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CENTRO ALTI STUDI PER LA DIFESA CENTRO MILITARE DI STUDI STRATEGICI Guido Tatone La recente evoluzione del settore del Defence Procurement: i vantaggi della costituzione di un Mercato unico europeo nel settore degli armamenti (Codice MILSOC AG-S-06)

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CENTRO ALTI STUDI PER LA DIFESA

CENTRO MILITARE DI STUDI STRATEGICI

Guido Tatone

La recente evoluzione del settore del

Defence Procurement: i vantaggi della

costituzione di un Mercato unico

europeo nel settore degli armamenti

(Codice MILSOC AG-S-06)

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Il Centro Militare di Studi Strategici (Ce.Mi.S.S.), costituito nel 1987 e situato presso Palazzo Salviati a Roma, è diretto da un Generale di Divisione (Direttore), o Ufficiale di grado equivalente, ed è strutturato su tre Dipartimenti (Relazioni Internazionali - Sociologia Militare - Scienze, Tecnologia, Economia e Politica industriale) ed un Ufficio Relazioni Esterne e le attività sono regolate dal Decreto del Ministro della Difesa del 21 dicembre 2012.

Il Ce.Mi.S.S. svolge attività di studio e ricerca a carattere strategico-politico-militare, per le esigenze del Ministero della Difesa, contribuendo allo sviluppo della cultura e della conoscenza, a favore della collettività nazionale.

Le attività condotte dal Ce.Mi.S.S. sono dirette allo studio di fenomeni di natura politica, economica, sociale, culturale, militare e dell'effetto dell’introduzione di nuove tecnologie, ovvero dei fenomeni che determinano apprezzabili cambiamenti dello scenario di sicurezza. Il livello di analisi è prioritariamente quello strategico.

Per lo svolgimento delle attività di studio e ricerca, il Ce.Mi.S.S. impegna:

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b) collaboratori non appartenenti all’amministrazione pubblica, (selezionati in conformità alle vigenti disposizioni fra gli esperti di comprovata specializzazione).

Per lo sviluppo della cultura e della conoscenza di temi di interesse della Difesa, il Ce.Mi.S.S. instaura collaborazioni con le Università, gli istituti o Centri di Ricerca, italiani o esteri e rende pubblici gli studi di maggiore interesse.

Il Ministro della Difesa, sentiti il Capo di Stato Maggiore dalla Difesa, d’intesa con il Segretario Generale della difesa/Direttore Nazionale degli Armamenti, per gli argomenti di rispettivo interesse, emana le direttive in merito alle attività di ricerca strategica, stabilendo le lenee guida per l’attività di analisi e di collaborazione con le istituzioni omologhe e definendo i temi di studio da assegnare al Ce.Mi.S.S..

I ricercatori sono lasciati completamente liberi di esprimere il proprio pensiero sugli argomenti trattati, il contenuto degli studi pubblicati riflette esclusivamente il pensiero dei singoli autori, e non quello del Ministero della Difesa né delle eventuali Istituzioni militari e/o civili alle quali i Ricercatori stessi appartengono.

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La recente evoluzione del settore del

Defence Procurement: i vantaggi della

costituzione di un Mercato unico europeo

nel settore degli armamenti

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La recente evoluzione del settore del Defence

Procurement: i vantaggi della costituzione di un Mercato

unico europeo nel settore degli armamenti

NOTA DI SALVAGUARDIA

Quanto contenuto in questo volume riflette esclusivamente il pensiero dell’autore, e non quello del Ministero della Difesa né delle eventuali Istituzioni militari e/o civili alle quali l’autore stesso appartiene.

NOTE Le analisi sono sviluppate utilizzando informazioni disponibili su fonti aperte. Questo volume è stato curato dal Centro Militare di Studi Strategici Direttore CA. Maurizio Ertreo Vice Direttore – Capo Dipartimento Sociologia Militare Col. c (li.) s.SM Andrea Carrino Progetto grafico Massimo Bilotta - Roberto Bagnato Autore Guido Tatone Stampato dalla tipografia del Centro Alti Studi per la Difesa

Centro Militare di Studi Strategici Dipartimento Sociologia Militare

Palazzo Salviati Piazza della Rovere, 83 - 00165 – Roma

tel. 06 4691 3203 - fax 06 6879779 e-mail [email protected]

Chiusa a novembre 2013

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I

INDICE

SOMMARIO 8

CAPITOLO 1 L’EVOLUZIONE DELLA POLITICA EUROPEA DI DIFESA E L’INTEGRAZIONE DEL

MERCATO EUROPEO Introduzione 11

1.1 La Politica Europea di Difesa dalla Seconda Guerra mondiale ad oggi 12

1.2 Le iniziative per l’integrazione del mercato europeo della difesa 17

1.2.1 OCCAR 20

1.2.2 Lettera d’intenti e Accordo Quadro 23

1.2.3 Agenzia Europea di Difesa 24

1.2.4 Iniziative della Commissione Europea 30

Conclusioni 32

CAPITOLO 2 L’EVOLUZIONE NORMATIVA EUROPEA IN MATERIA DI DEFENCE PROCUREMENT

Introduzione 35

2.1 L’uso a fini protezionistici della clausola d’eccezione ex art. 296 36

2.2 La Comunicazione interpretativa dell’articolo 296 del Trattato CE 41

2.3 La Direttiva europea 2009/81/CE sugli appalti pubblici nei settori

della difesa e della sicurezza 45

2.3.1 Campo di applicazione e casi di esclusione 46

2.3.2 Sicurezza delle informazioni 51

2.3.3 La sicurezza degli approvvigionamenti 52

2.3.4 Le procedure di aggiudicazione 53

2.3.5 La pubblicazione degli avvisi e bandi di gara 54

2.3.6 I criteri di selezione qualitativa e di aggiudicazione 55

2.3.7 La regolamentazione dei subappalti 56

2.3.8 L’attuazione della Direttiva 2009/81/CE nell’ordinamento italiano 57

2.4 Il problema dei trasferimenti intracomunitari dei beni della difesa 58

2.5 Una prima valutazione dell’efficacia della Direttiva 2009/81/CE 62

Conclusioni 67

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II

CAPITOLO 3 I BENEFICI DELLA CONCORRENZA NEL MERCATO DEGLI APPALTI PUBBLICI

Introduzione 71

3.1 Le caratteristiche economiche delle gare d’appalto 72

3.2 La scelta del contratto da offrire al fornitore 75

3.3 L’efficacia della gara nel selezionare l’impresa più efficiente 77

3.4 I meccanismi di aggiudicazione multidimensionali 81

3.5 Concorrenza ex post e contratti pubblici second sourcing 83

3.6 Il problema della qualità negli appalti pubblici 87

Conclusioni 94

CAPITOLO 4 LE CARATTERISTICHE DEL MERCATO EUROPEO DEI PRODOTTI DELLA DIFESA

E I SUOI POSSIBILI SVILUPPI

Introduzione 97

4.1 Le caratteristiche del mercato dei prodotti della difesa 98

4.1.1 Le forme di mercato dei prodotti della difesa 99

4.1.2 La dimensione tecnologica della produzione 101

4.1.3 Costi di produzione, economie di scala e vantaggi della specializzazione 103

4.2 I vantaggi della cooperazione e coproduzione internazionale 107

4.3 Le conseguenze della pratica degli offsets 111

4.4 Le differenti tipologie di defence procurement 116

4.5 I possibili scenari del mercato europeo della difesa 122

Conclusioni 128

CONCLUSIONI 131

BIBLIOGRAFIA 136

SITOGRAFIA 139

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III

INDICE FIGURE E TABELLE Figura 1 – Raffronto della spesa per la difesa tra Europa e USA - anno 2009 19

Figura 2 – Raffronto della spesa per investimenti tra Europa e USA – 2006/2009 19

Figura 3 – Economie di scala 103

Figura 4 – Economie di specializzazione 106

Figura 5 – Benefici della standardizzazione 109

Tabella 1- Il campo di applicazione della Direttiva 2009/81/CE 50

Tabella 2 – Spesa per ricerca e sviluppo 102

Tabella 3 - Risparmi di costo derivanti dalla collaborazione 110

Tabella 4 - Programmi di ammodernamento del Ministero della Difesa 119

Tabella 5 - Tipologie di procurement 122

Tabella 6 – Risparmi di costo dei possibili scenari del mercato

europeo della difesa 124

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SOMMARIO

L’attività di procurement della difesa è sempre stata al centro dell’attenzione di molti

studiosi di economia, in quanto essa rappresenta una fetta importante del PIL dei paesi

più industrializzati. A seguito della crisi finanziaria e del debito degli Stati Sovrani, questo

argomento ha acquisito ancor più rilevanza, in virtù delle politiche di rigore intraprese nella

maggior parte degli Stati occidentali e del conseguente processo di ridimensionamento

delle risorse a disposizione della “funzione difesa”.

La Direttiva europea 2009/81/CE ha delineato un nuovo assetto normativo, che

nell’intento del legislatore dovrebbe spingere alla costituzione del mercato unico europeo

del defence procurement. A tal proposito sono da tempo noti nella letteratura economica

gli effetti positivi derivanti dall’incremento della concorrenza nel mercato degli appalti

pubblici (si veda ad esempio i contributi di McAfee e McMillan, 1986 e Laffont e Tirole,

1987): introducendo attraverso un meccanismo di gara per aggiudicare un appalto

pubblico è possibile infatti selezionare l’impresa più efficiente e ridurre il prezzo di fornitura

pagato.

Nonostante ciò, le peculiarità del settore della difesa hanno spinto, almeno fino ad

oggi, i governi nazionali ad escludere dall’applicazione delle regole concorrenziali del

mercato unico europeo i prodotti militari, dando origine, di fatto, a 27 mercati nazionali.

Le ristrettezze economiche di bilancio, rilanciando la necessità di incrementare la

qualità e l’efficienza nel settore, hanno però dato nuovo impulso al processo di creazione

di un ampio mercato di concorrenza anche in questo importante e delicato settore. Appare

dunque interessante indagare le caratteristiche del mercato dei prodotti della difesa e

valutare i vantaggi che possono derivare dall’adozione di una politica d’integrazione del

mercato europeo.

L’obiettivo di questo lavoro è dunque quello di analizzare l’evoluzione della normativa

in materia di Defence Procurement, evidenziando i benefici connessi con l’ampliamento e

l’integrazione del mercato degli armamenti. In particolare, ci proponiamo di verificare la

coerenza del percorso evolutivo in atto con le indicazioni fornite dalla teoria economica in

materia di procurement.

Per conseguire questo obiettivo dovremo, in primo luogo, chiarire il contesto

istituzionale in cui si colloca tale processo. Perciò nel primo capitolo andremo a illustrare i

passaggi istituzionali che hanno interessato, dal secondo dopo guerra ad oggi, la politica

di difesa a livello europeo.

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Questa analisi ci permetterà di comprendere come il processo evolutivo in atto nel

mercato dei prodotti della difesa, poggi le basi su di un contesto istituzionale che ha visto,

per la prima volta, a partire dagli anni ’90, una rapida accelerazione verso una politica di

maggiore integrazione e condivisione delle risorse dedicate alla difesa. Numerose al

riguardo sono le iniziative intraprese, come quelle dell’OCCAR, organizzazione nata per

gestire in maniera più efficace ed efficiente programmi europei di cooperazione nel campo

degli armamenti o l’European Defence Agency, organismo di diretta emanazione dell’UE

che ha l’obiettivo di sviluppare le capacità di difesa nel settore della gestione delle crisi e

promuovere la cooperazione europea nel settore degli armamenti, rafforzando la base

industriale e tecnologica di difesa europea.

La consapevolezza dei mutamenti in atto a livello istituzionale ci permetterà di

comprendere meglio la recente evoluzione della normativa europea in materia di

procurement militare. L’illustrazione delle novità legislative costituirà l’oggetto del nostro

secondo capitolo. Vedremo come numerosi interventi normativi, a partire dagli inizi del

secondo millennio, hanno inteso scardinare la prassi delle pratiche protezionistiche

presenti sino allora nel settore della difesa. La clausola d’eccezione ex art. 296 del

Trattato CE ha permesso agli Stati membri per un lungo periodo di escludere dal campo di

applicazione delle regole sulla concorrenza il settore della difesa, creando di fatto una

notevole frammentazione fra i mercati nazionali. La Comunicazione interpretativa del

2006, che ha ristretto di fatto i margini per il ricorso alla suddetta clausola d’eccezione e le

norme contenute nel Defence package, la Direttiva 2009/81/CE sugli appalti pubblici nei

settori della difesa e della sicurezza e la Direttiva 2009/43/CE sui trasferimenti

intracomunitari di materiali legati alla difesa, hanno posto le basi per la creazione di un

mercato maggiormente integrato, in cui c’è finalmente la possibilità per le industrie della

difesa di competere senza discriminazioni di sorta anche fuori dai confini nazionali.

Una volta chiarito il contesto di rifermento ed illustrata la recente evoluzione

normativa nel procurement della difesa, andremo a costituire le basi conoscitive per

esprimere una valutazione di merito sul processo in atto. In particolare, per poter fondare

un giudizio su più solide basi scientifiche, richiameremo le indicazioni provenienti dalla

letteratura economica in merito ai vantaggi derivanti dall’introduzione della concorrenza

nel mercato degli appalti pubblici. Vedremo come gli economisti sono concordi

nell’attribuire degli effetti positivi all’introduzione di una gara a monte dell’aggiudicazione di

un contratto pubblico: essa permette di selezionare tra i concorrenti l’impresa più efficiente

e consente di ridurre il prezzo finale d’aggiudicazione. D’altra parte però una gara

d’appalto non è in grado di risolvere il problema della riduzione dello sforzo profuso nel

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contenimento dei costi da parte dell’impresa vincitrice che può verificarsi in sede di

esecuzione. Per questo tipo di problema, che da luogo ad una crescita notevole dei costi

di produzione ex post, peraltro molto comune nel settore della difesa, occorre predisporre

delle forme contrattuali incentivanti e non a rimborso dei costi sostenuti. Infine,

evidenzieremo come negli appalti pubblici, soprattutto quelli relativi a beni particolarmente

complessi per i quali non è agevole verificare il rispetto della promessa contrattuale, esista

un problema di scadimento del livello qualitativo fornito superabile con l’introduzione di un

meccanismo che premi le imprese con migliore reputazione.

Costruito così il nostro bagaglio conoscitivo potremo nell’ultimo capitolo esprimere

una valutazione sull’evoluzione in atto nel mercato dei prodotti della difesa. Occorrerà

sottolineare la specificità di questo mercato rispetto ad un ordinario mercato di beni di

largo consumo: lo stretto legame che la difesa ha con il concetto stesso di sovranità degli

Stati, la forte presenza di economie di scala, di specializzazione e di contenuti altamente

tecnologici, la necessità per i programmi più importanti di ricorrere alla cooperazione

internazionale, la pratica delle compensazioni industriali sono elementi che devono essere

presi in considerazione e che non permettono l’estensione sic et simpliciter dei criteri validi

in altri contesti. Alla luce di questi elementi esprimeremo la nostra opinione circa l’efficacia

del processo normativo in atto nel conseguire l’obiettivo di una maggiore integrazione e

concorrenza nel mercato, delineando quelli che potranno essere i possibili scenari futuri di

sviluppo. Al riguardo riteniamo di poter affermare sin da ora che la strada intrapresa dal

legislatore sia l’unica attualmente percorribile, e che, per poter puntare a soluzioni ancor

più ambiziose, sarà necessario creare una volontà politica comune che renda realmente

integrate le capacità militari e la politica di difesa europea.

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CAPITOLO 1 L’EVOLUZIONE DELLA POLITICA EUROPEA DI DIFESA E L’INTEGRAZIONE DEL

MERCATO EUROPEO

Introduzione La crisi economica e finanziaria che dal 2008 ha interessato tutti i paesi europei,

riducendo le risorse a disposizione dei bilanci statali, la crescente concorrenza

internazionale nel settore dei prodotti della difesa dovuta alla nascita di nuovi competitori

sul piano mondiale, la lievitazione dei costi di ricerca e sviluppo dei moderni sistemi

d’arma, sempre più complessi ed avanzati tecnologicamente, hanno spinto i decision

makers europei a mettere in comune risorse ed iniziative per creare le condizioni per la

nascita di un mercato della difesa integrato a livello europeo.

Per poter analizzare l’evoluzione del processo che sta portando alla nascita del

mercato europeo della difesa è necessario preliminarmente inquadrare il più ampio

contesto istituzionale in cui esso si incardina, ossia l’evoluzione della politica europea di

difesa: solo avendo cognizione del percorso seguito in questo settore, si potranno

comprendere meglio le difficoltà che si sono susseguite nel processo di creazione di un

mercato unico europeo nel settore degli armamenti.

Per questa ragione dedicheremo la prima parte del nostro lavoro ad illustrare

brevemente i passaggi fondamentali che hanno condotto alla configurazione dell’attuale

scenario istituzionale, in cui si inquadra la recente accelerazione che si è avuto in ordine

alla costituzione di un mercato integrato della difesa.

A questo scopo illustreremo nel prossimo paragrafo, dapprima, le tappe

fondamentali che hanno portato alla definizione, da parte delle istituzioni europee della

politica estera di sicurezza comune e, successivamente, della politica di difesa comune.

Ci concentreremo poi, nel paragrafo successivo, sul processo di integrazione e

formazione di un mercato europeo unico della difesa, illustrando le diverse iniziative

europee che si sono susseguite nel corso degli anni, avvicinandoci così in maniera

graduale alla materia oggetto della nostra analisi.

In particolare illustreremo due tentativi di cooperazione ed integrazione (OCCAR e

EDA) che hanno avuto un ottimo successo e accenneremo all’evoluzione del quadro

normativo in materia di defence procurement prodotto a seguito dei numerosi interventi

operati dalle istituzioni europee, Commissione in primis.

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1.1 La Politica Europea di Difesa dalla Seconda Guerra mondiale ad oggi L’Europa è stata per tanti secoli terra di forti scontri e guerre tra i differenti popoli che

l’hanno abitata: dopo la creazione degli Stati sovrani essi si sono combattuti senza

esclusione di colpi, quasi ininterrottamente, fino alla conclusione della Seconda Guerra

mondiale. Finalmente dal 1945 ad oggi la storia del “Vecchio continente” è stata

caratterizzata da un prolungato e quasi straordinario periodo di pace tendenziale che ha

permesso, almeno fino alla recente crisi economica, un eccezionale sviluppo economico e

commerciale che ha portato ad un enorme miglioramento delle condizioni di vita delle

popolazioni europee.

La conclusione della Seconda Guerra mondiale aveva lasciato la popolazione

europea, non solo divisa ideologicamente tra l’USA e l’URSS, ma l’aveva di fatto

consegnata a condizioni economiche disastrose, di assoluta miseria e povertà. Gli Stati

Uniti vedevano in questo stato di cose non solo una fonte di malessere sociale, ma anche

una situazione su cui potevano attecchire derive di tipo collettivista. D’altra parte

bisognava impedire la rinascita di soluzioni egemoni o impedire il rifiorire di corse agli

armamenti. Il piano Marshall e la costituzione della Comunità europea del carbone e

dell’acciaio erano dunque due tasselli che avrebbero dovuto contrastare questi rischi.

Con il piano Marshall si voleva aiutare gli Stati europei, attraverso una cospicuo

piano di aiuti, a ricostituire le condizioni per un rilancio dell’economia e della crescita

industriale. Con la CECA si voleva limitare, attraverso il controllo dell’acciaio e del carbone

che questa istituzione garantiva, la creazione e l’accumulo di armamenti favorendo anche

la necessaria ripresa economica. In questo contesto si colloca la creazione nel 1949

dell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico con lo scopo di fornire, attraverso la

presenza in Europa degli Stati Uniti, una cornice militare di sicurezza contro una possibile

espansione di soluzioni comuniste1.

Il primo ma effimero tentativo di creazione di una politica europea di difesa si ha nel

1951, quando videro la luce le trattative per la realizzazione di un progetto della Comunità

Europea di Difesa, o CED. Le negoziazioni durarono molto e si arenarono di fronte alla

bocciatura del progetto da parte del parlamento francese. Si lasciò allora che il tema della

difesa europea fosse ricompresso, in maniera indiretta e del tutto marginale, all’interno

dell’Unione Europea Occidentale (UEO), istituzione che, si prefiggeva di dare

1 Diverse sono le opere che inquadrano il periodo de quo. Segnaliamo il lavoro di Romano, 2007.

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un’organizzazione militare integrata europea, ma che purtroppo è rimasta sempre sullo

sfondo delle istituzioni europee, tant’é che nel 2011 è stata soppressa2.

Da quel lontano primo tentativo per molti anni l’argomento fu abbandonato, mentre in

campo economico e commerciale si scopriva la grande efficacia dell’attività di

cooperazione europea, testimoniata dalla crescita economica. La situazione viene a

mutare di fronte all’inaspettata caduta del muro di Berlino, che porta con sé un profondo

cambiamento dello scenario geopolitico mondiale. In primo luogo, la fine della

contrapposizione tra i due blocchi apriva la strada ad una maggiore cooperazione

internazionale tra gli Stati membri dell’ONU che, nel campo della difesa, è andata

concretizzandosi con il sempre maggior ricorso alle missioni di peace-keeping a partire dai

primi anni ’90.

Di fronte al cambiamento di scenario si avvertiva la necessità di operare una nuova

riflessione sulla questione della difesa comune europea che avvenne con il Trattato di

Maastricht del 1992. Con esso si crearono infatti i “tre pilastri” dell’Unione Europea, ossia

la divisione delle politiche a seconda della differente natura delle stesse. Il “primo pilastro”

era costituito dall’unione monetaria e doganale, oltre che dalla politica agricola comune.

Il secondo includeva le politiche che riguardavano il rafforzamento della sicurezza

dell’Unione e degli Stati membri, il mantenimento della pace e il rafforzamento della

sicurezza internazionale, la promozione della cooperazione internazionale3, e dunque il

settore della difesa. Infine, il “terzo pilastro” era costituito dalle politiche riguardanti la

giustizia e gli affari interni (GAI).

Un passo importante per la difesa europea è rappresentato dalla dichiarazione di

Petersberg del 1992, con cui gli Stati membri dell’U.E.O. si impegnavano a rendere

disponibili all’Organizzazione stessa delle unità militari per svolgere missioni militari di

differenti tipi: per compiti umanitari e di evacuazione, missioni di peace-keeping, missioni

di crisis management e peace-making.

Con il Trattato di Amsterdam4 del 1997 vi furono alcune novità in materia di politica

estera di sicurezza comune, ma non così di rilievo come quelle apportate con il vertice

franco-britannico nel dicembre del 1998 a Saint-Malò, che viene identificato come l’inizio

del progetto di difesa europea comune5. Le parti concordarono sul fatto che: “L’Unione

Europea deve avere una capacità di azione autonoma, sostenuta da forze militari credibili,

2 Il sito ufficiale UEO: http://www.weu.int/int/index.html. 3 Si veda il dettato dell’articolo 206 del Trattato sull’Unione Europea (TUE). 4 Testo ufficiale disponibile all’indirizzo: http://eur-

lex.europa.eu/en/treaties/dat/11997D/htm/11997D.html. 5 Cfr Rutten, 2001.

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deve avere i mezzi per decidere di utilizzarle e la prontezza per farlo, al fine di fronteggiare

le crisi internazionali”6. Dopo questo vertice nel 1999 l’U.E.O. venne incorporata

nell’Unione Europea e Javier Solana venne nominato Alto Rappresentante per la Politica

Estera di Sicurezza Comune (PESC, “secondo pilastro”). Nel successivo Consiglio

Europeo di Helsinki7 si convenne che nell’ambito delle missioni a guida UE gli Stati

membri dovevano essere in grado di schierare in 60 giorni quindici brigate da 50.000-

60.000 unità, capaci di svolgere i compiti delle missioni di Petersberg.

Un’altra data importante per l’Europa della difesa è il 2001, anno in cui il Trattato di

Nizza8 introduce per la prima volta l’istituto delle cooperazioni rafforzate e il Consiglio di

Laeken dichiara operativa, nell’ambito della Politica Estera di Sicurezza Comune (PESC),

la Politica Europea di Sicurezza e Difesa (PESD), pur ribadendo che “lo sviluppo delle

capacità militari non implica la creazione di un esercito europeo”. Per la realizzazione di

questa dichiarazione vennero stipulati l’anno successivo gli accordi così detti “Berlin plus”,

con cui venivano definite le modalità di cooperazione fra la NATO e l’Unione Europea in

materia di crisis management, attraverso la possibilità per quest’ultima di utilizzare gli

asset e le capacità dell’Alleanza atlantica per le missioni a guida UE, comprese le capacità

di comando e pianificazione9.

Nel 2004 viene istituita la European Defence Agency (EDA), con il compito di

migliorare il settore della difesa europea, con particolare riferimento al contesto industriale

e tecnologico. Tratteremo più approfonditamente tale argomento a breve, essendo la

creazione di tale agenzia una delle iniziative che ha incentivato la costituzione di un

mercato europeo nel settore degli armamenti.

Nell’anno 2009 entra in vigore il Trattato di Lisbona10, aggiornando il quadro

normativo vigente ed introducendo alcune novità anche in materia di difesa. La prima è

rappresentata dall’istituzione della figura dell’”Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari

Esteri e la politica di sicurezza”. Egli guida la politica estera e di sicurezza comune

dell’Unione e quindi anche la politica di sicurezza e di difesa comune. È anche il

Presidente dell’Agenzia Europea di Difesa.

6 Si veda il testo originale della dichiarazione disponibile all’indirizzo:

http://www.weu.int/documents/920619peten.pdf. 7 Testo ufficiale disponibile all’indirizzo: http://www.europarl.europa.eu/summits/hel1_en.htm#b. 8 Testo ufficiale disponibile all’indirizzo: http://eur-

lex.europa.eu/it/treaties/dat/12001C/pdf/12001C_IT.pdf. 9 Si veda il testo originale disponibile all’indirizzo:

http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cmsUpload/03-11-11%20Berlin%20Plus%20press%20note%20BL.pdf.

10 Testo ufficiale disponibile all’indirizzo: http://eurex.europa.eu/JOHtml.do?uri=OJ:C:2010:083:SOM:IT:HTML .

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La PESD lascia il passo alla Politica di Sicurezza e di Difesa Comune (PSCD). Essa

comprende la graduale “…definizione di una politica di difesa comune che potrà condurre

a una difesa comune quando il Consiglio all’unanimità avrà così deciso”11. Per la sua

realizzazione l’Unione non dispone di propri assetti, ma si basa sulle capacità civili e

militari fornite dagli Stati membri, che rimangono liberi di scegliere se mettere a

disposizione o meno questi assetti.

Un’altra novità introdotta in materia di difesa europea dal Trattato di Lisbona è

costituita dall’istituto della Cooperazione Strutturata Permanente (CSP), che ha lo scopo di

avvicinare le capacità militari degli Stati membri che lo desiderano: essa può essere fatta

rientrare nominalmente nella più ampia categoria della cooperazione rafforzata, già

prevista dal Trattato di Amsterdam, ma che, fino ad allora, non poteva applicarsi al settore

della difesa.

L’art 42 comma 6 del TUE recita: “gli Stati membri che rispondono a criteri più elevati

in termini di capacità militari e che hanno sottoscritto impegni più vincolanti in materia ai

fini delle missioni più impegnative, instaurano una cooperazione strutturata permanente

nell’ambito dell’Unione”. La Cooperazione Strutturata Permanente si caratterizza

essenzialmente per il fine della sua costituzione, che è limitato alle capacità militari, la

mancanza di un numero minimo di partecipanti (possono dunque dar vita a questa

cooperazione anche solo due Stati membri), e l’orizzonte temporale di riferimento per la

sua realizzazione che è di lungo periodo12.

Un’idea sulla particolare attenzione riservata al settore della difesa e sulla valenza

assolutamente strategica che esso riveste per gli Stati nazionali, possiamo averla

semplicemente riflettendo sul metodo decisionale adottato per la definizione delle politiche

comunitarie.

Nel corso degli anni l’Unione Europea ha tradizionalmente fatto riferimento a due

metodologie decisionali: il così detto metodo comunitario, utilizzato inizialmente, nelle

materie economiche, commerciali e doganali, e il metodo intergovernativo, impiegato nelle

altre materie. Man mano che i successi in campo economico venivano conseguiti, si è

assistito ad una progressiva erosione del metodo intergovernativo in favore di quello

comunitario, ad eccezione della politica estera e di quella della difesa. Il metodo

comunitario, applicato prevalentemente nelle decisioni prese relativamente alle materie

appartenenti al “primo pilastro”, è caratterizzato dal maggior potere attribuito alle istituzioni

comunitarie rispetto ai governi nazionali: la Commissione detiene il potere di iniziativa, le

11 Art. 42, comma 2, Trattato sull’Unione Europea (TUE). 12 Per un approfondimento si veda Santopinto, 2009.

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decisioni vengo prese a maggioranza qualificata, e vi è un controllo forte della Corte di

Giustizia.

Il metodo intergovernativo utilizzato per il “secondo pilastro”, riserva invece maggiore

importanza ai governi nazionali che, oltre a condividere con la Commissione il potere di

iniziativa, godono di fatto di un potere di veto essendo previsto un processo decisionale di

norma all’unanimità. Questo aspetto è ovviamente fondamentale per garantire la sovranità

nazionale in una materia quale la difesa, che rappresenta l’espressione diretta di tale

attributo ed è funzionale alla sopravvivenza stessa degli Stati.

A livello politico occorre evidenziare come con il Trattato di Lisbona sia stata

introdotta per la prima volta una clausola simile a quella prevista nel Patto Atlantico, ossia

la “clausola di difesa reciproca” che prevede che “qualora uno Stato membro subisca

un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri stati sono tenuti a prestargli aiuto e

assistenza con tutti i mezzi in loro possesso”13. Contestualmente si dettagliano meglio i tipi

di missione che l’Unione Europea può compiere, senza che ricorrano i presupposti della

clausola citata:

Missioni di disarmo;

Missioni umanitarie e di soccorso;

Missioni di consulenza e assistenza in materia militare;

Missioni di prevenzione dei conflitti;

Missioni di mantenimento della pace;

Missioni di unità da combattimento per la gestione di una crisi, fra cui missioni per

ristabilire la pace;

Operazioni di stabilizzazione post conflict.

Un accenno merita infine anche l’organizzazione istituzionale a cui è demandata

l’attuazione della Politica di Sicurezza e di Difesa Comune. Al riguardo già nel 2000 il

Consiglio Europeo di Nizza aveva indicato quali dovevano essere le strutture permanenti a

carattere politico-militare:

Comitato Politico e di Sicurezza (COPS, in inglese Political and Security Committee, o

PSC);

Comitato Militare (European Union Military Comittee, EUMC);

Stato Maggiore della Difesa Europeo (European Union Military Staff, EUMS)

Capacità civile di Pianificazione e Condotta (Civilian Planning and Conduct Capability,

CPCC). 13 Art. 222 del TFUE.

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17

Il COPS è composto da ambasciatori dei vari paesi e si occupa di monitorare la

situazione internazionale ai fini della definizione della PSDC. Il Comitato Militare è l’organo

di vertice militare dell’Unione, essendo composto dai Capi di Stato Maggiore della Difesa

dei vari Stati membri. Esso fornisce consulenza al COPS, ed è assolutamente analogo

all’omologo Comitato Militare esistente a livello NATO. L’EUMS è l’organo operativo che

sovrintende alla gestione delle diverse missioni PSDC e fornisce consulenza sulle materie

militari all’Alto Rappresentante. La CPCC è deputata alla condotta delle operazioni civili

della PSDC.

A questo punto, dopo aver dato un rapido sguardo all’evoluzione della politica

europea di difesa ed alla sua attuale configurazione possiamo compiere un passo in

avanti, illustrando alcune iniziative che hanno accelerato il processo di maggiore

integrazione del mercato europeo della difesa.

1.2 Le iniziative per l’integrazione del mercato europeo della difesa Nell’ambito dell’evoluzione del quadro di riferimento istituzionale, che abbiamo

appena voluto tratteggiare, si inseriscono una serie di iniziative susseguitesi a partire dagli

anni ’90, seppur in ordine sparso e senza una visione complessiva d’insieme, che hanno

contribuito al processo di integrazione del mercato europeo della difesa. I motivi che

hanno spinto e incentivato tale maggiore integrazione sono diversi e li analizzeremo più

approfonditamente nei successi capitoli. È doveroso comunque da subito indicarne alcuni,

per meglio orientare la nostra analisi.

In primo luogo per perseguire la realizzazione della politica estera e di difesa

europea è necessario dotarla di mezzi credibili che possano permettere la conduzione

delle operazioni militari. Di qui l’assoluta necessità di rendere le strutture e i mezzi

interoperabili, in considerazione del fatto che le odierne missioni militari vengono condotte

sempre congiuntamente tra le forze armate appartenenti a differenti Stati membri. D’altra

parte la sempre più limitata consistenza dei bilanci nazionali per la difesa, spinge, in un

settore dove i costi tecnologici sono divenuti ormai elevatissimi, ad una ricerca di azioni e

di attività integrate. Accanto a questi due fattori, che da soli già spingono

significativamente verso una maggiore integrazione e cooperazione nel campo della

difesa, va ricordato anche che la crescente concorrenza internazionale a cui sono esposte

le industrie operanti nel settore della difesa, incentiva la creazione di una massa critica a

livello europeo in modo da conseguire economie di scala di produzione, e con esse la

possibilità di conquistare nuove fette nei mercati esteri.

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L’elevata importanza strategica del settore della difesa ha, come abbiamo visto nel

paragrafo precedente, spinto i governi nazionali ad avere un atteggiamento protezionistico

evitando di sottoporlo alle regole comunitarie in materia di concorrenza, e cercando, per

quanto possibile, di non condividere le capacità militari.

D’altra parte però, l’assoluta necessità di ridurre gli ingenti costi tecnologici, le

difficoltà dei bilanci pubblici europei, la perdita di competitività a livello internazionale delle

industrie europee del settore, l’esigenza di evitare inutili duplicazioni di spesa, hanno

stimolato l’abbandono da parte degli Stati membri del tradizionale atteggiamento di

chiusura in materia di approvvigionamento degli armamenti.

La nuova policy è dunque quella di integrare il mercato europeo in modo da creare

livelli di domanda e di produzione tali da consentire alle industrie europee del settore di

competere nel mondo, affrontando le sfide poste dall’emergere di nuovi competitori a

livello internazionale e permettere alle forze armate europee di usufruire di prodotti

all’avanguardia, in linea con le loro esigenze operative e finanziarie. L’integrazione delle

risorse economiche, industriali e tecnologiche è ormai indispensabile per non allargare il

differenziale tecnologico con le potenti industrie americane e non perdere posizioni

rispetto a quelle dei paesi emergenti avvantaggiate dal basso costo del lavoro. La messa

in comune, soprattutto della fase di ricerca e sviluppo, è fondamentale per non privare le

forze armate degli Stati europei dei materiali e tecnologie migliori. Per meglio

comprendere il divario tra il mercato statunitense e quello europeo, anche nell’ipotesi in cui

questo ultimo fosse completamente integrato, presentiamo di seguito due figure tratte

dalla banca dati dell’EDA: nella Figura 1 viene posta a raffronto la spesa per il settore della

difesa, in Europa e negli USA; nella Figura 2 viene evidenziato il divario di spesa per

investimenti nel settore della difesa, sempre tra USA e Europa.

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Figura 1 – Raffronto della spesa per la difesa tra Europa e USA - anno 2009

Fonte: Agenzia Europea della Difesa.

Figura 2 – Raffronto della spesa per investimenti tra Europa e USA – 2006/2009

Fonte: Agenzia Europea di Difesa.

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20

Per comprendere come si sia articolato il processo di integrazione del mercato

europeo e come i vari Stati membri si stiano muovendo in tale direzione spinti, in verità,

più dalle necessità contingenti che dalla reale convinzione, intendiamo a questo punto

illustrare le principali iniziative europee che hanno permesso di compiere dei reali passi in

avanti nell’ottica dell’integrazione nel settore degli armamenti:

1) OCCAR;

2) Lettera d’intenti e Accordo Quadro;

3) Agenzia Europea di Difesa;

4) Iniziative della Commissione europea.

Per quanto attiene l’OCCAR, pur non essendo questa organizzazione diretta

espressione delle istituzioni dell’Unione, essa non può essere trascurata nella nostra

analisi, essendo un’esperienza fondamentale di integrazione e condivisione delle risorse

nel settore della difesa. Il punto 4, ossia la comunicazione interpretativa, il libro verde e

soprattutto la recente Direttiva in materia di defence procurement, saranno illustrati con

maggiore attenzione e profondità nel capitolo successivo di cui costituiranno l’oggetto. In

questo contesto è comunque opportuno fornire un quadro d’insieme, e accennarne perciò i

tratti fondamentali.

1.2.1 OCCAR Spinti da sfide economiche non indifferenti, all’inizio degli anni ’90 i maggiori Stati

europei incominciarono a pensare di realizzare forme di cooperazione istituzionalizzate

che potessero effettivamente rispondere al nuovo scenario mondiale che si andava

delineando nel campo della difesa. Di fronte alle difficoltà incontrate nell’avviare un

progetto del genere nell’ambito della Comunità Europea, Francia, Germania, Gran

Bretagna e Italia decisero di istituire un’organizzazione ad hoc che, con proprie regole

norme e procedure, potesse realizzare nuove forme di cooperazione rispetto al passato in

un settore strategico come quello della difesa.

L’OCCAR (Organisation Conjointe de Coopération en matière d’ARmement) fu

istituita il 12 novembre 1996 tramite un accordo stipulato dai Ministri della Difesa di

Francia, Germania, Gran Bretagna ed Italia con l’obiettivo di gestire in maniera più efficace

ed efficiente programmi europei di cooperazione nel campo degli armamenti. La

convenzione OCCAR venne stipulata nel 1998, entrando in vigore definitivamente, dopo la

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ratifica da parte dei rispettivi parlamenti nazionali, il 28 gennaio 2001. Nel 2003 il Belgio

prima, e poi nel 2005 la Spagna, entrarono a far parte di questa organizzazione14.

L’obiettivo che si proponevano i quattro Stati fondatori era quello di mitigare i

problemi derivanti da una situazione di non interoperabilità dei sistemi d’arma in dotazione

alle proprie forze armate, di abbassare in qualche modo i costi dei programmi di

procurement, ormai divenuti troppo esorbitanti per una singola nazione, e soprattutto di

consentire alle industrie di settore, attraverso la creazione di una massa critica per

competere ad armi pari con le industrie statunitensi.

OCCAR è composta da una struttura di vertice denominata Board of Supervisor

(BoS), in cui vengono prese le decisioni relative ai programmi da avviare e dove vengono

rappresentati gli Stati membri. Per comprendere quanto siano complesse le problematiche

che sottendono le dinamiche distributive di potere in forme di cooperazione

istituzionalizzate di questo genere, è interessante osservare il meccanismo di attribuzione

dei voti nell’ambito del processo decisionale di questo organismo15.

Gli Stati fondatori dispongono di dieci voti a testa, mentre i nuovi membri dispongono

di un numero inferiore di voti (in concreto alla Spagna sono stati assegnati otto voti ed al

Belgio cinque). La partecipazione a questo club ristretto implica dunque un minor potere

decisionale per i nuovi entranti, garantendosi così gli Stati fondatori, attraverso il

meccanismo decisionale, la cristallizzazione della propria posizione di potere. A conferma

di questo aspetto tutte le decisioni più importanti, ossia concernenti l’adesione di nuovi

membri, l’approvazione di regolamenti e l’organizzazione dell’amministrazione esecutiva,

sono prese a maggioranza qualificata rafforzata, che nel caso di specie significa che non

vi possono essere dieci voti contro. Ciò implica che i membri fondatori dell’organizzazione

conservano un sostanziale potere di veto nelle questioni più importanti16.

La gestione operativa dei programmi di cooperazione nello sviluppo degli armamenti

è demandata all’OCCAR Executive Administration, ossia la struttura esecutiva al cui

vertice è posto un direttore nominato dal Board of Supervision.

Molteplici sono i programmi posti in essere dall’OCCAR. Tra questi segnaliamo:

- A400M: un moderno aereo da trasporto tattico e strategico, adatto ad ogni condizione

meteorologica e di impiego, capace di conseguire una maggiore efficienza d’impiego;

14 Per informazioni sull’OCCAR si veda il sito ufficiale: www.occar-ea.org. 15 Per un approfondimento delle problematiche legate alla cooperazione nel campo della difesa

si veda Ceccorulli, 2010. 16 Cfr. OCCAR Management Procedures, Programme Decision Approved Model Text, Annesso

A, Sezione 4.

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- BOXER: un veicolo armato multiruolo, capace di operare su tutti i terreni, in grado di

far fronte alla richiesta di maggiore flessibilità necessaria per il conseguimento di un

ampio ventaglio di obiettivi, aspetto tipico delle moderne missioni militari;

- FREMM (Fregate Europee Multi Missione o multi ruolo): rappresenta il più ambizioso

ed innovativo programma europeo nel settore della difesa navale, in grado di

rispondere ai requisiti operativi necessari per compiere le missioni nei nuovi teatri

d’impiego.

Ricordiamo inoltre altri importanti programmi come il programma COBRA, MUSIS,

ESSOR, FSAF.

Come è facile attendersi nella definizione dei requisiti dei programmi, nella gestione

cooperativa degli stessi e nella fase di esecuzione, nascono degli importanti conflitti

riguardanti il potere relativo degli Stati. Questa problematica è ancor più acuta in un

contesto in cui le ristrettezze di bilancio causano la riduzione degli stanziamenti destinati

alla difesa. Tra le molteplici controversie emerse in seno all’organizzazione spicca, ad

esempio, il ritiro dell’Italia dal programma A400M: secondo l’allora Ministro della Difesa

Martino il disimpegno dal programma era da attribuire al limitato ritorno industriale di cui il

paese avrebbe beneficiato rispetto alle altre industrie europee17.

Anche i ritardi notevoli accumulati nella realizzazione dei programmi e la crescita non

prevista nella fase di esecuzione dei costi, sono spesso attribuibili alle dispute tra i governi

nazionali in materia di distribuzione dei ritorni. Praticamente in tutti i programmi integrati si

sono verificati dei ritardi nelle consegne: esempio può essere il programma FREMM, tra

Italia e Francia, dove l’indecisione del governo italiano circa i requisiti militari delle fregate

e alcune difficoltà economiche hanno portato notevoli ritardi. Altro esempio emblematico di

disputa è l’uscita dal programma Boxer del Regno Unito, in quanto il carro armato che si

stava producendo era, ad avviso del Ministero della Difesa di Londra, troppo pesante,

avendo invece le truppe britanniche bisogno di un mezzo più leggero. A seguito di questo

ritiro il Regno Unito sopportò ingenti costi di uscita ed il programma ebbe un notevole

ritardo.

OCCAR rappresenta dunque un’esperienza di rilievo nel processo di integrazione del

mercato della difesa nel contesto europeo, ma allo stesso tempo testimonia tutte le

difficoltà che si possono incontrare a causa delle dinamiche distributive di potere legate

alla grossa rilevanza strategica ed economica che caratterizza il settore della difesa

rispetto ad altri mercati comuni.

17 Cfr. Ceccorulli, 2010.

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1.2.2 Lettera d’intenti e Accordo Quadro Il 6 luglio 1998 venne firmata dai Ministri della Difesa di Francia, Germania, Italia,

Spagna, Svezia e Regno Unito una “Letter of Intent” (LoI), con cui i sei Stati membri si

impegnavano a collaborare per ristrutturare il settore industriale aerospaziale e della

difesa, migliorando la capacità d’investimento, allo scopo di permettere alle industrie del

settore di meglio competere nel panorama internazionale, in particolare contro le industrie

statunitensi.

L’attuazione dei principi contenuti nella lettera d’intenti passa attraverso la stipula

dell’Accordo quadro del 27 luglio 2000 (Framework Agreement, FA), un trattato

internazionale che impegnava gli Stati firmatari alla realizzazione di quanto auspicato con

la LoI e le intese applicative realizzate in sei diversi settori d’intervento: sicurezza degli

approvvigionamenti, procedura di trasferimento ed esportazione, trattamento delle

informazioni tecniche, ricerca e tecnologia, sicurezza delle informazioni classificate,

armonizzazione dei requisiti militari. L’obiettivo perseguito da questo processo normativo

era quello di consentire l’integrazione del mercato della difesa attraverso la definizione di

procedure standard a carattere semplificato per rendere più semplice, all’interno degli Stati

firmatari, la circolazione degli armamenti e delle persone operanti nel settore della difesa.

Per quanto riguarda la sicurezza degli approvvigionamenti, argomento a cui gli Stati

sono sempre stati molto sensibili, per garantire l’operatività delle loro forze armate, sono

stati redatti due Codici di Condotta a cui le industrie dei paesi possono volontariamente

aderire. I codici sono stati realizzati anche con il parere dell’Industry Working Group,

associazione composta dai rappresentati delle maggiori industrie europee. Per l’Italia

partecipa l’Associazione delle Industrie per l’Aerospazio, i Sistemi e la Difesa (AIAD),

organizzazione nazionale di categoria che racchiude le maggiori industrie e imprese

italiane ad alto contenuto tecnologico.

Un passo in avanti molto significativo è stato fatto con il Codice in materia di

trasferimento ed esportazione, che ha introdotto la Licenza Globale di Progetto (LGP).

Fino al ‘98 era necessario l’ottenimento caso per caso di specifiche autorizzazioni, mentre

con la LGP le industrie e gli Stati firmatari del codice sono in grado di effettuare tutti i

trasferimenti necessari di materiali d’armamento sia per utilizzi di tipo militare, sia nel caso

si operi all’interno di programmi di cooperazione internazionali, demandando la

regolamentazione delle licenze globali e dei trasferimenti proprio al Memorandum of

Understandig (MoU) prodotto dagli Stati coinvolti nel programma. Un programma di

cooperazione non è altro che un accordo tra due o più paesi con cui si regolamenta lo

studio, la progettazione e lo sviluppo di un prodotto ad uso militare: si va dunque dalla fase

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di realizzazione di un prototipo alla sua realizzazione industriale, alla fase di manutenzione

dello stesso.

Nel 2006 è stato avviato un processo di revisione legislativa in materia volto a

consentire una più agevole circolazione all’interno dell’Unione Europea dei prodotti

destinati alla difesa. Tale iter ha visto inizialmente, almeno per i sei Stati europei

maggiormente coinvolti nel campo delle coproduzioni transnazionali, istituire un’area di

libera circolazione basata sull’istituto della General Licence, più ampio e completo della

LGP, che è poi sfociata nella emanazione della Direttiva 2009/43/CE del 6 maggio 2009

relativa alla semplificazione delle modalità e delle condizioni dei trasferimenti all’interno

della Comunità dei prodotti per la Difesa18.

Per quanto concerne il trattamento delle informazioni classificate sono state

elaborate delle linee guida che hanno semplificato le procedure esistenti in materia,

riducendo i tempi per le incombenze burocratiche. É stata inoltre predisposta una lista di

prodotti che possono essere oggetto di trasmissione elettronica delle informazioni

classificate19.

Da segnalare, oltre ai progressi ottenuti nei settori della Ricerca e tecnologia (R&T) e

del trattamento delle informazioni tecniche, il processo che sta portando alla graduale

armonizzazione dei requisiti militari, attraverso lo scambio di informazioni sulle capacità

militari e all’individuazione di futuri programmi condivisi. A tal proposito oltre all’istituzione

di una comune banca dati si è costituito il Gruppo per l’armonizzazione dei requisiti militari

(Harmonisation Military Requirements Board).

1.2.3 Agenzia Europea di Difesa L’Agenzia Europea di Difesa (European Defence Agency, EDA) è stata istituita il 12

luglio 2004, a seguito dell’azione comune 2004/551/PESC del Consiglio UE. L’Agenzia

Europea per la Difesa ha la missione di supportare il Consiglio e gli Stati membri nel loro

impegno di migliorare le capacità di difesa dell'Unione Europea nel settore della gestione

delle crisi e soprattutto in materia di politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC).

L’Agenzia opera sotto l'autorità e il controllo politico del Consiglio che stabilisce ogni

anno gli orientamenti in merito alle attività della stessa. Essa riferisce periodicamente al

Consiglio sulle sue attività. I campi di intervento dell’EDA sono essenzialmente quattro.

18 Cfr. Nones e Marta, 2007. 19 Cfr. Silvestri, Di Camillo, Gasparini e Nones, 2006, pag. 52.

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In particolare essa si prefigge di:

1. sviluppare le capacità di difesa nel settore della gestione delle crisi, attraverso

l’identificazione delle future esigenze di capacità di difesa dell'UE, l'armonizzazione dei

requisiti militari e la promozione di attività di collaborazione nel settore operativo;

2. promuovere e rafforzare la cooperazione europea nel settore degli armamenti,

attraverso la promozione di nuovi progetti multilaterali di cooperazione ed il

coordinamento dei programmi;

3. rafforzare la base industriale e tecnologica di difesa europea e creare un mercato

europeo competitivo dei materiali di difesa;

4. potenziare l'efficacia della ricerca e della tecnologia europea nel settore della difesa,

promuovendo e coordinando le attività di ricerca intese a soddisfare le future esigenze

di capacità di difesa.

L’EDA è costituita da tre organi principali:

- il Capo dell'Agenzia è l’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di

sicurezza. Egli è responsabile dell'organizzazione generale e del funzionamento

dell'Agenzia e vigila affinché gli orientamenti forniti dal Consiglio e le decisioni del

Comitato Direttivo siano attuati dal direttore esecutivo;

- il Comitato Direttivo è l'organo decisionale dell'Agenzia ed è composto da un

rappresentante di ciascuno degli Stati membri partecipanti e da un rappresentante

della Commissione. Il comitato si riunisce di norma almeno due volte l'anno a livello di

Ministri della difesa. Il capo dell'Agenzia convoca e presiede le riunioni del Comitato

Direttivo;

- il Direttore Esecutivo dell'Agenzia è nominato dal Comitato Direttivo, su proposta del

Capo dell'Agenzia. Il Direttore Esecutivo è il Capo del personale dell'Agenzia ed è

responsabile del controllo e del coordinamento delle unità funzionali.

L’Agenzia Europea di Difesa è una delle più giovani agenzie dell'Unione europea.

Essa si pone l’obiettivo di funzionare sulla base di un nuovo approccio, ossia di fornire

soluzioni diverse e spesso innovative, su misura per le esigenze militari di domani.

Il suo approccio è pragmatico, efficace ed orientato ai risultati, e cerca di offrire soluzioni

multinazionali per migliorare la capacità in un momento in cui i vincoli di bilancio della

difesa favoriscono il bisogno di cooperazione.

Molteplici sono le iniziative avviate nel corso degli anni dall’Agenzia nei quattro

settori considerati funzionali per il raggiungimento della missione affidata.

Il Piano di sviluppo delle capacità (CDP) è lo strumento principale attraverso cui

l’EDA cerca di conseguire il primo dei compiti affidatigli, ossia lo sviluppo delle capacità di

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difesa e di gestione delle crisi: esso fornisce agli Stati membri un quadro di riferimento

essenziale per valutare l’evoluzione delle tendenze e dei requisiti di capacità, nel breve,

medio e lungo termine. Tale piano permette di orientare meglio le decisioni nazionali sugli

investimenti di difesa, individuando anche le aree di cooperazione per il miglioramento

delle capacità, e le proposte conseguenti per soluzioni collettive. Il piano di sviluppo delle

capacità è uno strumento strategico globale, e dunque risulta utile anche per conseguire

gli altri obiettivi, ossia funge da guida per gli investimenti in ricerca e tecnologia (R&T), per

la cooperazione degli armamenti e per le industrie della difesa.

Il CDP non è un 'piano' nel senso tradizionale, che descrive il numero di unità o la

quantità di attrezzature che gli Stati membri dovrebbero avere a loro disposizione.

Piuttosto fornisce una vista di future esigenze di capacità, tenendo conto dell'impatto delle

future sfide per la sicurezza, lo sviluppo tecnologico e le altre tendenze. Il CDP si propone

di informare i piani e i programmi nazionali, ma è soprattutto uno strumento per mettere in

evidenza le opportunità di cooperazione. Si tratta di uno strumento fondamentale e

catalizzatore per un approccio basato su capacità di forza e di pianificazione delle

capacità. Si tratta di un quadro di riferimento per valutare le caratteristiche delle operazioni

in corso e future. Supporta l'integrazione coerente della tecnologia in capacità militari e lo

sviluppo di strategie adeguate per implementare i concetti. É un documento vivo, che

viene aggiornato a seconda del caso, in stretta cooperazione con gli Stati membri

partecipanti e gli altri organi dell'Unione europea.

Nell'ambito del quadro fornito dal vigente piano di sviluppo delle capacità, il Comitato

Direttivo ha approvato nel marzo 2011, una serie di 10 azioni prioritarie che saranno i punti

focali per le attività dell'Agenzia negli anni a venire20. Di seguito sono elencati i dieci settori

strategici per lo sviluppo delle capacità:

Counter-Improvised Explosive Device;

Assistenza medica;

Intelligence, sorveglianza e ricognizione;

Aumento della disponibilità di elicotteri;

Cyber Defence;

Supporto Logistico multinazionale;

Scambio di Informazioni;

Strategiche e tattiche di gestione Airlift;

Combustibili e di energia; 20 Per qualsiasi informazione riguardante l’Agenzia si veda il sito ufficiale al seguente indirizzo:

http://www.eda.europa.eu.

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- Mobilità Assurance.

Per quanto attiene al compito di potenziare e sviluppare il settore della ricerca e

tecnologia europea per la difesa (European Defence Research Technology, EDRT), l’EDA

mira a valorizzare la cooperazione a sostegno delle capacità militari: migliorare l'efficacia

della ricerca europea per la difesa e la tecnologia è infatti uno dei suoi principali obiettivi.

La strategia EDRT, approvata dal Comitato Direttivo dell'EDA il 10 novembre 2008, è

focalizzata su come affrontare la ricerca e le esigenze tecnologiche di sicurezza comune e

la politica di difesa nel suo assetto attuale e in quello futuro. Gli investimenti in ricerca e

tecnologia sono essenziali per gli Stati membri al fine di mantenere inalterata la loro futura

capacità di difesa e industriale. Tra l’altro se le ridotte risorse a disposizione per la ricerca

nella difesa e nella tecnologia vengono spese per iniziative a livello nazionale, gli Stati

membri dell'UE perdono numerose opportunità per ottenere delle economie di scala.

I Ministri europei della difesa hanno allora concordato nel novembre 2007 di

aumentare la spesa per il Defence Research & Technology portandola al 2% di tutte le

spese per la difesa, e soprattutto si sono prefissati di raggiungere l’obiettivo del livello del

20% di attività di ricerca svolte in collaborazione. L’esigenza di investire congiuntamente in

ricerca e tecnologia è ulteriormente rafforzata dalla necessità di ristrutturare l'industria

europea della difesa, in virtù della crescente proprietà transfrontaliera delle imprese nella

catena di fornitura, nonché dell'aumento del numero di partecipanti a numerose

collaborazioni multilaterali e dalla necessità di creare sinergie tra le attività civili e militari.

Per affrontare queste problematiche, la strategia di sviluppo europeo del settore della

ricerca e tecnologia si articola su tre elementi. In primo luogo i “fini”, ossia le tecnologie su

cui investire per migliorare le future capacità militari europee. In secondo luogo i “mezzi”: i

meccanismi, le strutture o i processi che aumenterebbero l'efficacia del processo

d’investimento. Infine, i “modi”: le tabelle di marcia e i piani d'azione attraverso i quali i fini

ed i mezzi devono essere conseguiti.

Per quanto riguarda il rafforzamento della cooperazione europea nel settore degli

armamenti, la strategia di cooperazione europea per gli armamenti intende promuovere e

valorizzare i progetti multilaterali di cooperazione per gli armamenti più adatti alle esigenze

di capacità PSDC. In questo settore l’obiettivo dell’EDA è di migliorare l'efficacia e

l'efficienza dei programmi di armamento europei, applicando le lezioni apprese dalle

esperienze passate attraverso una guida per la cooperazione negli armamenti. A tal

proposito nell'ottobre 2008 il Comitato Direttivo ha approvato la strategia di cooperazione

europea degli armamenti. Essa fornisce una chiara dichiarazione di intenti degli Stati

membri partecipanti per promuovere e valorizzare una gestione cooperativa

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maggiormente efficace degli armamenti a sostegno della politica di sicurezza e difesa

(PESD). Uno dei messaggi fondamentali della strategia è che l'Europa deve cercare di

massimizzare le opportunità in materia di cooperazione negli armamenti. Ciò dovrebbe

essere esteso non solo alla ricerca di opportunità di sviluppo cooperativo, ma anche al

conseguimento di potenziali vantaggi derivanti dalla cooperazione nell’aggiornamento di

impianti esistenti, nonché delle altre linee di sviluppo delle capacità.

Come prerequisito per un’efficace politica europea di cooperazione nel settore degli

armamenti europei di cooperazione, occorre creare una solida base industriale e

tecnologica di difesa europea (European Defence Industrial Technology Base, EDITB),

altra missione fondamentale che abbiamo visto essere assegnata all’EDA. D’altra parte, la

cooperazione efficace su programmi di armamenti favorisce un ambiente in cui la base

industriale e tecnologica di difesa europea può essere rafforzata ed essere così in grado di

fornire prodotti maggiormente competitivi per l'industria europea.

L’EDA già configura il futuro panorama industriale europeo nel settore della difesa. Il

futuro della base industriale e tecnologica del settore della difesa deve essere più

integrato, con minori duplicazioni e maggiori interdipendenze, e soprattutto con una

maggiore specializzazione, creando ad esempio poli industriali di eccellenza. Particolare

attenzione è rivolta all’importanza delle piccole e medie imprese con la loro flessibilità e la

loro tipica capacità di innovare.

Il mantenimento di una base industriale e tecnologica di difesa forte e competitiva in

Europa è un sostegno fondamentale della politica di sicurezza e di difesa. Una solida

EDITB è un prerequisito per il conseguimento della missione affidata all'Agenzia Europea

per la Difesa: migliorare le capacità di difesa dell'UE. É questa solida base industriale e

tecnologica di difesa europea che fornisce la gran parte delle apparecchiature alle nostre

forze armate che le utilizzano. É anche una preziosa risorsa economica: l'Europa possiede

un diffuso know-how, e in molti settori, è leader a livello mondiale, ma essa ha bisogno di

garantire che la base industriale sia in grado di soddisfare le esigenze degli organismi

militari degli Stati membri nel giusto momento e secondo le specifiche tecniche e di

budget.

Il punto cruciale è il riconoscimento che una base industriale e tecnologica di difesa

europea pienamente adeguata non sia più sostenibile a livello nazionale. I requisiti militari

in Europa devono essere allineati, lo sviluppo e la produzione devono essere ottimizzati e

le diverse esigenze degli Stati membri dovranno essere soddisfatte attraverso la

cooperazione e la condivisione di attrezzature. Il risultato è una base industriale europea

sempre più integrata.

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Il compito di favorire il rafforzamento di un EDTIB è stato attribuito all’’EDA con

l'azione comune del Consiglio del 2004. Questo compito è stato ribadito anche nel Trattato

di Lisbona il quale riconosce all'Agenzia il ruolo di "individuare e attuare qualsiasi misura

utile per potenziare la base industriale e tecnologica e migliorare l'efficacia delle spese

militari". Nel suo ruolo di catalizzatore, l’EDA sta aiutando a creare una base industriale e

tecnologica di difesa veramente europea e non una serie disparata di capacità nazionali.

Nel maggio 2007 gli Stati membri hanno approvato la strategia per creare un EDTIB forte,

focalizzata sulla soddisfazione delle reali esigenze operative delle forze armate del futuro,

in grado di sfruttare rapidamente le tecnologie più promettenti e di essere più competitive

in Europa e in tutto il mondo21.

La EDTIB dovrà essere più integrata e più interdipendente, con minore dipendenza

da fonti non europee per le tecnologie di difesa chiave. Per arrivare a ciò la strategia ha

individuato una serie di priorità da conseguire:

il consolidamento della domanda;

aumentare gli investimenti;

garantire la sicurezza degli approvvigionamenti;

aumentare la concorrenza e la cooperazione.

Nel settembre 2007, il Comitato Direttivo ha approvato una serie di tabelle di marcia

che coprono una vasta gamma di attività per attuare la strategia EDTIB, compresa

l'individuazione delle capacità industriali chiave, la sicurezza degli approvvigionamenti tra

paesi, una maggiore concorrenza nel mercato delle attrezzature di difesa,

l'approfondimento e la diversificazione della base dei fornitori e una maggiore

cooperazione degli armamenti.

Da segnalare anche l’adozione di alcuni codici di condotta volti a indirizzare e

standardizzare le attività. Si segnala al riguardo l’adozione del Codice di condotta sugli

acquisti di equipaggiamenti militari22, volto ad introdurre maggiore trasparenza e

concorrenza negli appalti pubblici della difesa. Gli Stati che volontariamente aderiscono a

questo codice sono obbligati ad informare l’EDA quando nell’acquisto degli

equipaggiamenti intendono avvalersi della clausola di esclusione ex art. 296 del Trattato

CE per derogare alle regole comunitarie.

21 Il documento “EDA – Strategy for the European Defence Technological and Industrial base” è

disponibile all’indirizzo: http://www.eda.europa.eu/genericitem.aspx?area=Organisation&id=211.

22 “The Code of Conduct on Defence Procurement of the EU Members States Particiption in the European Defence Agency” è disponibile all’indirizzo: http://www.eda.europa.eu/genericitem.aspx?area=Organisation&id=154.

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30

Inoltre, sempre sulla base delle disposizioni statuite da questo codice gli Stati che

concedono aiuti alle industrie di difesa nazionali devono darne parimenti comunicazione

all’EDA. A supporto del Codice è stato poi attivato un bollettino elettronico dei contratti con

cui i fornitori possono conoscere le diverse opportunità e candidarsi alle gare pubbliche di

altri paesi europei23.

Alla stessa stregua è stato anche adottato il codice sulle migliori pratiche24 relativo

alla regolamentazione dei subappalti. Ad esso è seguita l’attivazione di un supporto

elettronico simile al Bollettino dei contratti.

Infine, nell’ambito delle iniziative per la creazione di una EDTIB, è stato adottato

anche un Codice di condotta per il coordinamento degli investimenti nel settore delle

capacità militari e dei prodotti della difesa. Lo scopo è quello di evitare duplicazioni ed

incentivare investimenti congiunti favorendo lo scambio di informazioni. Il principio su cui si

basa questo codice è l’idea di far conoscere a livello comunitario ogni investimento nel

settore della difesa che valga almeno un milione di euro, in modo da poter verificare la

possibilità che possa essere avviato congiuntamente.

1.2.4 Iniziative della Commissione Europea A partire dalla seconda metà degli anni ’90 anche la Commissione Europea ha

incominciato ad occuparsi del settore della difesa, anche se esso rientra nel “secondo

pilastro” della politica, e dunque, risulta essere una materia non di stretta competenza

della Commissione, a cui è invece riservata l’esclusiva competenza nell’attuazione delle

politiche relative al “primo pilastro”, ossia del mercato unico europeo.

Fino ad allora la materia della difesa era stata gestita tramite la deroga prevista

dall’art. 296 del Trattato istitutivo della Comunità europea che permetteva agli Stati

membri di derogare alle normative sulla concorrenza nel mercato interno europeo se ciò

fosse necessario per tutelare la propria sicurezza nazionale. Tale clausola venne

interpretata ed usata dagli Stati in modo automatico ed estensivo, in modo da realizzare

un mercato della difesa su base nazionale e protezionistica. Ovviamente la totale assenza

di una regolamentazione di settore ha facilitato questo processo. Di fronte però alla

necessità di competere a livello internazionale sfruttando le economie di scala e di

specializzazione, ci si è accorti dell’importanza di favorire lo sviluppo di un mercato

europeo unico aperto, attraverso cui rafforzare il vantaggio competitivo delle industrie

europee. 23 L’Electronic Bulletin Board è disponibile all’indirizzo: http://www.eda.europa.eu/ebbweb/. 24 Code of Best Practice in the Supply Chain è disponibile all’indirizzo:

http://www.eda.europa.eu/genericitem.aspx?area=Organisation&id=159.

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31

Per questa ragione la Commissione ha intrapreso un percorso in tal senso

cominciando con la pubblicazione di due comunicazioni sul mercato della difesa, la prima

nel 1996, la seconda nel 1997, con cui dettava le prime linee d’azione per la creazione di

un mercato unico in tale settore25.

Essendo però tali comunicazioni rimaste sostanzialmente lettere morte, la

Commissione ha pubblicato una terza comunicazione l’11 marzo 2003. Con tale

provvedimento ha voluto specificare le misure da attuare per realizzare un mercato unico

europeo della difesa, armonizzando anche gli sforzi in materia di ricerca e tecnologia. Tale

risultato sarebbe stato conseguito, a parere della Commissione, procedendo con la

standardizzazione delle norme e delle procedure nel settore degli appalti pubblici della

difesa e con l’adozione di uno strumento legislativo di semplificazione del regime dei

trasferimenti, in modo da garantire trasparenza e sicurezza degli approvvigionamenti.

A seguito di queste comunicazioni è stato pubblicato nel settembre 2004 il Libro

Verde su “Gli appalti pubblici della difesa”, con l’obiettivo di stimolare una discussione tra i

governi nazionali che potesse portare alla regolamentazione del settore degli appalti

pubblici della difesa e alla creazione di un mercato unico europeo.

In attuazione delle linee di indirizzo stabilite dal Libro Verde, il 7 dicembre 2006 è

stata pubblicata un’importante comunicazione interpretativa dell’articolo 296, che,

rifacendosi anche all’indirizzo sancito dalla Corte Europea di Giustizia, ha tentato di porre

un freno alla pratica dell’utilizzo di tale articolo a fini protezionistici. Con tale

comunicazione si è cercato di chiarire meglio il significato giuridico della norma, attraverso

un’interpretazione più restrittiva dei termini, ponendo l’onere della prova in capo agli Stati,

che da quel momento avrebbero dovuto, in caso di utilizzo dello strumento della deroga,

dimostrare il pericolo alla sicurezza nazionale che avrebbe comportato l’utilizzo delle

ordinarie procedure in materia di appalti pubblici.

Il processo avviato dalla Commissione con la comunicazione del 2003, diretto alla

standardizzazione delle procedure in materia di appalti nel settore della difesa, ha visto il

suo culmine con la pubblicazione della Direttiva europea sul procurement della difesa

2009/81/CE, con la quale si sono fissate le regole di funzionamento degli appalti pubblici

della difesa, coniugando l’esigenza di incrementare la concorrenza nel settore e garantire

comunque la sicurezza degli approvvigionamenti, in considerazione della specificità e

dell’importanza strategica del settore.

Tale Direttiva costituisce un passo fondamentale per la creazione di un mercato

europeo unico degli armamenti che possa essere di sostegno alla PESD. La Direttiva mira 25 24/01/1996 (COM (1996) 10 final) e 12/01/1997 (COM (1997) 583 final).

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a soddisfare l’esigenza di garantire un quadro normativo specifico per il settore, che

assicuri la sicurezza delle informazioni, degli approvvigionamenti, una maggiore flessibilità

nell’aggiudicazione degli appalti rispetto agli appalti ordinari. D’altra parte l’introduzione dei

principi di trasparenza, di parità di trattamento e di non discriminazione dovrebbero

consentire alle industrie di settore di competere in gare d’appalto anche in altri Stati

membri. Le imprese maggiormente competitive potranno così allargare la propria attività

conseguendo quella massa critica necessaria per poter così competere anche a livello

internazionale.

Conclusioni La carenza di risorse finanziare nei bilanci degli Stati europei, la lievitazione dei costi

di ricerca e sviluppo, nonché di quelli di manutenzione dei moderni sistemi d’arma, la

presenza di nuovi competitori a livello internazionale nel settore dell’industria della difesa,

hanno spinto i governi nazionali, a partire dai primi anni del secondo millennio, ad

abbandonare le modalità di tipo protezionistico con cui, fino ad allora, era stato gestito il

settore industriale degli armamenti, avviando, al contrario, un processo di integrazione del

mercato europeo della difesa. Solo attraverso questa via è infatti possibile raggiungere i

livelli di domanda necessari per creare volumi commerciali tali da permettere alle industrie

europee di settore di sfruttare adeguate economie di scala e di specializzazione,

indispensabili per competere a livello internazionale.

In questo primo capitolo abbiamo presentato il quadro istituzionale nel quale è stato

avviato tale processo d’integrazione, illustrando le tappe fondamentali che hanno portato

alla definizione dell’attuale politica di difesa comune a livello europeo.

Dopo un primordiale tentativo di costituzione della Comunità Europea di Difesa

(1951), si è incominciato a parlare seriamente di politica di difesa europea solo negli anni

’90. Il vertice franco-britannico del 1998 a Saint-Malò, nel quale per la prima volta si

concordò che l’UE avrebbe dovuto dotarsi di capacità militari credibili, viene infatti

identificato come l’inizio del progetto di difesa europea comune.

Con il Trattato di Nizza del 2001 si dà formalmente il via alla Politica Europea di

Sicurezza e Difesa, la cui effettiva realizzazione venne affidata agli Accordi “Berlin Plus”

dello stesso anno, attraverso cui la NATO rese disponibili i propri assetti militari all’UE per

la gestione delle operazioni in area di crisi.

Nel 2009 entra in vigore il Trattato di Lisbona che spinge verso un’ulteriore

accelerazione del processo di integrazione della Politica Europea di Difesa degli Stati

membri, prevedendo nell’ambito della politica di difesa comune la possibilità di arrivare alla

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33

costituzione di una Difesa Europea comune “quando il Consiglio all’unanimità avrà così

deciso”.

Alcune iniziative hanno permesso di realizzare una maggiore integrazione del

mercato degli armamenti a livello europeo. Tra queste spicca, in primo luogo, l’OCCAR,

organizzazione che, pur non essendo di specifica emanazione dell’UE, rappresenta

un’importante esperienza di cooperazione tra gli Stati più all’avanguardia nel settore della

difesa. Dall’analisi emerge in maniera evidente come sia comunque molto difficoltoso

realizzare forme di cooperazione nel settore degli armamenti, a causa dei rilevanti

interessi economici coinvolti di cui gli Stati membri sono portatori.

Un cenno ha meritato l’importante esperienza di cooperazione e condivisione delle

risorse del settore della difesa rappresentata dall’EDA che, a partire dal 2004, ha

contribuito in modo determinante alla creazione di una solida base industriale e

tecnologica nel settore della difesa.

Infine abbiamo evidenziato come sia in atto un’importante evoluzione del quadro

normativo europeo del defence procurement che ha portato alla creazione di strumenti

giuridici volti alla realizzazione di una maggiore integrazione del mercato a livello europeo.

L’analisi approfondita di questa evoluzione normativa costituirà l’oggetto del prossimo

capitolo.

Il quadro istituzionale prospettato nel corso di questo capitolo evidenzia come il

settore della difesa sia sempre stato considerato dai governi nazionali altamente

strategico, e dunque per lungo tempo sottratto alla disciplina del libero mercato, in virtù del

fatto che la difesa rappresenta un’espressione specifica e diretta della sovranità nazionale.

D’altra parte la politica protezionistica seguita dai governi nazionali si giustifica anche

per le caratteristiche dei beni prodotti in questo settore che presentano delle particolarità

rispetto ad un ordinario bene di largo consumo: la fase di ricerca e sviluppo di un moderno

sistema d’arma comporta il sostenimento di ingenti costi, caratteristica ancor più

accentuata dal sempre più elevato contenuto tecnologico presente nei sistemi d’arma.

Senza il sostegno di una politica protezionistica un’industria nazionale non potrebbe

sostenere un tale onere, non avendo certezza di un adeguato ritorno economico. L’elevato

costo complessivo di produzione e di gestione di un sistema d’arma richiede dunque alle

industrie di settore che siano garantiti adeguati volumi produttivi e commerciali,

conseguibili solo attraverso pratiche protezionistiche.

Per queste ragioni, mentre venivano conseguiti i successi europei dell’integrazione

dei mercati e della libera concorrenza, la discussione sull’integrazione del mercato della

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34

difesa rimaneva ai margini dell’agenda politica, almeno fino alla seconda metà degli anni

’90. Da quel momento i governi nazionali, di fronte alle difficoltà legate allo sviluppo di

nuovi e sempre più complessi progetti e all’acquisizione sempre più costosa di moderni

sistemi d’arma, hanno pensato di ricorrere a forme più o meno estese di cooperazione

intra-statuale. L’esperienza dell’OCCAR e dell’EDA rappresentano due significativi esempi

in tale senso.

D’altronde dal 2007 le pressanti difficoltà di finanza pubblica, conseguenti alla crisi

dei debiti sovrani che hanno investito tutti gli Stati europei, hanno favorito il susseguirsi di

iniziative di integrazione del mercato o di cooperazione tra gli Stati, che sono però andate

in ordine sparso senza una comune visione e direzione unitaria. In effetti, la caratteristica

di questo recente processo di integrazione sembra essere proprio l’assenza di un piano

d’azione o di una visione comune. Le iniziative illustrate appaiono infatti essere più una

risposta contingente ai problemi di bilancio degli Stati europei che il frutto di un disegno

consapevole diretto alla creazione di un mercato europeo della difesa.

Ci sembra comunque che questo processo d’integrazione, seppur non coordinato

abbia, dato dei frutti, quanto meno in termini di una nuova sensibilità dei governi nazionali

verso l’argomento della difesa, favorendone, finalmente, una visione maggiormente

ancorata ad una dimensione sovranazionale. In questo senso, l’affermazione nel Trattato

di Lisbona della possibilità di creare una difesa europea comune, rappresenta

un’importante indicazione di come sia in atto tale cambiamento.

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CAPITOLO 2 L’ EVOLUZIONE NORMATIVA EUROPEA IN MATERIA DI DEFENCE PROCUREMENT

Introduzione Dopo aver delineato il quadro istituzionale entro il quale si inquadra il processo di

integrazione del mercato europeo della difesa, andremo ora ad illustrare l’evoluzione della

normativa in materia di procurement. Questa analisi ci permetterà di evidenziare come il

settore degli appalti degli equipaggiamenti militari abbia visto nell’ultimo decennio un

repentino passaggio da una regolamentazione caratterizzata in senso fortemente

protezionistico ad una orientata a fornire strumenti giuridici che favoriscono una più ampia

integrazione dei mercati nazionali, in un’ottica europea.

A tal proposito vedremo, dapprima, come il ricorso al sistema derogatorio, previsto

dalla clausola d’eccezione ex art. 296 del Trattato CE, abbia consentito agli Stati membri

di sottrarre l’acquisto o la produzione di materiale della difesa alle regole comunitarie della

libera concorrenza, favorendo le industrie nazionali a discapito di quelle straniere.

Successivamente, metteremo in risalto il cambio di rotta avvenuto a partire dai primi anni

duemila, grazie all’operato delle istituzioni europee, Corte di Giustizia e Commissione in

primis, che hanno, di fatto, posto un argine alle pratiche protezionistiche sino ad allora

adottate dai governi nazionali.

In un primo momento, la Commissione ha voluto circoscrivere la possibilità di ricorso

al regime derogatorio previsto dall’art. 296 del Trattato CE, specificando in maniera

restrittiva le condizioni per l’evocazione di tale clausola. Il processo di contrasto alle

pratiche protezionistiche e di apertura dei mercati nazionali alla concorrenza europea è poi

proseguito con l’emanazione di due importanti direttive nell’ambito del pacchetto difesa: la

prima, la Direttiva europea 2009/81/CE, ha disciplinato le modalità di svolgimento degli

appalti pubblici nei settori della difesa e della sicurezza, prevedendo delle regole uniformi

e non discriminatorie; la seconda, la Direttiva 2009/43/CE, ha semplificato le modalità e le

condizioni dei trasferimenti all’interno dell’Unione dei prodotti per la difesa, con l’obiettivo

di agevolare il trasferimento di tali beni e creare così le condizioni per una loro più

semplice circolazione.

Nella nostra analisi approfondiremo il riferimento alla Direttiva sugli appalti della

difesa, illustrando alcuni degli aspetti fondamentali, dal campo di applicazione, ai criteri di

selezione e di aggiudicazione. Occorre sin d’ora sottolineare che questo provvedimento

legislativo rappresenta uno strumento importante per la realizzazione dell’integrazione del

mercato europeo della difesa: la previsione di procedure uniformi, trasparenti, non

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discriminatorie e flessibili, dovrebbe permettere quell’apertura alla concorrenza straniera

che fino ad ora è stata impedita con il ricorso al regime derogatorio previsto dall’art. 296

del Trattato CE.

D’altra parte anche la Direttiva 2009/43/CE sui trasferimenti dei prodotti della difesa,

realizzando una semplificazione delle procedure per il rilascio delle autorizzazioni al

trasferimento di questi prodotti, favorisce una più agevole circolazione delle merci e

un’effettiva possibilità di competizione nei mercati europei.

Al termine di questo capitolo avremo dunque chiaro come le istituzioni europee

abbiano spinto, soprattutto nell’ultimo decennio, verso una maggiore integrazione del

mercato europeo dei prodotti della difesa, attraverso una serie di provvedimenti normativi

che consentono di ridurre gli ostacoli alla circolazione di questi prodotti e di incrementare il

livello di concorrenza nelle aggiudicazioni delle commesse pubbliche. Tutto ciò nella

consapevolezza che solo attraverso la costituzione di un mercato unico europeo della

difesa le industrie europee possono recuperare margini di competitività a livello mondiale e

le forze armate europee possano usufruire di prodotti tecnologicamente all’avanguardia a

più bassi costi.

2.1 L’uso a fini protezionistici della clausola d’eccezione ex art. 296 Almeno fino agli inizi del secondo millennio, il mercato della difesa è rimasto sempre

escluso dalle norme che disciplinano la libera concorrenza del mercato interno europeo. In

questo settore si è infatti dato origine a 27 mercati nazionali, disciplinati da differenti

legislazioni. I governi nazionali hanno da sempre applicato le proprie normative nazionali

sottraendo le attività di procurement della difesa alle norme comunitarie sugli appalti

pubblici, in modo da avvantaggiare le proprie industrie nazionali. Tale scelta deriva dalle

particolari caratteristiche del mercato dei prodotti della difesa.

In primo luogo esiste una ragione esclusivamente politica: il settore della difesa è

stato da sempre considerato di vitale importanza strategica, in quanto la difesa, così come

la sicurezza, rappresentano i due fattori qualificanti la sovranità di una nazione. Per questa

ragione gli Stati membri sono stati sempre riluttanti a far dipendere le forniture di

equipaggiamenti ed armamenti per le proprie forze armate da soggetti esteri.

Da un punto di vista economico, gli elevati costi di ricerca, di sviluppo, di produzione

e di gestione dei sistemi d’arma, sempre più complessi, richiedono che alle imprese

fornitrici vengano garantiti adeguati volumi produttivi e commerciali, che permettono il

ritorno degli ingenti investimenti necessari: in quest’ottica una legislazione nazionale che

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37

ostacoli la concorrenza da parte delle imprese straniere, garantisce alle industrie nazionali

adeguati volumi di domanda, utili per conseguire economie di scala26.

D’altra parte, le pratiche protezionistiche sono anche incentivate dall’importanza

economica e strategica rivestita dalle industrie del settore della difesa, che rappresentano

una fetta importante dell’economia nazionale e un volano importante per più elevati livelli

di occupazione.

In via incidentale, anche la rigidità e complessità della normativa europea in materia

di circolazione dei prodotti della difesa, ha reso più difficoltoso il trasferimento dei prodotti

della difesa da uno Stato ad un altro, limitando ancor più la competizione a livello europeo

e, dunque, l’integrazione dei mercati.

Occorre subito sottolineare come la presenza di numerose deroghe ed eccezioni

all’applicazione del regime di libera concorrenza nel procurement della difesa abbia

favorito la segmentazione dei mercati a livello nazionale: infatti, oltre all’eccezione di

sicurezza prevista dall’articolo 296 del Trattato CE27, che ha una valenza generale e che,

tra breve, andremo ad approfondire, esistono anche altre importanti eccezioni nel Trattato

tra cui gli artt. 30, 39, 46, e 297.

L’art. 30 prevede che fra i motivi di deroga alla libera circolazione delle merci, ossia

fra i motivi che possono giustificare l’imposizione di un divieto all’importazione,

all’esportazione o al transito di una merce, ci possa essere quello di “pubblica sicurezza”.

Allo stesso modo l’art. 39 che garantisce la libera circolazione dei lavoratori prevede che vi

possano essere delle limitazioni in ragione, tra l’altro, della “pubblica sicurezza”, mentre

l’art. 46 stabilisce delle deroghe al regime di libero stabilimento per i cittadini stranieri

anche per motivi di pubblica sicurezza, oltre che di sanità pubblica e di ordine pubblico.

Nell’art. 297 si prevede la possibilità d’adozione di provvedimenti restrittivi alla libera

concorrenza in casi eccezionali, quali la guerra, una grave tensione internazionale o gravi

agitazioni interne.

É comunque l’articolo 296 del Trattato CE la clausola che ha consentito nel corso

degli anni agli Stati membri di esentare il settore degli approvvigionamenti della difesa

dall’ordinario regime di libera concorrenza previsto dal diritto comunitario.

26 Le economie di scala rappresentano un noto meccanismo economico per il quale il costo

unitario di produzione diminuisce all’aumentare del volume di produzione. Esso si presenta per lo più nei sistemi produttivi dove sono presenti rilevanti costi fissi di produzione.

27 Il testo dell’articolo 296 è stato riportato in maniera completa nel Trattato di Lisbona all’art. 346.

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Tale articolo è stato ordinariamente invocato per sottrarre gli acquisti e la produzione di

materiale della difesa alla normativa prevista per gli appalti pubblici ordinari28.

L’articolo 296 del Trattato CE prevede che:

1. Le disposizioni del presente Trattato non ostano alle norme seguenti:

a) nessuno Stato membro è tenuto a fornire informazioni la cui divulgazione sia

dallo stesso considerata contraria agli interessi essenziali della propria

sicurezza;

b) ogni Stato membro può adottare le misure che ritenga necessarie alla tutela

degli interessi essenziali della propria sicurezza e che si riferiscono alla

produzione o al commercio di armi, munizioni e materiale bellico; tali misure non

devono alterare le condizioni di concorrenza nel mercato comune per quanto

riguarda i prodotti che non siano destinati a fini specificatamente militari.

2. Il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione, può

apportare modificazioni all’elenco, stabilito il 15 aprile 1958, dei prodotti cui si

applicano le disposizioni del paragrafo 1, lettera b).

L’articolo 296 ha dunque l’obiettivo di coniugare l’esigenza di garantire il

funzionamento del mercato interno europeo, attraverso l’applicazione delle norme sulla

libera concorrenza, con l’interesse degli Stati membri alla protezione della propria

sicurezza nazionale.

Questa clausola permette agli Stati di sottrarre il procurement della difesa alla

normativa comunitaria sulla libera concorrenza per due ordini di ragioni: in primo luogo, ai

sensi del paragrafo 1, lettera a, uno Stato può rifiutarsi di fornire informazioni che ritenga

possano danneggiare la propria sicurezza nazionale. In secondo luogo, uno Stato membro

può adottare misure in deroga alle norme comunitarie per tutelare “interessi essenziali di

sicurezza” con riferimento alla produzione o commercio di armi, munizioni o materiale

bellico, purché tali misure non vadano ad alterare il funzionamento della libera

concorrenza in settori in cui i prodotti non sono destinati a fini specificatamente militari

(par. 1, lett. b).

Questa seconda fattispecie risulta essere di portata meno generale rispetto alla

prima, essendo soggetta a tre condizioni. Per poter infatti invocare l’eccezione di sicurezza

nazionale ex art. 296, ai sensi del paragrafo 1 lettera b, è necessario che:

- le misure adottate devono essere necessarie per la tutela degli interessi essenziali

della sicurezza; 28 Direttiva 2004/18/CE relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti

pubblici di lavori, di forniture e di servizi (in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea n. 134/114 del 30.04.2004).

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- le misure devono consistere nella produzione o il commercio di armi, munizioni o

materiale bellico;

- tali misure non devono portare alterazione al funzionamento del meccanismo

concorrenziale in altri settori.

Peraltro a queste condizioni, se ne aggiunge un’altra, ossia l’appartenenza del

materiale oggetto della misura all’elenco stilato dal Consiglio dell’UE dei prodotti destinati

a fini “specificatamente” militari (armi, munizioni o altro materiale bellico)29. Il Consiglio,

infatti, il 15 aprile 1958, ha provveduto ad elencare i beni per scopi “specificatamente”

militari, al fine di indicare quelli cui è in principio applicabile l’eccezione di sicurezza ex art.

296 par. 1 lett. b.. Con la definizione di questo elenco, il Consiglio si proponeva di limitare

la discrezionalità degli Stati, evitando abusi ed uniformando i comportamenti30.

In verità la lista stilata dal Consiglio dell’UE presenta un elevato livello di genericità

che ne ha, invece, permesso un’applicazione estensiva. Tale genericità ha giocato però,

come evidenziato da Baratta31, un ruolo molto importante rispetto al problema della non

attualità della lista: non essendo intervenuta nel corso degli anni alcuna modifica alla

stessa, verosimilmente per le difficoltà connesse con l’applicazione del criterio

dell’unanimità, cui è condizionata la decisione di revisione della lista, la genericità dei

prodotti ha consentito di invocare l’eccezione di sicurezza nazionale anche per quei beni

strategicamente essenziali per la sicurezza nazionale, ma che, frutto di recenti innovazioni

tecnologiche, non potevano essere ricompresi nella lista. Secondo Baratta (2008) la lista

non va dunque considerata come un elenco tassativo indicante gli unici beni funzionali alla

protezione di interessi essenziali alla sicurezza, ma deve essere interpretata in maniera

dinamica ossia caso per caso, avendo riguardo solo alla strumentalità del bene rispetto

alla protezione della sicurezza nazionale. Ciò che rileva ai fini dell’applicazione della

clausola di eccezione è esclusivamente la strumentalità del bene rispetto agli interessi

essenziali di sicurezza di uno Stato, indipendentemente dall’inclusione nell’elenco stilato.

Pertanto, anche un acquisto di un bene così detto a doppio uso32, civile e militare, che in

astratto potrebbe essere considerato non specificatamente militare, può essere fatto

29 Per materiale militare si intende il materiale specificatamente progettato o adottato per fini

militari e destinato ad essere impiegato come arma, munizione o materiale bellico (definizione data dall’art. 1.6 della Direttiva 2009/81/CE).

30 Per una illustrazione completa dell’elenco si veda Di Lenna, 2009, pag. 25-26. 31 Si veda Baratta, 2008. 32 I beni così detti dual-use sono materiali che possono essere utilizzati per scopi sia militari sia

civili (veicoli, aerei da trasporto, navi di salvataggio, tende, ecc.) e che quindi, non essendo “specificatamente” militari sono esclusi dall’articolo 296, par.1 lett. b.

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rientrare nell’eccezione di sicurezza se lo Stato è in grado di dimostrare l’essenzialità

rispetto alla sicurezza nazionale.

Alcuni autori33 hanno evidenziato che la lista presenta delle problematicità riguardo la

sua obbligatorietà in quanto, pur essendo di dominio pubblico, non è mai stata pubblicata

sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea. Solo nel dicembre del 2001 la lista è

stata infatti riprodotta, in realtà in una versione ridotta rispetto all’originale del ’58, sulla

Gazzetta Ufficiale. É stato però chiarito che le decisioni adottate dal Consiglio con

procedura diversa da quella ordinariamente prevista, come nel caso della lista, non

necessitano della pubblicazione, ma semplicemente della notifica ai destinatari34.

Aldilà delle problematiche relative alle caratteristiche della lista comune dei prodotti

“specificatamente” militari, assoggettabili al regime derogatorio, l’articolo 296 del Trattato

CE presenta comunque altri elementi di incertezza interpretativa che hanno permesso un

agevole ricorso a tale istituto derogatorio, favorendo pratiche protezionistiche nei confronti

delle industrie nazionali.

Le incertezze non riguardano soltanto i prodotti indicati nella lista, ma anche e

soprattutto la nozione di “interesse essenziale di sicurezza nazionale”. Poiché tale

concetto non viene esplicitato nel corpo del testo, la prima questione che si pone è quella

di individuare a chi spetta definire questa nozione. Evidentemente sono gli stessi Stati che

nell’invocare il ricorso all’articolo 296 del Trattato CE determinano quali sono gli interessi

essenziali di sicurezza coinvolti che giustificano l’applicazione della clausola. D’altra parte,

essendo un concetto di carattere squisitamente politico, non è possibile a priori

cristallizzarlo in una definizione giuridica che sia universalmente valida.

La Corte di Giustizia, pur essendosi dimostrata reticente nell’intervenire in un settore

dove è coinvolta l’essenza stessa della sovranità delle nazioni, ha posto comunque un

limite alla discrezionalità degli Stati nell’utilizzo di questo concetto precisando che, “pur

essendo libero di definire i propri interessi essenziali di sicurezza, uno Stato non ha

comunque una totale discrezione nel conseguirli”35.

I governi nazionali hanno sfruttato questa debolezza interpretativa dell’articolo 296,

applicando in maniera automatica e generale il regime derogatorio, sulla base del fatto che

qualsiasi bene attinente alla difesa nazionale risulta essere strumentale alla tutela degli

interessi essenziali di sicurezza. Di fatto è accaduto che a tutti i prodotti di tipo hard

defence, ossia “specificatamente” militari, e a numerosi beni a doppio uso è stata applicata

33 Cfr. Di Lenna, 2009. 34 Per un approfondimento si veda Di Lenna 2009, pag. 27. 35 Caso C-414/97, Commissione c. Spagna, punto 15.

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41

la clausola di esclusione, consentendo di fatto all’intero settore della difesa e sicurezza di

derogare alla disciplina comunitaria sugli appalti pubblici.

Gli Stati membri, interpretando in maniera estensiva l’articolo 296 del Trattato e

soprattutto il concetto di interesse essenziale di sicurezza, hanno di fatto sostenuto

l’esclusiva competenza statale in tutto il settore dei beni e dei servizi alla difesa. A questa

prassi si contrappone però la visione comunitaria, ossia l’idea che i beni compresi nella

lista comune possono essere esclusi dall’applicazione dell’ordinario regime del diritto

comunitario solamente in presenza di motivati interessi di sicurezza nazionale da

proteggere, che vanno giustificati caso per caso. Secondo la tesi della Commissione

l’applicabilità del regime ordinario della libera circolazione nel mercato interno risulta

essere generale ed automatica, trovando il limite, solo in casi eccezionali provati e

motivati, nel limite imposto dall’interesse alla sicurezza di una nazione36.

La presenza di questi approcci contrapposti conferma la difficoltà di contemperare

due esigenze, apparentemente inconciliabili, quali la protezione della sicurezza nazionale

di uno Stato sovrano e l’applicazione uniforme delle regole di libera concorrenza del

mercato interno europeo.

2.2 La Comunicazione interpretativa dell’articolo 296 del Trattato CE

Fino ai primi anni del secondo millennio, la situazione del mercato della difesa si

mostrava dunque caratterizzata da tanti mercati interni nazionali quanti erano gli Stati

membri, grazie al ricorso a pratiche protezionistiche rese possibili dall’applicazione

pressoché automatica del regime derogatorio previsto dall’articolo 296 del Trattato CE.

Con l’evoluzione del quadro istituzionale dell’Unione Europea, che ha introdotto il

secondo pilastro del mercato unico, la Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC), ed

in particolare la Politica Europea di Sicurezza e Difesa (PESD)37, finalmente nell’agenda

della politica comunitaria entra a pieno titolo il progetto di integrazione del mercato

europeo della difesa. Già nel 1996 e nel 1997 la Commissione aveva adottato, per la

verità con pochi frutti, due comunicazioni38 per incentivare una ristrutturazione industriale

del settore della difesa che portasse ad una maggiore integrazione del mercato europeo

delle attrezzature militari.

Si è dovuto però aspettare il 2003 per avere un’altra comunicazione che producesse

i primi risultati in tale direzione. La Comunicazione “Verso una politica dell’Unione Europea

36 Cfr. Baratta, 2008. 37 Si veda il Capitolo 1, paragrafo 1.1. 38 COM (96) 10 e COM (97) 583.

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in materia di equipaggiamenti di difesa”39 si pone l’obiettivo di indicare la via per creare un

mercato europeo degli equipaggiamenti militari, rafforzando così la competitività

dell’industria di settore. Già l’anno successivo come primo passo concreto verso la

realizzazione di questo obiettivo viene pubblicato il Libro Verde sul procurement per la

difesa40.

L’idea di fondo del processo di creazione di un mercato europeo della difesa, avviato

con la Comunicazione del 2003, assume che per poter dare credibilità alla politica europea

di difesa occorre costituire delle capacità europee di difesa e “rafforzare la base industriale

e tecnologica del settore della difesa”41, ma ciò può avvenire solo utilizzando la libera

concorrenza nel mercato quale strumento per migliorare l’efficienza del mercato stesso e

stimolare l’innovazione tecnologica necessaria alla crescita di lungo periodo. La filosofia

sottostante è dunque quella tipica del libero mercato, ossia della concorrenza tra operatori

economici quale strumento di crescita economica e sociale. L’applicazione di tale idea

produce effetti positivi anche per le stesse forze armate europee, che godrebbero così di

prodotti qualitativamente migliori e a più basso costo.

Per poter conseguire questi risultati occorre, come primo passo, estendere

l’applicazione delle norme comunitarie sulla libera concorrenza anche nel campo della

difesa, ovviamente tenendo sempre in considerazione la specificità e la strategicità di

questo settore, ma comunque smantellando quel sistema protezionistico che aveva

permesso ai governi nazionali di proteggere le industrie nazionali, chiudendo i mercati

interni alla concorrenza delle imprese straniere. L’elemento cardine di questa iniziativa

europea è dunque quello di aprire i mercati nazionali a tutti i concorrenti europei,

eliminando qualsiasi discriminazione di nazionalità e vietando la pratica di concedere

commesse alle industrie nazionali senza permettere il confronto con le altre industrie

europee.

Il quadro normativo esistente non era però idoneo a governare un processo di questo

genere: in particolare, il primo elemento di criticità, era rappresentato proprio

dall’interpretazione assolutamente estensiva che gli Stati membri avevano dato

dell’articolo 296 del Trattato CE, e dal conseguente ampio ricorso al regime di esenzione

dalle norme del libero mercato, consolidatosi nel corso degli anni. La Commissione, di

fronte a questa situazione, ha ritenuto che il primo passo da compiere per conseguire

l’obiettivo dell’apertura dei mercati della difesa nazionali fosse quello di fornire

39 COM (2003) 113. 40 Commissione Europea, Libro verde: gli appalti pubblici della difesa. COM (2004) 608. 41 COM (2007) 766.

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un’interpretazione restrittiva delle condizioni che consentivano il ricorso all’articolo 296, in

modo da limitare le prassi discriminatorie e protezionistiche.

Per questa ragione il 7 dicembre 2006 la Commissione adottò una Comunicazione

interpretativa circa l’applicazione di questo articolo42. Le comunicazioni interpretative sono

atti giuridicamente non vincolanti, che hanno lo scopo di far conoscere agli Stati i diritti e

gli obblighi derivanti dall’applicazione di una norma del diritto comunitario, generalmente

sulla base dell’evoluzione giurisprudenziale verificatasi nel settore di cui ci si occupa43.

L’obiettivo era quello di limitare in qualche modo l’uso dell’eccezione di sicurezza nel

settore dei beni della difesa, uniformando comportamenti ed interpretazioni. La

Comunicazione illustra innanzitutto la situazione esistente. Viene constatato la non

chiarezza del limite che separa gli acquisti della difesa che coinvolgono interessi

essenziali, da quelli che invece non li toccano, ed evidenzia al riguardo un’applicazione

dell’articolo che non è uniforme tra gli Stati. La Commissione rappresenta poi

l’inadeguatezza della Direttiva generale sugli appalti pubblici44 a regolamentare un settore

così delicato come quello della difesa e, di conseguenza, la riluttanza da parte degli Stati

membri ad applicare tale normativa agli acquisti degli equipaggiamenti militari: di qui

l’eccessivo ricorso al regime derogatorio, ex art. 296, anche quando in realtà non vi

sarebbero state le condizioni per invocarlo.

La Comunicazione interpretativa precisa poi le condizioni, che dovrebbero essere

rigorose, per il ricorso alla clausola d’eccezione, nel tentativo di contrastare la prassi

dell’applicazione automatica. Al riguardo, in primo luogo, afferma che “i beni militari inclusi

nella lista del 1958 non sono automaticamente esclusi dalle regole del mercato interno”45,

ma è necessario che siano soddisfatte tutte le condizioni previste dall’articolo 296 del

Trattato CE per poter operare l’esenzione. La natura militare di un bene, derivante

dall’inclusione nella lista, non è dunque, a parere della Commissione, condizione

sufficiente per giustificare l’esenzione dalle regole comunitarie sugli appalti pubblici46.

Mentre i beni non prettamente militari, ossia non compresi nella lista, come ad esempio il

vestiario o il materiale di casermaggio dei corpi militari, andrebbero sempre esclusi dalla

sfera di applicazione dell’esenzione e ricompresi nel regime ordinario della normativa sugli

appalti pubblici.

42 Commissione europea, Comunicazione interpretativa sull’applicazione dell’art. 296 del Trattato

CE agli appalti pubblici della difesa, COM (2006) 779. 43 Si veda Tesauro, 2003, pp.156-157. 44 Direttiva 20014/18/CE. 45 COM (2006) 779, p. 6. 46 COM (2006) 779, p. 7.

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44

La Commissione ricorda che, come una consolidata giurisprudenza afferma,

qualsiasi eccezione al diritto comunitario ordinario andrebbe interpretata in senso

restrittivo: nel caso di specie la presenza dell’aggettivo “essenziale”, che qualifica

l’interesse di sicurezza nazionale da proteggere, limiterebbe l’applicazione dell’esenzione

ai soli casi in cui sia realmente minacciata la protezione di un interesse fondamentale.

D’altra parte, sempre nell’ottica di un’interpretazione restrittiva della nozione di interesse di

sicurezza la Commissione auspica che in un prossimo futuro la sicurezza nazionale possa

essere valutata in un’ottica più ampia, ossia di tipo europeo.

Secondo la Commissione, lo Stato che intende applicare il regime ex art. 296 deve

fornire l’indicazione dello specifico interesse essenziale di sicurezza che sarebbe

minacciato dall’applicazione del regime ordinario degli appalti pubblici e deve fornire

evidenza di come l’applicazione dell’ordinaria normativa in materia di appalti possa

effettivamente minacciare tale interesse. L’onere della prova della compromissione degli

interessi essenziali alla propria sicurezza derivante dall’applicazione del diritto

comunitario, risulta essere dunque in capo allo Stato invocante l’articolo 296 del Trattato.

É evidente che la portata di questa Comunicazione, secondo cui l’acquisizione di

beni della difesa non è esclusa automaticamente dal campo di applicazione del diritto

comunitario e l’onus probandi dell’eventuale esclusione è in capo agli Stati che intendono

avvalersi del regime derogatorio, sia dirompente rispetto ad una prassi che, come

abbiamo visto, vedeva l’applicazione automatica dell’esenzione per qualsiasi bene

attinente alla difesa, senza che lo Stato dovesse fornire alcuna giustificazione al riguardo.

Il potere statale di invocare l’eccezione di sicurezza viene in concreto limitato, in

quanto lo Stato invocante tale regime derogatorio deve dimostrare alle istituzioni deputate

al controllo del rispetto del diritto comunitario (Commissione e Corte di Giustizia Europea)

che l’applicazione dell’ordinario regime di concorrenza costituisce un rischio per la propria

sicurezza nazionale. D’altronde anche la Commissione ammette comunque la presenza di

un potere statale discrezionale in tale settore, nel momento in cui afferma di non poter

definire ex ante la nozione di interesse essenziale alla sicurezza nazionale.

Alla fine della Comunicazione, la Commissione auspica l’approvazione di una

direttiva specifica per gli appalti pubblici dei beni militari, in quanto il regime comunitario

ordinario non è idoneo a regolamentare il settore degli equipaggiamenti militari, che

presenta delle specifiche peculiarità rispetto ad un bene ordinario.

Con questa Comunicazione interpretativa si pone dunque un primo argine al potere

statale di invocare in maniera automatica l’eccezione di sicurezza nazionale. La tutela

dell’interesse alla sicurezza, fino ad allora assolutamente prevalente e preponderante,

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45

deve essere contemperata con l’interesse alla creazione di un mercato unico della difesa a

livello europeo: da ciò deriva la compressione della prerogativa statale del ricorso

all’articolo 296.

D’altra parte però non potendosi definire a priori gli interessi essenziali della

sicurezza nazionale si ammette implicitamente l’esistenza di un nucleo intangibile di

sovranità statale che non può essere ulteriormente compresso.

2.3 La Direttiva europea 2009/81/CE sugli appalti pubblici nei settori della difesa e della sicurezza Abbiamo visto che nella visione che ha spinto la Commissione ad adottare importanti

iniziative legislative nel settore della difesa, a partire dai primi anni del secondo millennio,

la creazione di un unico mercato europeo dei beni militari è un elemento fondamentale che

sostiene e fornisce credibilità alla Politica Europea di Sicurezza e Difesa (PESD). In

questo contesto la modifica dei processi di procurement utilizzati dagli Stati membri

acquisisce un ruolo centrale.

In quest’ottica, facendo seguito alla Comunicazione del 2003, la Commissione ha

pubblicato, il 5 dicembre 2007, il pacchetto legislativo così detto Defence package. In esso

si delinea “una strategia per un’industria europea della difesa più competitiva”47 e si

propone l’adozione di una Direttiva “concernente la semplificazione delle modalità e delle

condizioni dei trasferimenti all’interno della Comunità di prodotti destinati alla difesa”48 e

una Direttiva “relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione di taluni appalti

pubblici di lavori, di forniture e di servizi nei settori della difesa e della sicurezza”49.

Nel Defence package la Commissione evidenzia dunque l’inadeguatezza

dell’apparato normativo allora esistente rispetto alla necessità della creazione di un

mercato dei beni della difesa maggiormente integrato. In particolare, era evidente come la

Direttiva 2004/18/CE, relativa agli appalti pubblici ordinari di lavori, di forniture e di servizi,

non fosse in grado di tutelare le esigenze di sicurezza e di garanzia degli interessi

nazionali nel settore degli equipaggiamenti militari.

Per queste ragioni con l’adozione della Direttiva 2009/81/CE si cerca di soddisfare le

esigenze di sicurezza delle informazioni, degli approvvigionamenti e garantire una

maggiore flessibilità nelle procedure di aggiudicazione, esigenze a cui la direttiva ordinaria

non dava adeguate risposte. Inoltre, nell’ottica dell’integrazione dei mercati nazionali verso

un mercato unico europeo, la Direttiva “Difesa” si pone anche l’obiettivo di armonizzare ed 47 COM(2007) 764. 48 COM(2007) 765. 49 COM(2007) 766.

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uniformare alcuni elementi fondamentali quali: i termini di pubblicazione, le procedure di

presentazione delle offerte e le procedure di selezione e di aggiudicazione. Attraverso

un’uniforme regolamentazione di questi aspetti si realizza infatti la parità di trattamento e

la non discriminazione dei concorrenti, che consente agli operatori stranieri del settore di

partecipare anche a gare d’appalto in un altro Stato membro.

Il maggior grado di concorrenza e trasparenza permette alle imprese più competitive

di ampliare i loro volumi di attività e realizzare delle maggiori economie di scala. La

conseguente riduzione del costo unitario medio consente alle imprese europee più

efficienti di competere anche sul mercato mondiale. Il vantaggio per gli Stati membri

sarebbe perciò quello di abbattere i costi di fornitura, in virtù della maggiore concorrenza,

e di poter disporre di prodotti a più alto contenuto tecnologico al passo con quelli forniti

dalle maggiori imprese del nord America.

Nell’intenzione del legislatore europeo questo strumento normativo, maggiormente

rispondente alle esigenze delle industrie europee e degli Stati membri, avrebbe dovuto

ridurre il ricorso al regime derogatorio dell’articolo 296 del Trattato, circoscrivendolo solo a

casi realmente eccezionali.

2.3.1 Campo di applicazione e casi di esclusione Fino all’entrata in vigore della nuova direttiva, gli appalti pubblici in ambito

comunitario erano regolamentati dalla Direttiva 2004/18/CE relativa agli appalti pubblici di

lavori, di forniture e di servizi50.

Con riferimento agli appalti del settore della difesa e della sicurezza, la Direttiva

appalti ordinaria già prevedeva numerosi casi di esclusione: infatti, l’articolo 10 precisa che

essa si applica anche agli appalti pubblici nel settore della difesa, fatto salva la clausola

d’eccezione ex art. 296 del Trattato; l’articolo 14 prevede una specifica clausola di

esclusione, nel caso in cui alcuni appalti siano dichiarati “segreti o richiedano particolari

misure di sicurezza”; l’articolo 15 precisa che sono esclusi dal campo di applicazione della

Direttiva ordinaria gli appalti aggiudicati in base a norme internazionali. Infine, l’articolo 7

sancisce l’esclusione dall’applicazione della Direttiva di tutti gli appalti, compresi quelli che

riguardano il settore della difesa e sicurezza, che presentano un valore stimato al di sotto

di alcune soglie.

Nella realtà dei fatti l’articolo 10 (esclusione ex art. 296) e l’articolo 14 (esclusione di

appalti segreti o che richiedono particolare segretezza) sono stati utilizzati, nella maggior 50 Accanto a tale Direttiva è stata emanata nello stesso anno anche la Direttiva 2004/17/CE,

relativa agli appalti (c.d. “esclusi”) nei settori dell’acqua, energia, trasporto e servizi postali, che in virtù della specificità di questi settori ha richiesto una regolamentazione specifica.

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47

parte dei casi, quale strumento per derogare al regime ordinario previsto dalla Direttiva

2004/18/CE e applicare le normative nazionali.

La nuova Direttiva 2009/81/CE si applica agli appalti aggiudicati nel settore della

difesa e della sicurezza che hanno ad oggetto:

la fornitura di materiale militare e loro parti, componenti e/o sottoassiemi;

la fornitura di materiale sensibile e loro parti, componenti e sottoassiemi;

lavori, forniture e servizi direttamente legati al materiale di cui ai precedenti punti;

lavori e servizi per fini specificatamente militari,o lavori e servizi sensibili.

La Direttiva si applica dunque alle acquisizioni nel settore della difesa e della

sicurezza, ossia all’approvvigionamento di beni militari contenuti nella lista del 1958 (armi,

munizioni e materiale da guerra), lasciando comunque impregiudicata la possibilità per lo

Stato membro di avvalersi delle deroghe generali previste nel Trattato, ed, in particolare, di

quella prevista dall’articolo 296, qualora ritenga che neanche le misure previste da questa

nuova Direttiva siano in grado di preservare gli interessi essenziali di sicurezza nazionale.

Un punto particolarmente dibattuto è stato l’inserimento nel campo di applicazione

della Direttiva anche degli appalti del settore della sicurezza. Alla fine ha prevalso la tesi a

favore dell’inclusione, sulla base di due considerazioni. La prima è che ai beni che non

sono propriamente militari, secondo l’interpretazione della Commissione e della Corte di

Giustizia, non può applicarsi il regime derogatorio dell’articolo 296 del Trattato. Per cui gli

acquisti di beni da parte di Enti del comparto sicurezza, così come gli acquisti di beni dual-

use, sarebbero stati regolamentati solo dalla Direttiva 2004/18/CE, che è strumento poco

adeguato per l’approvvigionamento di equipaggiamenti comunque con un certo grado di

sensibilità. Al contrario, l’estensione della Direttiva 2009/81/CE avrebbe garantito un livello

maggiore di protezione delle informazioni sensibili durante i processi di acquisizione.

D’altra parte nel moderno contesto geo-strategico l’emergere della minaccia

terroristica e la natura delle odierne crisi internazionali, rendono il confine tra sicurezza e

difesa ormai sfumato e richiedono l’utilizzo di mezzi di natura civile e militare. Al riguardo

la credibilità di una Politica Europea di Sicurezza e Difesa non può costituirsi scindendo

artificiosamente due settori che risultano essere ormai fortemente integrati. Nelle stesse

aree d’intervento esiste una forte connessione tra la componente militare e quella di

sicurezza che presuppone una forte interoperabilità delle stesse. Anche la base industriale

di riferimento per le due componenti è pressoché integrata, essendo le industrie del

settore attive indifferentemente nel mercato della difesa e in quello della sicurezza, in virtù

della medesima tecnologia in uso, in particolare per quel che riguarda le componenti

elettroniche.

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48

Anche la Commissione Europea ha affermato che gli equipaggiamenti delle forze di

sicurezza sono paragonabili, da un punto di vista tecnologico, a quelle militari,

necessitando perciò delle medesime garanzie in termini riservatezza e sensibilità. Per

queste ragioni la contrapposizione è stata risolta a favore dell’inclusione nel campo di

applicazione della Direttiva 2009/81/CE degli appalti del settore della sicurezza che

richiedono, parimenti a quelli della difesa, particolari accorgimenti in termini di

riservatezza.

In assenza di una definizione condivisa del concetto di sicurezza si è preferito

utilizzare nel corpo del testo i termini “materiale, lavori e servizi sensibili” ossia quei

materiali, lavori, servizi destinati alla sicurezza che comportano, richiedono e/o

contengono informazioni classificate.

Anche la Direttiva “Difesa”, al pari di quella ordinaria per gli appalti pubblici

2004/18/CE, prevede una limitazione al campo d’applicazione legata al valore economico

stimato dell’appalto. Sono esentati dall’applicazione delle norme previste dalla Direttiva

2009/81/CE, con la conseguente necessità di applicazione della normativa nazionale, tutti

gli appalti al disotto dei 412.000 euro per gli appalti di fornitura e servizi e 5.150.000 euro

per gli appalti di lavori51. Va comunque precisato che come per gli appalti in ambito civile,

anche per quelli della difesa e della sicurezza deve essere garantito un significativo livello

di concorrenza e trasparenza, in accordo ai principi del diritto comunitario, anche per gli

appalti sotto soglia.

Ai sensi dell’articolo 12 sono esclusi dall’applicazione della Direttiva in parola gli

appalti disciplinati da “norme procedurali specifiche in base ad un accordo o un’intesa

internazionale conclusi tra uno o più Stati membri e uno o più Stati terzi”. É opportuno

segnalare come l’orientamento iniziale della Commissione di utilizzare soltanto il termine

“international agreement” ha ceduto il passo alla volontà degli Stati di ricomprendere tra le

possibilità di esclusione anche gli appalti conseguenti a memorandum d’intesa, strumento

quest’ultimo molto più rapido e flessibile e, dunque, maggiormente utilizzato per la

gestione dei programmi internazionali rispetto ai Trattati. Il testo finale comprende dunque

come fonte d’esclusione non solo gli “international agreement”, ma anche gli “international

arrangements”. Questa scelta merita però una riflessione specifica. Se l’obiettivo del

legislatore è quello di estendere il campo di applicazione della Direttiva in modo da

realizzare una maggiore concorrenza ed integrazione dei mercati della difesa e sicurezza,

ci si sarebbe dovuto attendere una limitazione dei casi di esclusione. La scelta che,

invece, è stata effettuata, che consente di escludere dall’applicazione della Direttiva, una 51 Tali soglie differiscono da quelle previste per gli appalti ordinari nella Direttiva 2004/18/CE.

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molteplicità di appalti, visto l’ampio uso che si fa nel procurement della difesa dello

strumento del memorandum d’intesa, apre la strada alla possibilità di eludere

l’applicazione della Direttiva e con essa, alla possibilità di limitare l’integrazione dei mercati

nazionali della difesa.

Sono esclusi anche gli appalti conclusi in relazione alla presenza di truppe di stanza

e concernenti imprese di uno Stato membro o di un paese terzo o quelli da aggiudicare in

base agli obblighi derivanti dall’appartenenza ad una organizzazione internazionale.

Risultano perciò esclusi, costituendo una rilevante fetta in termini di valore economico, tutti

gli appalti derivanti da accordi internazionali o memorandum quali quelli stretti tra Stati

membri dell’UE ed il Ministero della Difesa americano, come ad esempio quelli connessi

con il programma internazionale F-35 Joint Strike Fighter, o come gli appalti aggiudicati

nell’ambito dell’attività di organizzazioni internazionali quali la NATO e l’OCCAR.

Rispetto a questi esempi, diversa è la fattispecie dell’Agenzia Europea di Difesa

(EDA): per il diritto comunitario essa si configura come una centrale di committenza ossia

come “un’amministrazione aggiudicatrice o un ente pubblico europeo che acquista

forniture e/o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o aggiudica appalti pubblici

destinati ad amministrazioni aggiudicatrici”52. In tale veste è dunque sottoposta al rispetto

della normativa prevista dalla Direttiva.

Vi sono poi altri casi specifici di esclusione che vengono elencati nell’articolo 13. Tra i

più rilevanti ci sono gli appalti “per i quali l’applicazione delle disposizioni della presente

direttiva obbligherebbe uno Stato membro a fornire informazioni la cui divulgazione è

considerata contraria agli interessi essenziali della propria sicurezza”. Altre fattispecie

importanti riguardano gli appalti che hanno ad oggetto attività d’intelligence e gli appalti

aggiudicati nell’ambito di un programma di ricerca e sviluppo attivato fra due Stati membri.

Appare evidente, già da una prima lettura di tutti questi casi di esclusione, come il

peso in termini di valore economico delle attività di procurement potenzialmente escludibili

dall’applicazione della Direttiva “Difesa” sia, in realtà, così importante da poter già

immaginare che gli effetti in termini di maggiore integrazione e concorrenza derivanti

dall’applicazione della nuova Direttiva all’interno del mercato europeo della difesa possano

essere in qualche modo limitati. La scelta operata in sede legislativa di un ampio campo di

esclusione d’applicazione, non ci appare, in verità, in linea con il processo di integrazione

del mercato della difesa che la Commissione ha inteso raggiungere con il Defence

package.

52 Art. 1.18 della Direttiva 2009/81/CE.

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50

Tabella 1 -

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51

Fonte: Di Lenna, 2009.

2.3.2 Sicurezza delle informazioni La Direttiva 2009/81/CE prevede delle procedure in termini di criteri di

aggiudicazione, criteri di selezione e requisiti contrattuali che consentono di tutelare la

sicurezza delle informazioni sensibili, problema a cui la Direttiva sugli appalti pubblici

ordinari, 2004/18/CE, non dava alcuna garanzia di soluzione e per il quale gli Stati membri

ricorrevano alla clausola di eccezione ex art. 296.

La Direttiva “Difesa” definisce un’“informazione classificata una qualsiasi

informazione o materiale, a prescindere da forma, natura o modalità di trasmissione, alla

quale è stato attribuito un livello di classificazione di sicurezza o un livello di protezione”.

L’articolo 7 prevede che per proteggere queste informazioni “le amministrazioni/gli enti

aggiudicatori possono imporre agli operatori economici condizioni intese a proteggere le

informazioni classificate che essi comunicano nel corso della procedura d’appalto e di

aggiudicazione. Possono anche chiedere agli operatori economici di garantire che i loro

subappaltatori rispettino tali requisiti”.

L’articolo 22 stabilisce che le amministrazioni possano esigere che:

l’offerente ed i subappaltatori mantengano segrete le informazioni classificate, anche a

seguito della scadenza del contratto (lett. a);

l’offerente si impegni ad imporre la medesima segretezza ad un eventuale

subappaltatore individuato dopo la concessione dell’appalto (lett. b);

l’offerente si impegni a fornire le informazioni richieste in merito ad un eventuale

appaltatore futuro prima di concedere a questo il subappalto (lett. d).

Sicuramente queste misure a tutela della sicurezza delle informazioni classificate,

rappresentano un passo in avanti rispetto a quelle contenute nella Direttiva ordinaria sugli

appalti, ma non sono comunque sufficienti a garantire la protezione richiesta per beni

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52

particolarmente sensibili, se non integrate da altre in sede di qualificazione dei candidati e

nella fase di selezione dell’offerta migliore.

2.3.3 La sicurezza degli approvvigionamenti La sicurezza degli approvvigionamenti indica la capacità di un operatore di garantire

la fornitura dei prodotti della difesa promessi in sede di offerta di gara. Da questo punto di

vista il settore della difesa per la natura stessa della sua attività richiede che le forniture

siano soddisfatte senza soluzione di continuità anche e soprattutto in situazioni di grossa

criticità. Per questa ragione la Direttiva 2009/81/CE presenta delle disposizioni specifiche

a garanzia della sicurezza degli approvvigionamenti, sia per quanto riguarda i requisiti

contrattuali, che devono possedere coloro che concorrono alla gara d’appalto, sia per

quanto concerne i criteri di selezione che vengono adottati nella fase di scelta.

Relativamente al primo aspetto in sede di ammissione alla gara d’appalto gli enti

aggiudicatori possono richiedere all’offerente “di dimostrare in modo soddisfacente che

sarà in grado di rispettare gli obblighi in materia di esportazione, trasferimento e transito

delle merci connesse al contratto”. L’ente appaltante può anche chiedere ai concorrenti di

dimostrare che la loro organizzazione e la catena di approvvigionamento è idonea a

garantire la fornitura per tutta la durata del contratto; l’amministrazione può anche

chiedere all’offerente l’impegno a garantire la manutenzione, la modernizzazione o gli

adeguamenti delle forniture oggetto dell’appalto; può inoltre chiedere di essere informata

di eventuali modifiche organizzative o produttive che possono incidere sugli impegni presi

di fornitura; come può anche chiedere, nel caso l’offerente non sia più in grado di

provvedere alla fornitura, di fornire tutti “i mezzi specifici necessari per la produzione di

parti di ricambio, componenti, insiemi e attrezzature speciali di prova, compresi disegni

tecnici, licenze e istruzioni per l’uso”.

Nell’assolvimento degli obblighi di garanzia della fornitura è importante segnalare il

ruolo fondamentale rivestito dalla regolamentazione sui trasferimenti intracomunitari. In

assenza di una normativa chiara ed uniforme, eventuali diverse modalità di rilascio delle

autorizzazioni statali per le esportazioni dei beni sensibili, potrebbero ostacolare le

forniture di un operatore verso uno Stato membro diverso da quello di stabilimento (del

fornitore). L’emanazione della Direttiva 2009/43/CE sul rilascio delle licenze e

trasferimenti, così come era stato previsto nel Defence package, ha rivestito perciò un

elemento fondamentale in tale contesto, garantendo, con la previsione di uniformi

procedure di rilascio delle autorizzazioni ai trasferimenti, un maggior grado di concorrenza

sul mercato dei beni della difesa. L’onere della prova di dimostrare di essere in grado di

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53

onorare gli impegni in materia di esportazione, trasferimento e transito delle merci

connesse al contratto rimane comunque sempre in capo all’offerente53.

2.3.4 Le procedure di aggiudicazione Una delle esigenze a cui la Direttiva ordinaria sugli appalti non dava risposta, oltre

alla sicurezza delle informazioni e degli approvvigionamenti, era legata alla non idoneità

delle procedure di aggiudicazione di garantire un maggior margine di negoziazione nella

fase di scelta della controparte fornitrice. La Direttiva 2009/81/CE prevede, a favore di una

maggiore flessibilità per le amministrazioni aggiudicatrici, ben quattro procedure di

aggiudicazione: procedura ristretta, procedura negoziata con pubblicazione del bando di

gara, dialogo competitivo e procedura negoziata senza pubblicazione del bando. É stata

esclusa, rispetto alla direttiva sugli appalti ordinari, la procedura aperta, procedura che

ottiene i risultati migliori nel caso di beni standardizzati facilmente reperibili sul mercato,

ma che non è in grado, a causa della consegna del capitolato d’oneri a tutti i concorrenti,

di tutelare riservatezza e sicurezza delle informazioni nel caso di beni sensibili come i

prodotti del settore della difesa e sicurezza.

La procedura ristretta prevede che qualsiasi operatore può chiedere di partecipare

alla gara d’appalto, ma solo coloro che avranno ricevuto l’invito potranno effettivamente

farlo. I criteri di aggiudicazione possono essere quello dell’offerta economicamente più

vantaggiosa e quello dell’offerta con il prezzo più basso.

La procedura negoziata con pubblicazione del bando di gara non prevede limitazioni

alla partecipazione alla gara. In questa procedura le amministrazioni negoziano le offerte

con gli operatori economici per adeguarle alle esigenze previste nel bando di gara.

Successivamente le offerte vengono valutate sulla base delle esigenze indicate nei

documenti d’appalto. Anche in questo caso i criteri di scelta sono l’offerta economicamente

più vantaggiosa e il prezzo più basso.

Solo in alcune circostanze possono essere utilizzati il dialogo competitivo e la

procedura negoziata senza pubblicazione del bando.

Per quanto riguarda il dialogo competitivo la Direttiva recita che “le

amministrazioni/gli enti aggiudicatori, qualora ritengano che il ricorso alla procedura

ristretta o negoziata con pubblicazione del bando di gara non permetta l’aggiudicazione

dell’appalto, possono avvalersi del dialogo competitivo”. In genere, si ricorre a questa

procedura quando la complessità dell’appalto non consente all’amministrazione di definire

a priori le modalità con cui soddisfare le proprie necessità: per questa ragione 53 Articolo 23 della Direttiva 2009/81/CE.

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54

l’amministrazione inizia un dialogo con le imprese concorrenti che le consentirà di

individuare la soluzione più adatta alle proprie esigenze. In particolare, la procedura del

dialogo competitivo prevede tre fasi: nella prima fase viene pubblicato un bando in cui

l’ente specifica le proprie necessità e vengono individuati i candidati idonei.

Successivamente viene avviato un dialogo con i candidati, volto ad individuare i mezzi più

idonei a soddisfare le proprie necessità. Una volta individuata la soluzione più idonea, le

imprese concorrenti presentano le loro offerte. L’unico criterio di aggiudicazione previsto

per questa procedura è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Infine, si ricorre alla procedura negoziata senza pubblicazione preventiva del bando

quando per proteggere informazioni sensibili, si vuole evitare la pubblicazione di un bando

che comporterebbe la diffusione di tali informazioni utilizzabili anche contro l’interesse

pubblico. L’articolo 28 della Direttiva 2009/81/CE riporta un elenco di casi specifici in cui è

possibile far ricorso a tale procedura54. In questa sede vogliamo segnalare che, oltre ai

casi di estrema urgenza, conseguenti ad eventi imprevedibili, si può far ricorso alla

procedura citata anche per gli appalti di servizi di R&S e di prodotti fabbricati unicamente a

fini di R&S.

Esiste poi la possibilità di aggiudicare gli appalti nel settore della difesa e sicurezza

nell’ambito di accordi quadro, laddove un accordo quadro è “un accordo concluso tra una

o più amministrazioni aggiudicatrici e uno o più operatori economici al fine di stabilire le

clausole relative agli appalti da aggiudicare durante un determinato periodo, in particolare

per quando riguarda i prezzi e, se del caso, le quantità previste”55.

2.3.5 La pubblicazione degli avvisi e bandi di gara All’interno del Capitolo VI della Direttiva 2009/81/CE sono previsti una serie di

obblighi in capo alle amministrazioni aggiudicatrici con i quali il legislatore ha inteso

rendere operativi i principi di pubblicità e trasparenza, funzionali alla non discriminazione

dei concorrenti.

In primo luogo, chi intende aggiudicare un appalto deve provvedere alla

pubblicazione dell’avviso di pre-informazione, del bando di gara e, a conclusione della

procedura, anche dell’avviso indicante il vincitore dell’appalto. Qualsiasi bando o avviso

deve essere preventivamente comunicato alla Commissione Europea. La pubblicazione

può avvenire nella lingua nazionale, se essa è una lingua ufficiale delle Comunità, salvo,

comunque la pubblicazione di una sintesi anche nelle altre lingue.

54 Per l’elencazione completa si veda l’articolo 28 della Direttiva 2009/81/CE. 55 Art. 1.11 della Direttiva 2009/81/CE.

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55

Il bando pubblicato a livello nazionale non può contenere informazioni differenti da quello

comunitario, onde evitare di discriminare i concorrenti non nazionali.

Il principio di trasparenza e pubblicità viene temperato per tutelare l’esigenza di

protezione dell’interesse alla sicurezza nazionale: è possibile infatti omettere la

pubblicazione di alcune informazioni nel caso in cui la loro divulgazione sia contraria agli

interessi in materia di difesa e/o sicurezza. Inoltre, a garanzia della sicurezza delle

informazioni, le comunicazioni e gli scambi di informazione devono avvenire in modo da

salvaguardare l’integrità dei dati e la riservatezza delle offerte.

In applicazione del principio di trasparenza e non discriminazione è previsto, tra

l’altro, che l’amministrazione aggiudicatrice informi i candidati circa l’esito

dell’aggiudicazione dell’appalto e che provveda alla redazione di un verbale con cui

attestare che la procedura di selezione è stata condotta in maniera trasparente e non

discriminatoria.

2.3.6 I criteri di selezione qualitativa e di aggiudicazione Prima della fase di aggiudicazione occorre selezionare i candidati da un punto di

vista qualitativo, ossia occorre verificare se siano in possesso di tutti i requisiti soggettivi

previsti per la partecipazione alla gara d’appalto. Numerosi sono i casi di esclusione. In

primo luogo, possono essere esclusi i candidati che hanno nell’organico aziendale dei

condannati con sentenza passata in giudicato per partecipazione a un’organizzazione

criminale, corruzione, frode, reato terroristico o altri reati simili. Può essere esclusa

l’impresa che si trova in stato di fallimento, liquidazione, cessazione d’attività,

amministrazione controllata o concordato preventivo. Può essere escluso anche

l’operatore economico che abbia in organico persone condannate per violazione della

normativa in materia di esportazione degli equipaggiamenti militari oppure violazioni

connesse con la sicurezza delle informazioni e la sicurezza degli approvvigionamenti.

L’amministrazione, a tutela della sicurezza nazionale, gode sempre della facoltà di

escludere coloro che non dispongono dell’affidabilità necessaria. Al riguardo gli Stati

membri possono anche richiedere che i concorrenti godano del nulla osta di segretezza

rilasciato dalle competenti autorità dello Stato in cui risiedono le loro attività principali.

In attuazione del principio di mutuo riconoscimento, essenziale per consentire una

parità di trattamento e non discriminazione, la Direttiva prevede che gli Stati membri

predispongano e riconoscano reciprocamente degli elenchi di fornitori nazionali che

soddisfano dei comuni requisiti minimi (una sorta di sistema di certificazione). In questo

modo risulta più agevole partecipare ad una gara d’appalto in un paese dell’UE diverso da

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56

quello di provenienza: per dimostrare l’idoneità all’esecuzione contrattuale basterà infatti

presentare all’amministrazione non nazionale il certificato, rilasciato dalla competente

autorità nazionale, che attesti l’iscrizione nell’elenco ufficiale.

Per quanto riguarda la fase di aggiudicazione i criteri prescelti possono essere due:

l’offerta economicamente più vantaggiosa e il prezzo più basso. Nel caso di

aggiudicazione dell’appalto attraverso il primo criterio devono essere presi in

considerazione numerosi elementi collegati all’oggetto della gara: la qualità, la funzionalità,

il pregio tecnico, il prezzo, il costo di utilizzazione, la redditività, l’assistenza post vendita,

la data di consegna, la sicurezza dell’approvvigionamento, le caratteristiche operative ecc.

ecc. (art 47.1 lett. a). Per ciascuno dei parametri prescelti deve essere attribuito un peso

ponderale in funzione dell’importanza rivestita per l’ente appaltante.

Qualora l’amministrazione decidesse di optare per il criterio del prezzo più basso,

rimangono vigenti le regole presenti nella Direttiva sugli appalti ordinari: in caso di

un’offerta anormalmente bassa rispetto alla prestazione richiesta, l’amministrazione deve

chiedere all’offerente delle precisazioni circa le modalità di costruzione o fabbricazione del

prodotto, le scelte tecniche che il concorrente intende adottare, il rispetto delle condizioni

di lavoro e l’assenza di eventuali aiuti di stato. Solo dopo aver ricevuto le giustificazioni del

caso si potrà procedere all’eventuale respingimento dell’offerta.

2.3.7 La regolamentazione dei subappalti La disciplina dei subappalti è un elemento fondamentale per l’applicazione dei

principi di libera concorrenza e non discriminazione sanciti dalla Direttiva sul procurement

della difesa, in quanto i subappalti rappresentano una fetta molto importante del valore

complessivo dei contratti d’appalto della difesa, non essendo, in genere, il prime contractor

in grado di portare a termine l’intera prestazione prevista senza l’intervento di altri

operatori economici.

Per limitare la discrezionalità dell’operatore principale nella scelta dei subfornitori

l’amministrazione aggiudicatrice può imporre particolari garanzie sulle capacità di tali

imprese. L’operatore principale deve comunque individuare gli eventuali subappaltatori

senza discriminazioni fondate sulla nazionalità. L’amministrazione può chiedere che

vengano indicati in sede di offerta le parti dell’appalto che l’operatore intende affidare a

terzi, nonché i subappaltatori proposti. Per favorire e tutelare lo sviluppo delle piccole e

medie imprese presenti nel mercato della difesa europeo, è prevista la possibilità per lo

Stato membro di chiedere che una parte dell’appalto, non superiore al 30% del valore

complessivo, venga affidata dall’impresa vincitrice a terzi.

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57

A tutela del rispetto del principio di non discriminazione, trasparenza e parità di

trattamento è previsto un regime di pubblicità anche in materia di subappalti che ricalca

quello generale: l’impresa deve preventivamente comunicare l’intenzione di avvalersi di un

subappalto se il valore è superiore alle soglie comunitarie previste. L’avviso di subappalto

deve essere redatto secondo le disposizioni valide per gli appalti ordinari e dunque deve

contenere tutti gli elementi previsti quali la natura dell’attività, la data e luogo di consegna,

le caratteristiche principali dell’opera, nonché i criteri di selezione qualitativa che

l’operatore principale intende utilizzare per la selezione dei subappaltatori.

Il prime contractor rimane l’unico responsabile nei confronti dell’amministrazione

aggiudicatrice, per cui se nessuno dei subappaltatori candidati fosse idoneo a soddisfare

tutti i criteri previsti nell’avviso di subappalto, l’operatore principale non è tenuto a

subappaltare.

La disciplina in materia di subappalto ha dunque lo scopo di limitare la discrezionalità

dell’operatore principale nella scelta dei subappaltatori, dovendo questo ultimo procedere

ad una vera e propria gara d’appalto secondo i crismi della normativa comunitaria in

materia, favorendo così una maggiore concorrenza nel mercato anche a livello di piccole e

medie imprese.

2.3.8 L’attuazione della Direttiva 2009/81/CE nell’ordinamento italiano Come noto, una Direttiva comunitaria è un atto normativo che necessita

dell’adozione di un atto interno all’ordinamento nazionale per poter acquisire efficacia:

essa vincola infatti lo Stato membro cui è rivolta solo al risultato da raggiungere, lasciando

impregiudicata la possibilità di scelta della forma e dei mezzi ritenuti più idonei. Gli Stati

membri godono quindi di un certo margine di autonomia nella fase di trasposizione

dell’atto nell’ordinamento interno.

La Direttiva 2009/81/CE prevedeva che il recepimento dovesse avvenire nei rispettivi

ordinamenti giuridici entro il 21 agosto 2011. In Italia l’attuazione della disciplina degli

appalti pubblici nei settori della difesa è arrivata solo con qualche mese di ritardo rispetto

al previsto, con la pubblicazione del Decreto Legislativo del 15 novembre 2011, n.208,

rappresentando un vero e proprio successo rispetto alla prassi ormai consolidata che vede

la nostra Nazione in cima alle classifiche europee dei ritardi e delle inadempienze

nell’applicazione della normativa comunitaria.

Occorre rilevare, stante il margine di discrezionalità presente nella trasposizione

dell’atto appena evidenziato, come in questo passaggio il governo nazionale avrebbe

potuto limitare la portata giuridica della Direttiva sul procurement della difesa, potendo

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58

comunque adottare dei correttivi agli istituti previsti dalla normativa europea.

Fortunatamente ciò non è avvenuto, denotando la condivisone, da parte del legislatore

italiano, degli obiettivi di maggiore concorrenza che le istituzioni europee si erano poste

con l’emanazione della Direttiva sugli appalti della difesa e sicurezza.

In effetti il D. Lgs. 208/2011, con il quale è stata recepita la Direttiva europea

2009/81/CE, ripropone in maniera pressoché identica la disciplina illustrata sin qui.

Medesimi sono infatti il campo di applicazione (art. 2 del D. Lgs. 208/2011) e le cause di

esclusione specifiche (art 13 della Direttiva e art. 6 del D. Lgs.); pressoché identici sono i

requisiti qualitativi soggettivi necessari per la partecipazione alle gare, nonché le tutele per

gli Stati membri in materia di sicurezza delle informazioni e degli approvvigionamenti.

Anche le procedure di gara ripropongono le quattro indicate dalla normativa europea.

Vengono anche riproposte le norme sulla pubblicità e sulla trasparenza delle gare,

dall’avviso di pre-informazione alla pubblicazione del bando di gara, fino all’avviso sui

risultati finali della procedura.

Esempio della piena condivisione da parte del legislatore italiano dell’obiettivo di

integrazione del mercato europeo della difesa, è anche l’inserimento nel Decreto

Legislativo della disciplina in materia di subappalti, prevista nella Direttiva 2009/81/CE, la

cui applicazione è stata lasciata alla volontà degli Stati membri.

Possiamo dunque affermare che, in sede di trasposizione della normativa europea

all’interno dell’ordinamento interno, l’Italia ha adottato un atteggiamento a favore della

concorrenza nel settore del procurement della difesa, in piena sintonia con la volontà delle

istituzioni comunitarie di creare le basi per la nascita di un mercato unico europeo anche in

questo delicato settore.

2.4 Il problema dei trasferimenti intracomunitari dei beni della difesa Riteniamo doveroso, a conclusione della nostra illustrazione sull’evoluzione

legislativa in materia di procurement della difesa, dare un cenno alla problematica della

regolamentazione dei trasferimenti dei prodotti della difesa. Oltre ad una normativa

uniforme che favorisca la concorrenza tra le imprese del settore, un mercato europeo della

difesa realmente integrato richiede anche l’abbattimento di tutte le barriere regolamentari

al trasferimento dei beni militari.

Il trasferimento dei prodotti della difesa nell’UE è stato per anni soggetto a 27 diversi

regimi nazionali di rilascio delle licenze, molto diversi fra loro per procedure, campo

d’applicazione e termini di ottenimento.

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59

Questa diversità ha ovviamente compromesso la competitività delle imprese europee

operanti nel campo della difesa ed il consolidamento di un vero mercato europeo dei

prodotti per la difesa.

I vincoli legati all’ottenimento delle licenze nell’UE, sono sempre apparsi ai più

eccessivi rispetto alle reali esigenze di controllo, dal momento che comunque migliaia di

domande di licenza vengono presentate ogni anno senza che nessuna di esse venga

respinta. Questo eccesso di regolamentazione ha rallentato, se non sostanzialmente

impedito, la razionalizzazione delle strutture produttive dei grandi gruppi transnazionali

della difesa europei, che al contrario avrebbe richiesto una maggiore libertà di movimento

dei materiali.

Le barriere al trasferimento intra-comunitario hanno anche nuociuto alle piccole e

medie imprese che avrebbero potuto accedere ad un mercato molto più ampio di quello

nazionale, facilitando il loro sviluppo e la loro crescita. Le barriere regolamentari ai

trasferimenti risultano peraltro molto penalizzanti per tali imprese, che in ragione della loro

ridotta dimensione hanno una minore disponibilità di personale, tempo e fondi per

adempiere alle incombenze burocratiche ed amministrative.

La Commissione Europea è quindi intervenuta nell’ambito del suo impegno per la

realizzazione di un mercato comune della difesa anche nel settore dei trasferimenti

intracomunitari dei beni della difesa, adottando la Direttiva 2009/43/CE.

Tale Direttiva pone fine al sistema di trasferimento di beni o materiali di difesa che

aveva garantito la protezione delle imprese nazionali di settore, semplificando

grandemente le procedure ed introducendo solo tre tipologie di licenze valide per tutti. La

Direttiva 2009/43/CE semplifica le modalità e le condizioni dei trasferimenti all’interno delle

Comunità di prodotti militari, con l’obiettivo di migliorare la competitività del settore della

difesa in Europa e la cooperazione industriale tra gli Stati membri.

La Direttiva prevede un sistema europeo di autorizzazione fondato sulla concessione

della licenza di trasferimento ai fornitori. Questo sistema rende più trasparenti e sicuri i

trasferimenti nell’UE ed agevola quindi l’acquisto, la manutenzione e la riparazione dei

prodotti della difesa europei. La Direttiva prevede che il trasferimento di tali prodotti possa

avvenire a seguito del rilascio di un’autorizzazione preventiva esclusivamente da parte

dello Stato membro da cui partono i prodotti. Al riguardo, per evitare misure restrittive della

libera circolazione, viene specificato che non è richiesta alcuna ulteriore autorizzazione da

parte di altri Stati membri per l’attraversamento degli Stati membri o per l’ingresso nel

territorio dello Stato membro in cui è situato il destinatario di prodotti per la difesa, fatta

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60

salva l’applicazione delle disposizioni necessarie per garantire la tutela della pubblica

sicurezza o dell’ordine pubblico.

La Direttiva 2009/43/CE prevede tre tipi di licenze: licenze generali, licenze globali e

licenze individuali. Le licenze generali sono pubblicate dagli Stati membri e indirizzate a

tutti i fornitori insediati sul loro territorio che rispettino le condizioni della licenza generale.

Grazie a queste licenze, i fornitori possono effettuare più trasferimenti di prodotti destinati

alla difesa a una o più categorie di destinatari situati in un altro Stato membro. I casi in cui

può essere utilizzata questo tipo di licenza sono: i trasferimenti di beni verso imprese

certificate, i trasferimenti alle forze armate degli altri Stati membri, i trasferimenti effettuati

per dimostrazioni, valutazioni o esposizioni e i trasferimenti effettuati per operazioni di

manutenzione e riparazione. Questo tipo di licenza può altresì coprire i trasferimenti

riguardanti un programma di cooperazione intergovernativa.

Le licenze globali di trasferimento sono attribuite a singoli fornitori che ne fanno

richiesta. In funzione della richiesta dei fornitori, gli Stati membri decidono il campo

d’applicazione della licenza globale, la sua durata di validità (tre anni rinnovabili) e i

destinatari autorizzati.

Le licenze individuali di trasferimento vengono anch’esse attribuite su richiesta dei

fornitori. Esse sono limitate a un solo trasferimento di prodotti a un solo destinatario,

quando questo trasferimento è necessario per tutelare gli interessi essenziali della

sicurezza degli Stati membri, per tutelare l’ordine pubblico, per il rispetto degli obblighi e

dei regimi internazionali degli Stati membri, o se esistono serie ragioni per ritenere che il

fornitore non sarà in grado di rispettare tutti i termini e le condizioni necessarie per il

rilascio di una licenza globale di trasferimento.

Accanto alla semplificazione delle tipologie di licenze necessarie per operare un

trasferimento di beni militari, la Direttiva prevede anche l’instaurazione di un sistema di

certificazione delle imprese operanti nel settore che, sulla base del principio del mutuo

riconoscimento, permette alle imprese certificate in un determinato Stato di poter operare

anche negli altri Stati membri

La certificazione avviene sulla base di alcuni criteri come:

la comprovata esperienza in materia di attività di difesa;

l’attività industriale pertinente nel settore dei prodotti per la difesa;

la nomina, da parte dell'impresa, di un responsabile dei trasferimenti e delle

esportazioni di alto livello;

l’impegno scritto dell'impresa a rispettare le condizioni relative all'uso finale e

all'esportazione dei componenti o prodotti ricevuti;

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61

l’impegno scritto dell'impresa a comunicare alle autorità le informazioni richieste

relative agli utenti finali o all'utilizzo finale dei prodotti esportati, trasferiti o ricevuti

dall'impresa usufruendo di una licenza di trasferimento da un altro Stato membro;

la descrizione firmata di un programma interno di conformità o del sistema di gestione

delle esportazioni posto in essere nell'impresa.

La Direttiva obbliga i governi nazionali a riconoscere i certificati rilasciati

conformemente alla Direttiva da altri Stati membri. A intervalli regolari, gli Stati pubblicano

e aggiornano l'elenco delle imprese certificate e ne informano gli altri Stati membri e la

Commissione, la quale provvede a renderli disponibili al pubblico sul suo sito Internet. A

garanzia dell’interesse alla protezione della sicurezza nazionale, uno Stato membro che

reputi un’impresa certificata in un altro Stato non idonea a rispettare anche una sola delle

condizioni per il rilascio delle licenze generali di trasferimento, ne informa lo Stato membro

che ha rilasciato il certificato e gli chiede una valutazione della situazione. Ove i dubbi

persistano, può sospendere la licenza di trasferimento, avvisandone gli altri Stati membri e

la Commissione.

Occorre precisare che contrariamente alla Direttiva sugli appalti della difesa, la

Direttiva 2009/43/CE sui trasferimenti intracomunitari della difesa ha incontrato alcune

difficoltà nel processo di attuazione e recepimento, a testimonianza della delicatezza della

materia regolamentata.

La maggioranza degli Stati membri ha recepito in tempo utile tale Direttiva, mentre

alcuni di essi, tra i quali l’Italia, non sono stati in grado di trasporla entro i termini previsti. Il

governo italiano ha emanato il Decreto Legislativo del 27 giugno 2012 n. 105, entrato poi

in vigore a luglio dello stesso anno, solo di fronte al fatto che il mancato recepimento

avrebbe esposto l’Italia ad un deferimento alla Corte di Giustizia dell’UE e, cosa forse

ancora peggiore, avrebbe messo le aziende italiane in una situazione di oggettivo

svantaggio rispetto alla concorrenza europea.

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2.5 Una prima valutazione dell’efficacia della Direttiva 2009/81/CE Abbiamo chiaro come il settore degli equipaggiamenti della difesa presenti delle

caratteristiche particolari rispetto ad un mercato di un ordinario bene di consumo. Senza

ripeterci nuovamente possiamo affermare che questa specificità è legata in primo luogo

alla strategicità di un settore strettamente connesso all’esercizio della sovranità nazionale,

ed, in secondo luogo, ad una serie di fattori economici che rendono il mercato dei prodotti

della difesa oggetto di una particolare attenzione da parte dei governi nazionali. Al

riguardo abbiamo già osservato come le industrie operanti in questo settore costituiscono

una fetta importante del prodotto nazionale, fungendo da traino non solo per lo sviluppo

tecnologico, ma anche da sostegno al settore industriale ed ai conseguenti livelli

occupazionali ad esso riferibili.

D’altra parte i beni della difesa, in particolare quelli più propriamente riferibili a tale

accezione, ossia i prodotti “specificatamente” militari, rappresentano dei beni, altamente

complessi, ad elevato contenuto tecnologico, spesso anche di notevole valore economico,

che qualificano l’industria della difesa come un settore produttivo caratterizzato da ingenti

investimenti specifici in attività di ricerca e sviluppo, elevati costi fissi e da un capitale

umano altamente specializzato. Questi aspetti generano una serie di conseguenze sulle

caratteristiche del processo produttivo, come la presenza di rilevanti economie di scala,

economie di apprendimento e di specializzazione, oltre che una significativa specificità

degli investimenti effettuati.

Per questi aspetti i governi nazionali sono stati da sempre restii ad aprire il mercato

nazionale alla concorrenza estera, né tanto meno hanno voluto sviluppare all’interno del

proprio mercato nazionale un regime perfettamente concorrenziale. Abbiamo infatti

osservato come la proliferazione di pratiche protezionistiche e di affidamenti diretti alle

industrie nazionali abbia portato, a livello europeo, alla creazione sostanzialmente di 27

mercati nazionali, ognuno con una propria regolamentazione che, ovviamente ha

permesso un ampio margine decisionale nell’aggiudicazione delle commesse all’operatore

pubblico.

Numerosi sono invece i vantaggi che possono derivare non solo agli operatori

pubblici, ma anche alla collettività, da una maggiore integrazione e concorrenza nel

mercato della difesa a livello europeo. In primo luogo, la cooperazione permette, in un

contesto di sempre minori risorse pubbliche, di abbattere i costi d’acquisizione di sistemi

d’arma che, in virtù della sempre maggior presenza della componente tecnologica, sono

divenuti ormai troppo costosi per poter sopportati dalle singole nazioni. Come noto, poi,

una maggiore concorrenza stimola la riduzione dei costi di fornitura: per cui l’apertura delle

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frontiere nazionali ad operatori esteri permette di far acquisire alle forze armate, prodotti a

più basso costo. La competizione è poi una componente importante nel processo di

riorganizzazione produttiva e di specializzazione: la concorrenza su un mercato più ampio

permette alle industrie di specializzarsi laddove sono maggiormente produttive,

abbassando ulteriormente i costi grazie alle economie di specializzazione ed

apprendimento. La crescita del volume d’affari, conseguente all’ampliamento del mercato,

potrebbe anche permettere alle industrie di conseguire quei volumi produttivi che

permettono di incrementare le economie di scala ed abbattere così ulteriormente i costi di

produzione. Non è da trascurare l’importanza che questo processo riveste in un’ottica di

commercio internazionale: le industrie europee, consolidando la loro produzione in alcuni

specifici settori, potrebbero conseguire quei volumi produttivi che gli permettono di

confrontarsi con i colossi nordamericani a livello mondiale.

Di fronte agli evidenti vantaggi dell’integrazione del mercato europeo della difesa e

alle difficoltà finanziarie degli Stati sovrani, le pratiche protezionistiche di chiusura o

sovvenzione di alcuni settori della base industriale, risultano ormai non più perseguibili.

Ancor più se si pensa all’attenzione posta dall’opinione pubblica sulla spesa militare: in un

mondo in cui le risorse sono sempre più scarse, attraversato da una crisi economica e

finanziaria di dimensioni eccezionali, è naturale attendersi che la preferenza nell’utilizzo di

queste poche risorse sia verso bisogni sociali direttamente tangibili, come il sostegno

all’occupazione, l’assistenza sanitaria, la previdenza ecc. ecc.. Ci si attende dunque che la

spesa per prodotti della difesa sia sempre meglio qualificata da un punto di vista

qualitativo, ossia indirizzata verso prodotti altamente efficaci con il minor dispendio

possibile di risorse economiche.

Il processo di integrazione del mercato della difesa deve essere apparso ai decision

makers perciò un percorso quasi obbligato, tanto da spingere, come abbiamo visto, il

legislatore europeo ad adottare nell’ultimo decennio una serie di iniziative legislative e

non, che hanno dato un forte impulso alla creazione di un mercato europeo dei prodotti

della difesa maggiormente integrato.

Per la verità, come abbiamo visto, l’Unione Europea si era già dotata di uno

strumento in grado di creare una maggiore concorrenza nel settore degli appalti pubblici.

La Direttiva 2004/18/CE, relativa agli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, può

essere applicata con efficacia per tutti quei beni e servizi che sono necessari alle forze

armate, ma che non si qualificano come “specificatamente” militari, quali i servizi di pulizia,

i servizi di catering, i prodotti di uso comune, vestiario, materiale di casermaggio, la

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manutenzione di edifici o apparati, ossia per tutti quei beni in cui già esiste un mercato di

tipo concorrenziale. É invece apparso evidente che questa Direttiva non rispondeva alle

esigenze dello specifico settore degli equipaggiamenti militari, non essendo in grado di

tutelare le esigenze di sicurezza e di garanzia degli interessi nazionali che sono

necessariamente coinvolti in questo campo.

Con l’adozione della Direttiva 2009/81/CE, il legislatore comunitario ha inteso

soddisfare tali esigenze ponendo delle misure specifiche a tutela della sicurezza delle

informazioni e degli approvvigionamenti e ha voluto garantire una maggiore flessibilità

nelle procedure di aggiudicazione. Inoltre, nell’ottica dell’integrazione dei mercati nazionali

verso un mercato unico europeo, la Direttiva si pone anche l’obiettivo di armonizzare ed

uniformare alcuni elementi fondamentali.

É opportuno sgomberare il campo da dubbi, chiarendo che, a nostro avviso,

l’impianto del nuovo strumento legislativo risponde adeguatamente all’esigenza di creare

una maggiore concorrenza nel mercato europeo della difesa, in accordo con i dettami

provenienti dalla teoria economica. L’impianto della Direttiva prevede, da una parte, la

trasposizione delle regole comuni concernenti la trasparenza e la pubblicità, volte

all’eliminazione delle pratiche discriminatorie, previste anche nella Direttiva ordinaria sugli

appalti, e introduce, dall’altra, delle specifiche norme a tutela delle informazioni56 e a

garanzia della sicurezza degli approvvigionamenti. In particolare, con queste norme si

cerca di ridurre il pericolo di divulgazione di informazioni delicate che potrebbero incidere

su di un interesse rilevante come quello della sicurezza nazionale e di garantire il rispetto

dell’obbligazione contrattuale di fornitura, onde consentire agli organismi militari di

mantenere elevati livelli di operatività senza soluzione di continuità.

Rispetto ai beni di consumo ordinari i prodotti “specificatamente” militari richiedono,

tra l’altro, una maggiore flessibilità/discrezionalità nell’aggiudicazione dell’appalto, per non

obbligare l’operatore pubblico ad accettare un contraente che, magari, non presenti le

idonee garanzie di sicurezza, affidabilità e qualità. Anche in questo settore la Direttiva

sugli appalti della difesa prevede il ricorso, rispetto alla Direttiva ordinaria sugli appalti, a

procedure di gara maggiormente flessibili, quali la procedura ristretta, la procedura

negoziata con pubblicazione del bando di gara, il dialogo competitivo e la procedura

negoziata senza pubblicazione del bando. Un elemento che non passa inosservato è che

rispetto alla Direttiva 2004/18/CE la Direttiva sugli appalti della difesa non prevede la

procedura di gara aperta. Quest’ultima, infatti, ottiene i risultati migliori nel caso di beni

standardizzati facilmente reperibili sul mercato, ma non è in grado, a causa della 56 Si veda il paragrafo 2.3.2.

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65

consegna del capitolato d’oneri a tutti i concorrenti, di tutelare riservatezza e sicurezza

delle informazioni nel caso di beni sensibili come i prodotti del settore della difesa e

sicurezza. Per cui il legislatore ha pensato bene di non prevederla quale strumento in un

contesto di equipaggiamenti militari.

Essendo questi ultimi dei beni generalmente molto complessi e ad alto contenuto

tecnologico, il legislatore ha dotato le amministrazioni aggiudicatrici di strumenti che

permettono un maggior margine di negoziazione, spesso necessario alla stessa completa

definizione delle esigenze o delle modalità con cui soddisfare le necessità operative delle

forze armate. Bene dunque ha fatto la Direttiva a prevedere strumenti come la procedura

negoziata, con o senza pubblicazione del bando, e il dialogo competitivo, che consentono

attraverso una contrattazione con i concorrenti di definire quali sono gli strumenti che

meglio soddisfanno le esigenze del banditore, senza che questo debba anticipatamente

vincolarsi ad una performance specification che potrebbe non essere adeguata. Nella

realtà accade infatti che l’amministrazione aggiudicatrice non possiede le stesse

conoscenze tecniche delle industrie operanti nel settore, che potrebbero presentare delle

soluzioni tecniche sconosciute all’operatore pubblico, in grado di soddisfare al meglio i

requisiti operativi richiesti dalle forze armate.

Per quanto riguarda un elemento fondamentale delle gare d’appalto, ossia i criteri di

aggiudicazione, la Direttiva “Difesa” ha riproposto i due criteri presenti nella Direttiva

ordinaria. Le indicazioni, provenienti dalla teoria economica, che abbiamo illustrato nel

capitolo predente, ci dicono al riguardo che per beni complessi, come sono gli

equipaggiamenti della difesa, sarebbe auspicabile l’adozione di un criterio di

aggiudicazione multidimensionale che tenga in considerazione oltre al prezzo, anche altri

importanti parametri qualitativi. Per cui, pur lasciando il legislatore la possibilità di scelta

del criterio da adottare all’amministrazione aggiudicatrice, sarebbe opportuno che

quest’ultima adottasse il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, criterio che

è in grado di tradurre in pratica un meccanismo di aggiudicazione multidimensionale. È

infatti auspicabile che il banditore, in sede di aggiudicazione, valuti tutti i singoli aspetti

fondamentali della fornitura, dalla qualità, alla funzionalità, dai tempi di consegna

all’assistenza post-vendita, per finire con l’adeguatezza del sistema d’arma ai requisiti

operativi. Solo aggregando queste valutazioni, con opportuni pesi ponderali, si può

arrivare all’individuazione dell’offerta che meglio risponde alle esigenze dell’operatore

pubblico.

In sintesi, possiamo affermare che la Direttiva 2009/81/CE rappresenta un ottimo

strumento legislativo, in grado di superare, in primo luogo, i problemi emersi

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dall’applicazione dello strumento ordinario al contesto degli equipaggiamenti della difesa,

quali la sicurezza delle informazioni e degli approvvigionamenti e la flessibilità di

negoziazione, e capace di introdurre concretamente, attraverso un’uniforme

regolamentazione dei principi di trasparenza, pubblicità e non discriminazione, una

maggiore concorrenza in un mercato finora rimasto privo.

D’altra parte occorre però evidenziare che, pur essendo aderente alle indicazioni

provenienti dagli economisti, questo strumento rischia di non conseguire i risultati sperati,

in considerazione dell’eccessivo numero di casi di esclusione dal campo di applicazione

della stessa. Abbiamo infatti già rilevato, nel corso della nostra illustrazione, alcune

perplessità al riguardo: l’elevato valore in termini economici degli appalti che, in realtà

risultano esclusi dal suo campo di applicazione, a causa dei molteplici casi di non

applicabilità previsti, potrebbe finire per vanificare l’intento di creare una maggiore

integrazione e concorrenza nel mercato europeo dei prodotti della difesa.

L’esclusione dal campo di applicazione della Direttiva degli appalti da aggiudicare in

base agli obblighi derivanti dall’appartenenza ad una organizzazione internazionale, così

come quegli appalti derivanti da accordi internazionali o memorandum d’intesa, o ancor

più l’esclusione degli appalti aggiudicati nell’ambito dell’attività di organizzazioni

internazionali (NATO e OCCAR), sono esempi evidenti di come una gran fetta del

procurement della difesa potrebbe ancora rimanere fuori dall’applicazione dei meccanismi

concorrenziali, e ridurre quindi, in maniera significativa, la portata di questa nuovo

importante intervento legislativo.

Occorre ricordare come tutti gli Stati membri, entro lo scorso aprile, hanno comunque

recepito nella legislazione interna la normativa comunitaria degli appalti della difesa,

vincendo le ovvie resistenze di alcuni portatori di interesse del settore. Nella relazione che

la Commissione ha presentato al Parlamento e al Consiglio Europeo sul recepimento della

Direttiva 2009/81/CE relativa agli appalti nei settori della difesa e della sicurezza57, essa

esprime apprezzamento per il processo di recepimento della Direttiva, in quanto “quasi

tutti gli Stati membri sembrano averlo portato a termine in maniera corretta”: in particolare,

la Commissione ritiene che sia un segno incoraggiante che molti Stati membri, tra cui

l’Italia, abbiano recepito le disposizioni non obbligatorie sul subappalto, sfruttando in tal

modo ulteriori possibilità di promuovere la concorrenza.

La Commissione afferma che da un’applicazione corretta e uniforme della Direttiva

derivi il rafforzamento della base industriale e tecnologica della difesa europea, per cui è

57 COM(2012) 565 final del 02.10.2012.

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suo intendimento seguire da vicino l’evoluzione della sua applicazione, esaminando

l’impatto che essa avrà sull’apertura del mercato della difesa europeo. Al riguardo entro il

21 agosto 2016 la Commissione presenterà una relazione sull’argomento.

Per promuovere la creazione di un mercato integrato della difesa la Commissione ha

anche istituito, a seguito della Conferenza di Alto livello sul mercato e l’industria della

difesa e della sicurezza tenutasi il 23 maggio 2011, una Task Force incaricata di

esaminare le modalità per sviluppare ulteriormente le politiche europee nel settore della

difesa, in associazione con l’Agenzia europea per la difesa e in stretta cooperazione con

tutti gli altri portatori di interesse, per garantire la coerenza complessiva dell’impegno

europeo in un settore di importanza strategica per l’Unione nel suo insieme.

Dal lavoro di questa Task force è scaturita la Comunicazione del 24 luglio 201358

“Towards a more competitive and efficient defence and security sector” che è stata

discussa nell’ultimo Consiglio Europeo di dicembre 2013. La comunicazione contiene un

piano d’azione con una serie di iniziative nel settore del mercato interno, della politica

industriale, della ricerca ed innovazione, dell’energia e del commercio internazionale e

annuncia una guida che specifichi meglio i casi di esclusione previsti nella Direttiva

2009/81/CE e un rapido abbandono della pratica degli offsets.

Conclusioni In questo capitolo abbiamo illustrato il processo legislativo che, a partire dai primi

anni del secondo millennio, ha portato ad un vero e proprio cambio di rotta nel settore del

procurement della difesa: da una realtà caratterizzata da pratiche protezionistiche, che

aveva condotto alla formazione di 27 mercati nazionali dei prodotti della difesa, si è

cercato di porre le basi per la creazione di un mercato unico europeo della difesa,

attraverso la previsione di strumenti normativi che favorissero la concorrenza nella

produzione e commercializzazione di tali prodotti, e che consentissero una più agevole

trasferibilità e circolazione dei beni della difesa all’interno dell’Unione Europea.

Abbiamo visto come alla fine degli anni ’90 il settore della difesa si presentava

caratterizzato da un esteso ed automatico ricorso alla clausola d’eccezione ex art. 296 che

permetteva ai governi nazionali di non applicare la normativa comunitaria in materia di

concorrenza, affidando così direttamente la produzione e la fornitura di beni della difesa

alle industrie nazionali operanti nel settore.

La Commissione Europea si è resa presto conto dell’impossibilità di realizzare una

maggiore integrazione del mercato europeo della difesa senza scardinare questa pratica. 58 COM(2013) 542 final del 24.07.2013.

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Per questa ragione, come abbiamo visto, ha pubblicato nel 2006 una Comunicazione

interpretativa con la quale intendeva limitare il campo d’azione dei governi nazionali,

restringendo la possibilità di ricorso indiscriminato al regime derogatorio previsto dalla

citata clausola. In particolare, la Commissione ha voluto limitare questa facoltà, precisando

che l’interesse da tutelare, per poter derogare al regime ordinario di concorrenza, deve

essere davvero essenziale per la sicurezza nazionale, e ponendo in capo agli Stati

invocanti la deroga, l’onere di provare questa essenzialità.

Il progetto di integrazione del mercato europeo nel settore della difesa, enunciato

dalla Commissione con il Defence package, ha visto il proprio momento culmine con

l’adozione della Direttiva 2009/81/CE, relativa agli appalti pubblici della difesa e sicurezza,

e la Direttiva 2009/43/CE, relativa al trasferimento dei prodotti della difesa all’interno

dell’Unione Europea. Con tali provvedimenti legislativi si pongono, per la prima volta,

realmente le basi per la creazione di un mercato unico europeo nel campo della difesa.

La Direttiva 2009/81/CE è uno strumento normativo che ha inteso superare i

problemi legati all’applicazione della Direttiva ordinaria sugli appalti, 2004/18/CE, per i beni

della difesa: essa, infatti, non era in grado di garantire la sicurezza e la riservatezza delle

informazioni, la sicurezza delle forniture e la flessibilità delle procedure di aggiudicazione,

elementi invece fondamentali per beni di questo settore. I prodotti della difesa presentano,

infatti, delle peculiarità rispetto ad un bene ordinario: in primo luogo, per la strategicità

rivestita dal settore, in quanto la difesa e la sicurezza nazionale sono l’espressione più alta

della sovranità nazionale. In secondo luogo, perché gli equipaggiamenti militari sono beni

ad altissimo contenuto tecnologico ed altrettanto elevatissimo costo di produzione, che

richiedono perciò ingenti costi d’investimento, soprattutto in termini di ricerca e sviluppo.

La Direttiva sugli appalti della difesa, attraverso l’introduzione di specifiche norme di

settore sulla sicurezza e riservatezza delle informazioni, sulla sicurezza delle forniture e

grazie alla flessibilità delle procedure di aggiudicazione previste, sembrerebbe poter

meglio contemperare, rispetto alla Direttiva generale sugli appalti, l’esigenza di tutela

dell’interesse nazionale alla sicurezza, con i meccanismi di concorrenza, necessari per

creare un mercato unico della difesa, quali la trasparenza, la non discriminazione e la

parità di trattamento.

Per la verità abbiamo rilevato, nel corso della nostra illustrazione, alcune perplessità

sul risultato che potrebbe derivare nel tempo dall’applicazione di questa Direttiva: l’elevato

valore in termini economici degli appalti che, in realtà risultano esclusi dal suo campo di

applicazione, a causa dei molteplici casi di non applicabilità previsti, potrebbe finire per

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69

vanificare l’intento di creare una maggiore integrazione e concorrenza nel mercato

europeo dei prodotti della difesa.

L’esclusione dal campo di applicazione della Direttiva degli appalti da aggiudicare in

base agli obblighi derivanti dall’appartenenza ad una organizzazione internazionale, così

come quegli appalti derivanti da accordi internazionali o memorandum d’intesa, o ancor

più l’esclusione degli appalti aggiudicati nell’ambito dell’attività di organizzazioni

internazionali (NATO e OCCAR), sono esempi evidenti di come una gran fetta del

procurement della difesa potrebbe ancora rimanere fuori dall’applicazione dei meccanismi

concorrenziali, e ridurre quindi, in maniera significativa, la portata di questo nuovo

importante intervento legislativo.

D’altra parte le condizioni per un mercato della difesa maggiormente integrato a

livello europeo, non possono essere conseguite se non si realizza una regolamentazione

comune ed uniforme anche in materia di trasferimento dei beni della difesa. Le

problematiche legate alla complessità e alla diversità delle norme nazionali relative alla

produzione e al trasferimento dei prodotti militari, ha impedito, di fatto, ad imprese

nazionali, pur avanzate industrialmente e tecnologicamente, di concorrere in altri mercati

di Stati membri.

In questo contesto l’adozione della Direttiva 2009/43/CE, relativa al trasferimento

intracomunitari dei prodotti della difesa, rappresenta un’evidente semplificazione in

materia di autorizzazioni e permessi, che dovrebbe permettere alle imprese più efficienti di

allargare il proprio mercato di riferimento e conseguire quei livelli dimensionali

fondamentali per il conseguimento di significative economie di scala. Il rafforzamento a

livello europeo rappresenterebbe poi la base per queste stesse imprese per una

competizione a livello globale con i colossi nord americani.

Abbiamo poi provato a formulare un primo giudizio sull’efficacia che la normativa

sugli appalti della difesa potrebbe avere nel conseguire l’obiettivo di una maggiore

integrazione del mercato degli equipaggiamenti militari. Ci sembra di poter dire al riguardo

che la Direttiva europea sugli appalti della difesa rappresenta un valido strumento in grado

di far conseguire maggiori livelli di efficienza produttiva ed allocativa nel settore degli

appalti militari, in quanto capace di coniugare le specificità del settore con i bisogni di

concorrenza e trasparenza necessari per una maggiore integrazione del mercato europeo,

grazie all’utilizzo di istituti giuridici che appaiono in linea con le indicazioni provenienti

anche dagli economisti.

Avendo chiaro quale processo è stato intrapreso dal legislatore comunitario, in

particolare nell’ultimo decennio, potremmo nel prossimo capitolo passare all’esame delle

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indicazioni che provengono dalla letteratura economica circa i vantaggi derivanti da una

maggiore integrazione. Ci proponiamo dunque di verificare se l’evoluzione in corso nel

mercato degli approvvigionamenti della difesa sia in grado di conseguire quei guadagni di

efficienza ed efficacia che gli economisti affermano essere essenziali per poter conseguire

il consolidamento della base industriale europea della difesa e poter consentire alle forze

armate di agire efficacemente nei nuovi contesti in cui sono chiamate ad operare.

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CAPITOLO 3 I BENEFICI DELLA CONCORRENZA

NEL MERCATO DEGLI APPALTI PUBBLICI

Introduzione Nel corso dell’analisi condotta nei capitoli precedenti, abbiamo evidenziato il

processo evolutivo in atto nel settore degli appalti della difesa, che ha portato il legislatore

comunitario ad adottare numerosi provvedimenti volti a creare le basi per la costruzione di

un mercato unico europeo. La visione di fondo presuppone l’estensione delle regole della

trasparenza e della concorrenza al settore dei prodotti della difesa, ed il conseguente

ottenimento di maggiori livelli di efficienza allocativa e produttiva, in modo da accrescere le

condizioni di benessere sociale sia per le imprese produttrici sia per gli acquirenti.

Un osservatore superficiale potrebbe limitarsi ad accettare questa visione come

ormai necessaria, senza però comprendere le reali motivazioni che sono alla base della

creazione di un mercato degli appalti della difesa più ampio ed integrato a livello europeo.

É nostro intendimento in questa sezione illustrare le indicazioni provenienti dalla

letteratura scientifica di settore, ed in particolare dalla teoria economica, che da tempo

hanno evidenziato le proprietà benefiche della concorrenza anche nel mercato degli

appalti pubblici. Riteniamo che solo dopo aver costituito questo background conoscitivo si

possa essere realmente consapevoli dell’importanza del processo in atto, e soprattutto si

possa essere in grado di formulare una valutazione maggiormente fondata anche sul

piano scientifico.

Volutamente in questa illustrazione non prenderemo in considerazione gli aspetti

legati alla strategicità del settore della difesa che sono strettamente connessi alla

sovranità di uno Stato, già affrontati in qualche modo nella nostra analisi e che esulano dal

nostro obiettivo, ma ci limiteremo solo ad esporre i vantaggi, ed in qualche caso, anche le

problematiche, che possono derivare dall’adozione di un mercato competitivo anche nel

settore degli appalti pubblici della difesa.

Per questo, dopo aver illustrato brevemente le caratteristiche di una gara d’appalto

ed i problemi ad essa conseguenti, evidenzieremo, in primo luogo, quale tipologia di

contratto offrire all’impresa aggiudicataria per spingerla a profondere lo sforzo maggiore in

sede di esecuzione dell’appalto, e, poi, sottolineeremo i vantaggi derivanti dall’adozione di

una gara d’appalto nel selezionare l’impresa più efficiente.

Daremo un rapido accenno all’importanza dei meccanismi di aggiudicazione

multidimensionali, fondamentali in un contesto, come quello degli appalti della difesa, in

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cui la prestazione è caratterizzata da aspetti qualitativi complessi che devono essere

necessariamente presi in considerazione insieme al prezzo di fornitura.

Vedremo, poi, i vantaggi derivanti dalla pratica del second sourcing, ossia dalla

possibilità di effettuare successive gare di riaggiudicazione del contratto di fornitura: in

genere, la minaccia di sostituzione spinge l’impresa ad aumentare lo sforzo produttivo e a

non esagerare la misura dei costi sopportati.

Infine, dedicheremo un po’ di spazio al problema della qualità negli appalti pubblici.

Lo scadimento qualitativo della prestazione contrattuale è un’evidenza ben presente nel

settore dei contratti pubblici, che deriva dalle difficoltà di imporre il rispetto della promessa

contrattuale per quegli aspetti di natura qualitativa che sono di non facile verificabilità o

osservabilità. In un contesto di questo genere sarebbe opportuno utilizzare dei

meccanismi di gara che tengono in considerazione i comportamenti passati avuti nelle

precedenti relazioni contrattuali con la pubblica amministrazione: in questo modo si

instaurerebbe un meccanismo reputazionale che, secondo gli economisti, spinge le

imprese aggiudicatarie a rispettare la prestazione promessa.

3.1 Le caratteristiche economiche delle gare d’appalto Il problema fondamentale di un appalto, sia pubblico che privato, è relativo alla

presenza di una situazione di asimmetria informativa: l’impresa aggiudicataria di un

contratto di fornitura pubblico gode di una posizione di privilegio informativo nei confronti

dell’operatore pubblico. Generalmente nei contratti pubblici esistono due tipologie di

problemi, uno di adverse selection ed uno di moral hazard. Il primo nasce dall’esistenza di

informazioni private note esclusivamente all’impresa: in genere, l’operatore pubblico non è

a conoscenza, ex ante, delle caratteristiche tecnico-produttive (produttività e costi) dei

potenziali fornitori. Il secondo deriva dall’impossibilità da parte dell’operatore pubblico di

osservare ex post lo sforzo effettivo profuso dall’impresa nella riduzione o nel

contenimento dei costi di produzione o nella fornitura della qualità prevista.

La letteratura economica sugli appalti pubblici, nota come “mechanism design”, si

basa sull’ipotesi semplificatrice che le parti possano definire un contratto di fornitura

“completo” o, detto in altro modo, che la prescrizione contrattuale venga, comunque,

rispettata in fase di esecuzione. In realtà, quando l’oggetto della prestazione è un bene le

cui caratteristiche possono essere osservate59 solo dopo l’acquisto (experience goods),

59 Si noti che osservabilità non coincide, in senso economico, con verificabilità, laddove

quest’ultima caratteristica si ottiene quando una parte terza esterna al rapporto è in grado di misurare oggettivamente la prestazione.

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assume rilevanza il problema dell’enforcement contrattuale, che può comportare dei

risultati diversi da quelli proposti dalla letteratura classica sul procurement.

La letteratura distingue, in genere, i moderni sistemi contrattuali, relativi

all’approvvigionamento di opere o progetti complessi, in diverse fasi individuate,

solitamente, in:

fase di impostazione del disegno iniziale;

fase di ricerca;

fase di sviluppo;

fase di produzione iniziale;

una o più fasi di reprocurement.

In genere, l’operatore pubblico definisce le performance specifications, relative alla

qualità e alle caratteristiche del prodotto, mentre le attività di progettazione, sviluppo e

produzione sono delegate ad un’impresa che opera in condizioni di autonomia. I contratti

che regolano questa struttura complessa presentano una serie di problemi che andremo di

seguito ad illustrare.

1. Asimmetria informativa. Questo è l’aspetto fondamentale che caratterizza la natura

degli acquisti pubblici. Il vantaggio informativo di cui gode l’impresa in fase di

selezione ed in quella di esecuzione consente di applicare gli strumenti analitici che la

teoria economica dell’informazione ha elaborato per la soluzione dei problemi

decisionali in condizioni di incertezza.

2. Divisione del rischio. Poiché i costi di produzione sono soggetti a variazioni casuali

esterne disposte dalla “Natura”, ossia non imputabili all’unità produttiva, gli operatori

agiscono in condizioni di incertezza, per cui se sono avversi al rischio emerge un

classico problema di risk sharing tra principale e agente60. Se all’agente venisse

accollato l’intero rischio di produzione, il principale dovrebbe compensarlo

adeguatamente con qualche forma di trasferimento.

60 Il modello definito principal/agent o modello di agenzia viene spesso utilizzato nell’economia

dei contratti, branca che studia le relazioni contrattuali caratterizzate da asimmetrie informative. In questo modello vi è un soggetto (principal) che delega ad una controparte (agent) lo svolgimento di un certo compito. Nella relazione che si instaura l’agente dispone di maggiori informazioni rispetto al principal (informazione nascosta o hidden information), prima dell’avvio della relazione contrattuale (adverse selection), oppure dopo, quando gode di un vantaggio informativo sulle azioni intraprese (hidden action) successivamente alla stipula del contratto (moral hazard). Questo modello viene utilizzato per individuare i meccanismi/incentivi contrattuali che consentono di prevenire i comportamenti opportunistici.

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3. Limited Commitment e rinegoziazione. I contratti di fornitura sono in genere

“incompleti”, cioè non sono in grado di prevedere tutte le evenienze che possono

presentarsi in futuro. Per cui ad ogni successivo stadio di reprocurement si presenta il

problema di rinegoziare le condizioni inizialmente previste.

4. Cost overrun. Soprattutto nei contratti a lungo termine, in cui c’è incertezza sui costi, si

manifesta la tendenza alla crescente divergenza tra i costi programmati e quelli

effettivamente realizzati. La letteratura ha evidenziato che il fornitore esercita prima

un’azione di contenimento dei costi, e poi, man mano che il progetto avanza, riduce

l’impegno.

5. Ricerca, sviluppo e innovazione. Le imprese concorrenti, generalmente, incontrano un

problema nell’investire in ricerca e sviluppo, mentre l’ente pubblico ha la necessità di

rendere conveniente la trasferibilità della tecnologia dell’impresa fornitrice ad altre

eventuali imprese. La teoria economica distingue, tradizionalmente, gli investimenti

nell’attività vera e propria di ricerca e sviluppo da quelli che, innovando il processo

produttivo, consentono di migliorare la produttività.

La letteratura economica, richiamando un concetto noto alla teoria della

regolamentazione, ha distinto la competizione per il mercato o ex ante, ossia quando

l’operatore pubblico organizza un meccanismo d’asta per conferire il diritto esclusivo di

fornitura ad un’unica impresa, che diviene così un monopolista/incumbent, dalla

competizione ex post o second sourcing, ossia quando la pubblica amministrazione

prevede la possibilità che un “secondo fornitore” possa intervenire in qualità di entrant,

affiancando o sostituendo il primo fornitore, nel completamento del progetto o della

fornitura.

Nei prossimi sottoparagrafi illustreremo alcune delle caratteristiche più rilevanti dei

contratti d’appalto che ci derivano dai principali modelli presenti in letteratura. Vedremo

come si esaltino le proprietà benefiche dei meccanismi di gara nella scelta dell’impresa

contraente: in particolare, evidenzieremo i risultati positivi in termini di efficienza produttiva

(la gara consente di selezionare l’impresa con il parametro tecnologico-produttivo migliore)

e di equità distributiva (la spinta concorrenziale in sede di gara consente di aumentare il

patrimonio informativo del soggetto banditore, diminuendo così la rendita informativa

riconosciuta all’impresa vincitrice).

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3.2 La scelta del contratto da offrire al fornitore Siamo dunque in un contesto di appalti pubblici in cui un operatore pubblico indice

una gara per l’aggiudicazione di un contratto di fornitura. In questa situazione si verifica un

doppio problema di asimmetria informativa. In primo luogo, l’ente pubblico non è in grado

di conoscere ex ante i costi attesi di produzione delle imprese partecipanti all’asta e,

quindi, di identificare l’impresa più efficiente dal punto di vista produttivo: esiste perciò un

classico problema di adverse selection61. Inoltre, una volta selezionata l’impresa più

efficiente, la pubblica amministrazione non è in grado di osservare lo sforzo profuso

dall’impresa vincitrice nel contenimento dei costi di produzione nella fase di esecuzione: si

manifesta, ex post, un problema di azzardo morale.

Il primo problema che si pone per l’operatore pubblico è quello di scelta della forma

contrattuale da offrire all’impresa aggiudicataria. Tradizionalmente si possono distinguere

diverse tipologie di contratto di fornitura partendo da una formulazione generale:

p C b .

La forma del contratto proposto prevede un pagamento legato sia al costo realizzato ex

post, C, sia al prezzo di offerta dell’impresa che si è aggiudicata l’asta, b, più una

percentuale di profitto riconosciuta pari a . La formulazione ordinaria del corrispettivo di

un’asta, coincide con il solo prezzo di offerta, per cui 0, 1 e p b .

In generale però possiamo distinguere diverse tipologie di contratti di fornitura.

1) Se 1 e 0,

p C ,

si tratta di un contratto cost-plus, dove 0 rappresenta il profitto per l’impresa.

L’operatore pubblico coprirà i costi effettivamente sostenuti più un eventuale compenso

stabilito ex ante.

2) Se 0 e 1,

p b ,

si tratta di un contratto fix-price, in cui il pagamento è indipendente dai costi

effettivamente sostenuti e coincide con l’offerta dell’impresa vincente più un eventuale

compenso stabilito ex ante.

3) Se 0 1 e 1 ,

(1 ) ( )p C b C b b ,

61 Per comprendere cosa sia un problema di selezione avversa si veda al riguardo lo storico

articolo di Akerlof , 1970.

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si tratta di un contratto ad incentivo, in cui il pagamento dipende dal prezzo d’offerta e

dai costi realizzati. Se questi superano l’offerta l’impresa è responsabile per una quota

della differenza; se l’impresa contiene i costi entro l’offerta viene premiata con la

possibilità di trattenere una parte di questa rendita. Se ipotizziamo che l’offerta

dell’impresa contenga anche la percentuale di profitto che essa intende riservarsi,

possiamo trascurare la componente e riscrivere il contratto come:

( )p b C b ,

ossia il pagamento eguaglia l’offerta presentata più una frazione del cost overrun, ossia

l’incremento dei costi realizzati ex post rispetto a quelli attesi.

Appare intuitivamente evidente, senza la necessità di provvedere alla relativa

dimostrazione analitica62, che un incremento della percentuale di condivisione dei costi

comporterà, da una parte, un pagamento atteso maggiore per l’operatore pubblico, a

causa della conseguente riduzione dello sforzo esercitato dall’agente in virtù della

maggiore garanzia ricevuta nella copertura dei costi e, dall’altra, una diminuzione del

corrispettivo ricevuto dall’impresa, dovuta alla crescita di competizione in sede di gara (un

incremento di genera un’aspettativa di più alti profitti). L’effetto finale prodotto sul prezzo

sarà dato dalla forza relativa che ciascuna di queste spinte avrà rispetto all’altra.

Nella individuazione di quale tipologia di contratto porre a bando di gara, l’operatore

pubblico sceglie il livello di che gli consente di eguagliare i propri costi marginali

(incremento del pagamento) ai benefici marginali (riduzione del corrispettivo atteso). E’

stato notato63 che per l’operatore pubblico 1 non è mai una soluzione di ottimo, per cui

non dovrà mai proporre un contratto cost-plus. In questo caso, poiché l’operatore pubblico

provvede, comunque, al rimborso di tutti i costi sostenuti, viene meno il legame esistente

tra il bid presentato in sede di gara dall’impresa ed i suoi costi attesi: infatti sotto queste

condizioni, ossia sotto la completa garanzia di rimborso dei costi sostenuti, non vi è

nessuna ragione per cui un concorrente con alti costi attesi di produzione debba

presentare un’offerta di prezzo più alta rispetto ad un’impresa maggiormente efficiente.

Dunque se il contratto proposto a gara è del tipo cost-plus, l’asta comunque fallisce

nell’individuare l’impresa più efficiente, e non offre alcuna utilità per l’operatore pubblico.

Viceversa, quando 0 , siamo in presenza di un contratto di tipo fix-price, l’agente

che partecipa alla gara si attende di dover coprire i costi senza alcun concorso

dell’operatore pubblico, per cui la sua offerta aumenterà al crescere dei propri costi attesi

62 Per la dimostrazione analitica si veda McAfee e McMillan, 1986. 63 Cfr. McAfee e McMillan, 1986.

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di produzione, essendo costretto così a rivelare in sede di gara la propria reale efficienza

produttiva. Un contratto di questo genere, in cui non è previsto alcun rimborso

dell’incremento di costo che si è realizzato in sede di esecuzione contrattuale, non viene

però facilmente accettato dalle imprese concorrenti, in quanto su di loro andrebbe a

ricadere l’intero rischio derivante da un incremento dei costi dovuto a cause esterne non

imputabili all’impresa stessa. Siamo di fronte ad un tipico problema di risk sharing.

Infine, quando 0 1 (contratto ad incentivo) l’operatore pubblico non coprirà tutti i

costi di produzione, per cui un’impresa partecipante all’asta che si attende costi elevati, è

costretta a presentare un’offerta di prezzo più elevata. In questo modo i bid rivelano

effettivamente i costi attesi dei concorrenti, e l’operatore pubblico, selezionando l’offerta

più bassa, avrà la garanzia di scegliere proprio l’impresa più efficiente. Man mano che si

approssima all’unità, i concorrenti si attendono di poter coprire i costi con il rimborso del

principale, per cui nella loro decisione di offerta non terranno conto dei costi attesi,

facendo venire meno quel meccanismo rilevatore dei reali costi di produzione che è insito

nelle procedure competitive di aggiudicazione degli appalti.

Per queste ragioni possiamo affermare che un contratto con una percentuale di

rimborso dei costi intermedia, ossia un contratto così detto incentivante, consente di

minimizzare il pagamento atteso dell’ente governativo e permette all’asta di selezionare

l’impresa più efficiente dal punto di vista produttivo.

3.3 L’efficacia della gara nel selezionare l’impresa più efficiente É noto come uno dei risultati più importanti della letteratura economica in materia di

appalti pubblici, faccia riferimento all’efficacia dei meccanismi di gara nel selezionare

l’impresa più efficiente tra i concorrenti: il meccanismo competitivo che si instaura in sede

di aggiudicazione di un appalto, permetterebbe infatti di individuare, tra i bidders, quello

che è in grado di fornire il bene con il più basso costo di produzione e, dunque, offrire il

bene/servizio al prezzo più basso. Ne consegue un evidente vantaggio per la pubblica

amministrazione in termini di contenimento delle risorse, e di conseguenza anche per la

collettività nel suo insieme. Per cui l’aggiudicazione di un appalto mediante un

meccanismo di gara concorrenziale risulterebbe da un punto di vista del benessere sociale

maggiormente desiderabile rispetto ad un affidamento diretto ad un fornitore scelto

arbitrariamente.

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78

L’aggiudicazione di un appalto mediante l’utilizzo di un meccanismo di gara

rappresenta un esempio tipico di concorrenza per il mercato64. Come abbiamo visto in una

situazione di appalto l’ente governativo fronteggia una duplice asimmetria informativa: non

conosce, ex ante, il parametro di produttività delle imprese, per cui non conosce

anticipatamente chi è in grado di fornire il bene con il minor costo atteso, e non è in grado

di osservare, ex post, il livello di sforzo sostenuto nel contenimento dei costi in sede di

realizzazione della fornitura.

L’assegnazione dell’appalto attraverso il ricorso ad un meccanismo di gara ex ante,

permette in qualche modo di ridurre il privilegio informativo goduto dalle imprese

concorrenti, e soprattutto di selezionare l’impresa che presenta il minor costo di

produzione atteso.

Tale risultato richiamato in numerosi lavori, è stato per la prima volta evidenziato da

Laffont e Tirole (1987), Riordan e Sappington (1987) e McAfee e McMillan (1986) nei loro

ormai classici lavori. Se si ipotizzano n imprese concorrenti per l’aggiudicazione di un

contratto di fornitura, con costi di produzione attesi diversi, un meccanismo d’asta, che sia

strutturato in maniera ottimale, ossia rispetti alcune specifiche condizioni65, è in grado di

aggiudicare il contratto all’impresa che presenta il più basso parametro di costo, ossia che

è in grado di produrre il bene in maniera più efficiente. In pratica, l’effetto finale della

concorrenza ex ante in sede di gara sarebbe quello di ridurre l’ambito di estensione

dell’incertezza pre-contrattuale circa il parametro di costo da parte dell’operatore pubblico.

D’altra parte gli stessi autori evidenziano che lo sforzo profuso dall’impresa vincente

nel contenimento dei costi in sede di realizzazione dell’appalto non risente della presenza

del meccanismo d’asta e risulta essere identico a quello che sarebbe stato esercitato se il

contratto fosse stato affidato direttamente all’impresa. L’introduzione di un meccanismo

d’asta, permette, dunque, di selezionare l’impresa più efficiente, riducendo così l’esborso

governativo, ma non consente di incidere sullo sforzo nella riduzione dei costi in sede di

esecuzione e quindi non influenza il problema di asimmetria informativa ex post che può

essere mitigato con forme di contratto incentivanti.

64 Questo concetto è stato in realtà usato per la prima volta da Demsetz, 1968, per definire una

situazione in cui, non potendo realizzarsi condizioni di concorrenza perfetta, come nei servizi e prodotti che sono caratterizzati da strutture produttive che danno origine a forme di monopolio naturale (economie di scala), è comunque possibile ottenere dei benefici sociali come il contenimento del prezzo di mercato, attraverso la competizione che si può generare ex ante, in sede di assegnazione del diritto ad operare in un mercato di monopolio.

65 Per un approfondimento si veda Tatone, 2007.

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Laffont e Tirole (1987) evidenziano, inoltre, che al crescere del numero delle imprese

concorrenti il parametro di produttività dell’impresa vincitrice tende ad essere pari a quello

dell’impresa più efficiente in assoluto. Da ciò deriva dunque la necessità di allargare

quanto più possibile la competizione al maggior numero di imprese operanti nel settore, in

modo da ottenere un’ulteriore riduzione dei costi.

Alcuni autori66 osservano che la spinta concorrenziale consente di ridurre anche il

margine di profitto dell’impresa vincitrice. In un mondo perfetto dove l’operatore ha a

disposizione lo stesso patrimonio informativo delle imprese circa il loro parametro di costo,

e dunque, in assenza di una situazione di asimmetria informativa, egli potrebbe affidare

direttamente il contratto di fornitura all’impresa più efficiente, riconoscendogli un minimo

profitto per la sua sopravvivenza. Il prezzo di fornitura sarà allora il più basso possibile,

vicino a quello ottimale (first best).

D’altra parte non potendo nella realtà godere di questa informazione, l’impresa

vincitrice potrà giocarsi questo vantaggio informativo strappando un prezzo di fornitura più

elevato. Il maggior margine di profitto quantifica in termini monetari proprio la rendita

informativa goduta dalla ditta aggiudicataria. Si dice allora che la situazione che si realizza

é di second best, ossia sub ottimale per il benessere sociale. E ciò avviene con regolarità

in molteplici settori.

Riordan e Sappington (1987) hanno dimostrato come una gara per l’aggiudicazione

del contratto di fornitura riduca il margine di profitto per l’impresa aggiudicatrice, spingendo

il prezzo finale verso quello più basso possibile: in particolare, tanto più forte sarà la spinta

concorrenziale (il numero dei concorrenti può essere preso come un indicatore che

approssima tale grandezza) tanto minore sarà il profitto goduto dall’impresa risultata

aggiudicataria. Di fronte ad una maggiore concorrenza l’impresa sarà comunque spinta ad

avvicinarsi quanto più possibile alla propria reale valutazione dell’appalto, ossia a ridurre al

minimo il margine di profitto, in virtù del fatto che una crescita della competizione rende

meno probabile l’aggiudicazione del contratto.

Alcuni autori67 hanno addirittura evidenziato come la spinta competitiva in sede di

gara spinga il prezzo finale di aggiudicazione verso il prezzo che si sarebbe avuto in un

mercato di concorrenza perfetta, con i conseguenti vantaggi in termini di benessere

sociale. É infatti noto come la posizione di equilibrio raggiunto all’interno di un mercato

perfettamente concorrenziale qualifichi per gli economisti una situazione di ottimo per la

società.

66 Cfr. Riordan e Sappington, 1987. 67 Si veda Doni, 2004.

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In sintesi, la dottrina prevalente è concorde nel riconoscere ai meccanismi di gara

una serie di effetti benefici. Il primo è legato all’efficienza produttiva: diversi autori

dimostrano come in un contesto di asimmetria informativa sui parametri tecnico-produttivi

delle imprese fornitrici, un’asta consente di selezionare il concorrente con il parametro di

efficienza produttiva migliore, risultato che non sarebbe assolutamente scontato in

assenza di gara. Il problema di adverse selection presente nei contratti pubblici viene ad

essere, perciò, mitigato dal ricorso a meccanismi di gara competitivi.

Si è, poi, osservato come la gara per l’aggiudicazione di un contratto pubblico

consenta di ridurre la rendita informativa goduta dall’impresa aggiudicataria, a vantaggio

del benessere sociale: in effetti una gara è, in estrema sintesi, un meccanismo che

consente di accrescere il patrimonio informativo del banditore, riducendo così il privilegio

di cui godono le imprese fornitrici. Secondo alcuni autori la gara spingerebbe il prezzo di

fornitura verso quello di perfetta concorrenza, con un conseguente vantaggio per il

benessere sociale. L’utilità della gara andrebbe dunque vista sia in termini di migliore

efficienza distributiva, grazie alla minor rendita riconosciuta all’impresa vincitrice, sia nel

senso di migliore efficienza produttiva, dovuta alla selezione dell’impresa con

caratteristiche tecnologiche migliori, oltre che di maggiore efficienza allocativa68 in virtù

della riduzione del prezzo di fornitura verso quello di concorrenza perfetta.

D’altra parte però la letteratura ci dice che la gara non è in grado di risolvere il

problema di moral hazard che nasce dall’impossibilità di osservare lo sforzo profuso ex

post nella fase di esecuzione del contratto: lo sforzo esercitato nel contenimento dei costi

dall’impresa esecutrice è identico a quello che la stessa avrebbe sostenuto nel caso in cui

la pubblica amministrazione l’avesse scelta senza il ricorso al meccanismo d’asta. Come

abbiamo evidenziato che il problema dell’azzardo morale può essere affrontato ricorrendo

a forme contrattuali incentivanti in cui, cioè, solo una parte del compenso finale è legata al

rimborso dei costi effettivamente sostenuti.

Occorre precisare, in realtà, che non tutta la letteratura è concorde nel ritenere che i

meccanismi di gara siano l’unica soluzione ai problemi insiti negli appalti pubblici: un filone

minoritario sostiene che la massimizzazione della pressione competitiva non è sempre lo

strumento più adatto per migliorare i risultati.

68 In economia il conseguimento di una posizione di ottimo sociale, come quella rappresentata

dalla posizione di un mercato perfettamente concorrenziale, è identificata come una situazione di efficienza allocativa, in quanto i beni vengono allocati a coloro che possono impiegarli/consumarli nel modo migliore.

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In questo contesto si collocano alcuni lavori69 che mostrano come la contrattazione risulti

più vantaggiosa in un numero di casi più ampio rispetto alle procedure di gara.

3.4 I meccanismi di aggiudicazione multidimensionali Un aspetto rilevante, soprattutto negli appalti relativi ad equipaggiamenti militari, che

merita un approfondimento in questo contesto, è rappresentato dai meccanismi di

aggiudicazione: per alcuni beni particolarmente complessi, come quelli della difesa, è

opportuno che la scelta sia basata non solo sul prezzo di fornitura, ma anche su altri

parametri, in genere inerenti l’aspetto qualitativo.

Diversi sono gli esempi, derivanti dall’esperienza pratica, in cui le caratteristiche

qualitative dei beni sono tanto rilevanti da meritare una particolare attenzione da parte del

banditore: basti pensare agli appalti pubblici per l’aggiudicazione di opere complesse,

quali edifici e costruzioni, o la realizzazione e fornitura di sistemi d’arma ad elevato

contenuto tecnologico, in cui l’aspetto qualitativo assume un’importanza primaria, anche

rispetto al prezzo. In questi casi l’offerta deve essere composta da diversi elementi, che

riflettono i vari aspetti rilevanti per la fornitura: ognuno di questi deve essere valutato

singolarmente e, dopo essere stato ponderato con opportuni pesi che riflettono

l’importanza relativa del parametro per il banditore, occorre aggregare i valori per ottenere

un punteggio finale di sintesi70.

I classici modelli di procurement, richiamati fin’ora, trascurano questo aspetto,

assumendo, in genere, che la definizione delle specifiche qualitative avviene prima della

fase competitiva. Appare evidente come tale approccio, se può essere valido per un’asta

di beni omogenei, in cui i prodotti possono essere considerati perfetti sostituti, non può

essere accettabile per quei beni, come quelli della difesa, che sono resi, in qualche modo,

unici dalle loro caratteristiche qualitative.

Ci sono alcuni modelli che estendono i risultati ottenuti dai modelli classici ad un

contesto di gara multidimensionale. Ad esempio Che (1993) dimostra che i benefici

derivanti dall’introduzione di una gara per l’aggiudicazione di un appalto possono essere

ottenuti anche quando si utilizzano meccanismi di scelta multidimensionali a patto però,

che l’operatore pubblico utilizzi una scoring rule che penalizzi sistematicamente la

qualità71.

69 Si veda al riguardo Manelli e Vincent, 1995. 70 Per i problemi connessi all’utilizzo di funzioni di punteggio del tipo aggregativo-compensatore

si veda Mori, 1997. 71 Per la spiegazione economica delle ragioni di questo risultato si veda Tatone, 2007.

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Un ulteriore contributo alla letteratura sull’ottimo design delle aste multidimensionali è

stato fornito da Branco (1997). Anche per lui i modelli tradizionali d’asta in cui il prezzo è

l’unica variabile rilevante in un contratto di fornitura pubblica sono lontani dal

rappresentare tutti quegli appalti pubblici, o concessioni di pubblico servizio, in cui la scelta

dell’impresa contraente avviene sulla base di molteplici parametri legati, per lo più, ad

aspetti qualitativi. Secondo questo autore per poter conseguire dei risultati ottimali

l’operatore pubblico dovrebbe utilizzare la fase di gara per selezionare l’impresa più

efficiente, che offrirà un livello di qualità in base al proprio parametro di costo. Ovviamente,

a causa della presenza del vantaggio informativo goduto in sede di gara dall’impresa

selezionata, tale livello risulta essere inferiore a quello che sarebbe desiderabile (first-

best). Per questo motivo il banditore deve ricorrere ad una fase successiva, di

contrattazione diretta con l’impresa selezionata, che gli consenta di ridefinire la qualità da

fornire sulla base dei diversi parametri di costo degli altri bidders, di cui è venuto a

conoscenza grazie alla fase di gara. Solo in questo modo è possibile ottenere un livello di

qualità socialmente desiderabile.

In una gara multidimensionale, che in genere viene impiegata per prodotti

particolarmente complessi, sono rilevanti ai fini dell’aggiudicazione diversi parametri tra

cui, ad esempio, la qualità costruttiva, la qualità progettuale, ossia le scelte tecnologiche

adottate nella produzione, i tempi di consegna, l’assistenza post-vendita, ecc. ecc. In

questi casi il problema che si trova di fronte l’operatore pubblico è quello di esprimere una

valutazione per ciascun parametro e aggregare queste singole valutazioni attraverso un

opportuno criterio in valore di sintesi. É importante che i pesi ponderali assegnati alle

diverse caratteristiche rispettino l’importanza relativa rivestita per il banditore da ciascun

parametro.

La teoria economica ci dice che per conseguire un risultato ottimale questa regola di

punteggio dovrebbe esprimere l’utilità sociale del prodotto, ossia il beneficio apportato dal

bene alla collettività. É evidente che questa indicazione non può trovare facile riscontro

nella realtà, in quanto, aldilà dell’impossibilità per l’operatore di conoscere le reali

preferenze di una società, ci sarebbero comunque delle grosse difficoltà nella

quantificazione di questi aspetti72. In genere, nella realtà, accade che i meccanismi di

aggiudicazione riflettono le preferenze dell’alta dirigenza burocratica, che, come affermato

72 C’è da precisare, però, che l’analisi costi-benefici, utilizzata nelle decisioni che hanno una

rilevanza sociale, ha compiuto notevoli passi in avanti, rappresentando per i decision makers uno strumento molto utile in tale contesto.

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dalla scuola delle public choice73, è portatrice di un proprio interesse personale

(massimizzazione del proprio potere, prestigio ecc. ecc.), spesso in contrasto con

l’interesse sociale. Per questa ragione i meccanismi di aggiudicazione sono lontani dal

produrre quegli effetti ottimali suggeriti dalla teoria economica.

Come abbiamo visto nel Capitolo precedente, la nuova Direttiva sugli appalti della

difesa prevede che nelle differenti procedure di gara possano essere adottati due

meccanismi di aggiudicazione: il prezzo più basso o l’offerta economicamente più

vantaggiosa. L’inserimento di questo ultimo criterio, così come già avvenuto nella direttiva

ordinaria sugli appalti pubblici, risponde proprio all’esigenza di fornire all’operatore

pubblico uno strumento maggiormente idoneo negli appalti di beni molto complessi, ad

alto contenuto tecnologico, come quelli della difesa, per i quali sono rilevanti altri parametri

oltre il prezzo di fornitura. Si pensi, ad esempio, a tutti quei requisiti di interoperabilità tra i

sistemi d’arma che vengono richiesti ordinariamente dalle forze armate, chiamate ad

operare, per il contenimento delle risorse, secondo i dettami del pooling and sharing.

In considerazione delle caratteristiche di elevata complessità e di alto contenuto

tecnologico dei prodotti della difesa, il criterio dell’offerta economicamente più

vantaggiosa, che permette di adottare funzioni di punteggio in grado di tradurre le

preferenze dell’operatore pubblico, dovrebbe essere preferito rispetto a quello del prezzo

più basso, che invece meglio si presta ad essere utilizzato per beni standardizzati, di più

facile reperibilità sul mercato.

3.5 Concorrenza ex post e contratti pubblici di second sourcing

Uno strumento alternativo alla concorrenza ex ante è rappresentato dalla possibilità

di far subentrare, in una fase successiva a quella iniziale, al fornitore in carica, uno o più

fornitori alternativi, eventualmente scelti tramite asta. Il processo di fornitura viene così

strutturato in modo che le fasi successive, generalmente di reprocurement, possano

essere conferite ad imprese diverse da quella iniziale: ovviamente, un contratto di seconda

fornitura potrà essere realizzato se i vantaggi in termini di riduzione dei costi di produzione

compensano i costi di trasferimento o di acquisizione della tecnologia da parte del second

source.

73 La public choice è una scuola di pensiero che a partire dagli anni ’60 ha affrontato il problema

del comportamento dei decisori pubblici, mettendo in evidenza come le scelte adottate dai policy makers siano, nella realtà, fortemente influenzate da interessi personali, non strettamente legati a quelle che invece sono le preferenze collettive.

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In via preliminare possiamo affermare che la presenza di un secondo potenziale

fornitore genera una serie di effetti contrastanti, che occorrerà valutare per decidere se

ricorrere o meno a questo tipo di competizione.

É stato dimostrato74 che il second sourcing produce, in genere, un effetto benefico, in

quanto la presenza di un potenziale secondo fornitore (entrant), giocando un ruolo

strategico, rende credibile, agli occhi del primo fornitore (incumbent), la minaccia di rottura

della relazione commerciale. Il fornitore iniziale gode rispetto ai potenziali secondi fornitori

di un vantaggio derivante dalle economie di apprendimento o dal così detto effetto

esperienza: se si tratta, come per i prodotti della difesa di un bene unico non facilmente

sostituibile con altri, in virtù della quantità prodotta nel primo periodo, il fornitore iniziale

acquisirà una maggiore esperienza nella produzione del bene, per cui i costi di produzione

risulteranno più bassi rispetto ad un’altra impresa che si accinge ad utilizzare la stessa

tecnologia produttiva per la prima volta.

Questo effetto, che è comune a diversi settori nella vita reale, è ancor più rilevante

per i sistemi d’arma, caratterizzati da una notevole complessità produttiva e da un elevato

contenuto tecnologico. La presenza di questo effetto esperienza pone i potenziali

concorrenti nelle fasi successive di riapprovvigionamento in una situazione di svantaggio:

avendo comunque fornito una certa quantità nel primo periodo, l’incumbent sopporta un

costo inferiore rispetto a potenziali concorrenti che impiegano la medesima tecnologia

produttiva. Allora, se le economie di apprendimento sono un fattore molto rilevante,

l’esperienza acquisita nell’attività di produzione da parte del primo fornitore, fornisce un

forte vantaggio di costo sui potenziali concorrenti, per cui i benefici, che potrebbero

derivare da una competizione in sede di reprocurement, sono sostanzialmente limitati.

Si può notare che in realtà il grado di competizione è influenzato indirettamente dalle

scelte operate dall’operatore pubblico, in quanto il vantaggio di costo del primo fornitore

dipende dalla quantità totale di bene che si è deciso di fargli produrre nel primo periodo:

infatti per quantità prodotte nel periodo iniziale piuttosto basse, il vantaggio dell’incumbent

è piuttosto ridotto, rendendo allora attraente per l’ente governativo l’utilizzo di un’asta nella

fase di reprocurement. Viceversa, per più ampi valori della quantità prodotta nel periodo

iniziale, l’offerta del secondo fornitore risulta meno appetibile, a causa del vantaggio in

termini di costi di apprendimento goduto dal primo fornitore.

Altri autori75 soffermano la loro attenzione sull’analisi del ruolo giocato dagli

investimenti specifici sostenuti dall’impresa iniziale. Come noto il settore dei prodotti della

74 Cfr. Anton e Yao, 1987. 75 Laffont e Tirole, 1988, e Anton e Yao, 1987.

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difesa è caratterizzato dalla presenza di un elevato contenuto tecnologico che comporta

degli ingenti costi fissi materiali ed in capitale umano. Generalmente si dice che gli

investimenti sono trasferibili se il risparmio di costo derivante dall’investimento del primo

fornitore diviene risparmio di costo anche per il secondo: in questo caso, poiché, con

qualche probabilità, il secondo fornitore beneficerà dei frutti dell’attività d’investimento, il

primo fornitore ha, evidentemente, un incentivo insufficiente ad investire. L’investimento

realizzato genera infatti un beneficio76 a favore del second source che, in qualche modo,

deve essere tenuto in considerazione dal regolatore nel disegno della gara di

reprocurement.

La presenza di investimenti trasferibili riduce quindi l’incentivo ad investire da parte del

primo fornitore, in virtù del fatto che della propria attività d’investimento potrebbe

beneficiare un potenziale concorrente. Di fronte a questa carenza d’incentivo

all’investimento, che, al contrario, potrebbe essere considerato molto importante per

l’operatore pubblico, occorrerà allora offrire, nel primo periodo, un contratto di tipo cost-

plus, in quanto solo la previsione di un rimborso pressoché totale dei costi sostenuti

potrebbe spingere il fornitore iniziale ad investire, mitigando così questo problema.

D’altra parte, però, come spesso accade nella realtà, gli investimenti sono non

trasferibili. In questo caso l’entrant non può appropriarsi dei risparmi di costo realizzati dal

fornitore iniziale. Esiste allora un problema di vantaggio di costo da parte del primo

produttore nella fase di gara del reprocurement. Se non si vuole che i potenziali

concorrenti rimangano sistematicamente esclusi dall’aggiudicazione dei futuri contratti,

allora l’operatore pubblico dovrà introdurre una correzione nelle offerte in sede di gara

attraverso cui compensare, in qualche modo, il vantaggio acquisito dal primo fornitore

Un effetto positivo che viene tradizionalmente riconosciuto al second sourcing è quello

prodotto in termini di controllo dei costi di produzione: infatti la presenza di un potenziale

secondo fornitore, che, presumibilmente ha dei costi correlati a quelli dell’incumbent, funge

da audit per quest’ultimo, limitando la sua capacità di esagerare i costi i produzione in

assenza di strumenti di verifica. Addirittura secondo alcuni autori77 la presenza di un

entrant risulta desiderabile anche nel caso in cui quest’ultimo abbia dei costi di produzione

che eccedono quelli del primo fornitore: in questa situazione il second source ha l’unico

ruolo di disciplinare il comportamento del fornitore iniziale.

76 In economia si dice che l’attività d’investimento ha prodotto un’esternalità positiva a favore del

concorrente. Ciò accade quando un agente non riesce ad appropriarsi dell’intero beneficio sociale prodotto dalla sua attività, che risulta essere maggiore del proprio beneficio privato.

77 Si veda Demski e al., 1987.

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Nella realtà il ricorso a pratiche di riapprovvigionamento è molto ridotto. Ovviamente

ci sono tipologie di prodotti che meglio di altri si prestano a questo tipo di prassi. Va da sé

che un sistema d’arma con caratteristiche d’impiego e tecnologiche uniche non può essere

sottoposto a gare successive di reprocurement, potendo essere fornito da l’unica industria

che è stata in grado di svilupparlo. D’altra parte però, prodotti maggiormente

standardizzati, come possono essere il materiale di munizionamento o le componenti

elettroniche che possono essere parte di sistemi d’arma più ampi, presentano

caratteristiche idonee per una pratica di riapprovvigionamento.

Spesso però, per motivi di carattere non economico, si preferisce non prevedere

delle fasi di riacquisto mediante gare, ma rivolgersi per un ampio periodo temporale

sempre allo stesso fornitore iniziale. In questi casi, dove ci può essere la possibilità di

un’esagerazione dei costi di fornitura, soprattutto se il contratto offerto è di tipo cost plus,

si cerca di ricorrere a pratiche di audit, ossia a sistemi sofisticati di controllo dei costi.

La concorrenza ex post o second sourcing rappresenta uno strumento più potente

rispetto all’auditing, in quanto consente di terminare la fornitura con il primo fornitore senza

dover necessariamente ridurre a zero l’output, e, in più, fornisce un’alternativa produttiva

che potrebbe essere anche a più basso costo. Il ruolo ricoperto da un potenziale

concorrente va aldilà della semplice funzione di monitoring per il primo fornitore. Anche

quando la rendita di quest’ultimo può essere limitata con pratiche di controllo dei costi, un

ruolo per il second source esiste sempre, se c’è un’aspettativa di guadagno derivante dal

trasferimento della produzione ad un secondo fornitore a più basso costo. La probabilità di

questo guadagno sarà maggiore quanto meno correlati sono i costi: una scarsa

correlazione nei costi rende più attraente la lotteria relativa ad una possibile sostituzione

del fornitore, poiché è più elevata la probabilità che il second source abbia una proiezione

di costo bassa quando il fornitore iniziale annuncia un costo elevato.

La prospettata superiorità finora indicata, almeno per alcune tipologie di beni, del

second sourcing rispetto al sole sourcing, secondo alcuni autori78 non è sostenibile

quando esiste un legame stretto tra la fase iniziale (che in genere si identifica con quella di

sviluppo) e quella successiva (di produzione). Quando, ad esempio, l’introduzione di un

sistema d’arma richiede una prima fase di fornitura consistente, per lo più nello sviluppo

del prodotto, la riduzione dei profitti che il developer può ottenere nella fase successiva di

fornitura, a seguito dell’introduzione del second sourcing, genera due importanti

conseguenze. Il primo fornitore, anticipando questa contrazione nel flusso dei redditi futuri,

presenta delle offerte meno aggressive per aggiudicarsi il contratto nello stadio iniziale. 78 Cfr. Riordan M.H. e Sappington D.E.M., 1989.

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Per cui i risparmi di costo che possono essere ottenuti nella fase di reprocurement con il

passaggio ad un secondo fornitore, vengono compensati dai più alti costi sostenuti nello

stadio iniziale (di sviluppo). Inoltre, la prospettiva di più bassi ritorni nella fase di seconda

fornitura incide negativamente sullo sforzo sostenuto per lo sviluppo del prodotto. Minore

sarà lo sforzo, maggiore sarà l’ampiezza della fase di sviluppo o peggiore sarà la qualità

finale del prodotto. Uno sforzo minore comporta una riduzione dei costi per il developer.

Sulla base delle osservazioni fin qui condotte occorre affermare che la scelta di

ricorrere o meno alla pratica del second sourcing deve essere valutata caso per caso,

sulla base delle caratteristiche del prodotto. La scelta degli strumenti di policy deve essere

ponderata sulla base di un’attenta riflessione sui benefici e sugli svantaggi del ricorso a

tale pratica. Il second sourcing non è sempre desiderabile, ma può risultarlo solo sotto

specifiche e limitate condizioni.

Se, ad esempio, gli investimenti risultano essere specifici e non trasferibili, essendo i

costi di trasferimento molto elevati, la produzione da parte di un secondo potenziale

fornitore sarà sempre eccessivamente costosa79, per cui il ricorso a fasi successive di

reprocurement risulterebbe privo di alcuna utilità. D’altra parte, anche quando, in presenza

di trasferibilità degli investimenti, i costi di trasferimento della tecnologia risultassero bassi,

rendendo profittevole il riapprovvigionamento tramite gare successive, l’operatore pubblico

dovrà valutare se tale vantaggio sia effettivamente superiore allo svantaggio che ne

deriverebbe in termini di disincentivo in attività di R&S da parte del developer, in virtù del

più elevato rischio di sostituzione80.

In sintesi possiamo affermare che il second sourcing non è sempre desiderabile, ad

eccezione del caso in cui i costi di trasferimento della tecnologia siano di entità non troppo

elevata.

3.6 Il problema della qualità negli appalti pubblici Vogliamo a questo punto dedicare un po’ di spazio al problema della qualità

nell’attività di procurement. L’esperienza degli appalti pubblici mostra come molte imprese,

dopo essersi aggiudicate l’appalto con offerte molto aggressive, cercano di recuperare

margini di profitto tagliando sugli aspetti qualitativi della fornitura, difficilmente monitorabili.

Nella realtà accade infatti che nei contratti di fornitura pubblica la prestazione contrattuale

sia difficilmente verificabile ex post, per cui alcune volte l’impresa cerca di recuperare un

79 Si veda Rob, 1986. 80 Si veda al riguardo Tatone, 2007.

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po’ di profitto attraverso lo scadimento del livello qualitativo fornito in sede di esecuzione

della prestazione. Questo problema, che è ben conosciuto tra gli operatori pubblici, è stato

in realtà affrontato solo marginalmente dalla letteratura economica. Tutte le conclusioni

illustrate sin qui sugli effetti positivi derivanti dall’introduzione di gare per l’aggiudicazione

dell’appalto si basano su di un’assunzione implicita, che non sempre trova riscontro nella

realtà dei fatti, ossia che la promessa contrattuale sia sempre rispettata. In concreto

accade invece che, in sede di gara, le imprese offrono soltanto una promessa, che può

essere anche molto lontana da ciò che in realtà esse forniscono una volta che siano

risultate aggiudicatarie.

Diverse sono le ragioni per cui può avvenire uno scadimento qualitativo nella

fornitura contrattuale. La prestazione può non essere sempre correttamente esplicitabile

nel contratto, a causa della sua complessità (è questo il caso di sistemi d’arma complessi):

per questo motivo la parte terza, chiamata a far rispettare i termini contrattuali in caso di

inadempienza, ha delle difficoltà nel verificare e sanzionare quegli aspetti, generalmente di

natura qualitativa, che non sono stati correttamente definiti.

Altre volte l’impresa è in grado di assicurare il rispetto formale della prestazione, ma

tale rispetto non coincide con l’adempimento sostanziale della prestazione promessa.

Spesso accade anche che, pur essendo un tribunale in grado di ristabilire la corretta

esecuzione dell’obbligazione contrattuale, il ricorso a tale rimedio risulta troppo costoso in

termini economici e di tempo, finendo per vanificarne l’effetto.

Infine, può verificarsi che la pubblica amministrazione, pur potendo ricorrere allo

strumento sanzionatorio, subisca, comunque, un danno che difficilmente può essere

risarcito con una somma di denaro come nel caso in cui risulta rilevante il termine di

consegna della merce per garantire la continuità operativa di un servizio. Si pensi ad

esempio ad una sortita operativa di un velivolo militare per la quale sia necessario la

consegna preventiva di carburante o la manutenzione di un apparato. In questa situazione

ben poco rileva che le forze armate riescano ad ottenere dopo un’estenuante battaglia

legale il risarcimento del danno procurato, quando l’inadempienza ha ormai inciso in

maniera sostanziale sull’operatività dello strumento militare.

La letteratura economica ha individuato da tempo nella reputazione un meccanismo

in grado di fornire alle imprese un forte incentivo al rispetto della performance contrattuale.

In estrema sintesi un meccanismo reputazionale è un sistema capace di trasmettere

informazioni relative ai comportamenti passati degli agenti, in un mercato in cui vi sia

carenza d’informazione.

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89

Scambio dopo scambio a ciascun agente viene associato un profilo reputazionale

derivante dalle valutazioni espresse dagli operatori con cui è entrato in contatto. Tale

profilo, che rappresenta una misura del comportamento passato tenuto dall’agente,

fornisce un segnale informativo per tutti coloro che vogliano entrarvi in contatto.

Klein e Leffler (1981) ritengono che il meccanismo reputazionale sia capace di

assicurare la corretta esecuzione della prestazione promessa, in quanto fondato sulla

minaccia di interruzione dei futuri rapporti commerciali e del conseguente flusso futuro di

guadagni, a patto che l’acquirente paghi un prezzo di fornitura che, oltre a coprire i costi di

produzione del prodotto ed il margine normale di profitto, compensi anche il costo

d’investimento connesso con una politica di costruzione della reputazione (price premium

for high quality). Tale costo si identifica nella rinuncia al guadagno immediato che

deriverebbe dal comportamento opportunistico.

In genere, un contratto è detto self-enforcing se le parti sono spinte a rispettare gli

impegni presi, aldilà che esista la possibilità di ricorrere ad una parte terza esterna che

imponga il rispetto degli accordi. Un’impresa terrà fede ai suoi impegni se e solo se il

valore attuale del flusso di guadagni futuri derivanti dal proseguimento della relazione è

superiore al guadagno corrente derivante dalla rottura. Condizione necessaria affinché un

contratto sia self-enforcing è che l’estensione temporale della relazione sia abbastanza

ampia e, soprattutto, sia non conosciuta con precisione alle parti81.

Per consentire dunque il rispetto della promessa contrattuale per gli aspetti qualitativi

particolarmente complessi, non sempre traducibili contrattualmente, si dovrà ricorrere ad

una sorta di price premium for high quality. Livelli di prezzo superiori al costo medio

minimo rappresentano un forte incentivo al rispetto dei vincoli contrattuali, in quanto la

minaccia di una rottura della relazione commerciale con i consumatori porta con sé la

perdita di possibilità future di guadagno.

Come Klein e Leffler (1981), anche Shapiro (1983) giunge alla conclusione che, per

evitare lo scadimento qualitativo, occorre corrispondere al venditore un premio per l’alta

qualità con il quale si possono compensare i costi d’investimento di una politica di

costruzione della buona reputazione. Per garantire l’alta qualità occorre corrispondere al

venditore un prezzo comprensivo di un premio che può essere interpretato come

l’ammontare di denaro che consente la copertura dei costi d’investimento nella buona

reputazione, ossia il mancato guadagno del comportamento opportunistico di riduzione

della qualità. Gli economisti sono dunque concordi nel ritenere che in una situazione di

asimmetria informativa che potrebbe dare origine ad uno scadimento qualitativo della 81 Tale problema rappresenta una classica applicazione del dilemma del prigioniero.

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prestazione fornita, occorre riconoscere all’impresa un extra profitto, un premio per l’alta

qualità.

Secondo Spulber (1990) l’efficacia di un meccanismo di gara e l’effettivo

raggiungimento dei positivi risultati enunciati dalla letteratura economica sono

indissolubilmente legati alla possibilità di garantire il rispetto della promessa contrattuale.

Una gara per l’aggiudicazione di un appalto pubblico si conclude con la promessa di una

prestazione da parte dell’impresa risultata aggiudicataria. Spulber mostra con chiarezza

come, senza un appropriato incentivo al rispetto di questa promessa, l’asta fallisce nel

selezionare l’impresa tecnologicamente migliore e spinge l’impresa vincitrice a non

rispettare l’impegno preso contrattualmente. Nella realtà accade, infatti, che un’impresa,

intenzionata a recuperare margini di profitto attraverso la riduzione dello standard

qualitativo fornito, presenti un’offerta più bassa di quella presentata da un’impresa che, al

contrario, vuole costruirsi una buona reputazione attraverso il rispetto della performance

stabilita. L’autore evidenzia che un meccanismo d’asta al ribasso non è in grado di

distinguere tra le imprese che hanno dei costi di produzione elevati, ma riescono a

presentare delle offerte basse in quanto intendono venir meno all’obbligazione presa, e

quelle che invece presentano offerte basse in virtù dei bassi costi di produzione che

caratterizzano la loro efficienza tecnologica. In questo modo tutte le imprese diventano

potenziali violatrici dell’accordo contrattuale e il meccanismo d’asta fallisce nel

distinguerle, tanto da rendere uguale per tutte la probabilità di risultare vincitrici. Se non

esistesse la possibilità di far rispettare il contratto, l’asta fallirebbe nel selezionare

l’impresa più efficiente: la scelta tra impresa a basso o ad alto costo risulterebbe priva di

significato, in quanto, in sede di esecuzione, l’impresa aggiudicataria, qualsiasi essa sia,

deciderà sempre di venire meno alla promessa contrattuale.

Kim (1998) evidenzia che, contrariamente alle indicazioni fornite dalla teoria

economica, l’esperienza pratica mostra come gli operatori pubblici ricorrano nella maggior

parte dei casi a procedure di gara ristrette (nella normativa italiana questa procedura è

rappresentata dalla licitazione privata), dove cioè vengono invitati solo alcuni concorrenti

che, ex ante, sono ritenuti idonei e qualificati per realizzare l’opera. Egli mostra come il

guadagno di lungo periodo per un’impresa che voglia perseguire una politica di

costruzione della buona reputazione, sia funzione decrescente del numero dei competitori

nel mercato: la crescita del numero dei competitori riduce il flusso atteso dei profitti futuri,

rendendo così più appetibile il guadagno opportunistico di breve periodo ed aumentando

di conseguenza la probabilità che l’impresa possa venire meno agli impegni presi.

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Una spinta concorrenziale in sede di gara, anziché risolvere il problema dell’opportunismo

post-contrattuale, finirebbe per aggravarlo.

Per evitare questo effetto indesiderato ed aumentare la profittabilità del

comportamento onesto, occorre, secondo Kim, limitare il numero dei concorrenti,

utilizzando una regola automatica di esclusione dalle procedure future ad invito per chi si

comporti opportunisticamente. In questo senso le selective tendering garantiscono meglio

il rispetto della promessa contrattuale: l’utilizzo di procedure ristrette consente di rendere

credibile la minaccia di esclusione dalle future gare per le imprese che si siano comportate

slealmente. In questo contesto deve essere inquadrata l’affermazione di Gansler (1989),

secondo cui una competizione “controllata” tra pochi qualificati competitori crea una

concorrenza effettiva maggiore rispetto a quella generata da un numero elevato di

concorrenti non tutti affidabili.

In presenza di una regola automatica di esclusione dalle gare future un’impresa che

intenda rimanere nel mercato dei “contratti pubblici” sarà indotta a costruirsi una buona

reputazione, rispettando le clausole contrattuali e fornendo sempre un livello qualitativo

elevato. Proprio in questa direzione si muove la tendenza più recente della normativa sugli

appalti pubblici, volta a ridare una maggiore possibilità d’azione all’operatore pubblico in

relazione all’esclusione dalle gare delle imprese che abbiano fornito in passato una qualità

insufficiente. Escludendo tali imprese si accresce il profitto atteso dalle gare future per le

imprese che vogliono costruirsi una buona reputazione, riconoscendo così loro una sorta

di price premium alla Klein e Leffler (1981). Per questa ragione infatti, contrariamente alle

indicazioni fornite dalla letteratura economica tradizionale (massima apertura delle gare,

affidamento all’impresa che ha presentato l’offerta più conveniente), in molti paesi le

procedure seguite per l’aggiudicazione di contratti pubblici presentano delle caratteristiche

diametralmente opposte: nel Regno Unito si cerca di limitare il numero dei partecipanti ad

una gara e si sceglie il contraente anche in base a fattori legati all’identità; in Francia la

procedura d’affidamento prevede una seconda fase di scelta assolutamente discrezionale;

negli USA si prevede che l’assegnazione debba essere operata anche sulla base della

valutazione delle performance contrattuali passate. Anche la Direttiva 2009/81/CE sugli

appalti della difesa sembra muoversi in questa direzione, nel momento in cui non prevede

il ricorso alla procedura di gara aperta.

Queste conclusioni ci consentono di argomentare che il meccanismo reputazionale

rappresenta un possibile strumento in grado di correggere le distorsioni che si creano nel

mercato dei contratti pubblici per l’impossibilità di avere un perfetto enforcement

contrattuale.

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Il fattore reputazionale gioca un ruolo fondamentale nella fase di esecuzione della

prestazione, spingendo le imprese a rispettare le promesse fatte. Occorre, a questo

proposito, riprendere l’affermazione di Kelman (1990), secondo cui, il miglior incentivo al

rispetto della performance può essere ottenuto aumentando le possibilità future di

guadagno per le imprese interessate a permanere nel mercato dei “contratti pubblici”:

bisogna, perciò, aumentare in qualche modo le possibilità di profitto per quelle imprese

che abbiano dato prova di lealtà ed affidabilità nelle relazioni precedenti. A nostro avviso in

un contesto di appalti pubblici questo meccanismo potrebbe essere tradotto secondo due

modalità applicative:

il ricorso a procedure ristrette in cui le imprese ritenute leali sono invitate con

probabilità maggiore rispetto a quelle che godono di una scarsa reputazione;

l’introduzione di una regola di aggiudicazione in cui sia rilevante la reputazione

acquisita dall’impresa nei precedenti rapporti contrattuali con la P.A..

La prima modalità appare poco percorribile considerando l’attuale normativa vigente:

la possibilità di escludere da gare future le imprese sleali risulta poco realistica, essendo

tassativamente indicati ed assolutamente circoscritti i casi di esclusione. Viceversa, la

seconda soluzione appare più plausibile: si potrebbe pensare d’introdurre delle regole

d’aggiudicazione che incrementino la probabilità di risultare vincitrici in gare future, per le

imprese che si sono comportate onestamente in passato. Se il rispetto degli accordi e la

fornitura degli standard qualitativi promessi, consentono d’incrementare la probabilità

dell’impresa di risultare nuovamente fornitrice, si innesca un meccanismo endogeno che

rende il contratto pubblico self-enforcing. Si finisce in pratica per riconoscere una sorta di

price premium for high quality differito, tradotto in una rendita di posizione. Si noti come, in

questo contesto, il concetto di reputazione sia basato esclusivamente sulla valutazione

delle performance passate e non debba essere confuso con il concetto di affidabilità,

legato per lo più al possesso di requisiti tecnici, organizzativi e finanziari.

Una modalità per introdurre negli appalti pubblici il meccanismo reputazionale che è

in grado in qualche modo di correggere le distorsioni che si presentano, è rappresentato

dalla cosiddetta “asta pesata per la reputazione”82, ossia una regola di aggiudicazione che

penalizza le imprese dimostratesi disoneste e premia invece le imprese leali: in questo

modo è possibile aumentare la probabilità per le imprese oneste di entrare, in futuro,

nuovamente in relazione con la pubblica amministrazione. Il maggior costo sopportato da

tali imprese viene ad essere compensato dall’incremento delle loro possibilità future di

82 Si veda al riguardo Tatone, 2007.

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guadagno, il tutto a vantaggio del rispetto della prestazione contrattuale e della fornitura di

standard qualitativi in linea con quelli fissati contrattualmente.

É possibile dimostrare83 che, penalizzando nella fase di aggiudicazione le imprese

sleali84, si può ottenere un idoneo incentivo, endogeno al meccanismo d’asta, in grado di

spingere l’impresa esecutrice al rispetto della promessa contrattuale, anche senza la

minaccia di esclusione futura o il ricorso ad autorità terze esterne. Basterebbe introdurre

una particolare regola di aggiudicazione che penalizza le imprese disoneste, attraverso

una “correzione” apportata al bid presentato: coloro che nel periodo precedente non hanno

adempiuto alla prestazione contrattuale, fornendo un livello di qualità inferiore a quello

prefissato contrattualmente, vengono penalizzati nella fase di aggiudicazione della gara

successiva. Si riduce così la probabilità di vincita nelle gare successive per le imprese che

hanno agito opportunisticamente, e si garantisce, dall’altra parte, una rendita alle imprese

oneste, con cui possono compensare il maggior costo sopportato (rinuncia al guadagno da

opportunismo) nel costruirsi una buona reputazione.

I risultati raggiunti evidenziano come anche in un contesto di non perfetta

verificabilità della prestazione, in cui cioè la qualità è osservabile ma non oggettivamente

misurabile, è possibile garantire un corretto enforcement contrattuale ricorrendo ad una

regola di aggiudicazione al miglior offerente aggiustata dalla reputazione. Nella realtà

l’applicazione di un simile meccanismo è comunque legata all’efficacia e alla bontà della

modalità di osservazione della qualità.

Un aspetto che deve essere necessariamente analizzato quando si passa alla reale

applicazione del meccanismo reputazionale sopra esposto, è legato alla circolazione delle

informazioni relative alla reputazione goduta dalle imprese fornitrici. Il comportamento

tenuto in passato da un’impresa entrata in rapporto con una specifica amministrazione

pubblica deve essere rilevante nell’aggiudicazione di analoghi contratti anche con altri

operatori pubblici: in questo modo è possibile evitare che le imprese dimostratesi sleali in

passato possano proporsi come entrant senza penalizzazioni in altre circostanze,

vanificando così il meccanismo sanzionatorio insito nel sistema reputazionale. Per cui è

necessario che le osservazioni dei comportamenti passati siano condivise dagli operatori

interessati attraverso un’azione capillare di diffusione delle informazioni.

83 Cfr. Tatone, 2007. 84 Per impresa sleale in questo contesto si intende un’impresa che ha fornito un livello qualitativo

della performance inferiore a quello promesso contrattualmente.

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Conclusioni Abbiamo voluto presentare, in questo capitolo, alcune delle indicazioni provenienti

dalla teoria economica sui benefici derivanti dalla creazione di un mercato fondato sulla

concorrenza per l’aggiudicazione degli appalti pubblici. L’idea è quella di comprendere le

motivazioni che hanno portato il legislatore europeo a compiere dei passi in avanti in

questa direzione, attraverso l’emanazione delle recenti Direttive europee sugli appalti ed i

trasferimenti nel settore della difesa.

Da questa illustrazione abbiamo potuto derivare che la maggior parte della dottrina è

concorde nel riconoscere alcuni effetti positivi derivanti dall’introduzione di una gara a

monte del processo di aggiudicazione di una fornitura. In genere, la letteratura riconosce

ai meccanismi d’asta la capacità di selezionare l’impresa più efficiente dal punto di vista

produttivo, in grado, cioè, di fornire il prodotto con il più basso costo di produzione (Laffont

e Tirole, 1987). Per cui un meccanismo di gara ben strutturato consente di risolvere

almeno uno dei due problemi che affliggono questo settore, ossia l’adverse selection.

Inoltre, la pressione competitiva generata da un meccanismo d’asta, consente di

limitare il privilegio informativo goduto dalle imprese fornitrici nei confronti dell’operatore

pubblico, imitando la rendita da essa percepita e spingendo il prezzo verso quello più

basso possibile, a tutto vantaggio di una riduzione dell’esborso finanziario da parte

dell’operatore.

Abbiamo anche visto come il problema del moral hazard, presente nella fase di

esecuzione del contratto, viene affrontato e risolto con lo strumento della remunerazione

incentivante: se la prestazione può essere verificata correttamente, un contratto

incentivante offre lo stimolo all’impresa per esercitare il massimo sforzo nel contenimento

dei costi. Per cui il problema dell’opportunismo post-contrattuale può essere mitigato

facendo tendere le forme contrattuali verso quelle di tipo fix-price (McAffe e McMillan,

1986 e Laffonte Tirole, 1987).

L’evidenza mostra come, soprattutto per oggetti dalle caratteristiche complesse

come quelli della difesa, le gare siano strutturate in modo da tenere in considerazione,

oltre al prezzo d’offerta, anche gli aspetti qualitativi della fornitura quali l’aspetto esterno, la

qualità produttiva, il sistema produttivo utilizzato, i tempi di consegna ecc. ecc.. A tale

proposito alcuni dei modelli della metà degli anni 90’ (Che, 1993, Branco, 1997) estendono

le conclusioni della letteratura classica ad un contesto di multidimensionalità del criterio di

aggiudicazione. I risultati tradizionali rimangono validi, a patto che i meccanismi d’asta

siano definiti in maniera appropriata. In questo contesto si evidenzia comunque la difficoltà

nell’esperienza pratica di individuare delle funzioni di punteggio che rispecchino il reale

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valore rivestito dal prodotto per la collettività, anziché le preferenze e le indicazioni

provenienti dall’alta burocrazia.

Abbiamo, inoltre, rilevato come in letteratura esistono anche alcune limitate

perplessità circa l’utilizzo indiscriminato delle procedure in contesti fra loro molto diversi:

alcuni lavori (Manelli e Vincent, 1995) mostrano come i vantaggi generalmente ascrivibili ai

meccanismi di gara dipendano, in realtà, dall’oggetto della transazione e dal contesto in

cui si collocano.

Si è poi analizzata la letteratura sul second sourcing. In realtà questo filone ha avuto

meno successo rispetto al primo: dopo una serie di lavori realizzati alla fine degli anni

ottanta, il problema della concorrenza ex post, è stato tralasciato dalla dottrina economica.

Occorre rilevare come alla diffusione di questi studi non abbiano giovato i risultati

contrastanti cui sono giunti i diversi autori: la presenza di un secondo potenziale fornitore

genera una serie di effetti che vanno in direzioni opposte, per cui la valutazione del ricorso

a tale pratica non è teoricamente scontata. La presenza di un second source che, in

genere, ha dei costi correlati con quelli del fornitore iniziale, consente all’operatore

pubblico di ampliare il suo patrimonio informativo, riducendo, così, il privilegio goduto dal

primo ed unico fornitore. In questo senso si è concordi nel ritenere che la presenza di un

secondo fornitore funge, quanto meno, da audit per il primo fornitore, limitandone la

possibilità di esagerazione dei costi produttivi (vedi Demski e al., 1987). Secondo alcuni

autori, Anton e Yao (1987), sarebbe addirittura benefica anche la presenza di un

potenziale secondo fornitore con costi di produzione maggiori di quello iniziale, in quanto

consentirebbe di rendere credibile la minaccia di interruzione del rapporto commerciale

con il fornitore iniziale, limitando così il suo potere di posizione.

Di contro, esistono una serie di problemi legati all’utilizzo di questa pratica. La

presenza di un potenziale concorrente, capace di sostituirsi al fornitore iniziale genera un

effetto negativo sull’attività di investimento del primo: quanto più probabile è la possibilità

di sostituzione, tanto più ridotto sarà l’incentivo dell’incumbent a realizzare un’attività

d’investimento. Occorre poi valutare tutti i problemi legati alle condizioni di parità in sede di

gara: in genere, il fornitore iniziale, in virtù della maggiore esperienza, gode di un

vantaggio informativo e di costo, che deve essere tenuto in debita considerazione nella

regola di scelta. Se, in più, egli gode anche del vantaggio derivante dall’aver sostenuto

degli investimenti specifici, che non sono trasferibili, sarà necessario prevedere, in sede di

riaggiudicazione, un vantaggio a favore del potenziale concorrente, se si vuole in qualche

modo riequilibrare la gara. Bisognerà, infine, valutare se i costi di trasferimento della

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tecnologia dal primo al secondo fornitore siano più che compensanti dal beneficio che si

ricava dal trasferire la produzione ad un soggetto più efficiente.

Infine, abbiamo dedicato un po’ di spazio al problema della qualità negli appalti

pubblici. Tale problema, che è ben noto agli operatori di settore, è stato trascurato dagli

economisti, in quanto nelle loro elaborazioni hanno implicitamente assunto che la

promessa contrattuale venisse sempre rispettata in sede di esecuzione da parte

dell’impresa vincitrice. La realtà, invece, ci mostra che alcune volte le imprese risultate

aggiudicatarie dell’appalto recuperano margini di profitto, fornendo livelli qualitativi inferiori

a quelli promessi, nella consapevolezza che la qualità risulta essere un aspetto di difficile

verificabilità. Di fronte a comportamenti opportunistici di questo genere spesso le penali

contrattuali e le sanzioni imposte anche da un tribunale non offrono in realtà una tutela

efficace per le pubbliche amministrazioni.

Alcuni studi mostrano come una soluzione a questo tipo di problemi può essere

l’introduzione di un meccanismo reputazionale anche nel settore degli appalti pubblici.

Introdurre un sistema di premio per la buona reputazione nel mercato degli contratti

pubblici non è comunque semplice: ci sono dei problemi legati all’individuazione di idonei

strumenti per osservare la qualità ed esistono alcune difficoltà nella realizzazione di un

sistema condiviso d’informazione sulle prestazioni rese in passato dalle imprese vincitrici

di contratti pubblici.

Semmai si riuscissero a superare queste difficoltà, si potrebbe pensare di introdurre

una regola di aggiudicazione che incrementi la probabilità di vincita per le imprese che in

passato hanno mantenuto un comportamento onesto, fornendo il livello di qualità prevista.

É possibile verificare che un meccanismo di questo genere spinge autonomamente le

imprese a rispettare la promessa contrattuale, mitigando un problema che appare essere il

vero problema degli appalti pubblici.

A questo punto siamo pronti per analizzare nello specifico le caratteristiche del

mercato dei prodotti della difesa e valutare quali siano le sue possibilità future di sviluppo.

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CAPITOLO 4 LE CARATTERISTICHE DEL MERCATO EUROPEO DEI PRODOTTI

DELLA DIFESA E I SUOI POSSIBILI SVILUPPI

Introduzione La nostra analisi volta ad individuare i possibili vantaggi derivanti dall’integrazione del

mercato europeo degli equipaggiamenti della difesa deve necessariamente proseguire con

l’illustrazione delle caratteristiche specifiche del mercato dei prodotti della difesa: esso

infatti presenta, rispetto ad un mercato ordinario di beni di consumo, degli aspetti specifici

che devono essere tenuti in considerazione nella valutazione del processo di evoluzione

del settore cui stiamo assistendo nell’ultimo decennio.

La caratteristica principale del mercato dei prodotti della difesa è la presenza di un

solo acquirente dal lato della domanda (monopsonio), che gode di un forte potere di

mercato e l’esistenza di un numero di produttori, dal lato dell’offerta, che varia, a seconda

delle caratteristiche del bene, da un unico produttore (monopolio) a un numero ristretto di

fornitori (oligopolio).

Il mercato dei prodotti della difesa si caratterizza poi per la presenza di una forte

componente tecnologica, ossia di ingenti investimenti in attività di ricerca e sviluppo

(perlomeno per i sistemi d’arma più complessi), e per una significativa rilevanza nel

processo produttivo delle economie di scala, di apprendimento e di specializzazione.

Un altro tratto distintivo è il ricorso a forme di cooperazione internazionale, pratica

cresciuta in maniera esponenziale negli ultimi anni, di fronte ai crescenti costi di

realizzazione di sistemi d’arma sempre più complessi e alle minori risorse destinate alla

funzione di difesa. Esempi tipici di cooperazione sono i programmi portati avanti

dall’Agenzia Europea della Difesa e dall’organizzazione dell’OCCAR, oltre che tutti i

consorzi nati per la realizzazione di sistemi d’arma come, ad esempio i velivoli militari

(Tornado e Eurofighter in primis). É evidente che il ricorso a questi programmi di

cooperazione internazionale permette di conseguire numerosi vantaggi nella produzione

dei moderni sistemi d’arma.

Nell’ambito del commercio internazionale degli equipaggiamenti militari merita, a

nostro avviso, un approfondimento la pratica degli offsets. Vedremo come la

ripartizione/distribuzione delle attività produttive e di ricerca e sviluppo nell’ambito del

commercio internazionale di prodotti militari, sia basata su logiche compensative

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assolutamente estranee a principi di efficienza ed economicità, e come ciò finisca per

produrre delle distorsioni economiche e degli inutili incrementi di costo.

Avendo chiare le specificità del mercato degli appalti nella difesa ed i vantaggi

conseguenti ad una maggiore concorrenza ed integrazione a livello europeo, dopo aver

illustrato brevemente come si presenta attualmente frammentato ed articolato il

procurement militare, esprimeremo delle considerazioni sulle possibili linee di sviluppo del

mercato, sottolineando come la strada intrapresa dal legislatore comunitario di integrare

concorrenza e cooperazione sia al momento l’unica perseguibile, in attesa che si possano

presentare le condizioni politiche per la creazione di forze armate europee

completamente integrate, i cui fabbisogni possano essere acquisiti da un’unica agenzia di

procurement centralizzata.

4.1 Le caratteristiche del mercato dei prodotti della difesa Le forze armate per poter operare e sopravvivere hanno bisogno di prodotti e servizi

di vario genere. La domanda militare, intendendo con essa le richieste provenienti dagli

organismi militari, si presenta in molteplici settori del mercato, ma ovviamente assume

caratteristiche diverse a seconda del bene o servizio cui è rivolta. Per i beni non

tipicamente militari, come ad esempio i viveri, vestiario, automezzi, carburanti, servizi di

pulizia e di catering ecc. ecc., il cui impiego è comune al settore civile, la domanda militare

si inserisce nel mercato già esistente, aggiungendosi a quella proveniente dai settori civili

e si pone in posizione competitiva o integrativa con questi settori. La forma di mercato in

cui si colloca la domanda proveniente dalla difesa dipenderà allora esclusivamente dalla

situazione competitiva vigente: per cui se il bene o il servizio, di cui necessita l’organismo

militare, è un bene standardizzato e di facile reperibilità sul mercato, il regime di mercato

sarà, naturalmente, di libera concorrenza, e le forze armate si collocheranno in una

posizione di competitività con gli altri operatori privati.

Viceversa, se nel mercato vigono condizioni di oligopolio (si pensi al mercato degli

automezzi o a quello dei carburanti), ossia se vi è la presenza di pochi fornitori/produttori

con elevato potere di mercato, che possono adottare, tra l’altro, pratiche collusive, anche

le Forze Armate saranno costrette a subire gli aspetti negativi derivanti da queste forme di

mercato, ossia prezzi più elevati e condizioni contrattuali più svantaggiose rispetto a quelle

generalmente presenti in un mercato concorrenziale.

Medesima sorte si verifica quando il mercato presenta delle condizioni di monopolio

naturale o legale, dovendo l’organismo militare subire il potere di mercato del monopolista

alla stessa stregua degli operatori privati.

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In realtà, il mercato a cui ci siamo implicitamente riferiti nell’analisi fin qui condotta, è

quello dei prodotti della difesa, intesi quali beni tipicamente militari, come potrebbe essere

il caso dei beni inseriti nella lista comune emanata dal Consiglio Europeo, indicante tutti i

materiali a cui può essere applicata la clausola di eccezione ex art. 296 del Trattato Ce.

Per questi prodotti, il cui uso è “specificatamente militare”, ossia non possono avere un

utile impiego nel settore civile, il mercato assume delle specifiche caratteristiche che

andremo di seguito a qualificare.

4.1.1 Le forme di mercato dei prodotti della difesa In qualsiasi trattazione del mercato dei beni della difesa, che abbia un minimo rigore

scientifico, la prima caratteristica che viene posta in evidenza è quella relativa alla

presenza di un solo acquirente dal lato della domanda, in genere il Governo nazionale. Un

mercato di questo tipo, dove vi è un monopolio della domanda, viene riconosciuto dalla

teoria economica con il nome di monopsonio85.

Per quanto riguarda il lato dell’offerta l’analisi risulta essere più complessa in quanto

possono verificarsi le seguenti diverse condizioni:

a) presenza di un unico offerente. Siamo in questo caso in una situazione di monopolio

bilaterale, in cui i due attori, uno dal lato della domanda e un altro in quello dell’offerta,

cercano di ricavare le condizioni a loro più favorevoli: il prezzo finale di mercato sarà

allora determinato, sulla base di circostanze di fatto e rapporti di forza, tra i due

estremi che garantiscono il massimo guadagno netto rispettivamente ai due operatori

presenti;

b) presenza di molti offerenti in concorrenza fra loro, che non sono in grado di influenzare

il prezzo di mercato, date le loro dimensioni ridotte rispetto all’entità del mercato.

Questo è il caso di monopsonio pieno, in cui vi è un unico buyer che è in grado di

assicurarsi la massima rendita netta, così come avviene per l’unico produttore nel caso

di monopolio puro dal lato dell’offerta;

85 Ovviamente la realtà si presenta più complessa rispetto a questa ipotesi. Infatti per poter

parlare di monopsonio è necessario ipotizzare che il mercato sia chiuso verso l’esterno, ossia non vi sia la possibilità di esportazioni o scambio con altri operatori al di fuori del mercato. Si potrebbe allora qualificare come monopsonio, ad esempio, un mercato nazionale, in cui sia proibito alle industrie nazionali di esportare i loro prodotti. Nella realtà, invece, anche mercati nazionali dove vengono usate pratiche protezionistiche per tutelare le proprie industrie nazionali, consentono l’esportazioni verso organismi militari di altri paesi, venendo così meno l’unicità dell’acquirente dal lato della domanda.

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c) presenza di pochi offerenti, con quote elevate di mercato, che quindi possono

influenzare il prezzo di mercato. Si ha dunque un oligopolio dal lato dell’offerta. Se gli

oligopolisti hanno le stesse dimensioni e forza economica ed il livello della domanda è

in grado di saturare tutta la loro offerta, allora i pochi produttori non si faranno

concorrenza e il prezzo di mercato si formerà entro i due estremi che esprimono i

massimi guadagni netti per l’organismo militare e per gli offerenti. Se invece l’offerta è

superiore alla domanda dell’organismo militare, gli oligopolisti entreranno in

concorrenza tra loro per escludersi dal mercato, ovviamente a tutto vantaggio

dell’unico operatore dal lato della domanda. Peraltro, se le dimensioni e la forza di

mercato degli oligopolisti è diversa, allora la competizione porterà a escludere dal

mercato i concorrenti più deboli. Si giungerà dunque ad una posizione di equilibrio

finale, in cui vi saranno pochi oligopolisti delle stesse dimensioni, una situazione

qualificabile quindi come la precedente, ma, in questo caso, il prezzo finale di

equilibrio, non sarà formato tra i due possibili estremi, ma sarà quello che assicura il

massimo guadagno netto all’organismo militare. Per cui la concorrenza che si è

sviluppata nel lato opposto del mercato è andata a tutto vantaggio dell’unico buyer,

permettendogli di raccogliere i frutti della sua posizione iniziale di privilegio. Un aspetto strettamente legato alla forma di mercato, che in questa sede è

opportuno sottolineare, è rappresentato dalle caratteristiche della domanda militare. In

genere, è opinione ricorrente che la domanda di beni militari sia scarsamente elastica,

ossia subisca delle variazioni ridotte rispetto alle variazioni, anche di una certa ampiezza,

subite dalle variabili che la determinano, quali il prezzo, il reddito disponibile, il prezzo dei

beni sostituti ecc. ecc.. Nella teoria economica si assume che l’elasticità della domanda

dipenda:

a. dall’intensità o urgenza del bisogno che la determina;

b. dall’incidenza della spesa per l’acquisto del bene rispetto al reddito disponibile;

c. dall’esistenza di un bene surrogato.

Sulla base di queste premesse, valutando le caratteristiche dei beni

“specificatamente” militari possiamo notare:

a. il “servizio difesa”, ancora per il momento, è un’esigenza vitale degli Stati, in quanto ne

qualifica la sovranità, per cui non risulta comprimibile oltre certi limiti. Ne consegue

che una significativa componente della domanda risulta essere non elastica;

b. i sistemi d’arma, come vedremo nel prossimo paragrafo, presentano un elevatissimo

costo di produzione, incidendo così in maniera significativa sul bilancio nazionale, per

cui gran parte della domanda, anche per questa ragione, risulta essere incomprimibile;

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101

c. entro certi limiti, un sistema d’arma non può essere surrogato con un altro sistema, per

cui non vi è la possibilità di una riduzione della sua domanda conseguente ad un

maggior consumo di un altro sistema.

Tutti questi elementi ci permettono di affermare che la domanda di prodotti della

difesa sia in genere meno elastica rispetto ad un bene comune.

4.1.2 La dimensione tecnologica della produzione L’industria della difesa è un settore knowledge-intensive, nel quale il valore della

conoscenza è estremamente importante per le imprese: i beni militari presentano, quasi

sempre, un elevato contenuto tecnologico. La ricerca di soluzioni tecnologicamente

avanzate deriva dalla necessità di consentire alle forze armate di disporre di sistemi e

apparecchiature sofisticati che, migliorando l’efficienza e l’efficacia delle operazioni,

permettono il conseguimento di un maggior vantaggio competitivo da parte delle forze

armate. Esistono delle evidenze empiriche che mostrano come ci sia una relazione diretta

tra spesa in ricerca e sviluppo e qualità degli equipaggiamenti militari, che, a sua volta, è

indicatore affidabile della efficacia operativa86.

Come noto la meccanizzazione e la tecnicizzazione delle Forze Armate ha preso il

via nella sua maniera più ampia durante la prima guerra mondiale, ed è andata

sviluppandosi parallelamente al progresso scientifico e tecnologico. I moderni prodotti

della difesa sono frutto di un lungo periodo di ricerca e sviluppo che coinvolge numerosi

attori e soprattutto cui vanno dedicati ingenti risorse finanziarie. In genere, accade che il

progresso tecnologico nel campo della difesa trovi spesso applicazione e larga diffusione

nel settore dei beni civili. In questo senso il settore della difesa viene visto da molti

economisti anche come un volano per il progresso economico e sociale della collettività.

Nella tabella successiva si può evidenziare come l’impegno finanziario legato alla

fase di ricerca e sviluppo degli USA sia pressoché raddoppiato negli ultimi tre decenni, a

testimonianza della grande importanza data a questo aspetto da parte dei governi

statunitensi. Viceversa, è possibile notare come il valore dell’impegno in ricerca e sviluppo

nell’area euro sia rimasto pressoché uguale nel corso dello stesso periodo: se si pensa

che, in virtù del sempre più elevato contenuto tecnologico dei beni della difesa, il costo in

termini reali della funzione di R&D è andato comunque aumentando, il dato ci fornisce

un’indicazione significativa della visione riduttiva che i paesi europei hanno, rispetto agli

USA, dell’industria della difesa come volano del progresso tecnologico ed economico.

86 Si veda Middleton, Bowns, Hartley e Reid, 2006.

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102

Tabella 2 – Spesa per ricerca e sviluppo

Fonte Hartley 2006; OECD 2005.

Dotarsi di nuovi sistemi d’arma richiede dunque un impegno finanziario legato alla

fase di ricerca e sviluppo tecnologico sempre più ingente che certamente mal si concilia

con i problemi di bilancio che tutti gli Stati occidentali stanno ormai incontrando da alcuni

anni. Di qui la necessità del ricorso sempre più accentuato a forme di cooperazione e

coproduzione internazionale con cui condividere e ripartire gli impegni finanziari richiesti

per lo sviluppo e la produzione di moderni sistema d’arma.

Prima di passare all’analisi della struttura produttiva del settore della difesa, è

opportuno rilevare come la presenza di un elevato contenuto tecnologico in questo settore

abbia delle conseguenze anche sulla forma di mercato: la necessità delle industrie della

difesa di disporre di un’elevata capacità tecnologica, ossia un’alta specializzazione del

capitale umano e materiale, rappresenta un’evidente barriera all’entrata nel mercato.

Essendo la libertà di ingresso e di uscita87 uno dei requisiti fondamentali per qualificare un

mercato come perfettamente concorrenziale, ne consegue che il mercato della difesa

difficilmente potrà qualificarsi come tale, ma assumerà più verosimilmente delle forme che

potranno andare dall’oligopolio alla concorrenza monopolistica88.

87 Per una illustrazione delle barriere all’uscita presenti nel mercato della difesa si veda Dune J.

in Sandler e Hartley, 2007, p.409. 88 Si ha concorrenza monopolistica quando pur essendoci numerosi produttori, ciascuno di loro

godrà di un elevato potere di mercato nel segmento in cui ha specializzato la propria produzione.

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103

4.1.3 Costi di produzione, economie di scala e vantaggi della specializzazione Anche per i beni della difesa valgono i concetti elaborati dalla teoria economica

relativamente ai costi di produzione. Innanzitutto, per costo totale di produzione

intendiamo la somma dei prezzi pagati dall’imprenditore per ottenere una data quantità di

prodotto. Esso è composto dai costi fissi, un ammontare che non varia con la quantità

prodotta, e dai costi variabili, che variano, invece, in funzione dell’output prodotto. Il costo

medio unitario, infine, non è altro che il rapporto tra il costo totale e la quantità prodotta.

Il meccanismo delle economie di scala si presenta nelle produzioni in cui sono

presenti significativi e rilevanti costi fissi di produzione, ossia dei costi che l’imprenditore

deve comunque sostenere, indipendentemente dalla quantità prodotta, e che sono

generalmente legati alle infrastrutture, ai macchinari di produzione, ai canoni di locazione

ecc. ecc..

Le industrie operanti nel campo dei prodotti della difesa sono caratterizzate da un

processo produttivo in cui sono presenti ingenti costi fissi legati, appunto alle spese

d’investimento in capitali fissi, materiali ed immateriali, e alle spese di ricerca e sviluppo.

In virtù della presenza dei costi fissi, accade che il costo medio unitario tenda a

decrescere all’aumentare delle unità prodotte, in quanto i costi fissi vengono ad essere

ripartiti su un numero maggiore di unità di output. Per questa ragione al crescere della

quantità prodotta e venduta, l’abbattimento dei costi medi unitari porta con sé un

incremento nel margine di profitto dell’impresa (economie di scala).

Si osservi la Figura 389, in cui è rappresentato l’andamento dei costi medi unitari di

un’impresa, indicati con la curva AC, che decrescono all’aumentare della quantità prodotta

di un bene della difesa, ad esempio un velivolo. Si può osservare facilmente che se il

prezzo di vendita è fissato al livello 1p , il passaggio della produzione da 1q a 2q porta con

sé un guadagno netto per l’impresa produttrice pari all’area BAC.

89 Rielaborazione di Anderton C.H. in Sandler e Hartley, 2007, Cap. 18, p. 539.

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104

Figura 3 – Economie di scala

In virtù di queste caratteristiche del processo produttivo delle industrie della difesa,

risulta non economico affidare la produzione di una data quantità di un sistema d’arma a

imprese distinte. Di contro significative riduzioni nel costo medio unitario di produzione

potrebbero essere conseguite affidando la fornitura ad unico produttore.

Lo stesso grafico può essere usato per dimostrare come l’esportazione di prodotti

della difesa, e dunque, la creazione di un mercato più ampio, a livello europeo, o ancor più

mondiale, sia un obiettivo economicamente desiderabile da perseguire da parte dei policy

makers.

Sia la curva D una curva di domanda nazionale, assolutamente inelastica, per le

motivazioni espresse in precedenza, di un aereo da combattimento. Sia 1p il prezzo

fissato dal governo nazionale per l’acquisto dell’aereo. É facile osservare che il produttore

ha, in questa situazione, un ricavo esattamente pari al costo di produzione.

Assumiamo adesso che esista un mercato europeo, in cui il produttore possa

operare, esportando e vendendo il sistema d’arma prodotto. In questa circostanza, se il

produttore potesse aumentare la sua scala di produzione arrivando a 2q , l’esportazione

della quantità addizionale, 2 1q q , gli consentirebbe di ottenere delle economie di scala,

in quanto il costo medio unitario sarebbe ridotto da 1AC a 2AC . Se, ad esempio, 2p , che

è inferiore a 1p , fosse il prezzo del velivolo sul mercato europeo, avremo una situazione di

maggiore desiderabilità economica e sociale in quanto:

C

A

E

p

velivoli

1 1p AC

1q

B

AC

2q

D

2p

2AC

F

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105

il governo nazionale pagherebbe un prezzo più basso per un bisogno comunque

nazionale, con un evidente guadagno netto;

l’impresa avrebbe conseguito delle economie di scala con un guadagno netto pari

all’area EFC;

la produzione complessiva del bene sarebbe aumentata dal livello 1q a 2q .

In questo modo è possibile ridurre il “defence burden”, ossia il peso della difesa

sopportato dalle nazioni, argomento che tanto interessa l’opinione pubblica. Alcune

evidenze empiriche hanno già mostrato come significativi guadagni in termini di risparmio

di spesa e di riduzione del peso della difesa sono stati conseguiti da Paesi come Gran

Bretagna, Francia e Germania grazie alle esportazioni90.

Se le economie di scala fossero pienamente operanti a livello di un’economia

globale, accadrebbe, secondo i principi della specializzazione internazionale del lavoro,

che ogni nazione si specializzerebbe nella produzione di un limitato numero di sistemi

d’arma ed in particolare, in quelli dove risulta essere più efficiente, con un conseguente

incremento in termini di output complessivo a livello mondiale e una riduzione dei costi

complessivi di produzione. Ulteriori risparmi sarebbero poi ottenuti attraverso

l’eliminazione della duplicazione della funzione di ricerca e sviluppo.

Nella realtà accade, al contrario, che la strategicità del settore spinge i governi

nazionali a mantenere una solida base industriale della difesa, anche a scapito di

duplicazioni e perdite di efficienza complessive. Le motivazioni sottostanti sono legate, in

primo luogo, al mantenimento da parte degli Stati sovrani delle prerogative e garanzie in

materia di sicurezza nazionale: si pensi, ad esempio, alle indicazioni provenienti dalla

teoria delle relazioni internazionali, per le quali i rapporti di potere e di forza tra gli Stati

nelle relazioni internazionali sono determinati, in prima battuta, proprio dalla forza

dell’apparato militare ed industriale del settore della difesa di ciascuna nazione.

Un altro elemento che incide nelle scelte dei governi nazionali è l’importanza rivestita

dalle industrie operanti nel settore quali elementi fortemente trainanti per le singole

economie nazionali, in termini di volume d’affari generato, di quote di PIL prodotte, e

soprattutto di occupazione creata. Per queste ragioni i governi nazionali sono spesso

portati ad erogare investimenti e sovvenzioni per difendere settori dell’industria nazionale

non giustificabili, in realtà, da un punto di vista esclusivamente economico.

90 Cfr. Snider, 1997.

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106

Per evidenziare le inefficienze economiche prodotte da tali scelte ci serviamo della

Figura 491. Apparirà presto evidente come la duplicazione della produzione di un

medesimo sistema d’arma su diverse nazioni, può portare la perdita dei guadagni derivanti

dalla specializzazione del lavoro e dalle economie di scala internazionali.

Figura 4 – Economie di specializzazione

Assumiamo che due Stati, ad esempio Italia e Francia, debbano decidere come

ripartire la produzione di due differenti sistemi d’arma, che hanno uno stesso costo medio

di produzione. Supponiamo, inizialmente, che l’Italia abbia un’industria specializzata nella

produzione di navi da guerra, e che produca una quantità pari a 1N , la cui metà sia

destinata all’esportazione in Francia, al prezzo di mercato 1

NP .

Viceversa, assumiamo che la Francia sia specializzata nella produzione di velivoli da

combattimento, che produca una quantità 1V , esportandone la metà in Italia, al prezzo 1

VP .

Il costo totale di produzione sarà, per l’Italia, 1 1

NP N , mentre per la Francia sarà pari a

1 1

VP V . Assumiamo adesso, invece, che l’Italia voglia, ad esempio, sussidiare il settore della

produzione di velivoli, per mantenere una solida base industriale anche in questo campo e

91 Rielaborazione di Anderton C.H. in Sandler e Hartley, 2007, Cap. 18, p. 544.

1N 2N

2

NP

quantità

prezzo NAVI

AC

1V 2V

1

VP

2

VP

quantità

prezzo VELIVOLI

AC

1

NP

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107

che la stessa volontà sia anche della Francia con riferimento al settore delle navi da

guerra. A questo punto lo scambio tra le due Nazioni verrà meno, non avendo più l’una la

necessità di acquisire dall’altra il sistema d’arma in cui non è specializzata.

Supponiamo allora che entrambe le nazioni producano la stessa quantità di navi,

2N , e di aerei, 2V . A questo punto la spesa complessiva per ciascuna nazione sarà:

2 2 2 2

N VP N P V , dove 2 2 1 1

N NP N P N e 2 2 1 1

V VP V P V ,

che è evidentemente il doppio di quella inizialmente sostenuta dalle stesse, ossia

rispettivamente 1 1

NP N e 1 1

VP V .

La volontà di produrre per mantenere elevate capacità industriali diversificate in

molteplici settori, rispetto ad una situazione in cui ciascuna nazione si specializza nella

produzione del sistema d’arma in cui risulta essere più efficiente e si approvvigiona nelle

altre produzioni attraverso il libero scambio, ha comportato un incremento della spesa per

entrambe le Nazioni ed anche una riduzione complessiva dell’output prodotto. Da un punto

di vista economico, la decisione di difendere un settore di produzione a livello nazionale,

non risulta, dunque, essere sempre economicamente vantaggiosa e dovrebbe perciò

essere pesata alla luce di queste considerazioni.

4.2 I vantaggi della cooperazione e coproduzione internazionale Il “servizio della difesa” viene definito nella teoria economica come un bene pubblico

puro, ossia un bene che non può essere offerto da operatori privati nelle quantità

socialmente desiderabili, e che quindi richiede l’intervento statuale. La difesa nazionale

rappresenta un bene i cui benefici non possono essere esclusi selettivamente a nessun

tipo di cittadino. Gli economisti classici per primi riconoscono nella difesa e nella sicurezza

nazionale un prerequisito fondamentale, che deve essere assicurato dallo Stato, per poter

permettere al meccanismo del libero mercato di funzionare e dispiegare i suoi benefici

effetti economici.

Non è sicuramente esercizio semplice quantificare l’ammontare del bene pubblico

“difesa” che è necessario alla collettività, o misurare il beneficio prodotto dal “servizio della

difesa”. Per queste ragioni ed in concomitanza con i problemi di scarsezza di risorse

pubbliche, che da alcuni anni investono i paesi dell’occidente, notevoli pressioni vengono

rivolte dalla pubblica opinione verso un utilizzo efficiente delle ridotte risorse destinate alla

difesa. In virtù della natura del bene della “difesa” e delle problematiche che investono i

bilanci statali, l’opinione pubblica preferisce impieghi di risorse direttamente connessi con

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108

il benessere civile e sociale (ospedali, scuole, strade, assistenza agli anziani, sostegno al

mondo del lavoro ecc. ecc.). Ovviamente le preferenze sociali sono mutevoli nel tempo, ed

il periodo di assenza di guerra, che ha fortunatamente interessato i paesi dell’occidente

dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, ha certamente contribuito a ridurre il

bisogno di difesa.

In questo contesto di rinnovata attenzione alla qualità della spesa per la difesa,

giocano un ruolo importante termini come standardizzazione, interoperabilità,

razionalizzazione, collaborazione e coproduzione internazionale. I moderni sistemi d’arma

vengono spesso prodotti e utilizzati nell’ambito di organismi o alleanze internazionali, in

considerazione dell’impossibilità da parte delle singole nazioni di poter procedere

autonomamente. Da un punto di vista economico la letteratura si è già espressa a favore

della standardizzazione, della cooperazione internazionale e del libero scambio, quali

elementi in grado di apportare nel mercato degli equipaggiamenti della difesa importanti

risparmi di spesa e vantaggi nella specializzazione produttiva92.

Al riguardo possiamo osservare con l’illustrazione della Figura 5 come la

standardizzazione dei materiali, nell’ambito della partecipazione ad alleanze

sovranazionali o a cooperazioni internazionali, possa offrire l’opportunità di conseguire

quei vantaggi derivanti dalla specializzazione nella produzione e dal libero scambio.

Supponiamo che due Stati, che precedentemente impiegavano due differenti sistemi

d’arma per un medesimo scopo, decidano di cooperare. Nell’ambito di questa alleanza

assumiamo che decidano di standardizzare l’uso dei materiali, per cui decidano di

utilizzare un unico sistema d’arma, che diviene così comune ad entrambi.

92 Si veda Sandler e Hartley 2007, Cap. 16.

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109

Figura 593 – Benefici della standardizzazione

Queste due nazioni, A e B, che hanno bisogno di acquisire un medesimo bene,

presentano un costo medio di produzione di lungo periodo che ha, in virtù del meccanismo

delle economie di scala, un andamento decrescente rispetto alla quantità prodotta: in

particolare, la nazione A ha un costo rappresentato dalla curva 1( )LAC A , mentre la

nazione B ha un costo identificato dalla curva 0( )LAC B , che per ciascun livello di

produzione risulta essere più basso rispetto a quello della nazione A. Detto in altri termini

la nazione B è in grado di produrre il bene in maniera più efficiente rispetto alla nazione A.

Supponiamo che inizialmente A produca la quantità 2q , al costo di 1C , mentre la

nazione B, produca la quantità 1q , al costo 2C . La produzione totale è pari a 3 1 2q q q .

Essendo però le due nazioni in un sistema cooperativo, ad esempio un’alleanza o un

mercato libero ed integrato, esse possano liberamente scambiare il bene. Decidono allora

di combinare le proprie esigenze e di unire perciò i loro ordini, ossia 3 1 2q q q , potendo

acquisire il prodotto dall’industria della nazione che ha il più basso costo di produzione,

ossia B. In questo caso allora l’output totale sarebbe acquisito al costo di 0 1 2C C C con

un evidente risparmio complessivo pari a: 1 0 2 2 0 1( ) ( )C C q C C q .

93 Rielaborazione di Hartley K. in Sandler e Hartley, 2007, Cap. 16, p. 465.

0( )LAC B

1( )LAC A

Costo medio

quantità

3q 2q 1q

2C

1C

0C

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110

D’altra parte risparmi altrettanto importanti possono essere conseguiti in quanto,

essendo il programma di ricerca e sviluppo unico, non ci sarebbe più la duplicazione di tali

costi.

Le collaborazioni internazionali hanno visto un’enorme espansione più, che per la

consapevolezza dei vantaggi economici che esse comportano, per le necessità di poter

disporre di nuovi e più costosi sistemi d’arma, i cui costi di sviluppo e produzione non

possono essere più sostenuti dalle singole nazioni: ne sono esempi tipici la collaborazione

tra Germania, Regno Unito ed Italia per la produzione del Tornado, o il consorzio Italia,

Francia, Germania e Spagna che ha portato alla realizzazione del velivolo multiruolo

Eurofighter 2000.

Come abbiamo evidenziato i membri di una collaborazione possono condividere i

costi ed i rischi dei costosissimi programmi di ricerca e sviluppo, oltre che, combinando i

loro ordini, ottenere economie di scala e di apprendimento derivanti da più elevati livelli di

produzione94.

In estrema sintesi la cooperazione internazionale permette di ottenere un prodotto ad

un più basso costo di produzione e soprattutto di conseguire risparmi di spesa derivanti

dalla non duplicazione dei programmi di R&S. La tabella seguente illustra proprio i risparmi

derivanti dalla cooperazione.

Tabella 3 - Risparmi di costo derivanti dalla collaborazione Costi R&S Ordini Costo

unitario Costo totale

Indipendenza

Nazione A 1000 200 20 5000

Nazione B 1000 200 20 5000

Collaborazione

Nazione A&B 1000 400 18 8200

Risparmi dalla

collaborazione

1000 ___ 2 1800

(18%) Fonte Hartley, 2008.

94 Le economie di apprendimento sono legate non alla quantità prodotta in un dato momento, ma

al livello cumulato della produzione nel corso di un ampio arco temporale. Esse derivano dall’apprendimento, in termini di miglioramenti produttivi, che consegue dall’esperienza nella produzione di un bene.

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D’altra parte però gli evidenziati vantaggi e risparmi di costo che si ottengono dalla

cooperazione possono esser solo teorici, in quanto la realtà può essere molto lontana dal

modello ideale: infatti le scelte che i governi prendono in termini di quale tipo di

equipaggiamento militare produrre, con quali nazioni partner avviare la collaborazione, a

quale industria affidare la produzione, o quale percentuale di condivisione dei costi

adottare, è influenzata spesso da fattori che non sono economici, ma che risultano essere,

per i governi nazionali, altrettanto importanti, quali l’influenza dei grandi gruppi industriali, il

ritorno elettorale, gli equilibri politici o l’influenza degli alti dirigenti dell’apparato

burocratico.

Per queste ragioni, all’interno delle collaborazioni internazionali, la distribuzione tra le

nazioni della produzione industriale viene spesso decisa sulla base di valutazioni di natura

politica, che sottendono principi di equità distributiva: si pensi, ad esempio, al principio del

juste retour, spesso utilizzato nelle cooperazioni internazionali, in base al quale la

produzione di un sistema d’arma comune va ripartita in proporzione alle risorse investite

dal paese nel programma. Questo metodo di ripartizione delle attività non prende,

evidentemente, in considerazione le specializzazioni e le nicchie d’eccellenza presenti

nelle diverse nazioni, che invece dovrebbero indirizzare le scelte in vista del

conseguimento, attraverso la specializzazione internazionale del lavoro, di più alti livelli di

produttività.

Un aspetto ben noto nel commercio internazionale degli equipaggiamenti della difesa

è la pratica degli offsets. Essi rappresentano degli elementi fortemente distorsivi dei

meccanismi di mercato, in quanto fondano lo scambio su valutazioni di tipo non

economico, che possono produrre notevoli inefficienze. Riteniamo necessario in questo

contesto approfondire l’analisi di questo aspetto.

4.3 Le conseguenze della pratica degli offsets

Le compensazioni industriali o partecipazioni industriali o, più comunemente gli

offsets, sono una realtà fortemente diffusa nel mercato internazionale dei prodotti della

difesa. Esse rientrano nella più ampia categoria denominata countertrade, ossia una

modalità di scambio commerciale tra paesi o soggetti privati a livello internazionale.

Numerose sono le tipologie di countertrade conosciute: baratto, compensazione in senso

stretto, contro-acquisto, buyback, compensazione triangolare, switch commerciale o

finanziario, debt-equity swap e offsets95. Questi ultimi non si configurano come uno

scambio merce contro merce, ma, piuttosto, introducono alcune prestazioni accessorie 95 Si veda Ungaro, 2012.

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112

che vengono richieste/imposte dal paese importatore a quello esportatore di un prodotto

ad alto contenuto tecnologico, che spesso appartiene al settore della difesa e

aerospaziale. Con l’introduzione di queste prestazioni accessorie il paese importatore

riesce a garantirsi l’accesso all’alta tecnologia contenuta nei prodotti, potendo così

sostenere la propria base industriale locale.

Un paese che ha bisogno di un nuovo sistema d’arma, laddove non è in grado di

produrlo, può acquisirlo da un fornitore estero. In questo caso si dice che la nazione

acquisisce equipaggiamenti per la difesa di tipo off-the-shelf, ossia acquisisce un prodotto

già in commercio. É evidente che il paese godrà di un risparmio in termini di costi di

ricerca e sviluppo non sopportati, ma non avrà il conseguente ritorno tecnologico e

industriale, oltre al fatto che la scarsa conoscenza del bene non gli permetterà di poterlo

integrare in maniera ottimale con gli altri sistemi in uso. Da qui l’esigenza di chiedere ai

fornitori esteri di avviare, come compensazione, delle attività economiche parallele, i

cosiddetti programmi di offsets. Per coloro che operano all’interno del mercato, ossia le

industrie della difesa, gli offsets possono semplicemente rientrare nelle normali transazioni

di mercato, come parte integrante del pacchetto di vendita oppure rappresentare una

soluzione per accedere al mercato.

La più comune distinzione nelle proposte di compensazione è tra offset diretto e

indiretto. L’offset diretto si configura come un accordo laterale direttamente collegato al

prodotto/servizio principale che viene esportato, ovvero l’equipaggiamento, sistema o

servizio militare. L’offset indiretto è, invece, un accordo laterale che non si pone come

direttamente collegato al prodotto/servizio venduto e pertanto viene talora chiamato civile.

L’offset diretto riguarda dunque beni e servizi da fornire nell’ambito dello stesso

programma di acquisizione originario (si parla infatti di trasferimento di tecnologia,

coproduzione o licenza di produzione) viceversa, quello indiretto riguarda beni e servizi

diversi dal programma di acquisizione come, per esempio, materiali e articoli non collegati

alla difesa.

Per comprendere le diverse tipologie degli offset ipotizziamo che l’Italia, paese

importatore, voglia acquisire dagli Stati Uniti (esportatore) dei carri armati. L’Italia chiede in

cambio allora una compensazione industriale che può essere anche superiore al valore

stesso della commessa, ossia, ad esempio, pari al 120% del valore del contratto,

imponendo all’esportatore una serie di obblighi commerciali. Viene allora redatto un

programma di offsets che può prevedere le seguenti tipologie:

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113

Coproduzione. Gli Stati Uniti scelgono una o più industrie italiane per produrre parti di

carro armato (offset diretto) 96.

Licenza di produzione. Il paese acquirente, in questo caso l’Italia, produce localmente

su licenza, e in genere limitatamente alla sua domanda interna, equipaggiamenti e

articoli progettati da industrie statunitensi. Se il bene prodotto su licenza è quello

oggetto del contratto, o una sua parte, si ha un offset di tipo diretto.

Investimenti diretti stranieri. L’azienda statunitense che produce il bene esportato deve

fare investimenti in alcune aziende italiane (di qualsiasi settore).

Trasferimenti di tecnologia. L’industria statunitense esportatrice deve trasferire ad una

qualche impresa italiana la tecnologia produttiva di un qualsiasi settore produttivo, ad

esempio, la tecnologia per produrre pannelli solari (offset indiretto). Se la tecnologia è

invece afferente al prodotto della difesa oggetto del contratto principale si ha un offset

diretto.

Assistenza all’export o al credito. L’esportatore statunitense deve fornire assistenza

commerciale all’esportazione di prodotti o di servizi di un’industria italiana o deve

erogare prestiti diretti o tramite soggetti intermediari ad un’azienda italiana.

Spesso accade che la scelta del fornitore estero avvenga sulla base di valutazioni

politico-istituzionali o di strategia industriale nazionale che vengono condotte

esclusivamente in relazione agli aspetti previsti dal contratto di offset, piuttosto che

fondate sulla qualità, prezzo e funzionalità del prodotto stesso. Da ciò ne consegue che le

industrie della difesa sono state, nel corso degli anni, sempre più motivate a includere nel

pacchetto di vendita compensazioni industriali particolarmente allettanti dal punto di vista

politico industriale.

Secondo una fetta importante di economisti, ed in particolare di quelli che

sostengono le virtù benefiche del libero mercato, le compensazioni industriali non

dovrebbero influenzare le scelte di procurement di un paese, dovendo queste ultime

essere legate esclusivamente a dinamiche di tipo economico (legge della domanda e

dell’offerta). Le compensazioni industriali sarebbero la causa o una delle cause

dell’imperfezione o del fallimento che contraddistingue la struttura del mercato della difesa,

96 In realtà ogni obbligazione offset ha un valore così detto “a credito”, che è dato dal prodotto

del valore effettivo dell’obbligazione per un moltiplicatore, che rappresenta l’importanza attribuita dalla nazione importatrice alla prestazione accessoria. La prassi dei moltiplicatori viene adottata dai governi nazionali per motivi politici atti a dimostrare, per esempio, quanto gli investimenti destinati al procurement della difesa siano in grado di generare un ritorno economico e industriale al paese, sotto altre forme.

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e le sue modalità di allocazione delle risorse risulterebbero inefficienti. Esse dunque non

sarebbero desiderabili da un punto di vista di benessere sociale97.

Secondo altri, invece, la strategicità del settore della difesa e le caratteristiche del

mercato, che come abbiamo visto risulta essere di monopsonio, consentono l’utilizzo di

politiche industriali e commerciali volte a mitigare i fallimenti o le imperfezioni del mercato

stesso. Ad esempio, dovendo affrontare una situazione di bassi livelli occupazionali,

l’intervento statuale volto a favorire, attraverso le pratiche di compensazione industriale,

più elevati livelli di impiego potrebbe considerarsi fondamentale. Proprio con tali

compensazioni un governo avrebbe l’opportunità di stimolare l’economia, attraverso

l’incremento delle esportazioni (il soggetto esportatore può essere infatti tenuto ad

acquistare beni prodotti dal paese acquirente), oppure concordare delle forme di

coproduzione e subappalto per arginare la diminuzione dei posti di lavoro, stimolando le

assunzioni in settori altamente specializzati. Per questo i sostenitori dell’intervento statuale

nell’economia, vedono nei pacchetti di offset uno dei metodi per far fronte alle criticità

occupazionali.

Da sottolineare in questa sede è anche l’aspetto puramente politico del sistema delle

compensazioni: nella maggior parte dei casi, l’acquisto di sistemi d’arma è accompagnato,

come abbiamo evidenziato, da forti perplessità se non veri e propri pregiudizi da parte

dell’opinione pubblica, basti pensare al recente caso del velivolo da combattimento Joint

Strike Fighter. Di conseguenza, introdurre clausole di offset contenenti benefici economici

in termini di posti di lavoro, sostegno alla base industriale e trasferimento di tecnologia può

rivelarsi uno strumento importante per ottenere il consenso necessario a giustificare

l’ingente spesa pubblica, in quanto in grado di esaltare il valore sociale dell’acquisto

piuttosto che il valore economico della commessa. Peraltro, l’uso politico delle

compensazioni industriali può risultare un valido strumento anche per instaurare e

consolidare le relazioni tra Stati a livello internazionale.

In sintesi, l’introduzione di compensazioni industriali può comportare per il paese

acquirente degli effetti positivi in quanto:

consente l’approvvigionamento di materiali d’armamento con contenuti di alta

tecnologia a costi competitivi;

potrebbe permettere di mantenere e/o aumentare il livello occupazionale;

agevola l’accesso alle tecnologie più moderne;

ha effetti positivi sulla bilancia dei pagamenti.

97 Si veda Ungaro, 2012.

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115

Per il soggetto esportatore invece i benefici economici derivanti dall’esportazione del

prodotto potrebbero essere ridotti a causa di:

un aumento del costo del materiale esportato che causa una diminuzione del margine

di profitto;

lo spostamento delle attività produttive nel paese acquirente;

rischi in termini di perdita di competitività relativi alla cessione di know-how a soggetti

potenzialmente rivali.

Sebbene la pratica degli offsets sia molto vecchia, in quanto introdotta alla fine del

secondo dopoguerra, e fortemente diffusa, il nuovo quadro normativo sta delineando un

differente approccio al loro utilizzo. Le compensazioni industriali erano state già

individuate nell’ambito dell’Accordo Generale sui dazi e il commercio (GATT) del 1947,

volto a liberalizzare il commercio internazionale, quali elementi ritenuti distorsivi del

meccanismo del libero scambio, a cui però i paesi potevano far ricorso per salvaguardare i

propri interessi di difesa e di sicurezza come la salvaguardia del comparto industriale e

tecnologico nonché delle attività strategiche.

Nella recente Direttiva 2009/81/CE sugli appalti della difesa, che sappiamo essere

stata introdotta dalla Commissione Europea per facilitare lo sviluppo di un mercato

europeo integrato degli equipaggiamenti della difesa, non si fa menzione dei termini

compensazioni industriali o offsets. Le linee guida relative all’applicazione di questa

Direttiva, pubblicate l’anno successivo, dichiarano che gli offsets “sono misure restrittive

che violano i principi fondamentali del Trattato perché discriminano gli operatori economici,

i beni e i servizi di altri Stati membri e ostacolano la loro libera circolazione”.

D’altra parte la comunicazione emanata dalla Commissione Europea nel 2007 dal

titolo “A strategy for a stronger and more competitive European Defence Industry”, già

affermava che: “dal punto di vista economico, tutti gli offsets possono distorcere e

ostacolare il funzionamento e l’integrazione dei mercati europei della difesa. Pertanto,

l’obiettivo ultimo è quello di creare determinate condizioni di mercato e un’adeguata

struttura della base industriale e tecnologica europea della Difesa (EDTIB), in cui tale

pratica non sarà più necessaria”.

É evidente perciò che nell’ottica del legislatore comunitario le compensazioni

industriali possono alterare e falsare il processo di aggiudicazione delle gare d’appalto, dal

momento che il paese importatore tenderà a costruire la propria valutazione facendo

riferimento anche al pacchetto di offsets invece di considerare esclusivamente il prezzo e

le caratteristiche tecnico-qualitative del prodotto, quali unici elementi di scelta. E’ dunque

evidente che la Direttiva sugli appalti della difesa non li prevede né tanto meno li

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116

regolamenta, in quanto solo attraverso la loro eliminazione si potrà arrivare ad un mercato

degli appalti della difesa più efficiente, fondato su procedure di procurement con maggior

trasparenza e senza elementi distorsivi.

É altresì chiaro che la realizzazione di un disegno così ambizioso, che porti

all’eliminazione completa della pratica degli offsets dal commercio degli equipaggiamenti

della difesa, richieda un congruo periodo di tempo, in quanto ancora oggi le

compensazioni industriali, per le ragioni che abbiamo illustrato, sono uno strumento

fondamentale di politica industriale per i governi nazionali, che sembrano molto lontani dal

voler rinunciare ad una possibilità di intervento così importante nel settore.

4.4 Le differenti tipologie di defence procurement Per poter comprendere quale potrà essere la configurazione futura del mercato dei

prodotti della difesa, è opportuno avere un’idea di come esso si presenti articolato oggi:

solo avendo chiara l’attuale configurazione del settore, si può infatti pensare di ipotizzare o

delineare delle possibili linee di sviluppo.

Come abbiamo visto, numerose sono le tipologie di appalti riferibili alle acquisizioni

nel settore della difesa: si va dagli approvvigionamenti che derivano da accordi

internazionali, alle acquisizioni in cui gli Stati ricorrono alla clausola ex art. 296 del Trattato

CE, ai contratti stipulati nell’ambito della Direttiva 2009/81/CE. Di seguito andremo ad

illustrare la natura e l’ampiezza di queste differenti tipologie in modo da poter esprimere

delle valutazioni sul reale contributo che l’ultimo intervento legislativo, può portare al

processo d’integrazione nel settore degli equipaggiamenti della difesa.

1. Appalti stipulati nell’ambito di attività svolte nel quadro di accordi di cooperazione

internazionale (Memorandum of Understanding/ technical agreements). I così detti

appalti esclusi98.

In genere queste attività si qualificano come programmi pluriennali di

ammodernamento e rinnovamento dei sistemi d’arma in dotazione alle Forze Armate e

possono essere ricondotti alle seguenti fondamentali tipologie negoziali:

Foreign Military Sales;

Acquisizioni tramite organizzazioni/agenzie internazionali;

Acquisizioni tramite l’European Defence Agency.

Questi programmi derivano da un accordo di cooperazione che ha una copertura di

tipo intergovernativo bilaterale o multilaterale (ad es. appartenenza all’Alleanza

98 Li abbiamo definiti appalti esclusi in quanto espressamente esclusi dal campo di applicazione

della Direttiva 2009/81/CE.

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117

Atlantica o all’Unione Europea), da cui discendono poi delle condizioni contrattuali

stipulate in esecuzione degli accordi tra la stazione appaltante che agisce in

rappresentanza di tutti i Paesi partecipanti e la compagine industriale responsabile

della realizzazione del programma. Normalmente in questi programmi di cooperazione

è prevista la disciplina non soltanto relativa alla suddivisione dei costi di realizzazione

del programma tra i Paesi partecipanti (cost share), ma anche del conseguente

coinvolgimento dei rispettivi comparti industriali nazionali (work share). Questi appalti

sono espressamente esclusi dal campo di applicazione della Direttiva 2009/81/CE, per

cui i governi nazionali sono liberi di regolamentare tali forniture sulla base di scelte

politiche. Dati i forti investimenti sostenuti dai Paesi partecipanti a tali programmi, è il

principio del juste retorur (giusto ritorno industriale) a condizionare l’aggiudicazione

dell’appalto. Peraltro, le acquisizioni di attrezzature di armamento off the shelf, ossia

materiale finito già sviluppato e disponibile alla vendita, sono spesso oggetto della

pratica degli offsets che, come abbiamo visto nulla ha a che fare con

un’aggiudicazione fondata su criteri di efficienza economica. Nell’ambito di questa

categoria distinguiamo:

Foreign Military Sales

Gli acquisti tramite programma Foreign Military Sales sono formalizzati attraverso

accordi di natura contrattuale del tipo Gov to Gov denominati Letter of Offer and

Acceptance (LOA), in cui una delle controparti è sempre rappresentata dal

governo degli Stati Uniti d’America. La copertura intergovernativa di riferimento

deriva dall’adesione reciproca al Trattato NATO. La disciplina specifica di tali

accordi è dettata dalle leggi USA ed è rappresentata dal Foreign Assistance Act

(FAA) e, più in dettaglio, dall’Arms Export Control Act (AECA), cioè la normativa

USA che disciplina la vendita all’estero di materiali di armamento e di servizi e

addestramento militari. In attuazione di tali accordi, e nelle ipotesi in cui l’oggetto

della LOA deve essere acquisito sul mercato statunitense, il governo USA stipula

contratti con le industrie fornitrici del bene o del servizio. Ovviamente nessun tipo

di vincolo può derivare per il Governo USA dall’applicazione della

regolamentazione prevista dalla Direttiva europea sugli appalti della Difesa.

Acquisizioni tramite Organizzazioni/Agenzie Internazionali

Anche in queste ipotesi l’attività di acquisizione è svolta nell’alveo di accordi

internazionali di tipo intergovernativo. Nel caso delle Agenzie istituite in ambito

NATO il riferimento è offerto dall’omonimo Trattato e dalle discendenti Charter

istitutive della singola Agenzia.

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118

Nel caso di altre organizzazioni internazionali (ad es. l’Organizzazione Congiunta

per la Cooperazione nel settore degli Armamenti - OCCAR) la copertura è data

dalla ratifica nazionale dell’Atto Costitutivo della singola Agenzia. L’attività svolta

dall’organizzazione delegata (es. OCCAR, Agenzia NATO) può essere ricondotta

sia al soddisfacimento di un’esigenza solo nazionale sia al soddisfacimento di

un’esigenza comune a più Paesi. Anche per questa tipologia di appalti non si

applicano le regole concorrenziali imposte dalla Direttiva 2009/81/CE, essendo

queste attività espressamente escluse dal campo di applicazione della stessa99.

- Acquisizione tramite European Defence Agency

In realtà questa sottocategoria può essere fatta rientrare nella precedente: infatti, i

programmi portati avanti dall’EDA sono riconducibili ad un accordo internazionale,

in quanto espressamente previsti nell’ambito dell’Unione Europea. Anche queste

attività risultano escluse dal campo di applicazione della Direttiva sugli appalti della

Difesa. Come abbiamo evidenziato100, però, pur non essendo obbligata ad aderire

alla regolamentazione sugli appalti della difesa, e ancor prima dell’emanazione

della recente regolamentazione, l’EDA ha elaborato una serie di codici di condotta

con l’intenzione di creare le basi per una maggiore concorrenza e trasparenza in

questo settore. Si pensi, ad esempio, all’adozione del Codice di condotta sugli

acquisti di equipaggiamenti militari, volto ad introdurre maggiore trasparenza e

concorrenza negli appalti pubblici della difesa, o all’introduzione del bollettino

elettronico dei contratti, con cui i fornitori possono conoscere le diverse opportunità

e candidarsi alle gare pubbliche di altri paesi europei, piuttosto che il codice sulle

migliori pratiche per i fornitori, relativo alla regolamentazione dei subappalti. Con ciò

vogliamo sottolineare che gli appalti stipulati nell’ambito delle attività portate avanti

dall’EDA, pur non rientrando nel campo di applicazione della Direttiva “Difesa”,

sono comunque soggetti ad un regime di concorrenzialità e trasparenza molto

simile a quello previsto dalla normativa comunitaria.

La tabella successiva ci fornisce un’indicazione di quanta parte dei programmi di

ammodernamento dei sistemi d’arma rientri in questa prima categoria, e sia dunque

esclusa dal campo di applicazione delle regole comunitarie sul procurement.

99 Si veda al riguardo il Cap. 2 par. 2.3.1 in cui si illustrano le perplessità che emersero in sede

di redazione della Direttiva circa l’esclusione dal campo di applicazione della stessa degli appalti di questa tipologia.

100 Si veda al riguardo il Capitolo 1, paragrafo 1.2.3.

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119

Tabella 4 - Programmi di ammodernamento del Ministero della Difesa

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120

Fonte: Documento programmatico pluriennale per la difesa per il triennio 2013-2015.

2. Appalti nel campo di applicazione del Codice degli appalti. Il così detto procurement

ordinario.

Le norme che disciplinano la materia contrattuale pubblica nel nostro ordinamento

sono di derivazione comunitaria101 e sono rappresentate dal Codice dei Contratti, D.

Lgs. n. 163 del 2006 e dai relativi regolamenti di attuazione generale, D.P.R. n. 207

del 2010 e speciale per il settore della Difesa, D.P.R. n. 236 del 2012. Il quadro di

riferimento è completato dalle disposizioni dettate dalla Legge di contabilità generale

dello Stato (R.D. n. 2440 del 1923) e dal relativo regolamento di attuazione (R.D. n.

101 Direttiva 2004/17/CE e 2004/18/CE.

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827 del 1924), nonché, per i contenuti più specificatamente contrattuali, dalle

previsioni del Libro IV del Codice Civile.

Rientrano in questo campo di applicazione gli appalti per l’acquisizione, fornitura di

beni e servizi ordinari, ossia non “specificatamente militari”. É evidente che questi

appalti rappresentano una fetta importante del procurement della difesa, avendo

bisogno le organizzazioni militari per poter operare di una molteplicità di beni e servizi

che non si qualificano come sistemi d’arma. Sono esempi di questa tipologia di appalti

le spese di pulizia, di vestiario e casermaggio, dei viveri o servizi di ristorazione o

catering, la manutenzione degli apparati e dei manufatti o l’acquisizione di carburanti e

lubrificanti ecc. ecc.. Il regime applicabile per questa tipologia di appalti prevede il

rispetto delle regole di trasparenza, pubblicità, non discriminazione e parità di

trattamento tipiche della normativa comunitaria. Per cui in questo caso le

amministrazioni aggiudicatrici sono tenute all’assoluto rispetto di queste regole

stringenti.

3. Appalti nel campo di applicazione della Direttiva 2009/81/CE. Il così detto procurement

militare.

Agli appalti per l’acquisizione e fornitura di beni e servizi ordinari si affianco quelli

relativi all’approvvigionamento di beni “specificatamente militari”, ossia di quei beni

che sono progettati e prodotti per fini esclusivamente militari, rientranti perciò nella

lista comune emanata dalla Commissione102, per i quali il governo italiano non invoca

l’applicazione della clausola d’esenzione ex art. 296 del Trattato CE. A questa

tipologia di appalti, riguardanti in estrema sintesi la produzione e commercializzazione

di armi, si applica la disciplina degli appalti nel settore della difesa e sicurezza, ossia il

D. Lgs. n. 208 del 2011, provvedimento di recepimento della Direttiva comunitaria

2009/81/CE, e il relativo Regolamento di attuazione n. 49 del 13.03.2013. Per questa

tipologia di attività, non potendosi applicare la disciplina derogatoria dell’art. 296 del

Trattato CE, in quanto non può essere dimostrato dal Governo nazionale che un

interesse essenziale di sicurezza è minacciato, si applicano le regole di trasparenza e

concorrenza previste dalla Direttiva 2009/81/CE, che replicano con qualche

adattamento le norme di non discriminazione e parità di trattamento previste dalla

disciplina ordinaria sugli appalti.

102 Si veda al riguardo il Capitolo 2, paragrafo 2.1.

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Occorre sottolineare che nell’elencazione delle tipologie di procurement abbiamo

trascurato gli appalti che sono esclusi dal campo di applicazione della nuova Direttiva per

volontà dei governi nazionali che invocano la clausola d’eccezione ex art. 296 del Trattato

CE. La Comunicazione interpretativa della Commissione del 2006, che abbiamo visto

restringe il campo di applicazione di questa clausola ed impone agli Stati membri l’onere

della prova dell’interesse essenziale alla sicurezza nazionale minacciato, ha di fatto ridotto

il ricorso a tale deroga, limitandone così la rilevanza rispetto al passato.

É evidente comunque che l’elevato valore economico dei numerosi programmi di

ammodernamento e rinnovamento dei sistemi d’arma, realizzati nell’ambito di accordi di

cooperazione internazionale, esclusi dall’applicazione della Direttiva 2009/81/CE, sia da

tenere in considerazione nella valutazione del processo di creazione di un mercato

europeo integrato: fintanto che una fetta rilevante del procurement della difesa risulta non

essere assoggettata alla normativa europea in materia di appalti, i risultati che saranno

ottenuti dalla stessa potrebbero non essere non completamente soddisfacenti.

Tabella 5 - Tipologie di procurement

TIPOLOGIA PROCUREMENT NORMATIVA APPLICABILE Appalti esclusi (cooperazioni

internazionali)

Memorandum of Understanding/

Technical agreements

Programmi EDA Codici di condotta

Procurement militare Direttiva 2009/81/CE, D. Lgs. n.

208/2011 e D.P.R. n. 49/2013

Procurement ordinario Direttiva 2004/17/CE, D.Lgs.

n.163/2006; D.P.R. n.207/2010 e D.P.R.

n.236/2012.

4.5 I possibili scenari del mercato europeo della difesa Alcuni studi hanno evidenziato come dalla creazione di un mercato europeo dei

prodotti della difesa integrato possano derivare dei notevoli vantaggi in termini di efficienza

produttiva e di riduzione dei costi: i risparmi di spesa si attesterebbero tra il 10% ed il 20%,

rispetto ai costi attualmente sostenuti in un mercato ancora troppo frammentato103.

In realtà le possibili configurazioni cui potrebbe convergere il mercato europeo dei prodotti

militari sono tre.

103 Si veda Hartley e Cox, 1992.

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1. Mercato integrato. Si ha in questo caso un’area di libera concorrenza dove i mercati

nazionali sono aperti alla concorrenza anche delle industrie degli altri Stati membri: le

imprese europee sono dunque libere di presentare le loro offerte nelle gare che i

governi nazionali pongono in essere per l’aggiudicazione dei contratti pubblici. Vi

potrebbe essere, peraltro, anche la possibilità di estendere la partecipazione alle gare

anche alle industrie provenienti dal resto del mondo. Al riguardo possiamo immaginare

che ognuno degli scenari che stiamo illustrando può assumere due configurazioni: una

in cui la partecipazione alle gare è ristretta alle sole industrie europee ed un’altra in cui

invece la concorrenza può essere estesa anche alle industrie provenienti dal resto del

mondo. É opportuno notare che le misure contenute nel Defence package sembrano

voler creare proprio un mercato libero e concorrenziale completamente integrato a

livello europeo, in cui le imprese operanti in uno Stato membro possono concorrere

senza discriminazione per l’aggiudicazione di appalti anche in altri Stati.

2. Agenzia centralizzata di procurement. É possibile che il livello di sintonia ed

omologazione delle politiche di difesa degli Stati membri sia così elevato da poter

costituire un’agenzia centralizzata con il compito di acquisire, al posto dei ministeri

della difesa nazionali, gli equipaggiamenti e le attrezzature standardizzate. In questo

scenario è però necessario ipotizzare delle forze armate se non proprio comuni,

quanto meno fortemente integrate.

3. Twin track. In questo scenario si ipotizza un mix tra competizione e cooperazione. Ci

sono degli equipaggiamenti, in genere di piccola e media taglia (munizioni, armi

piccole, missili di piccola e media taglia ecc. ecc.), per i quali gli approvvigionamenti

vengono effettuati dai ministeri della difesa nazionali in un mercato perfettamente

concorrenziale. Mentre per i progetti di più grandi dimensioni gli Stati membri

procedono assieme, attraverso programmi di cooperazione e collaborazione. In questi

progetti la distribuzione delle attività avviene sulla base del principio del juste retour, o

sulla base del vantaggio competitivo goduto dalle industrie di ciascuna nazione104.

104 Come abbiamo già evidenziato questa seconda opzione sarebbe maggiormente auspicabile

in quanto risponde a criteri di efficienza economica.

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Tabella 6 – Risparmi di costo dei possibili scenari del mercato europeo della difesa

Fonte Hartley K. e Cox A., 1992

É possibile notare come lo scenario di un’agenzia centralizzata di procurement sia il

più attrattivo dal punto di vista economico, in virtù del notevole risparmio di costo che ne

deriverebbe per le Nazioni aderenti. Si assisterebbe in questo caso alla creazione di un

unico organismo che, unendo gli ordini dei diversi governi, potrebbe utilizzare il suo potere

d’acquisto per spuntare prezzi più bassi e sfruttare le economie di scala nella produzione.

D’altra parte però, questa ipotesi appare, almeno per il momento, ben lungi dal

potersi realizzare, in quanto politicamente ancora non perseguibile. Nell’ultimo Consiglio

Europeo di dicembre, in cui all’ordine del giorno vi era, per la prima volta dopo la ratifica

del Trattato di Lisbona, la discussione sulla Politica di Sicurezza e Difesa Comune, ci si

attendevano dei passi in avanti verso la creazione di un “esercito europeo”. Ma è stato il

Primo Ministro Britannico, ancora prima dell’inizio del vertice, a ribadire la contrarietà

britannica a qualunque idea di “esercito europeo”, ossia di qualsiasi capacità militare

intimamente europea, continuando ad affermare invece il favore verso la cooperazione tra

i governi nazionali.

In effetti la creazione di un'unica forza armata europea, laddove mai fosse superata

la pregiudiziale della perdita di sovranità nazionale in un settore così importante, darebbe

luogo comunque a dispute accese sul burden sharing, ossia sulla ripartizione del peso

finanziario della costituzione di una politica europea di difesa comune. In un contesto di

questo genere in cui la Difesa assurge a “bene pubblico europeo”, sorgerebbero infatti

incentivi per comportamenti di free riding da parte degli Stati membri: ciascuno

cercherebbe di limitare al massimo il proprio apporto finanziario, in quanto saprebbe che il

bene “difesa” verrebbe comunque ad essere assicurato dagli altri Stati membri, in

particolare da quelli più grandi e ricchi (Francia, Germania, Regno Unito, Italia).

D’altra parte però occorre sottolineare che chi frena il processo d’integrazione della

Politica di Sicurezza e Difesa Comune europea, si accolla su di sé la responsabilità della

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duplicazione dei costi di ricerca e sviluppo, della non completa interoperabilità delle forze

armate, oltre che della perdita di efficienza ed efficacia della base industriale del settore

della difesa. Inoltre, il rallentamento del processo d’integrazione della politica di difesa

europea porta con sé la rinuncia ad evidenti risparmi di spesa, che potrebbero liberare

risorse significative per altre politiche di sostegno al social welfare.

Avendo coscienza dei risparmi di costo ottenibili in funzione delle differenti

configurazioni del mercato dei prodotti della difesa, possiamo pensare che la scelta del

legislatore comunitario sia stata quella di indirizzare il settore verso una soluzione in cui

coesistono competizione e cooperazione: da una parte, infatti, con la disciplina dettata dal

Defence package (Direttiva 2009/81/CE e Direttiva 2009/43/CE) si cerca di creare le basi

per un mercato europeo concorrenziale maggiormente integrato, dall’altra, con

l’esclusione dal campo di applicazione delle norme comunitarie dei maggiori programmi di

ammodernamento e rinnovamento dei sistemi d’arma, portati avanti nell’ambito di accordi

internazionali, si incentivano forme di cooperazione tra gli Stati membri per progetti di

maggiore rilevanza economica e finanziaria. Al riguardo ci sembra evidente come la scelta

effettuata dal legislatore europeo, ossia quella di operare un giusto compromesso tra

concorrenza e cooperazione, sia stata, oltre che di buon senso, assolutamente

pragmatica, non essendoci ancora, come abbiamo visto, le condizioni politiche per la

creazione di un'unica Agenzia europea centralizzata di procurement militare.

Per i programmi di cooperazione europea è comunque necessario, a nostro avviso,

che la ripartizione delle attività non avvenga più sulla base di considerazioni politiche

legate ad interessi di tutela delle industrie nazionali di settore, ma che consegua a

valutazioni esclusivamente competitive ed economiche, legate cioè alle specializzazioni

produttive ed alle eccellenze in possesso delle imprese nazionali: solo così si potranno

conseguire reali incrementi di efficienza produttiva.

Ovviamente la possibilità di realizzare un mercato europeo perfettamente

concorrenziale, almeno per i prodotti di piccola e media taglia, è legata all’effettiva

attuazione dei provvedimenti comunitari. Da questo punto di vista la riuscita non è

assolutamente scontata: i guadagni di efficienza produttiva e finanziaria, che conseguono

dalla realizzazione di un regime concorrenziale, portano con sé anche delle resistenze,

soprattutto da parte di coloro che verosimilmente in questo processo andranno a perdere

quote e potere di mercato. In quest’ottica bene ha fatto la Commissione a creare un

meccanismo di verifica sullo stato d’avanzamento dell’attuazione dei provvedimenti

legislativi nel settore della difesa, attraverso cui monitorare l’effettiva realizzazione del

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processo di integrazione. Occorre superare le ovvie resistenze di alcuni attori, in quanto i

miglioramenti di efficienza produrranno dei vantaggi non solo per le forze armate, che

potranno godere di prodotti più efficaci e a minor costo, e per i contribuenti, che vedranno

impiegate meglio le proprie tasse, ma anche per le stesse industrie della Difesa, che

avranno modo di specializzarsi, riorganizzarsi e creare quella massa critica, in termini di

volumi commerciali, che potrebbe permettere loro di competere anche a livello globale con

i colossi nord americani.

Se poi si pensa, come mostrano gli studi, che i benefici maggiori, in termini di

risparmio di costi, possono essere ottenuti aprendo la competizione del mercato dei

prodotti della difesa anche alle imprese provenienti dal resto del mondo, e se si pensa alla

forte presenza della NATO in Europa e al valore che questa Alleanza conserva ancora

oggi, si potrebbe anche ipotizzare nel più lungo periodo, la creazione di un mercato dei

prodotti della difesa a livello Transatlantico, ossia Europa/Nord-America.

La scelta di creare le basi per un mercato della difesa maggiormente integrato a

livello europeo non deve però far dimenticare i vantaggi che si otterrebbero dal

conseguimento di una configurazione ancora più ambiziosa come quella di un'unica

agenzia centralizzata di procurement che acquisisce i prodotti standardizzati per un unico

“esercito europeo”: oltre ai vantaggi in termini di risparmio di risorse e di riduzione dei

costi, derivanti dal contenimento dei costi di ricerca e sviluppo (non più duplicazioni) e di

quelli di produzione, vi sarebbe la possibilità per le forze armate di operare finalmente con

materiali standardizzati e perfettamente interoperabili, a tutto vantaggio dell’efficacia

dell’attività operativa.

Inoltre, anche le scelte dei mezzi e sistemi d’arma da impiegare sarebbero

maggiormente condivise, per cui vi sarebbe un implicito controllo reciproco tra gli Stati

membri sulle lobby portatrici d’interessi. Le industrie nazionali, potendo contare su di un

volume commerciale molto più elevato, potrebbero specializzarsi nei settori in cui godono

di un vantaggio competitivo e conseguire così maggiori economie di scala, di

specializzazione e di apprendimento, con la conseguente possibilità di esportare le

eccellenze costruite all’interno del mercato europeo, anche in un contesto mondiale.

Per poter fare dei passi in avanti in questa direzione occorre però costruire una

politica di difesa che sia realmente europea. Come abbiamo visto la politica ancora oggi

non è pronta per due ordini di motivi. In primo luogo c’è una ragione strettamente legata al

concetto di sovranità che, a nostro avviso, appare abbastanza pretestuosa. Infatti dopo

aver ceduto la sovranità monetaria e aver, praticamente perso quella di bilancio, gli Stati

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membri dell’Unione sono ancora restii a fare concessioni in quelli che da sempre sono

stati considerati i pilastri della statualità, ossia la politica estera e quella della difesa.

Concretamente però anche tali pilastri sono diventati dei contenitori vuoti, se per sovranità

intendiamo la capacità di prendere decisioni e di concretizzarle autonomamente. Ad oggi

ciò non è pienamente possibile nel campo della difesa neanche per quei paesi che, come

la Francia o la Gran Bretagna, hanno da sempre considerato il proprio strumento militare

come una leva fondamentale nel campo delle relazioni esterne. Le decisioni di intervento

vengono prese nell’ambito di consessi più ampi: è assolutamente rara l’ipotesi di un

impegno militare nazionale che non avvenga sotto l’egida delle Nazioni Unite o

dell’Alleanza Atlantica.

D’altra parte l’integrazione degli apparati militari appare una realtà non più ineludibile.

La perdurante crisi finanziaria che ha comportato l’avversione dell’opinione pubblica verso

missioni militari assai costose, la constatazione che ormai non esiste una minaccia

europea da contrastare con forze armate convenzionali, come è avvenuto fino alla

seconda guerra mondiale, sono fattori che stanno spingendo quasi tutti i paesi europei a

significativi tagli nelle risorse dedicate alla difesa, tagli che costringono, di conseguenza, i

governi a ridimensionare lo strumento militare. La legge sulla revisione dello strumento

militare, voluta dall’Ammiraglio Di Paola e i discendenti decreti d’attuazione di recente

emanazione, testimoniano come in Italia sia già in atto un processo di questo genere.

Di fronte al ridimensionamento generalizzato degli apparati militari l’unica via per

conservare uno spettro di capacità operative adeguato a livello europeo è quella

dell’integrazione: ciascuna nazione mette a disposizione delle altre le capacità che ha

maggiormente sviluppato, potendo contare sull’apporto degli altri Stati membri in quelle

che ha ritenuto non strategiche.

Il secondo problema da superare è relativo alle resistenze che vengono alla

creazione di una base industriale nel settore della difesa che sia realmente europea. In

genere, i governi nazionali sono spinti a difendere, sia per motivi di consenso politico, sia,

più semplicemente, per il mantenimento di posti di lavoro altamente qualificati, alcune

produzioni industriali nazionali. Da qui la nascita di programmi autarchici che comportano

una proliferazione di sistemi ed equipaggiamenti che non trova una giustificazione

economica ed operativa.

Quando la portata economica di un programma d’acquisizione di un nuovo sistema

d’arma è tale da non potere essere affrontata singolarmente, si giunge, per necessità, alla

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decisione di una collaborazione (si pensi agli esempi in campo aeronautico del Tornado o

dell’Eurofighter). Spesso accade anche che per tutelare le industrie nazionali coloro che si

occupano di redigere il requisito operativo nazionale introducano delle specificità che,

casualmente, possono essere soddisfatte solo attraverso fornitori nazionali. Peraltro, le

decisioni di ripartizione delle attività nell’ambito di questi progetti vengono prese solo sulla

base di valutazioni di opportunità politica legate alla tutela di interessi industriali nazionali.

Evidentemente tutto ciò ha una ripercussione in termini di efficienza e incremento dei

costi.

La soluzione a queste problematiche dovrebbe essere cercata nella riscoperta delle

specializzazioni e nella salvaguardia delle rispettive nicchie di eccellenza, come avviene

da sempre negli Stati Uniti. Si pensi ad esempio che il progetto di produzione del Joint

Strike Fighter è stato sostenuto da 92 senatori su 100, nonostante essi siano molto

sensibili agli interessi delle industrie locali. Ciò è potuto avvenire perché la produzione è

stata localizzata in ben 46 Stati diversi, sulla base delle rispettive nicchie d’eccellenza. Gli

Stati membri dell’Unione dovrebbero applicare una strategia industriale altrettanto

intelligente valorizzando le diverse capacità presenti nei vari paesi, evitando ridondanze e

sovrapposizioni. Ovviamente tutto ciò richiede un accordo a livello politico per una politica

di difesa europea realmente comune.

A nostro avviso il processo evolutivo in atto sta seguendo una traiettoria opposta

rispetto a quella tradizionalmente seguita nell’ambito dell’UE: non vi è stata infatti una

decisione politica dall’alto che ha spinto verso l’integrazione, come è avvenuto per il

mercato unico delle merci, ma bensì vi sono delle esigenze di risposta a problemi reali,

come la diminuzione dei fondi, la richiesta di una maggiore interoperabilità delle Forze

Armate, una più accesa concorrenza a livello globale, che spingono verso una decisione

politica unificante che porterà presto o tardi all’armonizzazione delle politiche di difesa

nazionali e ad una maggiore integrazione degli apparati industriali e militari.

Conclusioni In questo capitolo abbiamo illustrato un po’ più specificatamente le caratteristiche del

mercato dei prodotti della difesa. Esso presenta degli aspetti che non permettono

l’automatica applicazione dei principi che sono validi in un ordinario mercato di beni di

largo consumo.

Trascurando, almeno inizialmente, gli aspetti legati alla sovranità nazionale che è

strettamente connessa alla “funzione difesa”, abbiamo evidenziato che il mercato dei beni

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“specificatamente militari” si qualifica come un monopsonio, ossia per la presenza di un

solo operatore dal lato della domanda. In linea del tutto teorica il potere di mercato in

mano all’unico buyer potrebbe essere sfruttato per spuntare migliori condizioni contrattuali

e prezzi più bassi. Ciò in realtà si scontra con un forte potere di mercato goduto anche dai

produttori del lato dell’offerta, in quanto in genere solo poche industrie, se non a volte una

sola, sono in grado di fornire beni altamente complessi da un punto di vista tecnologico.

É proprio la presenza di una componente tecnologica fortemente avanzata che

produce alcune caratteristiche specifiche del processo produttivo in questo settore: gli

ingenti costi di ricerca e sviluppo, l’esistenza di elevati costi fissi d’investimento incentiva le

industrie della difesa a conseguire maggiori economie di scala, oltre che di apprendimento

e di specializzazione.

Abbiamo poi evidenziato come un tratto fondamentale in questo settore sia

rappresentato dalle cooperazioni internazionali: esse consentono infatti la realizzazione di

progetti che al momento non potrebbero essere più realizzati singolarmente, neanche

dalle Nazioni europee che investono di più nella funzione difesa. E’ evidente che la

condivisione permette di ripartire costi di ricerca e sviluppo e di produzione che sono

sempre maggiori rispetto al passato. D’altra parte una ripartizione delle attività contenute

nei programmi internazionali basata solo su motivazioni economiche permetterebbe di

sfruttare meglio le specializzazioni e le nicchie di eccellenza presenti nei vari paesi, a tutto

vantaggio di un processo di riorganizzazione produttiva a livello europeo in grado di

recuperare efficienza e produttività.

Sempre nell’ambito dei programmi di cooperazione internazionale abbiamo voluto

dedicare un po’ di spazio alla pratica degli offsets. Le compensazioni industriali sono uno

strumento ampiamente utilizzato nel commercio internazionale dei beni della difesa. Esse

sottendono valutazioni che non rispondono a ragioni di efficienza economica, ma a logiche

di politica industriale. Di conseguenza gli offsets generano delle distorsioni nel mercato dei

prodotti militari, che provocano rigidità, perdite di efficienza e crescita dei costi.

Abbiamo poi voluto illustrare come si presenta frammentato il mercato dei prodotti

della difesa, evidenziando le varie tipologie di appalti che possono presentarsi in questo

settore. Si è visto al riguardo che l’esclusione dal campo di applicazione della Direttiva

2009/81/CE di un elevato numero di attività, che rappresentano una fetta rilevante in

valore economico, potrebbe limitare il conseguimento dei risultati, in termini di maggiore

integrazione, che ci si auspica possano essere realizzati con l’applicazione della nuova

normativa.

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Infine, abbiamo provato ad ipotizzare dei possibili sviluppi futuri. Al riguardo si è visto

come rispetto all’attuale configurazione del mercato, ancora diviso in ben 27 mercati

nazionali, vi possono essere diverse configurazioni in grado di far conseguire dei notevoli

risparmi di costo, oscillanti dal 10% al 20% rispetto a quelli odierni. Abbiamo rimarcato

come da un punto di vista squisitamente economico la soluzione più efficiente ed efficace

sia quella di far operare gli acquisti ad un’unica agenzia centralizzata di procurement.

Questa soluzione presuppone però delle forze armate europee fortemente integrate che

operano con equipaggiamenti comuni e standardizzati. Ciò è ben lungi dal poter essere

ancora realizzato in mancanza di una situazione matura da un punto di vista politico che

spinga verso una politica di difesa europea realmente comune, come è apparso peraltro

evidente anche nell’ultimo Consiglio europeo tenutosi lo scorso mese di dicembre.

Riteniamo perciò che la strada intrapresa, di far coesistere una situazione in cui alla

concorrenza si alterni la cooperazione sia l’unica pragmaticamente percorribile allo stato

attuale. Se accanto all’impulso verso i programmi di collaborazione europea, come quelli

promossi dall’EDA o dall’OCCAR, per i progetti di maggiori dimensioni economiche, si

riuscisse a creare un mercato della difesa europeo realmente concorrenziale per tutti gli

altri prodotti militari, dai risparmi di spesa conseguibili potrebbero essere liberate risorse

utilizzabili anche in altri settori. Ciò non toglie però che una volta raggiunto questo

obiettivo, si possa proseguire verso un più ambizioso passaggio, che è quello della

creazione, nell’ambito di una politica di difesa europea comune, di un “esercito europeo”, il

cui approvvigionamento potrebbe essere realizzato da un’unica agenzia di procurement:

essa sarebbe, peraltro, in grado di far sentire il suo significativo potere d’acquisto anche in

un mercato dei prodotti della difesa transatlantico.

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CONCLUSIONI

L’attività di procurement nel settore degli equipaggiamenti militari rappresenta una

fetta importante del PIL dei paesi più industrializzati, per cui è sempre stata al centro

dell’attenzione di economisti e policy makers. La carenza delle risorse pubbliche a

disposizione, le politiche di rigore intraprese nella maggior parte degli Stati occidentali ed il

conseguente processo di ridimensionamento della “funzione difesa” hanno spinto ad una

riflessione più accurata sulla riorganizzazione complessiva del mercato dei prodotti della

difesa.

Occorre da subito rilevare che questo mercato presenta delle caratteristiche

specifiche. In primo luogo la difesa nazionale costituisce l’essenza stessa del concetto di

sovranità nazionale, per cui i governi nazionali prestano particolare attenzione alla

produzione e commercializzazione degli equipaggiamenti militari. Le industrie operanti in

questo settore costituiscono poi una fetta importante del prodotto nazionale, fungendo da

traino non solo per lo sviluppo tecnologico, ma anche da sostegno al settore industriale ed

ai conseguenti livelli occupazionali, rappresentando pertanto una forte lobby di pressione

verso le istituzioni. I prodotti “specificatamente” militari, sono dei beni particolari, ossia

altamente complessi, ad elevato contenuto tecnologico, spesso anche di notevole valore

economico, che qualificano l’industria della difesa come un settore produttivo

caratterizzato da ingenti investimenti specifici in attività di ricerca e sviluppo, da elevati

costi fissi e capitale umano altamente specializzato.

Per queste ragioni i governi nazionali sono stati da sempre restii ad aprire il mercato

nazionale alla concorrenza estera, né tanto meno hanno voluto sviluppare all’interno del

proprio mercato nazionale un regime perfettamente concorrenziale. Attraverso il ricorso

alla clausola d’eccezione ex art. 296 la produzione e commercializzazione degli

equipaggiamenti militari è stata sistematicamente sottratta alle regole della concorrenza,

che invece si sono affermate con successo nel mercato unico all’interno dell’Unione

Europea. La proliferazione di pratiche protezionistiche, di affidamenti diretti alle industrie

nazionali e l’ampio margine discrezionale in mano ai governi nazionali nell’aggiudicazione

delle commesse hanno condotto, a livello europeo, alla creazione sostanzialmente di 27

mercati nazionali, ognuno con una propria regolamentazione.

Questa situazione è divenuta però non più sostenibile verso la fine degli anni ’90.

Occorre rilevare come i moderni sistemi d’arma siano sempre più complessi e

tecnologicamente avanzati e richiedono per lo sviluppo, produzione e manutenzione

risorse finanziarie sempre maggiori. D’altra parte la crisi economica e finanziaria, che sta

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interessando ormai da alcuni anni i paesi europei, ha comportato la riduzione dei fondi

pubblici a disposizione anche per la difesa. Di conseguenza i moderni programmi di

ammodernamento e rinnovamento dei sistemi d’arma non possono più essere portati

avanti singolarmente dalle nazioni, ma richiedono gioco forza delle forme di cooperazione

o collaborazione industriale.

Gli economisti tra l’altro sottolineano da anni i vantaggi che possono derivare non

solo agli operatori pubblici, ma anche alla collettività, da una maggiore integrazione e

concorrenza nel mercato della difesa a livello europeo. In primo luogo, la cooperazione

permette, in un contesto di sempre minori risorse pubbliche, di abbattere i costi

d’acquisizione di sistemi d’arma: si evitano le duplicazioni dei costi di ricerca e sviluppo

derivanti dalla realizzazione di più programmi concomitanti per una medesima esigenza.

Una maggiore concorrenza per l’aggiudicazione degli appalti della difesa stimola poi la

riduzione dei costi di fornitura: per cui l’apertura delle frontiere nazionali alle industrie del

vecchio continente permette di far acquisire alle forze armate, prodotti a più basso costo.

La competizione è anche una componente importante nel processo di riorganizzazione

produttiva e di specializzazione: la concorrenza su di un mercato più ampio spinge le

industrie a specializzarsi laddove sono maggiormente produttive, abbassando

ulteriormente i costi grazie alle economie di specializzazione e di apprendimento che

conseguono. La crescita del volume d’affari, derivante dall’ampliamento del mercato,

potrebbe anche permettere alle industrie di conseguire quei volumi produttivi necessari per

l’ottenimento delle economie di scala. Non è da trascurare l’importanza che questo

processo riveste in un’ottica di competitività delle industrie europee nel mercato mondiale:

le industrie, consolidando la loro produzione in alcuni specifici settori, potrebbero costruirsi

delle nicchie d’eccellenza dove potersi confrontare a livello internazionale con i colossi

nordamericani.

Per queste ragioni il processo di integrazione del mercato della difesa deve essere

apparso ai decision makers un percorso quasi obbligato, tanto da spingere, come abbiamo

visto, il legislatore europeo ad adottare nell’ultimo decennio una serie di iniziative

legislative che hanno dato un forte impulso alla creazione di un mercato europeo dei

prodotti della difesa.

La Commissione ha compiuto il primo passo in tal senso con la Comunicazione

interpretativa del 2006: con tale intervento la Commissione ha inteso porre un freno alla

pratica del ricorso automatico al regime derogatorio della concorrenza previsto dall’art.

296 del Trattato CE, restringendo il campo di applicabilità di questa norma e imponendo,

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in capo allo Stato invocante, l’obbligo di dimostrare che l’applicazione dell’ordinario regime

concorrenziale minaccia l’interesse essenziale alla sicurezza nazionale.

Il processo d’integrazione ha poi subito una forte accelerazione con l’emanazione

della Direttiva 2009/81/CE relativa agli appalti pubblici nel settore della difesa e sicurezza

e la Direttiva 2009/43/CE relativa ai trasferimenti intracomunitari dei prodotti della difesa.

Queste norme permettono di estendere in un settore fino ad allora rimasto escluso le

norme della concorrenza e della libera circolazione del mercato unico. Ovviamente il

legislatore, in virtù della specificità dei prodotti della difesa, ha adottato alcuni correttivi,

come in materia di sicurezza delle informazioni o di sicurezza degli approvvigionamenti,

che hanno permesso di contemperare l’esigenza di creare un mercato realmente

concorrenziale con la necessità di tutelare un interesse come quello della sicurezza

nazionale che è fortemente legato alla sovranità nazionale. L’impianto del nuovo

strumento legislativo appare rispondere adeguatamente all’esigenza di creare una

maggiore concorrenza nel mercato europeo della difesa, in accordo con i dettami

provenienti dalla teoria economica, in quanto ha trasposto con intelligenza le regole

concernenti la trasparenza, la pubblicità e la non discriminazione, già previste nella

Direttiva ordinaria sugli appalti.

Accanto a questa evoluzione normativa si inseriscono anche una serie di iniziative,

susseguitesi a partire dagli anni ’90, seppur in ordine sparso e senza una visione

complessiva d’insieme, tra cui l’istituzione dell’OCCAR e dell’Agenzia Europea di Difesa,

che hanno contribuito al processo di integrazione del mercato europeo della difesa.

La necessità di dotare la politica estera e di difesa europea di mezzi credibili, l’assoluta

esigenza di rendere le strutture e i mezzi interoperabili, la sempre più limitata consistenza

dei bilanci nazionali per la difesa, sono tutte ragioni che hanno spinto ad una ricerca di

azioni e attività integrate con l’obiettivo di gestire in maniera più efficace ed efficiente i

programmi europei di cooperazione nel campo degli armamenti, abbassando così i costi di

procurement, ormai divenuti troppo esorbitanti per una singola nazione, e soprattutto di

consentire alle industrie di settore, attraverso la creazione di una massa critica, di

competere ad armi pari con le industrie statunitensi.

Riteniamo che la scelta operata dai policy makers europei di indirizzare il settore

verso una maggiore integrazione del mercato della difesa attraverso il ricorso a procedure

concorrenziali di assegnazione delle commesse pubbliche e a forme di cooperazione tra

gli Stati membri per progetti di maggiore rilevanza economica e finanziaria, sia in grado di

far conseguire, già nel medio periodo, dei benefici in termini di risparmio dei costi di

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fornitura e di razionalizzazione dei processi produttivi, oltre che di una maggiore

interoperabilità tra le forze armate europee.

Se poi si pensa, come mostrano gli economisti, che i benefici in termini di risparmio

di costi possono essere incrementati ancor più aprendo la competizione del mercato dei

prodotti della difesa anche alle imprese provenienti dal resto del mondo, potremmo

immaginare, nel più lungo periodo, la creazione di un mercato dei prodotti della difesa a

livello Transatlantico, ossia Europa/Nord-America.

Occorre sottolineare che ulteriori vantaggi potrebbero essere conseguiti con

l’istituzione di un'unica agenzia centralizzata di procurement che acquisisca dei prodotti

standardizzati per un unico “esercito europeo”: oltre agli ulteriori risparmi di risorse e

riduzione dei costi, derivanti dal contenimento dei costi di ricerca e sviluppo (non più

duplicazioni) e dal maggior potere di mercato di cui godrebbe tale agenzia (unico buyer

europeo), vi sarebbe la possibilità per le forze armate di operare finalmente con materiali

standardizzati e perfettamente interoperabili, a tutto vantaggio dell’efficacia dell’attività

operativa. Inoltre, anche le scelte dei mezzi e sistemi d’arma da impiegare sarebbero

maggiormente condivise, potendosi così realizzare un controllo reciproco da parte degli

Stati membri.

Purtroppo questa soluzione non appare essere ancora politicamente perseguibile:

nonostante i continui proclami d’intenti e la volontà in tale direzione di alcuni Stati che

sono notoriamente più europeisti di altri (Italia in primis), la politica non è ancora pronta.

Alcuni governi sono restii a cedere ulteriori quote della propria sovranità nazionale, dopo

aver ceduto la sovranità monetaria e aver perso praticamente anche quella di bilancio.

D’altra parte forti resistenze alla creazione di una base industriale nel settore della difesa

realmente europea vengono anche da alcuni Stati che sono spinti a difendere, sia per

motivi di consenso politico, sia, più semplicemente, per il mantenimento di posti di lavoro

altamente qualificati, alcune produzioni industriali nazionali.

Nonostante queste resistenze, l’integrazione del mercato e della base industriale

della difesa appare una realtà non più eludibile, in quanto diretta conseguenza della

perdurante crisi finanziaria che sta spingendo i paesi europei a significativi tagli nelle

risorse dedicate alla difesa, tagli che costringono i governi a ridimensionare anche lo

strumento militare. Di fronte al ridimensionamento generalizzato degli apparati militari

l’unica via per conservare uno spettro di capacità operative adeguato a livello europeo è

quella dell’integrazione: ciascuna nazione mette a disposizione delle altre le capacità che

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ha maggiormente sviluppato, potendo contare sull’apporto degli altri Stati membri in quelle

che ha ritenuto non strategiche.

Le resistenze a questo processo potranno essere superate soltanto quando si avrà

chiaro che l’integrazione rappresenta non tanto una necessità, ma bensì un’opportunità.

Con essa si potranno riscoprire le specializzazioni e valorizzare le rispettive nicchie

d’eccellenza e le diverse capacità presenti nei vari paesi, evitando ridondanze e

sovrapposizioni. Le industrie nazionali, potendo contare su di un volume commerciale

molto più elevato, potrebbero specializzarsi nei settori in cui godono di un vantaggio

competitivo e conseguire così maggiori economie di scala, di specializzazione e di

apprendimento, con la conseguente possibilità di esportare le eccellenze costruite

all’interno del mercato europeo, anche in un contesto mondiale. Le forze armate, d’altro

canto, potranno usufruire di equipaggiamenti tecnologicamente avanzati al minor prezzo

possibile e concentrarsi sullo sviluppo delle capacità considerate strategiche da un punto

di vista operativo, avendo riguardo anche alle eccellenze industriali e produttive presenti a

livello nazionale.

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