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LE LETTERE / FIRENZE LUGLIO-DICEMBRE 2015 LA RASSEGNA DELLA LETTERATURA ITALIANA ANNO 119° SERIE IX N. 2

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LE LETTERE / FIRENZE LUGLIO-DICEMBRE 2015

LA RASSEGNADELLALETTERATURA ITALIANA

ANNO 119° SERIE IX N. 2

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DIREZIONE E REDAZIONE:Enrico Ghidetti, Via Scipione Ammirato, 50 - 50136 Firenze; e-mail: [email protected]

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Iscritto al Tribunale di Firenze n. 1254 - 25/7/1958

Stampato nel mese di dicembre 2015 dalla Tipografia ABC - Sesto Fiorentino (FI)

Periodico semestrale

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SOMMARIO

SaggiALBERTO BENISCELLI, Sul «nuovo stile», tra poesia e musica: Metastasio, Jommelli,

Mattei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 311

JOËL F. VAUCHER-DE-LA-CROIX, L’Istituto di Studi superiori di Firenze e il dantismo “fin de siècle” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 324

NoteCARLO ANNONI, Come un astro senza atmosfera. Il «Dante» di Mario Apollonio . . . . . . . . 342

DJAOUIDA ABBAS, L’immagine del fanciullo nel romanzo di guerra: Italo Calvino e Mohammed Dib . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 354

RAOUL BRUNI, Gnosticismo e nichilismo nella poesia di Landolfi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 361

ANNAMARIA DE PALMA, Una rivisitazione novecentesca: Tobino, l’Innominato e le «lacune» di Manzoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 369

Rassegna bibliograficaOrigini e Duecento, a c. di M. Berisso, pag. 377 - Dante, a c. di G. C. Garfagnini, pag. 392- Trecento, a c. di E. Bufacchi, pag. 405 - Quattrocento, a c. di F. Furlan, pag. 431 - Cinquecento,a c. di F. Calitti e M. C. Figorilli, pag. 456 - Seicento, a c. di Q. Marini, pag. 486 - Settecento, a c.di R. Turchi, pag. 512 - Primo Ottocento, a c. di V. Camarotto e M. Dondero, pag. 529 - SecondoOttocento, a c. di A. Carrannante, pag. 543 - Primo Novecento a c. di L. Melosi, pag. 560 - DalSecondo Novecento ai giorni nostri, a c. di R. Bruni e A. Camiciottoli, pag. 569 - Varia, pag. 595

Sommari-Abstracts . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 611

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PRIMO NOVECENTOA CURA DI LAURA MELOSI

PHILIPPE AUDEGEAN et VALERIA GIAN-NETTI-KARSENTI (éds), Scénographies de lapunition dans la culture italienne moder-ne et contemporaine, Paris, Presses Sor-bonne Nouvelle, 2014, pp. 250.

Il volume raccoglie in dodici saggi in lin-gua francese gli atti di un convegno tenutosi aLa Sorbonne Nouvelle nell’ottobre 2012, de-dicato al tema della punizione e alla sua rap-presentazione artistico-letteraria come idea ecome azione esercitata in ambito sociale e pri-vato. Secondo quanto mettono in evidenza idue curatori nella Présentation, le scene chepresentano castighi e supplizi, gesti punitivi edilemmi di chi assume il ruolo di giudice, so-no caratterizzate da contesti scenografici cu-pi, lugubri e inquietanti (all’opposto di quel-le decisamente più luminose in scene di cle-menza, concordia e pace), riflettendo in talmodo il contrasto morale e psicologico, indi-viduale e collettivo tra pena e umanità. Lagiustizia della pena (derivante dall’applicazio-ne della legge e dei codici etici di comporta-mento, dal rapporto tra legalità e illegalità,nonché dall’eventuale ingiustizia della “giusti-zia”) viene comunicata dagli autori della lette-ratura non con spirito di certezza e convinzio-ne, ma sotto il segno del dubbio, dell’inquie-tudine, della contraddizione e di interrogati-vi tormentati per i quali non ci sono risposte:esiste una pena che, in qualità di atto di vio-lenza, possa dirsi giusta e non frutto della ven-detta e dell’odio? La punizione, per quantocerchi di infliggere un meritato male a frontedi un male ingiustamente subito, non rispar-mia l’uomo dall’esperienza con il male in sé: lacolpa è stata commessa, il danno è stato com-piuto e la punizione, compensativa o preven-tiva, è sempre un atto tardivo che non può ri-portare l’uomo indietro nel tempo per evita-re che il male si manifesti. Ogni teoria giuridi-ca della punizione non può non tener contodelle modalità di rappresentazione e di esecu-zione della punizione stessa, come nella realtà

così nella letteratura e nella cinematografia.Gli exempla letterari presi in esame dimo-

strano che la punizione non è da intendersiunicamente come determinazione di una vo-lontà, ma anche come una conseguenza nongovernabile razionalmente dall’individuo eposta al di fuori di lui, derivante da una com-binazione di circostanze fortuite, o dallaProvvidenza, o da un’elaborazione della pro-pria coscienza interiore, o da un errore invo-lontario, o dal male insito nella natura o nel-l’uomo. Muovendo, quindi, su più piani (teo-logico, morale, esistenziale, politico), i saggirivelano quanto il concetto di punizione si re-lazioni nella poetica degli autori ai legami rea-li o immaginari, legittimi o illegittimi, preve-dibili o inspiegabili tra i soggetti che punisco-no e coloro che sono puniti, tra colpevoli e in-nocenti, tra carnefici e vittime. Delle quattrosezioni nelle quali gli studi sono distribuiti (1.Punitions exemplaires et punitions imparfai-tes; 2. La punition inexpiable; 3. Bourreaux etvictimes en miroir; 4. L’innocence coupable:Pasolini) focalizzando l’attenzione su casi let-terari italiani appartenenti a differenti epo-che, dalla prima modernità alla contempora-neità (Ariosto, la tragedia della seconda metàdel Cinquecento, Alfieri, Leopardi, il roman-zo poliziesco a partire dal secondo dopo-guerra, esempi dell’attualità narrativa e cine-matografica tra la fine del Novecento e gli an-ni Duemila, Pasolini), la seconda e la terzasono quelle che contengono analisi relative alprimo Novecento.Delle opere narrative e teatrali di Pirandel-

lo GÉRARD VITTORI tratta i concetti di punizio-ne e di pena secondo le tre direttrici dell’im-possibile, dell’infondato e dell’ingiusto e, in-fine, dell’inespiabile e del riscatto. La valenzametafisica della punizione è strettamente con-nessa alle questioni dell’identità dell’uomo e,quindi, del rapporto tra l’essere e il non esse-re, l’essere e l’uno, l’essere e l’apparire, tra in-finito e forma finita dell’esistere. La vita stes-sa è una pena, intesa sia come punizione checome dolore, in virtù di colpe non oggettive,ma originarie e inspiegabili, proprie di ogniforma esistenziale e contingente assunta dal-l’uomo nel rapporto con se stesso e con gli al-tri (si richiamano i profili esemplari di MattiaPascal, Moscarda e Romeo). Sul piano realedella concatenazione degli eventi la dinamicadelle colpe, attuata nelle relazioni private affet-tive e sociali, può condurre a un ribaltamento

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delle responsabilità e determinare la ricadutadella punizione su destinatari opposti a quelliiniziali (come avviene in Il berretto a sonagli).Inoltre, la colpa non è sempre destinata a tro-vare un riscatto e la punizione esistenziale esociale è interrotta solo dalla morte.VALERIA GIANNETTI-KARSENTI approfondi-

sce il discorso con La coscienza di Zeno di Ita-lo Svevo, prendendo le mosse dall’episodiodella morte del padre del protagonista e dalgesto dello schiaffo interpretato da Zeno co-me un’ultima volontà punitiva, secondo unvalore psicanalitico capace di spiegare la cesu-ra provocata da questo evento nella sua per-sonalità e nella sua vita, nonché lo stretto le-game tra punizione, sentimento della colpevo-lezza e bisogno di essere punito. Padre e figliosi definiscono nel rapporto forza/debolezza inbase alla teoria nietzschana della contro-veritàe per Zeno la vita si presenta, fuori dai para-digmi psicanalitici, una costruzione senza fi-nalità, dove l’essere vivente non è né colpevo-le né innocente, ma condannato ingiustamen-te a una condizione di infelicità naturale chesi evolve tra la necessità di soddisfare i propribisogni (la ricerca del piacere) e la spinta re-golatrice delle leggi morali e nella quale, ri-spetto alla colpa (eventualmente involonta-ria), prevale l’errore (che conduce alla malat-tia, quindi, incurabile e mortale della vita, maanche alla capacità di accettarne l’eterna dina-mica di illusione e disillusione senza preten-dere di imprigionarla con pre-concetti e pre-giudizi).AMBRA ZORAT si sofferma, infine, sul nes-

so tra carnefici e vittime attraverso il roman-zo di Maria Messina La casa nel vicolo (pub-blicato nel 1921), individuando tre forme dipunizione rappresentate dall’interazione deipersonaggi: quella esercitata dal pater fami-lias don Lucio Carmine per garantire il ri-spetto delle regole da lui stabilite; le vendet-te che si infliggono reciprocamente le due so-relle Antonietta e Nicolina, vittime plagiatenel loro ruolo rispettivamente di moglie e diamante; il suicidio del figlio Alessio che pro-voca la follia della madre e induce la zia adassisterla, condannando entrambe alla puni-zione e all’espiazione delle proprie colpe. An-che mediante strumenti formali lessicali e re-torici, l’autrice persegue il proposito di riflet-tere sul concetto di potere, sui suoi meccani-smi di imposizione e di relazione con la mo-rale all’interno di un contesto familiare eret-

to su repressioni, ostilità vendicative, colpeed espiazioni. [Manuela Martellini]

CARLA CHIUMMO, Guida alla lettura di«Myricae» di Pascoli, Roma-Bari, Laterza,2014, pp. 202.

Riconsiderare il profilo di Giovanni Pa-scoli e della sua più emblematica raccoltapoetica a oltre cento anni dalla morte dell’au-tore (1912), nonché dall’ultima edizione diMyricae a cura dello stesso Pascoli (1911) si-gnifica adombrare una precisa metodologia,in cui il parallelo tra esperienza di vita edesperienza letteraria miri a scandire le tappeprogressive della definizione di una poetica.Pur muovendo da imprescindibili finalità di-dattiche, la «guida alla lettura» di C. nasceinfatti da altrettanto solidi presupposti teori-ci, che chiamano in causa la necessità disgomberare il campo da alcuni equivoci inter-pretativi tuttora perduranti: il riferimento aldato biografico come chiave di lettura privile-giata dell’opera pascoliana e la ricezione soloparziale della rivoluzione stilistico-linguisticaoperata dal poeta romagnolo, in realtà tutt’al-tro che ‘inconsapevole’ o limitata a una merarivisitazione di stilemi retorici e linguisticipreesistenti. Non apparirà casuale, allora, che fin dal

primo dei sette capitoli del volume, dedicatoalle relazioni tra autore ed opera, quest’ultimafinisca per assumere uno status di assoluto ri-lievo, rappresentando il filtro attraverso cuileggere e rimodulare le tappe cruciali di unpercorso esistenziale. Il confronto intellettua-le con i maestri del passato (in primisVirgilio)e del presente (Carducci, D’Annunzio) diven-ta occasione di ripensamento di una poeticache, da un «classicismo assolutamente mo-derno» (p. 7), approderà all’elaborazione diun simbolismo sui generis, la cui matrice na-turalistica si presta per se stessa ad assumerecontorni onirico-visionari, in virtù dell’innatacapacità del poeta di «vedere e sentire», rive-lando le «essenze celate» del mondo reale.Del cantore delle «humiles myricae» Pascolifarà un modello a livello tematico, ma ancoradi più metapoetico, legando ai primi due ver-si della quarta bucolica, variamente ricombi-nati e sezionati, il destino e la fisionomia diciascuna delle proprie raccolte. Da Carducci

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e D’Annunzio, punti di riferimento reali masoprattutto ideali, prenderà invece avvio unariflessione sul ruolo del poeta nella moder-nità che condurrà ad esiti lirici e teorici deltutto personali, sebbene inevitabilmente debi-tori dell’orizzonte ideologico e culturale fin desiècle. La tendenza pascoliana a sovrapporre – si-

no ad eclissarle – le memorie personali a quel-le letterarie è evidente fin dalla sezione myri-cea dei Ricordi, laddove la rievocazione dellapropria giovinezza in terra romagnola coinci-de, in realtà, essenzialmente con le suggestio-ni memoriali e fantastiche legate alle primeletture dei poemi epico-cavallereschi. Specu-larmente, il vagheggiato ritorno al ‘nido’ diSan Mauro assume i connotati di uno scaccoche può essere risarcito solo attraverso l’espe-diente – tutto letterario e di ascendenza pe-trarchesca – della “morte in vita”, nel ricon-giungimento ai luoghi d’origine e alla figuramaterna evocati in Ultimo sogno, ideale con-traltare al poemetto d’apertura Il giorno deimorti. Nello spazio tra questi due componi-menti (il primo dei quali oggetto di un emble-matico spostamento nell’edizione definitivadi Myricae) si colloca la volontà di dare vita auna versione aggiornata di libro-canzoniere,le cui motivazioni e la cui struttura sono ana-lizzate, rispettivamente, nel secondo e nel ter-zo capitolo del volume. La sistemazione ragionata dei fragmenta di

cui si compongono le varie edizioni di Myri-cae viene seguita da C. a partire dalla rico-struzione filologica di Giuseppe Nava, anco-ra una volta allo scopo di indagare critica-mente sul progressivo accantonamento del-l’esperienza biografica, in favore dell’elabora-zione di un ‘romanzo’ ciclico («dall’alba altramonto», attraverso il susseguirsi delle sta-gioni) in cui l’io è sovente eclissato dietro unpunto di vista straniante, attraverso cui emer-gono le concrete ma enigmatiche presenzedella natura. Decisiva, in questo senso, è l’at-tenzione rivolta dalla studiosa al confrontotra le diverse prefazioni alle singole edizioni diMyricae, da considerarsi «veri e propri mani-festi di poetica» (p. 44): notevole, in partico-lare, il passaggio dall’edizione del 1982 a quel-la del 1984, in cui il riferimento all’uccisionepaterna e al motivo troppo scopertamente au-tobiografico della vendetta viene cassato avantaggio dell’appello a un’umana pietas diascendenza manzoniana. Mediante una pun-

tuale e sottile rete di rimandi interni che in-treccia intere sezioni e singole poesie, motiviideologici e riprese stilistiche, emerge l’inten-to pascoliano di dare corpo a un progetto coe-rente, che, muovendo da Petrarca e Leopardi,guardi inoltre all’idea di «canzoniere moder-no» incarnata dalle Fleurs du mal; ma anche,in prospettiva macrotestuale, al fil rouge chelega l’intero corpus poetico pascoliano, a inau-gurare quel modello di «metacanzoniere» chetanta fortuna avrà nel pieno Novecento. Il confronto con le esperienze europee

chiama in causa i rapporti tra Pascoli e il Sim-bolismo (ma non solo: si pensi al gioco di cor-rispondences con poeti romantici quali Poe eShelley), in una rivisitazione di topoi e motivilirici in cui aleggiano l’inquietudine e le ambi-guità consustanziali al tempo della modernità.Lo stesso tema eminentemente pascoliano del‘nido’ assume coloriture tutt’altro che rassicu-ranti, venendo a coincidere con una prospet-tiva luttuosa che, dal poemetto-manifesto inapertura di raccolta, pone le premesse peruna poesia in memoriam che si sostanzia, benoltre il mero dato individuale e al di là deiprecedenti petrarchesco-leopardiani, del-l’exemplum di un altro nume classico, Catul-lo. Allo stesso modo, figure di ascendenza au-tobiografica come quelle dell’orfano e del pel-legrino sottintendono in realtà un retroterraletterario estremamente complesso e stratifi-cato, da rapportarsi tuttavia a una progressi-va desublimazione della figura del poeta, lacui oscillazione tra «gioie» e «pene» echeggiala dialettica leopardiana tra piacere e dolore.Le affinità elettive con il poeta di Recanati siaccompagnano, nondimeno, a importanti di-vergenze ideologiche (l’assoluzione della na-tura ‘matrigna’, scalzata da un j’accuse neiconfronti delle colpe umane) e linguistiche(la nota polemica contro la ‘vaghezza’ del lin-guaggio leopardiano, contrapposta alla predi-lezione pascoliana per il tecnicismo e la paro-la precisa).Proprio a suggello del discorso sulla porta-

ta delle innovazioni pascoliane si colloca laparte finale del volume, con il supporto dell’a-nalisi linguistico-stilistica di alcuni componi-menti chiave. Se la definizione proposta daContini di «rivoluzionario nella tradizione»risulta ancora valida in riferimento al Pascolifautore di una metrica ‘liberata’ – che non ap-proda cioè al verso libero, ma ne scompaginasottilmente gli esiti dall’interno – si dovrà in-

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vece parlare di un poeta «rivoluzionario inassoluto per il suo sperimentalismo linguisti-co e retorico» (p. 150). È quanto dimostra latendenza alla disgregazione sintattico-gram-maticale, condotta sino ai limiti di un’origina-le reinvenzione dell’onomatopea: non piùstrumento di pura mimesi, ma elemento car-dine di un fonosimbolismo che dalla parolasaprà trarre effetti inediti e spiazzanti, tra toc-chi impressionistici e modi espressionisticiche coesistono entro una cornice derealizzan-te. L’esperienza di Marinetti e del pieno No-vecento dovrà allora prendere avvio, parados-salmente, da quell’«ultimo figlio di Virgilio»che, pur memore delle sue nobili origini, hasaputo, nello stesso tempo, aprire un varcoau fond de l’Inconnu, da cui far trapelare il‘nuovo’ delle avanguardie a venire. [Elisa Palmigiani]

MARCO MARCHI, Vita scritta di ItaloSvevo, Firenze, Le Lettere, 2015, pp. 256.

A diciassette anni dalla sua pubblicazione(1998), la ristampa 2015 ci offre l’occasione diricordare un libro innovativo, secondo espe-rimento di quello che viene definito un parti-colare «genere» inaugurato a suo tempo conla Vita scritta di Federigo Tozzi. «Si tratterà,munendoci di una meticolosa, inevitabile fa-miliarità alternativa di tipo testuale, stilistica efilologica, di allestire un falso, un ambiziosis-simo saggio-racconto en artiste che pretendadi poter scrivere con la penna di Svevo stes-so – per frammenti, stralci, estrapolazioni, maanche attraverso una struttura organizzanteche crei un nuovo testo, un testo finora maiesistito – la vita di Svevo» (p. 22): con tali pa-role M. definisce la particolare struttura com-positiva della sua antologia/autobiografia sve-viana, partendo dall’assunto che dalla manodell’autore non ci è mai giunta una storia del-la propria vita, ma un’intera produzione lette-raria pervasa da una forte componente auto-biografica. A cominciare dal binomio Sch-mitz/Svevo, la duplicità dell’uomo/autore simoltiplica ulteriormente attraverso altri pseu-donimi e alter ego, il tutto rintracciabile neiromanzi, nelle novelle, nelle opere teatrali, ne-gli articoli, nelle lettere, nelle testimonianzefamiliari, ecc. Biografia e scrittura, vita e let-teratura in questo autore si intrecciano, si se-parano e si rimescolano generando questioni

complesse e di soluzione non univoca nel rap-porto identità/alterità, verità/menzogna, pre-senza/assenza, realtà/immaginazione: «Svevocome al solito c’è e sfugge» (p. 20) tanto nel-la sua esistenza quotidiana quanto sulla pagi-na di carta e M. intraprende la ricerca di que-sto Io disseminato ovunque, dietro scomposi-zioni e maschere, si mette in ascolto di un Iopossibile e virtuale, tenta di riunificarne ognivolta il profilo riallacciando i legami tra leparti. [Manuela Martellini]

EPIFANIO AJELLO, Il racconto delle im-magini. La fotografia nella modernità let-teraria italiana, Pisa, Edizioni ETS, 2009,pp. 236.

ROBERTO SALSANO, Michelstaedter trad’Annunzio, Pirandello e il mondo dellavita, Roma, Bulzoni, 2012, pp. 102.

ALBERTO COMPARINI, Iride. L’Alcesti diMontale. Nuova edizione aggiornata,Novara, Giuliano Ladolfi Editore, 2014,pp. 151.

Il mito di Alcesti, tragica eroina cantata daEuripde: decide di morire al posto di Adme-to, cui era andata in sposa avendo egli aggio-gato, grazie all’intervento di Apollo, due bel-ve feroci. Il sacrificio è quanto chiede lo stes-so dio al giovane marito, in cambio del suoprecedente intervento. Ma Admeto non vuo-le morire. Dopo varie vicissitudini, Alcesti siimmola al suo posto. Secondo alcune versio-ni fu Ercole, riconoscente ad Admeto peraverlo ospitato, a strapparla dal mondo deimorti per riconsegnarla al marito. Il nomedella figlia di Pelia compare nel titolo del vo-lume montaliano di C., uscito nel 2014 perLadolfi in una nuova edizione aggiornata. Ilnucleo originale, del 2011, non si discosta daquesta versione, nella quale C. ribadisce lasua tesi di fondo: la «esemplificazione dellamatrice teologico-teogonale di Montale, cheprocede dalle prime istanze laiche degli Ossidi seppia, passando attraverso la mitografiapagana de Le Occasioni, fino alla metamorfo-si cristiana […] de La Bufera e altro» (p. 7).L’analisi, il cui linguaggio post-strutturalistico

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oggi risulta, per certi versi, svantaggioso, hacome riferimento precipuo Iride, la lirica d’a-pertura delle Silvae, la quinta sezione del ter-zo libro montaliano. Che cosa rappresentiquesta figura femminile, così caricata dal pun-to di vista simbolico – come in generale acca-de per tutta la terza raccolta montaliana, do-ve la verità, afferma Contini, si rivela in «for-ma di mito» – è difficile dirlo, specie in virtùdella stratificazione di significati che è possi-bile attribuirle. Il mito greco associa Iride adue distinte, ma spesso confuse divinità: lapersonificazione dell’arcobaleno, da una par-te, e un Hermes femmineo della sventura, dal-l’altra, ma quest’ultima versione sembra lon-tana da quello che possiamo inferire dalla let-tura del testo. C. esclude senz’altro la funzio-ne di messaggera infausta (nonostante ricordiche Iride è appunto sorella della Arpie), sot-tolineando invece l’iconografia angelica, chela pone in continuità con il visiting angel deLe Occasioni: «fornita d’ali d’oro […] la suatesta era circondata da un alone di luce chel’accompagnava attraverso il cielo» (p. 81).Montale, nel testo, chiama invece Iride «Iridel Canaan» e tale riferimento, per C., riman-da in prima istanza a Dante, ParadisoXXXIII. Le «radici israelite» di Iride – che sipreparano, come ha sottolineato FrancescaD’Alessandro, a un «definitivo processo didivinizzazione della donna» – sono così ri-condotte entro l’ambito dell’allegoria cristia-na: la lettura di C. va infatti nella direzione diun’esegesi religiosa che fa del sacrificio il suoparadigma. Dopo una disamina serrata dellepossibili derivazioni del «significante Iride»(p. 70) – specie in virtù di un intreccio tema-tico con le liriche Nuove stanze (Le occasioni)e Incantesimo (La Bufera e altro) – C. riassu-me quella che è l’immagine complessa dellaCristofora montaliana: «alterità dell’esisten-za, animale simbolico, formula della terra fio-rentina» (con riferimento al giaggiolo), «em-blema di vita e di morte ed infine sincretismoreligioso pagano e cristiano» (p. 83). La ne-cessità di comprendere tutti i significati di Iri-de riflette il modo di procedere del libro, chedel testo in senso stretto e del contesto filoso-fico-letterario compie una mappatura com-pleta. Il supporto ermeneutico fornito allaquestione religiosa, o teologico-teogonale, se-condo la definizione di C., è così dettagliatoda richiedere ampie digressioni, come nel ca-so del riferimento “erotico” alla Diotima so-

cratica descritta da Platone e a quella di Höl-derlin, o nell’altro, in cui C. analizza la rela-zione che si viene a determinare nello svilup-po simbolico-teologico di due celebri doppimontaliani: Arsenio e il «Nestoriano smarri-to» (C. vede nel secondo un anagramma ca-muffato del primo). Ma la questione più ur-gente resta il rapporto tra Clizia e l’omonimaprotagonista di Iride, vero fulcro del volume.La lirica, permeata da un punto di vista lessi-cale e simbolico di riferimenti cristiani, èquella dove la taccia di obscurisme, mossa asuo tempo da Sinisgalli, è confermata daMontale stesso, che non sembra comunqueavere intenzione di rivelare alcunché di preci-so a sostegno di una maggiore chiarezza.Quando il poeta scrive che Iride «torna a noicome continuatrice e simbolo dell’eterno sa-crificio cristiano», a mio modo di vedere è laparola «continuatrice» a risultare la più em-blematica. Perché Montale dice poco primache Iride è «la sfinge delle Nuove Stanze», ilche vuol dire, come sa anche C., che Iride èClizia, e dunque Irma Brandeis (il cui cogno-me, che contiene le parole tedesche fuocoBrand e ghiaccio Eis, ritorna anche nel testo,in forma di senhal, come è tipico, e in posizio-ne strategica tra due versi, determinando uninarcamento ma anche una rottura «or cheun fuoco / di gelo porta alla memoria»). Don-de una domanda: Iride è la continuatrice inprimis del Cristo, in linea con lo spostamentod’ambito proposto da C. – che vede nel pas-saggio dal teologale al teologico la novità del-la terza raccolta di Montale – o questa nuovafigura continua, più semplicemente, l’azionesalvifica delle apparizioni del visiting angel?Perché in questo secondo caso, il valore chebisogna dare alla presenza di riferimenti cri-stiani in Montale è diverso. Si tratta di decide-re se è possibile determinare un percorso diconoscenza e di salvezza che si compie neldio cristiano (in linea con il confronto che sipuò fare sin dalle prime apparizioni di Cliziacon la Beatrice dantesca) o se, invece, il rife-rimento è un chiaro addensamento allegoricoa disposizione del poeta in questa fase storica.La questione cambia molto la sostanza del te-sto, perché la rende nel primo caso ideologi-ca e nel secondo espressiva, e dunque ade-rente a quello che è da sempre l’eclettismo diMontale. Dio (secondo Contini, «una cono-scenza […], ma non la conoscenza») non è es-senziale per Montale, ma funzionale, tanto

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quanto lo sono il mito greco-latino e la tradi-zione del sacro veterotestamentaria. E il fattoche ne La Bufera entrino la storia e il dolorenon bastano da soli a rendere Iride figura diCristo, secondo la declinazione di Auerbach,ma più semplicemente allegoria. Credo in pri-ma istanza al valore simbolico della poesiamontaliana, per cui la matrice teologica, a dif-ferenza di Dante, non risolve l’interpretazio-ne del piano allegorico e di quello anagogico.Se è vero dunque, come anche io penso insie-me a C., che il problema religioso è centrale inIride, a mio parere la soluzione non è il pas-saggio dal teogonale al teologico, che implicain C. un’interpretazione del sacrificio cristia-no come compimento di una funzione provvi-denziale della storia. Ciò sembra cozzare in-fatti coi postulati «teoretico-morali» (p. 9)delle Lettere spirituali di Giuseppe Rensi, cheC. considera decisivi per comprendere la vi-sione religiosa di Montale, oltre al già notoruolo che il filosofo ha sulla sua poetica tout-court. Semmai è il sacrificio in quanto espres-sione del sacro a rappresentare qui la compo-nente più autentica, il nesso tra la vita e lamorte. E dunque si torna ad Alcesti. Per C.,quella con Iride è una mera suggestione cul-turale, mentre a mio parere è lì che si dovreb-be insistere, specie se è vero, come penso, cheil percorso di Clizia sia invece di natura orfi-ca. Ma forse, e ancor più, la questione di Iri-de è legata ad un altro tema, di argomentomitico, che è quello della metamorfosi. C. usaspesso il termine e lo applica, ma forse la pa-rola sarebbe da prendere come primo riferi-mento testuale per spiegare un rapporto deci-sivo del testo: quello tra la parola «forma» e ilmediale «si trasforma» delle due parenteti-che. C. cambia invece il paradigma di Clizia,perché la dea del girasole sta alla catabasi co-me Iride sta alla anabasi, e afferma che «Cli-zia deve morire» (p. 62) per poter divenirecristofora. Naturalmente la morte è il mezzocristiano per ottenere la vita vera, o nuova, maè richiesto uno iato che io non riconosco. Ve-do invece una continuità di fondo del femmi-nino montaliano, resa tale appunto dal temadella metamorfosi, i cui tre nodi principali –pur sempre costellati da altre figure «gino-zooe» (concedetemi il brutto termine), le qua-li hanno la funzione di divinità secondarie –sono Esterina-nube, Clizia-girasole e Iride-anguilla. [Diego Bertelli]

VALENTINA MARCHESI, Eugenio Monta-le critico letterario, Roma, Edizioni diStoria e Letteratura, 2013, pp. XXIV, 232.

M. restituisce all’orizzonte critico contem-poraneo un Montale semi-inedito: se infatti laricca e proficua attività giornalistica di Mon-tale era nota – celeberrima la sua collabora-zione con il «Corriere della Sera» – mancavaancora un contributo strutturale sul famosoSecondo mestiere (Prose 1920-1979, a cura diG. Zampa, 2 voll., Milano, Mondadori, 1996).In tre capitoli dai titoli evocativi, Gli esor-

di (pp. 1-89), Ritratti (pp. 91-143) e Tra poesiae narrativa (pp. 145-222), a cui fa da corona-mento una sapida e arguta Introduzione (Mon-tale e il confine della prosa, pp. IX-XXIII), M.analizza in profondità la storia e la cronistoriadel sempre più intenso lavoro dell’autore (ba-sterebbe pensare che nel quinquennio tra il1955 e il 1959 Montale pubblica annualmen-te più di cento articoli). Il primo capitolo èun’attenta ricostruzione storica dei proficuiincontri con i grandi intellettuali più o menocoetanei di Montale: Giacomo Debenedetti,Natalino Sapegno, Piero Gobetti (i primi duestabili componenti della redazione «PrimoTempo», p. 6). Secondo M. fu fondamentalela collaborazione al «Baretti» procurata pro-prio da Gobetti (con il quale non mancaronodissidi che la studiosa, forse, minimizza unpo’ definendoli «sottili», pp. 26-27); fonda-mentale poiché mai più Montale «avrebbepreso parte a un programma di studi e di lavo-ro che implicasse, come in quegli anni, un pre-ciso modo di stare nella storia», in aperta di-scussione con il regime fascista (p. 19).Gli anni Venti sono un periodo ricco di

scambi e incontri, e Montale raccolse diversiprimati: primo in Italia ad accorgersi di ItaloSvevo e, proprio tramite Svevo, tra i primi ascoprire e studiare James Joyce (L’ombra diSchmitz, pp. 47-51) e poi tra i più validi inse-guitori delle lucere inglesi di Emilio Cecchi eMario Praz (pp. 84-87). Sono gli anni intuiti-vi di un nuovo e moderno «rapporto tra la let-teratura italiana e quelle straniere» (p. 47). Assai interessanti risultano alcune brevi ri-

flessioni di M. sulle tracce del correlativo og-gettivo: servendosi di pagine note, l’A. ricono-sce come il celebre rapporto tra «l’occasionee l’opera-oggetto» – espresso in «modo nuo-vo non parnassiano» in grado «di immergereil lettore in media res» –, che Montale ipotiz-

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za nel celeberrimo passaggio dell’Intervistaimmaginaria del 1946, fosse già presente «inun frammento del cosiddetto Quaderno ge-novese, risalente al 1917» (p. 73).Sulla figura di Emilio Cecchi si apre la gal-

leria di Ritratti che compone il secondo capi-tolo del volume: se basandosi sul concetto di“medietà” (nell’accezione più positiva possi-bile: si vedano le pp. 102-103) il giudizio riser-vato a Cecchi da parte di Montale è in linea dimassima positivo, più complessi e articolatiappaiono i rapporti con Sergio Solmi e Giaco-mo Debenedetti (pp. 109-125). Il Solmi diMontale, forse troppo classicista, sembra es-sere forte di una «superiorità rispetto a fazio-ni e polemiche di scuola» (p. 111). Più con-troverso lo schizzo di Debenedetti: puntualiz-za M. che «nonostante Debenedetti fossecoinvolto in prima persona sull’allestimentodegli Ossi […] e una indiscussa influenza suMontale si esercitasse riguardo alla letteratu-ra francese, il dialogo fra i due fu come vela-to da alcune dissonanze» (p. 115). Dissonan-ze, forse, derivate dal parere negativo riserva-to da Montale alla modalità critica “antagoni-sta” dell’altro, o, forse, allo scontro di gustidiversi tra i due (sulla questione, E. BONORA,Dagli «Ossi di seppia» a «Le occasioni». Lette-re di Montale a Debenedetti, «Giornale stori-co della letteratura italiana», CXIII, 1996,561, pp. 348-391). Una diversità tangibile, in-somma, che secondo la studiosa si rispecchiaanche nella distanza di modo e abitudini neiriguardi degli autori analizzati: elegante, som-messa e rispettosa è la forma della critica diMontale, psicologica (per Montale «sfiancan-te») è la prosa d’analisi letteraria di Debene-detti (p. 124). Agli anni restanti, un quarto di secolo, è ri-

servato il terzo capitolo dal titolo Tra poesia enarrativa, diviso anch’esso in tre sezioni: laprima è dedicata all’attività giornalistica, cheoccupa sempre più spazio sullo scrittoio diun Montale impegnato a valutare e rivalutareautori italiani (Guido Gozzano, il già ricorda-to Svevo, ma anche Silvio D’Arzo) e stranieri(da Eliot a Ezra Pound) e, addirittura, inten-to a tracciare le linee guida di un’Ipotesi di ca-none poetico nel Novecento italiano (titolo delterzo paragrafo, alle pp. 170-175). Nella se-conda sezione (pp. 175-188) la studiosa si oc-cupa di ricostruire l’influenza di Eliot e Dan-te Alighieri sull’opera dell’autore, procuratadalla lettura o dagli incontri con studiosi del

calibro di Auerbach o Singleton. Nell’ultimasezione, Tracce di un’autobiografia critica (pp.189-205), M. cerca di riconoscere nell’operaletteraria di Montale alcuni brani che si com-portano come sparse briciole di “auto-critica”biografica e letteraria. Infine, al ritratto di Bobi Bazlen sono dedi-

cate le ultime pagine del libro (pp. 206-222).La figura del triestino sembra subire, secondoM., un continuo riflusso di accettazione, rifiu-to, assorbimento e quasi rigetto finché «nelsuo congedo dall’amico, sorta di nemesi tuttaimmanente, Montale circoscrive un modellodi critico e di scrittore, di intellettuale e diuomo, non troppo distante dalle conclusioniche per sé enuncerà con il celeberrimo epilo-go del Diaro, per finire: «Non sono un Leo-pardi, lascio poco da ardere / ed è già troppovivere in percentuale» (p. 220). Un congedo non dissimile potrebbe cal-

zare al lavoro di M.: un saggio costruito comeuna ricognizione minuziosa nel marasma del-la frenetica attività editoriale di Montale cherestituisce un ritratto senz’altro diverso delgrande autore. [Paolo Rigo]

LUIGI MARTELLINI, Le «Prospettive» diMalaparte (Una rivista tra cultura fasci-sta, europeismo e letteratura), Napoli,Edizioni scientifiche italiane, 2014, pp.495.

La rivista «Prospettive» nasce dal deside-rio di riscatto concepito da Malaparte duran-te i duri anni dell’allontanamento dalla vitaculturale e del confino a Lipari, in seguito al-la denuncia di Cesare Balbo del giugno 1933e alla conseguente espulsione dal partito fasci-sta. La pubblicazione mensile, il formatogrande e la presenza di numerose fotografie inbianco e nero e a colori denotano la parente-la intenzionale con celebri riviste internazio-nali, come l’americana «Fortune» e la france-se «Minotaure». Il contenuto e l’intenzionesono invece del tutto originali: l’autore di Fu-ghe in prigione e Sangue si propone di analiz-zare la realtà fascista in ogni suo ambito, connumeri monografici dedicati al ragazzo Balil-la, al prete italiano, alla radio, al cinema e al-tri temi d’attualità. La monografia dedicata alla politica estera

venne assai elogiata da Galeazzo Ciano e il

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numero dedicato all’operaio italiano, che de-scriveva la politica economica autarchica e lacostruzione di nuovi stabilimenti industriali,riscosse grande approvazione da parte dellostesso Mussolini. Dopo appena sette numeri,gli interessi di Malaparte virarono decisamen-te verso l’arte e la letteratura, argomenti for-temente avversati dal regime e controllati dal-la censura. A partire dal 1939-1940 «Prospet-tive» si trasformò in una rivista esclusivamen-te culturale e Malaparte rafforzò la sua colla-borazione con Moravia, il quale, con l’alterego di Pseudo, lo sostituì alla direzione du-rante i suoi frequenti viaggi all’estero. Il volume ripropone la versione integrale

di alcuni documenti di capitale importanzaper la comprensione del pensiero di Malapar-te: innanzitutto il pamphlet Obbiezione di co-scienza, ma anche la Lettera aperta a Moravia,in cui lo scrittore difende il ruolo di coraggio-so baluardo della cultura esercitato da «Pro-spettive» durante il fascismo, scagliandosi nelcontempo contro l’esistenzialismo e in parti-colare contro Sartre, di cui critica l’atteggia-mento disfattista e il ruolo di corruttore dellagioventù.A partire dal 1940 diedero il loro contribu-

to artistico e critico alla rivista gli ermetici Bo,Luzi, Macrì e Bigongiari, i giovani vicini al-l’ermetismo Sereni, Sinisgalli, Gatto, Ferrata,Anceschi, ma anche Contini nell’inusuale ve-ste di poeta, e i principali pittori italiani, tracui Guttuso, Tamburi e Bartolini, nel numerointitolato Paura della pittura. Chiudono il volume sette indici, di cui il

primo, l’Indice ragionato della rivista «Pro-spettive», di quasi trecento pagine, raccoglie891 schede che ripropongono analiticamen-te l’intero contenuto delle pubblicazioni. [Chiara Pietrucci]

LUCIANO PARISI, Uno specchio infranto.Adolescenti e abuso sessuale nell’opera diAlberto Moravia, Alessandria, Edizionidell’Orso, 2013, pp. 214.

L’A. suggerisce un’inedita chiave di lettu-ra dell’opera di Moravia, decisamente lontanadai filoni finora battuti, che hanno insistitosull’esistenzialismo e sulla condanna delleclassi potenti e corrotte dell’Italia del secon-do dopoguerra e soprattutto della Capitale.

P. ha invece giustamente riscontrato lapresenza inquietante e insistente, tra le pagi-ne moraviane, di situazioni sentimentali sbi-lanciate: nei romanzi e nei racconti dell’auto-re romano i rapporti tra figure mature e gio-vani ingenui, che hanno lasciato da poco l’a-dolescenza o addirittura minori, rapidamen-te e inevitabilmente si traducono in abuso eprevaricazione. Il primo esempio è natural-mente la scelta da parte di Carla degli Indif-ferenti di Leo Merumeci, amante della ma-dre, e la relazione, speculare, del fratello Mi-chele con Lisa. Agostino, protagonista dell’o-monimo romanzo, viene trascurato dalla ma-dre, tutta concentrata sui suoi corteggiatori,e poi abusato durante le vacanze al mare, co-sì come Rosetta, nella Ciociara, viene stupra-ta da un gruppo di soldati marocchini men-tre prega in chiesa davanti alla statua dellaVergine. Se nei romanzi d’esordio la voce narrante

si schiera dalla parte della vittima, nelle ope-re degli ultimi anni Moravia pare identificar-si maggiormente con il punto di vista del car-nefice, il che non fa che aumentare lo sconcer-to e lo straniamento del lettore. Al critico nonsfugge il riferimento a un altro genere di rela-zione affettiva sbilanciata e corrotta, che noncoinvolge minori ma non per questo menodeprecabile: il rapporto coniugale tra unadonna mite e un uomo dominatore, sprezzan-te e privo di valori morali.Moravia si interessa di abuso sui minori e

altre perversioni sessuali anche in declinazio-ni cinematografiche degli anni Settanta, re-censendo per «L’Espresso» i più celebri filmsull’argomento, da Lolita di Kubrick al Portie-re di notte di Liliana Cavani, da Salò di Paso-lini, ispirato alle Centoventi giornate di Sodo-ma, a Taxi driver di Scorsese.Un esile tentativo di redenzione dei per-

sonaggi moraviani riguarda la funzione ca-tartica e purificatrice del dolore e del perdo-no, come accade alla ciociara Cesira dopo lafine del conflitto. Questo atteggiamento sioppone idealmente all’abbrutimento e al-l’obnubilamento delle coscienze di coloroche, avendo ingiustamente subito un torto,sulla scorta di Renzo dei Promessi sposi, cer-cano un riscatto perseguendo la vendetta.[Chiara Pietrucci]

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MARIA ANTONIETTA FERRALORO, Toma-si di Lampedusa e i luoghi del Gattopardo,Pisa, Pacini editore, 2014, pp. 128.

Nel 1983 Gesualdo Bufalino definiva «unaspecie di caccia al gattopardo» la disputa na-ta attorno all’identificazione del toponimoDonnafugata, luogo descritto e così denomi-nato nel romanzo di Giuseppe Tomasi diLampedusa, ricondotto nelle varie investiga-zioni ora alla villa di famiglia a Palma di Mon-tachiaro, ora all’omonimo castello ragusano,concludendo che «in simili risse municipalihanno ragione un po’ tutti» (A caccia del Gat-topardo nelle bandite del Principe, «Qui Tou-ring», 1-8 aprile 1983, p. 32).La frase di Bufalino dice due cose vere a

proposito degli studi sulla topografia del Gat-topardo e, in generale, di quelli sulla geografiain letteratura. Da un lato, evidenzia la prete-sa di interpretare dati che per loro natura nonpossono essere codificati in maniera sicura-mente univoca, dall’altro lato sottolinea che aguidare tali interpretazioni è spesso un certocampanilismo. Il processo d’identificazione edi riconoscimento è, del resto, stimolato dal-le minute descrizioni di Tomasi, che portanoil lettore a chiedersi se, dietro i luoghi idealidello spazio narrativo, si celino luoghi reali. F. riconosce nel Gattopardo Ficarra, paese

dei Nebrodi non distante dalla villa dei Picco-lo a Capo d’Orlando, dove Giuseppe Tomasisi rifugia con la moglie tra gli ultimi giorni diluglio e i primi di agosto del 1943, in séguitoagli sbarchi degli eserciti anglo-americani inSicilia. Il lavoro di F. offre principalmente unanuova ricostruzione dei tre mesi di perma-nenza dell’autore nel paese nebrode sotto lacui luce alcune situazioni narrative del roman-zo di Tomasi vengono rilette e interpretate.Per stessa ammissione dell’A., il libro «nonnasce dal semplice bisogno di aderire a una li-nea di ricerca che ha ormai acquisito un cre-dito crescente tra gli studiosi [quello dellaspazialità n.d.r] – anche se vi trae strumenti espunti» (p. 11). F. giustifica il proprio lavoroalla luce di una «motivazione decisamente in-tima, personale» e autobiografica: «sono cre-sciuta ascoltando le favolose vicissitudini deibaroni Lucio, Casimiro e Agata GiovannaPiccolo di Calanovella. […] Sono cresciuta,soprattutto, assieme alle storie che gli adultidi allora intrecciavano, come un “cunto” an-tico, sul soggiorno ficarrese di Lampedusa e

sul suo celebre romanzo, nel quale si diceva-no sicuri che fossero confluiti episodi e perso-ne del paese» (ibidem).La studiosa affronta questa indagine pri-

vata seguendo presupposti metodologici con-solidati propri del metodo storico e critico let-terario. L’analisi si fonda largamente sul con-cetto bachtiniano del cronotopo, con lo scopodi individuare l’interdipendenza tra lo spazioe il tempo e poi tra l’elemento biografico e lafinzione narrativa, con attenzione allo stravol-gimento e all’idealizzazione che intervengonoquando il reale confluisce nell’opera letteraria.Alla prefazione di NUNZIO ZAGO fanno se-

guito le tre parti in cui è organizzato il libro.Nel saggio di apertura, Lo spazio come poetica,F. dà conto delle coordinate metodologicheche «tra prassi storiografica ed esegesi lettera-ria» (p. 14) puntano ad evidenziare gli elemen-ti innovativi del romanzo. Il secondo saggio,Nuove ipotesi interpretative, è incentrato sullaspazialità del romanzo e sulle implicazioni nar-rative dei luoghi, in una dialettica tra territorioe immaginario che spesso tende a convergere.Nel terzo, Un principe a Ficarra, si ritrova losvolgimento più originale della ricerca e cioè lalettura di alcune situazioni del romanzo allaluce del periodo ficarrese di Tomasi. Gli indizi che riconducono il Gattopardo a

Ficarra sono di varia natura. Il primo che F.segnala, di carattere onomastico, riguarda ilnome dell’organista di Donnafugata, CiccioTumeo, nome preso in prestito da un cittadi-no di Ficarra che Tomasi aveva conosciuto.Già Sciascia sosteneva che «l’onomastica hanel Gattopardo un ruolo di segrete allusionistoriche o private» (I Luoghi del ‘Gattopar-do’, in Opere, III, pp. 618), e tali allusioni nonriguardano solo l’onomastica o la toponoma-stica ma anche e soprattutto le atmosfere. Lagente donnafugatese descritta come «simpati-ca, devota e semplice» (p. 72) rimanda, se-condo quanto suggerisce ancora F., a caratte-ristiche riscontrate nella gente ficarrese concui l’autore era entrato in contatto durante ilbreve soggiorno nel loro paese. In questa di-rezione F. propone poi la spia più forte del-l’influenza di Ficarra sul romanzo nonché car-dine dell’intera ricerca. L’analisi si soffermasulla vicenda del ritrovamento del cadavere diun soldato tedesco nella villa Tasca Filangieridi Cutò, proprietà della zia dell’autore appe-na fuori Ficarra che per F. viene puntualmen-te riflesso e “citato” nel Gattopardo, diventan-

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do una sorta di ipotesto dell’episodio che apreil romanzo di Tomasi, quando si racconta chenei terreni di Villa Salina viene ritrovato il cor-po di un giovane borbonico. Secondo la tesi diF. l’episodio reale ha un peso specifico più al-to della memoria letteraria, in particolare bau-delairiana, e della dimensione topica dell’epi-sodio, che pure è tenuta in ampia considera-zione. Attraverso questa lettura Ficarra occu-pa uno spazio riconoscibile, anche se piccolo,nell’itinerario gattopardiano e negli studi, di-ventati ormai classici, sui luoghi del romanzodi Giuseppe Tomasi di Lampedusa.Il volume è infine corredato da una galle-

ria d’immagini e da un’utile guida bibliogra-fica, oltre che da un’appendice che accogliel’intervista al professor Pietro Ferraloro, inve-stito dall’autorità di chi accompagnò Tomasidi Lampedusa nella visione di quei luoghi chehanno poi agito sulla rappresentazione lette-raria dello spazio del Gattopardo. [VeronicaRicotta]

ULLA MUSARRA-SCHRØDER, Italo Calvi-no tra i cinque sensi, Firenze, Franco Ce-sati Editore, 2010, pp. 246.

DAL SECONDO NOVECENTOAI GIORNI NOSTRI

A CURA DI RAOUL BRUNI

E ALESSANDRO CAMICIOTTOLI

CLAUDIA CROCCO, La poesia italianadel Novecento. Il canone e le interpreta-zioni, Roma, Carocci, 2015, pp. 222.

La poesia italiana del Novecento di C. rap-presenta un panorama della nostra ultima tra-dizione aggiornato e declinato su due fronti,quello del “canone”, ovvero dei rapporti di

forza fra autori e poetiche, e quello del dibat-tito critico che negli anni ha contribuito a for-marlo, modificarlo e tramandarlo. A parte leopere in sé, dunque, C. si concentra sui mag-giori agenti storicizzanti del secolo, ovvero leantologie più significative di cui è sviscerata laratio e ben compreso il contesto d’uscita, franuove proposte ed acquisizioni più o menodefinitive. Lo stesso dibattito maggiore cheha percorso e determinato il secolo è riassun-to in molti dei suoi passaggi fondamentali, co-me ad esempio nel paragrafo Dove inizia ilNovecento (p. 23) che si esercita non solo enon tanto sulla questione in sé, ma su quelmetacommentario critico che ha fatto dellasvolta verso il moderno una questione diri-mente. Leggiamo da una delle prime pagine,le più programmatiche: «Le acquisizioni cri-tiche e filosofiche degli ultimi decenni (dalpost-strutturalismo alla teoria della ricezionedi Jauss, da Foucault ai cultural studies, daSaid alle teorie sulla letteratura-mondo), ren-dono evidente che imporre modelli sarebbeanacronistico: non esiste una sola tradizione,in quanto molte e diverse sono in continuoconflitto fra loro. Tuttavia non rinunciare a in-dividuare e a discutere le premesse oggettivee soggettive del proprio discorso è, forse, an-cora possibile per porsi il problema del con-fronto con la letteratura contemporanea. Unaricostruzione di questo tipo può essere utileper discutere il senso dell’attività storiografi-ca nel presente, ma sopratutto per strapparela poesia sia alla disgregazione e alla identifi-cazione con ciò che non può essere affronta-to da un punto di vista critico, sia all’analisicome puro fatto formale proposta da alcunestoriografie recenti» (pp. 20-21).L’opera è articolata in otto capitoli, prece-

duti da un’introduzione metodologica e cor-redati da una nutrita bibliografia e un indicedei nomi. Le prime tre parti sono dedicate aun riassunto della tradizione primo novecen-tesca propriamente detta, mentre dalla quin-ta in poi si ragiona sul canone dei nati neglianni Dieci-Trenta già saldamente acquisiti,come Caproni, Luzi, Sereni, o gli autori gra-vitanti intorno alla neoavanguardia. L’ultimoscorcio del libro prova un sostanziale passoavanti confermando autori più vicini a noi co-me i già acquisiti De Angelis e Magrelli, e pro-ponendo candidati forti in Patrizia Valduga,Gabriele Frasca, Fabio Pusterla, FrancoBuffoni, Antonella Anedda, Umberto Fiori e,