaliDagestan

Kizljar

MachaØkala

TURCHIA

ARMENIA

Erevan

NachiØevan

NachiØevan

Gjumri Karaklis

Alaverci

Razda

Zakatal

Derbent

Kuba

¿eki

AZERBAJD¢AN¿emacha Sumgait

Baku

Ali-Bairamly

KjurdamirDashkesan

Mingetchaur

Lenkoran’

Astara

Stepanakert

Artzach

SoØi

IØkerija

Bujnaksk

1 2

3

4

8

10Taly¡

9

56

7

1

4

2

3

6

5

87Gjand§a

Cartina 2. La regione del Caucaso nel 1988-99

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XXIX

Legenda:

linea rossa: confini degli statilinea verde: confini degli stati praticamente indipendentilinea grigia: confini delle unità autonomezone tratteggiate: zone di deportazioni di massa o di espulsione di alcuni gruppi et-nici

fiamma rossa: guerre etniche, atti di genocidio e massacri etnici:1. Guerre abchazo-georgiane e massacri etnici degli abchazi, dei georgiani e de-

gli altri gruppi etnici in Abchazia, 1989-99.2. Conflitto osseto-inguscio etnico-territoriale e massacri etnici degli ingusci

nella Repubblica settentrionale dell’Ossetia, 1992-94.3. Atti di massa di genocidio anti-russo nella Repubblica dell’IØkerija (Cecenia)

nel 1992-96 e guerre tra la Russia e l’IØkerija nel 1994-96; 1999.4. Conflitto etnico osseto-georgiano ed espulsione di massa degli osseti dalla

Georgia, 1991-93.5. Deportazione di massa ed espulsione violenta degli azerbaj§ani dall’Armenia

nel 1988-89 con atti di massacro degli armeni.6. Guerra armeno-azerbaj§ana nell’Alto Karabach nel 1988-94 ed espulsione

violenta degli azerbaj§ani dall’Alto Karabach con il massacro degli azerbaj§a-ni nel Chodjala.

7-8. Massacri di massa degli armeni in Azerbajd§an, Sumgait, Baku, Gjand§a,¿eki, ¿emacha, ecc. ed espulsione violenta di tutti gli armeni dall’Azerbajd-§an, 1987-90.

fiamma viola: movimenti di massa etnici:1. Il movimento degli adighei per l’autonomia etnico-territoriale dell’Adighezia

nel distretto di SoØi-Chosta.2. Il movimento dei circassi per una provincia autonoma e indipendente per i po-

poli circasso e abazino, 1999.3. Il movimento dei cosacchi del Terek per l’autonomia territoriale dell’Ossetia e

della Cecenia.4. Il movimento della popolazione dei kumyki per l’autonomia territoriale.5. Il movimento per l’indipendenza dell’Adighezia.6. Il movimento dei turchi della Meschetia per il rimpatrio in Adighezia e

D§avach.7. Il movimento degli armeni per l’autonomia del D§avach.8. Il movimento lezghi per l’autonomia o l’integrazione del Dagestan russo del

Lezghistan azerbajd§ani.9. Il movimento dei curdi per l’autonomia in Artzach e in Armenia.

10. Il movimento dei taly¡i per lo stato autonomo del Taly¡.

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1. L’analogia balcanica

La guerra che ormai da dieci anni sconvolge la regione balcanicaappare inspiegabile soltanto a quanti ritenevano che l’umanità, o al-meno quella parte di essa che abita nel mondo occidentale, avessevissuto negli ultimi cinquant’anni dei mutamenti definitivi. Dalpunto di vista dello storico, invece, era prevedibile con un buonmargine di sicurezza che questa guerra senza fine, – come una tor-biera in fiamme che emerge in superficie con le sue lingue di fuocoora qui ora là, – esplodesse nei Balcani dopo la caduta del bipolari-smo politico che, tra gli anni Cinquanta e la fine degli anni Ottanta,aveva diviso in due il mondo.

Com’è noto, nel XIX secolo e agli inizi del XX i Balcani sonostati spesso definiti la «polveriera dell’Europa». E in effetti risultadifficile trovare in questo continente un’altra regione con un mag-giore potenziale di forze in conflitto. Nel corso degli ultimi due se-coli, proprio questo potenziale ha portato a non meno di una cin-quantina di scontri sanguinosi, a iniziare dall’insurrezione serba del1804 e da quella greca del 1821 fino alle attuali guerre in Kosovo,Bosnia e Krajna serba.

La potenzialità conflittuale dei Balcani è facilmente spiegabile. Lapenisola è posta sulla linea di confine di civiltà e continenti diversi,con un’orografia complessa e un litorale dalle forme bizzarre che siaffaccia su Adriatico, Ionio, Egeo e Mar Nero. Questi elementi geo-grafici hanno permesso che in questa regione coesistessero in unacomplessa configurazione a mosaico popoli diversi ed etnie di diver-sa confessione religiosa. I Balcani nord-occidentali (Slovenia, Istria,

Il futuro politico del Caucaso: saggio di analisi comparata e retrospettivaAndrej Zubov

1

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Trieste, Dalmazia) appartengono alla civiltà occidentale, nella cui pe-riferia orientale troviamo Croazia, Transilvania, Banato e Bucovina.Il resto dei Balcani rientra già nel Vicino Oriente, zona del dominioculturale di Bisanzio e successivamente dell’Impero Ottomano, suodiretto erede geopolitico. Un tempo, dopo avere attraversato il pontesulla Sava, il viaggiatore si ritrovava in un mondo totalmente diverso.

In questa regione dal terreno accidentato, con strette vallate divi-se da catene montuose, isolate e pressoché inaccessibili, come tantevoliere in un serraglio, si insediarono popolazioni e minoranze reli-giose assai diverse dal punto di vista della consapevolezza etnica(benché oggettivamente assai simili). La cartina etnico-religiosa deiBalcani resta ancora oggi incredibilmente policroma, e ancor piùeterogenea appariva prima delle forzate migrazioni di popoli inizia-te dopo le guerre balcaniche del 1912-13. Come ben si sa, tuttavia,gli spostamenti forzosi di intere popolazioni non hanno mai risoltoun qualsivoglia problema. Nella memoria storica di un popolo, ildesiderio di fare ritorno ai propri santuari abbandonati e alle tombedegli avi sopravvive per secoli e secoli, ed è per questo che le de-portazioni e le rigide demarcazioni territoriali non hanno affatto in-debolito, bensì aggravato, la potenzialità conflittuale dei Balcani,rendendo molti degli antagonismi praticamente irrisolvibili in unaprospettiva a lungo termine.

Non a caso a questa rapida analisi è stato posto un limite tempo-rale, vale a dire il periodo a cavallo del XVIII e XIX secolo. Propriola nascita e lo sviluppo dell’etnocentrismo, del nazionalismo etnico,sorti in Europa a seguito delle rivoluzioni e delle guerre napoleoni-che, trasformarono i Balcani in una polveriera, in una regione di in-cessanti scontri interetnici e di guerre di religione. Nel periodo cheaveva preceduto la fine del XVIII secolo, infatti, gli scontri interet-nici erano rimasti pressoché sconosciuti e il numero delle vittimecausate dalle guerre di religione era stato assai inferiore a quelloche si sarebbe poi avuto negli ultimi due secoli, benché l’oppressio-ne dei cristiani da parte musulmana, i pogrom antiebraici, le crocia-te, le persecuzioni degli ortodossi e poi dei protestanti abbiano piùdi una volta oscurato la vita di quella che sarebbe diventata la «pol-veriera dell’Europa».

Quando nei Balcani ancora non esistevano entità statali con pre-tese monoetniche e monoconfessionali, la regione era divisa in due

Andrej Zubov

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grandi imperi plurietnici e pluriconfessionali, quello Austriaco equello Ottomano, all’interno dei cui sterminati territori i dominibalcanici rappresentavano soltanto una piccola parte periferica. Loscopo primario di qualsiasi impero è la stabilità, ottenuta privilegian-do la forza centripeta rispetto a quella centrifuga. E affinché unamoltitudine di popoli e di gruppi religiosi si senta coinvolta positiva-mente nella vita dell’impero, occorre fare in modo che il giogo chetali popoli avvertono su di sé non risulti più pesante di quello che possono avvertire altri gruppi etnici e religiosi appartenenti allastessa etnia dominante (ad esempio i tedeschi di confessione cattoli-ca in Austria e i turchi sunniti nell’Impero Ottomano). La sopravvi-venza nei territori della Sublime Porta di milioni di cristiani, greci,slavi e armeni, e quella di milioni di ebrei, calvinisti e ortodossi tra isudditi di etnia non tedesca all’interno dell’Impero Absburgico –una sopravvivenza durata secoli e venuta meno con la disgregazio-ne dei due imperi – è la migliore testimonianza della tolleranza etni-co-confessionale dimostrata dai poteri imperiali nei secoli che han-no preceduto la nascita dei nazionalismi.

Il XX secolo, il secolo umanitario, ha avuto come risultato chein Turchia non sono rimasti né greci né slavi né armeni, in Croazianon vi sono più serbi ortodossi, in Bulgaria non vi sono più turchi,in Grecia né bulgari né turchi. Oggi assistiamo all’eliminazione del-l’etnia serba ortodossa dal Kosovo ma, prima di questo, poco èmancato che questa stessa regione fosse sottoposta a una totale«serbificazione» e «ortodossificazione». Non vi è alcun dubbio cheoggi, nei Balcani, con l’affermazione dei principi del nazionalismoetnico, le tensioni tra i diversi popoli e religioni non stiano affattodiminuendo bensì aumentando, fino a rendere questa regione del-l’Europa un campo di guerra continua.

2. Etnie e civiltà: la configurazione del Caucaso

Volgiamo ora lo sguardo al Caucaso, una regione con forti ana-logie con i Balcani ma con una configurazione ancor più complessae un mosaico ancor più vario. Il Caucaso è costituito da un’areamontuosa assai più vasta della penisola balcanica, con alte catenemontuose ancor meno accessibili e con valli e gole ancor più separa-

Il futuro politico del Caucaso

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te tra di loro. Questa è altresì la terra che nell’antichità segnava ilconfine tra le civiltà dell’Occidente e dell’Oriente, una linea di de-marcazione che dapprima era stata segnata tra l’Impero Romano equello Persiano, poi tra la Russia e le regioni meridionali di fedemusulmana (prima arabe, poi persiane e ottomane). Il Caucaso, inol-tre, rappresentava all’interno di questi imperi una zona perifericaancor più lontana dal centro di quanto non fossero i Balcani sottol’Austria e la sua posizione geografica, meno vantaggiosa data lalontananza dai mari aperti e dalle principali rotte commerciali, hareso questa regione ancor più isolata, con minore dinamismo e ric-chezza. In molte zone del Caucaso hanno dominato fino al XX seco-lo rapporti di tipo comunitario, credenze e costumi pagani e un’eco-nomia naturale: elementi che oggi, dopo l’incendio del comunismo,paiono nuovamente risorgere in alcune aree caucasiche.

La cartina etnica del Caucaso «sovietico», basata sulle ricerchesvolte in loco all’inizio degli anni Sessanta, includeva 46 popoli ap-partenenti a cinque ceppi etnici (caucasico, indoeuropeo, altaico,semitico, uralico) e a 14 gruppi1. Nella realtà tale elenco è ancor piùvasto. Esso non cita infatti i turchi della Meschetia, che vennero de-portati dalle loro terre in base alla risoluzione segreta n. 6279 delComitato per la difesa in data 31 luglio 1944 e che ancora oggi cer-cano inutilmente di fare ritorno nei territori di origine; vi mancanole popolazioni ando-cesiche, incluse arbitrariamente negli àvari; so-no assenti inoltre varie subetnie georgiane, alcune delle quali forte-mente consapevoli delle loro peculiarità etniche (mingreli, lazi,agiari, svany, inghiloi). Questa è per ora una suddivisione puramen-te etnica, alla quale occorre poi sovrapporre quella basata sulle di-verse confessioni religiose che nel Caucaso, di fatto, danno vita acomunità etno-confessionali totalmente separate. Vi sono infatti os-seti musulmani e cristiani; armeni di rito gregoriano o cattolici e ar-meni chem¡in (convertiti all’Islam); tra gli abchazi vi sono musul-mani e cristiani; tra i curdi troviamo musulmani e iazidi; tra gliazerbajd§ani vi sono sunniti e sciiti; i georgiani a loro volta sono siamusulmani sia cristiani. E l’elenco potrebbe ancora continuare.

Andrej Zubov

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1 Atlas narodov mira [Atlante dei popoli del mondo], Moskva, 1961, pagg. 18-19.A titolo di confronto, il medesimo atlante indica nei Balcani soltanto 24 popoli ap-partenenti a tre famiglie e nove gruppi, pag. 40.

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A questa carta, già di per sé complessa, in cui individui apparte-nenti alla stessa etnia e alla stessa confessione religiosa non abitanoper lo più all’interno del medesimo areale ma appaiono spesso di-spersi in vasti territori, si sono aggiunti i cambiamenti, talora ancherepentini, legati agli spostamenti avvenuti nel corso della storia ealle migrazioni forzate. Anche se volessimo tralasciare la repressio-ne degli osseti da parte dei cabardini nel XVI e XVII secolo, l’irru-zione dei calmucchi nelle steppe di Nogaj nei secoli XVII e XVIIIo gli insediamenti forzosi di turkmeni nelle zone pianeggianti dellaTranscaucasia orientale, imposti dai persiani tra il XV e il XVII se-colo, e ci limitassimo quindi a considerare soltanto gli ultimi duesecoli di cui sopravvive ancora la memoria storica, la cartina etnicadel Caucaso non potrebbe che complicarsi ulteriormente.

I russi (sia i grandi russi, sia gli ucraini), penetrati nel Caucasodal nord, si insediarono a partire dalla seconda metà del XVIII se-colo nelle fertili distese del Kuban’ e del Terek e, nel tentativo distroncare ogni ribellione, cacciarono talora sulle montagne le popo-lazioni autoctone, talora, invece, deportarono nelle pianure gli abi-tanti delle zone montuose. Agli osseti, che sotto la spinta di cabar-dini e ingusci erano stati costretti nei secoli XVII e XVIII a trovarerifugio nelle zone aride di alta montagna, l’amministrazione russarestituì le fertili terre lungo il Terek nella regione di Mozdok. Neiterritori delle popolazioni autoctone sorsero villaggi cosacchi (sta-nicy) e si edificarono grandi città come Vladikavkaz, Groznyj, Ba-talpa¡insk, Ekaterinodar, Majkop, Kizljar, Petrovsk, popolate ingran parte da «europei» ma anche da altre etnie (armeni e persiani),si costruirono strade, ferrovie e oleodotti. Nel 1802, nel Caucasosettentrionale, nasceva Karras, la prima colonia rurale di immigratitedeschi: nel volgere di un secolo la popolazione tedesca superò inquesta regione le 100 mila unità e raggiunse le 50 mila nella Tran-scaucasia. Nel Caucaso ebbe così inizio una rapida immigrazionedi lituani, estoni, moldavi, greci, bulgari. La colonia agricola esto-ne, trasformatasi in kolchoz in epoca sovietica, è sopravvissuta finoa pochi anni orsono nell’estremo lembo nord-occidentale dell’Ab-chazia, alla foce del fiume Psou.

Nel XIX secolo nel Caucaso non restavano di fatto terre disabi-tate, tanto più se fertili e facilmente irrigabili. I territori in cui si in-sediarono i cosacchi e i coloni di varia nazionalità erano abitati so-

Il futuro politico del Caucaso

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prattutto da popolazioni che preferirono trasferirsi nella Turchiamusulmana pur di non sottostare al giogo dei kjafir, vale a dire deidominatori di religione cristiana. L’esodo della popolazione di fedeislamica dopo l’annessione del Caucaso alla Russia (il cosiddettomuchad§irstvo), e soprattutto dopo la sconfitta dei murid di ¿amil’nella guerra del 1840-60, fu di portata considerevole. Decine di mi-gliaia di adighei, cabardini, ceceni, àvari, abchazi e di altri abitanticaucasici di fede musulmana abbandonarono le proprie case e leproprie terre. La popolazione autoctona del circondario di Suchumi(abchazi), ad esempio, in seguito all’esodo in massa avvenuto tra il1867 e il 1877, passò da 128.800 unità del 1830-40 a 59.000 unitàrilevate nel censimento del 1897; il litorale del Mar Nero da Novo-rossijsk a Tuapse, abitato in prevalenza da adygei musulmani, restòpraticamente spopolato. Complessivamente, in seguito alla guerradel Caucaso, trovarono rifugio in Turchia 470 mila persone2.

Tra le popolazioni caucasiche di fede islamica la tendenza all’e-migrazione continuò anche nei decenni successivi. Nel rapporto al-lo zar del principe S. A. ¿eremetev, comandante in capo delle trup-pe nel Caucaso, si legge:

Dal 1893, tra i sunniti dei governatorati di Tiflis (Tbilisi), Baku eElizavetpol’, cresce sempre più un movimento favorevole all’emigra-zione in Turchia. Esso nasce sia da fattori politici ed economici sia dal-l’attiva propaganda segreta di emissari turchi, che vanno dicendo chein Turchia saranno assegnate agli immigrati le terre abbandonate dagliarmeni e che se resteranno sotto il dominio russo saranno costretti aconvertirsi al cristianesimo e a prestare il servizio militare. Sono giàiniziati trasferimenti di clandestini via mare attraverso Batumi3.

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2 V. Linden, Vys¡ie klassy korennogo naselenija Kavakazskogo kraja i pravitel’-stvennye meroprijatija po opredeleniju ich soslovnych prav. IstoriØeskij oØerk[Le classi più alte della popolazione autoctona della regione caucasica e le misu-re intraprese dal governo per stabilire i loro diritti secondo il ceto. Saggio stori-co], Tiflis, 1917, pag. 56.3 Rossijskij Gosudarstvennyj IstoriØeskij Archiv [Archivio statale storico dellaRussia] (D’ora in avanti indicato con la sigla RGIA), 1284.185.1897, g. 9.

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Il 26 luglio 1901 viene emesso un editto di Sua Maestà Imperiale:

[...] cercare di tranquillizzare la popolazione e, in caso non si ottenganorisultati, permettere il trasferimento4.

Molti di coloro che avevano lasciato il Caucaso erano tuttaviadesiderosi di fare ritorno in patria. Allorché negli anni Venti, il pri-mo segretario del CK VKP(b) dell’Abchazia (Comitato Centraledel Partito comunista pansovietico [bolscevico]) Nestor Lakobavolle organizzare il rimpatrio delle popolazioni montane, il numerodegli emigrati disposti a tornare crebbe a tal punto che l’Nkvd(Commissariato del popolo per gli affari interni) si vide costretto aporre rapidamente fine all’intera operazione. Attualmente, dai Bal-cani e dal Medio Oriente, i discendenti di quei montanari comincia-no a rientrare a piccoli gruppi in Adighezia, Cabarda, Abchazia eCecenia, oppure riallacciano almeno i contatti con i connazionali ri-masti nelle terre degli antenati.

Alle genti musulmane che avevano abbandonato il Caucaso sisostituirono decine di migliaia di armeni e di greci provenienti dal-l’Asia Minore ottomana in cerca di protezione da parte dello zar cri-stiano. Nella sola regione di Kars, sottratta ai turchi nel 1878, sicontavano agli inizi del XX secolo fino a 40 mila greci originaridell’Asia Minore.

L’instaurarsi in Russia tra il 1917 e il 1922 di una dittatura co-munista destinata a protrarsi sette lunghi decenni portò a nuovidrammatici mutamenti nelle regioni e nei destini dei popoli caucasi-ci. Già durante la guerra civile i bolscevichi si abbandonarono a va-ste azioni punitive nei confronti di quelle popolazioni che non ac-cettavano il potere dei soviet e rifiutavano di darsi al saccheggiodelle proprietà altrui per realizzare la cosiddetta «espropriazionedegli espropriatori». I cosacchi del Don e del Terek, i calmucchi e icircassi subirono repressioni tremende, paragonabili a un vero eproprio genocidio.

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4 V. S. Djadkin, Nacional’nyj vopros vo vnutrennej politike carizma [Il problemanazionale nella politica interna dello zarismo], Sankt-Peterburg, 1998, pag. 45.

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Nel 1920 I. A. Bunin scriveva:

Dall’avvento della nostra «grande e incruenta rivoluzione» e daquando l’intera Russia è precipitata nel saccheggio generalizzato, gliunici a restare totalmente estranei a tutto ciò sono stati i calmucchi.Quando arrivano da loro gli agitatori, con il loro perentorio invito a«saccheggiare ciò che fu saccheggiato», i calmucchi si limitano a scuo-tere il capo ripetendo «Dio non vuole!». Allora li denunciano comecontrorivoluzionari, li prendono, li sbattono in prigione, e loro non siarrendono. Vengono emessi decreti ferocissimi in cui si dice: «per ladiffusione tra la popolazione calmucca di dettami che ostacolano lapiena attuazione della lotta rivoluzionaria, i membri delle famiglie deicolpevoli verranno eliminati uno dopo l’altro a cominciare dai sette an-ni di età: ma neanche così i calmucchi si arrendono. I contadini rivolu-zionari si impadroniscono delle terre che un tempo lo zar aveva con-cesso ai calmucchi per il loro nomadismo, per i loro pascoli, e così icalmucchi sono costretti a vagare senza meta per cercare di salvare ilbestiame che muore di fame e finiscono per spostarsi sempre più asud... In questo modo, esausti per le privazioni e le devastazioni, am-massati e decimati dalle epidemie, arrivano sulle coste del Mar Nero elì si fermano in sterminati accampamenti... e muoiono, muoiono di fa-me, tra le carcasse delle loro bestie... Si dice che soltanto sulle costedel Mar Nero ne siano morti non meno di 50 mila! E non va dimentica-to che il loro numero complessivo era appena 250 mila. A Rostov ab-biamo visto arrivare migliaia di vagoni stracolmi di statue del Buddhaprofanate, spesso fatte a pezzi o con scritte oscene. Ormai, forse, deiloro stupa e dei loro templi non rimane più traccia...»5.

Ed ecco la testimonianza diretta di L. V. Polovcev, famosoesploratore e membro della Duma di Stato, a proposito di una visitada lui compiuta ai villaggi circassi che l’esercito volontario deiBianchi ha appena liberati dai bolscevichi:

Il loro carattere pacifico non li ha salvati dalla ferocia dei bolscevi-chi. Hanno portato via il loro bestiame, devastato le case, hanno persi-no distrutto gli alveari a colpi di ascia per prendere più rapidamente ilmiele. Dopo aver radunato in uno dei villaggi il fiore della gioventù

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5 I. A. Bunin, Publicistika 1918-1953 godov [Pubblicistica dal 1918 al 1953], Mosk-va, 1998, pagg. 90-91.

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circassa, con il pretesto della mobilitazione, i «compagni» si sono get-tati all’improvviso su di loro e li hanno massacrati. E i circassi mostra-vano ai volontari questi mucchi di cadaveri mutilati e non osavanoneppure seppellirli senza un loro ordine6.

In quello stesso periodo ebbe inizio nel Caucaso settentrionaleanche l’eliminazione dei cosacchi, a cui seguì la deportazione dicentinaia di migliaia di contadini e cittadini russi in Siberia, nell’e-stremo Nord o ai lavori forzati nel bacino minerario di Doneck. Dicome nel 1920 veniva risolta lungo il Terek la «questione russa» te-stimonia l’ordine n. 01721/op emanato da G. Ord§onikidze, mem-bro del Consiglio per le operazioni sul fronte caucasico:

Il villaggio cosacco Kalinovskaja va bruciato, i villaggi Ermolov-skaja, Zakan-Jurtovskaja, Sama¡kinskaja e Michailovskaja devono es-sere consegnati alla gente più povera e senza terra e, innanzitutto, aiceceni delle montagne, da sempre fedeli sostenitori del potere sovieti-co: a tale scopo, tutta la popolazione maschile dei villaggi sopraindica-ti, compresa tra i 18 e i 50 anni di età, va messa su un convoglio e de-portata a nord sotto scorta armata [...] ai lavori forzati [...] vecchi,donne e bambini vanno portati via dai villaggi [...] a nord. Cavalli, bo-vini, ovini e altro bestiame, nonché ogni altra proprietà utile a scopimilitari, devono passare alla Kavtrudarmija [Armata caucasica dei la-voratori]7.

Questo genere di azioni da parte bolscevica portava a ribellioni ele ribellioni a nuove deportazioni della popolazione russa del Cau-caso settentrionale. Tra il 1918 e il 1921, soltanto nella regione delfiume Sunza, vennero distrutti 11 villaggi cosacchi con 6661 fatto-rie. I cosacchi vennero deportati uno dopo l’altro, molti furono eli-minati. Nei villaggi russi abbandonati si insediarono immediata-mente 750 fattorie di ceceni e ingusci8. Complessivamente, negli

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6 L.V. Polovcev, Rycari ternovogo venca [I cavalieri della corona di spine], Paris,1980, pagg. 123-24.7 Vostok, Moskva, 1992, n. 2, pag.123.8 S.K. Il’in, EtniØeskie men’¡istva v avtonomnych oblastjach i respublikach RSFSR,20-e gody [Le minoranze etniche nelle regioni e repubbliche autonome della RSFSR,gli anni venti], Moskva, 1995, pag. 239.

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anni tra il 1918 e il 1933, dal Caucaso settentrionale vennero trasfe-rite 1 milione 317 mila persone, prevalentemente tra la popolazionerussa9. Il tipo repressivo di economia politica (con la ricaduta sullapopolazione russa della maggior parte dell’imposta sul prodotto)costrinse all’emigrazione anche quanti non erano stati inclusi tra icosacchi e i kulaki. Il calo demografico nelle terre pianeggianti ven-ne in parte compensato dall’insediamento in esse delle popolazionimontane, in parte le terre rimasero incolte e disabitate.

Dopo l’entrata in guerra del regime comunista sovietico con laGermania nazista, 150 mila tedeschi vennero deportati dal Caucasoin Siberia, nel Kazachstan e in Asia Centrale (100 mila dal Caucasosettentrionale, 50 mila dalla Transcaucasia). Ai prosperi villaggi te-deschi venne cambiato nome e furono consegnati alla popolazioneautoctona. Il secondo passo fu la deportazione di greci, romeni, per-siani, turchi della Meschetia, curdi e tatari di Crimea. Sulle loro ter-re si insediarono georgiani, armeni, russi e popolazioni montane.

In seguito, nel 1944, nel Caucaso si procedette alla deportazionedi molte altre etnie accusate di collaborazionismo con gli occupantinazisti: ceceni, karaØai, balcari, ingusci, calmucchi e, in parte, ca-bardini, circassi e abaziny. Nello stesso tempo avvenne l’ennesimaripartizione amministrativa del Caucaso. Alcune regioni della Frpassarono alla Georgia; nella zona settentrionale del Dagestan e alposto della Repubblica autonoma della Cecenia-Inguscetia vennecreata la regione di Groznyj. Vennero ampliati i territori dell’Osse-tia e della Cabarda. Come era avvenuto nel corso dei precedenti tra-sferimenti forzati voluti dal potere sovietico, anche queste deporta-zioni furono accompagnate da ogni sorta di atrocità, vi furonoeliminazioni di massa e decine di migliaia di deportati perirono distenti durante gli spostamenti e nei luoghi di destinazione. A sosti-tuire queste genti sulle loro terre arrivarono popolazioni da Ucraina,Russia, Moldavia e Bielorussia.

Nel 1957-58 a molti dei popoli che avevano subito deportazioni(fatta eccezione per turchi, greci, tatari di Crimea e tedeschi) venneconcesso di ritornare nei territori di origine, e si ebbero così nuovicambiamenti nei confini amministrativi.

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9 A. M. Gonov, Kavkaz: Narody v e¡elonach (20-60 gody) [Il Caucaso: convogli dipopoli (anni 20-60)], Moskva, 1998, pag. 102.

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Gli ultimi spostamenti di popolazioni caucasiche si sono verifi-cati in quest’ultimo decennio. In questi anni, infatti, sono pratica-mente scomparsi gli armeni dall’Azerbajd§an, i russi dalla Cecenia,gli azeri dall’Armenia e i georgiani dall’Abchazia. Un numeroenorme di persone (fino a un terzo della popolazione locale) ha ab-bandonato la Cecenia e la Transcaucasia per trasferirsi nella Russiacentrale o all’estero alla ricerca di una vita migliore.

Molti sono gli insediamenti caucasici, dai villaggi montani (aul)a quelli cosacchi (stanicy) fino alle grandi città, che nel corso degliultimi due secoli hanno visto mutare radicalmente la propria com-posizione etnica. Alcuni insediamenti della regione Prigorodnyjnell’Ossetia settentrionale, ad esempio, erano originariamente osse-ti, poi sono stati ingusci, poi russo-osseti o soltanto russi, poi dinuovo ingusci e ancora osseti. In tutto il Caucaso si possono trovareinnumerevoli esempi di questo genere. Il numero complessivo dipersone trasferitesi da un luogo all’altro negli ultimi duecento annicorrisponde all’incirca all’attuale numero di abitanti dell’intera re-gione, anzi, nel Caucaso settentrionale lo supera addirittura di unavolta e mezza.

Date queste circostanze, è praticamente impossibile stabilire chidetenga il legittimo diritto di occupare e abitare le terre. È un dirittoche spetta di fatto a tutti quei popoli che nel corso della storia hannoabitato questa regione. Nel Caucaso, pertanto, la trasversalità etnicapresenta una dimensione sincronica e un’altra diacronica.

3. La configurazione geopolitica del Caucaso

Un mosaico così complesso non poteva non innescare guerre,che nel Caucaso, infatti, furono assai frequenti. Questi scontri inter-ni finivano poi per concludersi con la completa sottomissione delleparti belligeranti a una qualche forza esterna che, interessata allamassima stabilità politica, instaurava nuovamente l’ordine nella re-gione ed esercitava un costante controllo il più rigoroso possibile.

Nell’epoca che va da Traiano a Giustiniano questa funzionevenne svolta nel Caucaso occidentale dall’Impero di Roma e nelCaucaso orientale dalla Persia. Verso la metà del VII secolo quasitutta la regione fu conquistata dalla potenza dei Califfi (la città di

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Tiflis cade nel 643) e per alcuni secoli l’«ordine» nel Caucaso fumantenuto dagli arabi. Verso la metà del XIII secolo lo stato isla-mico dei Sagidi, sorto nel Caucaso verso il Novecento, venne tra-volto dalle truppe dell’ulus mongolo dei Chulagidi, che occuparonola Transcaucasia, mentre il Caucaso settentrionale cadeva sotto imongoli dell’Orda d’Oro. Successivamente, lungo quella che nel IIsecolo era stata la linea di confine tra Impero Romano e ImperoPersiano, il Caucaso venne diviso tra l’Impero Ottomano e la po-tenza persiana; in seguito, tra il 1590-1612 e il 1709-23, le truppedella Sublime Porta occuparono anche il Caucaso orientale. Tra ilXVII e il XVIII secolo quasi tutto il territorio del Caucaso setten-trionale si trovava sottomesso direttamente agli ottomani o al kha-nato di Crimea loro vassallo. Verso la fine del XVII secolo, e so-prattutto nel XVIII, si fece sempre più avvertire nel Caucasol’influenza della Russia, fino a quando, nel XIX secolo, l’intera re-gione divenne parte integrante dell’Impero Zarista.

3.1. Primo periodo di dominazione dell’Impero del Nord (1801-1917)

Per la prima volta in tutta la sua storia millenaria il Caucaso di-ventava parte di un impero che si estendeva non a sud bensì a norddella catena montuosa. Nel 1801 venne annesso alla Russia il regnodella Georgia orientale, nel 1804 l’Imeretia, nel 1806 l’Ossetia, nel1810 l’Abchazia, nel 1813 il Dagestan, nel 1817 la Piccola Cecenia,nel 1825 la Cabarda, nel 1828 la Transcaucasia orientale, nel 1829il litorale del Mar Nero da Novorossijsk fino al fiume Mechadyr’.Nel 1859 furono «pacificate» la Grande Cecenia, le zone interne delDagestan e nel 1864 la Æerkessija, infine, nel 1878, passarono dal-l’Impero Ottomano alla Russia il Caucaso sudoccidentale e i territo-ri di Kars, Ardagan e Batumi.

Alcune di queste regioni, in particolare i regni e i principati cri-stiani di Georgia, Abchazia e Cabarda nonché le comunità dell’Ar-menia e dell’Ossetia, avevano da tempo perorato di poter diventaresudditi della grande potenza ortodossa, in grado di difendere le lorogenti dal dominio degli «infedeli»; altre regioni caucasiche (soprat-tutto quelle abitate dai montanari di fede islamica) divennero partedell’Impero Russo soltanto dopo un’accanita resistenza e lunghe

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guerre sanguinose. I risultati dell’annessione, tuttavia, furono nelcomplesso decisamente positivi.

Lo sviluppo industriale ebbe un forte impulso, nacque un’economiaagricola di tipo più commerciale, sorsero e crebbero rapidamente gran-di città10, vennero costruite strade e ferrovie che collegavano all’Impe-ro del Nord tutti i principali insediamenti del Caucaso e della Transcau-casia. Attraverso la mediazione della Russia, il ceto intellettuale piùemancipato del Caucaso divenne parte integrante della più colta societàeuropea e, parallelamente allo sviluppo culturale dell’Impero, anchenel Caucaso l’alfabetizzazione e l’istruzione raggiunsero un numerosempre maggiore di persone11. Il fatto più rimarchevole, tuttavia, fu cheper la prima volta, dopo secoli e secoli, nel Caucaso venivano garantiteuna solida pace e solide leggi. Le rotte commerciali divennero final-mente sicure dai predoni e, nel contempo, vennero dimenticate le di-scordie intestine e le ostilità interetniche12. Con estrema rapidità, dopoappena due decenni dalla capitolazione di ¿amil’, i montanari del Cau-caso settentrionale venivano già nominati ufficiali della Guardia Impe-

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10 Tra il 1868 e il 1913 la popolazione di Tiflis passò da 64 mila a 350 mila abitan-ti; Baku da 12 mila a 250 mila; Kutaisi da 8 mila a 58 mila; Erevan da 14 mila a 29mila.11 Tra il 1905 e gli anni dal 1910 al 1919 nel Caucaso il numero di scolari nellascuola elementare crebbe del 36,5 per cento, raggiungendo i 160 mila bambini;nella scuola media del 30 per cento, raggiungendo 33,6 mila allievi. Vennero aper-ti seminari per maestri e classi di pedagogia in cui venivano preparati insegnantiappartenenti alla popolazione autoctona e in grado di insegnare nelle lingue locali.Nel 1910 erano attivi nel Caucaso un Istituto magistrale, sette seminari per maestrie 10 classi di pedagogia in cui studiavano complessivamente 736 persone (di cui66 donne). Vennero creati alfabeti per quei popoli che fino ad allora non ne aveva-no mai avuto uno proprio. Sulla base del cirillico si crearono gli alfabeti delle lin-gue abchaza, cabardina e cecena. Si diffuse notevolmente anche l’insegnamentodella lingua russa, la cui conoscenza era indispensabile per un’attiva integrazionenella vita culturale ed economica dell’Impero. Si veda: Vsepoddannej¡ij oØet zapjatiletie upravlenija Kavkazom general-ad’jutanta grafa Voroncova-Da¡kova[Rendiconto del generale aiutante di campo conte Voroncov-Daskov a Sua AltezzaImperiale sul proprio governo quinquennale del Caucaso], Sankt-Peterburg, 1910.12 Questo si rifletté persino nell’araldica delle città. Sugli stemmi di Zakatal, Gori eAchalciche erano rappresentate fortezze e torri di guardia in rovina e sciabole spez-zate e, accanto ad esse, attrezzi e frutti dell’agricoltura, a indicare che, abbandona-ta la guerra e non essendovi ulteriore bisogno di difendersi, gli abitanti del luogopotevano interamente dedicarsi al lavoro pacifico e al commercio.

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riale. Della loro assoluta fedeltà non vi erano dubbi, e non senza moti-vo13: fino alla catastrofe del 1917 l’aristocrazia montanara, ormai parteintegrante dell’élite russa, non permise alcuna manifestazione di intol-leranza politica o religiosa. Durante la Prima guerra mondiale ai capidelle comunità caucasiche, – i vari chan, bek e uzdeni, – furono affidatiposti di comando nell’esercito russo e, talora, costoro si trovarono acombattere sul fronte caucasico contro i turchi che professavano lastessa religione ed erano spesso etnicamente affini. Ciononostante, nonvi furono casi di tradimento. Tutto ciò, a maggior ragione, valse ancheper gli aristocratici armeni, georgiani e osseti.

Magomed Chandiev, uomo di pensiero assai noto nel Dagestan,dopo dieci anni dalla capitolazione di ¿amil’ valutò l’importanzadell’annessione della sua patria alla Russia con queste parole:

Da un punto di vista etico, il contatto ravvicinato con un popolo stra-niero, sottomesso con la forza delle armi o con trattati diplomatici spessostipulati senza che il popolo stesso ne sia a conoscenza o abbia espresso ilproprio consenso, presenta enormi difficoltà legate a cause diverse. Av-viene talvolta che, nel nuovo ordine costituito, tutti i ceti della popolazio-ne sottomessa si sentano in una condizione materiale peggiore di quellaprecedente. Vengono imposti nuovi obblighi, tributi, e sono impediti ivantaggiosi rapporti che prima si avevano con i popoli vicini. Sta in tuttoquesto, senza dubbio, la ragione più naturale del malcontento. Sotto que-sto aspetto, noi, genti del Dagestan, non abbiamo motivo di lamentarcidei russi. Al termine della guerra con la Russia abbiamo potuto restaresulle stesse terre dove quella guerra ci aveva travolti. Da noi, nel Cauca-so, come del resto in ogni altro luogo, la massa del popolo è costituita dapersone che hanno caro il proprio focolare domestico. Se negli anni pas-sati molti di noi ritenevano possibile rapinare il vicino, ora, al contrario,abbiamo piena consapevolezza che azioni del genere non sono più am-missibili e la maggior parte della nostra gente sta abbandonando il vec-chio modo di pensare. Non credo che oggi, almeno da noi nel Dagestan,le rapine siano più frequenti che, ad esempio, nel governatorato di Mo-sca. La maggior parte di noi, montanari del Dagestan, non avverte alcun

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13 È interessante notare che il ceceno Topa Æermoev, un petroliere di Groznyj non-ché presidente del «governo» della repubblica dei Montanari del Caucaso, sorta nel1918 come Stato indipendente sotto il protettorato turco, sotto il «vecchio regime»era stato capitano di cavalleria della guardia di Sua Altezza Imperiale.

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sentimento di odio verso i russi per il fatto che ci hanno privati della pos-sibilità di rapinare e uccidere. E per il resto non abbiamo subito oppres-sioni da parte loro. Che cosa non abbiamo dovuto patire sotto ¿amil’!Abbiamo subito meno perdite per i proiettili russi che per la rapacità deimurid! Il momento che oggi stiamo vivendo ci appare come il risveglioda un brutto sogno, come la guarigione da una penosa malattia14.

L’atteggiamento verso il dominio russo da parte della gentesemplice del Caucaso, come pure dell’intelligencija locale di estra-zione non nobile, non era altrettanto univoco. Tra i musulmani, finoal 1903-1905, si mantenne viva la tendenza a emigrare nelle terredell’Impero Ottomano. Una volta arrivati in Turchia, tuttavia, nonpotendo trovare terre fertili a disposizione e dovendosi in compensoscontrare con l’obbligo del servizio militare, molti emigrati cercaro-no di rientrare in Russia. Negli anni Novanta del secolo scorso, so-prattutto nella Georgia occidentale, nel Dagestan e nella Cecenia,esplosero varie insurrezioni, innescate, tra l’altro, da cause di carat-tere economico e non marcatamente antirusse. Nel Caucaso, tutta-via, secondo l’amministrazione zarista «la popolazione di fedemaomettana non può considerarsi fedele al governo ed è politica-mente inaffidabile»15. E i rapporti di polizia ammonivano:

Per quanto concerne gli umori della popolazione del Dagestan oc-corre tenere presente che, nonostante l’assoluta sottomissione dimo-strata in tempo di pace, qualora si arrivasse a una guerra con la Tur-chia, in questa regione sarebbero inevitabili disordini: si pensa chepotrebbero avere inizio in Cecenia e dilagare poi nei distretti degli andie degli àvari16.

In quegli stessi anni, tra i rappresentanti dell’intelligencija arme-na e georgiana, presero a diffondersi idee autonomistiche e sociali-

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14 Kavkaz, Tiflis, 1869, n. 44.15 Vsepoddannej¡aja zapiska GlavnonaØal’stvuju¡Øego gra§danskoj Øast’ju naKavkaze knjazja S. A. ¿eremeteva [Nota a Sua Altezza Imperiale del responsabiledell’amministrazione civile nel Caucaso principe S. A. Seremetev], dicembre1895, RGIA, 1284.185.1897, g. 9.16 Charakteristika ob¡Øej sistemy upravlenija NamestniØestva Kavkazskogo [Pre-sentazione del sistema generale di governo del Governatorato del Caucaso], notapresentata al Dipartimento di polizia il 31 luglio 1908, RGIA, 1284.185.1909, g. 4.

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ste. In Armenia esse erano sostenute anche dalla chiesa gregorianamentre tra le fila del popolo avevano un seguito assai limitato. Nelgiugno 1903, in seguito alla confisca delle proprietà della chiesa ar-mena di EØmiadzin, sulla base del sospetto che con tali mezzi sidesse sostegno al movimento rivoluzionario e terrorista armeno, siebbero vere e proprie agitazioni di massa, anche con spargimenti disangue. Nel 1905 fu ritirata la confisca17 e le agitazioni cessarono.

Dopo la repressione dei disordini del 1905, la promulgazione dileggi costituzionali e la convocazione di organi legislativi libera-mente eletti dal popolo, per i musulmani del Caucaso vennero a ca-dere tutte le limitazioni di carattere religioso e il rapido sviluppoeconomico della regione spinse gran parte della popolazione a in-traprendere varie attività commerciali. Le partenze verso la Turchiacessarono del tutto, anzi, prese a diffondersi spontaneamente lo stu-dio della lingua russa e, da parte dei popoli caucasici, si rafforzòconsiderevolmente il sentimento di lealtà verso l’Impero. Nellostesso tempo, anche i conflitti tra le varie nazionalità e confessionireligiose entrarono in una sorta di «fase fredda».

Tutto ciò corrispondeva perfettamente ai piani dell’amministra-zione zarista. Fin dal 1859-64, infatti, dagli anni cioè della primapacificazione del Caucaso, la politica dell’Impero in questa regioneaveva teso a un progressivo avvicinamento della regione al modellorusso (obrusenie), che non va confuso con una sua totale russifica-zione (rusifikacija). L’amministrazione zarista non pensò mai che ipopoli delle montagne caucasiche, i tatari, gli armeni o i georgianipotessero in un futuro trasformarsi in russi, come invece poteva es-sere per gli abitanti di Kursk o Tver’. Assolutamente. La loro federeligiosa, la lingua e la cultura, intesa quest’ultima sia nel senso piùelevato della parola sia in quello degli usi quotidiani, non furonoquasi mai messe in dubbio18. Il punto era un altro. Pur restando ar-

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17 Decreto del Senato del 1º agosto 1905.18 Nel 1845 il Governatore del Caucaso principe Voroncov annunciava in una di-chiarazione rivolta ai popoli montani: «La vostra fede, i vostri usi previsti dallenorme della sharja e dell’adat, le vostre terre e i vostri poderi e tutte le vostre pro-prietà frutto del vostro lavoro resteranno intangibilmente vostri e lo rimarrannosenza alcuna modifica». Il 25 agosto 1859, accogliendo la capitolazione di ¿amil’,il comandante in capo dell’armata russa del Caucaso, principe Baratinskij, con-

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meni, àvari, calmucchi o abchazi, musulmani, cristiani di rito gre-goriano o buddisti, i popoli del Caucaso dovevano trasformarsi incittadini della Russia nel senso pieno del termine e non puramentesotto il profilo formale o giuridico. La loro patria doveva diventarea pieno titolo la Russia e la massima autorità terrena doveva essereper ogni cittadino dell’Impero l’autocrate di tutte le Russie. Eraquesto il significato dell’obrusenie, del progressivo avvicinamentoalla Russia.

Gli unici anni in cui si può parlare effettivamente di un tentativodi totale «russificazione» furono quelli tra il 1885 e il 1905. In que-sti due decenni, infatti, forse sotto la spinta dell’etnocentrismo allo-ra di moda in Europa, in Russia si tentò di sradicare gli idiomi loca-li e di sostenere una qualche forma di discriminazione nei confrontidella popolazione non russa e di religione non ortodossa. Il mondodella scuola passò interamente alla lingua di Stato, vennero proibitevarie organizzazioni nazionali con scopi pedagogici e le pubblica-zioni nelle lingue locali subirono un brusco decremento. Il fatto cheil potere zarista considerasse i movimenti nazionali e religiosi deipopoli dell’Impero come una propaganda ostile e come un’attivitàeversiva a favore di paesi stranieri non era del tutto privo di fonda-menti. Su questo periodo sono eloquenti le parole del principe D.Melikov, un armeno di sangue caucasico, tratte da una sua lettera diservizio inviata il 19 dicembre 1905 al conte S. Ju. Vitte, allora pri-mo ministro:

Dopo l’eliminazione dell’istituto dei governatorati nel Caucaso nel1881 [...] non sono state condotte riforme globali e profonde19; nel con-tempo, con la campagna contro le regioni periferiche iniziata da unaparte della stampa della capitale, anche tra le sfere dirigenti degli orga-ni locali del Caucaso si è venuto a creare un atteggiamento del tutto ne-gativo nei confronti della popolazione indigena. Anziché prodigarsiper una reale diffusione della lingua di Stato, ci si è apertamente ab-bandonati a soffocare gli idiomi locali, tutto ciò che era indigeno è sta-

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fermò tale principio: «Tutte le terre e le foreste in cui abitò il popolo ceceno finoalla sommossa del 1839 vi verranno restituite e resteranno vostre in eterno [...] Lavostra fede, le vostre proprietà e i vostri usi e costumi rimarranno intatti», cfr. V. S.Djadkin, Il problema nazionale cit., pag. 612.19 [Nella regione, N. d. A.].

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to artificiosamente contrapposto a tutto ciò che era russo, e molto si èfatto perché si riacutizzasse dolorosamente il sentimento nazionale digeorgiani, armeni, tatari20.

Dopo la rivoluzione del 1905 venne ripristinato il Governatora-to del Caucaso, con la nomina a governatore del conte Voroncov-Da¡kov, un liberale di idee illuminate e con forti simpatie verso ipopoli autoctoni del Caucaso. La brutale «russificazione» vennenuovamente sostituita da un più lento avvicinamento delle regioniperiferiche alla Russia (obrusenie). L’amministrazione imperialesi atterrà a tale politica fino alla conclusione della sua esistenzastorica.

Gli elementi principali della politica dell’obrusenie nel Caucasoerano i seguenti:

1. Introduzione di popolazione russa ortodossa nelle regioniperiferiche, ricorrendo a metodi di colonizzazione delle terredisabitate e incolte da parte di volontari provenienti dai go-vernatorati della Russia centrale (a quell’epoca venivanoconsiderati ugualmente «russi» tutti gli ortodossi di Russia,Ucraina e Bielorussia).

2. Mantenimento della mescolanza etnica nella distribuzionedemografica trasversale delle popolazioni indigene.

3. Mantenimento dell’insegnamento della lingua russa nellascuola media e superiore affiancata all’insegnamento dellalingua locale.

4. Mantenimento dei capitali russi e dei capitali originari nelleregioni periferiche.

5. Sostegno alla chiesa russa ortodossa e contemporaneo soste-gno alle religioni e confessioni locali.

6. Creazione di strade e mezzi di comunicazione in grado difornire un solido collegamento tra le regioni periferiche eil cuore dell’Impero. L’attenzione venne rivolta in primoluogo alla creazione di reti ferroviarie e di attrezzatureportuali.

7. Passaggio delle cariche all’interno dell’amministrazione ci-

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20 RGIA, 1276.1.162, f. 2-3.

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vile e militare dell’Impero nelle regioni periferiche a perso-ne di origine prevalentemente non indigena. I funzionari egli ufficiali armeni, georgiani o provenienti dalle popolazio-ni montane erano preferibilmente inviati nei governatorati enelle guarnigioni di stanza in Russia, Polonia o Paesi Baltici,ma non nel Caucaso.

8. Graduale introduzione della legislazione in vigore nell’Im-pero in quelle sfere estranee al diritto confessionale.

9. Affrancamento della popolazione asservita e introduzione diorgani locali di autogestione.

10. Inserimento della popolazione indigena nella divisione inceti esistente in tutte le altre regioni dell’Impero.

11. Inserimento della popolazione indigena nel sistema politicodell’Impero per quanto concerne sia la burocrazia militare ecivile sia la partecipazione agli organi elettivi e al lavoro ne-gli organismi legislativi nazionali e in altre istituzioni rap-presentative.

12. Rafforzamento degli investimenti di capitale nelle regioniperiferiche, anche a scapito delle regioni centrali russe, al fi-ne di garantire alle prime un rapido sviluppo e una strettaunione alle seconde21.

Dall’analisi dei rapporti scritti, dei dibattiti alla Duma e dellapubblicistica dell’epoca risulta chiaro che si trattava di una politicadel tutto consapevole e di cui la società russa prerivoluzionaria eraben informata. Con tale politica, tuttavia, non si trovava pienamented’accordo l’intelligencija caucasica e al processo dell’obrusenie ve-niva di regola contrapposta la tendenza alle autonomie nazionali(territoriali o culturali) pur in un unico stato russo.

Agli inizi del XX secolo le idee politico-culturali dell’intelligen-

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21 Da una nota di S. Ju. Vitte del 23 luglio 1901, ad esempio, risulta che la spesapubblica pro capite, senza spese militari, era nel Caucaso di 6 rubli e 31 cope-chi, contro la spesa media di 5 rubli e 84 copechi nel resto dell’Impero. In segui-to tale divario aumentò ulteriormente. Le regioni periferiche restavano dunquein perdita sotto il profilo finanziario ma, essendo considerate territori strategica-mente indispensabili, non si lesinava sul prezzo da pagare, RGIA, 573.14.17364,f. 40-55.

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cija transcaucasica, innanzitutto di quella georgiana e armena e inminore misura di quella tatara (azera), apparivano sufficientementechiare e ampie. Le richieste includevano i seguenti punti:

1. Creazione di zone territoriali autonome per Georgia e Ar-menia (i loro presupposti confini spesso si confondevano einglobavano altresì vasti territori abitati prevalentemente damusulmani)22. I partiti armeni di sinistra (Da¡nakcjutjun,GonØak) esigevano la creazione di una repubblica federatadella Transcaucasia unita a una repubblica Russa da rappor-ti di tipo federativo. I popoli caucasici di religione musul-mana e i cristiani del Caucaso settentrionale non avanzava-no invece richieste di questo tipo. In ogni caso, l’idea diuna completa secessione dalla Russia non veniva conside-rata neppure nei progetti più radicali dei partiti più rivolu-zionari23.

2. Creazione di scuole elementari e medie nazionali e di scuole

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22 In una relazione della Duma cittadina di Kutaisi al Consiglio dei ministri il 15giugno 1905 si parla, ad esempio, della creazione di una Georgia autonoma con ca-pitale Tiflis che comprenda i governatorati di Tiflis e Kutaisi, la regione di Batumie i circondari di Zakataly e Suchumi.23 Nella risoluzione conclusiva della Prima conferenza di partito dei socialisti-fede-ralisti georgiani, tenutasi a Ginevra nell’aprile 1904, veniva sottolineato quanto se-gue: «La conferenza georgiana, respingendo il separatismo come forma politicache non si è ancora dimostrata come la migliore garanzia né del libero sviluppoculturale di una nazione né di solidarietà tra i popoli, prende atto che per la libertàdella Georgia il migliore e indispensabile ordinamento politico è costituito da unaGeorgia autonoma, unita federalmente con le altre nazionalità della Russia», cfr.V. S. Djadkin, Il problema nazionale cit., pag. 649. Stupisce quanto sia vicina a ta-le posizione quella dell’aristocrazia georgiana, espressa direttamente a Sua AltezzaImperiale nell’aprile del 1905: «Nel pieno rispetto della volontà del popolo e dellenecessità di Stato, la nobiltà di Tiflis (in un’altra versione è detto “la nobiltà del go-vernatorato di Kutaisi”) esprime la propria profonda convinzione che un pacificosviluppo culturale del popolo georgiano sia possibile soltanto qualora si riconoscaalla Georgia, a questa parte inscindibile dello Stato Russo, al cui destino ha volon-tariamente legato il suo, il diritto a governarsi in base a leggi stabilite da un’assem-blea di rappresentanti del popolo georgiano», cito da K. Zalevskij, Nacional’nyedvi§enija. Ob¡Øestvennoe dvi§enie v Rossii v naØale XX veka [I movimenti nazio-nali. I movimenti sociali in Russia agli inizi del XX secolo], t. IV, parte II, Sankt-Peterburg, 1912, pag. 225.

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superiori russo-nazionali. Insegnamento obbligatorio dellelingue locali alla popolazione autoctona.

3. Ripristino della piena indipendenza religiosa, patrimoniale eamministrativa delle Chiese cristiane della Transcaucasia.

4. Equiparazione giuridica sotto il profilo amministrativo epersonale degli abitanti della Transcaucasia con i sudditi deigovernatorati della Russia centrale (introduzione dell’istitu-to dello zemstvo24, della corte dei giurati, abolizione di qual-siasi forma di asservimento della persona).

5. Passaggio delle cariche nell’amministrazione e nella magistra-tura caucasiche a rappresentanti delle popolazioni indigene25.

6. Espletamento degli obblighi militari nelle terre di origine pertutti gli abitanti indigeni del Caucaso.

7. Fine della colonizzazione russa del Caucaso. Trasferimentodella popolazione indigena contadina senza terra o con esi-gue proprietà terriere nei territori demaniali incolti.

8. Progressiva creazione di regioni etnicamente omogenee e ingrado di autogestirsi.

Come possiamo vedere confrontando i due diversi elenchi, i pro-getti di Pietroburgo e quelli degli ambienti intellettuali autoctonicoincidevano soltanto in parte. Entrambi, in ultima analisi, deside-ravano la piena uguaglianza giuridica tra gli abitanti del Caucaso equelli delle altre regioni dell’Impero, ma Pietroburgo non ricono-sceva né divisioni né autonomie nazionali e territoriali mentre i po-poli più evoluti della regione caucasica tendevano proprio a questo.I capi dei movimenti nazionali dichiaravano:

Sul territorio della Russia dobbiamo godere degli stessi diritti deirussi ma sul nostro territorio dobbiamo essere noi a governare.

Le questioni riguardanti il mondo della cultura, dell’istruzione odella fede venivano risolte dall’amministrazione imperiale con rela-

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24 [Forma di amministrazione locale tipica della Russia prerivoluzionaria, N. d. T.].25 Con una quota non inferiore all’80 per cento, come si legge nella relazione fattapervenire dai georgiani al Consiglio dei ministri nel febbraio 1905, RGIA,1276.1.107, f. 18.

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tiva facilità, ma veniva respinta qualsiasi istanza che concernessel’autonomia territoriale. La posizione di Pietroburgo riguardo alCaucaso era all’incirca di questo genere:

Gli abitanti nativi del Caucaso devono godere di tutti i diritti perso-nali su tutto il territorio della Russia esattamente come tutti gli altrisudditi, ma nel Caucaso anche i russi di origini non caucasiche devonogodere pienamente di tutti i diritti personali senza limitazioni di sorta, epoiché il Caucaso fruisce dei vantaggi offerti dalla sua appartenenza al-l’Impero, i poteri imperiali devono avere la piena supremazia nella de-terminazione dei destini della regione.

L’era di pace, stabilitasi nella regione al termine della guerra cau-casica, e il rapido sviluppo economico dell’intera area, nel decennioche precedette la rivoluzione, parevano dovessero dirigere salda-mente la vita dei popoli caucasici all’interno dello scenario previstodal potere imperiale. Si creavano nuove vie di comunicazione, lecittà crescevano, l’industria era in pieno sviluppo insieme con ilcommercio e l’agricoltura. Grazie alle migliorie apportate, nel bilan-cio dell’agricoltura pervenivano enormi introiti anche da terre finoad allora aride (steppe di Mugan) o malariche (depressione dellaColchide), bonificate e coltivate soprattutto da coloni russi. L’auto-gestione locale andava perfezionandosi ed era prossima l’introduzio-ne dell’istituto degli zemstva. Cresceva il numero delle scuole nazio-nali e si pubblicavano libri e quotidiani nelle lingue locali, anche segli abitanti del Caucaso mandavano sempre più spesso i propri figli astudiare nelle scuole russe e nelle università di Mosca e Pietroburgoe, di anno in anno, cresceva l’interesse verso la stampa e le pubblica-zioni in lingua russa. Nell’élite intellettuale caucasica tale era statol’avvicinamento al modello russo che a volte i suoi rappresentantinon padroneggiavano neppure la loro lingua nazionale26. Tra i mu-sulmani, inoltre, nasceva un atteggiamento di sempre maggiore tol-leranza verso gli ortodossi e verso l’ortodossia. Uno dei massimiesponenti dell’aristocrazia islamica, ad esempio, il chan di Nachice-van’, che fu tra l’altro generale di cavalleria sul fronte caucasico du-

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26 Il comandante in capo dell’esercito della repubblica della Georgia (1920-21), ge-nerale Georgij Kvinitadze, scrive di sé: «Non conoscevo la lingua del mio popolo ea stento riuscivo a seguire il filo di un discorso», cfr. G. I. Kvinitadze, Vospomina-nija. 1917-1921 [Memorie. 1917-1921], Paris, YMCA-Press, 1985, pag. 18.

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rante la Prima guerra mondiale e dimostrò in battaglia grande valoremilitare e coraggio personale, fece costruire a proprie spese nel vil-laggio di Krasnoe una chiesa per il reggimento delle guardie a caval-lo che si trovavano sotto il suo comando27.

Nella coscienza sia dell’aristocrazia sia del popolo i russi si tra-sformavano da «kjafir conquistatori» in vicini, collaboratori e fra-telli d’arme. I pronostici degli organi di polizia sulla presunta man-canza di lealtà del Caucaso settentrionale nel caso di un conflittocon la Turchia si rivelarono infondati. Nonostante la presenza sem-pre maggiore di agenti turchi infiltrati, il Caucaso si dimostrò asso-

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27 Padre Georgij ¿avel’skij, protopresbitero e cappellano dell’esercito e della flottadella Russia prerivoluzionaria, riferisce un racconto che lascia ancor più stupefatti:«Alla fine del gennaio 1916, in un momento di calma sul fronte, il generale Alek-seev partì alla volta di Smolensk. [...] Con lui partirono anche il generale Ali-Aga¿ichlinskij e la sua consorte. Il generale era musulmano e sua moglie, per di più,era la figlia del Gran mufti del Caucaso. Arrivammo a Smolensk di notte e al mat-tino mi diressi nella cattedrale per accostarmi all’icona miracolosa della Vergine[...] Di lì a qualche minuto vedo che entrano nella chiesa i coniugi ¿ichlinskij. [...]Entrambi si avvicinarono alla cassetta delle candele e comperarono due grandi ce-ri, dopodiché il generale si avvicinò all’icona di San Nicola e vi pose dinnanzi ilsuo cero, mentre la moglie pose la sua candela proprio davanti all’immagine dellaMadonna. Essendoci incontrati alla sera, ci scambiammo le impressioni della gior-nata. – Noi invece siamo stati nella cattedrale e abbiamo visto l’icona miracolosadella Vergine, – mi disse il generale. – Lo so, vi ho visti nella cattedrale, ma, loammetto, ho cercato di non farmi notare per non mettervi in imbarazzo – risposi io.– E perché mai in imbarazzo? – obbiettò il generale. – Io e mia moglie, ogni voltache arriviamo in una città, ci rechiamo subito nella chiesa principale, io pongo uncero davanti a San Nicola e mia moglie davanti all’immagine della Vergine. Ab-biamo un grande rispetto per i santi cristiani, e soprattutto per il Cristo, Sua Madree per San Nicola taumaturgo –. Il generale mi raccontò inoltre di un altro fatto [...]avvenuto qualche anno prima. Allorché egli stava per lasciare una divisione al cuicomando era stato per lungo tempo e con ottimi risultati, il cappellano, a nome de-gli ufficiali, gli propose di assistere a un Te Deum per il viaggio che stava per intra-prendere e ascoltare le preghiere augurali per una lunga vita felice. – Ovviamenteho accettato, – mi raccontò il generale. – E quando ho udito durante il Te Deum ilmio nome, pronunciato da un sacerdote ortodosso, e le stupende parole delle vostrepreghiere innalzate al cielo per me, quando ho rivolto lo sguardo ai miei cari solda-ti, ho provato un tale sentimento di entusiasmo, una tale gioia ultraterrena, che maiavevo provato prima di allora né ebbi a provare in seguito nella mia vita [...]». Pro-topresbitero padre Georgij ¿avel’skij, Vospominanija [Memorie], t. I, Moskva,1996, pagg. 407-8.

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lutamente affidabile e le retrovie manifestarono la piena lealtà versola Russia.

Negli ultimi dodici anni di vita dell’Impero Russo, il Caucasovide esplodere conflitti non tanto tra i russi e l’amministrazione im-periale da un lato e le popolazioni autoctone dall’altro, quanto tra lestesse etnie che abitavano la regione, in primo luogo tra i tatari-aze-ri e gli armeni.

Lo scontro tra armeni e azerbajd§ani ha lontane radici storiche.All’epoca della dominazione persiana sul Caucaso orientale gli ar-meni, cristiani, si trovavano in una condizione di dipendenza e totalesottomissione ai musulmani in quanto reaya, vale a dire sudditi difede non islamica. Dopo l’annessione della regione alla Russia, gliarmeni, in quanto cristiani, vennero a trovarsi in una posizione diprivilegio e tra loro si formò rapidamente un influente gruppo di fun-zionari e capitalisti che ponevano ora i musulmani in una condizionedi sottomissione. Il nuovo stato delle cose veniva accettato con diffi-coltà dai tatari28. Nel rapporto, stilato il 4 luglio 1915 dall’aiutante dicampo del governatore del Caucaso, veniva sottolineato il fatto che imusulmani della Transcaucasia dimostravano nei confronti degli ar-meni un atteggiamento «oltremodo ostile»29. Durante i disordini del1905 ci furono sanguinosi scontri tra tatari e armeni che costaronomigliaia di vite e ognuna delle due parti accusò l’altra di aver provo-cato lo scontro, mentre i liberali russi erano convinti che ad innesca-re i conflitti interetnici fosse la stessa amministrazione zarista30. Il ri-pristino dell’ordine nelle terre dell’Impero tra il 1906 e il 1907riportò il conflitto in una «fase fredda». Armeni e azeri, tuttavia, cer-cavano di estromettere per vie legali i propri avversari dalle zone diconvivenza nei governatorati di Elizavetpol’ e di Erevan31.

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28 [Così l’autore nomina gli azeri, N. d. C.].29 RGIA, 1276.19.335, f. 3930 «Essendo stato testimone di questi scontri, posso affermare con assoluta certezzache essi erano provocati dal governo russo, che intendeva così approfittare del ce-lato antagonismo tra queste due nazionalità», scriveva il giurista B. Bajkov, abitan-te a Baku dal 1890 e personalità molto in vista del partito dei costituzional-demo-cratici, B.Bajkov, Vospominanija o revoljucii v Zakavkaz’e (1917-1920 g.g.)[Ricordi della rivoluzione in Transcaucasia (anni 1917-20)], in Archiv Russkoj Re-voljucii [Archivio della rivoluzione russa], t. IX, Berlin, 1923, pag. 116.31 Nella primavera del 1907, ad esempio, i musulmani del governatorato di Eliza-

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Il fatto che persino nel caso di questo conflitto interetnico, tra ipiù profondi e duraturi del Caucaso, si fossero osservate positivetendenze alla riconciliazione è testimoniato dalla cessazione di ogniviolenza diretta non soltanto nel momento in cui questa venne dura-mente repressa dal potere imperiale ma anche quando davanti ad es-sa non vi furono più ostacoli: all’inizio della Prima guerra mondia-le, infatti, l’armata turca irruppe nella regione russa di Batumi,occupando tutti gli insediamenti prossimi alla frontiera. All’occupa-zione fece seguito la totale distruzione di tali insediamenti e i turchisi abbandonarono ad orrende atrocità contro l’inerme popolazionearmena di questi villaggi: le case vennero saccheggiate e tutti i ma-schi in età adulta passati per le armi. E proprio in tale circostanza vifurono casi in cui gli armeni vennero nascosti e protetti dai musul-mani del posto, sudditi dell’Impero Russo32.

4. Mutamenti nella realtà geopolitica del Caucaso negli anni1917-22

La catastrofe del 1917 parve riportare il Caucaso all’epoca deldominio musulmano degli imperi meridionali. Nel gennaio 1918 ilfronte caucasico cadde definitivamente e le truppe turche, fino aquel momento bloccate lungo la linea Tirebolu-Erzindcan-Sirt, ini-ziarono il contrattacco senza trovare alcuna resistenza, tanto da per-mettersi di suonare la fanfara. Nel maggio 1918 i turchi non soltan-

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vetpol’ riuniti in congresso deliberarono di «acquistare dagli armeni tutte le terrecomprese tra Agdam e Chod§ala con i fondi messi a disposizione dai Tagiev, gran-di capitalisti di Baku, e di trasformare del tutto il Karabach in una provincia musul-mana», cfr. V. S. Djadkin, Il problema nazionale cit., pag. 630. D’altro canto però,in una nota del Dipartimento di polizia, si legge che «negli scontri con i tatari, gliarmeni perseguono la realizzazione di loro precise idee politiche e tendono a risol-vere, tra le altre cose, il problema di un unico territorio omogeneo, abitato esclusi-vamente da armeni, che sostituisca quello attuale in cui si mescolano forzatamentearmeni e tatari; con gli ultimi pogrom, tra l’altro, sono riusciti a «epurare» dai tata-ri una parte considerevole della regione montana del governatorato di Elizavet-pol’», RGIA, 1284.185.1909, g. 4, f. 19.32 RGIA, 1276.19.335, f. 37

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to avevano riportato in seno all’Impero Ottomano i vilayet33 dell’A-natolia orientale occupati dalle truppe russe ma avevano anche oc-cupato una parte considerevole della Transcaucasia russa: le regionidi Kars e Batumi e parte dei governatorati di Tiflis e Erevan.

Fino a quando a Pietrogrado fu in vita il Governo provvisorio, epersino dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi il 25 ottobre1917, a nessun uomo politico del Caucaso minimamente noto passòper la mente la possibilità di separare il proprio popolo dalla Russia.Venivano presi in esame i più diversi progetti relativi al futuro ordi-namento statale della Russia su basi federative e autonomistiche main nessun caso si parlava di secessione. Nel Caucaso si tennero paci-ficamente le elezioni per la Costituente Panrussa che vide vincitori imenscevichi, i socialisti rivoluzionari e i partiti nazionali.

Nel 1917, favoriti dall’anarchia rivoluzionaria, entrarono nelCaucaso folle di agenti turchi e tedeschi che presero a diffondereprevalentemente le idee del panislamismo e del panturchismo cer-cando nel contempo di eccitare il sentimento secessionista. Eppure,soltanto quando le personalità politiche del Caucaso capirono che laRussia come entità statale non esisteva più e che pur di conservareil loro potere sanguinario i bolscevichi insediatisi a Mosca e Pietro-grado non avrebbero esitato a cedere metà dell’Impero ad austriaci,tedeschi e turchi, soltanto allora iniziarono a pensare a una possibileseparazione dalla Russia in nome dell’autoconservazione.

Il 3 marzo 1918 i bolscevichi firmarono a Brest-Litovsk la paceseparata con la Germania. Secondo i punti del trattato l’interaTranscaucasia rimaneva soggetta all’occupazione turco-tedescamentre le regioni sudoccidentali di Kars, Ardagan e Batumi veni-vano annesse all’Impero Ottomano. Fatta eccezione per quello bol-scevico, nessun potere esistente allora negli sterminati territori del-la Russia riconobbe valore a questa pace separata. I bolscevichi,inoltre, esautorarono con la violenza e l’assassinio l’AssembleaCostituente appena eletta e il loro potere venne dichiarato assoluta-mente illegittimo e banditesco da un decreto approvato dal Senatoriunito in seduta plenaria il 22 novembre 1917.

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33 [Parola araba che nel turco moderno indica i governatorati in cui erano divisi iterritori della Sublime Porta, N. d. T.].

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Nel tentativo di organizzare una qualche forma di governo neiterritori liberi dai bolscevichi, si diede vita in varie regioni dellaRussia a governi provvisori e ad assemblee legislative. Nel Cauca-so uno di questi governi fu il Commissariato della Transcaucasiache iniziò nella città di Trebisonda (Trabzon) propri negoziati con iturchi per giungere ad un armistizio, dal momento che il vecchioesercito russo era ormai in sfacelo e neppure tentava più di difende-re il fronte. Come organo legislativo di questo governo provvisoriodella Transcaucasia venne creata la Dieta transcaucasica34, a cuispettava, in primo luogo, l’approvazione dei diversi punti dell’ar-mistizio. Il 10 aprile la Dieta proclamò la nascita della repubblicadella Transcaucasia, che, a seguito della caduta di Mosca e Pietro-burgo nelle mani dei bolscevichi, costituiva un organismo transito-riamente indipendente dalla Russia.

Mentre i negoziati di Trebisonda stentavano a dare risultati, letruppe turche continuavano a penetrare sempre più nella Transcau-casia. Cadde la città di Kars, poi, dopo un breve tentativo di resi-stenza, capitolò anche l’imprendibile fortezza di Batumi. Dopoaver occupato il distretto di Achalciche nel governatorato di Tiflis,il nemico mosse contro Aleksandropol’ e la stessa Tiflis. I turchiesigevano l’accettazione incondizionata di tutti i punti del trattatodi Brest-Litovsk, benché, nel corso di colloqui non ufficiali, la-sciassero intendere che, se i popoli transcaucasici si fossero avvalsidel diritto dell’autodeterminazione, separandosi così del tutto dallaRussia e dichiarandosi stati indipendenti, il trattato non sarebbe piùstato applicabile nei loro confronti. In realtà, si trattava di una mos-sa astuta da parte dei turchi e dei tatari del Caucaso, di fatto loro al-leati all’interno della Dieta. Il piano dell’Impero Ottomano eraquello di inglobare nei propri territori quante più terre caucasichefosse possibile, con il consenso delle popolazioni autoctone e primache venisse stipulato un trattato di pace definitivo che pareva pro-mettere assai poco alla Triplice Alleanza. Dopo la rivoluzione bol-scevica e la disgregazione della Russia, i tatari del Caucaso, o me-glio i loro capi, avevano preparato un proprio piano di azione:

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34 Della Dieta transcaucasica facevano parte deputati eletti in Transcaucasia all’As-semblea Costituente panrussa.

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eliminare definitivamente il problema armeno, come già era statofatto in Anatolia nel 1915-16, e, dopo aver spogliato la Georgia ditutte le terre abitate da musulmani, creare un protettorato che rical-casse quello esteso dagli Ottomani nel XVIII secolo su regni e prin-cipati georgiani.

Si trattava pertanto di un ritorno alla situazione geopolitica delXVI e XVII secolo. In questa spartizione del Caucaso la Russia eramessa fuori gioco e la Persia, paese debole, non rappresentava unrivale temibile. Gli inglesi, che combattevano in Mesopotamia, era-no ancora parecchio lontani e i politici turchi confidavano di poterconsolidare le conquiste territoriali sbandierando il diritto delle na-zioni all’autodeterminazione, principio in quell’epoca assai di mo-da. Va da sé che i turchi lasciarono la Georgia all’oscuro di tali pia-ni e i politici georgiani caddero nella trappola.

La proclamazione dell’indipendenza della Georgia il 26 maggio1918 e, immediatamente dopo, quella dell’Azerbajd§an (l’Armeniasi decise a tale passo soltanto un anno più tardi, il 15 maggio 1919)rafforzarono ulteriormente nel Caucaso un orientamento geopoliti-co «meridionale». La Triplice Alleanza non esitò a riconoscere ledichiarazioni di indipendenza mentre le potenze dell’Entente,com’era da aspettarsi, si limitarono a ignorarle. I turchi posero im-mediatamente alla Georgia condizioni di pace ancora più dure, esi-gendo i distretti di Achalciche e Achalkalaki, abitati prevalente-mente da musulmani e armeni, e creando in tal modo un corridoioche, passando tra l’Agiaria, già annessa alla Turchia, e l’Azer-bajd§an, separava la Georgia dall’Armenia. I georgiani chieseroaiuto alla Germania e i tedeschi, dopo aver inviato a Tiflis un pro-prio contingente, occuparono la regione cercando di rendere piùmalleabile l’alleato turco e ridimensionarne le eccessive pretese. Iturchi, pur accettando a parole le nuove condizioni, continuarono difatto la loro avanzata, dichiarando però che non si trattava di regola-ri forze militari dell’Impero Ottomano bensì di popolazioni autocto-ne di fede musulmana desiderose di staccarsi dalla Georgia e di av-valersi del diritto all’autodeterminazione. Effettivamente, lapopolazione musulmana, meglio nota col nome di «turchi della Me-schetia» e schierata interamente a fianco dei propri connazionali,saccheggiava i villaggi georgiani e ne devastava le chiese, ucciden-do o costringendo alla fuga i pacifici abitanti di fede cristiana. Fu in

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quei giorni, tra l’altro, che venne anche distrutto il palazzo reale diAbas-Tuman. L’ostilità tra georgiani e turchi della Meschetia,esplosa violentemente in quel periodo, non si è placata tuttora. Difatto, grazie all’intervento della Germania, l’esercito turco e i parti-giani della Meschetia si fermarono sul fiume Chram, a due giorni dimarcia da Tiflis.

In Azerbajd§an, a differenza della Georgia, i turchi erano attesicome liberatori. Il fatto è che, tra il 24 e il 29 marzo 1918, la regionedi Baku e la costa del Mar Caspio tra Baku e Petrovsk (Dagestan)erano state occupate dai bolscevichi armeni capeggiati da Saumjan.Durante gli scontri si erano battuti contro i bolscevichi anche russi,tatari e armeni non bolscevichi ma di fatto, dopo la vittoria, a subirele conseguenze più pesanti era stata la popolazione musulmana, sot-toposta a veri e propri pogrom da parte dei bolscevichi. Il nuovo re-gime instauratosi univa l’oppressione classista alle persecuzionicontro le diverse nazionalità ed era pertanto odiato soprattutto dallapopolazione tatara. A onor del vero, tuttavia, occorre ricordare cheanche il governo nazionale tataro di Elizavetpol’ (Gjand§a), primadell’avvento dei bolscevichi e poi insieme con questi ultimi, si eradimostrato altrettanto intollerante nei confronti di russi e armeni e,nei primi mesi del 1918, i villaggi russi lungo il corso superiore delMugan e nel distretto di ¿emacha avevano subito pogrom tatari.

Poco prima che i turchi si impadronissero di Baku, il governodella città era passato dalle mani bolsceviche a quelle del generalearmeno BiØerachov, che godeva dell’appoggio britannico. A Bakuaffluirono truppe inglesi ma, dopo qualche combattimento di brevedurata, la città venne abbandonata ai turchi il 2 settembre 1918. ABaku, dopo il trionfale insediamento del governo azerbajd§ano, eb-be inizio la carneficina degli armeni, spaventosa per le sue dimen-sioni: in pochi giorni, infatti, vennero trucidati non meno di 30 milaarmeni. Quando finalmente i turchi si risolsero a fermare il massa-cro, gli armeni sopravvissuti furono privati di ogni diritto e le loroproprietà confiscate e, seppure in modo meno palese ma altrettantoimpunito, continuò la strage delle personalità più in vista della co-munità armena. Nei confronti della popolazione russa il nuovo po-tere azerbajd§ano dimostrò invece una certa tolleranza.

I piani dei turchi, tuttavia, non si limitavano alla Transcaucasia.Dal momento che il trattato di Brest-Litovsk imponeva loro di non

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oltrepassare la catena caucasica, i turchi si prodigarono per ispirarela creazione di una Repubblica dei Montanari (Gorskaja Respu-blika) indipendente, ritenendo che successivamente, con il progres-sivo diffondersi in Russia dell’anarchia, essa avrebbe chiesto dipassare sotto il protettorato ottomano. La Repubblica dei Montanaricomprendeva formalmente tutto il Caucaso settentrionale da Tua-pse a Derbent ma, di fatto, esercitava un autentico governo soltantoin Cecenia e Dagestan. L’ostilità dei protégés dei turchi si rivolseessenzialmente contro gli osseti e i cosacchi russi e anche controquei circassi e cabardini che, alleandosi con i russi, erano entratinelle file dell’armata di volontari del generale Denikin. La terza for-za presente nel Caucaso settentrionale era rappresentata dai bolsce-vichi. Per un certo periodo questi non osarono rivolgersi contro imontanari della Cecenia e del Dagestan che godevano della prote-zione turca ma, in compenso, scatenarono tutta la loro ferocia con-tro quanti sostenevano Denikin e, di conseguenza, l’Entente. Po-grom, devastazioni di stanicy cosacche e aul caucasici, saccheggiurbani e violenze divennero in questo periodo un fenomeno consue-to in tutto il Caucaso settentrionale. Con queste parole il generaleDenikin ricordava il 1918 nel Caucaso35:

La rapina, come occupazione che godeva di un certo rispetto nelCaucaso, divenne allora un’attività usuale, assai perfezionata sia neimetodi sia nei «mezzi di produzione», incluse le mitragliatrici. Si ab-bandonavano al saccheggio tutti i diversi ‘popoli’, su tutte le strade econtro chiunque le percorresse, senza distinzione di origine etnica, fe-de religiosa o convinzione politica. Talvolta, camuffato esteriormentecome un impeto da guerra santa, traspariva comunque il ghigno delpredone con la stessa bramosia di rapinare. Le strade della regione di-vennero percorribili soltanto a reparti armati, le comunicazioni si in-terruppero e la vita restò imprigionata in un cerchio stregato fatto diterrore, sospetto e odio.

Sarebbe un grossolano errore, tuttavia, ritenere che i popoli cau-casici, approfittando dell’indebolimento e della successiva disgre-

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35 A. I. Denikin, OØerki russkoj smuty [Saggi sulla discordia russa], t. IV, Berlin,1925, pag. 121.

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gazione del potere russo, avessero deciso di «realizzare i loro sognisecolari e separarsi dalla Russia», come talora affermano oggi gliorgani di stampa ufficiali dei nuovi stati indipendenti.

Le nuove creazioni politiche, che sorsero nel Caucaso in queglianni burrascosi, non costituivano affatto il frutto tanto atteso di lottesecolari condotte dalle popolazioni autoctone per conquistare lapropria indipendenza. Tali entità nacquero in seguito agli intrighipolitici della Turchia e alla distruzione del potere centrale in Russia.Come afferma uno storico contemporaneo:

L’insieme degli accadimenti che portarono all’indipendenza non vain alcun caso considerato come il risultato di una qualche attività fina-lizzata dei socialdemocratici. Nonostante le ferme speranze di un ri-stretto gruppo di nazionalisti georgiani, l’indipendenza non rappresen-tava affatto lo scopo principale della corrente politica dominante inGeorgia. Furono piuttosto la separazione fisica e politica dalla Russiabolscevica, derivata come risultato della guerra civile che allora infu-riava, e l’immediata minaccia di un’invasione turca a spingere i geor-giani (come pure gli azeri e gli armeni) a intraprendere ufficialmente ilcammino del distacco dalla Russia36.

Dei problemi puramente contingenti e congiunturali connessi al-la proclamazione dell’indipendenza erano ben consapevoli anche icontemporanei. Scriveva B. Bajkov, uomo politico della Transcau-casia di origini russe37:

Posta nella primavera del 1918 di fronte alla minaccia di un’inva-sione da parte delle orde turche, la Georgia proclamò la propria auto-nomia e indipendenza dalla Russia cercando appoggio nella Germania,nel timore che, restando come una parte indivisibile della Russia,avrebbe dovuto subire tutte le conseguenze connesse a un’interpreta-zione tutt’altro che vantaggiosa del trattato di Brest-Litovsk.

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36 R. G. Suny, Social Democrats in Power: Menshevik Georgia and the RussianCivil War, in Party, State and Society in the Russian Civil War. Explorations in So-cial History, a cura di D. P. Koenker e altri, Stanford, Bloomington, 1989, pag.326.37 B. Bajkov, Ricordi della rivoluzione in Transcaucasia cit., t. IX, pag. 192.

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Di come tutto questo avvenisse «dall’interno» riferisce il gene-rale Kvinitadze, comandante supremo delle truppe prima della Re-pubblica della Transcaucasia e poi della Georgia:

Il 26 maggio 1918 venne proclamata l’indipendenza della Repub-blica della Georgia [...] Ciò avvenne come conseguenza delle pressantirichieste da parte di Vechib-pa¡a, il cui ultimatum, trasmesso prima alpresidente della delegazione della Transcaucasia, A.I. Æchenkeli, esuccessivamente alla nostra delegazione esigeva la piena accettazionedel trattato di Brest-Litovsk. Fu sempre Æchenkeli a inviarmi un tele-gramma, affinché lo trasmettessi a mia volta al governo, sulla necessitàdi proclamare con la massima urgenza l’indipendenza della Georgia,per la quale il trattato di Brest-Litovsk non avrebbe avuto alcun valoredeterminante. E l’indipendenza fu proclamata38.

È chiaro, ovviamente, che non fu difficile reperire tra i rappre-sentanti del ceto colto persone pronte a diventare ministri, governa-tori di città e comandanti in capo. Gli aristocratici e gli intellettualidel Caucaso, che ancora non molto tempo prima si dichiaravano ar-denti sostenitori della Grande Russia, presero con insospettata vee-menza a difendere il diritto all’indipendenza e a denigrare quantopiù possibile la Russia. Il generale ¿ichlinskij, ad esempio, un tatarocaucasico, che aveva raggiunto i vertici della carriera militare sottoi russi e del quale il padre Georgij ¿avel’skij parlava come di unrussofilo estimatore dell’ortodossia (si veda a tale proposito la nota27 di questo mio saggio), nel settembre del 1918 finì a comandarel’artiglieria turca che bombardava Baku; dal canto loro, i socialistigeorgiani, che non molto prima si erano dichiarati contrari persino auna qualche forma di federalismo tra Georgia e Russia, nel 1918non esitarono a definire criminosa qualsiasi dichiarazione o pubbli-cazione che mettesse in dubbio l’opportunità dell’indipendenzageorgiana, e il dicastero per la lotta ai controrivoluzionari, direttoda Noj Rami¡vili, faceva in modo che venissero rispettate le nuoveparole d’ordine. «Dobbiamo chiudere definitivamente con tutto ciòche è russo» scriveva in quei giorni il quotidiano Pitalo-Klde, orga-no dei nazionalisti democratici georgiani39.

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38 G. Kvinitadze, Vospominanija. 1917-1921 [Memorie. 1917-1921], Paris, YMCA-Press, 1985, pag. 38.39 Cfr. A. I. Denikin, Saggi sulla discordia russa cit., t. IV, pag. 149.

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Durante le sedute della Dieta caucasica si dovettero sentire i di-scorsi dei rappresentanti tatari che spiravano odio verso la Russia e la-sciavano intendere senza giri di parole la possibilità di un’alleanza tra itatari della Transcaucasia e la Turchia, alla quale nel 1918 anche l’A-zerbajd§an meditava di unirsi, separandosi così dalla Russia e obbe-dendo allo stesso tempo agli ordini impartiti dalla Germania40.

L’atteggiamento dell’élite politica, tuttavia, non era affatto con-diviso dal popolo, che aveva subito capito che dall’indipendenzanon avrebbe tratto alcun vantaggio, né sul piano morale né su quel-lo culturale o materiale. Anzi, il diritto di rapinare e violare le pro-prietà dei popoli vicini, con i quali si era dovuto bene o male convi-vere pacificamente nei cento anni di dominazione russa, avrebbefinito per trasformarsi nel diritto opposto, vale a dire quello di esse-re rapinati e violati dai vicini, vecchi o nuovi che fossero. Pochi me-si di caos, di pogrom e miseria, insieme con un livello di corruzionee malversazione che aveva dell’incredibile, nonché con il sopruso eil nepotismo delle nuove amministrazioni nazionali, furono più chesufficienti ai «popoli liberati» per liberarsi a loro volta della deli-rante infatuazione rivoluzionaria e nazionalistica, ammesso che, al-meno all’inizio, una tale infatuazione fosse effettivamente esistita.

Nei ricordi di B. Bajkov, uno dei membri più in vista del partitodemocratico costituzionale di Baku, leggiamo:

Quando capitava di parlare finalmente «col cuore in mano», allorasi potevano sentire frasi del tipo «La repubblica significa niente. E an-che l’Azerbajd§an significa niente. L’importante, però, è che tutto ri-torni come sotto lo zar Nicola...»41.

Se nel 1918-19 si fosse nuovamente instaurato nel Caucaso unpotere statale russo, solido e legittimo, avrebbe trovato ben poca re-sistenza. Ma un potere del genere ormai in Russia non esisteva più.I governi bianchi dell’ammiraglio KolØak e del generale Denikincercavano ancora di fare rispettare la tradizione della legge e del-l’ordinamento giuridico, per quanto ciò era possibile nelle condizio-

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40 B. Bajkov, Ricordi della rivoluzione in Transcaucasia cit., t. IX, pag. 104.41 Ibid., pag. 143.

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ni di una guerra civile, ma si trattava di governi deboli, le cui pro-spettive di vittoria erano quanto mai incerte, e non va dimenticatoche a sud della catena caucasica non erano in condizioni di esercita-re alcun diritto. Nella Russia centrale spadroneggiavano invece ibolscevichi, che si abbandonavano a crimini tali che, al confronto,gli eccessi e le violenze dei governi nazionali apparivano quasi deidivertimenti infantili.

La disfatta bellica delle potenze centrali mutò radicalmente la si-tuazione del Caucaso russo. Il 30 ottobre 1918 capitolò l’Impero Ot-tomano, il 3 novembre quello Austro-ungarico, l’11 novembre laGermania. Le condizioni poste dopo la capitolazione imponevanoche le truppe delle potenze che avevano subìto la disfatta lasciasseroi confini della Russia, ed effettivamente, nella seconda metà di no-vembre, i loro eserciti si ritirarono dal Caucaso. In Transcaucasia fe-cero allora ingresso le truppe dell’Entente, per lo più inglesi. La re-gione del Caucaso settentrionale venne invece posta sotto il controllodell’amministrazione delle Forze Armate della Russia meridionale.

I paesi dell’Entente non riconobbero l’indipendenza degli staticaucasici. Quando il 17 novembre 1918 le truppe inglesi entraronoa Baku, il loro comandante, generale Thomson, ordinò che fosseimmediatamente abbassata la bandiera nazionale dell’Azerbajd§anche sventolava sul porto, dichiarando inoltre:

La Grande guerra si è conclusa con la piena vittoria dell’Entente edè come suo rappresentante che io sono venuto a Baku, nei confini dellaRussia antecedenti il conflitto del 1914, sono venuto in terra russa, nelCaucaso, che alla Russia appartiene dal Mar Caspio al Mar Nero42.

La situazione politico-statale del Caucaso era intesa esattamenteallo stesso modo anche dal governo russo dell’ammiraglio KolØak.Il generale A. I. Denikin, comandante in capo delle Forze Armatedella Russia meridionale, comunicò segretamente a Tiflis, al rap-presentante dell’Armata dei volontari in Transcaucasia, generaleBaratov, le seguenti istruzioni:

Tutti i territori della Transcaucasia compresi nei confini precedentiil conflitto del 1914 devono essere considerati parte inscindibile dello

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42 Ibid., pagg. 146-47.

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Stato Russo [...] Occorre preparare il terreno per una riunificazione in-cruenta di queste regioni con la Russia in un unico Stato integro, postosotto l’autorità suprema del potere statale panrusso. [...] Nel contempo,nell’attesa che tale potere statale russo si instauri definitivamente, vie-ne tollerata la gestione autonoma che in queste regioni si è andatacreando43.

Gli stati dell’Entente tuttavia, forse rispettando precise direttivesegrete, non dimostravano alcuna fretta di ristabilire nella Trans-caucasia la legittima amministrazione russa. Dapprima dichiararonoche nelle regioni occupate avrebbero allestito le basi per una lorodiretta partecipazione militare volta a soffocare la rivolta bolscevi-ca. Ciò nonostante, fatta eccezione per le regioni dell’estremo nordrusso, nel governatorato di Archangel’sk, le truppe dell’Entente nonentrarono mai in uno scontro aperto con i bolscevichi. L’occupazio-ne del Caucaso, intanto, proseguiva, con il pretesto di «garantire leretrovie» delle armate bianche. Gli stati alleati, de facto, riconosce-vano l’esistenza nel Caucaso dei governi nazionali di Georgia,Azerbajd§an e Armenia.

Questi stessi governi nazionali transcaucasici, tra l’altro, nonesitavano a dimostrare «sotto l’Entente» le proprie posizioni ostiliai russi e all’armata dei volontari del generale Denikin negli stessitoni risoluti del periodo di occupazione turco-tedesca. Il capo delgoverno georgiano Noj ¢ordanija, che non molto tempo prima sipresentava come un autentico socialdemocratico russo e un convin-to assertore di un’autonomia cultural-nazionale (ma non territoriale,come invece voleva Æchenkeli) all’interno di una sola Russia, l’11gennaio 1919 dichiarava al parlamento di Tiflis:

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43 A. I. Denikin, Saggi sulla discordia russa cit., t. IV, pag. 137. Occorre notare chetali disposizioni corrispondevano esattamente alla strategia politica del movimentoBianco. Al secondo punto della Dichiarazione del comandante in capo delle ForzeArmate della Russia meridionale del 10 aprile 1919, dopo «Eliminazione dell’a-narchia bolscevica e ristabilimento nel paese dell’ordine legale», – si leggeva: «Ri-costituzione della potente Russia, Unica e Indivisibile»; il quarto punto concernevainvece la «decentralizzazione del potere attraverso la costituzione dell’autonomiaregionale e di ampie forme di autogoverno locale», A. I. Denikin, Za Øto my bo-remsja [Ciò per cui lottiamo], s.l., 1919, pagg. 3-4.

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All’interno dei confini della Georgia non uscirà un solo giornale,russo, armeno o quale che sia, che non dimostri di stare solidamentedalla parte dell’indipendenza georgiana44.

Il governo georgiano sosteneva attivamente gli estremisti islami-ci del Caucaso settentrionale. Il quartier generale di Achmed Ca-likov (capo del movimento ceceno contro Denikin) si trovava a Ti-flis e le sue truppe erano comandate dal generale georgianoKereselidze. Da Tiflis gli insorti ricevevano armi e rifornimenti etra le loro file si battevano un’intera legione georgiana, decine di uf-ficiali e istruttori militari.

Anche il governo dell’Azerbajd§an favoriva gli umori anti-russie dava il proprio appoggio alle azioni militari nel Caucaso setten-trionale, senza per altro nascondere le proprie mire su una possibileannessione della Cecenia e del Dagestan all’Azerbajd§an. Il 17aprile 1919 sulle case di Baku venne affisso un volantino con unproclama di tutti i partiti che facevano parte del parlamento azer-bajd§ano:

Cittadini, fratelli azerbajd§ani! Le genti montane del Caucaso set-tentrionale, amanti della libertà e fedeli agli insegnamenti dei loro avi eai principi di libertà e indipendenza dei piccoli popoli, grondano del lo-ro sangue nella lotta impari contro le forze reazionarie di Denikin eKolØak. L’eroica difesa dell’indipendenza delle genti montane deve ri-svegliare nei cittadini dell’Azerbajd§an la coscienza che il generaleDenikin, rappresentante delle forze delle tenebre e della schiavitù, nonavrà pietà neppure dell’autonomia conquistata dall’Azerbajd§an. È sa-cro dovere di ogni buon musulmano correre in soccorso dei fratelli sul-le montagne. Una commissione interpartitica sta formando un repartodi volontari azerbajd§ani guidati da esperti ufficiali per portare aiutoalle genti montane. Cittadini! Arruolatevi nei volontari! Il reclutamen-to si effettua nell’edificio del parlamento45.

Dietro a queste posizioni politiche traspariva chiaramente laTurchia. I capi dell’Azerbajd§an operavano in stretta collaborazio-ne con il governo kemalista a Erzurum. Ufficiali turchi, insieme a

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44 N. N. Zordanija, Doklady i reØi [Relazioni e discorsi], Tiflis, 1919, pag. 197.45 A. I. Denikin, Saggi sulla discordia russa cit., t. IV, pag. 171.

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quelli georgiani e azerbajd§ani, sollevavano le popolazioni montanedel Caucaso settentrionale contro Denikin mentre gli ufficiali russi,che dall’Armata dei volontari arrivavano sul territorio della neopro-clamata repubblica azerbajd§ana, venivano arrestati e messi in pri-gione, senza che per altro vi fossero resistenze da parte dell’ammi-nistrazione inglese. Quando invece gli ufficiali britannici accreditatipresso il quartier generale di Denikin combattevano insieme con irussi per «una sola e indivisibile Russia», o almeno per un’incondi-zionata sottomissione del Caucaso settentrionale al potere delleForze Armate della Russia meridionale (VSJuR), venivano imman-cabilmente richiamati all’ordine da Londra, oppure richiamati diret-tamente in patria46.

Il 1º febbraio 1919 gli organi militari britannici di stanza nel Vi-cino Oriente informarono il generale Denikin che né la sua ammini-strazione né le sue truppe potevano sconfinare a sud della linea cheda Kyzyl-Burun e Zakataly arrivava a Tuapse lungo la catena prin-cipale del Caucaso (telegramma della missione militare n. 74791).Qualora tale condizione fosse stata infranta, avrebbe potuto cessareogni aiuto all’armata dei volontari da parte della Gran Bretagna.Questa «linea di demarcazione», tracciata sul territorio della Russiada una potenza alleata alla Russia, e senza alcun accordo con que-st’ultima, separava dalla Russia meridionale tutta la Transcaucasia,metà del governatorato del Mar Nero e gran parte della regione delDagestan. Ignorando le condizioni imposte, il generale Denikin af-fermò con la forza il proprio potere su tutto il Caucaso settentriona-le e gli inglesi, pur con vibrate proteste, acconsentirono a tracciareuna nuova linea di demarcazione che lasciava al comando delleForze Armate della Russia meridionale tutto il governatorato del

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46 Allo stesso modo venne richiamato in patria dalla Russia il colonnello Rowlin-son, attaché militare della Gran Bretagna nel Caucaso nordorientale, dopo che nelsettembre 1919 aveva dichiarato ai montanari caucasici: «Il governo inglese ap-poggia il generale Denikin e gli scopi che egli persegue [...] La missione inglese saperfettamente che la ribellione dei popoli montani non è un movimento di libera-zione nazionale e che l’insurrezione bolscevica è fomentata da singole persone cheperseguono propri fini personali [...] La resistenza al generale Denikin verrà consi-derata come malevolenza nei confronti degli alleati», cfr. A. I. Denikin, Saggi sul-la discordia russa cit., t. IV, pag. 135.

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Mar Nero e il Dagestan, fissando in tal modo nel Caucaso quellache di fatto è l’attuale frontiera della Fr. In nessun caso, tuttavia, gliinglesi acconsentirono a lasciare alle forze di Denikin anche laTranscaucasia.

A tale proposito, il generale Denikin, capo del potere statale nelsud della Russia, scrisse:

In forza del fatto che l’Inghilterra, nonostante le sue iniziali dichia-razioni, si era rifiutata di muovere le sue truppe contro i bolscevichi eche il territorio della Transcaucasia era già stato liberato da turchi e te-deschi, la decisione47 era priva di qualsiasi fondamento strategico e po-teva essere stata dettata unicamente da ragioni di ordine politico ed eco-nomico: furono il manganese della Georgia, il petrolio di Baku el’oleodotto Baku-Tiflis-Batumi a determinare le tappe della politica edell’espansione inglese. Inoltre, nel tentativo di creare un protettoratoinglese sulla Persia, la Gran Bretagna desiderava la barriera naturaleverso la Russia e i territori attraverso i quali correvano le strade per Ba-tumi, vale a dire verso il mare aperto48.

Occorre per altro dire che nella Transcaucasia la cartina geogra-fica delle preferenze politiche costituiva un autentico mosaico. Ol-tre alla Georgia e all’Azerbajd§an, dopo la ritirata dei turchi si era-no create diverse entità politico-amministrative, quali la regione diBatumi, la repubblica del Caucaso sudoccidentale (regione di Kars,circondario di Artvin nella regione di Batumi, distretto di Achalci-che nel governatorato di Tiflis), l’Armenia (con la parte settentrio-nale del governatorato di Erevan), la repubblica dell’Araks (conparti del governatorato a sud del fiume Arpa, distretti di Nachice-van’ e ¿aruro-Daralagezskij), la cosiddetta «repubblica di Androni-co» (distretti di Zangezur e ¿u¡a del governatorato di Elizavetpol’),la repubblica di Lenkoran’ (governatorato di Baku a sud del fiumeKura) e una «zona centrale» tra l’Armenia e la Georgia (distretto diAchalciche nel governatorato di Tiflis). Se l’Azerbajd§an e la Geor-gia, o meglio il ceto colto dei georgiani e dei tatari-azerbajd§ani,nutrivano sentimenti decisamente anti-russi ed erano orientati verso

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47 [Cioè di occupare tutta la Transcaucasia, N. d. A.].48 A. I. Denikin, Saggi sulla discordia russa cit., t. IV, pag. 132.

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la completa indipendenza nazionale (Georgia) o l’unificazione conla Turchia (Azerbajd§an), altre piccole tessere del mosaico tran-scaucasico guardavano piuttosto alla Russia.

La repubblica di Lenkoran’, ad esempio, inizialmente bolscevicae poi in mano ai Bianchi dopo il colpo di stato del colonnelloIl’ja¡eviØ, avvenuto nel mese di luglio, era abitata da russi e dataly¡i e pertanto, temendo fortemente la vicinanza dell’Azerbajd§an,tendeva a riunirsi alla Russia.

La regione di Batumi, abitata da georgiani di fede islamica macon forti minoranze di russi e armeni, era contraria all’annessionealla Georgia e tendeva piuttosto verso la Russia, tanto da inviareuna propria delegazione alla Conferenza di Parigi per presentare ta-li richieste.

L’Armenia temporeggiò lungamente con la dichiarazione di in-dipendenza. Essa guardava alla Russia e dimostrava una grandedisponibilità ad affidare incarichi a ufficiali e funzionari russi.Una buona parte delle formazioni politiche armene (metà delDa¡nakcjutjun, il Partito del popolo e i socialisti rivoluzionari)tendeva alla riunificazione con la Russia una volta che la burrascafosse passata.

Poco si sa dei piani politici della repubblica dell’Araks, abitatain prevalenza da musulmani. Tuttavia, poiché la sua indipendenzaera fortemente appoggiata dal governo kemalista di Erzurum, si puòritenere che avesse un orientamento filoturco, che veniva però dissi-mulato data la presenza sul suo territorio delle forze di occupazioneinglesi.

La «repubblica di Andronico», al contrario, dimostrava di esse-re orientata politicamente verso l’Armenia e la Russia, tanto che lacomunità del Karabach, guidata dal governatore della città di¿u¡a, aveva presentato all’amministrazione russa una petizione incui si affermava che gli abitanti si consideravano sudditi russi apieno titolo e confidavano pertanto in un’intercessione da partedella Russia49.

La repubblica del Caucaso sudoccidentale era sorta inizialmentecome uno stato fantoccio manovrato dalla Turchia. Allorché le po-

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49 B. Bajkov, Ricordi della rivoluzione in Transcaucasia cit., t. IX, pag. 176.

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tenze vincitrici del primo conflitto mondiale avevano intimato aquest’ultima di abbandonare del tutto i confini dell’Impero Russo, ilgoverno della repubblica era guidato da Nuri-pa¡a, fratello di En-ver-pa¡a. Quando divenne però chiaro che l’amministrazione ingle-se non avrebbe tollerato in quella regione una qualche ingerenzaturca, il governo si rivolse a Denikin con la richiesta di nominare alpiù presto a Kars un governatore russo. Il 31 dicembre 1918, a Kars,i turchi del Caucaso sudoccidentale ripeterono chiaramente al co-lonnello Lesleigh, rappresentante delle Forze Armate della Russiameridionale: «Se il potere non potrà essere turco, allora sarà soltan-to russo». E nel gennaio 1919, sempre a Kars, il governo della re-pubblica accolse il delegato inglese con queste parole: «Siamo lietidi darvi il benvenuto come alleati, vincitori e stimati ospiti in terrarussa»50.

In un mosaico così complesso di interessi e preferenze politiche,l’Entente, già nell’aprile 1919, si pronunciò per una politica che do-veva condurre alla completa separazione della Transcaucasia dallaRussia. In quei giorni il rappresentante supremo delle potenze allea-te in Transcaucasia, generale Walker, propose al generale Erdeli,emissario di Denikin, le seguenti possibilità per risolvere la questio-ne caucasica: «Pieno riconoscimento dell’indipendenza delle re-pubbliche sorte nel Caucaso e loro totale separazione dalla Russia ocreazione nel Caucaso di uno stato unificato, distinto dalla Russiaoppure confederato ad essa»51.

Gli inglesi, senza alcun tentennamento, iniziarono subito a met-tere in pratica le loro parole. A Batumi la bandiera russa venne ab-bassata «con tutti gli onori» e al suo posto sventolò la Union Jackbritannica. In Azerbajd§an gli inglesi non ostacolarono in alcun mo-do le operazioni militari rivolte contro la regione russa di Mugan’(repubblica di Lenkoran’), con le violenze e le atrocità che ogniguerra civile comporta. La repubblica del Caucaso sudoccidentalevenne semplicemente spartita per volere britannico tra Georgia eArmenia. All’Armenia passò anche la repubblica dell’Araks, men-tre all’Azerbajd§an toccarono i distretti di ¿u¡a e Zangezur (repub-

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50 A. I. Denikin, Saggi sulla discordia russa cit., t. IV, pag. 146.51 Ibid., pag. 142.

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blica di Andronico). Il destino della regione di Batumi costituiva unproblema anche per gli inglesi, che pensarono perfino di inglobarlanell’Armenia. I georgiani la volevano per sé, ma la popolazione lo-cale era contraria. Con tutto ciò, l’amministrazione britannica nonprese neppure in esame l’ipotesi di restituire la regione alla Russia.

Gli alleati esercitarono particolari pressioni sull’Armenia, ingua-ribilmente affetta da russofilia. Il colonnello ZinkeviØ, emissario diDenikin a Erevan e comandante del quartier generale armeno, riferìche il generale americano Huskel, rappresentante dell’Entente inArmenia:

aveva richiesto formalmente al governo armeno che, in sua assenza, siastenesse dall’avere contatti con il comandante delle Forze Armate del-la Russia meridionale [...] se poi gli americani si accorgono di qualchesimpatia per i russi, allora cercano di convincere gli armeni che la Rus-sia non ritornerà ad essere un grande Stato e che pertanto non è possi-bile confidare in un qualche suo aiuto52.

Papad§anov, uno dei membri della delegazione armena allaConferenza di Parigi, riferì al ministro degli esteri russo Sazonovche in molti armeni si era creato il timore che «gli inglesi dimo-strassero un atteggiamento più benevolo verso i georgiani perchéquesti avevano decisamente voltato le spalle ai russi»53.

I politici russi erano convinti che gli inglesi volessero separare ilCaucaso dalla Russia per loro fini interessati, creando così in quellaricca regione una zona di influenza britannica. E tali supposizionierano più che fondate. Gli ambienti industriali e finanziari dellaGran Bretagna non nascondevano il proprio interessamento per ciòche lo sfacelo dell’Impero Russo lasciava in eredità. A Londra, neldicembre 1918, nel corso dell’assemblea annuale delle compagniepetrolifere caucasiche, il rappresentante della Bibi-Elibat Oil Com-pany Ltd. esordì con queste parole:

Nel Caucaso, da Batumi fino a Baku e da Vladikavkaz fino a Ti-flis, in Asia Minore, in Mesopotamia e in Persia, l’arrivo delle truppe

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52 Nota di servizio n. 7 del 30 settembre 1919.53 A. I. Denikin, Saggi sulla discordia russa cit., t. IV, pag. 173.

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britanniche è stato ben accolto da popoli di diversa nazionalità e federeligiosa, che vedono in noi i liberatori, vuoi dal giogo turco vuoi daquello bolscevico. Mai, in tutta la storia del nostro paese, si è creataun’occasione tanto propizia alla pacifica penetrazione dell’influenzabritannica e del commercio britannico, alla creazione di una secondaIndia o di un secondo Egitto [...] L’industria petrolifera russa, ampia-mente finanziata e ben organizzata secondo i nostri criteri britannici,sarebbe per noi un preziosissimo acquisto54.

È assai poco probabile, tuttavia, che proprio i vantaggi economi-ci costituissero per i paesi dell’Entente lo stimolo principale a proce-dere alla totale separazione del Caucaso e di altre regioni periferichedell’ex Impero dalla Russia. Neppure poté trattarsi di un incondizio-nato quanto irriflessivo appoggio al principio del diritto dei popoli al-l’autodeterminazione. Innanzitutto, tra il 1918 e gli anni Venti, nellostesso Impero Britannico non si era di certo pronti a rispettare nellapratica tale diritto e, in secondo luogo, i vecchi alleati della Russianon si stavano prodigando per realizzare la volontà dei popoli cauca-sici quanto per creare in essi ex novo una volontà di questo tipo. Co-munque sia, negli anni della guerra civile, nessuno degli uomini poli-tici dei paesi dell’Entente espresse l’idea che sarebbe toccato allastessa Russia decidere dei destini delle proprie regioni perifericheuna volta conseguita la vittoria sui bolscevichi. È chiaro che tra il1919 e gli anni Venti la disgregazione della Russia in tanti stati etni-ci, ivi inclusa la separazione del Caucaso, rientrava perfettamente ne-gli scopi politici dell’Entente. Si concedevano aiuti a Denikin,KolØak e JudeniØ affinché potessero liquidare il bolscevismo, ma siponevano ostacoli di ogni sorta allorché questi stessi iniziavano aparlare di «un’unica e indivisibile Russia» o cercavano di creare neigovernatorati periferici delle solide retrovie per le armate bianche.

Non furono né gli interessi economici, né la sollecitudine versoil destino dei popoli più piccoli a spingere gli uomini di Stato del-l’Europa e degli Stati Uniti a compiere tali passi moralmente assaidiscutibili. Fu forse Lloyd George a parlare più apertamente di mol-ti altri di tali «interessi di Stato» nel discorso da lui pronunciato allaCamera dei comuni del parlamento britannico il 17 novembre 1919:

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54 Ibid., pagg. 140-41.

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L’ammiraglio KolØak e il generale Denikin conducono la loro lottanon soltanto per eliminare i bolscevichi e ripristinare l’ordine e la lega-lità ma anche in nome di un’unica Russia. E questa parola d’ordine, permolte nazionalità, non è accettabile [...] Non sta a me suggerire se taleparola d’ordine corrisponda o meno alla politica della Gran Bretagna.Uno dei nostri più eminenti uomini di Stato, lord Beaconsfield, vedevanella grande e potente Russia, intenta a scivolare lenta come un ghiac-ciaio in direzione della Persia, dell’Afghanistan e dell’India, il pericolopiù minaccioso per il nostro Impero Britannico.

Non si trattava della paura di uno Stato totalitario sovietico, nédell’aggressività del Komintern, e neppure di una devastante esplo-sione nucleare voluta dai vecchi pazzi del Politbjuro. No, si trattavadella paura della Russia in quanto tale, della rispettabile Russia pie-troburghese di sempre, di quella Russia che i comandanti delle ar-mate bianche cercavano di conservare in vita. Indipendentementedal regime statale che vi regnasse, la Russia incuteva paura, inne-scava una sorta di idiosincrasia, insieme con il desiderio di liberarsidi tale paura nell’unico modo che appariva possibile: ridurre drasti-camente i suoi territori. Alle democrazie occidentali la Russia appa-riva minacciosamente sterminata.

È interessante notare che gli intrighi dell’Entente ai danni di«un’unica Russia» proseguirono fino a quando le armate di Denikinmossero vittoriose verso Mosca. Allorché nel tardo autunno del1919 la fortuna militare voltò le spalle ai Bianchi nella zona tra laDesna e il Don ed ebbe così inizio la ritirata verso le regioni pede-montane del Caucaso, gli inglesi cominciarono ad evacuare dallaTranscaucasia, abbandonando i popoli della regione e lasciandoli afronteggiare da soli i bolscevichi. L’Entente non aveva alcuna in-tenzione di versare il sangue dei propri soldati in nome della libertàdelle repubbliche transcaucasiche. Nel 1921-22 l’intero Caucaso sitrovò stretto tra gli artigli di due giovani rapaci, i bolscevichi russida una parte e i turchi kemalisti dall’altra. La parte più grande delCaucaso finì ai comunisti, mentre ai kemalisti, in segno di gratitudi-ne per la loro collaborazione55, Lenin versò un enorme tributo in oro

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55 Nell’occupazione della Georgia e dell’Armenia un grande aiuto è stato offerto aibolscevichi dai kemalisti turchi. Il rappresentante di Ankara presso il quartier ge-

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e armi, oltre a lasciare loro in regalo la Repubblica del Caucaso sud-occidentale, con le regioni di Kars, Ardagan, Artvin e l’Ararat.

Il breve periodo di indipendenza del Caucaso fu segnato da con-flitti interetnici, caratterizzati da inaudite violenze e da uno sfaceloeconomico e istituzionale fino ad allora sconosciuto.

La Georgia, la più sviluppata e potente delle nuove creazioni poli-tiche caucasiche, si presentava in questo periodo all’Occidente comeuna repubblica socialdemocratica, intenta a condurre un esperimentomai tentato prima, vale a dire quello di edificare in Oriente uno Statodemocratico e socialista. Effettivamente, tutte le cariche dirigenzialidel governo, dell’esercito e dell’amministrazione georgiana eranonelle mani di socialdemocratici (menscevichi)56, molti dei quali, pri-ma di allora, erano stati membri della Duma di Stato e dell’Assem-blea Costituente. In realtà, si trattava di pura apparenza. Come ha ri-levato O. H. Radkey, uno studioso dell’Assemblea Costituente:

In Georgia, il nazionalismo, dopo essersi nascosto per lungo tem-po sotto il paludamento menscevico, era ora pronto a gettare la ma-schera57.

Un altro studioso di quell’epoca afferma:

Anziché abbandonarsi ad un aperto sostegno dei conflitti interetni-ci, i socialdemocratici tesero a sublimare le tensioni nazionali in unconflitto politico di classe, nel quale gli armeni rappresentavano la«borghesia» e i russi la «burocrazia»58.

Le massime cariche statali e i più alti posti di comando, inoltre,nella Georgia indipendente venivano affidati esclusivamente a

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nerale georgiano, Kazim-bey, faceva pervenire con continuità a Kemal Atatürk no-tizie segrete che venivano immediatamente trasmesse a Mosca. Con ogni probabi-lità, la divisione in sfere di influenza nella Transcaucasia russa tra Ankara e i bol-scevichi di Mosca era già stata definita nella primavera del 1920, prima che iSoviet occupassero l’Azerbajd§an.56 I socialdemocratici georgiani occupavano tutte le cariche governative tranneuna, mentre nell’Assemblea nazionale detenevano 109 posti su 130.57 O. H. Radkey, Russian Constituent Assembly of 1917, Cambridge, 1950, pag. 74.58 R. G. Suny, Social Democrats in Power cit., pag. 327.

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georgiani, provenienti in prevalenza dall’Imeretia e spesso impa-rentati tra loro.

Nonostante il fatto che i «padri» della repubblica georgiana, comeNoj ¢ordanija, Georgadze, GogeØkori, Rami¡vili, menzionassero co-stantemente la liberazione del popolo georgiano dal giogo colonialerusso, la stessa Georgia, tra il 1918 e il 1921, rappresentava non giàuno stato nazionale bensì una sorta di impero in miniatura, che avevaconquistato, e cercava di conservare al suo interno, intere regioni incui gli abitanti georgiani costituivano un’esigua minoranza mentre lapopolazione autoctona dimostrava chiaramente la propria propensio-ne a far parte della Russia, dell’Armenia o della Turchia59.

La Georgia avanzava diritti su Adler e SoØi e, approfittando delcaos del 1918, aveva occupato tutta la zona meridionale del governa-torato del Mar Nero, in cui non c’era, né c’era mai stata, alcuna po-polazione georgiana (i circassi e gli abaziny, originari di questa re-gione, erano emigrati in Turchia ed erano stati sostituiti da russi earmeni). Nel gennaio 1919, allorché, in seguito alle repressioni mes-se in atto dai georgiani, insorsero gli armeni del distretto di SoØi e ivolontari russi occuparono l’intera area spingendosi fino al fiumeBzyb’, confine naturale tra il governatorato del Mar Nero e il circon-dario di Suchumi, allora l’amministrazione georgiana non esitò a da-re corso ad azioni apertamente antirusse. Il 24 febbraio 1919 si passòalla confisca delle terre dei proprietari russi in Georgia, a Tiflis ven-nero arrestati soldati russi e attivisti del Consiglio nazionale russo. Ilgiovedì della Settimana Santa del 1919 i georgiani apposero i sigillie sequestrarono ai fedeli russi la cattedrale ortodossa di Tiflis60.

La Georgia conduceva nel frattempo azioni militari contro l’Ar-menia per il possesso delle terre di confine di D§avach e reprimevaduramente le rivolte armene nel distretto di BorØali (43,5 per cento

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59 Sotto il profilo etnico, da una stima del 1918, la popolazione della Georgia (sen-za Ardagan, Achalkalak e Achalciche, allora occupate dai turchi) era così costitui-ta (cifre espresse in migliaia di unità): georgiani 1600, armeni 400, russi 250, osse-ti 70, abchazi 100, agiari 150, R. G. Suny, The Making of the Georgian Nation,Stanford, Bloomington, 1988.60 Nel marzo 1919 le truppe inglesi separarono russi e georgiani sulla costa del MarNero, contribuendo allo stesso tempo a respingere i russi verso nord fino al fiumeMechadyr.

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armeni, 1,5 per cento georgiani, la restante parte era costituita daturchi) e in D§igetia (distretto di SoØi). Il 16 dicembre 1918 tutti gliarmeni abitanti in Georgia, di sesso maschile e di età compresa tra i18 e i 45 anni, furono dichiarati prigionieri di guerra e rinchiusi inun campo di concentramento nei pressi di Kutaisi. La Georgia eraaltresì prossima a dichiarare guerra all’Azerbajd§an per il possessodel circondario di Zakataly, abitato in prevalenza da lezghi (47,6per cento lezghi, 14,7 per cento georgiani-inghiloi di fede musul-mana, la restante parte della popolazione era costituita per lo più daazerbajd§ani) che i princìpi georgiani consideravano come proprichizan, vale a dire servi della gleba. Le truppe regolari e le guardiedi Valiko D§ugeli repressero con ferocia le insurrezioni degli ossetia Sa¡keri e le rivolte contadine in Du§etija, a RaØ, Tianeti e LeØchu-mi61. Nell’aprile del 1919 le truppe georgiane, al comando del gene-rale Kvinitadze, occuparono dopo cruenti combattimenti la regionesettentrionale della repubblica del Caucaso sudoccidentale fino adArdagan e instaurarono un regime di terrore poliziesco nelle zoneabitate da turchi della Meschetia. In Adighezia, dove le forze geor-giane entrarono dopo l’evacuazione delle truppe inglesi nel giugno1920, lo scontro etnico-religioso continuò fino a quando la regionenon venne occupata dall’Armata Rossa nel 1921.

Impegnato nei conflitti interetnici e a condurre guerre con i po-poli vicini, lo Stato georgiano non riusciva a porre fine al caos dellapropria amministrazione. Benché a differenza di tutti gli altri popolidella regione caucasica, fatta eccezione per gli armeni, i georgianidisponessero già verso il 1917 di una sviluppata intelligencija na-zionale, di un ceto di grande cultura nonché di soldati e ufficiali cheavevano ricevuto la propria preparazione militare servendo nel vec-chio esercito russo, non riuscirono ugualmente a creare un meccani-smo statale funzionante.

A. I. Denikin, che seguiva attentamente l’evolversi degli eventiin Transcaucasia, ricorda nelle sue memorie:

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61 «I menscevichi, senza pensarci due volte, mandarono a nord le guardie di D§uge-li, che ingaggiarono con i rivoltosi una lotta senza pietà. I villaggi venivano dati al-le fiamme, venne ripristinata la pena di morte, come pure la censura sulla stam-pa...», F. Kazemzadeh, The Struggle for Transcaucasia (1917-1918), New York,1951, pagg. 189-93.

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La stampa georgiana denunciava un nuovo male che andava sem-pre più crescendo, – nepotismo, campanilismo e favoritismi, – che ap-poneva il proprio marchio su ogni istituzione governativa e portavainesorabilmente a forme mai viste di corruzione, speculazione e appro-priazione indebita62.

Le innumerevoli testimonianze dei georgiani che videro con ipropri occhi quanto stava accadendo non ammorbidiscono il qua-dro, anzi, lo arricchiscono di ulteriori particolari.

L’Azerbajd§an, a differenza della Georgia, soffriva della man-canza pressoché totale di quadri nazionali opportunamente formati.Le cariche amministrative e statali finivano spesso per essere ripar-tite tra persone che non possedevano né una preparazione adeguatané esperienza. I loro unici meriti consistevano nel poter vantare lanazionalità tatara e influenti rapporti di parentela. Scriveva De-nikin63:

Il passaggio ad un apparato amministrativo nazionale portò a far sìche agli occhi della popolazione il «vecchio regime burocratico e poli-ziesco»64 apparisse come la più umanitaria delle amministrazioni. Laviolenza, il sopruso e la corruzione generale superarono ogni aspettati-va e, nelle regioni abitate prevalentemente dalle «minoranze naziona-li», soprattutto armene e russe, si crearono condizioni di vita assoluta-mente intollerabili [...] Le case, i campi, gli attrezzi e tutte le altreproprietà appartenenti a quanti avevano abbandonato le loro terre perfuggire dall’avanzata turca, ed ora erano ritornati, venivano confiscatedai tatari e i profughi si trovavano in una situazione disperata.

I rappresentanti del ceto intellettuale tataro, quanto mai esiguo, siaffrettarono a mettere le mani su qualsiasi carica statale che rappresen-tasse un qualche interesse: ministri, sottosegretari, direttori di diparti-mento, membri del Parlamento, governatori e via dicendo... Per le cari-che di minor peso non si trovava praticamente qualcuno a cui affidarle,e diventavano così giudici di pace i vecchi commissari della polizia diepoca zarista e gli interpreti che avevano lavorato in qualche istituzio-

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62 A. I. Denikin, Saggi sulla discordia russa cit., t. IV, pag. 148.63 Ibid., pag. 170.64 [Della Russia prerivoluzionaria, N. d. A.].

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ne della magistratura. Un deciso peggioramento qualitativo lo subironogli organi amministrativi e la polizia, in cui la corruzione e il soprusopoterono saldamente nidificare. Dalla provincia giungevano tremendee quasi incredibili notizie sui soprusi dei satrapi locali ai danni dellapopolazione più povera, che sempre più spesso riandava col ricordo aitempi del potere imperiale russo [...] Ricordo bene che dal distretto diKuba65, dove, in virtù dell’insignificante carica di capodistretto, spa-droneggiava il fratello del primo ministro, dalla popolazione tatara per-venne la richiesta che fosse inviato come ispettore un membro assolu-tamente russo del Tribunale circondariale. La sfiducia nei confronti delpotere nazionale era totale66.

Una situazione particolarmente grave andò creandosi all’internodelle Forze Armate della repubblica. Sotto la Russia i tatari delCaucaso non venivano chiamati a prestare servizio militare e versa-vano all’erario una sorta di imposta di riscatto. Essi venivano co-munque accettati nelle scuole per ufficiali e, pertanto, esisteva sì unesiguo numero di ufficiali azerbajd§ani ma non c’erano soldati ade-guatamente preparati. Fin che si trattava di trucidare gli armeni di¿u¡a o di impadronirsi di Mugan’, l’esercito azerbaigiano avevaforze a sufficienza ma avrebbe finito per essere impotente nel casodi uno scontro militare vero e proprio.

Nel Karabach gli scontri con gli armeni del «temerario Androni-co» erano continui, come una vera e propria guerra. Per chissà qua-li insondabili ragioni l’amministrazione inglese aveva lasciato sottola giurisdizione dell’Azerbajd§an i distretti del governatorato di Eli-zavetpol’ abitati da armeni. Il colonnello Shuttelworth, delegatodell’amministrazione inglese per il Karabach, evitava di ostacolarequalsiasi angheria ai danni degli armeni perpetrata dall’amministra-

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65 [Governatorato di Baku, N. d. A.].66 B. Bajkov, Ricordi della rivoluzione in Transcaucasia cit., t. IX, pag. 155. A. I.Denikin riporta inoltre nelle sue memorie alcune lettere inviate dagli abitanti del-l’Azerbajd§an all’amministrazione delle Forze Armate della Russia meridionale.Nel giugno 1919, alcuni contadini russi, appartenenti alla setta religiosa ortodossadei molokany che abitavano nel distretto di ¿emacha del governatorato di Baku, la-mentavano le loro condizioni: «Ci prendono a scudisciate e ci mettono in prigione[...] Ci rapinano di ogni cosa [...] e ci portano alla disperazione più nera», A. I. De-nikin, Saggi sulla discordia russa cit., t. IV, pag. 171.

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zione tatara del governatore Saltanov. I contrasti interetnici si con-clusero con una vera e propria carneficina in cui perì la maggiorparte degli abitanti armeni della città di ¿u¡a. Il parlamento di Bakusi rifiutò persino di condannare almeno a parole gli artefici dellastrage di ¿u¡a e nel Karabach scoppiò la guerra. Gli inglesi cercaro-no di separare le truppe armene e quelle azerbajd§ane, poi, quando isoldati britannici lasciarono la regione, l’esercito azerbajd§ano subìnel novembre 1919 una disastrosa sconfitta. Soltanto l’ennesima in-gerenza britannica riuscì a impedire che i soldati armeni marciasse-ro su Elizavetpol’ e ¿emacha.

La situazione dell’Armenia era particolarmente disperata. Stret-to tra le popolazioni ostili di Turchia, Azerbajd§an e Georgia, privodi uno sbocco al mare e invaso dai profughi provenienti dall’Arme-nia turca e per giunta povero di terre fertili e di acqua, il paese stavaletteralmente morendo di fame e per le epidemie. In tali circostanzeera naturale che l’Armenia guardasse ancora alla Russia, temporeg-giasse con la dichiarazione di indipendenza e mantenesse stretticontatti con le Forze Armate della Russia meridionale. Allo scopodi neutralizzare questa «perniciosa» tendenza verso la Russia, gliStati Uniti organizzarono vaste operazioni di soccorso per la popo-lazione armena e il presidente T. W. Wilson arrivò persino a pro-porre di creare una Grande Armenia che si estendesse dalla Ciliciafino a Trebisonda. Proposta semplicemente assurda. Nelle terre diquesta nuova creazione, terre che un tempo erano state effettiva-mente armene, negli anni precedenti la Prima guerra mondiale gliarmeni costituivano appena un quarto della popolazione. Una fra-zione del partito del Da¡nakcjutjun, tuttavia, appoggiò tale progetto.Allorché il 15 maggio 1919 l’Armenia venne finalmente proclama-ta indipendente dal governo di Chatisov, nella dichiarazione si an-nunciò altresì l’unificazione delle terre russe e turche dell’Armeniastorica sotto un unico Stato: «In ottemperanza del volere di tutto ilpopolo, il governo dichiara l’Armenia unita e indipendente per l’e-ternità».

Data forse l’estrema difficoltà della situazione, o anche per unamaggiore coesione etnica tra gli armeni, la nuova amministrazionestatale operò qui meglio che negli stati vicini. Con tutto ciò, nonmancarono le repressioni nei confronti della popolazione musulma-na di Nachicevan’ e della regione di Kars. A sud di Erevan, a Sada-

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chlo, i tatari locali insorsero contro gli armeni e crearono il propriopiccolo Karabach musulmano. Lo scontro, il più delle volte armato,con Georgia, Turchia e Azerbajd§an, fu un aspetto costante della vi-ta dell’Armenia indipendente.

Il Caucaso settentrionale, che rientrava direttamente sotto l’am-ministrazione delle Forze Armate della Russia meridionale, si stavadi fatto sfaldando in due parti.

La parte occidentale dei popoli indigeni del Caucaso, – adighei,circassi, cabardini e osseti di fede cristiana, – sostenevano nellastragrande maggioranza il movimento bianco e la difesa di un’Uni-ca Russia. Nella regione nacquero organi locali di autogoverno e sicrearono formazioni militari pronte a combattere tra le file dell’ar-mata dei Bianchi. Alcuni sollevamenti popolari tra balcari e osseti,sostenitori del partito bolscevico «Kermen», costituirono di fattoepisodi marginali. Anche le regioni pianeggianti della Cecenia lun-go il fiume Terek si mantenevano fedeli al potere russo.

Conformemente alla grandezza del territorio e al livello culturaledella popolazione, alle genti montane erano state concesse ampie for-me di autogoverno da esercitarsi all’interno dei confini di ciascuna et-nia, con organi amministrativi liberamente eletti e con l’assoluta noningerenza del potere statale in questioni concernenti la religione, lenorme della sharja e l’istruzione, fatta eccezione per [...] gli stanzia-menti dell’erario necessari per tali questioni67.

Il potere dell’amministrazione russa si consolidò soprattutto inOssetia. In Cabarda le malversazioni dei poteri locali aveva suscita-to il malcontento della popolazione, che veniva però diretto nonverso l’autorità dei Bianchi bensì contro i propri capi e uzdeni, dicui si cercava di contrastare lo strapotere rivolgendosi ai russi.

Le zone montuose di Cecenia, Inguscetia e Dagestan restavanoal contrario ostili ai Bianchi, simpatizzavano con i bolscevichi e, al-lo stesso tempo, desideravano unirsi ai fratelli musulmani della Tur-chia. Con enormi sforzi, il generale Ljachov (comandante in capodelle forze di stanza nella regione del Terek e del Dagestan) riuscì aliquidare la repubblica dei Montanari, ai cui capi venne offerto rifu-gio a Tiflis e a Baku. Il Caucaso occidentale non sosteneva affatto

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67 A. I. Denikin, Saggi sulla discordia russa cit., t. IV, pag. 141.

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l’idea dell’indipendenza dalla Russia, mentre tale possibilità era ol-tremodo popolare nel Dagestan e tra le montagne della Cecenia. Nel1919 l’intero Caucaso nordorientale fu travolto dalle insurrezionicapeggiate da Ali-hadji nel Dagestan e da Uzun-hadji in Cecenia.Rilevava il generale Denikin:

Il malcontento popolare trovava terreno fertile per le cause più di-sparate una pesante situazione economica, l’ignoranza delle masse, iltradizionale rispetto per gli abrek68, l’eterna ostilità tra gli abitanti dellemontagne e quelli delle pianure del Terek, le ingiustizie e la concussio-ne da parte degli amministratori indigeni, le violenze commesse in Da-gestan dai soldati e dai marinai della flotta, e via dicendo69.

Forse, i russi avrebbero anche potuto riportare la pace in questairrequieta area del Caucaso. L’Imam Na§mutdin Gocinskij e Ali-Hadji, temendo i bolscevichi ed avendo avuto modo di convincersidell’atteggiamento tollerante e persino benevolo dei russi verso lafede e le usanze dei popoli montanari, si dimostravano propensi aun accordo con i Bianchi. La disfatta dell’armata bianca e la cata-strofe di Novorossijsk nel marzo del 1921, tuttavia, resero impossi-bile la prosecuzione di questo dialogo. Nel Caucaso, ora, a dialoga-re erano arrivati i bolscevichi.

I quattro anni di tempeste vissuti dal Caucaso avevano dimostra-to che la scomparsa di un potere esterno aveva gettato l’intera zonain un’interminabile serie di guerre tra un popolo e l’altro, portandoal caos amministrativo e al totale sfacelo delle infrastrutture econo-miche e culturali della regione. I rappresentanti dell’élite locale nonsi erano rivelati capaci di assumersi la piena responsabilità del go-verno e di garantire ai cittadini un minimo di legalità, indipendente-mente dalla religione professata, dalla lingua o dalla terra di origi-ne. Ovunque nel Caucaso il potere si era rivelato etnocratico,oligarchico, legato alla logica dei clan e, infine, debole e avido diguadagni. L’Inghilterra era troppo lontana per accollarsi il fardello,lasciatole dalla Russia, di organizzare la vita della regione caucasi-ca sulla base di principi di pace e stabilità. Il potere dei Bianchi era

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68 [La parola caucasica indica i montanari che nel secolo XIX si battevano control’amministrazione russa, N. d. T.].69 A. I. Denikin, Saggi sulla discordia russa cit., t. IV, pag. 243.

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troppo debole e occupato su troppi fronti. La Turchia, a differenzadell’Inghilterra e della Russia, tendeva a schierarsi sempre unilate-ralmente e non era quindi in condizioni di emergere al di sopra del-le parti avverse. Senza dubbio, i turchi garantivano il loro appoggioalle popolazioni etnicamente affini e di identica fede religiosa, op-primevano in tutti i modi i cristiani del Caucaso e, pertanto, non po-tevano garantirne l’incolumità né, tantomeno, l’edificazione di unloro stato nazionale.

L’epoca della guerra civile, a causa della rovina generale cheaveva travolto la Russia, non può testimoniare sulle reali tendenzeeconomiche della regione, ma è fuor di dubbio che l’autarchia nonrecò alcuna ricchezza ai popoli del Caucaso. La totale separazionedal mercato russo ebbe riflessi oltremodo negativi sull’economia dicittà e di zone rurali caucasiche che ancora non molto tempo primasi presentavano floride e in espansione. E non fu certo in quegli an-ni che l’economia di questa regione seppe rivolgersi in prospettiva amercati differenti, fossero essi europei o turchi.

4.1. Secondo periodo di dominazione dell’Impero del Nord (1921-91)

I governi nazionali di Georgia e Azerbajd§an e le popolazionimontane del Caucaso nordorientale si risolsero a cercare l’alleanzacon il movimento controrivoluzionario dei Bianchi soltanto nel mo-mento in cui si videro le armate bolsceviche avanzare inesorabil-mente verso le regioni pedemontane. L’esercito dei Bianchi, unicareale barriera che separava i popoli caucasici dal «nuovo mondo» edalla calamità dei Soviet, parve sfasciarsi con un solo schianto, e inpochi mesi tutto il Caucaso venne sottomesso al potere dei Rossi.Gli eserciti nazionali non furono in grado di opporre qualche effetti-va resistenza e i paesi dell’Entente si guardarono bene dall’inviareanche una sola divisione di propri soldati in soccorso delle giovanidemocrazie caucasiche che avevano invece protetto con tanta solle-citudine dalle velleità di Denikin. Con i kemalisti di Atatürk i bol-scevichi giunsero amichevolmente ad un accordo di cui facevano lespese armeni e georgiani e così, per i successivi settant’anni, il Cau-caso si trovò nuovamente sottomesso all’Impero del Nord.

Ovviamente, il potere sovietico nel Caucaso aveva assai poco incomune con quello zarista. Si trattava ora di un potere totalitario e

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radicalmente misantropo, per il quale la vita di una sola persona o ditutta un’etnia poco contava in confronto ai folli ideali di dominiomondiale del Komintern. Se con il «vecchio regime» l’attenzioneera soprattutto rivolta alla stabilità e al benessere dell’impero, con il«nuovo regime» le terre e i popoli sottomessi erano presi in consi-derazione come meri strumenti per ulteriori conquiste. L’uomo insé non aveva alcun valore, egli veniva apprezzato soltanto come unmezzo per realizzare le mire dell’élite comunista avida di potere.Dell’uomo ci si poteva anche prendere cura, ma allo stesso modo incui un corazziere bada al proprio cavallo o un pilota ha cura dell’ae-roplano su cui dovrà volare.

Non vediamo alcuna necessità di soffermarci in modo più detta-gliato su questo periodo, già descritto più volte da altri, con talento,precisione e dovizia di particolari. Vorremmo qui evidenziare sol-tanto quelle che furono le tendenze del nuovo periodo di domina-zione dell’Impero del Nord nei confronti del Caucaso.

1. Nella regione venne rapidamente ripristinata la pace tra le va-rie etnie e le diverse confessioni religiose, pace che di fatto venneinfranta soltanto con il conflitto turco-armeno nel 1988, quando ilpotere di Mosca iniziava chiaramente a dare segni di fiacchezza. Èda notare che questa pace non venne imposta unicamente con la for-za, anzi, il potere dei Soviet stendeva soltanto la sua ombra onnipre-sente su una reale tendenza alla collaborazione e alla coesistenzapacifica. I numerosi matrimoni misti che si sono celebrati nel Cau-caso anche tra «nemici giurati», come armeni e azeri, osseti e ingu-sci, nonché tra popoli caucasici e slavi orientali, sono un esempio diquesta rappacificazione.

Un altro aspetto della riconciliazione fu rappresentato dalla lot-ta comune contro il bolscevismo. Nelle insurrezioni caucasiche de-gli anni Trenta, al sistema repressivo sovietico plurinazionale sicontrappose un fronte antibolscevico altrettanto plurinazionale. Al-la famosa insurrezione del Dagestan, ad esempio, tra il 1934 e il1935, «presero parte rappresentanti di tutte le nazionalità. Al co-mando di molti dei reparti degli insorti vi erano russi, georgiani,

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70 A. Orlov, Dagestanskoe vosstanie 1934-35 godov [L’insurrezione del Dagestannel 1934-35], ed. Grani, pag. 239.

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armeni...»70. L’insurrezione era capeggiata da Abu-Bakir, rappre-sentante dell’aristocrazia àvara e stretto collaboratore dell’ImamNa§mutdin Gocinskij negli anni della guerra civile. Comandante incapo era l’ufficiale russo Aleksandrov, già «volontario» nel batta-glione di BiØerachov. Gli insorti dell’aul di Dzil’da erano al co-mando del georgiano Boris Chotalo¡vili; quelli dell’aul di Gimrierano guidati dall’ingegnere meccanico V. Stepanov; il villaggio diKach obbediva a un cosacco del Kuban’, il sottotenente S. Vasi-lenko. A Chunzach la posizione di spicco spettava a V. Gri-gor’janc, un armeno di Kuba. Assai vicino al quartier generale de-gli insorti era anche il russo Anatolij Orlov, destinato a raccontareal mondo intero l’impresa senza precedenti compiuta dai suoi com-pagni d’arme.

L’insurrezione, che coinvolse più di venti distretti montani delDagestan, non aveva affatto un carattere anti-russo o anti-Russia.Così affermavano i capi della rivolta nei loro appelli rivolti alla po-polazione:

La nostra lotta armata, popolare e rivoluzionaria, volta contro il co-munismo disumano, si propone la completa vittoria su di esso [...]. Unavolta che il regime bolscevico sarà stato abbattuto, tutti i popoli cheabitano la Russia avranno il diritto di decidere liberamente del loro de-stino [...] Qualora si giungesse alla creazione di una repubblica federa-tiva e democratica russa, tutti i popoli sul suo territorio godranno diuguali diritti [...]71.

Di carattere plurinazionale era stata anche l’insurrezione di Eli-zavetpol’ nel maggio del 1920. I bolscevichi, per riuscire a repri-merla, avevano quasi sterminato l’intera popolazione della città: piùdi 40 mila persone. Non va neppure dimenticata la lotta partigiana aZangezur, che continuò fino al 1923.

Fu lo spirito antibolscevico e non gli ideali di liberazione nazio-nale ad animare le insurrezioni della Cecenia, la prima delle qualiavvenne nell’estate del 1922 e a questa ne seguirono altre nel 1925,1929, 1930, 1937 e 1969. Queste ribellioni furono represse nel san-

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71 Ibid., pagg. 240-41.

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gue con inaudita ferocia, con l’impiego di artiglieria, forze aeree etruppe regolari72. Le cause del malcontento popolare erano legate amotivi economici e religiosi (collettivizzazione, persecuzioni deicredenti, arresti di autorevoli personalità che godevano del rispettodella popolazione locale).

Fu così che nel 1942 il Caucaso settentrionale vide nelle armatetedesche i liberatori non dai russi ma dal giogo bolscevico. Nelleformazioni militari di Balyk, nei comitati nazionali di karaØai, bal-cari e ceceni non si riscontravano di fatto sentimenti anti-russi. Eanche le successive repressioni del 1944 rimasero legate nella co-scienza dei montanari caucasici non al popolo russo bensì al regimecomunista.

Praticamente si trattava del proseguimento della guerra civile, dacui era stata tratta una preziosa lezione: le divisioni nazionali e l’o-dio etnico portano alla vittoria proprio quelle forze che riducevanoin schiavitù i popoli.

Nei decenni di potere sovietico le montagne del Caucaso hannoofferto rifugio a molti che non accettavano il regime, fatto che con-tribuì ulteriormente alla conoscenza reciproca tra i vari popoli dellaregione. Tutti si ritrovavano nell’essere «compagni di sventura» al-lo stesso modo.

Il «disgelo» dell’era chrusceviana, con il ritorno nel Caucaso deipopoli che erano stati deportati, segnò l’inizio di una certa assuefa-zione a un sistema sovietico più morbido. In tale sistema risultò cheera possibile vivere, e vivere tutto sommato non troppo male, erasufficiente accettare determinate regole ideologiche e saper trarrevantaggio dalla centralizzazione e dall’irresponsabilità dell’ordina-mento economico dell’Unione Sovietica. Negli anni Sessanta e Ot-tanta, il Caucaso trova all’interno del sistema sovietico un propriomodus vivendi e i popoli della regione, fatta eccezione per piccoligruppi di intellettuali, cominciano ad accettare lo status quo comenorma. Tra gli aspetti di questa norma sovietica vi era la vita in unosterminato Stato multinazionale.

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72 V. A. Ti¡kov, «ÆeØenskij krizis (social’no-kul’turnyj analiz)» [La crisi cecena(analisi socio-culturale)], in OØerki teorii i politiki etnØnosti v Rossii [Saggi teoricie politici sull’elemento etnico in Russia], Moskva, 1997, pagg. 419-20.

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2. Il sistema sovietico fece la sua comparsa nel Caucaso sbandie-rando gli ideali di autonomia nazionale e territoriale e d’indipenden-za statale dei vari popoli. Ma sia l’autonomia sia l’indipendenza del-le «repubbliche dell’Unione» erano assolutamente fittizie. Qualsiasiazione dei poteri locali, ivi comprese persino la scelta del repertoriodi canti e danze dei gruppi folcloristici nazionali o la preferenza perdeterminate forme e metodi di coltivazioni agricole, era rigidamentecontrollata. A un severo e rigoroso controllo erano altresì sottoposti iprogrammi di studio nelle scuole. Con tutto ciò, all’interno dei rigidicontorni imposti dal potere sovietico, la creazione di una cultura na-zionale era possibile e persino favorita, soprattutto negli anni Venti eTrenta73. Per i popoli caucasici divennero fatti acquisiti l’alfabetizza-zione, lo studio della lingua russa e la diffusione della letteratura nel-le lingue nazionali. Di enorme importanza per l’avvicinamento dellevarie culture ed etnie era il servizio militare. A differenza dell’epocazarista, l’Unione Sovietica esigeva che i maschi di tutte le naziona-lità prestassero servizio militare, e il vecchio principio secondo cui siandava a fare il soldato il più lontano possibile da casa veniva im-mancabilmente osservato. I legami di amicizia, naturali tra i giovani,superavano facilmente nelle caserme i confini nazionali e cancella-vano i possibili pregiudizi di carattere etnico.

Nacquero le letterature nazionali e si creò un ceto intellettualenazionale in grado di parlare alla propria gente usando la lingua ma-dre. Per la maggior parte dei popoli caucasici negli anni del poteresovietico si creò una consapevolezza non tanto confessionale quan-to etnica (che georgiani e armeni possedevano indiscutibilmente an-che prima), e insieme a tale consapevolezza nacquero simpatie e an-tipatie etniche.

Il fatto che, dopo la conquista della regione da parte dei bolsce-vichi, i ceti superiori delle popolazioni caucasiche, vale a dire l’ari-stocrazia, il clero e gli intellettuali, cioè i portatori e i creatori diuna coscienza nazionale, fossero stati eliminati o costretti ad emi-

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73 Si vedano in particolare: A. B. Zubov, «Pljuralizm totalitarnosti» [Il pluralismodel totalitarismo], in PolitiØeskie issledovanija, n. 6, 1993, pagg. 135-44; Id., Mi-noranze nazionali e nazionalità dominante nello stato sovietico (1918-1939), in U.Corsini e D. Zaffi (a cura di), Le minoranze tra le due guerre, Bologna, 1994,pagg. 59-82.

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grare, facilitò di molto il livellamento culturale degli abitanti dellaregione, con istanze culturali di profilo relativamente basso, limita-te a un piano materiale e quotidiano. La repressione del ceto intel-lettuale tra gli anni Venti e gli anni Sessanta condusse a una ancormaggiore «fusione semplificata» dei diversi popoli negli anni Set-tanta e Ottanta. Lo sfacelo dell’Unione Sovietica e le rivoluzioni dicarattere etnico74 posero fine a tale processo che, nelle intenzioni dicoloro che lo avevano iniziato al Cremlino, doveva essere direttoalla creazione di una «comunità di tipo nuovo», il cosiddetto «po-polo sovietico».

3. Su tutto lo sterminato territorio dell’Unione Sovietica vennecondotta una lotta implacabile contro la religione che, nel Caucaso,fu inizialmente rivolta contro l’ortodossia. I comunisti, nella spe-ranza di trovare da parte delle popolazioni montane un appoggionella battaglia contro i cosacchi nemici della rivoluzione, mantene-vano un atteggiamento tollerante verso la fede islamica e le scuolereligiose. Nel 1925 erano funzionanti nel Caucaso settentrionale fi-no a 1650 moschee e oltre 740 scuole religiose musulmane nellequali studiavano contemporaneamente circa 15.550 allievi. Verso lafine del 1928, tuttavia, tutte le scuole religiose vennero chiuse su di-sposizione del Commissariato del popolo per gli affari interni e delCommissariato per l’istruzione75. La propaganda antireligiosa neglianni Trenta portò alla chiusura di gran parte dei templi cristiani,musulmani e buddisti, all’eliminazione delle comunità monastichee delle confraternite aderenti al sufismo. Sopravvivevano, ovvia-mente, gruppi di credenti ma la continua repressione finiva per al-lontanare i giovani dalla fede dei padri, riduceva l’autentico spiritoreligioso in una mera consuetudine quotidiana e, in definitiva, fa-vorì ancora di più il rimescolamento dei popoli caucasici e il loro li-vellamento culturale. L’indebolimento della fede portava di fatto al-

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74 A. B. Zubov, Posleslovie k epoche etniØeskich revoljucij [Postfazione all’epocadelle rivoluzioni etniche], in Znamja, n. 5, 1993, pagg. 161-81, tr. ingl. in RussianPolitics & Law, vol. 32, n. 4, New York, Armonk, 1994.75 N. M. Emel’janova, Islam kak faktor formirovanija etnoreligioznoj identiØnostiu kabardincev: istorija i sovremennost’ [L’Islam come fattore costitutivo dell’i-dentità etnico-religiosa dei cabardini: storia e contemporaneità], compendio dellatesi di dottorato, Moskva, Institut vostokovedenija RAH, 1998, pagg. 14-15.

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l’entropia sociale le comunità caucasiche che, ancora non moltotempo prima, vantavano una ferrea organizzazione basata su legamidi famiglia, clan o territorio.

4. Negli anni dell’Unione Sovietica fu di enorme rilevanza la tra-sformazione nazional-territoriale del Caucaso. Il governo zarista nonaveva mai accolto le richieste relative alla creazione nel Caucaso digovernatorati con caratteristiche nazionali, nella ferma convinzioneche nessuno di tali governatorati avrebbe potuto avere una composi-zione demografica di tipo monoetnico quali che fossero i suoi confi-ni geografico-amministrativi, e in una struttura monoetnica di nomema plurinazionale di fatto sarebbe sempre sorta la questione del pre-dominio di una data nazionalità sulle altre, il che avrebbe inevitabil-mente reso la situazione incandescente e innescato violenze. La pre-ferenza andava pertanto a strutture amministrative non nazionali epuramente territoriali e nelle quali le cariche più alte non venivanomai affidate a rappresentanti delle popolazioni autoctone.

Il regime sovietico creò un sistema di autonomie nazional-terri-toriali senza darsi eccessiva preoccupazione del fatto che i loro con-fini corrispondessero a reali frontiere etniche. In un certo numero dicasi l’etnia che dava il nome a una data autonomia caucasica costi-tuiva addirittura la minoranza assoluta della popolazione (come nelcaso dell’Abchazia e dell’Adighezia) ma questo non le impediva inalcun modo l’esercizio del pieno potere amministrativo nella «sua»repubblica o regione autonoma. Nella maggior parte delle forma-zioni nazional-territoriali del Caucaso avvenne una progressiva e«pacifica» cacciata delle nazionalità non titolari dai confini di que-ste «repubbliche». In un solo decennio (1979-89) la popolazionerussa in Georgia diminuì del 10 per cento, quella armena del 3 percento; in Azerbajd§an i russi e gli armeni scesero del 16 per cento;nella Ceceno-Inguscetia e nel Dagestan i russi calarono del 13 percento, nell’Ossetia settentrionale la popolazione russa diminuì del 5per cento. Nel contempo, all’interno di queste «repubbliche», au-mentava la popolazione appartenente all’etnia titolare76.

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76 Nel decennio compreso tra il 1979 e il 1989 il numero degli azerbajd§ani inAzerbaj§an è aumentato del 23 per cento, quello dei georgiani in Georgia del 10per cento, quello di ceceni e ingusci nella Ceceno-Inguscetia del 21 per cento equello degli osseti nell’Ossetia settentrionale del 12 per cento.

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In alcune regioni del Caucaso il conflitto tra l’etnia titolare e glialtri gruppi di popolazione raggiunse una certa gravità (confine os-seto-ingusceto, Karabach, Nachicevan’, Abchazia, Ossetia meridio-nale) ma, dato il sistema totalitario e repressivo dello Stato sovieti-co, le tensioni interetniche non potevano passare alla cosiddetta«fase calda».

5. Il dominio del secondo Impero del Nord dal 1921 al 1991 sirivelò particolarmente vantaggioso per l’economia del Caucaso,tanto più nelle condizioni autarchiche del lager comunista. Il Cau-caso divenne così il produttore quasi esclusivo in tutta l’Unione So-vietica di numerose culture subtropicali o tipiche dei climi moderati(tè, agrumi, uva e vinificazione, tabacco, frutta), mentre la costa delMar Nero si trasformò in un’unica catena di località termali visitateda tutti i cittadini sovietici. Se in Urss i Paesi Baltici finirono per di-ventare un «surrogato dell’Occidente», il Caucaso si trasformò inun «surrogato del Mediterraneo». E benché le regioni più internedel Caucaso, prevalentemente rurali, continuassero a restare poveree con bassi livelli produttivi, la popolazione urbana e quella dellacosta vivevano in condizioni di relativo benessere. A testimonianzadel rapido sviluppo economico basta citare la crescita demograficadelle città: nel 1989 la popolazione di Tbilisi (Tiflis) era aumentatadi quattro volte rispetto a quella del 1913, quella di Baku di quattrovolte e mezza, quella di Kutaisi di cinque volte e quella di Erevan diben 40 volte.

Le aree economicamente più depresse restavano le regioni mon-tuose del Caucaso settentrionale. In queste zone, come pure inAzerbajd§an, vi era un eccesso di manodopera con una conseguentedisoccupazione occulta. Molti degli abitanti di sesso maschile si de-dicavano a occupazioni ausiliarie in altre regioni dell’Unione So-vietica, riuscendo così a garantire alle proprie famiglie un reddito ditutto rispetto se considerato secondo la scala sovietica.

Il rapido sviluppo dell’economia caucasica creò legami assaipiù stretti tra la regione e il resto della Russia, in quanto parti di ununico sistema economico. L’industria del Caucaso era orientatanon già verso i bisogni locali ma verso quelli dell’intero paese so-vietico, e per questo le venivano generosamente garantite le risorseenergetiche provenienti dalla Russia interna. Verso la fine degli an-ni Ottanta, il Caucaso era ormai inserito nel mercato nazionale so-

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vietico assai di più di quanto non fosse stato inserito in quello russofino al 1917.

Nella coscienza massificata degli abitanti della regione le loroterre non venivano più percepite come territori sottomessi e sfrutta-ti alla stregua di colonie dal potere straniero dei russi. Verso gli ini-zi della perestrojka (1985-86) l’idea che i popoli del Caucaso fosse-ro cittadini di un solo grande paese che si estendeva «dalle catenemontuose del sud fino ai mari dell’estremo nord» era decisamentedominante rispetto alle tendenze separatistiche e centrifughe.

Il Caucaso venne integrato nel sistema statale pansovietico inmaniera assai più profonda di quanto non fosse avvenuto durantel’Impero Russo. Con tutto ciò, l’esistenza, ancorché puramente ver-bale, di formazioni nazional-territoriali e lo sbandieramento del di-ritto delle nazioni all’autodeterminazione, anche fino alla completasecessione, teoricamente riconosciuto dai bolscevichi, nonché lereali tensioni interetniche e il malcontento generale per le condizio-ni di vita secondo il modello sovietico, dovevano immancabilmenteportare a una profonda crisi «etnico-statale» nel momento in cui iltorchio del comunismo totalitario si fosse indebolito o fosse scom-parso del tutto.

Come in altri campi e in altri settori della vita, il sistema sovieti-co non prevedeva alcuna autoregolamentazione sociale e pertanto,avendo come collante soltanto la corazza esteriore del potere, talesistema non poté non frantumarsi in mille scaglie allorché il rigidoinvolucro di contenimento andò in frantumi e scomparve.

5. Il Caucaso nel periodo delle nuove tempeste (1988-99)

La disgregazione dell’Unione Sovietica ebbe inizio con i con-flitti interetnici nel Caucaso. La vera e propria battaglia avvenutaa Tbilisi nell’aprile 1989 tra l’esercito sovietico e la folla di geor-giani, – innescata dalla proclamazione dell’indipendenza della re-pubblica autonoma dell’Abchazia dalla repubblica della Georgiadurante il congresso degli abchazi a Lychny, – le grandi manife-stazioni di piazza a Erevan, la carneficina degli armeni in tuttol’Azerbajd§an e le violenze contro gli azeri perpetrate in Armenia,– innescate dalla decisione degli armeni del Karabach di unificare

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la propria regione alla repubblica dell’Armenia e staccarsi dall’A-zerbajd§an, – rappresentarono i primi sanguinosi conflitti che Mo-sca si trovò in condizione di non potere né sapere risolvere ricor-rendo ai metodi convenzionali.

A partire dal 1990 i popoli di Georgia e Armenia chiedono l’in-dipendenza dall’Unione Sovietica. Il maggiore impulso a rendersiindipendenti è dato dal desiderio di risolvere i propri problemi na-zionali senza interferenze esterne: per la Georgia si tratta di annet-tersi interamente i territori dell’Abchazia e dell’Ossetia meridiona-le, per l’Armenia di unificarsi con il Karabach e creare uno Statomonoetnico. Quando risulta chiaro a tutti che l’Azerbajd§an è ormaiimpotente e incapace di ripristinare con la forza l’autorità azera sulNagorno-Karabach, anche Baku inizia a prendere in esame l’ideadell’indipendenza, contando in tal modo di poter «risolvere una vol-ta per tutte il problema armeno in Azerbajd§an» e imporsi con laforza nell’irrequieta regione autonoma del Karabach.

Il desiderio di indipendenza trovava argomenti anche nei van-taggi economici che sarebbero derivati dalla separazione dallaRussia. Benché tutto il Caucaso rimanesse di fatto una regione cheviveva di sovvenzioni statali, come del resto era stato fino alla ri-voluzione del 1917, i politici favorevoli all’indipendenza non esi-tavano a promettere ai loro popoli un inverosimile sviluppo econo-mico «come nel Kuwait» o «come in Europa» se soltanto si fosseconseguita la totale indipendenza da Mosca. «Quando la Ceceniaavrà raggiunto la propria indipendenza, dai rubinetti delle case diogni ceceno scorrerà non acqua ma latte di cammello», promettevaai suoi connazionali nel 1991 D§ochar Dudaev77.

Così come era avvenuto nel 1918, l’estremo indebolimento delpotere centrale russo tra il 1991 e il 1992 portò de facto all’indipen-denza del Caucaso, giuridicamente sancita, nel caso della Transcau-casia, con il collasso dell’Unione Sovietica nel dicembre 1991. An-che le repubbliche del Caucaso settentrionale, pur restando sottol’aspetto giuridico parte integrante della «Russia rinnovata», inizia-rono a condurre un’esistenza di semi-indipendenza, pur continuan-

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77 Abu Gadabor¡ev, «V prigraniØnych s ÆeØnej rajonach rastet Øislo be§encev»[Nelle regioni confinanti con la Cecenia aumenta il numero dei profughi], in Neza-visimaja Gazeta, 6 giugno 1999, pag. 2.

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do a ricevere le sovvenzioni di Mosca. L’esempio più eloquente aquesto riguardo è costituito dalla Cecenia, dove il generale Dudaevesautorò di ogni potere il parlamento autoproclamandosi presidentedi uno Stato indipendente. Tale indipendenza non fu riconosciutadalla Russia, che, per altro, non impedì alla regione cecena di vive-re «come voleva».

L’indipendenza non portò al Caucaso la pace e neppure la ric-chezza. L’intera regione precipitò in un’interminabile serie di scon-tri interetnici e il livello di vita della popolazione iniziò ad abbas-sarsi vertiginosamente. Ancora una volta, e in forme ancora piùgravi, si ripeteva quanto era accaduto tra il 1918 e il 1920. Persino ifocolai dei conflitti erano gli stessi.

La lunga e feroce guerra tra armeni e azerbajd§ani causò colon-ne di profughi valutabili in molti milioni di persone e portò all’oc-cupazione da parte degli armeni di un quinto del territorio dell’A-zerbajd§an. La repubblica sovietica autonoma di NachiØevan’ (chedi fatto si trovava all’interno dei confini della vecchia repubblicadell’Araks del 1919) non fu travolta dalle operazioni militari ma,trovandosi nelle retrovie armene e di fatto separata dal nucleo terri-toriale dell’Azerbajd§an, si trovò costretta ad essere integrata nell’I-ran, trasformandosi così nuovamente nel vecchio khanato di Na-chiØevan’, vassallo della Persia. Nonostante tutti gli sforzi da partedella Russia e della comunità internazionale per risolvere la que-stione del Nagorno-Karabach, il problema rimane tuttora aperto elungo la linea del fronte tra armeni e azeri regna soltanto un fragilearmistizio.

I tentativi del primo presidente della Georgia indipendente,Zviad Gamsachurdia, per trasformare il paese in uno Stato unitarioe «rimettere al loro posto» gli abchazi, gli osseti e le altre minoran-ze etniche e religiose (come gli agiari), innescarono in men che nonsi dica altri feroci combattimenti in Abchazia e nell’Ossetia meri-dionale, che portarono di fatto alla loro completa separazione dallaGeorgia e a nuove folle di profughi. Con il referendum, svoltosi inAbchazia il 3 ottobre 1999, sono state poste le basi giuridiche perrealizzare i piani dei separatisti abchazi78. La regione dell’Adighe-

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78 A favore dell’introduzione nella Costituzione dell’Abchazia di un emendamento

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zia, sotto la permanente autorità di A. Aba¡idze, prese le distanzedalla Georgia in modo più uniforme e pacifico, benché oggi il suostatus reale poco si differenzi da quello dell’Abchazia.

È tornato inoltre ad aprirsi anche il vecchio conflitto tra georgia-ni e turchi della Meschetia, in quanto il governo della Georgia indi-pendente impedisce il ritorno sulle terre degli antenati non soltantoalla minoranza turca ma anche a curdi e chem¡in (armeni di fedemusulmana), cioè a circa 300 mila persone deportate da Stalin oltrei confini della regione nel 1944.

Esistono nella Transcaucasia altri conflitti etnici che si manten-gono per ora nella «fase fredda» ma che possono innescarsi con vio-lenza in qualsiasi istante. Si tratta soprattutto del problema dei lez-ghi, taly¡i e curdi in Azerbajd§an, degli armeni di D§avach e degliazeri di Marneuli in Georgia.

Tra le questioni etniche della Transcaucasia occorre altresì citarel’esodo quasi totale della popolazione russa dalla Georgia e dall’A-zerbajd§an: soltanto nel 1989 hanno lasciato l’Azerbajd§an 400 mi-la russi e altri 340 mila hanno abbandonato la Georgia.

Oltre ai conflitti etnici, la Georgia ha dovuto affrontare una lun-ga guerra civile tra i seguaci di Gamsachurdia e i sostenitori di¿evarnadze, con la susseguente disgregazione del paese tra il 1991e il 1995 in una serie di «principati» semi-indipendenti che hannocreato propri eserciti e non hanno esitato a gravare sulla popolazio-ne con balzelli e concussioni di ogni genere.

In Azerbajd§an, come era accaduto nel 1919 e negli anni Venti,si è creato l’assoluto caos amministrativo. Così descrive la situazio-ne un testimone diretto:

Una persona che voglia mettere in piedi anche una minima attivitàproduttiva si scontra inevitabilmente con la corruzione in ogni diversafascia di potere che deve affrontare. Per qualsiasi sciocchezza si è obbli-gati a passare sostanziose bustarelle [...] Alla fine, l’imprenditore ha per-so anche il 90% dei suoi guadagni, fallisce e chiude l’impresa [...] InAzerbajd§an è possibile comprare qualsiasi funzionario statale, dal sem-plice doganiere al ministro [...] L’Azerbajd§an, con una popolazione tut-

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sull’indipendenza nazionale della repubblica si è espresso il 97,5 per cento dei par-tecipanti alle elezioni (87,7 per cento), in Nezavisimaja Gazeta del 5 ottobre 1999.

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to sommato numericamente ridotta, conta all’incirca centomila poliziotti,molti dei quali agiscono unicamente per il loro profitto e arricchimentopersonale [...] A una persona benestante possono togliere i documenti erequisire i beni. Gli oggetti confiscati, tra l’altro, finiscono diritti nelle ta-sche di questi stessi poliziotti79.

Oltre che dal caos amministrativo, l’Azerbajd§an è travolto dalcompleto disfacimento dell’economia. Tanto nelle città quanto nellecampagne il numero dei disoccupati è impressionante; fatta eccezioneper gli impianti petroliferi, quasi tutti gli altri stabilimenti industrialivengono chiusi o sono stati saccheggiati; la fornitura di energia elettri-ca su oltre l’80 per cento del territorio nazionale avviene per non piùdi 3-4 ore al giorno; «la privatizzazione assume spesso i contorni diveri e propri atti di banditismo e per il momento conduce soltanto al-l’impoverimento della popolazione e alla bancarotta delle strutturenon più statalizzate»80; i terreni agricoli vengono lasciati incolti.

La situazione economica della Georgia è pressappoco identica.Forse leggermente migliore. L’Armenia si distingue invece per uncerto ordine amministrativo e un’agricoltura che offre livelli pro-duttivi soddisfacenti, l’industria, in compenso, è totalmente a pez-zi come altrove e nel complesso l’intera economia patisce il biso-gno energetico creatosi sia per l’impoverimento del paese sia per ilblocco delle forniture da parte dell’Azerbajd§an.

A causa del blocco delle vie di comunicazione in Abchazia e Ce-cenia, sia per ferrovia sia su strada, la Transcaucasia è rimasta perbuona parte separata dal resto della Russia e costretta ad orientare lapropria economia verso la Turchia (nel caso della Georgia) e l’Iran(nel caso dell’Armenia e dell’Azerbajd§an). Un tale orientamentoeconomico verso il meridione, tuttavia, non ha risollevato l’econo-mia dei paesi transcaucasici. Nell’enclave di Nachicevan’, ad esem-pio, totalmente orientato verso l’Iran, il livello di vita è considere-volmente più basso che nel resto dell’Azerbajd§an che, in qualchemodo, ha mantenuto contatti commerciali con la Russia.

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79 Mechman Gafarly, in Nezavisimaja Gazeta, allegato del 23 giugno 1999.80 M. Bogdanov, «Kto stanet sleduju¡Øim prezidentom Azerbajd§ana?» [Chi sarà ilprossimo presidente dell’Azerbajd§an?], in Nezavisimaja Gazeta del 9 settembre1999.

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Attualmente il Caucaso è caratterizzato dalla concentrazione ditutte le scarse ricchezze della regione e di ogni altra fonte di sosten-tamento finanziario nelle mani di gruppi ristretti e appartenenti al-l’élite delle burocrazie nazionali, dalla totale indifferenza verso i bi-sogni di un’enorme massa di gente ridotta in miseria. Il comandantececeno Balaudi Mosaev, in un’intervista rilasciata il 23 febbraio1995 a V. A. Ti¡kov, ha detto:

D§ochar81 e gli altri come lui sono rimasti impantanati nella possi-bilità di facili ricchezze [...] Basta pensare ai soldi delle stesse pensio-ni, o al petrolio, che lui e quelli della sua cerchia si sono mangiati [...]si poteva creare una repubblica coi fiocchi, come in Kuwait! E pensa-re che basterebbe utilizzare per i bisogni della popolazione appena il5 per cento del ricavato dalla vendita del petrolio, e noi vivremmo,eccome! [...] E i bambini non avrebbero fame e i nostri vecchi non sa-rebbero costretti ad andare in Inguscetia o in Dagestan a prendere i lo-ro pochi soldi di pensione [...] Ma il petrolio se lo sono mangiato sen-za farsi problemi [...] E adesso? Stanno là seduti come parlamentariche godono della fiducia nazionale [...]82.

Lagnanze di questo genere si possono raccogliere in tutti gli Sta-ti e in tutte le regioni autonome del Caucaso. La ricchezza di pochi,che fino a poco tempo fa sembrava irrealizzabile, ora esiste accantoalla miseria delle masse di gente semplice.

La Georgia e soprattutto l’Azerbajd§an soffrono le conseguenzedell’esodo della popolazione «europea»: russi, ucraini, tedeschi,ebrei e così via. Essi occupavano nicchie ben precise all’internodella struttura economica, per lo più collegate a lavori tecnici alta-mente qualificati, alla medicina o al mondo dell’istruzione. Ora,poiché in tutta la Transcaucasia ha smesso praticamente di funzio-nare l’intero sistema dell’istruzione superiore e della scienza acca-demica, non si trovano più persone con cui sostituire le maestranzespecializzate.

Il livello di emigrazione dalla regione, che si tratti di emigrazio-ne temporanea o definitiva, è altissimo. L’Armenia ha perso fino al

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81 [Dudaev, N. d. A.].82 V. A. Ti¡kov, La crisi cecena cit., pag. 444.

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40 per cento della propria popolazione «sovietica», l’Azerbajd§an ela Georgia circa il 30 per cento. Quanti hanno abbandonato i paesitranscaucasici, tra l’altro, appartenevano alle fasce di età e ai gruppiprofessionali maggiormente attivi. Con il denaro che questi manda-no in patria, riescono a campare genitori anziani, a volte anche mo-glie e figli. Molti, tuttavia, lasciano il paese con tutta la famiglia.

La situazione nella repubblica Cecena, autoproclamatasi indi-pendente, è simile a quella della Transcaucasia. I russi, che nel 1989costituivano un quarto della popolazione della Ceceno-Inguscezia,sono fuggiti tutti. Le infrastrutture economiche e amministrative so-no in totale sfacelo, le terre sono abbandonate, la popolazione nonriceve in pratica né istruzione né assistenza medica. La gente origi-naria del luogo ha in parte abbandonato il territorio della repubblica(prima degli avvenimenti del settembre-ottobre 1999 già il 45 percento viveva fuori dei confini ceceni), in parte conduce un’econo-mia di tipo naturale o si dedica ad attività criminose (produzione esmercio di droga, di denaro e titoli di Stato falsi, rapimenti con ri-chiesta di riscatto, rapine e via dicendo). Riferisce un corrisponden-te della Nezavisimaja Gazeta:

Il petrolio, che doveva garantire l’abbondanza di prodotti alimenta-ri su ogni tavola cecena, è rimasto nelle mani dei gruppi più forti dalpunto di vista dell’armamento [...] la massa della popolazione vive nel-la miseria più nera. Fra i ceceni sono apparsi mendicanti che chiedonol’elemosina, un fatto mai visto nella storia di questo popolo83!

Leggermente migliore appare la situazione in altre regioni delCaucaso settentrionale. A Stavropol’, nel Kuban’, nel Dagestan e inaltre repubbliche rimaste all’interno della Fr viene mantenuto uncerto ordine amministrativo, benché anche qui sorgano notevolicomplicazioni, come del resto in tutta la Russia di oggi, dovute allacorruzione e al nepotismo. Nel 1999 si è osservato in Ossetia e inKaraØaevo-Æerkessija84 una certa ripresa economica, evidente so-

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83 Abu Gadabor¡ev, Nelle regioni confinanti cit., pag. 2.84 In KaraØaevo-Æerkessija la produzione industriale è aumentata nel 1998 del 10per cento rispetto al 1997 (cfr. Nezavisimaja Gazeta, allegato del 26 gennaio 1999).Nell’Ossetia settentrionale, in rapporto al primo semestre del 1998, la produzione

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prattutto nell’agricoltura e nell’industria leggera e alimentare.Ovunque è ancora attivo il sistema dell’istruzione e quello dell’assi-stenza medica.

Come è avvenuto per la Transcaucasia, dopo il collasso del siste-ma totalitario, anche il Caucaso settentrionale si è trovato immersonel pieno dei conflitti etnici, ivi compresi quelli armati. Tra gli ulti-mi, i più gravi sono stati quelli tra osseti e ingusci, ceceni e daghe-stani, russi e ceceni. È inoltre sul punto di esplodere, nella forma diun vero scontro armato, il conflitto tra le varie etnie autoctone cheabitano la KaraØaevo-Æerkessija.

Similmente a quanto si era registrato negli anni tempestosi tra il1918 e il 1921, anche il secondo «periodo dei torbidi», che la Rus-sia sta vivendo nel XX secolo, non ha recato ai popoli del Caucasoné benessere né pace. Ha portato loro la libertà dallo Stato totalita-rio, dalle persecuzioni religiose, dal controllo pedante su ogniaspetto della vita economica e culturale, e ha restituito alla gente lapossibilità di muoversi liberamente. Di tutti questi vantaggi, fattaeccezione per la libertà di culto, nel Caucaso sono ben pochi a go-dere, per il resto c’è dovunque distruzione, caos e miseria, violenzae guerra. In alcuni paesi caucasici, come in Cecenia e Azerbajd§an,sussiste un regime di assoluta illibertà politica e di esplicita violen-za contro quanti si oppongono a chi ora è al potere.

Le nuove formazioni politiche del Caucaso non hanno potutousufruire a loro vantaggio delle possibilità offerte dai mutamentiavvenuti negli orientamenti politici ed economici. Le alleanze conTurchia e Iran, paesi di per sé non ricchi, non democratici e oppres-si loro stessi per primi da gravi conflitti interetnici e da autentichefobie religiose, non hanno migliorato minimamente la vita dei po-poli della regione. E la rinascita di una unità etnoculturale e religio-sa tra i popoli del Caucaso e i loro vicini meridionali, effettivamen-te esistita fino al XIX secolo (se parliamo dei popoli musulmani),appare oggi quanto mai poco realizzabile. Durante il primo periodostorico in cui il Caucaso si è orientato verso il nord, e tanto più du-rante il secondo di tali periodi, i popoli caucasici hanno vissuto una

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industriale dei primi sei mesi del 1999 è aumentata del 112,7 per cento, quella agri-cola del 110 per cento. L’Ossetia settentrionale è passata dal 63° al 39° posto nelrating federale (Nezavisimaja Gazeta del 17 marzo 1999).

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profonda europeizzazione. Benché gli azeri moderni si dichiarinoetnicamente turchi e sciiti di fede, la loro visione del mondo è assaipiù vicina a quella dei russi e degli ucraini che non a quella dei tur-chi e degli iraniani. E occorrerà che il distacco dalla Russia duri perqualche generazione perché, anche in paesi come l’Azerbajd§an e ilDagestan, si attuino orientamenti culturali rivolti nuovamente a sud.

D’altro canto, la tendenza verso il modello dell’Europa occiden-tale, tanto agognato da georgiani e armeni, non ha avuto a tutt’oggialcun esito effettivo. In Europa e negli Stati Uniti è possibile emi-grare, ma divenire parte del mondo culturale ed economico dell’Eu-ropa, ignorando la Russia, resta un desiderio irreale per tutte le re-gioni del Caucaso, nessuna esclusa.

Non è da trascurare il fatto che tutti i conflitti etnici del Caucasovengono placati grazie all’attivo intervento della Russia, e in tutti ipunti caldi di questo mosaico etnico in cui i popoli caucasici com-battono tra di loro, con l’unica eccezione del Nagorno-Karabach,sono dislocati contingenti militari russi che cercano di mantenereun fragile equilibrio di pace (Abchazia, Ossetia meridionale, fron-tiera tra osseti e ingusci, confine tra Dagestan e Cecenia).

Ruslan Kigmrija, alto funzionario dell’amministrazione della re-gione di Gal in Abchazia, confinante con la Georgia e abitata preva-lentemente da georgiani, alla domanda rivoltagli dal corrispondentedella Nezavisimaja Gazeta sull’utilità di mantenere un contingenterusso di pace alla frontiera tra Georgia e Abchazia, ha risposto:

Le forze di pace per ora non devono lasciare la regione. Questo locapiamo benissimo noi e lo capisce benissimo la parte georgiana [...] Sele forze di pace abbandonano il territorio, la gente si sentirà senza più si-curezze e quelli che hanno fatto ritorno nella regione di Gal fuggirannonuovamente in Georgia [...] E ho i miei dubbi che l’economia georgianasaprebbe reggere una tale evenienza. Sta affondando già così. Per laGeorgia, quindi, la presenza di un contingente di pace rappresenta unfattore di tranquillità e per noi, in primo luogo, un fattore di stabilità.Siamo pienamente convinti del fatto che attualmente non si registrinoazioni85 su larga scala proprio grazie alla presenza delle forze di pace86.

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85 [Militari, N. d. A.].86 E. Tesemnikova, «Kto chotel – vernulsja» [Chi lo ha voluto, è tornato], in Neza-visimaja Gazeta del 9 ottobre 1999, pag. 5.

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Né l’America né l’Europa né tantomeno la Turchia, per ragionidiverse, hanno voluto accollarsi un simile fardello. Allo stesso mo-do in cui gli inglesi evacuarono il Caucaso alla fine del 1919, la-sciandolo all’arbitrio del Komintern, anche oggi sia la Nato sia l’U-nione Europea sono pronte a battersi per la pace nel Caucaso purchénon venga versato il sangue di neppure uno dei loro soldati. Qui sol-tanto la Russia sta versando il sangue dei propri soldati.

La Russia, inoltre, rimane altresì per i popoli caucasici la mag-giore fonte economica di sussistenza. Nel Caucaso settentrionale,inserito nel sistema statale panrusso, ciò avviene in modo diretto,attraverso le sovvenzioni, l’integrazione economica e i programmifederali di sviluppo. Il bilancio del Dagestan, ad esempio, si basaper l’80-90 per cento sulle sovvenzioni che arrivano da Mosca. Co-me tutto nella Russia di oggi, anche questi finanziamenti sono in-sufficienti, tanto più se vengono fraudolentemente sottratti e non ar-rivano ai destinatari, eppure, anche così, consentono ai cittadini deisoggetti politici caucasici che fanno parte della Fr un livello di vitaalmeno accettabile.

Per la Transcaucasia, come del resto anche per una considerevo-le parte della popolazione del Caucaso settentrionale, la Russia rap-presenta oggi un posto dove lavorare e, spesso, dove vivere. Pergran parte di quei due quinti della popolazione caucasica che hannoabbandonato la regione, temporaneamente o definitivamente, laRussia costituisce oggi un luogo dove trovare asilo. Ed è innanzitut-to dalla Russia che vengono spediti i soldi degli stipendi ai familiaririmasti in Georgia, Azerbajd§an, Armenia, Cecenia. Ed è in Russiache quei pochi che possono appena permetterselo cercano di ottene-re un’istruzione superiore, o perlomeno media.

Nonostante il fatto che il quadro politico della Russia attuale siaben poco attraente, è ad essa che i cittadini del Caucaso inizianonuovamente a rivolgere le loro speranze. La stessa tendenza neiconfronti dei Bianchi, e persino della Russia bolscevica, venne no-tata tra la fine del 1919 e il 1921 dagli osservatori che si trovavanonel Caucaso. In quegli anni tra i popoli caucasici liberati andò viavia crescendo la nostalgia per la Russia di Nicola II. Oggi cresce lanostalgia per gli anni dell’«ordine» sovietico, e ogni euforia di indi-pendenza si è ormai volatilizzata. Né la Turchia, né l’Iran, né gliStati Uniti, né l’Europa hanno offerto ai popoli del Caucaso un aiu-

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to paragonabile per dimensioni a quello offerto loro dalla Russia edall’Unione Sovietica. Agli osservatori non sfugge il fatto che umo-ri favorevoli alla Russia stiano rapidamente crescendo in Georgia eAzerbajd§an87.

In Cecenia, dopo l’attacco sferrato dalle truppe russe tra la finedi settembre e l’ottobre 1999, quasi un terzo dell’etnia cecena e no-gaj è fuggita in Russia durante la prima settimana di combattimenti.E fuori di ogni dubbio che il loro desiderio fosse quello di mettersiin salvo dai bombardamenti, eppure, il solo fatto che la popolazionenon sia disposta a versare «fino all’ultima goccia di sangue» per di-fendere l’indipendenza della Cecenia e che fugga verso la Russia enon, ad esempio, verso l’Azerbajd§an o la Georgia, che tra l’altroappoggiano la ribellione dei popoli montani (come era già avvenutouna prima volta negli anni tempestosi seguiti alla rivoluzione), è unfatto di per sé significativo. Forse che durante gli scontri con laGeorgia nel 1922 gli abchazi pensarono di mettersi in salvo fuggen-do proprio in Georgia, o gli armeni del Nagorno-Karabach non esi-tarono a rifugiarsi in Azerbajd§an? La cosa è impensabile, ovvia-mente, eppure i ceceni scappano, e scappano proprio in Russia, nelpaese con cui la Cecenia è in guerra.

Le numerose conversazioni avute con i profughi fuggiti dalla Cece-nia per riversarsi in questi giorni nell’Inguscetia rivelano che la gente haormai la nausea di ideali astratti [...] La gente è stanca di inseguire un’in-dipendenza irraggiungibile, è stanca dello strapotere dei criminali, comepure del wahhabismo e di tutti gli altri «ismi» [...] Una donna cecena cheho incontrato nel cortile degli uffici dell’immigrazione nei primi giornidell’esodo mi ha sussurrato «Non ci tornerò mai più! Che se la vedanoloro con la storia dell’indipendenza!»88.

L’impressionante diaspora di ceceni, armeni, azeri e georgianiche trovano rifugio in Russia sta a dimostrare una sola cosa: in Rus-sia queste persone non si sentono in terra straniera né, tantomeno,

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87 Si veda ad esempio Michail Bogdanov, «Kurs na Moskvu? Rossijskij faktor vpolitiØeskoj §izni Azerbajd§ana» [Rotta su Mosca? Il fattore Russia nella vita poli-tica dell’Azerbajd§an], in Nezavisimaja Gazeta del 22 settembre 1999.88 Abu Gadabor¡ev, Nelle regioni confinanti con la Cecenia cit., pag. 2.

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nel paese del nemico. Oggi, in un momento in cui gli abchazi e gliosseti non possono vivere in Georgia e gli azeri in Armenia, questipopoli si incontrano e comunicano pacificamente proprio in Russia.

Come era avvenuto negli anni burrascosi seguiti alla rivoluzio-ne, i popoli che per primi si rivolsero alla Russia in cerca di aiutosono gli stessi che dopo il 1991 non hanno voluto staccarsi da essa,perché non avrebbero avuto dove andare. Si tratta di minoranze et-niche oppure di regioni circondate sui quattro lati da Stati ostili. Trale minoranze vi sono gli abchazi, gli osseti dell’Ossetia meridiona-le89, gli abitanti dell’Adighezia, gli armeni di D§avach, – che sonoscesi in strada per protestare contro la partenza dei soldati russi dalloro territorio, – i lezghi90 e i taly¡i dell’Azerbajd§an, gli armeni delNagorno-Karabach. Tutti questi popoli hanno richiesto più di unavolta di entrare a far parte della Fr, ovviamente senza alcun risulta-to. Tra le regioni circondate da paesi nemici c’è la repubblica del-l’Armenia, che con tutte le sue forze appoggia l’idea di un’«allean-za strategica» con la Russia. A giudicare dai sondaggi e dai passicompiuti dai politici armeni, la popolazione e una parte considere-vole della classe dirigente dell’Armenia è pronta a unirsi alla Russiain un unico Stato sovrano.

Le tendenze filorusse si sono notevolmente rafforzate anche tra ipopoli autoctoni del Caucaso settentrionale. Le genti del Dagestansi pronunciano ormai senza esitazioni in favore dell’unità con laRussia (fino al 97 per cento degli intervistati nell’agosto 1999) e ka-racai e circassi, in conflitto tra di loro, fanno a gara per dimostrarela loro fedeltà a Mosca. I leader circassi dichiarano persino che il

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89 Sulle tendenze attuali nell’Ossetia meridionale si veda l’articolo di V. Rokotov,«Zabytaja respublika» [La repubblica dimenticata], in Nezavisimaja Gazeta, alle-gato n. 11 (novembre) 1998, pag. 5 (13).90 Sulla situazione dei lezghi, divisi tra il Dagestan russo e l’Azerbajd§an, si vedal’articolo di I. Maksakov, «Me§du Rossiej i Azerbajd§anom. Lezginskij faktor -problema ne tol’ko me§gosudarstvennych otno¡enij» [Tra Russia e Azerbajd§an. Ilfattore lezgo: un problema non soltanto di rapporti intergovernativi], in Nezavisi-maja Gazeta, allegato n.1 (gennaio) 1999, pagg. 1-2 (9-10). L’autore dell’articolosottolinea in particolare il fatto che i lezghi dell’Azerbajd§an cercano di far sì che iloro figli abbiano la cittadinanza russa e ritengono che la migliore soluzione per ildestino del loro popolo diviso in due sarebbe (ancorché assolutamente irreale) il ri-torno dell’Unione Sovietica.

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loro popolo è disposto a essere incluso nella regione amministrativadi Stavropol’. Anche tra osseti e ingusci, tra loro ostili, sono forti letendenze filorusse.

Le classi dirigenti politiche di Georgia, Azerbajd§an e della Ce-cenia autoproclamatasi indipendente sono invece decisamente anti-russe. Fino a non molto tempo fa tale tendenza era diffusa anche trala popolazione georgiana e cecena. In Cecenia non potevano perdo-nare alla Russia i massacri del 1995-96, in Georgia il sostegno datoda Mosca all’Abchazia e all’Ossetia meridionale. Eppure, tra il1998 e il 1999, tali tendenze, prima diffuse anche tra le masse popo-lari di queste regioni caucasiche, hanno subìto sostanziali cambia-menti. A. Aba¡idze, capo dell’Agiaria e principale avversario di¿evarnadze alle elezioni presidenziali in Georgia, ha posto tra iprincipi fondamentali della sua campagna elettorale l’idea di un’al-leanza politica e di una forte integrazione economica con la Russia,ed è questa una posizione che oggi trova seguito anche tra la gentesemplice della Georgia.

5.1. Prospettive di un nuovo Impero del Nord

Il Caucaso è quasi certamente pronto alla ri-creazione di un si-stema di dominio del nord, lo stesso che dieci anni fa è stato rifiuta-to da un certo numero di popolazioni caucasiche. Nel corso di que-st’ultimo decennio i popoli che abitano il Caucaso hanno potutosperimentare diversi modelli alternativi, che non hanno però portatoloro né prosperità economica, né pace, né sviluppo culturale. E tuttociò non è casuale, non si tratta del risultato di errori individuali, nédi intrighi o di brame di possesso.

Sotto l’aspetto economico il Caucaso può raggiungere la pro-sperità soltanto se i suoi prodotti, merci e servizi, si dimostranoesclusivi all’interno di un mercato di una qualche rilevanza. Per laTurchia, l’Iran e l’Europa il Caucaso rappresenta un concorrente,ma un concorrente per lo più di «seconda scelta». Sul mercato deipaesi mediterranei nessuno è interessato alle colture subtropicali, aivini o al tabacco del Caucaso, e neppure su altri mercati, saturi deiprodotti a buon prezzo e di buona qualità provenienti dall’area delMediterraneo. Le località di villeggiatura del Caucaso, le sue costee le sue piste da sci non sono paragonabili ai posti di villeggiatura

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del Mediterraneo o delle Alpi. Inoltre, la distanza relativamentegrande che separa il Caucaso dai principali centri di consumo e lecattive comunicazioni, su strada o per mare, rendono i suoi prodottiassolutamente non competitivi tanto in Occidente quanto nel Suddel mondo. Non a caso, infatti, prima dell’avvento della domina-zione dell’Impero del Nord, il Caucaso non rappresentava altro cheuna sperduta regione periferica del Medio Oriente. Soltanto unmercato che abbia bisogno dei prodotti e dei servizi che il Caucasoè in grado di offrire può garantire la prosperità economica a questaregione. E questo mercato è costituito dalla Russia, direttamenteconfinante con il Caucaso, collegata ad esso da vie di comunicazio-ne relativamente comode e, inoltre, avvezza ormai da due secoli al-le merci e ai servizi che il Caucaso può fornire. L’apertura dei mer-cati della Russia di oggi farà sì che con le merci caucasiche entrinoinevitabilmente in concorrenza spietata i prodotti qualitativamentemigliori offerti da Grecia, Italia, Turchia, Spagna, Francia. Per que-sto soltanto uno spazio economico e doganale che formi un tutt’unocon la Russia può compensare la minore qualità dei prodotti delCaucaso. Ne consegue, dunque, che per un effettivo sviluppo dellepopolazioni caucasiche un’alleanza economica con la Russia è in-dispensabile.

In un Caucaso multinazionale e pluriconfessionale, e per di piùcon un mosaico di etnie che non hanno rigidi confini e nelle cui co-scienze allignano troppe offese reciproche, la pace è possibile sol-tanto grazie alla presenza nella regione di un qualche potere politicoesterno. Arabi, turchi, imperatori bizantini, persiani, inglesi, russi –tutti, ciascuno a loro modo, hanno affermato con la forza la pace trai popoli caucasici, poiché la pace all’interno dei confini è una con-dizione indispensabile per l’esistenza di qualsivoglia organismostatale, tanto più quando si parla di imperi multinazionali. Ma peressere disposti a pagare un prezzo tutt’altro che basso, che spessocomporta anche la perdita di vite umane, occorre che esista un fer-mo interesse nella rappacificazione di una data area geografica. Ta-le fermo interesse, a voler essere rigorosi, non pare venga dimostra-to anche da una sola delle potenze al di là dei confini caucasici, né èpossibile crearlo per un periodo durevole ricorrendo semplicementea un corpo di spedizione. La riconciliazione dei popoli caucasici èpossibile soltanto con l’integrazione dei ceti più elevati in un’unica

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classe dirigente politica, soltanto dando vita a una quotidiana colla-borazione nel nome del reciproco vantaggio tra popoli che vivonofianco a fianco, soltanto se l’ordine viene mantenuto da una magi-stratura e da una polizia libere da gravami di ordine etnico. Né l’Eu-ropa né gli Stati Uniti sono in grado di attuare tutto questo, comenon lo è stata l’Entente nel 1919-20.

Gli Stati Uniti possono anche dichiarare che il Caucaso è «zonadi loro interesse», le compagnie petrolifere occidentali possono an-che ingaggiare battaglie per accedere alle concessioni del petroliodel Mar Caspio, dei giacimenti di manganese in Georgia o di molib-deno in Armenia, ma, con tutto ciò, tali dichiarazioni non sarannomai sostenute da una reale disponibilità a legare il destino dei popo-li occidentali a quello dei popoli caucasici, a familiarizzare con i lo-ro problemi e impegnarsi a risolverli anche a costo di rinunciare auna parte del benessere occidentale, se non addirittura di sacrificareanche delle vite.

Ad avere interessi vitali nel Caucaso, ed essere pertanto pronti anotevoli sacrifici, sono soltanto la Turchia, l’Iran e la Russia. Perquesti paesi il Caucaso rappresenta un avamposto degli uni controgli altri, fermo restando inoltre il fatto che le frontiere non sarannomai sicure finché correranno lungo la catena montuosa. E del restole frontiere degli imperi non sono mai state tracciate lungo il crinaledei monti caucasici. In pratica, infatti, è impossibile controllare effi-cacemente i sentieri di alta montagna del Grande Caucaso e frontie-re di questo genere non saranno mai al sicuro da terroristi, narco-trafficanti nonché truppe di terra nel caso di una guerra vera epropria. Per la sicurezza di Turchia e Iran è indispensabile che que-sti paesi possano controllare anche il versante settentrionale delCaucaso (come fu dal XV al XVIII secolo), per la sicurezza dellaRussia è indispensabile poter controllare il versante meridionale(com’è stato nel XIX e XX secolo).

L’ipotesi turca o iraniana, tuttavia, resta inaccettabile per le gen-ti cristiane del Caucaso e anche per molti popoli di fede musulma-na. La guerra ingaggiata dai turchi contro i curdi di identica fedeislamica ha sostanzialmente deteriorato la loro immagine tra i mu-sulmani del Caucaso, che, per la maggior parte, non sono affatto di-sposti a rinunciare alla propria identità nazionale. L’Iran sciita,d’altra parte, non gode oggi di alcuna popolarità come autentica for-

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za politica integrante nel Caucaso. Fu soltanto per vera disperazioneche a suo tempo gli armeni si dissero disposti a cercare appoggionell’Iran pur di trovare un efficace contrappeso alla Turchia e all’A-zerbajd§an. Oggi il fardello della rappacificazione del Caucaso puòessere sostenuto con buoni risultati soltanto dalla Russia, da un pae-se cioè che appare pienamente accettabile sia da parte dei musulma-ni sia da parte dei cristiani, dai sunniti come dagli sciiti, da un paeseche da due secoli ha legato ai popoli del Caucaso la sua storia e lesue tradizioni politiche. Se la Russia non finirà per essere definiti-vamente liquidata come soggetto politico, spetterà a lei riportare lapace nella regione caucasica.

Uno sviluppo culturale, infine, appare indispensabile e possibilesoltanto attraverso una stretta collaborazione con quelli che sono imaggiori centri scientifici e culturali dell’Occidente. Ma anche nelcaso di tale collaborazione sarà la Russia a fare da anello di con-giunzione. Nel corso degli anni della seconda dominazione dell’Im-pero del Nord, il russo è diventato una sorta di lingua franca nelCaucaso, tanto nell’uso quotidiano quanto nella pratica scientifica epedagogica, e appare semplicemente irreale la sua sostituzione conqualche altra lingua. L’enorme diaspora dei popoli caucasici inRussia e i contatti permanenti tra gli istituti di ricerca russi e cauca-sici sono fattori che legano ancor più saldamente tra loro i destinidella cultura russa e di quella caucasica. La separazione dalla Rus-sia, tanto nel primo quanto nel secondo «periodo dei torbidi», haavuto effetti disastrosi sulla scienza e sull’istruzione dei popoli delCaucaso. Oggi, forse ancor più di ottant’anni fa, risultano di grandeattualità le parole di B. Bajkov:

Il futuro ormai prossimo ha dimostrato dovunque che, separandosidalla Russia e spezzando il legame con essa, le lontane regioni caucasi-che non possono vivere, senza la Russia, senza la sua lingua e la suacultura, e che tutto l’attivismo statale dei paesi del Caucaso non rappre-senta in realtà nulla di serio e che, anzi, da tutta questa politica e daquesto giocare allo statalismo al popolo non derivano altro che pati-menti91.

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91 B. Bajkov, Ricordi della rivoluzione in Transcaucasia cit., t. IX, pag. 159.

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Ma il problema fondamentale del Caucaso è la Russia stessa.Sarà in grado di tornare nel Caucaso, e vorrà farlo? E ammesso cheintenda e possa farlo, quale sarà la Russia che vi tornerà e sotto qua-le forma? Nel corso del primo e secondo periodo di dominazionedell’Impero del Nord il Caucaso ha visto Russie diverse e forme digoverno profondamente distanti le une dalle altre: dalle regioni edai governatorati multinazionali, posti sotto la suprema amministra-zione dell’Impero Zarista con forme di autogestione locali fino al1917, fino alle formazioni nazional-territoriali governate dalle clas-si dirigenti indigene ma poste sotto l’occhio perennemente vigiledel Politbjuro dal 1921 al 1991. Non è facile dire attualmente se laRussia, una volta tornata nel Caucaso, ripeterà uno di questi model-li oppure, dovendosi scontrare con una realtà profondamente muta-ta, sarà costretta a elaborare qualcosa di diverso.

Eppure, volendo permetterci una concessione al puro desiderio,presupponendo cioè che la Russia non si disgreghi totalmente, nonperisca del tutto, non finisca per trascinare la penosa esistenza di unpaese esportatore solo di materie prime, puro serbatoio di manodo-pera a poco prezzo per i paesi sviluppati, presupponendo che laRussia si rimetta in piedi e che, dopo aver ristabilito la propria for-za, la propria dignità e la ricchezza nazionale, divenga un paese coneffettive libertà democratiche e con l’assoluto predominio della le-galità sull’arbitrio, senza perdere tuttavia le caratteristiche della na-zione e della civiltà russa, presupponendo quindi che torni a rappre-sentare agli occhi del mondo moderno ciò che la Russia imperialerappresentò nei primi sedici anni del XX secolo per il mondo di al-lora – se la Russia diverrà tutto questo e se come tale farà il suo ri-torno nel Caucaso, allora quale Caucaso vorrà trovarsi davanti equale Caucaso potrà governare?

In primo luogo, una Russia democratica dovrà immancabilmentegarantire la possibilità ai discendenti di tutte le popolazioni costret-te ad abbandonare le proprie terre nel XIX e XX secolo di fare ritor-no alla loro patria e alle tombe dei loro antenati, sempre che essi lovogliano (e la maggior parte di essi lo desidera). In tal caso, tutta-via, non vi dovranno essere in ogni caso nuovi spostamenti forzatidi quanti abitano e desiderano continuare ad abitare su quelle terre.Realizzare tale compito appare di estrema difficoltà, ma la sua man-cata realizzazione sarà foriera di ulteriori conflitti e sventure.

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In secondo luogo, su tutto il territorio del Caucaso, come del re-sto in tutta la Russia nel suo complesso, tutte le comunità etniche ereligiose dovranno godere di identici e pieni diritti. Nessuna terradovrà essere proprietà esclusiva di un qualche popolo. Così comeall’orecchio di una persona normale suona assurda una frase come«Mosca è soltanto per i russi», altrettanto assurde dovranno suonarefrasi come «Erevan è per gli armeni», «Baku per gli azerbajd§ani» o«Tbilisi è per i georgiani». I diritti di cui devono godere georgiani,armeni, russi e azerbajd§ani devono essere uguali tanto a Moscaquanto a Tbilisi, Baku o Erevan. E soltanto un potere politico ingrado di garantire tutto questo sarà altresì in grado di garantire lapace nel Caucaso e nella Russia.

In terzo luogo non dovranno esservi né settori soggetti ad em-bargo economico né tantomeno linee di fronti militari che spartisca-no in qualche modo il Caucaso o lo separino dalla Russia. L’interaregione dovrà essere pienamente reintegrata sul piano culturale edeconomico nel mercato russo e nello spazio culturale russo, senzaalcun tipo di isolamento dal resto del mondo.

Infine, in quarto luogo, il Caucaso deve tornare ad essere unconfine russo potentemente difeso, in grado di garantire la sicurezzadel suo «grembo» meridionale lungo le frontiere con Turchia e Iran.

In epoca sovietica tutti questi scopi sono stati conseguiti grazie aun rigido e totale controllo dello spazio caucasico da parte degli or-gani di partito e di polizia repressiva, alla completa statalizzazionedell’economia e a severe limitazioni sulle attività connesse alla reli-gione, alla cultura e all’istruzione.

Ma ciò che si addiceva a un regime totalitario è inaccettabile peruno Stato democratico quale noi desideriamo che sia la Russia del fu-turo. Sarà possibile a uno Stato democratico russo portare a termine iquattro difficili compiti che abbiamo testè evidenziato? Io credo di sì,ma soltanto se si rinuncerà al grosso dell’eredità sovietica per quantoriguarda la risoluzione del «problema nazionale» nel Caucaso. Di uti-lità assai maggiore possono essere alcuni elementi derivanti dallavecchia esperienza prerivoluzionaria. In fondo, quella Russia, purcon tutti i suoi limiti, non era uno Stato totalitario, in essa trovavanoposto forme di autogestione e di libertà, soprattutto negli ultimi dodi-ci anni della sua esistenza. Di notevole interesse e utilità è la breveesperienza del governo dei Bianchi nel Caucaso settentrionale, che,

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per quanto fu loro possibile, cercarono di continuare nella regione letradizioni della statalità russa, anche rispetto alle «nuove creazioni»transcaucasiche. Molto, tuttavia, deve essere creato ex novo.

È possibile descrivere in forma quanto mai schematica la futuraorganizzazione del Caucaso unito alla Russia nel modo seguente:

1. Non si potrà trattare di un’unione tra Russia e Stati nazionalicaucasici, in quanto le prime due condizioni (ritorno dellepopolazioni deportate e loro uguaglianza giuridica) non sonorealizzabili nel Caucaso in Stati nazionali. Nell’Azerbajd§angli armeni e i russi non sono mai stati equiparati giuridica-mente ai rappresentanti dell’etnia titolare della repubblica,così come gli osseti in Georgia, gli azeri in Armenia e i russiin Cecenia o in Ossetia. In tal caso gli armeni non si risolve-ranno mai a tornare nella Baku azerbajd§ana, i russi nellevecchie stanicy cosacche lungo il corso del Terek in Cece-nia, i georgiani a Suchumi, gli osseti a Gori, e i georgianinon accetteranno sul territorio di Achalciche, così come nonli hanno accettati in passato, i turchi della Meschetia. Soltan-to un potere non nazionale, quale quello rappresentato oggidalle forze di pace russe nella regione abchaza di Gal, puògarantire la pace di quanti verranno rimpatriati. Il Caucasodeve essere pertanto diviso non in Stati nazionali bensì inunità territoriali e amministrative extranazionali le cui mas-sime cariche non verranno elette dalla popolazione locale(elezioni di questo tipo porterebbero inevitabilmente a scon-tri tra una nazionalità e l’altra come in KaraØaevo-Æerkessijao nella stessa Abchazia nel 1989) ma saranno nominate dallaRussia, e non tra rappresentanti delle etnie locali.

2. Allo stesso modo resteranno sottoposti al controllo centrale itribunali, gli organi di polizia, la riscossione tributaria, lefunzioni del Procuratore e altre istituzioni di controllo dellalegalità. Le istanze giuridiche inferiori e i giudici di pace,previo consenso di entrambe le parti coinvolte nella causa,avranno facoltà di applicare le norme del diritto locale (adesempio quelle della sharja), ma, nel caso una delle partifaccia opposizione, si dovrà ricorrere alla legislazione e alsistema giuridico in vigore nel resto della Russia.

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3. Affinché un così alto livello di centralizzazione, indispensa-bile affinché nel Caucaso il potere nazionale possa essereesercitato efficacemente, non si trasformi nel puro arbitriodel centro, esso dovrà essere ampiamente bilanciato e ga-rantito da forme di autogoverno locali suddivise nei tre li-velli del sistema amministrativo (circoscrizione, distretto,governatorato92, e presenti anche nelle città. Le istituzionirappresentative devono essere elette da tutti i cittadini, indi-pendentemente dalla loro appartenenza a una data etnia oconfessione religiosa, che siano in possesso dell’indispen-sabile residenza e, forse, di minimi requisiti patrimoniali. Isettori dell’istruzione pubblica, dell’assistenza medica, del-la cultura, delle comunicazioni, dei rilevamenti statistici,della gestione municipale e della tutela dell’ordine pubblicodevono essere di competenza degli organi di autogoverno(zemstva e città) e la loro attività finanziaria deve risultareassolutamente trasparente. Il governatore nomina i rappre-sentanti del governo regionale previa approvazione da partedella maggioranza dell’assemblea regionale.

4. Le questioni di interesse direttamente etnico (istruzione, cul-tura, difesa dei diritti etnici) devono essere di competenza diConsigli nazionali extraterritoriali che comprendano tutti icittadini della Russia che si ritengono rappresentanti di unadata nazionalità. I membri del Consiglio nazionale vengonoeletti democraticamente da tutti coloro che ritengono di ap-partenere a tale nazionalità. I Consigli nazionali devono es-sere rappresentati presso gli organi legislativi della Russia(con molta probabilità nella Camera alta del Parlamento) ein quelle regioni in cui gli appartenenti a una data naziona-lità costituiscono una parte notevole della popolazione. TaliConsigli nazionali, extraterritoriali, panrussi e democratica-mente eletti, dovrebbero probabilmente dimostrarsi più mo-derati e tolleranti dei poteri nazionali delle diverse repubbli-che, che sono ugualmente indifferenti tanto verso il destino

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92 [Traduciamo con «circoscrizione» e «distretto» le parole russe volost´ e uezd,che tuttavia non hanno un’esatta corrispondenza con la realtà italiana, N. d. T.].

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dei connazionali al di fuori dei confini della repubblicaquanto nei confronti di quello delle altre nazionalità presentisul territorio. Assai difficilmente, ad esempio, un Consiglionazionale ceceno di tutta la Russia avrebbe approvato leazioni che i governanti della Cecenia hanno compiuto tra il1994 e il 1999 nel nome del popolo ceceno.

5. La struttura militare del Caucaso deve essere interamenteunificata a quella sovrannazionale, così come il controllodelle frontiere. Di regola, soldati e ufficiali devono prestareil servizio militare in regioni lontane dai loro luoghi di resi-denza.

6. La popolazione del Caucaso deve godere di tutti i diritti rela-tivi alla sua partecipazione alle elezioni sovranazionali, informa sia attiva che passiva, ivi comprese le elezioni refe-rendarie e gli altri momenti elettivi. Agli abitanti del Cauca-so devono essere pienamente garantiti nella loro totalità i di-ritti civili su tutto il territorio della Russia, così come aicittadini della Russia in qualsiasi regione del Caucaso russo.

È chiaro che non si tratta di impegni di facile realizzazione. Èassai più piacevole avere un proprio Stato e farvi quello che ci vienein mente godendo dei diritti di uno stato sovrano. Nelle condizionidel Caucaso, tuttavia, questo non è possibile. L’arbitrio ha già por-tato a milioni di tragedie umane, a decine di migliaia di vite stronca-te in modo assurdo, all’impoverimento di regioni un tempo floride.

Per riuscire a creare un simulacro di pace nei Balcani, l’Europa siè vista costretta a inviare forti contingenti di truppe in Albania, Bo-snia e Kosovo, a bombardare per due mesi di fila la Serbia e accetta-re che milioni di persone abbandonassero il loro focolare e le tombedei loro cari. Con tutto ciò, quella dei Balcani resta una pace fragile.

Un Caucaso russo potrà edificare una comunità più stabile e pa-cifica e con minori perdite rispetto ai Balcani soltanto se i popolicaucasici saranno disposti, in nome della pace e del benessere co-mune, a rinunciare ai diritti egoistici della libertà etnica, e se la Rus-sia, dal canto suo, in nome della stabilità e della difesa dei suoi con-fini meridionali, saprà assumersi il fardello della responsabilità diquesta bellissima regione, popolata da decine di popoli grandi e pic-coli con un destino antico, glorioso e tragico.

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1. Le principali zone di conflitti etnopolitici nello spazio post-sovietico

A partire dalla fine degli anni Ottanta sul territorio dell’ex Unio-ne Sovietica si sono registrati:

1. 6 conflitti regionali con prolungati scontri armati a cui hannopartecipato Forze Armate regolari e che hanno visto l’impie-go di armi pesanti (Nagorno-Karabach, Abchazia, Tad§iki-stan, Ossetia meridionale, regione lungo il corso medio delloDnestr e Cecenia);

2. circa 20 scontri armati di breve durata con vittime tra la po-polazione civile (tra i principali ricordiamo quelli nella valledi Fergana e nella città di O¡, il conflitto tra Ossetia e Ingu-scetia e i pogrom nelle città di Baku e Sumgait);

3. oltre 100 conflitti non armati aventi le caratteristiche di scon-tri interstatali, interetnici, interconfessionali o intertribali.

Parlando di conflitti etnopolitici facciamo riferimento alla se-guente definizione: «controversie accese in nome di etnie o gruppietnici e riguardanti il diritto di abitare, possedere o amministrarequesto o quel territorio»1. Oltremodo affini per loro natura a questotipo di contese sono i conflitti politico-confessionali, nei quali lo

Analisi comparativa e valutazione del rischiodi conflitti etnopolitici lungo le frontiere russe:il ruolo della RussiaEmil’ Pain

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1 V. Streleckij, «Etnoterritorial’nye konflikty: su¡Ønost’, genezis, tipy» [Conflittietno-territoriali: natura, genesi, tipi], in IdentiØnost’ i konflikt v postsovetskom mire[Identità e conflitto nel mondo post-sovietico], Moskva, 1997, pag. 231.

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scopo dichiarato dalle opposte fazioni (o perlomeno da una di esse)è rappresentato dalla difesa degli interessi di un dato gruppo confes-sionale all’interno di conflitti politici.

Soltanto nelle zone che sono state direttamente interessate daguerre regionali o da scontri cruenti e pogrom etnici abitavano nonmeno di 10 milioni di persone.

In base al carattere e al livello del confronto etnopolitico, in attoo potenziale, tutti i territori dell’ex Unione Sovietica vengono divisiin 4 gruppi.

Zone di conflitto armato interregionale o interetnico. A questogruppo appartengono quelle regioni in cui si sono avute in prece-denza azioni di guerra e nelle quali la tregua raggiunta separando icontendenti non ha comunque risolto i problemi di ordine politico,economico o etnopsicologico che hanno innescato il conflitto. Rien-trano in queste zone il territorio del Nagorno-Karabach e le adia-centi regioni dell’Azerbajd§an occidentale occupate dalle truppedel Karabach; il Tad§ikistan, l’Abchazia, la repubblica Cecena,l’Ossetia meridionale, il distretto Prigorodnyj dell’Ossetia setten-trionale e la regione lungo il corso medio dello Dnestr.

Zone di tensione etnopolitica. In questa categoria rientranoquei territori in cui si osservano al momento attuale brevi scontriarmati lungo la linea che separa aree di diverso insediamento etni-co oppure entità territoriali e amministrative in cui si è creata unasituazione di confronto politico, ideologico e psicologico tra co-munità diverse (tra i loro leader, partiti o organizzazioni di stamponazionalista) o tra una data comunità e il potere costituito. Rientra-no in queste zone territori come il Dagestan, la repubblica dellaKaraØaevo-Æerkessija e le aree della regione di Stavropol’ confi-nanti con la Cecenia.

Zone di potenziale tensione etnopolitica. Si tratta di territori incui per ora non si sono osservati conflitti di ordine politico o ideolo-gico tra differenti comunità etniche o gruppi di popolazione. Tutta-via, per motivi diversi (in primo luogo condizioni storiche ed etno-demografiche), esistono i presupposti perché si inneschi unatensione interetnica in grado di evolvere, in determinate circostan-ze, in un grave conflitto etnopolitico. Rientrano in questo gruppo laCrimea, gran parte del Caucaso settentrionale, le repubbliche lungoil corso medio del Volga, i territori del Kazachstan settentrionale e

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orientale con una popolazione prevalentemente russofona, le regio-ni settentrionali delle repubbliche caucasiche (regioni situate nellazona di immediato contatto tra l’etnia titolare della repubblica e lepopolazioni russo-cosacche e quelle di etnia nogaj), le enclave diconfronto interconfessionale tra ortodossi e greci di rito cattoliconella Transcarpazia, le regioni nordorientali dell’Estonia e la regio-ne attorno a Riga (in cui vi è una forte presenza di popolazione rus-sa), le regioni dell’Azerbajd§an settentrionale abitate da lezghi equelle dell’Azerbajd§an meridionale abitate da tali¡i, le regioni settentrionali e quelle attorno all’Issyk-Kul’ in Kirgizija, le regioni set-tentrionali della Turkmenija adiacenti all’oasi di Chorezm, le regio-ni orientali e sudoccidentali della valle di Fergana.

Zone di stabilità etnopolitica. Vi rientrano quei territori in cuiallo stato attuale non si osservano i presupposti evidenti per l’insor-gere di seri confronti e conflitti di carattere etnico (la parte restantedel territorio dell’ex Unione Sovietica).

La situazione più instabile è quella del Caucaso e dell’Asia Cen-trale, le sole regioni in cui si sono verificati colpi di stato militariche hanno eliminato capi di governo legalmente eletti (Azerbajd§an,Georgia, Tad§ikistan). Proprio in queste zone hanno infuriato i con-flitti armati più cruenti e sanguinosi, che si sono trasformati in au-tentiche guerre.

Al momento attuale non si osservano conflitti interni di carattereinteretnico soltanto in uno dei quattro stati che occupano il territoriodel Caucaso, vale a dire nell’Armenia monoetnica. In compenso, ditali conflitti sono straordinariamente «ricchi» l’Azerbajd§an, laGeorgia e la Russia. Anche l’Armenia, del resto, è stata coinvolta inun conflitto interetnico (la guerra del Nagorno-Karabach) le cuiconseguenze, dal punto di vista delle devastazioni subite, sono parialle perdite avute dall’Azerbajd§an2.

Analisi comparativa e valutazione del rischio

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2 Le dirette conseguenze della guerra nella regione del Karabach sono stati il bloc-co energetico e quello dei trasporti messi in atto dall’Azerbajd§an per fare pressio-ni sull’Armenia, che offriva il proprio aiuto militare all’autoproclamatasi repubbli-ca del Nagorno-Karabach. Nel 1993 le misure adottate dall’Azerbajd§an hannocausato in Armenia un notevole calo produttivo e un abbassamento del livello divita assai più evidente di quello registrato nello stesso Azerbajd§an.

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Lo scontro tra l’Azerbajd§an e l’Armenia, che ha avuto il suoculmine negli anni tra il 1992 e il 1994, è soltanto un esempio di co-me un conflitto etnico interno possa portare ad un aggravarsi deirapporti tra stati diversi, conducendo talvolta paesi vicini sul baratrodi una vera guerra. Occorre del resto ricordare che un certo livellodi tensione legata a questioni etniche e territoriali si è registrato ditanto in tanto tra tutti gli stati che occupano la regione caucasica.

I conflitti in Asia Centrale presentano caratteristiche particolari(nella regione i conflitti interetnici appaiono meno gravi che nelCaucaso ma, in compenso, sono particolarmente forti i contrasti trai diversi clan). In Asia Centrale risultano altresì di una certa gravitàle contese territoriali tra i diversi stati (che possono assumere formeanche più serie che nel Caucaso).

Per quale motivo si è creato un polo di instabilità politica pro-prio nella fascia meridionale del territorio dell’ex Unione Sovieti-ca? Perché sono sorti proprio qui focolai e ampie zone di accaniticonflitti?

Cercando di rispondere a questa domanda, risulta difficile basar-si su qualunque delle teorie conflittologiche esistenti.

Parrebbe che alla domanda possa rispondere direttamente la teo-ria di Samuel Huntington, secondo cui la nascita di un conflitto vie-ne spiegata fondamentalmente con l’incompatibilità culturale trapopoli che appartengono a civiltà diverse, in primo luogo quella eu-rocristiana e quella asiatico-islamica. La linea di confine tra questedue civiltà coincide per l’appunto con le frontiere meridionali dellaRussia, il che, secondo l’opinione di questo studioso e dei suoi pro-seliti, dà origine a una catena di conflitti etnici e confessionali3. Adun esame più approfondito, tuttavia, si osserva che soltanto unapiccola parte di conflitti, per lo più caucasici, può in qualche modorappresentare lo scontro di civiltà e religioni diverse, e ci riferiamoai conflitti tra armeni e azeri, osseti e ingusci, russi e ceceni. Già ilconflitto tra georgiani e abchazi può essere riportato a questa cate-goria con una certa difficoltà (i georgiani, come la maggior partedegli abchazi, sono di fede cristiana e al fianco degli abchazi hanno

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3 S. P. Huntington, «The Clash of Civilizations», in The International System afterthe Collapse of the East-West Order, 1994; si veda altresì in lingua russa S. Hunt-ington, «Stolknovenie civilizacij» [Scontro di civiltà], in Polis, 1, 1994.

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combattuto sia rappresentanti di organizzazioni islamiche fonda-mentaliste sia cristiani, cosacchi russi e armeni). La teoria che ab-biamo citato non è applicabile neppure ai conflitti in Dagestan e inAsia Centrale, in quanto si sono tutti sviluppati all’interno di un’u-nica comunità religiosa, quella dei musulmani di fede sunnita. Sul-la base della teoria proposta da Huntington resta poi assolutamenteinspiegabile il fenomeno del Kazachstan, sul cui territorio vengonoa contatto gli agglomerati di comunità etniche più grandi di tutto lospazio postsovietico e appartenenti tanto alla civiltà eurocristianaquanto a quella asiatico-islamica (ciononostante, anche qui sononati più di una volta conflitti etnici e territoriali, raffrontabili tutta-via soltanto in minima misura con quelli caucasici per accanimentoe durata).

Una spiegazione forse universalmente accettata della natura deiconflitti etnopolitici si basa sulla teoria della manipolazione etnica efa risalire le cause dello scoppio e dell’escalation di un conflitto allacapacità di un ristretto numero di persone, che, agendo in nome diuna nazionalità (molto spesso usurpata), riescono a manipolare lacoscienza di massa dei propri connazionali al solo scopo di impa-dronirsi del potere o di riuscire a mantenerlo4. In tutti i conflitti fi-nora conosciuti, effettivamente, una manipolazione di tale tipo è ri-sultata evidente, anche se questo non deve impedire di ravvisareuna molteplicità di altre cause oggettive che spingono allo scontrointere masse di popolazione. Sono cause, queste, che variano a se-conda dei tratti specifici di una data regione e delle caratteristichedella sua realtà economica e del suo ambiente culturale.

Esaminiamo ora, a titolo di esempio, un’ennesima spiegazioneteorica dei conflitti, la cosiddetta «teoria del cerchio di ferro dell’i-deologia». In sostanza, tale concezione afferma che uno stato socia-lista totalitario frena (cioè «stringe» come il cerchio di una botte) losviluppo dei movimenti nazionali. Non appena però la forza repres-siva e i ceppi ideologici dello stato totalitario vengono meno, sotto

Analisi comparativa e valutazione del rischio

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4 Vedi E. Pain, «Me§nacional’nye konflikty v politiØeskoj igre» [I conflitti tra le na-zionalità nel gioco politico], in Nezavisimaja Gazeta, 130, 1992; A. Popov, «PriØiynyvozniknovenija i dinamika razvitija konfliktov» [Le cause dell’insorgenza dei con-flitti e dinamica del loro sviluppo], in IdentiØnost’ i konflikt v postsovetskich gosudar-stvach [Identità e conflitto negli stati post-sovietici], Moskva, 1997, pagg. 273-97.

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la spinta di fattori interni ed esterni, dal cerchio ormai spezzato si li-bera il nazionalismo che, dopo anni di latenza, esplode innescando iconflitti5. Secondo tale teoria non è difficile dare una spiegazione almomento cronologico che ha visto la deflagrazione di un gran nu-mero di conflitti, vale a dire il periodo di disgregazione dell’UnioneSovietica. Questa stessa teoria, però, non offre adeguate spiegazionialle notevoli differenze esistenti tra i vari tipi di scontri etnici che sisono registrati nello stesso periodo di tempo. Possiamo infatti chie-derci per quale motivo l’ondata di conflitti abbia travo:lto in primoluogo il Caucaso e non le repubbliche baltiche, in cui «il cerchio diferro del totalitarismo» si era spezzato ancor prima e i movimentinazionalistici erano assai più forti e organizzati.

Una delle spiegazioni può essere fornita dal fatto che proprio nelperiodo in cui si andavano formando le nuove entità statali indipen-denti è emersa una delle caratteristiche principali del meridione del-l’ex Unione Sovietica, vale a dire la sua maggiore arretratezza poli-tica ed economica. Proprio in queste regioni, infatti, i nuovi statinascenti si sono scontrati con una delle più gravi crisi economiche.Qui, più che in ogni altra regione del mondo postsovietico, sono ri-sultate evidenti la carenza di quelle risorse basilari per l’edificazio-ne di una società civile e democratica, l’assenza non soltanto di so-lide tradizioni democratiche e di capisaldi giuridici ma persino diuna qualche forma di ordine elementare. Non a caso proprio qui,più che altrove, si è realizzata l’azione distruttiva dell’economia cri-minale e del fattore di maggiore destabilizzazione: il nazionalismoradicale e/o il fondamentalismo religioso.

Tra le peculiarità della situazione presente nei territori meridio-nali della Comunità di stati indipendenti (Csi), emerge altresì il fat-to che, nella maggior parte dei conflitti che hanno devastato questeregioni (perlomeno in tutti gli scontri armati), si è vista coinvoltaanche la Russia, vuoi nelle vesti di una delle parti direttamente inte-ressate vuoi nel ruolo di mediatore e pacificatore o, ancora, in qua-lità di principale fornitore di armi a tutte le fazioni in lotta. In alcuni

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5 Vedi A. G. Zdravomyslov, Me§nacional’nye konflikty v postsovetskom prostranstve[I conflitti tra le nazionalità nello spazio post-sovietico], Moskva, Aspekt-Press,1996, pag. 5.

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casi, tali forme di coinvolgimento nei conflitti parrebbero doversiescludere a vicenda, nella realtà, invece, esse sono state compresen-ti nella pratica politica della stato russo.

2. La politica della Russia nelle aree di conflitto della Csi

Il carattere contraddittorio del comportamento politico dellaRussia ha innescato discussioni di una certa veemenza riguardanti ilsuo ruolo nei conflitti presenti sul territorio della Csi. Esistono a ta-le proposito due punti di vista polarmente contrapposti. Alcuni os-servatori, per lo più stranieri, definiscono quella della Russia unapolitica di tipo «imperiale» e vedono nella «mano di Mosca» unadelle cause principali dei conflitti sorti nelle aree di confine meri-dionali. Di diversa opinione sono alcuni analisti russi, appartenentisoprattutto agli ambienti politici di opposizione all’attuale potere.Essi sostengono che alla Russia manca una qualsivoglia strategiacomportamentale all’interno della Csi e che la sua politica, priva dimordente e caotica, conduce a un progressivo indebolimento delruolo della Russia all’interno della Comunità e al rafforzamento inquest’ultima dell’ingerenza da parte di paesi terzi6.

A mio giudizio, entrambe queste posizioni, – tanto la «teoria deicomplotti» quanto la «teoria del caos» non riflettono adeguatamen-te quella che è invece la situazione reale.

A quanti si siano dedicati, anche soltanto superficialmente, allostudio dei meccanismi, che regolano il modo in cui al Cremlinovengono prese le decisioni politiche, non può che sfuggire un sorri-so di fronte all’ipotesi che l’attuale politica russa possa essere pia-nificata e messa in pratica attenendosi allo spirito della «teoria dei

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6 Per un panorama delle principali posizioni in questo dibattito si veda A. Zagor-skij, «Koncepcija “bli§nego zarube§’ja” v rossijskoj vne¡nej politike» [La conce-zione dell’«estero vicino» nella politica estera russa], in Materialy rossijsko-ger-manskogo seminara: Koncepcija «bli§nego zarube§’ja» vo vne¡nej politikeRossii: sovmestimost’ s normami me§dunarodnogo prava [Materiali del seminariorusso-tedesco: concezione dell’«estero vicino» nella politica estera della Russia:compatibilità con le norme del diritto internazionale], MGIMO, Moskva, 1995,pagg. 12-14.

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complotti»7. Persino la partecipazione militare della Russia ai con-flitti esplosi sul territorio della Csi non è stata il più delle volte il ri-sultato di un’azione pianificata in precedenza. Le regioni in cui si èavuta un’azione delle Forze Armate russe sono state, di regola,quelle che fin dall’inizio si sono ritrovate nella sfera di attività poli-tica della Russia in virtù della presenza sul loro territorio di ForzeArmate russe, – ricevute, per così dire, in eredità dall’Unione So-vietica e operanti autonomamente e senza alcun controllo: il 366O

reggimento di fanteria nel Nagorno-Karabach, la 14a armata nelleregioni del corso medio dello Dnestr, la 201a divisione in Tad§iki-stan, un reggimento di elicotteri nell’Ossetia meridionale (Geor-gia), – oppure a causa dell’attività incontrollata di volontari russi,spinti all’azione da un principio di solidarietà etnica, ad esempio, inAbchazia. In tal senso, possiamo affermare che alla Russia non si èmai presentato il problema di dover scegliere l’oggetto di una pro-pria ingerenza.

A livello di dirigenza politica, si è evitato sistematicamente diesaminare persino il problema di un’eventuale reazione da parte del-la Russia in situazioni già dichiaratamente critiche nelle aree di con-flitto e nelle quali il coinvolgimento delle Forze Armate russe appari-va ormai inevitabile (attacchi agli arsenali russi, azioni predatorie dimassa per il possesso di armamenti russi nonché vendita diretta dellearmi alle fazioni in lotta). La soluzione di questi problemi venivaconfinata alle competenze del Ministero della difesa, i cui responsa-bili, non di rado, si limitavano a lasciare carta bianca ai generali cheavevano il comando dei contingenti russi presenti in quelle regioni8.

Cionondimeno, affermare che in merito a tali questioni la Russiasi trovi nel caos completo sarebbe altrettanto ingiusto.

A mio giudizio, occorre piuttosto prestare orecchio a quegli ana-

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7 L’autore ha lavorato dal febbraio 1993 all’aprile 1999 presso l’amministrazionepresidenziale della Russia, prima in qualità di vice responsabile dell’Ufficio anali-tico e successivamente come consigliere del presidente.8 Si veda ad esempio D. Azrael, E. Pain e A. Popov (a cura di), Kak delaetsja poli-tika v S¿A i Rossii. Prinjatie re¡enij ob ispol’zovanii amerikanskich i rossijskichvooru§ennych sil v regional’nych konfliktach konca XX veka [Come si fa la politicain Usa e Russia. La presa di decisioni circa l’impiego delle Forze Armate america-ne e russe nei conflitti regionali della fine del XX secolo], Moskva, Kompleks-Pro-gress, 1996, pagg. 87-109, 147-71, 173-99, 281-301.

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listi secondo i quali, nel periodo che va all’incirca dal 1993 agli ini-zi del 1994, nella società russa si è andato affermando un precisoconsenso almeno per ciò che riguarda un netto rifiuto degli approc-ci di tipo «estremo» nei confronti dei nuovi stati sorti sul territoriodell’ex Unione Sovietica, parliamo cioè sia del cosiddetto «approc-cio neoimperialistico» (le personalità ufficiali del mondo politicorusso sottolineano continuamente che i paesi della Csi rappresenta-no stati indipendenti e pienamente autonomi e che questa loro li-bertà di azione non è da intendersi come fenomeno transitorio) siadell’approccio «isolazionista», che presupporrebbe la completaestraneità della Russia nei confronti dei nuovi stati indipendenti9. Èin questo stesso periodo che sono stati ufficialmente formulati gliinteressi della Russia sul territorio occupato dalla Csi.

Nel 1993, ad esempio, è stata approvata dal Consiglio di sicurezzadella Fr una linea di condotta in politica estera in cui vengono indica-ti gli scopi basilari della Russia nel campo della propria sicurezza: ga-rantire la stabilità e la creazione di una fascia di «buon vicinato» intutti i territori dell’ex Unione Sovietica. Sono stati poi indicati i com-piti principali da rispettare per il perseguimento di tali scopi:

1. mantenimento di un’unica infrastruttura militare, lasciata ineredità dall’Unione Sovietica ai paesi della Csi; creazione diun sistema di sicurezza collettiva;

2. rafforzamento delle frontiere esterne della Comunità;3. azioni preventive volte a impedire l’escalation di conflitti ar-

mati; sviluppo di iniziative di pace con la partecipazione del-la Russia su mandato dell’Onu o dell’Ue;

4. tutela degli interessi delle minoranze etniche, in primo luogodelle comunità russe che abitano nei territori della Csi10.

Il fatto stesso che nella politica estera della Russia esista una li-nea di condotta ufficiale conferma che tale politica non è stata deltutto istintiva e imponderata e che le sue direttive basilari erano sta-

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9 Si veda ad esempio A. Adami¡in, «Vne¡njaja politika Rossii» [La politica esteradella Russia], in Nezavisimaja Gazeta, 15 giugno 1994.10 «Koncepcija vne¡nej politiki Rossijskoj Federacii» [La concezione della politicaestera della Federazione russa], in DiplomatiØeskij Vestnik, edizione speciale, gen-naio 1993.

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te comunque definite. In ogni caso, bisogna riconoscere che taliorientamenti generali erano e rimangono quanto mai astratti. Atutt’oggi, tanto nella società russa intesa nel suo complesso quantonegli ambienti della dirigenza politica, all’interpretazione di terminiessenziali come «presenza nella regione», «stabilità politica» o «di-fesa dei connazionali all’estero» manca un approccio chiaro e ri-spondente a quelle che sono le norme dettate dalla coscienza giuri-dica di una società civile.

La solennità puramente verbale degli scopi perseguiti dalla poli-tica della Russia nelle aree di conflitto e l’evidente carattere con-traddittorio che traspare nella prassi politica sono la diretta conse-guenza dell’accanito scontro interno agli ambienti politici russi,scontro che accompagna l’intero processo di formazione del nuovostato russo dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica.

Nella prima fase di tale processo, vale a dire negli anni tra il 1991e il 1993, è più volte balzata agli occhi l’assoluta incompatibilità diposizioni e iniziative dei diversi rappresentanti del potere statale rus-so in merito agli stessi problemi. Nell’estate del 1992, ad esempio, ilpresidente della Russia Boris El’cin dichiarava di vitale importanzarisolvere il conflitto nell’Ossetia meridionale in modo pacifico, ga-rantendo tuttavia l’integrità territoriale della Georgia. Di lì a qualchegiorno, Ruslan Chasbulatov, portavoce del parlamento russo (presi-dente del Soviet Supremo), annunciava la possibilità di «esaminarepositivamente» la richiesta pervenuta dai dirigenti dell’Ossetia meri-dionale di inglobare la regione all’interno dei confini russi. Nell’au-tunno dello stesso anno si sono nuovamente osservate posizioni con-flittuali in merito alla questione dell’Abchazia: il presidente russo siera fatto promotore di un accordo tra le parti belligeranti e, in veste digarante, si assumeva la responsabilità di far rispettare tale accordo.Probabilmente l’inchiostro con cui era stato firmato l’accordo era an-cora fresco quando il parlamento russo approvava una dichiarazionein cui si riversavano tutte le responsabilità del conflitto in Abchaziasu un’unica parte (il governo georgiano) e, in questo modo, si spin-gevano i separatisti abchazi a riprendere le operazioni militari.

Il potere federale si è dovuto scontrare di continuo con la resi-stenza opposta alla sua politica da parte sia delle élite regionali siadi singoli movimenti di opinione, come ad esempio la Confedera-zione dei popoli del Caucaso (Knk). Alcune organizzazioni di ultra-

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nazionalisti cosacchi e russi, inoltre, ha schierato in quell’occasionepropri reparti armati (illegali) nelle zone di conflitto (Abchazia eOssetia meridionale) e i vari responsabili governativi delle repub-bliche nordcaucasiche non hanno fatto che sanzionare l’armamentoe l’invio di queste formazioni nelle zone di guerra, e tutto questomentre i dirigenti di Mosca assicuravano Tbilisi dell’assoluta neu-tralità della Russia e del suo assoluto rispetto dell’integrità territo-riale dei nuovi stati indipendenti.

Più di una volta, da parte degli alti gradi militari, che comandavanole forze russe presenti nelle zone di conflitto prossime ai confini dellaFr, si è assistito a iniziative politiche e militari prive di qualsiasi con-trollo: da parte del generale Lebed’ nelle regioni lungo il corso mediodello Dnestr, del generale Kondrat’ev nell’Ossetia meridionale, delgenerale Sorokin in Abchazia, del generale A¡urov in Tad§ikistan.

Non sono neppure mancati esempi di militari russi che, pur ap-partenendo alla medesima unità, hanno preso parte ad azioni belli-che schierandosi con le diverse fazioni in lotta. I soldati del Circon-dario militare della Transcaucasia, ad esempio, di stanza a Tbilisi,hanno preso parte in qualche modo al conflitto in Abchazia offren-do il loro appoggio alle truppe governative della Georgia, mentrealtri reparti della stessa unità, di stanza in Abchazia, hanno combat-tuto al fianco dei separatisti.

Con tutto ciò, nonostante i tanti errori e difficoltà, non si può nonriconoscere al governo russo di aver saputo conservare un attivo ruolodiplomatico nella soluzione di numerosi conflitti verificatisi sul terri-torio della Csi. Grazie alla diretta intermediazione del presidente dellaRussia e del Ministero degli affari esteri sono stati firmati accordi perraggiungere una tregua, per separare i belligeranti e introdurre contin-genti di pace russi in Georgia, dove si trovano tuttora a garanzia delmantenimento della tregua (con maggiore successo nell’Ossetia meri-dionale e minori risultati in Abchazia). Si è riusciti così a fermare lospargimento di sangue e limitare il flusso di profughi, molti dei qualihanno fatto ritorno nelle loro terre di origine. Con tutto ciò, al proble-ma dei territori contesi manca ancora una soluzione politica11.

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11 Si veda Evgenij Ko§okin, «Rossija i gruzino-abchazskij konflikt» [La Russia e ilconflitto georgiano-abchazo], in D. Azrael, E. Pain e A. Popov (a cura di), Kak de-laetsja politika v S¿A i Rossii cit., pagg. 147-70.

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Anche il coinvolgimento della Russia nel conflitto scoppiato inTad§ikistan si è volto in positivo. Grazie all’intermediazione dellaRussia, i colloqui tra il governo tad§iko e le forze di opposizione,che si sono svolti a Mosca nel dicembre del 1996, si sono conclusicon la firma di un accordo di pace che, di fatto, prevede nel paeseuna suddivisione dei poteri. A tutt’oggi, pur con molte difficoltà,prosegue il processo di integrazione dell’opposizione tad§ika negliorgani direttivi del governo12.

Gradualmente, nelle iniziative delle diverse ramificazioni delpotere russo, si assiste alla nascita di un sempre maggiore consensonelle questioni riguardanti i conflitti sul territorio della Csi. Taleconsenso è in qualche misura condizionato dal fatto che nelle diver-se formazioni politiche della Russia va aumentando la consapevo-lezza che un sostegno al separatismo fuori dei confini russi rischiadi incoraggiare il separatismo «interno», russo. Tuttavia, tra i fattoriprincipali che nell’establishment russo hanno posto fine alle discor-die interne riguardanti i «conflitti esteri», non dobbiamo dimentica-re il forte e generalizzato calo di interesse verso gli accadimenti po-litici che si registrano al di fuori dei confini della Russia.

A partire dal 1994, infatti, si evidenzia chiaramente tra i russi latendenza a concentrarsi maggiormente sui conflitti interni o su si-tuazioni conflittuali esterne che minacciano però direttamente lasicurezza della Russia.

La selettività dell’atteggiamento dei politici russi e dell’opinionepubblica verso i conflitti in corso al di là dei confini della Federazionee il diverso grado di priorità degli interessi russi in questo campo spe-cifico si possono illustrare prendendo come esempio quattro conflitti:Nagorno-Karabach, Tad§ikistan, Abchazia e Ossetia meridionale.

Il primo di questi conflitti, scoppiato in epoca ancora sovietica(1988), suscitò a quel tempo un grande interesse in tutta l’Urss e,ovviamente, anche presso i politici russi13. Dopo la caduta dell’U-

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12 Si veda Arkadij Dubnov, «Rossijskaja politika v postsovetskom Tad§ikistane»[La politica russa nel Tad§ikistan post-sovietico], in Kak delaetsja politika v S¿A iRossii cit., pagg. 174-98.13 Testimoniano di questo interesse i numerosi interventi di eminenti figure politichedella Russia apparsi sulla stampa e riguardanti la guerra nel Nagorno-Karabach. Sivedano A. Sacharov, «Neizbe§nost’ perestrojki» [L’inevitabilità della perestrojka],

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nione Sovietica, tuttavia, e il ritiro nel marzo del 1992 di ciò che re-stava del 366O reggimento di fanteria, di stanza nel Nagorno-Kara-bach nel periodo sovietico, la questione del Karabach, confinata al-la periferia di quelli che erano gli interessi politici russi, non venneulteriormente discussa nel parlamento né fu considerata oggetto de-gno di un ampio dibattito.

Verso gli avvenimenti in Tad§ikistan la società russa parve ri-volgere un interesse ancora minore.

A differenza di questi due ultimi conflitti, gli scontri in Abchazia enell’Ossetia meridionale furono subito al centro dell’attenzione siadei politici russi sia dell’opinione pubblica. Tra tutti i conflitti esplosial di là dei confini russi furono questi due a influenzare maggiormen-te la politica interna della Russia, costringendo talora le principali for-ze politiche del paese a un serrato confronto. Il fatto è che l’Abchaziae l’Ossetia meridionale non soltanto confinano con la Fr ma sonostrettamente legate da nodi di carattere etnico alle regioni russe delCaucaso settentrionale: gli abchazi sono affini alle popolazioni delgruppo adygeo stabilitesi in queste regioni in tempi remoti (adyghei,circassi, cabardini, ¡apsugi), mentre tanto l’Ossetia meridionale, chefa parte della Georgia, quanto quella settentrionale, che rientra nellaFr, sono abitate da un’unica popolazione, gli osseti. In entrambi questiconflitti, pertanto, presero subito parte volontari provenienti dai terri-tori russi. Tanto il movimento nazionalista dell’Abchazia quantoquello dell’Ossetia erano membri attivi della cosiddetta Knk, la cuinotevole influenza sull’intera regione era ben nota al governo russo,che, pertanto, non poteva astenersi dall’assumere una qualche posi-zione in merito ai conflitti. La grande attenzione che i russi rivolserosubito alla situazione caucasica, tuttavia, era sollecitata in primo luo-go dai timori che in futuro scontri di questo genere potessero fungereda detonatore in altre situazioni di tensione interetnica presenti sul ter-ritorio della stessa Fr. E tali timori furono purtroppo confermati: nelcorso del conflitto ceceno e di quello tra osseti e ingusci non mancaro-

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in Inogo ne dano [Altro non è dato], Moskva, Progress, 1988, pag. 132; V. ¿ejnis,«Uroki karabachskogo krizisa» [Le lezioni della crisi del Karabach], in Vek XX imir [Secolo XX e pace], Moskva, 1988, pag. 10; G. Starovojtova, «Gosudarstvo,ob¡Øestvo, nacija» [Stato, società, nazione], in Æerez ternii [Per aspera], Moskva,1990, pag. 336.

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no di dimostrare il loro «eroismo» alcune figure che già si erano tri-stemente distinte durante gli scontri in territorio georgiano. I guerri-glieri ceceni alla guida di ¿amil’ Basaev, ad esempio, la cui ferociasenza limiti si era rivelata per la prima volta in Abchazia, si distinseroulteriormente per l’efferatezza degli atti terroristici compiuti su terri-torio russo; a loro volta, i reparti dell’Ossetia meridionale, che aveva-no combattuto contro la Georgia capeggiati da Oleg Teziev, cacciaro-no senza pietà dalle loro case gli ingusci dell’Ossetia settentrionale.

Il graduale restringimento della sfera d’influenza della Russianelle regioni meridionali della Csi non è derivato soltanto dai muta-ti interessi della società russa. A tale processo, infatti, ha contribui-to non poco il desiderio, apertamente dichiarato dai nuovi stati, dilimitare il ruolo dominante della Russia e, in determinati casi, di li-berarsi del tutto di ogni sua presenza militare. La nuova posizione,assunta successivamente dalla maggior parte degli stati della Co-munità nei confronti dell’idea russa di una difesa collettiva dellefrontiere della Csi, può essere considerata l’esempio più eloquentedi questo nuovo atteggiamento.

Nel 1991, infatti, la maggioranza dei paesi della Csi, volenti onolenti, sosteneva tale idea: nei documenti riguardanti la creazionedella Csi si menzionava la decisa volontà da parte dei governi diquesti paesi di conservare le frontiere esistenti in quel momento trai diversi stati nonché l’intenzione di mantenere inalterati i confiniesterni della Comunità (che coincidevano con quelli dell’ex UnioneSovietica) e di difenderli collettivamente14.

Era passato meno di un anno dal momento della creazione dellaCsi allorché la maggior parte degli stati aderenti alla Comunità oppo-se un netto rifiuto all’idea che le truppe di frontiera e il loro comandovenissero a trovarsi sottomessi a un unico soggetto politico. Ciascunstato della Comunità decise pertanto di organizzare in modo autono-mo la difesa dei confini di quella porzione di territorio, un tempo so-vietico, che ora si trovava sotto la sua giurisdizione15. Seguendo l’e-sempio dei Paesi Baltici, Azerbajd§an, Moldavia, Uzbekistan eUcraina rifiutarono qualsiasi forma di coordinamento con Mosca in

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14 Accordo sulla creazione della Csi, articoli 5-7, Minsk, 8 dicembre 1991.15 Accordo sulla cooperazione tra gli stati aderenti alla Comunità per garantire lastabilità delle loro frontiere esterne, Bi¡kek, 9 ottobre 1992.

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questioni riguardanti la difesa dei propri confini esterni. Il Kazach-stan, dal canto suo, pur ponendo sotto la propria giurisdizione le trup-pe di frontiera ereditate dall’ex Unione Sovietica, ha continuato acoordinare la difesa dei propri confini con il comando russo e a parte-cipare a esercitazioni comuni. In Turkmenija vennero dapprima crea-te truppe miste russo-turkmene la cui composizione etnica, tuttavia,era destinata successivamente a diventare unicamente turkmena.Georgia, Armenia, Kirgizija e Tad§ikistan hanno invece delegato allaRussia la difesa di una parte dei propri confini. Dal 1997, tuttavia, laGeorgia ha rifiutato tale collaborazione russa, mentre negli altri trepaesi le guardie di frontiera oggi sono per lo più costituite da volonta-ri del luogo che stipulano una sorta di contratto con il comando russo.

Poiché tutti i paesi aderenti alla Csi hanno ormai creato autenti-che frontiere lungo i nuovi confini, tale necessità si sta facendosempre più attuale anche per la Russia. Gran parte delle sue nuovefrontiere (13.000 km) non è infatti ancora organizzata adeguata-mente sotto il profilo giuridico-internazionale16 e questo crea molte-plici problemi praticamente con tutti i paesi della Comunità nonchécon gli stati del Baltico. Le questioni di maggiore gravità, tuttavia,si concentrano a sud, in primo luogo sulla linea di frontiera che cor-re lungo il Caucaso settentrionale e che, pur costituendo appena il 3per cento della lunghezza complessiva dei confini russi, richiede laconcentrazione su di essa di oltre il 12 per cento di tutte le truppe difrontiera della Fr17. Nella regione sono inoltre presenti truppe rego-lari che, insieme con le guardie di frontiera, risultano in diversa mi-sura coinvolte nella composizione dei conflitti interni.

Siamo pertanto giunti al problema principale, alla questione chepiù di ogni altra costringe lo stato russo a concentrare l’attenzioneessenzialmente sul proprio territorio, impedendo così non soltantodi aumentare ma perfino di mantenere al livello precedente la pro-

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16 Si veda Federal’naja pograniØnaja slu§ba (FPS) Rossii - segodnja [Il serviziofederale di frontiera della Russia - oggi], comunicato stampa del 28 maggio 1997.17 A quanto riferito dal direttore dell’FPS della Russia, lungo le frontiere russe nelCaucaso settentrionale sono dislocati 11 reparti di guardie di frontiera e il numerocomplessivo delle forze concentrate nella regione è di 26.000 soldati (Interfax, «No-vosti», 18 febbraio 1997. Secondo i dati riferiti nel comunicato stampa summenzio-nato il numero complessivo delle truppe dell’FPS nel 1997 era di 210.000 unità.

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pria presenza militare nelle zone al di là dei confini della Federa-zione. Questo problema è rappresentato dalla sempre maggiore in-stabilità della situazione politica nel Caucaso settentrionale (per oraancora russo).

3. Il Caucaso settentrionale: la zona di maggiore rischio per laRussia. Gli scenari delle possibili minacce

Il Caucaso settentrionale rappresenta senza alcun dubbio nellaRussia il principale focolaio di conflitti etnopolitici di cui è diffici-le sottovalutare la gravità. A causa della straordinaria eterogeneitàdella composizione etnica della regione, dell’alto livello di con-centrazione di armamenti e della presenza di innumerevoli gruppiarmati che agiscono senza alcun controllo, la composizione deiconflitti presenti in questa regione risulta particolarmente difficile.La possibilità poi che questi conflitti dilaghino rapidamente su tut-to il territorio occupato dalle diverse etnie coinvolte nello scontroaumenta il rischio di una diffusione dei conflitti in tutto il meridio-ne della Russia. Il Caucaso settentrionale, con le sue nove regioniappartenenti alla Russia (sette repubbliche e due territori in cuiabita quasi il 12 per cento dell’intera popolazione del paese), sipresenta tuttora come una possibile «Jugoslavia russa». L’interaarea, allo stesso tempo, costituisce una delle zone economicamen-te più importanti della Fr: vi si trovano infatti i maggiori porti delMar Nero e del Caspio, importanti zone ad alto sviluppo industria-le e agricolo nonché la fitta rete di sistemi di trasporto (già esisten-ti o in fase di progetto) del petrolio proveniente dall’Azerbajd§an edal Kazachstan.

I diversi conflitti etnopolitici nel Caucaso settentrionale possonoessere suddivisi nei seguenti gruppi18:

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18 Per una descrizione particolareggiata delle principali zone e cause dei conflittinel Caucaso settentrionale si veda E. Pain, «EtniØeskij separatizm» [Separatismoetnico], in D. Azrael, E. Pain e N. ZubareviØ (a cura di), Evoljucija vzaimootno¡enijcentra i regionov Rossii: ot konfliktov k poisku soglasija [Evoluzione delle interrela-zioni tra centro e regioni in Russia: dai conflitti alla ricerca dell’accordo], Moskva,Kompleks-Progress, 1997, pagg. 38-51.

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1. conflitti sorti in seguito alle rivendicazioni di una completasovranità statale da parte di autonomie preesistenti di tiponazionale e territoriale; per quanto concerne il territorio del-la Fr rientra in tale gruppo soltanto il conflitto ceceno;

2. conflitti sviluppatisi in seguito alla proclamazione di nuoveautonomie territoriali da parte di comunità etniche o alla ri-chiesta di tali autonomie in seno a preesistenti repubblichedella Fr; in base a tali motivazioni si sono innescati i conflit-ti tra il movimento nazionalistico dei balkari e il governodella repubblica della Cabardino-Balcaria, tra le varie comu-nità etniche della KaraØaevo-Æerkessija e il governo repub-blicano che ha rifiutato di riconoscere come tali gli stati au-tonomi di karaØai, circassi e cosacchi19;

3. conflitti per il controllo di territori di frontiera contesi tragruppi etnici contigui. È questo il caso della contesa sorta trale repubbliche dell’Ossetia settentrionale e dell’Inguscetia,che fanno parte della Fr, per il controllo della regione di Pri-gorodnyj che, cinquant’anni orsono, passò dalla repubblicaautonoma della Ceceno-Inguscezia all’Ossetia settentrionalee da allora è oggetto di rivendicazioni da parte del movimen-to nazionale degli ingusci. Sulla base di tale contesa è esplo-so il conflitto armato dell’ottobre-novembre 199220.

Il problema più grave che la Russia deve affrontare nel Caucasosettentrionale è rappresentato senza dubbio dal «fattore ceceno», va-le a dire l’esistenza all’interno dei confini della Fr di uno stato, difatto indipendente (la repubblica cecena dell’IØkerija), che rappre-senta una minaccia tutt’altro che trascurabile alla stabilità dell’intero

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19 Si vedano ad esempio Gosudarstvennye akty KaraØaevskoj respubliki [Gli atti distato della repubblica KaraØaevo-Cerkesia], KaraØaevsk, 1990; «Obra¡Øeniek§iteljam KaraØaevo-Æerkesii» [Appello agli abitanti della K.-Æ.], in Den’respu-bliki, 11 marzo 1992; Igor’ Averin, «Kavkaz - etnos ili soslovie?» [Il Caucaso: et-nia o ceto?], in Nezavisimaja Gazeta, 93, 1992.20 Si veda Alan Kasaev, «PolitiØeskie aspekty primenenija sily v osetino-ingu¡skom konflikte, oktjabr’-nojabr’ 1992 g.» [Aspetti politici dell’uso della for-za nel conflitto ossetino-inguscio, ottobre-novembre 1992], in Kak delaetsja poli-tika v S¿A i Rossii cit., pagg. 204-26.

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territorio della Russia21. Alla soluzione del problema ceceno l’am-ministrazione russa collega non soltanto il superamento delle ten-denze separatiste nella regione, e quindi l’eliminazione del banditi-smo armato e del terrorismo nelle zone adiacenti alla Cecenia vera epropria, ma anche la tutela degli interessi russi per quanto riguarda iltrasporto verso le regioni e i paesi occidentali del petrolio estrattodai giacimenti del Caspio, nonché il mantenimento e il rafforzamen-to delle posizioni politiche e strategiche della Russia negli stati dellaTranscaucasia. I tentativi sinora compiuti per risolvere il problemanon hanno tuttavia dato, a tutt’oggi, i risultati che Mosca sperava.

La maggiore minaccia alla sicurezza della Russia, dopo quelladel «problema ceceno», è rappresentata dal Dagestan. La situazionein questa repubblica appare quanto mai instabile non soltanto per lasua vicinanza alla Cecenia ma anche a causa di molteplici contrad-dizioni interne.

Nel Dagestan, infatti, vivono oltre 30 popoli e gruppi etnici di-versi che considerano come loro patria storica il territorio della re-pubblica. Benché nel corso di lunghi decenni di convivenza nel Da-gestan queste popolazioni abbiano saputo elaborare tradizioni dipacifica coesistenza, tra le varie etnie sorgono periodicamente con-troversie di diversa portata, solitamente collegate a questioni di po-tere o allo sfruttamento delle risorse presenti sul territorio daghesta-no. I focolai di tensione che potrebbero portare alla deflagrazione dipotenziali conflitti nel Dagestan sono collegati ai seguenti fattori:

1. fattore lezgo (i capi del movimento nazionale dei lezghi,«Sadval», insistono per la creazione di una «repubblica del

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21 Dopo la sconfitta della Russia nel conflitto ceceno del 1994-96 e la firma del-l’accordo di Chasav’jurt (31 agosto 1996), la Cecenia procede, un passo dopo l’al-tro, verso lo scopo prefissato: l’indipendenza. L’elezione di Aslan Maschadov apresidente della repubblica di IØkerija, avvenuta nel febbraio 1997 con l’assenso diMosca, viene considerata dalla popolazione cecena come una legittimazione del-l’indipendenza. Per questo né il presidente Maschadov né tantomeno il suo avver-sario alle elezioni ¿amil’ Basaev (che nel 1998 riveste la carica di capo del gover-no repubblicano nonostante il fatto che la Russia lo consideri un criminale e unterrorista e contro di lui sia stato spiccato un mandato di arresto) manifestano laminima intenzione di stabilire con la Russia alcun tipo di federalismo, neppure nel-le sue forme meno rigide.

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Lezghistan» federata alla Russia all’interno dei confini dellazona di insediamento storico dei lezghi, che comprendereb-be il Dagestan meridionale e l’Azerbajd§an settentrionale);

2. fattore ceceno (i ceceni del Dagestan, ceceni di etnia akin,intendono trasformare le regioni daghestane multietniche diChasav’jurt e Novolaksk in una regione interamente cecena,eventualmente da inglobarsi, in un secondo momento, nellaCecenia vera e propria);

3. fattore turco, rappresentato dalle popolazioni dei nogaj e deikumyki. L’oggetto delle rivendicazioni del movimento nazio-nale dei nogaj, «Birlik», creato alla fine del 1989 e con proprieorganizzazioni in Dagestan, KaraØaevo-Æerkessija, territorio diStavropol’ e Cecenia, è la creazione di un’entità territoriale no-gaj autonoma che comprenda, nelle regioni testè menzionate,le zone storicamente abitate da questa etnia. I nogaj sono ap-poggiati da un’altra etnia turcofona, quella dei kumyki, che ri-vendica a sua volta la creazione di una propria autonomia terri-toriale, limitata però al territorio del Dagestan. Il movimentonazionale del popolo kumyk, il «Tenglik», punta a una struttu-ra federale del Dagestan, la sola che, secondo i kumyki, potreb-be garantire la tutela degli interessi delle popolazioni turcofoneall’interno di una amministrazione repubblicana che vede alpotere le etnie «montane», in primo luogo gli àvari e i darghini;

4. movimenti nazionali degli àvari, rappresentano una potenzia-le minaccia di confronto interetnico e il più importante di que-sti è il movimento «Jama’at» con il Fronte popolare «Imam¿amil’» che ne costituisce il nucleo politico e militare.

Nel corso degli anni Novanta si è altresì aggravato nel Dagestan ilconfronto di carattere confessionale tra i cosiddetti wahhabiti22 e i se-

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22 Wahhabismo: movimento politico-religioso dell’Islam sunnita sorto verso la metàdel XVIII secolo (verso il 1730 a Bassora) e basato sugli insegnamenti di Moham-med ibn Abd al Wahhab che predicava la necessità di espellere dall’Islam le false in-novazioni e di fare ritorno alla purezza originaria. Il moderno wahhabismo è l’e-spressione estrema del fondamentalismo islamico e propugna il proprio poteresupremo sull’Islam e quello della religione islamica sullo stato e sulla società. Nellaconcezione wahhabita è centrale l’idea di jihad, la guerra santa contro gli infedeli.

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guaci dell’Islam aderenti alla tariqa. La tensione è sfociata più volte inscontri armati, soprattutto nel villaggio di Karamachi (a 30 km dallacittà di Bujnaksk), abitato da seguaci di entrambe le correnti religiose.

Gli avvenimenti di maggiore gravità, tuttavia, sia per il Dagestansia per l’integrità della Fr, si sono registrati nell’agosto del 199923.Per quasi un mese le Forze Armate della Russia, con l’impiego diaviazione, artiglieria e mezzi corazzati, hanno combattuto contro imiliziani di Basaev che avevano sconfinato in Dagestan dal territo-rio ceceno. Si è trattato delle più vaste azioni di guerra dalla fine delconflitto ceceno. Nell’estate dello stesso anno si è altresì aggravatala situazione in KaraØaevo-Æerkessija, dove l’ordine repubblicanoera ormai allo sfacelo totale dopo le elezioni presidenziali24. Allar-mante appare anche la situazione nella zona del conflitto tra osseti eingusci, dopo che il movimento nazionale degli ingusci ha deciso diorganizzare una manifestazione di massa tra i connazionali cacciatinel 1992 dai villaggi della regione di Prigorodnyj e una loro marciadall’Inguscetia fino all’Ossetia settentrionale25.

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23 Il 2 agosto 1999 un reparto internazionale di guerriglieri, denominatosi «Esercitodella riconciliazione», è penetrato dal territorio della Cecenia nei distretti di Botliche Cumadin del Dagestan. A capo dei guerriglieri vi erano ¿amil’ Basaev, noto terro-rista e allo stesso tempo uno dei massimi dirigenti della repubblica cecena, e«Amir» Khattab, originario della Giordania e noto per le sue azioni terroristiche nonsoltanto durante il conflitto ceceno del 1994-96 ma anche dopo la sua conclusione.Il 7 agosto 1999, nel villaggio di Rachat nel distretto di Botlich, i daghestani entratitra le fila dell’«Esercito della riconciliazione» approvarono la «dichiarazione dellostato islamico del Dagestan» confermando la loro intenzione di perseguire con laforza delle armi la completa separazione della repubblica dalla Russia.24 Le elezioni si sono tenute alla fine di maggio e hanno portato alla vittoria il rappre-sentante dell’etnia karaØai, generale Semenov. Il gruppo etnico dei circassi mette se-riamente in dubbio che la consultazione sia avvenuta secondo i principi della legalitàe della giustizia. Il potere federale non è in grado di comporre questo conflitto e lemezze misure adottate, per lo più in maniera incoerente, non soddisfano nessuna del-le due rappresentanze etniche della repubblica. Non è escluso che i ceceni offrano illoro appoggio a una delle parti coinvolte nello scontro, probabilmente ai karaØai, coni quali da tempo hanno stabilito rapporti politici nel quadro della possibile unificazio-ne dei popoli che hanno subito repressioni. Il generale Semenov, leader dei karaØai, èlegato ai ceceni non soltanto dal suo matrimonio con una donna cecena ma anche daivecchi rapporti di amicizia con il generale Dudaev, primo presidente della Cecenia.25 Grazie all’impegno del presidente dell’Inguscetia, Ruslan Au¡ev, è stato per orapossibile rimandare la marcia sull’Ossetia settentrionale.

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Il complesso di accadimenti dell’estate 1999 indica l’inizio di ungenerale peggioramento della situazione politica del Caucaso set-tentrionale, con la minaccia per la Russia di: perdere il controllo suparte del territorio; assistere ad un aumento qualitativo e quantitati-vo degli atti terroristici non soltanto nella regione ma anche sul ter-ritorio di tutta la Federazione; vedersi costretta ad azioni di guerradi vasta portata; assistere ad un’inevitabile escalation degli scontri afuoco con conseguente aumento di vittime umane e di profughi.

Le principali varianti nell’evolversi degli avvenimenti possonoessere raffigurate in tre scenari che differiscono tra loro essenzial-mente per tre fattori fondamentali, in grado di far precipitare la si-tuazione nell’intera regione.

3.1. Primo scenario. Nascita del «Grande imamato». Sviluppo del-l’espansionismo ceceno e dell’estremismo islamico

Le incursioni dei guerriglieri ceceni nei territori vicini sono or-mai divenute un fatto normale. Tali incursioni riflettono non soltan-to gli interessi economici di singoli raggruppamenti di ceceni arma-ti, – in Cecenia mancano ormai quasi completamente fonti direddito legali, – ma anche precisi fini strategici perseguiti da in-fluenti ambienti politici. Lo scopo è quello di creare nelle regioniconfinanti del Dagestan un’atmosfera di terrore che spinga alla fugala popolazione non cecena.

Del perseguimento di tale fine strategico, vale a dire l’unificazio-ne della Cecenia e del Dagestan in un unico stato indipendente, avevagià parlato il generale D§ochar Dudaev, primo presidente dell’IØke-rija. Tale identico scopo è stato oggetto di pubbliche dichiarazioni an-che da parte di influenti rappresentanti dell’attuale dirigenza cecena(quali ¿amil’ Basaev e l’ex primo vicepresidente del governo cecenoMovladi Udugov). Nell’estate del 1997, allorché Udugov era ancorain carica, era sorto il movimento «Nazione islamica», il cui fine eraquello di riportare in vita l’antico imamato di ¿amil’ nei suoi «confinistorici», vale a dire unificando Cecenia e Dagestan. Entrarono a farparte del movimento 35 partiti islamici di entrambe le repubbliche evenne eletto un suo parlamento. Successivamente, nel 1998, il movi-mento «Nazione islamica» si è trasformato nel «Congresso dei popo-li del Dagestan e della Cecenia», nella cui dirigenza sono entrati a far

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parte ¿amil’ Basaev, Movladi Udugov e il giordano «Amir» Khattabin qualità di rappresentanti della Cecenia e Isa Umarov, Addalo Mu-chamad, Bugautdin Muchamad e Magomed Tagaev come rappresen-tanti del Dagestan. Gli attivisti del «Congresso» sfruttano abilmentela memoria storica che i montanari ceceni e daghestani conservanodell’epoca della prima guerra caucasica (prima metà del XIX secolo)e delle eroiche imprese del grande Imam ¿amil’, la guida spirituale epolitica dei due popoli che nel 1859 aveva proclamato lo stato islami-co dell’«Imamato di Cecenia e Dagestan».

L’idea della creazione di un «Grande imamato» che dal Mar Neroarriverebbe al Caspio è già in fase di realizzazione. Infatti, mentre lun-go il confine ceceno-daghestano aumenta l’instabilità, alcuni gruppietnici abbandonano queste regioni (russi, laki, cosacchi del Terek) ealtri invece (i ceceni di etnia akin) vi si concentrano. Molti dei cecenidel Dagestan si considerano cittadini della Cecenia, prendono partealla sua vita politica (ad esempio partecipando attivamente alle elezio-ni presidenziali del 1997) e vi sostengono le correnti più aggressive.

I guerriglieri ceceni, ispiratori dell’espansione territoriale, trovanoi propri alleati nel Dagestan e, in particolare, tra i wahhabiti che fannoparte della corrente più radicale dei fondamentalisti islamici. Questi, adifferenza dei rappresentanti delle correnti islamiche tradizionalmentepresenti nel Caucaso settentrionale, rifiutano ogni forma di collabora-zione con il potere statale (laico). I wahhabiti, il cui fine ultimo è pro-clamare la creazione di uno stato islamico, vedono l’unico effettivosostegno alla realizzazione dei loro scopi nella repubblica Cecena, do-ve è già stato istituito l’ordine islamico (introduzione delle norme giu-ridiche della sharja e delle esecuzioni pubbliche). Ogni nuova esibi-zione di forza da parte dei guerriglieri ceceni in Dagestan incrementale file dei sostenitori dell’unificazione tra Dagestan e Cecenia.

Dalla fine degli anni Ottanta il wahhabismo si è largamente diffu-so in tutte le repubbliche di fede islamica del Caucaso settentrionale:Adyghezia, Inguscetia, Cabardino-Balcaria, KaraØaevo-Æerkessija.Il movimento è altresì presente nelle regioni e nei territori del suddella Russia. Le comunità islamiche di queste regioni, inoltre, sortein tempi relativamente recenti e immerse in un ambiente ortodosso eintollerante, fanno capo per la maggior parte proprio al wahhabismo.Come esempio potremmo citare la comunità islamica (Jama’at) del-la città di Neftekumsk nel territorio di Stavropol’. Le comunità

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wahhabite prevalgono tra l’altro tra gli àvari che abitano le regionidaghestane confinanti con l’Azerbajd§an.

I combattenti per la creazione di uno stato islamico nel Caucasosettentrionale, – ceceni, daghestani e altri, – mantengono sviluppatirapporti con le organizzazioni islamiche internazionali, da cui attin-gono mezzi finanziari e aiuti militari, non soltanto sotto forma di ar-mi ma anche di volontari.

Rapporti di antica data esistono ad esempio con la Giordania,che ha conosciuto fin dagli inizi del XIX secolo una folta diasporadi popoli caucasici e dove sono particolarmente numerose e in-fluenti le comunità di circassi e ceceni. Questi ultimi, tra l’altro,giocano un ruolo notevole sia alla corte del re di Giordania, sia nel-l’esercito e nel mondo degli affari, riuscendo nel contempo ad eser-citare un’azione non di poco conto sulla vita politica della Cecenia.¿amil’ Beno, ad esempio, originario della Giordania, è stato il pri-mo ministro degli esteri del governo di D§ochar Dudaev; il giorda-no «Amir» Khattab è responsabile in Cecenia delle scuole di gua-statori. Numerose inoltre sono le massime personalità religiosedella Cecenia (imam e mufti) originarie della Giordania.

L’educazione coranica rappresenta uno dei principali canali dicontatto tra i radicali islamici della Cecenia e del Dagestan e sono so-prattutto i centri wahhabiti in Arabia Saudita, Giordania ed Egitto adattrarre gli studenti di origine caucasica. Negli ultimi anni, inoltre, unfolto gruppo di giovani ceceni e daghestani riceve sia l’educazione re-ligiosa che la preparazione militare nelle basi dei talibani in Pakistan eAfghanistan. La Cecenia, a sua volta, si sta trasformando in uno deicentri più importanti di tutto il territorio dell’ex Unione Sovietica perla preparazione dei terroristi islamici. Nel corso delle indagini su unaserie di attentati, compiuti o preparati tra il 1997 e il 1998 contro i pre-sidenti della Georgia e dell’Uzbekistan nonché contro eminenti perso-nalità politiche del Tad§ikistan, si è scoperto che in tutti questi casi iterroristi avevano ricevuto la preparazione necessaria in centri dislo-cati sul territorio della Cecenia. Il terrorista ceceno Salman Raduev,inoltre, si è persino assunto pubblicamente la responsabilità dell’at-tentato organizzato contro il capo di stato georgiano E. ¿evardnadze.

Grazie ai collegamenti tra gli integralisti ceceni, sia all’estero chein Russia, è stato creato il corpo internazionale del cosiddetto «Eser-cito della riconciliazione» capeggiato da Basaev, che ha attraversato

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i confini del Dagestan e che conta tra le sue file combattenti ceceni,daghestani, tad§iki, arabi e, probabilmente, di varie altre nazionalità.

È ben difficile nutrire dubbi sulla sincerità di ¿amil’ Basaev, chenell’agosto del 1999 non ha esitato a dichiarare che lo scopo dell’inter-vento nel Dagestan da parte delle sue truppe è la creazione (anzi, la ri-nascita) dello stato islamico e la cacciata dei russi dal Caucaso. Non sipuò escludere che in quell’occasione i rivoluzionari islamici sperasse-ro, in circostanze favorevoli, di ripetere il successo di Fidel Castro, chequarant’anni prima, nel 1959, era sbarcato a Cuba con un manipolo diseguaci, aveva attraversato vittoriosamente l’intero paese ed era riusci-to a occupare la capitale incontrando tra la popolazione o il pieno soste-gno o, al massimo, qualche fiacca resistenza. Nel Dagestan, tuttavia, unpiano del genere si è risolto in un fallimento. Basaev e le sue bande ar-mate, evidentemente, non hanno saputo valutare esattamente le diffe-renze esistenti tra la Cecenia e il Dagestan, il cui carattere plurietnico èdi naturale ostacolo alla creazione di una forza popolare unitaria e deci-sa a lottare per l’indipendenza statale e nazionale. Tra i popoli del Da-gestan, inoltre, si è consolidata ormai da decenni l’opinione che una se-parazione dalla Russia innescherebbe inevitabilmente i conflittiinteretnici all’interno della repubblica. Gli epigoni musulmani di FidelCastro non hanno considerato che un intervento militare non richiestoin territorio daghestano avrebbe offeso l’orgoglio delle popolazionimontane, innanzi tutto degli àvari e dei darghini, che rappresentano tral’altro la popolazione più numerosa della repubblica. Le azioni di forzacondotte da Basaev sono state condannate dalla maggior parte dei da-ghestani, tanto che per rispondere alle violenze è iniziato un arruola-mento di massa di volontari e la creazione di una milizia popolare.

Per ora, nel Dagestan, lo scenario di una «esportazione della ri-voluzione islamica» non si è potuto realizzare. Ciononostante, nonbisogna credere che con questo siano terminate le sortite sul territo-rio daghestano. E già questo solo fatto impedisce di poter escluderedel tutto la possibilità di una sconfitta militare dell’esercito russo inDagestan. Una simile eventualità non pare poi molto meno realedella sconfitta subita dall’esercito russo nel 1996 da parte delle mi-lizie popolari cecene, di molto inferiori alla truppe regolari russeper numero e armamento. Comunque sia, vi sono buoni motivi pernon trascurare eventuali segni di una vittoria dei fondamentalistiislamici non soltanto in Cecenia ma anche nel Dagestan.

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Questa vittoria, infatti, indicherebbe che è stata ormai portata acompimento la prima e più difficile fase del progetto di edificazionedel «Grande imamato», vale a dire la conquista dello sbocco al MarCaspio. Di conseguenza, al movimento fondamentalista caucasiconon resterebbe che portare a termine la seconda fase in direzione op-posta, vale a dire verso il Mar Nero. Proprio in questa direzione l’e-spansionismo ceceno può contare sul sostegno da parte dei separatistiabchazi, suoi alleati di antica data, nonché sulle forze politiche sim-patizzanti e presenti nelle regioni della Georgia a maggioranza isla-mica (Adighezia e Ossetia meridionale) e da tempo ostili al governodi Tbilisi. In teoria, non si può escludere che in futuro venga a crearsitra il Caspio e il Mar Nero un’autentica confederazione islamica.

L’espansionismo territoriale dei mujahiddin ceceni e daghestani po-trebbe rivolgersi verso le regioni settentrionali dell’Azerbajd§an checonfinano con il Dagestan. I fautori dell’ideale del «Grande imamato»hanno promesso il loro aiuto al movimento nazionale «Sadval» dei lez-ghi, che abitano lungo i due lati della frontiera russo-azerbajd§ana, e lacreazione di un Lezghistan unito come territorio autonomo all’internodell’imamato. Gli espansionisti islamici possono inoltre esercitare no-tevoli pressioni sull’Azerbajd§an provocando tensioni nelle regioniabitate da àvari-wahhabiti e, soprattutto, nelle province di Zakatal e Be-lokan, in cui gli àvari costituiscono la maggioranza della popolazione.

Va da sé che, nel caso venga a crearsi lo stato islamico unificatodi Cecenia e Dagestan, cadranno inevitabilmente nella sua sfera diinfluenza tutte le repubbliche di religione islamica del Caucaso set-tentrionale russo. Le prede più facili potrebbero diventare la minu-scola Inguscetia, abitata dagli ingusci etnicamente affini ai ceceni, ela KaraØaevo-Æerkessija, indebolita dal conflitto interetnico. NelCaucaso settentrionale, del resto, non mancano seri motivi di insta-bilità interna anche in altre repubbliche di religione islamica.

Nel tentativo di risvegliare la lotta pancaucasica per l’indipen-denza dalla Russia, la Cecenia potrebbe riportare in vita la Knk,un’organizzazione militarizzata, particolarmente attiva nel 1993-94,a cui aderiscono rappresentanti di tutte le repubbliche di religionemusulmana della regione. È significativo il fatto che i comandantiin capo delle Forze Armate della Knk siano stati esclusivamente ce-ceni appartenenti all’entourage del presidente Dudaev: Isa Arsa-mikov prima e ¿amil’ Basaev poi.

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Questo primo scenario, pertanto, è caratterizzato da un notevole am-pliamento geografico del conflitto, da un rapido ritiro della Russia dalCaucaso settentrionale e da una destabilizzazione pressoché inevitabiledella situazione interna di intere regioni prive di controllo politico.

Una simile evoluzione degli eventi rappresenterebbe per la Rus-sia una delle peggiori varianti. Nel caso che il territorio controllatodai separatisti islamici venisse ad allargarsi, verrebbero a trovarsinella zona dello scontro diretto molte regioni del sud della Russia:gran parte dei territori di Stavropol’ e di Krasnodar, la regione diRostov nonché, nell’ipotesi peggiore, anche quella di Astrachan’.

La creazione del «Grande imamato» non può avvenire pacifica-mente. Essa non potrà che innescare guerre di notevole vastità e dilunga durata, e non soltanto tra i mujahiddin e le truppe federali maanche tra i numerosi gruppi etnici e confessionali concentrati in que-sta regione. Un tale evolversi degli eventi non potrà che causare esodidi straordinaria entità con un alto numero di inevitabili perdite umane.

3.2. Secondo scenario. La «Nuova guerra del Caucaso»: la Russiaamplia la zona delle azioni militari nel Caucaso settentrionale

Fino alla primavera del 1999, memore della lezione del conflittoceceno e attento agli umori di un’opinione pubblica russa contrariaalla guerra, consideravo poco realistico un eventuale trasferimentodelle azioni militari sul territorio della Cecenia.

Nel mese di agosto, tuttavia, la situazione è bruscamente cambia-ta. Dopo l’irruzione dei miliziani di Basaev nel Dagestan tutte le for-ze politiche russe, comprese quelle che condannavano l’impiego inCecenia delle Forze Armate della Federazione, si sono pronunciatesulla necessità di opporre una risoluta resistenza ai separatisti ceceniutilizzando tutti i mezzi militari a disposizione della Russia. Ovvia-mente, date le circostanze, sarebbe stato oltremodo difficile limitarele azioni militari soltanto entro i confini di due regioni del Dagestan.

I mujahiddin, cioè i combattenti dell’Islam, ricevono rinforzi earmi dal territorio ceceno e alle truppe russe non è possibile chiude-re completamente questi canali. Neppure è possibile creare unafrontiera impenetrabile tra la Cecenia e il Dagestan, e questo, da unlato, a causa di un’orografia estremamente complessa che impedi-rebbe la creazione di una frontiera vera e propria (vale a dire con

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tanto di linea contrassegnata, posti di blocco, filo spinato, campiminati e via dicendo), dall’altro, per il fatto che tale frontiera rimar-rebbe in ogni caso facilmente superabile (per lo meno da uominicon armi e attrezzature leggere). Sarà inevitabile pertanto che la zo-na del conflitto venga estesa nelle regioni montuose del Dagestan, equesto non tanto perché sia considerevolmente aumentata la porzio-ne di territorio controllata dai guerriglieri quanto per il fatto che èsempre maggiore il numero di centri abitati in cui i miliziani islami-ci fanno periodiche incursioni (disarmando le forze di polizia pre-senti, uccidendo i rappresentanti delle istituzioni federali e semi-nando il terrore tra la popolazione autoctona). I tentativi compiutidalle forze della Fr per mettere in svantaggio i guerriglieri dal puntodi vista numerico e tecnico nelle strette vallate montane farannosoltanto aumentare tra i soldati il numero dei prigionieri e dei cadu-ti (soprattutto tra le giovani reclute chiamate alle armi). E questonon potrà che causare in tutta la popolazione russa il malcontentonei confronti della politica seguita dal governo federale.

L’atteggiamento dell’opinione pubblica russa spronerà i militaria liquidare del tutto la fonte di approvvigionamento del conflitto,cioè le «basi dei terroristi in Cecenia», e pertanto, più si prolunghe-ranno nel tempo le operazioni militari volte a eliminare i terroristidal territorio daghestano, più alte saranno le possibilità che le azionidi guerra si trasferiscano in territorio ceceno.

Una simile evoluzione delle azioni di guerra potrebbe altresì es-sere determinata da circostanze di ordine politico.

Sergej Stepa¡in era rimasto, per così dire, scottato dal conflittoceceno e lo aveva considerato un errore tanto suo quanto del gover-no federale. Pertanto, trovandosi a capo del governo, avrebbe fattodi tutto pur di evitare il ripetersi del conflitto. In agosto, tuttavia,Sergej Stepa¡in è stato rimosso dal suo incarico e gli è subentratoVladimir Putin, un uomo che ambisce ai poteri presidenziali purnon godendo di alcuna popolarità tra l’opinione pubblica. Non èescluso che Putin cerchi di placare il malcontento della popolazioneper gli atti dei terroristi ceceni e tenti di riscuotere cospicui dividen-di politici con un’esibizione di fermezza e di durezza.

Infine, non si può neppure escludere che un grande conflitto nelCaucaso possa trasformarsi in un pretesto per introdurre nel paeselo «stato d’emergenza», il che procrastinerebbe a tempo indetermi-

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nato le elezioni presidenziali del 2000 e prolungherebbe la duratadei pieni poteri di El’cin.

In un modo o nell’altro, quindi, il trasferimento delle azioni di guer-ra sul territorio della Cecenia è assai probabile, mentre sono pratica-mente da escludersi buone possibilità di successo per le truppe russe.Tali possibilità, comunque la si metta, sono più basse di quelle esistentinel conflitto del 1994-96. In quell’occasione, infatti, Mosca poteva fareaffidamento sulle forze filorusse presenti sia a Groznyj sia nelle areerurali della Cecenia settentrionale. Oggi queste forze sono state elimi-nate o cacciate dal territorio della repubblica, oppure sono state costret-te a dissociarsi dagli «occupanti russi» con un «pubblico pentimento».Inoltre, dopo che Mosca non ha esitato a tradire gran parte dei suoi al-leati di un tempo, oggi ben difficilmente si potranno trovare in Ceceniaforze disposte alla collaborazione. Anche la situazione di politica esteraè notevolmente peggiorata. Se nel 1994-96 la Georgia aveva offerto aMosca un sostegno morale, tollerando la presenza sul suo territorio diguardie di frontiera russe e partecipando così all’assedio della Cecenia,oggi i rapporti tra i due stati si sono notevolmente incrinati e le trupperusse sono state fatte allontanare dal confine tra Cecenia e Georgia.

L’elemento principale, tuttavia, è costituito dal fatto che in que-sti anni si è aggravata la crisi politica ed economica della Russia,cosa che esclude ogni possibilità di successo nella nuova campagnaanticecena. E la conseguenza può essere soltanto una recrudescenzadell’attività terroristica.

Lo scenario che abbiamo testè descritto si presenta appunto co-me la variante in cui la minaccia del terrorismo ceceno aumenta for-temente per dimensioni e gravità. Inoltre, se nello scenario prece-dente i terroristi potevano essere attratti soprattutto da obiettividislocati al di fuori dei confini della Russia, ora, nel caso di unoscontro militare diretto, i ceceni cercheranno di recare i danni mag-giori al nemico principale, cioè le Forze Armate russe.

3.3. Terzo scenario. La lenta erosione del potere federale nelle re-pubbliche islamiche del Caucaso settentrionale e il loro gra-duale allontanamento dalla Russia

Si tratta di uno scenario tra i più probabili, in quanto basato sul-l’osservazione di tendenze già in atto.

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La militarizzazione del Dagestan, iniziata in epoca sovietica conil dislocamento in questa regione delle truppe appartenenti ai paesidel «Patto di Varsavia», rafforzatasi negli anni del conflitto cecenoe successivamente condotta a dimensioni ipertrofiche dopo gli av-venimenti dell’agosto 1999, non potrà che aumentare, inevitabil-mente, l’instabilità politica della repubblica. Se nell’agosto 1999l’atteggiamento dei daghestani nei confronti delle azioni condottedalle truppe russe contro i miliziani di Basaev poteva considerarsipiù positivo che negativo, una così alta concentrazione di forze rus-se nel Dagestan, nel suo complesso, solleva nella popolazione dellarepubblica grandi timori. In primo luogo, i reparti militari già dislo-cati nelle regioni di confine hanno causato non pochi danni e creatonotevoli disagi agli abitanti di queste zone. Nel 1998, le mine e gliscontri a fuoco in queste regioni hanno causato la morte di 50 per-sone e il ferimento di altre 60; 250 abitazioni sono andate distrutte.In secondo luogo, una parte considerevole delle forze russe presentiin Dagestan è concentrata nelle regioni di Chasav’jurt e Novolaksk,vale a dire su un territorio abitato in prevalenza da ceceni che nonnascondono la loro ostilità verso l’esercito russo. È proprio in que-ste due regioni che periodicamente avvengono scontri tra i soldati ela popolazione civile. In terzo luogo, la dislocazione delle trupperusse sul territorio daghestano non soltanto non ha scongiurato ilpericolo del terrorismo ceceno ma, anzi, lo ha ancor più aggravato.Sono aumentati infatti gli attacchi ai posti di blocco russi e gli atten-tati alla rete ferroviaria e ai gasdotti.

Ancora prima che in Dagestan iniziassero le operazioni militarivere e proprie, il governo della repubblica aveva valutato in 400 mi-lioni di rubli i danni materiali causati dalle truppe russe (terreni nonpiù coltivati perché divenuti obiettivi militari, interruzione dei lavo-ri agricoli, perdite di bestiame, danni alla proprietà). Dopo i fattidell’agosto 1999 i danni che il Dagestan subirà saranno ancora mag-giori e, di conseguenza, aumenterà il rischio che si aggravi quelcomplesso di problemi connessi ad ogni crisi economica: crescitadella disoccupazione e della criminalità, malcontento generale neiconfronti degli organi di potere.

Sulla destabilizzazione influirà non poco la milizia popolare re-clutata nell’agosto 1999. Secondo diversi osservatori, infatti, lacreazione della milizia popolare si è trasformata in un mezzo per le-

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galizzare interi reparti di uomini armati che operano nella sfera delcrimine. E non deve essere stato casuale che tra i fautori di tale mi-lizia vi fossero figure come Gad§i MachaØev e Said Amirov, capiriconosciuti della mafia daghestana26.

Se nel Dagestan si avrà una paralisi del potere costituito e tuttoresterà nelle mani della criminalità, la popolazione non potrà cheserrare le fila dei tanti clan esistenti in base a criteri di parentela, etnia o fede religiosa. In una situazione del genere aumenteranno lesimpatie per i jama’at, cioè le comunità dei wahhabiti in cui, giàadesso, al potere laico si sono sostituite quasi completamente lenorme della sharja. Tra il giugno e il luglio 1998, grazie all’unifica-zione dei diversi jama’at, è stato creato nel Dagestan un Consiglioislamico (shura) guidato da Bagautdin Muchamad, già leader indi-scusso di numerose comunità musulmane27. Dell’influenza che ilConsiglio islamico è in grado di esercitare testimonia il fatto che,già un anno prima che le milizie di Basaev irrompessero nel Dage-stan, sia il governo repubblicano che i responsabili delle varie am-ministrazioni regionali avevano dovuto tenere nella dovuta conside-razione le richieste avanzate dalla shura. Nell’agosto del 1998 ilgoverno di MachaØkala ha firmato un accordo con le comunità deiwahhabiti in base al quale un certo numero di villaggi sarebberostati di fatto sottratti al controllo del potere statale e sottomessi al-l’autorità del Consiglio islamico. Nel 1999 l’influenza del Consi-glio crebbe ulteriormente: se al momento della sua creazione ne fa-cevano parte i delegati di 7 regioni del Dagestan, un anno dopo vierano rappresentate ben 15 regioni della repubblica.

Alla fine dell’agosto 1999 i russi hanno iniziato a eliminare con laforza delle armi i maggiori focolai del separatismo islamico, in primoluogo quelli dei villaggi wahhabiti di Karamachi e Æabanmachi nellaprovincia daghestana di Bujnaksk. Ovviamente, un esercito regolare,per di più appoggiato da aviazione e artiglieria, non dovrebbe fare fa-tica a distruggere, o perlomeno a disperdere, i reparti armati dei sepa-

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26 E. Krutikov, «Nad na¡ej rodinoj dym: sobytija v Dagestane mogut okonØatel’norazvalit’ Rossiju» [Fumo sulla nostra patria: gli avvenimenti nel Dagestan possonoalla fine mandare in rovina la Russia], in Izvestija, 11 agosto 1999.27 Il 7 agosto 1999 è stato proprio Bagautdin a proclamare a nome del Consiglioislamico la rinascita dello Stato islamico del Dagestan.

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ratisti. Ciononostante, non vi sono dubbi che in questo modo non siriuscirà certo a soffocare il movimento wahhabita del Dagestan, chepasserebbe a forme di clandestinità che lo renderebbero estremamentepericoloso. È quello che è successo in Cecenia nel 1994-96: le personeconducevano una doppia vita, di giorno come normali cittadini fedelial potere federale e di notte come combattenti dei reparti partigiani.

Le azioni militari contro le comunità dei wahhabiti riducono lepossibilità di una loro graduale integrazione nella vita politica dellarepubblica. Se l’influenza del wahhabismo più aggressivo riuscirà adiffondersi ulteriormente, il processo di estraniazione dei cittadinidel Dagestan sia dal potere federale sia da quello repubblicano po-trebbe risultare irreversibile e, a quel punto, la «riconquista» delDagestan non avrebbe più alcun significato reale, anzi, il Dagestanpotrebbe restare russo de iure ma, de facto, sfuggirebbe al controllodel potere centrale della Fr così come è avvenuto per l’attuale re-pubblica cecena. L’esempio di queste repubbliche del Caucaso set-tentrionale potrebbe essere seguito, nella successione che abbiamodescritto nel primo scenario, dalle altre repubbliche a maggioranzamusulmana (fatta cioè eccezione per l’Ossetia settentrionale). Sitratterebbe di un processo non così rapido e che potrebbe durare al-cuni decenni. Le conseguenze che potranno pertanto derivare dauna simile evoluzione degli eventi risulteranno diverse a secondadel periodo cronologico in cui si intenderà darne una valutazione.

Il terzo scenario da noi esaminato, quindi, appare forse menopessimista dei primi due. Il territorio non controllato dal potere cen-trale andrà via via espandendosi, ma non così rapidamente. Gli attiterroristici non aumenteranno molto più di adesso e saranno in lineadi massima localizzati nella regione confinante con la Cecenia. Cre-scerà il numero dei profughi, ma non di molto, in quanto la maggiorparte di essi, valutata in 16.000 persone, ha già abbandonato il tea-tro delle azioni militari. Tuttavia, se volgiamo lo sguardo a un futu-ro meno prossimo (15-20 anni), possiamo argomentare che, se noninterverranno altri fattori a modificare il corso degli eventi così co-me lo abbiamo presentato, questo terzo scenario avrà conseguenzenon meno perniciose di quelle analizzate nel primo.

Nella tabella a pagina seguente presentiamo le forme e i livelli dirischio connessi allo sviluppo di ciascuno dei tre scenari di destabi-lizzazione della situazione politica nel Caucaso settentrionale.

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Questa valutazione, elaborata da esperti, non ha pretese di asso-luta esattezza e intende piuttosto illustrare quelle che sono le ipotesirelative ai livelli di rischio legati alle diverse situazioni possibili nelCaucaso settentrionale. Tali ipotesi sono state formulate dai colla-boratori scientifici che operano nel Centro di ricerche etnopolitichee regionali da me diretto. È nostra opinione, ad esempio, che l’evo-luzione più pericolosa nel Caucaso sia quella presentata in: Secondoscenario. La «Nuova guerra del Caucaso»: la Russia amplia la zo-na delle azioni militari nel Caucaso settentrionale. Una politica diquesto tipo condurrebbe ad una rapida escalation delle azioni mili-tari, all’aumento di atti terroristici e, di conseguenza, a un maggiornumero di vittime. Del resto, non appare di certo ottimistico neppu-re: Primo scenario. Nascita del «Grande imamato». Sviluppo del-l’espansionismo ceceno e dell’estremismo islamico. Se consideria-

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Tabella 1. I livelli di rischio nei diversi scenari di destabilizzazione delCaucaso settentrionale

Tipi di rischio Possibili scenari

e loro valutazione in punti*

I II III

Estensione del territorio fuori controllo 5 2 2

Estensione della zona soggetta ad atti terroristici 4 5 1

Intensificazione dell’attività terroristica 3 5 1

Militarizzazione del territorio e rapida escalation delle azioni di guerra 4 5 3

Aumento di vittime e di profughi 4 5 3

Indice complessivo del rischio 20 22 10

* Valutazione del rischio in punti:

1 – il rischio appare limitato;

2 – il rischio esiste ma con una probabilità sufficientemente alta che le autorità riescano a

mantenere la situazione sotto controllo;

3 – il rischio è notevole e non è certo che le autorità siano in grado di mantenere la situazio-

ne sotto controllo;

4 – il rischio è alto e, con ogni probabilità, le autorità risulteranno incapaci di opporre un’ef-

ficace resistenza;

5 – massimo rischio.

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Analisi comparativa e valutazione del rischio

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mo determinati indicatori, questo scenario appare persino peggioredi quello menzionato in precedenza, soprattutto per le enormi di-mensioni del territorio che sfuggirebbe al controllo dello stato rus-so. È proprio la consapevolezza di tale minaccia a spingere l’attualedirigenza russa ad adottare soluzioni estreme, prima tra tutte il ri-corso ad azioni di forza. Questa politica, tuttavia, è assolutamenteinefficace e ha già dimostrato tutto il suo fallimento nel corso del«conflitto ceceno» del 1994-96.

In linea di principio, per i problemi del Caucaso settentrionalenon esiste una soluzione in tempi rapidi. Anche soltanto per iniziarepositive trasformazioni nella regione, e spezzare in tal modo le ten-denze ostili alla Russia, al governo federale occorreranno anni, conun’alta concentrazione di risorse e di volontà politica. Una tale con-centrazione è stata difficile da realizzare anche quando l’ammini-strazione di El’cin godeva del massimo favore e di un notevole ap-poggio da parte dell’opinione pubblica. Nelle condizioni attuali, amaggior ragione, risulterebbe impossibile. Siamo in un momento incui la fiducia verso il potere sta toccando il limite più basso di tuttoil periodo postsovietico e in cui appare inevitabile il cambio allapresidenza russa, in un momento in cui l’attenzione dell’intera élitepolitica della Russia è volta principalmente alla spartizione del po-tere e il problema del Caucaso settentrionale è relegato in zone peri-feriche degli interessi politici.

Conclusioni

Innanzitutto, malgrado l’opinione quanto mai diffusa sulla «per-fidia e sull’aggressività della Russia» nelle zone di conflitto presentisul territorio dell’ex Unione Sovietica, noi sosteniamo che la diri-genza russa non ha mai pianificato una propria ingerenza nei conflit-ti in atto sul territorio degli stati della Comunità. La Russia è rimastacoinvolta in tali conflitti in modo assolutamente non organizzato.

Detto questo, va ricordato che l’area degli interessi geopoliticirussi si è andata sempre più restringendo, limitandosi di fatto a queiconflitti che sono esplosi in zone direttamente confinanti con la Fr eche hanno coinvolto gruppi di popolazione etnicamente legati allaRussia.

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In una prospettiva a breve termine, tale processo non potrà checontinuare e persino rafforzarsi, in quanto l’attenzione, gli sforzi ele risorse dello stato russo resteranno calamitati dai conflitti interni.

La più grave minaccia alla sicurezza e all’integrità della Russia èrappresentata dai focolai del Caucaso settentrionale, in primo luogoquello ceceno e daghestano.

Si tratta di una minaccia sempre maggiore a causa delle erratestrategie adottate per comporre i conflitti della regione. In tale situa-zione, costituiscono un identico pericolo sia gli atteggiamenti per-missivi verso il separatismo e l’estremismo islamico presente nellaregione sia i tentativi di risolvere «in un colpo solo» problemi digrande complessità ricorrendo soltanto all’uso della forza.

Nel prossimo futuro, quale che possa essere il corso degli eventinel Caucaso settentrionale, le tendenze separatiste, l’instabilità poli-tica e il pericolo di un’ulteriore diffusione del terrorismo non po-tranno che perdurare o persino rafforzarsi.

Nelle condizioni attuali la minaccia più grave è rappresentatanon tanto dal separatismo islamico di carattere etnico quanto daquello di carattere confessionale. Questo separatismo è potenzial-mente in grado di unificare popoli diversi nella «lotta contro laRussia», riuscendo nel contempo a soffocare l’elemento di diver-sità etnica.

Il distacco dalla Russia delle repubbliche nord caucasiche amaggioranza musulmana non va tuttavia considerato fatalmenteinevitabile. Per il momento, alle correnti del fondamentalismo isla-mico ha aderito soltanto una parte esigua di popolazione e allo statorusso resta ancora qualche tempo per eliminare le tendenze negativepresenti nel Caucaso settentrionale. Bisogna sperare che i leader po-litici che saranno alla guida dello stato russo nel 2000 o nel 2004avranno piena consapevolezza di ciò che significa il Caucaso set-tentrionale per il destino dell’intera nazione e sapranno elaborareuna strategia vincente, possibilmente con la partecipazione interna-zionale. Le nostre maggiori speranze sono tuttavia riposte nel fattoche la Russia sappia finalmente superare questo prolungato periododi crisi economica, trasformandosi così nei confronti delle proprieautonomie nazionali in un partner economicamente vantaggioso,cosa che, indiscutibilmente, ridurrebbe il rischio di qualsivoglia se-paratismo o terrorismo.

Emil’ Pain

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Una delle principali cause della disgregazione dell’Unione So-vietica sono stati i processi etnici che hanno avuto luogo nelle ex re-pubbliche sovietiche e in molte regioni autonome. Questi processipossono essere considerati una vera e propria rivoluzione etnica,che l’enorme impero burocratico non ha saputo fronteggiare.

In seguito all’uscita della Fr dall’Urss alla fine del 1991, anche al-l’interno delle preesistenti repubbliche autonome si svilupparono ten-denze separatiste, ma solo in due di esse queste raggiunsero livelliconsiderevoli: in Cecenia e in Tatarstan. Sotto questo punto di vista,cioè quello dell’analisi delle cause e delle forze attive del separatismo,il Dagestan rappresenta un esempio molto interessante: nella repub-blica l’etnia russa rappresenta in tutto il 7,26 per cento, mentre quellelocali superano il 90 per cento; di queste la quasi totalità, ad eccezionedegli ebrei della montagna, professa la religione islamica. Un’altra ca-ratteristica peculiare del Dagestan è la sua composizione plurietnica:nella repubblica ci sono 14 nazionalità cosiddette «titolari», la più nu-merosa delle quali – gli àvari – rappresenta il 27,9 per cento del totale.

Ho iniziato le mie ricerche sul campo nella repubblica del Dage-stan nel 1991 e da allora ci sono tornato molte volte e ho parlato congli abitanti locali, rappresentanti degli strati più diversi della popo-lazione, e tutte le volte che la conversazione toccava il tema dell’i-dentità del Dagestan i miei interlocutori giungevano spesso ad unpunto morto: essi riconoscevano la loro appartenenza a questa o aquella etnia o subetnia, si consideravano originari di un determinatovillaggio, ma la comune identità daghestana, cioè il riconoscersiprima di tutto come daghestani, era per loro troppo indeterminata enon veniva accettata come elemento di distinzione.

Dagestan: un enigma dei tempi postsovietici.È possibile un’ulteriore destabilizzazione?Michajl Ro¡Øin

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Gli ultimi avvenimenti (le azioni militari nel distretto di Botlichnell’agosto 1999 e in quello di Novolakskoe nella prima metà delsettembre 1999) hanno portato ad una svolta sostanziale, direi deci-siva, per la situazione. Le invasioni dalla Cecenia si sono rivelatedecisive: i daghestani, al di là della loro appartenenza etnica, im-provvisamente si sono sentiti daghestani, quando è diventato chiaroche prima di tutto dovevano difendere la loro causa comune.

In questo saggio vorrei soffermarmi sui fattori etnici, religiosi edin una certa misura economici, che influiscono sulle prospettive po-litiche del Dagestan. Al termine di questa disamina, analizzerò sialo sviluppo sia gli esiti degli ultimi eventi i quali, come sembra,aprono una nuova fase negli sviluppi futuri della repubblica.

1. La situazione etnica in Dagestan

Dagestan significa nelle lingue turche «il paese dei monti». Que-sto appellativo descrive con precisione la realtà: i popoli montanarirappresentano la maggioranza della popolazione del Dagestan. In-tendiamo qui tutti i popoli, e non solo quegli uno o due che potreb-bero dominare la repubblica.

Nel Dagestan esistono 14 popoli «titolari» che formano lo statoe che prendono parte, con un deputato ciascuno, al Consiglio go-vernativo della repubblica, che ricopre le funzioni di presidentecollettivo: àvari, darghini, kumyki, lezghi, russi, laki, tabasarani,ceceni, azeri, nogay, ebrei della montagna (o tati), rutuli, aguli ecachury. Oltre ad essi, esistono altre 16 nazionalità senza linguascritta, le quali venivano citate nelle statistiche sovietiche primadel conflitto, ma che le statistiche odierne non includono: andi,arØiny, achvachi, bagvaliny, be§tiny, botlichcy, ginuchi, gunzibi,godoberini, kajtagi, karatini, kubaØincy, tindini, chvar¡iny, cezi,Øamaliny.

Bisogna sottolineare che tutti questi popoli e nazionalità nonsvolgono necessariamente lo stesso ruolo nella vita socio-politicadel Dagestan. In ambito daghestano si evidenziano soprattutto àva-ri, darghini, kumyki, lezghi. Tradizionalmente i poco numerosi lakiavevano un ruolo importante in Dagestan. Testimonianza di ciò è latragica figura di Nadir¡ach Chacilaev, caduto in disgrazia. Russi, ta-

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basarani, azeri e ceceni sono numerosi principalmente in singoli di-stretti del Dagestan.

Prima di ritornare all’analisi del ruolo e del posto delle singole et-nie nella vita sociopolitica del Dagestan, vorrei far notare la seguen-te circostanza. Nella seconda metà degli anni Novanta, balzano sem-pre più in primo piano i darghini, relegando al secondo posto gliàvari, che avevano ai tempi dell’Unione Sovietica un ruolo chiavenella repubblica. Bisogna ancora capire le cause di questo fenomenodella storia del Dagestan postsovietico, ma è evidente che oggi unarassegna delle etnie daghestane va compiuta partendo dai darghini.

Vorrei fare un’osservazione preliminare. Le popolazioni monta-nare, che parlano lingue del gruppo linguistico daghestano-nach, han-no come peculiarità un particolare grado di solidarietà reciproca. Aquanto pare ciò va collegato al fatto che, come unità sociale di base imontanari avevano, e nella sostanza hanno ancora, la comunità ruraleche possiede come un tempo un importante livello di autonomia.

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Tabella 1. Etnie titolate del Dagestan (tabella redatta dall’autore sullabase delle informazioni ricevute dalla Direzione statistica della repubbli-ca del Dagestan)

1959 1970 1979 1989 1995

Insieme dellapopolazione 1.062.472 1.428.540 1.628.159 1.802.188 2.066.657

àvari 239.373 349.304 418.634 496.077 577.134darghini 148.194 207.776 246.854 280.431 332.381kumyki 120.859 169.019 202.297 231.805 267.489lezghi 108.615 162.721 188.804 204.370 250.666russi 213.754 209.570 189.474 165.940 150.054laki 53.451 72.240 83.457 91.682 102.636tabasarani 33.548 53.253 71.722 78.196 93.600ceceni 12.798 39.965 49.227 57.877 92.217azeri 38.224 54.403 64.514 75.463 88.327nogai 14.939 21.750 24.977 28.294 33.408ebrei di Gorsk

(tati) 24.381 28.581 26.158 25.995 18.520rutuli 6.566 11.799 14.288 14.955 17.086aguli 6.378 8.644 11.459 13.791 16.006cachury 4.278 4.309 4.560 5.194 6.295

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È interessante notare che l’elevato livello di solidarietà dei po-poli montanari, innanzi tutto a livello di comunità rurale, trova con-ferma nelle particolarità della struttura delle loro lingue.

Il filosofo russo S. L. Frank già nel 1930 aveva notato come«noi» non indichi semplicemente il plurale di «io» (come ci insegnauna comune grammatica), un semplice insieme di molti «io». Nelsuo primo e principale significato «io» ... non ha e non può avere unplurale; esso è singolo ed irripetibile ... «Noi» è ... una certa catego-ria primaria dell’essenza personale umana e pertanto dell’essere so-ciale. Per quanto sostanzialmente non esista per questo essere unadistinzione tra «io» e «tu», oppure tra «io» e «loro», questa distin-zione è possibile soltanto sulla base di una unità superiore di «noi»che lo racchiude1.

S. L. Frank notava empiricamente che il «noi» è sempre delimi-tato: qualunque «noi», sia esso famiglia, classe, nazione, stato, chie-sa, si contrappone a qualcos’altro, in esso non sono compresi i suoicontrapposti, come «voi» e «loro»2.

Nelle lingue indoeuropee, semitiche ed in molte altre esiste solouna forma del plurale «noi», mentre nelle lingue del gruppo daghe-stano-nach il pronome «noi» viene usato in due forme: in modo in-clusivo («noi e voi», «noi e te»), che conseguentemente racchiudela famiglia, la comunità o l’etnia e in modo esclusivo («noi senzavoi», «noi senza te»), cioè un «noi» contrapposto in modo più o me-no forte ad una cerchia ostile.

La presenza dell’inclusivo «noi» presso i nativi daghestani e vai-nach (ceceni e ingusci) indica la prevalenza presso di loro del senti-mento di solidarietà, ancora di più e prima di tutto a livello della co-munità. Non starò qui a parlare dell’arcaismo della struttura sociale,ma semplicemente di un altro tipo di società umana, per la quale lafamiglia, la stirpe, la comunità sono fondamentali punti di partenza.

1. I darghini sono oggi per numero la seconda etnia del Dage-stan, ma sul piano politico sono saliti visibilmente al primo posto.

Quando il darghino Magomed-Ali Magomedov fu nominato

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1 S. L. Frank, Duchovnye osnovy ob¡Øestva [I fondamenti spirituali della società],Moskva, Respublica, 1992, pagg. 50-51.2 Ibid., pag. 51.

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presidente del Consiglio del Dagestan, ciò fu visto come un’anoma-lia temporanea. Tradizionalmente, nel dopoguerra il Dagestan, eragovernato dagli àvari; anzi, essi erano d’abitudine i primi segretaridel Comitato Regionale Dagestano del Pcus. Inoltre all’inizio ci siaspettava che il posto di presidente del Consiglio fosse soggetto arotazione e venisse occupato in sequenza dai rappresentanti delledifferenti etnie. Ciò non accadde. Nel 1996, con il pretesto dell’e-mergenza legata alla guerra in Cecenia, M. A. Magomedov riuscì aprolungare il suo incarico e, nell’estate del 1998, ad essere rielettoper un secondo mandato. Per renderlo possibile fu eccezionalmentecambiata la costituzione del Dagestan e l’unico oppositore di M. A.Magomedov alle elezioni per il presidente del Consiglio Governati-vo fu un altro darghino – ¿araputdin Musaev, allora presidente delFondo pensioni del Dagestan.

All’inizio del 1998 alla guida dell’amministrazione di Ma-chaØkala del Pcus fu eletto il darghino Said Amirov. Fino al 1991 ilposto di primo segretario del Comitato urbano di MachaØkala delPcus era stato ricoperto in generale da àvari. Poco dopo diventò sin-daco di Kaspijsk, che si trova vicino a MachaØkala, il darghino Ru-slan Gad§ibekov. I darghini si assicurarono anche il posto di rettoredell’Università Statale daghestana. È evidente il processo di gra-duale «darghinizzazione» delle strutture del potere in Dagestan.

All’inizio dell’era sovietica i darghini erano costantemente rele-gati in posti di secondo piano e il ruolo di «fratello maggiore» nelDagestan veniva impersonato dagli àvari. Tuttavia, il potenzialeeconomico dei darghini risultò enorme. Molti villaggi darghini ot-tennero successi significativi nel campo dell’artigianato e dell’agri-coltura e, dopo il passaggio all’economia di mercato all’inizio deglianni Novanta, anche nel commercio. Desidero attirare l’attenzionesu villaggi come Leva¡i, Chad§almachi, Kuppa. Persino il fatto chela comunità collettiva indipendente dei radicali musulmani, i cosid-detti wahhabiti, fosse fondata sul territorio dei due prosperi villaggidaghestani di Karamachi e Æabanmachi testimonia il dinamismodell’etnia darghina.

A differenza degli àvari, i quali hanno una solida lingua lettera-ria che si basa fondamentalmente sul dialetto chunzach, i darghinine hanno una ancora in fase di formazione. I darghini oggi rappre-sentano un gruppo di subetnie strettamente imparentate, il cui pro-

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cesso di fusione in un’unica etnia non è ancora completato. A livel-lo sociopolitico ciò porta di riflesso a serie contraddizioni presentitra i differenti clan darghini. Ad esempio, dirò che istituzioni uffi-ciali del Dagestan hanno perseguitato l’ex presidente del Fondopensioni del Dagestan, ¿araputdin Musaev.

2. Gli àvari (chiamano se stessi ma’arulal, che significa in àvaro«abitanti degli altopiani»), come detto prima, rappresentano la piùgrande etnia del Dagestan. È chiaro come lo stesso nome «Dage-stan» (il paese dei monti) sia strettamente collegato agli àvari(ma’arulal). Sebbene negli anni Novanta gli àvari abbiano smessodi avere il ruolo di «fratello maggiore» nel Dagestan, la loro impor-tanza nella vita sociopolitica resta sempre notevole.

Già nella metà del secolo scorso l’etnia àvara si era consolidataad un livello significativo. La lingua letteraria degli àvari si formòsulla base del bolmaz («lingua dei soldati»), cioè la lingua comuneche parlano le milizie volontarie provenienti dalle diverse zone del-la regione. Molto tempo prima del 1917 gli àvari possedevano unaricca tradizione scritta sulla base della scrittura araba.

Nell’era sovietica, soprattutto negli anni del dopoguerra, gli àva-ri ebbero un ruolo guida nella vita sociopolitica del Dagestan. Inquegli anni molte migliaia di àvari riuscirono a trasferirsi dallemontagne nelle regioni pianeggianti del Dagestan. Grazie a ciò, ilterritorio etnico degli àvari si allargò notevolmente. Nonostante gliàvari, al pari di tutte le altre etnie dell’ex Urss, abbiano sofferto du-rante gli anni della repressione staliniana, si può in ogni caso direche negli anni della dominazione sovietica l’etnia àvara abbia gua-dagnato molto, sotto il profilo politico, sociale e geografico.

Negli anni Novanta è emerso il cospicuo potenziale economicodegli àvari. Ad esempio porterò il fatto che essi controllano il mer-cato centrale all’ingrosso di MachaØkala. Ciò ha già causato un se-rio conflitto col sindaco di MachaØkala, Said Amirov, che si batteper portare il mercato all’ingrosso sotto controllo dei darghini.

Negli anni Novanta, quando la vita religiosa si liberò finalmentedel coperchio imposto dal periodo sovietico, gli àvari risultarono ilpopolo piú religioso del Dagestan. Essi controllano la direzione spi-rituale dei musulmani del Dagestan, tra loro ci sono molti imamdelle moschee, anche nelle regioni con popolazione eterogenea. È

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interessante notare che il leader della chiesa protestante carismatica«Osanna», in rapida crescita, sia àvaro.

Agli àvari manca oggi un leader universalmente riconosciuto.Naturalmente, tra di essi ci sono alcuni politici degni di nota:

1. Muchu Aliev, presidente dell’Assemblea popolare del Dage-stan, è stato l’ultimo Primo segretario del Comitato regionaledaghestano del Pcus. Quando nella prima metà degli anni No-vanta nel Dagestan si accese la lotta per il potere, Magomed-Ali Magomedov riuscì a farlo retrocedere in secondo piano.

2. Gad§i MachaØev, leader del movimento popolare àvaro, vi-ce-premier del governo del Dagestan, sovrintendente all’in-dustria petrolifera.

3. Gamzat Gamzatov, membro del Consiglio di Stato del Dage-stan, direttore della «Dagenergo». Ha la reputazione di per-sona incorruttibile, onesta e proba.

4. Magomed Tolboev, ex deputato della Duma statale della Fr,ex segretario del Consiglio di sicurezza della repubblica delDagestan, in passato ha fatto parte di una spedizione diastronauti. Come in passato, egli gode di elevata popolaritàtra i daghestani.

5. Ramazan Abdulatipov, ex segretario della Camera delle na-zionalità del Soviet Supremo della Fr, ex vicepresidente delConsiglio della Federazione della Fr, ex ministro degli Affa-ri delle nazionalità della Fr. In Dagestan gode di autorità so-prattutto tra i non àvari, anche se la cosa appare strana. Vieneconsiderato un outsider dall’élite politica àvara del Dagestan.

In quanto maggior gruppo etnico del Dagestan, gli àvari hannosempre permesso l’esistenza tra di loro di diverse opinioni e forzepolitiche. Per questo, le altre etnie, in particolare i darghini, sonoriuscite a metterli in secondo piano. Tuttavia, solo fino ad un certolimite, poiché il peso reale degli àvari praticamente in tutte le sferedella vita sociale del Dagestan rimane rilevante.

3. I kumyki sono una popolazione di lingua turca, da molto tem-po stabilitisi sul territorio daghestano, e vivono generalmente neidistretti pianeggianti della depressione caspica, pur avendo assorbi-to molte tradizioni e abitudini dei montanari.

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Ai tempi del potere sovietico, e soprattutto dopo la guerra, moltipopoli montanari (non solo gli àvari, ma anche darghini, laki e altri)si sono trasferiti nelle regioni pianeggianti del Dagestan. La pres-sione sul territorio etnico dei kumyki è a poco a poco aumentata.Negli anni della perestrojka ciò ha portato forti tensioni tra le popo-lazioni kumyke. Fu fondato il movimento nazionale kumyko Ten-glik, che aveva, probabilmente, il ruolo più importante nella forma-zione della coscienza nazionale kumyka.

Dall’inizio degli anni Novanta la più grande figura tra i politicikumyki fu il primo ministro del Dagestan, Mirzabekov. Fu un pre-mier forte e grande oppositore di M. A. Magomedov. Evidente-mente proprio per questo nell’estate del 1997 fu costretto a dimet-tersi, fu trasferito a Mosca con un’alta mansione e sostituito da unaltro kumyko, più compiacente, Chizri ¿ichsaidov, ex direttore diDagvino.

L’estate 1997 fu segnata in Dagestan da forti contrasti nati per leterre situate nella depressione caspica, destinate a pascolo stagiona-le di bestiame ed occupate da migranti dalle montagne, in particola-re àvari.

I kumyki furono molto scontenti della situazione creatasi. Il con-flitto fu risolto alla siciliana: alcuni kumyki di spicco furono uccisidurante l’estate in circostanze poco chiare. Lo status quo così rag-giunto fu mantenuto.

Pochi anni dopo, il movimento Tenglik entra nell’«Organizza-zione delle nazioni e popoli non rappresentati», a prescindere dalfatto che, come molte altre organizzazioni nazionaliste sul territoriorusso, essa non abbia un troppo grande supporto e stia trasforman-dosi rapidamente in un club dell’intelligencija kumyka.

4. I lezghi costituiscono la popolazione più numerosa del Dage-stan meridionale. Col passare del tempo i lezghi, come gli altri abi-tanti delle montagne, si sono trasferiti in pianura. I lezghi oggi co-stituiscono il secondo gruppo etnico per grandezza, dopo gli azeri,nella principale città del Dagestan meridionale, Derbent.

Il principale problema dei lezghi deriva dal fatto che, dopo lacaduta dell’Urss, sono rimasti un popolo diviso, poiché circa lametà di essi vive in Azerbajd§an, dove i loro diritti vengono forte-mente limitati. Il movimento nazionale lezgo Sadval, che agisce le-

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galmente sul territorio del Dagestan, si batte per la riunificazionedi entrambe le parti della nazione lezga. Come Tenglik anch’essofa parte dell’Organizzazione delle nazioni e popoli non rappresen-tati. Nonostante ciò, secondo il mio punto di vista, le prospettive diunificazione dei lezghi in un prossimo futuro non sono molte. NelDagestan i diritti etnici dei lezghi non vengono limitati, ma il Da-gestan non entrerà mai in conflitto con l’Azerbajd§an. La creazio-ne di un Lezghistan unito attira ben poco i leader politici di en-trambe le parti.

5. I laki non sono i più numerosi, ma storicamente sono una rag-guardevole popolazione del Dagestan. I laki sono fortemente conso-lidati e hanno una lingua letteraria definita, formatasi sulla base del-la parlata kumyka. A differenza delle altre popolazioni montane,che per tradizione si occupavano principalmente di agricoltura, ilaki sin dai tempi antichi erano rinomati come artigiani, e tra loroprese piede la migrazione stagionale. Oggi la maggior parte dei lakivive nelle regioni pianeggianti del Dagestan.

I più conosciuti personaggi politici laki sono i fratelli Magomede Nadir¡ach ChaØilaev. Magomed conduce il movimento nazionalelaki, Nadir¡ach ha fondato alcuni anni fa l’Unione dei musulmanidi Russia, che unisce, prima di tutto, i daghestani. Nel 1995 fu elet-to deputato alla Duma di stato della Fr, ma fu privato dell’immu-nità parlamentare nel settembre 1997, in seguito all’accusa di averorganizzato disordini a MachaØkala. Da allora Nadir¡ach ChaØi-laev si è trasferito in territorio ceceno, nel villaggio di Sandak, maè stato spesso nella regione di Novolakskoe in Dagestan e ha svol-to un’opera di mediazione durante le spedizioni punitive delle for-ze federali contro gli abitanti dei villaggi di Karamachi e Æaban-machi nella regione di Bujnaksk. Nadir¡ach, come ho detto, godedi considerevole autorità presso i laki.

6. I ceceni-akkincy svolgono un ruolo importante e sono moltoconosciuti nella città di Chasav’jurt e nei distretti di Chasav’jurt,Kazbekov e Novolakskoe. Presero parte alle elezioni del presidentedella Cecenia alla fine del gennaio 1997, in quanto si considerano cit-tadini ceceni, in accordo con la costituzione cecena. In questo modo,essi di fatto risultano persone con due cittadinanze: russa e cecena.

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Durante gli anni 1997-98, Chasav’jurt e i territori circostanti gra-datamente divennero una sorta di Sudeti daghestani (ricordiamo lasituazione del paese dei Sudeti nel 1938, popolato dai tedeschi, main territorio cecoslovacco). Mi ricollego al materiale della ricercasul campo svolta da Patimat Tachnaeva nell’ottobre 1998 nel di-stretto di Novolakskoe, popolato da laki e ceceni-akkincy. La Tach-naeva nota: «Diventarono più frequenti i discorsi e le dichiarazionida parte dei ceceni: “Trasferitevi! Il vostro tempo è finito da un pez-zo!” A volte furono distribuiti volantini: “Andatevene! Qui siete de-gli stranieri!” In quell’anno (1998) i laki registrarono un notevolenumero di furti di macchine, macchinari agricoli, bovini e greggi dipecore. Divennero comuni i sequestri di persona a scopo d’estorsio-ne non solo tra i membri della polizia, ma anche tra i cittadini comu-ni (bambini, pastori, autisti, direttori). Molti desideravano venderele loro case solide, in pietra, a due piani con appezzamenti annessi,ma ciò era divenuto praticamente impossibile. Per un tacito accordo,gli unici possibili acquirenti, i ceceni, non compravano. Essi eranoconvinti che in poco tempo avrebbero potuto averle gratis»3.

Le successive azioni di guerra (agosto - settembre 1999) al con-fine tra Dagestan e Cecenia, soprattutto nel distretto di Novolak-skoe – quando letteralmente per miracolo si riuscì ad impedire l’in-vasione di Chasav’jurt da parte delle formazioni di Basaev eKhattab (furono fermate a 5 chilometri dalla città) –, portarono adun’importante svolta nella situazione. L’aumento delle forze fede-rali al confine con la Cecenia (in tutto fino a 200 mila persone, se siincludono anche le aree di confine di Stavropol’, Inguscetia e Osse-tia) ha cambiato l’equilibrio delle forze e ha trasformato ora i giàceceni-akkincy in ostaggi del conflitto in corso.

7. Gli azeri che vivono in Dagestan costituiscono il più grandegruppo etnico di Derbent (confine informale del Dagestan meridio-nale), nonché la maggioranza nel distretto di Derbent. Una conside-revole parte degli azeri abitano nelle città da molte generazioni. Ilruolo degli azeri e della cultura di lingua turca era tradizionalmenteimportante nel sud del Dagestan. I legami economici e culturali de-

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3 P. I. Tachnaeva, La situazione a Novolakskoe, ottobre 1998 (manoscritto), pagg.3-4.

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gli abitanti locali con gli azeri erano molto forti. L’insegnamentoscolastico nello Ju§ dag (come viene chiamato colloquialmente ilDagestan meridionale) viene svolto dagli inizi degli anni Cinquantain azero.

8. Le piccole popolazioni «non titolari» del Dagestan in maggiorparte parlano lingue dei sottogruppi andi e cezi del gruppo linguisti-co daghestano e convergono nell’etnia àvara, e sul passaporto han-no la dicitura «àvaro». Dal contatto personale coi rappresentanti diqueste popolazioni risulta che il livello di coscienza della proprianazionalità è variabile. Per esempio i be§tiny, dopo aver formatonel 1998 l’area separata di Be§tinsk, non solo si sono separati dallaregione di Cuntin, ma di fatto hanno formato la propria particolareregione autonoma. Anche gli andi, i cezi e i ginuchi hanno realizza-to in modo evidente la loro individualità nazionale. Dall’altra parte ibagvalini, i tindini o i chvar¡iny, sebbene riconoscano la loro indi-vidualità rispetto agli àvari per quanto riguarda la lingua, non siconsiderano una comunità etnica separata e si identificano comeabitanti di questo o quel villaggio, purché esso faccia parte della su-peretnia àvara. Così, per esempio, i bagvalini prima di tutto si iden-tificano come abitanti di determinati villaggi, quali Chu¡tada, Tlon-doda, Kvanada, ecc. Quanto detto, a mio parere, deriva dal fatto cheil Dagestan è una zona «calda» di cristallizzazione etnica, dovemolti processi avvengono sotto i nostri occhi e dove non tutte le na-zionalità, diciamo, hanno trovato un sistema di scrittura nella pro-pria lingua.

9. I daghestani russi costituiscono un fenomeno molto interes-sante. Una parte dei russi locali è costituita da cosacchi. Essi vivonoa Kizljar e nelle regioni di Kizljar e Tarumov. Un’altra parte è costi-tuita da individui russi che sono venuti in Dagestan per lavorarenelle industrie militari, trasferendosi qui in tempo di guerra, princi-palmente dalle coste del Mar Nero. Oggi la produzione militare si èbloccata e la convivenza con la maggioranza non russa nella repub-blica si rivela sempre più spesso non facile. Tutto questo ha portatoad un flusso di emigrazione dal Dagestan da parte della popolazionerussa. Ciononostante essa rimane come prima abbastanza numero-sa. Inoltre, nella comunità multietnica daghestana è estremamente

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forte il ruolo della lingua russa quale mezzo di comunicazione prin-cipale, per cui l’area di lingua russa si allarga costantemente.

L’analisi della situazione etnica nel Dagestan mostra in modoabbastanza evidente che l’ambiente politico non risulta favorevole aquella che si può definire «rivoluzione etnica», la quale si esprimenell’aspirazione ad avere uno stato nazionale, una cultura ed un’i-struzione nazionali. La rivoluzione etnica, di norma, stimola forte-mente la rinascita della lingua materna. Un chiaro esempio di rivo-luzione etnica ci viene fornito dagli avvenimenti degli ultimi anni inCecenia, dove il tentativo della Russia di ristabilire con la forza lapropria sovranità ha portato ad una rapida crescita del sentimentonazionale ceceno e ha fatto assumere alla lingua cecena, che fino adallora rappresentava un gruppo di dialetti strettamente imparentati,un carattere nazionale e la funzione di forte incentivo all’unificazio-ne del popolo ceceno in un difficile momento della sua storia.

La molteplicità etnica del Dagestan blocca i processi di rivolu-zione etnica, poiché la maggior parte delle popolazioni comprendemolto bene che, se – diciamo – le principali etnie del Dagestan siaccingessero a costituire dei propri focolari nazionali e ne allonta-nassero gli estranei, la guerra di tutti contro tutti diventerebbe inevi-tabile. In tutta probabilità, lo sviluppo delle cose potrebbe condurrea una guerra civile come quella verificatasi in Libano negli anni1970-80.

Da ciò consegue che, nonostante il temperamento meridionale,la popolazione del Dagestan nella sua totalità, in modo abbastanzarealistico e ponderato, valuta le proprie prospettive e segue la pro-pria via di costruzione nazionale.

2. La situazione religiosa in Dagestan

Da lungo tempo il Dagestan è famoso per la sua religiosità. Pri-ma della rivoluzione del 1917 in Dagestan c’erano più di 1700 mo-schee minori e 356 moschee principali, erano in funzione 766 ma-drasa, in cui lavoravano più di 2500 mullah. Negli anni del poteresovietico, furono chiuse la maggior parte delle moschee, molti dot-tori della legge subirono persecuzioni, l’insegnamento della linguaaraba fu vietato.

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Già negli anni Settanta e Ottanta ci fu una certa rinascita dellavita religiosa. Nel 1987 sul territorio del Dagestan erano attive uffi-cialmente 27 moschee. Ma ciò che sta succedendo negli anni No-vanta non può essere definito altrimenti che rinascita religiosa: intutto il Dagestan vengono ricostituite le comunità musulmane (ja-ma’at), vengono costruite o restaurate moschee, vengono aperti ma-drasa, istituti e università musulmane. Fino all’estate 1999 sono sta-te registrate circa 1700 comunità musulmane, sono state aperte 965moschee principali e 464 regionali, 178 madrasa e scuole annesse amoschee, 15 scuole superiori islamiche (istituti e università)4. Lamaggioranza dei musulmani daghestani professa l’Islam sunnitatradizionale di orientamento salafita. L’Islam locale ha assimilato inlarga parte il sufismo, che è diffuso in Dagestan nella forma delletre tariqat di Naqshbandiya, al-Qadiriya e Shadhiliya.

Ai tempi dell’Unione Sovietica le tariqat erano proibite, glisceicchi sufi venivano perseguitati, oppure operavano clandestina-mente. E sempre in modo clandestino si ottenevano le autorizzazioni(idhn) per il conferimento di questa o quella tariqa da parte deglisceicchi ai discepoli. Spesso al momento del conferimento dell’idhnc’erano ben pochi testimoni, per non dire nessuno. Questo, di conse-guenza, aumentò a dismisura negli anni Novanta il numero deglisceicchi. Molti di essi si accusavano reciprocamente di aver irrego-larmente ricevuto l’idhn e gli sceicchi contestatori non erano ricono-sciuti autentici. Oggi lo sceicco più influente del Dagestan è l’àvaroSaid, effendi del villaggio di Æirkej, il quale ha ricevuto l’idhn daChasan effendi di Kachib, che molti daghestani chiamano «lo sceic-co rosso» a causa della sua stretta cooperazione con i bolscevichi ne-gli anni Venti. Said effendi diffonde e insegna secondo le tre tariqatdi Naqshbandiya, al-Qadiriya e Shadhiliya. I suoi murid (discepoli)controllano la Direzione spirituale dei musulmani del Dagestan(Dumd), le trasmissioni radio e televisive musulmane, l’editoria mu-sulmana. Nonostante la tariqa sia diffusa tra i credenti di diverse na-zionalità, il vird (governo/guida) di Said effendi controlla in modosicuro gli àvari. Il muftì del Dagestan, l’àvaro Achmad-hadji Abdul-laev è naturalmente un murid di Said effendi.

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4 Dati dell’Amministrazione per gli affari religiosi del Dagestan.

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Tra gli altri sceicchi daghestani importanti desidero citare ilkumyko Muchammad-Amin di Paraul’, deceduto nel luglio 1999.Questi ha nominato come successore lo sceicco Muchammad-Mu-chtar, che vive nel villaggio di Kjachulaj. Muchammad-Amin eMuchammad-Muchtar sono adepti della tariqa Naqshbandiya.

Bisogna inoltre menzionare lo sceicco Tad§uddin di Chasav’jurt(originario del villaggio andi di A¡ali). Tad§uddin gode di grandeautorità tra gli andi e professa le tre tariqat di Naqshbandiya, al-Qadiriya e Shadhiliya.

Ci sono in Dagestan anche i murid dello sceicco naqshbandiMuchammad Nazim Kipriotcij, discepolo dello sceicco di origineàvara Abdallach Dagestani, che ha vissuto parte della sua vita in Si-ria. Nel giugno 1999 il vice khalif (successore) dello sceicco Mu-chammad Nazim, lo sceicco Abdul’vahid (originario del paese àva-ro di Chab¡ci), mi condusse con sé quando andò a visitare i suoimurid nei vari villaggi del Dagestan.

L’Islam sufi tradizionale si distingue, prima di tutto, dall’orien-tamento dei valori spirituali. Esso non è violento e il termine jihad,guerra santa, viene interpretato come impegno per la lotta personaledel credente per raggiungere la perfezione. Il rapporto dei murid colproprio sceicco è più o meno simile a quello dei semplici laici con ilproprio starec nell’ortodossia. Sul piano politico spiccano i muriddi Said effendi di Æirkej. Essi controllano il Dumd, mantenendo unruolo politico importante, e sono fortemente collegati con le struttu-re governative del Dagestan.

Coloro che turbano la tranquillità dei daghestani e più in genera-le dei musulmani del Caucaso settentrionale sono i cosiddettiwahhabiti o gli apostoli del salafiyya (Islam puro), così come essichiamano se stessi. La loro comunità, con in testa l’abile predicato-re Bagauddin Magomedov, è apparsa verso la fine degli anni Ottan-ta, e può essere considerata una comunità di musulmani radicali. Imusulmani radicali si battono per rifondare l’Islam sulla base delCorano e della Sunna (la tradizione del profeta Muhammad), libera-ti dai pregiudizi e dalle sovrapposizioni accumulatisi, nel corso del-la storia, all’Islam tradizionale.

Al tempo del mio viaggio in Dagestan nell’estate 1997 ebbi lafortuna di incontrare Bagauddin, l’amir (capo) della jama’at dei ra-dicali. Bagauddin mi spiegò che il governo postcomunista del Dage-

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stan si trova in uno stato di shirka (paganesimo). All’inizio degli an-ni Novanta egli fu uno dei promotori della costituzione del Partito dirinascita islamica (Nahda Islamiya) in Dagestan, ma in seguito ar-rivò alla conclusione che fosse più importante fondare una jama’at.La registrazione delle moschee e delle comunità radicali musulma-ne, secondo lui, non riveste un particolare significato. «Siamo già re-gistrati presso Allah – mi disse Bagauddin. – Non desideriamo assu-mere direttamente il potere, ma vogliamo che il potere sia nelle manidi Allah. Noi non consideriamo i confini geografici e politici, ma la-voriamo e agiamo laddove ci è possibile. Il Dagestan oggi viene gui-dato da Mosca, e noi, analogamente a quanto accade in Cecenia, nonabbiamo una società islamica. Noi decreteremmo, per esempio, il di-vieto assoluto di vendita di alcolici, ma è più importante per noi lafede (iman) e il monoteismo (tawhid). Nello stato islamico vorrem-mo istituire il servizio dei muhtasib (la polizia dei costumi)».

Ho chiesto a Bagauddin che cosa pensasse della possibile indi-pendenza del Dagestan. Mi ha risposto di essere un sostenitore del-lo stato islamico: per lui questo è un fattore di primaria importanza.La kufra (ateismo) per lui è inaccettabile, sia che essa avvenga ingrembo alla Fr o ad un Dagestan indipendente.

La moschea centrale dei musulmani radicali si trova a Kizil’jurt,città non molto distante da MachaØkala. Essa fu tolta loro con laforza dopo l’inizio dei fatti di guerra in Dagestan nell’agosto 1999 erestituita ai musulmani seguaci delle tariqat.

L’ala militare dei radicali musulmani, sebbene rientrasse e rientrinella jama’at guidata da Bagauddin, si è indirizzata in misura maggio-re verso il comandante delle truppe islamiche in Cecenia Khattab (d’o-rigine giordana). I musulmani radicali armati, capitanati dal generaledi brigata D§arulla Rad§baddinov, originario di Karamachi, controlla-vano completamente la piccola repubblica wahhabita nella regione diBujnaksk, composta da tre villaggi darghini: Karamachi, Æabanmachie Kadar. Khattab visse, dall’inizio della guerra in Cecenia nel dicem-bre 1994, nel villaggio di Karamachi e prese in moglie una ragazza delluogo. Inoltre, anche 16 guerrieri àvari della sua truppa presero permoglie alcune ragazze di Karamachi. Le truppe di Khattab avevanoperciò legami molto forti con la repubblica wahhabita.

Nell’autunno 1997 Bagauddin fu costretto ad abbandonare ilDagestan e a rifugiarsi ad Urus-Martan in Cecenia. Lo seguirono

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anche i suoi sostenitori. A poco a poco Urus-Martan divenne il cen-tro dell’Islam radicale del Caucaso settentrionale. Qui incominciò amaturare l’idea di jihad (col significato di guerra santa contro gli in-fedeli allo scopo di fondare uno stato islamico unito nel Caucasosettentrionale). Khattab organizzò alcuni campi di addestramentomilitare, dove ricevevano una preparazione per sabotaggi bellici so-prattutto i daghestani, ma anche i rappresentanti di altre repubblichemusulmane russe. I campi d’appoggio di Khattab si trovavano neldistretto di Ser§en-Jurt e presso il lago Kezenojam. Oggi i sosteni-tori dell’Islam radicale sono circa il 6-7 per cento della popolazionedaghestana. Parte dei radicali, soprattutto i giovani, si è trasferita inCecenia. Proprio tra i loro ranghi sono stati reclutati, in modo consi-derevole, i mujahidin che hanno invaso la regione di Botlich in Da-gestan l’8 agosto 1999.

Poiché l’Islam radicale è molto più politicizzato di quello tradi-zionale5, esso si è trasformato in un importante fattore politico didestabilizzazione non solo in Dagestan, ma anche nella vicina Ce-cenia. Negli ultimi anni i radicali hanno ricevuto un forte sostegnoda fonti musulmane internazionali. Dopo la primavera 1999 il Con-gresso dei popoli del Dagestan e della Cecenia, organizzazione fon-data nell’estate 1997, ha eletto ¿amil’ Basaev, amir dell’Armata diliberazione del Caucaso settentrionale e Khattab, suo vice.

A partire dalla fine di maggio 1999 e durante i successivi mesi digiugno e luglio, gli incidenti e gli scontri al confine daghestano-ce-ceno sono diventati quasi giornalieri. I radicali cominciarono a cer-carvi punti deboli per l’invasione del Dagestan. Alla fine un tal luo-go fu trovato: la regione di Botlich, dove parte della popolazioneàvara (dello storico villaggio di Technuual) aveva prestato assisten-za ai mujahidin che, nella prima metà di agosto 1999, avevano oc-cupato un gruppo di villaggi della regione di Botlich, proclamandola costituzione della repubblica islamica del Dagestan. Primo mini-stro del governo islamico fu eletto Sira§uddin Ramazanov, un àvarooriginario del villaggio di Kudali.

La maggior parte della popolazione della zona ha avuto un atteg-giamento ostile verso le forze d’invasione. Gli andi, che da lungo

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5 Vedi a questo riguardo la monografia molto interessante di Nazih Ayubi, Politi-cal Islam, London, Routledge, 1991.

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tempo erano in urto con i ceceni per la questione dei pascoli monta-ni estivi, non permisero ai mujahidin provenienti dalla Cecenia dipassare dal valico strategico di Charami6. I mujahidin non riusciro-no neanche a prendere il punto chiave di Botlich, situato nella re-gione di Andijskoe Kojsn. Il jihad da parte della Cecenia fu visto daquasi tutta la popolazione locale come un’evidente aggressione ce-cena, e contro di essa parteciparono non solo forze federali, ma an-che milizie locali. Le donne di Botlich nutrirono i soldati russi comefossero loro figli. Una cosa del genere non era mai successa né sa-rebbe mai potuta succedere durante la guerra in Cecenia. I mujahi-din furono sconfitti e dovettero ritirarsi.

Entusiasmate per il successo, le autorità federali e daghestaneorganizzarono una spedizione punitiva nei confronti degli abitantidei tre paesi di Karamachi, Æabanmachi e Kadar, dove era dislocatal’influente comunità dei radicali musulmani. Già nella primavera1998 gli abitanti locali avevano proclamato l’indipendenza del ter-ritorio islamico, nel quale la sharja vigeva in modo assoluto. Il 20agosto 1998 i centri di Karamachi e Æabanmachi erano stati visitatida Sergej Stepa¡in, allora ministro degli interni. Egli raggiunse unaccordo non scritto con gli abitanti, secondo il quale, essi avrebberopotuto vivere liberamente secondo le leggi della sharja a condizio-ne che osservassero regole di correttezza e cooperassero con le au-torità del Dagestan su tutte le altre questioni. In seguito a questo fat-to, la tensione si allentò e gli abitanti di Karamachi andaronoregolarmente a varie riunioni a MachaØkala. In questo modo l’ope-razione, incominciata nella notte tra il 28 e il 29 agosto 1999, di fat-to ruppe l’accordo precedentemente raggiunto dal potere federale.

Come risultato dell’assedio durato due settimane, i paesi di Kara-machi e Æabanmachi furono quasi completamente distrutti (il paesedi Kadar sofferse meno danni); una considerevole parte della popo-lazione morì, ma il nerbo dei difensori del paese, con a capo D§arul-la Rad§baddinov, evitò l’accerchiamento e fuggì nei boschi vicini.

All’inizio di settembre 1999, per aiutare gli abitanti di Karama-chi, Æabanmachi e Kadar, Basaev e Khattab invasero il distretto diNovolakskoe del Dagestan. Le loro formazioni si spostarono in for-

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6 Sugli andi vedi: Daghestan: selo Chu¡tada [Dagestan: il villaggio di Chu¡tada],Moskva, IV RAN, 1995, pagg. 86-87.

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ze sulle strade dalla parte di Chasav’jurt e furono fermate a soli 5chilometri dalla città. Se avessero fatto irruzione in Chasav’jurt, lasituazione in Dagestan avrebbe potuto diventare critica. In Cha-sav’jurt i mujahidin avrebbero potuto contare sull’appoggio dei ce-ceni-akkincy, rappresentanti più di un terzo della popolazione dellacittà. A giudicare da una serie di indizi, nelle formazioni armate,che avevano invaso il distretto di Novolakskoe, c’erano ancor piùceceni che tra quelle operanti nel distretto di Botlich. Come risulta-to, il tentativo di cominciare il jihad in Dagestan fu considerato daidaghestani un’aggressione organizzata da fazioni estremiste in Ce-cenia e proprio per questo le milizie locali aiutarono in tutti i modi ifederali a sconfiggere i mujahidin.

Come concetto l’idea di jihad o gazavat, come veniva chiamatageneralmente nel Caucaso settentrionale, non è estranea alla co-scienza daghestana. Essa è in particolar modo viva tra gli àvari, maanche tra i darghini, i laki, i ceceni-akkincy. Generalmente la gaza-vat era guidata dagli imam di tutta la nazione. Tutti i precedenticinque imam, il più conosciuto dei quali fu il famoso Imam ¿amil’,erano àvari. Per la coscienza àvara è impossibile ammettere che ilprossimo imam possa essere ceceno, mentre proprio questo preten-de in una certa misura l’amir ¿amil’ Basaev. Per la coscienza da-ghestana, la sua figura toglie all’idea di Imam ogni attrazione, piut-tosto che eroicizzarla. Inoltre, non solo i daghestani non vedonooggi alcun pretendente degno del ruolo di imam, ma in generalenon sentono la sua presenza come una necessità. Il quinto e ultimoimam negli anni della guerra civile in Russia fu Nad§mutdin Go-cinskij, considerato ai giorni nostri in Dagestan come grande stu-dioso e arabista. Fu fucilato nel 1923 a Rostov sul Don. Da allora èpassato molto tempo e i daghestani sono cambiati profondamente.A differenza dei ceceni, essi non hanno subito gli orrori della de-portazione. È difficile definire entusiasmante la strada spinosa ver-so la libertà della Cecenia. Unico territorio dell’ex Urss ad essersiautoproclamato stato islamico, la Cecenia non rispetta alcun cano-ne musulmano, neppure il meno severo. Io penso che proprio l’e-sperienza negativa dello stato ceceno negli anni 1997-99 abbia dis-solto molte illusioni sullo stato islamico presso una parte notevoledella popolazione.

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Conclusioni

Negli anni della guerra in Cecenia, dal 1994 al 1996, il Dage-stan è risultato separato dalla restante Russia e si è trasformato inun’enclave sui generis, stretta tra l’Azerbajd§an e la Cecenia inguerra, attraverso la quale passavano linee di comunicazione stra-dali, telefoniche e altre. In quegli anni i daghestani sentivano che ilcentro federale aveva semplicemente dimenticato la loro esistenza.Finita la guerra, i rapporti del Dagestan con la restante Russia sistanno adesso a poco a poco riprendendo; è stato costruito un trattodi 60 chilometri della ferrovia Karlan’jurt-Kizljar, che permette diorganizzare le comunicazioni ferroviarie sul percorso Mosca-Ma-chaØkala, aggirando la Cecenia.

Dopo la guerra è aumentata notevolmente l’importanza di Ma-chaØkala quale grande centro regionale economico e commerciale.Prima della guerra il ruolo guida nel transito delle merci era svoltodalla Georgia, il declino della quale ha in parte sostenuto la rinasci-ta di MachaØkala. La crisi dell’agosto 1998, naturalmente, toccò an-che il Dagestan, ma non più del resto della Russia. Nel complesso lasituazione economica nel Dagestan nell’ultimo anno non è peggio-rata in maniera considerevole e io penso che sia di gran lunga mi-gliore rispetto ad altre parti della Russia centrale. È vero che il bi-lancio non è in buone acque, come in altri posti, ma i daghestanivivono, prima di tutto, grazie all’economia nazionale, praticandol’agricoltura in possedimenti personali, il commercio, l’edilizia, iltrasporto privato, ecc.

Le azioni militari di agosto-settembre hanno mostrato a tutti idaghestani che, al di là dell’appartenenza alle varie etnie, essi han-no qualcosa da proteggere. La guerra con Basaev e Khattab ha uni-ficato la popolazione ed è diventata fattore di formazione della co-scienza nazionale.

Oggi la maggior parte dei daghestani vuole rimanere nella Fr,per questo ci sono importanti basi economiche, politiche e culturali.Come si svilupperanno le relazioni tra il Dagestan e la Fr dipendeper molti dal centro federale, dalla sua capacità di opporsi alle di-scriminazioni nei confronti delle «persone di nazionalità caucasica»e di lavorare negli interessi di tutti i soggetti della Federazione.

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1. Profilo storico

Di tutti i conflitti nati dalla disgregazione dell’Unione Sovietica– rivelatasi una grande tragedia storica – quello russo-ceceno è statoil più cruento, distruttivo e prolungato nel tempo. Il Terzo millenniosi è aperto in Russia all’insegna di un mutamento di leadership – ledimissioni di Boris El’cin e l’ascesa dell’«uomo nuovo» VladimirPutin – in relazione al quale quel conflitto ha avuto non poca parte.Percepita come crisi periferica ai suoi inizi, appena due mesi primadella fine ufficiale dell’Urss, la secessione cecena si è trasformataprogressivamente in un fatto di grande rilievo politico e strategico.

Due guerre, la seconda delle quali ancora in corso a metà dell’an-no 2000; un numero imprecisato di morti (oltre 80 mila) e di profughi(oltre 400 mila) con riduzione di quasi la metà della popolazione loca-le; distruzione totale sia di città e villaggi, a cominciare dalla capitaleGroznyj, sia degli impianti industriali e delle infrastrutture; una rovinaantropologica e ambientale irreversibile. Ecco il costo complessivo.

I motivi di un simile conflitto vanno sicuramente cercati nellacentralità geopolitica della Cecenia ai fini della permanenza o menodel Caucaso settentrionale nella Federazione russa (Fr), del control-lo russo o meno sull’intera area caucasica, che comprende anche letre repubbliche transcaucasiche (Georgia, Azerbajd§an, Armenia), esulle rotte del petrolio caspico e centro-asiatico.

Indubbiamente Mosca si è trovata nella necessità di spegnere il se-

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* L’autore ringrazia Fernando Orlandi per aver messo a sua disposizione il cospi-cuo archivio.

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paratismo ceceno per bloccare sul nascere tutte le possibili spinte cen-trifughe che un’incontrastata affermazione del primo avrebbe potutoprovocare nella Fr (per esempio, nell’area-cerniera del Volga, abitataprevalentemente da etnie musulmane). Sicuramente ha temuto la pos-sibile formazione nel Caucaso settentrionale di una nuova Federazio-ne dei «popoli della montagna» (gorcy), ad egemonia cecena, consbocchi sui due mari che delimitano il Caucaso, il Nero e il Caspio. Inquesto caso avrebbe perduto definitivamente il controllo sull’intera re-gione. Infine, non sono da trascurare le componenti esterne della crisicaucasica: da una parte l’interesse di paesi vicini (Turchia, Iran) e lon-tani (Usa) a indebolire il controllo e l’influenza dei russi sull’intera re-gione; dall’altra quello di alcuni paesi islamici a diffondere l’Islam ra-dicale (wahhabita) nel Caucaso. In quest’ultimo caso la Fr, che contaal suo interno una forte componente musulmana, rischierebbe di vedercrescere la pressione islamica lungo i confini di sudest, dal Caucasoall’Asia Centrale. Tuttavia, l’inaudita asprezza di quel conflitto si giu-stifica solo se si tiene conto della storia del Caucaso in generale e del-la Cecenia in particolare: dalla conquista russa alla dominazione so-vietica. La tragedia dell’attuale conflitto russo-ceceno si percepiscericostruendo, anche nelle grandi linee, la storia, poco conosciuta, deiceceni – attualmente poco più di mezzo milione di persone – e dellaloro terra. Questa copre un’area di circa 15 mila chilometri quadrati, èsituata nel versante settentrionale del Grande Caucaso ed è delimitataa nord dal territorio (kraj) di Stavropol’, a ovest dall’Inguscetia, a estdal Dagestan (tutti «soggetti» della Fr) e a sud dalla Georgia. I ceceni– nome dato loro dai russi, dall’aul o villaggio ÆeØen occupato nelXVIII secolo – si identificano come nachØo, dal nome della loro lin-gua nach, del gruppo caucasico. Il loro territorio è abitato sin dal pa-leolitico. Vi si trovano monumenti funebri dell’età del bronzo e reper-ti in ferro dell’età vicina che attestano i legami degli autoctoni con glisciti, con popoli della Transcaucasia e del Vicino Oriente1.

Dopo aver fatto parte del regno degli alani e subìto le invasionitataro-mongole nei secoli XII e XIII, i ceceni restano indipendenti

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1 Bol’aaja Sovetskaja Enciklopedija [Grande Enciclopedia Sovietica], vol. 29, Moskva,1978, voce ÆeØeno-ingu¡kaja avtonomnaja so.soc. respublika [Repubblica socialistasovietica autonoma ceceno-inguscia]; C. Lecœur, «Le Caucase, une très grande mon-tagne à la croisée des plaques», in Hérodote, Paris, aprile-giugno 1996, pagg. 25 sgg.

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fino al XIX. Non hanno mai conosciuto forme statali e hanno vissu-to in libere e distinte tejpy, tribù o clan, dalla struttura socioecono-mica ugualitaria. Fino all’epoca sovietica non hanno avuto linguascritta. Allevatori, hanno praticato l’agricoltura nelle aree pede-montane e un artigianato elementare.

Pagani, i ceceni furono debolmente cristianizzati nel secolo X damonaci ortodossi georgiani. Proveniente dal vicino Dagestan, l’I-slam si affermò nelle terre dei ceceni solo tra il XVI e XVIII secolo.

La penetrazione russa nel Caucaso inizia alla fine del secoloXVI, sotto il regno di Ivan IV «il Terribile» (1530-84), con l’espan-sione verso estsudest del regno moscovita. Il Caucaso è area di con-fine di due civiltà, quella russo cristiana e quella musulmana degliimperi persiano e ottomano. I popoli cristiani della regione hannosempre guardato all’«Impero del nord», russo e ortodosso, come alloro naturale protettore.

Nelle terre a nord e a sud del fiume Terek tra il XVI e XVII seco-lo, si installano i cosacchi (dal turco kazak, libero, errabondo): sonocontadini russi e ucraini che, sfuggiti alla servitù, penetrano nel NordCaucaso formandovi libere comunità. Con loro ci sono fuorilegge e,dalla seconda metà del secolo XVII, ortodossi vecchio-credenti per-seguitati. Provenienti dalle pianure meridionali russo-ucraine, dalDnepr al Don, i cosacchi si scontrano con il movimento migratorioopposto dei nachØo, i quali per motivi climatici si trasferivano dallemontagne verso le aree pedemontane: da qui, scontri armati ma an-che interrelazioni etno-socio-culturali tra i montanari e i cosacchi.

Al 1594 risale il primo scontro armato sulle rive del fiume Sulaktra gli indigeni e un corpo di spedizione russo, che accorre in Cau-caso chiamato in aiuto dal re georgiano Alessandro II di Kachetija. Irussi vengono sterminati. Nel 1604 viene respinta, con l’appoggioottomano, una seconda spedizione.

I russi si ripresentano nel Caucaso solo sul finire del regno diPietro il Grande (1690-1725): è con questo sovrano che la Russia siafferma come Impero che si espande sia verso l’area baltica, siaverso il Mar Nero e il Caspio, dove profitta dell’indebolimento del-l’Impero Persiano. Pietro vuole il controllo delle vie commercialiprovenienti dall’Oriente (India e Cina). Si spinge fino a Derbent e aBaku sul Caspio. Quando i russi cercano di conquistare il passo diDarjal, l’unico valico che permette di entrare nella Georgia e che si

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trova in terra cecena, devono fronteggiare una fortissima resistenzadei nachØo. È da questo valico che passa la «Grande strada militaregeorgiana», fondamentale per il passaggio nel Caucaso meridiona-le. Pietro I militarizza i cosacchi e le loro comunità, che diventanoavamposti dell’impero. L’espansione russa continua sotto CaterinaII (1762-96), che fonda le fortezze di Vladikavkaz e di Mozdok interra ossetina per il controllo della «Grande strada».

Nel Settecento l’Islam sunnita si radica nel Nord Caucaso graziealla penetrazione delle confraternite (tariqat) sufi Naqshbandiya diorigine buchariota e provenienti dall’Anatolia. I popoli cristiani dellaregione (ossetini, georgiani e armeni) moltiplicano gli appelli ai russi.

Tra il 1783 (trattato di Georgievsk) e il 1801, la Georgia diviene pri-ma protettorato e poi è annessa all’Impero Russo. È in questo periodoche ha luogo la prima grande rivolta dei montanari, segnatamente àvarie ceceni, contro i russi. Li guida lo shaykh U¡urma Mansur (il Vittorio-so), uomo dotato di grande carisma e cultura religiosa. È il jihad o guer-ra santa (gazavat in Nord Caucaso) contro gli «infedeli» russi. U¡urmavuole creare uno stato tra quelle popolazioni che non lo hanno mai avu-to, imporvi la legge islamica, la sharja, abolire il diritto consuetudinario,adat, bandire l’abigeato e la vendetta di sangue, pratiche comuni al paridella schiavizzazione di coloro che venivano catturati o rapiti. Nel 1785un reggimento russo capeggiato dal colonnello Pieri, dopo aver devasta-to l’aul di Aldy (un nome destinato a ritornare), cade in un’imboscata eviene massacrato. Grazie ad un’armata di oltre 10 mila uomini, in cui iceceni si distinguono come abilissimi cavalieri (d§igity) e infallibili tira-tori, sprezzanti della morte, capaci di muoversi con rapidità dai boschimontani alle pianure, il Mansur riesce a imporre il suo effimero dominiodalle coste del Dagestan fino all’Inguscetia e all’Adighezia (che conver-te all’Islam). Ostili al suo disegno teocratico, molte tribù lo abbandona-no. Sconfitto in battaglia nel 1791, catturato dai russi, il Mansur è chiu-so nella fortezza di Schlüsselburg, dove muore tre anni dopo2.

L’espansione imperiale procede con la conquista dell’Azer-bajd§an (1813) e dell’Armenia settentrionale (1828) a danno di per-

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2 A. Bennigsen, Narodnoe dvi§enie na Kavkaze v XVIII v. [Il movimento nazionalenel Caucaso nel XVIII secolo], MachaØkala, 1994. Cito l’edizione russa cortese-mente donatami dal prof. V. Gad§iev dell’Università di MachaØkala, che ne hascritto una pregevole prefazione.

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siani ed ottomani. Il controllo del Caucaso settentrionale diventa es-senziale per l’espansione e il consolidamento imperiale a sudest, perla protezione delle nuove frontiere meridionali dalla pressione degliimperi musulmani. Il territorio ceceno, il cui controllo è indispensa-bile per l’accesso alla Transcaucasia, viene punteggiato di fortezze elinee difensive, con insediamenti cosacchi e con nuovi coloni russi,cui sono destinate, tra le altre, le fertili terre pedemontane del Tereke del Sun§a. Per estendere e proteggere gli insediamenti russi e co-sacchi si devono spingere a sud le popolazioni indigene, segnata-mente quelle cecene, per confinarle nelle aree montane, meno fertili.

È il generale Aleksej Ermolov, governatore militare della Georgiae plenipotenziario per tutto il Caucaso che, durante il regno di Ales-sandro I (1801-25), elabora e attua la strategia secondo cui gli indoci-li ceceni devono essere affamati per essere più agevolmente sotto-messi. Tra i ceceni la sua memoria è ancora viva ed esecrata, mentre èesaltata dai russi. Aleksandr Pu¡kin è il primo a celebrarne le gesta3.

Sotto il comando di Ermolov e quello dei suoi immediati succes-sori in quella carica, vengono incendiati, saccheggiati, distrutti ungran numero di aul ceceni. Vengono uccisi anche bambini, donne evecchi, come nel massacro di Daj-Jurt (settembre 1819). Iniziano,con Ermolov, le prime deportazioni dei montanari. Del generale siricorda una celebre frase pronunciata al cospetto dello zar Alessan-dro I: «Maestà, voglio che più delle nostre fortezze sia la paura alsolo suono del mio nome a rendere le nostre frontiere più sicure [...]Non c’è stato sotto il sole un popolo più infido, criminale e malva-gio del popolo ceceno. Per questo ha meritato la sua sorte».

Si crea allora lo stereotipo del «perfido ceceno», suggerito anchein poemi di Pu¡kin e di Lermontov4.

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3 Cfr. A. Pu¡kin, Il prigioniero del Caucaso, epilogo, in Poemi e liriche, Torino, Ei-naudi, 1982, pagg. 125-26.4 Cito da A. Avtorchanov, Iz biografii moego naroda [Dalla biografia del mio popolo],in Memuary [Memorie], Frankfurt am Main, Posev, pag. 16. Per lo stereotipo del cece-no insidioso si veda il famoso Canto circasso contenuto ne Il prigioniero del Caucaso(«Non dormire cosacco: nella notturna tenebra | Al di là del fiume va il cecenzo»), in A.Pu¡kin, Il prigioniero del Caucaso cit., pagg. 125-26. Quel canto è ripreso ne I circassie in Ismail Bey, da Michajl Lermontov. Vedi Michajl Lermontov, Liriche e poemi, Tori-no, Einaudi, 1963, pagg. 258-345 («Selvagge sono le genti in quelle gole | Loro Dio è li-bertà, legge la guerra; | Crescono tra segreti esse misfatti | Ed opere crudeli e singolari»).

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I montanari rispondono con attacchi improvvisi e micidiali. Nel1825 vengono massacrati cento russi che presidiano la fortezza diAmir hadji Jurt e la ribellione dei ceceni e di altri popoli musulmanilimitrofi (àvari, darghini, lezghi, circassi, adygei, abchazi e altri) siespande sin dagli inizi del regno di Nicola I (1825-55), che imponeil dominio diretto russo sul Caucaso settentrionale con requisizionidi terre, riscossione di vari balzelli e disarmo delle popolazioni indi-gene, da sempre abituate a tenere armi. Così nei secondi anni Ventiscoppia una grande rivolta tra i montanari, che si trasforma in unaguerra dalla durata trentennale: la Guerra del Caucaso. La guida unàvaro, il leggendario Imam ¿amil’, originario di Gimri (Dagestan),dove era nato nel 1796. Straordinario cavaliere, con notevoli cono-scenze della dottrina islamica e dell’arabo, dotato di grande autoritàe carisma, vuole riprendere l’opera di U¡urma Mansur e creare unostato teocratico, l’emirato del Caucaso settentrionale, che unifichi aldi là delle differenze etniche i popoli montanari.

Tra gli anni Quaranta e il decennio successivo ¿amil’ riescenel suo intento. Crea un’amministrazione, che funziona tramite isuoi luogotenenti o naib. Essa impone per la prima volta un siste-ma di imposte, che comprendono la carità, prima dovuta alle mo-schee, e le ammende comminate a chi viola la sharja, fino al se-questro dei beni di chi commette tradimento e collabora con gliinfedeli. L’Imam arriva a raccogliere un’armata di 20-30 mila uo-mini di cui i ceceni sono il nerbo. Contro di lui i russi arriverannoa schierare nei secondi anni Cinquanta una forza di 250 mila uo-mini. La guerra di ¿amil’ è fatta di agguati, incursioni, ritirate neiboschi, feroci esecuzioni (taglio della testa) o cattura di soldati eufficiali russi trasformati in ostaggi da riscattare o in schiavi im-piegati nei lavori più duri e trattati come bestie. I ceceni sono piùabili e mobili di tutti gli altri combattenti, russi compresi. Questiultimi, però, finiscono per vincere grazie all’enorme superioritànumerica, nonché alla disponibilità di armi più potenti e moderne(fucili e cannoni a canna rigata, con mira più precisa).

I russi subirono pesanti sconfitte. Tra queste, la progressiva di-struzione del corpo di spedizione del governatore generale Voron-cov tagliato fuori alla fine degli anni Quaranta dalle linee di comu-nicazione e di approvvigionamento: morirono 3 generali, 195ufficiali, 4 mila tra sottufficiali e soldati. I ceceni si impadronirono

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di una grande quantità di armi. A loro volta, i russi applicarono lastrategia di Ermolov: taglio sistematico dei boschi, dove i guerri-glieri di ¿amil’ trovavano rifugio; incendi e saccheggi dei villaggi;uccisione e deportazione in Siberia dei combattenti catturati. Fu de-cisiva l’opera di divisione condotta abilmente dai russi tra le tejpycecene del nord e i naib ostili al centralismo di ¿amil. Tuttavia, lepopolazioni erano ormai stremate dalle perdite subite in guerra, dal-la fame e dall’enorme superiorità numerica russa nei secondi anniCinquanta5.

¿amil’, il cui esercito era ormai ridotto a poche centinaia di ca-valieri, fu catturato nel 1859 a Gunib nel Dagestan. Fu trattato daivincitori con gli onori riservati a un capo di stato. Dopo aver vissu-to in residenza sorvegliata a Kiev e a Kaluga, gli fu permesso di an-dare in pellegrinaggio alla Mecca e in Arabia morì nel 1872. Di luiscrissero con ammirazione Karl Marx (che lo definì «un grande de-mocratico») e lo scrittore e viaggiatore francese Alexandre Dumas6.

La guerra impoverì il Caucaso. Non consentì ai ceceni di svilup-pare un’economia agricola più avanzata nelle fertili aree pedemon-tane. In parte emigrarono o furono deportati in altre regioni dell’Im-pero. La maggioranza fu condannata di fatto a una regressione i cuieffetti si sarebbero fatti sentire a lungo. In generale, dal Caucasosettentrionale furono costretti ad emigrare nell’Impero Ottomano,impreparato ad accoglierli, circa 600 mila individui (ceceni, adyge-ti, circassi, cabardini, abchazi, ecc). Durante l’emigrazione decine edecine di migliaia morirono di fame, stenti, epidemie7.

Il fattore islamico unificante e l’influenza della Naqshbandiyafurono determinanti nella Guerra del Caucaso. Le devastazioni e latenace memoria della guerra di ¿amil’, passata nella leggenda, im-pedirono ai popoli del Caucaso settentrionale, specie ai ceceni, di

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5 Sulla resistenza di ¿amil’ e dei caucasici all’espansione russa, fondamentale è lostudio di M. Gammer, Muslim Resistance to the Tsar: Shamil and the Conquest ofChechnya and Dagestan, London, Frank Cass, 1994. Lev Tolstoj è il più efficace epuntuale testimone della guerra del Caucaso e del radicale antagonismo tra russi ecaucasici, soprattutto ceceni. Si vedano in particolare, I cosacchi (racconto delCaucaso) e Hadji Murat, in L. Tolstoj, Racconti, 3 voll., Torino, Einaudi, 1963, ri-spettivamente a pagg. 545 sgg. (I vol.) e 399 sgg. (III vol.).6 Cito da A. Avtorchanov, Iz biografii moego naroda, pagg. 31-32.7 Aa.Vv., Storia dell’impero ottomano, Lecce, Argo, 2000, pagg. 585-86.

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adattarsi al dominio dei russi e di subirne l’assimilazione. Nell’im-maginario russo, quella Guerra resterà strettamente associata all’af-fermazione del loro impero, cristiano e ortodosso, lungo la linea discontro tra due civiltà.

Nel periodo compreso tra il regno di Alessandro II (1855-81) equello di Nicola II (1894-1917) il Caucaso vive un periodo di relati-va stabilità. Le popolazioni locali godono di importanti diritti: pienalibertà religiosa; autogoverno negli aul attraverso i Consigli deglianziani; ricorso alla sharja nelle cause che insorgevano al loro in-terno. Con l’ingresso delle tariqat Qadiriya, originarie di Baghdad,l’Islam si arricchisce e si radica ancora più fortemente nel Caucaso,specie tra l’altra popolazione nachØo, i galgai o ingusci, che vivonoall’estremità occidentale della Cecenia8.

Ci sono rivolte anche in questo periodo di stabilità, ma hanno bre-vissima durata e vengono soffocate sul nascere. Solo nelle regionimontane si dispiega, con carattere di banditismo, la ribellione degliabrek, isolati fuorilegge che la tradizione locale apologetica trasfor-ma in eroi insofferenti del dominio dei russi e dei loro collaboratori.

In questo periodo ritornano dall’Impero Ottomano nelle loro ter-re un gran numero di ceceni. Si sviluppano centri urbani grazie al-l’immigrazione di russi, ucraini, ma anche di armeni ed ebrei (igeorgiani, invece, emigrano in massa nelle terre abchaze). Groznyj,la fortezza fondata ai tempi di Ermolov nel 1818, si trasforma incentro industriale, nodo ferroviario e viario dell’intero Caucaso, se-conda solo a Baku. Mentre in un gran numero di moschee e madra-sa (scuole superiori islamiche) si conserva l’Islam, forte fattoreidentitario della regione, nelle scuole russe si forma e si sviluppaun’intelligencija locale aperta alle influenze della cultura laica e so-cialista. La maggioranza dei ceceni, come quella degli altri popolidel Nord Caucaso, vive prevalentemente nelle zone di montagna,più arretrate e più tradizionali. Nella prima guerra mondiale com-

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8 Sulla comparsa e l’attività delle tariqat (il termine designa tanto l’esperienza spi-rituale del credente, quanto il gruppo in cui essa ha luogo) nel Caucaso, si veda: C.Lemercier Quelquejay, Les tariqat au Caucase du Nord, in Aa.Vv., Les ordres my-stiques dans l’Islam, Paris, Editions des hautes études en sciences sociales, 1986,pagg. 37 sgg. Sull’Islam in Urss si veda, A. Bennigsen, L’Islam parallelo, ivi, Ma-rietti, 1990; S. Salvi, La Mezzaluna con la Stella rossa, ivi, 1993.

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batte nell’esercito russo una divisione (detta dikaja, «selvaggia») dinord-caucasici, soprattutto ceceni.

2. Dopo la Rivoluzione d’ottobre

Anche nel Nord Caucaso, come nelle altre parti non russe del-l’Impero, la Rivoluzione di Febbraio (marzo) e ancor più quellabolscevica di Ottobre (novembre) del 1917 generano forti spinte au-tonomiste e indipendentiste. Gli intellettuali urbani locali danno vi-ta all’Alleanza dei popoli settentrionali, in cui hanno un ruolo di ri-lievo gli abchazi, ostili alla «georgianizzazione» del loro territorio.Dal loro Congresso prende forma ed è proclamata nel maggio 1918la «repubblica dei montanari», sovrana e indipendente. Le tariqat, aloro volta, danno vita a un movimento che riprende i programmiteocratici di ¿amil’: si forma nel 1919 l’emirato del Nord Caucaso,sotto la guida dell’Imam Gotso, o GoØinskij. Infine, i bolscevichi(prevalentemente russi) proclamano la «repubblica sovietica delTerek» con sede a Mozdok, Ossetia.

Nel Caucaso si sviluppano conflitti complessi: i temi essenzialidella Guerra civile (1918-21) si intrecciano con quelli dell’indipen-dentismo etnocratico. I «bianchi» commettono l’errore di volercombattere insieme a separatisti e bolscevichi. Più abili, i «rossi»fanno appello ai «lavoratori musulmani della Russia» perché «edifi-chino liberamente la loro vita nazionale». Il nuovo potere sovieticosi impegna a rispettare «le loro istituzioni, credenze e costumi che ilsuccesso della Rivoluzione avrebbe garantito». Nonostante questo,entrato nel Nord Caucaso nel 1920, l’esercito «rosso» (compostoprevalentemente di russi, ossetini e georgiani) aveva esasperato lepopolazioni locali con misure ispirate al comunismo di guerra (re-quisizione di prodotti agricoli) e limitative delle libertà religiose.

Trenta mila soldati «rossi», dotati di armi automatiche, aerei,blindati, affrontano un’armata di dieci mila uomini composta preva-lentemente di àvari e ceceni guidata dall’Imam Gotso. Nonostantele forze soverchianti, i «rossi» subiscono forti perdite9. Nel gennaio

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9 J. Dunlop, Russia confronts Chechnya, Cambridge, Cambridge University Press,1998, pag. 36.

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1921 Josif Stalin, allora commissario alle nazionalità, impone un’a-bile svolta tattica per spegnere il pericoloso focolaio nordcaucasico:si rivolge ai popoli montanari promettendo l’amnistia per tutti icombattenti, la piena libertà di culto e persino la libera applicazionedella sharja. Ma la mossa più importante è la concessione ai cecenidelle terre dei cosacchi nordcaucasici, colpevoli di essersi schieraticon i «bianchi» del generale Denikin contro il nuovo potere bolsce-vico, e la formazione di una «repubblica sovietica dei montanari»comprendente i territori di Cecenia, Inguscetia, Ossetia, Kabarda,Balcaria, KaraØaia e Circassia. Il multietnico Dagestan è repubblicaautonoma a sé. Le lingue locali avranno caratteri arabi. I gorcy mu-sulmani accettano le condizioni di Stalin e per tre anni godono deidiritti ottenuti cessando le ostilità contro i «rossi»10.

Tuttavia, dopo aver separato la Cecenia da quella repubblica(1922), i bolscevichi consolidano il loro potere nell’intero Caucaso(dove hanno nel frattempo posto fine al separatismo di azeri, arme-ni e georgiani). Procedono al sequestro delle armi dei ceceni, occu-pano il loro territorio con un corpo di 7 mila soldati e 400 agentidella polizia politica (Ogpu), arrestano i capi, già amnistiati, dellarivolta del 1920-21. Le concessioni fatte da Stalin sono abrogate.Minacciano di distruggere gli aul che rifiutino di consegnare i ri-voltosi del 1921. I caratteri arabi sono aboliti e sostituiti con quellilatini.

Tra la fine degli anni Venti e il decennio successivo Groznyj sisviluppa come centro petrolifero, con popolazione, quadri e operaiprevalentemente russi. La collettivizzazione decretata dal gruppodirigente staliniano nel 1929 ha inizio nel Nord Caucaso. La deku-lakizzazione in Cecenia non ha senso, date le strutture comunitarietradizionali. La rivolta, nel corso della quale si rivendica il ripristi-no dei diritti concessi da Stalin nel 1921, è immediata e divampa neidistretti di ¿ali e Benoj. L’esercito è incaricato di una dura repres-sione. Nel 1932 si ricorre all’artiglieria pesante e agli aerei. Moltemigliaia gli arresti, le esecuzioni sommarie, le deportazioni. Solonel 1938 la collettivizzazione può dirsi conclusa nella nuova repub-

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10 Sulla Guerra civile nel Nord Caucaso si veda A. Avtorchanov, The Chechen andIngush During the Soviet Period and its Antecedents, in M. Bennigsen-Broxup (acura di), The North Caucasus Barrier, New York, St. Martin Press, 1992.

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blica autonoma che mette insieme ingusci e ceceni (1936). L’entra-ta nei kolchozy e sovchozy maschera la sopravvivenza diffusa delleproprietà familiari. I caratteri latini sono sostituiti da quelli cirillici.Il Grande Terrore staliniano falcidia l’intelligencija e i quadri co-munisti della Ceceno-Inguscetia. Gli arresti sono accompagnati dadeportazioni nel Grande Nord e in Kazachstan e da un gran numerodi esecuzioni capitali. Nel 1937 i ceceni e gli ingusci che abitano laloro repubblica autonoma sono 435.922. Nel 1939, finite le grandipurghe se ne contano 400.344. Nel 1940 una ribellione divampa neldistretto di ¿atoj, capeggiata da un giornalista, Hasan Israilov, pro-veniente dalle fila del Pc11.

Iniziata la Seconda guerra mondiale, l’esercito tedesco non tardaad arrivare nelle vicine KaraØaia e Kabarda, e ad issare la bandieracon la svastica sulle vette dell’Elbruz. Non pochi caucasici entranonella Legione caucasica che gli hitleriani hanno formato, arruolandoprigionieri di guerra di quella regione. Nel 1942 scoppia in Ceceniala rivolta di Mairbek ¿aripov. I tedeschi, tuttavia, non entrano mai inCeceno-Inguscetia, mentre sono 17 mila i volontari ceceni e ingusciarruolati nell’Armata Rossa, molti dei quali ottengono decorazioni.

3. La deportazione

Nell’autunno 1943 il ministro di polizia Lavrentij Berija (geor-giano) e i suoi assistenti Merkulov, Kabulov e Serov (quest’ultimotra i protagonisti dell’intervento sovietico in Ungheria nel 1956) de-cidono, d’intesa con Stalin, l’«Operazione lenticchia» (in russoØeØevica, assonanza con Cecenia). Essa prevede la deportazione inKazachstan e Asia Centrale dell’intera popolazione ceceno-ingu-scia: oltre 400 mila persone. Vengono punite per «tradimento dellapatria» intere popolazioni, solo perché alcune loro minoranze hannocollaborato con i tedeschi. Il che non è vero per i ceceni e gli ingu-

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11 A. Avtorchanov, The Chechen cit., pagg. 157 sgg; N. Bugai, «The Truth aboutthe Deportation of the Chechen and Ingush Peoples», in Soviet Studies in History,Fall, 1991, pagg. 68 sgg.; A. NekriØ, Popoli deportati, Milano, Casa di Matriona,1978, pagg. 58 sgg.; O. Chlevnjuk, Stalin e la società sovietica negli anni del Ter-rore, Perugia, Guerra, pag. 32.

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sci, nel cui territorio l’esercito tedesco non era arrivato. Una mo-struosità giuridica. In realtà è un pretesto o per punire la resistenzaalla collettivizzazione o per allontanare da regioni di confine etniegiudicate inaffidabili. Negli anni Trenta erano stati deportati su va-sta scala i kulaki durante la collettivizzazione, alcuni popoli nonrussi di regioni di confine (polacchi, coreani, finnici) e i tedeschidel Volga al momento dell’invasione tedesca12.

L’«Operazione lenticchia» scatta il 23 febbraio 1944, giornodella celebrazione del XXVI anniversario della fondazione dell’Ar-mata Rossa. Radunati in punti prestabiliti delle città e dei villaggi,ceceni e ingusci sono avviati verso i più vicini centri ferroviari, do-po che è stato letto loro il decreto di «trasferimento» del Soviet su-premo. Sono stati organizzati 180 convogli con migliaia di vagonibestiame e merci per deportare 459.486 persone – di cui il 40 percento bambini – in Kazachstan e Asia Centrale13. L’operazione in-contra resistenza nelle aree montane dove circa 2000 tra ceceni e in-gusci sfuggono alla deportazione. Sono stati mobilitati 19 mila ope-rativniki dell’Nkvd, centinaia di camion Studebaker donati dagliUsa all’Urss per i bisogni di guerra, 9000 quadri comunisti locali edelle repubbliche e regioni limitrofe (Nord Ossetia e Dagestan).Nell’aul montano di Khaibakh, 700 persone sono bruciate vive perordine di un colonnello dell’Nkvd, Gvi¡ani14. Centinaia di aul sonodistrutti. I pochi che riescono a sfuggire alla deportazione danno vi-ta a un movimento di resistenza che, guidato dallo shajkh naqshban-di Kurei¡ Belgoroev, sarà domato solo tre anni dopo.

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12 A. NekriØ, Popoli deportati cit., pag. 73; J.-J. Marie, Les peuples déportés d’U-nion Soviétique, Paris, Ed. Complexe, pagg. 71 sgg. Sulle deportazioni in Urss pri-ma dello scoppio della Seconda guerra mondiale, J.-J. Marie, Les peuples déportésd’Union Soviétique cit., pagg. 21 sgg.13 Sulle deportazioni in Asia centrale e Kazachstan, si veda J.-J. Marie, Les peuplesdéportés d’Union Soviétique cit., pagg. 82-83. Documenti inediti relativi alla poli-tica di Stalin nel Nord Caucaso dal 1939 alla deportazione del 1944, sono apparsiin Nezavisimaja Gazeta, Osobaja Papka, ÆeØnja-2000 [Fascicolo speciale, Cece-nia 2000], 29 febbraio 2000, con il titolo «Dokumenty iz archiva Iosifa Stalina»[Documenti dall’archivio di Iosif Stalin]. Una rievocazione della deportazione èapparsa su Le Monde del 27-28 febbraio 2000: M. Jégo, «Théchènes et ingouchessur le chemin de l’exile».14 L’episodio è riferito in A. Lieven, Chechnya: The Tombstone of Russian Power,New Haven - London, Yale University Press, 1998, pag. 319.

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Stipati nei vagoni, senza luce, né servizi igienici, né assistenzasanitaria, né cibo, né acqua, migliaia di deportati muoiono di inediae di tifo, soprattutto vecchi e bambini. Durante le soste, i cadaverisono gettati lungo i binari e bruciati. Nei luoghi di destinazione nonè stata organizzata l’accoglienza. L’80 per cento dei nuovi arrivatiin Kazachstan è destinato alle fattorie collettive. Le condizioni sonomiserabili. In Kazachstan la «denomadizzazione» degli anni Trentaha provocato una decina d’anni prima un milione e mezzo di morti(la Grande Fame), e una penuria generale15.

Privi di diritti civili, miserabilmente alloggiati, sottoposti a pe-santi misure restrittive, malvisti dalla popolazione locale, i ceceniresistono rifiutando di eseguire i piani di lavoro fissati dalle auto-rità. Sono le tariqat all’origine della conservazione dell’Islam tra lepopolazioni in Asia Centrale e Kazachstan16. Un decreto del Sovietsupremo, intanto, ha abolito la repubblica autonoma ceceno-ingu-scia. I suoi distretti vengono assegnati in parte al territorio di Sta-vropol’, in parte al Dagestan, all’Ossetia settentrionale e alla Geor-gia. Groznyj costituisce una grande regione (oblast’) della Rsfsr, ilcui ripopolamento, necessario soprattutto all’industria petrolifera,avviene grazie all’immigrazione dei russi degli Urali e delle regionicentrali, e di ucraini. Negli altri distretti emigrano daghestani e nord-ossetini.

Secondo i calcoli dello storico Nikolaj Bugaj muoiono in Kaza-chstan circa il 23 per cento dei ceceni, poco meno di 100 mila per-sone. Confrontate le cifre dei censimenti compiuti tra il 1939 e il1970, il noto etnologo e specialista del Caucaso Valerij Ti¡kov af-ferma che le perdite indirette della crescita naturale provocate dalladeportazione ammontano a 200 mila unità. A identiche conclusioniarrivano gli storici Aleksandr NekriØ e Robert Conquest17.

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15 Z. Abylchozhin, Collectivisation, famine and ending of nomadism in Kazakhstan1929-1935, relazione presentata al Seminario internazionale di Cortona su «War,famine and forced migrations: social engineering and collective violence in today’sworld», Fondazione Feltrinelli, Cortona, 25-27 maggio 2000 (di prossima pubbli-cazione).16 A. Bennigsen, in C. Lemercier Quelquejay, Les tariqat au Caucase du Nord cit.,pagg. 198 sgg.17 J. Dunlop ha sintetizzato efficacemente i dati degli storici citati. Vedi Russiaconfronts Chechnya cit., pagg. 70-71.

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4. Dopo la morte di Stalin

Solo dopo la morte di Stalin (marzo 1953) si attenuano le restri-zioni nei confronti dei «Popoli repressi» per incoraggiarne la per-manenza nei territori di «trasferimento». Al XX Congresso del Pcus(1956), il segretario generale del Pcus Nikita Chru¡Øev condanna ledeportazioni etniche come «violazioni della legalità socialista». Ne-gli anni Cinquanta prima clandestinamente, poi legalmente, granparte di ceceni e ingusci ritornano nei loro territori. La loro repub-blica viene ripristinata con un decreto del gennaio 1957. Il territo-rio, però, è ridisegnato in modo che la percentuale delle due etniesia inferiore (17 per cento) a quella che risultava (58 per cento) nelcensimento del 1939. Alla ricostituita repubblica, infatti, vengonoannessi tre distretti a maggioranza russa del kraj di Stavropol’,mentre a quest’ultimo vengono annessi due distretti ceceni. Kizljare quattro distretti (rajony) ceceni, degli otto che erano stati annessial Dagestan nel 1944, non ritornano alla Ceceno-Inguscezia, cuiviene trasferito il distretto petrolifero di Malgobek, tolto all’Ossetiasettentrionale, compensata a sua volta con il distretto inguscio diPrigorodnyj. È un divide et impera che contribuirà a sviluppare i fu-turi conflitti nella regione del Caucaso settentrionale dopo la disso-luzione dell’Urss18.

Il ritorno dei ceceni e degli ingusci provoca negli ultimi anniCinquanta forti tensioni etniche e la partenza di circa 30 mila trarussi e russofoni. Nel quadro della campagna ateista e antireligiosadi Chru¡Øev vengono chiusi luoghi santi e moschee. Sono persegui-tate le tariqat con arresti e processi di mullah e di attivisti musulma-ni. A questo va aggiunto che le precedenti persecuzioni e le deporta-zioni avevano creato un vuoto considerevole nell’intelligencija e diconseguenza un grave regresso socioculturale. Al momento del ri-torno, esiguo è il numero di specialisti, quadri e insegnanti ceceni19.

Tuttavia, negli anni Sessanta e Settanta, la Cecenia conosce un

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18 J. Dunlop, Russia confronts Chechnya cit., pagg. 73-74; S. Salvi, La Mezzalunae la Stella rossa cit., pagg. 264 sgg.19 Sulle persecuzioni contro i musulmani in epoca chruscioviana e più in generalesotto il regime sovietico si veda A. Bennigsen, in C. Lemercier Quelquejay, Les ta-riquat au Caucase du Nord cit., pagg. 25 sgg.

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importante sviluppo del settore petrolifero e delle attività ad essoconnesse (industriali, di specializzazione, infrastrutturali). La ma-nodopera prevalente resta, tuttavia, non locale, mentre il 70 per cen-to della popolazione, cecena, vive nelle aree agricole e montane e faregistrare un alto tasso di natalità, formando una massa consistentedi disoccupati, privi di qualsiasi qualifica professionale. Si affermaun potere politico, amministrativo ed economico che a Groznyj sispartiscono russi, russofoni ed élite locali appartenenti soprattuttoalle tejpy e consorterie filorusse delle regioni settentrionali (distret-to NadtereØnyj) o da esse originarie. Tra questi, il primo segretariodel Pc ceceno, l’ingegnere agrario Doku Zavgaev e l’ingegnere pe-trolchimico e ministro del petrolio dell’Urss Salambek Chad§iev,personalità di grande spicco negli anni Ottanta e Novanta.

Cresce, intanto, l’importanza della città di Groznyj, divenutacentro petrolifero di rilievo sovietico. Tuttavia, la crescita demogra-fica aumenta le tensioni sociali e genera un’ondata emigratoria didecine di migliaia di giovani ceceni verso Mosca, la Siberia, ilGrande Nord e l’Asia Centrale, dove in molti casi danno vita ad at-tività e reti criminali. Le autorità denunciano il «nazionalismo bor-ghese» e l’aumento delle «attività reazionarie» delle confraterniteislamiche sempre più attive. Le condizioni di reddito e sociali (sa-nità, istruzione, impiego) sono tra le più basse dell’Urss, mentre so-no alti gli indici di mortalità infantile tra i ceceni20.

Nei secondi anni Ottanta, la glasnost’ gorbacioviana permettealle giovani generazioni di scoprire il tragico passato della loro ter-ra. Nascono associazioni culturali e gruppi informali. All’internodel Pc ceceno si comincia a parlare della «comune tragedia». Nel1989 viene eletto come primo segretario del Pc della repubblica unceceno, Doku Zavgaev, che entrerà anche nel Cc del Pcus: la primavolta nella storia di quella repubblica sovietica. Nasce un partitonazionalista ceceno, Bart (Unità), per iniziativa di un giovane scrit-tore e poeta, Zelimchan Jandarbiev, tra i protagonisti del futuro se-paratismo21.

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20 J. Dunlop, Russia confronts Chechnya cit., pagg. 85 sgg.21 Sulla nascita dei movimenti politici e separatisti in Cecenia e sui loro capi alla fi-ne dell’epoca gorbacioviana, si veda A. Lieven, Chechnya: The Tombstone of Rus-sian Power cit., pagg. 56 sgg.

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Alla fine degli anni Ottanta, la lotta per il potere a Mosca si in-treccia con la pressione dei ceceni per una forte autonomia, eserci-tata anche dai quadri dirigenti del Pc. Si invocano la piena libertàreligiosa e il ripristino degli organi di potere tradizionali. Infine, igruppi che fanno capo a Bart arrivano a rivendicare l’indipendenza,né più né meno di quanto avviene nelle repubbliche non russe del-l’Urss, dal Baltico alla Transcaucasia.

Questa radicalizzazione è stata favorita da fattori esterni: unalegge della Rsfsr che riabilita i «popoli repressi»; la sollecitazionerivolta da Boris El’cin (nel giugno 1991 è eletto presidente dellaRsfsr: in Cecenia riceve l’80 per cento dei voti) alle repubbliche au-tonome, perché «si prendano tutti i diritti di sovranità che possonodigerire»; le forti tensioni etnico-politiche e i processi separatistiche si diffondono in tutto il Caucaso22.

5. La fine dell’Urss e l’inizio del separatismo: D§ochar Dudaev

Tuttavia, tra la fine del 1990 e il maggio 1991, in Cecenia si af-ferma come leader carismatico dei separatisti D§ochar Dudaev, na-to a Pervomajskoe, Cecenia, un mese prima della deportazione del-la sua gente. Ha una bella carriera militare alle spalle che lo haportato ai gradi di generale d’aviazione (ha combattuto tra l’altro inAfghanistan, ricevendo decorazioni) e all’incarico di comandante diuna squadriglia di bombardieri nucleari con base a Tartu, Estonia.Ambizioso, dotato di buone capacità oratorie, è il ceceno con il piùalto grado nell’Armata Rossa, da cui si dimette per sposare la causaseparatista, influenzato dal più giovane e colto Jandarbiev che lomette in contatto con gli islamisti ceceni.

Dopo aver riunito dirigenti e militanti del nuovo movimento se-paratista chiamato Congresso del popolo ceceno, Dudaev nominauna sorta di governo provvisorio e indice le elezioni per la fine diottobre, in sfida al Soviet della repubblica ceceno-inguscia guidatoda Doku Zavgaev. Si crea una forma di doppio potere.

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22 Sui processi e i conflitti separatisti nel Caucaso si veda P. Sinatti, «Nel nome delpetrolio», in Sapere, ottobre 1995.

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Nell’evolversi della situazione interviene e acquista un’impor-tanza decisiva il tentato colpo di stato a Mosca dell’agosto 1991. Idirigenti comunisti ceceni hanno una posizione ambigua e Zavgaevsembra vicino ai golpisti, mentre Dudaev e Jandarbiev si schieranocon El’cin e i «democratici» di Mosca. Profittano della situazioneper delegittimare le istituzioni ufficiali cecene, il Pc, mettere sottocontrollo le basi militari e le comunicazioni. Rispondendo agli ap-pelli di Dudaev, migliaia di giovani (per lo più disoccupati) calanodagli aul tra la fine di agosto e settembre e sono arruolati nellaGuardia repubblicana cecena, che intanto Dudaev ha creato e chealla fine di novembre sarà forte di circa 50 mila uomini. Nelle suefila, la Guardia accoglie anche criminali evasi e amnistiati da Du-daev dopo la sua elezione a presidente della Cecenia, avvenuta conle elezioni del 27 ottobre che eleggono anche un parlamento, ma sisvolgono nella totale illegalità23.

La Guardia nazionale è armata, in un primo momento, grazie al-le armi conquistate senza incontrare alcuna resistenza durante l’oc-cupazione della sede del Kgb di Groznyj il 6 settembre. Nello stes-so tempo i separatisti occupano la sede del Soviet supremo (ilprimo segretario del Pc della capitale cecena KuØenko viene getta-to da una finestra e muore). L’atteggiamento di Mosca è ambiguo.Il gruppo eltsiniano non sostiene i quadri dirigenti del Pc locale,colpevoli di non essersi schierati contro i golpisti di agosto. Questirifiutano di proclamare lo stato d’emergenza in settembre-ottobrecome aveva chiesto Doku Zavgaev. Puntano piuttosto su una lea-dership nuova: quella del tecnocrate Salambek Chad§iev. Tuttavia,la legittimazione che Dudaev riceve dal voto popolare (85 per cen-to) e la conquista della maggioranza parlamentare da parte dei se-paratisti, finiscono con il radicalizzare lo scontro tra Mosca eGroznyj. Il primo novembre Dudaev proclama l’indipendenza del-la Cecenia, mentre la parte inguscia della repubblica si orienta perun distacco pacifico e consensuale da Groznyj. Si pronunciano peruna linea dura il vicepresidente russo Aleksandr Ruckoj (il primo ausare la parola banditi riferendosi ai separatisti) e il presidente del

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23 Su Dudaev e la sua ascesa, si veda A. Lieven, Chechnya: The Tombstone of Rus-sian Power cit., pagg. 65 sgg.

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Congresso dei deputati del popolo della Rsfsr Ruslan Chasbulatov,un autorevole giurista ed economista ceceno. Il Congresso russodichiara le elezioni illegali, non riconosce l’indipendenza cecena(mentre, invece, aveva riconosciuto quella dichiarata dalle repub-bliche federate). Il 7 novembre El’cin introduce lo stato d’emer-genza nella repubblica ceceno-inguscia, che però viene annullatosolo quattro giorni dopo, mentre El’cin sparisce di scena come hafatto e farà spesso nei momenti critici.

La Russia subisce un’umiliazione che darà maggior forza e cre-dibilità a Dudaev: tra l’8 e il 9 novembre, truppe del ministero rus-so degli interni (Mvd) atterrate all’aeroporto di Chankala pressoGroznyj vengono circondate e disarmate senza combattere da so-verchianti forze cecene. Gli aerei sovietici che avrebbero dovutoportare armi pesanti e soccorso ai soldati dell’Mvd sono bloccatidal presidente sovietico Michail GorbaØev per diversi motivi: evi-tare un nuovo bagno di sangue nel Caucaso e al tempo stesso con-trastare El’cin e affermare l’ormai inesistente potere dell’Urss sullaRussia. Intanto, il 9 novembre, un giovane ventiseienne, ¿amil’Basaev, venditore di computer e militante separatista, assieme a trecomplici dirotta ad Ankara un aereo dell’Aeroflot. L’aereo viene ri-consegnato a Mosca dalle autorità turche che considerano l’azioneterroristica «un atto di protesta»24. Alla fine di novembre gli inguscisi separano dalla Cecenia per restare nella Rsfsr. E già si manifesta-no le prime divergenze all’interno dei separatisti: un’influente per-sonalità del distretto settentrionale di NadtereØnyj, Umar Avtorcha-nov, tra gli iniziatori del processo separatista, non riconoscel’autorità del neopresidente Dudaev e costituisce un Consiglioprovvisorio per l’amministrazione autonoma di quel distretto.

Si apre così, sul finire del 1991, sullo sfondo della fine del-l’Urss, la prima fase della Cecenia indipendente, che dura fino all’i-nizio del primo conflitto russo-ceceno, tre anni dopo. Essa è caratte-rizzata da forti contrasti interni che accompagnano l’affermazionedel potere personale di Dudaev; dal crollo dell’economia legale edall’affermazione di quella criminale. La politica del neopresidenteè segnata da avventurismo e velleitarismo, quella di Mosca dall’as-

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24 S. Smith, Allah’s Mountains, London - New York, I. B. Tauris, pag. 127.

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senza di una linea e di una condotta coerenti verso la Cecenia, comeverso l’intero Caucaso. Del resto, il gruppo dirigente eltsiniano de-ve affrontare due gravi crisi: economica e istituzionale, con lo scon-tro tra il Presidente e il Congresso dei deputati del popolo.

Dudaev ha disegni ambiziosi: vuol fare della Cecenia «un Kuwaitcaucasico» grazie alle sue riserve petrolifere, ai grandi impianti diraffinazione e agli oleodotti; vagheggia un acquedotto che forniscala penisola arabica dell’acqua del Caucaso. Tuttavia, il suo progettopolitico principe è la creazione di una Confederazione caucasica adegemonia cecena, in grado di dare al suo Paese uno sbocco al MarNero e al Mar Caspio, favorendo la separazione dalla Russia dellerepubbliche del Nord Caucaso. Al tempo stesso, vuole ripristinare iConsigli degli anziani e dare alla società cecena alcuni caratteri distato islamico25. All’influenza delle tariqat tradizionali, specie dellaQadiriya, manifesta durante le più importanti manifestazioni di so-stegno a Dudaev e all’indipendenza, nella pratica dello zikr, danzarituale circolare ed estatica, ritmata sulla iterazione del nome di Al-lah e della «professione di fede», si aggiunge quella del wahhabi-smo, corrente dell’Islam radicale di origine saudita, arrivata nel Cau-caso sul finire degli anni Ottanta, quando è Riad a finanziare laricostruzione di moschee e scuole islamiche, la distribuzione gratuitadel Corano e di testi per lo studio dell’arabo, i pellegrinaggi allaMecca tra i musulmani dell’Urss. Il wahhabismo si rafforzerà in Ce-cenia nei tardi anni Novanta, per le disponibilità finanziarie e la pre-senza tra i combattenti separatisti di volontari provenienti dall’Af-ghanistan e da paesi arabi26.

All’interno della costruzione di uno stato etnocentrico, l’Islamacquista un forte valore identitario e Dudaev, quando proclamerànel 1994 la repubblica di IØkerija (nome di due distretti montani delSud ceceno, tradizionalmente antirusso), deciderà di introdurre, co-me un secolo e mezzo prima aveva fatto ¿amil’, la sharja. La ten-denza di Dudaev verso una presidenza forte, comune a tutte le re-

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25 J. Dunlop, Russia confronts Chechnya cit., pagg. 124 sgg.26 Questa tendenza radicale dell’Islam è così chiamata dal nome del suo fondatoreMuhammad ben Abdil Wahhab (1703-92). Postula l’interpretazione letterale delCorano e l’applicazione rigida della Legge (sharja). Estranea al Caucaso e all’Asiacentrale fino alla fine degli anni Ottanta.

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pubbliche postsovietiche, Russia compresa, si scontra con la vo-lontà del Parlamento eletto nell’ottobre 1991 a limitarne il potere.Inoltre, la società tradizionale che Dudaev vuole ricreare è organiz-zata storicamente per linee orizzontali, paritarie, secondo i rapportitra le diverse tejpy o clan27.

La formazione di uno stato etnocentrico, fondamentalmente an-tirusso, provoca l’uscita dalla Cecenia di oltre 250 mila persone trail 1992 e il 1994. Nella grande maggioranza si tratta di russi e rus-sofoni. Questo comporta la perdita di quadri amministrativi, tecni-co-manageriali, operai, addetti ai servizi sociali (sanità, istruzione),già carenti precedentemente. Si consuma la rottura tra il regime diDudaev e le élite locali formatesi in era sovietica: una parte lascia ilPaese, un’altra passa all’opposizione.

Da qui il crollo dei settori industriali, a cominciare da quello delpetrolio. Dei 1500 pozzi attivi nel 1990, quattro anni dopo se necontano solo cento. La produzione di petrolio ceceno, che negli an-ni Ottanta si attestava sui 3-4 milioni di tonnellate annue, e la raffi-nazione, attorno ai 12 milioni di tonnellate di greggio provenientedalla Russia e da altre repubbliche ex sovietiche, sono pressoché az-zerate. Declina l’agricoltura, con tassi negativi superiori a quelli giàalti della Russia. Se a questo si aggiungono gli effetti del bloccoeconomico imposto, ma in modo tutt’altro che totale, da Mosca, el’isolamento della Cecenia nel Caucaso e più in generale nell’exUrss e nei rapporti internazionali (Dudaev contava irrealisticamentesull’appoggio di Ankara contro Mosca), si capiscono le ragioni delcompleto tracollo dell’economia legale e il parallelo sviluppo diquella criminale. Essa si sviluppa sul terreno di un «sommerso» (ocome dicono i russi, «economia dell’ombra») già ampiamente dif-fuso tra i ceceni, come nell’intera area caucasica, in epoca sovietica.

Si sviluppa il furto su grande e piccola scala del petrolio «sifo-nato» dagli oleodotti che collegano la Russia al centro petroliferodi Baku e che avevano al loro centro Groznyj. Si pratica il contrab-bando sia di grandi quantitativi di greggio russo che continuanostranamente ad affluire a Groznyj, sia di altri prodotti – dai compu-

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27 Per un’interpretazione e conoscenza delle tejpy nella Cecenia di oggi si veda I.Zadvornov e A. Khalmuchamedov, «Posle pobedy» [Dopo la vittoria], in Nezavisi-maja Gazeta, Osobaja Papka cit.

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ter alle armi che in Cecenia vengono liberamente vendute ai merca-ti di città e villaggi. Si traffica droga proveniente dall’Asia Centralevia Baku. Si fabbricano in Cecenia e si spacciano in Russia grandiquantitativi di rubli, dollari, effetti bancari e titoli falsi. L’aeroportodi Groznyj diviene la base per voli non registrati (più di cento almese) di aerei di compagnie russe, di quella cecena e privati. Si di-rottano in Cecenia aerei di linea russi dell’area ciscaucasica a finiestorsivi. I pirati dell’aria trovano rifugio in Cecenia, da dove Du-daev si guarda bene dall’estradarli in Russia. Non si contano gli as-salti ai treni e ai camion in transito dalla Russia alla Transcaucasia,lungo la «Grande strada militare georgiana»28. Infine, la piaga terri-bile dei sequestri di persona, commessi da bande cecene, in Cece-nia e nei territori confinanti, a scopo estorsivo. La corruzione toccai livelli più alti, fino alla stessa cerchia di Dudaev, come è costrettoa riconoscere il suo braccio destro Jandarbiev29.

La Cecenia si trasforma, sotto la presidenza Dudaev, in uno«stato criminale». Tuttavia, non si deve dimenticare che un fortissi-mo incremento della criminalità economica si registra in tutta laRussia postsovietica. L’evoluzione criminale della Cecenia ha radi-ci profonde – ad esempio, la pratica del banditismo, delle rapine edegli ostaggi è documentata sin dai primi dell’Ottocento30. Nel pe-riodo seguente trae alimento dalla disgregazione socioeconomica edalla caduta di valori e rapporti tradizionali iniziate nel periodo so-vietico. Un apporto notevole le è dato dall’attivo concorso di fun-zionari dello Stato russo a tutti i livelli, di circoli e uomini d’affarirussi del settore petrolifero e finanziario. Gli atti di una Commissio-ne della Duma, incaricata di indagare sulle responsabilità dei verticirussi nello scoppio del conflitto, la «Commissione Govoruchin» dal

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28 J. Dunlop, Russia confronts Chechnya cit., pagg. 125 sgg.29 Ibid., pagg. 128-29.30 Il noto scrittore polacco Jan Potocki, che ha viaggiato nel Caucaso ai primi del-l’Ottocento, dopo aver descritto il modo in cui i ceceni realizzavano i sequestri dipersona, passando il Terek a nuoto con il rapito legato per il collo a otri fissati sot-to le braccia, commenta: «È in questo modo che i ceceni hanno spinto la tattica deirapimenti al livello di perfezione piú alto possibile. È raro che uccidano un viag-giatore da cui sperano di trarre un buon riscatto, ma non risparmiano i domestici e ipostiglioni», in Jan Potocki, Nelle steppe di Astrakan e del Caucaso 1797-1798,Milano, A. Mondadori, 1996, pagg. 123-24.

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nome del suo presidente, il regista cinematografico e uomo politicoStanislav Govoruchin, hanno chiamato in causa settori affaristici emilitari russi, arrivando ai livelli più alti dello Stato: a uomini comel’ex generale del Kgb Kor§akov, capo della Guardia presidenziale efino all’estate 1996 amico e consigliere strettissimo del presidenteEl’cin, l’ex primo vicepremier legato al Complesso militare indu-striale (Vpk) Oleg Soskovec, l’ex ministro per il commercio esteroDavydov, l’ex ministro per l’energia e carburanti (Tek) ¿afranik.Da notare che Soskovec e Kor§akov formano nel 1994 il «partitodella guerra» assieme al ministro della difesa Pavel GraØev31.

Le responsabilità russe, nello sbocco bellico della crisi cecena,sono indubitabili quanto la trasformazione della Cecenia in un per-manente pericolo per i territori confinanti (dal Dagestan al territoriodi Stavroprol’) e per l’integrità della Fr. Basti pensare a come si for-ma il temibile potenziale militare della repubblica ribelle: è dal di-cembre 1991 che iniziano le trattative russo-cecene sulla sorte dellebasi, delle armi e dello hardware dell’esercito sovietico (russo, do-po il dicembre 1991) in Cecenia: con un ukaz del 26 novembre Du-daev aveva dichiarato tutto questo proprietà della Cecenia che dal-la stessa non poteva essere fatto uscire. Dopo una prima intesarusso-cecena del gennaio 1992 per una spartizione fifty-fifty, i cece-ni assaltano e saccheggiano basi e arsenali russi senza incontrare re-sistenza. Finisce nelle loro mani anche un grosso stock di armi chedoveva essere fatto saltare prima che se ne impadronissero gli uo-mini di Dudaev32.

C’è da chiedersi se si sia trattato di codardia da parte di coloroche avrebbero dovuto proteggere basi e arsenali dalle incursioni ce-cene, o di atti, non controllati dal Cremlino, di collaborazione tra im-portanti settori militari russi per ritorsione contro la dirigenza El’cinritenuta colpevole della disgregazione dell’Urss e dell’Armata Ros-sa. O se si sia trattato di puro e semplice traffico d’armi che andava

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31 Un consuntivo degli atti di quella Commissione parlamentare è stato pubblicatoin Komissija Govoruchina: Svidetel’stva, zakljuØenija, dokumenty [CommissioneGovoruchin: testimonianze, documenti, conclusioni], Moskva, Laventa, 1995.32 J. Dunlop, Russia confronts Chechnya cit., pagg. 131 sgg. Per l’elenco dettaglia-to degli armamenti russi finiti in mano cecena si veda Komissija Govoruchina cit.,pagg. 33 sgg. Si veda anche Izvestija, 8 febbraio 1995.

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ad arricchire alti gradi militari, su fino all’entourage del generaleGraØev. C’è da aggiungere che nel conflitto abchazo-georgiano del1992, volontari ceceni – tra cui emerge per capacità militari ¿amil’Basaev – combattono a fianco dei separatisti abchazi. Questi ultimisono sostenuti da istruttori, consiglieri, combattenti e armamenti rus-si (compresi tank, aerei ed elicotteri da combattimento). Successiva-mente i russi saranno mediatori e «forza di pace» in quel conflitto,quando l’iniziativa ritorna in mano al Cremlino, che prima aveva la-sciato libero gioco ai militari del voennyj okrug (distretto militare)del Caucaso, sicuramente coperti dallo Stato maggiore33.

Un fatto è certo: sono stati i russi a consegnare, di fatto, ai ribel-li ceceni le armi che dalla fine del 1994 saranno usate contro di loro.

Nel biennio 1992-93 – segnato dalla profonda crisi istituzionaledella Russia, culminata nello scioglimento della Duma e nell’assal-to alla Casa Bianca ordinato da El’cin contro i deputati ribelli –Mosca e Groznyj tentano, con incontri informali, di arrivare a unaccordo. La Cecenia potrebbe aderire al Trattato federale del 1992,godendo di uno status speciale di sovranità, non dissimile da quelloche sarà accordato due anni dopo al Tatarstan34. Tuttavia, impedi-scono di arrivare a un compromesso sia l’ostilità del ministro dellenazionalità Sergej ¿achraj, di origine cosacca, nei confronti di Du-daev e più in generale dei ceceni; sia la convinzione di un crolloimminente del regime per la crisi economica e per le rivalità tra lediverse tejpy e gruppi di potere; sia il vantaggio che rappresenta pertaluni circoli affaristici e militari russi la possibilità di usare la Ce-cenia come zona franca per i loro traffici e affari. ¿achraj pone trale condizioni preliminari per aprire trattative ufficiali, quella delrientro della Cecenia nella Fr. Dudaev e i separatisti la giudicanoinaccettabile.

Al tempo stesso, El’cin dimostra di sottovalutare e trascurare laquestione cecena demandandola all’oltranzista ¿achraj (già suo

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33 Per il conflitto in Abchazija si veda A. Lieven, Chechnya: The Tombstone ofRussian Power cit., pagg. 33 sgg.34 Nel febbraio 1994 il Tatarstan ha firmato un trattato separato con la Fr che gli dàun’ampia autonomia nella gestione della terra, delle risorse industriali, nel com-mercio con l’estero e persino nei rapporti internazionali. Il testo del Trattato è statopubblicato nell’ufficiale Rossijskaja Gazeta, 17 febbraio 1994.

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consigliere giuridico). Rifiuta di incontrare Dudaev, come quest’ul-timo più volte aveva richiesto35.

Del resto, anche per l’ex generale la situazione interna si fa sem-pre più difficile. Non mancano gli attentati, né i tentativi russi e deisuoi avversari ceceni di rovesciarlo con la forza. Nel marzo 1992c’era stato un tentativo di putsch contro di lui da parte di gruppi ce-ceni ostili del nord del Paese, tradizionalmente non russofobi. Nelsettembre dello stesso anno un maldestro tentativo di invadere laCecenia con truppe del ministero degli interni a partire dal Dage-stan è bloccato nel nord di quel paese da manifestazioni di massa diceceni akkincy, àvari e kumyki, ostili alla spedizione. In novembre,quando divampa il conflitto tra nord ossetini e ingusci per il posses-so del distretto di Prigorodnyj (da cui gli ingusci erano stati cacciatidurante le deportazioni del 1944 e rimpiazzati con osseti), le trupperusse stanno per invadere da ovest la Cecenia, ma vengono bloccateda manifestazioni popolari.

Più grave è il conflitto che nel marzo 1993 esplode tra Dudaev eil parlamento ceceno, che l’ex generale scioglie con la forza facen-do trucidare decine di avversari. In giugno fa sparare su una folla dioppositori che manifestano davanti al palazzo presidenziale diGroznyj. I morti sono una sessantina. Contro Dudaev si schieranopersonalità di primo piano che lo avevano aiutato nella conquistadel potere: l’ex sindaco di Groznyj Bislan Gantemirov, il petroliereJaragi Mamodaev, il biznesmen Jusup Soslambekov.

Si delinea tra il 1993 e il 1994 un fronte sempre più ampio di ce-ceni antidudaevisti che con Umar Avturchanov controllano il norddel Paese (distretto di NadtereØnyj). Nell’ottobre 1994 gli opposito-ri tentano un nuovo putsch a Groznyj dove riescono a mettere sottoil loro controllo i gangli vitali della capitale. Mosca ordina alle mi-lizie di Gantemirov di rientrare nelle loro basi. La città viene ripre-sa da Dudaev.

Il fatto è che l’entourage di El’cin, a cominciare da ¿achraj, te-

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35 Dudaev doveva nutrire per El’cin stima e considerazione, se nel momento delconflitto del presidente russo con il Parlamento prima lo consiglia di scioglierlo,poi si congratula con lui dopo l’assalto armato alla Casa Bianca. Due lettere, la pri-ma dell’aprile 1993, la seconda dell’ottobre dello stesso anno, di Dudaev a El’cinsono pubblicate in Komissija Govoruchina cit., pagg. 146 sgg.

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me che in Cecenia, dove la sua popolarità è salita per lo scontro conEl’cin nell’autunno 1993, possa affermarsi come candidato a succe-dere a Dudaev Ruslan Chasbulatov. In secondo luogo Mosca vuoleimporre una personalità di fiducia: l’ex ministro del petrolio del-l’Urss Salambek Chad§iev cui sono ostili tutti gli altri oppositori diDudaev36.

Del resto, nell’agosto 1994, la dirigenza russa aveva già decisoun semintervento in Cecenia, stanziando 150 miliardi di rubli a fa-vore dell’opposizione anti-Dudaev che veniva rifornita di armi e di«volontari», cioè ufficiali e sottufficiali russi segretamente arruolatidall’Fsk (l’ex Kgb) per essere impiegati in «operazioni coperte» ein attacchi diretti a Dudaev e alle sue milizie, legate alle tejpy dellaCecenia sudorientale e guidate da giovani polevye komandiry o co-mandanti di campo, alcuni dei quali, come ¿amil’ Basaev, avevanoraggiunto un addestramento di alto livello combattendo a fianco de-gli abchazi e dei loro consiglieri russi contro i georgiani.

Dall’insieme di queste circostanze prende forma l’operazionemilitare con cui, di fatto, inizia la prima campagna militare dellaRussia postsovietica contro la Cecenia. Il 24 novembre 1994, posta-zioni dudaeviste presso Groznyj sono attaccate da colonne di blin-dati condotti da tankisti russi e da aerei ed elicotteri privi di segni diriconoscimento. Per un naturale riflesso antirusso, l’attacco improv-viso ricrea attorno a Dudaev un consenso che questi aveva in granparte perduto.

È un errore gravissimo di Mosca: le milizie di Dudaev catturanouna ventina di ufficiali russi assoldati a contratto dall’Fsk. Di fronteai russi, che rivendicano goffamente il carattere esclusivamente ce-ceno dell’attacco, Dudaev mostra alla Tv di Groznyj alcuni prigio-nieri che rivelano, oltre alla loro identità, la matrice russa dell’interaoperazione.

C’è da chiedersi quali altri motivi abbiano spinto il gruppo diri-gente russo ad un’azione che avrebbe rafforzato i sentimenti anti-russi di gran parte della popolazione e coagulato attorno a Dudaevla resistenza contro Mosca. Grande peso hanno avuto l’intransigen-

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36 J. Dunlop, Russia confronts Chechnya cit., pagg. 158 sgg.; A. Lieven, Chechnya:The Tombstone of Russian Power cit., pagg. 89 sgg.

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za anticecena di ¿achraj e la volontà del Cremlino di chiudere al piùpresto l’anomalia cecena, che avrebbe potuto contagiare il resto delNord Caucaso. Tuttavia, si formulano altre ipotesi: per esempio,quella di una possibile rottura tra il gruppo dirigente ceceno e setto-ri politico-affaristico-militari russi sulle quote dei redditi criminalida spartire.

6. Il fattore petrolio

Per un’interpretazione più completa e attendibile – che nonesclude le altre ipotesi, ma ne limita l’importanza – si deve far rife-rimento all’anno 1994: in settembre il presidente dell’Azerbajd§anGejdar Aliev (ex membro del Politbjuro del Pcus ed ex primo vice-premier del governo sovietico negli anni Ottanta) sottoscrive con irappresentanti di grandi multinazionali del petrolio un contratto mi-liardario (detto «l’affare del secolo») per lo sfruttamento delle riser-ve petrolifere del Mar Caspio.

Un anno prima il presidente kazakho Nursultan Nazarbaev ave-va firmato con «Chevron» un contratto di non minore importanzaper lo sfruttamento delle riserve petrolifere di Tengiz, Kazachstan.Ora, per essere avviato ai mercati internazionali il petrolio azerodeve passare attraverso l’oleodotto che collega il centro petroliferoazero di Baku al terminale russo sul Mar Nero di Novorossijsk. Unsuo segmento passa attraverso il Dagestan e la Cecenia. Da qui lanecessità per la Russia di riacquistare il pieno controllo della re-pubblica separatista, senza il quale non sono possibili né il control-lo del Caucaso settentrionale, né della Transcaucasia, in cui Azer-bajd§an e Georgia – che propongono per il trasporto vie alternativea quella russa attraverso Georgia e Turchia – sono divenuti stati in-dipendenti.

Per la Turchia, che già prevede in quell’anno il passaggio delpetrolio dal suo territorio fino al terminale sudmediterraneo diCeyhan, il disordine nel Nord Caucaso può essere una chance perriscuotere le royalties del trasporto. Lo stesso si può dire per laGeorgia, che prevede di ripristinare il tratto di oleodotto Mar Ca-spio - Mar Nero (Baku-Supsa) che passa attraverso il suo territorioe che nei progetti di azeri e multinazionali può divenire il collega-

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mento tra Azerbajd§an e Turchia. Gli Usa, dal canto loro, sono in-teressati alla regione caspica sotto il profilo geopolitico: voglionocontrollare i flussi del petrolio caspico, le cui riserve sono rilevan-tissime. Infine, tra i produttori di petrolio del Golfo, Arabia Sauditaed Emirati, l’instabilità nell’intera regione caspico-caucasica puòostacolare lo sviluppo di un’area concorrente, di cui in quegli annisi esagerano, forse, le potenzialità37.

7. La prima campagna di Cecenia (1994-96)

Fallita l’operazione organizzata dall’Fsk, allora diretto da SergejStepa¡in, che verrà successivamente esonerato, in una riunione se-greta del Consiglio di sicurezza tenutasi il 29 novembre 1994, conla sola opposizione dell’allora ministro della giustizia Kalmykov ele riserve dell’allora capo dei servizi d’informazione all’estero(Svk) Primakov e dell’allora vicepremier ¿umejko, i «ministri dellaforza» o siloviki GraØev, Erin e Stepa¡in (difesa, interni e sicurezza)decidono l’intervento militare diretto. GraØev assicura El’cin che sitratterà di una «guerra lampo» senza troppe distruzioni e spargi-mento di sangue. L’11 dicembre le truppe della difesa e dell’Mvd(in tutto 23.700 uomini, 80 carri armati, 208 blindati) entrano in ter-ritorio ceceno da tre direzioni: Inguscetia, Ossetia settentrionale eDagestan. Ancora una volta El’cin sparisce, come nel novembre1991. La tragedia è cominciata.

La «guerra lampo» prevista dai siloviki si avvera soltanto conla facile distruzione a terra dell’aviazione cecena (27 aerei civili emilitari). Per il resto, è il primo disastro politico-militare dellaRussia postsovietica. La motivazione dell’intervento è nell’ukazpresidenziale (n. 2137), pubblicato il 30 novembre 1994. La guer-ra (chè di questo si tratta) è definita «operazione speciale», mirataa «ristabilire la legalità costituzionale, l’ordine pubblico e la pacenella repubblica cecena», a «disarmare le formazioni armate ille-gali». Il compito è affidato congiuntamente alle truppe dell’Mvd edella difesa.

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37 A. Lieven, Chechnya: The Tombstone of Russian Power cit., pagg. 84 sgg.

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Tutti gli obiettivi promessi da GraØev vengono mancati: Moscaha sottovalutato le capacità di mobilitazione e di risposta militaredegli avversari. Le truppe russe risultano subito prive di addestra-mento, equipaggiamenti, adeguati armamenti, coordinamento tra ilministero degli interni e quello della difesa. Si doveva raggiungereGroznyj in soli tre giorni e ne occorrono 15. L’ostilità cecena neiconfronti di Dudaev cade in secondo piano rispetto a quella nei con-fronti dei russi.

La battaglia di Groznyj, tra la fine di dicembre 1994 e il mesesuccessivo, è la fase più cruenta e distruttiva del conflitto. Le trup-pe russe si trovano contro circa 10 mila boeviki (combattenti) dota-ti di tank, blindati e artiglieria pesante, più una grande quantità diarmi anticarro, di cui è dotato ogni boevik per la difesa della capi-tale. I russi attaccano con 7000 uomini della difesa, mentre l’Mvdha compiti logistici e di polizia (disarmo delle «formazioni illega-li»). La conquista di Groznyj, allora abitata da poco meno di 400mila persone, dovrebbe comportare distruzioni minime, sia per ilnumero degli abitanti, sia per l’importanza delle sue strutture indu-striali e infrastrutture viarie, ferroviarie e aeree. In realtà, i russi ri-corrono subito a bombardamenti d’artiglieria e aerei che provoca-no circa 5000 morti tra i civili. Senza un preventivo servizio diintelligence, senza coordinamento tra truppe della difesa e Mvd,senza adeguati collegamenti radio-telefonici (costantemente inter-cettati dai ceceni), senza alcuna conoscenza della città di cui nonpossiedono neppure le mappe, i russi tentano di entrarvi con colon-ne di carri armati e mezzi di trasporto blindati, secondo i vecchischemi strategici sovietici. Attirati in imboscate quartiere per quar-tiere, strada per strada, dai combattenti ceceni più motivati, adde-strati e mobili, i federali subiscono perdite pesanti. Solo a metàfebbraio Groznyj è conquistata: ma i morti tra i russi sono più di1500, 60 i tank e 300 i blindati distrutti. Intanto, il numero dei fe-derali dislocati a Groznyj e dintorni è salito a 30 mila. Dal fiancomeridionale della città lasciato sguarnito i russi subiscono duri at-tacchi giornalieri.

La resistenza dei separatisti, sfuggiti alla presa di Groznyj, siconcentra nei distretti meridionali: Argun, ¿atoj, Gudermes. Tutta-via, tra marzo e maggio 1995, i federali riescono a imporre la lorosuperiorità di uomini e mezzi anche in quei distretti. Tra maggio e

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giugno essi passano sotto il controllo russo. I ceceni subiscono fortiperdite, in armi e uomini38.

Vana è la missione dell’Osce per aprire una trattativa. A giugno ifederali controllano l’80 per cento del territorio ceceno e la capitaleGroznyj dove a febbraio avevano insediato un Consiglio provviso-rio presieduto dal plenipotenziario di Mosca Nikolaj Semenov (giàsegretario del Pc di Groznyj), che ha per vice Salambek Chad§iev,Doku Zavgaev e Umar Avturchanov, mentre Bislan Gantemirovtorna sindaco della capitale. Successivamente viene formato un«governo di salvezza nazionale», filorusso, alla cui testa vanno pri-ma Chad§iev e dopo Zavgaev.

La vittoria sembra assicurata, quando il 14 giugno avviene unasvolta imprevista e imprevedibile. Una colonna, composta di duecamion «Kamaz», guidata da ¿amil’ Basaev con 40-50 boeviki abordo, supera indisturbata tutti i posti di blocco dislocati per ben150 chilometri e raggiunge la città russa di Budennovsk, nel kraj diStavropol’. I guerriglieri trovano un centinaio di compagni armatidi tutto punto. Insieme attaccano un posto di polizia, la sede del co-mune, catturano circa 200 ostaggi e si asserragliano nel locale ospe-dale. Con questa azione terroristica Basaev vuole dimostrare che iribelli possono, quando e come vogliono, portare i loro attacchi interritorio russo.

Dopo un dissennato tentativo delle forze speciali dell’Mvd di li-berare l’ospedale, che provoca un centinaio di morti, il premier Æer-nomyrdin tratta telefonicamente da Mosca con Basaev. El’cin sitrova lontano, a Halifax, per il G7. Il capo dei terroristi ottiene, incambio dell’abbandono dell’ospedale, degli ostaggi e della città, dipoter tornare con i suoi uomini nei territori ceceni controllati dai se-paratisti, in autobus forniti dai russi e accompagnato da alcune deci-ne di ostaggi volontari: tra questi c’è il deputato, ex dissidente e ex

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38 Per un ampio resoconto della battaglia di Groznyj si veda C. Gall e T. De Waal,Chechnya: a Small Victorious War, London, Pan, 1997, pagg. 103 sgg.; A. Lieven, Che-chnya: The Tombstone of Russian Power cit., pagg. 108 sgg. Sull’inizio della battagliadi Groznyj e le reazioni in Russia si vedano gli articoli apparsi in Moskovskie Novosti,25 dicembre 1994 - 1˚ gennaio 1995, sotto il titolo comune 1995: u Rossii est’ vybor[1995: la Russia ha una scelta]. Da segnalare l’intervista a Sergej Kovalev, che sarà te-stimone dei bombardamenti di Groznyj tra la fine di dicembre e i primi di gennaio.

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prigioniero politico Sergej Kovalev, testimone diretto dei bombar-damenti di dicembre-gennaio. Il fatto più importante e nuovo è cheBasaev e Æernomyrdin concordano una tregua per aprire le trattati-ve e trovare una soluzione politica del conflitto. In realtà la treguapermette ai separatisti di riordinare le forze e ridistribuirle sul terri-torio, specie là da dove erano stati cacciati.

Per Mosca Budennovsk è uno smacco colossale, che ha rivelatoincompetenza, codardia, corruzione, indisciplina nel controllo delterritorio. Il ministro degli interni Erin e il capo dell’Fsk Stepa¡invengono licenziati da El’cin. Si diffondono delusione e rabbia tra imilitari che si sentono defraudati di una vittoria che giudicavano giàconquistata sul campo39.

Durante la tregua e i primi contatti, le posizioni dei russi e deiseparatisti si rivelano difficilmente conciliabili: i primi si dichiara-no disponibili a concedere l’autodeterminazione, ma al tempo stes-so si manifestano intransigenti nel voler conservare l’integrità terri-toriale della Fr, tra i cui «soggetti» si trova la Cecenia. Dal cantoloro, i separatisti chiedono come condizione preliminare per l’aper-tura delle trattative ufficiali, il ritiro russo dalla Cecenia. I russi con-siderano interlocutori privilegiati i ceceni antidudaevisti, non i ri-belli. In dicembre Æernomyrdin si impegna con il premier Zavgaeva concedere alla Cecenia una sovranità simile a quella di cui gode ilTatarstan. Si tengono persino elezioni presidenziali controllate dairussi: Zavgaev ottiene il 93 per cento dei voti.

Sempre in dicembre, però, i separatisti riprendono i loro attacchiin centri che, come Groznyj, sembravano ormai sotto il controllorusso. Un’azione terroristica simile a quella di Budennovsk vienecompiuta a Kizljar, Dagestan settentrionale, ai confini con la Cece-

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39 C. Gall e T. De Waal, Chechnya: a Small Victorious War cit,. pagg. 256 sgg.;A.Lieven, Chechnya: The Tombstone of Russian Power cit., pagg. 124-25. Singo-lare la definizione che Lieven dà di Basaev «uno dei grandi eroi della Cecenia»(pag. 124). Aveva preso in ostaggio un intero ospedale con più di 1000 persone trapazienti e personale. È davvero singolare come molti giornalisti anglosassoni, purall’interno di un’esposizione puntuale dei fatti, mostrino simpatia per personaggi,il cui livello etico è ben messo in evidenza dalle loro azioni. Si rimanda alla piùqualificata stampa russa (Nezavisimaja Gazeta, Izvestija, Segodnja, MoskovskieNovosti) dei giorni dell’impresa terroristica e della sua soluzione.

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nia. Un gruppo di boeviki comandato da un parente di Dudaev, Sal-man Raduev, attacca un posto di polizia, cattura degli ostaggi e siasserraglia nel locale ospedale. Fallite le trattative, fugge in Cece-nia, dopo scontri cruenti con le milizie daghestane e con soldati de-gli interni. Questa azione provoca paura e risentimento nelle repub-bliche del Nord Caucaso i cui leader la condannano duramente.

Il 6 marzo 1996 i guerriglieri di Dudaev attaccano in forze (2000uomini) Groznyj, di cui riescono a conquistare i quartieri e gli edifi-ci centrali, impegnando severamente le truppe russe, che perdono150 uomini e rivelano ancora una volta mancanza di coordinamentoe incapacità a sostenere la guerriglia urbana. I boeviki riescono auscire dalla città dopo un accordo con i russi per non spararsi controreciprocamente.

Tra marzo e maggio i ceceni attaccano ripetutamente le posizio-ni dei federali che subiscono pesanti perdite. I sondaggi rivelanoche oltre il 50 per cento dei cittadini della Fr è contraria alla prose-cuzione della guerra. Un movimento spontaneo, che acquista credi-to e popolarità, «Le madri dei soldati», denuncia da tempo le condi-zioni disperate (trattamento, approvvigionamento, irresponsabilitàdei comandi) in cui si trovano i soldati, la maggioranza dei quali èformata da reclute inesperte. Anche i mezzi di comunicazione dimassa e l’intelligencija si pronunciano contro la guerra, al pari del-lo schieramento politico liberale (in particolare il partito «Jabloko»di Grigorij Javlinskij). A Mosca si chiede la fine della guerra in ma-nifestazioni e assemblee.

Intanto, si avvicinano le elezioni presidenziali di giugno ed El’cin deve porre fine a un conflitto sempre più impopolare, peravere maggiori possibilità di vincerle. Nel frattempo, nella notte trail 20 e il 21 aprile, il presidente Dudaev viene ucciso: la sua residen-za clandestina, nell’aul di Gechi, è individuata tramite l’intercetta-zione di una telefonata satellitare e centrata da un missile. È l’unicoreale successo russo40.

La circostanza rende più accettabile per Mosca l’apertura delletrattative: con Dudaev è sparito di scena l’uomo che i russi riteneva-

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40 La morte di Dudaev è dettagliatamente raccontata in C. Gall e T. De Waal, Che-chnya: a Small Victorious War cit., pagg. 318 sgg.

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no il loro irriducibile nemico. A Dudaev succede il vicepresidente(de facto) Jandarbiev, ma tra i separatisti la personalità più autore-vole è divenuto il capo delle Forze Armate Aslan Maschadov, un excolonnello d’artiglieria dell’Armata Rossa, distintosi per capacità dicomando e abilità strategica. Mosca vede in lui l’interlocutore piùpragmatico e affidabile per un possibile rientro della Cecenia nellaFr, oltre che per la fine del conflitto.

Le elezioni presidenziali russe sono determinanti agli effettidella ricerca di una soluzione politica del conflitto. Tre settimaneprima, il 27 maggio, si aprono ufficialmente a Mosca le trattativetra il premier russo Æernomyrdin e il leader ceceno Jandarbiev.Viene annunciato un nuovo cessate il fuoco e proclamata una tre-gua. Il giorno successivo El’cin compie la sua prima visita in Cece-nia dall’inizio del conflitto. Si limita, tuttavia, ad incontrare gene-rali e ufficiali all’aeroporto di Groznyj protetto da un imponenteschieramento di truppe. «La guerra è finita. Avete vinto», affermaimprudentemente41.

Il 17 giugno, dopo il primo turno del voto, El’cin è in testa aglialtri concorrenti (in ordine: il comunista Zjuganov, l’ex generaleAleksandr Lebed’ e il democratico-liberale Javlinskij). I militarirompono la tregua per riprendere le posizioni perdute. Lebed’, di-stintosi nel 1992 per la soluzione della crisi della regione separatistafilorussa Transdnestria, in Moldova, è nominato da El’cin segreta-rio del Consiglio di sicurezza. Offre il suo rilevante pacchetto di vo-ti al presidente uscente, permettendogli di superare ampiamente ilcandidato comunista.

Il 6 agosto 1996, giorno dell’inaugurazione della presidenza, i ri-belli attaccano simultaneamente Gudermes, Argun e Groznyj. Con-quistano l’edificio dove ha sede il governo filorusso di Zavgaev e cir-condano le postazioni federali, ancora una volta colte di sorpresa eimpreparate. Nella sola Groznyj muoiono circa 500 soldati dell’Mvde della difesa: presidiavano la capitale 12 mila federali. I ribelli – intutto 3-4 mila uomini – catturano 118 carri armati e 69 blindati.

Questa cocente sconfitta dà ragione alla tesi del generale Lebed’,secondo cui Mosca non è in grado di risolvere militarmente il con-

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41 In «Jamestown Foundation Monitor», 29 maggio 1996.

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flitto in tempi brevi e con perdite minime. Lo si deve chiuderequanto prima. Dopo i preliminari di Novye Atagi, le trattative di ar-mistizio si svolgono a Chasav’jurt, Dagestan settentrionale, il 31agosto 1996. Maschadov e Lebed’, entrambi ex alti ufficiali del-l’Armata Rossa, trovano un linguaggio comune e sottoscrivono ildocumento «Rapporti congiunti tra la Fr e la repubblica di Cece-nia». Oltre a fissare tempi e modi dell’uscita delle truppe russe dal-la Cecenia, l’accordo rimanda la definizione dello status della Cece-nia al 2001, anno in cui si sarebbe dovuto concludere la seconda eultima presidenza di El’cin. Viene garantito il rispetto del principiodell’autodeterminazione, dei diritti umani e di quelli delle minoran-ze etniche. Nei cinque anni a venire, le due parti avrebbero elabora-to e stabilito i termini delle loro «relazioni congiunte», segnatamen-te quelle economiche e quelle specifiche del settore petrolifero e deltratto ceceno dell’oleodotto Baku-Novorossijsk42.

Anche se l’opinione pubblica saluta con sollievo la fine dellaguerra, la Russia ha subito una cocente sconfitta: per la prima voltaè costretta a ritirarsi da un territorio che simboleggiava, più degli al-tri, l’epopea imperiale e che era stato conquistato con una lunga edurissima guerra un secolo e mezzo prima. Inoltre, perde una regio-ne di grandissima importanza strategica per il controllo dell’interaregione caucasica e dell’area caspica, dove nel frattempo si è andatarafforzando la penetrazione delle grandi multinazionali petrolifere,segnatamente quelle americane. L’esercito è umiliato.

Il costo del conflitto è stato abnorme rispetto al suo esito: circa 50mila morti tra la popolazione civile, 6 mila tra le truppe russe, 2-3mila tra i boeviki ceceni. Senza contare i costi materiali: Groznyj èstata quasi completamente distrutta. La Cecenia, e non solo i cecenifilorussi, è abbandonata a se stessa. L’opposizione nazional-comuni-sta grida al tradimento e parla di «vergogna». I militari si sentonodefraudati di una vittoria che ritenevano ottenuta sul campo e traditidalle incoerenze dei politici, dalle tregue decise senza consultarli.

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42 Per gli accordi di Chasav’jurt, si veda Izvestija, 3 settembre 1996; «Lebed’ buystime in Chechnya», in Transition, vol. 2, n. 20, 4 ottobre 1996; per le riparazionichieste dal governo ceceno a quello russo (per un ammontare di 130-50 miliardi didollari), si veda R. Narzikulov, «Pretenzii» [Rivendicazioni], in Nezavisimaja Ga-zeta, 27 novembre 1996.

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Lebed’ sostiene che la vera vergogna è aver iniziato una guerra sen-za preparazione, né strategia. Il ministro della difesa GraØev viene li-cenziato. Ma anche Lebed’ in ottobre è esonerato dal suo incarico.Lo avversano i militari ed El’cin non tollera tra i suoi collaboratoriun uomo divenuto troppo popolare. Gli succede l’incolore IvanRybkin che si sceglie come vice niente meno che Boris Berezovskij,un oligarca e finanziere con importanti interessi in campo petrolife-ro. È quest’ultimo che tratta con i capi ceceni – con i quali ha rela-zioni fin troppo strette – le condizioni di utilizzo del tratto cecenodell’oleodotto Baku-Novorossijsk, prima dell’accordo che su questoaspetto raggiungeranno nel novembre ’96 il premier Æernomyrdin eil generale Maschadov. È da notare che gli impianti del complessopetrolifero e petrolchimico sono stati per lo più risparmiati da unaguerra che ha distrutto intere città e villaggi.

8. La pace e la presidenza Maschadov

A Mosca il 12 maggio 1997 El’cin e Maschadov firmano il Tratta-to di pace tra la Fr e la repubblica cecena. Di quest’ultima il secondoera stato eletto presidente nel novembre dell’anno prima. Aveva otte-nuto il 64,8 per cento dei voti, contro il 22,7 per cento di Basaev e il10,2 per cento di Jandarbiev. La Cecenia e il suo presidente sono rico-nosciuti da Mosca. Entrambe le parti «si impegnano a rinunciare al-l’uso e alla minaccia di usare la forza». Groznyj entrerà nell’area delrublo, previo accordi tra la Banca centrale russa e quella di stato cece-na. Vengono decise l’unione doganale e la cooperazione economico-commerciale, segnatamente in campo petrolifero. Si ristabiliscono icollegamenti ferroviari ed aerei. Oltre che con la Russia, la Cecenia siaccorda con l’Azerbajd§an sulla gestione dell’oleodotto. Mosca si im-pegna a finanziare la ricostruzione del paese semidistrutto43.

Tutto o quasi resterà sulla carta. Si mantiene, infatti, l’equivocodi Chasav’jurt: il rinvio al 2001 della decisione definitiva sullo sta-

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43 Sul Trattato di pace si veda: «Dogovor s ÆeØnej: kto pobedil, kto proigral» [Iltrattato con la Cecenia: chi ha vinto, chi ha perso], in Izvestija, 14 maggio 1997;sugli accordi monetari e finanziari «Groznyj idet putem Panamy» [Groznyj sullavia di Panama], in Izvestija, 24 maggio 1997; Monitor, 12 maggio 1997.

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tus della Cecenia viene interpretato da Mosca come una pausa in at-tesa di reintegrare la Cecenia nella Fr; da Groznyj come il tempo perconsolidare l’indipendenza. I russi sopravvalutano il potere reale e ilpragmatismo dell’ex colonnello. Ne sottovalutano il nazionalismo.

Sin dall’inizio Maschadov si rivela non all’altezza dei compitiche lo attendono: deve costruire lo stato ceceno, obiettivo mancatodal suo predecessore Dudaev; ricostruire materialmente il paese; ri-metterne in piedi l’economia senza avere le risorse finanziarie eumane; ripristinare la rete dei servizi sociali essenziali, dalla sanitàall’istruzione; stabilire l’ordine e il controllo sul territorio. Ci sonodue o tre decine di migliaia di boeviki sparsi per il paese che nonobbediscono al presidente, ma ai polevye komandiry, o comandantidi campo distintisi come tali durante il conflitto, organizzati in ban-de armate. A questo si aggiungano le divisioni tra le tejpy, l’insoffe-renza cecena per qualsiasi forma di potere centrale e il peso dell’e-conomia criminale: un potenziale esplosivo che rende impossibilel’applicazione degli accordi raggiunti tra Groznyj e Mosca.

Vinta la guerra, la Cecenia perde la pace. Il periodo della leader-ship di Maschadov è segnato da una continua tensione nelle zone diconfine tra la Cecenia e le regioni limitrofe della Fr e da una dilagan-te criminalità con al centro i sequestri di persona per estorsione.Questo isola internazionalmente la Cecenia. L’ondata di sequestriinizia nel 1997 e principali vittime ne sono i giornalisti russi: comese oltre a riscuotere congrui riscatti, i rapitori volessero tenere lonta-ni gli occhi indiscreti dei media dal loro paese, di cui si accentuano icaratteri di «stato criminale» acquisiti durante la presidenza Dudaev.Oltre ai giornalisti (tra cui una troupe di Ntv e una del programmaVzgljad) nel 1997, vengono rapiti anche tecnici inglesi e ungheresi44.

Il 1998 è un anno di fortissime tensioni politiche che culminanonella rottura tra il presidente Maschadov e Basaev, che in luglio la-scia il governo. Continuano i rapimenti: ne sono vittime tecnici stra-nieri, giornalisti e uomini d’affari russi e stranieri, altissimi funzio-nari russi, rappresentanti di organizzazioni internazionali. In gennaio

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44 Sull’ondata di criminalità nel primo anno di presidenza Maschadov si veda G.Kovalskaja, «Bez illjuzij» [Senza illusioni], V. Strugovec, «Bikfordov ¡nur dlinoj774 km» [Una miccia lunga 774 km], D. Pinsker, «Den’gi v obmen na mir» [Soldiin cambio della pace], in Itogi, 10 febbraio 1998, pagg. 12 sgg.

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viene rapito un funzionario dell’Alto Commissariato Profughi del-l’Onu (Nuhcr), Vincent Cochetel: è rilasciato in dicembre. In no-vembre è sequestrato, in Dagestan, il missionario americano HerbertGregg, liberato nel giugno successivo.

Terribile è la sorte di quattro tecnici di una compagnia di teleco-municazioni britannica (tre inglesi e un neozelandese) rapiti il 3 ot-tobre e uccisi il 9 dicembre. I loro corpi sono trovati in una strada diGroznyj con le teste tagliate. «Un crimine orribile» – lo definisceMaschadov, i cui servizi di sicurezza stavano per liberare i quattrosventurati, prima del pagamento del riscatto. Il responsabile di que-sto crimine è indicato in Arbi Baraev, comandante di campo e tra imassimi esponenti dei wahhabiti ceceni e alleato di Basaev. Nonviene mai arrestato, né processato.

In maggio era stato rapito in un villaggio inguscio ai confini conla Cecenia Valentin Vlasov, l’inviato speciale del presidente El’cinnel Nord Caucaso. È liberato a novembre, dietro pagamento di unriscatto altissimo (si dice attorno ai 5 milioni di dollari). Sorte peg-giore subisce un alto funzionario del governo russo, inviato in Ce-cenia per una missione socio economica, Akmal Sajtanov. Rapito il29 settembre, è trovato morto, ucciso da arma da fuoco, quattrogiorni dopo, vicino a Groznyj. A fine agosto, vengono rapite dueecologhe polacche.

L’episodio più grave, per le conseguenze che comporterà, si ve-rifica nel marzo 1999 all’aeroporto di Groznyj: viene letteralmentestrappato dall’aereo che stava per decollare alla volta di Mosca e ra-pito un altissimo funzionario dell’Mvd, il generale Gennadij ¿pi-gun. Era andato nella capitale cecena per coordinare le azioni del-l’Mvd russo e di quello ceceno nella lotta contro i sequestri e ilterrorismo. Per liberarlo, vengono chiesti dai 4 ai 7 milioni di dolla-ri. Non sarà mai rilasciato. I suoi presunti resti vengono trovati nelcorso del secondo conflitto russo-ceceno e identificati con certezzasolo nel maggio 200045.

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45 Sul rapimento del generale ¿pigun e le sue conseguenze si veda V. Krutikov,«Rossija na poroge vtoroj ÆeØenskoj vojny» [La Russia alle soglie della secondaguerra cecena], in Izvestija, 10 marzo 1999. Sui rapitori e le accuse di Maschadovai comandanti di campo: E. Krutikov, «Pochititeli ¿piguna nazvany» [I rapitori di¿pigun hanno un nome], in Izvestija, 11 marzo 1999.

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Nel dicembre 1998 sparisce l’ex capo del governo di salvezzanazionale Salambek Chad§iev. La serie potrebbe continuare, com-prendendo, tra i tanti altri, un fotografo italiano e un cineoperatorefrancese. Sequestri come questi hanno avuto una risonanza interna-zionale. In realtà, questa pratica è divenuta, dopo la fine del primoconflitto, una fonte di reddito di primaria importanza per un gran nu-mero di ceceni, a cominciare dai comandanti di campo. Secondofonti della Procura generale russa, Basaev avrebbe accumulato nel1997 oltre 2 milioni di dollari. Un altro comandante di campo, talChajcharoev, avrebbe incassato 1,7 milioni di dollari per il riscattodi 17 delle 24 persone rapite dalla sua banda46.

Gli ostaggi, tuttavia, sono per lo più commercianti, agricoltori,imprenditori o loro famigliari, persino adolescenti e bambini. I se-questri avvengono più che in territorio ceceno, in quelli confinanti(Dagestan, Ossetia settentrionale, Inguscetia, kraj russo di Stavro-pol’). I rapitori sono spesso gente del luogo, come i basisti. Ma i se-questrati sono portati in territorio ceceno e fatti oggetto di commer-cio tra i capibanda. Riscuote il riscatto l’ultimo acquirente. AGroznyj simili scambi vengono condotti apertamente. Spesso, af-finché si decidano a pagare più rapidamente il riscatto, sono recapi-tati ai familiari cassette-video in cui si mostrano torture o angheriecui sono sottoposti i sequestrati. Uno studioso americano, Robert B.Ware, ha scritto:

I ceceni hanno rapito russi per secoli, ma dal 1996 la pratica è di-venuta una delle principali industrie della Cecenia. Più di 1300 perso-ne, tra russi e occidentali, incluse donne e bambini, sono stati presi inostaggio in questi tre anni, più di uno al giorno. Gli ostaggi sono tenu-ti in condizioni brutali per riscatti esorbitanti che vengono ottenuticon documentazione video di torture e amputazioni. Una volta cattu-rati, gli ostaggi vengono comprati e venduti tra i diversi clan, nellostesso modo in cui in un’altra cultura si potrebbero scambiare denaroo titoli47.

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46 Sui redditi dei polevye komandiry si veda Rfe/Rl (Radio Free Europe / Radio Li-berty – in russo: Radio Svoboda – informatissimo bollettino giornaliero, Praga:d’ora in poi indicato con Rfe/Rl), 14 aprile 1998.47 R. Ware, «Victors and Vanquished in Chechnya», in Los Angeles Times, 8 no-

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Quanto ai soldati russi catturati dai ceceni nel precedente con-flitto (794 a tutto il 1998), sono stati spesso ridotti in condizioni diservitù. Una situazione che mutatis mutandis ricorda quella del pri-gioniero del Caucaso puskiniano. Nell’ottobre 1998, il ministro ce-ceno della sicurezza indica una cifra di 103 ostaggi e intima, inva-no, ai rapitori di liberarli.

La questione degli ostaggi è stata contornata da accuse e ipotesiinquietanti. Sicuramente, l’oligarca Berezovskij, assai presente e at-tivo nel Caucaso per petrolio e accordi economici, ha avuto un ruo-lo manifesto sia nella liberazione di ostaggi (la giornalista ElenaMasjuk e la troupe di Ntv prima citata; soldati russi), sia nelle tratta-tive per la liberazione di Vlasov, nel corso delle quali avrebbe offer-to un riscatto più alto di quello richiesto (da 4 a 7 milioni di dollari).Di quest’ultimo fatto hanno parlato Maschadov e il presidente dellavicina Inguscetia Au¡ev in interviste comparse su KomsomolskajaPravda, in cui tra l’altro si afferma che Berezovskij «ha dotato Sal-man Raduev di tanti computer quanti non ne possiede la Sicurezzarussa». Rispondendo alla radio «Echo Moskvy» l’oligarca dichiarache l’aumento del prezzo del riscatto nel corso delle trattative rap-presentava un incentivo per accelerarne la liberazione. Pochi mesidopo, lo stesso quotidiano riferisce la dichiarazione di un ufficialedella sicurezza cecena, tal Achmatchanov, secondo cui i documentiin suo possesso proverebbero il coinvolgimento di Berezovskij nelrapimento del generale ¿pigun48. L’affermazione è definita «nonsenso» dall’allora ministro russo degli interni Stepa¡in. Citiamoespressamente queste accuse lanciate contro quel magnate, di cui ènota la vicinanza al Cremlino e alla cosiddetta Famiglia (El’cin e lacerchia ristretta di familiari e collaboratori), perché successivamen-

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vembre 1999. Cito da The Chechen Crisis and its Implications for Russian Demo-cracy, Hearing before the Commission on Security and Cooperation in Europe,One Hundred Sixth Congress First Session, 3 novembre, 1999, Us GovernmentPrinting Office, Washington, 2000.48 Per le dichiarazioni di Maschadov e Au¡ev si veda Komsomolskaja Pravda, 3novembre 1998. Per la smentita di Berezovskij andata in onda alla radio moscovita«Echo Moskvy» si veda Rfe/Rl 4 novembre 1998. Per il caso ¿pigun e il presuntocoinvolgimento di Berezovskij si veda, Komsomolskaja Pravda, 9 aprile 1999. Suirapporti tra Berezovskij e Basaev si veda anche F. Bonnet, «Moscou aurait voulula guerre», in Le Monde, 26 gennaio 2000.

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te sarà accusato dal presidente Maschadov di essere uno degli ispi-ratori e finanziatori di Basaev e della sua avventura del luglio-ago-sto 1999 in Dagestan. C’è da ricordare che nelle elezioni politichedi dicembre Berezovskij viene eletto deputato alla Duma, come in-dipendente, nel distretto elettorale della KaraØaevo-Æerkessija49.

Quanto alla cooperazione russo-cecena nel campo petrolifero,essa ha assicurato bene o male il funzionamento del tratto cecenodell’oleodotto Baku-Novorossijsk fino ai primi mesi del 1999. Trala primavera e l’estate di quell’anno, il suo funzionamento sarà piùvolte sospeso, infine chiuso, sia per gli attentati contro i responsabi-li della sua sicurezza e i sorveglianti ceceni, sia per l’incapacità diGroznyj a porre fine ai furti di greggio: tra il novembre 1997 e mag-gio 1999 ne vengono «sifonate» 120 mila tonnellate, per essere raf-finate artigianalmente e destinate a una vasta rete di contrabbando.

Dopo che nel luglio-agosto 1999 riprendono i combattimentinel Nord Caucaso, il petrolio proveniente da Baku aggira la Cece-nia e viene trasportato per via ferroviaria dal Dagestan orientale fi-no al nodo di Tichoreck, nel territorio di Krasnodar in Russia meri-dionale50.

Nonostante più volte Maschadov abbia condannato l’endemicacriminalità e annunciato «operazioni su vasta scala» per eliminarla,in realtà si è sempre rivelato impotente contro di essa, anche dopoaver accettato di collaborare nel 1998 con l’allora ministro degli in-terni russo Stepa¡in per sconfiggerla. È certo che i sequestri hannoradici lontane. Ma più che nella tradizione caucasica, invocata dalprofessor Ware, la criminalità e i sequestri hanno la loro radice nel-la profonda crisi economica, sociale, politica e morale del paese, di-strutto da due anni di guerra e prima, dal caos creato dal regime diDudaev. E prima ancora, dalle vicende del periodo sovietico.

L’economia legale è pressoché azzerata, né sarebbe possibile ri-convertire i boeviki al lavoro. La disoccupazione tocca l’80-90 percento. Il paese pullula d’armi e di bande armate che Maschadov non

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49 Per il rinnovo delle accuse di Maschadov a Berezovskij e Basaev, si veda l’inter-vista di Maschadov alla radio «Deutsche Welle» del 10 aprile 2000, riportata inRfe/Rl, 10 aprile 2000.50 La consistenza dei furti è dichiarata dall’allora responsabile ceceno del settoreoleodotti Chambiev, Rfe/Rl, 10 giugno 1999.

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sa né può controllare. Le forme di controllo sociale tradizionale so-no saltate nel nuovo contesto: la forte influenza della rozza dottrinadei wahhabiti sulla grande maggioranza dei giovani, poveri e disoc-cupati, ignoranti in materia religiosa e privi di istruzione, ma armatie dotati di grande esperienza di guerra, corrode i legami e le autoritàtradizionali. Dopo il 1996, grazie ai larghissimi mezzi finanziari,provenienti dall’Arabia Saudita, il wahhabismo si sovrappone e inmolti casi soppianta l’Islam tradizionale. Antioccidentale e sovrana-zionale, il wahhabismo è anche antitradizionalista e introduce in Ce-cenia elementi distruttivi. Nel contesto tradizionale, ad esempio,l’uccisione dei quattro tecnici Telecom non sarebbe stata concepibi-le, non foss’altro per il rispetto del vincolo dell’ospitalità, sancitodal diritto consuetudinario ceceno, l’adat. Inoltre, il wahhabismo,come qualsiasi forma di islamismo radicale è assolutamente indiffe-rente al fatto etnico-nazionale. Dal nazionalismo ceceno e dall’I-slam caucasico delle confraternite sufi al wahhabismo: ecco l’itine-rario che percorrono uomini come Jandarbiev e Basaev, responsabilidi aver introdotto in Cecenia il nuovo credo che prima aveva fatto lasua comparsa in Dagestan51.

Da qui, le nuove lacerazioni nel campo separatista, più gravi diquelle prodottesi nel periodo di Dudaev. Nominato capo del governoda Maschadov nel gennaio 1998, Basaev ne esce in luglio e iniziauna lotta senza quartiere, assieme ad altri comandanti di campo, tracui Salman Raduev e Arbi Baraev, contro il presidente eletto dal vo-to popolare e riconosciuto da Mosca. Nell’aprile 1998, ormai passatoal wahhabismo e legato sempre di più all’avventuriero giordano Af-ghani al-Khattab (che alcuni sostengono di lontana origine cecena),Basaev aveva dato vita al «Congresso dei popoli del Dagestan e dellaCecenia», un movimento il cui obiettivo strategico è la formazione diun unico stato nel Nord Caucaso senza altro segno d’identità che nonsia l’Islam (secondo l’interpretazione letterale dei wahhabiti).

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51 Della presenza distruttiva del wahhabismo in Cecenia ha testimoniato il rappre-sentante del presidente Maschadov negli Usa Ljoma Usmanov, presentando al cita-to Hearing davanti alla Commissione sulla sicurezza e cooperazione in Europa unarelazione dal titolo The Fate of Democracy in Chechnya, in The Chechen crisis,pagg. 42 sgg. La relazione è un’appassionata quanto parziale difesa dell’operato diMaschadov e un duro atto di accusa contro i russi e i radicali ceceni.

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La rottura tra Maschadov e Basaev è dovuta al fatto che il pri-mo è ostile al wahhabismo e desideroso di sviluppare con Moscarapporti di collaborazione e cooperazione, fermo però restando ilprincipio, per lui non trattabile, dell’indipendenza e sovranità dellaCecenia. Maschadov è soprattutto un nazionalista (come lo fu Du-daev) e un musulmano ancorato all’Islam sunnita caucasico, al pa-ri di uno dei suoi pochi ma influenti alleati, il mufti Achmad-hadijChadyrov.

Dal 23 luglio 1998 al 21 marzo 1999, Maschadov subisce quattroattentati con autobomba. Ne uscirà miracolosamente indenne. Al-trettanti ne subisce (fino al maggio 2000) il mufti Chadyrov, nel se-condo attentato sarà ferito gravemente. Più volte, anche in meetingdi massa, sono chieste dai comandanti di campo le dimissioni delpresidente. Si vogliono aprire contro di lui procedimenti di impeach-ment in Parlamento. È accusato ora di corruzione, ora di essere alservizio della Russia. Contro di lui si muove il Consiglio islamico oShura, un nuovo organo di contropotere che rappresenta sia i coman-danti di campo come Basaev, Raduev (definito dal Presidente «cri-minale»), Baraev, sia l’ex presidente Jandarbiev, il vicepresidente incarica Arsanov, l’ex ministro Udugov, tutti avversari e detrattori diMaschadov. Da allora, questo antagonismo mai risolto accentuerà icaratteri anarchici e distruttivi della vita politica e sociale cecena.

Agli inizi del 1999 Maschadov sembra cedere alla pressione deiradicali. In gennaio dichiara che entro tre anni la Cecenia diverrà unostato islamico e si doterà di una costituzione basata sul Corano (nonlo era, nonostante l’introduzione della sharja nel 1994, quella procla-mata da Dudaev). Un mese dopo, accelera i tempi. Reintroduce lasharja, abrogata durante l’occupazione russa del 1995-96. Si impe-gna a sciogliere il Parlamento per dare vita a un Consiglio islamico(Shura) che governerà il Paese applicando i principi del Corano52.

Tuttavia, nello stesso periodo, il Presidente licenzia il suo vice,il radicale Arsanov, e dichiara che l’introduzione della sharja noncomporta la fine della democrazia e neppure la sua alleanza con l’e-stremismo, il fondamentalismo e le tendenze radicali che già, con

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52 Sulla codificazione e l’applicazione della sharja in Cecenia si veda I. Maksakov,«¿arjatskoe pravo po eenski» [La sharja alla e.n.], in Nezavisimaja Gazeta, Oso-baja papka cit.

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una dichiarazione del tutto formale e mai seguita da misure concre-te, aveva dichiarato illegali nel luglio 1998, nel mese della rotturacon Basaev.

Del resto, neppure le condanne pronunciate dalla massimaCorte cecena, come quella contro Selman Raduev a 4 anni di car-cere per le sue attività illegali ed eversive, vengono eseguite. Sigiustiziano solo trafficanti di droga o isolati criminali comuni. Piùvolte Maschadov – che si regge grazie al controllo degli organi disicurezza e della Guardia repubblicana (legate alla sua tejp e aquelle ad essa alleate) – intima ai comandanti di campo di conse-gnare le armi. Invano.

Tuttavia, il Presidente gode ancora di un appoggio di massa: inalcuni momenti cruciali riesce a raccogliere decine di migliaia dipersone che si adunano presso il palazzo presidenziale di Groznyjin suo sostegno, come nell’ottobre 1998 o nel grande meeting del16 marzo 1999. Nel secondo dichiara di essere pronto al «massimocompromesso con Mosca», ma senza transigere sul principio del-l’indipendenza. Nel marzo 1999 c’è la svolta decisiva nelle rela-zioni russo-cecene. Il rapimento del generale Gennadij ¿pigun (5marzo) provoca una dura reazione di Mosca. La rappresentanzarussa a Groznyj viene chiusa e il suo personale trasferito a Moz-dok, Ossetia settentrionale. Del sequestro, Basaev accusa i servizisegreti russi, che avrebbero inscenato il rapimento per screditare laCecenia. Maschadov prima lo attribuisce a Raduev, poi ai russid’intesa con Basaev per preparare una nuova aggressione contro laCecenia. I russi, a loro volta, mettono in stato d’accusa il presiden-te ceceno per la sua incapacità di controllare il territorio e far ri-spettare la legalità. Il 7 marzo Stepa¡in annuncia «misure estrema-mente rigorose per garantire legge, ordine e sicurezza nel nordCaucaso». Al che Maschadov risponde: «Faccio del mio meglioper evitare una nuova guerra» e chiede ripetutamente da allora diincontrare El’cin che è, secondo lui, «l’unico dirigente russo capa-ce di risolvere i problemi con relazioni bilaterali». El’cin, dopo unlungo silenzio, il 19 aprile accetta di incontrarsi, ma prende tempo.L’incontro non avverrà mai.

L’aggravarsi della tensione russo-cecena si intreccia con unanuova crisi al vertice russo. La Procura generale emette un mandato

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di cattura, in aprile, contro Berezovskij, per irregolarità finanziarie.Successivamente viene ritirato. In maggio, il premier Primakov è li-cenziato. Al suo posto El’cin nomina Stepa¡in, che da tempo si oc-cupa del Caucaso settentrionale. Nell’agosto 1998, aveva visitatoalcuni villaggi daghestani (Karamachi, Cabanmachi, nel distretto diNovolaksk), dove i wahhabiti locali avevano dichiarato di obbediresolo alla legge islamica, non a quelle di MachaØkala e di Mosca.Stepa¡in aveva raggiunto un compromesso: gli abitanti dei villaggiavrebbero potuto vivere secondo il Corano, ma rispettando la sovra-nità daghestana53. Nel 1998 si era accordato con i ministri cecenidella sicurezza e della sharja per un’attiva collaborazione contro lacriminalità e il terrorismo.

Ai primi di giugno, i russi iniziano a costruire una sorta di vallo(lunghezza 113 chilometri) lungo la linea di confine tra la Cecenia eil kraj di Stavropol’. Si progetta un cordone sanitario per isolare laCecenia dalle regioni limitrofe, così spesso oggetto di incursioni daquel territorio, per rapine, sequestri di persona, furti di bestiame. Inquesta occasione Maschadov lancia un ennesimo appello contro se-questri, furti di petrolio e terrorismo. Di quest’ultimo non sono statisolo lui e il mufti Chadyrov i bersagli. Dall’inizio del 1998, sono sta-ti feriti o uccisi in attentati un gran numero di collaboratori del presi-dente, in particolare gli uomini della sicurezza. Nessun colpevole èstato catturato, né punito. In risposta all’ultimo appello, si attenta al-la vita del responsabile della protezione dell’oleodotto, MagomedChambiev, mentre una carica di esplosivo danneggia le condutture alconfine ceceno-daghestano. La compagnia russa Transneft’, che de-gli oleodotti russi ha il monopolio, blocca il tratto ceceno del Baku-Novorossijsk. La decisione diverrà definitiva in agosto.

L’11 giugno 1999 il premier Stepa¡in si incontra con Mascha-dov. Si decide di realizzare gli accordi di cooperazione e ricostru-zione sottoscritti nel 1997, disattesi fino ad allora da Mosca permotivi di bilancio, per l’inaffidabilità politico-sociale cecena, percattiva volontà. Si decide di intensificare la collaborazione nellalotta contro criminalità e terrorismo. Dopo di che si registra uno dei

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53 G. Koval’skaja, «Dagestanskaja lovu¡ka» [La trappola del Dagestan], in Itogi,25 agosto 1998.

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tanti e vani appelli di Maschadov contro la criminalità: un retoricosegno d’impotenza.

9. La crisi daghestana e la seconda campagna di Cecenia

Nel biennio 1998-99 c’era stata una sequenza di drammatici av-venimenti nell’intero Nord Caucaso. Il quadro generale non potevanon allarmare Mosca. In Dagestan un attentato (autobomba) avevaprovocato 17 morti nel centro di MachaØkala (15 settembre 1998).Sei mesi dopo un’altra esplosione (sempre autobomba) provocava70 morti al mercato centrale di Vladikavkaz, capitale dell’Ossetiasettentrionale. Sempre in Dagestan era stato ucciso il mufti SaidMagomed-hadji Abubakarov, ostile ai wahhabiti, e ferito grave-mente il sindaco della capitale. I colpevoli degli attentati, natural-mente, non vengono trovati. Disordini e lotte di potere a sfondo et-nico hanno luogo sia nella repubblica KaraØaevo-Æerkessija, sia nelDagestan.

La destabilizzazione del Nord Caucaso ha cause interne, secon-do l’ex ministro delle nazionalità del governo russo Ramazan Ab-dulatipov (un daghestano di etnia àvara): esse vanno dalla lotta peril potere tra le élite delle etnie titolari alla forte disoccupazione(provocata dall’alto tasso di natalità, dal crollo generale dell’eco-nomia degli anni Novanta, dalla esiguità delle risorse valorizzate);dalla massiccia partenza dei quadri russi all’insufficienza di quellilocali; dalla lotta per il controllo dei finanziamenti centrali e dellepoche risorse locali alla diffusa corruzione nell’amministrazionelocale, per finire alla criminalità mafiosa. Tuttavia, ammonisceAbdulatipov, sono anche da considerare la strategia globale degliUsa e le mire destabilizzanti di una serie di paesi asiatici più o me-no vicini sul Nord Caucaso e sul Caspio: dalla Turchia all’ArabiaSaudita, dall’Afghanistan all’Iran e al Pakistan: i motivi sono geo-politici, strategici ed economici. Ora, lo stesso Maschadov avevapiù volte accusato gli Usa di voler destabilizzare la Russia nelNord Caucaso delegando il compito all’Arabia Saudita, la maggio-re fonte dei finanziamenti ai wahhabiti. Tra l’altro, in passato, Ma-schadov aveva accusato Jandarbiev di lavorare per l’intelligence dipaesi mediorientali.

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Maggior risalto vorremmo dare alle dichiarazioni del presidentececeno del 30 luglio 1999 che afferma in una intervista:

Gli occidentali vogliono cacciare la Russia dal Nord Caucaso, co-me hanno fatto nel sud della regione. Essi sostengono gli estremisti da-ghestani54.

In luglio, infatti, la situazione si è aggravata. Il 5 e 6 di quel me-se truppe russe dell’Mvd attaccano con artiglieria pesante ed eli-cotteri gruppi armati ceceni nella zona di confine tra il Dagestansettentrionale e la Cecenia. Il successore di Stepa¡in agli interni,Vladimir Ru¡ajlo, incontrando i responsabili degli interni e dellasharja ceceni, invoca impegno e sforzi comuni per rafforzare la si-curezza nelle zone di frontiera ceceno-dagestane. Il direttore del-l’Fsb Vladimir Putin, assieme al ministro delle nazionalità Michaj-lov avevano, intanto, confermato il sostegno a Maschadov el’impegno del governo a proteggere quei confini, escludendo l’ipo-tesi di «colpi preventivi» alle basi degli estremisti ceceni. La Rus-sia avrebbe soltanto risposto agli attacchi ceceni ai posti di frontie-ra. Tuttavia, sia Maschadov che il suo ex ministro degli esteriUdugov affermano che Mosca prepara il terreno per una nuovagrande tragedia55.

La situazione precipita, quando il 3 agosto nel distretto di confi-ne di Cumadin (Dagestan), viene assalito un posto di polizia e 4agenti vengono uccisi. Il giorno seguente milizie degli interni da-ghestane respingono due gruppi di guerriglieri che hanno assalitoun villaggio. MachaØkala chiede l’intervento militare di Mosca. Trail 6 e il 7 agosto, gruppi armati si impadroniscono di alcuni villaggidei distretti di Cumadin e di Botlich: li guidano i comandanti dicampo Basaev e al-Khattab. Il loro numero si aggira dai 300 ai 600,anche se alcune fonti ne citano 2000. Stepa¡in esclude una nuovaguerra nel Nord Caucaso.

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54 R. Abdulatipov, «Voznja politikov na trone Boga» [Gli intrighi dei politici neltrono di Dio], in Nezavisimaja Gazeta, 26 giugno 1999. Per le dichiarazioni di Ma-schadov si veda: Rfe/Rl, 5 ottobre 1998; Rfe/Rl, 2 agosto 1999.55 Cito dall’articolo analitico di L. Fuller, «Method to Moscow’s Apparent Mad-ness in Chechnya», End Note, in Rfe/Rl, 8 luglio 1999.

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Il 9 agosto 1998 – la data si può senza esagerazione definirestorica – El’cin licenzia ad appena 82 giorni dalla nomina – delmaggio 1998 – il premier Stepa¡in e nomina al suo posto il diretto-re dell’Fsb Vladimir VladimiroviØ Putin, 46 anni, in passato uffi-ciale del Kgb, già vicesindaco di San Pietroburgo (1991-96) e capodipartimento dell’Amministrazione presidenziale (1996-98). Lostesso giorno intervengono in Dagestan contro i guerriglieri duereggimenti dell’esercito e dell’Mvd russi, con appoggi aerei. Iniziala seconda campagna della Russia postsovietica nel Nord Caucaso.E insieme inizia l’ascesa verso il Cremlino di un uomo fino alloraoscuro, la cui nomina è accolta con un misto di stupore e di sdegnoda gran parte della stampa russa ed estera: nel giro di tre mesi El’cin ha sostituito due premier. Quattro in un anno.

Difficile dire se la sostituzione di Stepa¡in – già indicato comepossibile delfino di El’cin – sia stata motivata dalle esigenze internedel Cremlino in vista delle elezioni politiche del prossimo dicembree delle presidenziali dell’anno successivo oppure dall’aggravarsidella situazione nel Nord Caucaso. Fatto sta che Stepa¡in non è rite-nuto al Cremlino sufficientemente energico e affidabile per le duecruciali questioni. La scelta del nuovo leader è caduta su Putin, unuomo di cui il presidente El’cin esalta «la risolutezza e la fermez-za». Inizia, così, la costruzione politica e mediatica di questo perso-naggio. Al centro della sua fortuna politica c’è il nuovo capitolodella tragedia cecena.

Il 10 agosto da Groznyj si annuncia, a nome dei musulmani delDagestan, la formazione di un Consiglio islamico (shura) di quellarepubblica: l’obiettivo è dar vita a uno stato daghestano islamico.Si chiamano in aiuto i correligionari ceceni perché intervengano ecaccino le truppe russe e pongano fine al potere degli infedeli. Vie-ne nominato nella persona dell’àvaro Sirazdin Ramazanov il primoministro del governo islamico (17 agosto) e in quella del teoricodel wahhabismo Magomed Tagaev il ministro della sharja. Basaevsarà designato emir (capo militare) delle forze musulmane delCaucaso.

È evidente che alcuni comandanti di campo, segnatamente Ba-saev, sono stati tra gli ideatori e promotori dell’avventura in Dage-stan. Del resto, lo stesso Basaev, come si è visto, non aveva fattomistero di voler unificare Cecenia e Dagestan. Né erano ignote le

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basi cecene in cui si addestravano i guerriglieri islamisti sotto il co-mando dei polevye komandiry, mentre i servizi di informazione diMachaØkala avevano più volte segnalato i frequenti e indisturbatipassaggi di frontiera tra Dagestan e Cecenia di elementi e gruppiradicali armati. C’è da domandarsi perché Mosca non sia interve-nuta prima e abbia scelto la linea dell’attesa. Maschadov, in una se-rie di dichiarazioni e di appelli rivolti ad agosto e settembre allemassime autorità russe e a quelle internazionali (Onu, Osce, Nato),nega qualsiasi responsabilità della Cecenia nell’invasione. Ma l’af-fermazione è veritiera solo riguardo alla partecipazione diretta delsuo governo. Tuttavia, Maschadov niente aveva fatto, o potuto fare,perché il territorio ceceno non si trasformasse nella base politico-logistica dell’avventura daghestana, nei cui confronti un personag-gio influente come Jandarbiev esprime sin dall’inizio la sua solida-rietà. Maschadov tollera anche che il territorio ceceno divenga unrifugio per i mod§agedy nel momento in cui le truppe russe li co-stringono a lasciare il Dagestan.

L’atteggiamento del presidente ceceno rivela, in realtà, impoten-za e ambiguità. Se da una parte si dissocia dalla sciagurata impresa,dall’altra non condanna, né persegue Basaev. Del resto, le misure diespulsione dal territorio ceceno decise nel 1998 dal suo governo acarico di al-Khattab, Arbi Baraev e altri capi wahhabiti non eranomai state eseguite. Così, nell’agosto 1999 Maschadov rifiuta diunirsi alla truppe federali per combattere in Dagestan e in Ceceniale forze destabilizzatrici, come Mosca gli aveva chiesto come segnodella sua dissociazione dai wahhabiti.

In poco più di un mese l’intervento delle truppe federali ha lameglio sui ribelli che sono costretti a ritirarsi dai villaggi occupatie rifugiarsi in Cecenia, dopo aver lanciato (5 settembre) un’ultimaoffensiva con circa 2000 uomini e tentato di conquistare Cha-sav’jurt per poi muovere verso MachaØkala. La sollevazione po-polare, che Basaev e i suoi complici si aspettavano, non c’è stata.Le popolazioni locali hanno reagito all’invasione fuggendo daivillaggi occupati per non trasformarsi in scudi umani usati daiguerriglieri.

Dal canto suo, il governo di MachaØkala ha organizzato e arma-to milizie volontarie che combattono a fianco dei federali. Né il Da-gestan, né altre repubbliche del Nord Caucaso visitate dagli emissa-

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ri di Basaev rispondono agli appelli dei wahhabiti. La loro sconfittapolitica è netta. I villaggi che un anno prima avevano raggiunto uncompromesso con Stepa¡in (Karamachi, Cabanmachi) sono attac-cati dai federali e distrutti. Basaev annuncia che «i musulmani,contro cui è stata iniziata la guerra, hanno diritto di rispondere interritorio russo»56.

È a questo punto che intervengono fatti che imprimeranno uncorso nuovo e più ampio al conflitto e più in generale alla situazio-ne politica russa: il 4 settembre viene fatto esplodere a Bujnaksk,Dagestan, un palazzo in cui abitano famiglie di ufficiali federali: 40morti e un centinaio di feriti. È il primo degli attentati che colpisco-no abitazioni nella Fr.

Il 5 e il 7 settembre, bombardieri russi colpiscono i villaggi diNogaj-Jurt, I¡choj-Jurt e Zamaj-Jurt nel sudest ceceno, distretto diVedeno. Alla protesta di Groznyj, i russi rispondono che il bersa-glio erano le basi dei boeviki, non la popolazione civile. Basaev di-chiara che «la risposta cecena alle incursioni aeree sarà impressio-nante»57. El’cin reclama, il 7 settembre, un maggior coordina-mento tra le truppe degli interni e quelle della difesa, una più forte azione contro i ribelli, che «non devono essere definiti islamici mabanditi». Putin a fine agosto ha visitato le truppe impegnate nelCaucaso.

In effetti, il vertice russo vede in pericolo l’integrità del paese. IlNord Caucaso ne è considerato, a ragione, l’anello più debole e vul-nerabile. Su questo concordano le massime autorità istituzionali: ol-tre al Presidente, gli speaker della Duma (Gennadij Seleznev) e delConsiglio della federazione (Egor Stroev).

Il 9 settembre c’è il secondo attentato: via Gurjanov, in una peri-feria di Mosca, nella notte esplode un palazzo. I morti sono 90, oltrecento i feriti. Il 13 settembre – giorno di lutto nazionale per i mortidi via Gurjanov – una nuova esplosione distrugge, ancora nella not-te, un palazzo del Ka¡irskoe ¿osse: 93 morti e oltre cento feriti. Af-ferma El’cin:

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56 In L. Fuller, Chechnya complains, in Rfe/Rl, 27 agosto 1999; Interfax, 26 agosto1999.57 Rfe/Rl, 5 settembre 1999.

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Il terrorismo ha dichiarato guerra al popolo della Russia. È necessa-rio unire tutte le forze e rafforzare la sicurezza.

Un giorno prima Basaev aveva dichiarato: «Non è nel nostro sti-le uccidere dei civili»58. Dello «stile» di Basaev e dei suoi seguaciavevano avuto dimostrazione, tra gli altri, gli ostaggi dell’ospedaledi Budennovsk. Il 16 settembre avviene, di notte, la quarta esplosio-ne, questa volta nella provincia profonda: bersaglio è un edificiopopolare di Volgodonsk, provincia di Rostov-sul-Don: i morti sono17 e oltre 100 i feriti.

L’opinione pubblica e le massime autorità, con il supporto deiprincipali canali televisivi (soprattutto l’Ort), accreditano la matri-ce cecena delle esplosioni, anche se trova credito un’altra e più in-quietante versione: quella di un vasto complotto del Cremlino. Sene fa portavoce, tra gli altri, in una clamorosa intervista a un quoti-diano francese, il firmatario degli accordi di Chasav’jurt ed ora go-vernatore del kraj siberiano di Krasnojarsk, l’ex generale Lebed’che dichiara:

Sono convinto che la leadership russa ha pianificato le bombe diMosca per postporre le elezioni del 19 dicembre. Qualsiasi comandantedi campo che avesse voluto vendicarsi avrebbe fatto saltare in aria gene-rali, distrutto strutture del ministero della difesa o dell’Fsb, o depositi diarmi, o impianti nucleari [sic]. Mai avrebbe scelto come bersaglio genteinnocente [...] Sono sicuro che c’è un accordo tra le autorità russe e ilcomandante di campo Basaev, già informatore del Kgb e magnificoagente di destabilizzazione, da quel guerriero nato che è.

Dichiarazioni gravissime, ma non corredate da alcuna prova59.Al pari di quelle più volte rese da Maschadov, per giunta mai ac-compagnate da una rottura aperta e provvedimenti concreti controBasaev. Il nome di quest’ultimo ricorre in due articoli apparsi inquei giorni su un quotidiano russo, il Moskovskij Komsomolec: nelprimo si accusa Berezovskij di aver «architettato» con quel terrori-

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58 Rfe/Rl, 13 settembre 1999.59 Le Figaro, 29 settembre 1999, ampiamente ripreso dalle Izvestija con il titoloemblematico «Perevorot» [Colpo di stato], 1˚ ottobre 1999.

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sta l’invasione del Dagestan. Nel secondo, si pubblica la registra-zione di una telefonata compromettente tra l’oligarca e Basaev. Be-rezovskij parla di «montatura»60.

Tuttavia, ci sono alcune circostanze su cui puntano i sostenitoridella tesi del complotto: nonostante l’ondata di perquisizioni e gliarresti tra i nord-caucasici che vivono a Mosca, non viene raccoltanessuna prova concreta a carico di ceceni; in secondo luogo, con ra-pidità superiore agli standard russi, le aree delle esplosioni vengonoimmediatamente liberate dalle macerie, dopo altrettanti rapidi pre-lievi dei campioni necessari alle indagini, svolte dagli ufficiali dellaSicurezza; infine, a Rjazan’, Russia meridionale, la locale miliziascopre nelle cantine di una casa popolare di 12 piani una grandequantità di esplosivo. L’Fsb dichiara che si tratta di materiali perun’esercitazione. In poche settimane l’affare è chiuso61.

Di fronte alle prime critiche venute dall’Occidente per l’indub-bia durezza dell’intervento in Dagestan, il ministro Ivanov avevacon chiarezza indicato gli obiettivi di Mosca in una dichiarazionedel Primo settembre: «La Russia difende il suo territorio, i suoi inte-ressi strategici e la stabilità nell’intero Caucaso»62. In quella stessadichiarazione il capo della diplomazia russa aveva aspramente criti-cato gli accordi tra Georgia, Turchia e Azerbajd§an sugli oleodottialternativi al Baku-Novorossijsk, di cui il premier Putin decidel’amputazione del tratto ceceno, dando mandato al ministro dell’e-nergia Kalju§nyj di provvedere, tramite Transneft’, alla costruzionedel tratto sostitutivo, Dagestan-Tichoreck.

A questo punto è necessario ricostruire il clima politico russo.Nell’ultima decade di agosto e nella prima di settembre, grandi quo-tidiani occidentali (segnatamente il Corriere della Sera e il NewYork Times) pubblicano una serie di articoli sui rapporti della «Fa-miglia» El’cin con il costruttore albanese-svizzero Pacolli, su colos-

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60 Si vedano Moskovskij Komsomolec, 14 e 16 settembre 1999; Izvestija, 17 settem-bre 1999.61 Sul mistero degli esplosivi di Rjazan’, si veda Moscow Times, 25 settembre1999. Per una serie di commenti e ipotesi sulle esplosioni di Mosca, si veda Jame-stown Foundation Monitor, 27 settembre 199962 Rfe/Rl, 1˚ settembre 1999.

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sali operazioni di riciclaggio (o fuga) di capitali russi alla «Bank ofNew York», su crediti del Fmi dirottati dalla Banca centrale russaverso una banca off shore (Fimaco) delle isole britanniche Chan-nels. Il Cremlino, la «Famiglia» («vicini» alla quale sono annovera-ti l’oligarca Berezovskij e il suo socio AbramoviØ) sembrano sulpunto di essere travolti dagli scandali. Intanto, è sempre alta sull’o-rizzonte la stella del popolare ex premier Primakov, la cui alleanzacon il sindaco di Mosca Lu§kov acquista forza e valenza politico-elettorale antieltsiniana.

Quanto alla situazione nel Nord Caucaso, alte personalità istituzio-nali, tra cui lo speaker del Consiglio della federazione Stroev, esclu-dono operazioni militari dirette contro la Cecenia, nonostante i bom-bardamenti del 5 e 7 settembre. Il presidente inguscio Au¡ev sostienela piena estraneità di Maschadov ai fatti di agosto e settembre. Dalcanto suo, Emil’ Pain, ex consigliere di El’cin sul Caucaso, afferma,con l’autorevolezza dello studioso e dell’acuto analista, che «sfortu-natamente dobbiamo riconoscere la possibilità di un inizio della guer-ra nel Nord Caucaso paragonabile a quella precedente». Anche Ma-schadov è convinto che stia preparandosi l’invasione del suo paese63.

È certo che le esplosioni di Mosca mutano radicalmente il climapolitico, fanno ritornare al suo centro la questione cecena e radica-lizzano l’iniziativa militare di Mosca. Nello stesso giorno (17 set-tembre) in cui Putin dichiara che attorno alla Cecenia sarà costruitoun «cordone sanitario», l’aviazione russa compie ben cento incur-sioni su obiettivi ceceni e una settimana dopo colpisce Groznyj conraid che fanno centinaia di vittime tra i civili: i bersagli sono gli im-pianti petroliferi e petrolchimici risparmiati nel precedente conflittoe la torre della televisione. Il 20 settembre, il vice capo di StatoMaggiore generale Valerij Manilov, smentendo Stroev e lo stessoPutin, afferma di «non escludere un’invasione della Cecenia»64.

Nel contrasto tra la dichiarazione di Putin (che ne farà un’altradello stesso tenore il 24 settembre) e quella di Manilov si coglie lareale differenza tra il conflitto del 1994-96 e quello che si è ormaiaperto: ai vertici militari vengono dati migliori armamenti (come

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63 Si vedano Rfe/Rl, 7 settembre 1999; Rfe/Rl, 13 settembre 1999.64 Rfe/Rl, 20 settembre 1999.

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nuovi tipi di elicotteri da combattimento e da trasporto, Mi-24 eMi-8), più uomini e finanziamenti, ma soprattutto la massima auto-nomia decisionale, carte blanche, come si dice65.

In Cecenia, il comando delle operazioni delle truppe congiunte(Mvd e difesa) è affidato a un generale dell’esercito, Viktor Kazan-cev e tolto al generale dell’Mvd OvØinnikov, successivamente so-stituito dal generale Tichomirov. Essi dipendono direttamente dalloStato Maggiore: ne è a capo il generale Anatolij Kva¡in, il cui vice èil generale Valerij Manilov. Sotto Kazancev, troviamo i due prota-gonisti del conflitto: i generali Tro¡Øev e ¿amanov. Il 26 settembre,si bombarda di nuovo Groznyj. Questa volta vengono distrutti gliimpianti di telefonia mobile.

Tutto questo mostra chiaramente che Mosca, ormai, non si limi-ta a un’operazione diretta a distruggere le basi dei wahhabiti e deicomandanti di campo radicali. L’obiettivo, anche se ancora non èdichiarato, è la Cecenia. I militari, evidentemente, vogliono la rivin-cita sull’umiliazione di Chasav’jurt. E a differenza del precedenteconflitto, si cerca di minimizzare le perdite russe, con il ricorso amassicci bombardamenti aerei e di artiglieria, prima di passare allaconquista dell’obiettivo. Questa è la novità del nuovo conflitto.

Putin prospetta più di una volta la creazione di una «zona cusci-netto». Il 1º ottobre, le truppe russe muovono dall’Inguscetia, dalNord Ossetia e dal Dagestan, per occupare in meno di tre settimanei territori settentrionali ceceni, al di qua del Terek. La Russia di-chiara El’cin – è impegnata in un’«operazione antiterroristica» vol-ta alla «distruzione» delle «formazioni banditesche» (bandformiro-vanija) cecene. Non è una guerra contro il popolo ceceno, assicura.Questo semplifica le cose, sotto il profilo costituzionale e dà al Pre-sidente e al suo premier poteri molto più ampi e incontrollati66. Inrealtà, a dispetto del nome, una guerra vera è iniziata.

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65 Sulla svolta russa nella condotta di guerra, si veda S. Sokut, «Na samoletach –veteranach» [Sugli aerei-veterani], in Nezavisimaja Gazeta, Osobaja Papka cit.; A.Korbut, «Kreml’ i vojska izvlekajut uroki» [Il Cremlino e i militari traggono inse-gnamenti], ivi.66 Dichiarare guerra alla Cecenia, ora, come alla fine del 1994, avrebbe comportatoil riconoscimento della Cecenia come stato altro dalla Fr. Inoltre El’cin avrebbedovuto sottoporre la decisione al Consiglio della Federazione e alla Duma (art. 87,2 della Costituzione della Fr).

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Il 4 ottobre l’ex presidente ceceno Jandarbiev esorta alla «resi-

stenza accanita» e nega l’eventualità di qualsiasi colloquio. Qual-

siasi trattativa con la Russia è «un atto criminale, un tradimen-

to»67. Il 20 ottobre viene costituito un Comitato di stato ceceno per

la difesa nazionale. È presieduto da Maschadov, ma ne fanno par-

te anche i leader radicali tra cui lo stesso Jandarbiev. Questo Co-

mitato «proibisce ai leader della repubblica cecena di impegnarsi

in negoziati con ogni russo che abbia avuto un qualsiasi livello di

responsabilità nella decisione di scatenare la guerra contro la Ce-

cenia». Lo dichiara l’ex vice presidente Vacha Arsanov, del quale

i radicali impongono a Maschadov la ripresa delle funzioni di vi-

cepresidente68.

Entrambe le parti si dicono favorevoli alle trattative, ma entram-

be pongono condizioni pregiudiziali, che ognuna dal proprio punto

di vista dichiara inaccettabili. Sarà questo il leit-motiv del conflitto

fino alla metà del 2000: esso lo prolunga ben oltre i termini che i di-

rigenti russi si erano prefissati al suo inizio. La durata viene sempre

più rassomigliando a un elastico da allungare o accorciare a secon-

da delle circostanze o delle diverse esigenze, ora dei leader politici

(in vista delle elezioni) ora dei militari (per giustificare la lentezza

delle operazioni).Il Comitato ceceno della difesa chiede la mediazione dell’Onu o

di un’altra organizzazione internazionale, lo svolgimento delle trat-tative in terreno neutrale e un accordo che vincoli Mosca a rispetta-re gli obblighi sottoscritti (20 ottobre). Il governo russo rispondeimmediatamente: accetta il dialogo e le trattative con Groznyj, masolo con le forze politiche che «siano in accordo con la Costituzionerussa e ne accettino l’integrità territoriale e la sovranità»; che «de-nuncino il terrorismo e le sue manifestazioni»; che «disarmino leformazioni armate illegali e consegnino alle autorità federali le per-sone colpevoli di atti terroristici, presa di ostaggi, azioni bandite-sche». Inoltre, le autorità cecene devono impegnarsi a liberare tuttigli ostaggi, a garantire i diritti umani e le libertà fondamentali e a

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67 Rfe/Rl, 12 ottobre 1999.68 Interfax, 24 ottobre 1999.

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creare «tutte le condizioni del ritorno nelle loro case delle personeche sono state costrette a lasciarle»69. La prima condizione è la ri-nuncia all’indipendenza ipotizzata negli accordi di Chasav’jurt enel Trattato di pace successivo che rinviavano al 2001 la decisionedefinitiva. Maschadov, su questo, è stato e sarà irremovibile.

Come si vede, le posizioni sono inconciliabili. Ognuna delle dueparti le rilancerà all’altra nel corso di lunghi mesi, rendendo impos-sibile la trattativa. Le proposte di tregua e di cessate il fuoco, chepiù volte Maschadov rivolgerà alla controparte, saranno respinte. Imilitari russi hanno fatto tesoro delle lezioni del primo conflitto. Aiprimi di novembre, il ministro della difesa generale Sergeev dichia-ra che ormai non si tratta solo di «liberare Groznyj, ma tutta la Ce-cenia». Putin poco prima aveva dichiarato che la Russia voleva«sradicare il terrorismo e aprire trattative per trovare una soluzionepolitica a un conflitto che era solamente politico». Il 6 novembre ilgenerale ¿amanov dichiara di essere «pronto a dimettersi se si apro-no trattative con i banditi»70. Infatti, si erano diffuse voci, smentitedai vertici militari, di dimissioni dei generali operativi, se si fosseroaperte trattative e relative tregue con i bandjugi (termine dispregia-tivo di bandity con cui i militari designano i separatisti)71.

Al di là delle dichiarazioni, tuttavia, sono i fatti a radicalizzare ilconflitto. E di questi il più grave, capace di compattare il divisofronte dei capi ceceni, è il bombardamento del mercato di Groznyjdel 21 ottobre, in un’ora pomeridiana di massimo afflusso. Si parladel lancio di 5 o 10 missili o di un solo missile che ha per testatauna bomba a grappolo. I ceceni parlano di 118 morti. I russi di 48. Igenerali si comportano con quella tradizionale goffaggine, che rive-la imbarazzo e mancanza di coordinamento. In un primo tempo, in-fatti, negano qualsiasi responsabilità russa, poi dichiarano di avervoluto colpire il quartier generale di Basaev situato in una zona delmercato, dove si sarebbe pure trovato un fornitissimo arsenale deiradicali. Alla fine di ottobre, sono centrate da missili le dimore diBasaev, Baraev e Jandarbiev.

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69 Itartass, 21 ottobre 1999. Si veda Russian Government on the Situation in Che-chnya, End Note, Rfe/Rl, 21 ottobre 1999.70 Rfe/Rl, 6 novembre 1999.71 Rfe/Rl, 2 novembre 1999.

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Va osservato che il micidiale bombardamento del mercato diGroznyj è avvenuto lo stesso giorno in cui il governo russo comuni-cava le sue condizioni per aprire eventuali trattative. Quattro giornidopo l’eccidio, le truppe russe superano il Terek. Vengono bombar-date le cittadine di Sama¡ki (luogo di un eccidio a danno dei civilicommesso dai russi nella guerra precedente) e Bamut. Si apre la se-conda fase del conflitto.

In Russia il consenso è generale. Sempre più isolate sono le vocidi chi invoca l’apertura di trattative: l’ex premier Primakov, l’expresidente dell’Urss GorbaØev, il leader di opposizione Javlinskij,l’oligarca Berezovskij. Sui media è calata l’azione di filtraggio del-le notizie da parte dei militari. Sono i giornali e la televisione (Ntv)di Vladimir Gusinskij e la radio americana Free Europe/Svoboda(Libertà), che ha a Mosca una sua redazione, le uniche voci disso-nanti. Più debole che nel passato il movimento delle «Madri dei sol-dati» che accusa i vertici militari di nascondere o minimizzare il nu-mero dei militari caduti nel Caucaso: i morti in novembre superanoi 600, mentre lo SM ne conta 13372.

Intanto i profughi aumentano di giorno in giorno. A metà no-vembre se ne contano oltre 100 mila, riparati in accampamenti difortuna, per lo più nella repubblica inguscia e in misura minore inGeorgia, raggiungibile soprattutto dai guerriglieri per approvvigio-namenti di armi, cure mediche e rifugio. Si moltiplicano le pressio-ni su Mosca da parte di Osce, Consiglio d’Europa, Usa, governi del-l’Unione Europea perché trovi una soluzione politica del conflitto eargini la «catastrofe umanitaria» ormai in atto. Il flusso dei fuggia-schi è controllato e la popolazione maschile adulta (a partire dai 16anni di età) deve passare attraverso appositi «punti di filtraggio»,che esistevano già all’epoca del primo conflitto. Questa volta, il lo-ro lavoro è più occultato e più efficace. Le organizzazioni umanita-rie accusano i responsabili di quei «punti» (diretti da militari degliinterni e dall’Fsb) di praticare torture ed esecuzioni sommarie nei

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72 Sulle divergenti valutazioni delle perdite russe date dai comandi militari e orga-nizzazioni non ufficiali si veda G. Koval’skaja, «Arifmetika ob¡Øestvennoj glucho-sti» [L’aritmetica della sordità sociale], in Itogi, 25 gennaio 2000: sulle informa-zioni delle «Madri dei soldati» e sulle pressioni esercitate su di loro si veda LeMonde, 11 gennaio e 2 febbraio 2000.

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confronti di fermati, sospettati di far parte delle «formazioni bandi-tesche». Particolarmente segnalato per la sua durezza è il punto difiltraggio di Æernokozovo ai confini con l’Inguscetia73.

L’opinione pubblica approva la risolutezza dimostrata dai verti-ci. È il noto politologo della perestrojka Otto Lacis a scrivere perprimo che Putin è balzato improvvisamente ai primissimi posti nelconsenso popolare, superando leader da tempo noti e affermati co-me il capo comunista Zjuganov, il sindaco di Mosca Lu§kov e illeader dell’opposizione democratico-liberale Javlinskij74.

Ai primi di novembre, a poco più di un mese prima delle elezio-ni politiche, i sondaggi rivelano che, se ci fossero le elezioni presi-denziali, Putin conquisterebbe al primo turno il 29 per cento dei vo-ti: il primo posto. Crescono i consensi, intanto, al nuovo «partitodel potere», chiamato «Edinstvo» (unità). Presieduto dal popolareministro per le situazioni d’emergenza ¿ojgu, «Edinstvo» è l’outsi-der delle politiche del 19 dicembre. È un’abilissima invenzionedell’apparato presidenziale del Cremlino. La sua ideologia è ele-mentare e generica: «consolidare e unire» la Russia, darle prospe-rità economica e restituirle status e ruolo di grande potenza, batten-do le forze centrifughe e dissolvitrici. «Edinstvo» si propone aglielettori come «il partito di Putin», che la maggioranza del Paesepercepisce come il vittorioso condottiero della guerra nel Caucaso.Il nuovo partito ha il compito di strappare ai comunisti e ai loro al-leati la maggioranza alla Duma, ma soprattutto di sconfiggere ilblocco Lu§kov-Primakov (denominato «OteØestvo-Vsja Rossija» –Patria-Tutta la Russia), i cui leader, ormai in netto declino nei son-daggi di fronte all’ascesa di Putin, sono oggetto di una violenta emartellante campagna denigratoria da parte dei media, specie tele-

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73 Sui campi di filtraggio e sulle vessazioni e torture cui sarebbero stati sottoposti iceceni sospetti di far parte della guerriglia si veda S. Sihab, «La torture quotidiennedans les camps de filtration», in Le Monde, 11 febbraio 2000. In quello stesso nu-mero è pubblicata una testimonianza anonima sulla tortura («Les cris des hommesà qui l’on casse tout ce qu’on peut casser»). Si deve dire che su questi temi, mag-giore è stata l’informazione in Occidente che in Russia. In particolare sulla viola-zione dei diritti umani in Cecenia Le Monde è stato in assoluto il giornale che hadato un’informazione più costante e al quale sono arrivate più di frequente vibrantismentite russe.74 Novye Izvestija, 7 ottobre 1999.

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visivi (Ort, Rtr, Tv 6), controllati da Berezovskij o più in generaledal Cremlino. «Edinstvo» dovrà soprattutto sostenere il nuovo pre-mier, quando si presenterà come candidato ed erede designato diEl’cin alle presidenziali del giugno 2000. Il suo merito principale èla «vittoriosa» campagna di Cecenia.

Il 12 novembre Putin annuncia la conquista di Gudermes, chenon ha opposto resistenza ai federali. Viene rinnovata la propostadi trattative con la solita condizione che la Cecenia rimanga partedella Fr e si accordi alle sue leggi. Il ministro della difesa Sergeevdichiara che la guerra finirà entro la fine dell’anno. Intanto nei ter-ritori occupati (oltre un terzo del paese), Mosca ha nominato il pro-prio plenipotenziario, Nikolaj Ko¡man, già attivo nell’amministra-zione del 1995-96 ed ex dirigente del Pc ceceno in era sovietica. Asorpresa, con un provvedimento di perdono, El’cin libera dalla pri-gione, dove scontava a Mosca una condanna a sei anni inflittagliper concussione, l’ex sindaco di Groznyj Bislan Gantemirov, cheera stato prima sostenitore, poi acerrimo avversario di Dudaev. Erastato ritenuto colpevole di aver fatto sparire 1,7 milioni di dollaridestinati alla ricostruzione di Groznyj nel 1995-96. Gantemirovaveva dichiarato di essere stato vittima di una montatura ordita aMosca allo scopo di coprire le ruberie di alcuni personaggi del ver-tice russo come l’ex capo della Guardia presidenziale Kor§akov,l’ex vicepremier Soskovec (uomo del Complesso militare-indu-striale), il ministro della difesa GraØev e il direttore dell’Fsk Bar-sukov, il «partito della guerra» della fine del 199475. Liberato,Gantemirov prepara un corpo di volontari ceceni che dovrannocombattere a fianco dei federali.

Maschadov continua, intanto, a lanciare messaggi sulla sua pie-na disponibilità ad aprire trattative ed El’cin ribatte che le operazio-ni militari non si concluderanno «finché un solo terrorista rimarrànel nostro [sic] territorio». Del resto, progressivamente Maschadovperde credibilità come possibile interlocutore di Mosca: lo si con-

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75 Rfe/Rl, 8 novembre 1999. Su Gantemirov si veda «Caucasus Report Rfe/Rl», 23dicembre 1998. Sulle personalità cecene su cui Mosca punta per dar vita a strutturedi potere affidabili in Cecenia si veda G. Koval’skaja, «Zolotonosnye razvaliny» [Lerovine aurifere], in Itogi, 8 febbraio 2000. L’autrice ipotizza anche una lotta tra i lea-der ceceni filorussi per il controllo dei flussi di finanziamento per la ricostruzione.

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sidera, a ragione, privo di un reale potere e succube dei radicali. Op-pure, di essere un doppiogiochista: la faccia decente di Groznyj.Fatto è che non Basaev o Jandarbiev o gli altri radicali, sono ogget-to di suoi provvedimenti, ma il suo vecchio alleato e sostenitore, ilmufti Kadyrov. Questi non viene più riconosciuto nella sua caricada Maschadov e dallo stesso dichiarato «traditore». Il capo dei mu-sulmani ceceni ha più volte condannato il wahhabismo come «cre-do religioso estraneo» e si è rifiutato di proclamare la «guerra san-ta» contro i russi, come il presidente gli aveva chiesto, perché ècontraria agli interessi del popolo ceceno. Kadyrov accetterà di col-laborare con le strutture messe in piedi dai federali: ai primi di giu-gno del 2000 è designato dai russi come futuro capo di un governoprovvisorio ceceno76.

Mosca resiste alle pressioni internazionali reiterate dagli Usa,dai governi europei, dagli organismi internazionali perché si decidafinalmente a cercare una soluzione politica. Non arretra neppure difronte alle minacce di sanzioni, tra cui quelle del Fmi. Dichiarazionidi sostegno, invece, le vengono dalla Cina (settembre), dall’Iran(ottobre), dal leader palestinese Arafat (novembre) e dal ministrodegli esteri israeliano Paul Lévy (dicembre).

Nonostante più volte le massime autorità politiche russe e lostesso ministro Sergeev (non i suoi generali) avessero escluso unaripetizione dell’«attacco a Groznyj», esso ha luogo, dopo che ibombardamenti, ripresi estesamente il 7 dicembre, hanno completa-to la distruzione della città, iniziata alla fine del dicembre 1994.L’attacco da terra inizia il 22 dicembre, quando entrano nella peri-feria nord della capitale 500 volontari di Gantemirov. Le truppe fe-derali attaccano il 25 dicembre. Inizia, per la seconda volta, la batta-glia di Groznyj: alla fine dell’anno i morti saranno un migliaio tra ifederali e due o tre volte tanto tra i ceceni.

Intanto, i profughi che hanno lasciato in massa Groznyj e le al-tre città e villaggi (trasformati dai guerriglieri in scudi) per i bom-bardamenti, formano in dicembre una massa calcolata in 190-200mila unità.

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76 Sui rapporti tra Maschadov e Kadyrov, Rfe/Rl 28 novembre 1999; Rfe/Rl 13 ot-tobre 1999. Kadyrov è stato nominato da Mosca il 13 giugno 2000 capo dell’am-ministrazione cecena (Nezavisimaja Gazeta, 14 giugno 2000).

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10. Le successive fasi del conflitto

Sul fronte politico, tutto è andato secondo i piani, molto piùdell’«operazione antiterroristica» che tarda a concludersi rispettoalle scadenze previste da Putin e dai generali. Intanto, il 19 dicem-bre, «Edinstvo» ha conquistato la maggioranza dei seggi alla Duma,strappandola ai comunisti. Una buona affermazione l’hanno ottenu-ta i liberali di destra guidati da Æubais e Kirienko, alleati di Putin.Sono stati sconfitti tutti gli avversari e i critici della guerra: il bloc-co Primakov-Lu§kov e i liberali-democratici di Grigorij Javlinskij.Il popolo è a favore della guerra in Cecenia e crede al programma di«consolidamento» di Putin.

Ma c’è di più, alla fine del 1999, mentre infuria come cinque an-ni prima la battaglia di Groznyj, El’cin rassegna improvvisamentele dimissioni e nomina Putin «facente funzione» di Presidente. InRussia, all’ombra del conflitto ceceno, si è prodotta una svolta dileadership, per il momento all’insegna della continuità politica (ilprimo provvedimento di Putin, infatti, sancisce l’immunità per ilPresidente dimissionario e la sua famiglia).

È emblematica la circostanza che Putin, meno di 24 ore dopo lasua designazione a «facente funzione» di presidente, voli in Cece-nia per trascorrere il primo dell’anno con le truppe a Gudermes, cuiporta coltelli da caccia e decorazioni. In quell’occasione ripete chel’intervento nel Caucaso è stato necessario per porre fine alla disin-tegrazione della Fr, oltre che per restaurare l’onore e la dignità delpaese. Non esclude trattative, ma ribadisce le stesse condizioni del21 ottobre. Dal canto suo Maschadov assicura:

Anche se si continua a combattere altri dieci anni, la Russia nonsarà capace di conquistare la Cecenia77.

Groznyj viene «conquistata» soltanto alla fine di gennaio, intempi più lunghi di quelli indicati dai generali. Il 5 febbraio 2000 ilpresidente ad interim può annunciare che «Groznyj è completamen-te in mano russa». Avrebbe dovuto dire, piuttosto, che non Groznyjera stata conquistata, ma solo le sue spettrali rovine tra cui, dispera-

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77 Interfax, 30 dicembre 1999.

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te, si aggiravano le poche migliaia di persone – soprattutto bambini,vecchi, donne – che non avevano potuto andarsene prima di questanuova battaglia di Groznyj, restate bloccate senza acqua, luce, ri-scaldamento e cibo nelle cantine-rifugio dei loro palazzi bombarda-ti, mentre fuori infuriavano quartiere per quartiere i combattimenti.Tra la fine di gennaio e i primi di febbraio poche migliaia di boevikirompono il blocco, lasciano con ingenti perdite Groznyj e fuggononelle zone montuose del sud, per riorganizzarvi la guerriglia78.

Anche le perdite russe per Groznyj sono state, di nuovo, rilevan-ti, fino a un migliaio di uomini, ma non paragonabili a quelle dellabattaglia del 1994-95. I militari – affermano gli esperti – hanno im-parato la lezione del precedente conflitto. Gli attacchi frontali dis-sennati del gennaio 1995 non ci sono stati. Del resto, anche la cittàgià semidistrutta e ridotta a grandi spiazzi vuoti offriva molto menoai bandity la possibilità di imboscate, anche se i palazzi in maceriecostituivano un’ottima postazione per gli ¡najpery o cecchini cece-ni. Così, la resistenza separatista, pur restando come sempre accani-ta e capace di colpire, non aveva più la forza d’urto dimostrata nellaprecedente campagna79.

Vengono conquistati importanti centri strategici tra gennaio efebbraio a sud di Groznyj (¿ali, ¿atoj, Argun). Gudermes, secondacittà della Cecenia (sarà la futura capitale?), diventa sede dei co-mandi operativi e dell’amministrazione russi, mentre la guerriglia siconcentra nelle aree meridionali di montagna (con al centro la goladi Argun) e impegna i federali in una guerra partigiana che infliggea volte pesanti perdite nel corso di frequenti imboscate e agguati.

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78 Sull’assalto e la finale distruzione di Groznyj si veda A. Gol’c, «¿turm gornych ikar’ernych ver¡in» [L’assalto alle cime dei monti e delle carriere], in Itogi, 15 feb-braio 2000. L’autore descrive una Groznyj completamente abbandonata nell’ulti-ma decade di gennaio, nonostante l’ordine che Maschadov avrebbe dato di difen-derla a oltranza. Su Groznyj desertificata e l’odissea dei suoi residui abitanti, siveda: N. Nougayrède, «Survivre a Grozny», in Le Monde, 29 marzo 2000 («Groznyjnon esiste più. È una distesa di rovine»); S. Sihab, «Toma, jusq’au bout a Grozny»,in Le Monde, 29 febbraio 2000. Su aspetti della conquista russa riferiti da testimo-ni anonimi si veda: P. Flambot «Maîtres de Grozny les russe font la chasse auxbléssés», in Le Monde, 8 febbraio 2000.79 A. Korbut, «Kreml’ i vojska izvelkajut uroki», in Nezavisimaja Gazeta, OsobajaPapka, cit.

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Tuttavia, i suoi organici complessivi si sono assottigliati: non supe-rano le 6-7000 unità.

A maggio i separatisti passano a sporadiche, anche se micidialiazioni di volontari kamikaze, che si lanciano contro posti di polizia opunti di controllo federali con auto imbottite di esplosivo: ciò vuoldire che anche gli spazi per la guerra partigiana si sono ridotti80.

I generali russi si sono rivelati vincitori, prima che sul campo(troppe volte hanno anticipato una fine del conflitto che agli inizidi giugno non è ancora concluso), sul terreno dei rapporti con il po-tere politico. Durante la seconda campagna di Cecenia hanno sem-pre escluso che ci potessero essere «trattative e tregue» come nelprecedente conflitto. Non c’è posto per una «nuova Chasav’jurt».L’«operazione controterroristica» è stata concepita e pianificatacome una campagna di «annientamento» delle bandformirovanija.Il vicecapo di SM generale Manilov ha efficacemente sintetizzatocosì questa strategia:

La sola via per porre fine al bagno di sangue è che i boeviki ponga-no fine alla loro insensata resistenza81.

Putin, l’intera classe politica, con poche eccezioni (Javlinskij, inparticolare) e l’opinione pubblica hanno dato ragione ai militari. EPutin ha potuto dire, testualmente, che in questa campagna «l’eser-cito ha riguadagnato la fiducia in se stesso e quella della società»82.

L’appoggio pieno del successore di El’cin ai militari, la suaidentificazione con la nuova guerra di Cecenia gli hanno spianato lastrada verso la Presidenza, tra l’altro liberandogli il campo dal con-corrente che solo pochi mesi prima appariva in testa ai sondaggi,l’ex premier Primakov, critico nei confronti del conflitto. In feb-braio, quest’ultimo ritirava la sua candidatura, mentre il 70 per cen-to dei cittadini della Fr, stando ad autorevoli sondaggi, esprimeva ilproprio consenso alla strategia di Putin nel Nord Caucaso.

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80 Si veda ad esempio l’attentato contro una postazione di soldati degli interni del 7giugno 2000, vedi Rf/Rl 8 giugno 2000. Sono morti quattro soldati e una decina fe-riti.81 Rfe/Rl, 6 gennaio 2000.82 Rfe/Rl, 22 febbraio 2000.

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Il trionfo elettorale del 26 marzo, che vede il presidente ad inte-rim eletto al primo turno con il 52,52 per cento dei voti (e con il 94per cento di quelli degli elettori in divisa), è stato preceduto da ungesto simbolico di grande impatto: sei giorni prima, Putin era vola-to in Cecenia a bordo di un caccia Su-24 in divisa di pilota e con lamaschera d’ossigeno, per incontrare e salutare le truppe. Non pote-va essere meglio indicato, sul piano propagandistico e di immagine,l’indissolubile legame tra la sua leadership e le Forze Armate, tra lacampagna di Cecenia e la sua trionfale ascesa politica.

Maschadov ha continuato nel nuovo anno ad avanzare richiestedi colloqui e di trattative. Ma è un dialogo tra sordi. Sono state for-mulate, come in un rito surreale, le stesse proposte, le stesse condi-zioni di sempre. Sono stati pronunciati gli stessi dinieghi. Mascha-dov non può più essere l’interlocutore di Mosca. Il suo peso tra leforze ribelli è difficilmente quantificabile. Sicuramente è scarso: glisono ostili sia i moderati come Kadyrov che cercano con i russi uncompromesso, sia i radicali, sia una parte della popolazione, stre-mata da due micidiali conflitti e dal caos creato da governi (Dudaeve Maschadov) assolutamente impari ai compiti che si erano assunti.L’organo di informazione giornaliero della guerriglia, l’agenziaKavkaz Centr, fondata e diretta dal radicale Movladi Udugov, citaben raramente nei suoi dispacci il presidente.

Quanto a Mosca, essa lo ha messo ormai fuori della prospettivadi eventuali trattative: la Procura generale ha formulato contro di luil’accusa di «aver organizzato tra l’ottobre 1999 e il febbraio 2000una ribellione armata allo scopo di combattere con la violenza l’or-dine costituzionale e l’integrità territoriale della Fr» e ha spiccatomandato di cattura a suo carico, trasmettendolo all’Interpol83.

Il deputato oligarca Berezovskij è arrivato a proporre addirittura che,«non potendo Maschadov far fronte alla situazione, bisogna affrontarecolloqui con i gruppi influenti, inclusi i comandanti di campo Basaev,Gelaev e con Udugov. Non sarà Putin a condurli, ma la Duma»84.

La proposta rivela la spregiudicatezza, o peggio, di chi l’ha formu-lata e tradisce, ancora una volta, l’oscura centralità del ruolo di Basaevin questo secondo conflitto. Su di lui e sui suoi rapporti con Mosca sol-

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83 Interfax, 18 febbraio 2000.84 In Komsomolskaja Pravda, 4 febbraio 2000.

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leva pesanti interrogativi anche il mufti Kadyrov, che in un’intervista aMoskovskie Novosti, invita il governo russo ad «attuare una purga tra igenerali». Sostiene Kadyrov: «Senza incontrare alcun ostacolo, i repar-ti di Basaev, in tutto mezzo migliaio di uomini, passano dalla parte oc-cidentale della Cecenia a quella orientale, e questo avviene in un terri-torio che può essere pienamente controllato dall’aria. Potrebbe questoaccadere senza la partecipazione dei generali?»85. Si tratta dello stessointerrogativo sollevato sugli spostamenti Cecenia-Dagestan e viceversadelle formazioni armate wahhabite, prima dell’invasione d’agosto.

La guerra, quando e comunque si concluda, ha fornito il contestoper il cambiamento di leadership. Su questo non ci sono dubbi. Re-stano, tuttavia, tutte le ombre di un conflitto, già deciso, anche se indimensioni più limitate («la zona cuscinetto» a nord del Terek), pri-ma dell’invasione d’agosto, subito dopo il rapimento del generale¿pigun, come ha rivelato in un’intervista alla Nezavisimaja Gazetal’ex ministro degli interni ed ex premier Stepa¡in86.

Sono le ombre delle decine di migliaia di morti, che non è anco-ra possibile quantificare con esattezza; dei 200 mila profughi am-massati nei campi di tende dell’Inguscetia, che hanno raddoppiatola popolazione di quella piccolissima repubblica e che vivono incondizioni disperate; delle distruzioni e stragi che si sono ripetute eche portano nomi già tristemente presenti, quasi fossero un simboloricorrente, nella storia dello sciagurato paese ceceno: come Aldy,per esempio, la cui conquista in febbraio da parte dei federali è stataaccompagnata da un eccidio di innocenti civili87; dell’apocalittica

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85 «Proverite zaØistku generaliteta» [Verificate le operazioni di «pulizia» dei gene-rali], in Moskovskie Novosti, 11-17 aprile 2000.86 Cfr. S. Pravosudov, «Bloka Ovr voob¡Øe ne moglo i ne byt’» [Il blocco Ovr ingenerale non poteva esserci], in Nezavisimaja Gazeta, 14 gennaio 2000. AffermaS.: «Rispetto alla Cecenia, posso dire quanto segue: Il piano di operazioni attive inquesta repubblica era stato elaborato sin da marzo [1999, N. d. R.]. Avevamo pro-grammato di avanzare al Terek in agosto-settembre. Così, questo sarebbe successoanche se non ci fossero state le esplosioni a Mosca. Lavorai attivamente per raffor-zare le frontiere con la Cecenia, preparando per un’avanzata attiva [sic]. Putin per-ciò, non ha aperto niente di nuovo».87 Sull’eccidio di Aldy si veda F. Bonnet, «Témoignages sur le massacre d’une cen-taine de civils à Aldi dans les environs de Grozny», in Le Monde, 26 febbraio 2000.Il tema è ripreso sullo stesso quotidiano il 28 marzo 2000 con ulteriori testimonianze.

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distruzione di Groznyj. È andato distrutto il suo intero apparato in-dustriale – una catastrofe ambientale, al punto che lo stesso genera-le Tro¡Øev ha dato ordine di sospendere i bombardamenti l’8 gen-naio per il terribile inquinamento da sostanze chimiche che si eraprodotto. È stata distrutta l’intera rete educativo-culturale di unacittà che disponeva di istituti di livello universitario, alcuni dei qua-li di alta specializzazione: sono andati a fuoco musei e biblioteche,milioni di libri, molti dei quali di grandissimo valore. La tragedia diSarajevo impallidisce di fronte alla catastrofe di Groznyj88.

Infine, altri due sono i dati inquietanti emersi dal conflitto: il pri-mo è l’indifferenza con cui l’opinione pubblica russa, la sua intelli-gencija, la maggior parte dei suoi media ha reagito di fronte alleenormi perdite di vite umane (dei civili ceceni e dei federali) e alleimmani distruzioni della guerra. Il riflesso imperiale e la cecenofo-bia hanno vinto la pietà. La dura chirurgia di Putin (che all’iniziodel conflitto aveva detto, riscuotendo applausi, che avrebbe «inse-guito e annegato nel cesso i bandity») e dei generali è sembrata ad-dirittura una metodologia da applicare, mutatis mutandis, a tutti glialtri mali della Russia. Più volte, anche illustri economisti, hannoevocato la terapia che il generale Pinochet impose al Cile negli anniNovanta89. La campagna elettorale, specie nell’ultimo mese, è statascandita dai cadaveri di boeviki ostentati ogni giorno come segno divittoria dai Tg delle televisioni di regime (Ort, Rtr, Tv 6).

Il secondo, complementare al primo, è la tentazione apparsa for-te e manifesta di ostacolare la libera informazione sulla guerra, sucui è stata sollevata una cortina di oscuramento (sulle perdite russe,in primo luogo) da parte dei comandi militari. Rivelatore è stato ilcaso del giornalista Andrej Babickij di Radio Svoboda, arrestato insegreto dalla Sicurezza russa e poi «scambiato» in cambio di russiostaggi dei ribelli, infine misteriosamente liberato un mese dopo la

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88 Nella già citata relazione di Ljoma Usmanov all’Udienza (Hearing) di Washing-ton del 3 novembre 1999, Ljoma Usmanov riferisce delle immani distruzioni nelsettore educativo-culturale. Complessivamente sarebbe andato distrutto l’interopatrimonio librario del Nord Caucaso concentrato a Groznyj, circa 7 milioni di vo-lumi (pag. 48).89 Si tratta del consigliere del presidente Putin per l’economia, Andrej Illarionov,noto anche per le sue idee ultraliberiste.

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sua sparizione90. Non meno grave, sotto questo riguardo, è statol’arresto intimidatorio (giugno) di Vladimir Gusinskij, il presidentedel gruppo finanziario-mediatico «Most», i cui giornali e la cui Tvhanno con coraggio (e interesse politico) fornito un’informazionecritica sul conflitto, meno ossequiente nei confronti delle fonti uffi-ciali (gli uffici stampa dei comandi militari e il portavoce del Crem-lino e uomo di tutte le stagioni Sergej Jastr§embskij).

Quanto all’atteggiamento dei governi occidentali e delle orga-nizzazioni internazionali (Onu, Osce, ecc.) si deve dire che sin dasettembre-ottobre 1999 le pressioni su Mosca, perché favorisse lasoluzione politica del conflitto, sono state frequenti, come le mi-nacce di sanzioni. Sono restate inascoltate e hanno, anzi, suscitatole più vivaci proteste di Mosca, che più di una volta ha rinfacciatoagli Occidentali e alla Nato i bombardamenti sulla Serbia e agliUsa i raid contro l’Afghanistan per ritorsione ai micidiali attentaticontro le ambasciate americane in Kenia e Arabia Saudita. C’è sta-to solo, di concreto, la minaccia ufficiale dell’Assemblea parla-mentare del Consiglio d’Europa (Pace) di sospensione della Russia,se non avesse arrestato le violazioni dei diritti umani in Cecenia.Niente di più. Mosca non è Belgrado e la Cecenia ha fatto di tutto,dal canto suo, per marcare ed aggravare il proprio isolamento inter-nazionale, fino a stabilire (marzo 2000) rapporti ufficiali con l’Af-ghanistan dei talibani: solo Kabul, infatti, ha riconosciuto la Cece-nia indipendente.

Qualcuno, ottimisticamente, potrebbe sostenere che le pressionie la vigilanza degli Occidentali hanno impedito a Mosca di metterein atto comportamenti ancora più radicali. Quali? E avrebbe potutola Cecenia essere ridotta in condizioni peggiori delle attuali? È uninterrogativo cui è difficile rispondere affermativamente, anche sepiù volte Putin si è personalmente impegnato con i rappresentanticeceni ostili ai ribelli e a Maschadov (come Achmad-hadji Kady-rov) per la ricostruzione del Paese. Sono riprese a marzo le fornitu-re di gas e elettricità, sono state riaperte scuole e ambulatori nellezone «liberate». La Duma ha votato un provvedimento di amnistia

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90 Sul caso Babickij, si veda G. Koval’skaja, «Predstaviteli bezzakonija» [I rappre-sentanti dell’illegalità], in Itogi, 15 febbraio 2000.

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per i boeviki, non implicati in sequestri di persona e altri reati comu-ni, che deponessero volontariamente le armi.

Detto questo, ad onor del vero, quanto tempo occorrerà perchéin Cecenia la vita possa tornare alla normalità? Quante generazionivi saranno impegnate? E ammesso che la campagna militare terminientro la fine del 2000, su quali nuovi e ampi gruppi dirigenti ceceni,e non isolati quisling, potrà contare Mosca per attivare la ricostru-zione e assicurare un reale e non fittizio e aleatorio ritorno di quelpaese nella Fr? E come garantire che prima o poi non si apra unnuovo conflitto, viste l’irriducibilità del carattere nazionale cecenoe le ferite inferte difficilmente rimarginabili in un breve volgere dianni?

Tuttavia, si devono denunciare, senza timore di apparire «politi-camente scorretti» o «filoimperialisti», le responsabilità delle variecorrenti separatiste, e di chi segretamente le ha sostenute per motivigeopolitici e geoeconomici. I vari Dudaev, Maschadov, Basaev –per citare solo le personalità più note – non hanno esitato a sacrifi-care il loro paese e la loro gente sull’altare dei loro disegni irreali-stici e soprattutto della loro incapacità di «vincere la pace». Sottoquesto aspetto si misurano il loro fallimento e le loro colpe.

Quanto alla Russia, la perdita della Cecenia le avrebbe fatto ri-schiare un ulteriore processo disgregativo, passibile di estendersiall’intero Caucaso settentrionale e da qui ad altre regioni con fortepresenza non russa, musulmana: Tataria, Baschiria ad esempio, cheformano la cerniera tra Russia europea e Russia asiatica, tra Russiae Siberia, di grande importanza economica, oltre che strategica.Quando Putin ha affermato che con il nuovo intervento militare si èvoluto porre fine a un processo che avrebbe disgregato la Fr, pos-siamo credere alla sua sincerità. Solo che potremmo obiettare che sisarebbe potuto scegliere una via diversa. Ma anche l’avversarioavrebbe dovuto essere diverso.

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Il Caucaso settentrionale è tra le regioni che sono state inglobatenel territorio russo in tempi relativamente recenti. Questo fatto, in-sieme con le peculiarità della posizione geopolitica, la forte etero-geneità etnica e altri elementi, ha avuto il ruolo dominante nei flussimigratori nel corso del processo di formazione della popolazionecaucasica. Nelle diverse fasi di tale processo, infatti, la regione haassistito all’evoluzione di modelli di migrazione etnica diversi: po-polazioni, prevalentemente slave, che si spostano da una zona percolonizzarne un’altra; deportazioni di singole etnie (karaØai, cecenie altri) e gruppi sociali; migrazione interstatale-immigrazione (gre-ci, armeni, tedeschi ed emigrazione di popoli caucasici, come adi-ghei, ¡apsugi e altri); migrazioni all’interno di una stessa regione,come il trasferimento di popolazioni dalle montagne alle zone dipianura, e altre che hanno definito in misura sostanziale l’attualecartina etnica della regione. Oggi, con l’aggravarsi delle tensioni trale diverse nazionalità caucasiche e in presenza di una difficile situa-zione politica e di una forte presenza militare, il carattere etnico deiflussi migratori si è ulteriormente rafforzato.

Esamineremo i processi migratori di alcuni dei tanti popoli delCaucaso settentrionale, che sono avvenuti negli ultimi 40-50 annimodificando la distribuzione geografica delle varie etnie.

Come norma generale, nei primi decenni del dopoguerra, si è re-gistrato nella dinamica della struttura etnica del Caucaso settentrio-nale il consolidamento di una società multietnica, tanto nelle areepianeggianti quanto nelle zone montuose, e questo grazie soprattut-to a intensi processi migratori. Negli anni Sessanta e Settanta ini-ziano ad osservarsi in alcune repubbliche nordcaucasiche (Dage-

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stan, Ceceno-Inguscezia) i segni evidenti di una definitiva espan-sione territoriale della popolazione russa, accompagnata da un eso-do in massa di popolazioni del Caucaso (ceceni, darghini e altri)nelle steppe pedemontane. Alla fine degli anni Ottanta, e soprattut-to negli anni Novanta, nella dinamica della struttura etnica sia dellezone pianeggianti sia delle regioni montuose del Caucaso setten-trionale si sono evidenziate due tendenze opposte. Nelle steppe pe-demontane si è nuovamente consolidata una struttura multietnica,con un più intenso sviluppo demografico di alcune etnie e il calonumerico di altre (ad esempio dei tedeschi). Nelle repubbliche, alcontrario, è aumentata la tendenza all’isolamento etnico da partedelle etnie titolari.

1. Migrazione e dinamica distributiva della popolazione russa

Nel processo di sviluppo dell’areale di distribuzione della popo-lazione russa nel Caucaso settentrionale si sono avute alcune fasidistinte: nella prima fase il ceppo russo si è consolidato principal-mente colonizzando le steppe pedemontane, con una notevole cre-scita demografica determinata appunto da tale flusso migratorio.Nella fase successiva, che va dalla fine della guerra del Caucaso fi-no agli anni Sessanta-Ottanta del XX secolo, i confini dell’areale didistribuzione dei russi si sono gradualmente ma incessantementespostati verso il sud e le regioni montuose, occupando non soltantoil Caucaso settentrionale ma anche la Transcaucasia. Più si allonta-nava nel tempo la fine della guerra del Caucaso, maggiori dimen-sioni assumeva il processo di insediamento della popolazione russanell’intera regione.

Nella fase attuale, l’areale di distribuzione della popolazionerussa nel Caucaso e la sua entità numerica si stanno rapidamente ri-ducendo, e questo non soltanto negli stati sovrani della Transcauca-sia ma anche nelle regioni montane del Caucaso settentrionale. Pos-siamo dire che dalla fine degli anni Ottanta fino ad oggi, vale a direnel corso di poco più di un decennio, i russi hanno perso nel Cauca-so gran parte di ciò che avevano creato nel corso di un secolo e più.Grandi flussi migratori di popolazione russa, tra cui molti profughi

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e persone costrette ad emigrare, si muovono ora per abbandonare ilCaucaso. I 400.000 russi presenti nell’Azerbajd§an1 si sono ridottidi oltre il 60 per cento e metà dei russi residenti in Armenia hannolasciato questa repubblica transcaucasica2. Si sta riducendo in modocatastrofico anche il numero dei russi presenti in Georgia. Il destinopiù drammatico è quello della popolazione russa di quasi 300.000persone nella repubblica della Cecenia, sul cui territorio, a seguitodella forzata emigrazione, non restano più di 50-60.000 presenze3.Nelle altre repubbliche del Caucaso settentrionale le dimensionidell’esodo russo sono inferiori, pur con partenze continue.

Nelle pianure pedemontane, che rappresentano il principale area-le di distribuzione dei russi nel Caucaso settentrionale, si è osservatauna costante tendenza alla concentrazione di popolazione russa intutto il periodo della colonizzazione, benché negli ultimi decenni gliindici relativi di questa rappresentanza etnica, considerata cioè nelcomplesso della composizione demografica della regione, si stianoabbassando anche in queste zone. Allorché consideriamo la Russia

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Tabella 1. Dinamica numerica della popolazione russa nel Caucaso,1959-1989, espressa in migliaia di unità

1959 1970 1979 1989

Caucaso 9.863,8 11.365,6 11.775,2 12.018,7

e in particolare:Transcaucasia 965,0 972,0 917,0 785,0Caucaso settentrionale 8.898,8 10.393,6 10.858,2 11.233,7

e in particolare:Steppe pedemontane 7.651,9 9.858,2 9.447,2 9.874,5Regioni montane 1.248,9 1.435,4 1.411,0 1.359,2

1 A. S. Junusov, «Armjano-azerbajd§anskij konflikt: migracionnyj aspekt» [Il con-flitto armeno-azero: l’aspetto migratorio], in Migracionnaja situacija v stranachSNG [La situazione migratoria nei paesi della Csi], Moskva, 1999, pagg. 77-90.2 ¢. A. ZajonØkovskaja, «Russkij vopros» [La questione russa], in Migracija, 1,1996, pagg. 7-11.3 T. I. Regent, «Problemy regulirovanija migracionnych processov» [I problemidella regolamentazione nei processi migratori], in Migracija, 4, 1997, pagg. 1-4.

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nel suo insieme, sappiamo che i suoi complessi processi demograficie i mutamenti nella distribuzione geografica della popolazione russasono fenomeni osservabili soltanto nel corso di lunghi decenni. Alcontrario di molte altre zone del paese, tuttavia, nelle sue regioni me-ridionali, e in primo luogo nelle steppe pedemontane così come nellealtre aree in cui più attiva è stata la colonizzazione, la crescita demo-grafica dei russi è un fenomeno che balza subito agli occhi. Dal 1959a tutto il 1989 il numero degli abitanti russi nella regione è aumenta-to del 43,1 per cento e verso la fine degli anni Ottanta la popolazionerussa costituiva l’11,3 per cento contro il 9,9 per cento del 1959. Oc-corre dire tuttavia che l’incremento dei valori assoluti della presenzarussa nelle steppe pedemontane è stato registrato sullo sfondo di unacomplessiva riduzione del suo peso specifico. Ciò è stato causato siada un decremento nella crescita naturale dei russi presenti nella re-gione sia dal contemporaneo incremento del flusso migratorio di al-tre popolazioni con alti valori di crescita naturale nelle zone stepposeai piedi della catena caucasica. Le nostre valutazioni hanno rilevatoche tra gli anni Sessanta e Ottanta il flusso migratorio dei russi hagarantito metà del loro aumento numerico nella regione, mentre ne-gli anni Novanta ha compensato il loro calo demografico naturale,contribuendone persino alla crescita numerica.

Nel complesso, tra gli anni Settanta e Ottanta, la distribuzionegeografica dei russi nelle steppe pedemontane muta in maniera as-sai evidente, con un rafforzamento della tendenza a ridursi dell’a-reale in cui era in atto una crescita del valore numerico, assoluto erelativo, dei russi, soprattutto nelle aree rurali. È aumentato pertantoil numero non solo di insediamenti rurali ma anche di intere regioniin cui la presenza numerica della popolazione russa è andata dimi-nuendo. Tale fenomeno si è registrato in primo luogo nelle regioniconfinanti con le repubbliche attigue. Tra le regioni steppose delCaucaso settentrionale, il territorio di Stavropol’ presenta in modoparticolarmente evidente una marcata trasformazione della strutturaetnica insieme a un carattere specificamente etnico del flusso mi-gratorio. Molto probabilmente, il fatto è dovuto alle particolari ca-ratteristiche di questo territorio sotto il profilo geopolitico, strategi-co ed etno-demo-geografico. Molti aspetti del problema da noiesaminato vengono illustrati prendendo appunto come esempio ilterritorio di Stavropol’.

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L’analisi delle dinamiche distributive della popolazione russa edell’evoluzione dei processi etnodemografici negli ultimi qua-rant’anni ha dimostrato che i due primi censimenti del dopoguerra(1959 e 1979) registravano il maggior peso specifico dei russi, e del-le popolazioni slave nel loro complesso, nelle regioni delle steppepedemontane. Gli anni tra il 1970 e il 1989 hanno segnato un’epocacaratterizzata da intensi cambiamenti del quadro etnico, che hannoportato a una diversa distribuzione geografica delle diverse popola-zioni. Occorre altresì notare che gli anni Settanta hanno rappresenta-to un periodo in cui tali cambiamenti del quadro etnico nelle diverseregioni del Caucaso settentrionale hanno assunto connotazioni di-verse. Uno degli aspetti di tale periodo è costituito dall’inizio di unaminore espansione dei russi dal punto di vista puramente territorialee da una loro crescita più dinamica tra le popolazioni titolari dellerepubbliche caucasiche, nelle aree delle steppe pedemontane e in al-tre regioni dell’ex Unione Sovietica.

Lo studio delle dinamiche della struttura etnica della popolazio-ne negli ultimi trent’anni ha dimostrato che, a causa degli elementispecificamente etnici che caratterizzano le naturali variazioni de-mografiche nonché i flussi migratori, la quota relativa alla presenzarussa nelle steppe pedemontane si è ridotta del 7 per cento. La strut-tura etnica è risultata particolarmente instabile negli insediamentirurali. Nel corso degli ultimi trent’anni i villaggi delle piane steppo-se hanno visto infatti la rapida sostituzione dei russi da parte di altrepopolazioni. Nel territorio di Stavropol’, ad esempio, pur mante-nendosi stabile la crescita numerica dei russi nel suo complesso,l’85 per cento delle aree rurali ha registrato una diminuzione dellaloro rappresentanza etnica, benché nella maggior parte di queste re-gioni (90 per cento) si sia avuto comunque un aumento complessivodi popolazione dovuto all’incremento demografico di altre etnie. Irussi, insieme con gli armeni e gli ebrei, risultano il gruppo etnicopiù fortemente inurbato. Di fatto, nel periodo da noi preso in esame,il numero dei russi è aumentato in tutte le città e la quota di popola-zione russa inurbata è passata dal 32 al 54 per cento. Ciononostante,gli indici relativi della popolazione russa si sono abbassati, tantonelle città quanto nelle aree rurali. Considerando quindi tale feno-meno, il territorio della regione viene suddiviso in due zone. La pri-ma comprende città e porzioni di territorio che presentano nella loro

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struttura etnica una presenza russa relativamente stabile o soggettaa un debole decremento. Si tratta all’incirca del 40 per cento dei di-stretti che fanno parte del territorio di Stavropol’, localizzati nellesue zone centrali e occidentali, e di un terzo delle città. La secondazona, invece, caratterizzata da una forte riduzione della presenzarussa all’interno della composizione etnica, include la maggior par-te del territorio, ivi comprese la stessa città di Stavropol’ e le areesuburbane ad essa attigue, l’intera regione orientale e sudorientalee, parzialmente, la zona centrale, all’interno della quale abitano idue terzi dell’intera popolazione del territorio.

La riduzione della quota russa all’interno della composizione et-nica ha assunto negli anni Settanta e Ottanta un carattere costante espiccatamente marcato. Nella maggior parte delle aree rurali questoha portato non soltanto a una mera riduzione di tale quota, ma anchead una contrazione numerica della popolazione russa. Il valore rela-tivo alla diminuzione della quota russa all’interno della composi-zione etnica è andato aumentando procedendo dal centro del territo-rio di Stavropol’ alla periferia, sia in direzione sudest e nordest siaverso le regioni di confine con le repubbliche nordcaucasiche.

Una tendenza pressoché analoga, e forse ancora più evidente, simanifesta anche in un altro parametro relativo alla distribuzione ter-ritoriale, vale a dire nella dinamica delle variazioni numeriche dellapresenza russa nelle aree rurali, soprattutto nei distretti orientali esudorientali del territorio (distretti di Stepnovskoe, Neftekumsk esteppe di Kurskaja), nei quali il numero dei russi si è ridotto percen-tualmente dal 15 fino al 34 per cento. Il decremento numerico dellapopolazione russa nelle aree rurali è stato più intenso negli anni Set-tanta e, con molta probabilità, proprio la particolare dinamica dellapresenza russa in questo decennio ha contribuito a ridurre il poten-ziale demografico delle aree rurali del territorio in questione. Né levariazioni naturali, né i flussi migratori, pertanto, hanno potuto fareaumentare numericamente la popolazione russa negli anni Ottanta.Fanno eccezione soltanto le aree suburbane del capoluogo Stavro-pol’ e quelle circostanti l’agglomerato di Mineral’nye Vody. L’ana-lisi delle dinamiche, che hanno caratterizzato la distribuzione deirussi nelle aree rurali del territorio di Stavropol’, evidenzia il qua-dro della loro progressiva «erosione» tra la popolazione rurale. Leregioni in cui è ravvisabile una crescita numerica della popolazione

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russa appaiono sulla cartina geografica come «isole» dislocate nelleregioni più urbanizzate del territorio. Soltanto nelle città, infatti, si èregistrato un aumento della presenza russa.

La particolare dinamica della struttura etnica del territorio diStavropol’ è dipesa sia da un attivo flusso migratorio sia da varia-zioni demografiche naturali. Nel periodo da noi esaminato, i valorirelativi a tali variazioni presso la popolazione russa si sono abbassa-ti, fino a diventare di segno negativo negli anni Novanta. Nel terri-torio di Stavropol’ il flusso migratorio degli anni Settanta aveva ga-rantito il 72,9 per cento della crescita demografica russa, mentrenegli anni Ottanta questo stesso indice si era abbassato al 45,5 percento. Negli anni Novanta la crescita naturale di segno negativodella popolazione russa ha avuto un carattere stabile non soltantonelle aree urbane ma anche in quelle rurali e il suo aumento numeri-co nella regione è avvenuto solamente grazie al flusso migratorio.

Negli anni Novanta i processi demografici hanno subìto unanuova evoluzione, tanto in Russia quanto nell’insieme degli altripaesi che facevano parte dell’ex Unione Sovietica. La disgregazio-ne dello stato sovietico, la crisi dei rapporti interetnici e i numerosiconflitti armati hanno causato un notevole flusso migratorio di po-polazioni verso la Russia. È mutato anche il tipo di comportamentomigratorio. Sia in Russia sia nelle pianure delle steppe ciscaucasi-che la migrazione ha interessato prevalentemente la popolazionerussa. Gli spostamenti hanno seguito direzioni diverse, anche se so-no stati soprattutto gli avvenimenti nel Caucaso a riflettersi imman-cabilmente nella nascita di un flusso migratorio di russi che sonostati respinti prima dalla Transcaucasia e poi dalle repubbliche delCaucaso settentrionale, in primo luogo dalla Cecenia. Tra il 1991 eil 1998 nel territorio di Stavropol’ sono arrivate parecchie migliaiadi russi. La loro distribuzione geografica differiva notevolmente dalquadro precedente, in quanto avveniva sotto la spinta di fattori asso-lutamente imprevisti e, non di rado, di situazioni di estrema gravitàcreatesi nelle regioni di partenza. A differenza dei decenni prece-denti, negli anni Novanta si sono evidenziate nel flusso migratoriodei russi le seguenti caratteristiche: i ritmi della loro crescita nume-rica, ad esempio nel territorio di Stavropol’, sono aumentati rispettoal decennio precedente con un dato annuo percentuale di 0,9 controlo 0,8 per cento degli anni Ottanta. È singolare il fatto che in tutte le

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regioni delle steppe pedemontane l’incremento numerico dei russiviene registrato in una situazione di generale e grave spopolamento.È mutato inoltre il carattere della distribuzione della popolazionerussa, in quanto, nella prima metà degli anni Novanta, fino al 60 percento del flusso migratorio russo convergeva su aree rurali. Attual-mente, la distribuzione degli emigrati russi tra città e campagna stanuovamente seguendo lo schema consueto. L’incremento numericodella presenza russa, iniziato alla metà degli anni Novanta, si è tut-tavia mantenuto. Si può parlare di una nuova fase dell’insediamentorusso nelle steppe pedemontane del Caucaso. Nei distretti orientalidelle regioni di Stavropol’ e di Rostov la quota maggiore dell’au-mento migratorio è costituita dai russi costretti ad emigrare da altreregioni.

Nelle zone montuose del Caucaso settentrionale i processi de-mografici e migratori della popolazione russa presentano caratteri-stiche specifiche. Verso la fine degli anni Ottanta, per quanto ri-guarda la presenza russa, nelle repubbliche nordcaucasiche siosserva una costante tendenza alla riduzione dei suoi valori, sia as-soluti sia relativi. In quest’area della regione caucasica il picco de-mografico della popolazione russa si era avuto nel 1970. Successi-vamente, dal 1970 al 1989, la popolazione russa delle repubblichenordcaucasiche si è ridotta complessivamente dell’8 per cento, conun dato pari al 20 per cento nella Ceceno-Inguscetia e al 6,5 percento nell’Ossetia settentrionale.

Il Dagestan è stato la prima entità nazionale e territoriale delCaucaso settentrionale in cui si sono manifestati chiaramente i se-gni di un esaurimento dell’espansione territoriale dei russi nelle zo-ne montuose della regione caucasica, con la conseguente riduzionedei loro indicatori numerici assoluti e relativi e una decisa tendenzaal riflusso. Il lungo periodo di costante crescita dei russi nel Dage-stan, registrata nel XIX secolo e nella prima metà del XX, e soprat-tutto il netto incremento di tale indicatore negli anni del dopoguerralasciano ora il posto a un periodo di forte riduzione della presenzanumerica russa. In venti anni, dal 1970 al 1989, il numero dei russipresenti nel Dagestan si è ridotto del 21 per cento.

Il rapido incremento del potenziale demografico della repubbli-ca daghestana, dovuto alla crescita numerica delle popolazioni au-toctone, e l’insufficiente sviluppo delle possibilità di occupazione,

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soprattutto nelle aree rurali, hanno causato l’afflusso nelle città digiovani appartenenti alle etnie autoctone, il che ha ulteriormentelimitato per la popolazione non autoctona le possibilità di trovarelavoro e di ricevere un’adeguata istruzione. Il riflusso dei russi èdivenuto pertanto un fenomeno sempre più costante, aumentandoulteriormente negli anni Novanta. Tra il 1989 e il 1994 la presenzanumerica dei russi si è ridotta del 15 per cento, e occorre sottoli-neare che il 92 per cento di tale decremento è stato causato dallepartenze della popolazione russa dal Dagestan. Un certo riflussodei russi dal territorio della repubblica nordcaucasica si era regi-strato anche in precedenza, tuttavia, se fino alla fine degli anni Ot-tanta la percentuale di russi che abbandonava il Dagestan era inmedia dello 0,5 per cento all’anno, negli anni Novanta questo pro-cesso si è andato bruscamente intensificando e il riflusso di popo-lazione russa dalla repubblica ha raggiunto il 2,4-2,9 per cento.Tra il 1989 e il 1998 il riflusso migratorio dei russi dal Dagestan èstato all’incirca di 60.000 persone. La loro presenza numerica nel-la repubblica, oltre che per il riflusso migratorio, è diminuita an-che per un calo demografico naturale. L’indicatore di questa dimi-nuzione è passato dal dato del 1990 pari a quello dello 0,3 percento a -0,8 per cento nel 1996.

Negli anni Novanta si è assistito a un riflusso migratorio dei russinon soltanto da Dagestan, Cecenia, Inguscetia e Ossetia settentriona-le, ma anche dalle vecchie regioni autonome di KaraØaevo-Æerkes-sija e Adighezia, nonché dalla repubblica della Cabardino-Balcaria.In queste zone l’aumento demografico dei russi era continuato perun periodo più lungo che nelle altre repubbliche nordcaucasiche, equesti dati sono stati confermati dal censimento del 1989. La mag-giore particolarità nella dinamica della composizione etnica di que-ste entità nazionali restava l’alta percentuale delle presenze russe,che in una regione potevano costituire la maggioranza della popola-zione, – come in Adighezia, dove rappresentavano i tre quarti dellapopolazione, – oppure rappresentarne quasi la metà degli abitanti,diventando in tal modo l’etnia più numerosa.

Un’indagine dettagliata degli spostamenti migratori e dei pro-cessi demografici della popolazione russa presente in un’altra re-pubblica nordcaucasica, la KaraØaevo-Æerkessija, ha evidenziatoche negli ultimi trent’anni la crescita degli indicatori assoluti e rela-

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tivi riguardanti questa etnia era collegata a una più che evidenteconcentrazione nella capitale e, in misura minore, nelle altre città(KaraØaevsk, Teberda). Tra il 1970 e il 1989 la presenza numericadei russi in questa repubblica è aumentata di 1,1 volte, mentre nellecittà il dato è stato di 1,5 volte. Se negli anni Sessanta il 61,6 percento della crescita numerica dei russi era garantito dal flusso mi-gratorio, l’incremento demografico degli anni Settanta è dipeso in-teramente dalla crescita naturale. A partire dalla metà degli anniNovanta si assiste invece a una riduzione del numero dei russi, siaper un calo naturale sia per il riflusso migratorio.

La maggior parte dei russi residenti in KaraØaevo-Æerkessija, os-sia l’86 per cento, abitava nelle città, soprattutto nella capitale. Learee rurali della repubblica erano abitate in prevalenza dalle popola-zioni titolari. Nei villaggi la presenza russa costituiva il 26 per cen-to della popolazione (dati del 1989) e risultava predominante sol-tanto in due province (ZelenØuk e Urup). Negli ultimi trent’anni si èosservata una crescita demografica nelle aree rurali soltanto da par-te delle popolazioni titolari, vale a dire karaØai, circassi, abaziny.Nello stesso periodo, il numero dei russi che abitavano nei villaggidella repubblica si è ridotto quasi di un terzo. Negli anni Novanta èstata registrata una costante tendenza al calo della presenza numeri-ca russa tanto nelle zone rurali quanto nelle città. Nel corso dell’ul-timo decennio, infatti, hanno abbandonato il territorio della Ka-raØaevo-Æerkessija quasi 40.000 russi, e il loro riflusso migratorio èstato particolarmente intenso nella prima metà del decennio, conun’oscillazione annua pari al 3-4 per cento. Nel periodo compresotra il 1990 e il 1998, a causa dell’emigrazione, il numero dei russinella repubblica si è ridotto di 6000 persone. Il saldo negativo delflusso migratorio oscilla annualmente nel corso degli anni Novantatra le 400 e le 1800 persone. La perdita di popolazione russa in Ka-raØaevo-Æerkessija avviene a causa del riflusso migratorio da unaregione all’altra, mentre nella stessa repubblica si registra un saldopositivo nella migrazione dei russi che arrivano dagli altri stati limi-trofi. Questo flusso, tuttavia, date le sue modeste dimensioni, non èin grado di compensare il calo della popolazione dovuto al fenome-no migratorio nel suo complesso.

L’indagine delle caratteristiche regionali di questo complesso difenomeni ha evidenziato che il riflusso dei russi risulta particolar-

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mente intenso in quelle regioni in cui predominano dal punto di vi-sta demografico le etnie titolari. Nei territori in cui sono distribuiti ikaraØai il valore relativo all’intensità del riflusso dei russi è pari al3-3,5 per cento, mentre nelle regioni abitate soprattutto da circassi eabaziny questo indicatore oscilla tra 2,1 e 4,1 per cento. Nelle zonea maggioranza russa l’intensità del riflusso è due volte inferiore aquella delle regioni testè menzionate. In KaraØaevo-Æerkessija l’in-cremento migratorio di segno negativo dei russi ricade per l’86 percento sulle aree urbane.

All’inizio degli anni Novanta il saldo migratorio negativo dellarepubblica era costituito per il 95 per cento dal riflusso dei russi. Nel1996 tale valore ha raggiunto quasi il 100 per cento, benché con no-tevoli differenze tra le zone urbanizzate e le aree rurali. A Æerkessk,ad esempio, capitale della repubblica, la crescita migratoria positivaderiva da un considerevole aumento del flusso migratorio delle etnietitolari, vale a dire karaØai (36,2 per cento) e circassi (40,6 per cen-to). Tra le popolazioni con un saldo migratorio negativo nella capi-tale i russi raggiungevano il 90 per cento e nella città di KaraØaevskquesto valore saliva addirittura al 97 per cento. Presso i russi dellearee rurali si è registrato un costante aumento migratorio di segnonegativo, che in determinate zone è stato del 4 per cento e in altrequasi dell’83 per cento. Una crescita migratoria positiva dovuta al-l’arrivo di russi, e pari al 53-75 per cento, si è registrata soltanto nel-le zone dei loro principali insediamenti (province di ZelenØuk eUrup). Sul decremento numerico dei russi nella repubblica si riper-cuote altresì il calo demografico naturale che, per dimensioni, è pa-ragonabile al loro riflusso migratorio. Nei soli anni tra il 1995 e il1999, a causa del calo demografico, il numero dei russi presenti inKaraØaevo-Æerkessija si è ridotto di 4000 unità. Nel complesso,considerando sia le variazioni demografiche naturali sia il riflussomigratorio, il numero dei russi residenti nella repubblica si è ridottonegli anni Novanta di oltre 10.000 persone. Gli avvenimenti dell’e-state e dell’autunno 1999 hanno ulteriormente incrementato il riflus-so della popolazione russa da questa repubblica nordcaucasica.

I dati dimostrano che il costante decremento del numero di russiabitanti nelle repubbliche del Caucaso settentrionale nel corso deglianni Novanta ha ridotto di circa un quarto la presenza russa nellaregione.

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2. Flussi migratori e diaspore delle etnie titolari delle repubbli-che del Caucaso settentrionale

Tra gli anni Sessanta e Ottanta si sono registrati alti ritmi ripro-duttivi tra le popolazioni titolari delle repubbliche nordcaucasiche.Il rapido aumento del potenziale demografico ha aggravato una se-rie di problemi socioeconomici, quali il sovraffollamento delle areeagricole, la mancanza di posti di lavoro, un sistema di istruzioneprofessionale poco sviluppato e così via. Le limitate possibilità ditrovare un’occupazione stabile nelle repubbliche del Caucaso set-tentrionale, soprattutto nelle aree rurali, insieme con altri problemidi ordine sociale ed economico, hanno causato una trentina di annifa un vero e proprio esodo delle popolazioni titolari di queste repub-bliche verso le regioni limitrofe.

Questo autentico esodo dei popoli delle aree montane era statopreceduto dalle partenze per i lavori stagionali nelle piane stepposedella Ciscaucasia, nella zona del corso medio del Volga, in Siberiae in altre regioni dell’Unione Sovietica. Questa possibilità di attivitàstagionale riduceva in parte la tensione del mercato del lavoro, ben-ché un simile impiego della forza lavoro non potesse risolvere pie-namente il problema occupazionale, in primo luogo della popola-zione di sesso maschile. Dopo le assenze stagionali, pertanto, si èpassati ad autentiche forme di emigrazione. A tutto ciò ha contribui-to anche un altro elemento fondamentale, vale a dire la vicinanza direpubbliche con una forza di lavoro eccedente e la relativa lonta-nanza delle pianure steppose ai piedi del Caucaso e lungo il bassoVolga, entrambe con un’agricoltura carente di manodopera. Questielementi hanno determinato sia le direzioni geografiche sia le di-mensioni dell’esodo delle popolazioni titolari delle repubblichenordcaucasiche nonché il settore economico in cui gli emigrati han-no trovato possibilità di lavoro.

Nella prima fase di questo flusso era predominante tra gli emi-granti la popolazione maschile in età lavorativa. Nella fase succes-siva si è trattato invece di intere famiglie che emigravano e questotipo di flusso migratorio ha fatto sì che si creassero insediamenti diceceni, karaØai e darghini stabilmente residenti nei nuovi areali didistribuzione con conseguente nascita di diaspore etniche. Dai datistatistici risulta che negli anni Settanta e Ottanta l’indicatore di

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compattezza distributiva delle popolazioni titolari delle repubblichedel Caucaso settentrionale diminuisce considerevolmente (un cece-no e un darghino su quattro e un karaØai su cinque vive ormai al dilà dei confini del proprio areale etnico riportato nella tab. 1). Que-ste stesse popolazioni, inoltre, hanno continuato in parte ad abitarenelle zone in cui erano state deportate durante la seconda guerramondiale. Negli anni Sessanta e Settanta, grazie agli alti ritmi ri-produttivi, si sono osservati elevati tempi di crescita demografica didarghini e ceceni al di fuori del loro areale etnico.

I darghini, che sono stati tra i primi a iniziare il flusso migrato-rio, si sono stabiliti soprattutto nel vicino territorio di Stavropol’ e,in misura minore, nella regione di Rostov e in quella del basso Vol-ga. L’area interessata dai loro insediamenti è andata crescendo,estendendosi dai confini sudorientali del territorio di Stavropol’ conla repubblica del Dagestan in due direzioni, una principale e una se-condaria, rispettivamente verso nordest e verso nordovest. Questaloro espansione ha interessato successivamente diverse zone agri-cole in cui i darghini hanno saputo sviluppare soprattutto l’alleva-mento di ovini. Nel 1989, dopo un periodo relativamente breve diespansione territoriale, i darghini rappresentavano per numero laquarta etnia del territorio di Stavropol’. Gli insediamenti dei darghi-ni nelle piane pedemontane del Caucaso avevano il loro nucleo intre distretti di confine prevalentemente agricoli: Levokumsk, Nef-tekumsk e Arzgir. Nei villaggi di questi distretti abitava il 57 percento dei darghini emigrati nelle pianure ciscaucasiche. L’etnia rap-presentava l’11 per cento dell’intera popolazione sedentaria. Oltreche nei distretti del nucleo, i darghini si sono distribuiti praticamen-te in tutto il territorio di Stavropol’ e, in più di un terzo dei suoi di-stretti, il loro peso specifico superava il valore medio dell’intero ter-ritorio. Negli anni Ottanta la diaspora dei darghini ha continuato adaumentare di numero, ma non più nei distretti del nucleo dei princi-pali insediamenti, come in passato, bensì nelle zone periferiche, so-prattutto nei distretti più occidentali del territorio. Nella regione diRostov, gli insediamenti dei darghini sono andati moltiplicandosi indiverse zone, situate per lo più lungo un asse nord/nordest rispettoai confini sudorientali della regione.

Negli anni Sessanta, come era avvenuto per i darghini, anche iceceni hanno inziato ad emigrare nel territorio di Stavropol’, dove,

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nel 1970, il loro numero superava di 1,8 volte quello dei ceceni in-sediatisi nella vicina regione di Rostov. Successivamente, nel corsodegli anni Settanta, tale tendenza si è invertita e il ritmo di crescitadei ceceni nella regione di Rostov ha superato quello del territoriodi Stavropol’. Verso la fine degli anni Settanta e nel decennio suc-cessivo si è attuata di fatto una divisione territoriale tra le due etnienordcaucasiche che, pur insediandosi entrambe sia nel territorio diStavropol’ sia nella regione di Rostov, hanno mantenuto ciascunauna superiorità numerica sull’altra in uno dei due areali occupatidalle rispettive diaspore. Nel complesso, verso gli anni Ottanta, gliinsediamenti ceceni erano diffusi in più di 30 distretti della regionedi Rostov, in parte del territorio di Stavropol’ e in alcuni distretti delterritorio di Krasnodar.

Negli anni Ottanta le dimensioni dell’esodo ceceno nelle pianurepedemontane sono aumentate di 1,5 volte, conservando la tendenzaad un alto ritmo di crescita numerica soprattutto nella regione diRostov. L’aumento della presenza cecena è stato accompagnato daun ulteriore ampliamento del loro areale di diffusione in nuove zonedella Ciscaucasia. Sempre negli anni Ottanta si sono delineati sem-pre più chiaramente i nuclei principali degli insediamenti ceceni,vale a dire quattro distretti della regione di Rostov: Dubovskij, Re-montinskij, Zavetnoe e Zimovniki, sul cui territorio abitava un terzodella popolazione cecena emigrata dal Caucaso settentrionale. Unsecondo nucleo di insediamenti, benché demograficamente inferio-re al primo pur con una notevole presenza numerica, si è creato neldistretto delle steppe di Kurskaja (sempre nel territorio di Stavro-pol’), al confine con la repubblica della Cecenia. Negli anni Settan-ta e Ottanta l’areale di diffusione dei ceceni nel territorio di Stavro-pol’ è andato rapidamente aumentando, ampliandosi soprattuttonelle zone disposte ad anello attorno all’area suburbana del capo-luogo. In questo settore dell’areale di diffusione il peso specificodei ceceni all’interno della popolazione sedentaria superava il valo-re medio dell’intero territorio. Gli insediamenti ceceni si sono diffu-si inoltre nei distretti del territorio di Krasnodar confinanti conquello di Stavropol’.

Negli anni Sessanta e Settanta gli insediamenti della diaspora diceceni e darghini sono stati alimentati soprattutto dal flusso migra-torio delle due etnie, il che è risultato determinante nel ritmo delle

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dinamiche demografiche, nelle caratteristiche dei processi in attonelle due diaspore e nella struttura demografica, caratterizzata inparticolare da un elevato peso specifico della popolazione in età la-vorativa e da un basso peso specifico di individui in età infantile opensionabile. I parametri relativi alle variazioni demografiche na-turali dei darghini e dei ceceni nei distretti dei nuovi insediamentisi discostano di poco da quelli delle repubbliche originarie delledue etnie.

Negli anni Ottanta la situazione demografica della diaspora ce-cena e dei darghini ha subìto un brusco cambiamento. La popola-zione dei nuovi insediamenti era ormai costituita non soltanto daemigrati ma anche, e in proporzione considerevole, da una genera-zione di individui che erano nati nelle regioni della diaspora e ave-vano già raggiunto l’età fertile. Verso la fine degli anni Ottanta,pertanto, e soprattutto negli anni Novanta, sull’aumento demografi-co influisce sostanzialmente la crescita naturale. Tale ruolo domi-nante del fattore di crescita naturale è condizionato altresì sia dal ri-flusso migratorio di una parte dei darghini in seguito all’aggravarsidei rapporti tra le diverse nazionalità nelle regioni dei nuovi inse-diamenti, sia da un isolamento etnico sempre maggiore. Nei primianni Novanta le popolazioni titolari di tutte le repubbliche del Cau-caso settentrionale, quindi non soltanto i darghini, reagiscono ini-zialmente a quanto sta accadendo nel paese dando inizio a un note-vole riflusso migratorio verso la loro patria storica. Tale processo di«rientro» è stato particolarmente evidente presso i darghini che abi-tavano gli stati dell’Asia Centrale. Il saldo migratorio negativo diquesta etnia, ad esempio, ha raggiunto il proprio picco tra il 1993 eil 1994 ed è stato registrato nell’intera area di diffusione. L’intensitàdel riflusso migratorio, tuttavia, presenta alcune differenze. Essa, adesempio, risulta più elevata nelle regioni in cui l’etnia ha una bassapresenza numerica, e in questo caso, di certo, ha giocato il fattorepsicologico, in quanto l’inferiorità numerica in determinate zone diforte tensione interetnica non sempre aveva permesso il consolida-mento sociale delle comunità della diaspora. Negli anni Novanta,nonostante il breve periodo caratterizzato da un saldo migratorionegativo che supera la crescita naturale, nelle pianure pedemontanesi registra complessivamente presso i darghini un aumento di popo-lazione. I fatti avvenuti nell’estate e nell’autunno 1999 hanno inol-

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tre ridotto notevolmente il riflusso dei darghini dalle regioni pia-neggianti della Ciscaucasia.

Per quanto riguarda i ceceni, il cui saldo migratorio negativo siregistra con un certo anticipo rispetto a quello dei darghini (dalla fi-ne degli anni Ottanta e per gran parte del decennio seguente), la cre-scita naturale ha compensato il calo «meccanico» della popolazio-ne, garantendone un complessivo aumento demografico. Verso lametà degli anni Novanta l’indicatore della crescita naturale viene adiminuire mentre continua ad aumentare il saldo migratorio negati-vo, cosa che ha portato a una netta diminuzione numerica negli in-sediamenti della diaspora cecena delle pianure pedemontane. Nellostesso periodo si osserva invece un’intensa crescita demografica diquesta etnia in numerose regioni della Russia. Attualmente, grazie aun saldo migratorio positivo e a un elevato fattore di crescita natu-rale, è ripreso ad aumentare il numero dei ceceni che abitano negliinsediamenti del territorio di Stavropol’ e della regione di Rostov.La parte preponderante di tale crescita numerica riguarda in primoluogo gli insediamenti del nucleo e delle aree limitrofe. Gli ultimiavvenimenti del 1999 hanno causato nelle regioni contigue del Cau-caso settentrionale un notevole afflusso di ceceni costretti ad abban-donare la repubblica di cui l’etnia è titolare.

L’areale di diffusione dei popoli nordcaucasici non è limitatoesclusivamente alle steppe pedemontane ma abbraccia alcune re-gioni del corso medio del Volga, singole zone della Russia centralee altri territori. Le regioni orientali della Ciscaucasia hanno rappre-sentato in questo senso una sorta di «corridoio etnico» lungo il qua-le è avvenuto l’esodo delle popolazioni caucasiche.

Negli ultimi anni, nonostante una situazione sociale, politica edeconomica che continua a mantenersi critica, si è nuovamente regi-strata una crescita di numerose etnie titolari delle repubbliche delCaucaso settentrionale. La gravità dei problemi economici, tutta-via, insieme con i rapporti tutt’altro che semplici tra un clan e l’al-tro, una crisi economica sempre più profonda, un alto indice di di-soccupazione e tensioni interetniche sempre più forti, spingononuovamente una parte dei popoli titolari delle repubbliche nordcau-casiche a partire verso altre regioni del paese. I fatti avvenuti nellerepubbliche del Caucaso settentrionale nell’estate e nell’autunno1999 hanno creato notevoli flussi migratori tra gli abitanti di quelle

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regioni del Dagestan, Cecenia e KaraØaevo-Æerkessija che hannosubìto gli attacchi delle bande di miliziani islamici. In particolare,la contrapposizione tra le due etnie della KaraØaevo-Æerkessija hacausato una sorta di emigrazione «a fini di studio» – di proporzionifinora sconosciute – da parte di giovani di etnia circassa e abazinache cercano di proseguire gli studi negli istituti superiori delle re-gioni limitrofe. Secondo valutazioni diverse, il numero di personeche dalla Cecenia sono state costrette ad emigrare in Inguscetia e inaltre regioni del Caucaso settentrionale varia da 23.000 a 100.000individui.

3. Processi etnodemografici presso i popoli non titolari delle re-pubbliche nordcaucasiche

Fenomeni immigratori di notevole portata, avvenuti nel Caucasosettentrionale nel corso del XIX secolo, hanno favorito in questa re-gione la nascita di diverse comunità etniche, tra le quali quelle ar-mena, greca e tedesca.

Dai dati del censimento del 1959, la comunità nata dalla diaspo-ra armena era la più numerosa, con 186.200 individui. Tra le regio-ni in cui è stato registrato un più massiccio insediamento di popola-zione armena vi è il territorio di Krasnodar che, tanto nel periodoprebellico quanto nel dopoguerra, è rimasto una delle maggiori areedi diffusione di questa etnia, ospitando il 35 per cento di tutti gli ar-meni residenti in Russia.

Negli anni Sessanta e Settanta la comunità nata dalla diasporaarmena è stata caratterizzata da moderati ritmi di crescita e con unasempre maggiore concentrazione dell’etnia nelle regioni tradizio-nalmente scelte dal flusso di immigrati. Nel 1979, ad esempio, nellearee di insediamento tradizionale del territorio di Stavropol’ abitavail 75 per cento di tutti gli armeni presenti sul medesimo territorio.Nelle zone dei nuovi insediamenti si è osservata una costante ten-denza all’innalzamento dell’indice di concentrazione della popola-zione armena. Sempre nel 1979, lo stesso indice, relativo agli ultimiquarant’anni, indicava per gli armeni un incremento di 1,5 volte, ar-rivando al 19,2 per cento. Tale tendenza si è registrata presso la po-polazione armena anche in altre zone delle steppe pedemontane.

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Gli anni Ottanta e Novanta costituiscono una fase particolarenello sviluppo delle comunità sorte dalla diaspora di popoli non ti-tolari delle repubbliche nordcaucasiche. L’evoluzione di tali comu-nità etniche è stata condizionata da fattori sia di tipo tradizionale siadi genere affatto nuovo, come i mutamenti avvenuti nella cartinapolitica o la diversa situazione etnopolitica ed economica dello spa-zio postsovietico. La nascita di nuovi stati sovrani sul territorio del-l’ex Unione Sovietica è stata infatti accompagnata da forti spintenazionalistiche, tensioni nei rapporti interetnici e conseguente au-mento di flussi migratori.

In queste mutate condizioni geopolitiche, le nuove diaspore sonostate divise in due gruppi a seconda dei particolari processi migrato-ri che le hanno create. Il primo gruppo comprende quelle comunitàetniche che presentano elevati ritmi di crescita numerica dovuta alflusso migratorio, mutamenti della distribuzione geografica degliinsediamenti in nuovi areali (per lo più nelle pianure pedemontane)e riduzione numerica di una data etnia all’interno delle entità nazio-nali del Caucaso settentrionale. Si tratta in primo luogo di armeni egreci. Nel secondo gruppo rientrano tedeschi ed ebrei, le cui comu-nità sono caratterizzate da un decremento numerico a seguito diun’emigrazione particolarmente intensa.

Negli anni Ottanta, il flusso migratorio degli armeni è stato de-terminato dapprima dal terremoto di Spitak e dal conflitto nel Na-gorno-Karabach e, successivamente, dalle sanguinose rappresagliedi Sumgait e Baku e dai conflitti armati esplosi in diverse regionidel Caucaso settentrionale, come pure in numerose altre zone delterritorio postsovietico. Nel solo Azerbajd§an era minacciata la vitadi quasi 500.000 rappresentanti della comunità armena. La grandemaggioranza degli armeni ha abbandonato il paese e la loro comu-nità azerbajd§ana, di fatto, ha cessato di esistere. Alla fine degli an-ni Ottanta e nei primi anni Novanta, l’emigrazione ha assunto pro-porzioni massificate anche nella stessa Armenia, a causa delladisastrosa situazione politica ed economica. Tra il 1990 e il 1997hanno lasciato l’Armenia più di 700.000 persone, vale a dire il 20per cento della popolazione4.

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4 L. A. Arutjunjan, «Novye tendencii migracii v Armenii» [Nuove tendenze migratoriein Armenia], in Migracionnaja situacija v stranach SNG, Moskva, 1999, pagg. 71-76.

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Altre centinaia di armeni sono state costrette ad emigrare dalleregioni che presentavano una situazione etnopolitica particolarmen-te difficile. Il flusso migratorio si è rivolto verso varie zone dellaRussia, verso l’Ucraina, in parte verso la stessa Armenia nonché de-cisamente verso paesi esteri. Le pianure ai piedi del Caucaso hannovisto insediamenti massificati di armeni. Nel corso degli anni Ot-tanta il loro numero in questa regione è aumentato di 1,5 volte, rag-giungendo nel 1989 le 315.000 unità. Il flusso migratorio è statoparticolarmente intenso nel territorio di Stavropol’, dove l’aumentonumerico è stato il più alto di tutta la Ciscaucasia con un dato pari al57,1 per cento, e ha favorito la principale crescita numerica degliarmeni, nelle pianure pedemontane. Dai dati del censimento del1989, risulta inoltre che la maggior parte degli armeni, residenti nelterritorio di Stavropol’, vi era immigrata di recente, mentre soltantouna parte numericamente inferiore era già nata negli insediamentidella comunità (soltanto il 39,1 per cento). Oltre la metà degli arme-ni residenti nel territorio di Stavropol’ proveniva originariamenteda altre repubbliche dell’ex Unione Sovietica. Una parte considere-vole degli armeni giunti nel territorio di Stavropol’ (il 37,5 per cen-to) era costituita da profughi fuggiti dall’Azerbajd§an, mentre i natiin Armenia rappresentavano soltanto il 9,7 per cento5.

Nella prima metà degli anni Novanta l’incremento migratorioannuo degli armeni nelle steppe pedemontane è stato di 10-15.000individui. Per quanto riguarda il territorio di Stavropol’ questo datooscilla tra 5.200 e 6.300 persone. Tra il 1989 e il 1994 la crescitanumerica degli armeni residenti sul territorio è stata del 31,6 percento, vale a dire più del 5 per cento annuo. Nella seconda metà de-gli anni Novanta il numero degli armeni è ulteriormente aumentatodel 5,5 per cento. Non meno elevata è stata la crescita numerica de-gli armeni nel territorio di Krasnodar (verso la fine del 1994, soltan-to grazie al flusso migratorio di profughi, vi si erano stabiliti più di45.500 individui appartenenti a questa etnia). È evidente che il flus-so migratorio ha avuto una parte fondamentale in questo rapido in-cremento numerico.

L’emigrazione armena è avvenuta principalmente dai territori

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5 V. S. Belozerov, «Sovremennye migracionnye processy na Stavropol’e [etniØe-skij aspekt]», in Vestnik SG1U, 4, 1996, pagg. 77-87.

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russi e dai paesi della Transcaucasia, in primo luogo dall’Azer-bajd§an, da dove, nei primi anni Novanta, proveniva quasi la metàdegli armeni emigrati nelle steppe pedemontane. In questo periodogli armeni provenienti dall’Azerbajd§an costituivano quasi i dueterzi del flusso migratorio. Verso la metà degli anni Novanta il nu-mero dei profughi fuggiti dall’Azerbajd§an prende a calare e nel1994 essi costituiscono soltanto una quinta parte degli armeni pre-senti, ad esempio, sull’intero territorio di Stavropol’. Nello stessoanno, nell’incremento del flusso migratorio in questa regione ai pie-di del Caucaso, gli emigrati giunti direttamente dall’Armenia rap-presentavano il 32,2 per cento. Tra di loro non vi erano soltanto abi-tanti della repubblica armena, ma anche persone che vi avevanotrovato un primo rifugio, fuggendo dall’Azerbajd§an ai tempi delconflitto nel Nagorno-Karabach, e non avevano saputo adattarsi allavita in Armenia. Verso la metà degli anni Novanta quasi un terzodel flusso migratorio era costituito da armeni arrivati da regioni di-verse della Russia. Il loro numero, tra l’altro, è andato sempre piùaumentando. Ulteriori indagini su questo flusso migratorio hannorilevato che una considerevole parte di questi immigrati era costi-tuita da armeni che, all’epoca dei conflitti armati in Transcaucasia edel terremoto di Spitak, si erano diretti verso la Russia, e non sol-tanto nelle regioni europee ma anche verso quelle orientali. Da que-ste regioni, che potremmo definire come territori «di transito», gliarmeni avevano successivamente deciso di fare ritorno verso il sud.Nell’incremento del flusso migratorio nelle steppe ai piedi del Cau-caso, il dato relativo agli armeni è variato tra il 10 e il 16 per cento,inferiore soltanto a quello dei russi.

Nel corso degli anni Ottanta e Novanta la distribuzione geografi-ca degli insediamenti armeni del Caucaso settentrionale ha subìtovari cambiamenti, finendo per delimitare un areale costituito dallepianure delle steppe pedemontane. L’arrivo di notevoli flussi mi-gratori, determinati da situazioni di gravità estrema, ha contribuitoad ampliare l’area di distribuzione dell’etnia armena, che ha sceltodi stabilirsi sia in nuove aree urbane (piccole città e loro sobborghi)sia in regioni rurali che, tradizionalmente, non avevano mai rappre-sentato una meta dell’immigrazione armena.

La maggior parte degli armeni che giunge sul territorio di Sta-vropol’ cerca infatti di stabilirsi nelle città ed è proprio nelle aree

Vitalij Belozerov

220

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urbane che si rilevano i due terzi della crescita meccanica dell’et-nia armena. È sempre il flusso migratorio a contribuire alla fortecrescita numerica degli armeni in alcune delle zone a cui questa et-nia dà tradizionalmente la propria preferenza, soprattutto in quelladi Mineral’nye Vody. Nella crescita meccanica della comunità ar-mena, pertanto, continua ad aumentare il loro peso specifico nellecittadine attorno a Mineral’nye Vody, quali Kislovodsk, Pjatigorske Georgievsk. Tra le altre città si distingue soprattutto Stavropol’,con un quinto dell’intero flusso migratorio armeno che giunge nelterritorio omonimo. Tra le città, in cui gli insediamenti armeni so-no più frequenti, va esclusa Budennovsk, questo in seguito ai fattidel 1995.

Anche tra le aree rurali vi sono zone in cui nell’ultimo decenniosi è registrato un notevole flusso migratorio di armeni. Si tratta so-prattutto dei distretti di Izobil’nyj, ¿pakovskoe, Blagodarnyj, Pred-gornyj e alcuni altri. L’areale di diffusione armena, con un costanteincremento numerico, occupa attualmente più di un quinto dell’in-tero territorio di Stavropol’. Nel contempo, si sta abbassando il pesospecifico degli armeni nella crescita meccanica di altri distretti, inparticolare quello delle steppe di Kurskaja e quelli di Sovetskoe eStepnovskoe. Questo fenomeno è determinato in primo luogo dalfatto che il flusso migratorio è costituito in larga parte da profughiche si vedono costretti a lasciare luoghi particolarmente minacciatidalla violenza e che, pertanto, si dirigono di preferenza nei distrettidel territorio di Stavropol’ più lontani dalla Cecenia o nelle sue piùtranquille aree urbane.

La crescita numerica degli armeni nel territorio di Stavropol’ èaccompagnata da notevoli mutamenti legati all’ampliamento del lo-ro areale di diffusione. Fino al 1979 la maggior parte degli armeni,– tra il 63,6 e il 73,8 per cento, – abitava nelle zone di insediamentotradizionale, come Mineral’nye Vody, Budennovsk o Kurskaja. Nelcorso degli anni Ottanta, e soprattutto nel decennio successivo, sisono rapidamente create altre aree di insediamento armeno, checomprendono la città di Stavropol’, altri grandi agglomerati urbanie i loro sobborghi, nonché un certo numero di capoluoghi di distret-to. Dal punto di vista dei ritmi di crescita numerica, queste zone su-perano di molto le regioni tradizionalmente scelte dagli insedia-menti armeni.

Aspetti etnici dei flussi migratori nel Caucaso settentrionale

221

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Nel corso degli anni Novanta la crescita numerica dell’etnia ar-mena nel territorio di Stavropol’ ha registrato un aumento generaledi 1,7 volte, mentre nelle zone degli insediamenti tradizionali talecrescita è stata di 1,6 volte e nelle nuove aree di diffusione l’aumen-to numerico è stato di 5 volte. Da questo punto di vista è pertantodiminuito il peso specifico degli insediamenti armeni tradizionali.Nelle nuove aree di diffusione abitano i due quinti degli armeni pre-senti nel territorio di Stavropol’ (erano un terzo nel 1989). La zonain cui la crescita appare maggiore e più rapida è quella della città diStavropol’ e dei suoi sobborghi.

Nel Caucaso settentrionale si rilevano imponenti flussi migrato-ri dell’etnia tedesca, con una notevole emigrazione dal Kazachstane con spostamenti da una regione all’altra del territorio siberiano.Attualmente l’intera regione si è trasformata in un territorio ditransito, una sorta di «trampolino» da cui proseguire verso la patriastorica.

Le attuali caratteristiche dei flussi migratori nel Caucaso set-tentrionale rafforzano l’isolamento etnico delle popolazioni cheabitano la regione. Gli spostamenti in massa di popoli autoctoniverso i territori di origine renderanno ulteriormente complessa lasituazione, già di per sé non semplice, del mercato del lavoro nellediverse repubbliche nordcaucasiche, in particolar modo nelle areerurali verso le quali è rivolto il maggiore flusso migratorio. L’af-fluenza delle popolazioni titolari nelle aree urbane delle varie re-pubbliche aggrava la concorrenza per i posti di lavoro, il che deter-mina a sua volta un imponente riflusso dei russi che avvertono, piùdi altri, le tensioni interetniche presenti nella regione. I processimigratori in atto rafforzano inoltre le tendenze negative per quantoconcerne la crescita naturale, e questo soprattutto tra la popolazio-ne russa che, oltre ad essere presente in modo massiccio nel flussodell’emigrazione forzata, è tra quelle con gli indici di natalità piùbassi in assoluto.

Vitalij Belozerov

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Introduzione

La migrazione è una delle modalità più dinamiche di reazioneda parte delle popolazioni ai mutamenti nelle condizioni socioeco-nomiche. Essa rappresenta una sorta di cartina tornasole o di baro-metro delle condizioni di una società, in quanto i cambiamenti chesi sviluppano in quest’ultima si riflettono immediatamente, esatta-mente e in modo assai nitido nei fenomeni migratori. In questo sen-so, nessun altro processo è comparabile ad essi. Un’analisi dellemigrazioni consente di individuare tempestivamente le nuove dire-zioni imboccate dallo sviluppo di un paese, conoscenza questaestremamente importante quando il paese in questione sta attraver-sando un periodo di profonda transizione.

Sono trascorsi circa otto anni da quando l’Unione Sovietica hacessato di esistere. Questo periodo è stato caratterizzato da conflittimilitari ed altri eventi tumultuosi e da una forte instabilità politica.Tuttavia è stato un periodo in cui la popolazione è riuscita a supera-re problemi improvvisi e del tutto imprevisti, un’epoca di adatta-mento graduale alle nuove condizioni, nonché di formazione dinuove strutture economiche e nazionali all’interno dell’ex Urss.

Questa relazione prende in esame i cambiamenti nelle migrazio-ni determinati dal collasso dell’Unione Sovietica e dagli sviluppiche hanno contraddistinto la nascita delle nuove repubbliche. Ven-gono altresì analizzati i principali fattori che hanno generato sia lerecenti migrazioni nelle regioni postsovietiche sia le migrazioni frala Russia ed altri paesi della Csi, fra cui i rimpatri degli appartenen-ti all’etnia russa, le migrazioni forzate, i modelli delle migrazioni

Migrazioni fra paesi della Csi e Russia:passato, presente e futuro¢anna ZajonØkovskaja

223

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regionali, con particolare attenzione al Caucaso settentrionale, e lepolitiche di migrazione.

1. Nuovi fattori

Si ritiene generalmente che le migrazioni siano strettamente con-nesse all’urbanizzazione, al mercato del lavoro, alle condizioni divita ed ai legami familiari. Dal collasso di un sistema socioeconomi-co, quale quello avvenuto in Unione Sovietica, emergono tuttavianuovi fattori di migrazione e l’impatto di quelli tradizionali cambiaa sua volta. Si possono individuare cinque principali gruppi di fatto-ri che hanno determinato i modelli di migrazione postsovietici.

Il primo gruppo comprende la liberalizzazione della vita nell’exUnione Sovietica, le nuove politiche delle «porte aperte» ed i cam-biamenti nella legislazione concernente la migrazione. La Russia,così come gli altri paesi sorti dalle rovine dell’Unione Sovietica, haaperto le frontiere, consentendo alla popolazione di entrare ed uscireliberamente dal paese. L’emigrazione e l’immigrazione, così come iviaggi all’estero per studio o per svago ed i soggiorni temporanei perlavoro, sono diventati una consuetudine. Questa libertà di spostarsiattraverso i confini nazionali ha contribuito in maniera sostanziale asmorzare le crisi economiche interne e l’instabilità politica.

Il secondo gruppo di fattori è dato dalla disgregazione dell’Ursse dalla concomitante destabilizzazione sociale: l’emergere del na-zionalismo, i conflitti etnici, le guerre civili, il timore di perdere lacittadinanza, le violazioni dei diritti umani, ecc. Il collasso dell’U-nione Sovietica si è verificato inaspettatamente, senza avvisaglie,ed ha pertanto generato un forte shock fra la popolazione. Improv-visamente, un popolo che fino ad allora aveva rappresentato un uni-co paese si è ritrovato diviso fra «appartenenti alla stessa stirpe» e«stranieri», popolazioni titolari (ossia appartenenti alle maggioran-ze etniche che hanno dato il proprio nome ai nuovi paesi) e non tito-lari («immigrati»). A questi ultimi non sono più stati garantiti i di-ritti umani fondamentali, quali il diritto alla cittadinanza, i diritti disuccessione, le pensioni, il riconoscimento dell’impiego precedentee così via. La situazione incerta delle popolazioni non titolari è statasovente esacerbata all’interno delle nazioni postsovietiche dalla ne-

¢anna ZajonØkovskaja

224

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cessità di parlare correntemente la lingua ufficiale del paese di resi-denza. I fattori relativi al collasso dell’Urss possono essere definitia pieno titolo straordinari, così come straordinaria è stata la loro in-fluenza sui fenomeni di migrazione: migrazioni forzate di massa,rimpatri di massa, nonché il flusso di rifugiati dalle regioni in cuihanno luogo conflitti armati e sanguinose faide etniche.

Il terzo gruppo di fattori è connesso al periodo iniziale di riformeeconomiche, contraddistinto dal rifiuto del militarismo e dal conse-guente rapido declino del settore economico più sviluppato, la produ-zione di armamenti, nonché dal rifiuto di una stretta irregimentazionedelle attività economiche. Al tempo stesso, tuttavia, i meccanismiche regolano l’economia del libero mercato non si erano ancora svi-luppati. In Russia la terapia shock in economia ha avuto come risul-tati: inflazione alta, repentino aumento delle spese personali, rapidodeclino delle condizioni di vita e disoccupazione. Tali circostanzehanno aggravato gli effetti del collasso ed hanno agito da stimoli ad-dizionali per le migrazioni indotte da situazioni di tensione1.

Il quarto gruppo di fattori è rappresentato dallo sviluppo dellerelazioni di mercato: privatizzazione, impresa privata e proprietàterriera, sviluppo del commercio, attività finanziarie private e mer-cato edilizio. Tutti questi fattori hanno costituito un nuovo potentestimolo per il mercato del lavoro in Russia, la cui composizione si èpertanto assai differenziata. Mentre i controlli del governo sul mer-cato del lavoro si vanno rapidamente circoscrivendo, emergononuove forme di impiego e di guadagno.

Un quinto gruppo di fattori, infine, è associato alla nuova diffe-renziazione socioeconomica dello spazio postsovietico. Più ci al-lontaniamo nel tempo dal momento in cui è avvenuta la disgrega-zione dell’Unione Sovietica, più sostanziali divengono le differenzefra gli stati postsovietici in termini di sistema politico, di ritmo e na-tura delle riforme economiche, di produttività e qualità di vita, distabilità sociale e di tolleranza etnica. Un nuovo modello di spazio

Migrazioni fra paesi della Csi e Russia

225

1 Distinguo fra migrazioni indotte da situazioni di tensione e migrazioni forzate. Leprime si verificano in seguito al diffondersi di panico, paura, minacce e così via. Leseconde, invece, sono condizionate da oggettivi fattori di allontanamento. È inoltreimportante sottolineare che le migrazioni indotte da situazioni di tensione possonoessere influenzate da un’erronea valutazione della situazione.

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economico ha già preso forma all’interno dell’ex Urss e la popola-zione sta imparando a sfruttarlo a proprio vantaggio.

È importante sottolineare che gli ultimi due gruppi di fattori sonotradizionali, ovvero determinanti «classici» di migrazione. Si presen-tano, tuttavia, in una forma nuova in cui risultano amplificati dalla li-bertà di scelta. Questi fattori hanno un effetto rassicurante sulle so-cietà in quanto contribuiscono al contenimento delle tensioni. Per talemotivo i fenomeni migratori stanno gradualmente ritornando ad unostadio in cui possono essere inseriti nei tradizionali quadri analitici.

Le nuove realtà economiche hanno generato alcune tipologie dimigrazione assai diffuse nel resto del mondo, ma sconosciute inUnione Sovietica, ossia migrazioni a breve termine, commercio«navetta» ed altri tipi di migrazione legati al commercio.

Nessuno di questi cinque gruppi di fattori è ancora passato in se-condo piano, la loro importanza relativa, tuttavia, è in fase di cam-biamento.

2. Tendenze generali

La popolazione ha risposto al deterioramento della situazionesocioeconomica determinato dal collasso dell’Urss con una diminu-zione della tendenza a migrare. Già nel 1988, quando ancora l’Urssesisteva, il numero di emigranti aveva cominciato a diminuire rapi-damente in seguito ai primi pogrom etnici: contro i turchi mesketininella Ferghana (Uzbekistan) e contro gli armeni a Sumgait (Azer-bajd§an). Questa tendenza è rappresentata nella figura 1.

Lo shock causato dalla disgregazione dell’Urss ha ridotto la mo-bilità di quasi la metà: gli individui emigrati o immigrati in Russiasono passati dai 12,8 milioni del 1989 a 6,3 milioni nel 1998. Questodato di fatto contraddice l’opinione diffusa secondo cui in Russia (enell’intera ex Urss) la migrazione sarebbe nettamente aumentata.

Il declino migratorio ha conosciuto una temporanea sospensionenel 1994, quando i vantaggi economici della Russia rispetto alle al-tre repubbliche dell’ex Urss sono emersi pienamente, per poi ri-prendere nel corso degli anni seguenti. Questa successiva diminu-zione è dovuta principalmente ad una riduzione della migrazioneesterna o straniera (vale a dire, movimenti attraverso i confini della

¢anna ZajonØkovskaja

226

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Migrazioni fra paesi della Csi e Russia

227

Figura 1. Migranti in arrivo e in partenza dalla Russia (esterni ed interni)

Mil

ioni

01

2

3

4

5

67

1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998

In arrivo

In partenza

Fonte: Calcolata dall’autore in base alle pubblicazioni ufficiali del Goskomstat

Figura 2. Migrazione interna russa

Mil

ioni

1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 19980

1

2

3

4

5

Fonte: Ibid.

Russia), mentre la migrazione interna (ossia, all’interno dei confinidella Russia) è ritornata ai livelli precedenti (fig. 2).

Nel 1998 l’immigrazione esterna costituiva il 18 per cento di tut-ti gli immigrati in Russia. Fra le fonti dell’immigrazione in Russiapredominano di gran lunga la Csi e gli stati del baltico. Al contrario,le destinazioni predilette da coloro che lasciano la Russia sono rap-presentate prevalentemente dall’ex Urss (tab. 1).

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3. Migrazioni fra la Russia e le altre ex repubbliche sovietiche

Contrariamente a quanto avvenuto per le migrazioni interne, ilflusso migratorio fra la Russia e le altre ex repubbliche sovietiche èaumentato in seguito al crollo dell’Urss, benché non in maniera co-sì drammatica come ritengono molti commentatori. Soltanto nel-l’anno 1994, il numero degli immigrati ha superato in misura signi-ficativa i livelli della seconda metà degli anni Ottanta (fig. 3). Incontrasto con l’opinione corrente, l’immigrazione netta in Russia ècresciuta di più in seguito alla riduzione dell’emigrazione che perl’effettivo aumento del numero degli immigrati. Fra il 1989 e il1998 l’emigrazione dalla Russia è andata continuamente diminuen-do per giungere, al termine di questo periodo, ad appena il 22 percento della quota originaria. Prima della perestrojka il movimentoverso la Russia costituiva la principale tendenza migratoria all’in-terno dell’Urss.

Nel 1994, come conseguenza delle differenze nel ritmo di svi-luppo delle riforme economiche, la Russia è divenuta una meta an-cora più ambita dagli emigranti. Le differenze di crescita fra le si-

¢anna ZajonØkovskaja

228

Tabella 1. Totale delle migrazioni, 1998

Migranti, in migliaia Migranti, in percentuale

In arrivo In partenza Netto In arrivo In partenza Netto

Totale 3.322,6 2.931,5 391,1 100,0 100,0 100,0Migrazione interna 2.724,9 2.698,5 26,4* 82,0 92,1 6,8Migrazione esterna 597,7 233,0 364,7 18,0 7,9 93,2con stati postsovietici 582,9 149,5 433,4 17,5 5,1 110,8con altre nazioni 14,8 83,5 -68,7 0,5 2,8 -17,6

Fonte: Ibid.

* Per quanto riguarda la «migrazione interna», i migranti in arrivo e in partenza sono gli stes-

si individui (che lasciano una zona e giungono in un’altra). La differenza fra gli arrivi e le

partenze è determinata in parte dal fatto che la registrazione dell’arrivo di un individuo avvie-

ne dopo la registrazione della sua partenza e la differenza di tempo che intercorre è sovente

significativa. Le inesattezze nelle pratiche di registrazione possono contribuire anch’esse ad

aumentare la differenza.

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Migrazioni fra paesi della Csi e Russia

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Figura 3. Migrazioni fra la Russia e le altre repubbliche postsovietiche

Mil

ioni

1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 19980

2

4

6

8

10

12

In arrivo

In partenza

Fonte: Ibid.

tuazioni economiche e le condizioni di vita all’interno dello spaziopostsovietico cominciavano infatti a delinearsi. In termini di svilup-po dell’economia di mercato, la Russia procedeva più rapidamentedegli altri paesi della Csi: il rublo russo era diventato la valuta piùforte della Csi ed era considerato il parametro di misura delle altremonete. Ciò ha determinato considerevoli vantaggi per la Russia, intermini di qualità di vita e ambiente di affari. Le popolazioni dellealtre ex repubbliche hanno cominciato in misura sempre maggiore acercare opportunità di impiego in questo paese (fig. 4).

Nel medesimo periodo è aumentato il flusso migratorio dalle al-tre ex repubbliche sovietiche verso la Russia (tab. 2). Nel 1995, tut-tavia, la tendenza è cambiata nuovamente: l’immigrazione in Rus-sia ha cominciato a calare e nel 1998 risultava diminuita della metàrispetto al 1994, senza dubbio a causa della guerra in Cecenia. Uncerto grado di stabilità economica, raggiunto nelle ex repubbliche(rafforzamento delle valute nazionali, abbassamento della tensionenelle zone di conflitto, ecc.), ha contribuito anch’esso a tale diminu-zione, in particolare nel contesto dei ritardi nel pagamento dei salarie delle pensioni in Russia.

Page 262: La Russia e i Conflitti Nel Caucaso

¢anna ZajonØkovskaja

230

Figura 4. Scambi migratori netti fra la Russia e le altre ex repubbliche so-vietiche, 1991-96

-1000 -500 0 500 1000 1500 2000 2500 3000

2531

1167

725

926

783

-195

-598

-5221961-65

1966-70

1971-75

1976-80

1981-85

1986-90

1991-95

1996-98

Fonte: Ibid.

Tabella 2. Migrazione netta fra la Russia e gli altri stati postsovietici

Stati raggruppati 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998

Occidentali -121,4 10,4 166,6 109,6 100,4 75,8 55,3Bielorussia -21,3 -11,4 15,6 10,1 2,4 -1,3 -5,3Moldova 9,9 4,5 12,0 10,5 10,9 8,0 6,0Ucraina -110,0 17,3 139,0 89,0 87,1 69,1 54,6

Transcaucaso 108,9 136,0 150,2 116,4 92,3 63,3 50,8Azerbajd§an 50,7 43,1 43,4 37,8 35,4 25,6 18,3Armenia 12,0 27,9 44,6 31,3 22,4 16,5 14,4Georgia 46,2 65,0 62,2 47,3 34,5 21,2 18,1

Asia Centrale 214,9 227,0 251,2 171,0 98,4 75,3 67,7Kyrgyzstan 49,8 86,7 56,5 18,2 10,4 7,5 5,7Tad§ikistan 66,7 62,9 41,9 38,5 29,9 20,6 16,4Turkmenistan 12,0 6,8 17,4 17,2 21,5 15,0 9,0Uzbekistan 86,4 70,6 135,4 97,1 36,6 32,2 36,6Kazachstan 96,6 126,9 304,5 191,0 134,5 210,5 183,2

Totale per la Csi 299,0 500,3 872,5 588,0 425,6 424,9 357,0

Stati baltici 56,7 53,5 42,1 24,2 14,2 8,4 4,8Lettonia 23,2 23,7 25,0 13,7 7,4 5,0 3,0Lituania 11,7 17,0 6,9 2,8 1,8 0,6 0,6Estonia 21,8 12,8 10,2 7,7 5,0 2,8 1,2

Totale 355,7 553,8 914,6 612,2 439,8 433,3 361,8

Fonte: Ibid.

Page 263: La Russia e i Conflitti Nel Caucaso

Nel 1997, per la prima volta nel corso dell’esistenza dei paesisovrani della Csi, tutti i principali conflitti armati in atto nei vari ter-ritori sono stati interrotti. Anche per la Russia il 1997 è stato carat-terizzato da una relativa stabilità – niente conflitti armati, rallenta-mento nel calo della produzione, la maggior parte dei debiti di stato,come pensioni e salari arretrati, pagati, tasso di inflazione arrestato.Tuttavia, nonostante il contesto favorevole, i flussi migratori frapaesi della Csi e Russia hanno continuato a diminuire2.

Questo ulteriore calo nei flussi migratori, nonostante la situazio-ne sociale abbastanza favorevole, sta ad indicare un indebolimentodello stimolo economico per l’immigrazione in Russia. Con ogniprobabilità la spiegazione di questa situazione è data dall’esauri-mento delle opportunità connesse al nuovo mercato del lavoro,emerse in Russia all’inizio del periodo delle riforme. A causa delladiminuzione degli investimenti nell’economia nazionale e del volu-me di produzione, non si sono ancora sviluppate nuove nicchie dimercato. La svalutazione del rublo nel 1998, sceso ad un quarto delsuo valore, ha peggiorato la situazione e privato la Russia dei van-taggi che precedentemente deteneva all’interno della Csi. Prima delcrollo dell’agosto 1998, il salario medio russo era superiore a quellodegli altri paesi della Csi, mentre in seguito il livello delle paghe inKazachstan e in Bielorussia ha superato quello russo che è sceso allivello dell’Ucraina e dell’Uzbekistan e si è avvicinato di molto aquello degli altri paesi. Nel periodo compreso fra settembre e di-cembre del 1998, l’immigrazione verso la Russia dagli altri paesidella Csi è diminuita del 30 per cento. Altri fattori di declino del-l’immigrazione in Russia, che perdureranno anche in futuro, sono iconflitti armati nel Dagestan, le bombe esplose in diverse città russenel settembre del 1999, le difficoltà ad ottenere la cittadinanza rus-sa, le complesse procedure di registrazione della residenza, di ac-quisto di beni immobili ed altri ancora.

L’aumento dei flussi di immigrazione, insieme alla sostanziale ri-duzione dell’emigrazione, ha portato ad una notevole crescita dellapopolazione russa, a spese dei suoi ex partner sovietici (fig. 4). In se-

Migrazioni fra paesi della Csi e Russia

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2 Migration in the CIS. 1997-1998, IOM. Technical Cooperation Centre for Europeand Central Asia, Genève, 1999, pagg. 15-21, 112-32.

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guito al crollo dell’Urss, nel periodo compreso fra il 1992 ed il 1998,la Russia ha accolto quasi 3,4 milioni di immigrati, più di quanti nonne abbia accolti nei quindici anni precedenti (2,4 milioni).

Gli emigranti giungono in Russia da tutte le nazioni postsovieti-che, senza eccezioni. Nella tabella 2 sono riportati i «punti caldi» incontinuo spostamento all’interno dello spazio postsovietico. Primadella fine dell’Unione essi erano rappresentati da Azerbajd§an, Uz-bekistan, Tad§ikistan e Kazachstan, dove sono scoppiati i primi con-flitti etnici. Dopo la disgregazione dell’Unione, le tensioni si sono ina-sprite un po’ ovunque, la qual cosa ha portato ad un rapido aumentodell’immigrazione in Russia. Tutte le regioni in cui erano in atto con-flitti armati, ossia Transcaucaso, Moldova ed in particolare il Tad§iki-stan, hanno conosciuto un aumento vertiginoso dell’emigrazione.

Il contributo di ogni singolo paese all’immigrazione in Russiafluttua nel tempo, in seguito all’evolversi della situazione in ciascu-na repubblica ed in seguito agli eventi verificatisi nella Russia stes-sa. Nel complesso, nel periodo compreso fra il 1992 ed il 1996, l’A-sia Centrale ed il Kazachstan detenevano le percentuali più alte diemigrati in Russia (rispettivamente il 30,1 ed il 33,7 per cento).

Gli scambi migratori con l’Ucraina e la Bielorussia rimangonoanch’essi abbastanza estesi, a dimostrazione del fatto che persinogli sconvolgimenti degli ultimi anni non sono riusciti a recidere iforti legami esistenti fra le repubbliche slave. Finora questi legamihanno resistito ai continui ostacoli amministrativi, alle contraddi-zioni politiche ed ai rigurgiti di nazionalismo. Tutto ciò lascia pre-vedere che essi costituiranno i fattori di stabilizzazione più affidabi-li all’interno dello spazio postsovietico. Il flusso migratorio dallaRussia verso le ex repubbliche non slave, invece, è quasi cessato.Nel 1998 vi sono stati soltanto 55.000 emigrati dalla Russia versoquesti paesi, cifra dieci volte inferiore al numero di emigranti chearrivano in Russia dai paesi non slavi.

4. Rimpatri

Il crollo dell’Urss ha provocato rimpatri su larga scala che coin-volgono di fatto tutti i gruppi etnici della zona. I rimpatri sono statiincentivati dal timore di perdere l’opportunità di rientrare nel paese

¢anna ZajonØkovskaja

232

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di origine o di essere privati della «propria» cittadinanza e di ritro-varsi dall’altra parte del confine, separati dalla propria famiglia.

Per quanto riguarda la Russia, il processo migratorio più estesoed intenso è dato dal rimpatrio degli individui di origine russa. Essirappresentano la maggioranza fra coloro che emigrano dalle ex re-pubbliche sovietiche, benché la loro percentuale nella migrazionenetta sia in diminuzione – è infatti passata dal 76 del 1993 al 61 percento del 1998.

Il rimpatrio degli appartenenti all’etnia russa si è verificato perla prima volta su ampia scala verso la metà degli anni Settanta3.Tuttavia, in seguito al crollo dell’Urss, tale processo è stato accele-rato ed ha assunto natura diversa. Nel contesto delle nuove condi-zioni, il rimpatrio è stato prevalentemente forzato, determinato dadiscriminazioni etniche e da violazioni dei diritti umani. Queste ul-time si manifestano palesemente nella restrizione dei diritti civilidegli individui di origine russa, nella limitazione dell’uso della lin-gua russa e dei diritti politici e nell’esclusione dei russi dalle occu-pazioni amministrative e di responsabilità.

Il rimpatrio procede in modo discontinuo ed è altamente sensibi-le ai mutamenti della situazione sociopolitica. I fattori economicipossono contribuire ad incentivarlo, come è avvenuto nel 1994. Es-si, tuttavia, non cambiano la natura, essenzialmente coercitiva, deirimpatri, ma si limitano ad ampliare le opportunità di emigrare perle popolazioni che ne hanno l’intenzione. D’altro canto, i russi resi-denti fuori dalla Russia hanno reagito alla guerra in Cecenia in mo-do molto più sensibile di quanto non abbiano fatto i gruppi etniciufficiali delle ex repubbliche: nel 1996 la migrazione degli apparte-nenti all’etnia russa verso la Russia è diminuita di un terzo, mentrela migrazione degli appartenenti agli altri gruppi ufficiali è calatasoltanto del 16 per cento.

All’interno dei paesi postsovietici non slavi i russi risiedono pre-valentemente nelle capitali e nelle altre città principali. Durante ilperiodo di espansione territoriale essi svolgevano lavori specializ-zati che le popolazioni locali con il loro scarso livello di istruzionenon potevano eseguire. Con la diffusione dell’istruzione fra gli au-

Migrazioni fra paesi della Csi e Russia

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3 Vedi ¢anna ZajonØkovskaja, «Russkij vopros» [La questione russa], in Migrat-sia, I,1996, pagg. 7-11.

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toctoni la competizione sul mercato del lavoro è aumentata, in parti-colare in quelle zone in cui le popolazioni locali crescevano rapida-mente, e, di conseguenza, la nicchia inizialmente occupata dai russisi è andata sempre più restringendo4.

Le prime zone, da cui gli appartenenti all’etnia russa cominciaro-no ad essere espulsi, sono quelle in cui le occupazioni nel settoredella vendita al dettaglio ed impiegatizio erano maggiormente ambi-te dagli autoctoni. In Asia Centrale, ad esempio, già alla metà deglianni Sessanta la forza lavoro locale era quasi interamente responsa-bile della crescita dell’occupazione nei settori dell’istruzione, dellospettacolo e della sanità, settori in cui i russi avevano perso gradual-mente terreno. L’impiego della popolazione di origine russa vennegradualmente limitato al settore manifatturiero ed edilizio, benché ilocali siano stati rapidi nel «naturalizzare» anche questi. I russi, tut-tavia, hanno mantenuto una posizione preminente nel campo del-l’ingegneria e delle occupazioni tecniche.

L’espulsione delle popolazioni di origine russa, così come di al-tre popolazioni non autoctone, dalle regioni sovrappopolate è stataprevalentemente condizionata da circostanze oggettive piuttosto cheda errori di valutazione e dovrebbe essere considerata un fenomenonaturale. La maggior parte dei russi avrebbe lasciato l’Asia Centraleed il Transcaucaso anche in assenza di guerre e senza la nascita dinazioni indipendenti. Più che il processo stesso, è stata la rapiditàcon cui è avvenuto ad essere determinata dalle nuove circostanze.

Il crollo dell’Urss, il nazionalismo e la competizione per il pote-re fra le élite locali hanno creato una situazione duplice: da un lato,i gruppi etnici autoctoni delle nuove repubbliche hanno visto realiz-zarsi forti opportunità di ottenere posizioni di impiego prestigiose edi estromettere gli stranieri, dall’altro, gli individui di origine russasono riluttanti a restare anche quando il loro impiego non è in peri-colo. Le nuove circostanze politiche e la disgregazione della vec-chia amministrazione contribuiscono tanto all’inasprimento di pro-blemi preesistenti quanto alla realizzazione delle condizioni per laloro esplosiva soluzione.

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4 Id., «Historical roots of migration situation in Middle Asia», in Migration of Rus-sian-speaking from Central Asia, Moscow Carnegie Center, 1996, pagg. 41-64.

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Nel 1989, 25,3 milioni di individui di origine russa vivevanofuori dalla Russia ma entro i confini dell’Unione Sovietica; la metàdi costoro viveva all’interno delle repubbliche non slave. Fra il 1990e il 1998 dei 2,8 milioni di russi che hanno fatto ritorno in Russiasoltanto 330.000 provenivano dall’Ucraina e dalla Bielorussia. Ov-viamente il rimpatrio degli appartenenti all’etnia russa si è verificatoprevalentemente negli stati non slavi: in queste nazioni le popola-zioni di origine russa sono diminuite del 20 per cento, contro il 2,6per cento delle due nazioni slave. I flussi migratori dalle repubblichelacerate dalla guerra sono stati ancora più intensi: Tad§ikistan e Ar-menia, Azerbajd§an e Georgia sono stati abbandonati dalla metà deirussi che vi risiedevano. Rispetto a questi dati le statistiche riguar-danti i flussi migratori dagli altri stati non slavi appaiono più mode-rate: gli stati del Baltico hanno perso dal 10 al 13 per cento della po-polazione russa, il Kazachstan il 16 per cento e la Moldova il 9 percento (tab. 3). Fra il 1996 e il 1998 nella maggioranza delle nazionipostsovietiche, con l’eccezione del Kazachstan, l’emigrazione dellepopolazioni di origine russa è significativamente diminuita.

Migrazioni fra paesi della Csi e Russia

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Tabella 3. Appartenenti all’etnia russa nella Csi e nei paesi del Baltico

Numero di russi Emigrazione netta versola Russia nel 1990-98

Paesi Migliaia % nella popolaz. Migliaia %

RussiaBielorussia 1.342 13,2 24 1,8Moldova 562 13,0 51 9,1Ucraina 11.356 22,1 306 2,7

TranscaucasoArmenia 51 1,6 29 56,9Azerbajd§an 392 5,6 178 45,4Georgia 341 6,3 148 43,4

Asia CentraleKyrgyzstan 917 21,5 211 23,0Tad§ikistan 388 7,6 214 55,2Turkmenistan 334 9,5 82 24,6Uzbekistan 1.653 8,3 407 24,6Kazachstan 6.228 37,8 1.006 16,2

Fonte: Censimento della popolazione dell’Urss del 1998. Comitato nazionale russo di statistica.

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È lecito attendersi che nell’immediato futuro il Transcaucaso edil Tad§ikistan saranno completamente abbandonati dalla popolazio-ne russa. Nel 1999, a causa dell’emigrazione di russi verso l’Ucrai-na e la Bielorussia, nel Transcaucaso sono stati registrati non più di350.000 individui di origine russa e soltanto 135.000 nel Tad§iki-stan. Se i tassi di emigrazione rimarranno gli stessi, fra cinque annisaranno partiti tutti quanti e l’immigrazione complessiva in Russiaraggiungerà le 300.000 unità5.

Per quanto riguarda Kyrgyzstan, Turkmenistan e Uzbekistan, laforte competizione sul mercato del lavoro e la sovrappopolazionehanno nettamente ridotto le opportunità di impiego per i russi e pertutte le popolazioni non autoctone. Pertanto la maggior parte degli«stranieri» che ancora vi risiedono emigrerà. Il potenziale comples-sivo di emigrazione dei 2 milioni di russi ancora residenti in questerepubbliche, ossia il flusso migratorio di questi ritenuto plausibilesecondo le ultime stime, è nell’ordine di 1,5-1,7 milioni. In assenzadi conflitti sociali all’interno dello spazio postsovietico, la durata diquesto flusso migratorio potrebbe prolungarsi per un lungo periododi tempo. Un fattore di accelerazione potrebbe essere dato dalla ri-presa economica in Russia.

Ciò è particolarmente vero nel caso del Kazachstan. Fra i russiche vi risiedono la prospettiva di emigrare incontra sempre più fa-vore. Gli ultimi dati attestano un possibile flusso migratorio di unoo due milioni, mentre, come abbiamo visto, un intensificarsi delrimpatrio dagli stati baltici, dall’Ucraina e dalla Bielorussia è im-probabile.

In conclusione, partendo dal presupposto che non si verifichinocatastrofi sociali, il rimpatrio delle popolazioni di origine russa coin-volgerà probabilmente dai tre ai quattro milioni di individui in un ar-co di tempo che andrà dai sette ai dieci anni. Si tratta di un flusso no-tevole che richiede attenzione e soluzioni efficaci da parte delgoverno russo. Questi dati, tuttavia, non si avvicinano neppure allacifra esorbitante di 25 milioni di emigranti, sbandierata da quegli op-positori del governo russo che si propongono di diffondere il panico.

¢anna ZajonØkovskaja

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5 Recenti inchieste suggeriscono che non tutte le popolazioni di origine russa se neandranno: lo farà l’80 per cento, di cui un 80 per cento emigrerà in Russia ed il re-stante 20 per cento in Ucraina ed in Bielorussia.

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Il rimpatrio non ha coinvolto unicamente i russi, ma anche altrigruppi etnici originari della Russia. Molti di essi in passato si eranodiffusi in aree esterne alla Fr, in particolare nel Kazachstan e nel-l’Asia Centrale. Gli appartenenti a questi gruppi etnici rappresenta-no il 10 per cento del totale degli immigrati in Russia.

Tutte le etnie titolari delle ex repubbliche continuano, come inpassato, ad emigrare in Russia. Le cifre complessive, riguardanti ilflusso migratorio verso la Russia dai paesi della Csi e del Balticonegli anni compresi fra il 1993 ed il 1998, comprendono 724.000individui, di cui 269.000 ucraini, 25.000 bielorussi, 227.000 arme-ni, 75.000 azerbajd§ani, 45.000 georgiani, 48.000 provenienti dal-l’Asia Centrale, 19.000 dal Kazachstan, 12.000 dalla Moldova e3.300 dagli stati del Baltico. Il flusso di immigrati è molto ridottorispetto al 1980, ciononostante la ripresa dell’immigrazione in Rus-sia dimostra un graduale recupero della fiducia nei confronti dellaRussia stessa da parte delle altre nazioni.

Dal momento che gli appartenenti all’etnia russa non costituisco-no più una presenza numerosa nel Transcaucaso, l’immigrazione daqueste zone è costituita prevalentemente dalle etnie titolari. Di con-seguenza, rispetto al totale degli immigrati in Russia nel 1998 pro-venienti dall’Armenia, i russi rappresentano soltanto il 6 per cento,quelli dalla Georgia il 26 per cento e i restanti dall’Azerbajd§an il30 per cento. La migrazione etnica postsovietica verso la Russia nonsi è pertanto modificata, sebbene il flusso delle popolazioni di origi-ne russa sia già terminato. Altri gruppi etnici sono coinvolti. A que-sto proposito la disponibilità della Fr ad accettare tutti gli immigrati,indipendentemente dall’appartenenza etnica, si pone in netto contra-sto con la politica delle altre nazioni postsovietiche.

5. Rifugiati e migrazioni forzate

A gennaio del 1998 in Russia c’erano 1.106.600 «rifugiati» ed«emigrati forzati» (da qui in avanti semplicemente «rifugiati») pro-venienti da tutte le ex repubbliche sovietiche. Fino al 1995 la per-centuale più numerosa proveniva dal Tad§ikistan, dove infuriava laguerra civile. L’ondata più forte di immigrazione da questo paese ègiunta fra il 1992 e il 1993, anni in cui grandi flussi di rifugiati pro-

Migrazioni fra paesi della Csi e Russia

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venivano anche dall’Azerbajd§an e dalla Georgia (in particolaredall’Ossetia meridionale). In seguito, le emigrazioni forzate sonodrammaticamente aumentate e la loro origine geografica si è sposta-ta seguendo lo scoppio dei nuovi conflitti. Dei rifugiati giunti inRussia fra il 1994 e il 1998, metà proveniva dal Kazachstan e dal-l’Uzbekistan; anche altre zone hanno continuato a generare flussi dipopolazioni espatriate. Di fatto, tutti gli emigrati, giunti in Russiafra il 1992 ed il 1996, provenienti dal Tad§ikistan erano rifugiati,così come la metà dei nuovi arrivi dall’Azerbajd§an, dalla Georgia edalla Moldova, un terzo di quelli dall’Uzbekistan e dal Kyrgyzstan,un quarto di quelli provenienti dal Kazachstan ed un quinto di quelliin arrivo dalla Lettonia. Complessivamente i rifugiati ufficialmentericonosciuti rappresentavano un quarto di tutti gli immigrati giuntiin Russia dalle nazioni postsovietiche in quel periodo (tab. 4).

¢anna ZajonØkovskaja

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Tabella 4. Migrazione netta fra le regioni economiche russe (in migliaia)

Regioni 1979-88* 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998

economiche

Nord 4,0 -45,6 -37,5 -40,8 -25,3 -22,5 -30,3 -31,9Nordovest 44,3 -3,9 7,4 47,8 40,3 42,5 30,0 33,1Centro 98,5 61,6 113,2 216,2 166,2 148,3 143,7 137,3Volgo-Vjatka -22,5 22,1 26,0 50,8 31,6 21,5 20,0 18,6Æhernozemcentrale -14,2 80,1 91,8 102,4 62,6 55,2 39,2 37,2

Volga -2,1 104,4 131,2 167,2 104,7 69,3 68,2 58,8Caucasosettentrionale 5,1 103,1 143,0 167,3 86,4 92,3 59,0 26,0

Urali -55,8 36,6 41,3 123,6 74,4 57,9 67,8 53,4Siberiaoccidentale 81,2 -8,2 26,3 112,2 49,7 33,8 65,5 33,3

Siberiaorientale 4,2 -36,2 -22,6 -7,3 3,9 -3,6 -20,5 -20,8

Estremo Oriente 33,3 -150,4 -101,1 -147,8 -102,8 -56,3 -64,5 -73,3

Totale per la Russia 176,7 176,1 430,1 810,0 502,2 447,7 391,1 284,7

*Media annuale.

Fonte: Calcolata dall’autore in base alle pubblicazioni ufficiali del Goskomstat.

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173.119 rifugiati, tuttavia (15,5 per cento della cifra complessivadi rifugiati in Russia), provenivano da territori all’interno dei confi-ni della Russia stessa. La maggioranza proveniva dalla Cecenia epiù di 7.000 dall’Ossetia settentrionale.

La stragrande maggioranza dei rifugiati che hanno chiesto asiloin Russia è rappresentata da individui di origine russa (essi costitui-vano il 70 per cento dei rifugiati nel 1999). Altri gruppi etnici rap-presentati sono i tartari (7 per cento), gli armeni (4,8 per cento), gliosseti (3,8 per cento) e gli ucraini (3,9 per cento).

La maggioranza dei rifugiati – il 60 per cento – si è insediatanelle aree urbane, mentre il restante 40 per cento si è sistemato nel-le campagne. La vergognosa propiska (permesso di soggiorno) rap-presenta ancora un problema con cui i rifugiati devono scontrarsinelle principali aree urbane. Mosca e San Pietroburgo sono di fattoinaccessibili: vi è in queste città un numero inferiore di rifugiatiogni 10.000 abitanti rispetto a qualsiasi altra zona in Russia, rispet-tivamente 17,2 e 13,3 contro 75,6 della media nazionale. La mag-gior parte dei capoluoghi di provincia limitano anch’essi il numerodi immigrati.

I rifugiati si sono sparpagliati per tutta la Russia, incluso il co-siddetto Estremo nord e l’Estremo Oriente. Evidentemente essi nonhanno molta scelta e sono disposti a sistemarsi persino in quelle zo-ne che gli autoctoni preferiscono abbandonare. Il grosso dei profu-ghi, tuttavia, si è insediato nelle zone sudoccidentali del paese e aiconfini con il Kazachstan6.

Gli aiuti governativi ai rifugiati sono estremamente limitati, so-prattutto se si pensa che la questione dei rifugiati in Russia e in altripaesi della Csi è riconosciuta a livello internazionale come uno deiproblemi più gravi della regione. Nel 1996, sotto gli auspici dell’Al-to Commissario dell’Onu per i rifugiati, si è tenuta a Ginevra unaconferenza dedicata ai profughi, agli individui espatriati contro la lo-ro volontà e ad altre forme di emigrazioni e rimpatri involontari neivari paesi della Csi. Nel corso di questa conferenza è stato adottatoun Programma di attività da realizzarsi prima dell’anno 2000 che

Migrazioni fra paesi della Csi e Russia

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6 G. S. Vitkovskaya, «Forced migration to Russia: the review of a decade», in Mi-gration situation in Cis countries, Moskva, Cis Research Center on Forced Migra-tion, 1999, pagg. 159-94.

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contiene direttive riguardanti le popolazioni che devono beneficiaredegli aiuti internazionali ai paesi della Csi per l’emigrazione forzata.

6. Particolarità delle regioni russe

Gli anni Novanta sono stati contraddistinti da mutamenti drasti-ci nella geografia delle migrazioni (tab. 5). Le regioni, caratterizza-te in precedenza da flussi di emigrazione a lungo termine, – il Vol-

¢anna ZajonØkovskaja

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Tabella 5. Russia: numero di rifugiati e di emigrati forzati, gennaio 1998

Paesi e regioni di origine Individui %

Russia 148.542 12,9Cecenia 138.201 12,0Inguscetia 482 0,04Ossetia settentrionale 6.971 0,6Altre regioni 2.888 0,3

Occidentali 30.227 2,6Bielorussia 432 0,04Moldova 22.510 2,0Ucraina 7.285 0,6

Transcaucaso 247.117 21,6Azerbajd§an 113.353 9,9Armenia 7.780 0,7Georgia 125.984 11,0

Asia Centrale 465.009 40,5Kyrgyzstan 80.368 7,0Tad§ikistan 206.144 18,0Turkmenistan 14.153 1,2Uzbekistan 164.344 14,3

Kazachstan 222.006 19,4Totale per la Csi 964.359 84,1

Stati baltici 33.405 2,9Lettonia 19.457 1,7Lituania 2.859 0,2Estonia 11.089 1,0

Origine non rivelata 1.048 0,1

Totale 1.147.354 100,0

Fonte: Æislennost’ I migracija naselenija Rossijskoj Federacii 1998 (Mosca: Goskomstat,

1999).

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go-Vjatka, il Æhernozem centrale e gli Urali (le prime due regionihanno iniziato a generare flussi migratori già nel XIX secolo e laterza a partire dagli anni Cinquanta) –, hanno cominciato ad esseresovrappopolate a causa dell’immigrazione. L’appetibilità del Cau-caso settentrionale è aumentata, particolarmente nei kraj di Kra-snodar e di Stavropol’, dove giungevano le popolazioni obbligatead abbandonare il Transcaucaso e la Cecenia. Della parte orientaledel paese soltanto la Siberia occidentale ha afflusso di immigrati,mentre la Siberia orientale e l’Estremo Oriente sono caratterizzateda intensi flussi di emigranti verso altre zone. La popolazione del-l’Estremo Oriente è in via di diminuzione per la prima volta dall’i-nizio della sua colonizzazione da parte dei russi. A partire dal1993, come era già avvenuto nel corso degli anni Ottanta, il Centroindustriale ha superato le altre macroregioni economiche per af-flusso di immigrati. Fra il 1994 e il 1995 l’afflusso di immigrazio-ne in questa regione ha superato la media degli anni Ottanta per unfattore di 1,5-2.

Per quanto riguarda le migrazioni interne, in Russia si è evidenzia-ta una netta spaccatura fra aree «riceventi» e aree «donatrici». La pres-sione migratoria più forte si è fatta sentire lungo la periferia sudocci-dentale della Russia europea, gli Urali meridionali ed il Centroindustriale. Nelle repubbliche del Caucaso settentrionale, al contrario,la popolazione è in calo a causa dell’emigrazione degli appartenentiall’etnia russa. Anche il nord e l’est sono interessati da un deflusso mi-gratorio considerevole. All’interno della Russia pertanto le migrazioniprincipali si verificano da nord e da est verso sudovest.

Negli anni, che vanno dal 1990 al 1998, il cosiddetto Estremonord della Russia (Krajnii Sever) e le zone ad esso comparabili (intermini di coefficiente di retribuzione e di condizioni climatichesfavorevoli) ha perso circa un milione di individui (più del 10 percento della popolazione totale). In alcune regioni remote la popola-zione diminuisce ad un ritmo eccezionalmente rapido. Nell’arco diquattro anni (1993-96), ad esempio, la penisola della Æhukotka haperso oltre un terzo della popolazione, l’oblast’ (regione) di Maga-dan un quarto, i circondari (okrugi) dei Korjaki-Evenki circa il 20per cento, la KamØatka il 16, Sachalin il 13, l’oblast’ di Murmanskil 3 e il Komi il 7. L’unica crescita in termini di popolazione si è ve-rificata nel corso di questi anni nei circondari degli Jamalo-Ne-

Migrazioni fra paesi della Csi e Russia

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neckij e dei Chanty-Mansi, sul cui territorio si trova una grossa fet-ta dell’industria del gas e del petrolio.

Queste perdite sono prevalentemente connesse alla relativa so-vrappopolazione del nord della Russia, messa particolarmente inevidenza dalla nuova economia di mercato. Il nord, infatti, ha sof-ferto il colpo più duro inferto dalla crisi economica. L’inefficienzadelle varie imprese locali è stata dolorosamente messa in luce dallenuove condizioni di mercato, la disoccupazione si è andata rapida-mente diffondendo, le forniture energetiche e alimentari ed i colle-gamenti dei trasporti si sono sfaldati e, in seguito al crollo del rublo,i cosiddetti picchi dei salari della regione ed i privilegi monetarihanno perso la loro importanza7.

Il nord della Russia è decisamente sovrappopolato. Prima dellaperestrojka la regione aveva una popolazione di dieci milioni di in-dividui, ben il 7 per cento dell’intera popolazione russa. Secondodiverse stime, il tasso di sovrappopolazione nella Russia settentrio-nale oscillava fra il 20 ed il 40 per cento8. È prevedibile pertantoche le trasformazioni del mercato continuino ad allontanare dalnord il surplus di popolazione.

Le migrazioni interne stanno ad indicare un movimento di popo-lazione verso le regioni centrali, tendenza questa che è andata au-mentando da quando ha avuto inizio la transizione verso l’economiadi mercato. Le mete delle migrazioni esterne sono diverse: tutte le re-gioni russe, con l’eccezione dell’estremo nordest e di Sachalin, han-no conosciuto un aumento di popolazione in seguito all’emigrazioneda altre repubbliche postsovietiche. Le preferenze in termini di regio-ni, tuttavia, sono anche in questo caso abbastanza esplicite: gli immi-grati prediligono le regioni lungo i confini occidentali e meridionalidella Russia, il centro industriale e la Siberia occidentale. Gli oblast’di Mosca e di Leningrado, tuttavia, si distinguono per l’afflusso rela-tivamente contenuto di immigrati dalle nazioni postsovietiche. Que-st’ultimo dato però non è sintomo di alcuna preferenza, dipende sem-plicemente dal fatto che a Mosca e a San Pietroburgo è difficile

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7 «Social and Demographic Development of Russian North», in Demography andSociology, n. 9, Moskva, Isepn, 1993.8 L. Rybakovski, Historical experience of population migration control in Russia,Moskva, Ispi Ras, 1994, pag. 50.

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ottenere un permesso di soggiorno. Di conseguenza, in entrambe lecittà il numero di immigrati non ufficialmente registrati è molto alto.

Dalle analisi dei modelli di distribuzione geografica dell’immi-grazione in Russia, non emergono connessioni significative fra im-migrazioni e fattori quali la produzione economica, il calo del redditoe la disoccupazione. In molti casi emerge di fatto una correlazionenegativa, ossia le zone che hanno subito forti ondate di immigrazionesono sovente quelle con la qualità di vita più bassa ed il tasso di di-soccupazione più alto. È riscontrabile, tuttavia, una certa correlazio-ne positiva fra immigrazione e sviluppo del settore privato dell’eco-nomia. Le aree sudoccidentali della Russia, in particolare quelle checonfinano con le ex repubbliche sovietiche, differiscono drammati-camente dal resto del paese a causa dell’alto livello raggiunto dal set-tore privato. La possibilità di ottenere salari più elevati e le maggioriopportunità per l’iniziativa privata e l’imprenditorialità sembrano at-trarre gli immigrati. Si potrebbe addirittura sostenere che nella situa-zione attuale, le varie direzioni prese dai flussi migratori rappresenta-no gli indicatori più accurati delle differenze socioeconomiche fra levarie regioni russe delle statistiche ufficiali9.

A causa delle enormi dimensioni delle regioni russe, le differen-ze esistenti fra le varie parti di una singola regione sono spesso piùevidenti di quelle fra regioni diverse. La situazione verrà analizzatain dettaglio nel paragrafo seguente, con particolare attenzione alCaucaso settentrionale, la più problematica e atipica fra le regionirusse con forte tasso di immigrazione.

7. Il Caucaso settentrionale nel contesto della Fr

Il Caucaso settentrionale è la più caleidoscopica fra le regionirusse in termini di eterogeneità dell’ambiente naturale, di livellodell’economia, di sviluppo urbano, di processi demografici e dimultietnicità della popolazione. Le aree maggiormente in contrastosono le zone di pianura, più sviluppate e popolate prevalentementeda russi e le zone montuose, popolate da etnie caucasiche. I proces-

Migrazioni fra paesi della Csi e Russia

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9 Per ulteriori informazioni, vedi ¢anna ZajonØkovskaja, Migration and LaborMarket in Russia, Moskva, Ief, 1995.

Page 276: La Russia e i Conflitti Nel Caucaso

si migratori che hanno luogo in queste due aree della regione sonoprofondamente diversi.

Il Caucaso settentrionale è una delle regioni più belle della Rus-sia e della Csi in generale. L’afflusso di popolazione, diretto in parti-colare verso le pianure dei kraj (territori) di Krasnodar e Stavropol’,era in passato assai cospicuo, mentre l’emigrazione si verificavaprincipalmente nelle zone montuose e nelle repubbliche autonome.

Nella figura 1 (pag. 227) è rappresentata la tendenza generaledella migrazione nel Caucaso settentrionale a partire dalla fine deglianni Ottanta. Come si può vedere, gli anni Novanta sono caratteriz-zati da un notevole aumento dell’immigrazione nella regione, dimi-nuita poi, in accordo con la tendenza generale in Russia, allo scop-pio della guerra fra quest’ultima e la Cecenia. Nei quattro anni, chevanno dal 1991 al 1994, è giunto nel Caucaso settentrionale più dimezzo milione di immigrati, mentre negli ultimi tre anni il numeroè sceso a meno di centomila. Nel corso degli anni Novanta l’afflus-so di immigrati è stato notevole sia per quanto riguarda le aree urba-ne che rurali, in contrasto con la tendenza che negli ultimi anni havisto diminuire la popolazione delle campagne.

Attualmente la situazione nella regione è estremamente instabi-le; i numerosi conflitti armati in atto rendono impossibile una regi-strazione sistematica di immigrati ed emigranti. Tutti questi fattorihanno inciso sulle tendenze migratorie e, in alcuni casi, le hanno re-se difficili da spiegare, in particolare per quanto riguarda le tenden-ze nella migrazione urbana e rurale.

Diamo un’occhiata alla tabella 6, dove sono esposte le tendenzedegli ultimi cinque anni nelle diverse aree della regione presa in esa-me. Dalla tabella risulta che le differenze principali intercorrono frazone pianeggianti e zone montuose. Un afflusso stabile di popolazio-ne è stato osservato soltanto nei kraj di Krasnodar e di Stavropol’ enell’oblast’ di Rostov. La tendenza, tuttavia, è in declino in tutte lezone. In Cecenia, la popolazione sta ovviamente diminuendo; secon-do i dati raccolti dal Comitato nazionale russo di statistica, le perditeammontano a 322.000 individui, ossia ad un terzo della popolazione.

Nelle altre repubbliche del Caucaso settentrionale lo scambiomigratorio è controbilanciato dal basso livello di migrazione netta.In certi anni l’equilibrio viene spezzato da flussi di rifugiati, comenel 1994, quando i profughi provenienti dalla Cecenia si sono river-

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sati prevalentemente sul Dagestan e sull’Inguscetia. L’Ossetia set-tentrionale-Alania accoglie invece rifugiati dall’Ossetia meridiona-le e dalla Georgia.

I dati esposti nella tabella 7 mettono in evidenza il forte richia-mo destato dai kraj di Krasnodar e di Stavropol’: il numero di im-

Migrazioni fra paesi della Csi e Russia

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Tabella 6. Caucaso settentrionale: migrazione netta 1994-98 (in migliaia)

Paesi della Fr 1994 1995 1996 1997 1998

Adighezia 3,1 1,8 1,2 2,3 1,3Cecenia -180,1 -47,2 -67,7 -21,8 -21,0Dagestan 80,3 0,4 5,2 -4,6 0,5Inguscetia 67,7 14,3 4,9 0,5 0,5Cabardino-Balcaria 0,7 -2,6 -1,5 -0,6 -1,3KaraØaevo-Æerkessija 0,4 -0,5 -0,6 -0,4 -0,6Ossetia settentrionale-Alania 7,4 4,1 3,0 -1,4 1,5Kraj di Krasnodar 91,6 66,2 53,2 33,1 21,7Kraj di Stavropol’ 41,4 24,3 16,0 17,8 15,6Oblast’ di Rostov 54,8 25,6 21,5 11,6 7,8Caucaso settentrionale 167,3 86,4 35,2 36,5 26,0

Fonte: Calcolata dall’autore in base alle pubblicazioni ufficiali del Goskomstat.

Tabella 7. Caucaso settentrionale: migrazione netta/10.000

Paesi della Fr 1996 1997 1998

Adighezia 27 51 29Cecenia -781 -272 -266Dagestan 25 -22 2Inguscetia 161 16 16Cabardino-Balcaria -19 -8 -16KaraØaevo-Æerkessija -14 -9 -14Ossetia settentrionale-Alania 45 -21 23Kraj di Krasnodar 105 66 43Kraj di Stavropol’ 60 67 58Oblast’ di Rostov 49 26 18Caucaso settentrionale 20 21 15Russia 23 24 19

Fonte: Ibid.

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Tabella 8. Caucaso settentrionale: componenti della migrazione netta,1998 (individui)

Regioni Csi Altri

Paesi della Fr della Russia* e Stati baltici paesi Totale

Adighezia 626 903 -42 1.487Cecenia - - - -Dagestan -1.433 2.349 -928 488Inguscetia 468 57 -8 517Cabardino-Balcaria -1.242 517 -566 -1.291KaraØaevo-Æerkessija -1.019 528 -82 -573Ossetia settentrionale-Alania -2.093 3.812 -196 1.523Kraj di Krasnodar 10.735 14.223 -3.039 21.919Kraj di Stavropol’ 9.231 7.874 -1.364 15.741Oblast’ di Rostov 850 8.654 -1.603 7.901Caucaso settentrionale 16.123 38.917 -7.328 47.712

* Eccettuata la migrazione all’interno del paese

Fonte: Ibid.

migrati ogni 10.000 abitanti è in queste zone due o tre volte più ele-vato della media generale in Russia.

Nella tabella 8 sono riportati gli scambi migratori fra il Caucasosettentrionale e diverse altre regioni. Nei kraj di Krasnodar e di Sta-vropol’ giungono immigrati dalla Russia e da altri paesi della Csimentre l’oblast’ di Rostov ospita prevalentemente immigrati daipaesi della Csi. Quasi tutte le repubbliche del Caucaso settentriona-le generano flussi di popolazione verso altre regioni della Russia edattraggono a loro volta gli emigrati da altri paesi della Csi. Le effet-tive perdite di popolazione nelle repubbliche delle aree montuosesono più elevate di quanto non emerga dai dati ufficiali, redatti inbase al numero di arrivi e di partenze ufficialmente registrati. Il nu-mero degli spostamenti effettivi è superiore alle cifre ufficiali, inquanto molti dei rifugiati in fuga dalle zone dove sono in atto con-flitti armati non fanno registrare la propria partenza. Nel 1998 sonostati registrati nel Caucaso settentrionale 57.600 immigrati da altrezone della regione e 36.600 emigrati, laddove il flusso di immigratiinterni dovrebbe essere pari a quello degli emigrati interni. Ciò si-gnifica che 21.000 emigrati interni, provenienti prevalentemente

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Migrazioni fra paesi della Csi e Russia

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Tabella 9. Caucaso settentrionale: migrazione netta dalla Csi e dagli Statibaltici, 1998

migliaia %

Paesi 1996 1997 1998 1996 1997 1998

Bielorussia 601 -157 -747 0,9 -0,3 -1,9Moldova 883 541 378 1,3 1,2 1,0Ucraina 15.281 10.365 7.579 22,5 22,8 19,6

Transcaucaso 29.626 17.169 15.725 43,6 38,0 40,4Armenia 5.418 3.887 3.597 8,0 8,6 9,4Azerbajd§an 8.123 5.150 4.013 12,0 11,4 10,2Georgia 16.085 8.132 8.115 23,6 18,0 20,8Asia centrale 11.133 7.165 5.986 16,4 15,8 15,3Kazachstan 9.513 9.547 9.675 14,0 21,1 24,8Stati baltici 877 635 321 1,3 1,4 0,8

Totale 67.914 45.265 38.917 100,0 100,0 100,0

Fonte: Ente federale russo per la migrazione.

dalle zone montuose, non hanno ufficializzato la propria partenza.Le perdite non registrate di popolazione possono essere valutatecome quattro volte superiori alle cifre registrate, per cui il numerototale di perdite delle zone montuose non ammonta a 4.700 indivi-dui, come si legge nella tabella 9, ma a 25.000. Di conseguenza, lecifre relative alla migrazione netta richiedono anch’esse alcunecorrezioni: nel 1998, a causa della migrazione, il Caucaso setten-trionale ha perduto circa 5.000 abitanti, cifra che corrisponde ai da-ti esposti nella tabella 10.

Sempre nel 1998, 78.959 individui provenienti da altre regionidella Russia sono immigrati nel Caucaso settentrionale e 83.813 lohanno abbandonato. Queste cifre sono quasi due volte inferiori alnormale livello di spostamenti da e verso questa regione. La mag-gior parte degli immigrati proviene dall’Estremo Oriente russo, dal-la Siberia orientale, dalla Russia settentrionale e, sebbene in misuraminore, dalla Siberia occidentale. L’emigrazione dal Caucaso set-tentrionale è diretta in ugual misura verso tutte le regioni russe, conl’eccezione di una quota consistente che interessa la Russia centra-le. Gli emigranti fuggono prevalentemente dalle repubbliche dellezone montuose, laddove la maggior parte degli immigrati è diretta

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verso le zone pianeggianti dei kraj di Krasnodar e di Stavropol’ edell’oblast’ di Rostov.

Sebbene non vi siano dati relativi alla direzione dei flussi migra-tori per ciascuna delle repubbliche del Caucaso settentrionale, èevidente che i flussi più cospicui si spostano all’interno della regio-ne, da una repubblica all’altra e da un kraj all’altro, e riguardanosia le popolazioni russe sia quelle caucasiche. A differenza delle re-pubbliche caucasiche, che sono etnicamente differenziate e tendo-no ad assorbire in prevalenza gli immigrati appartenenti alle «pro-prie» etnie in arrivo dai paesi della Csi, i kraj abitati per la maggiorparte da popolazioni di origine russa attraggono diversi gruppi etni-ci che si aggiungono alle comunità già residenti o ne formano dinuove. Questi processi verranno con ogni probabilità analizzati nel-la relazione sul kraj di Stavropol’. Nella tabella 8 sono riportatiesclusivamente i dati relativi al 1998, benché la tendenza che neemerge possa essere considerata tipica degli anni Novanta in gene-rale. Il modello generale è inficiato soltanto dai dati sui flussi mi-gratori interni.

Nel Caucaso settentrionale giungono immigrati provenienti da

Tabella 10. Caucaso settentrionale: migrazioni in relazione alle regionidella Russia, 1998 (individui)

Regioni economiche Arrivi Partenze Migrazione netta

Nord 5.969 3.397 2.572Nordovest 3.212 5.457 -2.245Centro 10.210 22.415 -12.205Volgo-Vjatka 1.880 2.780 -900Æhernozem centrale 4.412 6.346 -1.934Volga 13.987 16.258 -2.271Urali 6.699 6.942 -243Siberia occidentale 12.320 11.399 921Siberia orientale 6.768 3.426 3.342Estremo Oriente 12.984 4.442 8.542Oblast’ di Kaliningrad 518 951 -433

Totale per la Russia 78.959 83.813 -4.854

Fonte: Calcolata dall’autore in base alle pubblicazioni ufficiali del Goskomstat.

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tutti i paesi della Csi, ma in particolare, come è naturale, da quelliconfinanti. Quasi un immigrato su quattro viene dalla Georgia, unosu cinque dall’Armenia, dall’Azerbajd§an o dall’Ucraina e uno susei dall’Asia Centrale. Negli ultimi anni è aumentata la percentualedi immigrati provenienti dal Kazachstan (fino a raggiungere il 25per cento nel 1998 – cfr. tab. 9) e dalla Russia in generale.

La percentuale di immigrati provenienti dai diversi paesi dellaCsi varia per ciascuna delle repubbliche del Caucaso settentrionale,a seconda della rispettiva vicinanza e dei modelli migratori del pas-sato, alcuni dei quali sono l’esatto opposto di quelli attuali. È questoil caso di alcuni gruppi etnici originari delle aree montuose che nelcorso degli anni Settanta e Ottanta emigrarono in gran numero ver-so l’Asia Centrale ed il Kazachstan e che adesso stanno ritornandoin massa nel Caucaso settentrionale. Gli immigrati dall’Asia Cen-trale e dal Kazachstan rappresentano il 40-60 per cento degli immi-grati da tutti i paesi della Csi verso il Dagestan e la Cabardino-Bal-caria e quasi il 100 per cento degli immigrati in Inguscetia. Gliimmigrati provenienti dal Transcaucaso si insediano in tutte le re-gioni del Caucaso settentrionale, con l’eccezione dell’Inguscetia,ma la maggior parte giunge nel kraj di Stavropol’. La percentuale diemigrati dall’Ucraina è elevata nel kraj di Krasnodar ed ancora piùalta nell’oblast’ di Rostov.

Il Caucaso settentrionale accoglie un immigrato su cinque fracoloro che giungono in Russia con lo status di rifugiati o di espa-triati. Vi sono 136 emigrati forzati ogni 10.000 abitanti, cifra duevolte superiore alla media nazionale per la Russia (75 ogni 10.000).La medesima cifra per l’Inguscetia supera di quindici volte la mediarussa. Gli emigrati forzati rappresentano l’11 per cento della popo-lazione dell’Inguscetia ed il 60 per cento di quella dell’Ossetia set-tentrionale. La percentuale di emigrati forzati è assai alta anche nelkraj di Stavropol’ (238 ogni 10.000 abitanti). Le cifre relative alkraj di Krasnodar e all’oblast’ di Rostov superano anch’esse la me-dia russa, sebbene non di molto (cfr. tab. 11).

A differenza degli altri territori russi, gli emigrati forzati nelCaucaso settentrionale provengono da aree situate all’interno deiconfini russi, in altre parole, da quella che è l’unica regione russa aprodurre emigrati forzati. Essi rappresentano più della metà delflusso di immigrazione nel Caucaso settentrionale, i due terzi del-

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Tabella 11. Caucaso settentrionale: rifugiati ed emigrati forzati (relativa-mente all’inizio del 1999)

Paesi e regioni di partenza, %

Ogni Trans- AsiaPaesi della Fr Individui 10.000 Russia caucaso Centrale Altri Totale

Adighezia 1.284 29 34,7 26,2 30,4 8,7 100Cecenia - - - - - - -Dagestan 8.076 38 58,9 14,4 26,3 0,4 100Inguscetia 34.983 1.104 100,0 - - - 100Cabardino-Balkarija- 1.133 14 60,5 10,8 24,8 3,9 100KaraØaevo-Æerkessija 4.737 109 46,0 19,2 31,8 3,0 100Ossetia setten-trionale-Alania 38.290 578 12,2 78,6 9,0 0,2 100Kraj di Krasnodar 48.412 97 40,6 23,4 33,7 2,3 100Kraj di Stavropol’ 63.385 238 67,3 19,1 13,2 0,4 100Oblast’ di Rostov 38.338 88 32,5 28,7 36,2 2,6 100Caucaso settentrionale 238.638 136 51,3 28,0 19,4 1,3 100Russia 1.106.664 76 15,6 15,9 63,3 5,2 100

Fonte: Ibid.

l’afflusso nel kraj di Stavropol’, il 60 per cento di quello nella Ca-bardino-Balcaria e nel Dagestan. Quasi un terzo di questi rifugiatiproviene dal Transcaucaso.

Per quanto riguarda gli emigrati forzati, è forse riscontrabile uncerto richiamo esercitato dal Caucaso settentrionale su alcuni grup-pi etnici caucasici: un rifugiato su tre in arrivo dall’Armenia, uno suquattro in arrivo dalla Georgia ed il 16 per cento di quelli prove-nienti dall’Azerbajd§an si è insediato qui. La maggior parte degliarmeni, dei georgiani e degli azerbajd§ani ha raggiunto i kraj di Sta-vropol’ e di Krasnodar e l’oblast’ di Rostov. Quasi tutti gli osseti infuga dalla Georgia si sono insediati nell’Ossetia settentrionale. Lagrande maggioranza degli abchazi (72 per cento) è giunta anch’essanel Caucaso settentrionale, in particolare nella KaraØaevo-Æerkes-sija e nel kraj di Stavropol’. Queste regioni hanno attratto il 20 percento dei ceceni ed il 40 per cento degli ingusci, mentre un altro 40per cento di questi ultimi si è diretto verso l’Inguscetia. Per quantoriguarda i profughi russi, la cifra complessiva di rifugiati nel Cauca-so settentrionale è costituita da circa il 40 per cento di profughi dal-

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la Georgia, il 25 per cento dall’Armenia e dall’Azerbajd§an ed il 66per cento dalla Cecenia.

Gli ultimi anni hanno rappresentato un periodo molto agitatoper il Caucaso settentrionale: conflitti armati che periodicamentescoppiano in Cecenia e nel territorio recentemente ampliato del Da-gestan, flussi interni di emigranti, separatismo etnico e popolazionidelle montagne rendono la situazione nella regione assai tesa e con-tribuiscono all’ulteriore diffondersi della «migrantofobia». Le au-torità dei kraj di Krasnodar e di Stavropol’, le zone con il massimoafflusso di immigrati, spesso violano i diritti costituzionali di questiultimi, limitando il rilascio di permessi di soggiorno. In realtà, leeffettive dimensioni dei fenomeni migratori analizzati nel corso de-gli ultimi anni sono modeste e relativamente piccole per la regione.Il problema maggiore è dato dalla composizione etnica e dalle pre-carie condizioni finanziarie dei rifugiati che chiedono assistenza,non dalle dimensioni delle ondate migratorie10. Inoltre, l’afflusso diimmigrati dalle zone montuose è accompagnato dalla migrazionedi georgiani, armeni, azerbajd§ani, abchazi e osseti provenienti dalTranscaucaso e dalla migrazione parallela di russi dalle altre repub-bliche. Tutti questi processi riguardano principalmente i kraj diKrasnodar e di Stavropol’. Il modello di migrazione descritto soprasi è sviluppato nel corso degli anni Settanta ed è tipico di questa re-gione, caratterizzata da zone montuose sovrappopolate, da un altotasso di crescita demografica e da mancanza di impiego. Nell’attua-le situazione di depressione economica, con un alto tasso di disoc-cupazione e forti pressioni etniche sui russi, la difficile situazionein cui si trovano in prevalenza gli immigrati, contraddistinta dacondizioni finanziarie assai precarie, condizionerà certamente que-sto modello di migrazione. La composizione multietnica, che è sta-ta rilevata in quei territori del Caucaso settentrionale popolati pre-valentemente da russi, infatti, dà garanzie di futura stabilità, inquanto crea ulteriori opportunità di ristabilire una normale collabo-razione fra queste zone e le aree montuose, anche se in queste ulti-me la percentuale di russi si sta riducendo. La monoetnicità, al con-trario, potrebbe condurre al rafforzamento delle opposizioni, al

10 Forced Migrants at North Caucasus, a cura V. Mukomel ed E. Pain., Moskva,Center of Ethnic Policy and Regional Studies, 1997.

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nazionalismo e, di conseguenza, all’esasperazione di una situazio-ne già di per sé difficile.

Per concludere, vorrei dire alcune parole sulle prospettive futuredell’afflusso di popolazioni nel Caucaso settentrionale. Nelle attualicondizioni di tensione sociale, è improbabile che tale afflusso conti-nui ad aumentare, mentre potrebbe riprendere ad intensificarsi nelmomento in cui la situazione generale della Russia cominciasse amigliorare. Il Caucaso settentrionale gode di alta considerazione frala popolazione russa, in quanto, in seguito alla separazione dell’U-craina, è rimasto l’unico luogo sul territorio russo caratterizzato daun clima caldo.

8. Politiche di immigrazione

Le politiche di immigrazione russe non si sono ancora adeguatealle nuove realtà. Non soltanto contengono ancora vestigia del vec-chio sistema sovietico, ma dal comportamento dei burocrati emergeun desiderio represso di restaurare un clima di stampo sovietico. Viè dunque un’evidente contraddizione fra i principi democratici pro-clamati dal sistema giuridico russo e l’effettiva pratica di controllodell’immigrazione. Questa riguarda più direttamente il diritto di li-bertà di movimento sancito dalla Costituzione. Benché i propiska(permessi di soggiorno) siano stati ufficialmente dichiarati illegali,gli spostamenti sono vincolati, oggi come allora, da rigide procedu-re di registrazione. Come in passato, gli immigrati (sia esterni cheinterni) sono alla mercè delle autorità11.

Il problema dell’immigrazione illegale è in larga misura connes-so a quello stesso pervicace sistema dei propiska. Se, da un lato, lapolitica russa delle porte aperte non è un artificio – le porte russepotrebbero, di fatto, essere anche troppo aperte – dall’altro, è moltopiù facile entrare in Russia di quanto non lo sia legalizzare la pro-pria posizione tramite un permesso di soggiorno anche solo tempo-raneo. La ricerca di una soluzione per il problema dell’immigrazio-ne illegale ha imboccato la strada dell’irrigidimento dei controlli e

11 Forced migrants and State, a cura Valerij A. Ti¡kov, Institute of Ethnology andAnthropology, Moskva, Ras, 1998.

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della restrizione dei requisiti necessari per il riconoscimento dellostatus di rifugiato. Non è, tuttavia, stato ancora intrapreso un qual-che passo per creare procedure giuridiche equilibrate, senza le qualiil controllo dell’immigrazione non può essere efficace.

Per quanto riguarda gli immigrati, il governo e la legislatura rus-sa rivolgono i principali sforzi alla soluzione dei problemi connessialla sistemazione dei rifugiati. Molto è stato fatto in questo ambito:sono state emanate disposizioni giuridiche, è stata organizzataun’infrastruttura e sono già in atto negoziati con i paesi della Csi edel Baltico. Appare, tuttavia, evidente che, finché la crisi economi-ca in Russia non sarà risolta, la capacità del paese di assistere gliimmigrati sarà decisamente limitata.

Vi sono, inoltre, diverse contraddizioni fra le leggi federali equelle regionali sull’immigrazione, nonché fra l’attuale politica diimmigrazione russa e quelli che possono essere considerati i prere-quisiti di un politica futura. Nonostante tali contraddizioni, l’attualepolitica relativa all’immigrazione non dovrebbe minare la capacitàda parte del paese di raggiungere obiettivi utili in futuro. È negli in-teressi della Russia mantenere un clima sociale favorevole agli im-migrati: un’economia di mercato richiede libertà di movimento pergarantire la disponibilità di forza lavoro.

La Russia si trova ad una svolta nello sviluppo demografico chegli altri paesi economicamente più avanzati hanno già superato. Ilperiodo in cui la crescita naturale della popolazione era alta e l’emi-grazione verso altri paesi significativa è ormai concluso. In futurol’unica fonte di crescita della popolazione potrebbe essere data dal-l’immigrazione, situazione questa che rappresenterà una difficilesfida per la Russia del XXI secolo.

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L’industria energetica è senza dubbio uno dei settori dell’economiapiù strettamente legati alla politica interna ed estera. I problemi con-nessi con lo sviluppo delle risorse energetiche, la commercializzazio-ne dell’energia, la concorrenza sul mercato interno e internazionale, lefluttuazioni dei prezzi e la sicurezza dal punto di vista energetico rive-stono un’estrema importanza in ogni paese del mondo. Nell’arena in-ternazionale, infatti, il peso economico e politico di un paese dipendefortemente dalla posizione che esso occupa nel mercato energeticoglobale, dalla sua maggiore o minore capacità di esercitare una qual-che azione sul livello dei prezzi e di influire sui diversi settori dell’eco-nomia energetica, al fine di assicurarsi i necessari approvvigionamentidi energia e sfruttare efficacemente le opportunità di esportazione.

Lo stretto legame tra l’industria energetica e la politica è partico-larmente evidente in Russia, dove più della metà dei profitti ricavatidalle esportazioni deriva da vendite di energia. La solvibilità finan-ziaria della Russia e la sua forza di attrazione per gli investimentistranieri dipendono pertanto strettamente dalle sue risorse energeti-che. Il ruolo della Russia come paese esportatore di gas naturale epetrolio ne determina il profilo nella divisione internazionale del la-voro, il peso geopolitico e geoeconomico e le future potenzialità nelsistema delle relazioni internazionali.

1. Le nuove condizioni del complesso energetico della Russia

Nel corso delle trasformazioni del mercato, dell’apertura dell’e-conomia e dei cambiamenti geopolitici avvenuti negli ultimi anni, il

Le risorse energetiche e lo scenario geopoliticonelle regioni di confine della RussiaLeonid Vardomskij

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Complesso energia e combustibili (Tek) della Russia1 ha subìto nu-merose battute d’arresto. Dopo la disintegrazione dell’Unione So-vietica, infatti, i diversi anelli che formavano il complesso energeti-co integrato dell’Urss sono rimasti dislocati in differenti paesipostsovietici. Le nuove frontiere attraversano ormai i sistemi inte-grati di gasdotti e oleodotti e le linee di trasmissione dell’elettricità,interrompendo così i collegamenti tecnologici esistenti tra le varieaziende che facevano parte del complesso energetico in epoca so-vietica. Per quanto riguarda l’approvvigionamento di energia peruso interno, la capacità di esportazione e l’abilità nel disporre diforniture energetiche alternative, i paesi postsovietici si sono trovatiin situazioni tra loro molto diverse.

Uno dei problemi chiave che lo sviluppo del complesso energeti-co russo deve affrontare è rappresentato dalla bassa solvibilità, cioèdalla massiccia quota di mancati pagamenti da parte dei consumatoridi energia elettrica all’interno del paese. Benché i prezzi e le tariffedell’erogazione di energia per il consumo interno rappresentino appe-na il 30-40 per cento dei costi medi a livello mondiale, la metà del-l’intero indebitamento interaziendale della Russia è costituito da arre-trati dovuti al complesso energetico (Tek). L’incremento dei prezzi dicombustibili ed energia e il loro aggiornamento in base alle tariffe delmercato mondiale spingono l’intera economia nazionale in una regio-ne di mancati profitti. Una parte notevole dei pagamenti connessi alleforniture di energia viene infatti effettuata nella forma semi-moneta-ria del veksel’ (dichiarazione di credito commerciale) o a mezzo con-troforniture di beni di consumo e reciproci annullamenti del debito.Nel caso delle forniture di gas per il consumo interno, ad esempio, ipagamenti in contanti non superano il 20 per cento. I limitati redditifamiliari e l’alto tasso di disoccupazione si ripercuotono sull’applica-zione delle tariffe energetiche che, a loro volta, influiscono sulla si-tuazione sociopolitica del paese e delle sue diverse regioni.

Poiché sul mercato interno dell’energia lo stato mantiene prezzimolto bassi, per le aziende che la producono è diventato di vitale

Leonid Vardomskij

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1 In questo lavoro analizziamo soltanto quegli elementi del complesso energetico(Tek) delle zone di confine che sono connessi al commercio estero e rivestono unaparticolare importanza per la stabilità politica ed economica sia delle singole regio-ni sia del paese nel suo complesso.

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importanza espandere le loro esportazioni in paesi stranieri che sia-no in grado di pagare le forniture a prezzi più alti. La quota delleesportazioni di petrolio verso questi paesi è aumentata del 30 percento rispetto alla produzione totale del 1994 fino a raggiungere il39 per cento nel 1998, mentre la quota esportata verso i paesi di bas-sa solvibilità che fanno parte della Comunità di stati indipendenti(Csi) è calata dal 10,4 al 6,3 per cento. Nello stesso periodo, l’espor-tazione di gas naturale verso paesi stranieri è aumentata dal 18 al21,2 per cento mentre quella verso i paesi della Csi è rimasta prati-camente immutata, rispettivamente 12,3 e 12,8 per cento. In genera-le, la quota delle esportazioni del petrolio è aumentata dal 40,4 al45,3 per cento e quella di gas naturale dal 30,3 al 34 per cento2.

L’espansione delle esportazioni è tuttavia impedita da un grannumero di ostacoli, uno dei quali è l’estesa barriera al transito delprodotto esportato rappresentata dalla presenza dei nuovi stati post-sovietici. La spesa totale sostenuta dalla Russia al fine di superarequesta barriera alle esportazioni di petrolio viene stimata intorno aidue miliardi di dollari3. Per ridurre questa dipendenza dai paesi incui devono transitare le forniture e per reagire al diktat del monopo-lio dei prezzi da parte dei proprietari degli oleodotti e dei terminalicon cisterne petrolifere, devono essere realizzati differenti sistemisia di trasporto sia di fornitura. Il problema del transito è reso inol-tre ancora più grave dal fatto che le forniture ai paesi dell’Europacentrale e occidentale passano principalmente attraverso i territoridi Ucraina, Bielorussia e Moldavia, che sono tutti paesi fortementeindebitati con la Russia proprio per il mancato pagamento di ap-provvigionamenti energetici.

Un altro fattore che influenza le esportazioni russe è rappresen-tato dalla crescente concorrenza sul mercato petrolifero da parte diKazachstan, Azerbajd§an e Turkmenija, tutti paesi che hanno potu-to aumentare la loro produzione di petrolio in tempi rapidi4 grazie ai

Le risorse energetiche e lo scenario geopolitico

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2 Stime basate sui dati forniti dall’annuario di statistica Rossija v cifrach [La Rus-sia in cifre], 1999, Comitato statale per gli studi statistici della Fr.3 Kommersant, 14 maggio 1999, pag. 7.4 Attualmente (aprile 1999) gli stati della Csi, esclusa la Russia, esportano circa 2miliardi di tonnellate al mese, mentre la Russia supera i 9 milioni di tonnellate,Kommersant, 7 settembre 1999, pag. 11.

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massicci capitali stranieri che hanno saputo attirare, senza contarela concorrenza da parte del Turkmenistan sul mercato del gas natu-rale. Le potenziali riserve della piattaforma continentale del MarCaspio sono stimate dal Dipartimento per l’informazione energeticadegli Stati Uniti intorno ai 24-26 miliardi di tonnellate, mentre ilMinistero delle risorse energetiche della Fr ha stimato intorno ai 10-15 miliardi di tonnellate le possibili riserve di petrolio e di conden-sato di gas5. La regione del Caspio è pertanto entrata nella sfera diinteresse di molti paesi che cercano di stabilire una qualche formadi controllo sulle sue risorse di idrocarburi.

L’ingresso di Azerbajd§an, Kazachstan, Turkmenija e Uzbeki-stan sul mercato mondiale dei combustibili è tuttavia rallentato dal-la mancanza dei necessari oleodotti. Per poter esportare verso altripaesi, infatti, gli stati centroasiatici e l’Azerbajd§an dovrebbero uti-lizzare la rete di tubazioni ereditata dall’Urss, sia per il petrolio siaper il gas, il che presuppone il transito attraverso la Russia. I varitentativi effettuati per incrementare le esportazioni si scontrano per-tanto con i limiti di portata degli oleodotti russi oppure con le resi-stenze opposte dalle compagnie russe che cercano di limitare laconcorrenza di questi paesi sul mercato mondiale6. È pertanto di vi-tale importanza per i paesi postsovietici costruire oleodotti alterna-tivi in grado di «by-passare» il territorio russo.

Il primo passo verso la creazione di linee alternative di approv-vigionamento è stata la costruzione di un gasdotto di 200 km dallaTurkmenija all’Iran. Nella primavera del 1999, inoltre, è entrato infunzione l’oleodotto che unisce Baku a Supsa, in Georgia, con unaportata di 5 milioni di tonnellate di petrolio all’anno. In Ucraina so-no stati costruiti l’oleodotto Odessa-Brody e il terminale con cister-ne petrolifere di Odessa. Questi investimenti costituiscono i princi-pali elementi di un corridoio di trasporto e transito eurasiatico che èattualmente in fase di realizzazione da parte di un certo numero dipaesi postsovietici e il cui scopo sarebbe quello di unire tra loro ipaesi dell’Asia Centrale e dell’Europa scavalcando, come si è detto,il territorio della Russia.

Leonid Vardomskij

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5 Ekspert, 18, 1999, pag. 20.6 S. Kolchin, «Neft’ i gaz Kaspija: strategiØeskie interesy Rossii» [Petrolio e gasdel Caspio: interessi strategici della Russai], in IE&IR, 3, 1998.

Page 291: La Russia e i Conflitti Nel Caucaso

L’incremento delle esportazioni di petrolio da parte della Russiaè invece ostacolato dal continuo declino della produzione petrolife-ra: 399 milioni di tonnellate nel 1992, 354 nel 1993, 318 nel 1994,307 nel 1995, 301 nel 1996, 306 nel 1997 e 303 nel 1998. Tale si-tuazione è connessa sostanzialmente alla mancanza di adeguati in-vestimenti. I ritardi nei sondaggi geologici e nell’apertura di nuovipozzi di petrolio, oltre a una minore produzione dei pozzi già esi-stenti, hanno avuto come risultato una riduzione del numero com-plessivo degli impianti estrattivi funzionanti, passando da 113.000nel 1994 a 99.000 nel 1998.

Le riserve della Siberia occidentale si stanno ormai esaurendo elo sviluppo di nuovi campi petroliferi, lungo la linea che va dai gia-cimenti dell’isola di Sachalin fino a quelli del complesso petroliferoTiman-PeØora, è appena iniziato. In ogni caso, l’aumento della pro-duzione nelle nuove regioni, previsto tra il 2002 e il 2005, non com-penserà pienamente la diminuita produzione della Siberia occiden-tale. Nel corso di questi ultimi anni, gli insufficienti investimenti dicapitale nell’industria petrolifera, registrati tra il 1992 e il 1998, po-trebbero portare a un declino della produzione fino a 250-60 milionidi tonnellate, la qual cosa richiederà delle importazioni al fine di fa-re fronte alla domanda interna di petrolio7. Dobbiamo altresì notareche in Russia il costo primo dei rilevamenti geologici e della produ-zione petrolifera è, in media, di circa 14 dollari per barile, in con-fronto ai 2 dollari per barile nel Golfo Persico, 7 dollari in Nigeria eVenezuela, 10 dollari in Messico e 11 negli Stati Uniti8.

Un ulteriore aumento della quota russa sul mercato europeo delgas incontra tra l’altro non poche resistenze da parte dei paesi con-sumatori, che vedono in tale incremento un pericolo per la loro si-curezza energetica. I consumatori tradizionali di gas russo stannopertanto cercando di diversificare le fonti di approvvigionamento,includendo nelle loro forniture il gas turkmeno e quello norvegese.Per la Russia è diventato quindi di vitale importanza poter sviluppa-re i giacimenti di gas della Siberia orientale e della Jakutia allo sco-po di poter garantire forniture su larga scala anche ai paesi dell’Asianordorientale.

Le risorse energetiche e lo scenario geopolitico

259

7 Kommersant, 16 febbraio 1999, pag. 7.8 Ekspert, 10, 1999, pag. 17.

Page 292: La Russia e i Conflitti Nel Caucaso

Al contrario, appare molto promettente un’espansione delleesportazioni di energia elettrica, proveniente da diverse zone diconfine e regioni limitrofe, in quanto la sovrapproduzione di ener-gia elettrica, che si è andata creando come risultato della ridotta atti-vità produttiva nell’industria e della limitata solvibilità dei consu-matori russi, è stimata intorno al 30 per cento9.

Data la mancanza di investimenti nazionali nel settore, la Russiaè stata costretta ad aprire il proprio complesso energetico (Tek) agliinvestitori esteri. Poiché il settore energetico rappresenta la partedell’economia nazionale più redditizia e globalmente più importan-te, esso si è presto trasformato nel campo di battaglia tra diversi in-teressi commerciali. Questi conflitti si sono rivelati in varie occa-sioni tutt’altro che piccole scaramucce e alla loro base non sonomancati pretesti politici di vario genere. La lotta per il controllodelle risorse energetiche, dei prezzi e delle tariffe interne, per il di-ritto all’esportazione e ai mezzi per realizzarla, nonché per il con-trollo dei flussi finanziari derivanti dalla vendita di energia sui mer-cati interni ed esteri, è diventata un fattore predominante e centralenello scenario politico della vita russa moderna nonché un elemen-to determinante nelle relazioni con l’estero. Questa situazione si ri-flette altresì in una maggiore influenza che i fattori politici internied esterni possono esercitare sullo sviluppo complessivo dell’indu-stria energetica russa.

Le zone di confine della Russia rivestono una particolare impor-tanza nel contesto dei rapporti tra politica e industria energetica eappaiono come un solido ponte che la Russia utilizza con sempremaggiore frequenza nella cooperazione energetica con gli altri pae-si. Allo stesso tempo, alcune zone di confine, ancora in via di svi-luppo, devono risolvere notevoli problemi connessi ai loro stessirifornimenti energetici, alle conseguenze negative che derivano dal-la concorrenza tra la Russia e i paesi limitrofi, nonché alla distruzio-ne dei collegamenti tecnologici che erano stati creati nel periodo so-vietico. Questi fattori hanno un’influenza enorme sulle prospettivedi un positivo sviluppo sociale ed economico e anche sulla stabilitàeconomica e politica della Russia nel suo complesso.

Leonid Vardomskij

260

9 Negli anni delle riforme la produzione di energia elettrica della Russia è scesa da1009 miliardi kwh nel 1992 a 826 miliardi kwh nel 1998.

Page 293: La Russia e i Conflitti Nel Caucaso

2. Caratteristiche sociali, economiche e geopolitiche delle zonedi confine della Fr

La lunghezza totale dei confini della Russia è di 60.933 km, dicui 38.807 km corrono lungo la fascia costiera. Su un totale di 89«soggetti» (repubbliche, regioni, tutori, circondari) che fanno partedella Fr, ben 48 hanno almeno un confine internazionale sia di ma-re che di terra o di fiume. Questi confini formali definiscono lefrontiere dei «soggetti» di confine della Fr. In 21 casi i confini in-ternazionali seguono le vecchie frontiere ereditate dal periodo so-vietico. In altre 21 repubbliche i confini sono nuovi, cioè sono di-ventati confini internazionali dopo la disgregazione dell’UnioneSovietica. I confini internazionali delle regioni di Astrachan’, Kali-ningrad e Leningrado10, del territorio di Krasnodar e delle repubbli-che del Dagestan e dell’Altaj rappresentano un misto di frontierevecchie e nuove.

Il più lungo perimetro costiero corre lungo il Mare Artico(19.700 km), con una navigazione internazionale pressoché insi-gnificante. Le aree della Fr che occupano questi territori polaripossono pertanto essere considerate solo in parte regioni di confi-ne vere e proprie. Muovendo verso est, dalla repubblica di Careliafino alla repubblica dell’Altaj, la densità demografica delle zone diconfine è considerevolmente più bassa della media russa, 8,6 perkm2. L’unica piccola eccezione in quest’area enorme che si esten-de lungo diverse zone di confine è costituita dal territorio di Pri-morskij che si affaccia sull’Oceano Pacifico.

La più alta densità demografica nelle zone di confine della Fr –con un dato superiore a 50 unità per km2 – si registra nel territorio diKrasnodar, nelle regioni di Kaliningrad e Belgorod e nelle repubbli-che dell’Ossetia settentrionale e della Cabardino-Balkarija.

Le risorse energetiche e lo scenario geopolitico

261

10 La città di Leningrado è divenuta San Pietroburgo. Non la regione di Leningra-do, che è restata tale [N. d. C.].

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Sono state evidenziate in neretto le regioni e le repubbliche dellaFr in cui sono dislocati i centri di produzione di petrolio e di gas na-turale, le maggiori raffinerie nonché le principali fonti di produzio-ne di energia elettrica e in cui sono disponibili le infrastrutture ne-cessarie all’esportazione.

Nella maggior parte delle zone di confine della Fr (ben 39 su 48)il Pil pro capite è più basso di quello medio russo. Soltanto in 6 diqueste regioni il rapporto tra il reddito familiare e il minimo di sus-sistenza è più alto della media nazionale. Su una scala più vastaquesti indicatori mostrano, da un lato, che l’economia nazionale èconcentrata nelle zone più interne del paese, – dove per altro si tro-va anche una larga porzione delle sue risorse, – mentre, dall’altrolato, evidenziano il fatto che la maggioranza delle regioni di confinerisulta povera e afflitta da problemi sociali di una certa gravità.

Tra queste regioni di confine vi è il Circondario autonomo Jama-lo-Neneckij, in cui viene prodotto il 90 per cento di tutto il gas natu-rale russo: esso ha il Pil pro capite più alto (al cambio medio annua-le del 1999, pari a 5,785 rubli per 1 dollaro, ciò significa un totale di19.008 dollari pro capite). Il secondo posto è occupato dalla regionedi Tjumen’ (che comprende i Circondari autonomi Jamalo-Ne-neckij e Hanty-Mansi), con 7200 dollari pro capite. In altre zone diconfine, in cui vengono estratti petrolio e gas e dove vengono raffi-nati idrocarburi grezzi (la regione di Sachalin, il territorio di Chaba-rovsk, le regioni di Omsk, Saratov, Volgograd e Astrachan’, la re-pubblica del Dagestan, il territorio di Krasnodar e le regioni diLeningrado e Kaliningrad11), questo indicatore è considerevolmentepiù basso e varia da 760 dollari pro capite in Dagestan a 3700 dolla-ri nella regione di Sachalin.

Il potenziale energetico dei membri della Fr, inteso come capa-cità estrattiva di petrolio e gas naturale e presenza di industrie per laraffinazione, è generalmente concentrato nell’emisfero occidentale,vale a dire in una zona che va all’incirca dal Circondario autonomoJamalo-Neneckij alla regione di Omsk. Nell’emisfero orientale ilpotenziale energetico è rappresentato dagli impianti di estrazione

Le risorse energetiche e lo scenario geopolitico

267

11 Sono esclusi il Circondario autonomo Tajmyrskij e la repubblica Sacha (Jakutia)in quanto la loro produzione di gas naturale risulta bassa e volta soltanto all’uso in-terno.

Page 300: La Russia e i Conflitti Nel Caucaso

petrolifera sull’isola di Sachalin, dalle raffinerie del territorio diChabarovsk e dal complesso di terminali con cisterne petroliferenella regione di Nachodka (territorio del Primorskij).

Le regioni che esportano energia elettrica presentano invece unaconfigurazione geografica leggermente diversa, estendendosi dallaregione di Murmansk fino all’Ossetia settentrionale procedendo daovest verso est lungo un asse nordsud, con un vuoto che va dalla re-gione di Volgograd a quella di Amursk.

Storicamente, i paesi circonvicini della Russia hanno sempreavuto un importante ruolo economico e politico. Essi differisconomarcatamente per portata e struttura delle loro economie, per livellidi sviluppo e caratteristiche culturali. Dobbiamo tuttavia sottolinea-re che la Russia, – pur trattandosi di un paese relativamente povero,il cui Pil pro capite ammonta a 3000 dollari e rappresenta da un set-timo a un decimo il livello raggiunto dalle nazioni più sviluppate, –condivide gran parte dei propri confini con paesi ancora più poveri.Rispetto alla lunghezza complessiva dei confini che corrono lungostrisce di territorio, fiumi e laghi, ben 22.125 km di frontiere sonocondivisi con altri paesi nel modo seguente:

%

Finlandia e Norvegia 6,6Paesi baltici e Polonia 4,8Nazioni della Csi 53,7tra cui:

Ucraina e Bielorussia 15,7Kazachstan 34,4Georgia e Azerbajd§an 5,6Cina, Mongolia e Corea del Nord 34,9

Nella maggior parte degli stati confinanti con il territorio dellaRussia rientrano quindi nazioni tra le meno sviluppate.

Tutti i paesi più vicini alla Russia, fatta eccezione per la Norvegiae l’Azerbajd§an, risultano consumatori delle sue risorse energetiche.Nell’intero perimetro dei confini russi soltanto le regioni di Orenburg,Saratov, Volgograd e Astrachan’, la repubblica del Dagestan e quellaCalmucca hanno una linea di confine che le separa dalle regioni delKazachstan o dell’Azerbajd§an ricche di petrolio e di gas naturale.

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In un certo numero di casi è la Russia ad importare combustibile.Più specificamente, essa compera carbone da Polonia, Kazachstan eCina per rifornire gli impianti energetici dislocati rispettivamentenelle regioni di Kaliningrad e Omsk e nel territorio di Primorskij; ac-quista energia elettrica dalla Lituania per rifornire la regione di Kali-ningrad nonché benzina di qualità superiore dalla Finlandia.

Per quanto riguarda elementi di cultura e civiltà, le regioni che siaffacciano sui vecchi confini nazionali separano anche due grandisistemi culturali ben distinti, quello europeo e quello cinese. Il con-fine con la Mongolia non è da considerarsi un’autentica soglia cul-turale dal momento che, sotto tale profilo, le repubbliche autonomedi Burjatia e Tuva sono affini al sistema lamaista della Mongolia.Questo, a maggior ragione, è valido per quanto riguarda i nuovi con-fini con la Bielorussia e l’Ucraina, che attraversano territori di fattoestremamente omogenei dal punto di vista culturale. Nel Caucaso iconfini nazionali separano paesi appartenenti a sistemi culturali di-versi, benché si possa affermare che il confine culturale islamico sisia in un certo senso mosso all’interno della Russia. La frontiera conil Kazachstan, infatti, costituisce formalmente il confine con il mon-do islamico12, tuttavia, data la densità demografica della popolazio-ne russa presente nelle regioni del Kazachstan che confinano con laFr, si può parlare in effetti di un confine culturale che si è mosso inprofondità nel paese rispetto a quello che è il confine nazionale.

Il potenziale energetico delle regioni di confine della Russia èlocalizzato principalmente all’interno della zona etnica e culturalerussa. Soltanto un’esigua porzione della produzione petrolifera edell’industria di raffinazione si trova nella zona culturale islamica,vale a dire nelle repubbliche del Dagestan e della Cecenia attraver-so le quali passa l’oleodotto Baku-Novorossijsk di enorme impor-tanza strategica. Allo stesso modo, soltanto una piccola parte dellerisorse energetiche è localizzata nelle regioni di cultura lamaistaprossime alla Mongolia, ci riferiamo innanzitutto alla centraleidroelettrica di Gusinoozersk nella Burjatia e al deposito petroliferodi modeste dimensioni nella repubblica Calmucca.

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12 V. Cymburskij, «Narody me§du civilizacijami» [I popoli tra le civilità], in Pro etContra, estate 1997.

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3. Il fattore energetico e le attuali tendenze di sviluppo nelle zo-ne di confine della Russia e nei vicini stati postsovietici

La liberalizzazione del commercio estero e la transizione versoforme di reale federalismo hanno portato significativi cambiamentinelle strategie di sviluppo delle zone di confine. Le regioni estratti-ve settentrionali e orientali hanno avuto l’opportunità di usufruireper il loro sviluppo di una quota maggiore dei redditi provenientidall’estrazione del materiale grezzo.

Le regioni meridionali e occidentali, sul cui territorio sono situatii nodi del trasporto internazionale, hanno iniziato a sfruttare in modomassiccio i vantaggi offerti dalla loro posizione incentivando il co-siddetto «commercio-navetta» attraverso i propri confini nonché losviluppo di servizi doganali, di trasporto e magazzinaggio. Le regio-ni a dimostrarsi più attive in questo «commercio-navetta» sono statequelle confinanti con la Cina, il territorio di Krasnodar, le repubbli-che del Caucaso settentrionale e la regione di Kaliningrad.

I tentativi fatti a partire dal 1992 per trasformare in modo signi-ficativo le specifiche caratteristiche geoeconomiche ereditate dalperiodo sovietico, – vale a dire il debole sviluppo del potenziale diesportazione delle zone occidentali e meridionali e di molte dellezone di confine della Siberia e dell’Estremo Oriente, – si sono rive-lati fallimentari. Un maggiore orientamento verso le esportazioninelle regioni di confine comporta infatti un rinnovamento struttura-le delle loro economie, il che richiede notevoli investimenti. In Rus-sia tali investimenti di capitale sono diminuiti a causa degli alti ri-schi connessi con le attività di tipo commerciale e dovuti in primoluogo all’instabilità economica e politica, al forte indebitamento eall’assenza di normali servizi commerciali in gran parte del suo ter-ritorio. Questo vale a maggior ragione per le aree di confine, – incui risiede circa la metà della popolazione russa –, le quali produco-no il 40 per cento del Pil totale, ma che tra il 1992 e il 1998 hannoattratto soltanto un quarto di tutti gli investimenti di capitale estero.

Nelle regioni di confine l’alto livello di rischio è connesso al lo-ro livello di sviluppo generalmente più basso, alla limitata capacitàdei mercati regionali nonché alla loro posizione remota, unita a unsistema di trasporti poco affidabile e a un sistema bancario oltremo-do fragile. Parte del rischio è direttamente o indirettamente connes-

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sa alla situazione energetica della regione di confine. Ecco alcunidei problemi maggiormente diffusi:

1. Forniture elettriche discontinue, sia alle utenze industriali siaa quelle comunali, a causa del sistematico non pagamentodelle medesime agli impianti che forniscono energia (questoper inefficienza aziendale, bassi redditi familiari, deficit neibilanci regionali, politiche tariffarie del tutto inadeguate a li-vello locale). Il caso che ha avuto maggiore risonanza è sen-za dubbio quello del territorio di Primorskij. La vendita aprezzi elevati del combustibile necessario agli impianti dellaregione, unita ai mancati pagamenti da parte sia di enti stata-li sia dell’utenza domestica, ha di fatto destabilizzato la pro-duzione di energia elettrica, creando a sua volta una catenadi mancati pagamenti nel settore energetico e lunghi ritardinei pagamenti salariali. I lavoratori degli impianti produttoridi energia hanno pertanto risposto sospendendo l’erogazionedell’energia elettrica, bloccando gli impianti e attuando scio-peri della fame.

2. L’erogazione di energia prodotta nelle regioni settentrionalidipende da tempestivi trasferimenti di fondi dal bilancio fede-rale al fine di pagare gli approvvigionamenti di carburante ne-cessario al funzionamento degli impianti. I ritardi nei paga-menti da parte dei bilanci federali e regionali conduconopertanto a un’insufficiente fornitura di carburante alle centralielettriche, con susseguente calo della produzione e sospensio-ne delle forniture di elettricità ai consumatori. La KamØatkaha sperimentato una situazione di questo tipo nella primaveradel 1999. Le prolungate sospensioni nell’erogazione dell’e-nergia elettrica hanno costretto la popolazione del capoluogoad appellarsi direttamente alle Nazioni Unite.

3. In una libera economia di mercato le variazioni di prezzo deicarburanti liquidi, tanto in Russia quanto nei paesi limitrofi,producono periodicamente autentici sbandamenti del mercatoenergetico. Allorché si raggiunge un notevole divario neiprezzi, il carburante liquido comincia a «scorrere» dal merca-to russo a quello dei paesi limitrofi. Questa situazione si èmanifestata ad esempio nell’estate del 1999. I maggiori pro-

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blemi connessi con le forniture dei combustibili e con l’au-mento dei prezzi sono stati osservati in quelle zone di confineche esportavano carburante nelle regioni contigue di Ucraina,Kazachstan e Mongolia, molto spesso in modo illegale.

4. Un rischio correlato al settore energetico, indiretto ma possi-bile, è costituito dal problema relativo al controllo delle ri-sorse, un problema che presenta un aspetto sia economico-fi-nanziario sia etnico-religioso. Il primo determina l’acquistodi quote controllo nei vari impianti che producono energia,in modo da aumentare la porzione di capitale azionario, fa-vorire la partecipazione nel management dell’impresa, l’ac-quisizione di licenze per scavare nuovi pozzi e così via. Inquesta battaglia vera e propria sono coinvolte tanto le auto-rità federali e regionali quanto le società nazionali ed este-re13. La ridistribuzione del controllo sulle risorse energeticheè condotta attraverso fusioni e acquisizioni di società, proce-dimenti di fallimento, emissioni di nuove azioni e acquisi-zioni di quote di controllo. Prezzi fluttuanti sul mercatomondiale dell’energia, tasse e altre spese, sostenute dalleaziende che fanno parte del complesso energetico (Tek) eche operano nel campo dell’estrazione e della raffinazione adiversi livelli amministrativi, nonché mancati pagamenti perforniture energetiche costituiscono lo scenario finanziario incui si svolge questa lotta senza esclusione di colpi. Possiamodire che, nella battaglia per il controllo delle risorse energeti-che e dei sistemi di erogazione, un pretesto di carattere etni-co-religioso appaia soltanto nel Caucaso settentrionale. È ri-saputo infatti che è il petrolio a fornire la motivazione difondo per gli estremisti musulmani della Cecenia e del Da-gestan14 e che le ambizioni petrolifere dei radicali islamicisono incoraggiate dall’esterno. Molti dei grandi paesi cheesportano petrolio non vedono certo di buon occhio la com-parsa di nuovi giocatori sul mercato petrolifero, e il modo

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13 Tra gli esempi più illuminanti possiamo citare il tentativo operato dall’ammini-strazione del Circondario autonomo Jamalo-Neneckij di assumere il controllo dellasocietà «Purneftegaz» ricorrendo a un procedimento di fallimento.14 ¿. Mamaev, «Evrazijskie Balkany» [Balcani euroasiatici], in Ekspert, 27, 1999.

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migliore per rallentare l’ingresso dei paesi del Caspio sulmercato globale del petrolio è quello di presentarli come ter-re di perenne conflitto etnico e politico. Questi conflitti inde-boliscono al tempo stesso la Russia e riducono la sua forzadi attrazione come luogo di possibili investimenti di capitale.

5. In quelle regioni, che dipendono dalle forniture di combusti-bili da parte delle nazioni vicine, i maggiori rischi collegatiagli approvvigionamenti energetici sono connessi alla flut-tuazione dei cambi nonché alla politica condotta dalle im-prese fornitrici e dai loro paesi. Questo riguarda in particola-re la regione di Kaliningrad e quelle regioni che acquistanocombustibile dal Kazachstan. La «Orsk OPP», ad esempio,che si trova nella regione di Orenburg, ha acquistato regolar-mente greggio dalla società kazacha «Aktunbemunaygaz»fino al 1998. In seguito, però, dopo che una quota di control-lo della società kazacha è stata acquistata dalla Compagnianazionale petrolifera della Cina, le forniture sono divenuteirregolari.

Dall’inizio del 1999, nonostante un maggiore rischio di base,nelle regioni di confine si è osservato tuttavia un notevole aumentodi investimenti. Ciò è dovuto all’applicazione di particolari emen-damenti alla legislazione tributaria che stabiliscono speciali tratta-menti fiscali per i contratti di joint-production. La legge sulla joint-production era stata approvata già nel 1995, tuttavia, in assenza diparticolari trattamenti fiscali, essa restava di fatto inapplicabile. Gliemendamenti consentono ora l’applicazione di un trattamento fisca-le stabile per gli investimenti a lungo termine nel settore dello svi-luppo delle risorse naturali e della produzione di energia.

Sempre nel 1999 sono iniziati i lavori per il progetto della so-cietà «Timan-PeØora», che comprende 11 giacimenti di petrolio e digas naturale nel Circondario autonomo Neneckij, dove le riserveestraibili ammontano a circa 700 milioni di tonnellate di greggio. Èiniziata anche la costruzione del cosiddetto «Sistema di oleodottidel Baltico» (Bps), con una lunghezza di 2718 km e una portata di12 milioni di tonnellate, da aumentarsi fino a 30 milioni di tonnella-te di petrolio all’anno. Il sistema collegherà tra loro oleodotti giàesistenti (come quello di Usinsk-Uchta-Jaroslavl’-Kiri¡i) con 833

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km di oleodotti di nuova costruzione, e anche il porto petrolifero diPrimorsk (170 km da San Pietroburgo). Il costo totale è stimato in500 milioni di dollari. Il progetto prevede inoltre un’ulteriore esten-sione dell’oleodotto fino al porto finlandese di Porvoo.

Il completamento del progetto intensificherà inoltre la concorren-za tra i porti dei paesi baltici, della Finlandia e della Polonia per of-frire i migliori servizi necessari all’esportazione del petrolio russo.Quando il «Sistema di oleodotti del Baltico» sarà operante, la Letto-nia, in particolare, perderà una considerevole parte dei redditi ricava-ti dal transito sul proprio territorio15, e verrà forzata a creare un «Si-stema di oleodotti occidentale» il cui scopo sarà quello di realizzareuna seconda linea di oleodotti lungo la direttiva Polock-Ventspils ingrado di raddoppiare la portata di questo corridoio di trasporto16.

Il transito costituisce un problema particolarmente grave per laRussia a causa di tariffe instabili, mancati pagamenti e furti veri epropri nelle esportazioni di gas. Sembrano essere proprio questi ele-menti a determinare la necessità di un nuovo gasdotto che dallaRussia arrivi fino in Germania attraversando la Finlandia e la Sve-zia (su terra o sotto il livello del mare). Si stima che entro il 2020 ilvolume di erogazione attraverso questo percorso varierà da 15-20 a70-80 miliardi di metri cubi al giorno, con un costo del progetto sti-mato in 5 miliardi di dollari17.

Sempre nella regione del Baltico, la Russia sta anche tentando didare vita a una politica più attiva nel settore dell’energia elettrica. Èstato stipulato un accordo di cooperazione tra i sistemi di fornitureenergetiche di Russia, Bielorussia, Lituania ed Estonia ed è stataavviata la costruzione di una centrale nucleare a Kaliningrad, chefornirà non soltanto energia elettrica alla regione ma anche una si-gnificativa quantità di energia per l’esportazione. La società «Uesof Russia» sta inoltre prendendo in considerazione la possibilità dicostruire una centrale nucleare a Vyborg, orientata soprattutto all’e-sportazione di energia elettrica verso i paesi scandinavi.

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15 Alle compagnie russe il transito di una tonnellata di petrolio attraverso la Letto-nia costa 7-7,5 dollari (incluse le tasse portuali), si veda Kommersant, 7 settembre1999, pag. 15.16 Nezavisimaja Gazeta, 17 febbraio 1999, pag. 4.17 Finansovye Izvestija, 46, 1998.

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La situazione delle regioni del Mar Nero e del Mar Caspio è as-sai simile a quella che abbiamo finora descritto. Tra il 1999 e il2001 il Consorzio degli oleodotti del Caspio ha progettato di co-struire un oleodotto lungo la linea Tengiz (in Kazachstan)-Astra-chan’-Novorossijsk e un terminale marittimo con cisterne petrolife-re attraverso il quale verrà esportato petrolio sia russo sia kazacho.La portata iniziale di questo oleodotto, lungo 1580 km, sarà di 28milioni di tonnellate di petrolio all’anno e verrà successivamenteaumentata fino a 67 milioni di tonnellate con un costo stimato di 2,3miliardi di dollari per l’esecuzione del progetto.

A differenza del «Sistema di oleodotti del Baltico», l’oleodottodel Caspio mira invece a sviluppare il transito attraverso il territoriorusso. Nel Kazachstan, infatti, in seguito all’aumento della produ-zione petrolifera e delle esportazioni, sta rapidamente aumentandoil bisogno di incrementare le possibilità di transito. Nel 1998, inconfronto ai 20,5 milioni di tonnellate di petrolio prodotte nel 1995,il Kazachstan ha prodotto ben 25,9 milioni di tonnellate. Particolar-mente produttivo è il giacimento di Tengiz, con una produzione cheè passata da 2,5 milioni di tonnellate nel 1995 a 8,5 milioni di ton-nellate nel 1998. Si pensa che nel 2000 verrà raggiunta la quota di12 milioni di tonnellate.

La quantità di petrolio kazacho che transita attraverso la Russiaè passata da 4 milioni di tonnellate nel 1998 a 9 milioni di tonnella-te nel 199918. È inoltre in progetto la ricostruzione dell’oleodottoAtyrau (in Kazachstan) - Samara al fine di aumentarne la portata fi-no a 15 milioni di tonnellate ed espandere così la possibilità di tran-sito del petrolio kazacho attraverso la Russia.

Occorre notare che le zone di confine tra Russia e Kazachstanstanno cooperando attivamente nella sfera energetica. Dalle minie-re a cielo aperto di Ekibastuz viene fornito il combustibile alle cen-trali elettriche nelle regioni di Omsk, Æeljabinsk e Sverdlovsk, chea loro volta forniscono energia elettrica alle regioni limitrofe delKazachstan. Il gas naturale estratto dai giacimenti di KaraØaganak(Kazachstan) arriva alla raffineria di Orenburg per essere successi-vamente immesso nel sistema di trasporto russo, mentre un volume

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18 Neft’ i Kapital, 3 (48), 1999, pag. 68.

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equivalente di gas russo viene fornito alle regioni kazache di Ku-stanaj e Aktjubinsk.

Allo stesso tempo, il Kazachstan sta cercando di diversificare ilpiù possibile le rotte delle esportazioni petrolifere. Questo statocentroasiatico utilizza al momento una combinazione di trasportiferroviari e marittimi lungo le linee Tengiz-Aktau-Baku-Batumi eTengiz-Astrachan’-Odessa. Dopo il 2005, allorché la produzione dipetrolio sarà prossima ai 50 milioni di tonnellate, verrà forse presain considerazione l’ipotesi di costruire una rete di oleodotti che at-traverso l’Iran giungano al Golfo Persico e alla Cina.

Per ciò che concerne il trasporto petrolifero, l’Azerbajd§an godedi condizioni perfino più favorevoli, potendo usare sia i vecchioleodotti Baku-Novorossijsk e Baku-Batumi sia l’oleodotto di re-cente costruzione Baku-Supsa. Con l’incremento della produzionepetrolifera (11,4 milioni di tonnellate nel 1998) la portata di questooleodotto potrà essere aumentata fino 12 milioni di tonnellate. L’al-tra possibilità per l’esportazione del petrolio azerbajd§ano, vale adire attraverso l’oleodotto Baku-Ceyhan (Turchia), si realizzeràmolto difficilmente nel prossimo futuro a causa dei costi elevati edell’alto rischio sismico. L’Azerbajd§an fa inoltre un uso estensivodel trasporto su ferrovia per far giungere il proprio petrolio fino aiporti georgiani da cui viene imbarcato sulle petroliere.

Per portare la propria produzione di energia sui mercati mondia-li la Turkmenija si trova invece ad affrontare problemi di trasportoassai più gravi19. La costruzione di una ferrovia, che aggirasse il ter-ritorio ceceno, permetterebbe alla compagnia «Mobil» di realizzareun progetto per il trasporto del petrolio turkmeno attraverso il nodoferroviario di MachaØkala. Il petrolio verrebbe in questo caso tra-sportato con autocisterne al terminale petrolifero e quindi, lungo lalinea ferroviaria MachaØkala-Kizljar-Neftekumsk-Mineral’nyeVody, fino ai porti di Tuapse e Novorossijsk. Dato questo obiettivo,inizieranno presto i lavori per aumentare la capacità di carico delporto di Novorossijsk fino a 10 milioni di tonnellate all’anno. Que-sta variante di transito si trova in competizione con il progetto geor-giano di un nuovo terminale petrolifero a Kulevi, sul Mar Nero, do-

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19 Nel 1998 il paese ha estratto 7 milioni di tonnellate di petrolio e circa 20 miliardidi metri cubi di gas.

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ve il petrolio turkmeno potrebbe arrivare seguendo un percorso mi-sto, parte via mare e parte per ferrovia.

Per la Turkmenija, tuttavia, è ancora più importante irromperesui mercati mondiali del gas naturale. Tra il 1997 e il 1998, infatti, ilTurkmenistan ha dovuto sospendere le forniture di gas all’Ucraina acausa dei massicci mancati pagamenti. Questo ha avuto un repenti-no riscontro nella situazione macroeconomica del Turkmenistan enel 1999, seppure a condizioni poco favorevoli per la Turkmenija,le forniture sono state ripristinate attraverso Uzbekistan, Kazach-stan e Russia20. Insieme con le esportazioni di gas verso l’Iran, que-sto ha comunque rivitalizzato l’economia del paese. La costruzionedi un gasdotto fino alla Turchia, attraverso il quale sarebbe possibi-le entrare sui mercati europei, è di vitale importanza per risolvere iproblemi che il Turkmenistan incontra nell’esportazione di gas. Nelmaggio del 1996 Turkmenija, Iran e Turchia erano giunti a un ac-cordo per la costruzione di un gasdotto con una portata di 28 miliar-di di metri cubi all’anno. Gli Stati Uniti hanno tuttavia insistito peruna diversa variante di gasdotto che, passando sotto il Mar Caspio eattraversando quindi Azerbajd§an e Georgia, arrivava fino in Tur-chia. Nel maggio del 1999 è stata siglata una dichiarazione di inten-ti che stabilisce di dare inizio entro la fine dell’anno alla costruzio-ne del gasdotto, con termine dei lavori previsto per la metà del2002. Questo gasdotto sarebbe in grado di erogare 16 miliardi dimetri cubi (14 miliardi di metri cubi ai paesi europei21). Il progetto èovviamente in netto contrasto con gli interessi russi. Nel 1997, in-fatti, la compagnia russa «Gazprom», il consorzio italiano dell’Enie la Turchia si erano accordati per portare a termine il progetto«Blue Stream», che prevedeva la costruzione di un gasdotto chepassando sotto il Mar Nero doveva arrivare direttamente in Turchia.Grazie a questo gasdotto la Turchia potrebbe ricevere nel giro di tre

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20 La disponibilità da parte della Russia a concedere alla Turkmenija una quota delmercato ucraino del gas naturale è giustificata da fattori diversi, tra cui la bassa sol-vibilità dell’Ucraina, la quota limitata di pagamenti in valuta (meno del 30 per cen-to) e il rincaro dei prodotti di consumo utilizzati dall’Ucraina come beni di scam-bio. Fatto il dovuto confronto, la Russia riceve 300 milioni di dollari per il transitodi 20 miliardi di metri cubi di gas. Si veda a tale proposito Neft’ i Kapital, 3, 1999,pag. 72.21 Nezavisimaja Gazeta, 22 maggio 1999.

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anni 16 miliardi di metri cubi di gas all’anno. La Russia esporta at-tualmente in Turchia 6 miliardi di metri cubi di gas attraverso laBulgaria.

L’apertura della centrale idroelettrica di Irganaisk sul fiume Su-lak nel Dagestan favorirà l’aumento delle forniture di energia elet-trica ad Azerbajd§an, Georgia e Turchia e migliorerà nel complessola situazione energetica dell’intero Caucaso settentrionale. Dobbia-mo altresì notare che anche Dagestan e Azerbajd§an cooperano nel-la sfera energetica. L’Azerbajd§an fornisce infatti al Dagestan pe-trolio e suoi derivati ricevendo in cambio energia elettrica. Poichénon si sono ancora trovate significative riserve di petrolio e di gasnella porzione della piattaforma continentale del Caspio apparte-nente al Dagestan, il ruolo di questa repubblica nordcaucasica saràsostanzialmente limitato all’offerta dei propri sistemi di trasportoper il transito degli idrocarburi. La vicinanza alla Cecenia, tuttavia,rende chiaramente più complesso lo sviluppo delle possibilità ditransito attraverso il Dagestan, e questo a tutto vantaggio della re-gione di Astrachan’ e della repubblica Calmucca.

La produzione petrolifera ricavata grazie al progetto «Sachalin-2» e proveniente dal giacimento situato sotto il Mare di Ochotsk,nelle vicinanze dell’isola, riveste una particolare importanza sotto ilprofilo geopolitico e geoeconomico. La produzione del 1999 rag-giungerà circa 0,8 milioni di tonnellate ed è destinata ad aumentarefino a 3 milioni di tonnellate nel 2000. Le nuove norme fiscali per lejoint-production permetteranno inoltre ai progetti «Sachalin-1» e«Sachalin-3» di dare inizio allo sfruttamento di due altri giacimenti.Nel 2005 l’isola di Sachalin potrà diventare un grande fornitore dipetrolio e gas ai mercati della Cina, del Giappone e di altri paesiasiatici, contribuendo allo stesso tempo a migliorare radicalmente lasituazione energetica dell’Estremo Oriente russo.

Le previsioni di una crescita fortemente dinamica nella doman-da di elettricità da parte della Cina nei prossimi dieci anni ha rivita-lizzato i progetti per la ricostruzione di un certo numero di grandiimpianti che potrebbero ridare vita all’economia delle zone di con-fine situate ad est del Lago Bajkal. Si sta considerando inoltre lapossibilità di costruire oleodotti di grandi dimensioni che dal giaci-mento di Kovyktinsk nella regione di Irkutsk e da quello di Viljujsknella repubblica Sacha (Jakutia) arriverebbero fino in Cina e, possi-

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bilmente, fino alla Corea del Sud; è in progetto la realizzazione diun ponte energetico russo-cinese per fornire energia elettrica allaCina anche dalle regioni lungo il corso medio dell’Angarà (centraliidroelettriche di Bogu¡ansk, Ust’-Ilimsk e Bratsk) attraverso la re-pubblica della Burjatia e la regione di Æita. È altresì in fase di stu-dio una possibile espansione delle esportazioni di elettricità dallaregione dell’Amur.

4. Le prospettive di completamento del progetto energetico:conseguenze geopolitiche per la Russia

I progetti energetici previsti sul territorio delle regioni e deglistati postsovietici avrebbero effetti significativi sullo sviluppo eco-nomico di questi paesi, cambierebbero il loro peso economico e po-litico e altererebbero le condizioni geopolitiche che la Russia deveaffrontare all’alba del nuovo millennio. È importante notare che lamaggiore o minore velocità nella realizzazione di tali progetti di-pende da fattori geopolitici non soltanto regionali ma mondiali. Talifattori includono una rinnovata competitività tra potenze regionali emondiali per poter acquisire una posizione di vantaggio nei territoripostsovietici grazie al controllo delle risorse energetiche e dei mer-cati. In questo contesto si collocano i principali paesi sviluppati(Usa, Giappone, Unione Europea), gli stati situati nella cosiddetta«prima fascia periferica» (Russia, Cina, Turchia, Arabia Saudita) equelli della periferia vera e propria (Asia Centrale, Iran), allo scopodi migliorare o trasformare il loro status nell’economia globale.

Posto che tali progetti energetici sono a lungo termine e ad usointensivo di capitale, i fattori più importanti per la Russia sonoquelli che influiscono sulla sua immagine di possibile destinatariodi investimenti e di partner commerciale affidabile, determinando-ne la capacità di ottenere grandi crediti esteri a condizioni favore-voli. I concorrenti della Russia, d’altra parte, sono facilitati propriodalle difficoltà che questo paese incontra tuttora con il servizio suldebito estero, dalla riduzione degli investimenti dovuta alla desta-bilizzazione nel Caucaso settentrionale, dalla sua generale instabi-lità politica e finanziaria nonché da una legislazione fiscale non an-cora favorevole.

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Si deve tuttavia sottolineare che i fattori decisivi che controllanogli investimenti connessi alla sfera energetica sono rappresentatidalla dinamica dei prezzi sul mercato mondiale dei combustibili edalla domanda di energia sui mercati dei paesi limitrofi e vicini.

A breve termine, la realizzazione dei progetti riguardanti la pro-duzione di energia e il relativo trasporto comporterebbe alcuni cam-biamenti nei rapporti geopolitici della Russia. Nell’economia di co-mando di epoca sovietica, infatti, era stato sviluppato un sistemachiuso, in cui la produzione destinata all’esportazione era localizza-ta nelle regioni centrali del paese in quanto le principali risorseenergetiche e materie prime erano localizzate in Siberia. Questaestrema lontananza dai mercati esteri riduceva, e riduce tuttora, lacompetitività della produzione destinata alle esportazioni. Dataquesta struttura economico-produttiva, ereditata dall’Unione Sovie-tica ma legata anche a fattori naturali, lo sviluppo del potenziale diesportazione nelle regioni di confine appare un requisito basilareper la ristrutturazione della Russia verso un’autentica economia dimercato.

Allo stesso tempo, la posizione interna delle principali basi perl’esportazione della produzione russa e la concentrazione degli im-pianti di lavorazione nella regione di Tjumen’ (che comprende nu-merose province) ha in qualche modo assicurato la stabilità strate-gica della regione nel periodo iniziale delle riforme. Da un lato,questo era dovuto al fatto che le regioni in grado di esportare unprodotto dipendevano da sistemi di fornitura affidabili che attra-versavano le aree di confine e le regioni intermedie e, dall’altro la-to, al fatto che le regioni economicamente più deboli dipendevanodalle entrate provenienti dalle regioni esportatrici più ricche, entra-te che venivano ridistribuite attraverso il bilancio federale. Con unmercato interno debole e con la disgregazione di molti collega-menti regionali questa interdipendenza ha rafforzato l’unità dei ter-ritori russi.

La realizzazione di progetti di investimenti su larga scala, inquelle regioni di confine che sono orientate verso l’esportazione dienergia, trasformerebbe in modo significativo tale struttura. Da unpunto di vista economico, le zone di confine resterebbero stretta-mente legate ai mercati di paesi specifici mentre, allo stesso tempo,crescerebbe anche la cooperazione tra i membri della Fr aderenti a

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questi progetti. La base energetica nazionale della Russia (Tjumen’)verrebbe pertanto collegata a quelle regionali di Timan-PeØora eSachalin con un forte orientamento verso l’esportazione. Questocontribuirebbe chiaramente ad aumentare la stabilità della Russianel suo insieme e a migliorare i vantaggi offerti nel commercio ener-getico dalla sua posizione eurasiatica.

Allo stesso tempo, la decentralizzazione regionale del comples-so energetico non porterebbe soltanto a significativi cambiamentinel peso economico e politico dei membri della Fr ma contribuireb-be altresì alla crescita delle differenze interregionali. La migliore si-tuazione finanziaria delle regioni, in cui sono o saranno in corso direalizzazione i progetti che interessano la zona del Caucaso setten-trionale, è illustrata per esempio dal fatto che due terzi di tutti i tri-buti, riscossi in base al progetto di sfruttamento petrolifero dellaparte di piattaforma continentale del Caspio appartenente alla Rus-sia, e metà dei profitti della Russia medesima, andranno ai bilancidella regione di Astrachan’, della repubblica Calmucca e dei territo-ri di Krasnodar e Stavropol’. Il totale delle entrate dirette o indirettenelle casse della Russia durante i previsti 35 anni di vita produttivadei giacimenti del Caspio ammonterà a 33 miliardi di dollari22. Nelcaso poi che venga portato avanti il progetto «Blue Stream», le en-trate del territorio di Krasnodar potrebbero essere ancora maggiori,data la sua strategica posizione di transito. Le regioni escluse daquesti progetti e prive di altre fonti di crescita rimarranno inevita-bilmente penalizzate nello sviluppo sociale ed economico.

Una forte concorrenza tra i membri della Fr, per quanto riguar-da gli investimenti nel settore dell’energia, appare inevitabile e sista già profilando tra la regione di Irkutsk e la repubblica Sacha(Jakutia) per ciò che concerne le forniture di gas e tra la medesimaregione di Irkutsk e quella di Krasnojarsk per quanto riguarda leforniture di energia elettrica alla Cina. L’esperienza ha dimostratoche nelle attuali condizioni della Russia una forte concorrenza con-duce soltanto a notevoli dilazioni e ritardi nelle decisioni legateagli investimenti.

A causa dell’enorme estensione del paese è molto importante

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22 Kommersant, 26 novembre 1998, pag. 7.

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per la sua stabilità geopolitica che i maggiori progetti energeticivengano distribuiti sul territorio in modo simmetrico e opportuna-mente divisi tra la zona europea (vale a dire le regioni nordocciden-tali comprese tra il Mare di Barents e il Mar Baltico) e le regionimeridionali (tra il Mar Caspio e il Mar Nero). I progetti nelle regio-ni nordoccidentali, tuttavia, saranno realizzati in condizioni più fa-vorevoli per ciò che riguarda l’affidabilità della produzione, la ven-dita e il trasporto di energia. Nelle regioni meridionali i rischi a cui iprogetti andranno incontro nelle zone di confine russe sono connes-si non soltanto ai conflitti etnoreligiosi del Caucaso, ma anche allalimitata capacità di carico dei porti che si affacciano sul Mar Nero,alle ambizioni geopolitiche della Turchia sostenute dagli Stati Uni-ti, alla crescita ancora non ben chiara della produzione di greggioproveniente dalla piattaforma continentale del Mar Caspio23, allecontroversie tra gli stati che si affacciano su questo mare riguardan-ti la divisione delle sue acque e delle sue riserve petrolifere, comepure a limiti di tipo ecologico e sismico. Saranno pertanto le regionisettentrionali che vedranno aumentare la loro quota di flusso delleesportazioni, e lo stesso vale per le regioni dell’Estremo Orienterusso. Infatti, benché lo sviluppo della produzione di petrolio e digas sull’isola di Sachalin possa in parte controbilanciare la situazio-ne economica tutt’altro che florida delle regioni più orientali, è in-negabile che la sua produzione appaia maggiormente orientata ver-so i complessi energetici della Russia centrale e dell’Europa.

La posizione della Russia nei confronti dei paesi limitrofi dipen-de in larga misura dal progresso dei suoi progetti energetici. Quellisu larga scala aumentano infatti l’interdipendenza economica e por-tano i rapporti politici a un livello qualitativamente nuovo. Tutto ciòfornisce a sua volta una spinta alla cooperazione tra le regioni diconfine. La possibilità di condurre a buon fine i progetti con la Cinae la Turchia riveste una particolare importanza per la Russia ma ilgrande ostacolo nella loro realizzazione è rappresentato dalla neces-sità di un uso altamente intensivo del capitale. La società «Gaz-prom», ad esempio, incontra attualmente notevoli difficoltà nel re-

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23 Numerose compagnie petrolifere hanno ritirato la loro partecipazione al progettoin quanto le riserve petrolifere si sono rivelate considerevolmente inferiori alle sti-me originarie.

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perimento dei fondi necessari al progetto «Blue Stream»24. La situa-zione nel Caucaso settentrionale, che si va sempre più aggravando,impedisce chiaramente la realizzazione di questo progetto così im-portante dal punto di vista geopolitico.

In condizioni favorevoli, la realizzazione di questi progetti per-metterebbe alla Russia di consolidare la propria posizione nel setto-re energetico rispetto ai vicini paesi postsovietici e, pertanto, anchenel complesso delle loro economie. Fatta eccezione per il Kazach-stan, sono previsti progetti su larga scala in Bielorussia, dove staper essere costruito il nuovo gasdotto Yamal-Polonia. La Bielorus-sia si trova in una posizione chiave per le esportazioni del petroliorusso attraverso Ventspils e tramite l’oleodotto Dru§ba.

Un ruolo significativo nel rafforzamento della presenza russa inquesti paesi è giocato dai grandi produttori di energia, soprattutto«Gazprom» e «LUKoil». Nella primavera del 1999, quest’ultima haacquistato una quota di controllo dell’impianto di raffinazione diOdessa e ha garantito forniture di 2,4 milioni di tonnellate di petro-lio all’anno per i prossimi cinque anni. Sta altresì considerando l’ac-quisto dell’impianto di lavorazione del greggio di Cherson. La«LUKoil» è impegnata nello sfruttamento di tre giacimenti petroli-feri nel Kazachstan settentrionale (Tengiz, KaraØaganak e Kumkol)come pure di un giacimento della piattaforma continentale azer-bajd§ana (pozzi di Karabach, Jalam, Kiapaz e altri). In questo caso«Astrachanneft’», società affiliata «LUKoil» nella regione di Astra-chan’, fungerebbe da testa di ponte naturale. Un’altra società delgruppo, «Kaliningradmorneftegaz» costituisce la base per un’espan-sione verso la Lituania e la Lettonia.

La diversificazione dei percorsi di trasporto di petrolio, gas eforniture di energia elettrica in Europa ridurrebbe la dipendenzadella Russia dai corridoi di transito attraverso l’Ucraina, la Bielo-russia e i paesi del Baltico e rafforzerebbe altresì la posizione dellaRussia sui mercati energetici di questi paesi che non hanno al mo-mento alcuna alternativa alle forniture russe.

Il Kazachstan, la Turkmenija e l’Uzbekistan non si rivolgono al-

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24 Gli investimenti necessari alla sezione su terra del gasdotto sono valutati in 700milioni di dollari. Si veda Vedomosti, 14 settembre 1999.

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le forniture russe di idrocarburi (fatta eccezione per la benzina) madipendono in parte dal transito della loro produzione attraverso i si-stemi di trasporto della Russia. L’Azerbajd§an e la Georgia acqui-stano gas russo ma, di fatto, non dipendono dalla Russia per quantoriguarda gli oli combustibili.

Tra tutti i paesi aderenti alla Comunità di stati indipendenti (Csi),l’Ucraina resterà per la Russia un partner di primaria importanza fi-no a quando gran parte delle forniture di gas e petrolio russi all’Eu-ropa transiteranno sul territorio ucraino (oleodotto «Dru§ba», Po-mary-U§gorod e altri). L’Ucraina rappresenta inoltre un grandemercato per le vendite di idrocarburi russi25, benché, al tempo stes-so, stia cercando fonti alternative di forniture energetiche e, a talescopo, cooperi attivamente con l’Azerbajd§an, la Georgia, il Turk-menistan e il Kazachstan per la costruzione di un corridoio petroli-fero che dalla regione del Caspio raggiungerebbe direttamente l’Eu-ropa centrale.

Per risolvere i propri problemi energetici, la Bielorussia, a diffe-renza dell’Ucraina, si è orientata esclusivamente verso la Russia. Lecaratteristiche attuali della situazione politica ed energetica dei pae-si postsovietici corrispondono abbastanza strettamente alla lorosuddivisione nei raggruppamenti politici ed economici che abbiamodelineato precedentemente. L’idea di un’unificazione tra Russia eBielorussia si basa ad esempio sul fatto che la Russia dipende dallaBielorussia per quanto riguarda il transito dei propri prodotti versooccidente e sul fatto che la Bielorussia dipende dalla Russia perquanto riguarda le forniture energetiche. La medesima interdipen-denza in fatto di approvvigionamenti energetici evidenzia la possi-bilità di un’unione centroasiatica che includerebbe Kazachstan,Kyrgyzstan, Tad§ikistan e Uzbekistan. Quest’ultimo, ad esempio, èil maggiore fornitore di gas naturale agli altri paesi di questo gruppocentroasiatico, il Kazachstan fornisce prodotti petroliferi e ilTad§ikistan energia elettrica. Georgia, Uzbekistan, Ucraina, Azer-bajd§an e Moldavia (Guuam) stanno cercando di unire le proprieforze attorno al progetto denominato Traseca, che prevede la realiz-

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25 Nel 1998 il 32 per cento di tutti i prodotti finiti derivati dal petrolio è stato forni-to all’Ucraina dalla Russia; un altro 23 per cento di derivati è stato prodotto da so-cietà ucraine con petrolio di provenienza russa. Si veda Ekspert, 28, 1999, pag. 29.

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zazione di un corridoio petrolifero eurasiatico con relativo sistemadi trasporto. Oltre al legame tra Russia e Bielorussia, la base perun’effettiva unione doganale riguardante gli scambi del commercioenergetico presupporrebbe una vasta cooperazione nel settore del-l’energia tra la Russia e le regioni di confine del Kazachstan e la di-pendenza di quest’ultimo dal transito attraverso la Russia e dagliesistenti collegamenti energetici con il Kyrgyzstan e il Tad§ikistan.

Le conseguenze geopolitiche di questi progetti dipenderanno dalloro effettivo progresso, dall’efficienza degli impianti resi final-mente operativi, dai loro effetti moltiplicatori nonché dalla situazio-ne dei mercati interni e dalle condizioni esterne. Queste ultime, in-fatti, insieme con le condizioni e i termini dei crediti concessi, siripercuoteranno sulle politiche tributarie della Russia, sul possibileincremento dell’aggravio fiscale per le imprese legate al complessoenergetico e, pertanto, sulle risorse finanziarie delle compagnie di-sposte a investire capitali.

Se gli eventi avranno una svolta sfavorevole (prezzi bassi sulmercato globale, estrema rigidità di condizioni e termini dei crediti,alto livello di inflazione e aggravamento della situazione politicainterna), il ritmo con cui tali progetti verranno realizzati calerà bru-scamente e gli investimenti nell’industria estrattiva di gas e petroliosubiranno una diminuzione ancor più rapida. Il paese sarebbe co-stretto a sospendere le proprie esportazioni di idrocarburi e a impor-tare significative quantità di petrolio, per le quali le risorse finanzia-rie risulterebbero insufficienti. Il deficit di bilancio aumenterebbe eil rincaro dell’energia per uso interno sconvolgerebbe il mercato na-zionale. Il problema energetico delle regioni di confine sarebbe ul-teriormente aggravato e la Russia perderebbe una quota notevoledei mercati petroliferi esteri nonché una quota del mercato del gasnaturale che verrebbe occupata dai paesi vicini o da quelli del GolfoPersico. In tali circostanze, sarebbe difficile per la Russia fare fron-te ai propri obblighi nei confronti delle compagnie straniere coin-volte nelle joint-production o persino garantire il transito degli idro-carburi attraverso il proprio territorio. Il venire meno agli obblighicontratti con i paesi vicini complicherebbe seriamente i rapporti in-ternazionali e indebolirebbe la posizione politica ed economica del-la Russia. Date queste circostanze, la stabilità territoriale della Frcorrerebbe gravi rischi e sarebbe altresì inevitabile un aumento del-

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le tendenze centripete nelle zone di confine del Caucaso settentrio-nale, nell’Estremo Oriente e nella regione di Kaliningrad.

In condizioni favorevoli, sia interne sia internazionali, la realiz-zazione di molti dei progetti previsti nelle zone di confine potrebbeessere portata a termine in tempi abbastanza rapidi, la quota russasui mercati petroliferi mondiali si amplierebbe e nel paese potrebbeavere inizio una radicale modernizzazione che coinvolgerebbe ine-vitabilmente anche il suo ruolo nella divisione del lavoro globale.Un aumento del potenziale economico e finanziario delle zone diconfine consoliderebbe i legami interregionali, aumenterebbe le en-trate del bilancio federale e consoliderebbe la posizione geopoliticadella Russia.

In realtà, in una prospettiva a medio termine, si realizzeranno al-cune possibilità di carattere, per così dire, intermedio. Ad esempio,nel settembre 1999, ai prezzi favorevoli sul mercato mondiale del-l’energia si contrappongono purtroppo elementi negativi, qualil’aggravamento della situazione nel Caucaso settentrionale, i ritardinel trasferimento dei prestiti del Fondo monetario internazionale,un vero e proprio attacco psicologico alle imprese russe e la man-canza di fondi sufficienti per condurre i sondaggi esplorativi richie-sti dai progetti dei nuovi oleodotti. Allo stesso tempo, tuttavia,l’ampia partecipazione di grandi compagnie straniere nei progettienergetici previsti nelle zone di confine della Russia è una testimo-nianza della loro fiducia nel successo commerciale nonostante l’al-ta quota di rischio.

In conclusione, si dovrebbe sottolineare ancora una volta che leprospettive di sviluppo della Russia e quelle dei paesi limitrofi post-sovietici sono strettamente collegate. La loro reciproca dipendenza,chiaramente, nasce come eredità del passato sovietico ma, contem-poraneamente, come effetto della globalizzazione dell’economia edella sempre maggiore importanza rivestita dalla cooperazione re-gionale. In questo processo di sviluppo l’ex Unione Sovietica rap-presenta un anello debole nell’economia mondiale, ancora forte-mente dipendente dai prezzi dei combustibili sul mercato mondialee dai concreti interessi politici ed economici dei «giocatori» più po-tenti. Se ne deduce che, col passare del tempo, la tendenza dei paesipostsovietici alle reciproche concessioni si indebolirà sempre piùmentre aumenterà l’attenzione verso i paesi terzi. Le politiche attua-

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li dei nuovi stati risentono della reciproca concorrenza sui mercatimondiali, del loro desiderio di ridurre ogni forma di interdipendenzae di sfruttare piuttosto i vantaggi offerti dalla loro posizione geogra-fica. Date queste condizioni, l’importanza delle aree di confine, co-me ponti per la cooperazione e la reintegrazione dei paesi postsovie-tici nell’economia globale, non potrà che continuare ad aumentare.

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Vitalij Belozerov, demografo e specialista dei problemi migratorinella regione del Caucaso, Università di Stavropol’.

Emil’ Pain, ex consigliere del primo presidente russo Boris El’cinper i problemi delle nazionalità e del Caucaso, Centro di studietnopolitici di Mosca.

Michajl Ro¡Øin, antropologo ed islamologo, Istituto di studi orien-tali dell’Accademia russa delle scienze di Mosca.

Piero Sinatti, russista, collaboratore del Sole 24 Ore, di Affari Este-ri, di Limes, è autore e curatore di pubblicazioni riguardanti ilmondo sovietico e russo.

Leonid Vardomskij, specialista in economia delle regioni e delle in-frastrutture, Istituto di studi politici ed economici internazionalidell’Accademia russa delle scienze di Mosca.

¢anna ZajonØkovskaja, geodemografa e specialista dei processi mi-gratori, Istituto di previsioni economiche dell’Accademia russadelle scienze di Mosca.

Andrej Zubov, politologo, specialista in materia di relazioni tra ilCentro Federale e le regioni, Istituto di studi orientali dell’Acca-demia russa delle scienze di Mosca.

Nota sugli autori

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Contributi di Ricerca

Aa.Vv., La nuova Russia. Dibattito culturale e modello di società in costru-zione.

Jean-Claude Chesnais e Sun Minglei, Il futuro della popolazione cinese.Declino demografico e crescita economica.

Franco Garelli, Andrea Pacini e Antonella Castellani, Cooperazione e so-lidarietà internazionale in Piemonte.

Altri volumi di interesse pubblicati dalle Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli

Sergej Filatov e Aleksej Malasenko (a cura di), Islam e politica nello spaziopost-sovietico.

Anthony Reid (a cura di), Cinesi d’oltremare. L’insediamento nel Sud-Estasiatico.

Mohamed Talbi, Le vie del dialogo nell’islam.

Sergio Ticozzi, Il Tao della Cina oggi. Dinamiche culturali, politiche e isti-tuzionali.

Aa.Vv., L’India contemporanea. Dinamiche politiche, trasformazioni eco-nomiche e mutamento sociale.

Aa.Vv., Città e società nel mondo arabo contemporaneo.

Andrea Pacini (a cura di), Comunità cristiane nell’islam arabo. La sfida delfuturo.

Joseph Schacht, Introduzione al diritto musulmano.

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Finito di stampare il 30 novembre 2000dalla Tipolito Subalpina s.r.l. in Rivoli (To)

Grafica copertina di Gloriano Bosio