LA RAGIONERIA ITALIANA 1841-1922 DA TECNICA A SCIENZA

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Università degli Studi Dipartimento di di Brescia Economia Aziendale Luglio 2007 Paper numero 63 Arnaldo CANZIANI LA RAGIONERIA ITALIANA 1841-1922 DA TECNICA A SCIENZA

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Università degli Studi Dipartimento didi Brescia Economia Aziendale

Luglio 2007

Paper numero 63

Arnaldo CANZIANI

LA RAGIONERIA ITALIANA 1841-1922DA TECNICA A SCIENZA

Università degli Studi di BresciaDipartimento di Economia AziendaleContrada Santa Chiara, 50 - 25122 Bresciatel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814e-mail: [email protected]

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LA RAGIONERIA ITALIANA 1841-1922

DA TECNICA A SCIENZA

di ARNALDO CANZIANI

Ordinario di Economia Aziendale Università degli Studi di Brescia

Versione estesa della Relazione Dalla divulgazione all'istituzione: i trattati italiani di Ragioneria 1850-1922

al Convegno 2005 AISPE Associazione Italiana per la Storia del Pensiero Economico

L'Economia divulgata: Manuali e Trattati di Scienze economiche nell'Italia liberale 1848-1922,

Lucca, 29 settembre 2005, poi in AA.VV. (a cura di Massimo M. Augello e M.E.L. Guidi),

La manualistica delle scienze economiche e sociali nell'Italia liberale, nonché <Il pensiero economico italiano>, n. 1-2006, pp. 137-152

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"La scoperta e l'affermazione dei veri

che costituiscono una scienza altro non sono che il prodotto

di tentativi empirici susseguitisi lentamente, in modo da formare

un'indefinibile stratificazione di esperienze, sulle quali soltanto

può sorgere l'edificio scientifico."

(P. BARIOLA, Storia della Ragioneria Italiana, 1897)

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Indice

1. Evoluzione e rivoluzione nella Ragioneria italiana ................................... 1

2. La ragioneria italiana dal Medioevo al 1922.............................................. 6

2.1. Le ragionerie private e pubbliche fino al 1841................................... 6

2.2. Le alternanze 1841-1922 nelle antitetiche ricostruzioni storiografiche ...................................................................................... 9

3. Gli Elementi di amministrazione e contabilità di Francesco Villa (1850) ...................................................................................................... 11

4. La Ragioneria scientifica di Giuseppe Cerboni (1886) ........................... 13

5. La transizione verso la scienza 1880-1920 .............................................. 16

6. La Ragioneria di Fabio Besta (1922)....................................................... 20

7. La scientizzazione nelle discipline orientate al fare................................. 23

7.1. Gli estremi erronei del processo: empiricismo, metafisica .............. 23

7.2. La sintesi di comprendere e di normare ........................................... 27

8. Conclusioni: la Ragioneria 1850-1922 da Fachgebiet a Kunstlehre ....... 28

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1. Evoluzione e rivoluzione nella Ragioneria italiana

Nel 1962 T.S.Kuhn propose per la storiografia delle scienze l'ermeneutica incentrata sulla diade evoluzione-rivoluzione la quale —se certo innovativa, e lucidamente tagliente— in alcuni casi tese poi ad alternare un po' forzosamente, e forse a segmentare, l'evoluzione delle dinamiche speculative speciali.

Quella diade, per sintetizzarla in poche battute, sostiene esservi nelle scienze poche e fondanti rivoluzioni scientifiche, caratterizzanti un'epoca, una disciplina, un sistema di pensiero. E poi una quantità di evoluzioni di quelle rivoluzioni, evoluzioni nel tempo sempre più organiche, totalizzanti, dogmatiche, e infine stridenti rispetto alla realtà o a nuovi elementi speculativi parziali, fino a che una ulteriore rivoluzione non giunga —ma come prevedere quando?— a conciliare nuovamente in sé i dati dell'esperienza con innovative strutture teoriche (o teorematiche).

Quella diade è comunque nota sia nel favore di cui godette all'epoca, sia nelle perplessità (e avversità) che suscitò vuoi in generale, vuoi nella varia applicazione di sé alle Natur- piuttosto che alle Sozialwissenschaften.

Le critiche si appuntarono in generale sul di lei formale, semi-schematico descrittivismo —sull'apparente appiattimento della storiografia del pensiero attorno ai suoi caposaldi, nonché sulla ricostruzione dei soli punti di svolta nei loro fattori causali e nelle loro evoluzioni più o meno continuate—, anche se si trattava in realtà d'una proposta, certo non l'unica, finalizzata alla storiografia e non al cronachismo.

Ma con riferimento alle scienze sociali le critiche si indirizzarono soprattutto all'identificazione della discontinuità quale emergente teoretico, in palese contrasto con il concetto di continuità nella storiografia come nella storia.

Erano anni infatti in cui andava di moda braudelismi variamente confusivi della storia, della cronologia e della biografia con la storiografia, i quali dunque ben le ragioni della continuità (e dell'integralità) volevano rintracciare in una visione ricostruttiva che pretendeva di risultare per questo veridica.

Erano inoltre anni di demagogia partecipazionista, e anche per questo non sempre piacque il rilievo sulla discontinuità, che avrebbe reso evidente il ruolo dello scienziato-demiurgo nei punti di svolta rivoluzionarî.

Per le scienze sociali inoltre, e per l'economia, le critiche annotarono in particolare: i) la più ardua identificabilità delle <rivoluzioni>, ii) la convivenza prolungata di approcci antitetici o complementari, iii) la durata anche lunga dei periodi di transizione, infine iv) l'eterno ritorno —talora a distanza di decenni o di secoli, sebbene in forme differenziate— di

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problemi scientifici simili o identici, e del simile modo di trattarli (e.g. dallo scetticismo al pirronismo al relativismo all'onnicentrismo).

L'intitolazione di questo primo paragrafo potrebbe dunque parere

meramente occasionale, retorica o vieux jeu: da un lato nel suo richiamo appunto così scoperto a T.S. Kuhn, dall'altro nella pretesa di descrivere con quella diade (e con le sue mende?) quasi cent'anni di storia della Ragioneria italiana.

La motivazione è tuttavia più sottile: il richiamo al plesso <evoluzione-rivoluzione> è stato prescelto programmaticamente, per i motivi —e nel significato esplicativo— di cui nel seguito.

Nella realtà fenomenica infatti, e nel pensiero che voglia indagarla scientificamente, nuovi problemi sorgono ogni giorno sia da fatti originali sia da modi innovativi di riguardare fatti consueti; così pure nuove ipotesi o modelli o teorie vengono forgiati per interpretarli, per proporre (e talora per imporre?) l'opinione dell'autore.

Al riguardo risultano indispensabili alcuni noti requisiti-presupposto, fra i quali —si dica questa forma, o in altre più sofisticate—: i) la sensatezza ipotetica, ii) la consecutività logica (coerenza, consistency), iii) la riprova empirica ove possibile, iv) la praticabilità, comprensiva fra l'altro della costruttività e della

plasticità (anche alla luce delle quali andrebbe allora discussa la normatività, e anzi il medesimo concetto di <scienza nomotetica> di Windelband).

Si riprone così, nel contempo, la distinzione fra ricerca scientifica nelle

Natur- piuttosto che nelle Sozialwissenschaften, vuoi perché quei fattori si pongono in modo notoriamente differenziato nelle une e nelle altre, vuoi perché —ad esempio— la consecutività per algoritmi è solo una fra le tante forme della coerenza: sostengono il contrario —per ignoranza? per dolo?— solamente gli alfieri dell'onni-scientismo (fra cui alcuni matematici fuori-campo), i nipotini ingenui di Ludwig Wittgenstein, i popperiani ignari di Popper, et sim.

Nel campo infatti delle scienze della natura —per limitarsi a un punto— le generalizzazioni, le teorie, ed infine le leggi possono-debbono venire riscontrate dinanzi al tribunale i) dell'esperimento, ii) della conferma osservativa: è questa la lezione —da ultimo— della falsificabilità popperiana ove benintesa, giacché persino nelle Naturwissenschaften non tutte possono sperimentare (si pensi ad esempio all'astronomia alla

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meteorologia1), oppure consentono sì l'esperimento, ma in termini perennemente incerti riguardo al significato da attribuirsi agli esiti dello stesso (si rifletta alla fisica sub-atomica).

Viceversa, nel campo delle Sozialwissenschaften occorre vagliare a quale riprova —anche nel senso di Bewährung— debbano venire sottoposte le nuove ipotesi speculative.

Vi sono infatti scienze sociali —tipicamente descrittivo-interpretative, né solo storiografiche, fra le quali l'Estetica, la Teoria Generale del Diritto, le Sociologie— ove la vis teoretica cerca la propria riprova nelle comunità accademiche e generalmente nelle persone colte, fino in alcuni casi a proporsi come Spirito del Tempo, se non addirittura a divenire integrale Weltanschauung con le eventuali ricadute pratiche che ciò possa comportare (inclusa la più o meno ampia normatività).

Tale fattispecie pare specialmente vera per l'Economia Politica ove —come per i newcomers nei settori oligopolistici—, le teoresi innovative sono accettate, rigettate o accantonate in dipendenza della propria validità intrinseca o apparente, ma non di meno in funzione della cogenza, diffusione, monolitismo e auto-difensività dei paradigmi accettati, delle vulgatae in corso; e inoltre di più generali fattori spirituali, e politici.

Così, occorsero talora anni (o decenni) a <idee nuove> per divenire a propria volta paradigmi, per non parlare delle verità rifiutate o dimenticate nel tempo: è la storia nota delle proposte marxiane, delle scuole storiche tedesche, dell'economia 'pura', degli autori marxisti da v. Bortkiewicz alla Luxemburg, della rivoluzione keynesiana e così via. Tale lento rinnovamento —che si declina poi anche nelle forme pratiche della Politica Economica— veniva del resto quasi cent'anni fa stigmatizzato dalla nota osservazione di J. M. Keynes relativa alla schiavitù dei politici —in campo economico— rispetto alle idee di economisti da tempo defunti.

Ma nel campo delle scienze economiche vi sono poi forme conoscitive —dapprima tecniche cioè Arti nel senso cinquecentesco del termine— in cui la riprova è, in primo luogo, nella maggiore o minore adeguatezza alla

1 Cfr. Franz BAUR (Emerito, Università di Francoforte sul Meno), in particolare:

• Schwankungen der Solarkonstante, <Zeitschrift für Astrophisik>, 1932, pp. 180-189; • Über die grundsätzliche Möglichkeit langfristiger Witterungsvorhersagen, <Annalen

der Hydrogeographie und maritime Meteorologie>, 1-1944, pp. 15-25; • Zürückführung des Großwetters auf solare Erscheinungen, <Archiv für Meteorologie,

Geophysik u. Bioklimatologie>, 1949, pp. 358-374; • Physikalisch-statistische Regeln als Grundlagen für Wetter- und

Witterungsvorhersagen, Frankfurt a. M., Akademische Verlagsgesellschaft, 1956-58, 2 vv., con bibliografia veramente germanica e rinvìi da E. DORMOY (1874 e 1878) in poi;

• Großwetterkunde und langfristige Witterungsvorhersage, ib., id., 1963

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soluzione dei problemi pratici cui esse sono rivolte, in alcuni casi tali problemi manifestando anche potente impatto sociale. E' il caso, fra le altre, delle tecniche contabili (inizialmente aritmetico-computistico-contabili), dunque delle contabilità vuoi private, vuoi d'impresa (comprese le attività bancarie e assicurative), vuoi infine pubbliche e di Stato.

Relativamente ad esse, un problema sostanziale risiede nell'essere state per centinaia d'anni ritenute <pratiche> nel senso di mere meccaniche, disprezzate come nel manzoniano "fate luogo vile meccanico", dunque nel generale disinteresse, subordine o trascuratezza da parte delle comunità intellettuali (e talora politiche).

Ora, il problema che le concerne è che esse purtroppo possono venire condotte in tante guise a seconda delle premesse e dei principî (appunto metodologici se non propriamente scientifici) che le guidano; ma nel contempo che —a seconda di tali guise, cioè dei proprî presupposti— diverse sono le conseguenze pratiche che ne derivano, i risultati ultimi che le esprimono, gli effetti sociali che ne derivano. Parafrasando Carl Schmitt si potrebbe dunque dire non v'è scelta tecnica che non sia, prima ancora, scelta squisitamente scientifica.

Il disinteresse-subordine-trascuratezza citati manifestavano dunque —fra le altre— la conseguenza negativa di rendere i fruitori di esse prigionieri impotenti di risultati dall'ottenimento misterico, apparentemente mutevoli ad nutum.

Così, ad esempio nel campo ragioneristico, si coronava la condiscendenza citata dichiarando evidentemente trattarsi non di tecniche differenziate, ma palesememente di fantasie, l'una fungibile all'altra.

Tali comportamenti, mentre accentuavano il discredito sociale (nonché una soggezione alla tecnica che ci si rifiutava peraltro di riconoscere), impacciavano o impossibilitavano inoltre il progresso di queste stesse tecniche, le quali invece —una volta discusse, dibattute, migliorate, perfezionate— potessero addivenire a stadî sistematizzati criticamente, i.e. scientifici.

Occorrono infatti a tal fine lunghi periodi di accumulazioni empiriche, poi momenti di riflessione svolti con l'(auto)coscienza di astrarre, quindi ancora la riprova e la correzione empirica delle teorie formulate, infine il perfezionamento di esse. Si tratta di una storia, di una metodologia —e di una storiografia della scienza— che il lettore ben conosce, dai ragni e le formiche di Bacone al metodo sintetico di Benedetto Croce. Ma si tratta nel contempo (piaccia o non piaccia) dell'indefettibile —ricordava ad esempio De Ruggero— ruolo dello spirito (der Geist) in tale processo, dunque ancora una volta dello scienziato-demiurgo autore —o catalizzatore— delle citate rivoluzioni.

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Forse per questo suggeriva Maffeo Pantaleoni che la storiografia del pensiero dovesse appunto svolgersi attorno alle teorie esatte o ancora sub judice, lasciando opportunamente da banda la folla delle infondate, imprecise, incomplete, inesatte2.

Al fine indicato un'operazione dunque occorreva ed occorre in via previa: sgombrare il campo dalla folla ora detta, in particolare dalle trattazioni [per riprendere alcuni dei punti i)-iv) supra]: a. falsamente teoriche, giacché fondate su a-priori inesatti o modellistici o

ottativi o deontologici (o altro) quale effetto dell'intellettualismo: in una parola anti-realistici, dunque particolarmente gravi (insensati?) in campi di applicazione;

b. falsamente empiriche, giacché fondate su a-posteriori inesatti, o casuali, o effimeri, o non-rappresentativi (o altro) — in una parola falsamente pratici quale effetto della disgregazione empiricista;

c. falsamente sintetiche, giacché fondate su combinazioni inesatte o approssimative di empiria e teoresi, quand'anche singolarmente ben definite — in una parola eclettiche quale effetto di ridotte capacità sintetiche, dell'ansia di dettare modelli e ricette, dell'incompleta conoscenza del perimetro e del campo scientifici3 (con il che —per giunta— erroneamente costruttive, forzosamente plastiche).

Se si potesse dunque scrivere esaustivamente la storia della Ragioneria italiana moderna utilizzando la diade evoluzione-rivoluzione —in questa certo comprendendo i dibattiti, le frizioni, i contrasti, le transizioni sofferte, il tramontare di problemi anche irrisolti, e il ritornare (mutato o dimentico) di altri già a loro tempo risolti— si potrebbero forse identificare i periodi seguenti4:

2 M. Pantaleoni, Dei criteri che devono informare la storia delle dottrine economiche,

Prelezione al corso di economia del semestre 1898-99 nell'Università di Ginevra, in <Giornale degli Economisti>, 1898, poi in Erotemi di economia, Bari, Gius. Laterza e Figli, 1925, vol. I, pp. 222-258, specialomente alle pp. 222-227

3 Cfr. La strategia d'impresa nelle sue fondazioni critiche, in AA.VV., Studi in onore di Isa Marchini, Milano, F. Angeli, 2006, pp. 559-590

4 Tale scansione, per quanto convenzionale, è stata dapprima proposta nel lavoro Concern Economics and Business Policy in Gino Zappa's Thought, in AA.VV., Gino Zappa Founder of Concern Economics ― Papers for the Hundredth Anniversary of his Birth, Bologna, AIDEA, 1980, pp. 209-230.

L'<eterno ritorno> citato è forse ancor più vero nel campo speciale delle Ragionerie, ove il dibattito perennemente riaperto (o le frizioni empiriche e politiche) fra e.g. i) misure dirette o secondarie, ii) Patrimonio o Reddito, iii) costi originarî o presenti, iv) teorie dell'entità o della proprietà nei bilanci consolidati, v) bilanci pubblici di cassa o di

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a) sistemi empirici di partita doppia, dal tardo Medio Evo alla fine del secolo XVIII;

b) diffusione degli approcci detti Cinquecontisti dei due Luigi De Granges padre e figlio (dal Regno d'Italia napoleonico), e nel contempo delle innovazioni di Francesco Villa (dal 1841) sostanzialmente fino a Cerboni (prima metà del secolo XIX);

c) rivoluzione di Giuseppe Cerboni, dal 1873 alla fine del secolo XIX; d) rivoluzione di Fabio Besta (la c.d. Scuola di Venezia) dalla fine del

secolo XIX agli anni Venti del secolo XX.

Dopo questi viene in campo la prima rivoluzione zappiana intesa quale rivoluzione del reddito (1920-1929-1937)5, la quale a propria volta si riverserà nella seconda, dell'Economia aziendale; ma sono questi un periodo —e una serie di problemi— che debordano dal presente saggio.

2. La ragioneria italiana dal Medioevo al 1922

2.1. Le ragionerie private e pubbliche fino al 1841 L'origine della contabilità in partita doppia in Italia è tema tuttora

dibattuto e irrisolto, alcuni Autori attribuendone le origini alle operazioni delle Repubbliche Marinare (in ispecie Genova e Venezia), altri sottolineando viceversa il ruolo delle potenze territoriali quali Firenze, e la Lombardia6.

Il primato italiano nel campo della <scrittura doppia mercantile> è comunque ben noto dal punto di vista tanto pratico quanto scientifico, giacché le (proto)teorizzazioni vanno fatte risalire a Leonardo Fibonacci pisano e ad altri, fra i quali un successore —conosciuto nell'universo anglosassone—, Luca Paciolo7.

competenza costituiscono soprattutto una storia di alternate rivoluzioni epistemologiche in Italia come all'estero

5 Cfr. G. ZAPPA, Il Reddito, Milano, Istituto Editoriale Italiano, 1920-1929; 2a edizione, Milano, Giuffré, 1937

6 V. ALFIERI, La partita doppia applicata alle scritture delle antiche aziende mercantili veneziane, Torino, Paravia, 1891; F. MELIS, Storia della ragioneria, Bologna, Zuffi, 1950; T. ZERBI, Le origini della partita doppia, Milano, Marzorati, 1952; T. ANTONI, Sulle origini del bilancio nelle aziende del sec. XIV in Pisa, <RIREA>, 1973; V. MASI, La ragioneria nell'età medievale, Bologna, Tamari, 1975; U. TUCCI, Tra Venezia e Firenze le scritture contabili, <Studi veneziani>, n. 15-1994

7 T. ANTONI, Leonardo Pisano detto il Fibonacci, matematico e ragioniere, in AA.VV., Atti del Quarto Congresso Internazionale di Storia della Ragioneria, Pisa, Cursi, 1984; P. BARIOLA, Storia della Ragioneria Italiana, Presso l'Autore, 1897, pp. 47-86; V. GITTI, Trattato de' computi e delle scritture di Fra Luca Paciolo, Torino, 1878; V.

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Anche la natura e la dinamica dei successivi contributi di Ragioneria generale —fino ai primi decenni del secolo XIX— sono, almeno a oggi, relativamente pacifiche in dottrina. Sulla base delle conoscenze storiografiche attuali, infatti, i secoli successivi al decimoquinto —in particolare dopo il Trattato di Chateau Cambresis (1559)— rappresenterebbero un periodo di decadenza economica e socio-politica che influenzò anche le teorie ragioneristiche.

Al riguardo occorrerà però distinguere la Ragioneria c.d. privata rispetto alla Ragioneria pubblica.

Per quanto riguarda quest'ultima, gli sviluppi teorico-pratici del <metodo italiano> di scrittura doppia risultarono accentuati in Gran Bretagna (1584), Francia (Sully, 1596, e poi Colbert, 1661), Olanda (1607-1609), mentre l'Italia —dice la letteratura— ne proseguiva (ab antiquo?) l'applicazione empirica, in Sicilia con i Tesorieri Generali (dai secoli XIV-XV), a Firenze con Pier Soderini (1510), a Venezia con i Razonati (sistematicamente dopo il 1540)8.

Ma quegli sviluppi stranieri risultarono comunque ondulari, se l'Impero Austro-Ungarico (e la Spagna) adottava ancora nel secolo XVIII —nei suoi dominî, fra i quali il Lombardo-Veneto dal 1814— la scrittura camerale (Kameral Rechnungsfusse), poi rinnovata nel 1762 (la quale contrapponeva gli aumenti dati dagli introiti alle diminuzioni date dai pagamenti, distinguendo tramite rubriche i primi per provenienza, le seconde per destinazione), mentre dal 1792 eran tornati alla scrittura semplice Gran Bretagna, Olanda e Stati Uniti. La Francia aveva viceversa riordinato la Ragioneria Pubblica in particolare nel 1807 (ministero Mollien), estendendola alla Repubblica Cisalpina poi regno Italico (ministero Prina), e a Napoli con Murat. L'insieme spiegherà quindi la migliore sistematizzazione relativa della Ragioneria pubblica, radicata ab antiquo

VIANELLO, Luca Paciolo nella storia della ragioneria, Messina, Libreria Internazionale, 1896; A. RIERA, Saggio sul Trattato de Computis et Scripturis, Siracusa, 1938; C. ANTINORI, Luca Pacioli e la Summa de Arithmetica, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1994; AA.VV., Atti del Convegno Internazionale straordinario per celebrare Fra' Luca Pacioli, Milano, Ipsoa, 1995; G. CALZONI, G. CAVAZZONI, Luca Pacioli 'Tractatus matematicus ad discipulos perusinus', Città di Castello, Deltagrafica, 1996.

In tale bibliografia —passim— anche le ipotesi dubitanti relativamente all'originalità del Paciolo, mentre sull'eventuale debito nei confronti del Cotrugli cfr. AA.VV., Dubrovčanin Benedikt Kotruljević, Zagabria, Stoljeća, 1996. Si danno infine per note le ipotesi di origini classiche —romane— delle scritture doppie (le rationes quadratae di Cicerone, ma il luogo è dubbio), come pure dei contributi indiani, musulmani, e perfino vikinghi alla contabilità e al bilancio

8 F. BESTA, Lezioni di Contabilità di Stato, Venezia, 1891; cfr. inoltre la n. (9)

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nelle singole ragionerie pre-unitarie, e nondimeno nelle contabilità camerali9.

Le contabilità private e d'impresa erano viceversa declinate seguendo in modo semi-meccanico teorie ormai antiche, eminentemente patrimonialiste (dal Pietra, 1586, al Flori, 1636, Ventura, 1655, Zambelli, 1671, Breglia, 1751, Scali, 1755, Forni, 1790)10.

In tema di Ragioneria privata occorrerà dunque giungere —per avere un riferimento standard di tipo teorico-pratico— al trattato (diciamo così) dei due De Granges padre e figlio, La tenue des livres, il quale riandava in ultimo al Savary11, e che risultò dominante soprattutto nelle regioni dell'Italia settentrionale. Il lavoro è di prevalente contenuto empirico, e forse per questo diffuso, adottato, e continuamente ri-pubblicato: nasce da esso la <teoria dei cinque conti> necessarî e sufficienti per la tenuta della contabilità, donde anche l'appellativo di Cinquecontisti per gli utilizzatori e gli adepti della stessa.

Si tratta d'altra parte del primo periodo connotabile per la presenza di un <paradigma> organico a improntare di sé teoria e pratica: diffuso dalla Francia con Napoleone all'inizio del secolo XIX, ne dominò la prima metà (come si diceva soprattutto nell'Italia settentrionale) per intuibili ragioni politiche ma, nondimeno, per irrefragabili ragioni pratiche. Fra queste soprattutto la semplicità (elementarità?) di un piano dei conti acceso a 5 elementi, peraltro adatto alla dimensione media nonché ridotta complessità delle imprese del tempo. Semplicità-elementarità le quali, tuttavia, malamente ne sostenevano la struttura teoretica: le fondazioni d'un sistema contabile <cinquecontista> erano sostanzialmente pseudo-scientifiche.

9 Cfr. inoltre M. CORRADINI, Origini e sviluppo degli ordinamenti contabili e

finanziari della Monarchia di Savoia, 1890; P. RIGOBON, La Contabilità di Stato nella Repubblica di Firenze e nel Granducato di Toscana, 1891.

L'Impero Austro-Ungarico, oltre alle cattedre di Contabilità nelle I.R. Università di Vienna, Pest, Praga, Lemberg, ne istituì a Pavia (1839) e a Padova (id.). A Pavia fu titolare Francesco Villa dal 1842 al 1859 (cfr. § 3.); a Padova Antonio Tonzig dal 1839 al 1866; cfr. A. TONZIG, Trattato della Scienza di Amministrazione e di Contabilità privata e dello Stato, 1857.

10 Cfr. e.g. P.Bariola, op. cit., pp. 384-428, per la commemorazione di questi e d'altri Autori

11 E. DEGRANGES, La tenue des livres, Parigi, 1795. Cfr. F. MARCHI, I Cinquecontisti, ovvero la ingannevole teoria che viene insegnata negli Istituti Tecnici del Regno e fuori del Regno, intorno al sistema della scrittura a partita doppia, e nuovo saggio per la facile intelligenza e applicazione di quel sistema, Prato, 1867; F. PODDIGHE, Dai cinquecontisti a Francesco Marchi, Pisa, Cursi, 1973

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2.2. Le alternanze 1841-1922 nelle antitetiche ricostruzioni storiografiche

Rilevante anche dal punto di vista scientifico, e dei Trattati, risulta viceversa il periodo grosso modo 1841-1922 il quale peraltro —si tratti di Ragioneria pratica, professionale, e infine 'scientifica'— risultò, dal punto di vista storiografico, meno ricco di trattazioni sistematiche fino ad anni ben recenti12.

Contribuirono a tale situazione una pluralità di fattori, fra i quali si possono ricordare di volata i principali seguenti:

1. lo svolgersi della Ragioneria italiana, nel periodo 1880-1970 circa, per fasi alternate di antitetiche rivoluzioni (cerboniana; bestana; zappiana), in climi di aperta polemica cui ciascuna contribuiva con le sue coorti di oppositori, apostoli, corifei, polemisti, fino al fatale degrado; dunque per vie che naturaliter scoraggiavano o difficoltavano il momento puramente storiografico quale ricostruzione —neutrale almeno negli intenti— dei Grundlagen (e delle tecniche) degli uni e degli altri;

2. il radicarsi dell'ultima di quelle, la rivoluzione zappiana, nel sistema di pensiero —se variegato e complesso e mutevole nel tempo—, però sostanzialmente del positivismo secondo o critico (circa 1900-1920), dunque nel largo disinteresse per l'analisi storiografica anche a causa del suo svolgersi metodologico nell' <eterno presente>; quindi con lo spiacevole oblìo dell'interesse storiografico che era stato di Cerboni, ma poi soprattutto di Fabio Besta e della sua Scuola;

3. da ultimo, infine, il declino delle scuole zappiane; l'isolarsi dell'approccio storiografico —però speciale— nelle scuole torinesi e toscane; e a muovere dagli anni '70 del secolo XX la generale esoteromania, se tematicamente opportuna e talora dovuta, però condotta in modi generalmentre acritici nel generale declino del pensiero speculativo, con l'appiattirsi così sul <senso scientifico> prima inglese poi statunitense svolti essi pure, di norma, nell' <eterno presente>.

Dal punto di vista interpretativo occorre quindi rifarsi i) alle ricostruzioni sistematiche ottocentesche fino al noto, sempre importante Bariola (1899) e ai suoi contemporanei, ii) ai contributi del dibattito (e degli scontri) fra

12 Soprattutto rispetto al crinale fine XIX-inizî XX, cfr. G. CERBONI, Elenco delle

opere di Contabilità pubblicate in Italia dal 1202, Roma, 1882; F. VITALE, Storia della Ragioneria in Italia dalle origini ai nostri tempi, Aversa, Fabozzi, 1896; P. BARIOLA, Storia della Ragioneria italiana, op. cit.; E. LUCHINI, Storia della ragioneria italiana, Milano, 1898; G. BRAMBILLA, Storia della ragioneria italiana, Milano, Boriglione, 1901; G. GERMANI, La ragioneria come scienza moderna, Torino, Bocca, 1914

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scuole cerboniane e bestane, grosso modo 1890-1915; iii) ai contributi storiografici, però speciali, proprî delle stesse scuole bestane fino agli anni Trenta del secolo XX; infine iv) alle rilevanti rassegne più recenti13.

Ma per alcuni decenni, la vulgata sul tema parve costituita —con riguardo grosso modo al periodo 1850-1950— da due principali ricostruzioni storiografiche di tipo sistematico, le Discipline economico-aziendali: oggetto e metodo di Pietro Onida (1951), le Attuali tendenze delle dottrine economico tecniche italiane di Egidio Giannessi (1954).

Ambedue autorevoli, quelle erano peraltro svolte in modi altamente differenziati —e nell'insieme antitetici— vuoi per convincimenti personali, vuoi per l'interesse ad altrettanto differenziate e antitetiche auto-rappresentazioni di scuola. Esse paiono perennemente rilevanti non solo tematicamente, ma soprattutto per quanto sono oggi a propria volta venute a significare dal punto di vista della storiografia del pensiero, e inoltre delle metodologie proprie delle scienze sociali di applicazione.

Ambedue fanno inconscio(?) ricorso a una periodizzazione alternata, del tipo appunto <evoluzione-rivoluzione>, peraltro (e semplificando assai):

• Onida rintracciando le componenti e le proposte di tipo economico-aziendale sin dal primo loro sorgere, e per questo retrocedendo fino a precursori (proto-precursori?) fra cui Villa; restringendo-respingendo le pur esistenti estensioni del perimetro della Ragioneria come velleitarie o malfondate; e in generale ascrivendo l'Economia aziendale (e la Ragioneria migliore) alle scuole lombarde Villa (Pavia)-Besta (nativo di Sondrio)-Zappa (Milano);

• Giannessi al contrario sostenendo e accentuando le ragioni della Ragioneria, restringendo l'Economia aziendale alla sola economia delle imprese, radicandola negli sviluppi (recenti e meno) di lingua tedesca, riconducendola semmai per l'Italia nell'alveo della Ragioneria, e se a Zappa però in particolare agli antecedenti toscani, fra i quali specialmente l'ultimo Cerboni.

Se le anteposizioni erano dovute a motivi storici e intellettuali, esse derivavano non di meno da influenti né sempre percepite <ragioni di scuola>, se anche partigiane comunque necessarie all'epoca dal punto di

13 G. MAZZA, Premesse storico-sistematiche agli studi di ragioneria, Milano, Giuffré,

1968; S. PEZZOLI, Profili di storia della ragioneria, Padova, CEDAM, 1977; R. FERRARIS FRANCESCHI, Il percorso scientifico dell'economia aziendale, Torino, Giappichelli, 1994; E. PERRONE, La ragioneria e i paradigmi contabili, Padova, CEDAM, 1997; L. SERRA, Storia della ragioneria italiana, Milano, Giuffré, 1999; M. COSTA, Le concezioni della ragioneria nella dottrina italiana, Torino, Giappichelli, 2001; C. PRIVITERA, Origine ed evoluzione del pensiero ragionieristico, Milano, Giuffré, 2003

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vista sia dell'auto-rappresentazione sia dell'ascrizione. Esse inoltre derivavano da accentuati regionalismi, travasati perfino nel campo puramente ricostruttivo della storiografia del pensiero.

Quest'ultimo influsso potrebbe apparire oggi eteroclito o curioso se non ricordassimo la cultura fortemente regionalistica dell'Italia antecedente il boom e le migrazioni interne, regionalità rappresentabile fra l'altro a) nella poesia, nel teatro, nella canzone, nella culinaria; b) nel dibattito letterario degli anni Trenta in tema di <lingua italiana>, e di radicamento fiorentino (ma successivamente romano) della stessa; infine c) nella letteratura (specie minore) del Novecento e infine nella radiografia di Guido Piovene nel Viaggio in Italia.

Ma quell'influsso regionale è ben noto agli studiosi anche relativamente ad altri campi: pur senza riandare all'effettiva antitesi Leonardo-Michelangelo, non è forse vero che, come la ricostruzione storiografica delle origini della partita doppia e della sistematica informativo-contabile veniva fatta risalire a Firenze da Melis (in Firenze), a Venezia da Besta (in Venezia), infine alla Lombardia da Zerbi (in Milano), così la <pittura italiana> era fiorentina per Berenson, tosco-emiliana per Longhi, bolognese o romana per Zeri?

Più ampiamente, non sono forse regionali fino alla miopia, veramente parochial, le ricostruzioni correnti nel mondo relativamente della storiografia del pensiero economico, vulgatae di marca inglese che ignorano usualmente le scuole continentali, in particolare tedesche ed austriache (non parliamo delle italiane)? e così pure regionali i tanto vantati approcci auto-denominati oggi <internazionali>, riferiti in realtà a porzioni ristrettissime delle sole nazioni angloparlanti?

Fortunatamente, le generazioni presenti muovono ormai da premesse storiografiche ricostruttivamente neutrali, dovute forse più al tempo intercorso, e a uno <Spirito del tempo> di contrasti sopiti, che non al merito personale. Quelle premesse, già variamente anticipate altrove, sono state anzi consentite proprio dalle diatribe storiografiche e metodologiche ricordate, giacché tante volte sono ben la tesi-antitesi a consentire le sintesi risolutive, e così il cumularsi di felici vantaggi. L'esito di quelle premesse viene sinteticamente delineato nel seguito.

3. Gli Elementi di amministrazione e contabilità di Francesco Villa (1850)

Francesco Villa (1801-1884) pubblica nel 1841 l'opera La contabilità applicata alle Amministrazioni private e pubbliche; è docente di Contabilità di Stato all'Università di Pavia nel 1843; pubblica infine i fondamentali

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Elementi di amministrazione e contabilità, in prima edizione nel 1850 fino alla sesta del 187814.

Il lavoro è di rilievo —non stupisce sia stato prescelto quale caposaldo da Pietro Onida— e per struttura e per contenuti, i quali si articolano come segue (esaminando i quali occorre poi sempre riflettere ammirati al trattarsi della metà del secolo decimonono).

La gestione d'impresa è studiata e inquadrata da un plesso disciplinare, composto di Ragioneria e di Amministrazione.

La prima —sgombratone il campo dalla parte meccanica relativa alla <tenuta dei registri>, parte che egli denomina innovativamente computisteria— è sostanzialmente assimilabile alla contabilità; la seconda è viceversa relativa al <governo amministrativo delle aziende>, articolate nelle categorie delle i) domestiche, ii) rurali, iii) manifatturiere, iv) commerciali.

Più in particolare:

• i conti —accessi a persone o a beni— esprimono i valori d'azienda, e sono raggruppati in periodici rendiconti derivati da sistemi tenuti in partita doppia per tutte le imprese, anche per le divise; le valorizzazioni sono da completarsi periodicamente con inventari eretti se necessario su processi di stima (relativa dunque a valori anche futuri);

• l'amministrazione —che deve conservare-incrementare il patrimonio, e nel contempo mirare al reddito— va fondata anche su previsioni, le quali non escludano aprioristicamente il presentarsi di eventuali perturbazioni;

• essa si erige poi soprattutto su calcoli e principii di convenienza, primo fra questi il principio del <minimo mezzo>;

• le funzioni ricordate sono svolte dall'intera organizzazione amministrativa, mentre il controllo è deputato a organi dalle competenze speciali, i quali pongano in essere procedure di revisione.

Nell'ambito di quel plesso dunque, ove l'amministrazione svolge l'attività economica per il tramite dell'organizzazione, fondamentale risulta comunque il ruolo della Ragioneria quale momento tecnico di controllo dei risultati, e pertanto anche dell'azione dell'amministrazione nei suoi effetti sul patrimonio:

14 C. CARAMIELLO, Previsioni e prospettive nell'opera del Villa, Pisa, Cursi, 1965;

R. FERRARIS FRANCESCHI, Aspetti evolutivi della dottrina economico aziendale: Francesco Villa, Pisa, Cursi, 1970

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"La piena conoscenza della tenuta dei conti e registri costituirebbe la conoscenza dell'arte del computista; ma non sarebbe sufficiente per un contabile, un ragioniere, un amministratore e simili i quali —essendo destinati non solo alla tenuta dei libri ma alla censura dei rendiconti da questi libri desunti—, non potrebbero avere un criterio per giudicare i risultati di una amministrazione della quale non conoscessero precisamente la natura, i dettagli, le norme, le leggi e le consuetudini che la reggono".

4. La Ragioneria scientifica di Giuseppe Cerboni (1886)

Nell'ambito degli studiosi toscani, ruolo di precursore viene da taluni assegnato a Francesco Marchi (Pescia, 1822-1871), che pubblica nel biennio 1867-68 lavori di critica anti-degrangiana, per proporre poi una sua teoria personalistica dei conti. Il suo ruolo pare tuttavia a chi scrive complementare, vuoi per l'incompletezza degli svogimenti dovuti anche alla prematura scomparsa, vuoi per il declinarsi degli stessi in tempi coevi a Giuseppe Cerboni (Elba, 1827-1917), il vero rinnovatore della Contabilità di Stato —e della contabilità tout-court— alla metà del secolo XIX15.

L'idea fondante della teoresi di Giuseppe Cerboni è di (ri)formulare un personalismo così assoluto nei conti della partita doppia da poterli riferire sempre ed esclusivamente a persone, non importa se fisiche o giuridiche. Così, attività e passività possono-debbono risultare immediatamente riferibili a diritti e obbligazioni individuali, con colonne speciali per le differenze, i.e. i risultati. L'intera costruzione, se si declina contabilmente, rappresenta però non di meno il momento giuridico, tanto da poter dare origine a una sorta di "diritto contabile" (1873)16.

La natura di tale innovazione —una rivoluzione nel senso proprio, certo dalla crescente complessità applicativa— avrebbe potuto poi addurre all'unificazione contabile a livello sia inter-aziendale sia —una volta applicata alla Contabilità dello Stato— a livello internazionale: il fondatore le attribuì il nome nuovo di Logismografia.

La rivoluzione cerboniana, che prese luogo grosso modo dopo il 1870 e che possedeva gli indubitabili pregî ricordati, eliminò gradualmente tutte le applicazioni di origine francese, risultando inoltre di rilievo fondamentale

15 Dipendente dei servizî amministrativi dell'Amministrazione militare toscana (dal 1843), poi dipendente del Ministero della Guerra (dal 1859), è artefice sostanziale della legge 22-IV-1869 relativa alla Contabilità di Stato; propone i Primi saggi di logismografia (1873); è promosso Ragioniere Generale dello Stato, e ottiene che la logismografia divenga il modello per la contabilità del Regno (D. 15-VI- 1877). Su Cerboni recentemente Antonio AMADUZZI, L'attualità del pensiero di Giuseppe Cerboni, Quaderni Monografici RIREA n. 6

16 G. CERBONI, Primi saggi di logismografia, Firenze, La Minerva, 1873

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—nella storia e nella storiografia della Ragioneria italiana del secolo XIX— per due ragioni speciali.

In primo luogo, grazie anche al ruolo pubblico del suo fondatore, la Logismografia —proposta e successivamente imposta— fu adottata quale sistematica contabile delle amministrazioni pubbliche.

In secondo luogo essa venne considerata contributo specificamente italiano, mezzo e modo per affermare il riscatto nazionale nelle tecniche e nelle scienze così come era già avvenuto dal punto di vista politico con il passaggio dagli Stati regionali all'Italia unita nel 1860.

Suddivisa dunque la gestione in esercizio economico ed esercizio finanziario, Cerboni contrappose in ciascuna il conto dell'Azienda e il conto acceso al Proprietario; introdusse poi la classe delle permutazioni <per i movimenti dell'asse patrimoniale>, in modo che i conti differenziali accogliessero le rendite e spese e la loro sintesi (i citati risultati).

Innovativa e interessante anche per i motivi detti più sopra, quale impianto contabile la logismografia diveniva tuttavia materialmente ardua —soprattutto all'aumentare delle dimensioni d'azienda— dal punto di vista a) del convenzionalismo, b) della materialità scritturale, giacché il passaggio dalla forma descrittiva alla sinottica17, se organicizzava il sistema, tuttavia ne rendeva via via crescente la complessità a causa dell'insistito personalismo dei conti.

L'approfondirsi analitico delle operazioni richiedeva infatti di individuare ogni volta responsabili-persone (fossero debitori, consegnatarî o altro), mentre ogni conto, sottoconto o partita veniva appunto sdoppiato e via via ripartito ma sempre con riferimento a persone e non a valori. Il piano dei conti diveniva —per le grandi amministrazioni— di complessità ardua da gestire; le procedure del piano dei conti, semplici dal punto di vista del principio generale, si rivelavano in realtà assai minuziose e complesse dal punto di vista delle applicazioni.

Tuttavia, grazie anche alla mai interrotta riflessione cerboniana, la logismografia tese a evolvere negli anni, approfondendo le proprie teoresi e venendo a costituire il momento rilevativo di un perimetro più ampio, fino a un'autonoma e onnicomprensiva teoria dell'impresa.

Punto di svolta fu probabilmente costituito (1878-1882) dall'individuazione delle funzioni amministrative, e inoltre della legge della loro similarità "in ogni sorta di Aziende, dalle massime alle minime":

17 G. CERBONI, La partita doppia sinottica, nuova scienza dei Conti, Roma, 1872;

Primi saggi di logismografia, Firenze, 1873; cfr. inoltre M. RIVA, Dell'insufficienza dell'attuale computisteria di Stato, e della necessità di riformarla, secondo i principî della Logismografia, 1875; C. BELLINI, La Logismografia e le sue forme, ovvero la teorica delle scrittura secondo il metodo razionale, 1883

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venivano così definiti —diremmo oggi— processi gestionali (o più limitatamente amministrativi?) i quali i) ampliavano il perimetro della Ragioneria, ii) la rendevano analiticamente, traslativamente applicabile alle aziende di ogni ordine e grado18. Tuttavia, anche per ragioni temporali e speculative, la logismografia tese a farsi sistematica nelle premesse e poi a desiderare di ampliarsi —non senza conseguenze— proprio negli anni in cui cominciarono a comparire —antitetiche— le edizioni via via successive della Ragioneria di Fabio Besta

Frutto di quella ampliata riflessione risultò infine La Ragioneria Scientifica e le sue relazioni con le discipline Amministrative e Sociali19. In questa la Ragioneria è proposta come <scienza dell'amministrazione dell'azienda>, ramo dell'umano sapere connotato dai fini immediati (e mediati) che essa si pone (1892).

I fini sono conoscitivi —teorici prima e pratici poi—, e non di meno pedagogici:

i. elaborare i principî e le norme relative alle applicazioni della Ragioneria;

ii. definire norme e strumenti d'azienda ai fini della costituzione, regolazione, e raggiungimento degli obiettivi,

iii. statuire un insieme di principî direttivi tramite i quali gli amministratori possano adempiere alle proprie funzioni,

iv. presentare alla didattica e ai pedagogisti gli elementi e i principî economico-aziendali appropriati a ciascuna condizione sociale.

L'amministrazione economico-aziendale si situa dunque all'incrocio, e nella crasi, fra azienda e Ragioneria.

Se infatti l'azienda si declina nel suo incardinamento storico, nelle condizioni esterne, e infine nella struttura dei suoi svolgimenti, l'amministrazione deriva dall'applicazione all'azienda delle funzioni amministrative, culmine dei contenuti della Ragioneria eretto prima sulla computisteria e successivamente sulla contabilità.

18 Le funzioni erano così suddivise: INIZIATIVE (1° Concepimento e ordinamento

dell'azienda, 2° Ricognizione, custodia e valutazione della sostanza, 3° Previsione dei redditi e delle spese); ESECUTIVE (4° Accertamento dei redditi, 5° Riscossione dei redditi, 6° Destinazione dei redditi, 7° Decisione, eseguimento e liquidazione delle spese; 8° Preparazione al pagamento delle spese; 9° Pagamento delle spese); CONCLUSIVE (10° Rendimento di conti, 11° Riscontro e sindacato, 12° Sanzione)

19 Roma, Loescher, 1886-1894, 2 volumi

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La transizione dalla Ragioneria all'economia dell'impresa —rilevante sia in sé, sia perché anticipa in un senso Gino Zappa— veniva basata sui principî seguenti (Cerboni, 1894):

a. la Ragioneria è la scienza dell'amministrazione aziendale; b. come scienza, essa si compone di quattro branche, i) computisteria

(applicazione della matematica ai fatti amministrativi), ii) logismografia (studio sistematico dei fatti amministrativi, del loro trattamento e risultati); iii) contabilità (organizzazione interna dell'azienda), iv) amministrazione economica (leggi naturali e civili di svolgimento ed equilibrio delle aziende);

c. in qualsivoglia unità economica —dalla famiglia allo Stato— esiste una generale similitudine delle funzioni amministrative, cioè delle fasi e dei processi iniziativi, amministrativi, conclusivi (dalla previsione della redditività alla distribuzione del reddito, formazione dei bilanci, revisione e così via).

Il passaggio a un'unitaria teoria dell'impresa costituiva certo un'evoluzione euristica e progrediente, forse necessaria. Ma da un lato le complicazioni burocratiche interne della partita doppia cerboniana risultavano cumulativamente crescenti con la complessità —parallelamente crescente— delle aziende durante la (seconda) rivoluzione industriale italiana, dall'altro la dichiarazione d'un perimetro più ampio nonché di fini e strutture più complessi non si accompagnava (ancora) al corrispondente perfezionamento teoretico.

Più difficile diveniva quindi l'incontro fra le teorie cerboniane e i <fatti nuovi> della pratica 1890-1910, proprio quando da un lato si avanzavano —penetranti e risolutive— le proposte bestane, dall'altro quasi tutte le discipline tecniche italiane andavano perfezionandosi sul cammino della scienza, in questo venendo percepite come più specifiche rispetto alla Ragioneria Scientifica20.

5. La transizione verso la scienza 1880-1920

Fu Felice Battaglia a lamentare, nei Cinquant'anni di vita intellettuale italiana, il declino della filosofia del diritto nell'ultimo quarto del secolo XIX; come altri ivi descrissero l'evoluzione sempre un po' declinante di altre scienze sociali.

20 Cfr. Le discipline aziendali da tecnica a scienza, in Atti del II Convegno Nazionale di Storia della Ragioneria — L'evoluzione degli Studi di Ragioneria dalla fine del XVIII secolo, Pisa, Pacini, 1996, pp. 43-64

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Antitetiche risultarono viceversa, proprio nel medesimo periodo —con le chimiche, le fisiche, le tecniche ingegneristiche e produttive— l'evoluzione e la situazione di tecniche altre fra cui le discipline aziendali, che proprio in quel periodo ascesero e culminarono in alcune delle loro prime sistemazioni scientifiche.

Ciò valse in particolare per la Ragioneria, sia con il completarsi dell'edificio cerboniano —prima vera 'rivoluzione' nazionale— verso le mete onnicomprensive, sistematiche e inizialmente inaspettate della Ragioneria scientifica (1892), sia con l'accompagnarsi e il sovrapporsi a quelle della costruzione antitetica —ma ben salda, e per questo fondativa— della Ragioneria di Fabio Besta, la cui prima redazione compare nel 1880.

Si inizia pertanto, già prima della fine del secolo, il processo di specializzazione disciplinare che è una fra le riprove del volgersi a scienza delle dottrine.

Alla radice di quell'antitesi —dunque dello sviluppo da allora prorompente delle discipline aziendali— stanno da un lato l'influsso del positivismo —questo trionfo dell'empirismo e dello scientismo— su tutte le discipline naturaliter teorico-pratiche; dall'altro il ruolo irrefragabile di pensatori-simbolo, 'rivoluzionari' nel senso kuhniano del termine e artefici dei punti di svolta disciplinari, anzi della medesima trasformazione in scienze delle discipline in esame.

Al fondo di tali sviluppi si situarono peraltro anche taluni fattori causali di ordine generale che, in quanto noti, verrano richiamati breviter.

Per quanto riguarda la Ragioneria, occorre rammentare il suo erigersi sulle sistemazioni precorritrici del Fibonacci e di altri; sulle divulgazioni pacioliane; sugli studi teorico-pratici svolti in varie regioni d'Italia nel periodo 1550-1750 —dal Flori a Palermo fino ai maestri della 'contabilità camerale' del regno Lombardo-Veneto—; infine sulle due rivoluzioni —antitetiche ma misteriosamente dialettiche—, la cerboniana e la bestana; ancora, sulla 'totalità' delle sue applicazioni pratiche, dalle aziende 'domestico-patrimoniali' alle lucrative allo Stato, il quale —finalmente connotato quale Stato unitario— estendeva compiti e ruoli; infine, sugli sviluppi stranieri, sempre meno francesi (De Granges) e nel tempo semmai tedeschi e svizzeri (Nicklisch, Gomberg).

Ma più in generale, occorre indirettamente riflettere agli effetti dell'evoluzione in quegli anni a) del pensiero economico europeo, b) del sistema economico-industriale italiano, c) dell'insegnamento superiore nazionale.

Nell'Europa dell' '800, non più illuminista ma romantica, si era diffusa la

forma mentis giuridica. Tuttavia, nella seconda metà, nell'ultimo quarto del

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secolo —anche per influsso del positivismo— cresce e si afferma il rilievo degli studi economici, i quali inizieranno così l'incontenibile ascesa che, pur dopo un secolo, li porterà a risultare dominanti nella avvenuta, generale economicizzazione del mondo.

Il pensiero economico nelle sue impostazioni (e rivoluzioni) ottocentesche —alcune di lunga durata e forse tuttor perduranti— è d'altra parte fondamentale ai fini del tema che qui si tratta giacché, esso avendo iniziato ancor dal secolo XVIII i propri processi di scientizzazione, non poteva non costituire il fondamento contenutistico e metodologico anche delle discipline aziendali. Dunque la crescita sinfonica e solenne dell'autorevole storicismo tedesco nelle sue varie forme (la prima Biblioteca dell' Economista è largamente germanica); le sistemazioni inglesi di tipo trattatistico (Senior, Stuart-Mill con l'influsso della sua Logica, e poi Edgeworth e altri, pur con pregi e difetti); infine la scuola italiana non solo di finanza pubblica, in un periodo in cui gli economisti internazionali studiavano la lingua italiana per poter leggere in originale Gobbi, Supino, Pareto, Pantaleoni.

Stava inoltre formandosi —in Germania e Confederazione Elvetica, certo su basi inizialmente rudimentali o eclettiche— la Betriebswirtschaftslehre, con i saggi variamente contributivi di Schär, Nicklisch, Schmalenbach, Gomberg e altri, ma comunque sempre con attenzione agli svolgimenti dinamici dell'economia nei suoi soggetti operanti, fossero essi le aziende familiari, le imprese private, le aziende in generale, non di rado infine riunite nell'economia sociale21; così pure, sarebbero comparsi di lì a poco Taylor (1911) e Fayol (1917).

D'altra parte, con relativo ritardo rispetto a Francia e Inghilterra, ma quasi in concomitanza con tale pensiero e come a muovere dalle Ragionerie cerboniana e bestana, rapido e prorompente era stato lo sviluppo economico dell'Italia unita: il dibattito parlamentare sulla Terni si inizia negli anni '80;

21 Cfr. A. CANZIANI, P. RONDO BROVETTO, The Emerging of the Economics of Firms in continental Europe during the 20's: Economia Aziendale and Betriebswirtschaftslehre as methodological Revolutions, in S. TODD LOWRY (Ed.), Perspectives in the History of Economic Thought, vol. VII, London, Elgar for the History of Economics Society, 1992, pp. 168-191.

Cfr. poi in particolare: • F. SCHÄR, Allgemeine Handelsbetriebslehre, Berlino, 1911; H. NICKLISCH,

Allgemeine Kaufmännische Betriebslehre als Privatwirtschaftslehre des Handels u. Industrie, Stoccarda, 1912; E. SCHMALENBACH, Die Privatwirtschaftslehre als Kunstlehre, Berlino, 1912; L. GOMBERG, L'economologie et son histoire, Ginevra, 1902; Grundlegung der Verrechnungswissenschaft, Lipsia, 1908

• e inoltre H.R. WEYERMANN, H. SCHÖNITZ, Grundlegung u. Systematik einer wissenschaftlichen Privatwirtschaftslehre, Friburgo, 1912; H. TÖNDURY, Von der Handelswissenschaft zur Privatschaftslehre, Zurigo, 1915

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concomitante è lo sviluppo delle Ferrovie —ad opera di Pietro Bastogi e con capitali francesi— che verranno poi nazionalizzate ai primi del secolo; della medesima epoca il sorgere delle <banche miste> e —nella loro festosità da Ballo Excelsior—, gli sviluppi dell'elettrificazione e della Edison; del periodo 1905-1915 le acquisizioni e fusioni che già rendono oligopolista la FIAT; antecedenti gli sviluppi della Navigazione Italiana, dell'armamento genovese e napoletano, di casa Florio e delle dinastie italo-inglesi in Sicilia; di poco susseguenti infine i grandi sviluppi del tessile-cotoniero e del siderurgico-meccanico, sviluppi che già consentono alla De Angeli-Frua di superare i 12.000 addetti intorno al 1912-14, al gruppo Ansaldo di toccare i 90.000 alla fine del primo conflitto mondiale.

Tale evoluzione, del resto, era stata anticipata —e per così dire preparata— dall'istituzione pionieristica delle Scuole Superiori di Commercio, avvenuta fra il 1870 ed il 1880 ed ammaestratrice anche odierna —quanto a idealità, funzioni, programmi— per la formazione superiore in campo economico-aziendale.

Con lungimiranza che dobbiamo infatti al Ferrara e ad altri (e che perfino i Tedeschi ripresero solo successivamente), a Venezia, Bari, Napoli e Genova le discipline economico-aziendali vennero erette a modello costitutivo di una formazione —seppure teorico-pratica— però di rango universitario, favorendo ad un tempo lo sviluppo di esse nonché delle imprese e dei sistemi economici in cui i diplomati andavano successivamente ad operare.

L'epoca, d'altra parte, era molto più riflessiva, studiosa e dialettica di quanto non sarebbe risultato successivamente.

Fosse dovuto al fervore successivo all'Unità, al costituirsi dei Ragionieri in corporazione professionale, al moltiplicarsi dei loro Convegni, all'opera di alto proselitismo di Cerboni e di Besta, ai contemporanei processi di take-off, agitati ma intensi, sta di fatto che i problemi pratici nonché la sistemazione scientifica della Ragioneria erano all'ordine del giorno nei Congressi, nelle riviste, in enciclopedie e trattati (e.g. il Gitti-Massa) e in diffuse collane, sesquipedali ma pratiche (e.g. la Biblioteca Rota). I temi erano dibattuti e diffusi, le contrapposizioni sostanziali e accentuate, le diatribe accese, le differenziazioni pratiche —nelle Ragionerie private e pubbliche— rilevanti.

Erano pertanto compresenti tutte le componenti le quali fecero sì che un magma ormai non meramente empiricista potesse venire convertito prima in strutture teorico-pratiche sempre più purificate, e successivamente da tecnica a dottrina, cioè da branca operativa a disciplina scientifica.

Vi erano cioè nel pensiero economico-tecnico italiano nella seconda metà del secolo XIX tutti gli ingredienti necessarî per la 'reazione chimica' —teorie economiche fondanti, tradizioni applicative, dinamiche economiche,

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sperimentazioni pratiche, astrazioni successive e costruttive, doveri accademici—, reazione che solo richiedeva —per ricorrere a una categoria coeva— la catalisi del genio.

E ale richiamo non per scomodare Lombroso, o per rifarsi a una Storia (in questo caso la storia del pensiero) quale operato dello hero di Carlyle, ma certo per conformarsi al modello kuhniano di storiografia delle dottrine richiamato in apertura, e all'eventuale studioso-demiurgo che essa postula, o propone.

6. La Ragioneria di Fabio Besta (1922)

Fabio Besta (1845-1922) di Teglio in Valtellina, nel 1872 viene chiamato alla Scuola Superiore di Commercio di Venezia da Francesco Ferrara; quella Scuola (una delle quattro in Italia con Genova, Napoli e Bari, e istituita nel 1872) Egli la onorerà fino al ritiro per malattia nel 1919.

Nonostante alcune polemiche, dovute probabilmente a invidia, egli subito dà prova di sé con la prolusione La Ragioneria (1880), cuore dell'opera altamente innovativa di cui comparità il I volume nel 1891 (Ragioneria Generale), e che verrà poi sviluppata e ampliata sine ulla intermissione per i trent'anni successivi fino all'edizione postuma, in tre volumi, dello stesso 1922 a cura degli allievi suoi Alfieri-Ghidiglia-Rigobon22. Comparirà in parallelo la Contabilità di Stato nel 1897.

La prima rivoluzione effettivamente scientifica (o la seconda dopo Cerboni) è dunque dovuta appunto a Fabio Besta, che ricostruì le fondazioni della Ragioneria sulla base sia di premesse epistemologiche sia di ricerche storiografiche magistralmente condotte.

Fondendo in modo realizzativo e finalistico il metodo dell'indagine storiografica (per quanto concerne la tenuta dei libri contabili e l'amministrazione) con l'epistemologia e la logica spenceriane (per quanto concerne obiettivi, metodi e contenuti della contabilità e della ragioneria), Besta elaborò una teoria generale della Ragioneria che trovasse collocazione specifica nel sistema dele scienze dell'epoca. In particolare poi, grazie a elementi tratti dalle teorie di G.B. Vico e di A.E. Schaeffle, egli propose di includere la Ragioneria nell'ambito delle scienze che —come il diritto, l'Economia, la Matematica— studiano lo stesso fenomeno, la ricchezza (1880, 1922).

22Di C. GHIDIGLIA cfr. specialmente La ragioneria come scienza sociale ed

economica, <Giornale degli economisti>, 1896; Sui fatti ed atti del controllo economico, ib., 1902; Le attinenze della ragioneria con la scienza economica, <Rivista Italiana di Ragioneria>, 1911

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Besta dunque —sulla base di John Stuart Mill— distinse (e propose di distinguere) la scienza pura dal suo momento pratico (arte), precisando peraltro che i) l'una e l'altra sono strettamente interconnesse, giacché la scienza è indicativa, mentre l'arte ne costituisce il momento imperativo, ii) l'arte è a propria volta costituita da un sistema di elementi conoscitivi gerarchicamente collegati fra loro, e orientati alla pratica.

Poste tali premesse, campo della Ragioneria non è la semplice contabilità-tenuta dei libri, bensì il controllo della ricchezza dell'azienda nella sua integralità: il controllo viene infatti raggiunto tramite e la contabilità e la gestione, ove la prima orienta e misura la seconda.

Più particolarmente, Besta formulò la sistematica seguente23:

a. per quanto il finalismo dell'attività lavorativa consista nel soddisfacimento dei bisogni umani e nello sviluppo del singolo, le persone sono più specificamente motivate nella propria azione dalla ricerca di soddisfare <obiettivi soggettivi> (Aristotile): per tale motivo, gli oggetti divengono beni economici ove essi soddisfacciano fini soggettivi;

b. a causa della complessità delle produzioni, tuttavia, gli individui non possono realizzare individualmente la gran parte dei beni di cui necessitano: ecco per qual motivo essi danno vita a società quali "unione di reciproche utilità" (Vico), il che significa più ampiamente produzione-scambio-consumo;

c. produrre ricchezza —rappresentata da beni scambiabili— costituisce dunque il momento principale dell'attività economica, e inoltre il significato proprio dell'attività lavorativa (l'intera produzione di ricchezzadel Cossa);

d. la quota di ricchezza risparmiata diviene nel tempo —grazie ai processi di investimento— ricchezzza produttiva (Ferrara, Say), cioè utilità intermedia (Schaeffle) per produrre nuova ricchezza.

Lo svolgersi delle attività economiche consentite —e implicate— dal collegarsi degli individui nella società umana (Gemeinschaft) richiede, quale elemento-base per raggiungere gli obiettivi economici, l'amministrazione, cioè il <saggio governo>24.

23 Besta, 1922, vol. I, pp. 3-35 24 Palesi risultano —molto probabilmente presenti a Fabio Besta data la sua cultura, e

prima ancora la studiositas— il rinvio al maneggio sei-settecentesco (donde anche management), come pure al <governo> e alle sue trattazioni dal '500 in poi, qui certo calato nell'attività più propriamente economica; sul punto cfr. per tutti e.g. N. DONATO, L'uomo di governo, Verona, Dionisio Ramanzini, 1753

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Ciò significa azioni individuali tese a gestire, guidare e governare —ai fini dell'utilità di ogni soggetto— azioni che possono venire ripartite in tre gruppi principali e rispettivamente riferite: i) ai proprietarî e la loro autorità; ii) ai dirigenti, cioè al gruppo di persone cui incombe il dovere di indirizzare tutte le attività amministrative in dipendenza delle direttive della proprietà; iii) infine all'organizzazione lato sensu, la quale include le capacità e le competenze relative al lavoro amministrativo.

Oggetto dell'amministrazione è tuttavia l'azienda, non un soggetto fisico o giuridico, bensì la somma di fatti, relazioni ed affari relativi a un insieme dato di beni-capitali appartenenti a una persona, una famiglia o a qualsivoglia altro soggetto, dalla singola società (anche di capitali) allo Stato.

L'amministrazione risulta certo differenziata da azienda ad azienda ma —essa facendo comunque sempre uso di beni e di ricchezza—, rivela in tutti i casi alcune simiglianze di funzioni e di processi che consentono l'identificazione di alcuni suoi profili comuni:

a) governo, il quale cerca di improntare ogni azione al raggiungimento —nel modo più efficace— degli obiettivi dell'impresa;

b) gestione come tale, i.e. l'insieme delle azioni tese a indirizzare e regolare le scelte tecniche di qualsivoglia tipo;

c) controllo, i.e. contabilizzazione, revisione e controllo dei risultati-effetti economici, al fine di raggiungere gli obiettivi pre-definiti nonché di sviluppare e il governo e la gestione grazie all'accresciuta consapevolezza informativa e comportamentale.

Nell'ambito di tale sistema, la Ragioneria è una <scienza concreta> (o di applicazione) nell'ambito di una sistematica di tipo spenceriano.

Dal punto di vista teorico essa studia e definisce le leggi del controllo nell'ambito di qualsivoglia tipo di azienda, deducendone inoltre le regole che debbono venire seguite per realizzarlo in modo completo, efficace e convincente. Dal punto di vista pratico essa non è altro che l'applicazione corretta e organica di quelle regole.

Per Besta, l'<amministrazione economica delle aziende> si sostanzia dunque nel governo di fenomeni-negozî-rapporti relativi alla ricchezza;, grandezza-chiave alla quale rivolgere l'attenzione epistemologica è dunque il patrimonio.

Così, studiati, vagliati e prescelti i) i metodi di registrazione, ii) i criterî di valutazione più idonei, contenuto e obiettivo della Ragioneria diviene il controllo del patrimonio, controllo che si articola su:

1. previsioni generali e speciali;

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2. funzioni amministrative (e loro svolgimento); 3. processi specifici di controllo aziendale.

E' per questo motivo che risulta non solo non-equivalente bensì dannosa l'imputazione formalistico-giuridica dei conti a persone (Cerboni): ai conti personali occorre contrapporre il loro opposto, i conti a valore, ove il patrimonio —con le sue modificazioni e permutazioni— viene intrinsecamente registrato, seguito nelle modifiche quali-quantitative, valutato, dunque controllato, con ciò adempiendo a uno dei finalismi principali della Ragioneria quale scienza.

Tale impostazione —sostanziale, e non di meno procedurale— spiega il rapido tramonto della Logismografia in pro delle teorie bestane, infinitamente più pratiche, e nel contempo ammaestrative. Complete e originali, altamente innovative per l'epoca, esse —nella loro logica di sistemi patrimoniali— risultano tuttora predominanti nelle nazioni lato sensu anglosassoni, ove forse per tale motivo risultano ivi impediti, anzi incomprensibili, sia la rivoluzione del reddito, sia progressi delle discipline aziendali continentali — Betriebswirtschaftslehre ed Economia Aziendale.

Dopo la combattuta transizione con le teoriche cerboniane (1890-1915

circa), l'impianto bestano tese a diffondersi e a dominare —dal punto di vista scientifico, accademico e pratico— fino al secondo conflitto mondiale, in particolare nell'Italia centro-meridionale.

Successivamente, dal punto di vista pratico l'approvazione dei Codici Reali del 1942, ove all'art. 2425 era previsto il conto "a costi, ricavi e rimanenze", favorirà poi la transizione all'impianto zappiano; mentre dal punto di vista scientifico e accademico dopo la fine del secondo conflitto si manifesteranno da un lato il declino anche generazionale degli allievi di Besta, dall'altro il trasformarsi progressivo della Ragioneria Pubblica nella disciplina giuridica della Contabilità di Stato25.

7. La scientizzazione nelle discipline orientate al fare

7.1. Gli estremi erronei del processo: empiricismo, metafisica Si è parlato finora —a riguardo della Ragioneria italiana— di processi

di scientizzazione sempre più spiccati e profondi.

25 Cfr. dell'a. Le discipline aziendali da tecnica a scienza, in Atti del II Convegno

Nazionale di Storia della Ragioneria — L'evoluzione degli Studi di Ragioneria dalla fine del XVIII secolo, Pisa, Pacini, 1996, pp. 43-64; Evoluzione e rivoluzione nella Ragioneria italiana fra le due guerre mondiali, in <Storia della Ragioneria>, Numero inaugurale 1997, pp. 74-89

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Condotti ciascuno in modo singolare e soggettivo —per questo fra loro non di rado contrapposti, e.g. Cerboni-Besta—, ma sempre volitivamente orientati a risolvere problemi pratici anche grazie alla natura originaria e oggettiva delle determinazioni quantitative di tipo contabile, essi tendevano dunque a trasformare la materia da procedura a tecnica, da tecnica a dottrina, da dottrina a branca specialistica, infine a disciplina scientifica.

Pare allora opportuno a questo punto interrogarsi su come possano venire definite —dunque individuate— le lunghe e difficoltose transizioni da procedura a disciplina scientifica nei campi di tipo naturaliter pratico; come possano cioè venire definiti i "processi di scientizzazione" nelle discipline orientate al fare.

Al di là di troppo facili dogmatismi, è chiaro ad ogni avvertita coscienza speculativa risultare —tale definizione— largamente convenzionale. Essa può venire determinata secondo le strutture fondanti il concetto di scienza da Aristotile in poi, e per quanto riguarda il nostro secolo ad esempio secondo i <campi analitici> di Husserl o secondo forme di (simil)positivismo logico tramite 'statuti disciplinari' e 'linguaggi'.

Purtuttavia, si tratta nel caso in esame —si diceva al § 1.— di 'tecniche' nel senso cinquecentesco di 'Arte' in quanto appunto 'orientate al fare', cioè di discipline teorico-pratiche.

Si potrà dunque riprendere un'osservazione di Benedetto Croce il quale, riflettendo sul Vom Kriege di Karl von Clausewitz così annota26, censurando i due contrapposti, deviati estremi logico-metodologici:

"....le trattazioni di carattere tecnico, ossia che si propongono in modo più

prossimo di servire alla pratica (più prossimo, perché ogni verità è sempre praticamente efficace e giovevole), e perciò accostano e avvicendano concetti speculativi con concetti e leggi empiriche, presentano per sé stesse una speciale difficoltà, o piuttosto sono esposte a un duplice pericolo. Da una parte, si delinea la tendenza a trattarle con metodo esclusivamente filosofico, con che, eliminando le proposizioni di esperienza, si cade nella più perfetta vacuità, ovvero, innalzando queste a proposizioni speculative e assolute, si cade nell'arbitrio; dall'altra parte, si ha l'opposta tendenza a trattarle con metodo tutto empirico, abbassando a empiriche le stesse proposizioni speculative, e, per così dire, mollificando e liquefacendo l'ossatura e il sostegno della trattazione stessa.". Ecco allora che vengono a rilevare a) il momento pratico, b) il momento

teorico, c) la quasi indistinguibile crasi dei due. Per semplificare almeno in questa sede un tema assai più complesso

(oltretutto svolto in decenni o secoli), e immaginando di poter descrivere

26 B. CROCE, Azione, successo e giudizio. Note in margine al «Vom Kriege» del

Clausewitz, in Ultimi Saggi, Bari, Laterza, 1935, pp. 272-285

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distintamente le fasi di un processo in realtà interattivo e congiunto —sintetico—, si intenderanno nel seguito rilevanti:

a) per quanto concerne il momento pratico, il passaggio dall'esame di 'fenomeni' di natura piuttosto qualunque all'esame di 'fatti scientifici', cioè identificabili statutariamente, rappresentativi di empirie non effimere, significativi per la disciplina, orientabili a risultati pratici di tipo euristico, dunque ripetuti, regolari, classificabili, padroneggiabili (per la Ragioneria dal momento meccanico della rilevazione alla logica e alla teleologia della stessa);

b) per quanto riguarda il momento teorico, l'adozione di logiche storicamente e storiograficamente significative, rigorosamente applicate, coerenti nelle loro concatenazioni causali in quanto non esorbitanti dai fatti in sede deduttiva, dai principî in sede inferenziale, dall'operazionalità in sede pratica (per la Ragioneria individuando dunque valori d'azienda, e connessioni sistematiche che li rappresentino in via dinamica);

c) per quanto concerne la crasi fra momento pratico e teorico, il passaggio 'metafisico', il quale oltrepassi l' empiria pur interpretata e si volga a risolvere <problemi teoreticamente definiti> consentendo la formulazione i) di statuti dall'elevato <potere esplicativo>, ii) di pratiche dall'elevato <potere realizzativo>, ambedue quindi con alto grado di generalità spaziale e temporale27 (per la Ragioneria costruendo sistemi di rilevazione —di conto e fuori conto— in grado di esprimere nel tempo l'economicità delle aziende nei suoi profili reddituale, patrimoniale, finanziario-monetario con misurazioni sia differenziali sia globali).

I temi precedenti rimandano dunque a problemi gnoseologici specifici, sostanzialmente noti, relativi al quantum scientiae nelle discipline "orientate al fare".

Essi riguardano come si diceva le fondazioni epistemiche o viceversa soltanto pratiche di queste; anzi, la medesima possibilità di fondarle in modo teoretico e sistematico, o viceversa la necessità d'una natura tutta pratica (dunque meramente praticista) di esse. Fanno così riferimento, quei problemi, ad antichi, desultorî, e sempre irrisolti dibattiti.

Ci sono infatti per tutte le discipline tecniche —internamente ad esse, e soprattutto esternamente, da parte di cultori di discipline c.d. <nobili>— i sostenitori del fondamento meramente empirico delle stesse: per dire con apparente bisticcio, <il fondamento tecnico delle tecniche>.

27 Si tratta, modernamente, delle condizioni di Hempel-Oppenheim estese anche al campo pratico

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Ora è chiaro che, se stiamo parlando del Genio, questi può procedere nel modo che preferisce, il quale modo —per quanto criticabile e negli approcci e negli esiti— porterà senz'altro a frutti rilevanti, ed anzi renderà poi gli uni e gli altri materia per la storia del pensiero a lui successiva.

Ma è altrettanto chiaro che "radicare tecnicamente le tecniche" rischia di portare sempre più al particolarismo tecnicista: minuto nell'oggetto, minuzioso nel procedere, pervicace nel convincimento della propria esattezza (che può anche sussistere in situ), ed insieme dimentico del problema, anzi del contesto, anzi infine dannoso dal punto di vista delle soluzioni che propone giacché inesperto delle gerarchie logico-pratiche che si infinge nell'impostare-ordinare-trattare i problemi. (Certo, dal punto di vista della sociologia delle scienze il punto è interessante: questi cultori non pretendono di dirsi "scienziati", rivendicano a sé il ruolo di meri tecnici, e in questo interno si barricano, ma tuttavia con motivazioni inconscie sovente non così nobili —rendersi ierofanti di esoterici riti segreti che essi soli possano amministrare—; ma con quali frequenti risultati si è detto, certo ove si prescinda dalla mera —e pur necessaria— meccanicità quotidiana).

C'è purtroppo nel contempo, e questa volta soprattutto interna, l'opposta tendenza, essa pure stigmatizzata da don Benedetto. Vi sono infatti, nelle discipline tecniche, cultori che —nell'ansia questa volta di nobilitarle (o di nobilitarsi, al grido di battaglia "siamo scienziati anche noi")—, tendono ad astrarle in modo assoluto, così credendo di renderle "scienze di dignità pari a tutte le altre". E' questo un altro fra i tanti Ersatzes di cui tanti studiosi vanno alla inconscia ricerca: è il medesimo complesso di prima, il quale accentua ora non il senso di superiorità, bensì di inferiorità.

Come procede questo secondo gruppo? in uno dei due modi ricordati da Croce ormai settant'anni fa.

1. L'esperienza, ove esistente, nell'ansia di "scientifizzare" viene comunque tralasciata in pro di concezioni generalissime, di a-priori così generici e indefiniti da risultare tanto indiscutibili in sé quanto discutibili nelle applicazioni: forgiatisi la falsa immagine della scienza quale "generalizzazione", ci si avvia a generalizzare in modo assolutizzato, e talora apodittico. Peccato che le vere generalizzazioni delle scienze derivino da serie e decenni e generazioni di geniali sintesi induzione-deduzione (dunque nel contempo teorico-pratiche), e non da immaginazioni più o meno improvvisate, soltanto pseudo-teoriche.

2. L'esperienza di riferimento —talora inoltre inesatta, impropria, male indagata—, sempre nell'ansia di "scientifizzare" viene assolutizzata al di sopra delle proprie limitate coordinate spazio-temporali: se ne derivano generalizzazioni che vengono subito convertite in dogmi

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piuttosto imperiosi. Questi, mostrando la duplice qualità apparente a) di derivare dal regno dell'esperienza, b) di possedere valenza teorica (nel suo significato pedestre di astratta), vengono spacciati quali ritrovati definitivi d'una tecnica "finalmente assurta al rango di scienza"; peccato —come si diceva— che le vere generalizzazioni delle scienze derivino da serie e decenni e generazioni di geniali sintesi induzione-deduzione, e non da osservazioni singole, malamente interpretate, e tanto estese al di là dei proprî confini naturali da renderle generalizzazioni improvvisate soltanto apparentemente teoriche.

7.2. La sintesi di comprendere e di normare L'uno e l'altro monismo metodologici risultano dunque euristicamente

infecondi, anzi pericolosi, e forse per questo già 4-500 anni prima di Cristo ricordava Confucio che "studiare senza pensare è inutile, pensare senza studiare, pericoloso".

La via alla soluzione del problema è infatti altra: essa consiste nel combinare in modo propriamente scientifico —sintetico— induzione e deduzione.

Crasi, questa, ardua da compiersi in modo esemplare, mentre essa può certo venire svolta, e facilmente, in modo generico o anche eclettico.

A tal fine è infatti sufficiente: a) elencare principî né veri né falsi, oppure "veri e falsi nel contempo, giacché mal chiariti dal punto di vista speculativo" (Croce), b) sussumerli in modo apodittico, rendendoli assiomi, c) farne discendere (pseudo)conseguenze pratiche, sovente semi-plausibili data l'astrattezza del discorso, il locus medius di gran parte della vita pratica, l'ignoranza diffusa delle discipline tecniche. E il gioco è fatto.

In tutte le scienze, in particolare nelle scienze sociali di applicazione, altri sono viceversa i doveri: i) conoscenza adeguata del campo; ii) individuazione peculiare del problema; iii) utilizzazione di strumenti acconci e se del caso originali; iv) osservazioni esemplari; v) analisi rivelative; vi) sintesi di genio; vii) applicazioni euristiche in qualsivoglia spazio-tempo, eventualmente

recursive rispetto alle sintesi e dunque estensive di quelle; viii) praticamente efficaci, rispondendo ai due requisiti appunto pratici

della costruttività (i.e. la capacità di impostare e risolvere problemi

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in modo euristico) e della plasticità, qui intesa come la capacità di conformarsi ai differenti contesti operazionabili.

Ora, essendo le scienze sociali —in particolare le applicate— discipline ad accumulazione e non a intuizione, si tratta consapevolmente di una long way to Tipperary. Ma quale che sia l'ampiezza e la profondità dei problemi indagati, e degli avanzamenti via via successivi, sempre si devono rispettare i principî metodologici proprî di quelle, e più particolarmente i principî a) del comprendere, b) del normare, c) della sintesi dinamica di tali processi.

La ricostruzione intellettuale della realtà non può infatti limitarsi a riesprimere interpretativamente gli oggetti di indagine: nelle scienze pratiche, le categorie comprendenti non sono soltanto forme simboliche nel senso di Cassirer, bensì <canoni ermeneutici> che devono possedere valenza anche pratica, e se del caso realizzativa: la teoresi deve divenire prassonomia.

Indirizzate alla soluzione di <problemi pratici> empiricamente e storicamente rilevanti, in Ragioneria queste categorie risultano comprendenti giacché fanno affiorare operazionalmente valori, sintesi, informazioni economiche; e li fanno affiorare praticamente (con rilevazioni di conto e fuori conto) giacché —prima ancora— ne hanno individuata e compresa la natura teorica. Per tali motivi, alle categorie della Ragioneria —come di altre discipline teorico-pratiche, chimica, fisica, genetica, bio-ingegneria et al.— si richiede dunque non solo una combinazione di analisi-sintesi teoreticamente fruttuosa, ma anche praticamente efficace, cioè il sempiterno passaggio dal Wissen al Können.

8. Conclusioni: la Ragioneria 1850-1922 da Fachgebiet a Kunstlehre

Lungo l'asse 1840-1920 la Ragioneria diviene <scientifica>. Non è questa una qualifica che le viene qui octroyée per cortesia,

nobilitazione, arrivismo o vanità: lo diviene secondo qualsivoglia statuto disciplinare speculativamente corretto.

Essa —con Villa e soprattutto Cerboni a Besta (e gli allievi di ambedue)— transita infatti dalle scritture al patrimonio al controllo alla scienza dell'azienda.

E vi transita non in modo nominalistico bensì sostanziale, grazie ai progressi seguenti:

1. radicandosi non in <prassi qualsivoglia>, comunque autosoddisfatte o addirittura orgogliose del proprio inconsapevole procedere empirico, bensì in prassi attentamente selezionate in funzione della propria rappresentatività teorico-pratica;

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2. definendo tale ricercata rappresentatività in funzione del perimetro assegnato alla disciplina, nonché dei preposti fini conoscitivi essi pure teorico-pratici;

3. combinando perimetro, fini e osservazioni con strutture teoretiche altrettanto sistematiche, quindi teorizzando (ove però zeorein è da intendersi come contemplare, beninteso in modo scientifico-critico, prima che indefinitamente astrarre);

4. affermandosi —una volta definiti statuti, canoni ermeneutici, canoni rivelativi— in generalizzazioni comprendenti di tipo pratico, declinate in precetti anche dogmaticamente intesi (pur non sospingendosi fino alle particolarità, perennemente situazionali).

Grazie a tali progressi, in quel torno di anni le Arti nel senso di <discipline orientate al fare> —soprattutto quelle con rilevante impatto sociale— emergono dunque dal loro magma di sostanziali Fachgebieten o ambiti pratici (popolati appunto da meri <pratici>) com'era fino al primo '800. E via via, lungo il corso del secolo XIX —spiccatamente poi dopo il 1860— abbandonarono la loro già più nobile essenza di Fachleren, <discipline di mestiere>, misto di apprendimento, capacità pratiche, esperienza, gusto (come nel dressage, in ebanisteria, culinaria, topiaria), per avviarsi a divenire —fra fine XIX e inizî XX— effettive Kunstlehren.

Tali < tecnologie> possono dirsi scientifiche ove, come si diceva: a) muovano da premesse sistemiche spazio-temporalmente definibili, b) si svolgano in processi organici rispondenti a statuti, i.e. anche procedurali, c) adottino categorie effettivamente <comprendenti>, le quali risultino inoltre —nel contempo— praticamente efficaci28.

Certo, molti —forse ammaliati da Pindaro, dalla metrica di Catullo, dal fascino dell'incomprensibile d'alto bordo, dal desiderio di nobilitare sé stessi grazie a "temi nobili", o infine involontariamente coinvolti dalla generale disistima otto-novecentesca per i pratici (sembra fosse Pitigrilli ad aver diffuso la nomea <cretino come un ragioniere>)—, troppe volte presunsero che le pratiche fossero neppure <discipline di mestiere> bensì mere meccaniche, così degradandole —oltre quanto talora meritassero— da Kunstlehren a Fachleren, anzi a meri Fachgebieten: atti manuali richiedenti mero esercizio muscolare non-qualificato.

Ora, è pur vero che qualsivoglia pratica risulta certo realizzativa, ma ben qui sta il problema: occorre vedere con quali risultati assoluti, relativi, differenziali (Leonardo diceva "Quelli che s'innamoran di pratica senza

28 L'ispirazione —sia pure in diverso contesto— è probabilmente derivata all'a. da E. SCHMALENBACH, Die Privatwirschaftslehre als Kunstlehre, in <ZHF - Zeitschift für handelswissenschaftliche Forschung>, 1911-1912

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scienza, son come 'l nocchiere, ch'entre in navilio sanza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada"), e ciò si tratti di scienza di governo, politica economica, strategia d'impresa, ragioneria generale o speciale, come del resto di calcolo strutturale, bio-ingegneria, tecnica chirurgica, clinica medica, e pure delle ricordate Fachleren del dressage, restauro, topiaria, e infine culinaria.

Le pratiche infatti, se non si vogliono meccaniche dai risultati desultorî e casuali, devono venire intese quali Arti nel senso leonardesco e berniniano del termine.

Così, studiate e trattate in modo da trasformarle in prassi scientifiche, e

fattele dunque transitare prima dal Wissen al Können —dal <sapere> al <saper fare>—, quindi dal comprendere al normare, esse divengono in grado di prescrivere —si tratti di Politica economica e monetaria, Ragioneria, Strategia aziendale— non in modo vacuo o arbitrario (Croce), bensì orientato ai fini proprî di ogni disciplina in modo statutario, logicamente irrefragabile, costruttivo, plastico, in una parola efficace.

A tale condizione le discipline di applicazione dal prepotente impatto sociale possono dunque irridersi —la Ragioneria italiana ormai dall'epoca dei Trattati 1892-1922— degli snobismi di Oxbridge che apparentano accountants and plumbers, ed essere serenamente consapevoli con Fabio Besta che "non la scienza diversa, ma la scienza migliore fa l'uomo di scienza".

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA AZIENDALE PAPERS PUBBLICATI DAL 2002 AL 2006∗:

18- Pierpaolo FERRARI, La gestione del capitale nelle principali banche internazionali, febbraio 2002.

19- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Il valore della marca. Modello evolutivo e metodi di misurazione, marzo 2002.

20- Paolo Francesco BERTUZZI, La gestione del rischio di credito nei rapporti commerciali, aprile 2002.

21- Vincenzo CIOFFO, La riforma dei servizi a rete e l'impresa multiutility, maggio 2002. 22- Giuseppe MARZO, La relazione tra rischio e rendimento: proposte teoriche e ricerche

empiriche, giugno 2002. 23- Sergio ALBERTINI, Francesca VISINTIN, Corporate Governance e performance

innovativa nel settore delle macchine utensili italiano, luglio 2002. 24- Francesco AVALLONE, Monica VENEZIANI, Models of financial disclosure on the

Internet: a survey of Italian companies, gennaio 2003. 25- Anna CODINI, Strutture organizzative e assetti di governance del non profit, ottobre

2003. 26- Annalisa BALDISSERA, L’origine del capitale nella dottrina marxiana, ottobre 2003. 27- Annalisa BALDISSERA, Valore e plusvalore nella speculazione marxiana, ottobre

2003. 28- Sergio ALBERTINI, Enrico MARELLI, Esportazione di posti di lavoro ed

importazione di lavoratori:implicazioni per il mercato locale del lavoro e ricadute sul cambiamento organizzativo e sulla gestione delle risorse umane, dicembre 2003.

29- Federico MANFRIN, Sulla natura del controllo legale dei conti e la responsabilità dei revisori esterni, dicembre 2003.

30- Rino FERRATA, Le variabili critiche nella misurazione del valore di una tecnologia, aprile 2004.

31- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Co-branding e valore della marca, aprile 2004. 32- Arnaldo CANZIANI, La natura economica dell’impresa, giugno 2004. 33- Angelo MINAFRA, Verso un nuovo paradigma per le Banche Centrali agli inizi del

XXI secolo?, luglio 2004. 34- Yuri BIONDI, Equilibrio e dinamica economica nell’impresa di Maffeo Pantaleoni,

agosto 2004. 35- Yuri BIONDI, Gino Zappa lettore degli Erotemi di Maffeo Pantaleoni, agosto 2004. 36- Mario MAZZOLENI, Co-operatives in the Digital Era, settembre 2004. 37- Claudio TEODORI, La comunicazione via WEB delle imprese italiane quotate: un

quadro d’insieme, dicembre 2004. 38- Elisabetta CORVI, Michelle BONERA, La comunicazione on line nel settore della

distribuzione dell’energia elettrica, dicembre 2004. 39- Yuri BIONDI, Zappa, Veblen, Commons: azienda e istituzioni nel formarsi

dell’Economia Aziendale, dicembre 2004. 40- Federico MANFRIN, La revisione del bilancio di esercizio e l’uso erroneo degli

strumenti statistici, dicembre 2004. 41- Monica VENEZIANI, Effects of the IFRS on Financial Communication in Italy:

Impact on the Consolidated Financial Statement, gennaio 2005. 42- Anna Maria TARANTOLA RONCHI, Domenico CERVADORO, L’industria

vitivinicola di Franciacorta: un caso di successo, marzo 2005.

∗ Serie depositata a norma di legge

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43- Paolo BOGARELLI, Strumenti economico aziendali per il governo delle aziende familiari, marzo 2005.

44- Anna CODINI, I codici etici nelle cooperative sociali, luglio 2005. 45- Francesca GENNARI, Corporate Governance e controllo della Brand Equity

nell’attuale scenario competitivo, luglio 2005. 46- Yuri BIONDI, The Firm as an Entity: Management, Organisation, Accounting, agosto

2005. 47- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Luca MOLTENI, Consumatore, marca ed

“effetto made in”: evidenze dall’Italia e dagli Stati Uniti, novembre 2005. 48- Pier-Luca BUBBI, I metodi basati sui flussi: condizioni e limiti di applicazione ai fini

della valutazione delle imprese aeroportuali, novembre 2005. 49- Simona FRANZONI, Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa,

dicembre 2005. 50- Francesco BOLDIZZONI, Arnaldo CANZIANI, Mathematics and Economics: Use,

Misuse, or Abuse?, dicembre 2005. 51- Elisabetta CORVI, Michelle BONERA, Web Orientation and Value Chain Evolution

in the Tourism Industry, dicembre 2005. 52- Cinzia DABRASSI PRANDI, Relationship e Transactional Banking models, marzo

2006. 53- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Federica LEVATO, Brand Extension &

Brand Loyalty, aprile 2006. 54- Mario MAZZOLENI, Marco BERTOCCHI, La rendicontazione sociale negli enti

locali quale strumento a supporto delle relazioni con gli Stakeholder: una riflessione critica, aprile 2006

55- Marco PAIOLA, Eventi culturali e marketing territoriale: un modello relazionale applicato al caso di Brescia, luglio 2006

56- Maria MARTELLINI, Intervento pubblico ed economia delle imprese, agosto 2006 57- Arnaldo CANZIANI, Between Politics and Double Entry, dicembre 2006 58- Marco BERGAMASCHI, Note sul principio di indeterminazione nelle scienze sociali,

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