LA RIPARAZIONE PER INGIUSTA DETENZIONE: VERSO UNA … · In particolare, il giudice delle leggi...

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La legislazione penale ISSN: 2421-552X 1 8.11.2017 LA RIPARAZIONE PER INGIUSTA DETENZIONE: VERSO UNA TUTELA SOSTANZIALE DEL DIRITTO ALLA LIBERTÀ PERSONALE * di Paola Spagnolo (Professore associato di diritto processuale penale, Università LUMSA, Roma) SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Brevi cenni “storici”. – 3. La “detenzione” riparabile: i progressivi ampliamenti e le perduranti lacune. – 4. Le ipotesi riparabili. – 4.1. L’ingiustizia sostanziale. – 4.2. L’illegittimità formale. – 5. Le cause di esclusione della riparazione. – 6. Verso una tutela sostanziale di ogni lesione della libertà personale? 1. Le recenti modifiche normative che hanno interessato il sistema processuale inspiegabilmente non si sono occupate di quel rimedio idoneo a compensare, in chiave solidaristica, gli effetti pregiudizievoli patiti dalla vittima di una indebita restrizione della libertà personale. La legge n. 47 dell’aprile 2015, pur rimodulando l’esercizio del potere cautelare, restringendo le ipotesi che consentono l’applicazione della custodia cautelare in carcere, non ha modificato l’art. 314 Cpp, che ancora oggi si presenta nella sua formulazione originaria. Anche l’ultima, ampia modifica normativa si limita a prevedere, nel co. 37 dell’art. 1 l. 23.6.2017 n. 103, che la relazione governativa annuale sulle statistiche relative all’applicazione della misure cautelari debba includere una parte dedicata anche ai dati relativi alle sentenze di riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione, e non incide sui presupposti del diritto al ristoro pecuniario che appaiono ancora quelli delineati nel 1988, nonostante l’art. 314 Cpp sia stato oggetto di plurimi interventi della Corte costituzionale, tanto da apparire oggi come un mero canovaccio nel quale iscrivere le diverse fattispecie riparatorie. L’impressione è che il legislatore non abbia voluto far tesoro dell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale dell’istituto, rimettendo all’interprete il delicato compito di definire i confini di una disciplina “slabbrata”. 2. Fino all’entrata in vigore del codice Vassalli, la questione della possibile riparabilità di una custodia cautelare subita “ingiustamente” era stata relegata al dibattito dottrinario, senza trovare seguito nella giurisprudenza, neanche costituzionale. Il concetto di errore giudiziario, anche dopo la sua consacrazione nell’art. 24 Cost., era rimasto legislativamente confinato all’ipotesi di errore giudiziario in senso stretto, ossia quello accertato tramite la revisione di una sentenza di condanna passata in giudicato 1 . Tuttavia l’esclusione di qualsiasi forma di riparazione in caso di * Il presente scritto costituisce il risultato della ricerca condotta per il progetto «La custodia cautelare in carcere» (finanziato dall’Università Giustino Fortunato di Benevento, responsabile la prof.ssa Katia La Regina) ed è destinato a confluire in un volume collettaneo che raccoglie i contributi di diversi autori.

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LalegislazionepenaleISSN:2421-552X 1 8.11.2017

LA RIPARAZIONE PER INGIUSTA DETENZIONE: VERSO UNA TUTELA SOSTANZIALE DEL DIRITTO ALLA LIBERTÀ PERSONALE*

di Paola Spagnolo (Professore associato di diritto processuale penale, Università LUMSA, Roma)

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Brevi cenni “storici”. – 3. La “detenzione” riparabile: i progressivi

ampliamenti e le perduranti lacune. – 4. Le ipotesi riparabili. – 4.1. L’ingiustizia sostanziale. – 4.2. L’illegittimità formale. – 5. Le cause di esclusione della riparazione. – 6. Verso una tutela sostanziale di ogni lesione della libertà personale?

1. Le recenti modifiche normative che hanno interessato il sistema processuale inspiegabilmente non si sono occupate di quel rimedio idoneo a compensare, in chiave solidaristica, gli effetti pregiudizievoli patiti dalla vittima di una indebita restrizione della libertà personale. La legge n. 47 dell’aprile 2015, pur rimodulando l’esercizio del potere cautelare, restringendo le ipotesi che consentono l’applicazione della custodia cautelare in carcere, non ha modificato l’art. 314 Cpp, che ancora oggi si presenta nella sua formulazione originaria. Anche l’ultima, ampia modifica normativa si limita a prevedere, nel co. 37 dell’art. 1 l. 23.6.2017 n. 103, che la relazione governativa annuale sulle statistiche relative all’applicazione della misure cautelari debba includere una parte dedicata anche ai dati relativi alle sentenze di riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione, e non incide sui presupposti del diritto al ristoro pecuniario che appaiono ancora quelli delineati nel 1988, nonostante l’art. 314 Cpp sia stato oggetto di plurimi interventi della Corte costituzionale, tanto da apparire oggi come un mero canovaccio nel quale iscrivere le diverse fattispecie riparatorie.

L’impressione è che il legislatore non abbia voluto far tesoro dell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale dell’istituto, rimettendo all’interprete il delicato compito di definire i confini di una disciplina “slabbrata”.

2. Fino all’entrata in vigore del codice Vassalli, la questione della possibile

riparabilità di una custodia cautelare subita “ingiustamente” era stata relegata al dibattito dottrinario, senza trovare seguito nella giurisprudenza, neanche costituzionale. Il concetto di errore giudiziario, anche dopo la sua consacrazione nell’art. 24 Cost., era rimasto legislativamente confinato all’ipotesi di errore giudiziario in senso stretto, ossia quello accertato tramite la revisione di una sentenza di condanna passata in giudicato1. Tuttavia l’esclusione di qualsiasi forma di riparazione in caso di

* Il presente scritto costituisce il risultato della ricerca condotta per il progetto «La custodia cautelare in carcere» (finanziato dall’Università Giustino Fortunato di Benevento, responsabile la prof.ssa Katia La Regina) ed è destinato a confluire in un volume collettaneo che raccoglie i contributi di diversi autori.

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detenzione cautelare “erronea” appariva arbitraria alla luce di plurimi riferimenti costituzionali: l’art. 13 Cost., perché è incongruo che non sia riparabile uno dei pochi diritti definito inviolabile dalla Costituzione2 ; l’art. 2 Cost., quale espressione del principio di solidarietà, poiché il rischio dell’errore connesso all’esercizio della funzione giurisdizionale deve essere posto, per quanto possibile, a carico della collettività e non del singolo eventualmente colpito dal provvedimento ingiusto3; l’art. 27 Cost., il quale non tollera che sull’imputato gravi il rischio di subire una limitazione della libertà personale per fini cautelari, ma non il diritto ad una congrua riparazione quando la detenzione sia risultata ingiusta4.

Il tentativo di propugnare una interpretazione estensiva del concetto di errore giudiziario dell’art. 24 Cost., rimase però senza seguito. La Corte costituzionale, infatti, nella sentenza 1/19695, negò questa apertura, pur rimarcando come la Costituzione, all’art. 24 co. 4 Cost., enunci un principio di altissimo valore etico e sociale da riguardare come «coerente sviluppo del più generale principio di tutela dei diritti inviolabili dell’uomo». In particolare, il giudice delle leggi sottolineò l’esigenza di appropriati interventi legislativi per conferire quella concretezza e determinatezza necessaria a dare attuazione al disposto costituzionale, lasciando così intendere che la mancata declaratoria di incostituzionalità non precludesse ulteriori estensioni dell’istituto ad altre e diverse ipotesi6.

Rimaneva quindi affidato al legislatore, di fronte all’atteggiamento sostanzialmente «abdicativo» della Corte costituzionale7, il compito di disciplinare una nuova forma di riparazione, in considerazione della sostanziale equiparabilità della limitazione della libertà personale dovuta a titolo sanzionatorio a quella cautelare.

Il legislatore si era fatto portatore di questa istanza già a partire dal progetto preliminare del 1978, avvalorando in parte l’orientamento espresso dalla Corte costituzionale8; la concretizzazione si è poi avuta con la direttiva n. 100 della l. delega

1 Per una compiuta analisi storica dell’evoluzione della riparazione cfr. M. G. Coppetta, La riparazione per ingiusta detenzione, Padova 1993, 3 ss., e in particolare, quanto all’analisi della disposizione costituzionale, 50 ss.; E. Turco, L’equa riparazione tra errore giudiziario e ingiusta detenzione, Milano 2007, 29 ss.; P.P. Riviello, voce Riparazione per l’ingiusta detenzione, in DigDPen., XII, Torino 1997, 327; E. Zanetti, La riparazione dell’ingiusta custodia cautelare. Aspetti sistematici e questioni applicative, Padova 2002, 1 ss. 2 V. Cavallari, La riparazione degli errori giudiziari secondo l’art. 24, ultimo comma, della Costituzione, in GP 1954, I, 276. Riteneva già inclusa e come tale meritevole di riparazione anche l’ingiusta carcerazione preventiva: F. Cordero, Errore giudiziario e riparazione pecuniaria, in Jus 1963, 294. 3 M. Scaparone, Art. 24 comma 4, in Commentario della Costituzione. Rapporti civili (artt. 24-26), a cura di G. Branca, Bologna-Roma 1981, 129. 4 V. Grevi, Libertà personale e Costituzione, Milano 1976, 62 e 305. 5 C. cost., 24.1.1969 n. 1, in GCos 1969, 1. 6 Cfr. G. Spangher, Riparazione pecuniaria, in ED, XL, Milano 1989, 1016. 7 In questi termini, criticando la pronuncia costituzionale: M. Chiavario, La riparazione delle vittime dell’errore giudiziario in balìa del legislatore ordinario, in GCos 1969, 4. Condivide, invece, la soluzione della Corte, pur sottolineando l’urgente necessità di estendere la riparazione alle forme di ingiusta detenzione: M. Pisani, Carcerazione preventiva ed errore giudiziario, in Id., Libertà personale e processo, Padova 1974, 90. 8 La direttiva, infatti, riferiva di «errore giudiziario o ingiusta detenzione» così mostrando di volere

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81 del 1987 dove si parla di «riparazione dell’ingiusta detenzione e dell’errore giudiziario», in tal modo confermando la volontà di riconoscere una differente natura alle due ipotesi, pur entrambe ricondotte alla riparazione9.

Nonostante non sia ravvisabile una sostanziale differenza tra le ipotesi di “detenzione” ingiusta, essendo irrilevante il titolo per il quale essa sia subita10 , al mantenimento della distinzione tra errore giudiziario e ingiusta detenzione ha forse giovato anche la normativa internazionale. Sia la Convenzione europea dei diritti dell’uomo sia il Patto internazionale dei diritti civili e politici, infatti, assicurano la riparazione in tutte le ipotesi di custodia cautelare disposta contra legem. In particolare, la Convenzione europea, all’art. 5 § 5, riconosce ad ogni persona vittima di arresto o detenzione in violazione di una delle disposizioni dell’art. 5 Cedu il diritto alla riparazione, inserendo invece solo nell’art. 3 del VII Protocollo il diritto alla riparazione per errore giudiziario. Il Patto internazionale, pur optando per una formulazione più ampia – il diritto all’indennizzo, ex art. 9 § 5, spetta infatti a «chiunque sia stato vittima di arresto o detenzione illegali»11 – sancisce la riparazione per errore giudiziario all’art. 14 § 6.

Entrambe le fonti, quindi, mantengono una distinzione tra le due ipotesi, e può essere forse interessante notare, da un lato, l’ampia dizione utilizzata, «arresto o detenzione», come tale idonea a riferirsi a tutte le ipotesi di restrizione della libertà personale e non solo quindi a quelle cautelari, dall’altro, che una causa di esclusione dall’indennizzo, fondata su comportamenti totalmente o parzialmente imputabili alla persona “ingiustamente” detenuta, è prevista solo per l’errore giudiziario, quasi ad indicare che, per le altre ipotesi di detenzione, l’indennizzo sia sempre dovuto, indipendentemente dal comportamento del destinatario della misura, trattandosi pur sempre di ipotesi riconducili a forme di illegittimità ex ante della detenzione12.

Se, da un lato, è innegabile il passo in avanti compiuto con l’introduzione dell’art. 314 Cpp nella protezione dei diritti inviolabili dell’uomo13, dall’altro, dalla previsione

superare le dispute sull’inclusione dell’ingiusta detenzione sotto l’alveo dell’art. 24 Cost. V. al riguardo E. Zanetti, op. cit., 92. 9 Per una critica v. M. G. Coppetta, op. cit., 75. Per un’analisi del dibattito v. anche E. Zanetti, op. cit., 99 e ss. e 111. 10 Vanno riparate, infatti, tutte le ingiustificate limitazioni della libertà personale: M. G. Coppetta, op. cit., 74. 11 Per un’analisi della diversa portata delle due disposizioni internazionali v. M. Chiavario, La Convenzione dei diritti dell’uomo nel sistema delle fonti normative in materia penale, Milano 1969, 55; M. Chiavario, Le garanzie fondamentali del processo nel Patto internazionale sui diritti civili e politici, in RIDPP 1978, 482. 12 M.G. Coppetta, op. cit., 86, per la quale le fattispecie riparatorie delle fonti internazionali sono legate esclusivamente a valutazioni ex ante. Va comunque tenuto presente che la Corte europea ritiene che la “nostra” riparazione per ingiusta detenzione assorba la valutazione dell’illegittimità della custodia: C. eur., 2.10.2002, Pisano c. Italia, e Id., 18.12.2002, N. C. c. Italia. 13 Sottolinea come con l’introduzione dell’art. 314 Cpp sia mutato l’atteggiamento di fondo delle istituzioni pubbliche di fronte all’individuo sottoposto a processo e a incarcerazione cautelare M. Chiavario, Una «carta di libertà» espressione di impegno civile: con qualche sgualcitura (e qualche...patinatura di troppo), in Commento al nuovo codice di procedura penale, III, a cura di M. Chiavario, Torino 1990, 7. Evidenzia come il rimedio dell’ingiusta detenzione sia idoneo ad identificare

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legislativa, eccessivamente restrittiva quanto a ipotesi e presupposti della riparazione, traspare chiaramente la volontà di evitare formulazioni ampie e generiche con il rischio, paventato già in sede di Commissione parlamentare, di una eccessiva dilatazione dell’istituto14.

Rischi simili, però, sono destinati ad essere tollerati quando è in gioco un diritto inviolabile, quale la libertà personale che non ammette ingiustificate differenziazioni tra ipotesi riparabili. È proprio il principio di uguaglianza e ragionevolezza, su cui spesso ha fatto leva la Corte costituzionale, ad imporre la riparazione in ogni caso di detenzione subita in modo obiettivamente ingiusto.

Come si cercherà di mettere in evidenza nelle pagine che seguono, oggi il testo dell’art. 314 Cpp appare una tela incompiuta sulla quale iscrivere le molte ipotesi progressivamente inserite dalla Corte costituzionale e quelle che, considerata l’incidenza della giurisprudenza europea sul sistema interno, sono destinate a dover essere prese in considerazione. Alla stagione delle declaratorie di incostituzionalità è seguita quella delle sentenze interpretative e oggi, complice l’orientamento giurisprudenziale sul ruolo della Convenzione europea, si inizia a registrare un’apertura del giudice di legittimità, talvolta propenso a non intendere come tassativo l’elenco delle ipotesi riparabili dell’art. 314 Cpp. Il momento di svolta può essere individuato nella sentenza costituzionale n. 219 del 2008 che, nel ribadire come il fondamento della riparazione non risieda solo nell’art. 24 Cost., ma anche negli artt. 2 e 13 Cost., conclude che è costituzionalmente doveroso il ristoro indennitario per il fatto obiettivo e incolpevole del pregiudizio arrecato all’imputato da un provvedimento restrittivo della libertà illegittimo e/o ingiusto ex ante o ex post. Il giudice delle leggi ha infatti osservato che l’inviolabilità della libertà personale implica la necessità che legislatore e interprete si orientino verso il riconoscimento del più efficace degli strumenti di tutela a disposizione per fornire ristoro alla lesione del diritto. Si è così determinata una sorta di forza espansiva del diritto alla riparazione: l’art. 314 Cpp, dettando la disciplina concretizzatrice della disposizione di principio dell’art. 24 Cost., ha «configurato un istituto che si presta, quanto alle modalità applicative, ad essere esteso ad ogni ulteriore ipotesi che si rilevasse costituzionalmente imposta»15.

3. L’art. 314 Cpp, nell’indicare la custodia cautelare come unica forma di privazione della libertà personale meritevole di riparazione, mostra di volersi ancorare ad una lettura tecnica del sintagma “ingiusta detenzione” utilizzato dal delegante e nella stessa intitolazione del capo nel quale è racchiusa la disciplina. Poiché si parla di

qualitativamente un determinato modello processuale, di misurarne l’indice di civiltà giuridica: K. Mambrucchi, Incostituzionale l’omessa previsione dell’obbligo di notificare il provvedimento di archiviazione (a proposito della riparazione per ingiusta detenzione), in GCos 1997, 3952. 14 E. Zanetti, op. cit., 118. 15 C. cost., 20.6.2008 n.219. V. il commento di M. G. Coppetta, Riparazione per ingiusta detenzione: una declaratoria di incostituzionalità dirompente?, in GCos 2008, 2476.

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«detenzione» e la relativa disciplina è inclusa nel libro IV del codice, si è ritenuto che solo le misure custodiali meritino di essere considerate16.

Nella nozione di “custodia cautelare”, quindi, vanno sicuramente incluse, oltre all’ipotesi base della custodia cautelare in carcere, anche la misura custodiale in casa di cura, prevista dall’art. 286 co. 1 Cpp e quella negli istituti a custodia attenuata, ex art. 285-bis Cpp, in quanto si tratta di mere forme di esecuzione dell’unica misura custodiale. Anche gli arresti domiciliari, espressamente equiparati dal legislatore alla custodia cautelare in carcere ex art. 284 co. 5 Cpp, costituiscono una forma di restrizione della libertà personale riparabile, e ciò ovviamente a prescindere dal luogo di esecuzione degli stessi (sia esso l’abitazione, un altro luogo di privata dimora, la casa familiare, la casa di cura, la residenza, ecc.).

Tra le “custodie” riparabili dovrebbero rientrare anche le misure del collocamento in comunità e della permanenza in casa previste nel procedimento a carico di minori, da considerare, solo a questi fini, limitazioni della libertà personale equivalenti alla custodia cautelare17.

Inoltre, ai sensi dell’art. 313 co. 3 Cpp, è riparabile l’ingiusto internamento, dovuto all’applicazione provvisoria di misure di sicurezza18.

Se si presta attenzione solo al testo dell’art. 314 Cpp, appare chiaro che quelle indicate sono le uniche ipotesi di “detenzione” riparabile, eppure è innegabile che queste non esauriscano tutte le ipotesi di “detenzione ingiusta” evocate dalla legge delega e dalla stessa intitolazione del capo VIII del libro IV. Molteplici infatti sono le offese arrecate alla libertà personale che meritano riparazione ed ogni differenziazione basata sul titolo della detenzione, sulla durata della restrizione, sull’autorità dalla quale la restrizione provenga o sulle “ragioni” dell’ingiustizia, appare arbitraria e discriminatoria19, nonché potenzialmente contrastante con l’art. 5 Cedu, che parla genericamente di «ogni arresto o detenzione»20.

16 A. Montaldi, sub art. 314 Cpp, in Commento al nuovo codice di procedura penale, cit., 310, che evidenzia come la delimitazione dell’ambito di riparabilità alle sole misure cautelari detentive sia in linea con la direttiva, pur sottolineando come l’esclusione delle c.d. pre-cautele non appaia del tutto giustificata; diversamente A. Balsamo, Riparazione per ingiusta detenzione, in Misure cautelari. Trattato di procedura penale, a cura di A. Scalfati, Torino 2009, II, 660, secondo il quale il concetto di ingiusta detenzione sarebbe in qualche misura atecnico ma fortemente evocativo. 17 Cass. 13.10.2011, n. 45660, in CEDCass, m. 251926, con riferimento alla permanenza in casa. Sulla stessa linea: M. G. Coppetta, La riparazione per ingiusta detenzione, cit., 162; P. P. Riviello, op. cit., 335; E. Turco, L’equa riparazione, cit., 163; E. Zanetti, op. cit., 176. V. però, per la non completa equiparabilità delle misure minorili della permanenza in casa e del collocamento in comunità alle misure custodiali in senso tecnico, le osservazioni di K. La Regina, Le misure cautelari minorili, in P. Bronzo – K. La Regina – P. Spagnolo, Il pluralismo delle misure cautelari personali, Milano 2017, 219 e ss. 18 Per la riparabilità delle misure di sicurezza detentiva, Cass. 1.4.2015, n. 23726, inedita; con riferimento al ricovero in casa di cura, Cass. 6.2.2013 n. 11086, in CEDCass, m. 254938. Cfr. A. Macrillò, Misure di sicurezza detentive e diritto alla riparazione ex art. 314 c.p.p., in DPP 2009, 1507, con riguardo anche alla misura di sicurezza definitivamente applicata. 19 Cfr. C. cost. 2.4.1999 n. 109. 20 A. Balsamo, op. cit., 661.

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A colmare le evidenti lacune è intervenuta la giurisprudenza costituzionale che, progressivamente, ha eliminato le più vistose carenze di una disciplina ingiustificatamente “differenziata”.

Così, «offende la libertà della persona in misura non minore della detenzione cautelare ingiusta»21 e merita pertanto una riparazione, una detenzione conseguente ad un ordine di carcerazione erroneo o illegittimo, nonché quello ab origine legittimo, ma che, per un fatto sopravvenuto alla sua emissione, andava revocato22.

Non sembrerebbe, invece, sorgere il diritto alla riparazione nei casi di detenzione sofferta per un (legittimo) ordine di esecuzione, la cui sospensione, richiesta in vista del conseguimento di una misura alternativa, sia stata disposta tardivamente. In questi casi, infatti, il periodo di detenzione subito in attesa della sospensione verrà comunque computato ex art. 314 co. 4 Cpp23 e non può quindi considerarsi “ingiusto”. Ancora, non saranno riparabili, in quanto non comportano una “ingiustizia”, neanche le fattispecie di irregolarità dell’ordine per difetto delle formalità prescritte dall’art. 656 co. 3 Cpp.

Invece, considerata l’equipollenza, dal punto di vista contenutistico, tra le misure precautelari e la custodia cautelare in carcere24, devono essere riparabili tutte le ipotesi di arresto o fermo che risultino ex post ingiuste o ex ante illegittime, indipendentemente dalle sorti della misura cautelare eventualmente adottata 25 . Potrebbe residuare qualche dubbio sulla riparabilità della restrizione nei casi di immediata liberazione del soggetto ex art. 386 Cpp, poiché la giurisprudenza non riconosce la possibilità di investire il giudice per far dichiarare l’illegittimità dell’arresto o del fermo26. Tuttavia anche se in questi casi la limitazione della libertà personale potrebbe essere circoscritta a poche ore (comunque inferiori alle 48), un sistema che sancisce l’inviolabilità della libertà personale dovrebbe prevedere la riparazione per ogni minima lesione di questo diritto.

Irragionevole, infine, è stata ritenuta anche la mancata previsione di una riparazione nelle ipotesi di detenzione subita in seguito ad arresto provvisorio e applicazione provvisoria di una misura cautelare su domanda dello Stato estero, che poi si accerti carente di giurisdizione, sia perché, in caso di procedura attiva, questo 21 Cfr. C. cost., ord. 18.7.1996 n. 310, con riferimento all’ordine di esecuzione adottato, nel caso di specie, sulla errata premessa che la sentenza di condanna fosse divenuta definitiva. Il dispositivo adottato dalla Corte appare piuttosto ampio, tuttavia in dottrina si sono indicate come ipotesi riconducibili all’erroneità dell’ordine di carcerazione: a) il titolo inesistente materialmente o giuridicamente; b) il titolo che non consente l’esecuzione di una pena detentiva (come nel caso di pena dichiarata estinta); c) titolo non esecutivo o solo apparentemente esecutivo: E. Turco, op. cit., 200; A. Balsamo, op. cit., 663. 22 C. cost., 10.7.2003 n. 284, con riferimento ad una condanna pronunciata all’estero. 23 V. al riguardo le considerazioni di B. Lavarini, Ordine di esecuzione erroneo e detenzione ingiusta, in RIDPP 1998, 838; L. Scomparin, sub art. 314 Cpp, in Commento al nuovo codice di procedura penale, III Agg., Torino 1998, 405 e ss; E. Turco, op. cit., 207. In giurisprudenza: Cass. 19.11.2002, Pierloni, in CEDCass, m. 223070. 24 Evidenziavano da tempo la necessità di includere le misure precautelari tra quelle riparabili, tra gli altri: A. Montaldi, op. cit., 312-313; M. G. Coppetta, op. ult. cit., 167. 25 Cfr. C. cost. n. 109/1999, cit. 26 V. al riguardo D. Potetti, La procedura di convalida dell’arresto è dovuta anche nei casi di liberazione, in CP 2012, 166.

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diritto è espressamente riconosciuto dall’art. 722 Cpp, sia perché, in materia di estradizione, devono applicarsi le disposizioni del codice di rito, ivi compresa l’ingiusta detenzione27. Analoghe considerazioni devono, mutatis mutandis, valere per le misure disposte ai sensi dell’art. 9 l. 22.4.2005 n. 69, in esecuzione di un mandato d’arresto europeo28.

L’uso del termine custodia e il riferimento alla detenzione escludono la riparazione delle altre misure cautelari personali, coercitive od interdittive29, o reali. L’esclusione è stata ritenuta ingiustificata, condivisibilmente, soprattutto ove si consideri che la disciplina dell’errore giudiziario accertato a seguito di revisione è ben più ampia, estendendosi ad ogni specie di pena, anche accessoria, subita in conseguenza di una condanna ingiusta30. Ancora, se si tiene conto del notevole impatto che queste misure possono avere nella sfera del soggetto, anche in quella patrimoniale, si comprende che la scelta del legislatore si spiega essenzialmente in un’ottica di politica legislativa volta a ridurre il più possibile l’impatto economico dell’istituto sulle casse dello Stato; nessuna ragione di ordine logico, infatti, può portare ad escludere in via di principio che il diritto alla riparazione debba sussistere ogniqualvolta un provvedimento non dovuto dell’autorità giudiziaria abbia indebitamente inciso, in senso sfavorevole, sulla sfera dei diritti e delle libertà personali31. Perlomeno nelle ipotesi di obbligo di dimora aggravato, che talvolta la Corte europea ha ritenuto vere e proprie restrizioni della libertà personale32, andrebbe riconosciuto il diritto alla riparazione, potendosi sul quantum operare le dovute differenziazioni con le misure custodiali in senso tecnico33.

27 In questi casi gli estremi dell’ingiusta detenzione dovranno essere valutati se risulta ex post accertata l’insussistenza delle specifiche condizioni di applicabilità delle misure coercitive, per tali soggetti individuate a norma dell’art. 714 co. 3 Cpp, nelle condizioni per una sentenza favorevole all’estradizione, ivi compresa, quindi, la giurisdizione: C. cost. 231/2004. 28 In questo senso anche A. Bellucci, Ingiusta detenzione (riparazione per la), in DigDPen., Agg. V, Torino 2010, 472. 29 Cfr. G. Spangher, La “vittima del processo” per ingiusta e illegale detenzione, in La vittima del processo. I danni da attività processuale penale, a cura di G. Spangher, Torino 2017, 191. In giurisprudenza Cass. 16.5. 2014, n. 42839, in CEDCass, m. 260761, che, disconoscendo l’interesse ad impugnare la misura interdittiva nel frattempo revocata, sottolinea come non sia possibile richiedere la riparazione per le misure interdittive. 30 A. Montaldi, op. cit., 312. 31 In questi termini: L. Scomparin, La riparazione per ingiusta detenzione, in Libertà e cautele nel processo penale. Giurisprudenza sistematica di diritto processuale penale, a cura di M. Chiavario, Torino 1996, 407. Il tema è stato di recente ripreso da M. Balsamo, La riparazione per il danno da ingiuste misure cautelari (personali e reali) nella prospettiva europea, in La vittima del processo, cit., 169, e da F. Galluzzo, Il danno da misura cautelare reale, ivi, 207. 32 Cfr. C. eur., 6.11.1980, Guzzardi c. Italia, e C. eur. GC, 23.2.2017, De Tommaso c. Italia, pur con riferimento alle misure di prevenzione. 33 Cfr. P. Spagnolo, Le “tradizionali” misure prescrittive, in P. Bronzo – K. La Regina – P. Spagnolo, Il pluralismo delle misure cautelari personali, cit., 51 e ss. Esclude la possibilità di un indennizzo per la misura dell’obbligo di dimora, in quanto ritenuta misura cautelare non afflittiva, Cass. 19.3.2016, n. 22444, in CP 2016, 2557. Condividono la tesi esposta nel testo: P. P. Riviello, op. cit., 335, che critica anche l’esclusione delle misure interdittive; E. Turco, op. cit., 164; A. Montaldi, op. cit., 312; M. G. Coppetta, op. ult. cit., 164. Per la necessità di considerare l’obbligo di dimora aggravato almeno ai fini dello scomputo della pena v. già M. Chiavario, Variazioni sul tema delle «misure coercitive» nel processo

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4. Il legislatore ha inserito due diverse ipotesi di detenzione riparabile. L’una

definibile di ingiustizia sostanziale (o ingiustizia tout court), l’altra di ingiustizia formale o, meglio, di illegittimità formale34.

Le due ipotesi hanno presupposti diversi e si riferiscono a situazioni differenti, l’una basandosi su valutazioni ex post della vicenda processuale, l’altra su valutazioni ex ante. Il primo caso riguarda tutte le ipotesi di privazione della libertà personale imposta legittimamente ma risultante, ex post, non dovuta in ragione di un accertamento definitivo circa l’estraneità dell’imputato ai fatti contestatigli; il secondo, che prescinde dall’esito del procedimento, attiene alle ipotesi in cui risulti accertato con provvedimento irrevocabile che la misura sia stata adottata o mantenuta in assenza delle condizioni dettate dagli artt. 273 e 280 Cpp.

Prima di affrontare nello specifico le due ipotesi, evidenziando lacune e criticità, appare opportuno soffermarsi su un aspetto comune. Il diritto sorge quando la situazione che legittima la riparazione sia consacrata in un provvedimento definitivo. Quando si tratta di ingiustizia sostanziale, quindi, occorre che la sentenza dalla quale risulti sancita l’ingiustizia della detenzione patita dall’imputato sia passata in giudicato; nel caso di illegittimità formale, il riferimento è alla decisione irrevocabile che potrà essere sia la sentenza definitiva 35 , sia il provvedimento terminale del procedimento cautelare, impugnato o non più impugnabile36.

La necessità di un provvedimento definitivo che accerti la sussistenza del diritto alla riparazione vale, ovviamente, anche per le nuove ipotesi introdotte dalla Corte costituzionale. Così, quanto all’ordine di carcerazione, l’erroneità o l’illegittimità deve

penale tra nuovo codice e «legge anticipatrice», in GP 1989, III, 4 e, in giurisprudenza, seppur isolata, Cass. 19.1.2012, Bonaccorsi, in CEDCass, m. 251861. 34 La summa divisio – ingiustizia sostanziale ingiustizia formale – risale alla Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, in GU 24 ottobre 1988, n. 250, Serie generale, Supplemento ordinario, n. 2, 78-79. La divisione riportata nel testo, che preferisce parlare di ingiustizia tout court e di illegittimità si deve a M. Chiavario, Diritto processuale penale, Torino 2014, 875. 35 Implicitamente riconoscono che la fonte possa essere la sentenza definitiva: C. cost., 8.7.2004 n. 230; Cass. SU, 12.10.1993, Durante, in CEDCass, m. 195355. In dottrina E. Turco, op. cit., 178-181, la quale sottolinea che in questi casi la sentenza conclusiva deve accertare l’illegittimità ab origine della misura cautelare. In senso contrario, per l’inidoneità della pronuncia di merito a costituire decisione idonea a fondare il diritto alla riparazione: Cass. 3.12.2008, n. 2660, in CEDCass, m. 242504; M. G. Coppetta, op. ult. cit., 152. 36 Il riferimento è sia alle ordinanze emesse in sede di riesame o di appello non impugnate, sia alla decisione della corte di cassazione, sia all’ordinanza di revoca, anche non impugnata, per difetto delle condizioni di cui agli artt. 273 e 280 Cpp. In particolare, diverse pronunce delle Sezioni unite hanno riconosciuto la persistenza dell’interesse ad impugnare, anche dopo la revoca della misura cautelare, nella prospettiva dell’indagato di ottenere la riparazione per ingiusta detenzione, allorché l’oggetto del riesame sia la contestazione dei gravi indizi di colpevolezza, la cui accertata insussistenza è alla base del diritto alla riparazione: Cass. SU 28.7.1994, Buffa, in CEDCass, m. 198214; Cass. SU 13.7.1998, Gallieri, in ivi, m. 211194; Cass. SU 28.3.2006, n. 26795, Prisco, ivi, m. 234268. In dottrina M. Ceresa Gastaldo, Sulla persistenza dell’interesse all’impugnazione dei provvedimenti cautelari revocati, in RIDPP 1994, 1166. V. anche, per una necessaria deduzione della questione dell’interesse, Cass. SU, 16.12.2010, Testini, in CEDCass, m. 249002.

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essere accertata con decisione irrevocabile37. Anche nel caso di arresto in flagranza e di fermo, l’ingiustizia sarà evidenziata dalla sentenza definitiva, mentre in caso di illegittimità il soggetto dovrà procurarsi il provvedimento conclusivo, ossia la decisione della Corte di cassazione sul ricorso avverso l’ordinanza di convalida38.

Ancora, dovrà essere definitivo il provvedimento che abbia accertato l’ingiustizia della detenzione subita su richiesta dello Stato estero39.

Nelle ipotesi prese in considerazione dal terzo comma dell’art. 314 Cpp, ossia nei casi di pronuncia della sentenza di non luogo a procedere e del provvedimento di archiviazione, il diritto sorge nel momento in cui questi provvedimenti (insuscettibili di passare in giudicato), acquisiscono definitività, in quanto non impugnati. Al riconoscimento di questo diritto non è di ostacolo la considerazione che entrambi i provvedimenti danno vita ad una mera preclusione – essendo l’uno suscettibile di revoca e l’altro di riapertura – in quanto se il procedimento per la riparazione è ancora in corso quando si verificano le ipotesi ora richiamate, lo stesso deve essere sospeso fino alla definizione del procedimento penale, mentre qualora la somma sia stata già erogata, si potrà procedere alla ripetizione dell’indebito40.

4.1. Le ipotesi di ingiustizia sostanziale, come anticipato, sono individuate sulla base delle risultanze acquisite a posteriori, rispetto all’emissione dell’ordinanza che applica la custodia cautelare. Il diritto alla riparazione spetta infatti a colui che, dopo aver subito una restrizione della libertà personale, sia stato assolto con sentenza irrevocabile con una delle formule indicate dal legislatore.

Le formule proscioglitive richiamate evidenziano la volontà di rendere riparabili unicamente le decisioni particolarmente qualificate nel senso dell’innocenza. Sono state così selezionate accanto alle tradizionali formule in facto (il fatto non sussiste, l’imputato non lo ha commesso) quelle in iure (il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato) che, benché possano lasciar sussistere profili di responsabilità civilistica, sono comunque espressive dell’insussistenza dei presupposti, attinenti al fatto e alla responsabilità del suo autore, che legittimano l’esercizio della pretesa punitiva41. Il richiamo alle formule proscioglitive e non al disposto del comma 37 L. Scomparin, sub art. 314 Cpp, cit., 415. 38 Secondo la giurisprudenza l’interesse dell'indagato a ricorrere per cassazione contro il provvedimento di convalida dell'arresto, al quale non sia seguita l'applicazione di una misura cautelare, non può presumersi, avendo l'interessato l'onere di manifestare, in termini positivi e univoci, la sua intenzione di servirsi della pronuncia richiesta per proporre l'azione di riparazione per l'ingiusta detenzione: Cass. 31.1.2017, n. 9167, in CEDCass, m. 269038. 39 A questo proposito si è affermato che l’intervenuta consegna allo Stato richiedente comporta l’inammissibilità, per sopraggiunta carenza di interesse, dell’impugnazione proposta dalla persona reclamata avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di revoca o di inefficacia della misura cautelare disposta a suo carico nel corso del procedimento estradizionale, perché in questo caso non sorge il diritto alla riparazione: Cass. SU, 27.10.2011, Marinaj, in CEDCass, m. 251691. 40 C. cost., 20.5.1992 n. 248, con riferimento alla sentenza di non luogo a procedere. V. anche E. Zanetti, op. cit., 145. 41 A. Montaldi, sub art. 314 Cpp, cit., 314; M. G. Coppetta, op. ult. cit., 134, che evidenzia come le formule in iure non presentino un collegamento con il concetto di innocenza; E. Turco, op. cit., 124; E. Zanetti, op. cit., 129.

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1 dell’art. 530 Cpp se, da un lato, esclude la riparabilità della “detenzione” in caso di assoluzione per difetto di imputabilità 42 o per la presenza di una causa di non punibilità43, tutte formule che presuppongono la commissione di un fatto “colpevole”, o per i casi di estinzione del reato e di difetto di una condizione di procedibilità44, dall’altro, sancisce l’irrilevanza delle regole di giudizio impiegate nella sentenza: non rileva, ai fini del riconoscimento della sussistenza del diritto alla riparazione, il fatto che la decisione sia frutto della prova positiva dell’innocenza o della mancanza di prova o della prova insufficiente o contraddittoria45.

Come si è anticipato, il diritto alla riparazione spetta anche nei casi dei provvedimenti liberatori della sentenza di non luogo a procedere e dell’archiviazione, «alle medesime condizioni» indicate nel comma 1 dell’art. 314 Cpp. Sembra quindi evocarsi una simmetria tra le formule terminative del dibattimento e quelle delle fasi precedenti. Al riguardo, non sorgono particolari problemi nel caso di sentenza di non luogo a procedere, essendo per lo più sovrapponibili le formule terminative dell’art. 425 Cpp a quelle indicate nell’art. 530 Cpp46. Qualche dubbio, invece, potrebbe porsi rispetto al provvedimento di archiviazione, il quale può fondarsi sia sulle ragioni in iure richiamate dall’art. 411 Cpp, e non incluse nell’art. 530 Cpp, sia sulla infondatezza della notizia di reato ex art. 408 Cpp, che corrisponde ad una vasta gamma di ipotesi “proscioglitive”, riferendosi a tutti i casi in cui gli elementi acquisiti non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio (art. 125 disp. att.). Il richiamo «alle medesime condizioni» sembrerebbe imporre una analisi della motivazione del provvedimento di archiviazione per verificare la “corrispondenza” nelle formule al fine di riconoscere l’indennizzo47.

42 Cass. 26.2. 2003, Min. Econ. In c. Ierna, in GP 2003, III, 583. In senso contrario F. M. Molinari, Considerazioni in tema di riparazione per ingiusta detenzione, in RIDPP 1996, 985; A. Montaldi, op. cit., 315. V. anche E. Zanetti, op. cit., 134. 43 Diversamente A. Montaldi, op. cit., 314, che include le cause di non punibilità ed esclude il difetto di imputabilità. 44 V. anche E. Turco, op. cit., 126 e ss., che giustifica l’esclusione sulla scorta della considerazione che in entrambi i casi manca un accertamento di merito quale quello segnato dalla dicotomia innocenza/colpevolezza; sulla stessa linea E. Zanetti, op. cit., 132 e ss. 45 Nello stesso senso E. Turco, op. cit., 125; P. P. Riviello, Riparazione, cit., 337; E. Zanetti, op. cit., 130. Cfr. M. Chiavario, La presunzione di innocenza nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in GI 2000, 1092, che avverte come dalla giurisprudenza europea provenga un monito contro eventuali propensioni giurisprudenziali che venissero ad attribuire un qualche ruolo, ai fini dell’entità dell’indennizzo, alle modulazioni in parte motiva dell’assoluzione, ad esempio attribuendo un indennizzo ridotto perché permane il dubbio. Per l’irrilevanza delle regole di giudizio: Cass. 12.4.2000, n. 2365, in CP 2001, 1580; Cass. 18.12.1993 n. 1573, in GI 1994, II, 726. In senso contrario, per l’affermazione che l’assoluzione ex art. 530 co. 2 Cpp obbliga il giudice a verificare se la situazione di dubbio, che di per sé non esclude il diritto alla riparazione, sia stata determinata una condotta gravemente colposa o dolosa: Cass. 18.12.1993, Bugarelli, in CEDCass, m. 197917. 46 V. al riguardo C. cost. n. 248/1992, cit. 47 M. Chiavario, La riforma del processo penale. Appunti sul nuovo codice, Torino 1990, 185; v. anche E. Turco, op. cit., 189 e ss., secondo la quale un’analisi della motivazione del provvedimento di archiviazione potrebbe risultare pericolosa e foriera di interventi arbitrari e discriminatori, concludendo per l’opportunità di una specificazione legislativa delle ipotesi di archiviazione. V. anche E. Zanetti, op. cit., 142, secondo la quale dovrebbe prescindersi dalle ipotesi di archiviazione

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Questa continua ricerca di una corrispondenza tra il provvedimento conclusivo del procedimento e le formule indicate nell’art. 314 Cpp restringe notevolmente l’ambito del “riparabile”, lasciando fuori ipotesi di detenzione sostanzialmente ingiusta che meriterebbero di essere indennizzate.

Ad incrinare questo nesso tra riparazione e sentenza di assoluzione 48 ha contribuito la già citata sentenza della Corte costituzionale n. 218 del 2008, che, pur con un dictum per certi versi «sibillino»49, ha aperto la strada alla riparazione anche in ipotesi di condanna. Investita della questione di legittimità costituzionale dell’art. 314 Cpp, in relazione agli artt. 2, 3 e 13 Cost., la Corte ne ha dichiarato l’illegittimità «nella parte in cui nell’ipotesi di detenzione cautelare sofferta, condiziona in ogni caso il diritto alla riparazione al proscioglimento nel merito dalle imputazioni, secondo quanto precisato in motivazione», ossia quando la pena definitivamente inflitta all’imputato risulti inferiore al periodo di custodia cautelare sofferto. Il clou della pronuncia sta nell’aver assimilato la posizione di colui che sia stato prosciolto nel merito dall’imputazione penale a quella di chi sia stato invece condannato ad una pena inferiore alla custodia cautelare sofferta, poiché «in entrambi i casi l’imputato ha subito una restrizione del proprio diritto inviolabile. In entrambi i casi, pertanto, ricorre l’obbligo costituzionale di indennizzare il pregiudizio». In seguito a questa pronuncia, la ratio della riparazione per ingiustizia sostanziale non riposa più sulla discrasia tra sottoposizione a custodia e successivo riconoscimento dell’innocenza dell’imputato, ma nell’impossibilità di giustificare oggettivamente ex post l’applicazione o la durata della misura cautelare sulla base del complesso delle statuizioni contenute nella sentenza conclusiva del procedimento50. Così, come poi riconosciuto dalle Sezioni unite, il diritto alla riparazione spetta quando la durata della custodia cautelare risulti superiore alla misura della pena inflitta con la sentenza di primo grado, anche quando a questa abbia fatto seguito una sentenza di appello dichiarativa della estinzione del reato per prescrizione, pur sottolineando che, ai fini della quantificazione dell'indennizzo, non si deve tenere conto della parte di detenzione cautelare patita che corrisponda alla condanna inflitta in primo grado51. riconoscendo sempre il diritto all’indennizzo. In giurisprudenza Cass. 10.7.2013, n. 38167, in CEDCass, m. 256207, ha riconosciuto che debbano valere solo le formule indicate nell’art. 314 Cpp escludendo il diritto alla riparazione nel caso di archiviazione per prescrizione del reato; nello stesso senso, Cass. 1.10.1998, n. 2692, in CP 2000, 978; per l’affermazione, invece, della rilevanza di tutte le formule dell’archiviazione, ivi comprese quelle indicate nell’art. 411 Cpp: Cass. 18.12.1993, Fazari, in GP 1995, III, p. 65; Cass. 12.1.2006, Di Munno ed altro, in CEDCass, m. 233408. 48 A. Balsamo, La riparazione, cit., 649. 49 M. G. Coppetta, Riparazione per ingiusta detenzione: una declaratoria di incostituzionalità dirompente?, cit., 2485. 50 A. Balsamo, La riparazione, cit., 650. 51 Cass. SU, 30.10.2008, Pellegrino, in CEDCass, m. 241855. Successivamente, si è ritenuto non configurabile il diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione in caso di estinzione del reato per prescrizione del reato, a meno che la durata della custodia cautelare sofferta risulti superiore alla misura della pena astrattamente irrogabile, o a quella in concreto inflitta nei precedenti gradi di giudizio, ma solo per la parte di detenzione subita in eccedenza, ovvero quando risulti accertata in astratto la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell'ingiustizia formale della privazione della libertà personale: Cass. 9.10.2014, n. 2451, in CEDCass, m. 262396, fattispecie in cui è stata esclusa

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In questa prospettiva restano fuori dall’ambito dell’indennizzo le fattispecie nelle quali la mancata corrispondenza tra detenzione cautelare e pena eseguita o eseguibile – se diversa da quella inflitta – consegua a vicende posteriori connesse al reato o alla pena, come ad esempio il sopraggiungere di cause estintive quali l’amnistia o l’indulto52.

Va comunque evidenziato che se la distinzione tra prosciolto e condannato può risultare irrilevante ai fini dell’an debeatur, essa inciderà invece sulla determinazione del quantum debeatur. La liquidazione dell’indennizzo, che va determinata conciliando il criterio aritmetico con quello equitativo, infatti, deve tenere conto che il grado di sofferenza cui è esposto chi, innocente, subisca la detenzione è di norma maggiore rispetto a quello di chi, colpevole, sia ristretto per un periodo eccessivo rispetto alla pena inflitta. Ne consegue che se è vero, in linea di principio, che il diritto dell'innocente è da valutare in maniera privilegiata rispetto a quello del colpevole, è altresì vero che tale conclusione non possa avere carattere assoluto, essendo compito del giudice di merito considerare la peculiarità della situazione, adeguando la liquidazione alla specificità della fattispecie e motivando in modo puntuale sulla sua entità53.

L’approdo interpretativo consente di risolvere una questione piuttosto controversa, molto frequente nella prassi, ma non espressamente regolata: il provvedimento restrittivo fondato su una pluralità di imputazioni, per una parte soltanto delle quali venga poi pronunciata una sentenza riconducibile alla previsione dell’art. 314 co. 1 Cpp.

Così, mentre parte della giurisprudenza ritiene che, ove il provvedimento restrittivo della libertà sia fondato su più contestazioni, il proscioglimento con formula non di merito anche da una sola di queste – sempreché autonomamente idonea a legittimare la compressione della libertà – «impedisce il sorgere del diritto, irrilevante risultando il pieno proscioglimento dalle altre imputazioni»54, altra parte afferma che la riparazione per ingiusta detenzione non è di per sé esclusa, ma soggetta alle limitazioni derivanti dall'art. 314 co. 4 Cpp in relazione all'art. 657 Cpp55.

la configurabilità del diritto all'indennizzo nell'ipotesi di contestazione di una pluralità di reati dichiarati estinti per prescrizione in grado di appello, in relazione ai quali erano stati applicati gli arresti domiciliari e successivamente, per uno soltanto di essi, era stata disposta l'archiviazione per prescrizione del reato all'esito della trasmissione degli atti al P.M.; Cass. 15.10.2013, Caturano, in CEDCass, m. 258086; Cass. 25.6.2008, Latella, ivi, m. 241964. 52 E ciò nonostante la condanna, per lesione dell’art. 5 Cedu, pronunciata dalla Corte europea: C. eur., 18.12.2003, Pilla c. Italia. 53 Cass. SU 30 .10.2008, n. 4187, Pellegrino, in CEDCass, m. 241856. 54 Cass. 16.10.2013, n. 5621, in CEDCass, m. 258607, fattispecie in cui la Corte ha rigettato il ricorso, giacché l'interessato, pur assolto nel merito da alcune imputazioni, era stato prosciolto per prescrizione da altra imputazione, costituente, anche per sé sola, titolo legittimante l'emissione o il mantenimento del provvedimento cautelare. 55 Cass. 8.10.2013, n. 4071, in CEDCass, m. 258214, fattispecie relativa a proscioglimento per prescrizione dal reato di associazione per delinquere - idoneo a giustificare la durata della detenzione sofferta - e ad assoluzione per non aver commesso il fatto da quelli di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale.

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In realtà, alla luce degli ultimi sviluppi giurisprudenziali, dovrebbe ritenersi che il diritto alla riparazione possa essere escluso solo se le statuizioni della sentenza relative alle ulteriori imputazioni risultino idonee, autonomamente, a legittimare per intero la compressione della libertà effettivamente sofferta; in caso contrario, va riparato il pregiudizio corrispondente al periodo di indebito mantenimento della custodia, ottenuto sottraendo dal tempo complessivo della misura cautelare quello riferibile al reato che, con una valutazione a posteriori, la giustifica in parte56.

Le due pronunce dei superiori organi della nostra giurisdizione sembrano destinate ad aprire la strada alla riparazione anche delle altre ipotesi di proscioglimento57; appare oggi infatti poco giustificabile il mancato ristoro di tutte quelle detenzioni cautelari che non sono seguite da una pena eseguibile: se ha diritto ad una riparazione colui che, condannato, abbia subito una custodia più lunga della pena in concreto applicata, perché questo diritto non deve essere riconosciuto al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato ad una pena condizionalmente sospesa, a colui cioè che non sconterà alcuna pena?58.

4.2. Le ipotesi di illegittimità formale si riscontrano quando, con decisone irrevocabile, risulta accertato che il provvedimento applicativo della misura custodiale è stato emesso o mantenuto in assenza delle condizioni previste dagli artt. 273 e 280 Cpp. Ciò che rileva, quindi, è l’illegittimità dell’adozione o del mantenimento della misura, a causa dell’assenza dei gravi indizi di colpevolezza (273 co. 1), o della presenza di cause di giustificazione o di non punibilità ovvero di estinzione del reato o della pena (art. 273 co. 2) o ancora la violazione dei limiti di pena stabiliti dall’art. 280 Cpp.

Restano fuori sia le ipotesi di carenza delle esigenze cautelari, sia la violazione dei criteri di proporzionalità ed adeguatezza dell’art. 275 Cpp. La ratio di questa delimitazione è stata individuata nell’esigenza di disancorare il diritto alla riparazione dal sindacato sulla sussistenza di quelle condizioni di applicabilità della misura che, per loro natura, maggiormente involgono il libero apprezzamento del giudice59. La giustificazione non appare pienamente convincente sia perché, a rigore, si sarebbe dovuto escludere pure il richiamo all’art. 273 Cpp, in quanto anche la valutazione in ordine alla sussistenza o no dei gravi indizi di colpevolezza implica pur sempre un margine di discrezionalità, sia perché ad evitare la riparazione, qualora la custodia preventiva risultasse basata su presupposti semplicemente opinabili, sarebbe stato sufficiente fissare una «soglia» rappresentata ad esempio dalla «palese insussistenza» delle esigenze cautelari60. 56 In questo senso A. Balsamo, Riparazione, cit., 652. 57 Per un commento alle due pronunce, con conclusioni diverse da quelle propugnate nel testo, P. Bartolo, “Perché il reo non si salvi, il giusto pèra e l’innocente”: la riparazione per ingiusta detenzione nei procedimenti complessi e la misura sofferta per “altro” reato, in CP 2011, 2454. V. anche M. G. Coppetta, Riparazione per ingiusta detenzione: una declaratorio di incostituzionalità dirompente?, cit., 2486. 58 Per questa conclusione, v. anche A. Balsamo, Riparazione, cit., 651. 59 A. Montaldi, op. cit., 316. 60 Per queste considerazioni P. P. Riviello, op. cit., 338; v. anche M. G. Coppetta, La riparazione, cit., 136; E. Zanetti, op. cit., 150. Cfr. M. Chiavario, La riforma, cit., 184, il quale, pur ribadendo che il mancato richiamo da parte dell'art. 314 co. 2 Cpp all’art. 274 Cpp è dovuto alla «volontà di non lasciare che un

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Poiché le ipotesi di riparazione vengono qui ricondotte, per lo più, ad una valutazione ex ante, gran parte della giurisprudenza ritiene che si possa prescindere dal concreto epilogo della vicenda giudiziaria e che debbano essere considerati solo gli elementi disponibili al momento dell’adozione della misura. Ciò significa che una derubricazione, avvenuta al di fuori del procedimento incidentale cautelare, e cioè nel giudizio di merito, non sarebbe idonea a determinare il diritto alla riparazione61; il diritto sorge solo se, a seguito di tale derubricazione, la custodia cautelare sia illegittimamente mantenuta e solo per la parte di detenzione subita in eccedenza62. Analogamente, per il caso di un procedimento conclusosi con sentenza di proscioglimento per difetto di querela, accertata all’esito del giudizio di merito, non sussisterebbe il diritto alla riparazione63, benché, come si può arguire anche dall’art. 380 co. 3 Cpp, la condizione di procedibilità influenza ab origine il provvedimento limitativo della libertà personale. Ancora, non sussiste il diritto alla riparazione quando, nell'ambito del subprocedimento cautelare, la prognosi sulla possibilità di una futura sospensione condizionale della pena sia stata negativa, ma all'esito del giudizio di cognizione detto beneficio sia stato nondimeno concesso64.

La rigida distinzione tra valutazione ex ante e accertamento ex post sembra però sfumare in seguito ad alcune pronunce della Corte costituzionale, che hanno identificato il provvedimento conclusivo del giudizio di merito quale fonte del diritto alla riparazione65.

Una apertura si è avuta con il riconoscimento dell’indennizzo a favore degli eredi dell’indagato la cui posizione sia stata archiviata per morte del reo, quando con sentenza irrevocabile di assoluzione nei confronti dei coimputati sia stata accertata l’insussistenza del fatto66.

Una vera e propria svolta si può dire che si è avuta quando si è riconosciuto che la detenzione sofferta in ordine a fatti coperti da giudicato – per i quali il soggetto era stato prosciolto ex art. 649 Cpp – è riparabile a norma dell’art. 314 co. 2 Cpp67, perché integra una condizione per l’esercizio del potere cautelare 68 . L’importanza della

onere finanziario a carico dello Stato possa sorgere per il modo in cui qualche magistrato abbia proceduto a valutazioni di carattere largamente discrezionale», evidenzia come tale impostazione possa risultare confliggente col dettato dell'art. 9 § 5 del Patto internazionale e, soprattutto, con quello dell'art. 5 § 5 della Convenzione europea. 61 Cass. 3.4.2007, Ucciero, in CEDCass, m. 236989. 62 Cass. 12.1.1999, Onori, in CP 2000, 1757. 63 Cass. 13.12. 2002, Iuliani, in CEDCass, m. 226152. 64 Cass. 7.1. 2016, n. 1862, in CEDCass, m. 265582; Cass. 22.10. 2015, n. 44830, ivi, m. 264896; Cass. 20.2.2014, n. 24623, ivi, m. 261563; Cass. 16.10. 2013, n. 9211, ivi, m. 259080; Cass. 16.10. 2013, n. 5621, ivi, m. 258608, secondo la quale la prognosi favorevole in ordine alla possibilità di una futura sospensione condizionale della pena espressa dal Tribunale del riesame in sede di revisione del giudizio cautelare non ha alcuna rilevanza ai fini del riconoscimento dell'indennizzo per ingiusta detenzione. 65 Per una critica alla rilevanza unicamente della valutazione ex ante v. E. Zanetti, op. cit., 155. 66 C. cost., 13.12.2004 n. 413. Per un commento E. Aprile, Archiviazione per morte del reo e successiva assoluzione dei coimputati “perché il fatto non sussiste”: per la Corte costituzionale, agli eredi spetta il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, in CP 2005, 1554. 67 C. cost. n. 230/2004, cit. 68 La giurisprudenza ha poi ritenuto ammissibile la domanda di riparazione per l'ingiusta detenzione

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pronuncia sta nell’aver ricondotto un’ipotesi di improcedibilità dell’azione penale all’art. 314 co. 2 Cpp così aprendo la strada alla riparabilità in ipotesi, quali il difetto di una condizione di procedibilità, che sono escluse ai sensi dell’art. 314 Cpp, ossia che non sono ritenute costituire ipotesi di ingiustizia sostanziale.

In questa prospettiva, talvolta si è ritenuto sussistente il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione anche nell'ipotesi di misura cautelare applicata in difetto di una condizione di procedibilità, la cui necessità sia stata accertata soltanto all'esito del giudizio di merito in ragione della diversa qualificazione attribuita ai fatti rispetto a quella ritenuta nel corso del procedimento cautelare69.

Ricostruendo, poi, l’iniziativa nell’esercizio dell’azione penale come l’indefettibile antecedente, il prius logico del procedimento restrittivo della libertà personale, anche il difetto della domanda cautelare, che si pone a monte delle condizioni di applicabilità della misura cautelare, è stato ritenuto fonte del diritto alla riparazione70.

Su questa linea potrebbe anche ritenersi illegittima l’esecuzione di una misura per errore di persona, costituendo anch’esso un presupposto dell’azione cautelare, così colmando un’evidente lacuna dell’art. 314 Cpp71. Tra le ipotesi di custodia cautelare «illegittima» che giustificano l'insorgenza del diritto alla riparazione non rientrano tutti i casi di protrazione dello status detentionis, nonostante la perdita di efficacia della misura in esecuzione. In particolare, la protrazione della custodia cautelare al di là dei termini massimi previsti dalla legge (artt. 303 e 304 Cpp), il mantenimento dello stato custodiale dopo il mancato o ritardato svolgimento dell’interrogatorio di garanzia (art. 302 Cpp), la prosecuzione della custodia, originariamente disposta per esigenze cautelari, inerenti a situazioni di concreto pericolo per l'acquisizione o la genuinità delle prove, previste dall'art. 274, co. 1, lett. a Cpp, sebbene si sia verificata la scadenza del termine di cui all'art. 292, co. 2, lett. d Cpp e non ne venga ordinata la rinnovazione o la proroga (art. 301 Cpp), la

sofferta per l'applicazione di una misura di custodia cautelare disposta in relazione ad un reato per il quale non si sarebbe potuto procedere per litispendenza di altro procedimento, anche se non definito con sentenza irrevocabile, per il medesimo fatto: Cass. 8.3.2016, n. 19385, in CEDCass, m. 267314. 69 Cass., 29.5. 2014, n. 39535, in CEDCass, m. 261408. 70 Cass. SU, 22.1.2009, Novi, in DPP 2010, 64, nota di E. Andolina, Il dissenso del procuratore della Repubblica sulla richiesta di misura cautelare. Per un commento alla pronuncia v. anche M. Ceresa Gastaldo, Sulla legittimità della misura cautelare non assentita dal procuratore della Repubblica, in CP 2009, 4166. 71 La questione è molto complessa. Se per taluni l’errore di persona è riconducibile alla previsione dell’art. 314 co. 2 Cpp (come ipotesi da ricondurre al difetto della gravità indiziaria: A. Montaldi, op. cit., 315; E. Turco, op. cit., 129), per altri dovrebbe essere ricondotto all’art. 314 Cpp nel suo complesso come sottospecie della sentenza di proscioglimento per non aver commesso il fatto (M. Pisani, Errore di persona e riparabilità della detenzione ingiusta, in IP 1996, 578; E. Zanetti, op. cit., 135), per altri ancora sarebbe necessario un intervento del legislatore, non apparendo convincenti le due tesi richiamate (M. G. Coppetta, La riparazione, cit., 144 e 151). In giurisprudenza, quanto all’esclusione della rilevanza del difetto di querela: Cass. 13.11.2002, Alberti, in CEDCass, m. 223285; Cass. 12.1.1999, Onori, in CP 2000, 1757.

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protrazione della custodia cautelare nonostante la perdita di efficacia della misura ex art. 309 co. 10 Cpp72. In tutte queste ipotesi, poiché sono solo i profili formali ad aver determinato la perdita di efficacia, mancherebbe il provvedimento che abbia accertato la violazione degli artt. 273 e 280 Cpp, e quindi non si rientrerebbe nel disposto dell’art. 314 co. 2 Cpp73.

La conclusione non appare condivisibile e dovrà essere ripensata specialmente alla luce della giurisprudenza europea. In più occasioni, infatti, si è ravvisata una violazione dell’art. 5 § 5 Cedu per la mancata previsione di una riparazione in tutte le ipotesi in cui la “detenzione” subita dal soggetto violi una delle previsioni dell’art. 5 Cedu. Come si è anticipato, ai sensi della Convenzione europea, la riparazione spetta in tutti i casi in cui una detenzione, pur conforme al diritto nazionale, sia contraria alle previsioni di cui ai §§ 1, 2, 3 o 4 dell’art. 5 Cedu74. Rilevano, quindi, non solo le ipotesi di detenzione senza una base legale (art. 5 § 1 Cedu), ma anche tutte quelle privazioni della libertà personale non rispettose delle c.d. garanzie di contesto (il diritto all’informazione; la ragionevole durata della detenzione; l’immediato contatto con l’autorità giudiziaria; il ricorso ad un tribunale). In questa prospettiva, viola l’art. 5 § 5 Cedu il diniego della riparazione a favore di chi non sia stato tradotto immediatamente davanti ad un’autorità né posto al più presto in libertà dopo l’arresto75; di una persona nei cui confronti siano stati superati i termini di durata massima della custodia76; di chi non ha ottenuto il controllo sulla legittimità della detenzione in tempi brevi77.

5. Il legislatore ha previsto alcune ipotesi di esclusione ex lege del diritto alla riparazione.

Innanzitutto, il diritto all’indennizzo è escluso per la parte di custodia cautelare computabile alla pena da espiare per lo stesso o per altri reati a norma dell’art. 657

72 P. P. Riviello, op. cit., 338; M. G. Coppetta, La riparazione, cit., 158. Solo sporadicamente la giurisprudenza ha riconosciuto l’indennizzo: Cass. 27.5.2005, Frediani, in CEDCass, m. 231918, con riferimento ad un provvedimento tardivo di proroga; Cass. 10.10.2000, Macrì, ivi, m. 218175, quanto all’ordinanza di sospensione dei termini. 73 Va posto in rilievo che la Corte europea ha avuto modo di specificare che la previsione di scadenze temporali cui è collegata la perdita di efficacia della misura, se assicura certamente che il procedimento di controllo non superi determinati termini, rischia però di privare l’interessato del diritto alla decisione sulla legittimità della detenzione, C. eur., 25.10.2005, Vejmola c. Turchia. V. anche P. Spagnolo, Il tribunale della libertà. Tra normativa nazionale e normativa internazionale, Milano 2008, 372 ss. 74 C. eur., 12.2.2009, Nolan e C. c. Russia; Id., 18.1. 2007, Chitayev c. Russia. 75 C. eur., 29.11. 1988, Brogan e altri c. Regno Unito. 76 In questo senso C. eur., 9.6.2005, Picaro c. Italia, che ha ravvisato una violazione dell’art. 5 § 1 Cedu in una ipotesi nella quale l’imputato, per effetto delle contestazioni a catena, era rimasto in stato di custodia cautelare per un periodo eccedente il limite temporale fissato dalla legge. 77 V. ad esempio C. eur., 3.7. 2007, Naranjo Hurtado c. Italia, con riferimento alle decisioni in sede di revoca del G.i.p. e del tribunale della libertà; Id., 28.4.2005, Rapacciolo c. Italia, con riferimento al giudizio del tribunale della libertà e della Cassazione.

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Cpp78 e per il periodo in cui tali limitazioni siano state sofferte ex artt. 297 e 298 Cpp anche in forza di un altro titolo79.

La previsione mira ad evitare indebite speculazioni che altererebbero il corretto funzionamento dell'istituto: il diritto alla riparazione viene meno in quanto, qualora la custodia cautelare sia stata conteggiata ai fini della determinazione della pena, risulta comunque già “compensato” il periodo di restrizione ingiustamente subito80. Tuttavia, nel caso in cui la pena da espiare sia di entità inferiore alla detenzione patita ingiustamente sussisterà il diritto alla riparazione sulla parte di custodia residua81.

Va tenuto presente che anche chi ha ottenuto la riparazione può beneficiare della fungibilità con riguardo allo stesso periodo di carcerazione senza titolo. Le Sezioni unite hanno infatti affermato che ai fini della determinazione della pena da eseguire vanno computati anche i periodi di custodia cautelare relativi ad altri fatti per i quali il condannato abbia già ottenuto il riconoscimento del diritto alla riparazione82. Tale conclusione è fondata sia sulla inderogabilità della disciplina dettata dall’art. 657 Cpp, sia sull’inesistenza di una facoltà di scelta, da parte dell’interessato, tra la riparazione pecuniaria e lo scomputo della pena da espiare dalla custodia cautelare ingiustamente sofferta83. In altri termini, poiché la fungibilità costituisce una sorta di riparazione in forma specifica, essa prevale sulla mera riparazione di carattere monetario84. 78 Andrebbe tenuto presente che, per la Corte europea, la commutabilità ai fini dell’esecuzione della pena della detenzione protrattesi oltre il ragionevole non rende di per sé legittima una detenzione: C. eur., 17.2. 2005, Sardinas Albo c. Italia. 79 L’ingiusta custodia subita, inoltre, deve seguire e non precedere la commissione del reato per il quale vi è stata condanna alla pena da espiare. V. C. cost. 198/2014. Per un commento v. G. Mantovani, Lo scomputo del “presofferto” tra favor libertatis e tutela della collettività, in GCos 2014, 3188. 80 P.P. Rivello, op. cit., 341; M. G. Coppetta, La riparazione, cit., 173, che sottolinea come si voglia così evitare una duplicazione del diritto avendo già ottenuto il soggetto una riparazione costituita dalla riduzione della pena da scontare. Al riguardo cfr. Cass. 13.12.2002, Vetturini, in CEDCass, m. 225533, secondo la quale l’affidamento in prova, quale misura alternativa alla detenzione, è equiparabile ad altre modalità di espiazione della pena per le quali è escluso il diritto alla riparazione a norma dell’art. 314 co. 4 Cpp, poiché la norma, nell’escludere tale diritto nei casi in cui le limitazioni conseguenti all’applicazione della custodia cautelare siano state sofferte anche in virtù di un altro titolo, non distingue, in tema di esecuzione, tra l’una o l’altra forma di espiazione. 81 E. Turco, op. cit., 255. In questo senso Cass. 20.11.2001, n. 13322, in CEDCass, m. 221377. 82 Cass. SU 10.7.2008, Lo Cascio, in CP 2009, 490. Successivamente, tra le altre, Cass. 14.6.2016, n. 33671, in CEDCass, m. 267443. In senso contrario, E. Turco, op. cit., 255 e ss. 83 La facoltà di scelta non è neanche in capo all’autorità giudiziaria: è stato infatti ritenuto abnorme il provvedimento con cui il giudice di appello, investito della richiesta di riparazione, sospenda il procedimento sine die in attesa della definizione di altro procedimento in fase dibattimentale, al fine di una eventuale applicazione della fungibilità della pena (Cass. 20.11.2012, n. 7001, in CEDCass, m. 254961). 84 Cass. 17.9.2014, n. 43453, in CEDCass, m. 260328, secondo la quale il criterio di fungibilità previsto dall'art. 657 Cpp, improntato al favor libertatis, configura, in combinato disposto con il co. 4 dell'art. 314 Cpp, una “riparazione in forma specifica” per l'ingiusta privazione della libertà personale che prevale rispetto alla monetizzazione di cui al medesimo art. 314, introducendo una forma di “compensazione” per il periodo di detenzione ingiustamente subito, secondo un meccanismo che è compatibile con l'art. 5 Cedu, il quale opera soltanto in caso di violazione delle prescrizioni da esso poste ai paragrafi 1, 2, 3 e 4, e che non può essere oggetto di disapplicazione per contrasto con l'art. 6

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La seconda parte del comma 4 dell’art. 314 Cpp esclude il diritto alla riparazione per il periodo in cui le limitazioni conseguenti all’applicazione della misura cautelare siano state sofferte anche in relazione ad altro titolo. Se infatti, nello stesso periodo di tempo, la persona è stata sottoposta a due misure custodiali, di identico contenuto, una sola delle quale sia stata poi ritenuta illegittima o ingiusta, essa non ha subito – in concreto – alcun danno meritevole di riparazione, perché sarebbe stata comunque sottoposta ad una restrizione della libertà personale per un titolo legittimo85.

Va evidenziato che il testo normativo, nel far riferimento alla fungibilità della pena e non all’esecuzione detentiva, rende operante la condizione ostativa del comma 4 dell’art. 314 Cpp sia in caso misure alternative alla detenzione, come l’affidamento in prova al servizio sociale86, sia nelle ipotesi speciali di sospensione condizionale della pena ai sensi della l. 1.8.2003 n. 207, ossia il c.d. indultino87.

Un’ulteriore ipotesi di esclusione della riparazione è prevista dal comma 5 dell’art. 314 Cpp, con riguardo alla parte di custodia cautelare sofferta prima dell’abrogazione della norma incriminatrice, cui abbia fatto seguito una sentenza o un provvedimento di archiviazione che dichiari che il fatto non è previsto dalla legge come reato. In queste ipotesi, operando l’abolitio ex nunc, sarà riparabile solo la custodia subita e protrattasi dopo l’intervento abrogativo del legislatore88.

La conclusione non può estendersi, nella sua assolutezza, anche al caso di successione di norme nel tempo89. Infatti, quando si determini una modifica della fattispecie penale con eliminazione della rilevanza penale di alcune condotte in precedenza sanzionate, va necessariamente accertato se le condotte addebitate all’istante, ritenute sanzionabili in base alla precedente normativa, siano state considerate esistenti dal giudice di merito – e quindi l’assoluzione sia stata pronunciata solo “a causa” dell’intervenuta modifica normativa – oppure se il giudice di merito abbia escluso (o ritenuto non provati) comportamenti penalmente sanzionati in base

della Carta di Nizza, in assenza di collegamento tra la materia in oggetto e il diritto dell'Unione Europea. 85 G. Spangher, Riparazione pecuniaria, cit., 1022: «in queste ipotesi l'ingiustizia del provvedimento restrittivo risulta (in tutto o in parte) assorbita dalla legittimità di un altro provvedimento incidente sulla libertà». E. Turco, op. cit., 260, nt. 93, sottolinea come le due misure devono avere l’identico contenuto afflittivo, residuando, in caso contrario, il diritto alla riparazione. V. anche A. Montaldi, op. cit., 322. 86 Cass. 13.12.2002, n. 24355, in CEDCass, m. 225533; Cass. 26.1.2010, n. 10682, ivi, m. 246392; Cass. 8.7.2016, n. 43550, ivi, m. 267928. 87 Cfr. Cass. 13.01.2010, n. 5080, in CEDCass, m. 246648, secondo la quale i periodi di sospensione condizionata della pena ai sensi della l. 207/2003 sono equiparati ad altre modalità di espiazione della pena per i quali il diritto alla riparazione è escluso. 88 Per E. Turco, op. cit., 262 e A. Montaldi, op. cit., 322, questa ipotesi riguarderebbe solo le fattispecie di ingiustizia sostanziale. 89 Cass. 22.11.2000, n. 2651, in CP 2002, 1107, che sottolinea come il fenomeno della successione di norme nel tempo vada distinto da quello dell’abrogazione. In senso contrario E. Turco, op. cit., 263, senza però distinguere tra le ipotesi di mera successione di norme nel tempo e quelle che comportano una abolitio sine abrogatione.

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alla precedente normativa, atteso che in tal caso il diritto alla riparazione andrebbe riconosciuto90.

Il testo non fa riferimento né alla sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice né alla dichiarazione di incompatibilità della norma interna con la normativa europea. In entrambi i casi si è ritenuto di poter far applicazione dell’art. 314 co. 5 Cpp, riconoscendo il diritto alla riparazione solo per il periodo di detenzione successivo all’intervenuta pronuncia della Corte costituzionale o della Corte di Giustizia91. La conclusione non convince del tutto92. Se è vero che la dichiarazione di incompatibilità della normativa interna con quella dell’Unione, rendendo direttamente applicabile la disciplina europea ha effetti equiparabili a quelli della abrogazione, è anche vero che la normativa interna va considerata, fin dall’inizio, come incompatibile con il diritto dell’Unione, sì da rendere ex tunc “illegittima” la detenzione. Analogo discorso dovrebbe farsi per le sentenze che dichiarano l’illegittimità costituzionale della norma incriminatrice: la disposizione è illegittima ex tunc, come tale inidonea a giustificare qualsiasi limitazione della libertà personale.

Il silenzio serbato dal legislatore in questi casi dovrebbe essere interpretato, considerato che si tratta di una eccezione al diritto alla riparazione, in modo restrittivo, evitando qualsiasi analogia con la conseguenza che la riparazione dovrebbe spettare, per l’intero periodo, sia in caso di disapplicazione della norma interna in contrasto con il diritto dell’Unione, sia in caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice93.

L’ultima condizione ostativa, indicata nel primo comma dell’art. 314 Cpp, consiste nell’aver dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave. La condizione è espressamente prevista solo per il primo comma dell’art. 314 Cpp, ossia per le ipotesi di ingiustizia sostanziale, ma la giurisprudenza ritiene che essa debba essere valutata anche nei casi di illegittimità formale.

Si afferma, infatti, che la circostanza di avere dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave opera, quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto all'equa riparazione per ingiusta detenzione, anche in relazione alle misure disposte in difetto delle condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 Cpp. La rigidità dell’assunto, che non trova un sicuro appiglio normativo 90 Cass. 25.1.2005, n. 19275, in CEDCass, m. 231539; Cass. 15.3.2007, n. 21524, ivi, m. 236723; Cass., 24.6.2008, n. 30072, ivi, m. 240386. Ad esempio Cass. 11.12.2002, n. 5927, ivi, m. 224179, ha ritenuto configurabile diritto ad un'equa riparazione per la custodia cautelare subita in relazione al delitto di cui all'art. 323 Cp, commesso antecedentemente all'entrata in vigore della legge 16 luglio 1997 n. 234 , qualora, per effetto della coesistenza dei due distinti istituti della successione delle leggi penali e dell'abolitio criminis, il fatto contenga gli elementi costitutivi del reato sia secondo la vecchia sia secondo la nuova formulazione e, in ragione della continuità e dell'omogeneità tra le due norme, debba trovare applicazione la norma penale più favorevole. 91 Con riferimento alla dichiarazione di illegittimità costituzionale: Cass., 12.11.1996, Campana, in CEDCass, m. 206611. 92 V. anche G. Spangher, La “vittima del processo”, cit., 186. 93 Per quest’ultimo caso si potrebbe sostenere che quando il legislatore ha voluto equiparare le due ipotesi – abrogazione e illegittimità costituzionale sopravvenuta – lo ha fatto espressamente, come nell’art. 673 Cpp, per cui il silenzio serbato in questo caso sembra deporre per una non equiparazione fra le due ipotesi. V. anche E. Turco, op. cit., 264.

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e appare discostarsi dalle fonti internazionali che non attribuiscono rilevanza, per le ipotesi di illegittimità ex ante, al comportamento del destinatario della restrizione94, è mitigata dalla considerazione che l’indicata condizione ostativa non opera nei casi in cui l’accertamento dell'insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura avvenga sulla base dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha reso il provvedimento cautelare, ossia in ragione unicamente di una loro diversa valutazione. Per altro verso, però, viene notevolmente ampliato l’ambito temporale dell’incidenza causale del dolo o della colpa grave dell'interessato rispetto all'applicazione del provvedimento di custodia cautelare, perché rileverà la condotta tenuta sia anteriormente sia successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, fin dal momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento95.

6. Il ragionamento in base al quale si è riconosciuta l’ostatività del dolo e della colpa in ogni fattispecie che potrebbe dar luogo alla riparazione – pur criticabile quando si vadano ad analizzare le concrete fattispecie ricondotte a questa condizione ostativa96 – ha portato però le Sezioni unite a fare un ulteriore passo.

Si è affermato, infatti, che ai fini del riconoscimento dell'indennizzo può anche prescindersi dalla sussistenza di un “errore giudiziario”, venendo in considerazione soltanto l'antinomia “strutturale” tra custodia e assoluzione, o quella “funzionale” tra la durata della custodia e la misura della pena. Ed è questa la ragione per cui intanto la privazione della libertà potrà considerarsi “ingiusta”, in quanto l'incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa: altrimenti, l'indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la ratio solidaristica che è alla base dell'istituto97.

L’affermazione potrebbe essere molto importante se fosse letta, anche alla luce della giurisprudenza europea, come riconoscimento del diritto alla riparazione in tutte le ipotesi in cui una “detenzione” risulti ingiusta o illegittima, ex post o ex ante.

In quest’ottica comincia a registrarsi qualche timida apertura. Così è indennizzabile il periodo trascorso, senza avervi dato (o concorso a darvi)

causa per dolo o colpa grave, in affidamento in prova al servizio sociale, trattandosi di misura alternativa equiparabile alle altre modalità di espiazione della pena detentiva98.

94 Né l’art. 5 Cedu né l’art. 14 Pidcp, infatti, includono il comportamento del soggetto destinatario della misura tra gli elementi da valutare per escludere la riparazione. Come si è anticipato, infatti, tale comportamento rileva solo in caso di errore giudiziario. 95 Cass. SU, 27.5.2010, n. 32383, in CEDCass, m. 247663. Per un commento v. C. Scaccianoce, “Ingiustizia formale” della custodia preventiva e “causa sinergica”: le Sezioni unite contemperano il diritto all’equa riparazione con la condotta dolosa o gravemente colposa del detenuto, in CP 2011, 513. 96 Sul punto la giurisprudenza è molto ampia con conclusioni non sempre condivisibili, per una compiuta sintesi v. A. Balsamo, Riparazione, cit.,667 e ss. 97 Cass. SU 28.11.2013, n. 51779, in CEDCass, m. 257606, fattispecie in cui è stata ritenuta colpevole la condotta di un soggetto che aveva reso dichiarazioni ambigue in sede di interrogatorio di garanzia, omettendo di fornire spiegazioni sul contenuto delle conversazioni telefoniche intrattenute con persone coinvolte in un traffico di sostanze stupefacenti, alle quali, con espressioni "travisanti", aveva sollecitato in orario notturno la urgente consegna di beni. 98 Cass. 8.7.2016, n. 43550, in CEDCass, m. 267928.

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In linea con la giurisprudenza europea99, anche la tardiva esecuzione dell'ordine di scarcerazione disposta per liberazione anticipata determina l'ingiustizia della detenzione sofferta fino alla concreta liberazione del detenuto e, pertanto, costituisce titolo per la domanda di riparazione100.

L’esecuzione di un ordine di carcerazione originariamente legittimo ma relativo ad una pena risultante estintasi, in ragione del lungo arco temporale intercorso tra l'emissione del titolo e la sua esecuzione, determina l'ingiustizia della detenzione sofferta e, dunque, la configurabilità del diritto all'equa riparazione101.

Come si è anticipato, però, continua a non ritenersi configurabile il diritto ove la mancata corrispondenza tra pena inflitta e pena eseguita sia determinata da vicende successive alla condanna, connesse all'esecuzione della pena102 o alla determinazione della pena eseguibile103. In questo senso, per un verso, non viene riparato il ritardo nell’applicazione dell’indulto104, per l’altro, non è configurabile alcuna riparazione per chi abbia interamente espiato la pena inflitta per il delitto di detenzione illegale di sostanze stupefacenti del tipo “droga leggera” prima della declaratoria di incostituzionalità che ha fatto rivivere il precedente, più mite, trattamento sanzionatorio105.

99 C. eur., 24.3.2015, Antonio Messina c. Italia, che ha condannato l’Italia per la tardività nella concessione della liberazione anticipata e per la mancanza di un rimedio idoneo ad ottenere una riparazione. 100 Cass. 14.1.2014, n. 18542, in CEDCass, m. 259210, nella fattispecie il ricorrente era stato scarcerato con cinque giorni di ritardo per “disguidi vari” dell'ufficio requirente competente all'emissione dell'ordine di scarcerazione. Cass. 30.9.2016, n. 47993, ivi, m. 268617, nella fattispecie il ricorrente era stato scarcerato con oltre un mese di ritardo per la tardiva comunicazione al collegio procedente per la rideterminazione della pena dell'ordinanza del Tribunale di Sorveglianza che aveva concesso quarantacinque giorni di riduzione della pena per liberazione anticipata. 101 Cass. 20.10.2015, n. 45247, in CEDCass, m. 264895, in motivazione la S.C. ha affermato che l'ordine di esecuzione non poteva più considerarsi efficace, pur in assenza di un'espressa declaratoria di estinzione della pena, per la doverosa diretta applicazione dell'art. 172 Cp. 102 Cass. 23.4.2015, n. 40949, in CEDCass, m. 264708, nella fattispecie il ricorrente era stato ammesso al beneficio penitenziario della liberazione anticipata, usufruendo in tal modo della riduzione della pena inflitta. 103 Cass. 22.12.2016, n. 3382/17, in CEDCass, m. 268958, nella fattispecie, la pena inflitta al ricorrente era stata ridotta in sede esecutiva, in conseguenza della dichiarazione di incostituzionalità della disciplina sugli stupefacenti ad opera della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale. 104 Non è ritenuto configurabile il diritto all'equa riparazione per la detenzione patita a causa di un erroneo ordine di esecuzione, emesso da parte del pubblico ministero senza tener conto dell'eventuale incidenza dell'indulto sull'intera pena da eseguire, anche quando detto indulto non sia stato ancora applicato dal giudice dell'esecuzione: Cass. 12.6.2014, n. 30492, Dispensa, in CEDCass, m. 262240. Ipotesi per la quale, invece, la Corte europea ha ravvisato una violazione dell’art. 5 Cedu: C. eur., 18.12.2003, Pilla c. Italia. 105 Il riferimento è a C. cost., 11.2.2014 n. 32. Cass. 16.12.2016, n. 4240/17, in CEDCass, m. 269168, in motivazione la S.C. ha, altresì, precisato che, non solo, si tratta di situazione definitivamente esaurita ma, soprattutto, la detenzione sofferta, sino al momento della sua cessazione, era pienamente legittima e rispettosa dell'assetto normativo allora vigente. V. al riguardo le considerazioni di M. Gambardella, Il danno da errore del legislatore. Il caso della sent. n. 32/2014 e l’illegittimità costituzionale delle norme contenute nella legge “Fini-Giovanardi”, in La vittima del processo, cit., 409.

Studi Lariparazioneperingiustadetenzione P.Spagnolo

LalegislazionepenaleISSN:2421-552X228.11.2017

Queste interpretazioni non convincono del tutto, così come non convince la limitazione della riparabilità alle sole ipotesi di detenzione cautelare. Alla luce dell’art. 5 Cedu andrebbero riparate tutte le “detenzioni”, prescindendo dal titolo della detenzione, dalla sua durata, dall’autorità dalla quale la restrizione provenga o dalle “ragioni” dell’ingiustizia.

In questo senso, si pensi al trattenimento dello straniero presso un centro di identificazione ed espulsione. In questi casi appare evidente che solo nominalisticamente non si possa parlare di “detenzione”, ma che sostanzialmente si è al cospetto di una limitazione della libertà personale. Al riguardo, la Corte europea ha già in più di una occasione riscontrato, nelle ipotesi di detenzione amministrativa arbitraria, una restrizione della libertà equiparabile alla detenzione che, come tale, va riparata, condannando l’Italia per la violazione dell’art. 5 § 5 Cedu dovuta alla mancata previsione di una forma di riparazione106. Si pensi, ancora, a tutte quelle misure di prevenzione “sostanzialmente” detentive che, ancora oggi, non consentono la riparazione in caso di applicazione ingiusta o illegittima107.

In conclusione, se da un lato occorre rendere la custodia cautelare realmente l’extrema ratio, limitando così a monte le ipotesi generatrici del diritto alla riparazione108, dall’altro, va riparata ogni limitazione della libertà personale che appaia illegittima o ingiusta, operando eventualmente sul quantum per le opportune differenziazioni: l’inviolabilità della libertà personale impone la riparazione ogniqualvolta essa sia “ingiustamente” lesa, quale che sia l’autorità giudiziaria (o amministrativa) che l’abbia disposta.

106 C. eur., 6.10.2016, Richmond Yaw e altri c. Italia, con riferimento al trattenimento presso un centro di identificazione ed espulsione; Id., 8.2.2011, Seferovic c. Italia; Id., 1.12. 2009, Hokic e Hrustic c. Italia, in relazione ad un centro di permanenza temporaneo; Id., 4.8.2005, Zeèiri c. Italia, con riguardo ad un centro di accoglienza temporanea in attesa di espulsione. 107 Il riferimento, anche alla luce della Corte europea, va fatto a tutte quelle misure di prevenzione che in concreto possono determinare uno stato detentivo. Ad esempio non è stata riconosciuta l’applicabilità dell’art. 5 Cedu, e quindi anche del suo § 5, nelle ipotesi di sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e di obbligo di soggiorno che, ad avviso della Corte europea, costituiscono limitazioni della libertà di circolazione, C. eur., 8.10.2013, Monno c. Italia. 108 M. G. Coppetta, La riparazione, 121.