La Religione a Roma

3
Recensioni / Reviews 797 Gianluca De Sanctis, La religione a Roma. Luoghi, culti, sacerdoti, dèi, Carocci, Roma 2012, pp. 192. isbn 978-88-430-6639-1. Il libro di Gianluca De Sanctis si apre con une introduzione, breve, ma densa di idee, di idee costruttive. La prima osservazione dell’A. riguarda i termini stessi che appaiono nel titolo “religione romana”, di cui discute la pertinenza. Nell’an- tichità, infatti, non esisteva un concetto di religione come quello che abbiamo oggi, ma piuttosto un sistema di culti, che venivano praticati nell’ambito di una determinata cultura. Nonostante questo, l’A. non propone un’espressione alter- nativa, che forse sarebbe altrettanto artificiale, ma continua a utilizzare questa definizione ormai appartenente al nostro modo di classificazione. La riflessione si concentra in seguito sull’apporto dell’antropologia nello studio delle civiltà antiche. Ponendo i suoi pilastri di riferimento, l’A. rivela chia- ramente d’inserirsi nella scuola di pensiero dell’antropologia del mondo antico, a cui Maurizio Bettini ha dato i natali in Italia. Viene infine la parte programmatica in cui sono annunciati metodo e materia del libro. L’intenzione non è di fare un manuale di storia della religione romana, ma una lettura antropologica in cui la prospettiva “emica” (cioè interna alla cultura romana) prevalga su quella “etica” (esterna, teorica, generalizzante). Per realizzare questo ambizioso progetto, l’A. cerca uno schema da seguire, che sia appunto “interno”. Lo trova nell’opera per- duta della Antiquitates rerum divinarum di Varrone, in cui la materia è ripartita secondo «sacerdoti, luoghi, tempi, cerimonie sacre, dèi». Questa divisione però, precisa De Sanctis, non potrà essere rispettata fino in fondo perché i “tempi”, cioè le feste dell’anno romano occuperebbero troppo spazio, se trattate in modo completo, e dunque opta per trattarle solo come appendice del capitolo sui pon- tefici, il corpo sacerdotale che gestisce il calendario. Anche i culti privati, che in Varrone costituivano una sezione a parte, non sono presi in considerazione nel libro di De Sanctis a causa delle scarse informazioni. L’indice dell’opera dunque non corrisponde precisamente a quello di Varrone, ma vi s’ispira sola- mente. Questa discrepanza rivela d’emblée la complessità di questo esercizio di “volersi fare Romani” per studiare i Romani attraverso le loro categorie. Da un lato, infatti, la storia ha già selezionato ciò a cui possiamo avere accesso e ciò che invece è destinato a rimanerci più oscuro. E, cosa paradossale, gli aspetti per noi più misteriosi sono proprio quelli che costituiscono l’ orizzonte privato di un Romano, come appunto i culti familiari. Dall’altro lato, poi, ci sono le necessità di chi scrive ora e del pubblico che legge, per i quali certi capitoli non sembrano essere fondamentali, come è il caso dei “tempi”, cioè del calendario, secondo quanto sostiene De Sanctis. Questo è evidentemente un criterio soggettivo (o più soggettivo del precedente) e dipende anche dalla bibliografia già esistente. Ricordiamo infatti che sulle feste organizzate secondo la loro localizzazione nel calendario è ancora di grande aiuto per un pubblico italiano il libro di Dario Sabbatucci 11 , che sebbene porti un titolo un po’ altisonante (La religione di Roma antica. Dal calendario festivo all’ordine cosmico), è una miniera d’informazioni accessibili anche ai non addetti ai lavori. 11 D. Sabbatucci, La religione di Roma antica. Dal calendario festivo all’ordine cosmico, Il Saggiatore, Milano 1988.

description

O recenzie la monografia asupra religiei romane de Gianluca de Sanctis

Transcript of La Religione a Roma

Page 1: La Religione a Roma

Recensioni / Reviews 797

Gianluca De Sanctis, La religione a Roma. Luoghi, culti, sacerdoti, dèi, Carocci, Roma 2012, pp. 192. isbn 978-88-430-6639-1.

Il libro di Gianluca De Sanctis si apre con une introduzione, breve, ma densa di idee, di idee costruttive. La prima osservazione dell’A. riguarda i termini stessi che appaiono nel titolo “religione romana”, di cui discute la pertinenza. Nell’an-tichità, infatti, non esisteva un concetto di religione come quello che abbiamo oggi, ma piuttosto un sistema di culti, che venivano praticati nell’ambito di una determinata cultura. Nonostante questo, l’A. non propone un’espressione alter-nativa, che forse sarebbe altrettanto artificiale, ma continua a utilizzare questa definizione ormai appartenente al nostro modo di classificazione.

La riflessione si concentra in seguito sull’apporto dell’antropologia nello studio delle civiltà antiche. Ponendo i suoi pilastri di riferimento, l’A. rivela chia-ramente d’inserirsi nella scuola di pensiero dell’antropologia del mondo antico, a cui Maurizio Bettini ha dato i natali in Italia. Viene infine la parte programmatica in cui sono annunciati metodo e materia del libro. L’intenzione non è di fare un manuale di storia della religione romana, ma una lettura antropologica in cui la prospettiva “emica” (cioè interna alla cultura romana) prevalga su quella “etica” (esterna, teorica, generalizzante). Per realizzare questo ambizioso progetto, l’A. cerca uno schema da seguire, che sia appunto “interno”. Lo trova nell’opera per-duta della Antiquitates rerum divinarum di Varrone, in cui la materia è ripartita secondo «sacerdoti, luoghi, tempi, cerimonie sacre, dèi». Questa divisione però, precisa De Sanctis, non potrà essere rispettata fino in fondo perché i “tempi”, cioè le feste dell’anno romano occuperebbero troppo spazio, se trattate in modo completo, e dunque opta per trattarle solo come appendice del capitolo sui pon-tefici, il corpo sacerdotale che gestisce il calendario. Anche i culti privati, che in Varrone costituivano una sezione a parte, non sono presi in considerazione nel libro di De Sanctis a causa delle scarse informazioni. L’indice dell’opera dunque non corrisponde precisamente a quello di Varrone, ma vi s’ispira sola-mente. Questa discrepanza rivela d’emblée la complessità di questo esercizio di “volersi fare Romani” per studiare i Romani attraverso le loro categorie. Da un lato, infatti, la storia ha già selezionato ciò a cui possiamo avere accesso e ciò che invece è destinato a rimanerci più oscuro. E, cosa paradossale, gli aspetti per noi più misteriosi sono proprio quelli che costituiscono l’ orizzonte privato di un Romano, come appunto i culti familiari. Dall’altro lato, poi, ci sono le necessità di chi scrive ora e del pubblico che legge, per i quali certi capitoli non sembrano essere fondamentali, come è il caso dei “tempi”, cioè del calendario, secondo quanto sostiene De Sanctis. Questo è evidentemente un criterio soggettivo (o più soggettivo del precedente) e dipende anche dalla bibliografia già esistente. Ricordiamo infatti che sulle feste organizzate secondo la loro localizzazione nel calendario è ancora di grande aiuto per un pubblico italiano il libro di Dario Sabbatucci11, che sebbene porti un titolo un po’ altisonante (La religione di Roma antica. Dal calendario festivo all’ordine cosmico), è una miniera d’informazioni accessibili anche ai non addetti ai lavori.

11 D. Sabbatucci, La religione di Roma antica. Dal calendario festivo all’ordine cosmico, Il Saggiatore, Milano 1988.

Page 2: La Religione a Roma

798 Recensioni / Reviews

In fondo, queste considerazioni ci fanno capire che qualsiasi lavoro che fac-ciamo oggi, anche se impostato in modo “emico”, non può prescindere dallo sguardo “etico”, che è quello che ci permette di declinare la materia secondo il nostro gusto e dunque di renderla interessante per i nostri contemporanei, ag-giungendo delle spiegazioni, laddove per gli antichi queste andavano da sé. Met-tere in risalto questi aspetti non significa assolutamente muovere una critica al libro di De Sanctis, ma ribadire una volta di più che le questioni metodologiche legate alle ricerche di antropologia del mondo antico sono fondamentali e devo-no essere costantemente esplicitate12.

Questo libro, che in 150 pagine riesce a dare un’idea della ricchezza e della complessità dei temi della religione romana, affrontandoli in modo prudente, sag-gio e estremamente documentato e originale, non può che suscitare ammirazione.

Un risultato importante si trova nel primo capitolo a proposito delle etimolo-gie del termine religio: quella che fa derivare il termine da relegere e gli conferi-sce il significato di “scrupolo che trattiene” e quella che lo fa derivare da religare con il significato di “legame”. Spesso la ricerca moderna ha contrapposto le due etimologie, indicandone la prima come propria dell’interpretazione politeista e la seconda come propria di quella cristiana. Il merito di queste pagine è di mostrare a un pubblico non specializzato che anche la seconda etimologia era conosciuta e utilizzata in ambito non cristiano, chiarendo che il concetto di legame non era così distante da quello di scrupolo.

A parte risultati più importanti, come quello che abbiamo appena evocato, si deve anche dar conto della precisione dell’A. nei piccoli dettagli. Quando per esempio evoca la dimensione religiosa legata all’agricoltura, provvede a ricor-dare non solo il mito più conosciuto secondo il quale Saturno è considerato il fondatore di questa tecnica, ma anche quello secondo cui sarebbe Ceres a rap-presentarne l’origine (p. 25). Questi particolari rendono il libro prezioso, perché non solo ne risulta una lettura ricca e sfumata per chi si vuole informare sulla religione romana, ma anche per quelli che la praticano da tempo.

La grande abilità dell’A. si rivela non solo nelle spiegazioni chiare, nell’u-tilizzo pertinente della bibliografia, ma anche nelle formulazioni, come quando spiega il complesso fenomeno dell’integrazione tra sfera politica e religiosa con piccole pennellate che rendono perfettamente l’idea (p. 29): «là dove esiste une qualche forma di socialità [...] lì vi è anche una qualche forma di religione. Una religione dunque che trova la sua ragion d’essere in quello che oggi potremmo chiamare “senso civico”».

Il capitolo sui luoghi di culto, che costituisce il tema di specializzazione dell’A.13, presenta delle considerazioni fondamentali sia sul rapporto tra spazio e identità collettiva, sia sul rapporto natura-cultura per i Romani.

I luoghi di culto, infatti, fa notare, sono quelli intorno ai quali «si polarizza l’attenzione della comunità», da cui il passato mitico si rivela a coloro che cam-minano nelle strade della città. Questa mappa contrassegnata da “memoriali”, ha

12 Lo scopo del libro collettivo edito da Maurizio Bettini e William Short, Con i Romani, Il Mulino, Bologna 2014, è proprio quello di rivenire su queste questioni metodologiche in modo chiaro.

13 Si veda a questo proposito il libro che è appena uscito: G. De Sanctis, La logica del confine. Per un’antropologia delle spazio nel mondo romano, Carocci, Roma 2015.

Page 3: La Religione a Roma

Recensioni / Reviews 799

il compito di rievocare i momenti forti della storia romana e di contribuire a crea-re quell’appartenenza alla “romanità” – per riprendere un termine usato da Mary Beard14. È proprio su questo aspetto che John Scheid15 ha costruito la sua lettura innovativa delle Questioni romane di Plutarco – che De Sanctis per evidenti que-stioni di tempo non ha avuto modo di consultare prima della pubblicazione del presente volume. Scheid fa vedere infatti, in modo molto convincente che il filo narrativo delle questioni romane può essere capito solo se si pensa che l’A. faccia una passeggiata tra le strade di Roma, e che, osseravando i monumenti, selezioni gli argomenti che desidera spiegare a coloro che non conoscono questa città, per permettergli di entrare nel suo passato e di apprezzare i suoi valori.

Per quanto riguarda il rapporto natura-cultura, l’elemento fondamentale è la costruzione della città, che separa lo spazio civile (dentro), in cui si può «condur-re una vita sicura, insieme ai propri dèi, quelli noti con cui si è stretto un rapporto di amicizia o di collaborazione, riservando loro culti, tempi e luoghi precisi», e quello dalla natura selvaggia (fuori) animato da presenze divine minaccianti, spesso sconosciute (p. 47).

Non è possibile passare in rassegna tutti gli aspetti degni di nota: dall’a-nalisi del sacrificio alla discussione su politeismi e monoteismi con cui si apre il capitolo sul divino, alla tematica – che interessa ancora moltissimo il lettore moderno – della “guerra giusta” discussa a proposito dei feziali, cioè i sacerdoti il cui compito era di compiere le cerimonie al momento di dichiarare la guerra.

Vogliamo infine mettere in risalto l’originalità di questo libro che fa scivola-re nella conclusione la famosa ripartizione varroniana sulle tre teologie (mitica, fisica e civica), che normalmente i manuali di religione romana fanno apparire in apertura. Questa è la prova evidente di come l’approccio dell’antropologia antica può innovare le discipline vicine, come la storia delle religioni antiche, e contribuire a creare nuove prospettive di osservazione.

Francesca Prescendi

Arduino Maiuri, Sacra privata. Rituali domestici e istituti giuridici in Roma an-tica, «L’Erma» di Bretscheider, Roma 2013, pp. 174. isbn 978-88-8265-769-7.

Il lettore, che si avvicini al volume di Arduino Maiuri, è avvertito, fin dalla Premessa, dell’impostazione metodologica, attraverso la quale il lavoro è stato condotto. Quelle indicazioni – benché di segno negativo – riescono tuttavia a orientarlo in maniera assai dettagliata, attraverso la precisazione che lo informa di come «la trattazione del tema prescelto non [il corsivo è dell’A.] procede secondo una prospettiva giuridica, né tanto meno archeologica, e a rigore nean-che squisitamente storico-religiosa [...]». Una seconda – altrettanto pregnante e “parallela” – puntualizzazione, egualmente di segno negativo, la si ritrova poche righe più sotto, dove l’A. afferma che «[...] ovviamente il filo conduttore che lega

14 M. Beard, A complex of times: no more sheep on Romulus’ birthday, in «Proceedings of the Cambridge Philological Society (New Series)» 33 (1987), pp. 1-15.

15 J. Scheid, Plutarch, Römische Fragen. Eine virtuelle Spaziergang in Herezn des alten Rom, Wissenschaftliche Buchgesselschaft, Darmstadt 2012.