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Ervin Laszlo • Stanislav Grof • Peter Russel LA RIVOLUZIONE DELLA COSCIENZA CASA EDITRICE NUOVA ERA

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Ervin Laszlo • Stanislav Grof • Peter Russel

LA RIVOLUZIONE DELLA COSCIENZA

CASA EDITRICE NUOVA ERA

LA RIVOLUZIONE

DELLA COSCIENZA

Dialogo transatlantico

due giorni con Stanislav Grof, Ervin Laszlo

e Peter Russel

Redatto da Ervin Laszlo Prefazione di Ken Wilber

Conclusione di Yehudi Menuhin

Titolo originale:

THE CONSCIOUSNESS REVOLUTION

Traduzione dall’inglese di Leonardo Chiatti e Emanuela Baffari

Copyright Casa Editrice Nuova Era, 2000

Prima edizione italiana 2003

ISBN 88-86408-40-4

CASA EDITRICE NUOVA ERA Via Antagora, 10 - 00124 Roma

Stanislav Grof è a capo del Programma Grof di Addestramento Transpersonale e insegna all’Istituto di California di Studi Integrali. È stato capo delle ricerche psi-chiatriche del Centro di Ricerche Psichiatriche nel Meryland, professore assistente di psichiatria all’Università John Hopkins di Baltimora, medico, e accademico residente all’Istituto Esalen a Big Sur, California.

Egli è il curatore di Ancient Wisdom and Modern Science (Antica saggezza e scienza moderna) e di Human Survival and Consciousness Evolution (La sopravvivenza umana e l’evoluzione della coscienza), ed è l’autore di Realms of the Human Unconscious (II reame dell’inconscio), LSD Psychotherapy (Psicoterapia LSD), Beyond the Brain (Oltre il cervello), The Adventure of Self-Discovery (L’avventura della scoperta di sé), e The Cosmic Game (II gioco cosmico).

Ervin Laszlo è considerato l’esponente più avanzato della filosofia sistemica e della teoria generale dell’evoluzione, ed è anche noto per il suo lavoro nel campo del futuribile e in quello del management. Già professore di filosofia, scienze sistemiche, studi sul futuro in diverse università degli Stati Uniti, Europa ed Estremo Oriente, Laszlo è autore o coautore di 36 libri tradotti in 16 lingue, incluso il suo recente The Whispering Pond (Lo stagno mormorante), ed è il curatore di altri 30 volumi.

Attualmente, Ervin Laszlo è presidente del Club di Budapest e direttore del Gruppo di Ricerca sull’Evoluzione Generale, due organizzazioni da lui stesso fondate, ammini-stratore dell’Università Interdisciplinare di Parigi, membro dell’Accademia Mondiale per le Arti e le Scienze, membro dell’Accademia Internazionale della Filosofia della Scienza, senatore dell’Accademia Internazionale Medici, curatore del trimestrale World Futures: The Journal of General Evolution (Il futuro del mondo: il giornale dell’evoluzione generale) e curatore

della serie di General Evolution Studies (Studi sull’evoluzione generale). Ha ricevuto il Premio di Pace del Giappone (Goi Prize) nel 2001. Il suo libro recente, Macroshift: Navigating the Trasformation to a Sustainable World, è stato pubblicato in nove lingue incluso l’italiano (disponibile nell’autunno 2003) e il suo rapporto per il Club di Budapest, dal titolo You can change the World, con prefazione di Mikhail Gorbaciov e postfazione di Paulo Coelho (in pubblicazione nel 2003 in Italia), è mondialmente riconosciuto come un manuale di pensiero e comportamento etico e responsabile. Peter Russell ottenne la sua laurea summa cum laude in fisi-ca teorica e psicologia sperimentale, e una laurea in scienza informatica all’Università di Cambridge, Inghilterra. Ha poi viaggiato in India per studiare la filosofia orientale e al suo ritorno ha dato inizio a ricerche sulla psicologia della meditazione. Da allora la sua principale attenzione si è con-centrata sull’esplorazione e lo sviluppo della coscienza umana, integrandovi la concezione orientale e occidentale della mente.

Fra i primi ad introdurre l’autosviluppo nel mondo degli affari, il programma aziendale di Peter Russell ha ricevuto il plauso di aziende come Apple, American Express, British Petroleum e IBM. È autore di molti libri tra i quali The TM Technique (La tecnica TM), The Brain Book (Il libro sul cervello), The Creative Manager (Il dirigente creativo), The White Hole in Time (Il buco bianco nel tempo), The Global Brain Awakens (Il cer-vello globale si sveglia), Waking up in Time (Risvegliarsi in tempo), e curatore di The Upanishads.

INDICE

Prefazione di Ken Wilber ....................................... Pag. 9 Introduzione di Ervin Laszlo ................................ » 13

Primo giorno - mattina UN MONDO IN TRASFORMAZIONE

Valutazione delle possibilità di trasformazione » 17 Morte e rinascita: estinzione e rinnovamento » 30 Una rivoluzione della coscienza? ................... » 43

Primo giorno - pomeriggio DIMENSIONI DELLA TRASFORMAZIONE

Mutamento della coscienza nella società, mutamento del paradigma nella scienza .... » 51

Un ruolo per la spiritualità ........................... » 62

Primo giorno - sera DALLA VISIONE ALL’AZIONE

Guarire noi stessi e guarire il mondo............... » 77 Sincronicità e connessioni curiose ................ » 82

Secondo giorno - mattina IMPLICAZIONI PERSONALI

Il cambiamento dei valori ............................. » 89 Sugli scopi nella vita .......................................... » 100 Lo scenario del giorno del Giudizio - e oltre ..... » 112

INDICE

Secondo giorno - pomeriggio IL MONDO E L’INDIVIDUO

Sulla nascita e lo sviluppo - la trasformazione in un nuovo mondo.......................................... » 127

Una nuova mappa della realtà ...................... » 138 Sulle potenzialità dell’arte e la responsabilità

degli artisti........................................................ » 153 Valori ed etica rivisitati..................................... » 164

Secondo giorno - sera LE QUESTIONI ULTIME: ALCUNE RIFLESSIONI CONCLUSIVE

Karma ................................................................... » 175 Coscienza ........................................................... » 186

Postfazione - riflessioni successive di Yehudi Menuhin ............................................................. » 199

Libri degli Autori ................................................. » 207

Bibliografia............................................................... » 211

PREFAZIONE

La Rivoluzione della coscienza è una discussione straordi-naria fra tre delle più belle menti del nostro tempo, arguta nei suoi scambi, ampia nella sua portata, brillante nella sua chiara nota per risvegliare la nostra coscienza e la nostra consapevolezza.

Stanislav Grof è uno dei più grandi psicologici di tutti i tempi, e sarà certamente riconosciuto tale dalla storia. I suoi numerosi libri sono già leggendari, da Realms of the Human Unconscious a Beyond the Brain a The Cosmic Game. Egli merita non soltanto profondo rispetto, ma anche l’affetto genuino dei suoi molti amici e colleghi. Stanislav Grof è un vero pioniere nella moderna esplorazione dei vasti e apparente-mente illimitati reami della coscienza, e le mappe di quel paesaggio straordinario che egli ha disegnato lo illuminano con una precisione e una passione che non hanno uguali nel nostro tempo.

Peter Russell è un brillante teorico che porta una straor-dinaria creatività ad ogni argomento che tocca. In libri come The Awakening Earth, The Global Brain e The White Hole in Time, Peter mette a fuoco sempre più ciò che potrebbe essere la domanda cruciale del nuovo millennio: in che modo i cambiamenti di coscienza determinano cambiamenti nel mondo nel suo insieme? Se dobbiamo pervenire ad un domani più gradevole, quali cambiamenti possiamo noi -voi e io - realizzare in noi stessi immediatamente, cambia-menti che condurranno ad un futuro più positivo? O è trop-po tardi? Cosa si fa allora? Il modo in cui Peter affronta

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queste difficili tematiche rivela non solo un fine intelletto, ma anche un cuore infinitamente compassionevole, cosa che traspare da ogni pagina che scrive.

Ervin Laszlo non può che essere considerato un genio del pensare in termini di sistemi. Tra i molti libri da lui scrit-ti, vorrei citare The Systems View of the World, Evolution: The Grand Synthesis, The Choice, The Whispering Pond, e Third Millennium. Ervin Laszlo, probabilmente più di qualsiasi altra persona oggi, ha gettato una luce filtrata da attenta ana-lisi su un fatto sbalorditivo, ma spesso ignorato: viviamo in un universo inesorabilmente interconnesso, in cui ogni sin-gola cosa è collegata miracolosamente all’altra. L’opera da lui compiuta, nell’arco di quarant’anni, ha voluto essere un appello rivolto con parole chiare e coerenti affinché fosse riconosciuto l’arazzo finemente intrecciato che costituisce il nostro mondo, le nostre vite e speranze, i nostri sogni. Elevandoci ad una visione d’insieme, Ervin ha aiutato innu-merevoli persone a sfuggire a quelle limitazioni troppo ristrette e a quella triste realtà frammentaria che per almeno tre secoli hanno avvolto nella nebbia il mondo moderno. Ed è proprio Ervin che, su suggerimento di Uwe Morawetz dell’Università Internazionale della Pace di Berlino, ha messo insieme le pagine di questo libro, pagine che riporta-no una conversazione avvenuta nell’arco di due giorni tra i tre autori con l’intento di, come scrive Ervin, “riflettere sulle possibilità di pace nel mondo, per poi finire con il parlare di crisi, trasformazione, obiettivi e valori, visioni del mondo, comprensione verso noi stessi e gli altri, arte, scienza, reli-gione e spiritualità. Più di tutto, parlammo di coscienza. Lo stato della coscienza umana, scoprimmo ben presto, è alla base di praticamente tutto”.

La conversazione si snoda attraverso un percorso che tocca l’importanza della trasformazione della coscienza e quella del modo di allevare i figli, passando poi ad altri

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fattori altrettanto importanti come la politica economica e le istituzioni politiche, per giungere infine alla conclusione che, come scrive ottimamente Peter Russell: “Tutti noi stiamo mettendo insieme i pezzi che ci consentono di dare più significato alle nostre vite, rendendole più felici, sane e attente ai bisogni propri e altrui. Ogni singolo pezzetto conta; a volte, proprio quel nuovo piccolo pezzetto può costituire il pezzo mancante che, facendo da anello di congiunzione tra gli altri, conduce ad una svolta nella nostra vita, ad un risveglio spirituale. Se pensiamo di dover cambiare gli altri, non cogliamo il punto. Questo ci fa pensare che siamo in qualche modo speciali. Ci mette in una posizione di comando nel provare a controllare la situazione. Siamo tutti parte della stessa onda di maremoto. La domanda più importante che dobbiamo porci è: come posso allineare maggiormente la mia vita a quell’onda? Come posso agevolare un po’ quel cambiamento contribuendo anch’io nel mio piccolo?”.

Stanislav Grof, Peter Russell e Ervin Laszlo hanno, in questo libro come in molti altri, fatto sì, a parer mio, che più persone giungessero a trovare la risposta a questa domanda.

Ken Wilber

INTRODUZIONE

Nell’estate del 1996, Stan Grof, Peter Russell e io tra-scorremmo insieme due intense giornate, prima sulla terraz-za a casa di Stan, situata tra i boschi fuori Mill Valley, California, e poi ospiti della casa galleggiante di Pete nel porto di Sausalito. Davanti a noi, un registratore e una lista di domande alle quali eravamo ansiosi di trovare una rispo-sta, un chiarimento, tanto per noi stessi quanto per gli altri. Uwe Morawetz, dell’Università Internazionale della Pace di Berlino, ci aveva chiesto infatti di riflettere sulle possibilità di pace nel mondo, cosa che ci portò alla fine a parlare di crisi, trasformazione, obiettivi e valori, visioni del mondo, comprensione verso noi stessi e gli altri, arte, scienza, reli-gione e spiritualità. Più di tutto, parlammo di coscienza. Lo stato della coscienza umana, scoprimmo ben presto, è alla base di praticamente tutto. Possiamo cambiare ed evolvere la nostra coscienza in modo da trascendere l’attuale tenden-za del mondo alla crisi “fuori”, e l’attuale crisi che ossessio-na le nostre menti “dentro”? Posta la domanda in questi ter-mini, ne conseguì una riflessione su come il fuori e il dentro siano in relazione tra di loro. Ciò fece, a sua volta, sorgere interrogativi sulla natura della mente e del mondo e su cosa stiamo cominciando a scoprire in tal senso. Ritornammo quindi a parlare del mondo che ci circonda interrogandoci su come fare uso in maniera concreta ed effi-cace di ciò che avevamo cominciato a chiamare la nuova mappa emergente della realtà.

Il mio ruolo nella conversazione era duplice: vi

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prendevo sì parte, ma contemporaneamente dovevo fungere, come concordato, da moderatore, con il compito di non lasciare che la discussione sviasse, mantenendola ben fecalizzata sulle questioni attinenti alla pace nel mondo. In principio intendevo porre domande che avrebbero agito da catalizzatore portando la conversazione sulle tematiche prestabilite, ma presto scoprii che non era necessario. Una volta avviata, la discussione andò avanti da sé, appassionandoci tutti, come se si fosse accesa per combustione spontanea.

Piuttosto che per un’eventuale digressione, la mia prin-cipale preoccupazione si rivelò essere che ci trovavamo sem-mai troppo d’accordo l’uno con l’altro: una discussione presuppone un interagire tra punti di vista contrastanti. Fortunatamente i contrasti arrivarono, non orizzontalmente, imputabili a concetti e opinioni divergenti, ma verticalmen-te, illuminando le principali domande da diversi angoli e consentendoci in tal modo di scavare più a fondo alle loro radici e fondamenta.

Successivamente, in qualità di redattore del testo, avevo il compito di assicurare che la trascrizione della nostra con-versazione fosse leggibile e digeribile per il lettore. Non fu difficile. Ciascuno di noi aveva controllato il contenuto dei propri interventi facendo direttamente riferimento alla tra-scrizione letterale e fornendo poi un dischetto con il testo in versione definitiva. Questo avrebbe garantito al lettore che ciò che avrebbe letto su carta stampata sarebbe stato quello che avevamo effettivamente voluto dire. Dopo avere raccolto il materiale, mi assicurai solamente della sua adeguata continuità e coerenza stilistica ed espressiva, fornendo un’indicazione delle principali tematiche da noi discusse.

Ci auguriamo che seguire lo svolgimento della nostra conversazione durante quei due intensi e memorabili giorni in California possa trasmettere al lettore un po’ del senso di eccitazione e passione da noi stessi sentito e che, riflettendo

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su ciò che è stato detto, egli andrà ad approfondire tali rifles-sioni e discussioni, giungendo egli stesso a nuove percezio-ni.

Non mi resta che ringraziare Uwe Morawetz e i suoi colleghi dell’Università della Pace di Berlino per averci fatto incontrare. Siamo altresì grati a Christina Grof per l’ospita-lità che ci ha riservato nell’accoglierci nella loro casa: fu tutto talmente perfetto che se le idee che ne scaturirono hanno un qualche valore, lo dobbiamo senza dubbio anche alla grade-volissima atmosfera in cui potemmo condividerle.

Ervin Laszlo

Primo giorno - mattina

UN MONDO IN TRASFORMAZIONE

Valutazione delle possibilità di trasformazione

LASZLO: È un vero e proprio punto interrogativo se ci sarà possibile andare avanti nel mondo di oggi come abbiamo fatto fino ad ora senza innescare un processo a catena di crisi mettendo in pericolo la pace stessa. È un timore che si fa strada sempre più in noi, e ciò è testimoniato dall’importan-za che di questi tempi viene data alla parola “sostenibilità”.

Tutti parlano di sostenibilità, senza necessariamente ren-dersi conto di cosa ci sia in gioco. È qualcosa di nuovo e inaspettato nella storia della specie umana, il vivere in un modo in cui non si può più vivere. Ne dovrebbe conseguire necessariamente che dobbiamo cambiare. Temo che non sia neanche più una questione di se cambieremo, ma con quale tempismo ed efficacia cambieremo. Così, invece di discutere sempre sulle stesse cose di cui tutti gli esperti non fanno che parlare, semplicemente di quanti alberi vadano o non vada-no abbattuti e altre questioni e implicazioni di tipo strate-gico, dovremmo guardare dritti a quella che è la questione di fondo: ho il sospetto che le prime domande che ci dovrem-mo porre siano dove siamo, cosa siamo, e come guardiamo al mondo e a noi stessi.

Potremmo essere prossimi a trovarci di fronte ad un bivio senza precedenti. Fino ad oggi, i grandi bivi nella

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storia si sono analizzati in un secondo momento rispetto alla loro comparsa. Ma oggi sarebbe troppo rischioso. Dovremmo farci un’idea di cosa ci aspetta e agire conscia-mente per aumentare le nostre possibilità. Per poter racco-gliere questa sfida, dobbiamo fare un po’ di luce su alcuni dei fattori alla base dell’attuale cambiamento epocale.

Per cominciare suggerirei che se vogliamo sopravvivere e svilupparci, e già forse soltanto per non arrivare ad estin-guerci, dobbiamo considerare in modo nuovo il nostro modo di concepire l’universo, l’essere umano e l’idea stessa che abbiamo di progresso e sviluppo.

RUSSELL: Parli di estinzione, ma cos’è che rischia di estin-guersi? Non credo che arriveremo a distruggere la vita su questo pianeta. La vita è molto forte. Molte importanti spe-cie si sono estinte nel passato, ma la vita si è affermata. In effetti, se non fosse stato per l’immane catastrofe che ha determinato la scomparsa dei dinosauri 65 milioni di anni fa, e l’85 per cento delle altre specie di allora, l’essere umano potrebbe non essersi mai evoluto. Può darsi che l’uomo sia oggi causa di un’altra importante estinzione di specie. In tal caso, sarà la prima volta che ciò è stato provocato da una delle specie stesse del pianeta, cosa che fa di questo un evento senza precedenti, ma la vita tornerà ad affermare se stessa. Se si dovesse effettivamente verificare tale estinzione di specie importanti, ne conseguirebbe di certo la nostra autodistruzione, ma non arriveremo a far scomparire del tutto la vita su questo pianeta.

Lo scenario peggiore che si potrebbe prospettare è quel-lo della distruzione dello strato di ozono. Se arriviamo a tanto, la vita sulla terra non sarebbe più possibile. I raggi ultravioletti sono pericolosi tanto per gli insetti, le piante e i microrganismi quanto per gli esseri umani. Ma la vita marina continuerebbe; è esistita per miliardi di anni prima della

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formazione dello strato di ozono, e una volta che questo si fosse ricostituito, la vita potrebbe tornare ancora una volta a colonizzare la terra.

Non penso che questa prospettiva abbia molte probabilità di concretizzarsi. Cosa assai più probabile è il verificarsi di una serie di catastrofi economiche e ambientali di vaste pro-porzioni che porterebbero alla caduta della civiltà occiden-tale. Ma ciò non rappresenterebbe la fine dell’umanità. Vi sarebbero probabilmente sacche di popolazioni indigene sopravvissute che potrebbero alla fine dare vita a civiltà future, si spera più sagge delle nostre. Perfino la caduta della civiltà occidentale non implicherebbe necessariamente la nostra fine. Abbiamo assistito al collasso del sistema sovietico, ma ciò non ha significato la fine di tutte le sue genti. Ha comportato molti cambiamenti e tempi duri per molti, ma i più sono ancora vivi.

LASZLO: L’estinzione di specie, sfortunatamente, è sempre in agguato. Il forte sussulto avvertito dalla civiltà occidentale potrebbe avere della gravi conseguenze: il potenziale bellico e quindi distruttivo di cui disponiamo potrebbe distruggere, se non tutta la vita sulla Terra, tutte le sue forme più evolute, per rigenerare le quali occorrerebbero migliaia di anni, per-fino milioni nel peggiore degli scenari. Naturalmente la vita continuerebbe su questa Terra, poiché, salvo il verificarsi di una catastrofe di dimensioni cosmiche, la Terra continuerà ad esistere per altri miliardi di anni.

Ma prendiamo in esame un caso concreto. Oggi gli Stati Uniti contano su una eccedenza alimentare tale da coprire il fabbisogno della popolazione per circa 40 giorni. Ma questa è rimasta prerogativa degli USA. Se i paesi poveri dovesse-ro confrontarsi con una grave diminuzione del raccolto, non disporrebbero del denaro per importare i generi alimentari necessari. E comunque, queste scorte non durerebbero a lungo in caso di una grave crisi in Africa o in Asia.

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Cosa accade allora? Cosa accade se la capacità di sosten-tamento in termini di popolazione mondiale del pianeta Terra diminuisce da 6 miliardi a, diciamo, 5 o 4 miliardi? Cosa accade nel momento in cui la “restante” popolazione si vede ridotta a vivere al di sotto della soglia di sussistenza? Ne possono conseguire conflitti, epidemie di vaste propor-zioni, migrazioni di massa. L’intero sistema ne verrebbe scosso. Non voglio soffermarmi sull’aspetto apocalittico della questione, ma è indubbio il fatto che incombe su di noi una minaccia di tale entità che andrebbe a scuoterci fin nel profondo. Ciò significa che dobbiamo cambiare il modo occidentale di guardare alle cose.

Recentemente sono stato in Asia, e ancora una volta ho visto quante poche possibilità abbia la povera gente di cam-biare una realtà fatta di stenti. La maggior parte del genere umano vive quasi al limite della sussistenza, e questo con-tribuisce alla distruzione del sistema alla base della vita.

Abbiamo un problema a 360 gradi che non ci lascia scel-ta, se non quella di adattarci conseguentemente, e ciò signi-fica mutare la coscienza dominante. Questo è alla base del problema. Dobbiamo iniziare a pensare diversamente, a sen-tire diversamente, e a rapportarci l’uno con l’altro e con la natura in modo differente. Altrimenti, il pericolo che corria-mo è enorme. Ora ci troviamo tutti nella stessa barca. Credete che siamo capaci di cambiare? C’è una qualche pos-sibilità concreta di riuscire ad ottenere un radicale cambia-mento a livello della coscienza?

GROF: Per più di quarant’anni ho condotto ricerche su stati non ordinari di coscienza indotti da potenti forme esperien-ziali e sostanze psichedeliche in psicoterapia, oltre a quegli stati straordinari che si verificano spontaneamente. In tutto questo tempo, ho visto diversi esempi di profonda trasfor-mazione dell’individuo. Tali cambiamenti comportavano

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una significante riduzione dell’aggressività e un generale aumento della compassione e della tolleranza. Con l’accre-scersi della capacità di godersi la vita, si assisteva ad una notevole diminuzione dell’impulso insaziabile di perseguire obiettivi lineari, che sembrano esercitare un potere così magico sull’individuo del mondo occidentale industrializza-to e sulla nostra società tutta: la convinzione che più si ha meglio si sta, che la crescita economica illimitata e un pro-dotto nazionale lordo raddoppiato o triplicato ci renderanno tutti felici. Un altro rilevante aspetto di tale trasformazione era costituito dall’emergere di una spiritualità dalla natura universale e aconfessionale, caratterizzata dalla consapevo-lezza dell’unità alla base di tutta la creazione e di un profon-do legame che unisce gli individui, le specie, la natura e il cosmo intero.

Non nutro, dunque, alcun dubbio sul fatto che una profonda trasformazione della coscienza sia possibile nel-l’individuo e che aumenterebbe le nostre possibilità di sopravvivenza se avvenisse su scala sufficientemente ampia. Naturalmente, resta aperta la questione su se una tale tra-sformazione coinvolgerà una parte di popolazione sufficien-temente vasta in tempi sufficientemente brevi da poter fare una differenza. La questione pratica è se tale mutamento possa essere agevolato e con quali mezzi, e quali sarebbero i problemi che una tale strategia comporterebbe. Ma è nella stessa personalità umana che si vengono a trovare quei mec-canismi che potrebbero intervenire per una trasformazione profonda e desiderabile.

LASZLO: Stiamo assistendo ora a cambiamenti nel modo di pensare della gente che lasciano ben sperare per una prossi-ma e importante rivoluzione della coscienza. Come ce lo spieghiamo? Ha a che vedere con il fatto che ci sentiamo minacciati, o è un evento a sé, una semplice coincidenza?

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RUSSELL: Penso che un legame ci sia. Ma non credo che la minaccia incombente sia la causa della trasformazione, in quanto entrambe hanno la stessa origine: la coscienza materialistica della nostra cultura. Questa è la causa origi-naria della crisi globale; non la nostra etica degli affari, la nostra politica o anche lo stile di vita di ciascuno di noi. Questi non sono che sintomi di un problema ben più profondo. La nostra civiltà nel suo insieme è insostenibile. E la ragione della sua insostenibilità va ricercata nel fatto che il nostro sistema di valori, la coscienza con cui ci rela-zioniamo al mondo, è una modalità insostenibile della coscienza.

Ci hanno insegnato a credere che più cose possediamo, più cose facciamo, maggiore è il controllo che esercitiamo sulla natura, più saremo felici. È questa la causa del nostro agire così consumistico, basato sullo sfruttamento e noncu-rante del resto del pianeta, o anche degli altri nostri simili. È questa stessa modalità di coscienza che è insostenibile.

Oggi, solo il 10 per cento della popolazione umana è classificata come benestante: ovvero solo una ristretta fascia della popolazione è in possesso di risorse economiche tali da consentirle, dopo aver provveduto al cibo, al vestiario, alla casa e ad altre necessità fisiche, di acquistare beni di lusso. Ma queste persone consumano oltre i tre quarti delle risorse del pianeta. Appare ormai chiaro che ciò non è sostenibile; non c’è modo alcuno di rendere sostenibile un tale stile di vita nel futuro per l’intera popolazione umana, in particola-re per una popolazione in crescita.

La buona notizia è che si sta mettendo simultaneamente e diffusamente in seria discussione questa cultura materiale e la stessa coscienza materiale da cui ha origine: qui in occi-dente, dove si conduce la vita più lussuosa, sempre più per-sone cominciano a riconoscere che ciò non funziona; non ci da ciò che vogliamo veramente. Possiamo procurarci il cibo

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al supermercato. Possiamo viaggiare ovunque nel mondo, indossare abiti eleganti, vivere in ville di lusso. Ma ciò non soddisfa le nostre necessità più profonde, interiori e spiri-tuali. Nonostante tutte queste opportunità materiali, ci si sente depressi, insicuri e non amati come prima.

GROF: In un certo senso, è proprio la saturazione, il pieno appagamento delle necessità materiali che ha creato una crisi di significato e l’emergenza di bisogni spirituali nella società. Per lungo tempo ci hanno dato l’illusione e la falsa speranza che un aumento di beni materiali in sé e per sé e da solo possa essenzialmente cambiare la qualità della nostra vita e procurare benessere, appagamento e felicità. Ebbene, la ricchezza dei paesi occidentali industrializzati si è accre-sciuta terribilmente, in particolare in certi strati della società. Molte famiglie vivono nell’abbondanza: una casa grande, due frigoriferi colmi di cibo, tre o quattro macchine nel gara-ge, la possibilità di fare una vacanza ovunque nel mondo. E, tuttavia, niente di tutto questo risulta appagante; ciò a cui assistiamo è un aumento dei disturbi emotivi, abuso di stu-pefacenti e alcoolismo, criminalità, terrorismo e violenza tra le mura domestiche. C’è una mancanza generale di signifi-cato, valori e prospettive, un’alienazione dalla natura e una tendenza generalmente autodistruttiva. È la consapevolezza del fallimento della filosofia prevalente che rappresenta un punto di svolta nella vita di molte persone. Queste iniziano a cercare un’alternativa e la trovano nella ricerca spirituale.

LASZLO: È quasi come se ci fosse qualcosa nella psiche col-lettiva dell’umanità che stia lanciando un segnale d’allarme, incentivando al cambiamento.

RUSSELL: È anche simile a ciò che dovette attraversare il Buddha nella sua vita, prima di divenire il Buddha. Nacque

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in una famiglia molto ricca. Era un principe, il quale posse-deva tutto ciò di cui poteva aver bisogno: cibo prelibato, ogni genere di ricchezza, gioielli, baiadere, qualsiasi cosa potesse desiderare. Ma comprese che tutti questi agi non ponevano fine alla sofferenza, una sofferenza a cui assisteva tanto all’interno della sua famiglia e tra i cortigiani quanto tra il popolo là fuori. E così decise la sua missione: trovare un modo per porre fine alla sofferenza.

Oggi stiamo attraversando un processo parallelo. In ter-mini di benessere di cui godiamo oggi, la maggior parte di noi è perfino più ricca del Buddha principe. E, come lui, stia-mo cominciando a renderci conto che questo non fa cessare la sofferenza, a volte ne è la causa stessa. C’è un profondo interrogarsi collettivo sul significato della vita: Chi siamo? Perché siamo qui? Cos’è che vogliamo veramente? Non è solo uno di noi, ma milioni e milioni di persone che stanno cercando, al di là della cultura materiale, un significato più profondo, una pace interiore e un modo per soddisfare la loro fame spirituale.

LASZLO: Si intravedono segni di speranza. Se tutti fossero convinti del fatto che la loro felicità dipenda dal benessere materiale di cui godono e dall’accrescerlo secondo il modo in cui viene concepito comunemente il progresso, avere di tutto e di più, allora non vedremmo alcuna luce alla fine del tunnel. Se c’è un cambiamento concreto nel modo di pensa-re della gente, c’è speranza che stia emergendo una cultura più idonea.

GROF: HO lavorato con persone che si proponevano nella vita un obiettivo di portata tale da richiedere loro decenni di sforzi intensi e continui per raggiungerlo. E quando alla fine ottenevano lo scopo prefissatosi, cadevano in profonda depressione, poiché si aspettavano qualcosa che il

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raggiungimento di tale obiettivo non poteva dare loro. Joseph Campbell definì questa situazione “arrivare in cima alla scala e scoprire che poggia sul muro sbagliato”.

Questa ossessione per conseguimenti lineari di vario tipo è qualcosa che ci caratterizza tutti molto, individualmente ma anche collettivamente, in tutta la cultura occidentale: inseguire l’illusione di una felicità che sembra sempre esse-re raggiungibile nel futuro. Le cose non sono mai soddisfa-centi per come sono; sentiamo che qualcosa deve cambiare. Vogliamo apparire diversi, avere più denaro, potere, una posizione sociale più elevata, più fama, un partner diverso. Non viviamo appieno nel presente. La nostra vita è sempre all’insegna della provvisorietà, in vista di un futuro miglio-re. Questo costituisce un modello vuoto, insaziabile, che ci porta a condurre una vita noncuranti dei veri conseguimen-ti. Vediamo intorno a noi esempi di persone che hanno già conseguito ciò che pensiamo renda felici, Aristotele Onassis, Howard Hughes e molti altri, e ci rendiamo conto che per loro non ha funzionato, ma non impariamo la lezione; conti-nuiamo a credere che nel nostro caso sarebbe diverso.

Al contempo, ho visto più volte persone in grado di sco-prire le radici psicologiche di tale modello e riuscire ad estir-parle, o perlomeno a ridurre il potere che esso esercitava sulla loro vita. Ciò che accomunava queste persone era il rendersi conto di come tale atteggiamento nei confronti della vita sia strettamente connesso al fatto che è radicata nel nostro inconscio la percezione incompiuta del trauma subito con la nascita biologica. Siamo nati anatomicamente, ma non abbiamo del tutto assorbito e integrato il fatto che siamo sfuggiti alla morsa del canale da cui siamo venuti alla luce. È una memoria ancora viva nel nostro inconscio. Questo lascia in noi un’impronta attraverso cui filtriamo la realtà che ci circonda e il nostro ruolo in essa. Come il feto che lotta sul punto di venire alla luce, non possiamo godere

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della situazione presente. Cerchiamo una soluzione nel futu-ro, una soluzione che sembra essere sempre davanti a noi.

Gli esistenzialisti chiamano questa strategia autoproiezio-ne: immaginarsi in una situazione migliore nel futuro e poi inseguire questo miraggio. Si tratta di una strategia perden-te, indipendentemente dal raggiungimento o meno dell’o-biettivo, poiché non soddisfa mai le nostre aspettative. Porta soltanto ad una vita non autentica, incapace di soddisfare veramente; un tipo di esistenza che alcuni definiscono come una “corsa del topo” o una “ruota del mulino”. L’unica solu-zione è di fare un lavoro di introspezione e completare que-sto modello attraverso un processo di rinascita psicospiri-tuale. Il pieno appagamento deriva alla fine dall’esperienza della dimensione spirituale dell’esistenza e della nostra divi-nità, non dalla ricerca di obiettivi materiali di qualsivoglia genere o portata. Nel momento in cui si identificano corret-tamente le radici psicospirituali di tale modello di insaziabi-le avidità, ci si rende conto della necessità di cercare le rispo-ste dentro se stessi e di intraprendere una trasformazione interiore.

LASZLO: Questa consapevolezza è in fase di accrescimento?

GROF: Sembra proprio di sì. Sento che ha a che fare con il fatto che sempre più persone stanno giungendo alla conclusione che l’autoproiezione è una strategia perdente che porta al fal-limento, poiché hanno provato il senso di insoddisfazione che genera il successo materiale o, viceversa, hanno incontrato problemi insormontabili nel loro perseguimento di obiettivi esterni. In entrambi i casi non resta loro che ritrovare se stessi interiormente e iniziare un processo di trasformazione inte-riore. Inoltre, il fallimento stesso su scala globale della strate-gia basata su una crescita economica illimitata può rappre-sentare un fattore condizionante in questo processo.

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Sfortunatamente, molti di coloro che stanno vivendo una così radicale trasformazione sono oggetto di diagnosi sba-gliate da parte di psichiatri che li definiscono psicotici e pre-scrivono loro calmanti. Mia moglie Christina e io crediamo che vi sia un consistente sottogruppo di individui attual-mente in cura come psicotici e che in realtà stanno attraver-sando una difficile trasformazione psicospirituale, o “emer-genza spirituale”, come la chiamiamo noi.

RUSSELL: In un certo qual modo, la nostra intera cultura sta attraversando un’emergenza spirituale. Gran parte di ciò può essere attribuito ai cambiamenti avvenuti alla fine degli anni sessanta. Per la prima volta, un’ampia fascia di società iniziò a sfidare l’allora visione del mondo, contrapponendo-vi un altro modo di operare, un altro modo di relazionarsi tra individui e con il mondo che non fosse basato sul vecchio paradigma materialista.

Col senno di poi, molto di ciò che avveniva allora può apparirci oggi come ingenuo, ma le intuizioni di fondo non sono cambiate, e hanno lasciato un segno profondo nella nostra cultura. Tornando a quel periodo, la meditazione era vista come qualcosa di piuttosto strano. Oggi, molte persone praticano la stessa forma di meditazione; ne è previsto l’in-segnamento anche presso alcuni luoghi di lavoro. È divenu-ta un’attività di tutto rispetto. Lo stesso dicasi per lo yoga. Negli anni sessanta era considerato d’avanguardia. Oggi, sono in milioni a praticarlo.

Oppure, prendete la psicoterapia. In passato, rivolgersi ad uno psicologo lasciava pensare a gravi problemi psicolo-gici; si veniva considerati come seriamente disturbati. Oggi, in California, è vero il contrario: non sottoporsi a psicotera-pia è sintomo che c’è qualcosa che non va in te. Anche colo-ro che consideriamo come psicologicamente sani stanno constatando che potrebbero non star vivendo ancora tutto il

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loro potenziale, e riconoscono di aver bisogno di aiuto per far luce su quegli atteggiamenti e modalità di pensiero che potrebbero trattenerli dall’esprimerlo appieno.

Trent’anni fa si nutriva poco interesse per lo sviluppo delle proprie capacità. Oggi, è all’ordine del giorno. Ai tempi in cui ero studente a Cambridge, negli anni sessanta, la libre-ria principale, una delle più fornite in Gran Bretagna, desti-nava soltanto uno scaffale a testi di filosofia esoterica e dot-trine spirituali. Oggi, basta andare in qualunque città per trovare almeno una libreria, se non con tutta probabilità una mezza dozzina, che riservi un intero reparto a testi sulla coscienza e su concetti metafisici.

È il mercato a testimoniare l’aumentare di tale interesse. Da diversi anni ormai, circa il 50 per cento, e a volte anche di più, dei libri più venduti tratta lo sviluppo delle proprie capacità, la spiritualità, o la coscienza. Questo è ciò che la gente legge, ciò a cui è interessata. Lo stesso dicasi per i film al cinema o alla televisione, le riviste, e addirittura Internet. È un’onda che sta rapidamente travolgendo tutti.

LASZLO: Tutto ciò solleva una questione che mi ha sempre affascinato e continua ad affascinarmi sempre più, ovvero che sussista la possibilità che noi, in quanto individui, non siamo prigionieri del nostro cranio e intrappolati nella nostra pelle, ma siamo intimamente legati l’uno all’altro, e forse a tutta la vita su questo pianeta. Ciò fa sì, che quando si presenta una situazione come quella attuale che ci vede minacciati da un pericolo imminente, vi sia come qualcosa che, sebbene la maggior parte della gente non ne sia consa-pevole consciamente, penetri nella sua mente, attivi segnali d’allarme, la focalizzi sul cambiamento, e lo incentivi. Forse non è del tutto esagerato dire che vi è qualcosa come una mente dell’umanità, una noosfera, un inconscio collettivo operante in tutti noi e intorno a noi, il quale sta cominciando

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a manifestarsi a livello della coscienza individuale. Potrebbero esserci forze operanti in questo mondo al di là di quelle economiche, politiche e sociali consuete. Ciò è importante per la nostra sopravvivenza; la situazione appa-rirebbe quasi senza speranza se vista unicamente alla luce degli usuali fattori; con loro non faremmo mai in tempo a cambiare.

Il fatto è che ci sono dei tempi da rispettare insiti nelle dinamiche del nostro mondo, e non sono da sottovalutare. Si sarebbe dovuto attuare ieri il cambiamento, per dire, per evitare la crisi domani. Ma se c’è qualcosa nel nostro incon-scio collettivo che può penetrare nella nostra coscienza individuale, allora la situazione non sembra poi così dispe-rata.

GROF: Non potrei essere più d’accordo. Gli eventi nel mondo non sempre seguono una logica lineare. Sia tu, Ervin, che io proveniamo dall’Europa dell’est e ne abbiamo seguito con grande interesse gli sviluppi politici. Penso che conveniate con me sul fatto che se qualcuno ci avesse preannunciato la caduta del muro di Berlino di lì a poco, ne avremmo sorriso, e avremmo lasciato cadere l’argomento ritenendola una sciocca fantasia. Altrettanto improbabile ci sarebbe sembra-to che, dopo 40 anni di totalitarismo e controllo politico dispotico da parte dell’Unione Sovietica, Gorbaciov avrebbe semplicemente perso interesse su paesi satellite, come l’Ungheria, la Cecoslovacchia, la Polonia e altri ancora, accordando loro la libertà. E di certo, non sarebbe stato faci-le prevedere che praticamente dall’oggi al domani, l’Unione Sovietica si sarebbe semplicemente disintegrata e avrebbe cessato di esistere come superpotenza. Non c’era modo alcuno per cui questi eventi si sarebbero potuti prevedere semplicemente deducendoli dal passato. Dove-vano esserci altri fattori in gioco.

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LASZLO: Che tali processi avvengano in maniera non lineare e inaspettata, avremmo dovuto saperlo, ben conoscendo il modo in cui i sistemi complessi operano e trasformano. Le più grandi trasformazioni non si possono prevedere nel det-taglio; tutto ciò che possiamo dire è che porteranno con sé novità radicali. Ma ha un tale rivoluzionario cambiamento a che fare anche con i processi a cui è soggetta oggi la nostra mente? È prossimo anche l’avvento di un cambiamento a livello di coscienza, un cambiamento la cui forza e profon-dità si andranno manifestando già nei prossimi anni, sebbe-ne oggi se ne avverta la presenza soltanto in minima parte? Potremmo essere sul punto di varcare la soglia di una delle più grandi rivoluzioni della coscienza?

RUSSELL: È certamente possibile. Se l’interesse nello svilup-po personale continua a crescere alla velocità attuale, e tale interesse viene a tradursi in un vero e proprio cambiamento a livello della coscienza, allora potremo assistere ad un pro-cesso di reazione positivo che condurrà ad un’accelerazione esponenziale del risveglio interiore. Più le persone sono soggette al cambiamento, più impariamo circa i fattori che promuovono il risveglio interiore, e più incoraggiante sarà l’ambiente sociale per un più ampio e veloce risveglio di massa, cosa che a sua volta agevolerà ancora di più un cambiamento della coscienza in un maggior numero di individui. Ciò potrebbe ben portare ad una grande evoluzione collettiva a livello della coscienza.

Morte e rinascita: estinzione e rinnovamento

RUSSELL: Se è possibile una rivoluzione della coscienza, lo sono altrettanto diversi altri scenari. Come appena detto, viviamo tempi imprevedibili. La velocità con cui avvengono

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i cambiamenti è così sostenuta e il mondo così complesso, che nessuno può prevedere come sarà quest’ultimo nei pros-simi dieci o anche cinque anni. L’unica cosa certa è che assi-steremo a molte cose inaspettate. Alcune di queste possono essere costituite da disastri, importanti assestamenti politici, e anche grandi mutamenti a livello della coscienza. Ma non penso che possiamo prevedere esattamente cosa accadrà e come. Dobbiamo aspettarci di tutto.

LASZLO: O anche niente, il che sarebbe peggio.

RUSSELL: Niente non sarà.

LASZLO: Quello che intendo è che potremmo non essere qui ad assistervi.

RUSSELL: Forse no. E questa certamente è una grande paura. È anche una paura che dobbiamo guardare più in profon-dità, poiché è chiaramente collegata alla paura della morte.

La nostra morte è l’unica cosa di cui siamo certi nella vita. Esserne consapevoli è un prezzo che paghiamo per essere coscienti della nostra individualità, e per essere in grado di guardare al futuro. La morte è l’unica cosa inevita-bile; tuttavia, la maggior parte di noi vive la propria vita come se ciò non si dovesse mai verificare. Evitiamo di pen-sarci. Viviamo la nostra vita negando l’unica cosa che non può essere negata.

Lo stesso dicasi a livello collettivo. Temiamo la fine del mondo, la fine della nostra civiltà. Ma forse anche questo è inevitabile. Dopotutto, nessuna civiltà nel passato è durata per sempre. Perché per la nostra dovrebbe essere diverso? Psicologi e insegnanti spirituali ci dicono che accettare e addirittura far propria la mortalità individuale è una delle cose più sane e liberatorie che possiamo fare. Forse

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dovremmo fare lo stesso collettivamente; accettare e fare nostra la fine del mondo come noi lo conosciamo.

Solitamente facciamo il contrario. La neghiamo, ci oppo-niamo ad essa. Non vogliamo che accada; probabilmente perché non vogliamo dover rinunciare alla vita confortevole a cui siamo così attaccati. Ma potremmo doverla accettare alla fine. E tale accettazione potrebbe essere quel bottone che ci apre nuove possibilità per un modo più ricco e spirituale di guardare alla vita.

LASZLO: Tuttavia, credo che l’umanità in quanto una specie, abbia la capacità di trasformarsi e rinnovarsi.

RUSSELL: In linea di principio, sì. Ma, penso che dobbiamo anche aprirci alla possibilità che sia troppo tardi, che il tempo è scaduto.

LASZLO: Questa è una sensazione che, anche io, sto avendo sempre di più. In effetti, il tempo a nostra disposizione potrebbe essere sul punto di esaurirsi.

RUSSELL: Dovremmo essere aperti a questa possibilità. Il più grande pericolo starebbe nel reprimerla.

GROF: Le osservazioni ed esperienze fatte in anni di lavoro mi hanno portato a vedere la morte in un più ampio conte-sto, da una prospettiva spirituale. In stati non ordinari di coscienza, l’incontro psicologico con la morte è l’elemento chiave nella trasformazione psicospirituale. Quando ci si confronta con la morte con una modalità simbolica nell’au-toesplorazione interiore, ciò favorisce un’apertura spiritua-le, un’esperienza mistica. L’incontro con la vera morte biologica può essere usato per lo stesso scopo. Ad esempio, secondo la tradizione tantrica tibetana e indiana, si

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deve trascorrere del tempo presso luoghi di sepoltura e cremazione sperimentando il contatto con morenti e salme. Tale esperienza viene vista come molto importante nell’ambito della pratica spirituale.

Quando ci confrontiamo con la morte internamente, ciò che accade è che non percepiamo la morte biologica ma ciò che può essere chiamata come morte dell’ego. Scopriamo che non siamo l’ego corporeo o ciò che Alan Watts chiamava “l’ego incapsulato nella pelle”. La nostra nuova identità tra-scende i propri confini: iniziamo ad identificarci con altre persone, con gli animali, la natura, e con il cosmo nel suo insieme. In altre parole, sviluppiamo un Sé spirituale o transpersonale. Ciò porta automaticamente ad una tolleranza razziale, culturale, politica, e religiosa, nonché ad una più elevata consapevolezza ecologica. E questi sono cambiamenti che potrebbero diventare estremamente importanti nell’attuale crisi globale.

Qualcosa di analogo accade anche in coloro che hanno vissuto l’esperienza della premorte. Questi ne escono profondamente trasformati, con nuovi valori e una nuova strategia di vita. Essi vedono la vita come molto preziosa e non vogliono perderne neanche un minuto. Non vogliono sprecare tempo autoproiettandosi; ciò significa che vivono realmente nel presente.

Potendo guardarsi indietro, tutto il tempo passato ad inseguire qualche miraggio di appagamento futuro è tempo sprecato. Nell’attimo in cui ci troviamo a guardare alla vita trascorsa, dal momento in cui sopraggiunge la morte, solo il tempo in cui abbiamo vissuto appieno il presente ci sembra essere tempo ben speso. Questa è la grande lezione che rice-viamo quando ci confrontiamo con la morte, sia che si tratti di un incontro reale con la morte biologica che simbolico nel corso di sedute di meditazione, psichedeliche, di respirazio-ne olotropica, o durante crisi psicospirituali spontanee.

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RUSSELL: Sono appena passato attraverso un’esperienza con una cara amica morta proprio poche settimane fa. Sapevo che stava morendo di cancro e vi ero stato preparato per oltre un anno. Quando venne a mancare, la mia reazione immediata fu, anche io devo morire. Dapprima, non capivo bene il sentimento che provavo, ma nel lasciare che affluisse in me, capii che si trattava del bisogno di morire a livello del-l’ego così da poter vivere più pienamente.

Poche settimana più tardi, incontrai il suo compagno e scoprii che anch’egli aveva avuto un’esperienza piuttosto simile, sebbene vissuta molto più profondamente. Mi disse che quando lei morì, anch’egli morì. Il rendersi conto di come sia inevitabile la morte e di ciò che essa significa lo toccò così in profondità che ne uscì rianimato in modo del tutto nuovo. Disse: “Non ho intenzione di perdere un altro minuto di più della mia vita. Non intendo rifiutare un’altra opportunità per vivere veramente la vita”. In un certo qual modo, parte di lui morì e parte rinacque con la morte della sua amata. Fu un’esperienza assai potente e toccante.

LASZLO: HO vissuto una profonda esperienza personale recentemente, quando mi trovavo ad Auroville, in India. Mi capitò di non riuscire a dormire per tutta una notte, e non sapevo spiegarmene la ragione. Il giorno successivo, appresi che mia madre era morta. Il giorno seguente andai verso nord, a Dharamsala, per incontrare il Dalai Lama. Vi tra-scorsi tre giorni, incluso quello che i tibetani considerano cri-tico, il quarto giorno dopo la morte di qualcuno a noi caro. Questo è il giorno in cui lo spirito del dipartito inizia la sua transizione. A contatto con i lama tibetani, ciò che sentivo era che no, non è la fine. C’è una continuità. Fu un’esperien-za molto profonda, e molto diversa da come sarebbe stata in Occidente. Da allora l’ho sempre portata con me in qualche modo. La perdita si fa sentire, ma la sensazione che provo è

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quella che non si tratti di una perdita assoluta, che non sia la fine di qualcosa, ma una trasformazione.

GROF: Sembra proprio il tipo di consapevolezza che le per-sone acquisiscono in seguito a potenti esperienze trasfor-mative: la morte non è la fine assoluta dell’esistenza; rap-presenta un’importante transizione verso un’altra forma d’essere.

LASZLO: In Oriente la conoscenza sulla vita, la morte e la rinascita è stata tramandata per migliaia di anni. Ora queste stesse intuizioni le stiamo riscoprendo anche in Occidente.

GROF: Proprio così, molta di questa consapevolezza ha risie-duto per secoli o anche millenni in diverse parti del mondo. Quando cominciai il mio lavoro di ricerca psichedelica qua-rant’anni fa, adottai un approccio psicanalitico di tipo freu-diano, che offriva un modello della psiche piuttosto limitato e superficiale. Nel corso di più sedute condotte con l’impie-go dell’LSD, tutti i soggetti in esame prima o poi trascende-vano il quadro di riferimento fornito da Freud, limitato alla biografia postnatale e all’inconscio individuale. Queste ini-ziarono a mostrare un’ampia tipologia esperienziale non documentata dalla teoria freudiana e dalla psichiatria occi-dentale. Passai tre anni a registrare pazientemente tali espe-rienze, con la convinzione di creare una nuova cartografia della psiche umana. Allora attribuivo il merito di questa sco-perta all’LSD, un potente nuovo strumento di ricerca. Comunque, completata questa mappa con tutti i dati espe-rienziali possibili raccolti durante le sedute psichedeliche, mi resi conto che la nuova mappa non era affatto nuova, ma una riscoperta di una mappa molto antica.

Molte delle esperienze che figuravano nella mia carto-grafia erano descritte nella letteratura antropologica sullo

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sciamanismo, la più antica arte di guarigione, nonché reli-gione dell’umanità. Nello sciamanismo, gli stati non ordina-ri di coscienza svolgono un ruolo assolutamente cruciale sia durante le crisi d’iniziazione, attraverso cui passano molti sciamani novizi all’inizio della loro carriera, che nelle ceri-monie di guarigione sciamaniche. Esperienze analoghe venivano anche riportate nel libro “Riti di trapasso”, impor-tanti rituali descritti per la prima volta dall’antropologo olandese Arnold van Gennep: tali rituali vengono eseguiti presso le culture indigene in occasione di transizioni biolo-giche e sociali critiche, come la nascita di un bambino, la cir-concisione, la pubertà, il matrimonio, la menopausa, l’invec-chiamento e la morte. Nel celebrare questi riti, gli indigeni si avvalgono di metodi simili a quelli degli sciamani (“tecno-logie del sacro”) per indurre stati non ordinari di coscienza: il suono prodotto da un tamburo, la danza, l’intonazione di canti, l’isolamento sociale e sensoriale, il digiuno, la priva-zione del sonno, il dolore fisico e le piante allucinogene. Gli iniziati vivono tutti profonde esperienze di morte e rinascita psicospirituale.

Molte esperienze descritte nella mia ampia cartografia della psiche possono essere ritrovate anche nella letteratura sugli antichi misteri della morte e rinascita, piuttosto popo-lari e diffusi nell’antichità dal Mediterraneo all’America cen-trale. Essi si basavano tutti su mitologie che descrivono la morte e la rinascita di divinità, semidei ed eroi leggendari; le storie di Inanna e Tammuz, Iside e Osiride, Dioniso, Attis, Adone, Quetzalcoatl, e gli Eroici Gemelli Maia. In questi misteri, gli iniziati venivano sottoposti a varie pratiche che comportavano l’alterazione dello stato mentale e vivevano potenti esperienze di morte e rinascita.

Il più famoso di questi rituali era costituito dai misteri eleusini celebrati ogni cinque anni per un periodo di quasi 2.000 anni ad Eleusi vicino Atene. Un affascinante studio

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condotto da Gordon Wasson (che fece conoscere all’Europa i magici funghi messicani), Albert Hoffmann (lo scopritore dell’LSD), e Carl Ruck (un accademico greco) individuò quale chiave degli eventi al centro dei misteri eleusini la bevanda sacra ciceone, una pozione psichedelica a base di ergot1 e dagli effetti simili all’LSD. Quando mia moglie Christina e io visitammo Eleusi, scoprimmo che il numero di persone iniziate ogni cinque anni presso il Telesterio, l’edi-ficio principale del santuario, superava i 3.000. Ciò doveva avere avuto un’influenza straordinaria sull’antica cultura greca e attraverso di essa sulla cultura europea in generale, cosa non riconosciuta dagli storici.

L’elenco degli iniziati nei misteri greci annovera perso-nalità dell’antichità quali Platone, Aristotele, Epitteto, Pindaro, Euripide e Eschilo, Alcibiade e Cicerone. Alla luce di questi fatti, mi fu ovvio che le scoperte fatte nel condurre ricerche sugli stati non ordinari di coscienza erano in realtà riscoperte di un’antica conoscenza e saggezza. Tutto ciò che facemmo fu di riformularle in termini moderni.

RUSSELL: Sì, stiamo riscoprendo una saggezza più volte riscoperta da molte culture. Ciò che stiamo esplorando è la natura della mente umana, la quale nella sua essenza non è cambiata significativamente nel corso della storia dell’uo-mo. Ciò che è cambiato è ciò di cui siamo coscienti, la nostra conoscenza, la nostra comprensione del mondo, le nostre convinzioni, i nostri valori. Queste possono aver subito un cambiamento considerevole. Ma il modo in cui la mente rimane intrappolata, in cui veniamo colti da paura, diven-tiamo vittime dei nostri stessi attaccamenti materiali e desi-deri, è cambiato ben poco. Le dinamiche di fondo della

1Fungo della segale cornuta (N.d.T.).

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mente sono le stesse oggi di quelle di 2.500 anni fa. Questo è il motivo per cui possiamo ancora trarre un così grande van-taggio dal leggere Platone o le Upanishad2.

Attraverso la storia dell’uomo, vi sono stati coloro che hanno riconosciuto l’esistenza di un enorme potenziale inu-tilizzato a livello della coscienza umana. Molti di essi hanno scoperto da soli una diversa modalità di consapevolezza, una che conduce ad un più grande senso di pace interiore e ad un relazionarsi più ricco e armonioso con il mondo cir-costante, meno condizionato da paura e da un pensare ego-centrico. Parliamo dei santi, saggi, e sciamani appartenenti ad ogni cultura. Molti di questi hanno cercato di aiutare gli altri affinché si risvegliassero a questa modalità di coscienza più libera, e hanno sviluppato una serie di tecniche e prati-che volte a liberare la mente dai suoi limiti. In un modo o nell’altro hanno tutti cercato di aiutare il prossimo ad anda-re oltre a quella modalità egoica di consapevolezza.

LASZLO: Potrebbe il diffondersi di tali intuizioni e tecniche nel mondo occidentale influire in maniera significativa sul nostro modo di agire, sul modo in cui ci stiamo relazionan-do l’uno con l’altro, e con la natura?

GROF: Credo per certo che potrebbe influenzare profonda-mente la nostra visione del mondo e cambiare il nostro approccio pratico alla vita. Se guardiamo alla visione del mondo della civiltà industriale occidentale e la raffrontiamo con quella delle culture antiche e indigene, ne emerge una profonda differenza, ad esempio in termini di profondità e qualità della nostra conoscenza del mondo materiale. La

2 (Dottrina esoterica) Nome generico di un gruppo di t e s t i sanscriti di contenuto religioso-filosofico (N.d.T.).

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scienza occidentale ha senza dubbio il merito di aver fatto numerose scoperte, dal mondo dell’astrofisica al mondo quantistico, concetti di cui gli antichi e gli indigeni non sape-vano nulla. Tutto ciò è piuttosto naturale, qualcosa che viene col tempo e il progresso, qualcosa che ci si aspetta.

Tuttavia, vi è un altro aspetto di tale differenza veramen-te straordinario e sorprendente. Si tratta del fondamentale disaccordo in merito alla presenza o assenza della dimensio-ne spirituale nell’universo. Per la scienza occidentale, l’uni-verso è essenzialmente un sistema materiale creatosi da sé. La qual cosa si può ben comprendere, almeno in linea di principio, con riferimento alle leggi naturali. Vita, coscienza, e intelligenza sono viste più o meno come prodotti margina-li della materia. Diversamente, le culture antiche e aborige-ne hanno un concetto di un universo dotato di un’anima, con diverse dimensioni a noi invisibili tra cui quella spiri-tuale, che costituisce un aspetto importante della realtà.

Tale differenza tra le due visioni del mondo è stata soli-tamente attribuita alla superiorità della scienza occidentale rispetto alla superstizione primitiva. Gli scienziati materiali-sti vedono nel concetto di spiritualità mancanza di cono-scenza, superstizione, fantasie dettate da meri desideri, visione magica primitiva, immaginazione infantile proiettata sul cielo, o grave psicopatologia. Ma nel guardare ad essa più da vicino, ci rendiamo conto che la ragione di tale diffe-renza risiede altrove. Dopo quarant’anni di ricerca sulla coscienza, sento fortemente che la vera ragione sta nell’inge-nuità e ignoranza della civiltà industriale occidentale riguardo agli stati non ordinari di coscienza. Tutte le culture antiche e indigene attribuivano una grande importanza agli stati non ordinari di coscienza. Col tempo, svilupparono pratiche sicure ed efficaci atte ad indurre tali stati, i quali avevano molteplici funzioni e costituivano lo strumento principale per la vita rituale e spirituale, per la diagnosi e la

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guarigione di malattie, per affinare l’intuizione e la perce-zione extrasensoriale, e per l’ispirazione artistica.

RUSSELL: Ho accennato prima al fatto che molto dell’aumen-tare attuale dell’interesse nella coscienza può ricondursi agli anni sessanta. È interessante notare come questo processo di cambiamento sia stato in molta sua parte innescato dagli stati non ordinari di coscienza. È stata la prima volta nel corso della nostra storia che la terapia psichedelica ha otte-nuto un così ampio consenso, portando un gran numero di persone a vivere tale esperienza. E ciò ha avuto un impatto assai profondo. Molta di questa gente è uscita profonda-mente cambiata da tale esperienza; uno stato interiore che non è più andato via.

Ricordo quando a Timothy Leary fu chiesto nei primi anni ottanta dove fossero andati a finire tutti i figli dei fiori. La sua risposta fu che erano andati a seminare. E questo è esattamente ciò che è accaduto. Oggi, queste stesse persone hanno superato i quaranta o cinquant’anni d’età. Qualcheduno ha scelto sì l’isolamento sociale, ma la mag-gior parte ha fatto ritorno nella società, si è sposata, ha avuto figli, e si è costruita una carriera da sé. Non pochi si sono fatti una posizione sociale rispettabile e potente. Ne conosco alcuni che sono diventati presidenti di grandi aziende, o che rivestono ruoli di responsabilità nell’industria del diverti-mento, altri ancora ricoprono alte cariche a livello governa-tivo, nell’istruzione e nella sanità. Per molti di loro, la visio-ne e le intuizioni acquisite negli anni sessanta sono rimaste. E alcuni si stanno effettivamente avvalendo di questa loro influenza da poco scoperta per fa penetrare un po’ di quella visione nel mondo.

Un altro importante sviluppo a cui abbiamo assistito negli anni recenti è stato il crescente interesse scientifico per la coscienza, in passato ignorata. La scienza aveva le

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sue buone ragioni: non la si può misurare come per altre cose; non le si può trovare una collocazione precisa; non la si può neanche definire con facilità. Il mondo fisico sembra funzionare perfettamente anche senza la necessità di inclu-dervi la coscienza, con il risultato che ben poco interesse fu dimostrato per la sua esplorazione. Ma oggi le cose stanno cambiando. E questo è dovuto in parte alle nostre più ampie conoscenze in merito alle funzioni cerebrali, la qual cosa sta portando alla ribalta la questione coscienza. Scienziati e filosofi stanno cominciando a chiedersi: cos’è la coscienza? Come interagisce con l’attività cerebrale? Come si è evoluta? E da dove proviene? Negli ultimi anni abbia-mo assistito allo svolgersi di diverse conferenze scientifi-che a livello internazionale sull’argomento, nonché all’u-scita di una nuova rivista scientifica, La Rivista degli Studi Scientifici.

Tale apertura all’esplorazione della coscienza è in parte la conseguenza di sviluppi scientifici, ma credo che la si debba anche molto al gran numero di persone che hanno vissuto l’esperienza degli stati non ordinari di coscienza. Se c’è una cosa che quest’esperienza fa è di rivoluzionare il proprio atteggiamento verso la coscienza. Come tu stesso hai detto, Stan, non si può vivere una così profonda esperienza e non uscirne con la convinzione che c’è qualcosa in cui i nostri modelli mentali e la nostra realtà mancano gravemente.

Sono del parere che ci troviamo ora nel mezzo di una profonda e diffusa rivoluzione nel nostro modo di vedere la realtà. I vecchi modelli materialistici stanno cominciando a perdere la loro presa, e noi stiamo gradualmente mettendo insieme i pezzi di una nuova comprensione. E la direzione verso cui ci stiamo muovendo lascia intravedere che il nuovo modello includerà mente e coscienza quale aspetto fondamentale della realtà.

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LASZLO: Questo cambiamento si sta realizzando nonostan-te la scienza non se ne renda conto, o addirittura non lo voglia. A volte, si cambia o ci si rinnova malgrado se stes-si; senza sapere da dove originano i cambiamenti. Nel mio caso, ho avuto un’esperienza che risale a circa sei o sette anni fa pertinente all’argomento. Mi venne un’idea che pensavo avrebbe avuto vita breve, tuttavia ne ritenevo interessante l’esplorazione. Scrissi un piccolo saggio sul-l’argomento che fu pubblicato solo in italiano dal titolo L’ipotesi del campo Psi. Dopodiché me ne sarei dimenticato del tutto, se non fosse stato per altre persone che me lo impedirono. Per diversi anni dopo la sua pubblicazione, la gente continuava a contattarmi e a parlare del libro, facen-done anche oggetto di ricerca. Ciò mi fece riflettere sulla possibilità che forse c’è qualcosa di più. È un’idea questa, che non mi sono ancora levato dalla mente...anzi, si è impadronita di me in maniera del tutto inaspettata. Ci sto giusto lavorando, e più ci lavoro, più trovo che c’è vera-mente qualcosa nel cosmo che corrisponde ad un campo psi, ad un campo di interconnessione costituito da sottili informazioni.

Tali intuizioni non sono del tutto frutto del mio conscio. Non sono sicuro del perché mi sia trovato a fare simili ragio-namenti; non c’era niente nella mia mente prima di allora che avrebbe potuto portarmi a farne.

Trovo che questo genere di cose stia accadendo nel mondo di oggi sempre più. È un po’ come se qualcuno fosse spinto a condurre delle esplorazioni. Potrebbe anche essere un segno dei tempi, una conseguenza del fatto che stiamo vivendo in un’era storica instabile e in fase di trasformazio-ne. La domanda è, sono abbastanza veloci questi cambia-menti? Saranno sufficienti? Certamente, non sono del tutto prevedibili. Ma possiamo essere ragionevolmente ottimisti circa l’effetto che avranno?

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Una rivoluzione della coscienza?

RUSSELL: Lasciate che vi racconti una cosa, successa circa quattro anni fa, che ha influito non poco sul mio lavoro e su di me. All’epoca, tenevo conferenze promozionali per il mio nuovo libro, The White Hole in Time,, che mi portavano ad attraversare in lungo e in largo il territorio degli Stati Uniti. Il tema principale che trattavo nel corso dei miei inter-venti ricalcava molto quello oggetto del nostro attuale discorrere. Ciò su cui invitavo a riflettere era il fatto che la crisi che ci troviamo ad affrontare oggi è, alle sue radici, una crisi di coscienza, e se vogliamo salvare il mondo allora dob-biamo adoperarci di più che non semplicemente salvaguar-dare le foreste pluviali, dichiarare guerra all’inquinamento, ridurre le emissioni di anidride carbonica e porre fine alla distruzione dello strato di ozono. Dobbiamo liberarci anche dall’egocentrismo, una modalità di coscienza materialistica da cui originano queste problematiche. Altrimenti non fac-ciamo che trattare i sintomi del problema, non la causa sca-tenante; ci limitiamo a mettere delle pezze alla problematica di fondo.

Mi scoprii ad ascoltarmi mentre parlavo e a pensare che c’era qualcosa che non andava. C’era una dissonanza tra ciò che dicevo e ciò che veramente pensavo. Non stavo dicendo ciò che pensavo veramente. Si trattava di cose alle quali avevo creduto nel passato, ma il mio modo di vederle era gradualmente cambiato e mi resi conto che non mi sentivo più quello di un tempo. Parlavo di cose che appartenevano al mio passato e ciò mi faceva sentire a disagio.

Il tutto raggiunse una crisi risolutiva un giorno a Dallas. Stavo conducendo un talk-show radiofonico, quelli in cui la gente chiama per fare domande e commenti, e rimasi stupi-to nel rendermi conto che nella maggior parte delle telefo-nate gli interlocutori negavano del tutto l’esistenza di

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una crisi ambientale, o perlomeno una che costituisse un pericolo per loro stessi e per la quale fossero in qualche modo responsabili. Era convinzione generale che l’effetto serra e l’assottigliamento dello strato di ozono fossero una cospirazione ad opera della sinistra. Eventuali problemi ambientali non toccavano direttamente gli USA, e non c’era modo di far riconsiderare loro il proprio stile di vita. Non erano neanche disposti ad ascoltare qualcuno che mettesse in discussione il modo di vivere americano.

Ciò mi fece rendere conto che le uniche persone con le quali stavo veramente comunicando erano quelle che già la pensavano come me. Predicavo ai convertiti. Sebbene questo abbia una sua qualche valenza (tutti abbiamo bisogno dell’i-spirazione e di qualcuno che ci ricordi ciò che sappiamo nel profondo), non stava producendo alcun effetto significativo su quel vasto numero di persone che attualmente non è inte-ressato a mutare la propria coscienza.

La prima reazione a questa esperienza è stata di dispera-zione e depressione, e l’acquisizione della consapevolezza riguardo diverse cose che non avevo mai preso in conside-razione. Pensai: supponendo che si riesca a sensibilizzare e a motivare la maggior parte delle persone in tal senso, con quale rapidità potrà avvenire un cambiamento a livello della coscienza? Guardai a me stesso. Eccomi qui, un individuo che da circa trent’anni pratica la meditazione ed esplora la coscienza in più modi. Ne ho tratto certamente beneficio e sono cambiato sotto molti aspetti; ma ho ancora un lungo cammino davanti a me prima di giungere all’illuminazione. Sono ancora vittima di molti dei miei vecchi schemi di pen-siero, la mia mente egoica ha il controllo totale per gran parte del tempo e sono ancora lontano dall’essere un cittadi-no modello. Dopo tutti questi anni, ho ancora molta strada da fare; e sono un individuo che ha scelto di sua volontà di

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lavorare alla propria crescita interiore. Se è un processo così lento, quali speranze ci sono per chi, addirittura intenzio-nalmente, non fa nessun tentativo verso questa direzione? V’è realmente una qualche speranza che l’umanità possa risvegliarsi in tempo?

Allora pensai: supponiamo che per una qualche magia avvenga proprio ora in tutti noi il cambiamento; significhe-rebbe la fine dei nostri problemi? Supponiamo che degli extraterrestri atterrassero stanotte e per miracolo cambiasse-ro la nostra coscienza, o che un nuovo Buddha apparisse in televisione e compisse il prodigio in ventiquattrore; anche allora, se tutti ci risvegliassimo e divenissimo esseri illumi-nati, la crisi non scomparirebbe. Il processo che abbiamo già innescato: la devastazione ambientale, il boom demografico, la distruzione delle foreste pluviali, l’effetto serra, richiede-rebbe lunghissimo tempo per arrivare a un punto di svolta.

Come si può ben immaginare, tutto ciò aggravò ulterior-mente il mio stato di abbattimento. Allora mi ricordai di una ricerca che avevo condotto con la compagnia petrolifera Shell riguardo agli scenari futuri. La Shell dispone di un gruppo di futurologi preposti a guardare con una prospetti-va di trent’anni a possibili scenari futuri. Lo scopo non è quello di predire il futuro, ben sapendo che ciò è impossibi-le, ma di esplorare un ampio spettro di scenari e prendere in considerazione quelli che più contano in termini decisionali. Se si pensa di costruire una nuova raffineria in Venezuela, ad esempio, si sta prendendo una decisione a lunghissimo ter-mine e si vuole guardare a come tale decisione possa riusci-re vincente una volta collocata in diversi scenari di natura economica, politica, sociale e ambientale. Ci si vuole garan-tire una copertura totale.

Mi resi conto che avevo totalmente focalizzato la mia attenzione sullo scenario “possiamo cambiare il mondo se cambiamo la nostra coscienza”, quello che chiamo lo

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scenario A. Avevo totalmente rimosso lo scenario B, quello per il quale è già troppo tardi, che ci vede nei guai e nell’impossibilità di fare qualcosa. Non è affatto uno scenario piacevole, ragione principale per cui avevo rifiutato che affiorasse completamente dal mio inconscio. Ma per quanto sgradevole, era chiaramente uno scenario possibile e dunque meritava tutta la mia attenzione.

Così decisi: va bene, prendiamolo in considerazione. Come sarebbe il mondo se a far da sfondo fosse lo scenario B? Beh, ci sono una serie di possibili sottoscenari, ma ciò che li accomuna è che presentano tutti tanta difficoltà e sofferen-za. A caratterizzarli può essere il dolore psicologico: cose che la gente faceva d’abitudine non saranno più possibili, non potremo più godere di molti dei comfort a cui ci eravamo abituati, la vita potrebbe essere a tutti gli effetti molto diffi-cile; o anche dolore e sofferenza fisici: chi sa cosa accadreb-be se le scorte alimentari iniziassero a scarseggiare, come tu stesso, Ervin, hai giudicato possibile?

Così mi chiesi di cosa avremo bisogno in queste cir-costanze, cosa ci sarà d’aiuto? Mi fu presto chiaro che un aspetto che avrebbe assunto una grande importanza sarebbe stato l’altruismo, la compassione e la comunità. Mi ricordai allora di un’amica di Zagabria in balia di una vita vissuta nel disordine sociale e nella devastazione provocati dalla guer-ra. Le chiesi come riusciva a sopravvivere a questa situazio-ne, e lei mi rispose che ciò che rendeva la cosa sopportabile era lo stare tra amici godendo dì una tazza di té e del con-tatto umano.

Come sviluppiamo altruismo e compassione? Ciò mi fece tornare direttamente alla filosofia buddista. Come pos-siamo sbarazzarci del nostro attaccamento materiale, dei nostri desideri, delle nostre paure e di tutta quella “roba” che fa di noi dei prigionieri dei nostri mondi individuali, preoccupati solo del nostro stesso benessere? Allora mi resi

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conto, cosa che mi affascinò molto, che stavo descrivendo il percorso essenzialmente prospettato dallo scenario A. Se vogliamo guarire il pianeta e salvarci attraverso un cambia-mento di coscienza, allora la risposta è che dobbiamo libe-rarci del nostro egocentrismo, del nostro attaccamento alle cose. Lo scenario B puntava esattamente nella stessa dire-zione. Per sopravvivere a questi tempi duri dobbiamo libe-rarci dal nostro materialismo, dal nostro egoismo e divenire esseri più altruisti e compassionevoli. In entrambi i casi il percorso è lo stesso, e richiede sempre un risveglio interiore. Dal momento stesso in cui vidi il tutto, provai un senso di liberazione. Se il lavoro che dobbiamo fare è lo stesso per entrambi gli scenari, quale dei due si verifichi veramente non è d’importanza così cruciale. Per me non è più una que-stione di sviluppo della coscienza per la salvezza del mondo, o per confrontarci con un mondo prossimo alla fine. In entrambi i casi, il progresso delle coscienze è importante, così come il lavoro interiore. Ciò mi fece sentire libero di por-tare avanti lo stesso discorso, indipendentemente dalle pro-spettive future. Questo rappresentò per me una fase di profondo cambiamento interiore.

LASZLO: In caso si avverasse la prospettiva del peggiore degli scenari, avremmo certamente bisogno di un significa-tivo cambiamento a livello della coscienza e di molta com-passione addirittura per la nostra stessa sopravvivenza. Pensi che una tale “rivoluzione della coscienza” si realizzerà nel mondo da sé? RUSSELL: Il raggiungimento di una profonda compassione richiede molto lavoro interiore. A volte, le difficoltà pro-muovono la compassione, ma non sempre. Dipende da quanto si è aperti e pronti. Dunque, abbiamo ancora biso-gno di concentrarci sul lavoro interiore, sul liberare le nostre menti dalla paura, da vecchi schemi nel modo di concepire

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le cose, dalla morsa della nostra mente egoica. Dobbiamo ancora sviluppare una maggiore stabilità ulteriore, e liberar-ci dal nostro attaccamento materiale. Più ci adoperiamo ora in tal senso, più flessibili e compassionevoli saremo proba-bilmente al momento del bisogno.

Il punto di svolta per me è stato il rendermi conto che il lavoro interiore è lo stesso, e che ciò di cui c’è bisogno è di portarlo avanti nella vita. Il mutamento della coscienza è importante di per sé. Forse condurrà ad un mondo in cui alcune catastrofi potranno essere evitate. Forse no. Ma in entrambi i casi è assolutamente essenziale.

GROF: Individui appartenenti a culture antiche e tradizionali hanno regolarmente vissuto l’esperienza di una coscienza mutata e non ordinaria attraverso rituali socialmente accet-tati. Essi hanno percepito un’identificazione e un profondo legame con le altre persone, gli animali, la natura e il cosmo intero. Hanno incontrato esseri archetipici e visitato diverse dimensioni mitologiche. È più che logico che tali esperienze e osservazioni siano state oggetto d’integrazione nella loro visione del mondo, la quale, nelle culture tradizionali, costi-tuisce una sintesi di ciò che l’individuo percepisce quotidia-namente attraverso i sensi associato agli incontri che ha avuto durante stati di visione.

La stessa cosa sta essenzialmente accadendo a coloro che hanno l’opportunità di sperimentare stati non ordinari di coscienza nella nostra cultura. Devo, tuttavia, ancora incon-trare chi, appartenente alla nostra cultura e indipendente-mente dal livello d’istruzione, quoziente d’intelligenza, e preparazione specifica, abbia vissuto potenti esperienze transpersonali e continui a credere nel monismo materialista della scienza occidentale. Sono il presidente fondatore dell’Associazione Internazionale Transpersonale. Abbiamo tenuto quindici conferenze internazionali alle quali hanno

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partecipato personalità illustri del mondo accademico. L’esperienza da loro vissuta di stati non ordinari di coscien-za e le ricerche condotte in tal senso sugli altri hanno fatto emergere una visione del mondo newtoniana e cartesiana seriamente lacunosa. Prima o poi, tutti sono passati ad una più ampia visione alternativa del cosmo integrante la scien-za moderna con prospettive simili a quelle riscontrate nelle tradizioni mistiche, nelle filosofie spirituali orientali e anche nelle culture indigene. Essi hanno abbracciato una visione del mondo che descrive un universo dotato di un’anima e permeato da una Coscienza assoluta e un’Intelligenza cosmica superiore. Credo che qualcosa di analogo accadreb-be alla nostra stessa cultura, se gli stati non ordinari di coscienza divenissero accessibili a tutti.

Primo giorno - pomeriggio

DIMENSIONI DELLA TRASFORMAZIONE

Mutamento della coscienza nella società, mutamento del paradigma nella scienza

LASZLO: Senza dubbio, alla luce di ciò che abbiamo detto questa mattina, appare evidente il nostro concordare sul fatto che ciò di cui c’è bisogno è un essenziale cambiamento a livello della coscienza e che ci sono segnali che indicano che la coscienza sta già cambiando essenzialmente. Quando guardiamo ad alcuni aspetti di tale cambiamento, non dovremmo domandarci qual è la principale differenza tra la coscienza di cui si abbisogna e la coscienza che ancora pre-domina oggi?

GROF: Vedo due elementi nell’attuale crisi che richiedono un radicale mutamento della coscienza. Il primo è sempre stato nella natura umana da tempo immemorabile, e il secondo è un prodotto dell’era moderna.

Nella storia umana hanno sempre prevalso violenza sfre-nata, “l’aggressione malvagia” di Erich Fromm, e avidità insaziabile e bramosia, il volere sempre di più. Nel tempo, abbiamo assistito all’esplodere di intolleranza razziale, cul-turale, politica e religiosa attraverso guerre e rivoluzioni sanguinose, invasioni, conquiste e dominazioni.

Il contributo moderno al problema proviene dalla scien-za materialistica e dal suo profondo impatto ideologico. La

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dominante visione scientifica del mondo in un certo senso giustifica e appoggia una strategia di vita basata su indivi-dualismo e competizione piuttosto che su sinergia e coope-razione. Nel contesto del pensiero darwiniano e freudiano, è perfettamente naturale, legittimo e comprensibile persegui-re obiettivi egoistici a spese del prossimo. Ciò riflette la nostra vera natura, la quale si basa su istinti primitivi ed è perfettamente coerente con il principio di Darwin della “sopravvivenza del più forte”.

Vi sono anche significative implicazioni ecologiche nel vecchio paradigma, come poc’anzi detto da Pete: la tenden-za, per primo formulata da Francis Bacon, che porta ad uno sfruttamento insensato della natura, al saccheggio delle risorse non rinnovabili e all’inquinamento globale. Dunque, abbiamo bisogno sia dì nuove strategie che per-mettano la trasformazione della tendenza distruttiva umana, come l’aggressione malvagia e l’avidità insaziabile, sia di una profonda revisione del nostro sistema di valori e della nostra visione scientìfica del mondo. Nella nostra cul-tura, che ci vede nutrire un enorme e sotto alcuni aspetti addirittura esagerato e non realistico rispetto per la scienza, l’importanza del cambiamento del paradigma non dev’essere sottovalutata.

LASZLO: Stan, parli del profondo rispetto di oggi per la scienza, ma hai anche menzionato il predominare della visione cartesiana, baconiana e newtoniana. Mi sembra che il nostro rispetto per la scienza sia per una scienza comple-tamente sorpassata.

GROF: Sì, questo è il problema.

LASZLO: Una delle difficoltà nello sviluppare una nuova coscienza e far sì che si diffonda tra la gente sta nella

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frattura che ciò comporta tra l’emergente visione del mondo suggerita dalla nuova scienza, e la visione del mondo oggi predominante in quanto visione dell’establishment scientifico e tecnico. Dunque, sembra esserci una necessità anche per un aggiornamento nel nostro modo di concepire ciò che le scienze ci stanno veramente dicendo. Poiché la società in generale è rimasta indietro di anni rispetto all’attuale avanguardia scientifica.

GROF: Questo è esattamente ciò che volevo dire. La scienza gode di un enorme prestigio e ciò che la maggior parte della gente intende per scienza è il paradigma newtoniano-carte-siano in cui predomina il materialismo monistico. E tale modo di pensare comporta delle terribili conseguenze per noi individualmente, nonché collettivamente. Questo è il motivo per cui abbiamo bisogno di associare ad una profon-da trasformazione interiore una radicale riconsiderazione della vecchia visione scientifica del mondo. Questo è il moti-vo per cui sento, Ervin, che il tuo lavoro è di estrema impor-tanza per il nostro futuro. Oltre ad offrire una brillante sin-tesi delle generali teorie esistenziali, quali quei capisaldi concettuali di David Bohm, Rupert Sheldrake e Ilya Prigogine, rende anche possibile il colmare la lacuna tra scienza e spiritualità. In una cultura in cui la scienza gode di grande rispetto e autorità, se il messaggio che reca è distin-tamente antispirituale, ciò inibisce l’interesse dell’individuo per la ricerca spirituale.

LASZLO: La scienza viene vista come una libera impresa, che può cambiare prontamente con l’emergere di nuovi dati. Ma molti scienziati sono estremamente conservativi; in realtà, lo sono come i loro colleghi del mondo accademico in genera-le. Dunque, si pone come una grande sfida il chiedere agli scienziati di assumersi la responsabilità affinché sia

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divulgata una conoscenza significativa per la gente e che allo stesso tempo apra nuove prospettive. Nella tradizione conservativa delle scienze esatte, la matematica e i valori indicati dagli strumenti scientifici sono gli unici ad avere un significato. Non ci si preoccupa che il tutto abbia un senso, ciò che conta è che l’equazione riesca e confermi quanto osservato. Questa è diventata una tendenza pericolosamente sorpassata. Fortunatamente, tale conservatorismo non intacca la natura innovativa e creativa della scienza emergente, la quale è artefice della maggior parte delle scoperte fatte e mostra un’apertura a nuove idee, a nuove visioni del mondo, perfino ad una nuova spiritualità.

GROF: Trovo affascinante paragonare la situazione della psi-cologia e psichiatria contemporanee con ciò che accadde all’avanguardia del mondo della fisica nei primi decenni di questo secolo. Quanto poco bastò ai fisici per compiere la radicale transizione concettuale dalla fisica newtoniana alla teoria della relatività di Einstein e da lì alla teoria quantisti-ca! Allo stesso modo, disponiamo di un enorme quantitativo di dati che mostrano come l’attuale comprensione scientifica della coscienza e della mente umana sia inadeguata e inso-stenibile. Ciò lo testimonia l’analisi comparativa fatta avva-lendosi di termini di paragone quali religione, antropologia, psichiatria sperimentale, psicoterapia esperienziale, para-psicologia, tanatologia e altri campi; tutto materiale comple-tamente ignorato dall’establishment scientifico.

Un esempio lampante può essere costituito dalla tanato-logia. In base alle ripetute osservazioni fatte, risulta che colo-ro che vivono esperienze di premorte hanno spesso la capa-cità di percepire l’ambiente senza l’intervento dei sensi: essi osservano il resuscitare del loro corpo, sono testimoni di eventi che avvengono in altre stanze dello stesso edificio, o anche si spostano incorporei da un luogo all’altro. Queste

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sono le cosiddette “esperienze fuori dal corpo”. L’opinione pubblica è ben consapevole di questo fenomeno avendone acquisito conoscenza attraverso popolari talk-show, libri, nonché film hollywoodiani. Con uno studio recente, Ken Ring ha dimostrato come tali esperienze capitino anche a persone congenitamente cieche. Questa osservazione da sola dovrebbe bastare a sfatare il mito che vede la coscienza come un prodotto di processi neurofisiologici nel cervello, portan-do così ad una radicale revisione dell’attuale paradigma. Numerose analoghe osservazioni sono state effettuate anche nel campo della psicologia transpersonale e della moderna ricerca sulla coscienza.

RUSSELL: Man mano che osservazioni come queste vengono prese più seriamente, assisteremo al verificarsi di un ecce-zionale cambiamento di paradigma. Potrebbe essere il cam-biamento più significativo mai avvenuto nel pensiero occi-dentale, e potremmo trovarci già nelle sue prime fasi di rea-lizzazione. Thomas Kuhn, che introdusse l’idea dei paradig-mi circa 30 anni fa, fece notare come il mutamento avvenga attraverso più stadi. Primo, la scoperta di dati anomali che non combaciano con l’attuale modello della realtà. Poiché, però, nessuno mette in discussione l’attuale modello, tali anomalie vengono di solito ignorate, o addirittura negate. Successivamente, con l’accumularsi di prove che testimonia-no la presenza di queste anomalie, in tale quantità da non potere più essere facilmente ignorate, il modello esistente viene modificato nel tentativo di includere i dati anomali. Nel classico caso della Rivoluzione Copernicana, il dato ano-malo consisteva nel fatto che i pianeti non si muovevano in orbite circolari regolari, come avrebbero dovuto se avessero girato intorno alla Terra con tale moto circolare. Gli astrono-mi medievali cercarono di porvi rimedio aggiungendo all’orbita l’epiciclo: le curve descritte da circonferenze

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che ruotano attorno ad altre circonferenze. E quando questo si rivelò ancora insufficiente per spiegare le osservazioni, aggiunsero epicicli ad epicicli, cosa da cui risultò un modello goffo. Ma la visione del mondo tradizionale non fu ancora messa in discussione.

Stiamo attraversando la stessa fase con il fenomeno della coscienza. Per quanto riguarda la scienza occidentale, la coscienza rappresenta una grande anomalia. Non c’è niente nel modello scientifico della realtà che preveda che gli umani siano esseri coscienti, e non v’è assolutamente modo alcuno per spiegare tale fenomeno. Tuttavia, la coscienza è l’unica cosa di cui possiamo essere assolutamente certi. Questo era ciò a cui stava arrivando Cartesio con il suo famoso cogito ergo sum; posso dubitare delle mie percezioni, posso dubitare dei miei pensieri, posso dubitare dei miei sentimenti, ma ciò di cui non posso dubitare è il fatto che mi percepisco, penso e sento, che sono cioè un essere cosciente. Dunque, gli scienziati oggi si trovano nella strana situazione di venire continuamente messi a confronto con l’esistenza della loro stessa coscienza e tuttavia non avere modo alcuno per spiegarla.

Nel passato, la scienza ha semplicemente ignorato la coscienza. Non sembrava necessario includerla; dopotutto, si stava studiando il mondo fisico, non la mente. Oggi, la scienza sta scoprendo che non può più semplicemente igno-rare il soggetto coscienza, e si trova nella seconda fase di un cambiamento di paradigma, consistente nel tentativo di spa-ziare con il modello attuale fino ad incorporarvi in qualche modo l’anomalia. Alcuni scienziati stanno guardando alla fisica quantistica, alcuni alla teoria dell’informazione, altri alla neuropsicologia. Ma nessuno sta facendo molta strada in alcuna di queste direzioni. La ragione è che tutti stanno cercando di dare una spiegazione alla coscienza dall’interno dell’esistente paradigma spazio-tempo-materia. Il fatto

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che non stiano facendo notevoli progressi mi dice che potrebbero seguire tutti la pista sbagliata. Ciò di cui c’è bisogno è un modello completamente nuovo della realtà, uno che includa la coscienza quale aspetto fondamentale della realtà, tanto fondamentale quanto lo spazio, il tempo e la materia; o forse ancora più fondamentale.

Questo costituisce il terzo stadio del processo di Kuhn: la creazione di un modello radicalmente nuovo che spieghi il fenomeno anomalo. Non ci siamo ancora arrivati. Assistiamo al mancato funzionamento del vecchio para-digma. Ne vediamo le lacune e i difetti. Ma in pochi osano guardare al di là del modello spazio-tempo-materia. Eppure, è questo ciò di cui abbiamo bisogno affinché emerga un nuovo modello. Al momento, tuttavia, la scienza è ancora saldamente ancorata al vecchio modello.

LASZLO: Ci stiamo aggrappando al vecchio paradigma come fosse la realtà piuttosto che un modello. Noi - ovvero la mag-gior parte degli scienziati, e le persone che guardano alla scienza quale fonte di verità - crediamo che sia reale in tutto e per tutto.

GROF: SÌ. Questo è ciò che accade sempre con i paradigmi. Si crede che il modello rappresenti la verità e si guarda alla propria realtà dall’interno di tale modello.

GROF: Gregory Bateson ha scritto e parlato di confusione tra mappa e territorio. Disse che è un po’ come andare al risto-rante e mangiare il menu piuttosto che le pietanze.

LASZLO: Fortunatamente, a volte si verificano dei sottili cambiamenti anche nel venerabile mondo della scienza che hanno delle conseguenze terribili e generalmente imprevi-ste. Anche una mappa considerata detentrice della verità

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assoluta per trecento anni può venire accantonata. È quanto è successo nel primo decennio di questo secolo, quando la relatività di Einstein è stata accettata in sostituzione della meccanica classica di Newton. Ma perché, poi, ciò si è veri-ficato? Dopotutto, i fisici hanno sempre potuto spiegare il medesimo fenomeno alla luce di teorie del tutto differenti. Vi è sempre più di una spiegazione per ogni cosa.

GROF: Perché, in effetti, fu accettata l’interpretazione di Einstein dei risultati relativi alla misurazione del perielio di Mercurio durante l’eclissi solare? Non si trattò di un prono-stico molto esatto, era semplicemente più vicino alle misu-razioni attuali rispetto a quanto si sarebbe potuto ottenere con il modello newtoniano.

LASZLO: In realtà, si potrebbe fare praticamente lo stesso pronostico con la fisica newtoniana assumendone la teoria balistica della luce. Ammettiamo che la luce, il flusso di foto-ni, abbia una sua massa e che per intervento della forza gra-vitazionale si produca un’attrazione tra i fotoni e la massa del Sole e di altri corpi celesti. Si otterrebbe una traiettoria curva, che risulterebbe ugualmente ammettendo che lo spa-zio, o spazio-tempo, sia curvo.

GROF: Allora, perché è la teoria di Einstein ad essere stata accettata, e non quella di Newton?

LASZLO: Sembra si sia trattato di una questione “estetica”: ci troviamo di fronte alla massima espressione della semplicità ed eleganza di una teoria matematica. Nella teoria speciale della relatività proposta per primo da Einstein, le equazioni relative al moto rimangono invariate anche quando il moto è accelerato. Le famose “invarianze relativistiche” fanno risultare le equazioni costanti ed eleganti. Nel confrontarsi

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con gli strani effetti che vennero alla luce all’inizio del seco-lo, come le radiazioni nere, i fisici non dovettero ricorrere ad ipotesi studiate ad hoc per confermare la validità della loro teoria.

Secoli prima, Copernico aveva compiuto una simile opera con la teoria dell’eliocentrismo. Egli abbandonò l’idea degli epicicli che si vanno ad aggiungere ad altri epicicli, idea sostenuta dagli astronomi al fine di conservare intatta la vali-dità della vecchia astronomia geocentrica. Copernico era con-vinto che la natura ama la semplicità. Gli stessi scienziati amano la semplicità nelle loro teorie, le quali sono già abba-stanza complesse anche senza che le si renda più complicate del necessario. Questo è un criterio principale che determina l’accettazione di una teoria nella scienza moderna.

RUSSELL: Mi ha sempre affascinato l’aspetto semplice e invariante del cosmo. Intrapresi la carriera del matematico attratto dalla semplicità e bellezza di questa materia. Ciò che trovai più affascinante, e che rappresentò per me un momen-to illuminante, fu quando scoprii che vi è un’equazione fon-damentale alla base della meccanica dell’intero mondo fisico. Tutto si riduce ad una delle forme dell’equazione di Eulero, o più comunemente chiamata equazione ondulatoria. Si trat-ta di una formula molto semplice, ma con un enorme potere. Si applica all’oscillazione di un pendolo, alla dinamica del-l’atomo, alla propagazione della luce, al movimento dei pia-neti. È così semplice e così bella. Se allora mi avessero chiesto se c’è un dio, avrei detto nella matematica.

Ma ciò che è ancora più straordinario è che nella mate-matica, che è una creazione della mente umana, debba tro-varsi ogni riferimento alla realtà fisica.

GROF: Ci si aspetterebbe che la capacità della matematica di plasmare i fenomeni nel mondo materiale fosse vista come il

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più forte degli argomenti contro la netta separazione di Cartesio tra res cogitans e res extensa, mente e materia. Come potrebbe un sistema che è un prodotto della psiche prono-sticare esattamente fenomeni in una dimensione totalmente differente?

LASZLO: Gli scienziati tendono a prendere in considerazione un unico gruppo di fenomeni e a darne una spiegazione attraverso la matematica più semplice e più bella. Ma la semplicità e bellezza della matematica muta in base alla tipologia dei fenomeni osservati. Se si guarda al mondo fisi-co e biologico contemporaneamente, troverà applicazione un insieme diverso di concetti fondamentali rispetto a se si guardasse ad uno solo dei due mondi. Guardando anche al mondo della psiche umana e prendendo in esame esperien-ze più di natura esoterica, ad esempio l’esperienza transper-sonale e di premorte di cui abbiamo parlato prima, allora il sistema di spiegazione adottato verrebbe a cambiare ancora una volta. Si andranno a cercare ulteriori e ancora più gene-rici concetti esplicativi. Forse, nel prossimo futuro avremo una matematica che abbraccerà una più ampia porzione di realtà, che includa anche la coscienza umana insieme al mondo vivente e all’universo fisico.

RUSSELL: Sì, credo che questa sia la direzione verso la quale ci stiamo muovendo, il nuovo paradigma potrebbe emerge-re presto. Serve solo che qualcuno metta insieme tutti i pezzi in un modo radicalmente nuovo e sviluppi un modello teo-retico in grado di spiegare il mondo della mente e il mondo della materia. Trovo la cosa molto eccitante; è diventato l’o-biettivo principale di molto del mio lavoro degli ultimi anni. Al momento, vediamo la coscienza come qualcosa che emer-ge dallo spazio, dal tempo e dalla materia, qualcosa che appare come un risultato dell’attività fisica nel sistema

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nervoso umano. Ma stiamo andando verso il suo esatto contrario. Credo che, prima o poi, dovremo accettare il fatto che la coscienza sia assolutamente fondamentale per il cosmo, non qualcosa che origina dalla materia.

In un certo qual modo non è cosa affatto nuova. È alla base di molta dell’antica saggezza. La maggior parte della filosofia indiana, ad esempio, viene predicata assumendo che la coscienza sia assolutamente fondamentale. La scienza attualmente rifiuta tale idea, ma alla fine potrebbe dover accettare che in essa ci sia qualcosa di vero.

LASZLO: Ci stiamo muovendo verso una nuova cultura di cui la scienza potrebbe essere una parte, di cui l’antica sag-gezza potrebbe essere una parte e in cui entrambe potreb-bero trovare una nuova integrazione. Nella migliore delle ipotesi, non si tratta solo di un recupero o di una ripetizione del passato, ma di una nuova sintesi.

GROF: SÌ, ciò verso cui stiamo andando non è solo un sem-plice regredire o ritornare alle vecchie idee, ma un progredi-re lungo una spirale, in cui alcuni dei vecchi elementi risul-tano essere su un livello superiore quale parte di una sintesi creativa tra l’antica saggezza e la scienza moderna.

RUSSELL: Mi piace l’idea della spirale; ha in sé l’idea del ritorno dove siamo stati, ma con qualcosa in più. Non penso che assisteremo ad un semplice recupero delle antiche tradi-zioni. Esse erano appropriate per i loro tempi, ma oggi vivia-mo in un mondo differente, in un clima sociale differente, e con una differente comprensione del cosmo. Ciò di cui c’è bisogno ora è di una visione contemporanea, appropriata ai tempi contemporanei. Il messaggio chiave è lo stesso. È quanto Aldous Huxley chiamò “filosofia perenne”, la stessa fondamentale saggezza che ricorre frequentemente in molte

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diverse culture in molti tempi diversi. Ma la sua reale for-mulazione varia considerevolmente. Ciò di cui abbiamo bisogno è una formulazione in termini contemporanei che sia comprensibile alla gente comune e si riferisca alla vita di oggi. In questo, penso, consiste la rivoluzione della co-scienza. Stiamo riscoprendo quell’eterna saggezza in termini con-temporanei. E la stiamo rendendo appropriata ad un mondo in cui la scienza e la ragione prevalgono.

Un ruolo per la spiritualità

GROF: Lasciate che riprenda il discorso sulla sfida iniziato prima, sfida rappresentata dalla sintesi tra la visione mistica del mondo e quella scientifica. Il mondo accademico in generale ha come la sensazione che la scienza e il suo monismo materialistico abbiano confutato e bandito per sempre tutto ciò che c’è di spirituale e religioso, dalle primi-tive credenze popolari alle grandi tradizioni mistiche. Credo che ciò rifletta, oltre che un’incomprensione di base della natura e funzione della scienza, anche una confusione tra spiritualità e religione. Vedo questo come un serio problema e penso che la riconciliazione tra scienza e spiritualità sia impossibile senza prima chiarire tale questione.

LASZLO: Come definiresti allora la spiritualità, in che modo si distingue dalla religione?

GROF: La spiritualità è di natura privata e riflette il rapporto tra l’individuo e il cosmo. In contrapposizione, la religione è un’attività organizzata che richiede per il suo svolgimento un luogo particolare e un sistema di intermediari apposita-mente incaricati e ordinati secondo una scala gerarchica.

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Idealmente, una religione dovrebbe fornire ai suoi membri i mezzi e il sostegno per poter vivere la loro spiritualità. Tuttavia, spesso le cose non vanno così. In realtà, l’esperien-za spirituale personale è vista come una minaccia dalle reli-gioni organizzate, poiché rende i loro membri indipendenti dall’organizzazione e dal credo religioso. I mistici non hanno bisogno di intermediari, essi sono in contatto diretto con il divino, poiché la spiritualità si basa sull’esperienza diretta di una prospettiva radicalmente diversa di quella che è la realtà comunemente accettata, o sulla percezione di altre dimensioni della realtà di solito nascoste. Si tratta di espe-rienze che vengono vissute durante stati non ordinari di coscienza. Lo studio di tali esperienze è materia della psico-logia transpersonale: una dimensione di fenomeni che dovrebbe essere oggetto di serie ricerche e i risultati delle quali dovrebbero venire inclusi nella onnicomprensiva visione scientifica del mondo del futuro.

Tutte le grandi religioni sono il frutto di stati visionari, di esperienze transpersonali dei loro fondatori: l’illuminazione del Buddha sotto l’albero della Bodhi3, il viaggio miracoloso di Maometto, o Mosè e la visione di Geova nel roveto arden-te. La Bibbia è colma di descrizioni di tali esperienze: la visione di Ezechiele del carro di fuoco, la tentazione di Gesù ad opera del diavolo, Saul e la visione accecante di Gesù sulla via di Damasco, o la rivelazione apocalittica di San Giovanni nella sua grotta sull’isola di Patmos.

Tuttavia, con il costituirsi delle religioni in organizzazio-ni, i credenti sentono raccontare queste esperienze nei ser-moni e le leggono nelle sacre scritture. Accedere direttamen-te al divino non è più possibile e spesso non viene neanche accettato. Qualora un individuo vivesse una vera esperienza

3 La saggezza buddista. l’Illuminazione (N.d.T.).

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mistica in una delle chiese odierne, probabilmente si vedreb-be consegnato da qualsiasi prete medio nelle mani di uno psichiatra. Una volta che una religione si è organizzata, le esperienze transpersonali dirette avvengono perlopiù in ambito mistico o monastico caratterizzato da pratiche spiri-tuali come la meditazione, il digiuno, la preghiera e così via.

Vi è una sostanziale differenza tra religione e misticismo. Ci sono religioni senza spiritualità e c’è spiritualità senza religione. Una religione organizzata ha necessità di convin-cere le persone di doversi recare regolarmente in un luogo specifico e di dover fare riferimento al sistema per rappor-tarsi in maniera giusta con il divino. Per il mistico, la natura e il suo stesso corpo fanno da tempio. La sua comunicazio-ne con il divino è diretta e non necessita di intermediari alcuni, specialmente di quelli che non hanno avuto tali espe-rienze personalmente e non rivestono che il ruolo di funzio-nari. Ciò che può essere di sostegno per i mistici è una comu-nità di insegnanti e ricercatori spirituali che siano più avanti di loro nel cammino intrapreso.

Gli autentici sistemi spirituali sono basati su secoli di esplorazione sistematica della psiche con l’ausilio di ben definite tecnologie per l’alterazione dello stato mentale risultanti da un processo che sotto molti aspetti assomiglia al metodo scientifico.

LASZLO: Il filosofo Alfred North Whitehead ha detto qualco-sa di molto bello: disse che la scienza, così come la cultura, progredisce con il sopraggiungere di una grande mente che getta luce nuova, più integrata e inclusiva su di un partico-lare campo esperienziale e di ricerca. Apporta idee adegua-te in generale ma incongruenti nello specifico. Ad essa suc-cedono i suoi seguaci, i quali, nel difendere la coerenza delle sue idee, perdono di vista l’intuizione originaria, ed esse finiscono con il diventare sterili, semplice dogma. Col

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tempo, a sua volta, il dogma crolla; sopraggiunge un nuovo elemento integrante con un’altra intuizione creativa, e il processo ricomincia da capo. È quanto accade anche nelle religioni.

RUSSELL: È inevitabile che ciò debba accadere. Le religioni, come abbiamo appena detto, sono sempre originate da indi-vidui, o a volte da gruppi di individui, che hanno avuto una profonda esperienza personale di liberazione. In un modo o nell’altro, questi si sono risvegliati alla verità e hanno cerca-to di trasmettere questa loro consapevolezza agli altri. Questo è il modo in cui in principio hanno avuto origine gli insegnamenti.

Sfortunatamente, l’insegnamento non viene mai recepito nello stesso stato di coscienza in cui viene dato. Il maestro parla da un punto di vista illuminato, mentre il discepolo cerca di comprendere partendo da uno stato di coscienza meno illuminato, e inevitabilmente qualcosa viene a per-dersi. Fintantoché il maestro è in vita, può cercare di correg-gere gli errori e assicurare al discepolo un corretto recepi-mento degli insegnamenti. Ma, una volta morto il maestro, gli insegnamenti passano da un individuo all’altro e ogni volta qualcosa si viene a perdere o non viene compresa appieno, o addirittura viene aggiunta alla versione originale. È un po’ come il gioco del telefono, in cui un gruppo di per-sone sedute in circolo si passa un messaggio orale, il quale, di volta in volta, muta leggermente, fino a tornare al punto di partenza completamente diverso da com’era in origine.

Lo stesso accade con gli insegnamenti spirituali, ma su scala molto più ampia. Il messaggio non viene passato solo da un individuo all’altro, ma da una generazione all’altra, da una cultura all’altra, e viene spesso tradotto da una lin-gua all’altra. Ogni volta pezzi di esso si vengono a perdere e ad aggiungere, e la versione che giunge fino a noi potrà

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risultare poco rassomigliante all’originale. È ciò che io a volte chiamo “l’alterazione della verità”. È la ragione per cui le più grandi tradizioni spirituali sembrano così diverse. Tuttavia, hanno tutte avuto origine da esperienze molto simili. Dobbiamo riscoprire quella fonte originaria comune, piuttosto che preoccuparci delle differenze.

Questo è il motivo per cui è importante non cercare di resuscitare tradizioni spirituali precedenti. Andremmo ine-vitabilmente a resuscitare una versione alterata dell’origina-le. La nostra sfida è di tornare all’origine, che è viva e basa-ta sull’esperienza personale e non sulla dottrina e sul dogma, e di vivere tale esperienza nelle nostre vite.

LASZLO: Le tradizioni mistiche erano presenti già presso le scuole greche, perfino in quelle presocratiche, sebbene le loro intuizioni non fossero formulate nel linguaggio ordina-rio, per la divulgazione pubblica. Ciò che trovava formula-zione nel linguaggio comune era già un compromesso destinato alla società. L’essenza degli insegnamenti era qual-cosa che non si udiva o leggeva, ma che si doveva vivere. Non c’è da stupirsi che ciò che attingiamo dalla tradizione a noi tramandata è solo l’ossatura inerte e non il suo spirito interiore.

GROF: Ciò di cui abbiamo bisogno nel mondo, oggi, è più spiritualità, non più religioni. Le religioni organizzate, nella loro forma attuale, sono parte del problema, non della solu-zione. In diverse zone del mondo, i conflitti religiosi sono la principale fonte di violenza.

RUSSELL: Dobbiamo tenere presente che la religione organiz-zata non è il riflesso di una modalità illuminata di coscienza. I suoi propositi possono essere lodevoli, ma coloro che la promuovono o la difendono non sono generalmente più

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illuminati di quanto lo sia il resto del mondo. È triste da dirsi, ma essi sono spesso un altro riflesso di ciò che non va in questa società.

Tutto va ricondotto all’egocentrismo. L’egocentrismo a livello biologico è positivo: dobbiamo essere egocentrici per assicurarci il cibo e per tenerci lontani dal pericolo, in altre parole per garantire la nostra sopravvivenza fisica. Tuttavia, applichiamo questa stessa modalità di pensiero egocentrica in sfere della vita dove risulta totalmente inappropriata. Si potrebbe dire che abbiamo dimenticato cosa sia nel nostro reale interesse.

In ultima analisi, ciò che ciascuno di noi vuole è la pace interiore. Vogliamo sentirci bene, interiormente equilibrati. La nostra società ci dice che questa esperienza interiore dipende da ciò che si ha, che si fa, dalle esperienze accumu-late nel mondo esterno. Ciò conduce ad un egocentrismo intrinseco. Ci poniamo sempre il problema di cosa possiamo fare per essere felici, di cosa gli altri pensano di noi e a quale credo religioso dovremmo aderire.

Questa ricerca evidenzia non solo molto del nostro mate-rialismo, ma mette in luce anche la ragione per cui rimania-mo vittime delle religioni: potrò credere che questa religione o questo insegnamento mi salverà, e che seguendo questo cammino troverò la pace interiore. A ciò segue un attacca-mento morboso verso la nostra particolare fede, e facciamo di tutto per difendere e salvaguardare il percorso da noi scel-to. Così facendo, la religione può finire con l’essere molto egocentrica, la qual cosa è ironica, considerato che le religio-ni si propongono di liberare l’individuo dal suo egocentri-smo.

LASZLO: La religione è anche un fenomeno sociale, una que-stione di identità collettiva. Abbiamo bisogno di appartene-re ad una comunità, ad un gruppo sociale, culturale, o ad

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una congregazione religiosa. Questa necessità viene soddi-sfatta oggi diversamente rispetto al Medioevo, quando la congregazione religiosa era alla base del concetto di comu-nità, almeno in Europa. Oggi, abbiamo le comunità nazionali e regionali, le quali a loro volta sono suddivise in tutta una serie di livelli fino ad arrivare alla comunità etnica. Appartenere ad un gruppo religioso o ad una congregazione fornisce un senso d’identità solo per un limitato numero di individui. E questo stato di appartenenza religiosa ha ancora meno a che fare con l’ottenere accesso ad una qualche verità ultima; poiché la maggior parte delle dottrine propugnate non fanno che innalzare barriere tra chi è all’interno del gruppo e chi ne è all’esterno, tra i “fedeli” e gli “infedeli”.

GROF: Tradizionalmente, ciò che ha fatto la religione è stato riunire un gruppo di persone devote a figure e temi archeti-pici, proclamando la loro unicità. Ciò ha portato i gruppi ad entrare in conflitto tra di loro a causa delle diverse forme di rappresentazione del divino e del differente modo di rela-zionarsi ad esso: cristiani contro ebrei, induisti contro mus-sulmani, sikh contro induisti, e così via. A volte, una religio-ne organizzata non è neanche riuscita appieno nel suo inten-to di riunire i propri membri sotto la sua sfera di influenza, sotto la propria egida. Un caso emblematico è costituito dal cristianesimo, al quale ha fatto da sfondo uno scenario di sofferenza e spargimento di sangue a causa del violento con-flitto tra cattolici e protestanti esploso in epoca medioevale. In contrapposizione, le esperienze spirituali forniscono accesso diretto alle sacre dimensioni dell’esistenza. Esse rivelano l’unità che soggiace al mondo dell’apparente sepa-razione, la natura divina della creazione, e la nostra divinità. Ci portano al di là del settario sciovinismo delle religioni organizzate verso una visione della realtà e del genere umano universale, onnicomprensiva e unificatrice. Le

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religioni organizzate nella loro forma attuale generano spesso dissenso e contribuiscono alla crisi globale. Ma, una religione basata su un’autentica prospettiva mistica potrebbe fare la vera differenza nel mondo.

LASZLO: Giorni fa, a Berlino, durante un simposio dell’Università Internazionale della Pace, il Dalai Lama mi ha ammonito di non provare mai a convertire il prossimo ad alcuna religione. Egli stesso, mi ha detto, non cerca mai di convertire le persone al buddismo tibetano. Non è questo lo scopo, quanto è piuttosto quello di trasmettere lo spirito che è alla base di tale religione, ovvero l’amore, la solidarietà e la compassione. La sua raccomandazione è di non pensare di trovare in una religione tutte le risposte. Ciò che conta è lo spirito della religione, non le parole della dottrina.

Vi sono casi e luoghi in cui tale intuizione viene messa in pratica. Ad Auroville, la comunità spirituale sperimentale in India, ad esempio, i fondatori hanno deciso che non ci dovrà essere alcuna religione. Le dottrine religiose sono da evitarsi esplicitamente, così come i rituali religiosi. Ci dovrà essere solo una profonda spiritualità a permeare la vita quoti-diana, rafforzata dalla meditazione individuale e collettiva. Quando una religione viene istituzionalizzata, disse Sri Aurobindo, essa divide più che unisce.

RUSSELL: Molti leader spirituali hanno detto lo stesso, e hanno ammonito gli uomini di non fare dei loro insegna-menti una religione. Il Buddha disse ai suoi discepoli di non credere a qualsiasi cosa solo per il fatto che fosse lui a dirla. Solo quando trovava riscontro nelle loro esperienze perso-nali, allora dovevano accettarla. Più recentemente, Rudolf Steiner disse che se fosse tornato dopo un centinaio di anni sarebbe probabilmente rimasto inorridito nel vedere cosa ne sarebbe stato dei suoi insegnamenti. La saggezza spirituale

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è una saggezza universale; ma, nel passare da un individuo all’altro, ogni espressione del maestro gradualmente alimen-ta un insieme di dottrine e dogmi generanti religioni molto diverse tra loro. Sono sicuro che se tu, Ervin, rivisitassi Auroville tra 200 o 300 anni, vedresti che nel frattempo è emersa una religione completamente differente.

Oggi, stiamo assistendo alla nascita di una nuova spiri-tualità. Non ha ancora un nome; non ha realmente una forma specifica; e non ha alcun leader. Ma c’è una nuova prospettiva che sta emergendo, molto più in linea con la “filosofia perenne” tracciata da Aldous Huxley. Diverse per-sone stanno iniziando a riscoprire l’eterna saggezza della coscienza umana e a metterla in pratica nella loro vita.

Sotto alcuni aspetti, se ne può tracciare un parallelo con il Buddha e la sua ricerca di liberazione interiore. Quando il Buddha si ritirò nella foresta, dove vi trascorse sei anni pres-so alcuni maestri, si dedicò a più pratiche e tecniche fino a quando finalmente si risvegliò alla verità su come lenire la sofferenza della mente. Oggi, stiamo vivendo un processo analogo. Ma ora, non si tratta di un individuo soltanto; siamo in milioni a fare questo viaggio, e ad imparare l’uno dall’esperienza dell’altro lungo il cammino. E più imparia-mo, più ci avviciniamo alla stessa verità. Stiamo sintoniz-zando la nostra comprensione dello sviluppo spirituale. Lo vedo scritto nei libri che leggo, e ne sento parlare in sede di conferenze; sempre più andiamo dicendo la stessa cosa. Forse, questa resurrezione diverrà col tempo un’altra reli-gione fossilizzata, ma in questo momento, alla fine del ven-tesimo secolo, essa è viva e vibrante, e sta esplorando quella verità universale fondamento di tutte le religioni. Questa è la ragione per cui trovo i tempi odierni così affascinanti. Ci tro-viamo nel mezzo di un rinascimento spirituale, ma a diffe-renza del passato questo non ha alcun leader; per la prima volta lo stiamo riscoprendo collettivamente.

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GROF: Vorrei qui illustrare, trovando io stesso la cosa molto interessante, un’osservazione riscontrata durante lo studio condotto sugli stati non ordinari di coscienza. Dall’osservazione, effettuata sia nel corso di sedute psiche-deliche che di respirazione olotropica (durante la quale si pratica una respirazione accelerata con un sottofondo musi-cale evocativo), è risultato che tali esperienze forniscono accesso all’intero spettro della mitologia mondiale, alle figu-re e ai regni archetipici di tutte le culture. Tali esperienze attingono da bagagli culturali, razziali, geografici e storici diversi da quelli in nostro possesso. Non sembra fare alcuna differenza se tali cognizioni si siano possedute o no prece-dentemente. L’individuo moderno sembra avere accesso all’intera poliedrica sfera dell’inconscio collettivo. Ciò con-ferma essenzialmente le osservazioni fatte molti decenni fa da Jung, osservazioni che lo ispirarono a formulare il con-cetto stesso dell’inconscio collettivo.

Persone, con cui abbiamo lavorato in Europa, Nordamerica, Sudamerica e Australia, hanno spesso avuto esperienze attinte dalla mitologia indiana, giapponese, cinese, tibetana o egiziana. Di converso, durante le nostre visite in India e Giappone, individui con un bagaglio culturale e religioso induista, buddista e scintoista hanno spesso vissuto nel corso delle loro sedute esperienze distintamente riconducibili al cristianesimo. Lungo gli anni, mi sono apparsi nelle mie stesse visioni simboli reli-giosi induisti, buddisti, cristiani, mussulmani, scintoisti e zoroastriani, nonché temi aborigeni africani, centroamerica-ni, sudamericani e australiani.

È veramente straordinario! Molti gruppi umani in passa-to hanno utilizzato potenti pratiche per l’alterazione dello stato mentale, incluse alcune uguali a quelle che adottiamo noi stessi: sostanze psichedeliche, musica, ed esercizi vari di respirazione. E tuttavia il loro accesso all’inconscio collettivo

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sembra essere stato molto più specifico ed essenzialmente limitato ai loro archetipi culturali. Ad esempio, non si legge nel Libro tibetano dei morti dello Spirito Cervo, il quale svolge un ruolo importante nella mitologia e religione degli indiani Huichol del Messico, e non si fa menzione dei Dhyani-Buddha nella Bibbia o nel Libro di Mormon? Dunque, tale permeabilità dell’inconscio collettivo sembra essere un nuovo fenomeno caratteristico dei tempi moderni. Fosse stato l’inconscio collettivo accessibile in tale misura anche in passato, non avremmo oggi distinte mitologie specifiche per certi gruppi umani e per le loro religioni. In passato, l’acces-so esperienziale agli archetipi doveva essere strettamente specifico per cultura.

In un certo senso, ciò sembra riflettere quanto sta acca-dendo nel mondo esterno. In passato, la popolazione umana era molto più frammentata e i diversi gruppi vivevano distanti e isolati gli uni dagli altri. Ad esempio, fino al quin-dicesimo secolo, gli europei non avevano sospettato neanche l’esistenza del nuovo mondo e, fino alla metà di questo seco-lo, i contatti del Tibet con il resto del mondo sono stati quasi inesistenti. Oggi possiamo coprire gran parte della superficie terrestre con poche ore di volo, e prospera lo scambio di merci, libri e film. E, cosa più importante, i programmi radiofonici ad onde corte, la televisione satellitare, il telefono, e Internet mettono in comunicazione tutto il mondo.

Ci stiamo rapidamente muovendo da un mondo diviso e frammentato verso un villaggio globale unito. E l’accesso illimitato che ora abbiamo alla dimensione archetipica del-l’inconscio collettivo sembra essere una parte importante di questo processo. Spero e credo che ciò porrà le fondamenta per una religione universale del futuro. La mia idea di una tale religione è che essa creerà un contesto per le esperienze spirituali fornendo al contempo anche i mezzi a tale scopo, le “tecnologie del sacro”, ma che non avrà alcun interesse di

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nessun tipo nell’imporre quale delle molte cornici arche-tipiche una persona debba scegliere come accesso al regno del divino trascendente.

Credo che se le religioni organizzate devono diventare una forza utile e costruttiva nel nostro futuro globale, devono rendere permeabili i loro rispettivi archetipi e accettarne la relatività. Ciò genererebbe un’atmosfera di tolleranza verso altri sistemi che optano per una diversa forma simbolica di venerazione del divino. Ricondurrebbe le religioni alle loro radici mistiche e al loro comune denominatore, alla reveren-za per l’Assoluto, il divino che trascende tutte le forme.

Joseph Campbell ha spesso citato il pensiero di Graf Durkheim riguardo alla funzione di specifiche forme arche-tipiche o “divinità”. Per essere d’aiuto in un’autentica ricer-ca spirituale, una divinità deve essere trasparente per il tra-scendentale. Deve essere la principale via d’accesso al Supremo, e non essere scambiato per lui. Deve fare da tra-mite per accedere all’Assoluto, deve essere suo intermedia-rio e non in sé stesso oggetto di adorazione. Rendere speci-fici archetipi opachi e impermeabili conduce all’idolatria, la quale è una forza pericolosa che divide e distrugge.

RUSSELL: Questo è un altro aspetto del cambiamento dal vedere le divinità come esterne a noi, separate da noi, al vederle invece come aspetti della nostra psiche. Sempre più ci stiamo rendendo conto che il risveglio interiore non con-siste nel praticare un rituale di devozione nei confronti di un altro essere, quanto piuttosto nel fare un lavoro mentale. La domanda che ci stiamo ponendo è come liberare la nostra mente da quelle catene che la rendono prigioniera dell’abi-tudine. Come posso aprirmi al tipo di esperienza di cui stia-mo parlando. GROF: Sulla base di ciò che ho detto prima circa l’apertura dell’inconscio collettivo, sento fortemente che la religione

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del futuro sarà esperienziale, ovvero onorerà la ricerca spiri-tuale nel rispetto delle diverse scelte individuali. È da auspi-carsi che questa religione non sarà un’organizzazione tesa a promuovere specifici dogmi e oggetti di adorazione, ma una confraternita di ricercatori spirituali che si sostengono l’un l’altro lungo un cammino che li porterà a rendersi conto di esplorare un particolare tassello del grande mosaico del mistero universale. La consapevolezza dell’unità soggiacen-te all’esistenza tutta e un senso di profondo legame con il prossimo, la natura, e il cosmo sarà la caratteristica più importante di tale credo.

RUSSELL: Sì, e se questa nuova spiritualità contemplerà degli insegnamenti, essi riguarderanno la nostra psiche, come nel Buddismo. Sarà un insegnamento contempora-neo, che verterà su come si sviluppa l’ego, come ricaviamo il nostro senso di identità, come ci creiamo paure inutili, come interpretiamo le nostre esperienze, e come possiamo liberare la nostra mente da tutte queste limitazioni. Si trat-terà di insegnamenti psicologici, piuttosto che riferiti a divi-nità o entità simili.

GROF: La conferenza dell’Associazione Internazionale Transpersonale (ITA) del 1985 a Kyoto ha costituito per noi una esperienza molto interessante. L’ITA è un’organizza-zione che si propone di riunire spiritualità e scienza al ser-vizio dell’abbattimento dei confini razziali, culturali, politi-ci e religiosi nel mondo. Al tempo di quella conferenza, vi era un aspro conflitto tra operatori economici americani e giapponesi, ed erano in corso negoziati fra le parti.

Tra i partecipanti alla conferenza c’era lo psicologo giap-ponese junghiano Hayao Kawai, il quale aveva trascorso diversi anni a Zurigo e conosceva bene la mentalità occiden-tale, così come, naturalmente, quella giapponese. Nel

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seguire lo svolgimento dei negoziati alla televisione, disse sorridendo: “Pensano che un interprete basti a farli realmente comunicare, a far sì che si capiscano. Ma regna l’incomprensione più assoluta, poiché partono da presupposti assai diversi”. Gli chiedemmo una spiegazione in merito ed egli chiamò in causa Jung.

Essi attingono da patrimoni archetipici diversi, disse, e prendono le mosse da presupposti metafisici molto differen-ti tra di loro. L’Oriente ha un modello del cosmo con un cen-tro cavo. La creazione è emersa dal Vuoto: totalità organizza-ta in cui ogni cosa è interconnessa, ha la sua collocazione, ed è alla fine una parte altrettanto importante del tutto. In Occidente, avete un modello cosmogenetico molto differente. Il centro è la sorgente di potere. È Dio, il Grande Capo, colui che ha creato l’universo, e da questa sede centrale si diparte un sistema gerarchico in ordine decrescente d’importanza. Nel mondo archetipico si hanno diverse schiere di esseri celesti, dai più alti quali i serafini e i cherubini, ai troni, le virtù e le potestà, e gli arcangeli e angeli. E in natura, ci sono organismi superiori e inferiori, e gli esseri umani a coronare la creazione.

Hayao Kawai spiegò come un dialogo tra Oriente e Occidente risenta inevitabilmente di tale differenza nelle assunzioni metafisiche fondamentali. È come nel caso di una discussione tra fisici newtoniani e einsteiniani. Essi utilizze-rebbero le stesse parole: materia, energia, tempo e spazio, ma queste assumerebbero un significato diverso a seconda dei loro rispettivi contesti concettuali. Trovammo l’idea molto interessante e altri partecipanti furono ispirati a con-tribuirvi con paragoni culturali propri. André Patsalides, uno psicologo belga nato in Siria, parlò delle differenze tra la mentalità araba e quella occidentale. Karan Singh, accade-mico indiano ed ex reggente dello Stato di Jammu e Kashmir, analogamente mise a confronto il modo di pensare

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indiano e quello occidentale. E Credo Mutwa, antropologo e sciamano zulù, discusse della visione del mondo africana confrontandola con quella angloamericana.

Era affascinante vedere come una prospettiva completa-mente nuova stesse emergendo da tale discussione. Ci sen-timmo uniti dalla nostra umanità, da tutto ciò che condivi-devamo e che avevamo in comune, e iniziammo a vedere le differenze razziali, culturali e religiose come inflessioni e variazioni della natura umana. Sembravano riflettere la straordinaria creatività dell’intelligenza cosmica che emerge dalla soggiacente matrice indifferenziata. Al contempo, tali differenze apparvero come qualcosa di molto interessante e affascinante, qualcosa dalla quale possiamo imparare e che ci può arricchire. Fummo in grado di liberarci dai nostri schemi culturali idiosincratici e dall’illusione che la nostra prospettiva della realtà e il nostro modo di pensare fossero quelli giusti o migliori. Fu facile constatare quanto tutto ciò fosse arbitrario e relativo.

LASZLO: Teilhard de Chardin parlò di un processo di inten-sificazione o concretizzazione progressiva, all’origine del quale egli individuò il crescente numero di persone sul pia-neta e la quantità sempre maggiore di informazioni che que-ste generano. È possibile, forse, che una popolazione di pressappoco sei miliardi di persone crei, come hai sostenuto tu, Pete, una sorta di cervello globale: credo che a caratteriz-zare questo cervello sia anche una dimensione sottostante di interconnessione, di cui però la nostra coscienza non è con-sapevole, sebbene a livello più profondo la si possa percepi-re. Sotto la superficie, può esservi un campo di coscienza collettiva che si va sempre più intensificando e che diventa accessibile a chi vive l’esperienza dello stato alterato della coscienza, quello stato che è oggetto di ricerca da parte di Stan e del cui potenziale abbiamo parlato.

Primo giorno - sera

DALLA VISIONE ALL’AZIONE

Guarire noi stessi e guarire il mondo

LASZLO: Gli argomenti che abbiamo discusso questo pome-riggio indicano che il presupposto fondamentale per creare un mondo cooperativo e pacifico è quello di una migliore comprensione tra le persone e tra le culture. Stiamo pertan-to suggerendo che la nuova spiritualità è anche un modo di ottenere comprensione interculturale? La spiritualità può rendere capaci le persone di vivere insieme? E oltre a ciò, guarire le ferite nella società e nel mondo?

GROF: Il potenziale c’è tutto. Le esperienze transpersonali nelle quali noi sperimentiamo l’identificazione con gli altri possono condurre ad un livello più alto di accettazione. L’ho visto molte volte. L’unico problema è: può questo avvenire su una scala abbastanza vasta e in tempi sufficientemente brevi da risultare significativo?

LASZLO: Gli abitanti di Auroville, la comunità sperimentale su base spirituale in India, sono convinti che se c’è un grup-po di persone intensamente focalizzate su un certo stato di coscienza, ciò avrà un effetto anche sulle altre persone. Tu credi che la diffusione di coscienza transpersonale sia un fat-tore reale e promettente? Che questa diffusione, piuttosto

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che l’espandersi della nuova coscienza da persona a perso-na, possa costituire veramente una differenza significativa nel mondo di oggi?

GROF: IO penso che esista questa possibilità! In India credo-no che gli yogi che meditano nelle caverne dell’Himalaya possano avere influenza positiva sulla situazione mondiale generale. E certamente, in tempi moderni, abbiamo le idee di Sheldrake sulla risonanza morfica. Sfortunatamente, il concetto della ‘centesima scimmia’, immagine molto sugge-stiva e irresistibile di questo meccanismo, si è rivelato essere una finzione piuttosto che un fatto scientifico. Esso creò molta eccitazione la prima volta che la gente ne sentì parla-re, ma poi Lyall Watson ammise di esserselo inventato.

RUSSELL: In effetti non si inventò tutto. Gli esperimenti furo-no fatti e furono pubblicati sulle riviste scientifiche giappo-nesi, come egli affermò, ma i risultati non erano impressio-nanti come lui li descrisse; non vi era nulla di speciale.

Quello che io trovo più affascinante nella storia della centesima scimmia è come tutti vi si accostarono. La gente voleva crederci a tal punto che pochissimi ne misero in discussione l’autenticità, o ne verificarono il processo di ricerca originale, cosa tanto più sorprendente dato che essa sosteneva l’esistenza di un fenomeno assai notevole. Lo stes-so dicasi per le idee di Sheldrake, che seguono un tema simi-le - l’idea che l’apprendimento sia contagioso e che più gente impara un dato compito, più facile sarà per gli altri impararlo, anche se essi vivono in zone differenti del pianeta. Di nuovo questa è un affermazione audace, ma trovo che parecchia gente accetta la teoria senza domande.

Mi sono chiesto perché. Non sembra avvenire così netta-mente con altre idee non convenzionali. Penso che nel profondo le persone sentano che qualcosa di simile a questo

DALLA VISIONE ALL’AZIONE 79

accade; lo sentono intuitivamente. C è una conoscenza inte-riore profonda che in qualche modo, non sappiamo bene come, lo stato di coscienza di una persona possa avere effet-to sulla coscienza degli altri. Noi sentiamo che avviene una qualche sorta di diffusione transpersonale di coscienza, e quando arriva qualcuno con esperimenti o teorie a suppor-tare questa possibilità, sentiamo di avere la prova che da sempre volevamo.

GROF: Mi piacerebbe menzionare un’osservazione che potremmo considerare quale evidenza indiretta. Avviene regolarmente che il rivivere la nascita biologica tenda ad aprire un varco nell’inconscio collettivo a immagini ed espe-rienze di violenza e crudeltà inimmaginabili. Le persone sperimentano atrocità commesse attraverso i secoli - episo-di di guerre, rivoluzioni, camere di tortura dell’Inquisizione e campi di concentramento. Quando il processo di autoe-splorazione raggiunge questo livello, l’esperienza diventa transpersonale; la storia dell’individuo si fonde con la storia della specie. Coloro che hanno iniziato questo processo come terapia personale spesso sentono a questo punto che essi stanno curando non soltanto loro stessi, ma anche il campo della coscienza della specie. È come se l’inconscio collettivo contenesse impurità, materiale non digerito da epoche precedenti, e il condurlo pienamente nella coscienza individuale per rielaborarlo rappresentasse di fatto una pulizia e una guarigione collettiva.

La profondità e l’intensità di queste esperienze è ben oltre ciò che può essere considerato come personale e indi-viduale: le persone sentono di essere diventate uno con l’u-manità sofferente. Alcune di queste esperienze presentano riferimenti agli archetipi corrispondenti nella letteratura spi-rituale, come Gesù sofferente per i peccati di tutti o il Bodhisattva che rifiuta la liberazione personale e

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volontariamente si assume il compito di liberare tutti gli esseri sofferenti.

Questo mi porta a sollevare la questione del rapporto tra lavoro interiore e attivismo focalizzato sul mondo esterno. Qual è la migliore strategia per ottenere un cambiamento effettivo nella situazione esterna? Ho già menzionato gli yogi che si suppone aiutino a risolvere i problemi del mondo senza lasciare l’ambiente delle loro caverne. Anni fa, Ram Dass e Daniel Ellsberg ebbero una discussione affascinante su questo argomento alla conferenza annuale dell’As-sociazione di Psicologia Transpersonale ad Asilomar, in California. Ram Dass esercitava personalmente la pratica spirituale sistematica e aveva avuto alcune potenti esperien-ze transpersonali. Egli arrivò alla conclusione che la cosa più importante che noi possiamo fare per aiutare la situazione mondiale è il lavoro interiore sistematico che conduce ad una trasformazione psicospirituale profonda. Se tutti lo facessero, il mondo cambierebbe. Eviteremmo così anche varie attività male orientate che decisamente peggiorano la situazione.

Daniel Ellsberg, un attivista e pacifista che aveva svelato i piani segreti degli ambienti militari americani pubblicando documenti del Pentagono, era di tutt’altre idee. Inizialmente egli era convinto che la sola cosa in grado di cambiare il mondo fosse l’attività esterna determinata: protesta politica, dimostrazioni, boicottaggio e strategie simili. Egli sentiva che la sua partecipazione alle dimostrazioni, con conseguen-te arresto, e il far parlare di sé sui giornali costituissero l’at-tività rivoluzionaria più efficace e il meglio che egli potesse fare per catalizzare un cambiamento positivo.

Così essi iniziarono la discussione da posizioni diame-tralmente opposte, ma quando esaminarono più a fondo la questione, ciascuno di loro si aprì gradualmente al punto di vista dell’altro. Ram Dass riconobbe che, dopo che noi

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lavoriamo sui nostri pregiudizi personali e chiariamo a noi stessi la nostra posizione attraverso un profondo lavoro interio-re, è importante che passiamo ad applicare le nostre visioni nel mondo. Oggi egli è profondamente impegnato nel servizio e dedica molto del suo tempo ed energia sia a progetti ambientali che di altro tipo.

Viceversa, Daniel Ellsberg si rese conto che per gli attivi-sti che operano con efficacia è importante fare un lavoro inte-riore sistematico, in modo che gli interventi siano pienamen-te sentiti, adeguatamente focalizzati, condotti con abilità ed esenti dalle proiezioni dei loro impulsi inconsci irrisolti.

RUSSELL: Vi è una netta possibilità che una persona che stia lavorando su se stessa abbia un effetto diretto sulla coscien-za degli altri. So per esperienza personale che quando medito con un gruppo di persone nella stessa stanza accade qualcosa - la mia meditazione ne guadagna decisamente in profondità e limpidezza. È ben notevole, ma non è qualcosa che posso spiegare salvo supporre che ci sia una qualche influenza diretta reciproca tra i meditanti.

È evidente che l’effetto va molto oltre la stanza nella quale si sta meditando. I ricercatori che hanno studiato gli effetti della Meditazione Trascendentale hanno riscontrato che molte persone che meditano insieme risultano avere un’influenza palese su coloro che vivono nella stessa area. Essi radunarono fino a 5.000 meditanti in una città per diver-se settimane. Poi controllarono varie statistiche sociali di quella città nel periodo dell’esperimento e constatarono una diminuzione dell’incidenza dei crimini e degli incidenti, e una diminuzione dei ricoveri ospedalieri. Tutto ciò è molto sorprendente, lo so, ma non penso che manipolassero i risul-tati. Furono mosse critiche agli esperimenti e fu puntualiz-zato che i ricercatori non avevano controllato questo o quel parametro. Sicché quelli della MT ripeterono gli esperimenti

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con migliori controlli, e riottennero gli stessi risultati. È veramente molto affascinante.

LASZLO: La connessione tra l’interiore e l’esteriore è una possibilità molto promettente. A Milano, in Italia, ho assi-stito ad esperimenti in tal senso. Sperimentatori volontari portavano elettrodi collegati alla testa per il monitoraggio delle loro onde cerebrali. Ne risultò che quando i soggetti entravano in uno stato meditativo, i due emisferi del loro cervello si sincronizzavano. Le onde stesse diventavano armoniche.

Ora, ciò che è interessante è che un effetto simile si veri-fica quando diverse persone meditano insieme. In tal caso le onde cerebrali di tutti, o praticamente tutti, i soggetti diven-tano sincronizzate. Una configurazione di onde cerebrali quasi identica emerge nell’intero gruppo, anche se le perso-ne del gruppo non hanno contatto sensoriale tra loro. Ho visto casi nei quali, dopo cinque o sei minuti, ben dodici meditatori esperti ottenevano fino al 98% di sincronizzazio-ne tra di loro.

Sincronicità e connessioni curiose

GROF: Ciò che mi affascina in modo particolare rientra nella sfera puramente psicologica - nel regno delle sincronicità, piuttosto che quello della sincronizzazione. Quando lavoria-mo sulla respirazione, accade molto frequentemente che le persone condividano le stesse esperienze, o che le loro espe-rienze siano perfettamente complementari, sebbene queste persone non abbiano alcun contatto tra loro tramite canali convenzionali. Spesso accade che le persone appaiano nelle reciproche esperienze e che, dopo le sedute, disegnino man-dala che sono praticamente identici.

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RUSSELL: Non penso che queste sincronicità avvengano com-pletamente per caso. Ho notato che le sincronicità avvengo-no più frequentemente quando mi trovo in uno stato di coscienza concentrato e limpido. Se sono appena tornato da un ritiro di meditazione, per esempio, le sincronicità sem-brano avvenire sempre. È come se l’intero cosmo sia dalla mia parte; tutto mi riesce in modo semplicemente perfetto -molto meglio di quanto abbia mai potuto attendermi o pia-nificare. Viceversa, quando sono stressato, stanco e in uno stato mentale di sovraffaticamento, pochissime sincronicità avvengono nella mia vita. Sicché queste connessioni sem-brano essere in qualche modo riflessi del mio proprio stato di coscienza. Questo ha l’interessante implicazione che posso esercitare un certo controllo sul verificarsi delle sin-cronicità tendendo al mio benessere interiore.

È difficile comprendere queste connessioni nel contesto del paradigma attuale. Ciononostante, ho avuto sufficienti esperienze per convincermi che il fenomeno avviene, e che pertanto deve esserci qualcosa di sbagliato nel paradigma corrente.

LASZLO: Ciò di cui abbiamo bisogno è comprendere che, da un lato, effetti ed esperienze sincrone avvengono, e dall’al-tro che esse avvengono indipendentemente da ogni classi-ca relazione causa-effetto. Tuttavia mi chiedo se realmente non ci sia qualche forma di rapporto. Se non la troviamo, è forse perché la stiamo cercando nell’ambito del vecchio paradigma. Forse dovremmo guardare agli individui come parti di una totalità più ampia. È questa totalità più ampia che sta subendo una trasformazione, e gli individui stanno brancolando nel tentativo di capire cosa stia accadendo - a loro, alla comunità e alla cultura in cui vivono. Finché cer-cheremo una spiegazione in termini di menti singole, otter-remo tutti questi risultati paradossali e apparentemente

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esoterici. Mentre la spiegazione reale può essere al livello della totalità.

È importante però chiarire di quali sincronicità e inter-connessioni, o coincidenze, stiamo parlando: quelle che coinvolgono le menti di differenti persone, o quelle che coin-volgono tanto la mente quanto la materia?

GROF: Ci sono due tipi di coincidenze inusuali alle quali sono interessato. La prima coinvolge semplicemente una combinazione o accumulazione molto improbabile di even-ti. Questo tipo fu descritto per la prima volta dallo scienzia-to austriaco Kammerer e presentato in un libro di Arthur Koestler: Il caso del rospo ostetrico. Kammerer era affascinato dal fenomeno della sincronicità. Per esempio, un giorno vide lo stesso numero riportato sul suo biglietto del tram e sul biglietto di uno spettacolo teatrale che andò a vedere quella sera. Inoltre, quello stesso giorno una sua conoscenza, alla quale aveva chiesto un certo numero di telefono, gli passò quello stesso numero come risposta.

C. G. Jung riportò le osservazioni di Kammerer nel suo articolo sulla “Sincronicità come principio di connessione acausale” e riferì di una storia ancora più sorprendente riguardante un certo Monsieur Deschamps e un tipo piuttosto raro di budino. Monsieur Deschamps inizialmente ricevette questo budino come dono di compleanno dal suo amico Monsieur de Fontgibu. Il suo secondo incontro con lo stesso tipo di budino fu quando, anni dopo, egli lo vide incluso nel menù di un ristorante di Parigi. Lo ordinò, scoprendo che l’ul-tima porzione di questa prelibatezza era stata appena ordina-ta in un’altra parte del ristorante dallo stesso Monsieur de Fontgibu che gliela aveva fatta conoscere. Egli era capitato a Parigi e “per caso” era venuto allo stesso ristorante.

Molti anni più tardi Monsieur Deschamps ebbe il suo terzo incontro con lo stesso budino quando esso fu servito

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ad un party cui egli partecipava. La sua mente fu attraver-sata dal pensiero che la sola cosa mancante era il suo amico, Monsieur de Fontgibu. Improvvisamente suonò il campa-nello: era il suo amico, perplesso e confuso. Egli era arrivato a questo terzo incontro con il budino per errore, perché qual-cuno gli aveva dato per errore l’indirizzo sbagliato. È per me difficile accettare che coincidenze straordinarie di questa specie siano solamente casi fortuiti; essi sono astronomica-mente improbabili. Tendo a vedere in essi l’opera di un bir-bante cosmico che scrive il copione della realtà.

Il secondo tipo di coincidenza è perfino più notevole; in esso, una parte è costituita da un’esperienza intrapsichica e l’altra parte è un evento di realtà consensuale, nel mondo materiale. Un famoso esempio di Jung è lo scarabeo che battè alla finestra del suo studio proprio quando egli stava analizzando il sogno di una paziente che riguardava uno scarabeo egiziano. Joseph Campbell descrisse un esempio simile suo proprio, che gli capitò quando stava scrivendo il suo libro La via dei poteri animali. A quel tempo egli viveva a Manhattan, al quattordicesimo piano di un grattacielo. Il suo studio aveva due serie di finestre, una sulla Sesta Strada, l’altra sul fiume Hudson. Non aveva aperto quasi mai il primo gruppo di finestre perché la vista sulla Sesta Strada non era interessante. Mentre stava scrivendo della mitologia dei boscimani Kalahari in Africa, nella quale un’importante figura eroica è la mantide religiosa, era circondato da artico-li e immagini di questo essere. Nel mezzo del suo lavoro, egli ebbe un improvviso impulso di aprire una delle finestre che usualmente teneva chiuse. E là, al quattordicesimo piano di un grattacielo di Manhattan, vi era una mantide religiosa che si arrampicava sul muro. Qual è la probabilità che una cosa come questa accada per caso?

Ho osservato che le sincronicità diventano più frequenti nelle vite di persone che intraprendono una trasformazione

LA RIVOLUZIONE DELLA COSCIENZA

psicospirituale profonda che comporta la morte dell’ego e la rinascita. Questa esperienza di solito sfocia in molti impor-tanti cambiamenti nel sistema di valori e nella strategia generale della vita. Le persone diventano più capaci di vive-re nel presente e con maggiore entusiasmo. Esse diventano meno interessate a perseguire rigidamente scopi specifici. La loro vita cessa di somigliare ad un incontro di lotta o di pugi-lato e diventa più simile ad un’arte marziale. Una metafora ancora migliore potrebbe essere il surfing. Se stai facendo surf, non puoi decidere dove andrai, devi cavalcare l’onda. Così, invece di spianare la loro strada verso un obiettivo futuro, combattendo nemici e rimuovendo ostacoli, queste persone sentono dove le energie stanno andando, e come esse si inquadrano meglio. Vanno semplicemente con il flus-so. È un atteggiamento molto simile al wu wei taoista, la quiete creativa o il fare attraverso l’essere.

La vita diventa progressivamente senza sforzo e, cosa abbastanza strana, più creativa, produttiva e gratificante. È allora che cominciano le sincronicità che inaspettatamente sostengono e facilitano qualunque cosa stiamo facendo. Ciò che stiamo facendo non è meramente asservito al nostro interesse individuale, ma al beneficio della comunità. Vi è un senso di profonda comunione con gli altri e sentiamo forte-mente la necessità di servizio, collaborazione e sinergia. Si percepisce apprezzamento per le diversità, un’accresciuta tolleranza, e un senso di appartenenza alla famiglia umana, alla natura, al cosmo. Allo stesso tempo la consape-volezza e la sensibilità ecologica aumentano considerevol-mente.

LASZLO: Quando eventi apparentemente differenti nella nostra mente, o perfino nella mente di persone che noi cono-sciamo, appaiono insieme, possiamo sempre cercare una spiegazione con riferimento alla memoria e al richiamo

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associativo. Ma quando un evento che avviene nella mente di qualcuno entra in relazione sincronica con un evento che avviene fuori dal cranio, nel mondo fisico, abbiamo a che fare con un fenomeno decisamente diverso. Qui noi abbia-mo bisogno di un quadro di riferimento esplicativo molto differente. Questo è il punto in cui diventa eccitante la sfida della moderna ricerca sulla portata e sui poteri della mente e della coscienza.

Secondo giorno - mattina

IMPLICAZIONI PERSONALI

Il cambiamento dei valori

LASZLO: Ieri dicevamo che molto probabilmente c’è una crisi che incombe sul mondo attorno a noi, ma che ci sono segni di una trasformazione della coscienza che preannunciano la possibilità che questa crisi possa essere trascesa. Ci sono trasformazioni in corso sia nel mondo “oggettivo” esterno a noi che nel mondo “soggettivo” entro di noi. In quest’ultimo, hanno grande importanza i valori. Qual è la natura e la direzione del cambiamento di valori che si sta diffondendo nella società? Questo, mi sembra, è un punto cruciale, che ci riguarda tutti sia individualmente che come collettività.

RUSSELL: Io interpreto l’attuale slittamento di valori in ter-mini di un indebolimento degli attaccamenti egoici. I nostri valori sono fondamentalmente ciò che noi riteniamo essere importante, ciò che ha valore, ciò che consideriamo impor-tante nella nostra vita. Dietro molti valori della società occi-dentale vi è un elemento di egocentrismo e di preoccupazio-ne per se stessi. Cosa pensano gli altri di me? Sto ottenendo ciò di cui ho bisogno? Ho la mia sicurezza? Posseggo il denaro, le cose e l’esperienza che mi faranno felice? Controllo sufficientemente il mio mondo? È questo il genere di argomenti che noi riteniamo importanti, ai quali

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attribuiamo valore, e che condizionano così tanto il nostro comportamento.

Sicché, quando l’egocentrismo comincia ad allentare la sua presa, il che può avvenire come risultato delle profonde trasformazioni spirituali delle quali Stan parlava ieri o come conseguenza del fatto che diventiamo più maturi e più saggi, avviene un mutamento in ciò che percepiamo come importante; un cambiamento di valori. Spontaneamente nasce la capacità di prendersi più cura per il prossimo, per le altre creature per l’ambiente. Quando un maggior numero di persone entrerà in più stretto contatto con un livello più profondo del proprio sé, non così attaccato alle cose per via del suo senso di identità, potremo attenderci di assistere ad uno slittamento generale dei valori sociali.

LASZLO: La domanda chiave è se questi mutamenti di valori degli individui siano abbastanza potenti da modificare le nostre istituzioni e schemi di comportamento. Perché quan-do si svolge un ruolo professionale o sociale si agisce nel modo in cui gli altri si aspettano che si agisca. Quando, magari inaspettatamente, si ha una esperienza trasformativa e si perviene a nuove intuizioni, c’è una rivoluzione nella propria coscienza. O si torna indietro e si assume lo stesso ruolo e comportamento di prima? Mi domando se veramen-te la maggior parte della gente diventa diversa e agisce diversamente.

GROF: HO visto nel corso degli anni molti esempi di persone che sono cambiate drammaticamente non solo internamen-te, ma in un modo che ha avuto un impatto profondo sulle loro vite quotidiane. In molti casi esse hanno mantenuto il loro vecchio lavoro o continuato a condurre in generale la stessa vita. Se si è medici, avvocati o insegnanti, si può sem-plicemente continuare a fare ciò che si è sempre fatto, ma

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con una nuova coscienza, in modo differente, con una muta-ta focalizzazione. Ma ci sono alcuni lavori che sono chiara-mente incompatibili con il nuovo modo di vedere la realtà e diventa impossibile continuare con essi.

Un buon esempio è quello di un mio amico fisico. Egli scrisse una dissertazione sull’influenza del campo geoma-gnetico sulla traiettoria dei missili. La sua dissertazione fu tenuta segreta e gli fu offerto di lavorare con il Pentagono. Egli mi disse che, un giorno, si trovava con suoi colleghi alle prese con un compito specifico: come distribuire nel modo migliore gli elementi di un missile a testata multipla per devastare un territorio di cento miglia quadrate. Mentre sta-vano lavorando sulla matematica di questo problema, egli si rese conto improvvisamente che non si trattava di una que-stione astratta. Non stavano parlando di dieci miglia qua-drate, ma di vite umane, madri, bambini, famiglie, scuole, ospedali... Egli ebbe di fatto una visione di ciò a cui la sua attività avrebbe portato. Si alzò come in trance e se ne andò, per non tornare mai più. Divenne terapeuta e guaritore, profondamente interessato alla spiritualità.

LASZLO: Anche io so di esperienze rivelatrici che hanno cam-biato la vita alle persone. Non molto tempo fa ho incontrato un uomo molto noto in Germania. Quando era giovane face-va il macellaio ed entrò in contatto con il quartier generale dell’esercito americano nella Germania occupata. Ottenne un contratto per la fornitura di wurstel alle mense dell’eser-cito e nel tempo divenne abbastanza benestante. Negli anni seguenti mise in piedi una grande compagnia per la lavora-zione delle carni, specializzata in salumi di vario genere. Diventò ricco, con enormi mattatoi e diverse migliaia di per-sone che lavoravano per lui.

Un giorno andò in vacanza nel Sahara e passò due setti-mane nel deserto, vivendo in modo molto simile ad un

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beduino. Allora realizzò, apparentemente molto all’improv-viso, che ciò che stava facendo era terribile per gli animali, e non era un bene neanche per la gente. Gli apparve evidente che la sua vita era sprecata; il macellaio non era ciò che dove-va fare. Tornò a casa, vendette la sua azienda e creò una fon-dazione per la responsabilità ecologica. La sua “illuminazio-ne” probabilmente era associata ad uno stato alterato di coscienza durante la sua permanenza nel deserto.

Questo può avvenire a livello individuale, ma perché la società cambi nel suo insieme, ciò dovrebbe avvenire a molti individui. Come può accadere ad un gran numero di perso-ne di vivere esperienze così significative da trasformare le loro vite? È possibile questo, o probabile... e si può fare qualcosa per agevolarlo?

GROF: Abbiamo oggi a nostra disposizione molti metodi, antichi e moderni, che possono facilitare una tale trasforma-zione. L’interesse della popolazione generale di seguire que-sta strada sembra essere in aumento. E ci sono molti casi nei quali tali trasformazioni avvengono spontaneamente. Ken Ring ha descritto un uomo che era un affiliato della mafia e che fu completamente trasformato da un’esperienza di pre-morte. Ken parla di “esperienze Omega”, riferendosi al con-cetto di Teilhard de Chardin del punto Omega verso il quale sta convergendo l’evoluzione umana. Egli include tra le esperienze Omega, oltre alle esperienze di premorte, anche gli stati mistici spontanei, le esperienze psichedeliche, le esperienze di rapimento da parte degli UFO, e le crisi psico-spirituali spontanee, o “emergenze spirituali”, come il risve-glio di kundalini.

RUSSELL: Dovendo illustrare trasformazioni che coinvolgo-no un gran numero di persone, un buon esempio nella nostra cultura è il mangiare carne. Solamente venti anni fa il

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vegetarianismo era inusuale, e considerato spesso una cosa alquanto eccentrica. Oggi è tranquillamente accettato, e molti ristoranti propongono valide alternative vegetariane nei loro menù. Ci sono stati diversi fattori dietro a questo cambiamento. Per alcuni è una questione di salute; alcuni sono sensibili al prezzo da pagare in termini ambientali per la produzione di carne; altri provano orrore per la maniera in cui gli animali vengono allevati e non vogliono sostenere questo genere di brutalità; altri ancora sentono semplice-mente che non dovrebbero mangiare niente che loro stessi non siano preparati ad uccidere. Il risultato complessivo è stato un cambiamento costante verso il mangiare meno carne, non verso il vegetarianismo completo, ma verso una dieta più bilanciata. Questo cambiamento di valori sta avve-nendo perché le persone stanno incominciando a capire il mondo e a pensarvi in modo più profondo.

GROF: Ervin, tu hai chiesto come si possa indurre una gran-de trasformazione di un gran numero di persone. In qualche maniera questo sta già accadendo, in molti modi differenti. Ci sono vari tipi di esperienze che possono facilitare la tra-sformazione e l’evoluzione della coscienza. Come dicevo, vi sono le esperienze Omega, come le definisce Ken Ring. Tutte hanno un impatto profondo sulla struttura della personalità, sulla visione del mondo, sulla scala dei valori, sulla strategia di vita. Esse possono tutte essere associate a violente visioni del percorso distruttivo e autodistruttivo sul quale ci tro-viamo. Qualche volta le esperienze includono vere e proprie visioni di disastri e catastrofi naturali e sociali che ci aspet-tano se non cambiamo. Un risultato naturale delle esperien-ze Omega è un senso di cittadinanza planetaria, di consape-volezza ecologica profonda, e di una spiritualità universale di natura onnicomprensiva che sostituisce il settarismo e l’intolleranza attuali delle principali religioni. Sento che è

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importante per il nostro futuro crearci un bagaglio cognitivo delle “tecnologie del sacro” disponibili su grande scala attra-verso i mass media e creare sistemi di sostegno per coloro che hanno esperienze trasformative spontanee.

LASZLO: Lasciatemi toccare di nuovo una questione che non smette di affascinarmi: da dove originano queste esperienze straordinarie? Sono interamente interne agli individui, sono interne all’umanità tutta, oppure l’ondata di esperienze di cui siamo testimoni oggi è attivata da qualcosa che è perfino al di là dell’umanità?

GROF: Nelle esperienze spirituali, usualmente si ha la sensa-zione di essere connessi con una sorgente trans-individuale, una potenza o intelligenza superiore. Essa può prendere la forma di un essere archetipico o trascendere del tutto la forma. In questa seconda circostanza, essa è percepita come Coscienza Cosmica, Mente Universale, Tao o qualsiasi altro nome si voglia usare per denotare il divino indifferenziato. Nelle esperienze UFO la sorgente sembra essere un’intelli-genza extraterrestre, esseri di un’altra parte dell’universo.

Certamente, vi è sempre la questione di cosa sia intrapsi-chico e cosa esterno. Da una più ampia prospettiva trans-personale, ciò che è percepito come divino è in effetti un aspetto più elevato di noi stessi e le esperienze extraterrestri derivano probabilmente dall’inconscio collettivo. In ultima analisi la psiche individuale sembra essere, come nel concet-to induista dell’Atman-Brahman, commisurata a tutto ciò che è.

RUSSELL: Qualche volta mi domando se la questione di cosa viene dall’interno di noi stessi e cosa viene da “là fuori” sia veramente importante. In effetti, l’intera distinzione tra “là fuori” e “qui dentro” è forse illusoria. Ciò che è importante

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è che l’esperienza stessa sia valida. Le esperienze spirituali sono quasi sempre esperienze potenti e toccanti, e in molti casi esse cambiano in meglio la vita delle persone.

GROF: Quello che possiamo dire con sicurezza è che queste esperienze sembrano provenire da una sorgente situata al di là di ciò che fino a quel momento le persone consideravano essere la loro identità personale; oltre “l’ego incapsulato nella pelle”. E queste esperienze, a loro volta, hanno il potenziale e la capacità di estendere radicalmente e ben oltre i confini usuali il limitato concetto che le persone hanno di sé.

LASZLO: PUÒ essere che la dicotomia tra ciò che è me e ciò che non è me non sia veramente un buon modo di formula-re la domanda. Forse ciò che abbiamo in noi è anche una parte di ciò che sta oltre noi.

GROF: Questo è, certamente, il principio alla base di molti sistemi esoterici: l’essere umano come microcosmo che rispec-chia il macrocosmo, un microcosmo che ha accesso ad infor-mazioni sul tutto. Come sopra, così sotto. Come fuori, così dentro. Possiamo trovare questo principio nell’antico concet-to giainista dello jivas, nello hwa yen o nel buddismo ava-tamsaka, nel tantra, nella cabala e nella tradizione ermetica. In tempi moderni, un’idea simile appare nella monadologia di Leibniz, nel modello olografico dell’universo, nel processo di pensiero secondo Whitehead e naturalmente, Ervin, nel tuo stesso sistema concettuale. Tutti questi modelli, antichi e moderni, offrono una radicale alternativa ad una rigida dico-tomia tra l’interno e l’esterno, l’individuo e il cosmo.

LASZLO: SÌ. Secondo il mio punto di vista, l’essere umano è una parte integrante del mondo attorno ad esso, non proprio un essere separato. Questo è nuovo in occidente. La scoperta

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del valore dell’individualità fu una scoperta europea del Rinascimento. All’individualità della persona venne attri-buito il valore dell’unicità e diversità rispetto a qualsiasi altra persona o cosa. Nella cultura odierna noi riteniamo ancora l’individuo unico come avente raggiunto un più alto livello di sviluppo rispetto alla persona con un orientamen-to più collettivo.

Recentemente, comunque, stiamo tornando a renderci conto che l’individuo non è completamente separato, ma è parte di una più vasta e comprensiva unità di persone e di ecologie nel suo proprio ambiente. Il realizzare ciò da cer-tamente luogo al timore che l’individuo sia solamente un ingranaggio nella macchina, un neurone in un cervello globale.

RUSSELL: Non dovremmo necessariamente vedere lo svilup-po dell’individualità come una cosa negativa. Essa costitui-sce una parte importante del nostro processo evolutivo; senza di essa la nostra cultura non si sarebbe sviluppata come ha fatto. Ciò che è importante ora è bilanciare questo senso di individualità con una complementare consapevo-lezza che noi siamo anche parte di un tutto più grande. Così andremo a sviluppare una maggiore coerenza e cooperazio-ne: muovendoci verso una consapevolezza più ampia e comprensiva, non tentando di mettere un freno a ciò che è stato uno dei più grandi passi dell’evoluzione.

Piuttosto che tentare di reprimere la nostra individualità, abbiamo in verità bisogno di favorire la sua piena crescita. Il senso del sé prevalente nella nostra cultura è per molti versi un senso piuttosto limitato del sé. Molti di noi derivano un senso di identità da ciò che abbiamo e che facciamo, da come gli altri ci vedono, dal nostro status sociale, dai ruoli che svolgiamo nella vita, dal lavoro che facciamo, da ciò in cui crediamo, perfino dalla macchina che guidiamo. Tutto ciò

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presenta molti inconvenienti. Un senso di identità che è trat-to da ciò che noi abbiamo o facciamo nel mondo è continua-mente minacciato. Se le cose dalle quali noi traiamo il nostro senso del sé mutano, o anche se solo sembrano poter cam-biare, la nostra identità può essere minacciata. Possiamo sco-prirci a fare o dire cose non perché esse siano le cose più appropriate da fare o da dire, ma perché il nostro senso del sé ha bisogno di sostegni.

Paradossalmente, questo può condurci a sopprimere la nostra vera identità. Sopprimiamo chi siamo realmente per conformarci alle norme sociali e ricevere così il riconosci-mento e l’approvazione che ci fanno sentire bene. Piuttosto che essere fedele al proprio sé, la gente troppo spesso vive di una qualche immagine costruita di se stessa, e come risultato fa un mucchio di cose senza realmente pensare se esse siano giuste o no.

LASZLO: Sono pienamente d’accordo. Non è l’individualità come tale che è un problema, ma l’individualità isolata, l’in-dividuo visto come separato, persino escisso dalla società e dalla natura.

RUSSELL: Questa sorta di individualità cieca è il problema. Dobbiamo trovare modi per aiutare le persone a diventare più libere in se stesse, a pensare da se stesse, a venire in con-tatto con la saggezza più profonda che si trova in loro stes-se, e ad esprimere ciò nella loro vita.

Questa modalità più evoluta di individualità non è in conflitto con il fatto di essere un membro più cooperativo della società. Al contrario, essa può rafforzare la cooperazio-ne. Se si va oltre un senso artificialmente derivato del sé, si supera buona parte della egocentricità che ostacola l’auten-tica compassione. Si è molto più capaci di vedere e sentire i bisogni degli altri.

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GROF: La prevalente visione del mondo della civiltà indu-striale occidentale non rende un buon servigio né alla collet-tività né all’individuo. Il suo credo portante è fallace. Esso promuove un modo di essere e una strategia di vita che alla fine sono inefficaci, distruttivi e inappaganti. Esso vuole farci credere che la vittoria nella competizione per il denaro, le proprietà, la posizione sociale, il potere e la fama è suffi-ciente per farci felici. Come abbiamo visto precedentemente, questo in effetti non è vero. Da questo punto di vista, la civiltà occidentale subisce l’incantesimo di una gigantesca illusione. Coloro che perseguono questa strategia stanno inseguendo un miraggio. È una strategia perdente, che si raggiungano o no gli obiettivi che ci si era prefissi. In sé e per sé, essa è incapace di fornire reale soddisfazione e rea-lizzazione.

Ken Wilber presenta un interessante concetto nel suo libro Il progetto Atman. Egli esplora e descrive le conseguenze spe-cifiche della basilare teoria della filosofia perenne che asseri-sce che la nostra vera natura è divina e che, in ultima analisi, siamo identici al principio creativo cosmico. Sebbene il pro-cesso di creazione ci separi e ci alieni dalla nostra identità divina, la consapevolezza di questa connessione non è mai completamente persa. La forza motivante più profonda nella psiche umana a tutti i livelli del nostro sviluppo è la brama di tornare all’esperienza della nostra divinità. Certamente, que-sto è un compito impossibile finché crediamo di essere ego corporei operanti nel mondo materiale. Perché ciò si compia, dovremo possedere e diventare tutto ciò che è.

LASZLO: Puoi articolare questo punto, Stan?

GROF: C è una storia su Alessandro Magno che illustra que-sto punto molto bene. Egli fu certamente un individuo i cui conseguimenti secolari unici saranno difficilmente emulati.

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Andò tanto lontano sulla strada dell’ottenimento dello sta-tus divino nel mondo materiale quanto un essere umano possa mai sperare. In effetti fu spesso chiamato il Divino Alessandro. La storia è questa: dopo una serie di vittorie militari senza precedenti tramite le quali egli conquistò vasti territori compresi tra la sua nativa Macedonia e l’India, Alessandro alla fine raggiunse l’India. Là sentì dire di uno yogi che aveva poteri insoliti, o siddhi, tra i quali la capacità di vedere il futuro.

Alessandro decise di rendere visita allo yogi e interro-garlo sul proprio destino. Quando arrivò alla caverna dello yogi, il saggio era immerso nella sua consueta pratica spiri-tuale. Alessandro impazientemente interruppe la sua medi-tazione chiedendogli se avesse effettivamente il potere di vedere il futuro. Lo yogi annuì con il capo e tornò alla sua meditazione. Alessandro lo interruppe ancora con un’altra incalzante domanda: “Puoi dirmi se la mia conquista dell’India avrà successo?”. Lo yogi meditò un po’ e poi aprì lentamente gli occhi. Dette ad Alessandro un’occhiata lunga e gentile e disse compassionevolmente: “Ciò di cui avrai bisogno alla fine saranno circa due metri di terra”.

Sarebbe difficile trovare un esempio più acuto del nostro dilemma umano: il nostro sforzo disperato di cercare la rea-lizzazione della nostra divinità attraverso mezzi materiali e con le limitazioni imposteci dalla nostra identificazione con l’ego corporeo. Il solo modo attraverso il quale possiamo conseguire il nostro pieno potenziale come esseri divini è attraverso un’esperienza interiore. Questo richiede la morte e la trascendenza del nostro sé separato, la morte della nostra identità quale ego incapsulato nella pelle. A causa della nostra paura dell’annichilimento e del nostro attacca-mento all’ego, dobbiamo fissare dei sostituti o surrogati dell’Atman. Questi cambiano col nostro procedere nella vita e sono sempre specifici per una particolare fase.

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Per un feto e un neonato, il sostituto dell’Atman è l’e-sperienza beata in un buon grembo o su un buon seno. Per un bambino è il soddisfacimento degli impulsi fisiologici basilari e del bisogno di sicurezza. Quando si diventa adul-ti, il progetto Atman raggiunge un’enorme complessità. I surrogati dell’Atman ora coprono un vasto spettro e inclu-dono, oltre al cibo e al sesso, anche denaro, fama, potere, aspetto, conoscenza e molte altre cose. Allo stesso tempo, noi percepiamo che nel profondo siamo in realtà identici al prin-cipio creatore e alla totalità della creazione. Per questa ragione, i sostituti di qualsiasi livello e portata resteranno sempre insoddisfacenti. La soluzione ultima per l’insaziabi-le bramosia è nel mondo inferiore, non nei perseguimenti mondani di qualsivoglia genere e portata. Solamente l’espe-rienza della propria divinità in uno stato di coscienza non ordinario potrà soddisfare i nostri bisogni più profondi.

Sugli scopi nella vita

LASZLO: Passiamo ora a una questione più terrena, ma non meno importante. In linea generale si è perso di vista quello che è il senso della vita nel mondo di oggi. La maggior parte della gente non sa cosa sia realmente importante nella pro-pria vita. Forse possiamo far luce anche su questo.

Lasciatemi iniziare chiedendo cos’è che è importante in ciò che stiamo facendo proprio adesso: nel dialogo. Secondo me un elemento chiave di qualsiasi dialogo, oltre a tutte le tecniche atte a predisporre mentalmente la gente, è di assi-curarsi che i partecipanti sappiano ciò di cui gli altri stanno parlando. Essi devono capire che ciò che è oggetto del dialo-go è importante che vada discusso - che c’è qualcosa che deve essere capito che non è ancora pienamente compreso. Essi debbono realizzare il fatto che è più importante capire il

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punto di vista degli altri che difendere il proprio. Se si può andare oltre le blandizie del proprio ego e capire che c’è qualcosa che deve essere conseguito attraverso il dialogo, ci sarà più apertura, più disponibilità a mettere da parte futili preoccupazioni del tipo “di chi è mai questa opinione?”, focalizzandosi invece sulle questioni che contano.

RUSSELL: Possiamo applicare questo principio anche alle nostre vite. Cosa è veramente importante nella mia vita? Già il fatto di domandarsi “cosa voglio veramente?”. può essere un esercizio molto profondo. Le risposte che arrivano prima sono spesso un risultato della nostra esperienza e condiziona-mento sociale, o possono essere vincolate da ciò che crediamo possibile. Ma se insistiamo a porci la domanda, andando ogni volta sempre più nel profondo, guardando al “perché voglio quella cosa?”, la maggior parte delle persone arriva a conclu-sioni assai simili. In ultima analisi stiamo tutti cercando di sentirci meglio dentro, di essere più in pace, di essere liberi dalla sofferenza. Pensiamo di volere cose esterne - denaro, promozioni, migliori relazioni, una vacanza - ma questi sono tutti mezzi per un altro fine. Stiamo tutti cercando, alla fine, di migliorare il nostro stato di coscienza. Questo non significa che si dovrebbe smettere di lavorare e cercare solo la pace interiore. Ma è importante restare consapevoli del fatto che il lavoro o il denaro non sono scopi in se stessi, ma solamente mezzi per un fine spirituale più profondo.

LASZLO: Ci sono gradi di significatività nel tipo di lavoro che si fa. Il livello più basso è quando si lavora solamente per ottenere una paga - non importa che lavoro si faccia. Naturalmente ci sono dei lavori che bisogna svolgere e che non hanno molto significato di per sé. Quando si è disoccu-pati si è anche pronti a fare queste cose, ma è sperabile che un giorno questi lavori privi di significato siano affidati alle

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macchine in modo che le persone possano fare cose più significative.

Al secondo livello, ci sono attività che facciamo perché siamo realmente interessati ad esse, sono divertenti da fare o le si svolgono come una sorta di hobby. È bello quando si può anche guadagnare denaro dal proprio hobby. Questa sembra essere una situazione ideale, ma non è ancora il livel-lo più alto, perché fare questa specie di lavoro può essere solo un passatempo divertente.

Al livello successivo ci si chiede: il lavoro che sto facen-do è veramente significativo? Supporta qualche proposito? Conduce alla realizzazione personale? Se si può trovare una risposta a questo, o se si può trovare un qualche genere di attività che sia al contempo piacevole da svolgere e conduca a qualche obiettivo che fa sentire realizzati, allora si è molto fortunati. Certamente, gli obiettivi di livello più alto sono talvolta difficili da conseguire. A volte richiedono sacrifici. Si pensi ai martiri, non penso che si sacrifichino di loro volontà se non sono convinti dell’importanza del loro obiettivo. Oppure si pensi ai grandi artisti che vivono in soffitta e sacrificano il loro benessere quotidiano affinché possano rea-lizzarsi nella loro arte. Quale livello si raggiunge dipende da come si è ambiziosi. Ma, a meno che non si sia veramente in grande ristrettezza economica, si dovrebbe andare oltre il primo livello. Quando si sta facendo qualcosa solamente per ottenere denaro, allora la si dimentica non appena il lavoro è compiuto. Si chiude la porta dell’ufficio o del negozio e ci si comincia a guardare attorno per vedere come spendere il denaro che il lavoro ci ha procurato.

È meglio, mi sembra, combinare la propria vita privata e l’attività sociale in un modo che sia al contempo piacevole e significativo. Ci si può allora sentire realizzati tenendo insieme corpo e anima. È importante osare seguire le proprie inclina-zioni e occuparsi di ciò che si vuole compiere nella vita.

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Naturalmente, qui c’è un inganno, non presente nella vita di tutti, ma in quella di molte persone, soprattutto nel mondo occidentale, ed è lo scetticismo intrinseco circa il desiderare, o anche solo l’essere capaci, di rendere un bene-ficio alla società e vivere in armonia con la natura. Intendo il punto di vista secondo il quale tutto questo discorrere circa gli scopi e il significato è alla fine un’illusione - in fondo, la gente lavora perché vuole soldi. Alla fine, dal fattorino e l’o-peraio stradale fino al presidente di una società o del paese stesso, tutti stanno solo cercando di guadagnarsi la vita, diventando ricchi se possono. Questo modo di pensare fa venir meno tutto ciò che è connesso ad un lavoro e a dei pro-positi ricchi di significato al di là dello stipendio mensile.

RUSSELL: Questo conduce alla questione d’insieme del per-ché la gente è così attaccata al denaro. Il denaro in sé non rende felici; possedere pile di biglietti verdi o pezzettini di metallo dorato o cifre stampate su un estratto conto banca-rio non da la felicità. Il valore del denaro sta in ciò che pos-siamo acquistare con esso. Possiamo usarlo per comprare tutte quelle varie cose che pensiamo potranno farci felici, più sicuri e più in pace con noi stessi. Ciò ci riporta alla convin-zione che il come noi ci sentiamo dentro dipenda da cosa possediamo o facciamo nel mondo, dal tipo di esperienze a noi disponibili. Più denaro abbiamo, più felici saremo. Ecco come pensiamo. Ma vi è in concreto ben poca correlazione tra ricchezza e felicità. Conosco persone ricche che sono anime tristi, insicure, tormentate; e ho amici che secondo gli standard occidentali sono dei poveracci che tirano avanti con qualche lavoretto saltuario, e tuttavia sono le persone più felici, gentili e amabili che io conosca.

LASZLO: Sono sfuggiti alla società dei consumi. Tutte queste trappole e incentivi il cui solo scopo è fare denaro, ti vanno

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dicendo che se hai denaro puoi comprare cose che ti daran-no sia agi che prestigio e status. Più cose possiedi più sei migliore come persona.

Non molto tempo fa, in India, vidi un annuncio pubbli-citario di un prodotto - credo un frigorifero - che semplice-mente diceva: “Orgoglio del proprietario, invidia del vici-no”. Se compri questo prodotto ne sarai orgoglioso e i tuoi vicini ti invidieranno. Questa è considerata essere la princi-pale motivazione a comprarlo. Questo è il genere di ragio-namento fallace che sostiene che sei una persona migliore se puoi permetterti di comprare un prodotto più costoso. Puoi essere orgoglioso di te stesso, e i tuoi vicini ti invidieranno.

RUSSELL: Se si guarda bene, si vede che in quasi ogni annun-cio pubblicitario di qualsiasi prodotto o servizio il messag-gio di fondo è: compra questo e ti sentirai meglio. Si fa appello a quella convinzione secondo la quale ciò che tu hai o fai determina se ti senti o no in pace dentro di te. È questa convinzione che ci tiene intrappolati, e la pubblicità fa qual-siasi cosa in suo potere per rafforzarlo.

GROF: Ciò che mi affascina è la psicologia della pubblicità. Sappiamo tutti quanto frequentemente i pubblicitari sfrutti-no l’orgoglio, l’avidità e anche la sessualità per vendere i loro prodotti. Quest’ultima è ovvia e trasparente, almeno per i clienti meglio istruiti e più sofisticati, ai quali è ben nota la psicoanalisi freudiana e che non solo sanno ricono-scere quando il sesso è usato esplicitamente a scopi promo-zionali, ma decifrano anche il più sottile simbolismo sessuale nascosto. Nel suo lavoro sulla creazione di dipendenza e la spiritualità, Christina ha scoperto che l’industria pubblici-taria impiega sempre più il simbolismo spirituale per attrar-re i clienti. Christina ha raccolto una gran varietà di questi annunci pubblicitari che collegano vari prodotti all’oro, alle

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pietre preziose, alla luce divina, al cielo stellato, agli arcoba-leni, alle code di pavone, alle vette montane e ad altri sim-boli comunemente usati in varie tradizioni spirituali. Ciò esplicita bene il fatto che per la civiltà industriale occidentale il conseguimento materiale e la cornucopia del mercato sono surrogati della spiritualità che abbiamo perso.

RUSSELL: Quello che è importante della rivoluzione della coscienza di cui stiamo parlando è che la gente sta comin-ciando a svegliarsi e a riconoscere la verità, la verità profon-da in noi tutti che dice: no, non è così; ho una scelta su come sentirmi. Non ho bisogno di essere vittima di circostanze esterne. La gente sta trovando il coraggio di difendere quella verità interiore. E più ciascuno di noi fa questo, più diamo forza agli altri per battersi per ciò che sanno e sentono esse-re giusto. Il risveglio è tutto qui. È il lasciar perdere il nostro attaccamento al mondo materiale.

LASZLO: Se molta gente si risvegliasse, allora non ci sarebbe questa pubblicità di cui stiamo parlando, o almeno non così tanta. E un meccanismo di autogratificazione, un circolo vizioso. Le persone hanno bisogno di qualcosa, così com-prano un prodotto o un servizio, dopodiché viene detto loro che hanno fatto qualcosa di meraviglioso, così lo ricompra-no o comprano cose simili, che ne abbiano realmente biso-gno oppure no. Questo circolo può essere spezzato solo nel momento in cui la gente si rende conto che comprare più cose al di là di un reale bisogno non la rende migliore o più felice.

L’equazione tra standard materiale di vita e qualità della vita è una falsa equazione. Si può avere una meravigliosa qualità di vita ad uno livello materiale di vita relativamente basso. Si può avere una elevata qualità dell’esistenza senza spendere una grande quantità di denaro e usare una grande

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quantità di energia e di risorse. C’è una scelta di stile di vita che va dalla scelta della professione a quella dell’arreda-mento, a quella degli amici. Si può vivere in un modo sem-plice e qualitativamente elevato oppure in un modo ostenta-tivo, costoso e vanitoso. C’è questa scelta.

Nel mondo occidentale viviamo in una cultura aggressi-va e competitiva. Ma nello stesso mondo occidentale, come dicevamo, c’è anche un fronte emergente, un’avanguardia di persone che stanno sempre più venendo a contatto con se stesse e con il mondo intero attraverso esperienze trasfor-mative. Tuttavia, la grande maggioranza delle persone non è passata attraverso queste esperienze. Esse vivono un’espe-rienza monotona, basata sulla competizione con gli altri nel-l’ambito di sistemi opprimenti, nel tentativo di mantenere il loro lavoro e di tenere insieme corpo e anima. Ricevono informazioni fondamentalmente dai media, dalla pubblicità e dal sistema educativo pubblico. È difficile per la maggior parte di loro innalzarsi al di sopra di questo livello.

Indubbiamente, nelle società tradizionali le persone sono generalmente più a contatto con la realtà che si dispiega intorno ad esse. Ma anche là, molta gente è intenta ad otte-nere ciò che considera progresso seguendo il modello occi-dentale. Questo significa che dei sei miliardi di persone nel mondo odierno, non più di pochi milioni sono pronte ad intraprendere un cammino che potrebbe condurre ad espe-rienze trasformative. La grande massa delle persone sta ancora marciando al passo di un diverso tamburo.

Tuttavia, se una nuova coscienza non raggiunge la gran-de massa delle persone di oggi, saremo nei guai. Non impor-ta quanto alcune persone cambino in California; se il popolo cinese non si muove lungo un cammino di trasformazione, esso emulerà quelli che crede essere valori occidentali e ripe-terà i nostri errori. E se la coscienza non cambia alle radici della società occidentale, essi vedranno rafforzarsi questa

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loro convinzione. Non dobbiamo solo predicare ma anche agire, perché mi sembra imperativo che la coscienza evolva nel mondo intero.

GROF: Diversi anni fa, il presidente ceco Vàclav Havel tenne un interessante discorso all’Università di Stanford allorché fu insignito del premio Jackson H. Ralston. Nel suo discorso criticò la forma che la democrazia occidentale aveva assun-to negli ultimi decenni. Sottolineò che originariamente essa era fondata su profondi principi spirituali, ma che era dege-nerata in una sorta di strategia di consumo. L’influenza del mondo occidentale sui paesi in via di sviluppo consiste innanzitutto nell’esportare tecnologia e beni di consumo. E molto frequentemente questo avviene a costo di sopprimere e distruggere l’autentica vita rituale e spirituale di questi paesi rimpiazzandola con il materialismo e l’ateismo. In molti casi, dei paesi democratici hanno usato mezzi immo-rali e antidemocratici per promuovere i loro interessi. Havel rimarcò che questa forma di “democrazia” spogliata di principi spirituali elevati non rappresenta una grande speranza per il nostro mondo in difficoltà.

LASZLO: Coloro che vivono nel mondo meno industrializza-to guardano a noi per vedere qual è lo stile di vita desidera-bile, la natura di una bella vita, e spesso ottengono le indi-cazioni sbagliate.

GROF: La tecnologia moderna può essere terribilmente sedu-cente per gente tradizionale. Essa offre molti gadget e gio-cattoli affascinanti che possono rendere la vita più conforte-vole e agiata, almeno da una prospettiva superficiale. Tuttavia essa ha un’influenza distruttiva sulla vita culturale dei cosiddetti paesi “in via di sviluppo”. Ovunque la tecno-logia moderna sia importata, essa tende a distruggere i

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valori tradizionali, la vita rituale e spirituale e le espressioni creative nel lavoro e nell’arte.

RUSSELL: La cosa più pericolosa che stiamo esportando sono i nostri valori. Attraverso i prodotti stiamo incoraggiando la gente a comprare e attraverso i media, in particolare la tele-visione, stiamo incoraggiando coloro che vivono nei paesi in via di sviluppo ad adottare il nostro egocentrico e materiali-stico sistema di valori. È questa modalità di coscienza che è alla radice della nostra insania collettiva.

Così non penso che la questione sia come fare in modo che il resto del mondo cambi la sua coscienza, ma come inco-raggiare questo cambiamento di coscienza in occidente. È là che è più necessario. Tocca a noi dare un esempio al resto del mondo.

GROF: Sono assolutamente d’accordo. Esportare il nostro sistema di valori e il nostro stile di vita nella forma presente nei paesi in via di sviluppo è una ricetta per il suicidio glo-bale. Si pensi alla vastità delle popolazioni di Cina, India, Africa e Sud America! Invece di fare questo, dovremmo occuparci di come incrementare la percentuale di persone nella nostra società che stanno già cambiando, in modo che esse diventino la maggioranza.

LASZLO: Una rivoluzione della coscienza è in corso nella nostra parte del mondo. Ma c’è ancora questo sospetto che si insinua: è abbastanza veloce?

RUSSELL: Non penso che lo sia. La questione è: cosa possia-mo fare per agevolare il cambiamento. Spesso sento gente dire che gli altri hanno bisogno di cambiare; che i politici hanno bisogno di cambiare, che i capitani d’industria hanno bisogno di cambiare, che la semplice gente di strada ha

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bisogno di cambiare. Ma se facciamo gravare sugli altri l’onere di cambiare stiamo trascurando noi stessi. È molto facile dire “loro” devono cambiare, ma dobbiamo ricordarci che anche noi siamo uno di “loro”. Io sono uno dei miliardi di persone che ha bisogno di innalzare il suo livello di coscienza. Inoltre, io sono l’unica persona su questo pianeta per la quale posso assumermi totale responsabilità. Nessun altro verrà a cambiarmi al posto mio. Così penso che la questione primaria sia: come posso evolvere più rapidamente; cosa posso fare di più per cambiare la mia coscienza?

Con questo non voglio intendere che la mia responsabi-lità debba finire con me stesso, ma che essa debba iniziare con me stesso. La responsabilità si diffonde da ogni perso-na in quella che io chiamo la sua personale sfera di influen-za. La nostra sfera di influenza è costituita da tutte quelle persone con le quali interagiamo in qualche modo. Essa può includere la nostra famiglia, le persone assieme alle quali lavoriamo, i nostri vicini e i contatti sociali. Per noi tre, che siamo tutti scrittori e comunicatori in un’arena più vasta, essa dovrebbe includere coloro che leggono i nostri libri, vengono alle nostre conferenze e seminari, ci ascolta-no alla radio o alla televisione. Ma essa non include ogni persona sul pianeta. I presidenti della maggior parte delle grandi multinazionali non rientrano nella mia sfera di influenza, salvo che per caso non si trovino a leggere uno dei miei libri. Così, quando ci chiediamo cosa possiamo fare per aiutare gli altri a cambiare, credo che dobbiamo pensare in termini di coloro che rientrano nella nostra sfera di influenza. Cosa posso fare io per aiutare queste persone nel loro viaggio interiore?

GROF: È certamente essenziale iniziare con noi stessi. È faci-le vivere nell’illusione che siamo già arrivati e che è il mondo che ha bisogno di cambiare. Ma c’è anche la domanda

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sulla quale Ervin insiste: come possiamo agevolare la tra-sformazione nel mondo al di fuori di noi?

Abbiamo già parlato dell’importanza di cambiare il paradigma, rivedendo alcuni aspetti essenziali della visione del mondo della civiltà industriale moderna e rendendo le tecnologie di trasformazione esistenti più note e disponibili. Credo che un compito altrettanto importante sia di trovare modi migliori di supportare i cambiamenti che stanno già avvenendo. Ho ricordato prima che Christina e io siamo interessati alle esperienze spontanee di stati non ordinari di coscienza: stati mistici e crisi psicospirituali. A questi appar-tengono, per esempio, il risveglio di Kundalini, le sequenze di morte-rinascita, la dissoluzione temporanea dei confini e le percezioni di unità cosmica, le aperture psichiche dram-matiche, i conflitti con esperienze di vite passate e fenomeni simili. La psichiatria contemporanea tratta abitualmente questi stati con farmaci inibitori e li considera episodi psico-tici, manifestazioni di malattia mentale. Noi crediamo che essi siano in effetti crisi di trasformazione. Se vengono ade-guatamente compresi e trattati, possono essere processi di mutazione terapeutici, trasformativi, perfino evolutivi.

Un’altra frontiera affascinante è l’alcoolismo e la tossico-dipendenza. Come sapete, stiamo attualmente assistendo ad un’incredibile diffusione epidemica di tali problemi. Nel campo transpersonale, c’è la sensazione crescente che essi siano espressione di bramosie spirituali inappagate e che rap-presentino una ricerca male intesa e maldestra della trascen-denza. Persone che hanno un forte bisogno di spiritualità e non riescono a trovare la giusta via verso di essa optano per una tossicodipendenza come surrogato infelice. Sappiamo che i soli programmi che hanno una qualche possibilità di successo sono quelli che includono la prospettiva spirituale.

Esiste una corrispondenza tra Bill Wilson, il cofondatore degli Alcolisti Anonimi, e C.G. Jung. Bill Wilson considera

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Jung il padre del programma dei Dodici Passi; egli seguì un paziente che Jung aveva trattato: dopo un temporaneo miglioramento, il paziente ebbe una ricaduta e Jung si rifiutò di proseguire la terapia con lui. Gli disse che la sua sola pos-sibilità era quella di unirsi ad una comunità spirituale e spe-rare in un’esperienza spirituale. Il paziente si unì al Gruppo di Oxford ed ebbe in effetti un’esperienza trasformativa. Fu di ispirazione a Bill Wilson per la fondazione degli Alcolisti Anonimi.

Jung sosteneva che la brama di alcool del paziente fosse in realtà, ad un livello più profondo, brama di trascendenza o, espresso in termini medioevali, brama di Dio. La formula cor-retta era, perciò, spiritus contra spiritum, combattere le deva-stazioni dell’alcool attraverso una ricerca spirituale. È possi-bile che su larga scala, la corretta strategia nel trattamento del-l’alcoolismo e delle tossicodipendenze possa di fatto contri-buire alla trasformazione psicospirituale dell’umanità.

RUSSELL: Dobbiamo chiederci in primo luogo perché le per-sone ricorrono alle droghe di un tipo o dell’altro. Troppo facilmente diamo la colpa alla disponibilità delle droghe, ma essa non spiega perché la gente sceglie di usarle. Il fare uso di droga è un sintomo di una più profonda lacuna nella nostra società. Se qualcuno ricorre alla droga per ottenere un qualche sollievo interiore, è segno che la sua vita attuale non gli sta dando la soddisfazione che cerca. C’è fame di qualcos’altro; di significato più profondo, di pace interiore, di realizzazione, di sollievo dallo stress. Ma poiché la nostra società non fornisce i mezzi per soddisfare questa fame, la gente ricorre all’alcool, all’eroina o a qualsiasi altra cosa, per soddisfare temporaneamente quel bisogno.

GROF: In un certo senso, l’alcoolista e il tossicodipendente sono solo la forma estrema, la caricatura, dell’occidentale

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medio che sta sostituendo la ricerca della trascendenza con una grande varietà di surrogati materiali, di dipendenze di diversa specie.

LASZLO: Per qualcuno è l’alcool, per qualcun’altro è il sesso, per altri è il guidare velocemente o il condurre stili di vita stravaganti. Poiché molti dei valori e delle risorse della società contemporanea non sono soddisfacenti, la gente si rivolge a quel che potrebbe offrirle un più profondo senso di realizzazione.

Lo scenario del giorno del Giudizio - e oltre

LASZLO: Molte delle cose che stiamo dicendo dipingono a fosche tinte la vita e le prospettive di una vita migliore nelle società di oggi. Da una parte, i più ricchi delle società occi-dentali od occidentalizzate stanno diventando saturi. Essi in realtà non hanno più bisogno di beni materiali di quanti non ne abbiano già, non devono preoccuparsi della provenienza del loro cibo quotidiano; dispongono di tutte le principali varietà di beni di consumo. Molti di loro stanno ora cercan-do qualcos’altro. Questo spesso significa rifugiarsi nell’al-coolismo o nella tossicodipendenza, e ultimamente anche in una fuga nella realtà virtuale. La ricerca può condurre le per-sone anche alla sfera esoterica, divenendo ricerca di guida spirituale da parte di guru, medium o spiriti disincarnati. D’altra parte, coloro che non hanno una sicurezza in termini di benessere materiale sono maggiormente alla ricerca di cose materiali - è difficile per costoro vivere esperienze tra-sformative e sviluppare un livello più elevato di coscienza. Per quelli che godono già di un certo benessere materiale, il passo successivo può essere quello di provare nuove esperienze, nel caso peggiore droghe e alcool, e nel migliore,

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se sono saggi, una trasformazione della coscienza. Per gli altri, il passo successivo è generalmente solo raggiungere un livello più elevato di benessere materiale. Ma in tal caso la grande maggioranza dell’umanità si verrebbe a trovare in una situazione quasi senza speranza. Non ci sono sufficienti risorse nell’odierno ambiente tecnologico ed economico per assicurare a tutti il tipo di benessere materiale già ottenuto da coloro che vivono nel modo industrializzato.Tuttavia, non basta che solo le popolazioni benestanti evolvano la loro coscienza; le altre devono poter fare altrettanto. E se esse si limitano ad emulare lo stile di vita materiale della gente che vive nel mondo industrializzato, siamo tutti nei guai.

RUSSELL: Forse dobbiamo aiutarli ad attraversare questa fase. Il materialismo e la venerazione del denaro possono essere una fase di sviluppo che una società deve attraversa-re. La rivoluzione industriale mise i paesi occidentali su que-sto cammino circa 200 anni fa. Ora stiamo arrivando allo stadio in cui prendiamo cognizione del fatto che già abbia-mo gran parte delle cose che ci servono e non abbiamo biso-gno di insistere oltre su questo cammino. Potrebbe infatti essere un suicidio. Forse il nostro compito attuale è di aiuta-re le nazioni in via di sviluppo a passare attraverso questa fase il più rapidamente possibile.

LASZLO: Il problema è che, dati i problemi ambientali e quelli legati al reperimento delle risorse su questo pianeta, non c’è abbastanza tempo per tutti gli individui e per tutte le società di attraversare tutti gli stadi di sviluppo, come abbia-mo fatto noi.

RUSSELL: Sono d’accordo, ed è proprio questa la ragione per la quale dovremmo aiutarli ad evolvere più rapidamente. Forse possono attraversare la fase materialista in soli

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vent’anni piuttosto che due secoli. Possiamo già constatare un’accelerazione nella velocità con la quale i paesi in via di sviluppo si stanno movendo da uno stadio agricolo ad uno stadio industriale fino all’era dell’informazione. L’India ha compiuto la sua rivoluzione industriale in circa vent’anni, mentre la Cina sta quasi direttamente saltando da una società agricola ad una società dell’informazione.

Mentre l’occidente ha dovuto imparare tutto comincian-do da zero, questi paesi stanno usando tecnologie e pratiche che abbiamo sviluppato noi. Non devono sviluppare motori a vapore, aeroplani e computer; lo abbiamo già fatto noi, ed essi stanno imparando dalla nostra esperienza. Se potessimo anche aiutarli a vedere che c’è qualcosa in più nella vita e nello sviluppo che il puro perseguimento della ricchezza materiale, potremmo anche aiutarli a spostarsi più rapida-mente oltre questa fase di sviluppo.

LASZLO: O anche saltare in parte questa fase. È pericoloso passare attraverso una fase che implica stili di vita e metodi di produzione all’insegna dello sfruttamento energetico e dello spreco che abbiamo adottato in occidente. Se attraver-sassero senza fretta questa fase, anche se al tempo stesso costruissero le strutture e infrastrutture necessarie per quella successiva, ciò potrebbe portare all’abuso delle risor-se del pianeta e ad inquinarne l’ambiente in maniera irrepa-rabile.

GROF: Stiamo valutando le tendenze future alla luce delle nostre tecnologie attuali. Le prospettive potrebbero cambia-re drasticamente se riuscissimo a riorientarci verso altre sor-genti di energia, in particolare quella solare. Mi pare che sia già possibile far muovere automobili e far volare aerei uti-lizzando idrogeno invece della benzina.

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LASZLO: Certamente potremmo far muovere automobili usando idrogeno liquido; ho visto io stesso non molto tempo fa una BMW che sembrava un’automobile del tutto normale tranne che per le condutture isolate di carburante che fuo-riuscivano da un grosso e altrettanto isolato serbatoio sul retro. Dallo scappamento esce una nebbiolina che si conden-sa in acqua pura. Ma gli esperti sostengono che ci vorranno cinquant’anni prima che questa tecnologia possa essere applicata su vasta scala, cioè che l’idrogeno liquido sia diret-tamente disponibile sulle strade come la benzina lo è oggi. Non sembrano comprendere che per allora potrebbe essere troppo tardi per fare un uso mondiale di questa nuova tec-nologia. Potremmo aver inquinato l’aria in maniera irriduci-bile e attivato una quantità di fenomeni critici, la maggior parte dei quali si sarebbero potuti evitare attraverso una tempestiva conversione a tecnologie che si avvalgono di energia rinnovabile e pulita.

GROF: Ci sono delle voci secondo le quali l’evoluzione nel campo delle energie alternative sarebbe ostacolata dalle compagnie petrolifere, e alcuni dei brevetti più promettenti sarebbero stati acquistati e messi sotto chiave. È difficile pre-vedere cosa succederebbe se questi progetti diventassero una priorità e ottenessero pieno sostegno. Non dovrebbe essere difficile sviluppare procedimenti fattibili avvalendosi dell’energia solare per convertire l’acqua in idrogeno e ossi-geno e trovare modi sicuri di immagazzinamento di questi carburanti.

LASZLO: Chiaramente, abbiamo molte soluzioni pratiche a nostra disposizione e potremmo cercarne e svilupparne molte altre, ma non sembra che ci sia la volontà di usarle e svilupparle.

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GROF: È esattamente quello che cerco di dire. L’inconcepibile spreco della folle corsa agli armamenti a livello globale, associata alle nostre strategie lineari, il saccheggio delle risorse non rinnovabili e la loro trasformazione in inquina-mento, complicano la situazione. Se avessimo un altro siste-ma di valori e altre priorità, le cose sarebbero molto diffe-renti. Per esempio, se le nostre strategie fossero cicliche, come in natura, la Terra potrebbe sostenere una vasta popo-lazione con molti meno problemi. La capacità del pianeta e del Sole di produrre cibo è enorme; ad esempio, potremmo coltivare le alghe nel Mar dei Sargassi e trasformarle in una grande varietà di vettovaglie.

LASZLO: Quello che mi preoccupa è se ci sia una possibilità realistica che il tipo di coscienza di cui abbiamo bisogno per fare tutto ciò diventi sufficientemente diffuso da cambiare i modelli dominanti di sviluppo nel mondo: economici, poli-tici e sociali.

RUSSELL: Ti stai chiedendo se possiamo riformare la nostra società?

LASZLO: O se la nostra società possa riformarsi...

RUSSELL: Non sono sicuro che possa. Il tempo della riforma potrebbe essere scaduto. Come ho detto prima, penso che stiamo forse vivendo la caduta della civiltà occidentale. Nessuna civiltà del passato è mai durata per sempre, perché la nostra dovrebbe essere differente? Al contrario, ci sono tutte le ragioni per supporre che essa alla fine cadrà. Si è dimostrata insostenibile sul lungo termine, e noi stiamo ora venendo ad un faccia a faccia con questo fatto.

Da una prospettiva planetaria, la nostra civiltà è piutto-sto pazza e molto sfruttatrice. Difficile trovare qualche

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aspetto in relazione al quale esercitiamo una influenza beni-gna sulla biosfera. Se ci fosse una votazione planetaria sul-l’argomento, se ciascuna specie vivente potesse votare per dire se la civiltà occidentale debba poter continuare oppure no, ho il sospetto che quasi tutte le specie, tranne forse sca-rafaggi e ratti, ci voterebbero contro. L’esito sarebbe un 99,9 percento di “no”, la civiltà occidentale non è buona cosa per il pianeta Terra, deve morire.

LASZLO: Per morire intendi dire che coloro che ora vivono nella civiltà occidentale dovrebbero cessare di pensare, agire, sentire e vivere come fanno e svilupparsi diversamen-te.

RUSSELL : Sì. Non intendo dire che dovremmo morire come individui, ma che dovrebbe morire il nostro modo corrente di essere. Deve emergere una nuova cultura.

LASZLO: Dalla civiltà occidentale o al posto di essa?

RUSSELL: Dalla caduta qualcosa di nuovo nascerà...

GROF: Come la fenice.

RUSSELL: Sì. Non penso che eviteremo il disastro, in una forma o nell’altra. È troppo tardi. Ci siamo spinti troppo oltre, e la riforma richiederebbe troppo tempo. Siamo piut-tosto come un fantoccio all’interno di una vettura sottoposta al crash-test. È come se la macchina avesse cominciato a sbattere contro il muro. Come al rallentatore, la parte fronta-le della macchina sta iniziando ad accartocciarsi e il pupaz-zo dentro sta dicendo “Oh Cielo, sembra che stiamo andan-do a sbattere. Sarebbe meglio fare qualcosa. Forse dovrei uscire, o forse mettere la retromarcia”.

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Ma è troppo tardi per questo, troppo tardi. Stiamo racco-gliendo le conseguenze di anni di pensiero sbagliato. È inu-tile provare a cambiare tutto ciò ora. La questione adesso è: come procederemo attraverso quello che quasi certamente sarà il periodo più calamitoso della storia umana? Non saranno tempi facili. Saranno molto, molto difficili, ma non penso ci sia modo di evitarlo adesso.

GROF: Molti anni fa a Mosca ebbi una lunga conversazione sull’ecologia con un mio amico, il professor Vassily Nalimov, un brillante scienziato che aveva passato diciotto anni in un campo di concentramento stalinista in Siberia. Trovai il tempo trascorso con lui assolutamente affascinante. La sua principa-le preoccupazione non era la questione nucleare. Aveva pre-visto una possibilità che Stati Uniti e Russia potessero rag-giungere un accordo di pace e smantellare gli ordigni nuclea-ri. Ciò che lo preoccupava era la chimica. Secondo lui molti aspetti della nostra vita dipendono pericolosamente dall’in-dustria chimica ed egli non riusciva a vedere come avremmo potuto eliminare completamente l’impatto di natura tossica che sta inquinando in maniera irreversibile i nostri fiumi e mari, il suolo e l’aria. Aveva paura che fosse già troppo tardi.

LASZLO: Questo è un problema di livello globale, poiché stia-mo alterando gli equilibri chimici dell’intera biosfera.

GROF: LO stiamo facendo in molti modi diversi, ma Vassily pensava che il più grande pericolo fosse l’inquinamento chi-mico, che è enorme e non può essere facilmente ribaltato.

LASZLO: Come abbiamo detto, la vita continuerà, emerge-ranno nuove mutazioni e nuove specie. Ma le specie che hanno cicli riproduttivi brevi muteranno più velocemente di quanto facciamo noi e si adatteranno meglio. Noi invece

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stiamo andando verso la fase più lenta della nostra evolu-zione.

GROF: Molti anni fa uscì un film affascinante, Le Cronache di Hälstedt. E il messaggio che esprimeva era esattamente que-sto: se facciamo qualcosa di grave all’ambiente, saranno gli insetti con i loro brevi cicli riproduttivi e la loro enorme adattabilità ad ereditare la Terra.

RUSSELL: Un altro scenario apocalittico non è una catastrofe ecologica, ma l’epidemia. Siamo totalmente esposti alle epi-demie oggi. Abbiamo ridotto la nostra naturale resistenza alle malattie. Dieta basata su cibi di scarso valore nutrizio-nale e altamente calorici, farmaci, abuso di antibiotici, inqui-namento chimico e altri fattori hanno indebolito il nostro sistema immunitario. Allo stesso tempo i batteri stanno aumentando la loro resistenza ai farmaci che abbiamo svi-luppato, e lo stanno facendo più velocemente di quanto siamo in grado noi di scoprire nuovi antibiotici. Alcuni bat-teri hanno sviluppato resistenza a quasi tutti gli antibiotici noti e quando il nostro arsenale sarà esaurito potremo fare ben poco per fermarli.

Inoltre, stiamo facilitando molto la diffusione delle malattie nella società. Se oggi scoppiasse una nuova epide-mia a San Paolo, essa si troverebbe sul volo notturno per New York e in pochi giorni in tutte le maggiori aree urbane. Una nuova malattia per la quale non ci fosse cura nota potrebbe, se essa fosse anche altamente contagiosa, diffon-dersi attraverso l’umanità molto rapidamente. Potrebbe forse non eliminare l’intera popolazione umana, ma potreb-be certamente decimarla - il che, in una prospettiva planeta-ria, potrebbe non essere poi un male così grande. L’epidemia è spesso un modo della natura di gestire una specie che è fuori controllo.

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LASZLO: Questo è il modo in cui la natura risolve un proble-ma. Una specie che diventa in sé un’epidemia o un cancro raggiungerà una soglia critica che bloccherà la sua riprodu-zione, o la spingerà a commettere un suicidio di massa, come i lemming4. Ma l’umanità ha imparato ad usare così tante misure correttive a breve termine che queste risposte adattative naturali non entrano in gioco. Se siamo di vista corta mettiamo gli occhiali, se non andiamo abbastanza velocemente possiamo fare uso di macchine, treni e aero-plani, eccetera. Nel lungo termine ci stiamo probabilmente proiettando verso una grande catastrofe ecologica, mentre nel breve termine mettiamo in piedi temporanee misure lenitive e speriamo di aver risolto il problema.

GROF: Certamente non ci sono molte ragioni per essere otti-misti, ma le cose possono anche svilupparsi in un modo inat-teso. Abbiamo discusso gli scenari più pessimistici basati su un’estrapolazione della tendenza attuale. Qui voglio ricorda-re di nuovo cosa è accaduto con il Muro di Berlino e con l’Unione Sovietica. Cose molto positive che sono accadute, e che erano inaspettate e imprevedibili. Ci possono essere fat-tori e forze operanti dietro le quinte che lavorano controten-denza. Per esempio, abbiamo già batteri che si nutrono di petrolio. Potrebbero esserci soluzioni di tipo fantascientifico che non possiamo prevedere - nuovi ceppi batterici che metabolizzano la plastica, piante che ripuliscono l’inquina-mento ristabilendo l’equilibrio naturale, mutazioni genetiche che favoriscono la tolleranza e la sinergia, e così via.

LASZLO: Bene, come abbiamo detto prima, se il meccanismo alla base dello sviluppo dell’umanità fosse fondato su una

4 Varietà di topi artici (N.d.T.).

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pura casualità, le nostre possibilità sarebbero assai scarse. Come i biologi ben sanno, nelle mutazioni accidentali è dif-ficile che si imbrocchi una combinazione vincente. Se c’è una reale prospettiva di colpire nel segno, è perché c’è qualco-s’altro oltre agli accidentali successi e insuccessi a guidare l’evoluzione delle specie biologiche. Tale fattore potrebbe intervenire anche nel caso dell’evoluzione, essenzialmente culturale piuttosto che biologica, della nostra specie. I suoi effetti possono già essere visti nella rivoluzione della coscienza, e nello slittamento di valori che sta avvenendo in molte parti del mondo. Ma da se stessi, questi processi potrebbero non essere veloci abbastanza. Ecco perché abbia-mo bisogno di evocare il potere delle esperienze trasforma-tive che possono velocizzare l’evoluzione della nostra coscienza, e quindi l’evoluzione dei nostri valori, della nostra etica e dei nostri comportamenti.

GROF: Vorrei fare un’osservazione che trovo interessante e appropriata. Le persone che in stati non ordinari di coscienza stanno attraversando il processo di morte e rinascita psicospi-rituale, passano attraverso stadi specifici associati a temi caratteristici. Queste esperienze spesso ritraggono scene di estrema violenza, eccessi sessuali sfrenati inclusi quelli di varie forme devianti e pervertite, sequenze sataniche ed epi-sodi messianici. Nel processo della trasformazione interiore, questi elementi sono transitori e si risolvono tipicamente in una potente apertura e trasformazione spirituale. Nel lavoro esperienziale individuale, il pericolo più grande è un’esterio-rizzazione del processo in forma distruttiva o autodistruttiva. Il caso estremo in queste circostanze è il commettere l’effetti-vo suicidio anziché il solo egocidio - sperimentazione della morte dell’ego con la successiva rinascita.

Le persone che sperimentano questi episodi spesso nota-no la loro similarità a ciò che sta accadendo nel mondo -

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incremento della criminalità, violenza, terrorismo, liberazio-ne sessuale nelle sue forme positive e aberranti, crescente interesse nelle pratiche sataniche e il proliferare di culti mes-sianici. Questo suggerisce la possibilità che l’umanità nel suo insieme stia soggiacendo ad un processo consimile di trasformazione. Sfortunatamente, gran parte di esso è este-riorizzato. Se potesse essere interiorizzato, piuttosto che espresso con modalità distruttive o autodistruttive, esso potrebbe condurre ad un livello più alto di coscienza.

LASZLO: Questa è una speranza. Ma come possiamo raffor-zare la possibilità che si realizzi?

RUSSELL: Lasciatemi menzionare due cose che penso siano importanti. Primo, abbiamo bisogno di disseminare tecniche e tecnologie che ci aiutino ad essere più in pace con noi stes-si. È inutile provare a creare pace nel mondo se siamo anco-ra in guerra con noi stessi. Se c’è paura e ostilità in noi, non saremo capaci di vivere pacificamente nel mondo. Potremo prodigarci a parole, ma non diventerà una realtà. Trovare la pace interiore è un percorso comune a tutte le tradizioni spi-rituali, e diventerà sempre più importante continuando a vivere in un mondo che si muove sempre più in fretta, con sempre più decisioni da prendere. Se siamo feriti, arrabbiati o semplicemente esauriti non prenderemo decisioni che ser-vano al meglio noi o gli altri. Neppure ne trarremo un bene-ficio in termini di salute.

Così un’area critica è lo sviluppo di modi che consentano alle persone di essere più in pace con se stesse. Non intendo) che dobbiamo sviluppare questi modi ex novo. Molte tecniche già esistono nelle varie tradizioni spirituali del mondo. Ciò di cui c’è bisogno è di cercare quelle più appropriate ed efficaci nel contesto del mondo moderno e renderle maggiormente accessibili.

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La seconda area critica è quella delle relazioni umane. L’essenza di una buona relazione è una comunicazione chiara e tesa al bene del prossimo. Ma questo è qualcosa che pochissimi di noi hanno appreso a scuola. Noi la apprendiamo attraverso un processo di tentativi ed errori e spesso troppo tardi nella vita. Ciò che tende ad accadere nel rapporto tra due persone, sia a casa che nel lavoro, è che entrambe vogliono sentirsi amate e in pace, ma nasce un circolo vizioso che fa sì che nessuna di loro otterrà quello che cerca. Se una persona si sente offesa o giudica-ta in qualche modo da un’altra, la reazione normale sarà di difesa attraverso una qualche forma di attacco. Quest’ultimo può essere molto sottile, un semplice cam-biamento del tono di voce o nel linguaggio del corpo o nella scelta delle parole, o può essere più esplicito. Ma l’in-tenzione nascosta è di far stare male l’altra persona, farla sentire offesa, giudicata o attaccata in qualche maniera. A meno che l’altra persona sia veramente consapevole di queste dinamiche e si rifiuti consciamente di reagire alla sfida, essa verosimilmente risponderà in modo analogo, restituendo messaggi che rinforzeranno la sensazione di essere in qualche maniera attaccati. È così che si innesca il circolo vizioso. Alla superficie c’è dolcezza e luce, ma in profondità c’è un attacco reciproco. Ognuno vuole sentirsi amato ed essere in pace, ma cerca di far sentire male e in difetto l’altro.

Così una cosa molto importante che possiamo insegnare alla gente è come comunicare in modi che non attivino que-sto circolo vizioso, e come spezzarlo se esso dovesse stabi-lirsi. Ogni buona comunicazione è imperniata sulla questio-ne di come posso strutturare il mio modo di comunicare in maniera che l’altro si senta amato e in pace. So che quando ho fatto questo in qualcuna delle mie relazioni, il risultato è stato magico.

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GROF: Un modo interessante di comunicare che può aiutare ad evitare dolorosi circoli viziosi nell’interazione è stato svi-luppato dai terapisti familiari. Quel che si deve fare è di for-mulare i propri commenti verbali in maniera tale che essi descrivano coerentemente i propri sentimenti, piuttosto che coinvolgere giudizi e accuse. Informiamo il partner sui nostri processi e sulle nostre reazioni interiori alle varie situazioni in un modo tale che non implichi biasimo.

RUSSELL: Sì, è un aspetto importante del problema, ma ci sono molte altre cose che possiamo fare per aiutare il pro-cesso. Essenzialmente si tratta di ciò che il Buddha chiamava “retto parlare”. Come si fa a parlare in un modo che non crei danno e sofferenza negli altri

GROF: Quando vivevamo ad Esalen presso Big Sur, in California, Christina e io conducemmo un esperimento affascinante. Organizzammo un programma educativo spe-rimentale con una forte componente esperienziale. Esso con-sisteva in una serie di programmi di un mese che si svolge-vano due volte all’anno. Essenzialmente, sceglievamo un argomento al quale eravamo interessati, come le mappe della coscienza, il buddismo e la psicologia occidentale, la medicina olistica e la guarigione, la dipendenza e la ricerca mistica e così via. Invitammo per ciascuno di essi diversi eminenti insegnanti specializzati nell’argomento prescelto. Nell’arco dei mesi svolgemmo regolari sedute di respirazio-ne olotropica, pratica Gestalt, gioco junghiano con la sabbia, lavoro di gruppo, massaggi, yoga, rituali, meditazione, danza espressiva, immersioni nella natura e proiezione di film e documentari selezionati.

Gli ospiti invitati coprivano uno spettro molto ampio, da pionieri del nuovo paradigma del pensiero, come Fritjof Capra, Rupert Sheldrake, Karl Pribram e Joseph Campbell, a

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sciamani messicani e nordamericani, persone con poteri psi-chici, spiritisti, monaci cristiani, sufi, insegnanti di yoga, e buddisti tibetani, zen e vipassana. Questa ricca combinazio-ne di input intellettuali ed esperienziali alternati in modo casuale si rivelò essere altamente trasformativa.

Trovammo che partecipando per un periodo esteso di tempo ad un seminario specializzato in una particolare modalità, si impara molto rapidamente a stare al gioco, ad alzare le nostre difese psicologiche, riuscendo a rimanere spesso sostanzialmente illesi. D’altra parte, l’essere bombar-dati da più lati e da più livelli da nuove e sorprendenti infor-mazioni e strategie esperienziali sembra avere un effetto catalitico. Negli anni abbiamo ricevuto molte lettere da per-sone che avevano partecipato a questi seminari, che ci scri-vevano per dirci che il loro mese ad Esalen aveva rappre-sentato un punto di svolta nella loro vita. Credo che un modello simile potrebbe rivelarsi utile su più vasta scala come strumento di trasformazione.

LASZLO: Stiamo tornando al nostro motivo conduttore: la rivoluzione della coscienza. Il modo di trascendere lo scena-rio apocalittico sembra essere quello delle esperienze tra-sformative che evolvono la nostra coscienza e cambiano il nostro modo di relazionarci con gli altri e con la natura. Questa possibilità ha molte implicazioni e dimensioni. Forse potremo esaminarne alcune questo pomeriggio.

Secondo giorno - pomeriggio

IL MONDO E L’INDIVIDUO

Sulla nascita e lo sviluppo - la trasformazione in un nuovo mondo

LASZLO: All’inizio di questo secolo5, H.G. Wells disse che il futuro sarebbe stato deciso da una gara tra educazione e catastrofe. Possiamo vedere oggi qualche analogia di ciò nella corsa tra nuova coscienza e catastrofe, con grandi implicazioni nel campo educativo.

Come potrebbe essere adattata al mondo in cui viviamo l’educazione del bambino dalla nascita in poi? Come rende-re consapevoli le istituzioni educative del fatto che ci trovia-mo ad un punto cruciale, che stiamo attraversando una soglia della nostra evoluzione collettiva? E che possediamo il potenziale per padroneggiare, o almeno orientare, questa evoluzione? In gran parte del mondo le istituzioni educative sono estremamente conservative e gravate da una grande inerzia.

GROF: Ci sono molte cose che potrebbero essere fatte nella sfera dell’educazione e dell’istruzione del bambino oltre all’introduzione delle tecnologie di trasformazione e agli

5 Il ventesimo (N.d.T.).

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sforzi per cambiare i paradigmi. La ricerca clinica sulla coscienza condotta negli ultimi decenni ha mostrato che il pensiero umano, la vita emotiva e il comportamento sono fortemente programmati dalla nostra storia iniziale, non solamente dall’infanzia e dalla fanciullezza come è noto fin dalla psicoanalisi freudiana, ma anche dalla nostra nascita biologica e perfino dalla vita prenatale. L’umanità potrebbe essere profondamente influenzata dal miglioramento dell’i-giene fisica ed emozionale durante la gravidanza e dal cam-biamento delle pratiche post-natali.

Ci sono buone ragioni per credere che le circostanze della nascita giochino un ruolo importante nel creare una predisposizione alla futura violenza e a tendenze autodi-struttive o, al contrario, ad un comportamento amorevole e a relazioni interpersonali sane. L’ostetrico francese Michel Odent sta scrivendo un libro nel quale arguisce che questo imprinting perinatale ha la potenzialità di indirizzare la nostra vita emozionale all’amore o all’odio. Egli mostra come questo possa essere evinto dalla storia della nostra specie.

Il processo della nascita biologica presenta due differenti aspetti, entrambi molto importanti per la sopravvivenza, entrambi mediati da ormoni specifici. Lo sforzo della madre durante il parto è primariamente associato al sistema dell’a-drenalina. I meccanismi dell’adrenalina e della noradrenali-na hanno giocato un ruolo importante nell’evoluzione della nostra specie anche come mediatori degli istinti aggressivi e protettivi della madre ai tempi in cui la nascita avveniva all’aperto nell’ambiente naturale. Essi permettevano alle femmine di passare rapidamente dal parto al combattimen-to o alla fuga se un attacco da parte di un predatore lo ren-deva necessario. Questo meccanismo è divenuto non neces-sario, poiché le donne partorienti non devono più temere pericoli esterni. È un anacronismo evolutivo.

L’altro aspetto, ugualmente importante dal punto di

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vista evolutivo, associato alla nascita è la creazione del lega-me tra la madre e il neonato. Questo processo coinvolge l’or-mone ossitocina, che induce il comportamento materno negli animali e negli umani, e le endorfine che rafforzano la dipen-denza e l’attaccamento. La prolattina, ormone che interviene nell’allattamento, presenta effetti simili. L’ambiente attivo, rumoroso e caotico di molti ospedali genera associazioni con il pericolo, la morte e l’emergenza e produce ansietà che atti-va senza necessità il meccanismo dell’adrenalina. In modo simile alla giungla primordiale, una situazione del genere richiama una risposta aggressiva. Essa comunica e imprime la visione di un mondo potenzialmente pericoloso, interfe-rendo con il processo di formazione del legame.

Viceversa, un ambiente intimo, quieto e sicuro durante il parto crea un’atmosfera di sicurezza che genera modalità di relazione affettive. Esso crea una disposizione verso la fidu-cia, il comportamento amorevole, la cooperazione e la siner-gia. Dei miglioramenti radicali nelle pratiche natali potreb-bero avere un’influenza positiva di vasta portata sul benes-sere emozionale e fisico della specie umana e sulla mitiga-zione dell’insanità comportamentale che attualmente minac-cia di distruggere le basi stesse della vita su questo pianeta. Questo potrebbe essere un buon punto di partenza.

RUSSELL: Hai accennato, Stan, a quanto sono importanti le influenze nella prima infanzia. Questa è un’altra area dove cambiamenti profondi nell’umanità potrebbero avere inizio. Che la prima infanzia abbia una fortissima influenza sullo sviluppo della personalità è noto ormai da un secolo e costi-tuisce il fondamento di diverse psicoterapie. Ma oltre a tutto ciò che possiamo fare per aiutare le persone ad affrontare l’impatto che ne deriva sulle loro vite e a liberarsi di alcune delle influenze indesiderabili, ci sono anche molte cose che potrebbero essere fatte innanzitutto per cambiare il modo di

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allevare i bambini, in maniera che essi diventino degli adulti psicologicamente più sani.

Come per il parto naturale, c’è già un movimento in que-sta direzione. Ho amici che hanno avuto dei bambini negli ultimi anni tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta e che hanno applicato alcune delle loro mutate visioni al modo di allevare i loro figli. Come il non punirli quando commettevano errori, ma provare ad aiutarli a capi-re; creare un ambiente nel quale ci fosse l’opportunità per una maggiore intimità emozionale; trattarli come esseri umani giovani piuttosto che come bimbi sciocchi. I loro bambini crescendo sono diventati adulti mentalmente sani ed equilibrati; hanno ora famiglie proprie e trattano i loro figli in modo simile - o spesso anche migliore, perché la loro consapevolezza su questi argomenti è di solito maggiore di quella dei loro genitori. Ne sono risultati alcuni dei giovani più notevoli, brillanti, gentili, altruisti e consapevoli che io abbia mai incontrato.

Vi è qui un circolo vizioso che sta iniziando a spezzarsi. I bambini allevati in famiglie disfunzionali apprendono un modello disfunzionale e tendono a diventare genitori disfunzionali. Insegnare alla gente come crescere i propri bambini in modo più affettuoso può rompere questo circolo vizioso e avere un impatto a lungo termine notevole sulla società. Qualche volta penso che in effetti questa possa esse-re la cosa più importante che possiamo fare per la società.

GROF: Tuttavia l’educazione è solo parte del problema. Ci vuole di più che sapere cosa va fatto, si deve anche essere capaci di farlo. E ciò potrebbe richiedere una reale trasfor-mazione emozionale dei genitori.

LASZLO: Ci sono qui, in effetti, dei circoli viziosi, special-mente nell’insegnamento tradizionale. Gli insegnanti

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insegnano ciò che hanno appreso essi stessi come studenti, e in questo si trovano a loro agio. È molto difficile apportare conoscenza radicalmente nuova all’interno dell’establishment educativo. Questo dovrebbe essere fatto dalle stesse persone che creano tale conoscenza, ma queste raramente si muovono lungo direzioni che le portino a divenire insegnanti influenti. Più spesso le persone che hanno idee innovative non sono persone capaci di impartire e comunicare tali idee. Il sistema educativo dovrebbe essere reso molto più flessibile di quello che è oggi, molto più aperto a idee nuove e attuali, da qualunque parte esse provengano.

GROF: Sì, le nostre istituzioni educative hanno un orienta-mento errato e insegnano una visione del mondo obsoleta. Ciò contribuisce a perpetuare e a rinsaldare la situazione mondiale. Prendiamo ad esempio la storia. Non viene dato alcun riconoscimento ai valori spirituali o transpersonali. Per la storia, le figure importanti sono Gengis Khan, Napoleone, Hitler e Stalin. Non si sente citare molto il Buddha. Viene data grande enfasi al conflitto, alla lotta e alla competizione - a chi vince e a chi perde. E in generale i personaggi negativi destano e ricevono un’attenzione inappropriata.

RUSSELL: Molte delle cose di cui stiamo parlando non sareb-bero ben accolte nel sistema educativo attuale. Ad esempio, le esperienze mistiche sono spesso viste come non di questo mondo. O l’educare la gente agli stati non ordinari di coscienza creerebbe probabilmente molta ostilità.

GROF: Soprattutto l’insegnamento di qualcosa di transperso-nale o di genuinamente spirituale incorrerebbe in un muc-chio di problemi. Si incontrerebbe resistenza non solamente da parte degli scienziati materialisti, ma anche da parte delle religioni organizzate.

132 LA RIVOLUZIONE DELLA COSCIENZA

LASZLO: Tuttavia, il fatto stesso che possiamo tenere questa conversazione e pubblicarla è un’indicazione che c’è interes-se per questi argomenti. Forse dieci o anche cinque anni fa non avremmo avuto questa opportunità.

GROF: Sono ottimista, o almeno moderatamente ottimista, in particolare se consideriamo che ci potrebbero essere potenti fattori operanti dietro le quinte e che non sono immediata-mente evidenti.

LASZLO: Ciò è, secondo me, fonte di grande speranza. Se tali fattori esistono, essi si faranno sempre più manifesti.

Ma la domanda immediata e urgente è come penetrare non soltanto nel sistema educativo ma anche nell’intero siste-ma di informazione pubblica, a cominciare dai media elet-tronici e della carta stampata. Al momento questo sistema è interessato principalmente a temi sensazionalistici, perché possono essere più ampiamente venduti. La “vera” notizia la fa ciò che si presenta come violento o catastrofico, oppure quanto scaturisce da ciò che dicono e fanno poche figure pubbliche a livello mondiale. I processi sottostanti che opera-no nel mondo e lo plasmano, semplicemente non penetrano nella coscienza pubblica - non sono considerati interessanti.

Certamente, se si vuol guardare al lato positivo si può dire che fino anche a pochi anni fa non avevamo tutti questi programmi televisivi e notiziari sui problemi ambientali e delle risorse, sui problemi della popolazione, dello sviluppo e tutto il resto. Vi è una crescita reale della consapevolezza, ma sembra troppo lenta per poter dar luogo ad un movi-mento rapido capace di catalizzare un cambiamento realisti-camente efficace.

GROF: Nella nostra cultura, i media hanno un potere enorme nel diffondere informazione e formare l’opinione pubblica.

IL MONDO E L’INDIVIDUO 133

Sento che ci stiamo avvicinando ad un punto di svolta criti-co in questo campo. Nel passato c’era una chiara tendenza a screditare e ridicolizzare indiscriminatamente tutto ciò che era visto come “new age”, il che significava in fondo qual-siasi cosa che sfidasse i modi ormai radicati di pensare e di fare, dal modello olografico dell’universo di David Bohm alle semplici maratone, al potere dei cristalli e della pirami-de. Recentemente c’è stato un significativo cambiamento. Libri sul transpersonale appaiono sempre più frequente-mente sulla lista dei più venduti; il numero di film sensazio-nali con aspetti transpersonali sta crescendo rapidamente. Gli editori e i produttori stanno ricevendo il messaggio che questi argomenti sono considerati di grande attualità dalla gente e fruttano buoni incassi. E la gente dei media è stupe-fatta dagli indici di ascolto di programmi sul transpersona-le, come le discussioni di Bill Moyer con Joseph Campbell. Gli indici parlano un linguaggio che la gente dei media capi-sce e al quale risponde. Una volta capito che questo suscita l’interesse della gente, le cose possono avvenire molto velo-cemente.

LASZLO: Ma come attivare il rapido e tempestivo sviluppo di questo processo?

GROF: Cambiamenti enormi sono già avvenuti. Per esempio, l’interesse per le questioni ambientali e l’importanza data al cibo prodotto in modo naturale, cose viste in passato come ridicole bizzarrie hippy e che oggi sono praticamente alla ribalta. Questo non perché qualcuno si è seduto e ha pianificato una brillante strategia di come modificare l’opinione pubblica e influenzare i media. A dare l’impulso sono stati i cambiamenti avvenuti in decine o centinaia di migliaia di persone come te e me attraverso una grande varietà di meccanismi. Queste persone sono preoccupate e

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fanno il meglio che possono seguendo i loro sentimenti. Ognuna di esse è solamente un granello di sabbia nel deserto, ma insieme fanno la differenza.

RUSSELL: Ci sono migliaia e migliaia di persone che fanno ciò che sentono essere la cosa giusta da fare. E non c’è un’u-nica cosa giusta. Tu, Stan, fai il tuo lavoro. Senti che è la cosa giusta per te da fare e la fai meglio che puoi. Così tu, Ervin; e così anch’io. Noi tutti stiamo contribuendo al meglio che sappiamo fare e siamo sostenuti da altre centinaia di migliaia di persone che stanno dando il loro contributo, facendo ciò che ognuno sente di dover fare.

La questione cruciale è: come può ciascuno di noi fare ciò che fa in modo più efficace, con maggiore impatto? Più effi-cace sono nel mio lavoro, più questo agevolerà il cambia-mento negli altri. E più efficaci sono gli altri nel loro lavoro, maggiore sarà l’impatto su di me.

Uno degli aspetti più gratificanti dell’essere uno scrittore è di incontrare persone che mi dicono che qualcosa che ho scrit-to in uno dei miei libri ha avuto un effetto profondo su di esse - come un tassello del puzzle della vita che trova il suo posto.

E sono sicuro che lo stesso accade a te, Stan, quando ottieni un riscontro da gente che ha partecipato alle tue sedute di respirazione. Ognuno di noi sta mettendo insieme i pezzi che ci permettono di dare più senso alle nostre vite, e di condurre esistenze più felici, sane e altruiste. Ogni pez-zettino conta. E qualche volta quel nuovo pezzettino può essere quello che improvvisamente ne collega molti altri insieme, portando ad una svolta o ad un risveglio spirituale.

Se pensiamo di dover cambiare gli altri, non cogliamo il punto. Questo ci fa pensare che siamo in qualche modo spe-ciali. Ci mette in una posizione di comando, di provare a controllare la situazione. Siamo tutti parte della stessa onda emozionale. La domanda più importante che dobbiamo

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porci è: come posso allineare maggiormente la mia vita a quell’onda? Come posso agevolare un po’ quel cambiamento contribuendo anch’io nel mio piccolo?

LASZLO: Ciò che stai dicendo, Pete, è che facendo la nostra parte, e facendola bene, possiamo dare il via ad un processo efficace.

GROF: Sono d’accordo, ma aggiungerei che non basta osser-vare la situazione là fuori e focalizzarsi esclusivamente su interventi esterni. Tutto ciò deve essere combinato con il lavoro interiore. C. G. Jung, tra gli altri, sottolineò che era necessario integrare qualsiasi cosa noi facciamo nel mondo con l’autoesplorazione sistematica e con il sondare la nostra psiche inconscia. Egli parlò del bisogno di connet-tersi ad un aspetto più elevato di noi stessi, il Sé, e di attin-gere alla saggezza dell’inconscio collettivo e alle risorse spirituali a nostra disposizione. L’informazione profonda e il rafforzamento che riceviamo in questo processo ci aiutano a trovare le strategie giuste per la nostra vita nel mondo.

LASZLO: Come dicevamo ieri, ciò che si fa nell’“interno” influisce sull’“esterno”. Ma dicevamo anche che se la gente avesse una più adeguata cognizione dell’interazione tra interno ed esterno, sarebbe anche più responsabile nell’ope-rare con l’interno e potrebbe quindi avere migliori possibi-lità di successo nell’esterno.

RUSSELL: Come voi due, Ervin e Stan, anch’io credo che i miracoli possano avvenire. Ma noi non possiamo farli avve-nire, noi dobbiamo imparare come permettere loro di avvenire. Sembra che lo possiamo fare sviluppando il giusto stato interiore, il giusto stato di coscienza.

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Parlavamo prima di sincronicità, e ho accennato a come sembra esserci una forte correlazione tra il mio stato interio-re e la manifestazione delle sincronicità nel mio mondo. Non posso fare avvenire delle sincronicità; esse sono, per loro stessa natura, accidentali, oltre il mio controllo e influenza. Ma ciò che posso fare è di pormi in uno stato di coscienza che consenta a queste cose di accadere.

Lo stesso può essere vero sul piano collettivo. Più si alza il livello collettivo di coscienza, più incoraggiamo la possibi-lità di miracoli inattesi. Possiamo non avere idea di cosa sarà o di come e quando avverrà, ma occupandoci del nostro benessere interiore possiamo essere in grado di aumentare la possibilità che si verifichi.

LASZLO: Quello che stai dicendo mi riporta alla mente un’esperienza che ebbi in giovane età, con la musica. Quando si esegue (non necessariamente per il pubblico, si può farlo anche per se stessi), se tutto va nel modo corretto, allora va come dovrebbe e non come si vuole che vada consciamente; l’intera esecuzione si struttura spontaneamente secondo una forma. Non si può fare a meno di sentire che si è parte di un movimento, inseriti in esso. È una sensazione meravigliosa. Non la si può ottenere volendola, ma ci sono cose che si possono fare per prepararla. Se non si è adeguatamente preparati, non accadrà. Ma quando accade, è come “andare con la forza”. Forse c’è una simile forza e dobbiamo imparare ad andare con essa. Possiamo insegnarlo alla gente?

RUSSELL: Penso di sì. Per esperienza personale so cosa mi trattiene dall’essere in sintonia con la forza, o in qualunque modo la si chiami: è la mia resistenza, la mia rigidità, e ciò deriva dalle mie paure. La paura è un processo molto utile quando subiamo qualche minaccia biologica, ma nel mondo contemporaneo occidentale

IL MONDO E L’INDIVIDUO 137

abbiamo sradicato molte delle minacce fisiche. Siamo raramente attaccati da animali selvaggi; non capita spesso di dover fuggire per salvarsi. La maggior parte delle paure che sperimentiamo sono paure psicosociali che proven-gono dal nostro condizionamento e dalle nostre prime esperienze. Abbiamo paura di cosa gli altri possono pensare di noi, di sentirci insicuri, di non avere il controllo, eccetera. Sono paure come queste che ci impediscono di vivere la vita pienamente, di essere nel flusso. Nel profondo stiamo in guardia, nel caso che il nostro senso di benessere psicologico venga minacciato in qualche modo.

Una delle cose più importanti che possiamo fare per noi stessi è di mettere a nudo queste paure, vederle per ciò che sono e imparare a vivere senza di esse. Trovo che più vedo nella maggior parte delle mie paure una mancanza di fonda-mento e sostanza e meno esse interferiscono con le mie rela-zioni, la mia comunicazione e il modo in cui rispondo agli altri. Più paure lascio andare, più posso vivere nel “flusso”.

GROF: L’ostacolo più importante a questo genere di apertura è una storia di esperienze traumatiche che conducono a bloc-chi fisici ed emozionali, una sorta di corazza reichiana che ci separa dal resto del mondo. Ci sono diversi modi di dissolve-re questa corazza, liberandoci da queste impressioni trauma-tiche e diventando più aperti agli altri, alla natura e al cosmo.

LASZLO: Le persone che vivono esperienze transpersonali diventano migliori membri della comunità?

GROF: Non necessariamente dopo una singola esperienza, sebbene anche questo possa capitare. Ho avuto occasione di vedere la vita di una persona completamente cambiata dopo una potente esperienza psichedelica o di respirazione olo-tropica. Ma di certo questa non è la regola. La probabilità di una trasformazione positiva aumenta considerevolmente se

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l’individuo è coinvolto in una ricerca personale coerente e sistematica.

LASZLO: E trovi quindi che la gente abbia bisogno di vivere un’intera serie di esperienze transpersonali nell’arco di setti-mane, mesi o anche anni?

GROF: SÌ. HO scoperto la sfera transpersonale attraverso il mio lavoro clinico. Ciò che ho visto ripetutamente è che le persone iniziavano questo processo come terapia, perché avevano sperimentato un disagio emozionale e psicosomati-co. Ad ogni modo, dopo una serie di sedute, esse improvvi-samente scoprivano la dimensione essenziale della loro psi-che e da quel momento il loro interesse primario era volto ad una ricerca filosofica e spirituale, piuttosto che alla mera tera-pia. E ciò conduceva ad un orientamento interamente nuovo verso se stessi, verso gli altri, la natura e la vita in generale.

Una nuova mappa della realtà?

LASZLO: La coscienza cambia, nuove percezioni stanno emergendo. Tutto questo fa sorgere una domanda che mi piacerebbe porre ad entrambi, poiché è particolarmente inte-ressante e importante. Riguarda il concetto che abbiamo del mondo. Attualmente, è estremamente frammentato e pieno di spaccature e lacune - tra mente e corpo, interno ed esterno, uomo e mondo ...

GROF: Ciò che stai suggerendo, Ervin, è il bisogno di un paradigma onnicomprensivo che possa integrare le nostre prospettive scisse, mettendole insieme.

LASZLO: Abbiamo già parlato di un mutamento di paradigma

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nella scienza, e ora possiamo ampliare il discorso. Che sorta di paradigma è quello che ci aspettiamo emerga? E di che genere è quello che effettivamente ci abbisogna? Chiaramente, il nuovo paradigma dovrebbe integrare la nostra attuale, frammentata mappa della realtà. Dovrebbe includere la conoscenza emergente nelle scienze naturali, in particolare nella nuova fisica, e collocarla nel contesto delle scienze umane e sociali. Un simile cambiamento di paradig-ma si potrebbe rivelare cruciale, poiché noi viviamo in tempi instabili, tempi che sono estremamente sensibili ad ogni “fluttuazione”, ad ogni input in termini di idee, visioni del mondo e valori, indipendentemente da quanto piccoli e apparentemente insignificanti essi possano sembrare. In tali circostanze, potrebbe sorgere un altro Hitler, ma anche un altro Messia. Dobbiamo essere consapevoli della potenza delle idee e della potenza che risiede nel promuovere idee, specialmente se esse rispondono ai grandi bisogni dei nostri tempi. Questo significa promuovere quei paradigmi che potrebbero avere un effetto positivo sull’umanità e sul mondo intero.

GROF: Vedo come problema il fatto che gli elementi fonda-mentali, i mattoni costitutivi concettuali del vecchio para-digma sembrano molto logici e naturali e sono molto più facili da capire. I principi fondamentali della meccanica newtoniana non sono difficili da comprendere e sembrano dettati dal buonsenso, giacché essi corrispondono alla nostra percezione diretta del mondo. Al confronto, la comprensio-ne del nuovo paradigma che possiamo prevedere richiede-rebbe un altissimo livello di sofisticatezza in un’ampia varietà di discipline, compresa l’alta matematica e la fisica quantistica e relativistica. Inoltre, i suoi principi fondamen-tali sono contro-intuitivi, almeno nello stato ordinario di coscienza.

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Guardiamo ad esempio il tuo lavoro, Ervin. Tu possiedi uno straordinario bagaglio di conoscenza scientifica e la capacità di mettere insieme dati provenienti da differenti discipline in un modo estremamente creativo. Ma è molto difficile per un lettore medio capire ciò che stai cercando di dire senza la necessaria conoscenza di fondo. Così il proble-ma è come tradurre questi concetti nel linguaggio comune e presentarli in un modo che possa arricchire la persona media.

LASZLO: Sono un tantino più ottimista di te, Stan, sul potere e sulla diffusione del nuovo paradigma. Io non penso che sia più complesso del vecchio paradigma: fondamentalmente esso è molto semplice. Prima abbiamo menzionato Alfred North Whitehead. Ora uno degli studenti di Whitehead, un grande filosofo egli stesso, Stephen C. Pepper, ha scritto un intero libro sulle “ipotesi sul mondo”, dimostrando che ci sono solo una mezza dozzina di ipotesi fondamentali sul mondo, o modi in cui possiamo coerentemente pensare a noi stessi e al mondo. Una di queste ipotesi è quella organicisti-ca. È quella che sta emergendo oggi. In questa visione il mondo è simile ad un organismo. Non solamente gli esseri umani, ma l’intera biosfera e anche l’universo. Questo è un modo molto naturale di pensare. Una volta che si comincia ad adottarlo, tutte le cose trovano la loro giusta collocazione. L’esperienza mi insegna che, quando ci si trova di fronte a nuovi risultati che sembrano non avere senso, si può cam-biare prospettiva, adottare un differente modo di vederli, e allora essi improvvisamente diventano parte di una struttu-ra più ampia. Parte della struttura della quale Gregory Bateson parlava come della “struttura che connette”.

L’ipotesi organicistica sembra un’idea nuovissima ma in effetti è molto vecchia. Ci si ripresenta semplicemente in una nuova guisa, più concreta e attendibile, fornita dalle nuove

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scienze. Ma non è difficile da afferrare come concetto. È solo che essa non rientra nella nostra educazione, che prevede al suo posto l’ipotesi meccanicistica newtoniana del mondo.

GROF: Ma non pensi che uno dei problemi stia nel fatto che la visione del mondo newtoniana deriva in larga misura dalla pedestre percezione quotidiana della realtà? Sembra essere un modo logico e ovvio di vedere il mondo.

LASZLO: Lo sembra alla gente allevata in occidente e nel mondo occidentalizzato.

GROF: HO visto ripetutamente che negli stati mistici le per-sone ottengono un accesso diretto esperienziale ad una per-cezione e una comprensione alternative del mondo. Le esperienze transpersonali hanno il potere di risvegliarci da quello che William Blake chiamava, un po’ ingiustamente nei confronti di Newton, “il sonno newtoniano”. Ma non sono sicuro in quale misura questo nuovo modello organici-stico dell’universo possa realmente essere trasmesso in modo convincente attraverso mezzi puramente intellettuali a gente che non ha mai avuto alcuna esperienza diretta che puntasse in questa direzione; in particolare, quando forte-mente programmata in senso contrario.

Sarebbe certamente di aiuto se il nuovo modo di pensare potesse essere collegato ad una visione mitologica valida per la cultura occidentale. Questo è un argomento al quale Joseph Campbell era interessato più di tutto. Egli faceva osservare che, nello studiare le culture del passato, si vede come tutte possedessero visioni mitologiche potenti che le sostenevano e le sospingevano. E si interrogava se fosse pos-sibile identificare il mito dominante di una cultura nella quale si vive o se questo potesse essere fatto solamente a posteriori. Le domande che egli spesso poneva erano: che

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genere di mitologia stiamo vivendo ora? Possiamo identifi-carla? Può essere in qualche modo portata alla superficie, cosicché la sua fiamma possa accenderci e la sua luce ispi-rarci coscientemente?

RUSSELL: Un altro problema che la mente occidentale forma-ta al meccanicismo incontra con il modello organicistico è che questo modello presenta una natura partecipatoria. Esso ci fa sentire parte di un universo vivente. I nostri modelli riduzionistici e il nostro senso comune ormai accettato vanno nella direzione opposta; essi ci separano dal tutto.

GROF: Molte culture furono capaci di vivere concretamente in un universo partecipativo, dove esse sperimentavano se stesse come connesse a - e parte di - ogni altra cosa. Tuttavia, le culture che erano in grado di fare ciò avevano anche accesso diretto ad esperienze transpersonali nei loro riti di trapasso, misteri e pratiche spirituali. Tali esperienze erano incomparabilmente più disponibili in quelle culture che non nelle nostre.

LASZLO: Le nostre istituzioni e i nostri modi di vita fram-mentari sono la fonte di tutte le difficoltà. Essi non ci per-mettono più di avere esperienze integrate, olistiche e parte-cipative. La crisi che ci attende sarà anche il crogiolo della trasformazione del modo occidentale di percepire noi stessi e il mondo. Essa mostrerà come tutte le cose siano collegate e dipendenti fra di loro. Essa convaliderà un’altra visione del mondo. Ma come trasmettere al pubblico questa visione organicistica in tempi rapidi, senza doverla apprendere pagando un caro prezzo, questo è il punto.

RUSSELL: Sì, la maggior parte della gente non vuole esami-nare cos’è che potrebbe essere sbagliato nel nostro modello

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corrente. Si culla nelle proprie convinzioni, e non esce dai propri schemi comportamentali fino a quando non è forzata a farlo, ma allora potrebbe essere troppo tardi.

Una cosa simile accade a livello personale. Ad una perso-na che conduce uno stile di vita non sano il dottore può rac-comandare di smettere di fumare, cambiare la dieta, fare più esercizio, o quel che sia. Ma se questa persona non vede alcun problema evidente, è probabile che ignorerà tali consi-gli. Non vede il bisogno di cambiare. Fino a che qualcosa non va male. Potrebbe trattarsi di un attacco cardiaco, di un can-cro o di qualche altra malattia che la costringe ad ascoltare quel che le era stato detto nei dieci anni precedenti. Finché la vita è confortevole, non vogliamo fare niente che ci arrechi troppo disturbo. È solamente quando le cose vanno male che accettiamo il bisogno di cambiare. Perciò forse dovremmo sperare di avere presto una crisi; una crisi abbastanza seria da svegliarci, ma non così grande da distruggerci.

LASZLO: Questa è una cosa difficile da ottenere nel mondo reale.

RUSSELL: Ma non sto dicendo che dovremmo provare ad ottenerla, sto solo affermando che potremmo non pervenire ad una presa di coscienza fino a che le cose non si mettono male. Di certo, non tutti aspettano di ammalarsi per cambia-re; ci sono persone che ascoltano i consigli e cambiano prima che le cose vadano male, ed è questo atteggiamento che abbiamo bisogno di incoraggiare a livello globale.

LASZLO: Sono d’accordo. Ma questo semplicemente sottoli-nea l’urgenza di un nuovo modo di guardare a noi stessi e al mondo, di una nuova mappa della realtà. Stan, nei tuoi libri parli di una nuova cartografia della mente. Non impli-ca essa anche una nuova cartografia del cosmo? Se la mente

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presenta elementi sorprendenti e se è collegata con il cosmo, allora anche il cosmo deve avere elementi inusuali. Una car-tografia diversa da quella standard.

GROF: La nuova e vasta mappa della psiche della quale ho parlato e scritto è, allo stesso tempo, una nuova mappa della realtà, giacché le due categorie di esperienze che essa aggiunge alla cartografia tradizionale non sono viste come distorsioni patologiche, ma come autentici aspetti e regni dell’esistenza. Nella prima di queste categorie, il contenuto delle esperienze è il mondo quale noi lo conosciamo nella vita quotidiana, ma percepito in una prospettiva radical-mente differente. Invece di percepire i suoi vari elementi come oggetti, noi diventiamo loro. E abbastanza stranamente, diventando loro, noi otteniamo l’accesso ad informazioni del tutto nuove su di essi. Questo è un modo radicalmente differente di acquisire conoscenza sull’universo; non attra-verso la registrazione, mediante i nostri sensi, di diversi aspetti degli oggetti della nostra indagine e quindi attraver-so l’analisi e la sintesi di queste informazioni, ma diventan-do quegli stessi oggetti.

Il contenuto delle esperienze nella seconda delle nuove categorie è perfino più sorprendente. Esso coinvolge dimen-sioni della realtà delle quali la civiltà industriale occidentale nega l’esistenza. Parlo delle dimensioni mitologiche dell’esistenza, gli esseri archetipici e i regni che le culture antiche e indigene consideravano divini. E tuttavia, quando ne facciamo l’esperienza, essi sono altrettanto reali o anche più reali della nostra esperienza quotidiana del mondo materiale. Anche essi possono fornire informazioni nuove e accurate che prima non avevamo.

LASZLO: Si appalesa il fatto che attraverso tali esperienze otteniamo una mappa della realtà interamente nuova.

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GROF: Infatti. Noi stiamo realmente parlando qui dell’incon-scio collettivo di C. G. Jung, o almeno di un importante aspetto di esso. Il secondo aspetto è quella dimensione stori-ca dell’inconscio collettivo che contiene la registrazione del-l’intera storia dell’umanità. Jung non è sempre chiaro riguardo alla dimensione archetipica. Inizialmente egli la vide come un qualcosa di innato, cablato nell’hardware del cervello, non dissimilmente dalla predisposizione al comportamento istintivo. Altre volte, si riferì ad essa come all’eredità culturale dell’umanità. Più tardi, egli cominciò a vedere gli archetipi come modelli cosmici primordiali sovraordinati alla realtà consensuale.

Alcune osservazioni tratte dallo studio degli stati non ordinari di coscienza forniscono un forte sostegno a questa terza alternativa. Esse suggeriscono che la dimensione archetipica sia situata tra la realtà consensuale e la coscienza indifferenziata del principio cosmico creativo. Essa forma e informa la dinamica del mondo materiale. Ad esempio, l’ar-chetipo della Grande Dea Madre è come un’immagine uni-versale che trova espressione specifica nelle madri, indivi-dualmente.

Sto pensando qui al dibattito filosofico in corso tra i nominalisti e i realisti a proposito delle idee platoniche. I nominalisti le vedono come astrazioni di un gran numero di oggetti concreti che sono i soli ad essere reali, mentre i reali-sti credono che esista a tutti gli effetti una dimensione dove le idee platoniche hanno una loro propria esistenza. Gli stati non ordinari sostengono nettamente la convinzione dei rea-listi. Non c’è dubbio che in questi stati il mondo degli arche-tipi può essere sperimentato in un modo molto convincente. Possiamo visitare molti differenti regni archetipici che sono popolati da esseri mitologici nello stesso modo in cui il mondo della materia è popolato da esseri umani, animali e piante. Gli esseri archetipici sembrano esistere su livelli

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energetici molto più elevati e sono contornati da una distinta aura di elevatezza. Sembra ovvio che essi appartengano ad un ordine superiore, tuttavia essi influenzano gli eventi che hanno luogo sul nostro livello. Ecco perché le culture antiche e aborigene li vedevano come divinità. È molto comprensibile come atteggiamento.

LASZLO: Puoi farci qualche esempio più vicino ai tempi d’oggi, Stan?

GROF: Anni fa, uscì un interessante film su Giasone e gli Argonauti e sulla loro ricerca del vello d’oro. Questo film si svolgeva su due differenti livelli. Uno di essi era il mondo materiale, dove Giasone e il suo equipaggio vivevano una serie di avventure. L’altro era il mondo degli dei e delle dee dell’Olimpo, che aveva una dinamica sua propria - conflitti, tensioni, passioni amorose e così via. Questi due livelli erano chiaramente interconnessi. Le divinità avevano le loro sfere di influenza sulla Terra nonché i loro favoriti e nemici tra gli esseri umani. La vicenda degli dei era quindi proiettata negli eventi del mondo materiale, facendo confrontare gli esseri umani con tempeste, animali pericolosi e sfide varie o, vice-versa, determinando la loro buona sorte.

Tutto ciò è simile ai concetti su cui si basa la vera astro-logia. L’idea di fondo è che i nostri eventi intrapsichici, come ciò che accade nel mondo, sono espressione di una dinami-ca archetipica che, a sua volta, è correlata con i movimenti e le posizioni dei pianeti. Poiché i pianeti sono visibili, possia-mo dedurre da essi cosa sta succedendo nel mondo degli archetipi e, indirettamente, quali qualità di energia possia-mo attenderci nel mondo materiale. La relazione è di tipo sincronico e non ha niente a che fare con la causalità. Ecco perché gli scienziati materialisti, che pensano strettamente in termini di causa ed effetto, hanno forte difficoltà ad

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accettare la possibilità che ci possa essere un qualche cosa di valido nella astrologia.

LASZLO: C’è un elemento nel pensiero di Jung che va in questa direzione. Come ben sappiamo, Jung formulò il suo concetto di archetipo in collaborazione con Wolfgang Pauli. Egli fu colpito dal fatto che, come la sua propria ricerca nel campo della psiche umana aveva condotto ad incontrare degli “irrappresentabili” come gli archetipi, la ricerca in fisica quantistica aveva similmente condotto a degli “irrap-presentabili”: le micro-particelle dell’universo fisico, entità per le quali non sembrava possibile alcuna descrizione completa. Jung concluse che quando è assunta l’esistenza di due o più irrappresentabili, c’è sempre la possibilità che non si stia trattando di due o più fattori, ma di uno solamente. Secondo lui, il singolo fattore comune che sog-giace ai mondi della fisica e della psicologia, e che li con-nette, è l’unus mundus. Ciò significa che i regni della mente e della materia - della psyche e della physis - sono aspetti complementari della stessa realtà trascendentale dell’unus mundus unitario. Gli archetipi sono modelli dinamici fon-damentali le cui varie rappresentazioni caratterizzano sia i processi mentali che fisici. Nel regno mentale essi organiz-zano immagini e idee; nel regno fisico essi organizzano le strutture e le trasformazioni della materia e dell’energia. Tuttavia, la realtà fondamentale è Vunus mundus, e questo in sé non è né psichico né fisico: esso è al di sopra, o si trova al di là, di entrambi questi regni. Questo, certamente, richiama l’idea più recente di David Bohm dell’ordine implicato, che è anch’esso un regno trascendente oltre lo spazio e il tempo nel quale tutte le cose sono date insieme. È solamente la nostra interazione con l’ordine esplicato, l’ordine che si “dispiega” nello spazio e nel tempo, che le separa.

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GROF: Concetti simili esistono anche nella filosofia del pro-cesso di Whitehead. In ciascun nuovo momento, in ciascuna occasione concreta, l’intero passato dell’universo vi entra quale causa efficiente. Whitehead prende in considerazione anche Dio e il regno di quelli che egli chiama gli oggetti eter-ni. Conosci il recente libro di Rick Tarnas, La passione della mente occidentale?

LASZLO: SÌ. Rick descrive la storia del pensiero europeo mostrando come fosse caratterizzata da un continuo dibat-tito sulla relazione tra due livelli di realtà, quello esperien-ziale a noi familiare, e quello archetipico, platonico, o realtà superiore. Egli arriva anche a mostrare come il corso della storia europea presenti correlazioni sistematiche con le posi-zioni planetarie. Per esempio, Urano è stato sempre coinvol-to con le grandi scoperte fatte dalle più distinte figure pro-meteiche, quali Newton, Descartes, Freud, Jung e Darwin.

RUSSELL: Questa correlazione consente di fare predizioni astrologiche circa il periodo delle scoperte?

GROF: Essa rende possibile fare predizioni archetipiche con-cernenti la qualità delle energie coinvolte, ma non predizio-ni concrete. Ciò consente un certo grado di creatività e atti-vità ludica, mentre gli archetipi restano fedeli alla loro natu-ra. Per esempio, ci stiamo avvicinando ora ad una tripla con-giunzione tra Urano, Nettuno e Giove. In termini astrologi-ci, Urano è collegato, fra l’altro, alle scoperte e ai cambia-menti rivoluzionari di natura prometeica. Nettuno è correla-to con l’annullamento dei confini e con la coscienza mistica. Giove, a sua volta, tende a potenziare ed esaltare tutto ciò con cui viene in rapporto. Si potrebbe così predire, ad esem-pio, che questa combinazione di energie archetipiche astro-logiche troverà espressione in una rivoluzione spirituale di

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portata mondiale implicante la dissoluzione e la trascenden-za dei confini. La caduta del muro di Berlino e l’unificazio-ne della Germania, la liberazione dell’Europa dell’est e la disgregazione della superpotenza sovietica sono state le prime indicazioni di questa influenza archetipica.

Tutto ciò è molto differente dalle rivoluzioni degli anni sessanta, le quali avvennero anch’esse durante una tripla congiunzione, ma con Plutone al posto di Nettuno. Plutone è energia dionisiaca, legata al sesso, alla morte e alla rinascita e coinvolge potenti forze dinamiche. L’impulso rivoluzionario ebbe una qualità diversa e risultò in violenti scontri con la polizia e altre autorità.

Vorrei aggiungere che Rick Tarnas ha scritto anche un librettino sul ruolo di Urano nelle rivoluzioni scientifiche, artistiche e sociali, intitolato Prometeo, il risvegliatore. Egli tratta, ad esempio, nella carta di Einstein, il transito di Urano all’inizio di questo secolo, quando Einstein produsse in un anno tre scritti che rivoluzionarono la fisica, e lo confronta con il transito di Saturno sulla stessa parte della carta zodia-cale di Einstein al tempo in cui egli ebbe controversie teori-che con Niels Bohr e manifestò un atteggiamento conserva-tivo verso lo sviluppo della fisica quantistica. Darwin ebbe un transito di Urano simile quando la sua nave HMS Beagle raggiunse le isole Galapagos ed egli ebbe l’improvvisa rive-lazione dell’evoluzione delle specie.

LASZLO: Ci sono correlazioni nel mondo naturale che lascia-no perplessi. In natura appaiono operare energie e forze estremamente sottili delle quali non abbiamo ancora alcuna conoscenza empirica, sebbene sembriamo averne una cono-scenza simbolica.

GROF: La stessa visione astrologica del mondo non fa alcun riferimento specifico a forze; essa vede la realtà in termini di

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ordinamenti sincronici piuttosto che di connessioni causali. Essa propone una grande visione del cosmo quale sistema, unificato, ordinatamente interconnesso, che riflette un pro-getto sottostante prodotto da un’intelligenza superiore.

RUSSELL: Non so molto sull’astrologia come è praticata oggi, ma sono interessato a come gli antichi vedevano il cielo, e alle radici dell’astrologia. Per molti anni ho avuto la fortuna di vivere in un’area dell’Inghilterra dove si risente molto poco dell’inquinamento prodotto dall’illuminazione delle strade e delle città, cosa che consente una buona visione del cielo notturno. Grazie a ciò, sono divenuto molto_consape-vole dei movimenti dei pianeti rispetto alle stelle fisse.

Il cielo come mi appare oggi è essenzialmente lo stesso di migliaia di anni fa, tranne che a quei tempi era ben più scuro. Una volta tramontato il Sole, l’inquinamento lumino-so era praticamente nullo e l’aria era molto più pulita, giac-ché le stelle dovrebbero essere state molto più brillanti. La gente aveva anche più ragioni per osservarle; non c’era la televisione, il cinema, il computer e nemmeno libri ad impe-gnarne l’attenzione. Per la metà del tempo c’era solo il cielo notturno - brillante e totalmente seducente.

Nell’osservare i movimenti dei pianeti notai che eventi significativi nella mia vita sembravano correlarsi con confi-gurazioni interessanti nel cielo. Mi si è presentato un evento simile di recente, quando la Luna era a metà strada tra Giove da una parte, e Marte e Venere, che erano in congiunzione, dall’altra, mentre Saturno sorgeva ad est. Non so se c’è una relazione causa-effetto tra la configurazione del cielo e la mia vita; sembra essere più una questione di sincronicità, di relazione non causale ma ciononostante significativa.

Mi domando se è da qui che provenga l’astrologia. Gli antichi devono avere osservato come, di tanto in tanto, i pia-neti si allineassero nel cielo creando configurazioni

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interessanti. Si sono soffermati ad osservare anche le correlazioni tra queste configurazioni e gli eventi nelle loro vite? Se è così, sembra del tutto naturale che essi avessero in seguito iniziato a rappresentare graficamente queste configurazioni per predire allineamenti e correlazioni futuri.

GROF: Trovo improbabile e difficile da credere che l’astrolo-gia si sia sviluppata per accumulazione graduale di dati generati da osservazioni astronomiche individuali e da ten-tativi di correlarle con eventi storici ed esperienze umane. Sospetto fortemente che la scoperta sia avvenuta nella sua totalità, come visione illuminante di un ordine superiore che collega i movimenti dei pianeti agli archetipi e agli eventi interiori ed esteriori. Esistono molti esempi di tali visioni rivelatrici nella storia della creatività.

Ma dato che stiamo parlando di cieli e corpi celesti, avete mai pensato a questa sorprendente coincidenza: che i dia-metri del Sole e della Luna, per effetto della loro distanza dalla Terra, appaiano approssimativamente della stessa dimensione? Questo rende possibile un evento così spetta-colare e indimenticabile quale l’eclisse totale di Sole. Vi avete mai assistito? Christina mi regalò per il mio sessante-simo compleanno una crociera alle Hawaii organizzata spe-cificamente per l’osservazione dell’eclisse totale, e fu assolutamente incredibile.

In passato avevo già visto alcune eclissi solari parziali. Guardavo il Sole attraverso una pellicola o una lastra di vetro coperta di nerofumo e vedevo che una parte di esso mancava, come se fosse stata portata via con un morso. Niente di molto spettacolare. Ma l’eclisse totale non è solo un incremento sullo stesso continuum che si ha con la par-ziale. Essa è assolutamente diversa, appartiene ad una cate-goria sua propria. Anche un’eclisse dell’ottanta per cento non dà un’idea di cosa stia per avvenire. Ma una volta che

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osservi il fenomeno noto come “la collana di perle”6 e l’e-clisse diventa totale, si viene catapultati in una realtà com-pletamente differente. Mi fu impossibile considerarlo come ad un fenomeno naturale, divenne pura magia. Ci trovava-mo su una nave insieme a diverse centinaia di persone, molte delle quali bevevano Bloody Mary7 alle sette del mat-tino e si dedicavano a dei frivoli passatempi; ma quando cominciò l’eclisse, tutte ne furono fortemente colpite.

Quello che si sente comunemente dire è che le culture antiche e primitive reagivano così fortemente alle eclissi per-ché non comprendevano cosa stesse accadendo. Ma noi sapevamo esattamente cosa stava per accadere, quando e perché. Avevamo assistito ad alcune conferenze tenute da un astronomo professionista che ci aveva accuratamente preparati per l’evento. E tuttavia esso fu grandioso e scon-volgente.

LASZLO: Quello che mi stupisce è come spesso la gente sia indifferente a fenomeni naturali che accadono molto di fre-quente; pensiamo, ad esempio, ai tramonti cremisi e alle spettacolari viste della luna. Sono viste veramente fantasti-che, alle quali tuttavia la gente per lo più non fa caso. Ma ci pensi? Noi siamo qui su un pianeta, e tutto di un tratto vediamo il nostro Sole che si immerge oltre l’orizzonte; se ci pensi in questi termini non puoi fare a meno di esserne sba-lordito, invece di pensare “beh, è solo il Sole che tramonta come ogni giorno”. Come può la gente andarsene per i fatti

6 Tale fenomeno consiste nel fatto che il disco lunare, durante la totalità, copre esattamente quello solare del quale restano visibili (per un istante all’inizio e alla fine della totalità) solamente dei piccoli “grani” o “perle” situate sul bordo. Questo perché il bordo lunare è leggermente irregolare a causa della presenza, lungo di esso, di vallate e montagne viste di profilo (N.d.T.).

7 Letteralmente “Maria la Sanguinaria” (soprannome attribuito a Maria Tudor); popolarissimo cocktail alcoolico a base di pomodoro (N.d.T.).

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suoi quando ci sono viste naturali così straordinarie? Certamente, gli artisti se ne accorgono, ma la maggior parte della gente no.

GROF: Una cosa che eravamo abituati a vedere durante il nostro lavoro psichedelico, e che tutt’ora osserviamo dopo intense sedute di respirazione olotropica, è ciò che chiamia-mo “bagliore residuo” (afterglow)8. Esso può protrarsi per ore, giorni o perfino settimane. Durante questo tempo, la percezione del mondo è radicalmente trasformata - l’am-biente sembra più bello, i colori più ricchi e più brillanti, la musica si sente diversamente e si fa meglio l’amore. Tatto, gusto e olfatto sono altamente sensibilizzati e l’aroma della vita è più intenso. Blake, e dopo di lui Aldous Huxley, par-larono di questo fenomeno come del “pulire le porte della percezione”.

Sulle potenzialità dell’arte e la responsabilità degli artisti

LASZLO: Stiamo toccando ora facoltà che tipicamente sono messe in risalto dagli artisti e da altre persone sensibili e creative. Interessante è sapere se un artista - poeta, pittore o musicista - possa contribuire a dare apertura a quel genere di sensibilità che si richiede oggi allo scopo di facilitare l’e-voluzione della coscienza collettiva. Se può farlo, allora esi-ste, mi sembra, una responsabilità sociale e umana che la creazione di opere d’arte comporta. Questo non è certamen-te un problema nuovo. Da una parte c’è l’art pour l’art, l’arte fine a se stessa, e dall’altra la considerazione di cosa l’arte può fare per l’individuo, o anche per l’umanità tutta.

8 Il termine afterglow designa sia un bagliore di tipo crepuscolare, che lo stato emozionale perdurante dopo una intensa esperienza psicologica (N.d.T.).

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GROF: La seconda implica indubbiamente una responsabilità dell’artista, ma non dobbiamo nemmeno dimenticare che c’è bisogno di un certo tipo di pubblico per apprezzare ciò che l’artista ha da offrire, e per valorizzare e sostenere l’attività artistica in generale. L’artista è solo un fattore dell’equazio-ne; l’altro fattore è dato dalla sensibilità e ricettività del suo pubblico. E queste hanno bisogno di essere coltivate. Mi inquieta quanto poco le materie umanistiche e in particolare l’arte sono valutate in questo paese. Sono le prime ad essere sacrificate tutte le volte che non c’è abbastanza denaro. Abbiamo bisogno di una traslazione di valori nelle finalità educative per promuovere lo sviluppo del pubblico e per nutrire e coltivare la creatività individuale.

RUSSELL: Nella nostra società non impariamo ad apprezzare l’arte o come ascoltare la musica. Ti viene presentata l’opera d’arte, ed essa o ti piace oppure no. Non ti viene mai impar-tito un corso approfondito di apprezzamento dell’opera arti-stica che ti aiuti a vedere cosa gli artisti stanno facendo e per-ché il loro lavoro è importante. Gli artisti possono mettere il loro cuore e la loro anima nel creare qualcosa che per loro ha un profondo significato, ma non sappiamo come compren-dere o apprezzare ciò che essi cercano di condividere.

LASZLO: Ci sono sempre un mittente e un destinatario, anche se nell’esperienza effettiva i due tendono a fondersi. Il destinatario che “ricrea” un’opera d’arte attraverso la sua percezione di essa è anch’esso, in un certo senso, un artista. Tuttavia c’è una tendenza nel mondo contemporaneo a rimuovere l’arte e l’intero mondo dell’arte dal pubblico. L’arte è riservata ad una piccola congrega di iniziati.

GROF: Ervin, nel tuo libro Il cosmo creativo riporti che il com-positore Schoenberg diceva che una vera opera d’arte non è

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per tutti, e un’opera che sia realmente per tutti non è un’o-pera d’arte.

LASZLO: In effetti, Schoenberg e molti altri artisti pensano nei termini dell’art pour l’art Non tutte, ma ci sono scuole che sono introverse e non sono coinvolte che nel loro parti-colare ambito. L’arte, dicono, ha le sue proprie leggi, è in obbligo solamente verso se stessa. Tuttavia l’arte è anche un elemento della cultura umana e potrebbe anche essere ele-mento di una trasformazione culturale. Qui credo che la comunità degli artisti dovrebbe giocare un suo ruolo, come la comunità degli scienziati o quella degli educatori.

RUSSELL: Gli artisti hanno già un ruolo.

LASZLO: Ma lo prendono abbastanza sul serio?

RUSSELL: Io penso che molti artisti prendano il loro lavoro molto sul serio. Per quale altra ragione molti di loro conti-nuerebbero, a fronte di una remunerazione così modesta?

LASZLO: Non mi riferivo al fatto di prendere sul serio ciò che essi fanno, ma di prendere sul serio il loro ruolo nell’affron-tare la tremenda sfida della quale stiamo parlando - la loro potenzialità come catalizzatori dell’evoluzione culturale.

RUSSELL: Sono sicuro che alcuni lo fanno; ma sono sicuro che ce ne sono molti che non vedono il loro lavoro in termini di mutamento di coscienza a livello globale. Ciononostante, credo che molti artisti siano seri nel loro impegno in ciò che fanno. Che essi poi lo facciano nel contesto di una trasfor-mazione culturale o no, non mi sembra importante. Quello che è importante è che essi facciano qualcosa verso la quale si sentano profondamente spinti. Ciascuno a suo modo aiuta a far progredire le coscienze.

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LASZLO: La grande arte, per principio e quasi per definizio-ne, è quella che cattura e comunica una qualche forma di visione, non necessariamente una visione razionale come nella scienza, ma una che fa uso della sensibilità degli artisti per comprendere il loro mondo. Grazie alla loro sensibilità altamente sviluppata, gli artisti sono come un’antenna orientata verso il mondo che li circonda e del quale ricevono l’umore, lo spirito e il tono dominanti - o deviazioni signi-ficative da questi. Ma gli artisti non sono solo sperimentato-ri, sono anche comunicatori. Di conseguenza il loro ruolo e la loro responsabilità si estendono oltre il loro proprio mondo interiore, al mondo più vasto condiviso dagli altri che stanno loro attorno. Il loro pubblico è potenzialmente costituito da chiunque sia un essere umano pienamente svi-luppato, giacché ogni essere umano può beneficiare della visione estetica attraverso la quale gli artisti afferrano l’e-sperienza del loro tempo.

GROF: Quando guardiamo alla storia della creatività in gene-rale, e delle sue forme più notevoli in particolare, vediamo che gli stati lungimiranti vi occupano un ruolo estremamen-te importante. Questo è vero non solamente per l’arte e la religione, ma anche per le scienze “dure” quali la chimica, la fisica e perfino la matematica. Willis Harman scrisse un libro notevole intitolato Creatività superiore, nel quale descrisse molti esempi che illustravano questo. La vera arte non è fatta dall’uomo nel senso ordinario del termine, ma viene da sorgenti spirituali profonde.

RUSSELL: Stai dicendo che l’arte proviene da un livello tra-scendente della coscienza?

GROF: SÌ, perlomeno la migliore. Per questa ragione gli arti-sti possono, attraverso la loro arte, fornire un ponte agli altri

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verso il regno trascendente. Il meccanismo sarebbe simile a quello dei koan dello Zen o dei mandala tibetani. Per creare un koan o un mandala, l’insegnante deve essere in uno stato speciale di coscienza. E la sua creazione può a sua volta mediare l’accesso a quello stato da parte di altri.

LASZLO: Mi sembra che sarebbe importante per gli artisti diventare consapevoli di questo potenziale della loro arte.

RUSSELL: Perché? Farebbero forse qualcosa di diverso? Se gli artisti esprimono la loro anima, fa differenza se essi ne sono consapevoli o no? Esprimeranno sempre la loro anima allo stesso modo.

LASZLO: IO non la penso in questi termini. Se gli artisti diventano consapevoli della natura critica della situazione nella quale loro e i loro contemporanei si trovano, e ricono-scono il potenziale dell’arte come catalizzatore di una espan-sione ed evoluzione della coscienza attualmente molto necessaria, dal loro senso di umanità e di solidarietà verrà una specie di arte più focalizzata e orientata in una dire-zione favorevole al benessere e allo sviluppo individuale e collettivo.

RUSSELL: Mi stupirei, comunque, che questo producesse grande arte.

LASZLO: Questo dipende dalla definizione di “grande”. Non mi sto riferendo a un’arte ordinata dall’alto, come il reali-smo socialista o l’arte di propaganda, ma ad un senso di coinvolgimento degli artisti stessi. Questo fu esibito da arti-sti come, tra gli altri, Balzac, Dürenmatt, Ionesco e Picasso. Altri artisti si sentono coinvolti solo nella loro arte, e arriva-no fin lì. Ma oggi non è abbastanza. Come dicevamo, l’arte è

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un elemento della cultura e la cultura è un elemento della comunità umana, e la comunità umana ha bisogno di una nuova coscienza. Così anche relativamente all’evoluzione della coscienza odierna, la società ha bisogno dell’arte.

RUSSELL: Questo ci rimanda ad uno dei temi di fondo della nostra discussione. Il mutamento avviene come risultato dell’esperienza personale, che potrebbe essere un qualche stato di coscienza non ordinario, un’esperienza di vita per-sonale o qualche altro fattore. Questo è vero per l’artista come lo è per chiunque. Egli, come chiunque altro, è coin-volto in un processo interiore che lo conduce ad una più grande maturità e saggezza. E nella misura in cui egli pro-gredisce nel suo proprio viaggio interiore, egli condivide quel progresso con gli altri. Penso che dovremmo aver fidu-cia nel fatto che gli artisti siano sul loro cammino, e che stia-no facendo ciò che a loro sembra il meglio. La nostra sfida è sul nostro proprio lavoro interiore, per essere sicuri che stia-mo facendo il meglio che possiamo. Come dicevo prima, è facile sottolineare ciò che gli altri dovrebbero fare; ma dob-biamo ricordarci che anche noi siamo “gli altri” agli occhi di qualcun altro.

GROF: Mi piacerebbe menzionare a questo riguardo gli incontri della International Transpersonal Association come esempio di situazione che fornisce un contesto sia per l’informazione che per l’esperienza. Queste conferenze, tenute regolarmente in diverse parti del mondo, raccolgono persone provenienti da differenti discipline che condividono l’orientamento transpersonale o che perlomeno sono inte-ressate al campo transpersonale. Tra esse vi sono psichiatri, psicologi, scienziati, educatori, sacerdoti, insegnanti spiri-tuali, economisti e persino politici. Il programma, articolato in cinque giorni, si svolge con lezioni, discussioni, rituali,

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seminari esperienziali, danze ed eventi culturali. Questi incontri sono frequentati da molti artisti; oltre a far cono-scenza con una varietà di idee transpersonali dalle quali trarre ispirazione, si presenta loro anche una opportunità unica di affrontare potenti esperienze personali. Non c’è alcuno sforzo di convincere o guidare chicchessia; le confe-renze funzionano per attrazione, non per promozione.

LASZLO: Anche riguardo all’arte, la comunicazione non deve essere istruzione. Dopo tutto, un artista è un essere umano che sperimenta la vita e mette una sensibilità particolare in questa esperienza. Ciò dovrà riflettersi nell’arte che emerge dalla sua esperienza estetica.

La mia opinione è che se un artista ha questa sensibilità, allora egli o lei ha anche una responsabilità nell’usarla. Non è solo la sua salvezza o l’ego individuale che è in gioco, ma anche il benessere di altre persone e lo sviluppo della società.

GROF: L’arte non è tenuta a veicolare un messaggio diretto ed esplicito per parlare al nostro tempo. Mi viene da pensa-re qui al sorprendente successo del film Guerre stellari, che non trattava in modo specifico gli argomenti brucianti del nostro tempo. Era fantascienza con profondi temi archetipi-ci: il confronto del bene e del male, un gruppo di persone con ideali elevati che difendono la loro libertà dall’impero del male, valori spirituali messi a confronto con una società tecnocratica de-umanizzata, il potere della Forza... “C era una volta in una remota galassia” e tuttavia non è difficile trovare in tutto questo qualcosa di pertinente alla nostra situazione presente.

LASZLO: Ci sono molti esempi di questo approccio. Un altro è la serie di film lanciati da Il pianeta delle scimmie. La

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risposta del pubblico a questi film fu interessante, perché in essi ci si confronta con la famiglia umana come un intero dove chiunque è nella stessa situazione. D’improvviso la nostra specie è dominata da un’altra specie e ne diventa schiava a causa della sua stessa stupidità. Gli artisti riuscirono a portare allo scoperto questo particolare sentimento prettamente umano. Altri generi di fantascienza sono altrettanto affascinanti, ma non vedo come essi potrebbero essere direttamente pertinenti ai problemi su questa Terra. Ci sono problemi che sono molto più immediati delle avventure interplanetarie, e tuttavia queste non sono in alcun modo meno godibili o interessanti per questo.

RUSSELL: La trama di film come Guerre stellari può non esse-re rilevante rispetto agli argomenti che stiamo attualmente affrontando, ma il messaggio soggiacente è assai pertinente. Insieme a “la Forza sia con te” c’erano altri temi importanti che sono universali nella loro applicazione, come “la rabbia non aiuta” e “devi vincere le tue paure”. Nella maggior parte dei film di fantascienza di successo si trovano simili messaggi profondi, che sono tanto validi e applicabili a noi oggi quanto lo sono ai personaggi della sceneggiatura. Questa può essere una delle ragioni del successo di questi film; essi toccano una conoscenza più profonda nell’anima. La ragione per la quale queste idee si stanno insinuando nei film è significativa. Le persone che scrivono e producono film sono esseri umani sul loro proprio cammino personale di autoscoperta. Quando scoprono un poco di saggezza di vita, essi naturalmente vogliono comunicarla al mondo. Si chiedo-no come possono mettere meglio queste idee in una forma che porti il messaggio al più vasto uditorio possibile. Questo genere di comunicazione è un processo sottile. Se predichi troppo, la gente non ti ascolta. Il messaggio deve essere porto nel modo giusto, e ciò richiede grande abilità.

IL MONDO E L’INDIVIDUO 161

Ma torniamo alla nostra questione, Ervin, su come con-vincere gli artisti. Io penso che molti artisti siano già convinti.

LASZLO: La mia domanda era come possiamo fare in modo che gli artisti sintonizzino la loro sensibilità, estendano le loro antenne, e diventino consapevolmente e responsabil-mente pertinenti per i nostri tempi.

RUSSELL: Ma in quella domanda c’è l’assunzione che essi non lo stiano già facendo.

LASZLO: Non sono convinto che nessuno di loro lo stia real-mente facendo; di certo, ce ne sono alcuni che lo fanno. Ma sono convinto che gli artisti potrebbero fare di più di quello che fanno, e che molti più tra loro potrebbero farlo.

RUSSELL: Per me, questo suona come una assunzione che in qualche modo noi siamo migliori di loro, che noi ne sappia-mo di più.

LASZLO: Questo non ne consegue necessariamente. Come diceva Bernard Shaw, per fare una frittata non hai bisogno di sapere come deporre un uovo. Possiamo vedere il valore della produzione artistica senza essere capaci di realizzarla noi stes-si. Possiamo vedere il risultato dell’arte e dire che, perbacco, se una misura maggiore di quella creatività fosse focalizzata sui problemi che stiamo affrontando, quanto di più essa aiutereb-be la gente a vedere questi problemi e queste sfide, e ad essere capace di rispondere ad esse. Qui si può migliorare.

GROF: Noi stiamo parlando di cosa diversi gruppi - scien-ziati, economisti, politici, artisti - potrebbero o dovrebbero fare e di come le loro attività potrebbero essere catalizzate. Io credo che molto può essere ottenuto semplicemente

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facilitando lo scambio di informazione e incoraggiando un dialogo aperto in questi gruppi e tra loro. Un’altra cosa che è fortemente necessaria è un modo di pensare sintetico, sistemico, che possa tramutare il mosaico di nuove scoperte e visioni sconnesse in un intero comprensibile.

LASZLO: Forse esiste un qualcosa come l’autoapprendimen-to: non ricevere un insegnamento, ma apprendere da se stes-si. Non potrebbero gli artisti mettersi insieme e discutere del ruolo dell’arte nella cultura e nella civiltà: il loro ruolo nella fase di declino della civiltà occidentale, come dicevamo, e nella nascita di qualcos’altro al suo posto? Questa è una sfida incredibile, la più grande sfida che gli artisti o chiun-que altro abbia mai affrontato.

GROF: Credo profondamente che molto possa essere ottenuto attraverso il genere di dialogo che raccomandava David Bohm. Esso potrebbe includere vari gruppi di artisti intenti ad esplorare le loro prospettive della situazione. Gli artisti potrebbero diventare più consci, più consapevoli dei proble-mi che stiamo affrontando, e trovare quindi il proprio cammi-no di relazione ad essi e di espressione di essi nella loro arte.

RUSSELL: Penso che questo sia un argomento chiave. Come possiamo ispirarci l’un l’altro? Come possiamo diventare catalizzatori l’uno per l’altro?

GROF: Nella mia esperienza, un simile potente catalizzatore è il lavoro responsabile con gli stati non ordinari di coscien-za. Quando svolgevo ricerca psichedelica in Cecoslovacchia, non avevamo restrizioni rigide sull’uso professionale di queste sostanze. Molti artisti di Praga avevano ascoltato o letto del nostro lavoro e ci contattavano, chiedendo sessioni psichedeliche. Noi li accettavamo, perché l’effetto di

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sostanze psicotrope sulla espressione artistica è una questione molto interessante.

Dopo essere emigrato negli USA, non tornai al mio paese natale per vent’anni, perché la mia residenza qui era consi-derata illegale dalle autorità cecoslovacche. Quando visitai Praga dopo tutto questo tempo, ebbi l’opportunità di vede-re la mostra di una coppia di artisti che avevano avuto ses-sioni psichedeliche nel nostro programma. I dipinti erano disposti in ordine cronologico e fu immediatamente chiaro quando essi avevano avuto l’esperienza. C’era un salto quantico nella loro arte. Noi non provammo a cambiare la loro arte; essi erano affascinati da ciò che stavamo facendo e spontaneamente espressero il loro interesse. Usarono l’espe-rienza a loro proprio modo.

LASZLO: Noi avemmo una esperienza simile al Club di Budapest. Uno dei nostri Membri Creativi è una signora inglese, Margaret Smithwhite. Ella ha capelli bianchi nivei e begli occhi blu, e negli anni passati ha lavorato con i bambi-ni, instradandoli alla meditazione. Dapprima mostra loro come entrare in uno stato meditativo, e poi chiede loro di disegnare un mondo di pace dove i bambini e tutta la gente stiano insieme, il genere di mondo in cui amerebbero vivere. Ella lavora con loro per circa una settimana, inducendoli a meditare e disegnare più volte. Alla fine della settimana si può vedere un’enorme differenza nei disegni. Noi la invi-tammo a lavorare per una settimana in una delle scuole di Budapest e in quella occasione mostrò i disegni dei bambini. I genitori vennero e rimasero stupiti. Abbiamo ora diverse centinaia di questi disegni, fatti da bambini in molte parti del mondo e appartenenti a culture diverse. Margaret operò con bambini aborigeni in Australia, indiani in America, i sopravvissuti del disastro di Chernobyl, e di altre parti del mondo vicine e lontane, per meditare e disegnare. Sebbene

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ogni bambino e ogni cultura avesse la sua propria visione, tutti presentavano certi elementi archetipici in comune. E attraverso l’esperienza della meditazione ci fu un formida-bile cambiamento in ciò che essi disegnavano.

Un altro membro del Club di Budapest, Nato Frascà, è un pittore che insegna all’Accademia di Belle Arti a Roma. Nel corso degli ultimi vent’anni ha assegnato questo compito ai suoi studenti: disegnare ghirigori in uno stato leggermente meditativo. Immaginate di essere nel grembo materno, chie-deva ai suoi studenti, e permettete alla vostra mano di scorre-re sul foglio di sua propria volontà. Fino ad ora egli ha colle-zionato migliaia e migliaia di questi ghirigori e li ha analizza-ti. Ha sviluppato un sistema in base al quale può ricavare un significato dalle linee. Esse gli rivelano immediatamente quando è avvenuto un evento traumatico nel periodo della gestazione. (Aggiungerei che gli eventi traumatici per il feto sono quei periodi in cui esso è in pericolo di essere respinto dalla madre.) Quindi la radice delle paure rimane nel subcon-scio dell’individuo nel corso di tutta la sua vita, come anche tu, Stan, hai trovato. Nell’esperienza di Nato ciò è espresso nei ghirigori da robuste linee verticali. Queste cadono in spazi del disegno che corrispondono a dati periodi della gestazione. Nato analizzava i ghirigori e poi chiedeva alle madri degli studenti, per verificare la sua interpretazione: “Lei speri-mentò veramente qualcosa di insolito e traumatico in questi periodi della sua gravidanza?”. Risulta che nel novanta per cento dei casi l’interpretazione dei segni è corretta.

Valori ed etica rivisitati

LASZLO: Ma torniamo alla questione dei valori. Questa que-stione, alla fin fine, è in più stretto rapporto alle nostre vite e al nostro futuro.

IL MONDO E L’INDIVIDUO 165

GROF: Intendi i valori che emergono quando la gente ha esperienze non ordinarie, o i valori in generale?

LASZLO: Intendo entrambi. Ma prima consideriamo la natura effettiva dei valori. C’è stata una tradizione, almeno presso le scuole filosofiche occidentali, di vedere i valori come fenome-ni puramente soggettivi. Ma cosa ne consegue? Qual è lo sta-tus dei valori? Essi appaiono come inscrutabili fattori della personalità, pure fantasie soggettive. Tuttavia nei valori c’è più di questo. Essi entrano nel mondo in un modo oggettivo: governano il comportamento della gente. Costituiscono anche un fattore nella interazione tra le persone. I valori sono feno-meni sia sociali che personali, influenzano il modo in cui le comunità evolvono e la maniera con la quale si mettono in relazione con le altre comunità circostanti. Se i valori sono parte del mondo oggettivo è necessario prenderli seriamente, tanto seriamente quanto la salute o la malattia o qualsiasi altro fattore che influisca sulla nostra vita e sul nostro benessere.

GROF: Questo è certamente vero. Credo che esista un nucleo di valori che sono transpersonali, trascendenti quelli delle culture esistenti. Esso costituisce un sistema etico che emer-ge spontaneamente da profonde esperienze mistiche. Include valori sui quali persone di differenti culture che hanno avuto quelle esperienze sono in accordo. Ho visto questo fenomeno ripetutamente nel mio lavoro, e lo psicolo-go umanista Abraham Maslow lo descrisse nelle sue osser-vazioni di persone che avevano avuto esperienze mistiche spontanee, o “esperienze di vetta” come le chiamava lui. Egli chiamò questi valori “metavalori” e gli impulsi ad agire conformemente ad essi “metamotivazioni”.

LASZLO: Quando dici valori transpersonali, intendi valori che sono differenti dai valori universali o transculturali?

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GROF: Ottima domanda! È concepibile che certi valori pos-sano essere transpersonali e tuttavia specifici della cultura. Forse “universali” o “transculturali” sarebbero termini migliori per ciò di cui sto parlando. Essi riguardano, ad esempio, temi come il rispetto per la vita come qualcosa di sacro, il senso che uccidere è sbagliato, il senso di compas-sione per gli altri esseri senzienti, e così via.

LASZLO: Quale potrebbe essere un esempio di valore univer-sale o transpersonale che affiora nella mente di un gran numero di persone?

RUSSELL: Penso che uno di quelli che Stan ha appena menzio-nato sia un buon esempio: il sentimento che uccidere è sba-gliato. Noi associamo immediatamente questo valore ad un più elevato stato di coscienza. Non ci si aspetterebbe che un santo invochi l’uccisione di persone, in effetti si troverebbe sor-prendente se egli sostenesse l’uccisione di animali a fini ali-mentari. Coloro che sentono giusto uccidere probabilmente ragionano da uno stato non illuminato nel quale è la modalità egoica di coscienza a comandare, quella modalità che afferma: “il mio bisogno innanzitutto”. Qualsiasi giustificazione per togliere la vita ad altri esseri è quasi sempre basata su qualche sistema autocentrato di valori. Quando le persone imparano a sbarazzarsi del loro modo egocentrico di essere, esse natu-ralmente acquisiscono un maggior rispetto per la vita. Per loro non uccidere non richiede alcuna giustificazione razionale; l’uccidere è semplicemente percepito come sbagliato.

LASZLO: Secondo la filosofia corrente, la responsabilità morale è limitata alle relazioni con altri esseri umani. Noi siamo responsabili delle nostre azioni verso gli altri perché gli esseri umani possiedono una dimensione “interiore”, sof-frono se sono maltrattati. Sulla base del principio “agisci

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verso gli altri come vorresti che gli altri agissero verso di te”, i filosofi ci dicono che dobbiamo assumere responsabilità verso i nostri simili. Ma questa limitazione della responsabi-lità morale agli esseri umani è arbitraria, è troppo restrittiva. Ci sono buone ragioni per credere che una dimensione inte-riore - una sorta di senzienza o di soggettività - sia condivisa da ogni forma di vita. E se ci crediamo, allora la respon-sabilità morale deve essere estesa a tutte le forme di vita pre-senti nella biosfera.

RUSSELL: Torniamo indietro per un momento e consideriamo i termini che stiamo usando. Per me, c’è una differenza tra valori e sistemi morali. Tutti abbiamo dei valori; sono ciò che consideriamo importante nelle nostre vite. Essi possono variare considerevolmente da una persona all’altra ma, si diceva, possiamo attenderci che i valori di una persona evol-vano con l’evoluzione della sua coscienza. I sistemi morali, d’altra parte, credo siano codici formulati da una società su come una persona dovrebbe comportarsi. Essi constano di gruppi di regole che tengono insieme una comunità e per-mettono ai suoi membri di compiere lo stesso percorso con gli altri.

Molti di questi sistemi morali sono tentativi di inibire la nostra egocentricità, ma non provengono da uno stato supe-riore di coscienza. Molte società possiedono norme morali contro l’omicidio, il furto e lo stupro, non necessariamente perché questi siano valori profondi ai quali tutti si attengo-no, ma perché sono principi che la società vorrebbe che i suoi membri sostenessero. Abbiamo bisogno di questi siste-mi morali perché una comunità di persone egocentriche stia insieme e funzioni.

Quando la coscienza delle persone cresce, c’è meno biso-gno di questi sistemi morali, meno necessità per la società di imporre il suo proprio insieme di valori. Quando le persone

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passano attraverso il genere di esperienze delle quali Stan ha parlato, esse si trovano meno legate alla vecchia modalità egocentrica di coscienza. Esse vengono più in contatto con i loro propri valori profondi e li vivono più spontaneamente. I loro valori vengono dall’interno piuttosto che da un codice sociale.

LASZLO: C’è ancora bisogno di un senso di moralità. Dobbiamo ancora distinguere tra azioni morali e azioni immorali.

RUSSELL: Non sono sicuro che questa distinzione possa esse-re operata universalmente. I sistemi morali sono molto rela-tivi e variano da una società all’altra. Ciò che è immorale per un gruppo di persone può risultare perfettamente morale ad un altro. Coloro che sono più in contatto con se stessi e con i valori universali più profondi agiscono naturalmente in un modo che causa meno danno agli altri. Ma essi potrebbero non stare agendo moralmente nei termini di un qualche spe-cifico insieme di codici. In effetti, potrebbe essere che essi si comportino in modo immorale per i codici di una particola-re società.

LASZLO: Quindi tu dici che la moralità è relativa a ciò che è accettato in una data cultura.

RUSSELL: Sì.

GROF: Fin quando rimaniamo nella sfera di culture specifiche troviamo che i valori etici sono molto idiosincratici, inconsi-stenti e capricciosi. Quel che è sconvolgente per un gruppo umano può essere accettabile e perfettamente normale per un altro. Ciò che una società considera essere un imperativo assoluto e indiscutibile, altre società non lo degnano di alcuna

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attenzione. E lo stesso discorso si applica a vari segmenti della stessa cultura - sociale, religioso, politico, ecc.

Prendiamo ad esempio la sessualità. Una volta che ci libe-riamo dalla camicia di forza del nostro proprio condiziona-mento culturale e vediamo le cose da una prospettiva uni-versale, transculturale, comprendiamo quanto relativi e arbitrari siano i giudizi di valore in quest’area. C’era una tribù nella Nuova Caledonia che usava uccidere i fratelli gemelli se uno era maschio e l’altro femmina, perché essi ave-vano violato il tabù dell’incesto condividendo l’utero. Per contro, nei circoli aristocratici dell’antico Egitto e Perù, il matrimonio tra fratello e sorella era un sacro dovere. Certe culture stabiliscono la pena di morte per l’adulterio, ma una usanza eschimese prescrive al padrone di casa di offrire sua moglie ad un ospite di sesso maschile come omaggio della casa. Alcune culture considerano la nudità una cosa del tutto naturale per entrambi i sessi e non hanno prescrizioni rispet-to ad essa; in altre le donne devono coprire il loro intero corpo, comprese parti del viso. La poligamia, così come la poliandria, è vista come naturale e logica da certe culture. E mentre in alcune società l’omosessualità è considerata blasfe-ma, un crimine punibile con la morte, una forma di deprava-zione morale o di malattia, in altre essa è normale e accetta-bile, o perfino considerata superiore alla eterosessualità.

Ma esiste anche una moralità post-convenzionale che trascende le norme e le proibizioni imposteci dalla nostra cultura. È qualcosa di interamente differente. È qualcosa che si sente in profondità, quasi a livello cellulare, qualcosa che è basata su una irresistibile esperienza personale di natura transpersonale.

LASZLO: Stan, mi sembra che le notevoli esperienze dei tuoi pazienti nelle quali essi si identificano perfino con cose non viventi, con il pianeta come un tutto o con l’intero cosmo, si

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correlano ad un sistema di valori diverso, non ordinario. Classicamente, i sistemi di valori sono stati decisamente egoistici. Siamo stati soliti dire: “non voglio essere offeso, perciò non offendo gli altri”. Questa è in qualche misura anche la base della moralità cristiana e di ogni moralità occi-dentale. Ma il sistema di valori buddista va oltre ciò, giacché tutta la creazione vi è inclusa. Ora nelle esperienze che tu descrivi, i tuoi soggetti vanno oltre l’autointeresse egoistico e si rapportano con il mondo intero per ciò che esso è. Forse è per questo che le persone che attraversano queste espe-rienze sentono che il mondo è una estensione di se stessi: essi sono parte del mondo, e il mondo è parte di loro. Quindi essi si spostano verso valori trans-sociali, anche trans-umani, che costituiscono modalità che stanno al di là del genere di valori comunemente associati alla moralità.

GROF: SÌ, hai completamente ragione! Questo diventa evi-dente in una pratica spirituale sistematica che attivi espe-rienze personali profonde. In quell’ambito si può spesso vedere un costante sviluppo etico e un’evoluzione che avvengono per stadi. Inizialmente non si fanno certe cose per una paura primitiva di essere colto sul fatto e punito. Ad un altro livello, le proprie azioni sono guidate da un sistema di comandamenti o precetti che sono stati introiettati e assor-biti in ciò che Freud chiamava il superego. Il passo successi-vo è la scoperta della legge del karma - si comprende che certe specie di azioni comportano certe conseguenze. La più alta forma di moralità riflette un riconoscimento esperien-ziale dell’unità soggiacente a tutta la creazione, un senso di identità con gli altri esseri senzienti e una consapevolezza della propria divinità. In questo genere di evoluzione psicospirituale, i mutamenti della nostra moralità riflettono i mutamenti nella nostra comprensione di noi stessi, del mondo e del nostro posto e ruolo nel mondo.

IL MONDO E L’INDIVIDUO 171

LASZLO: Nella tua esperienza, Stan, l’orizzonte dei valori delle persone si allarga nel corso di queste esperienze, ed esse crescono ed evolvono?

GROF: SÌ. Certe forme di empatia coinvolgono ancora un ele-mento di separazione, di distinzione tra me come osservato-re e l’altro che soffre. C’è una differenza tra la pietà comune e la compassione genuina fondata sul senso di essere uno con gli altri ed essenzialmente identico a loro.

LASZLO: Quest’ultima è probabilmente più profonda della comprensione razionale. Essa appare essere un senso intuiti-vo di essere in relazione.

RUSSELL: Sono d’accordo. Prendiamo come esempio il non causare sofferenza agli altri. Questa idea di inoffensività è qualcosa che si trova in molte tradizioni spirituali, ed è qual-cosa verso la quale molte persone gravitano mano a mano che la loro coscienza evolve. Sai di non voler soffrire, e non vuoi perciò infliggere sofferenza agli altri.

Questo è parte di ciò che è la compassione; sentire le altre persone come sentiamo noi stessi, e prendersi cura di loro come facciamo con noi stessi. È una cosa spontanea che emerge quando si libera la propria mente dalle varie cre-denze e attitudini separative e si inizia a sentire una più profonda empatia con gli altri.

GROF: Negli stati non ordinari possiamo sperimentare identificazioni consce con qualsiasi cosa che è parte del-l’esistenza - persone, animali, piante, esseri archetipici. Per qualsiasi cosa che possiamo percepire normalmente come oggetto, sembra esserci una corrispondente espe-rienza soggettiva. Posso sentire, ad esempio, che sono diventato una sequoia. L’immagine del mio corpo prende

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la forma di una sequoia, con le radici, il tronco e i rami. Posso sentire la linfa che circola nel cambio9, lo scambio delle sostanze minerali e dell’acqua nel sistema radicale, perfino la fotosintesi negli aghi. Qui non sto soltanto dando un esempio generale o descrivendo ciò che è avve-nuto a qualcuno con cui ho lavorato; ho effettivamente avuto questa esperienza io stesso. È stato assolutamente straordinario!

LASZLO: Dove metti il confine, quando si tratta di sentire effettivamente la sofferenza o la gioia, e la possibilità ineren-te di sentire sofferenza, gioia, e altre emozioni o sentimenti? La possibilità di vivere emozioni o sentimenti è limitata agli esseri umani o sussiste anche in altre creature, animali e piante? O si estende perfino all’intera biosfera ...?

RUSSELL: Delle piante non saprei; esse non sembrano posse-dere un sistema nervoso come gli animali. Non so se la capa-cità di soffrire dipenda dal fatto di avere un sistema nervo-so, e non so se questo implica che esse non possano sentire dolore. Ma di certo parlerei di capacità di sofferenza al di sopra di una certa linea, che collocherei sotto i vertebrati, forse a livello degli insetti. Non sarebbe una buona cosa strappare le zampe ad un ragno, perché immagino che il ragno senta dolore.

LASZLO: Mi chiedo se le connessioni tra le foglie e i rami di un albero e il suo tronco non siano strutturate in modo tale da registrare una qualche sorta di dolore. Lo strappare foglie o tirar via rami produce un qualche tipo di sensazione nella pianta?

9 Tessuto meristematico responsabile, tra 1’altro, dell’accrescimento diametrale della pianta (N.d.T.).

IL MONDO E L’INDIVIDUO 173

RUSSELL: Veramente non saprei. Posso basarmi solamente sulla mia propria esperienza. Mi sembra sbagliato strappare le zampe ad un ragno, ma posso staccare una foglia da un albero senza provare una grande angoscia. Così suppongo di aver collocato una linea mentale da qualche parte tra un ragno e un albero.

LASZLO: Bene, io non sono sicuro di poterlo fare. Sono incli-ne a pensare che quando un atomo di idrogeno è bombarda-to dalla radiazione, anch’esso “sente” qualcosa di qualitati-vo che è analogo alla più primordiale forma di dolore.

GROF: Sembra esserci un’infinita varietà di disagi associati ai processi su tutti i piani di esistenza. Parlavamo prima di Whitehead. Una ragione per la quale penso che non trattò in modo realmente adeguato l’intera gamma di ciò che si spe-rimenta negli stati transpersonali è che egli vedeva la coscienza come l’ultimo stadio del processo della concre-scenza.

RUSSELL: Sì, ma Whitehead non credeva che l’interiorità, non necessariamente la coscienza come noi la conosciamo, ma un mondo inferiore di qualche tipo, soggiacesse all’intero albero evolutivo fino agli elementi fondamentali della mate-ria?

LASZLO: Nella sua visione vi sono “società di entità concre-te” che possiedono la loro propria interiorità, e queste inclu-dono anche le molecole.

GROF: Egli scrisse anche che ogni entità concreta contiene l’intera storia dell’universo fino a quel momento. Normalmente, noi non siamo consciamente consapevoli di tutto ciò che costituisce il momento presente, di tutto ciò che

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fluisce in esso. Potremmo usare il suo modello, ma avremmo bisogno di assumere che negli stati non ordinari certi aspetti specifici di quella storia improvvisamente emergano nella consapevolezza e divengano pienamente consci. Essi potrebbero riguardare persone, animali, piante, oggetti inor-ganici e anche archetipi o, nella terminologia di Whitehead, “oggetti eterni”.

LASZLO: Dato un così ampio spettro di identificazioni, il pro-prio sistema di valori è costretto a divenire meno egocentri-co, meno limitato. Questa sorta di stato alterato di identifi-cazione potrebbe essere un potente fattore di socializzazione nel mondo.

GROF : In effetti, potrebbe.

Secondo giorno - sera

LE QUESTIONI ULTIME: ALCUNE RIFLESSIONI CONCLUSIVE

Karma

LASZLO: Abbiamo toccato diverse questioni basilari, forse perfino questioni ultime. Forse dovremmo tornare su alcune di esse e vedere quale insegnamento possiamo trame. Consideriamo, per esempio, i notevoli poteri e facoltà che sembrano emergere quando le persone entrano in stati alte-rati di coscienza.

GROF: Quando le persone si trovano impegnate nell’autoe-splorazione con l’impiego di stati non ordinari di coscienza, non è necessario insegnare loro ecologia o etica. Quando esse hanno esperienze transpersonali, il loro sistema di valori muta automaticamente e sviluppano consapevolezza eco-logica, tolleranza e compassione. Esperienze di morte e rina-scita psicospirituale presentano effetti simili; il proprio senso di identità si espande e arriva ad includere altri esseri. L’esperienza della morte dell’ego conduce ad un senso di identità fortemente ampliata.

Questo processo ha conseguenze pratiche molto importanti. Noi avevamo un programma di terapia psi-chedelica per malati di cancro terminali che affrontavano una morte imminente. Questo genere di esperienze li aiutò

176 LA RIVOLUZIONE DELLA COSCIENZA

a vincere la paura della morte e cambiò profondamente il loro atteggiamento, la qualità dei giorni rimasti e l’espe-rienza del morire.

RUSSELL: Ho parlato prima della mia amica morta di recen-te. Le accadde qualcosa di interessante negli ultimi giorni: fece la pace con la propria morte. Per un anno intero aveva combattuto la morte. Ricordo che diceva: “Non sono ancora pronta ad andare, non voglio ancora andarmene, non sono pronta”. Una settimana o due prima che morisse, diceva: “Pensi che dovrei andare? O dovrei aspettare un po’ di più?”; era molto rilassata, tutta la paura sembrava essersene andata. Era sorprendente.

Talvolta penso che tutti noi dovremmo confrontarci con questo nelle nostre vite. Non con la morte reale, beninteso, ma con il lasciare andare la paura di morire. Idealmente, questo dovrebbe essere parte della nostra educazione; dovremmo essere aiutati ad andare oltre questa paura in modo da poter vivere il resto della nostra vita adulta senza questo immane peso invisibile attaccato al collo. Potrebbe essere un mondo molto, molto diverso.

GROF: Mi pare di capire che gli antichi misteri della morte e della rinascita, e anche i riti del passaggio delle culture aborigene, consentissero alle persone di attraversare una sorta di morte precedente al morire. Il monaco agostiniano tedesco del diciassettesimo secolo Abramo di Santa Clara lo riassunse molto succintamente così: “L’uomo che muore prima che egli muoia non muore quando muore”. Una volta che si perviene a questa esperienza, non si vede la morte come la fine di ciò che si è, ma come un fantastico viaggio, una transizione ad una differente modalità e livello dell’esi-stenza. Che questa sia una profonda verità cosmica o una pia illusione, come sostengono alcuni critici materialistici

LE QUESTIONI ULTIME: ALCUNE RIFLESSIONI CONCLUSIVE 177

della psicologia transpersonale, essa può certamente trasfor-mare la vita delle persone.

LASZLO: Alcune intuizioni circa la morte e la rinascita sono antiche di migliaia di anni e sono tuttora ineguagliate nella loro profondità. Ciò che è così bello nel Libro tibetano dei morti, per esempio, è la guida che esso fornisce allo spirito o anima dopo la morte. Ciò che è molto difficile da accettare in questa guida, d’altronde, è che la rinascita non è una libera-zione ma una sorta di legame. Fino all’ultimo momento lo spirito del morto combatte per la liberazione nel nirvana, contro il rinascere. L’ultimo stadio della lotta è come chiu-dere l’entrata all’utero della madre dalla quale altrimenti si rinascerebbe. Invece, nel nostro sistema di valori, la cosa migliore sarebbe rinascere, e in circostanze ottimali che garantiscano salute e ricchezza.

GROF: Su questo ci sono opinioni differenti nei vari sistemi spirituali e nello stesso buddismo. Certamente i buddisti Hinayana originali non trovavano molto valore nell’esisten-za incarnata. Il regno materiale era per loro un pantano di morte e rinascita, il dominio della sofferenza. La soluzione che essi offrivano era di estinguere la “sete di carne e san-gue”, districarsi dall’esistenza incarnata e raggiungere il nir-vana. Il termine “nirvana” ha la stessa radice di vento (vatah) e significa letteralmente evanescenza. Ma il più tardo buddismo Mahayana afferma che possiamo ottenere il nir-vana nel mondo eliminando i tre veleni della nostra vita: ignoranza, desiderio e aggressione.

Alcuni sistemi spirituali vedono come obiettivo l’otteni-mento dell’unione con Dio, con l’indifferenziato divino. Ho già discusso questo argomento nel mio ultimo libro, Il gioco cosmico, che descrive le visioni filosofiche e metafisiche pro-venienti da stati non ordinari. C’è un grande problema nel

178 LA RIVOLUZIONE DELLA COSCIENZA

definire la meta spirituale in questo modo. Le persone che effettivamente pervengono all’esperienza dell’unione con il divino comprendono che questa non è solamente la meta e la destinazione finale del viaggio spirituale, ma anche la sor-gente della creazione. Se questo stato fosse stato così auto-soddisfacente nella sua forma indifferenziata primeva, la creazione non sarebbe avvenuta. La creazione di mondi fenomenici di separazione è quindi un aspetto necessario di Dio, e il mondo nel quale viviamo ha qualcosa di importan-te da offrire.

Non sembra esserci una soluzione o una risposta soddi-sfacente situata all’una o all’altra estremità. Il divino indifferenziato ha bisogno di creare, e l’unità della coscienza si suddivide nel mondo della pluralità, desiderosa di ritornare all’unità originale. Così sorge la domanda: è possibile trovare un adattamento intelligente a questa tensione dinamica nel sistema cosmico, e in tal caso qual è? Chiaramente, la soluzione non è di rifiutare l’esistenza incarnata come inferiore e senza valore e provare a sfuggirla. Qualsiasi soluzione soddisfacente dovrà abbracciare sia la dimensione terrena che quella trascen-dentale, sia il mondo delle forme che quello aformale.

L’universo materiale come noi lo conosciamo offre innu-merevoli possibilità per avventure straordinarie nella coscienza. Solamente nella forma fisica e sul piano materia-le possiamo innamorarci, gustare l’estasi sessuale, avere bambini, ascoltare la musica di Beethoven o ammirare le pit-ture di Rembrandt. Solamente sulla Terra possiamo ascolta-re il canto di un usignolo o assaporare bouillabaissel0 e ala-ska al forno. Però, quando la nostra identificazione con il corpo-ego è assoluta e il nostro credo nel mondo materiale

10 Vocabolo francese; si tratta di una particolare zuppa di pesce alla marsigliese (N.d.T.).

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quale unica realtà lo è altrettanto, è impossibile gioire piena-mente della nostra partecipazione alla creazione. Siamo per-seguitati dalla consapevolezza della nostra insignificanza personale, della impermanenza di tutte le cose, e della natu-ra inevitabile della morte.

Per trovare una soluzione a questo dilemma, dobbiamo volgerci all’interno. Quando abbiamo sufficiente conoscenza esperienziale degli aspetti transpersonali dell’esistenza, inclusa la nostra vera identità e status cosmico, la vita quoti-diana diventa molto più facile e più gratificante. Continuando la nostra ricerca interiore, presto o tardi sco-priamo l’essenziale vacuità che sta dietro a tutte le forme. Come suggeriscono gli insegnamenti buddisti, la conoscen-za della natura virtuale del mondo fenomenico e del suo essere vuoto può aiutarci ad ottenere libertà dalla sofferen-za. Questo include il riconoscimento del fatto che la creden-za in sé separati nella nostra vita, compreso il nostro stesso sé, è in definitiva un’illusione.

LASZLO: L’idea del karma è affascinante e ricca di significa-to: l’idea che esista un processo di crescita e sviluppo attra-verso la vita, e poi attraverso e oltre la morte. Puoi migliora-re il tuo stato in ciascuna vita fino a che non raggiungi una dimensione più elevata. È una visione molto ricca di signifi-cato della vita e della morte.

GROF: Molti anni fa fui invitato ad una conferenza a Washington indetta dal senatore americano Claiborne Pell. Il tema era la possibilità di sopravvivenza della coscienza dopo la morte. Veniva dato risalto a persone con notevoli credenziali accademiche e ad eminenti insegnanti spirituali; ci dedicammo all’argomento con la massima serietà e rigore accademico. L’intervento di Rupert Sheldrake riguardava la possibilità della nostra memoria di sopravvivere alla morte;

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Charles Tart esaminò il materiale pertinente proveniente dalla ricerca parapsicologica, e io discussi le osservazioni risultanti dalla ricerca sulla coscienza che supportavano la possibilità di una sopravvivenza. Il lama tibetano Sogyal Rinpoche e l’arcivescovo John Sponge portarono le loro rispettive prospettive religiose alla discussione.

L’impressione che scaturì da tutte queste presentazioni era che esiste abbastanza evidenza per prendere il problema in seria considerazione e sottoporlo a ricerca sistematica. Ad esempio, gli studi meticolosi di Ian Stevenson sui bambini che ricordano incarnazioni precedenti sono impressionanti. Anche i resoconti aneddotici dei tibetani sulle prove ai quali essi sottopongono i bambini sospettati di essere lama rein-carnati sono affascinanti. Così pure le osservazioni su veri-diche esperienze extracorporee in situazioni di premorte.

LASZLO: Ebbi un interessante scambio di idee con Ian Stevenson sulla interpretazione dei fenomeni di reincarna-zione. Io non credo che sia necessario interpretare questi fenomeni - il ricordo di ciò che appaiono essere memorie da altre vite - come evidenza della reincarnazione di un’anima. Si possono anche interpretare i ricordi che affiorano alla superficie da apparenti vite precedenti come accesso para-normale a informazioni transpersonali, cioè ad informazioni che ci pervengono dalle menti e dalle esperienze di altre persone. Tali ricordi hanno soltanto l’apparenza di nostre proprie, strane memorie.

GROF: In ogni caso, i problemi della sopravvivenza della coscienza e della reincarnazione non sono solo argomenti di interesse teorico, ma hanno serie conseguenze pratiche. Il modo in cui affrontiamo la questione della nostra sopravvi-venza ha un grosso impatto sul nostro comportamento. Nella crisi globale che stiamo affrontando, questo potrebbe

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comportare grandi differenze. La visione basata sul credo in una sola vita ci suggerisce che, se possiamo evitare la giusti-zia secolare e la ritorsione per i nostri peccati ed errori, non c’è altra responsabilità che dobbiamo assumerci per averli commessi.

LASZLO: Le persone combattono per tutti quei privilegi e piaceri che possono ottenere nella loro vita, che suppongono unica. Come diceva una nota pubblicità per una birra, “si vive una volta sola”. Ciò rinforza il consumismo e l’edoni-smo. Si vuole ottenere il meglio che si può in questa vita, perché essa è tutto ciò che c’è da vivere.

GROF: Le nostre convinzioni sulla reincarnazione presentano anche serie implicazioni morali. Come diceva Platone: cre-dere che non ci sia nulla oltre la morte sarebbe “un dono al malvagio”.

RUSSELL: D’altra parte, società che credono in qualche forma di sopravvivenza possono usarla come forma di controllo o di manipolazione. Se non ti comporti bene adesso e non vivi una vita che noi riteniamo essere retta seguendo il nostro particolare insieme di codici, allora tu sarai punito dopo.

GROF: Ma il concetto di karma non implica ritorsione o puni-zione. È una legge cosmica che descrive le conseguenze automatiche delle nostre azioni. Possiamo conoscere questa legge, capirla, e usare questa conoscenza come principio guida per il nostro comportamento. È come sapere che il fuoco per sua natura ci brucerà se gli andiamo troppo vicini, o che gli oggetti cadranno se smettiamo di sorreggerli. Quando agiamo in modo ignorante e trattiamo gli altri come fondamentalmente diversi e separati da noi, affondiamo più profondamente nel mondo della materia, dell’illusione e

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della sofferenza. Nella misura in cui li trattiamo come se fos-sero noi stessi, ci muoviamo verso il mondo dell’unità e dello spirito.

RUSSELL: L’idea di karma come la concepiamo oggi potrebbe non essere la stessa che era nel suo significato originale. Probabilmente essa venne all’inizio da una visione molto semplice che, come molte altre idee spirituali, fu modificata e abbellita con il passare degli anni. La parola sanscrita karma significa letteralmente “azione”, e potrebbe essere stata inizialmente riferita alla semplice ma profondamente importante comprensione del fatto che siamo vincolati all’a-zione e ai suoi effetti. Non agiamo nello spazio vuoto; le nostre azioni inevitabilmente creano increspature nel nostro ambiente, e noi partecipiamo agli effetti di queste increspa-ture come qualsiasi altro. Come afferma il cristianesimo, “ciò che semini raccoglierai”. Questo non implica alcun sistema di contabilità cosmica per mezzo della quale ottieni di nuovo esattamente ciò che metti; è solamente un principio generale che non si può evitare.

LASZLO: Il ciclo delle reincarnazioni era parte della visione originaria. Così, qualunque cosa tu faccia ora in questa vita, essa è solo parte della tua esistenza, perché la vita procede.

GROF: Nel mio lavoro con stati non ordinari di coscienza ho osservato spesso una tipica progressione in persone appar-tenenti alla nostra cultura nei riguardi del problema della reincarnazione. Un occidentale medio arriva con una visio-ne a singola vita. Egli considera l’idea della reincarnazione un non senso. Sembra assolutamente ovvio che l’arco della nostra vita è limitato al periodo che va dal concepimento alla morte biologica. Noi siamo i nostri corpi e la coscienza è un prodotto dei nostri cervelli. Quando il nostro corpo fisico

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perisce, quella è la fine assoluta e irrevocabile di chi noi siamo, inclusa la nostra coscienza.

Comunque, le esperienze di memoria di vite passate sono così irresistibili e convincenti che esse di solito mutano in modo drammatico questo atteggiamento. Noi sperimen-tiamo qualcosa da un altro secolo e/o da un altro paese e abbiamo un senso di autentico riemergere di questi eventi (déjà vu, déjà vecu). In questo processo noi possiamo non solamente comprendere alcuni dei nostri problemi emozio-nali e psicosomatici come trasportati dalla situazione passa-ta, ma possiamo anche liberarci da essi quando l’esperienza è completata. Queste esperienze possono fornire accesso a straordinarie nuove informazioni su altri periodi storici e culture.

Tenendo conto di questi fatti, l’individuo che attraversa esperienze transpersonali ha buone ragioni per prendere la reincarnazione seriamente, e anche per essere coinvolto in essa come qualcosa di più importante degli eventi di questa vita. È noto che eventi traumatici nell’infanzia e nell’adole-scenza possono più tardi distorcere e contaminare profon-damente la nostra vita; questo è ciò di cui tratta buona parte della psicoterapia convenzionale. Improvvisamente, però, viene individuata una struttura traumatica che sembra poter contaminare non solamente una singola vita, ma una intera catena di incarnazioni successive, una dopo l’altra. Una volta che le persone comprendono questo, possono diventa-re “cacciatori di karma”.

Cosa accade dunque? Persone che prima si vedevano limitate spazialmente e temporalmente quali corpi-ego con una singola vita, trascendono attraverso la loro esperienza le limitazioni del tempo lineare. Queste esperienze li convin-cono che hanno già vissuto prima e che molto verosimil-mente si reincarneranno ancora in futuro. Comunque, per mantenere questo credo devono rimanere convinti di essere

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spazialmente separati dagli altri. Senza protagonisti separati non ci potrebbe essere alcun karma.

Mano a mano che la loro ricerca prosegue, queste perso-ne possono avere ancora altri tipi di esperienze che li con-vincono che il loro senso di identità separata è un’illusione, che esse sono parte di un campo unificato di coscienza cosmica che include tutto e tutti gli altri. Allora esse smetto-no di credere nel karma, perché vedono persino le storie karmiche come un prodotto di maya, l’illusione cosmica. Ma questa nuova incredulità riguardo al karma è notevolmente diversa dallo scetticismo originario. Perché ora queste per-sone sanno che si può essere in uno stato di coscienza nel quale l’idea della reincarnazione appare assurda. Esse si ren-dono conto che certi tipi di esperienza possono convincere che il karma è l’unica cosa che conti. Ed esse possono tra-scendere anche quello stato. Non c’è una singola risposta definitiva alla questione del karma. Tutto dipende dallo stato evolutivo di coscienza nel quale uno si trova.

LASZLO: Sembra che ci possano essere vari karma possibili nella fase più elevata, raggiunta in base al livello che si è conseguito nella propria vita. In un certo senso, si può avere un’influenza sulla scelta della prossima vita.

GROF: Nel Vajrayana tibetano ci sono racconti su lama di alto livello che erano capaci di mantenere la piena coscienza durante il loro passaggio attraverso tutti i tre “bardo”, gli stati intermedi che si sperimentano tra la morte e la succes-siva reincarnazione. Di altri si sostiene siano capaci di pre-dire o perfino determinare quando, dove e come chi essi si reincarneranno nella loro vita successiva.

Mi piacerebbe menzionare una cosa che non ho suffi-cientemente sottolineato quando parlavamo di reincarnazio-ne. Una caratteristica essenziale di un’esperienza di vita

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passata è un autentico senso di riemergenza: non è la prima volta che questo mi succede; mi ricordo che una volta ero veramente quella persona. Ci sono altre esperienze che possono portarci in altri tempi e in altri luoghi. Possiamo sperimentare anche qualcosa che avviene in un altro tempo della storia umana e in un altro posto, ma senza l’elemento delle memorie personali. Per esempio, possiamo sperimentare noi stessi come sacerdoti incas, soldati romani, o come una donna messicana ubriaca, ma senza il senso della relazione personale a quella esperienza. Si tratta semplicemente di una sorta di finestra sull’inconscio collettivo junghiano.

La fisica moderna ha dimostrato che nel mondo non ci sono oggetti separati e che l’universo è una rete unificata di processi subatomici. Tuttavia, nella nostra vita quotidiana, abbiamo uno speciale senso della proprietà verso le nostre vite individuali, i nostri corpi e i nostri ego. Quando il pro-cesso di autoesplorazione raggiunge l’inconscio collettivo, tutte le vite umane nel corso della storia sono le nostre vite. Come dicevo prima, in ultima analisi, esse hanno tutte un solo protagonista, la Coscienza Assoluta, Brahman, il Tao, o qualsiasi altro termine si voglia usare. Ma abbiamo una spe-ciale sensazione di proprietà per alcune di queste vite e le sperimentiamo come “le nostre vite passate”. Non abbiamo lasciato andare il nostro ego, conserviamo i resti della nostra identità separata.

LASZLO: Tu vedi le esperienze di vite passate come evidenza che esiste un fascio integrato di coscienza che sopravvive alla morte fisica e si reincarna, per ciò che sembrerebbe esse-re un concetto relativamente semplicistico?

GROF: No, non necessariamente. Per esempio, per gli indù la dottrina della reincarnazione non è un credo nel senso usua-le - cioè un’opinione non sostanziata e senza fondamenti -

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ma un argomento principalmente pragmatico. È un tentati-vo di fornire un riferimento concettuale ad un grande nume-ro di esperienze e osservazioni straordinarie. Ma anche nella tradizione indù la credenza nella continuità della stes-sa separata unità di coscienza che ripetutamente si reincarna per molte vite consecutive verrebbe considerata un’interpre-tazione di basso livello, primitiva, dei fatti.

Secondo insegnamenti indù più sofisticati, c’è soltanto un essere che veramente si incarna, ed è Brahman. Finché c’è più di un protagonista nella storia, si è ancora sotto l’in-fluenza dell’illusione cosmica, o maya. L’esistenza è un campo unificato e qualsiasi confine che sperimentiamo in essa è alla fine relativo e può essere trasceso. Possiamo spe-rimentare noi stessi come corpi-ego separati, possiamo spe-rimentare l’identificazione con tutte le madri del mondo, o con l’umanità intera, o con l’intera biosfera. Ma in definitiva tutti questi confini sono arbitrari e discutibili.

Coscienza

LASZLO: Il modo in cui la gente sperimenta se stessa nelle società moderne, la nozione che essa ha di se, è cambiata moltissimo, anche nel corso di questo secolo. Tuttavia, l’im-magine pubblica dell’essere umano non è ancora dove dovrebbe essere se fosse adeguata per vivere su questo pia-neta piccolo e interdipendente. Qual è l’immagine dell’essere umano oggi, e in particolare qual è la visione della natura della coscienza? La maniera con la quale si risponde a queste domande può decidere il modo in cui la gente si comporta in circostanze concrete.

RUSSELL: L’immagine di chi siamo sta già cambiando. Il vecchio modello è che gli esseri umani siano in qualche

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modo diversi dalle altre creature, che noi siamo speciali perché possediamo la coscienza e le altre creature no. Questa visione non è solamente parte della corrente scientifica prevalente, ma anche della cristianità classica. Essa pone diverse difficili questioni. Cosa c’è negli esseri umani che li rende consci? Come emerge la coscienza dalla materia inanimata? La nuova visione che sta guadagnando terreno è che la differenza tra noi e le altre creature non è la coscienza in quanto tale, ma la differenza nel grado di coscienza.

Consideriamo, ad esempio, i cani. I cani sembrano senti-re dolore; se non credessimo che essi sentano dolore, non daremmo loro anestetici quando li operiamo. I cani appaio-no anche capaci di sognare quando dormono; essi ricono-scono persone e luoghi, e possono agire con un proposito in mente. Pertanto, dire che un cane non è conscio e non pos-siede un mondo di esperienza interiore è tanto ridicolo quanto dire che il mio vicino dall’altra parte della strada non è conscio. Il punto in cui differiamo dai cani non è nella coscienza in sé, ma in ciò che accade nella nostra coscienza. Noi umani possiamo pensare in parole, possiamo ragionare, possiamo comprendere il mondo in cui viviamo, possiamo pensare riguardo al futuro e prendere decisioni, e siamo con-sapevoli del nostro propri sé e del fatto che siamo consci.

Ciò che attiene ai cani attiene anche agli altri mammife-ri: gatti, cavalli, delfini; tutti loro possiedono un’esperienza interiore del mondo. Così, immagino, gli uccelli, i serpenti, le rane e i pesci. Essi sono tutti vertebrati con un cervello, un midollo spinale e organi sensoriali che nel loro disegno di base sono simili ai nostri. La questione non è perché gli esseri umani sono consci, ma fino a quale punto lungo l’albero evolutivo discende la coscienza.

Trovo difficile individuare una linea di demarcazione da qualche parte. Gli insetti possiedono un sistema nervoso semplice; perché non dovrebbero essere consci, anche se in

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una coscienza pari ad una porzione minima della nostra? Potrebbe essere che i sistemi nervosi non siano gli originato-ri della coscienza, ma solo i suoi amplificatori. Forse le sin-gole cellule hanno una rudimentale forma di coscienza; potrebbe essere un nonnulla in confronto alla ricchezza della esperienza che noi conosciamo, ma chi può dire che esse non abbiano assolutamente alcuna esperienza? In questa pro-spettiva non è la coscienza in sé che si è evoluta; la facoltà della coscienza è parte della vita. Ciò che si è evoluto attra-verso la vita è, piuttosto, il grado di coscienza.

LASZLO: Questo è proprio ciò che avevo in mente quando parlavamo del sentire dolore e gioia nel contesto dell’etica e della morale. Sospetto fortemente che anche le molecole e gli atomi abbiano una qualche forma di interiorità, qualche ele-mento che assomigli ad una sensazione soggettiva. Questa nozione, di certo, non è nuova; è anzi familiare nella storia della filosofia sia dell’est che dell’ovest.

Ma potremmo discutere ulteriormente la nozione di una coscienza universale in particolare per quanto riguarda il suo grado di esplicitazione nel corso della evoluzione?

RUSSELL: Per comprendere la natura universale della coscienza, un’utile analogia è offerta da un quadro dipinto su una tela. Il contenuto del quadro dipende dai colori disponibili, dalla qualità dei pennelli, dall’ispirazione del-l’artista; ma quale che sia tale quadro, e comunque sempli-ce o complesso esso sia, la tela è la stessa ed è assolutamen-te necessaria. Senza la tela non ci sarebbe quadro. Allo stes-so modo, la facoltà della coscienza è un prerequisito per qualsiasi esperienza. Ciò che varia sono le immagini che appaiono nella coscienza. La creatura più semplice speri-menta la più semplice visione della realtà. Creature con organi di senso più evoluti possono sperimentare in maggior

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dettaglio il mondo circostante, dipingendo nella loro mente un’immagine del mondo corrispondentemente più ricca. Sistemi nervosi più complessi hanno condotto ad una elaborazione più profonda dei dati sensoriali e ad una visio-ne della realtà più integrata.

La ragione principale per cui la coscienza umana è tanto più ricca della coscienza degli altri animali deriva dal fatto che abbiamo evoluto la capacità del discorrere. Possiamo comunicare l’uno con l’altro attraverso le parole, che sono essenzialmente simboli che denotano aspetti vari della nostra esperienza. Questo significa che possiamo condivide-re le nostre esperienze con ciascun altro. Un cane impara principalmente dalla propria esperienza del mondo, e deve edificare la sua conoscenza da zero. Gli esseri umani appren-dono non soltanto dalla loro esperienza, ma anche dall’e-sperienza degli altri. Come risultato abbiamo costruito un corpus collettivo di conoscenza molto più grande di quello che ogni singolo individuo potrà mai ottenere. Ecco perché abbiamo l’educazione: vogliamo impartire ad altri ciò che abbiamo capito, cosicché essi possano trarre beneficio da quello che gli altri hanno appreso. Ma forse l’aggiunta più significativa proveniente dal linguaggio è la capacità di pen-sare. Non solamente usiamo parole per comunicare l’un l’al-tro, ma anche interiorizziamo il linguaggio, pensiamo con parole nella nostra propria mente. Da qui proviene la capa-cità di ragionare, di pensare sul passato, di immaginare il futuro, di fare scelte, di riflettere sulle nostre esperienze. Da qui proviene anche l’autocoscienza: siamo consapevoli di essere consapevoli. Siamo consci di essere consci.

LASZLO: La facoltà dell’essere consci di essere consci -quella che si chiama “coscienza riflessiva” - apre, a coloro che la possiedono, un’intera nuova dimensione dell’esperienza.

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RUSSELL: La natura autoriflessiva della nostra coscienza ci apre al divino. La capacità di senzienza in una forma o in un’altra, che è comune a tutti gli esseri senzienti, è vicina alle nozioni mistiche di Dio. Attraverso la storia, e da un’am-pia varietà di culture, i mistici hanno ripetutamente affer-mato un’identità personale del sé e di Dio. Nella filosofia indù la troviamo nell’affermazione che Atman, l’essenza della nostra coscienza, è Brahman, l’essenza e la sorgente di tutta l’esistenza. Nelle tradizioni cristiane questa intuizione può essere stata espressa con l’affermazione “io sono Dio”, sebbene questo abbia portato molti mistici a problemi con la Chiesa, poiché affermazioni del genere sono considerate un’eresia.

Attualmente la scienza non presta molta attenzione a questa natura universale della coscienza. Essa è ancora imprigionata nel vecchio modello che dice che lo spazio, il tempo e la materia sono la realtà primaria, e che la coscien-za emerge da essi in qualche modo. Ma come la scienza ini-zierà a prendere più sul serio l’argomento della coscienza, essa dovrà cominciare a sviluppare un nuovo paradigma nel quale la coscienza sia considerata primaria come lo spazio, il tempo e la materia. E qui troverà che ha aperto un’intera nuova comprensione di ciò verso cui la religione ha puntato per migliaia di anni. Non il classico Dio tipo “Vecchio nel cielo”, ma una nozione di Dio che si collega perfettamente con la nostra comprensione scientifica del mondo. Questo quando il cambiamento veramente interessante inizierà ad accadere. Non sta accadendo ancora, ma credo che ci stiamo muovendo in quella direzione.

GROF: Molti rappresentanti centrali della prevalente corren-te materialistica della scienza sarebbero in violento disac-cordo con te su alcune delle cose che stai dicendo, Pete; per esempio, che la capacità di essere consci è comune a tutta la

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vita o a tutta la creazione, e che la nostra essenza più profon-da è divina. Ricordo alcune delle affermazioni estreme che furono fatte dopo che Norbert Wiener formulò i principi fon-damentali della cibernetica. Divenne per esempio possibile costruire volpi meccaniche capaci di inseguire un coniglio senza avere alcuna nozione soggettiva della sua esistenza. Fu suggerito con serietà che tutti gli animali sono in quel modo: niente altro che sistemi meccanici sprovvisti di qual-siasi consapevolezza soggettiva e sospinti da sequenze com-plesse di stimoli e risposte. Ovviamente, era difficile negare la coscienza degli umani, giacché tutti la sperimentiamo.

Tuttavia, ciò che tu stai dicendo non è solo una vaga assunzione metafisica o una speculazione pseudofilosofica. Quello che la critica materialistica manca di prendere in con-siderazione è che abbiamo una vasta evidenza sperimentale che supporta queste affermazioni. Come dicevo prima, negli stati non ordinari è molto comune sperimentare un’identifi-cazione conscia con altre forme di vita, compresi virus e piante, e anche con vari aspetti inorganici del cosmo. Si potrebbe arguire che questa non è una prova diretta che tutto ciò che ci circonda sia conscio. Ma, al minimo, l’espe-rienza transpersonale suggerisce che una tale possibilità è molto reale. Similmente, il fatto che possiamo sperimentare la nostra identità con il divino è innegabile ed è stato ripetu-tamente confermato dalla moderna ricerca sulla coscienza.

Non posso immaginare una teoria convincente che possa offrire un’assennata spiegazione materialistica per l’esisten-za, la natura e il contenuto di tutte queste esperienze. Così la domanda critica è quella che tu, Ervin, hai posto nei due giorni scorsi: le origini e la condizione di realtà di queste esperienze. Esse rivelano una qualche verità profonda sulla natura della realtà, o sono fantasie e allucinazioni? Quarant’anni di studio di questi affascinanti fenomeni mi hanno convinto che devono essere prese sul serio.

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La tradizionale scienza accademica descrive gli esseri umani come animali altamente sviluppati e come macchine biologiche pensanti. Le esperienze e le osservazioni compiu-te nello stato quotidiano di coscienza suggeriscono forte-mente che noi siamo oggetti newtoniani fatti di atomi, mole-cole, cellule, tessuti e organi. Però, le esperienze transper-sonali mostrano chiaramente che ciascuno di noi può mani-festare anche le proprietà di un campo infinito di coscienza che trascende lo spazio, il tempo e la causalità lineare. La nuova formula completa, reminescenza del paradosso ondulatorio-corpuscolare della fisica moderna, dovrebbe descrivere gli esseri umani come esseri paradossali che pre-sentano due aspetti complementari: essi possono mostrare proprietà tipiche di oggetti newtoniani, e anche quelle di infiniti campi di coscienza. L’appropriatezza di ciascuna di queste descrizioni dipende dallo stato di coscienza nel quale le osservazioni sono fatte.

LASZLO: È curioso che negli ultimi anni il termine “coscien-za” è stato impiegato per indicare ciò che si usava chiamare “mente”, o semplicemente la sensibilità o soggettività asso-ciata agli organismi viventi. La parola “coscienza”, in molta letteratura precedente, era riservata a ciò che si può propria-mente vedere come la facoltà unicamente umana dell’auto-consapevolezza. Se sei conscio, sei conscio dei tuoi propri pensieri e delle tue sensazioni. In questo contesto possiamo parlare di qualcosa che è specificamente umano, perché la sede della coscienza autoriflessiva sembra essere localizzata nella neocorteccia, e la neocorteccia è sviluppata in modo appropriato solamente nella specie umana - sebbene anche nei primati superiori sembra manifestarsi un cammino evo-lutivo che riflette uno sviluppo analogo. Ad ogni modo, la soggettività, che non è la stessa cosa della coscienza riflessiva, è solamente la facoltà di avere sensazioni, e

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credo che essa sia associata ad ogni sistema che esiste ed evolve in natura.

Come Pete ha giustamente fatto notare, non è definibile alcun punto al di sotto del quale non si possa attribuire alcu-na soggettività in natura. Se tu dici che il tuo cane ha sog-gettività, quindi devi dire che anche il topo la ha, e così a scendere. I più semplici organismi viventi devono essere visti come provvisti di soggettività, e se è così, allora perché non anche le loro componenti, le macromolecole, le moleco-le e gli atomi? I semi della coscienza devono essere presenti nell’universo; devono essere ovunque.

RUSSELL: Sì, la coscienza è così fondamentale all’universo quanto lo sono la materia, lo spazio e il tempo. Assolutamente fondamentale.

LASZLO: La coscienza diviene sempre più specifica nel corso del tempo e dell’evoluzione. È un notevole risultato della nostra specie che il nostro corpo e il nostro cervello svilup-pino i semi della coscienza, che sono ubiquitari nella natura, nella capacità della autoriflessione. È come aggiungere un sensore che non è programmato per la mappatura del mondo oltre il corpo, ma che è programmato per la mappa-tura della mappatura del mondo.

RUSSELL: È questo ciò che rende gli esseri umani molto specia-li, il fatto che possediamo questa coscienza autoriflessiva. Non penso che altre creature abbiano questa capacità. Perlomeno, altre creature come cani e gatti non pensano a se stessi come facciamo noi. Delfini e balene potrebbero, ma al momento non sappiamo molto di quello che passa nelle loro menti.

LASZLO: Sono d’accordo. La ragione per cui abbiamo una identità personale è perché, una volta che abbiamo auto-

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consapevolezza, siamo capaci di vedere noi stessi come parte del mondo. Certamente, possiamo anche commettere errori e vederci opposti al mondo o separati da esso. Possiamo dire: questo è me, e questa è la mia pelle che lo rac-chiude; qualsiasi altra cosa non è me. Possiamo vedere tutto ciò che è non-me come radicalmente differente da ciò che è me. Allora ci impaludiamo nella condizione egocentrica, con tutte le limitazioni e restrizioni che ne conseguono. In fin dei conti, possiamo veramente conoscere qualcosa di diver-so dalla nostra propria mente e coscienza? Nella visione materialistica, l’ego autoriflessivo diventa radicalmente separato dal mondo.

GROF: Tuttavia le persone che sono impegnate nell’autoe-splorazione sistematica usando stati non ordinari di coscien-za come la meditazione, la psicoterapia esperienziale o l’uso responsabile di sostanze psichedeliche, tendono a sviluppare una visione chiara e unificata di se stessi e della realtà. Questo vale anche per coloro che hanno potenti esperienze sponta-nee di questo tipo - esperienze spirituali o esperienze di pre-morte. Le caratteristiche fondamentali di questo nuovo atteg-giamento verso la vita sono un senso di profonda connessio-ne con le altre persone, con le altre specie e con la natura, inte-resse circa il futuro planetario, spiritualità di natura univer-sale e onnicomprensiva. Considerazioni addizionali impor-tanti sono un riorientamento verso fonti rinnovabili di ener-gia, il bisogno di pulire l’ambiente e una tendenza a ritornare ai cicli naturali. In altre parole, orientamento verso attività che sono di importanza critica per un futuro sostenibile.

RUSSELL: Il linguaggio e il pensiero possono averci dato un senso del sé, ma moltissimi di noi sono in dormiveglia e sono consapevoli solo in parte di chi siamo realmente. E questo implica degli handicap. Come discutevamo prima,

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tendiamo a derivare il nostro senso di identità da ciò che fac-ciamo, che possediamo, da come gli altri ci percepiscono e dal nostro ruolo nel mondo. Una simile identità è molto fra-gile ed è continuamente alla mercé delle circostanze. Il pro-vare a mantenere e sostenere questo senso derivato di iden-tità ci conduce a tutte le possibili forme di comportamento inappropriato e dannoso. Le tradizioni spirituali del mondo intero sono compatte nell’ammonire che abbiamo bisogno di risvegliarci ad un senso più profondo del sé, e scoprire chi realmente siamo. Allora scopriremo la vera libertà.

In questa prospettiva, la pratica spirituale può essere pensata come cammino teso a superare alcuni degli ostacoli del linguaggio, in modo che possiamo realizzare il nostro autentico potenziale come esseri senzienti.

GROF: Quel che stai dicendo, Pete, mi riporta alla memoria una discussione che ebbi molti anni fa con un uomo che usciva da una sessione psichedelica nel corso della quale aveva dovuto rivedere in profondità lo scopo della sua vita. Nel corso di questa esperienza egli aveva compreso che buona parte di ciò che stava facendo nella vita era non autentico e insoddisfacente: il suo cuore non era riposto real-mente in quelle cose. Molte di queste attività erano derivate da sogni irrealizzati e da aspettative dei suoi genitori, e da uno sforzo di provare qualcosa a loro e a se stesso. Egli sco-prì anche quanto fossero forti i programmi inculcati in lui dalla sua cultura, e quanto del suo comportamento fosse preformato da pressioni e circostanze esterne.

Ad un certo punto, egli mi disse: “Sai, penso che la cosa più importante nella nostra vita è trovare cos’è la nostra ‘coscienza nasturzio’”. Logicamente io non conoscevo quel-la definizione perché l’aveva inventata lui stesso e gli chiesi di chiarirmela. “Beh, non deve per forza essere un nasturzio; può essere qualsiasi altro fiore o pianta” - rispose - “Basta

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guardarle! Esse sono tutte in immediato contatto con la Terra, con il Sole e con la pioggia, e fanno semplicemente ciò che devono fare. Un nasturzio non aspira ad essere una rosa. Non gli importa se finisce in un bouquet per un matrimonio o in una insalatiera o mangiato da un coniglio o pestato da una mucca”. Dopodiché mi disse che egli sentiva che dietro tutti i programmi non autentici impostici dalle circostanze della nostra vita, giace una scrittura cosmica specificamente pertinente ad ognuno di noi. Quella era per lui la coscienza nasturzio. Quando scopriamo cos’è e come usarla quale nostro principio guida, la nostra vita diventa creativa, sod-disfacente e facile. Joseph Campbell si riferiva a questo come a “seguire la propria felicità”.

LASZLO: Non appena abbiamo una coscienza riflessiva abbiamo la capacità di dare significato all’esperienza, e non deve per forza essere un significato materialistico nel senso comune in occidente. Quando un essere vivente non possie-de questa coscienza, esso esperimenta soltanto; allora l’espe-rienza è il suo proprio significato. Potrei pensare che un cane o un altro animale percepisca le cose direttamente e non rifletta su di esse. Questo implica alcune importanti conse-guenze. Se un animale commette errori, questi vengono cor-retti dalla selezione naturale. Per esempio, se i conigli pren-dessero sistematicamente un serpente per un bastone, la linea dei conigli si estinguerebbe molto rapidamente. Ma noi umani commettiamo errori di continuo nella nostra visione di noi stessi e del nostro ambiente e ne compensiamo gli effetti. Tale compensazione non comporta la sostituzione di una visione errata con una corretta, ma rende semplicemen-te più difficile riconoscere la visione errata. Di conseguenza possiamo avere molteplici e diverse visioni di noi stessi e del mondo, e alcune di esse saranno più funzionali delle altre ai fini della nostra sopravvivenza.

LE QUESTIONI ULTIME: ALCUNE RIFLESSIONI CONCLUSIVE 197

Certamente, al di là della funzionalità c’è la questione metafisica di cosa sia la verità ultima. Essere capaci di porre questa domanda ma non di rispondere con certezza esausti-va è la condizione umana. Poiché non possiamo vedere il mondo se non attraverso le nostre proprie percezioni e interpretazioni, possiamo accedere solamente alle nostre mappature, non alla realtà originaria. Ma evidentemente alcune visioni del mondo non soltanto possono dare un con-tributo maggiore alla sopravvivenza e allo sviluppo che non altre, esse sono anche più verosimilmente corrette. È nel nostro proprio interesse muoverci verso queste interpreta-zioni “migliori”. Esse ci forniscono le più penetranti e con-vincenti risposte alle questioni ultime che tutti noi prima o poi ci poniamo.

Allo stesso tempo, abbiamo trovato che la coscienza emergente è un autentico passo evolutivo, un passo che ci conduce più vicino alle verità fondamentali su noi stessi e il mondo; verità che sono parte dell’eredità culturale della gente di oggi, e che tuttavia sono state ignorate o represse nell’impetuoso progresso della scienza materialistica e della sua civilizzazione tecnologica. Ora, mentre sia la scienza che la società si confrontano con la sfida di un successivo salto evolutivo, le prospettive che si aprono per noi includono la scoperta, e la riscoperta, di visioni più profonde sulla vita, il cosmo e la coscienza. Questi sono tempi eccitanti da vivere, e per dialogare e per agire.

È tardi, ed è venuto il momento di chiudere questo dia-logo e congedarci. Abbiamo passato due giorni pieni ed ecci-tanti, con discussioni che hanno coperto una vasta gamma di argomenti, dal nostro sviluppo personale all’evoluzione di tutta l’umanità. Abbiamo iniziato con domande concer-nenti le possibilità di pace nel mondo, e siamo tornati più e più volte sulla nozione che la chiave è l’evoluzione della nostra coscienza - chiave sia per la pace nel mondo che per

198 LA RIVOLUZIONE DELLA COSCIENZA

la nostra sopravvivenza e sviluppo tanto personale che col-lettivo. Benché i problemi che abbiamo trattato siano molto seri e costituiscano una grande sfida, non ci siamo orientati ad un pessimismo passivo. Abbiamo intravisto una schiarita all’orizzonte: i mutamenti che stanno effettivamente avve-nendo nei valori delle persone, nel loro modo di pensare, nella loro visione del mondo, nella loro coscienza. Questo è ciò che abbiamo chiamato la “rivoluzione della coscienza”, un fenomeno che abbiamo inquadrato come un segno posi-tivo dei nostri tempi. Un segno che l’umanità, come specie sia biologica che culturale, sta rispondendo alle minacce e alle sfide che deve affrontare in questi tempi cruciali ma affa-scinanti.

POSTFAZIONE - RIFLESSIONI SUCCESSIVE

Quando Ervin Laszlo gentilmente mi ha chiesto di contri-buire con qualche ulteriore riflessione a questo libro stimo-lante, mi sono ritrovato a scrivere un commento personale che mi ha ricordato la mia fanciullezza. La rivoluzione della coscienza è la registrazione di una serie di incontri a Sausalito e a San Francisco tra Ervin Laszlo, Peter Russell e Stanislav Grof. Mi ricordo che Sausalito era al capolinea del traghetto che partiva da Market Street a San Francisco, dove nei fine settimana le code si allungavano per miglia e dovevamo aspettare ore per imbarcarci. In quei giorni relativamente innocenti, decine di migliaia di abitanti di San Francisco par-tivano da qui con gli zaini per esplorare Muir Woods e Mount Tamalpais. Una divertente locomotiva con pistoni verticali trascinava un trenino con carrozze scoperte alle quali era consentito scivolare in discesa per gravità. Il riaf-fiorare di queste memorie mi ha riportato ad argomenti che mi hanno preoccupato per tutta la vita e che sono stati risve-gliati dalla lettura de La rivoluzione della coscienza.

Io credo che siamo in realtà divenuti inconsci. Alterare questo stato mentale non è semplicemente questione di deci-dere di acquisire nuove dimensioni della coscienza. Ciò che ci è richiesto è un ritorno dalla corazza protettiva autocon-scia che ci siamo costruiti attorno, ad uno stato quasi incon-scio che esplori la nostra congenita affinità con il Tutto, del quale siamo parte.

Allo scopo di prevenire quello che molti di noi ora

200 LA RIVOLUZIONE DELLA COSCIENZA

avvertono essere un pressoché inevitabile suicidio collettivo, dobbiamo imparare a permettere al potenziale che esiste in tutti noi di manifestarsi. Alla nascita noi portiamo nelle nostre vite le memorie della nostra specie, la struttura genetica, una consapevolezza universale dell’infinito, e la capacità di ascoltare noi stessi. Impariamo ad usare i nostri sensi per ascoltare e vedere, il che ci dà la possibilità di apprezzare e creare l’arte e la musica; sviluppiamo l’intelletto, acquisendo conoscenza e abilità, e progrediamo attraverso la vita esprimendo noi stessi al meglio delle nostre capacità. Tuttavia non comprendiamo come esprimere il senso dell’infinito che è in noi. Proviamo a farlo diventare qualcosa di impossibilmente tangibile, sostanziale e potente allo scopo di pervenire al controllo totale di noi stessi e del nostro mondo. Sembra che il solo modo di canalizzare il nostro senso dell’eternità senza corrompere le nostre ambizioni sia attraverso l’espressione creativa e artistica, attraverso la creazione di un’opera che possa essere infinitamente bella, un esempio di come la creatività possa redimere l’aspetto crudo e grossolano della vita. Direi che senza arte e senza umiltà il nostro senso dell’infinito abbia poche possibilità di espressione se non quelle consistenti nella richiesta continua di potere infinito per possedere, dominare ed esercitare controllo totale. Quando l’ego è in una situazione di controllo, la nostra fame di potere non ha limiti. L’individuo può essere visto come un semplice ingranaggio nella macchina ma, oltre l’ego, noi tutti abbiamo un sé che ha conoscenza del segreto delle cel-lule viventi e fede nella possibilità di un’unione mistica con il Tutto.

Anche se questa fede è inconscia, tutti noi aneliamo ad un ritorno all’esperienza divina. Tornare alla divinità impli-ca un certo sacrificio. Atti di autosacrificio per placare gli dei sono stati una caratteristica di molte società più “primi-tive” della nostra. Il nostro Dio oggi è Mammona - il denaro

POSTFAZIONE - RIFLESSIONI SUCCESSIVE 201

e il commercio - e il nostro sacrificio è globale. Il sentimento nazionalista, per esempio, incoraggia la gente a credere che sia suo dovere sacrificare se stessi e gli altri per proteggere simboli e principi sacri, dando così al nazionalismo un rilievo sacro. Donne e bambini sono ancora oggi la principa-le offerta sacrificale, forse in un modo meno ritualistico di un tempo ma ancora su una scala spaventevolmente grande. In alcuni posti i bambini musulmani credono che la morte sia il premio più alto e corrono - o sono condotti - alla morte in centinaia di migliaia, mobilitati per diventare eccellenti e affidabili killer. Sicché rechiamo scritto in noi un richiamo al divino, all’obbedienza, agli ideali, ma tutto organizzato al servizio di un Diavolo conscio. Siamo consapevoli del prin-cipio dell’unità universale ma lo usiamo per i più orrendi propositi e per gli scopi più ignoranti, limitanti e suicidi.

Il nostro sistema giudiziario, basato sulla punizione anziché sulla protezione delle vittime e sulla riabilitazione e redenzione degli offensori, è totalmente sbagliato. La puni-zione offre poche possibilità di educazione o miglioramento. Leggi che impongono gradi di punizione arbitrariamente diversi sono pressoché inutili, come lo sono gli eserciti di uomini di legge che analizzano testi legali indecifrabili e di giurie umanamente non qualificate a giudicare ciascun caso per i suoi propri meriti o demeriti. Da Norimberga in poi ci sono stati diversi tentativi di creare una Corte Mondiale, ma è soltanto con la prevenzione che possiamo salvare le nostre vite e migliorare le nostre prospettive di proteggere le civiltà e le culture del mondo.

Le nostre risorse naturali sono sufficienti a sostenere i popoli solo fino ad un certo punto. Anche in una più inclu-siva democrazia con la giusta rappresentatività degli oppressi, dei deboli, dei malati, dei meno istruiti e dei più vulnerabili, non saremmo in grado di prevenire che i più forti e spietati si impadroniscano di cibo, terra, acqua ed

202 LA RIVOLUZIONE DELLA COSCIENZA

altre risorse. In termini umanitari abbiamo vaste risorse di compassione, colpa, dovere, codici morali e religione. Il denaro è veramente un potere democratico, perché un dol-laro rimane un dollaro senza riguardo al colore o alla condi-zione delle mani che lo stringono, tuttavia l’abuso del dena-ro è tale che esso può comprare intere nazioni, ed è ora essenziale stabilire zone senza denaro che promuovano in modo indipendente sistemi di relazioni attive e dirette.

I poteri persuasivi della pubblicità, della propaganda politica e delle religioni sono molto simili. I loro metodi sono identici, manipolativi e fuorvianti e per lo più con-sistono di promesse che non possono essere mantenute. Per esempio, la Cina e gli USA stanno inseguendo entrambi l’accumulazione di potere per sfruttare le risorse umane e naturali e controllarne l’abuso. Sotto la pressione di cir-costanze inderogabili, questa situazione potrebbe portare ad una guerra. Se la nostra inclinazione peggiore potrà essere giustificata teoricamente o benedetta da un ideale, e se saremo lasciati senza altra scelta che soddisfarla, saremo soli davanti alla nostra coscienza.

Sia a dispetto che a causa dei colossali progressi nella medicina, nella psicologia, in agricoltura, nella nutrizione, nella tecnologia, nelle comunicazioni e nelle possibilità di svago, gli esseri umani sono stati ridotti ad un’esistenza “in batteria”, e presto potremmo assistere ad una decimazione macroscopica della nostra specie su una scala che ricordi le malattie epidemiche del passato, che originavano simulta-neamente da numerose cause e sorgenti. Nei fatti, questo è già iniziato; bancarotta, disoccupazione, malattia, fame, caos sociale esistono ora negli USA così come in nazioni meno ricche, e un nuovo ordine di valori è necessario se vogliamo sopravvivere a livello personale e globale.

Il problema è questo: possiamo scegliere il modo più umano per apprendere la lezione che dobbiamo apprendere

POSTFAZIONE - RIFLESSIONI SUCCESSIVE 203

senza causare conseguenze negative quali le radiazioni, la vendetta, la devastazione, o il danneggiamento psicologico? Possiamo rendere il mondo sicuro attraverso la bontà oltre che attraverso la democrazia (per parafrasare Woodrow Wilson)? I buoni valori - incoraggiamento, comprensione, pazienza, quieto coraggio - sono quelli che influiscono posi-tivamente sui più, inducendo la maggior fiducia e il minore attrito e resistenza. Artisti, sognatori e inventori giocano un ruolo essenziale nel combattere il pregiudizio e la violenza, specialmente per quanto attiene al convogliare idee e valori verso i bambini. Per esempio, il mio progetto MUS-E per portare la musica e le arti nelle scuole europee ha mostrato come una innovazione molto fondamentale possa aiutare il cambiamento della coscienza.

I concetti più difficili che un essere umano possa impa-rare sono la moderazione, il senso delle proporzioni e la conoscenza dei limiti. La difficoltà sta nel dilatare tempo e spazio per spostare la messa a fuoco dalla caccia della nostra preda alla protezione della nostra vittima, dal qui e ora alle dimensioni più ampie dove la compassione sostituisce la bramosia. Possiamo adottare un sistema educativo che ci aiuti ad essere gentili e coraggiosi, disponibili a perdonare e determinati, fiduciosi ma realisti, saggi e generosi piuttosto che ingegnosi ed egoisti? Possiamo permettere alle nostre azioni e al nostro comportamento quotidiano di essere gui-dati da principi creativi, estetici, artistici? Possiamo desiste-re dall’impregnare i nostri bambini di pregiudizio e di paura? Possiamo rimuovere la violenza e la brutalità dai nostri schermi, libri, pensieri, ambizioni o è questo il nostro modo di prepararci alle catastrofi che ci aspettano?

Credo nell’unità di “interno” ed “esterno”. Il grande filo-sofo tedesco Constantin Brunner disse che tutto è conscio in qualche misura: sappiamo scientificamente che la radiazio-ne può penetrare gli anni luce; potremmo noi in modo

204 LA RIVOLUZIONE DELLA COSCIENZA

simile essere penetrati dalla “coscienza”, come un neutrone vibrante? Forse è così che possiamo realizzare una rivolu-zione nella coscienza, generando e incoraggiando nuove attitudini e credi che permeeranno i nostri pensieri, azioni e istituzioni, dalla medicina, psicologia e filosofia alla scienza, alla religione, alle arti, al commercio, alla finanza. Le nostre vite sono fatte per essere vissute nella piena con-sapevolezza delle altre persone, degli animali, del potenziale delle nostre menti: la bellezza dell’arte e la gioia della vera comunicazione che dà eguale importanza al tempo e al luogo del messaggio, al messaggero e alla persona che rice-ve il messaggio. E così che la creazione viene diffusa, in con-dizioni e situazioni differenti, e uno dei risultati è che l’idea di origine viene diluita: possiamo vedere come certe idee e invenzioni appaiano simultaneamente in posti lontani tra loro. Sono rimasto stupito di quanto spesso il simile attiri il simile e di come costellazioni di cose buone (o cattive) si atti-rino le une con le altre per ottenere un risultato congiunto collettivo. Ed è una soddisfazione particolare quando un risultato positivo o benefico inizia a permeare una mentalità contrastante o semplicemente si estende all’intera società. Un esempio di “mentalità contrastante” potrebbe essere quello in cui ci troviamo imprigionati in una fazione, in un gruppo fondamentalista dove il tempo a disposizione viene sfruttato da stratagemmi distruttivi, e i sogni da incubi senza equilibrio e pace interiore. Si può facilmente concepi-re un terrorista come un martire altruista e altamente moti-vato, puro ed estatico, ma se la sua premessa è la vendetta egli non ha nulla da offrire a se stesso o all’umanità.

Fortunatamente, ci stiamo muovendo verso grandi prin-cipi unificanti. Credo in una religione universale di verità semplici e significativa per l’epoca odierna. Il nucleo della ricerca scientifica e delle sue applicazioni si è mosso dal tan-gibile verso l’intangibile, dal meccanico all’elettrico,

POSTFAZIONE - RIFLESSIONI SUCCESSIVE 205

dalla potenza del carbone a quella insita nell’atomo. Dal punto di vista medico la nostra comprensione ora include mente e cervello; siamo altamente consapevoli del progresso dal corpo alla mente e ora alla cellula vivente, con la sua chimica e la sua elettronica. Il disegno generale e lo scopo della vita sta cominciando ad emergere mentre andiamo scoprendo il suo naturale, inevitabile manifestarsi in certe condizioni ideali. Comprendiamo la tenacia della vita nell’esistere e in ultima analisi nello sperimentare le rivelazioni del divino attraverso la crescita della coscienza, la comunicazione, e il riconoscimento di un processo attraverso la vita e la morte, in una successione e continuità interminabili di vite e di morti.

La mia personale, essenziale richiesta è di essere circon-dato dall’amore e dalla fiducia e di essere capace di guidare così come di essere guidato e aiutato. Le possibilità di impa-rare, aiutare, essere utili, sono infinite. Dobbiamo rispettare quella parte sacra della vita che è il sognare, pensare, medi-tare, ideare, pregare, tutti impieghi del tempo a disposizione che limitano l’ego ed espandono la coscienza. Nel compren-dere e prendersi cura di un altro, l’ego viene similmente limitato e può riassorbirsi in un livello superiore. Lo scopo della vita è apprendere, dare, essere soddisfatti o contenti, essere lieti, conoscere, condividere e trovare soddisfazione nell’amore e nella gratitudine di un altro, soddisfazione nella propria comprensione, nella propria relativa salute e nell’abilità di creare un ambiente di reciproco stimolo o di farne parte. Fiducia, amicizia, esuberanza, abbandono e gioia sono essenziali per un’esistenza civile, come lo è il senso dell’umorismo.

Siamo capaci di imboccare una nuova direzione lungo le linee della “tecnologia intermedia” per noi stessi e in parti-colare per il terzo mondo, come suggerito da E.R Schumacher nella sua visione del “piccolo è bello”? La

206 LA RIVOLUZIONE DELLA COSCIENZA

direzione che dovremmo prendere è chiara; i mezzi, la conoscenza, anche le mani volenterose, le menti e i cuori ci sono tutti. Cosa manca? Abbiamo bisogno di abbandonare il letargo e le cattive abitudini, la mentalità del capro espiatorio, il pregiudizio. Abbiamo bisogno di un certo grado di costrizione, di una buona dose di ispirazione, e di un rapido riconoscimento della profonda soddisfazione di vedere bambini felici, di avere amici fiduciosi in tutto il mondo, di vincere le paure, di conquistare le gioie convincenti di una vita creativa, le cose nuove da imparare, e l’ebbrezza di poter vedere quanto possiamo ottenere per noi stessi e da noi stessi per gli altri e per il bene comune.

Yehudi Menuhin

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Spiritual Emergency: When Personal Transformation Becomes a Crisis, Tarcher, Los Angeles, 1989, (scritto con Christina Grof)

The Stormy Search far the Self: A Guide to Personal Growth Through Transformational Crises, Tarcher, Los Angeles, 1991 (scritto con Christina Grof)

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