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ISO 9001 : 2000 Certificato n. 97039 Settore Territorio Area Ambiente Energia e Sicurezza La prevenzione e protezione incendi Il punto sugli adempimenti normativi Documentazione: Ing. Giovanni Mastrapasqua - Responsabile Ufficio Prevenzione, Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Milano Milano, 7 giugno 2005

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ISO 9001 : 2000

Certificato n. 97039

Settore Territorio Area Ambiente Energia e Sicurezza

La prevenzione e protezione incendi

Il punto sugli adempimenti normativi

Documentazione: Ing. Giovanni Mastrapasqua - Responsabile Ufficio Prevenzione, Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Milano

Milano, 7 giugno 2005

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MINISTERO DELL’INTERNO Dipartimento dei Vigili del Fuoco,

del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile

Direzione Centrale per la Formazione

CORSO DI PREVENZIONE INCENDI

Modulo 2 La prevenzione incendi La protezione antincendio attiva e passiva

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SOMMARIO:

1. Concetto di rischio

2. Definizione di prevenzione incendi

3. Panorama normativo di prevenzione incendi

4. Approfondimento: strutturazione di una norma attraverso la definizione

di rischio

5. Principi generali della difesa antincendio. Metodologia di progettazione

contro rischi incendi

6. Commento al DM 30.11.83: termini, definizioni e simboli grafici di

prevenzione incendi

7. La compartimentazione Principi generali Il compartimento Le distanze di sicurezza La compartimentazione verticale e orizzontale

8. Sistemi di vie d’uscita Principi generali: il problema dell’evacuazione Parametri fondamentali delle vie d’esodo Caratteristiche geometriche delle vie d’esodo Collegamenti verticali di comunicazione: scale, caratteristiche e

tipologia

9. La resistenza al fuoco Definizione Caratteristiche REI dei vari materiali Caratteristiche dei prodotti intumescenti Il carico d’incendio: definizione, obiettivo e classe d’incendio

10. La reazione al fuoco Definizione Metodologia per la classificazione di reazione al fuoco ed

omologazione

11. I presidi antincendio: estintori

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1. Concetto di rischio Le moderne società industrializzate stanno verificando ogni giorno più o meno

consapevolmente di vivere in un mondo pieno di rischi : quando lavoriamo, quando viaggiamo, quando ci divertiamo, ed anche quando siamo a casa nostra, siamo costantemente esposti a pericoli per la nostra incolumità fisica.

Dalla ricerca e dallo studio sistematico degli incidenti storicamente verificatesi, si

potrebbero trarre preziose indicazioni sulle politiche future volte ad aumentare le condizioni generali di sicurezza della popolazione compatibilmente con il mantenimento del livello di “qualità della vita”, si è usato il condizionale perché il concetto di rischio non è assoluto od universale.

Constatato che un certo livello di rischio esiste in ogni attività umana, il problema è

quello di valutare qual è questo livello, decidere se è accettabile o meno ed in caso di risposta negativa, decidere il da farsi per ridurlo a valori accettabili.

Pertanto il “concetto di accettabilità” e quindi la “soglia di accettabilità” deve

necessariamente passare attraverso delle serie di analisi rischi – benefici . Esempio: pur essendo scientificamente provato il rapporto tra forme tumorali ai

polmoni e il fumo, ci sono milioni di persone che ritengono questo rischio accettabile. Per affrontare la problematica dei “rischi” e quindi arrivare scientificamente alla

definizione dello stesso, occorre introdurre il concetto di “evento incidentale” in chiave probabilistica.

EVENTO INCIDENTALE è l’insorgere di una situazione di pericolo e/o di danno

pregiudizievole per la pubblica e privata incolumità, per la preservazione dei beni e per la tutela dell’ambiente.

Qualsiasi evento incidentale è caratterizzato da due grandezze fondamentali:

1. frequenza di accadimento (frequenza – F) 2. entità del danno prodotto (magnitudo – M)

Le unità di misura sono:

- F = numero di accadimenti nel tempo (n/t) - M = esprime l’unità di danno (morti, feriti, lire, tumori, …) Da ciò scaturisce la definizione di RISCHIO associato all’evento incidentale ipotizzato, più largamente accettata come il prodotto tra la Frequenza e la Magnitudo e si definisce come segue:

R = f (frequenza probabile, conseguenze probabile)

RISCHIO = Frequenza x Magnitudo = F x M = (1/n anni) x (unità di danno) = = unità di danno annuo

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Da quanto detto sopra, dalla natura probabilistica del Rischio, conseguono immediatamente le seguenti considerazioni:

- poiché il rischio è il prodotto di due probabilità, lo stesso potrà essere molto piccolo, ma non potrà mai essere zero - per poter valutare il rischio occorre stimare la probabilità che un determinato evento si verifichi e valutare l’entità probabile delle relative conseguenze.

Pertanto la valutazione dei rischi viene effettuata tramite una “analisi di sicurezza” e di affidabilità di un impianto e di un processo industriale, al fine di difendere i valori ambientali e salvaguardare l’incolumità delle persone.

Scopo di un’ analisi di sicurezza è la determinazione di:

- natura dei rischi insiti nell’impianto (incendio, esplosioni, rilasci di fluidi, …) - probabilità che gli eventi rischiosi ipotizzabili abbiano a verificarsi e quindi identificazione degli stessi che sono “ragionevolmente prevedibili” e contro i quali occorre affrontare le difese attive e passive - entità delle conseguenze degli eventi rischiosi ragionevolmente prevedibili in termini di danno alle persone, alle strutture, all’ambiente e quindi acquisizione degli elementi essenziali per l’approntamento di un razionale piano di emergenza in terno ed esterno allo stabilimento.

Alcuni esempi chiariranno i concetti sopra esposti:

ESEMPIO 1: Dai dati statistici risulta che il motore di un frigorifero si guasta ogni 10 anni. Supposto che in frigo vi sono derrate alimentari deteriorabili sempre per

l’importo di € 50,00, calcolare il rischio associato alla rottura del motore.

(1/10 anni) * (€ 50,00) = € 5,00 annui ESEMPIO 2: Dai dati statistici risulta che in una determinata zona si verifica un sisma ogni

20 anni e che il suo manifestarsi provoca 2.000 morti. Calcolare il rischio associato all’evento sismico.

(1/20 anni) * (2.000 morti) = 100 morti annui

Da questi esempi scaturisce che le grandezze F e M sono in genere manipolabili nel senso che i loro valori numerici possono essere ridotti adottando particolari accorgimenti.

Nell’esempio del frigorifero, il rischio associato il funzionamento del motore può

essere ridotto, mantenendo inalterato il quantitativo delle derrate alimentari, utilizzando materiali di qualità o tecnologie più avanzate (manipolazione della frequenza).

Nell’esempio del sisma, si osserva che la frequenza di accadimento non è

manipolabile, perché esso è un fenomeno naturale. Può essere manipolato invece il danno attraverso la realizzazione, ad esempio, di opere cosiddette antisismiche (manipolazione della magnitudo).

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Il rischio è rappresentabile graficamente attraverso una curva nel piano cartesiano avente in ascissa la FREQUENZA ed in ordinata la MAGNITUDO.

Al riguardo è da ricordare che un qualsiasi numero può vedersi come il prodotto di

altri due numeri. ESEMPI: Il numero 100 può vedersi come il prodotto delle seguenti coppie di numeri:

(0,1*1000); (1*100); (2*50); (4*25); (1000*0,1); ……… Il numero 200 può vedersi come il prodotto delle seguenti coppie di numeri:

(0,1*2000); (1*200); (4*50); (5*40); (2000*0,1); ……… Il numero 500 può vedersi come il prodotto delle seguenti coppie di numeri:

(0,1*5000); (1*500); (5*100); (100*5); (5000*0,1); ………

Se tali coppie di numeri costituiscono i punti del piano cartesiano e se essi vengono congiunti, il risultato che si ottiene è una famiglia di curve del piano dove ognuna delle quali si definisce iperbole equilatera e tutte insieme assumono la definizione di famiglia di iperbole equilatere.

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Il grafico del rischio fornisce le seguenti informazioni:

- in nessun caso il rischio è nullo. Né deriva che c’è sempre una parte di rischio non coperta che si definisce margine di RISCHIO RESIDUO - ogni punto appartenente ad ogni singola curva ha lo stesso valore di rischio. Né deriva che esiste una classe di parametri a RISCHIO EQUIVALENTE o in altri termini esiste una classe di parametri che associano all’attività un grado di SICUREZZA EQUIVALENTE - variando in modo decrescente entrambi i parametri del rischio,o almeno uno di essi, si perviene ad una classe di rischio inferiore con la conseguente MITIGAZIONE DEL RISCHIO (strutture antisismiche, strutture resistenti al fuoco, impianti di spegnimento e rilevazione - variando in modo crescente entrambi i parametri del rischio, o almeno uno di essi, si perviene ad una classe di rischio superiore con la conseguente ALTERAZIONE DEL RISCHIO (strutture nuove non antisismiche in zona sismica, strutture non resistenti al fuoco, insediamenti privi di impianti di spegnimento e di rilevazione, mancata applicazione di una prescrizione tecnica rivolta alla sicurezza, ecc.).

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Medio Bassa

Bassissima

Medio Alta

Elevata

Ingente Notevole Trascurabile Magnitudo Modesta

Frequenza

Prevenzione

Protezione

Area di rischio inaccettabile

2. Definizione di Prevenzione Incendi Gli incendi hanno accompagnato l’evoluzione della civiltà. I tanti disastri e lutti

che si sono susseguiti nella storia dell’umanità, hanno fatto sorgere la necessità e quindi l’esigenza di poter disporre di un sistema di repressione degli incendi tale da limitare i danni che il fuoco provocava.

Sono numerosi nella lunga storia dell’umanità incendi terribili e veramente

catastrofici, ne citiamo alcuni: …. 64 dopo Cristo La città di Roma brucia per otto giorni; dieci dei quattordici distretti restano totalmente distrutti. L’organizzazione di difesa dagli incendi era considerata molto efficace …. …. The great fire of London La città di Londra aveva già subito tre gravi incendi nel 798, nel 982 e nel 1212. Tali tristi esperienze non furono però sufficienti per poter adottare adeguate misure di sicurezza, poiché nel 1666, il 2 settembre, scoppio un incendio noto come “il grande incendio di Londra” che durò cinque giorni e pur avendo causato solo la morte di sei persone, polverizzò i 5/6 del territorio metropolitano. …. Più recentemente in Italia Il 25 aprile 1982 l’incendio dell’antiquariato di Todi con 39 morti, il 13 febbraio 1983 a Torino l’incendio nel cinema Statuto con 64 morti, l’incendio nel gennaio 1998 a Milano dell’Ospedale San Raffaele e ancora l’incendio del teatro Petruzzelli di Bari, l’incendio della Fenice a Venezia, l’incendio della cappella del Duomo a Torino con danni enormi al patrimonio artistico.

Nasce quindi nel tempo l’attenzione verso il fuoco quale elemento di

distruzione e si approntano forme di controllo e di soccorso, in un primo momento frutto di iniziative private e poi demandate ai poteri pubblici, cui spetta il compito di

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tutelare l’incolumità delle persone e del patrimonio collettivo, pertanto lo Stato, quale estrema espressione del potere collettivo, assume la funzione istituzionale della prevenzione e della repressione degli incendi.

Pertanto lo Stato, quale estrema espressione del potere collettivo, assume la

funzione istituzionale della prevenzione e della repressione degli incendi. Alla luce di quanto sopra e per il conseguimento di obbiettivi di sicurezza per

la vita umana e incolumità della persone e per la tutela dei beni e dell’ambiente, con l’introduzione di un concetto tecnico quale è il rischio ben si interpreta lo spirito e la lettera della definizione della PREVENZIONE INCENDI così come recita l’art.2 del DPR 29 luglio 1982 n.577: “Per PREVENZIONE INCENDI si intende la materia di rilevanza interdisciplinare, nel cui ambito vengono promosse, studiate, predisposte e sperimentate misure, provvedimenti, accorgimenti e modi di azione intese ad evitare, secondo le norme emanate dagli organi competenti, l’insorgenza (FREQUENZA) di un incendio e a limitarne le conseguenze (MAGNITUDO)”.

Per il conseguimento delle finalità perseguite si provvede con controlli e con

l’emanazione di norme tecniche fondate su presupposti tecnico-scientifici generali in relazione alle situazioni di rischio tipiche da prevenire.

Il Corpo Nazionale dei Vigili del fuoco coordina, programma e sviluppa la

propria azione nel settore della prevenzione incendi mediante la collaborazione con gli organismi nazionali competenti in materia ed in conformità alle iniziative comunitarie e di altri organismi internazionali, al fine di armonizzare le prassi e i criteri informatori.

Il servizio di prevenzione incendi comprende le seguenti attività fondamentali:

1. organizzazione e programmazione centrale e periferica del servizio 2. predisposizioni di norme generali e specificazioni tecniche e procedurali 3. studio, ricerca, sperimentazione prove su materiali, strutture, impianti, … 4. esame di progetti di costruzioni e di installazioni industriali e civili 5. accertamenti sopralluogo (visite tecniche)

3. Panorama normativo della Prevenzione incendi

La conoscenza del panorama normativo della prevenzione incendi costituisce

uno dei presupposti fondamentali per chi opera in tale settore, pertanto è opportuno costruire un modello mnemonico consistente in una ripartizione temporale del predetto panorama in funzione dell’andamento crescente della “diffusione della cultura della sicurezza”.

Ciò consentirà di collocare in periodi temporali la normativa man mano

emanata, di seguire l’evoluzione partecipativa del mondo tecnico e dei lavoratori verso i problemi della sicurezza ed infine di seguirne la “europeizzazione” del problema.

Il modello mnemonico può strutturarsi nei seguenti periodi:

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- periodo riconducibile alla L. 27.12.41 n. 1570 che và da prima del periodo bellico alla prima metà degli anni ’50, la quale affidava al Corpo Nazionale dei VV.F., fra l’altro, i servizi di prevenzione ed estinzione degli incendi attribuendo i compiti di controllo all’organizzazione periferica e le funzioni direttive e dispositive all’organizzazione centrale - periodo riconducibile al DPR 27.4.55 n. 547 il quale dettava le norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro - periodo riconducibile al DPR 26.5.59 n. 689 il quale individuava le aziende e le lavorazioni soggette, ai fini della prevenzione incendi e al controllo del Comando dei VV.F. , raggruppandole nelle tabelle A e B - periodo riconducibile alla L. 13.5.61 n. 469 la quale individuava l’ordinamento dei servizi antincendi e del Corpo nazionale dei VV.F., lo stato giuridico e trattamento economico del personale - periodo riconducibile alla L. 26.7.65 n. 966 che disciplinava le tariffe, le modalità di pagamento e i compensi del personale VV.F. per i servizi a pagamento: - periodo riconducibile al DM 16.2.82 che individuava le 97 attività soggette al controllo dei VV.F. - periodo riconducibile al DPR 29.7.82 dove con il quale si approva il regolamento concernente l’epletamento dei servizi di prevenzione e di vigilanza antincendi - periodo riconducibile alla L. 7.12.84 n. 818 “Nullaosta provvisorio”, la quale prevede il rilascio da parte dei Comandi Provinciali dei Vigili del Fuoco di detto nullaosta per le attività indicate nell’art.1, previo accertamento mediante l’esame della documentazione e delle certificazioni prodotte dai titolari delle attività stesse - periodo riconducibile al DLvo 626/94 e successive modifiche fino ai giorni nostri, caratterizzati dal nuovo Regolamento di Prevenzione Incendi emanato con il DPR 37/98 ed infine il DM 10.3.98 che detta i criteri di sicurezza di prevenzione e di protezione contro gli incendi per tutte quelle attività non normate

4. Approfondimento: strutturazione di una norma attraverso la

definizione di rischio Il modello mnemonico consente di definire l’articolazione di una norma tecnica

di prevenzione incendi. In sintesi tale articolazione può essere la seguente:

- riferimento alla legislazione istitutiva del Servizio di Prevenzione Incendi - riferimento all’ambito applicativo - riferimento alle definizioni terminologiche e modi di rappresentazione grafica - articolazione delle prescrizioni tecniche finalizzate alla riduzione della frequenza di accadimento dell’evento incidentale - articolazione delle prescrizioni tecniche finalizzate alla riduzione del danno ove l’evento incidentale comunque si manifesta - soluzioni progettuali alternative, ove ammesse, per il conseguimento dello stesso grado di sicurezza equivalente implicito della norma - RIFERIMENTO ALLA LEGISLAZIONE ISTITUTIVA DEL SERVIZIO DI PREVENZIONE INCENDI: DM 1.2.1986 - RIFERIMENTO ALL’AMBITO APPLICATIVO - RIFERIMENTO ALLE DEFINIZIONI TERMINOLOGICHE E MODI DI RAPPRESENTAZIONE GRAFICA

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- ARTICOLAZIONE DELLE PRESCRIZIONI TECNICHE FINALIZZATE ALLA RIDUZIONE DELLA FREQUENZA DI ACCADIMENTO DELL’EVENTO INCIDENTALE - ARTICOLAZIONE DELLE PRESCRIZIONI TECNICHE FINALIZZATE ALLA RIDUZIONE DEL DANNO OVE L’EVENTO INCIDENTALE COMUNQUE SI MANIFESTA - SOLUZIONI PROGETTUALI ALTERNATIVE, OVE AMMESSE, PER IL CONSEGUIMENTO DELLO STESSO GRADO DI SICUREZZA EQUIVALENTE IMPLICITO DELLA NORMA

5. Principi generali della difesa antincendio. Metodologia di

progettazione contro rischi incendio La difesa antincendio ha lo scopo di individuare tutti quei provvedimenti di

sicurezza in relazione alla situazione dei rischi presenti all’interno di una attività. Una corretta difesa la si ottiene mediante una oculata progettazione

antincendio, ottenuta attraverso lo studio di tre distinte fasi che compongono l’intero sviluppo di un qualsiasi problema di sicurezza antincendio ed esattamente:

- 1° fase di “prevenzione” propriamente detta - 2° fase di “protezione attiva” - 3° fase di “protezione passiva”

Pertanto con la prevenzione e la protezione contro i pericoli d’incendio il concetto di sicurezza si estende non più limitandosi al campo della sicurezza strutturale, ma, integrando tra loro il concetto della sicurezza strutturale e impiantistica con quello della sicurezza antincendio, pertanto si tende ad un nuovo tipo di progettazione che definiremo integrale.

Definiremo “progettazione integrale” una progettazione che non sia frutto di

posticce sovrapposizioni di provvedimenti adottati, ma sia prodotto della composizione armonica di varie esigenze di ordine statico, funzionale, igienico, economico ed estetico, con quelle connesse alla ricerca della sicurezza contro i rischi derivanti dall’incendio.

PRIMA FASE: risulta indispensabile in tale fase individuare le fonti di rischio per poi poter procedere con lo studio del carico d’incendio, sia esso proprio che indotto (mobili, macchinari, sostanze combustibili) a dimensionare i compartimenti interni e i distanziamenti di sicurezza con gli edifici circostanti, quest’ultima misura al fine di prevenire sia l’azione di eventuali fonti di rischio esogene sia limitare danni a strutture limitrofe in caso d’incendio.

Fatto questo ci si deve assicurare che la struttura permetta la possibilità di

soccorso esterno, verificando che non vi siano impedimenti di alcun genere per l’ingresso dei mezzi di soccorso e che le operazioni delle squadre di vigili del fuoco siano effettuate nelle più idonee condizioni di sicurezza.

Principali Misure di Prevenzione Incendi (finalizzate alla riduzione della

probabilità di accadimento di un incendio):

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- corretta destinazione d’uso dei locali - limitazione dei carichi d’incendio - corretta realizzazione delle aree a rischio specifico - esecuzione degli impianti tecnologici a regola d’arte - manutenzione degli impianti tecnologici - rispetto dei divieti e delle condizioni di esercizio - istruzione del personale sul comportamento da tenere per prevenire l’incendio - realizzazione di idonei sistemi di ventilazione SECONDA FASE: in tale fase si deve dotare la struttura di una serie di apparati che consentano la scoperta e l’estinzione dei principi d’incendio prima che i loro effetti possono divenire incontrollabili o comunque formare prodotti nocivi per la salute degli occupanti.

Nel quadro delle misure rivolte alla salvaguardia delle persone minacciate

dall’evento incidentale, in relazione al rischio ipotizzabile, forniscono un valido contributo sotto l’aspetto della tempestività della segnalazione gli impianti di rivelazione e di segnalazione ed estinzione incendi , in tale fase si dovrà curare anche l’organizzazione di servizi di allarme e gestione dell’emergenza predisponendo impianti o impiegando risorse umane addestrate a tale scopo.

Attuare i provvedimenti di “Protezione Attiva” significa minimizzare gli effetti di un incendio o di una esplosione una volta che tale eventi si sono innescati, tali provvedimenti sono concepiti per operare immediatamente a valle dell’innesco dell’evento dannoso con lo scopo di rilevare, contrastare e ridurre lo sviluppo di tale evento, nonché combatterlo per domarlo.

Principali Misure di Protezione attiva (finalizzate a limitare le conseguenze di

un incendio) :

- adozione di idonei sistemi portatili di estinzione - realizzazione di impianti fissi di spegnimento - realizzazione di impianti di rivelazione automatica di incendio - realizzazione di impianti di allarme - realizzazione di impianti di alimentazione elettrica di emergenza - realizzazione di impianti di illuminazione di sicurezza - addestramento del personale all’impiego dei mezzi antincendio - istruzione della squadra di vigilanza

TERZA FASE: in tale fase i provvedimenti attuati o da attuarsi hanno la finalità di minimizzare gli effetti di un incendio o di una esplosione, una volta che tali eventi si sono innescati. A tale scopo si fa affidamento sulla condizione che lo spazio entro il quale può nascere un evento sia attrezzato per sopportare lo sviluppo e le conseguenze dell’evento impedendone la propagazione ad altri spazi.

Attuare i provvedimenti di “Protezione Passiva” significa minimizzare gli effetti

di un incendio o di una esplosione una volta che tale eventi si sono innescati, tali provvedimenti sono concepiti per ridurre la propagazione dell’incendio e realizzare

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condizioni di isolamento tali da contenere l’evento insorto, nel suo sviluppo, entro il compartimento relativo o area di rischio relativa.

Principali Misure di Protezione passiva (finalizzate a limitare le conseguenze

di un incendio):

- corretta ubicazione dell’attività - interposizione di idonee distanze di sicurezza - realizzazione di elementi strutturali resistenti al fuoco - compartimentazione congrua con il carico d’incendio - corretta organizzazione planovolumetrica dell’edificio - idonea areazione dei locali - realizzazione di superfici di minor resistenza - corretta realizzazione dei sistemi di vie d’uscita - adozione di materiali classificati in base alla reazione al fuoco 6. Commento al D.M. del 30.11.1983 – Termini e definizioni generali

e simboli grafici di prevenzione incendi Scopo di questo paragrafo è quello di fornire un glossario sui contenuti del

Decreto in esame che riguardano caratteristiche costruttive, distanze, affollamento e vie di esodo, uscite di sicurezza e mezzi antincendio.

L’ALLEGATO A DEFINIZIONI GENERALI DI PREVENZIONE INCENDI Scopo

Scopo del presente decreto è quello di dare definizioni generali relativamente ad espressioni specifiche della prevenzione incendi ai fini di una uniforme applicazione delle norme emanate ai sensi del DPR 29.7.82 n. 577.

Nella elaborazione delle singole norme di prevenzione incendi potranno

essere aggiunte altre particolari definizioni al fine di precisare elementi o dati specifici delle situazioni considerate.

CARATTERISTICHE COSTRUTTIVE: - altezza ai fini antincendi degli edifici civili

Altezza massima misurata dal livello inferiore dell'apertura più alta dell'ultimo piano abitabile e/o agibile, escluse quelle dei vani tecnici, al livello del piano esterno più basso.

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Le figure rappresentano come, in caso di terrazzi o balconi, per livello inferiore

dell’apertura più alta, si intenda la parte più alta del parapetto comunque realizzato.

- altezza dei piani

Altezza massima tra pavimento e intradosso del soffitto.

- carico d'incendio

Potenziale termico della totalità dei materiali combustibili contenuti in uno spazio, ivi compresi i rivestimenti dei muri, delle pareti provvisorie, dei pavimenti e dei soffitti. Convenzionalmente è espresso in chilogrammi di legno equivalente (potere calorifico inferiore 4.400 Kcal/kg o 18,422 MJ/kg) per mq di pavimento.

Il carico di incendio esprime il massimo effetto termico derivante dalla

combustione completa dei materiali presenti in uno spazio ed è espresso dalla massa di legno equivalente ai materiali combustibili presenti nel locale o porzione di fabbricato che si considera. In formula

dove: · “q” è il carico di incendio in kg legno/mq · “gi” è il peso in kg del generico fra gli n combustibili che si prevedono presenti nel locale o nel piano nelle condizioni più gravose di carico di incendio · “Hli” è il potere calorifico inferiore in MJ/kg (o Kcal/kg) del generico fra gli n combustibili di peso gi · “A” è la superficie in mq del locale o del piano del fabbricato considerato · “18,422” è il potere calorifico inferiore del legno standard in MJ/kg; questo numero diventa 4.400 quando si voglia esprimere il potere calorifico in kcal/kg, dal momento che un MJ è uguale a 238,87 kcal - carico d'incendio specifico

Carico d’incendio riferito alla unità di superficie lorda. - compartimento antincendio

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Parte di edificio delimitata da elementi costruttivi di resistenza al fuoco predeterminata e organizzato per rispondere alle esigenze della prevenzione incendi.

Dal concetto esposto deriva

che, negli edifici nei quali è accumulata una grande quantità di materiale combustibile su una superficie di area notevolmente estesa, è conveniente frazionare lo spazio interno in spazi più piccoli attraverso l’introduzione di strutture tagliafuoco di opportuna resistenza al fuoco, con il compito di contenere l’eventuale incendio in una frazione minore dell’edificio.

Tali strutture tagliafuoco possono essere orizzontali, eseguite cioè secondo la tipologia dei solai, o verticali, i muri tagliafuoco propriamente detti.

- comportamento al fuoco Insieme di trasformazioni fisiche e chimiche di un materiale o di un elemento da costruzione sottoposto all'azione del fuoco.

Il comportamento al fuoco comprende la resistenza al fuoco delle strutture e la reazione al fuoco dei materiali. Il comportamento al fuoco dei materiali è dedotto da prove di laboratorio in cui vengono valutati i parametri fondamentali nella loro effettiva condizione d’impiego.

Di norma queste prove servono per stabilire i criteri di accettabilità dei vari

prodotti anche in riferimento ai livelli di sicurezza desiderati. Nel “comportamento al fuoco” si distinguono due differenti connotazioni: la Resistenza al fuoco e la Reazione al fuoco. - filtro a prova di fumo

Vano delimitato da strutture con resistenza al fuoco REI predeterminata, e comunque non inferiore a 60', dotato di due o più porte munite di congegni di autochiusura con resistenza al fuoco REI predeterminata, e comunque non inferiore a 60', con camino di ventilazione di sezione adeguata e comunque non inferiore a 0,10 m2 sfociante al di sopra della copertura dell'edificio, oppure vano con le stesse caratteristiche di resistenza al fuoco e mantenuto in sovrappressione ad almeno 0,3 mbar, anche in condizioni di emergenza, oppure aerato direttamente verso l'esterno con aperture libere di superficie non inferiore ad 1 m2 con esclusione di condotti.

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- filtro a prova di fumo in sovrapressione

Si nota come sia possibile prevedere l'attivazione del ventilatore solo in caso di incendio, grazie ad apposito rilevatore di fumo, in luogo di un funzionamento continuo del ventilatore stesso. La presenza di sistema di rilevazione fumi può inoltre anche determinare la chiusura delle porte tagliafuoco qualora esse per particolari esigenze dovessero rimanere normalmente aperte durante il funzionamento dell'attività.

- intercapedine antincendi

Vano di distacco con funzione di aerazione e/o scarico di prodotti della combustione di larghezza trasversale non inferiore a 0,60 m; con funzione di passaggio di persone di larghezza trasversale non inferiore a 0,90 m.

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Longitudinalmente è delimitata dai muri perimetrali (con o senza aperture) appartenenti al fabbricato servito e da terrapieno e/o da muri di altro fabbricato, aventi pari resistenza al fuoco.

Ai soli scopi di aerazione e scarico dei prodotti della combustione è

inferiormente delimitata da un piano ubicato a quota non inferiore ad 1 m dall'intradosso del solaio del locale stesso.

Per la funzione di passaggio di persone, la profondità della intercapedine deve

essere tale da assicurare il passaggio nei locali serviti attraverso varchi aventi altezza libera di almeno 2 m. Superiormente è delimitata da ”spazio scoperto“.

- materiale

Il componente (o i componenti variamente associati) che può (o possono) partecipare alla combustione in dipendenza della propria natura chimica e delle effettive condizioni di messa in opera per l'utilizzazione.

- reazione al fuoco

Grado di partecipazione di un materiale combustibile al fuoco al quale è sottoposto.

In relazione a ciò i materiali sono assegnati (Circ. n. 12 del 17.5.80 del

Ministero dell'interno) alle classi 0, 1, 2, 3, 4, 5 con l'aumentare della loro partecipazione alla combustione; quelli di classe 0 sono non combustibili.

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La classe di reazione al fuoco deve essere certificata sulla base delle procedure e delle prove di cui al DM del 26.6.1984 pubblicato sulla GU n. 234 del 25.8.84.

Quest’ultimo decreto, che ha sostituito la Circolare n. 12 del 1980 riportata

nella definizione originaria, determina la classe di reazione al fuoco che devono avere i vari materiali in relazione al luogo in cui vengono impiegati. - resistenza al fuoco

Attitudine di un elemento da costruzione (componente o struttura) a conservare - secondo un programma termico prestabilito e per un tempo determinato - in tutto o in parte: la stabilità «R», la tenuta «E», l'isolamento termico «I», così definiti: - stabilità: attitudine di un elemento da costruzione a conservare la resistenza meccanica sotto l'azione del fuoco - tenuta: attitudine di un elemento da costruzione a non lasciar passare né produrre - se sottoposto all'azione del fuoco su un lato - fiamme, vapori o gas caldi sul lato non esposto - isolamento termico: attitudine di un elemento da costruzione a ridurre, entro un dato limite, la trasmissione del calore

Pertanto: - con il simbolo «REI» si identifica un elemento costruttivo che deve conservare, per un tempo determinato, la stabilità, la tenuta e l'isolamento termico - con il simbolo «RE» si identifica un elemento costruttivo che deve conservare, per un tempo determinato, la stabilità e la tenuta - con il simbolo «R» si identifica un elemento costruttivo che deve conservare, per un tempo determinato, la stabilità

In relazione ai requisiti dimostrati gli elementi strutturali vengono classificati da

un numero che esprime i minuti primi. Per la classificazione degli elementi non portanti il criterio «R» è automaticamente soddisfatto qualora siano soddisfatti i criteri «E» ed «I».

- spazio scoperto

Spazio a cielo libero o superiormente grigliato avente, anche se delimitato su tutti i lati, superficie minima in pianta (mq) non inferiore a quella calcolata moltiplicando per tre l'altezza in metri della parete più bassa che lo delimita. La distanza fra le strutture verticali che delimitano lo spazio scoperto deve essere non inferiore a 3,50 m.

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Se le pareti delimitanti lo spazio a cielo libero o grigliato hanno strutture che

aggettano o rientrano, detto spazio è considerato ”scoperto“ se sono rispettate le condizioni del precedente comma e se il rapporto fra la sporgenza (o rientranza) e la relativa altezza di impostazione è non superiore ad 1/2. La superficie minima libera deve risultare al netto delle superfici aggettanti. La minima distanza di 3,50 m deve essere computata fra le pareti più vicine in caso di rientranze, fra parete e limite esterno della proiezione dell'aggetto in caso di sporgenze, fra i limiti esterni delle proiezioni di aggetti prospicienti. - superficie lorda di un compartimento

Superficie in pianta compresa entro il perimetro interno delle pareti delimitanti il compartimento. DISTANZE: - distanza di sicurezza esterna

Valore minimo, stabilito dalla norma, delle distanze misurate orizzontalmente tra il perimetro in pianta di ciascun elemento pericoloso di una attività e il perimetro del più vicino fabbricato esterno alla attività stessa o di altre opere pubbliche o private oppure rispetto ai confini di aree edificabili verso le quali tali distanze devono essere osservate.

- distanza di sicurezza interna

Valore minimo, stabilito dalla norma, delle distanze misurate orizzontalmente tra i rispettivi perimetri in pianta dei vari elementi pericolosi di una attività.

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- distanza di protezione

Valore minimo, stabilito dalla norma, delle distanze misurate orizzontalmente tra il perimetro in pianta di ciascun elemento pericoloso di una attività e la recinzione (ove prescritta) ovvero il confine dell'area su cui sorge l'attività stessa.

AFFOLLAMENTO - ESODO: - capacità di deflusso o di sfollamento

Numero massimo di persone che, in un sistema di vie d'uscita, si assume possano defluire attraverso una uscita di «modulo uno». Tale dato, stabilito dalla norma, tiene conto del tempo occorrente per lo sfollamento ordinato di un compartimento.

Il D.M. 19.8.1996 riguardante i locali di intrattenimento e di pubblico spettacolo richiede i seguenti valori della capacità di deflusso: - 50 per il piano terra con pavimento a quota compresa fra + 1 metro rispetto al piano di riferimento - 37,5 per i locali con pavimento a quota compresa fra + 7,5 metri rispetto al piano di riferimento - 33 per i locali con pavimento a quota al di sopra o al di sotto di 7,5 metri rispetto al piano di riferimento

Esempio: qual è la capacità di deflusso di una via d’uscita di ampiezza due

moduli (mt 1,20) ubicata al quarto piano di un albergo?

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Risposta: poiché la normativa relativa agli alberghi (DM 9.4.94) prevede, per gli edifici con più di tre piani fuori terra, una capacità di deflusso pari a 33 persone/modulo, la capacità di deflusso della via d’uscita sarà 33*2=66 persone.

- densità di affollamento

Numero massimo di persone assunto per unità di superficie lorda di pavimento (persone/mq).

Le varie normative prevedono le seguenti densità di affollamento:

Per locali adibiti ad esposizione, mostre, gallerie e simili

0,4 persone/m2

Per grandi magazzini e supermercati

0,4 persone/m2 ai piani interrati e piano terra 0,2 persone/m2 ai piani superiori 0,1 persone/m2 per aree adibite ad uffici, magazzini, spedizioni

Per autorimesse non sorvegliate 0,1 persone/m2

Per autorimesse sorvegliate 0,01 persone/m2

Per attività ricettive turistico-alberghiere

0,4 persone/m2 per aree comuni a servizio del pubblico, fatta eccezione per i locali di pubblico spettacolo

Per locali di intrattenimento e pubblico spettacolo

Nei cinema, teatri, auditorium e sale convegno, teatri tenda, circhi: pari al numero dei posti a sedere ed in piedi autorizzati, compresi quelli per le persone con ridotte o impedite capacità motorie. Nei locali di intrattenimento ovvero locali destinati a trattenimento ovvero destinati a trattenimenti ed attrazioni varie, aree ubicate in esercizi pubblici ed attrezzature per raccogliere spettacoli, con capienza superiore a 100 persone, nonché nei locali adibiti a sale da ballo e discoteche: 0,7 persone/m2 al chiuso 1,2 persone/m2 all’aperto

- larghezza delle uscite di ciascun compartimento

Numero complessivo di moduli di uscita necessari allo sfollamento totale del compartimento.

- luogo sicuro

Spazio scoperto ovvero compartimento antincendio - separato da altri compartimenti mediante spazio scoperto o filtri a prova di fumo - avente caratteristiche idonee a ricevere e contenere un predeterminato numero di persone (luogo sicuro statico), ovvero a consentirne il movimento ordinato (luogo sicuro dinamico).

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Dimensionamento di un luogo sicuro statico: ai fini del dimensionamento di un luogo sicuro statico si può fare riferimento ad una densità di occupazione che prudenzialmente si può fissare in 2 persone/m2.

Esempio: determinare il numero massimo di persone che può sostare in un

terrazzo di 50 mq. Moltiplicando la superficie per la densità di affollamento si ha: 50*2=100 Dimensionamento di un luogo sicuro dinamico: ai fini del dimensionamento di

un luogo sicuro dinamico è necessario calcolare il tempo di evacuazione. Quest’ultimo dipende da: - Numero di persone presenti: n - Larghezza delle uscite in metri: Lu - Velocità di circolazione V che si ipotizza pari a 0,6 mt/sec - Lunghezza del percorso di evacuazione in metri: L

Per determinare il tempo di evacuazione T, in secondi, si ricorre generalmente alla seguente relazione:

T = (n / Lu*C) + (L/V)

dove C è un coefficiente pari a 1,3.

Esempio: sia dato il luogo sicuro rappresentato dal disegno seguente e di cui

vogliamo verificare la congruità. Dalla via di uscita, di ampiezza Lu=1,8 mt, possono uscire 150 persone. Il

tempo di deflusso è:

T = 150/(1,8 * 1,3) + (30/0,6) = 64 +50 = 114 secondi = 1’ 54”

avendo ipotizzato che la distanza massima di evacuazione sia 30 metri. Il luogo sicuro indicato, inoltre, ha una superficie utile S ≅ 36 mq sufficiente ad ospitare, in regime statico, 36*2=72 persone.

Ma il luogo sicuro è anche dinamico in quanto consente anche il movimento ordinato delle persone, grazie alla presenza di una scala di ampiezza Lu=1,2 mt.

In 1’54” dalla scala esterna possono allontanarsi in modo ordinato n persone, ovvero

1’54” = n/(1,2*1,3) + 8/0,6 da cui

n = 157 persone

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Si conclude che il luogo sicuro dinamico di dimensione 4,5*8 mq con una scala di ampiezza di 1,2 mt, consente l’ordinato sfollamento alle 150 persone previste nel progetto.

- massimo affollamento ipotizzabile

Numero di persone ammesso in un compartimento. E’ determinato dal prodotto della densità di affollamento per la superficie lorda del pavimento.

- modulo di uscita

Unità di misura della larghezza delle uscite. Il «modulo uno», che si assume uguale a 0,60 m, esprime la larghezza media occupata da una persona.

- scala di sicurezza esterna

Scala totalmente esterna, rispetto al fabbricato servito, munita di parapetto regolamentare e di altre caratteristiche stabilite dalla norma.

- scala a prova di fumo esterna

Scala in vano costituente compartimento antincendio avente accesso per ogni

piano mediante porte di resistenza al fuoco almeno RE predeterminata e dotate di congegno di autochiusura da spazio scoperto o da disimpegno aperto per almeno un lato su spazio scoperto dotato di parapetto a giorno.

- scala a prova di fumo interna

Scala in vano costituente compartimento antincendio avente accesso, per ogni piano, da filtro a prova di fumo.

- scala protetta

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Scala in vano costituente compartimento antincendio avente accesso diretto da ogni piano, con porte di resistenza al fuoco REI predeterminata e dotate di congegno di autochiusura.

- sistema di vie di uscita

Percorso senza ostacoli al deflusso che consente alle persone che occupano un edificio o un locale di raggiungere un luogo sicuro. La lunghezza massima del sistema di vie di uscita è stabilita dalle norme.

La lunghezza delle vie di uscita è misurata dalla porta di ciascun locale occupato, anche solo

da qualche persona, e da ogni punto dei locali comuni fino ad una uscita su luogo sicuro o su scala di sicurezza esterna con un percorso L non superiore a quanto stabilito dalle norme. Tra i valori di L più ricorrenti si citano i seguenti: - L < 40 mt da ogni punto del locale al luogo sicuro scala di sicurezza esterna per alberghi con oltre 25 posti letto (DM Interni 9.4.94) - L < 30 mt da ogni punto del locale a scala protetta che immetta in luogo sicuro per alberghi con oltre 25 posti letto (DM Interni 9.4.94) - L < 30 mt da ogni punto del locale al luogo sicuro per i grandi magazzini (Circolare MI 3.7.67 n. 75) - L < 40 mt da ogni punto di un’autorimessa ad un luogo sicuro (DM Interni 1.2.86) - L < 50 mt da ogni punto di un’autorimessa ad un luogo sicuro in presenza di un impianto di spegnimento automatico (DM Interni 1.2.86) - L < 15 mt lunghezza dei corridoi ciechi negli alberghi (DM Interni 9.4.94) - L < 25 mt lunghezza dei corridoi ciechi negli alberghi a condizione che i materiali siano di classe 0 e che le porte dei locali, che hanno accesso da tali corridoi, siano RE60 e dotati di dispositivo di antichiusura (DM Interni 9.4.94) - L < 40 mt lunghezza del percorso di esodo per raggiungere un luogo sicuro o una scala di sicurezza esterna nelle attività turistico alberghiere esistenti con oltre 25 posti letto (DM Interni 9.4.94) - L < 30 mt lunghezza di percorso di esodo negli edifici di interesse storico-artistico destinati a biblioteche ed archivi (DPR 30.6.95 n. 418) - L < 50 mt lunghezza massima del percorso di uscita misurata a partire dall’interno della sala di intrattenimento e pubblico spettacolo fino al luogo sicuro o scala di sicurezza esterna (DM 19.8.96) - L < 70 mt lunghezza massima del percorso di uscita dall’interno di una sala adibita ad intrattenimento o a pubblico spettacolo fino al luogo sicuro o scale di sicurezza esterne purchè in presenza di efficaci impianti di smaltimento dei fumi asserviti ad impianti di rilevazione automatica di incendi (DM 19.8.96) - L < 15 mt lunghezza del percorso nei locali di intrattenimento o di pubblico spettacolo misurata fino al punto in cui c’è la disponibilità di percorso alternativo (DM 19.8.96)

- uscita

Apertura atta a consentire il deflusso di persone verso un luogo sicuro avente altezza non inferiore a 2,00 m.

In teoria, la larghezza minima di un’uscita è pari a 0,60 mt, dimensione che

corrisponde al “modulo uno” ovvero esprime la larghezza media occupata da una persona. Nella gran parte delle normative specifiche viene in genere richiesto che la larghezza minima di una uscita sia non inferiore a due moduli.

MEZZI ANTINCENDIO: - attacco di mandata per autopompa

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Dispositivo costituito da una valvola di intercettazione ed una di non ritorno, dotato di uno o più attacchi unificati per tubazioni flessibili antincendi. Serve per alimentazione idrica sussidiaria. NORMA UNI 10779: L'attacco di mandata per autopompa è un dispositivo, collegato alla rete di idranti, per mezzo del quale può essere immessa acqua nella rete di idranti in condizioni di emergenza.

Il dispositivo costituente l'attacco per autopompa deve comprendere almeno:

- una o più bocche di immissione conformi alla specifica normativa di riferimento, con diametro non minore di DN 70, dotate di attacchi con girello (UNI 808) protetti contro l'ingresso di corpi estranei nel sistema a mezzo di tappo - valvola di sicurezza tarata a 1,2 MPa, per sfogare l'eventuale eccesso di pressione dell'autopompa - valvola di non ritorno o altro dispositivo atto ad evitare fuoriuscita d'acqua dall'impianto in pressione - valvola di intercettazione, normalmente aperta, che consenta l'intervento di manutenzione sui componenti senza vuotare l'impianto - nel caso di possibilità di gelo, eventuale dispositivo di drenaggio - estintore carrellato

Apparecchio contenente un agente estinguente che può essere proiettato e diretto su un fuoco sotto l’azione di una pressione interna. E’ concepito per essere portato e utilizzato su un carrello.

- estintore portatile

Definizione, contrassegni distintivi, capacità estinguente e requisiti sono specificati nel D,M. 20/12/1082

- idrante antincendio

Attacco unificato, dotato di valvola di intercettazione ad apertura manuale, collegato ad una rete di alimentazione idrica. Un idrante può essere a muro, a colonna soprasuolo oppure sottosuolo. - impianto automatico di rivelazione d’incendio

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Insieme di apparecchiature destinate a rilevare, localizzare e segnalare automaticamente un principio d’incendio.

- impianto di allarme

Insieme di apparecchiature ad azionamento manuale utilizzate per segnalare un principio d’incendio.

- impianto fisso di estinzione

Insieme di sistemi di alimentazione, di valvole, di condutture e di erogatori per proiettare o scaricare un idoneo agente estinguente su una zona d’incendio. La sua attivazione ed il suo funzionamento possono essere manuali o automatici.

- lancia erogatrice

Dispositivo provvisto di un bocchello di sezione opportuna e di un attacco unificato. Può essere anche dotata di una valvola che permette il getto pieno, il getto frazionato e la chiusura.

- naspo

Attrezzatura antincendio costituita da una bobina mobile su cui è avvolta una tubazione semirigida collegata ad una estremità, in modo permanente, con una rete di alimentazione idrica in pressione e terminante all’altra estremità con una lancia erogatrice munita di valvola regolatrice e di chiusura del getto.

- rete di idranti

Sistema di tubazioni fisse in pressione per alimentazione idrica sulle quali sono derivati uno o più idranti antincendio.

- riserva di sostanza estinguente

Quantitativo di estinguente, stabilito dall’autorità, destinato permanentemente all’esigenza di estinzione. - tubazione flessibile

Tubo la cui sezione diventa circolare quando viene messo in pressione e che è appiattito in condizioni di riposo.

- tubazione semirigida

Tubo la cui sezione resta sensibilmente circolare anche se non è in pressione.

TOLLERANZE DELLE MISURE Ai fini delle presenti indicazioni e tenuto conto dei criteri di tolleranza

normalmente in uso per i dati quantitativi facenti parte delle normative o delle

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prescrizioni tecniche, si stabiliscono le tolleranze ammesse per le misure di vario tipo riportate nei termini e definizioni generali di prevenzione incendi:

Misure lineari tolleranza 2% misure >2.40 m. 5% misure <= a 2.40m. Misure di superficie tolleranza 5% Misure di volume tolleranza 5% Misure di pressione tolleranza 1%

L’ALLEGATO B

SIMBOLI GRAFICI

7. LA PROTEZIONE PASSIVA

La Compartimentazione Principi generali

Tra i parametri dell’analisi di rischio, fondamentale è il volume del compartimento che, abbinato ad una razionale disposizione degli ambienti di lavoro ed alla organizzazione delle vie di esodo (layout), assume un peso determinante, nella pianificazione ai fini della sicurezza.

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La compartimentazione sia essa orizzontale che verticale, fornisce la possibilità di ridurre le conseguenze di un evento incidentale localizzato in una certa zona possa estendersi ad altre aree.

Ove manchino elementi di chiusura che fisicamente delimitano il

compartimento, si considerano gli spazi liberi a cielo aperto, eventualmente esistenti, come divisori delle diverse aree, supplendo di fatto alla mancanza di muri a tenuta REI, purchè siano sufficientemente vasti da garantire un sufficiente di stanziamento dei vari corpi di fabbrica.

Obiettivo indispensabile è quello di poter contenere l’incendio nella zona d’innesco

del focolaio, senza permettere, o almeno ritardando il più possibile, una sua propagazione ad altre zone, prevedendo la messa in opera di strutture, denominate “tagliafuoco”, che si interpongono tra l’area soggetta ad incendio ed altre aree ancora libere.

Il Compartimento

Definizione di Compartimento: partizione di un edificio delimitata da elementi costruttivi atti ad impedire, almeno per un tempo prefissato, la propagazione dell’incendio e dei suoi effetti, come fumi e calore, a settori adiacenti o a strutture attigue.

Sicuramente un frazionamento della superficie in comparti

il più limitati possibile offre maggiori garanzie rispetto a frazionamenti a comparti più vasti anche se protetti da impianti automatici di spegnimento che se non manutenzionati o verificati periodicamente non possono offrire idonee garanzie di sicurezza.

Una determinazione quantitativa che individui quanto possa essere vasto un

compartimento deve tener conto dei seguenti fattori:

- presenza o meno di impianti antincendio - conformazione planovolumetrica - facilità di accesso allo stesso da parte dei soccorritori - destinazione d’uso dello stesso

La normativa valuta, a seconda dei casi, come quantificare la superficie di un

compartimento differenziandosi di volta in volta.

ESEMPIO

Fuori Terra Sotterranee Miste Isolate Miste Isolate PIANO

perte Chiuse Aperte Chiuse Aperte Chiuse Aperte Chiuse

Terra 500 5000 10000 7500

1 piano 500 3500 7500 5500 5000 2500 7000 3000

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2 piano 500 3500 7500 5500 3500 2000 5500 2500

3 piano 500 2500 5500 3500 2000 1500 3500 2000

4 piano 500 2500 5500 3500 1500 2500 1500

5 piano 500 5000 2500 1500 2000 1500

6 piano 500 5000 1500 2000 1500

7 piano 000 4000 Determinazione delle superfici massime per i compartimenti di autorimessa (D.M. 1/2/1986)

Le distanze di sicurezza

Il concetto di frazionamento del rischio che si attua con la divisione dell’attività

in più compartimenti risulta essere fondamentale per la riduzione della propagazione dell’incendio, limitando i danni da esso arrecati.

Tale divisione può essere effettuata mediante strutture dette tagliafuoco o

mediante in frapposizione di spazi liberi, ossia adottando delle distanze di sicurezza. Da un punto di vista economico, compartimentare una attività utilizzando

grandi spazi liberi, non risulta essere conveniente, anche nel caso di lavorazioni industriali, in quanto aumenterebbero i tempi di lavorazione e i costi relativi ai servizi di trasporto dei prodotti all’interno del ciclo produttivo.

Nella terminologia tecnica per la stesura delle normative, il termine di “Distanza di Sicurezza” stà ad indicare una INTERPOSIZIONE DI SPAZIO SCOPERTO FRA EDIFICI O INSTALLAZIONI.

La scelta delle opportune distanze di sicurezza da adottare in una attività è determinata dall’energia termica teorica che l’eventuale incendio può irraggiare (tale energia varierà in funzione delle sostanze in gioco presenti nell’attività).

Le distanze di sicurezza si distinguono in:

1. DISTANZA DI SICUREZZA INTERNA: finalizzata a proteggere elementi appartenenti ad uno stesso complesso 2. DISTANZA DI SICUREZZA ESTERNA: finalizzata a proteggere elementi esterni al complesso da eventuali eventi incidentali interni 3. DISTANZA DI SICUREZZA DI PROTEZIONE: misurata orizzontalmente tra il perimetro in pianta di ciascun elemento pericoloso e la recinzione ovvero il confine dell’area su cui sorge l’attività. La compartimentazione verticale ed orizzontale

La compartimentazione di un edificio può essere fatta con la finalità di

fronteggiare la propagazione orizzontale o la propagazione verticale dell’incendio e

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prima ancora dei suoi prodotti. Nel primo caso parleremo di compartimentazione verticale nel secondo caso di compartimentazione orizzontale.

MURO TAGLIAFUOCO: muro destinato a portare solo il proprio peso, dimensionato in modo tale da conservare l’integrità strutturale e soprattutto la capacità a non trasmettere calore e fumo, anche quando uno dei compartimenti di cui è divisorio è investito da un incendio.

Principali caratteristiche di un Muro Tagliafuoco (finalizzate a limitare quanto

più possibile il rischio di diffusione di un incendio ad altre zone dello stesso edificio o di edifici vicini) : - estensione dalle fondazioni al tetto, se il tetto risulta essere a falda, devono essere elevati fino ad una quota superiore in altezza a quella del colmo all’incontro di due falde - contigui e privi di aperture, se necessarie, devono essere dotate di elementi di chiusura della stessa capacità di tenuta REI della struttura tagliafuoco - dovrà essere realizzato e rifinito con materiali e prodotti che per caratteristiche di stabilità, densità ed impermeabilità garantiscano una certa tenuta REI fissata in sede di progetto - assenza di attraversamenti, tuttavia può accadere che per tipo di lavorazioni pericolose sia necessario attraversare tale struttura, in tal caso occorre addottare misure di sicurezza che consentano di raggiungere un grado di Sicurezza Equivalente

Nel caso l’apertura sia costituita da un varco

pedonale deve essere chiusa da una porta che, in quanto superficie mobile destinata alternativamente a creare un passaggio attraverso la parete e a ripristinare la continuità, deve avere le stesse caratteristiche della parete stessa, ma nel contempo deve poter garantire un’apertura molto rapida in caso di necessità, apertura ottenuta con l’adozione di particolari sistemi (maniglione antipanico).

Tale elemento, usualmente nella

compartimentazione verticale viene definito “Porta Antincendio”, schematicamente composta da: - un pannello con il compito di impedire per un certo tempo il passaggio di fiamme, calore e prodotti della combustione, pertanto costituito da materiali idonei - un meccanismo di apertura e chiusura

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- elementi per la chiusura automatica Per quanto detto, è immediato capire che la resistenza al fuoco di una porta

antincendio dipende dai materiali impiegati, dai loro spessori, dalla natura del materiale isolante, dalla presenza o meno della guarnizione incombustibile e dalle modalità di applicazione delle lamiere.

In caso di particolari esigenze pratico-estetiche (come può richiedere la progettazione

di strutture con particolari valenze architettoniche) si segnala che i progressi fatti nel campo della produzione vetraria hanno consentito di realizzare elementi di protezione, che possono essere utilizzati anche per produrre porte, costituiti da due strati di cristallo con interposta una resina polivinilica che nel loro insieme garantiscono elevate caratteristiche di resistenza al fuoco.

Le porte tagliafuoco si dividono in: - Porte scorrevoli, ossia sospese ad una guida inclinata di pochi gradi rispetto al piano orizzontale mediante ruote fissate al pannello. Normalmente stanno in posizione aperta trattenuta da un contrappeso e da un cavo in cui è inserito un fusibile che in caso d’incendio si fonde liberando il contrappeso e permettendo alla porta di chiudersi - Porte a ghigliottina, installate secondo un principio analogo a quello addottato per le porte scorrevoli, ma con la differenza che in questo caso il pannello viene mantenuto sospeso sopra l’apertura e le guide sono verticali - Porte incernierate, munite di sistemi di chiusura automatica quali fusibili, cavetti e contrappesi o sistemi idraulici o a molla che in caso d’incendio fanno chiudere per caduta il serramento

I prodotti della combustione, per effetto di moti convettivi,

trasportano l’incendio verso l’alto, fumo e gas caldi si incanalano nei condotti verticali (cunicoli di servizio, rampe scale, ascensori) provocando la diffusione dell’incendio anche ai piani alti.

Per limitare la propagazione in senso verticale, occorre

effettuare due operazioni fondamentali:

1. difendere le aperture di comunicazione con i condotti verticali, rampe scale … 2. realizzare elementi tagliafuoco orizzontale

Per raggiungere il primo obiettivo, la condizione necessaria per poter garantire

un’adeguata risposta alla propagazione dell’incendio è che essi non siano in diretto contatto con i locali del compartimento e questo lo si raggiunge o attestandoli su spazi con accesso a cielo libero o nel caso delle scale con la realizzazione di filtri a prova di fumo.

I filtri a prova di fumo permettono di isolare i condotti verticali dagli effetti dei prodotti

della combustione i quali possono solo interessare la zona filtro, costituita dallo spazio areato o ventilato posto tra le due porte di comunicazione tra compartimento e scala o ascensore.

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Per raggiungere il secondo obiettivo, diventa necessario assicurarsi che gli elementi di divisione tra comparti collocati su piani diversi abbiano le caratteristiche di solai tagliafuoco.

I solai tagliafuoco vengono realizzati maggiorando il loro spessore, impiegando

materiali particolari per la costruzione, comunque però non garantiscono valori di resistenza al fuoco paragonabili a quelle dei muri tagliafuoco, per poter far ciò si devono affrontere dei costi notevoli.

E per questo motivo che si ritiene, dove possibile (per esempio negli edifici molto alti) l’adozione di piani tecnici destinati ad uso non abitativi da interporre ai piani abitativi al fine di ridurre la propagazione verticale dell’incendio. 8. Sistemi di vie d’uscita Principi generali – Il problema dell’evacuazione

Poter garantire, in caso di pericolo, la rapida ed ordinata evacuazione da una qualunque struttura in cui si trovino delle persone è un problema di massima importanza nella Prevenzione Incendi.

Le differenti capacità psico-

motorie degli occupanti, le diverse reazioni psicologiche, l’imprevedibilità del comportamento della folla, il numero degli occupanti e la loro distribuzione all’interno della struttura, in caso di evacuazione di emergenza, unitamente ad una maggiore o minore conoscenza dell’edificio, condizionano il fenomeno

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dell’evacuazione e quindi rendono necessaria l’attivazione di studi sulla “pianificazione dell’esodo” che devono analizzare caso per caso quali siano le più idonee misure di prevenzione da adottare. Tale pianificazione deve essere impostata, in prima analisi secondo i seguenti principi fondamentali:

mettere ogni persona nelle condizioni di potersi salvare da sola -

-

-

-

chiarezza e semplicità nella pianificazione, non in contrasto con le naturali tendenze dell’uomo

adozione di soluzioni tecniche che diano elevate garanzie per la vita delle persone

In sede di tale studio della pianificazione dell’esodo, un ruolo fondamentale è

giocato dalle implicazioni psicologiche, che condiziona il seguente processo: sfollamento o evacuazione normale. Intelligente comportamento psicologico

della folla, caratterizzato da un moto ordinato e direzionale trasformandolo in un processo di: - sfollamento o evacuazione di emergenza. Complicato comportamento psicofisico della folla caratterizzato da moto precipitoso e disordinato

Se non viene fatta una adeguata pianificazione dell’esodo, si rischia di

trasformare il processo precedente in:

- sfollamento di panico. Predominio dei fattori fisici della folla caratterizzato da moto caotico, per colpa del quale la densità di affollamento in prossimità delle uscite è tale da provocare l’arresto del flusso di evacuazione (intasamento).

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Tali intasamenti, sono fisicamente spiegabili se si paragona il flusso degli sfollanti a quello di una corrente d’acqua che, in prossimità di restringimenti di sezione o curve, provoca moti turbinosi di alcune sue particelle, rallentando anche la corsa delle altre in arrivo, più o meno analogamente il l flusso di persone viene visto come un insieme di particelle che in caso di esodo prima procedono sgranate fra di loro poi sempre più vicine, fino a toccarsi in prossimità di un’apertura (vista come restringimento di sezione), riducendo la loro area occupata, formando un assembramento sul fronte dell’uscita, che generalmente si dispone ad arco; da qui il nome al fenomeno, conosciuto come “effetto d’arco”. Dallo studio di tale fenomeno è stato sperimentato che per aperture superiori a 120 cm., si riesce a creare un moto scorrevole degli sfollanti.

Il panico lo posiiamo definire come un timore repentino di un pericolo reale o

immaginario che determina una psicosi collettiva di allarme che si diffonde nel pubblico o in una categoria di persone e che determina comportamenti incontrollati e impulsivi.

Tale fenomeno sebbene di estrema importanza per le conseguenze sulla sicurezza della vita umana, non è mai stato oggetto di attenzione normativa e di studi sul suo manifestarsi e sulle conseguenze che determina in occassione di un incendio.

Il panico non è sempre generato da sinistri dovuti ad incendio (si veda ad esempio quando avviene durante una partita di calcio) ma le misure di sicurezza soprattutto ai fini di un corretto deflusso possono essere le stesse.

Il fenomeno è importante solo nella misura della sua immediatezza dannosa.

Parametri fondamentali delle vie d’esodo Pertanto per quanto detto, possiamo affermare che il dimensionamento della

uscite va effettuato tenendo in debito conto alcuni parametri variabili di caso in caso con l’obiettivo principale di evitare l’arresto del flusso d’evacuazione e le drammatiche conseguenze che ne possono derivare.

Tali parametri di riferimento che

regolano i sistema dell’esodo o di evacuazione, si possono brevemente riassumere in:

MODULO: è l’unità di misura della larghezza delle vie di uscita e si assume uguale a 60 cm, corrispondente alla larghezza media occupata dalla persona. Le norme prescrivono che una uscita abbia larghezza multipla del modulo e comunque non inferiore a due moduli (120 cm), viene ammessa una via di esodo di larghezza da 60 a 90 cm. nelle intercapedini; SUPERFICIE OCCUPATA: superficie ellittica, proiezione verticale del corpo umano (asse maggiore 60 cm, asse minore 45 cm). Essa rappresenta il rapporto tra la superficie disponibile per il numero di persone espresso in

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mq/pers. In sostanza è la superficie che ogni persona ha a disposizione. DENSITÀ DI AFFOLLAMENTO: rapporto tra il massimo numero prevedibile di persone per la superficie lorda di pavimento; è espressa dalla formula: d=Np/S (pers/mq)

In Italia i valori di “d” vengono stabiliti dalle normative specifiche o dai criteri

generali di sicurezza.

VELOCITÀ DEL MOTO: variabile di difficile determinazione, in quanto funzione di altre variabili quali la larghezza delle vie d’uscita e delle aperture, le traiettorie dei percorsi, la densità di affollamento e dalle caratteristiche psicofisiche delle persone. CAPACITÀ DI DEFLUSSO: numero massimo di persone che possono defluire attraverso un modulo di uscita, in altre parole tale parametro seleziona il numero di persone che devono sfollare con il numero di moduli a disposizione:

C=Np/M (pers/modulo)

La normativa Italiana, ai fini del dimensionamento delle vie di esodo, fissa la capacità di deflusso delle uscite in funzione della quota del piano dal quale deve avvenire l’esodo:

50 per il piano terra - - 37.5 per i piani interrati - 37.5 per gli edifici fino a tre piani fuori terra - 33 per gli edifici a più di tre piani fuori terra NUMERO DI USCITE: debbono essere tali da consentire alle persone un percorso non superiore al tempo di evacuazione e comunque debbono essere mai inferiori a due poste in posizioni diametralmente opposte. TEMPO DI EVACUAZIONE: fattore comune alla soluzione di tutti i problemi delle vie di esodo, strettamente legato a tutto ciò che si verifica dall’inizio dell’incendio allo sviluppo del cosiddetto incendio generalizzato (flash over). Detto ciò possiamo affermare che l’evacuazione deve avvenire prima che si verifichi il flash over, in quanto il tempo di evacuazione deve coincidere con l’intervallo di tempo che intercorre fra l’inizio dell’ignizione e l’istante dopo in cui le condizioni del locale diventano intollerabili per l’uomo.

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Caratteristiche geometriche della vie di esodo

Un sistema di vie di uscita è qualcosa di più di un semplice percorso, e il termine utilizzato ne sottolinea la complessività.

Per poter arrivare a progettare un ottimale sistema di vie di uscita bisogna

tener conto dell’affollamento, della capacità di deflusso e da tanti altri fattori che portano a definire delle ben precise caratteristiche geometriche delle vie di esodo.

LARGHEZZA DELLE VIE DI USCITA: deve essere fondamentalmente multipla del modulo di uscita (0.60 m) e mai inferiore a due moduli (1.20 m); le scale e i pianerottoli debbono avere la stessa larghezza delle vie di esodo di cui fanno parte; LARGHEZZA TOTALE DELLE USCITE:è data dal numero di moduli ed è determinata dal rapporto tra il massimo affollamento ipotizzabile (A) e la capacità di deflusso (C)

A/C = numero moduli

Il risultato del rapporto deve essere arrotondato all’unità superiore. La misura della larghezza delle uscite sarà eseguita nel punto più stretto della luce. Le eventuali scale mobili non devono essere computate ai fini della larghezza delle uscite. LUNGHEZZA DEL PERCORSO: è la distanza massima da qualsiasi punto del comparto o locale ad un luogo sicuro oppure ad uno spazio a cielo aperto. La lunghezza massima viene fissata dalle norme in funzione dei seguenti parametri:

- tipologia edilizia - numero dei piani - destinazione dei locali - natura del contenuto

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Detta distanza può essere incrementata in relazione all’altezza e al volume dei

locali, nonché per la presenza:

- impianti automatici di rilevazione di incendio - impianti automatici di estinzione - sistemi di evacuazione di fumo - ecc..

NUMERO USCITE: non meno di due e poste in posizione ragionevolmente contrapposte. Le aperture delle porte di accesso alle scale o luogo sicuro e di uscita debbono aprirsi verso l’esterno a semplice spinta.

Esempio n. 1:

Si ha un locale della superficie di 1000 mq a piano terra con una attività avente densità di affollamento pari a 1pers/mq. Calcolare il numero delle uscite necessarie per l’esodo.

Mass. Aff. = 1 pers/mq x 1000 mq = 1000 pers.

Numero Moduli = Mass.Aff./Cap.di deflusso = 1000/50 = 20

Essendo un modulo pari a 0.60 m. e dovendo un’uscita essere almeno 1.20 m. per il locale in esame occorrono 10 uscite da 1.20 m.

Esempio n. 2:

Una Scuola in un edificio a 5 piani servita da due scale situate in posizione contrapposta, ospita 150 pers. fra alunni, docenti e personale divisi in parti uguali per piano.

Calcolare il numero delle uscite. - capacità di deflusso per edifici oltre 3 piani 33 (norma) - affollamento per piano 150/5=30 - affollamento di ultimo e penultimo piano 60 persone - numero moduli 60/33=1.8

Pertanto si può concludere che sono necessari 2 moduli da 60 cm. e quindi la

larghezza della scala sarà di 1.20 m.

Collegamenti verticali di comunicazione – Scale, caratteristiche e tipologia In caso d’incendio di una struttura, i prodotti della combustione trovano la

possibilità di propagazione all’interno dei condotti contenenti rampe scale ed ascensori rendendo difficoltosa od impedendo sia la normale circolazione che quella di emergenza.

In particolare la gabbia scale e quella degli ascensori danno origine a quel

fenomeno noto come “effetto camino” causato dalla differenza tra la temperatura dei fumi e quella dell’aria esterna e per la differenza di quota tra il punto in cui si è sviluppato l’incendio e la sommità dell’edificio, si stabilisce una depressione in corrispondenza del piano in cui si è verificato l’incendio, che innesca un fenomeno di tiraggio tanto maggiore quanto maggiore è la temperatura dei fumi e quanto più grande è la differenza di quota.

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Molto spesso si generalizza, nell’ambito della progettazione antincendio, parlando di “scale antincendio” , senza mai dare precise informazioni su quali debbano essere le caratteristiche di protezione specifiche del corpo scale in determinate condizioni, pertanto è opportuno classificare tali scale, con l’obbiettivo di mettere in rilievo le differenze, anche al fine di poter valutare quale sia la scelta migliore da operare a fronte di un determinato rischio.

1. SCALE PROTETTE: scale ingabbiate che hanno in corrispondenza dei pianerottoli di arrivo al piano, un prolungamento funzionale costituiti da muri muniti di aperture con serramenti di sicurezza a chiusura automatica. Le scale protette non sono da considerarsi luoghi sicuri e quindi debbono essere incluse nella lunghezza delle vie di esodo percorse dalle persone nel tempo di evacuazione disponibile. 2. SCALA A PROVA DI FUMO: scala in vano costituente compartimento antincendio, caratterizzate da non avere alcuna comunicazione diretta con un qualsiasi punto interno al fabbricato e con accesso solo da spazio direttamente areato dall’esterno. Perché la scala sia fruibile con idonee garanzie di sicurezza in caso di sfollamento d’emergenza essa deve essere provvista di corrimano, di avere preferenza per gradini a pianta rettangolare. La scala deve essere direttamente areata con apertura grigliata, ma priva di serramento di almeno 1 mq. Nel caso in cui l’accesso alla scala avviene da filtro a prova di fumo, prende il nome di “Scala a prova di fumo interne”. Tale tipo di scale sono considerate luoghi sicuri e non sono da includere nella lunghezza della vie di esodo percorse dalle persone nel tempo di evacuazione disponibile. I gradini debbono essere rettangolari con un minimo di 3 ed un massimo di 15 per rampa di scala. 3. SCALA ESTERNA DI SICUREZZA: sono scale totalmente esterne “a giorno” aderenti alla facciata delle strutture, non offrono alcun tipo di schermatura contro le fiamme tanto da venir loro stesse coinvolte nell’incendio appena questo supera la fase d’ignizione. Tale tipo di scala, soprattutto se prevista per edifici con un certo affollamento, dovrà soddisfare determinati requisiti.

Le caratteristiche principali di una scala esterna sono: - parapetto di altezza 1 metro, atto a sopportare le forti sollecitazioni che possono derivare da un rapido e disordinato flusso di persone - corrimano collocato a scomparsa entro un incavo o comunque sporgente non oltre 8 cm - ampiezza pari ad almeno due moduli (1,20 mt) - gradini a pianta rettangolare con pedata non inferiore a 30 cm ed alzata non superiore a 17 cm - le rampe delle scale devono essere rettilinee ed avere non meno di tre gradini e non più di quindici - nessuna sporgenza o rientranza deve intralciare l’esodo delle persone

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Nei locali di intrattenimento e di pubblico spettacolo, inoltre, le scale di

sicurezza esterne devono essere realizzate secondo i seguenti criteri: a) possono essere utilizzate in edifici aventi altezza antincendio non superiore a 24 metri b) devono essere realizzate con materiali di classe 0 di resistenza al fuoco (ad esempio metalliche zincate, senza verniciatura) c) la parete esterna dell’edificio su cui è collegata la scala, compresi gli eventuali infissi, deve possedere una larghezza L pari alla proiezione della scala (Ls), incrementata di 2,5 mt per ogni lato (L=2,5+Ls+2,5), requisiti di resistenza al fuoco REI60; in alternativa la scala esterna deve distaccarsi di 2,5 mt dalla parete dell’edificio e collegarsi alla parte di piano tramite passerelle protette con setti laterali a tutta altezza aventi requisiti di resistenza al fuoco pari a quanto sopra indicato

4. SCALA PRESSURIZZATA: sono scale in cui la pressione interna al condotto è superiore rispetto al resto dell’edificio, così da ostacolare il movimento dei fumi (regolato dalla legge dei gas), nei corpi scala la cui efficienza è tanto importante al fine della sicurezza degli occupanti.

Schematicamente il sistema di pressurizzazione prevede l’installazione nei corpi scala dotati di tutti quei requisiti delle scale a prova di fumo, di sistemi di immissione aria tramite condotti alimentati da una centrale, in genere posta in alto a livello dell’ultimo solaio, o con ventilatori montati ad ogni piano in corrispondenza dei pianerottoli di riposo.

Tali ventilatore possono essere asserviti a rivelatori di fumo che entrano in azione quando si sviluppa fumo, inviano aria nelle scale, nei piani di tenuta al fumo e nei luoghi sicuri, instaurando così una leggera sovrapressione che impedisce al fumo di invadere le scale.

La validità del sistema può essere messa in crisi da particolari condizioni atmosferiche che possono condizionarne l’efficienza.

9. LA RESISTENZA AL FUOCO Definizione

Si definisce “Resistenza al fuoco” l’attitudine di un elemento strutturale a

conservare per un tempo stabilito: - la stabilita’ “R”, cioè l’attitudine di un elemento a conservare la propria resistenza meccanica sotto l’azione del fuoco;

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- la tenuta “E” , l’attitudine di un elemento a non lasciar passare né produrre fiamme, vapori o gas se sottoposto all’azione del fuoco; - l’isolamento termico “I”, l’attitudine di un elemento a ridurre la trasmissione del calore.

Con il termine “resistenza al fuoco ci si riferisce solo agli elementi portanti, per

cui si possono definire come resistenti al fuoco quelle strutture composte con materiali incombustibili le quali, esposte al fuoco per un tempo determinato, non modificano sensibilmente la loro conformazione, non perdono la loro solidità imposta e la loro capacità portante ed impediscono la trasmissione del fuoco.

Pertanto possiamo dire che la resistenza richiesta è in relazione alla funzione

che i vari elementi devono assolvere e in dipendenza del grado di pericolosità, in generale alle strutture viene richiesto oltre ad una prestabilita resistenza meccanica ed una certa durata, anche particolari doti di indeformabilità, di continuità e isolamento termico.

Principali fattori da cui dipende la Resistenza al fuoco delle strutture :

temperatura a cui viene esposta e sue variazioni - - - - - - -

intensità e frequenza delle variazioni della temperatura tempo di esposizione insorgenza di tensioni di origine termica dilatazione termica degradazione del materiale umidità contenuta nella struttura

Caratteristiche REI dei vari materiali

In Italia le disposizioni riguardanti la protezione antincendio sono contenute

nella circolare n.91 del 14 settembre 1961 del M.I.; dette norme hanno lo scopo di fornire ai progettisti ed ai costruttori i criteri per il proporzionamento della protezione contro il fuoco da disporre a difesa delle strutture allo scopo che le le strutture stesse non raggiungessero temperature tali da comprometterne la stabilità.

Al fine di studiarne il loro comportamento analizziamo le caratteristiche di

alcuni dei più usati materiali da costruzione:

STRUTTURE IN CEMENTO ARMATO: possiede una resistenza al fuoco migliore di altri materiali; questa è una delle ragioni per cui è usato come protezione.

Fra i pregi non brucia e non emette vapori sufficiente infiammabili per produrre combustioni.

La sua resistenza antincendio dipende dal tipo di aggregato, pertanto

all’aumentare della temperatura subisce uno stress come il ritiro con perdita di vapore d’acqua, inoltre l’acciaio essendo un conduttore veloce di calore fa cedere il cemento lo fa sgretolare e gli fa perdere la sua funzione strutturale.

La funzione isolante del c.a., sia come elemento strutturale che come

rivestimento dell’acciaio è molto importante, tenendo presente che la solidità cala

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rapidamente a 250 °C mantenendo ancora funzioni statiche a 600 °C dove la resistenza meccanica cala del 40%.

STRUTTURE IN LATERIZIO: caratteristica essenziale di questi materiali è quella che durante la loro fabbricazione hanno già subito con la cottura temperature abbastanza elevate (dagli 800 ai 1000 °C) pertanto per ciò possiedono un ottimo comportamento al fuoco.

Per quanto riguarda i mattoni forati, essi sono molto più fragili al calore anche a temperature non molto elevate, dell’ordine di 600 °C, in particolare quando la faccia esposta è investita da getti d’acqua che producono bruschi rafreddamenti.

MURI E PILASTRI DI MATTONI PIENI: la resistenza al fuoco di un muro in mattoni dipende da diversi fattori come spessore e altezze, una differenza di temperatura di 500 °C fra la faccia interna e quella esterna può determinare il crollo di un muro alto 8 m. e di circa 40 cm di spessore. Un elemento che và ad aumentare la resistenza al fuoco di un muro è l’intonaco, il quale rappresenta un primo schermo al calore, per cui le temperature nell’interno della muratura salgono con una certa gradualità e non bruscamente come quando la muratura è nuda.

Un intonaco di calce ben confezionato e ben aderente alla muratura dello spessore di circa 2-3 cm resiste al fuoco per circa un’ora.

Caratteristiche dei prodotti intumescenti

I rivestimenti intumescenti (pitture) sono delle pellicole che si rigonfiano

schiumando quando sono investiti dalla fiamma, generando uno strato coibente ed isolante. Tre sono gli elementi fondamentali di una pittura intumescente: 1) una sorgente carboniosa 2) una sostanza che liberi acido 3) sostanza che sprigiona un gas ininfiammabile

Tali elementi interponendosi tra l’incendio e l’elemento da proteggere creano

uno schermo di protezione, fornendo un’efficacia misurabile in termine di tempo, fanno parte dei sistemi cosiddetti passivi in quanto non intervengono allo spegnimento del fuoco in maniera diretta. Prerogativa essenziale di questi elementi protettivi è di essere ininfiammabili e di possedere capacità isolanti al calore.

Il Carico d’Incendio. Definizione, obiettivo, calcolo e classe dell’edificio

Quando parliamo di carico d’incendio, dobbiamo gioco forza dare per scontate

alcune considerazioni ed ipotesi che in questa sede sinteticamente cercheremo di ricordare.

Definizione di Carico di Incendio: è definito dall’art.1.3 del D.M. 30.111983 ed è “il potenziale termico, valutato in Kg. Di legna standard, della totalità dei materiali combustibili contenuti in uno spazio, ivi compresi i rivestimenti dei muri, delle pareti, dei pavimenti e dei soffitti. Convenzionalmente è espresso in chilogrammi di legna equivalente (potere calorifico del legno inferiore 4400 Kcal/Kg).

Appare già da questa semplice definizione come con il C.d.i. si ottenga una

indicazione numerica della quantità di materiale combustibile (legno equivalente)

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presente e quindi si abbia una valutazione di un certo grado di pericolosità dell’ambiente considerato.

Pertanto spesso il C.d.i. viene assunto come parametro ad esprimere il rischio

potenziale di un insediamento nei confronti di un incendio, si tenga però presente che non sempre ad alti carichi di incendio corrispondono alti rischi e viceversa: si pensi, ad esempio, a certi prodotti chimici che, presenti in modeste quantità, possono essere causa di rischi elevati (ad esempio gli esplosivi), quindi molto importante è approfondire e studiare i “pericoli d’innesco”.

Obiettivo del calcolo del Carico di incendio: è quello di conoscere, attraverso la stima del C.d.i., il comportamento degli elementi costruttivi nei confronti di un possibile incendio, comportamento stimabile conoscendo una curva temperatura tempo che descrive l’incendio presumibile nello spazio considerato.

La principale ipotesi per stimare un incendio reale è quella di occuparsi solo di

incendi sviluppatesi in luoghi chiusi, pertanto le variabili più significative che lo determinano sono:

1. le caratteristiche del combustibile (qualità, quantità, forma e dimensioni, porosità, densità, distribuzione, ecc.) 2. le condizioni ambientali (temperatura, pressione, umidità, %ossigeno) 3. le caratteristiche del locale (ventilazione, geometria, proprietà tecniche)

Determinazione del Carico di incendio: il calcolo del carico d’incendio, nella normativa antincendi italiana, è stato definito dalla Circ. n. 91 del 14/09/1961 “Norme di sicurezza per la protezione contro il fuoco dei fabbricati a struttura in acciaio destinati ad uso civile”; dalla definizione del carico di incendio detta precedentemente, discende la formula di calcolo seguente:

dove: · “q” è il carico di incendio in kg legno/mq · “gi” è il peso in kg del generico fra gli n combustibili che si prevedono presenti nel locale o nel piano nelle condizioni più gravose di carico di incendio · “Hli” è il potere calorifico inferiore in MJ/kg (o Kcal/kg) del generico fra gli n combustibili di peso gi · “A” è la superficie in mq del locale o del piano del fabbricato considerato · “18,422” è il potere calorifico inferiore del legno standard in MJ/kg; questo numero diventa 4.400 quando si voglia esprimere il potere calorifico in kcal/kg, dal momento che un MJ è uguale a 238,87 kcal

Per i materiali combustibili, come carta, legno ecc, che si presentano in forma

sicuramente compatta anche durante lo sviluppo ed il procedere dell’incendio e ciò è comprovato e noto da prove sperimentali o da incendi occorsi, è possibile per questi valutare la compartecipazione all’incendio solo per la crosta superficiale e pertanto a

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denominatore della formula precedente occorre sommare il termine “12.5 S” che rappresenta il peso in legna standard della crosta superficiale della struttura lignea.

Determinazione della Classe dell’Edificio: una volta definito il C.d.i. si può

determinare la classe del compartimento e quindi dimensionare le protezioni delle strutture portanti e/o di compartimentazione tramite la formula:

C = K x C.d.i.

dove: - K = coegfficiente di riduzione - C.d.i. = carico di incendio specifico

Il coefficiente di riduzione “K”, sempre

minore dell’unità (compreso tra 0.2 e 1), è stato introdotto nella normativa italiana con la Circolare n.91, ad esso si perviene per via grafica, o per via analitica, dopo aver determinato l’indice totale di valutazione a cui si perviene come somma algebrica di svariati indici (riportati in tabella), definiti dalla circolare n.91 lasciando al progettista una certa discrezionalità nella loro determinazione

10. LA REAZIONE AL FUOCO Definizione

La Prevenzione incendi in Italia, affida la protezione delle persone e dei beni,

dalla fese di innesco in poi, alla cosiddetta “Resistenza passiva”, intendendo con tale termine la capacità delle strutture e dei materiali da costruzione ad opporsi allo sviluppo dell’incendio stesso.

Definizione di Reazione al fuoco: viene intesa come il comportamento, il

grado di partecipazione di un materiale da costruzione all’incendio, per effetto della loro decomposizione termica contribuiscono ad alimentare un incendio al quale sono sottoposti.

Esaminando i problemi connessi con la “reazione al fuoco”, porta a dover

definire e precisare una corretta terminologia da utilizzare nello specifico campo, individuare i parametri fondamentali per poter caratterizzare ciascun materiale ed infine procedere alla ricerca di metodi di prova per la rilevazione quantitativa dei valori caratteristici dei parametri stessi.

La reazione al fuoco, incide sulla velocità di propagazione dell’incendio, infatti

tanto più bassa è la classe tanto meno il materiale contribuirà ad accrescere la velocità di propagazione.

Metodologia per la classificazione di reazione fuoco ed omologazione dei materiali

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Il D.M. 26.6.84 “Classificazione di reazione al Fuoco ed omologazione dei materiali ai fini della Prevenzione Incendi” stabilisce norme, criteri e procedure per tale classificazione e omologazione dei materiali ai fini della Prevenzione Incendi”.

Scopo della reazione al fuoco è quello di garantire la sicurezza:

-

-

- -

limitando la possibilità di innesco e propagazione dell’incendio, attraverso idonei materiali di arredo e di rivestimento con specifiche modalità di posa in opera e nel contempo limitando la quantità di materiali combustibili

di stabilire norme, criteri e procedure per la classificazione di reazione al fuoco e omologazione dei materiali

La procedura con la quale viene determinata la classe di Reazione al fuoco discende da prove di laboratorio, che hanno come risultato l’attribuzione di una classe.

Sulla base di tali risultati può ottenersi l’omologazione, se richiesta, che ha

durata di cinque anni rinnovabile, che permette di riprodurre il prototipo, oggetto della prova, con un sistema di produzione controllato.

In relazione alle specifiche prove ai materiali per l’edilizia (rivestimenti,

controsoffitti, etc.) e a quelli di arredamento (tessuti, tendaggi, mobili imbottiti) viene assegnata una classe :

¨Classe 0 (materiali incombustibili) ¨Classe 1,2,3,4,5 all’aumentare della loro partecipazione alla combustione Specifiche norme di prevenzione incendi prescrivono per alcuni ambienti in

funzione della loro destinazione d’uso e del livello del rischio d’incendio l’uso di materiali aventi una determinata classe di reazione al fuoco.

La reazione al fuoco di un materiale può essere migliorata mediante specifico

trattamento di ignifugazione, da realizzarsi con apposite vernici o altri rivestimenti, che ne ritarda le condizioni favorevoli all’innesco dell’incendio, riducendo inoltre la velocità di propagazione della fiamma e i fenomeni di post-combustione.

11. I PRESIDI ANTINCENDI Estintori

Definizione: insieme di apparecchi mobili (portatili o carrellati), “contenenti un agente estinguente che può essere proiettato e diretto su di un fuoco sotto l’azione di una pressione interna”(D.M. 20/12/1982), collocati nell’ambiente protetto. La pressione dei singoli apparecchi può essere fornita da una compressione preliminare, da una reazione chimica o dalla liberazione di un gas ausiliare.

Si distinguono in estintori portatili ed estintori carrellati. I primi, che sono di

dimensioni e peso modesti, sono concepiti per essere portati a mano, i secondi dotati di ruote, sono di dimensioni e peso maggiori e sono concepiti per essere trascinati pure a mano sul posto dell’incendio, entro un raggio di alcune decine di metri dalla loro posizione.

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PORTATILI: utilizzati a mano

con Massa o Volume X non superiore a 20

Kg.

CARRELLATI: montati su ruote o su carrelli concepiti per essere trainati a mano con Massa X non superiore

a 300 Kg.

Salvo le diversità connesse al differente tipo di estinguente richiesto dagli

specifici rischi da cui proteggersi, è consigliabile che, nello stesso locale, gli estintori siano tutti dello stesso modello o per lo meno di modelli molto simili.

Scopo di un estintore e criteri di scelta

Essi devono assicurare, per numero, caratteristiche e ubicazione, un primo

efficace intervento su un principio di incendio o un incendio di limitate proporzioni

Criteri di scelta: personale in grado di utilizazre gli apparecchi -

- - - - - -

- -

dimensioni e destinazione d’uso dell’edificio numero massimo di persone presenti tipo di attrezzature presenti condizioni ambientali pericoli per la salute e la sicurezza possibilità che si verifichi l’incendio in punti dell’ambiente di difficile

raggiungimento dimensione del focolaio in funzione del tipo d’intervento incompatibilità delle sostanze presenti con l’agente estinguente

Norme tecniche ministeriali di riferimento

Tali norme forniscono definizioni e indicazioni sulla classificazione di questi mezzi di pronto intervento esse si possono classificare in: -

- -

estintori portatili. D.M. 20.12.1982 corretto con D.M. 07.07.1983 – UNI EN 3/1 – UNI EN 3/2

estintori carellati. D.M. 06.03.1992 – UNI 9492 manutenzione. UNI 9994

A norma di tali decreti ogni estintore deve riportare un’etichetta divisa in

cinque distinte parti

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La Capacità di spegnimento a norma del D.M.20.12.82 è indicata

sull’apparecchio da un numero che si riferisce alle caratteristiche dimensionali di un “Focolare Tipo” sia per i fuochi di classe A che per quelli di classe B.

FOCOLARE TIPO CLASSE “A”:

catasta di tronchetti a sez.quadrata di lato 39±2 mm in legno di pino, posta su un telaio metallico, il cui fronte ha dimensioni fisse di 440 mm (5 travetti) alla base e 546 mm (14 travetti) di altezza, mentre la lunghezza è data dalla lunghezza dei travetti il cui valore in dm coincide con il numero seguito dalla lettera A che designa il focolare.

FOCOLARE TIPO CLASSE “B”:

recipienti metallici cilindrici in acciaio, le cui dimensioni sono dettate dal DM 20.12.82. Questi focolari sono designati da un numero seguito dalla lettera B; il numero è il volume liquido, in litri, contenuto nel recipiente.

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Manutenzione degli estintori Il DATORE DI LAVORO è il responsabile dell’efficienza dei prescritti mezzi di

protezione. La norma tecnica UNI 9994 regolamenta tutte le attività di manutenzione. Pertanto tutti gli estintori sono soggetti a sorveglianza, controlli e revisioni

periodici in conformità alle disposizioni di legge in materia, in Italia i criteri per effettuare ciò, ai fini di garantirne l’efficienza operativa sono prescritti dalla norma UNI 9994.

Si riportano da tale norma alcune definizioni: Sorveglianza: “Consiste in una misura di prevenzione atta a controllare, con

costante e particolare attenzione, l’estintore nella posizione in cui è collocato, tramite l’effettuazione …”. In altre parole, la sorveglianza consiste nel tenere continuamente sotto controllo l’estintore in loco per rilevare e correggere eventuale anomalie.

Controllo: “Consiste in una misura di prevenzione atta a verificare, con

frequenza almeno semestrale, l’efficienza dell’estintore, tramite l’effettuazione …”. Tra gli accertamenti richiesti vi sono le verifiche delle cariche e dei propellenti mediante pesata e misurazioni manometriche.

Revisione: “Consiste in una misura di prevenzione , di frequenza almeno pari

a quella indicata dal prospetto, atta a verificare, e rendere perfettamente efficiente, tramite l’effettuazione …”. Tra essi è inclusa la ricarica e/o sostituzione dell’agente estinguente.

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Curve rischio costante

F

M R=cost

R =FxM

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Sicurezza equivalente

• • Per compensare la diminuzione di misure di protezione passiva si possono aumentare le misure protezione attiva e viceversa

P.att

P.passiva

1 51

5

R=cost

Area Rischio non accettabile

Rischioaccettabile

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Sicurezza equivalente

• • Per compensare la diminuzione di misure di protezione passiva si possono aumentare le misure protezione attiva e viceversa

P.att

P.passiva

1 51

5

R=cost

Area Rischio non accettabile

Rischioaccettabile

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Gazzetta Ufficiale N. 184 del 7 Agosto 2004 DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 10 giugno 2004, n.200 Regolamento recante modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 29 luglio 1982, n. 577, concernenti l'attivita' di formazione e studio affidata al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, la composizione del Comitato tecnico-scientifico ed il certificato di prevenzione incendi.

Art. 1.Campo di applicazione e finalita'

1. Il presente decreto modifica le norme del decreto del Presidentedella Repubblica 29 luglio 1982, n. 577, riguardanti le attivita' diformazione, studio, ricerca, sperimentazione e controllo, affidate alCorpo nazionale dei vigili del fuoco, la composizione del comitatocentrale tecnico scientifico di prevenzione incendi dei vigili delfuoco ed il certificato di prevenzione incendi.

Art. 5.Certificato di prevenzione incendi

1. L'articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica29 luglio 1982, n. 577, e' sostituito dal seguente:«Art. 17.Certificato di prevenzione incendi1. Il certificato di prevenzione incendi attesta il rispetto delleprescrizioni previste dalla normativa di prevenzione degli incendi ela sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio richiesti.2. Il certificato di cui al comma 1 e' rilasciato a conclusione delprocedimento di cui al decreto del Presidente della Repubblica12 gennaio 1998, n. 37, e alle altre disposizioni vigenti, fermorestando quanto previsto dalle prescrizioni in materia di prevenzioneincendi a carico dei soggetti responsabili delle attivita' ed acarico dei soggetti responsabili dei progetti e della documentazionetecnica richiesta.».

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Progettazione impianti antincendio

• Legge 46/90-art. 6 (per l’installazione,la trasformazione e l’ampliamento degli impianti antincendio è obbligatoria la redazione di un progetto……)

• D.P.R. 447/91 art. 4 ( La progettazione del progetto è obbligatoria per impianti antincendio inseriti in attività soggette al controllo dei VV.F. e comunque quando gli idranti sono in numero pari o superiore a 4 o gli apparecchi di rilevamento pari o superiori a 10)

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DM 10/3/98 (criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione

della sicurezza nei luoghi di lavoro• Art 3 (misure preventive,protettive e

precauzionali di esercizio)• e)garantire l’efficienza dei sistemi antincendio

secondo i criteri di cui all’allegatoVI

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CRITERI PER PROCEDERE ALLA VALUTAZIONE DEL RISCHIO INCENDIO

• Individuazione dei pericoli di incendio

• Individuazione delle persone esposte

• Eliminazione o riduzione dei pericoli di incendio

• Valutazione del rischio residuo

• Verifica della adeguatezza delle misure esistenti

• Individuazione di eventuali ulteriori misure atte a ridurre il rischio residuo

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UNA VOLTA EFFETTUATA LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO INCENDIO SI PASSA ALLA

CLASSIFICAZIONE DEI LUOGHI DI LAVORO

• Rischio basso (attività non soggetta al controllo dei Vigili del Fuoco)

• Rischio medio (attività soggetta al controllo dei Vigili del Fuoco)

• Rischio elevato (attività soggetta a controllo Vigili del Fuoco non classificabili come rischio medio)

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LUOGHI LAVORO A RISCHIO INCENDIO ELEVATO

• Utilizzo di sostanze altamente infiammabili o di fiamme libere, o di produzione di calore in presenza di notevoli quantitativi di sostanze combustibili

• Deposito e/o manipolazione di sostanze chimiche

• Deposito e/o manipolazione di sostanze esplosive o altamente infiammabili

• Presenza di quantitativi elevati di sostanze combustibili facilmente incendiabili

• Edifici realizzati in struttura combustibile

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ESEMPI LUOGHI DI LAVORO A RISCHIO ELEVATO (all. X) P1

• a)Industrie e depositi di cui gli articoli 4e6 del DPR n°175/1998, e successive modifiche di integrazioni;

• b) Fabbriche e depositi di esplosivi;• c) Centrali termoelettriche;

• d) Impianti di estrazione di oli minerali e gas combustili;

• e) Impianti e laboratori nucleari;

• f) Depositi al chiuso di materiali combustibili aventi superficie superiore a 10000 mq;

• g) Attività commerciali e/o espositive con superficie aperta al pubblico superiore a 5000 mq;

• h) Aeroporti,infrastrutture ferroviarie e metropolitane;

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ESEMPI LUOGHI DI LAVORO A RISCHIO ELEVATO (all. X) P2

• i) Alberghi con oltre 100 posti letto;• l) Ospedali, case di cura e case di ricovero per anziani;• m) Scuole di ogni ordine e grado con oltre 300 persone

presenti;

• n) Uffici con oltre 500 dipendenti;• o) Locali di spettacolo e trattenimento con capienza

superiore a 100 posti;

• p) Edifici pregevoli per arte e storia, sottoposti alla vigilanza dello Stato ai sensi del R.D. 7 novembre 1942 n° 1564, adibiti a musei, gallerie, collezioni, biblioteche, archivi, con superficie aperta a pubblico superiore a 1000 mq;

• q)Cantieri temporanei o mobili in sotterraneo per la costruzione, manutenzione e riparazione di gallerie, caverne,pozzi ed opere simili di lunghezza superiore a 50m;

• r)Cantieri temporanei o mobili ove si impiegano esplosivi.

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UN LUOGO DI LAVORO PUO’ ESSERE CLASSIFICATO A RISCHIO INFERIORE SE

SI:

• a) Interviene sulle vie di esodo rendendole più sicure;

• b) Aumentano e/o migliorano le misure di protezione attiva;

• c) migliora la formazione/informazione.

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VIE DI ESODO

• a) Riduzione percorsi;

• b) Protezione percorsi;

• c) Realizzazione di ulteriori percorsi e uscite;

• d) Potenziamento della segnaletica e della illuminazione di sicurezza;

• e) Misure specifiche per i disabili;

• f) Incremento personale addetto alla gestione dell’emergenza;

• g) Limitazione dell’affollamento.

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PROTEZIONE ATTIVA

• a) Ulteriori presidi;

• b) Impianti di spegnimento automatico;

• c) Aumento dei dispositivi di segnalazione manuale;

• d) Impianto automatico di rivelazione incendio.

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CONTROLLI E MANUTENZIONE SULLE MISURE DI PROTEZIONE E

PREVENZIONE ANTINCENDIO (ALL VI)

• Tutte le misure di protezione antincendio devono essere oggetto di sorveglianza, controlli periodici e mantenuti in efficienza.

• Sorveglianza: controllo visivo atto a verificare che le attrezzature e gli impianti antincendio siano nelle normali condizioni operative effettuate dal personale normalmente presente nelle aree protette dopo aver ricevuto adeguate prescrizioni.

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• Controllo periodico: insieme di operazioni da effettuarsi con frequenza almeno semestrale, per verificare la completa e corretta funzionalità delle attrezzature e degli impianti.

• Manutenzione: operazione ad intervento finalizzato a mantenere in efficienza e in buono stato le attrezzature e gli impianti.

• Manutenzione ordinaria: operazione che si attua in loco, con strumenti ed attrezzature di uso corrente

• Manutenzione straordinaria:operazione che non può essere eseguita in loco.Comporta la sostituzione di intere parti di impianto e la completa revisione o sostituzione di apparecchi per i quali non sia possibile o conveniente la riparazione.

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ESTINTORI PORTATILI E CARRELLATI

• La scelta degli estintori è in funzione della classe di incendio e del livello di rischio del luogo di lavoro.

• Il numero e le capacità estinguenti recanti la tabella seguente:

• Almeno 2 per piano;• Uno ogni 100 / 250 mq;• Scelti in base alla classe di incendio;• Percorso per raggiungere un estintore non superiore a

30 metri.

Tipo di estintore Superficie protetta da un estintore Rischio basso Rischio medio Rischio elevato

13 A – 89 B 100 MQ - - 21 A – 113 B 150 MQ 100 MQ - 34 A – 144 B 200 MQ 150 MQ 100 MQ 55 A – 233 B 250 MQ 200 MQ 200 MQ

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RETI-IDRANTI (UNI 10779)VERIFICHE PERIODICHE

• Sorveglianza dell’impianto.• Manutenzione dell’impianto attenendosi alle

istruzioni della ditta installatrice.• Verifica periodica dell’impianto (almeno 2

volte all’anno) da parte di personale specializzato allo scopo di accertare la funzionalità dell’impianto.

• Predisposizione di un registro, firmato dai responsabili, su cui annotare.

• Lavori svolti sull’impianto o modifiche apportate alle aree protette, qualora queste possano influire sull’efficacia delle protezioni.

• Le prove eseguite.• I guasti riscontrati e le eventuali cause.• L’esito delle verifiche periodiche

dell’impianto.

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INFORMAZIONE / FORMAZIONE

• a) Specifiche disposizioni sulla procedura anche agli esterni (pulizia manutenzione);

• b) Corsi specifici di aggiornamento e verifica dell’apprendimento;

• c) Addestramento antincendio generalizzato.

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Art.4 CONTROLLO E MANUTENZIONE DEGLI IMPIANTI E DELLE

ATREZZATURE ANTINCENDIO

• Gli interventi di manutenzione ed i controlli sugli impianti e sulle attrezzature di protezione antincendio sono effettuati nel rispetto delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti , delle norme di buona tecnica emanate dagli organismi di normalizzazione nazionali o europei o , in assenza di dette norme di buona tecnica , delle istruzioni fornite dal fabbricante e/o dall’installatore.

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DPR 37 Art. 5OBBLIGHI CONNESSI CON L’ESERCIZIO

DELL’ATTIVITÀ

• 1. Gli enti e i privati responsabili di attività soggette ai controlli di prevenzione incendi hanno l’obbligo di mantenere in stato di efficienza i sistemi, i dispositivi, le attrezzature e le altre misure di sicurezza antincendio adottate e di effettuare verifiche di controllo ed interventi di manutenzione secondo le cadenze temporali che sono indicate dal comando nel certificato di prevenzione o all’atto del rilascio della ricevuta a seguito della dichiarazione di cui all’articolo 3, comma 5.

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DPR 37 Art. 5OBBLIGHI CONNESSI CON L’ESERCIZIO

DELL’ATTIVITÀ

• 1. Essi provvedono, in particolare,ad assicurare una adeguata informazione e formazione del personale dipendente sui rischi di incendio connessi con la specifica attività, sulle misure di prevenzione e protezione adottate, sulle precauzioni da osservare per evitare l’insorgere di un incendio e sulle procedure da attuare in caso di incendio.

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DPR 37 Art 5OBBLIGHI CONNESSI CON L’ESERCIZIO

DELL’ATTIVITÀ

• 2. I controlli, le verifiche, gli interventi di manutenzione, l’informazione e la formazione del personale, che vengono effettuati, devono essere annotati in un apposito registro a cura dei responsabili dell’attività. Tale registro deve essere mantenuto aggiornato e reso disponibile ai fini dei controlli di competenza del comando.

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DPR 37 ART. 5

• 3) Ogni modifica delle strutture o degli impianti ovvero delle condizioni di esercizio dell’attività, che comportano una alterazione delle preesistenti condizioni di sicurezza antincendio, obbliga l’interessato ad avviare nuovamente le procedure previste dagli art. 2 e 3 del presente regolamento

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CIRCOLARE 9 DEL 05/05/1998

• Chiarisce che gli obblighi di cui al comma 1 dell’art. 5 del DPR 37/98 sono quelli sanciti dalla legislazione vigente in materia di sicurezza sul lavoro.

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SCELTA DELLA SOLUZIONE IMPIANTISTICA ADATTA

(tipo di estinguente, modalità di attuazione, modalità di applicazione, compatibilità ambientale, sicurezza d’impiego) La scelta può cadere su impianti ad acqua di diversa tipologia (sprinkler, a diluvio) a schiuma, ad anidride carbonica, ad agenti gassosi puliti (come alternativa agli impianti ad halon), a polvere ed impianti di rilevazione associati ai sopraddetti, per automatizzare l’intervento impianti rilevazione a sé stanti per fornire gli allarmi di una situazione d’incendio.

CORRETTA PROGETTAZIONE Perché l’impianto sia correttamente progettato occorre che ci si possa

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riferire ad un riconosciuto riferimento normativo sulla base del quale:

Fissare i parametri base di progetto

Eseguire calcolare gli stoccaggi di estinguente e dimensionare le reti di erogazione

Produrre tutti i documenti necessari alla successiva realizzazione dell’impianto (disegni, specifiche ed elenchi dei materiali, specifiche di montaggio, messa in servizio, collaudo e manutenzione dell’impianto.

secondo la L 46/90 i materiali e componenti realizzati secondo le norme tecniche UNI e CEI rispondono ad una prescrizione di corrispondenza alla regola d’arte. non per tutte le soluzioni impiantistiche attualmente utilizzate nella protezione attiva, impianti antincendio, sono disponibili norme

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tecniche italiane. E’ accettabile far riferimento a quelle europee CEN e/o internazionali ISO. Per l’impianto correttamente progettato, e a garanzia di ciò occorre che il progettista sia veramente esperto delle problematiche di progettazione, prova, approvazione, esecuzione e manutenzione dello specifico impianto, occorre che per i necessari adempimenti amministrativi il progetto sia FIRMATO ai sensi della L 46/90 e DPR n° 37 da professionista iscritto agli albi professionali (possibilmente abilitato secondo L 818).

CORRETTA REALIZZAZIONE Sulla base dei documenti progettuali occorre poi che l’impianto sia realizzato da un’impresa di installazione impiantistica rispettando i disegni d’impianto e utilizzando materiali corrispondenti alle specifiche e qualificati.

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Alla fine del montaggio, anche in base al disposto dell’art. 9 comma 1 della L 46/90, l’impresa dovrà rilasciare, a garanzia dell’utente,il CERTIFICATO DI CONFORMITA’ dell’impianto.

MANTENIMENTO IN EFFICIENZA DELLA PROTEZIONE

Perché un impianto antincendio, che è stato realizzato a regola d’arte, mantenga nel tempo le sue indispensabili caratteristiche di efficienza occorre che sia gestito correttamente e che sia periodicamente manutenzionato da personale esperto. Sono infatti innumerevoli gli esempi di impianti che non sono stati in grado di intervenire al momento necessario perché: • Non inseriti in funzione (valvole di

radice chiuse) • Con automatismi d’intervento

esclusi

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• Con avarie importanti e disabilitanti non diagnosticate per mancanza di sorveglianza nella gestione e/o non effettuazione dei richiesti interventi di manutenzione.

Va ricordato che il mantenimento in efficienza dei sistemi antincendio è una precisa responsabilità del gestore dell’attività sulla base della normativa vigente. Se tutte le fasi saranno state positivamente eseguite, l’impianto potrà effettivamente considerarsi REALIZZATO A REGOLA D’ARTE e correttamente MANTENUTO IN CONDIZIONI DI EFFICIENZA, aspetti entrambi fondamentali per una reale condizione di sicurezza della protezione rilevazione

REGOLA DELL’ARTE DEGLI IMPIANTI

IINNDDIIVVIIDDUUAAZZIIOONNEE DDEELL RRIISSCCHHIIOO

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SSCCEELLTTAA DDEELLLLAA PPRROOTTEEZZIIOONNEE AADDAATTTTAA

• IDONEITA’ della TIPOLOGIA

dell’AGENTE ESTINGUENTE (deve essere efficace ed indicato)

• INDIVIDUAZIONE della

SOLUZIONE IMPIANTISTICA CORRETTA

1. COPERTURA TOTALE 2. SATURAZIONE TOTALE 3. APPLICAZIONE LOCALIZZATA • RISPETTO DELLE CONDIZIONI DI

SICUREZZA

AMBIENTALE: AGENTI ATMOSFERICI CORROSIVITA’ ATMOSFERE PERICOLOSE CAMPI ELETTROMAGNETICI

PERSONALE: NOCIVITA’ dell’ESTINGUENTE

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CCOORRRREETTTTAA PPRROOGGEETTTTAAZZIIOONNEE • REALIZZAZIONE DELL’IMPIANTO

IN CONFORMITA’ DELLA NORMATIVA PROGRTTUALE APPLICABILE ( DISEGNI-SPECIFICHE-ELEMENTI ….)

CCOORRRREETTTTAA EESSEECCUUZZIIOONNEE DDEELLLL’’IIMMPPIIAANNTTOO

• RISPETTO DEI DOCUMENTI DI

PROGETTO , VERIFICHE e COLLAUDI

MMAANNTTEENNIIMMEENNTTOO IINN EEFFFFIICCIIEENNZZAA DDEELLLLAA PPRROOTTEEZZIIOONNEE

• APPROPRIATE MANUTENZIONI

PERIODICHE

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Alimentazioni idriche per impianti antincendio

Le alimentazioni idriche devono essere in grado di garantire la portata e lapressione richiesta dall’impianto servito

La UNI 9490, definisce le caratteristiche che devono presentare le alimentazioniidriche utilizzate per gli impianti antincendio posti a protezione di attività civili edindustriali.l’utente è responsabile del mantenimento delle condizioni di efficienza dell’impianto e

pertanto deve provvedere ai seguenti adempimenti:- effettuare una continua sorveglianza dell’impianto;- fare eseguire la manutenzione dell’impianto sulla base delle istruzioni fornite dalla

ditta installatrice;- fare eseguire una completa revisione dell’impianto quando se ne manifesti

l’esigenza ed in ogni caso ad intervalli non maggiori di 20 anni.

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Sorveglianza eseguire un esame visivo dell’intero impianto allo scopo di verificare lo statoapparente di tutti i componenti e l’assenza di anomalie; assicurarsi che le saracinesche siano in posizione regolare per permettere ilfunzionamento dell’impianto; verificare il livello dell’acqua nelle vasche e nei serbatoi; accertarsi dell’assenza di vegetazione e di altri detriti sulla superficiedell’acqua; verificare che l’attacco per le autopompe dei Vigili del fuoco sia facilmenteaccessibile, adeguatamente segnalato e provvisto dei tappi di protezione edelle catenelle di ancoraggio; ispezionare l’eventuale locale pompe per riscontrare che sia mantenutopulito e sgombro da qualsiasi materiale estraneo e che la relativailluminazione di sicurezza sia funzionante; far funzionare tutte le unità presenti sotto carico nominale per almeno 5minuti nel caso di unità elettriche e per almeno 20 minti per le unità conmotore a combustione interna. verificare la presenza in deposito dei materiali di scorta indicati dalla dittainstallatrice o dal fornitore delle apparecchiature.

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Controlli periodici

Ogni impianto in esercizio deve essere sottoposto almeno due volteall’anno, con intervallo non minore di 5 mesi, ad un’ispezione alloscopo di verificare lo stato di efficienza e la conformità alla regoladell’arte.

1. OPERAZIONI COMUNI

a) esame generale dell’intero impianto (comprese lealimentazioni) allo scopo di verificare lo stato apparente ditutti i componenti;b) rilevamento delle pressioni in uscita e prova difunzionamento di eventuali segnalatori di allarme;

c) prova di tenuta di tutte le valvole di non ritorno;

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. Operazioni per serbatoi a gravità

2

Oltre agli accertamenti di cui al precedente punto 1, devono essere eseguite le seguentioperazioni:

a) verifica dello stato dei serbatoi;

b) verifica del livello e delle condizioni dell’acqua nel serbatoio;

c) prove di funzionamento degli indicatori di livello, del rincalzo o reintegro e delle relativevalvole a galleggiante, nonché di ogni altra apparecchiatura ausiliaria.

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3. Operazioni per impianti alimentati da pompe

O lt re a q u e l le in d ic a te a l p re c e d e n te p u n to 1 :a ) v e r i f ic a d e l lo s ta to d e l le v a s c h e o d e i s e rb a to i d i a c c u m u lo od i d is g iu n z io n e ;b ) v e r i f ic a d e l l iv e l lo e d e l le c o n d iz io n i d e l l ’a c q u a n e l le v a s c h e on e i s e rb a to i ;c ) p ro v e d i fu n z io n a m e n to d e i re la t iv i in d ic a to r i d i l iv e l l i , d e ir in c a lz i , d e i re in te g r i e d e l le lo ro v a lv o le a g a l le g g ia n te e d e l lea p p a re c c h ia tu re a u s i l ia r ie ;d ) d i l iv e l lo d e i s e rb a to i d i a d e s c a m e n to d i p o m p e in s ta l la tev e r i f ic a d e l l iv e l lo e p ro v a d i fu n z io n a m e n to d e l r in c a lz o , d e id is p o s i t iv i d i c o n t ro l lo e d e v e n tu a l i re g o la to r i s o p ra b a t te n te ;e ) p ro v a d i a v v ia m e n to a u to m a t ic o e fu n z io n a m e n to d e l lep o m p e ; i l fu n z io n a m e n to d e l le m o to p o m p e d e v e e s s e re p ro t ra t top e r n o n m e n o d i 3 0 m in u t i;f ) p ro v a d i r ia v v ia m e n to m a n u a le d e l le p o m p e , c o n v a lv o la d ip ro v a c o m p le ta m e n te a p e r ta , im m e d ia ta m e n te d o p o l ’a r re s to ;

v e r i f ic a re i l l iv e l lo d e l l’o l io lu b r i f ic a n te n e l m o to re , q u e l lo d e l c a rb u ra n te e q u e l lod e l l ’e le t t ro l i ta n e l le b a t te r ie d i a v v ia m e n to e d i a l im e n ta z io n e d e l le m o to p o m p e ,( e f fe t tu a n d o i re la t iv i ra b b o c c h i , q u a lo ra n e c e s s a r i) , n o n c h é la d e n s i tàd e l l ’e le t t ro l i ta s te s s o m e d ia n te d e n s im e t ro ; s e la d e n s i tà r is u l ta in s u f f ic ie n te , a n c h es e i l f u n z io n a m e n to d e l l ’a p p a re c c h io d i r ic a r ic a è re g o la re , la b a t te r ia d o v ràe s s e re im m e d ia ta m e n te s o s t i tu i ta .

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PROVE DELL’IMPIANTOLe prove relative alle prestazioni dell’impianto devono essere ripetute almenouna volta all’anno, allo scopo di verificare che le alimentazioni dell’impianto nonabbiano subito nel frattempo deterioramenti nelle loro prestazioni che dianoluogo ad una riduzione di portata maggiore del 10% di quella di progettorichiesta dall’impianto.

MATERIALI DI SCORTAL’utente deve tenere costantemente disponibile per ciascun tipo di erogatoreinstallato nell’area protetta, almeno il numero di erogatori riportato nellaseguente tabella

Classearea

protetta

Erogatori di scorta(1)

AB

C e D

62436

(1) Detti quantitativi devono essere aumentati del50% se l’impianto è composto da più sezioni.

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Impianti idrici antincendio a naspi e/o idranti

La norma UNI 10779 (Impianti di estinzione incendi - reti idranti - progettazione, installazione ed esercizio) costituisce la norma tecnica di riferimento per l’installazione e l’esercizio degli impianti idrici di estinzione incendi permanentemente in pressione, destinati all’alimentazione di idranti e naspiantincendio.

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punto 9.3punto 9.3, esercizio e verifica dell’impianto, ribadisce che l’utente èresponsabile del mantenimento delle condizioni di efficienza del sistema dovendo provvedere a:- sorveglianza dell’impianto;

- verifica periodica (fase di controllo), almeno due volte all’anno, da parte di ditta o personale specializzato, allo scopo di accertare la funzionalitàdell’impianto e la sua conformità alla regola dell’arte;

- manutenzione dell’impianto in accordo alla norma UNI EN 671-3 (Manutenzione dei naspi antincendio con tubazioni semirigide ed idranti a muro con tubazioni flessibili), attenendosi inoltre alle istruzioni fornite dalla ditta installatrice.

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SORVEGLIANZA La fase di sorveglianza deve comprendere, per ogni naspo o idrante, i seguenti accertamenti oltre alle eventuali ulteriori indicazioni fornite dal produttore e/o dall’installatore:

eseguire un esame visivo dell’intero impianto allo scopo di verificare lo stato apparente di tutti i componenti e l’assenza di anomalie;

verificare che il dispositivo sia collocato nel posto previsto e siano presenti tutti i componenti (cassetta, manichetta, lancia, rubinetterie idrauliche, ecc.);

accertare che sia accessibile senza ostacoli, sia visibile chiaramente, sia segnalato con apposito cartello ed abbia istruzioni d’uso leggibili;

controllare che non presenti segni evidenti di deterioramento, corrosione o perdite d’acqua;

eseguire un esame visivo della cassetta per verificare che sia integra, saldamente connessa alla parete ed accessibile tramite rottura di lastra frangibile o apertura con chiave o sigillo;

verificare che le manichette degli idranti e le tubazioni semirigide dei naspi siano arrotolate correttamente e sia stato rimosso il legaccio di fissaggio; che non presentino segni di danneggiamento o usura né incrinature e sconnessioni dei raccordi e delle giunzioni in gomma;

controllare che la lancia erogatrice abbia l’eventuale valvola di regolazione in posizione di chiusura;

per i naspi e per gli idranti UNI 45 inseriti nelle cassette, accertare che la tubazione e la lancia erogatrice siano correttamente collegate tra di loro ed alla rete di alimentazione idrica;

verificare che la rete idrica sia in pressione; verificare la presenza in deposito dei materiali di scorta indicati

dalla ditta installatrice o dal fornitore delle apparecchiature. Le eventuali anomalie riscontrate devono essere prontamente eliminate, se è possibile un’azione correttiva immediata, altrimenti devono essere tempestivamente segnalate al responsabile del servizio di prevenzione e protezione.

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CONTROLLI PERIODICI :

verificare che l’attrezzatura sia accessibile senza ostacoli e non sia danneggiata e che i componenti non presentino segni di corrosione o perdite;

accertare che le istruzioni d’uso siano chiare e leggibili; verificare la presenza e la corretta visibilità della segnaletica di sicurezza; controllare che i ganci per il fissaggio a parete siano adatti allo scopo, fissi e

saldi; srotolare completamente la tubazione sottoporla alla pressione di rete;

controllare che la tubazione, su tutta la sua lunghezza, non presenti screpolature, deformazioni, logoramenti o danneggiamenti; se la tubazione presenta qualsiasi difetto deve essere sostituita o collaudata alla massima pressione di esercizio;

verificare la presenza di acqua nell’impianto e che il getto sia costante e sufficiente (è raccomandato l’uso di indicatori di flusso e indicatori di pressione);

verificare che l’indicatore di pressione di rete (se presente) funzioni correttamente ed all’interno della sua scala operativa;

verificare che il sistema di fissaggio della tubazione sia di tipo adeguato ed assicuri la tenuta;

per i naspi orientabili, verificare che il supporto pivotante ruoti agevolmente fino a 180°;

per i naspi manuali, verificare che la valvola di intercettazione sia di tipo adeguato e sia di facile e corretta manovrabilità;

per i naspi automatici, controllare il corretto funzionamento della valvola automatica ed il corretto funzionamento della valvola di intercettazione di servizio;

verificare le condizioni della tubazione di alimentazione idrica, con particolare attenzione a segnali di logoramento o danneggiamento;

se i sistemi sono collocati in una cassetta, verificarne eventuali segni di danneggiamento e che i portelli della stessa si aprano agevolmente;

accertare che la lancia erogatrice sia di tipo appropriato e di facile manovrabilità;

verificare il funzionamento dell’eventuale guida di scorrimento della tubazione ed assicurarsi che sia fissata correttamente e saldamente;

assicurarsi che le saracinesche siano in posizione regolare per permettere il funzionamento dell’impianto; quelle principali dovranno essere sigillate con cinghie e lucchetto in modo da impedire l’esecuzione di manovre errate;

lasciare il naspo e l’idrante pronti per un uso immediato; nel caso siano necessari ulteriori lavori di manutenzione si deve collocare sull’apparecchiatura un cartello con la dicitura “FUORI SERVIZIO” e il verificatore deve informare il responsabile dell’attività;

controllare che l’area protetta non abbia subito modifiche tali da alterarne il livello di rischio.

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La frequenza dei controlli deve essere almeno semestrale. Il produttore deve fornire tutte le indicazioni necessarie per effettuare i controlli. Gli interventi devono essere eseguiti da personale qualificato ed in possesso dei requisiti di legge e devono essere annotati sull’apposita scheda del registro. Qualora per eseguire gli interventi previsti per le fasi di controllo e manutenzione dovesse rendersi necessario ridurre, temporaneamente, l’efficienza della protezione antincendio assicurata dall’impianto, occorre valutare l’adozione di idonee misure compensative di carattere impiantistico e/o gestionale (ad esempio prevedendo un servizio di vigilanza antincendio).

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- ESTINTORI PORTATILI E CARRELLATI

La norma UNI 9994, edizione marzo 1992, costituisce attualmente la norma il riferimento per la verifica e la manutenzione degli estintori portatili e carrellati d’incendio prescrivendo i criteri per effettuare la sorveglianza, il controllo, la revisione ed il collaudo al fine di garantirne l’efficienza operativa.1

Le diverse fasi possono prevedere anche verifiche apparentemente simili, che tuttavia si distinguono per il diverso livello di competenza del personale individuato per il loro espletamento.

1 Per completezza si deve ricordare anche il D.P.R. n. 547 del 1955 che all’art 34 recita: “Nelle aziende o lavorazioni in cui esistono pericoli specifici di incendio: ….. (omissis)…… c) devono essere predisposti mezzi di estinzione idonei in rapporto alle particolari condizioni in cui possono essere usati, in essi compresi gli apparecchi estintori portatili di primo intervento. Detti mezzi devono essere mantenuti in efficienza e controllati almeno una volta ogni sei mesi da personale esperto”. Tra l’altro per l’inosservanza di tale disposizione sono previste sanzioni penali al successivo art. 389, lettera b), dello stesso regolamento.

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La citata norma UNI 9994 stabilisce altresì che ciascun estintore deve avere in dotazione un cartellino di manutenzione che documenti gli interventi effettuati. Esso deve obbligatoriamente riportare almeno le seguenti informazioni:

- numero di matricola o altri estremi di identificazione dell’estintore;

- ragione sociale, indirizzo completo e altri estremi di identificazione del manutentore;

- massa lorda dell’estintore; - carica effettiva; - tipo di operazione effettuata; - data dell’intervento; - firma o punzone del manutentore.

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SORVEGLIANZA La fase di sorveglianza consiste nel controllare con costante e particolare attenzione l’estintore, eseguendo i seguenti accertamenti oltre alle eventuali ulteriori indicazioni fornite dal produttore e/o dall’installatore:

verificare che l’estintore sia presente e segnalato con apposito cartello, secondo quanto prescritto dal D.Lgs. n. 493/1996, recante la dicitura “estintore” e/o “estintore n. …”;

accertare che l’estintore sia chiaramente visibile, immediatamente utilizzabile e che l’accesso allo stesso sia libero da ostacoli;

verificare che l’estintore non sia stato manomesso, in particolare non risulti manomesso o mancante il dispositivo di sicurezza per evitare azionamenti accidentali;

controllare che i contrassegni distintivi siano esposti a vista e siano ben leggibili;

verificare che l’indicatore di pressione, se presente, indichi un valore di pressione compreso all’interno del campo verde;

eseguire un esame visivo dell’estintore per accertare che lo stesso non presenti anomalie quali, ad esempio, ugelli ostruiti, perdite, tracce di corrosione, sconnessioni o incrinature dei tubi flessibili, ecc.;

verificare che l’estintore sia esente da lesioni alle strutture di supporto e alla maniglia di trasporto; in particolare, se di tipo carrellato, controllare che sia privo di danni ai mozzi ed ai cuscinetti delle ruote ed abbia ruote perfettamente funzionanti;

accertare che il cartellino di manutenzione sia presente sull’apparecchio e sia correttamente compilato.

Le eventuali anomalie riscontrate devono essere prontamente eliminate, se è possibile un’azione correttiva immediata, altrimenti devono essere tempestivamente segnalate al responsabile del servizio di prevenzione e protezione

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CONTROLLI PERIODICI Il controllo consiste nel verificare l’efficienza dell’estintore eseguendo, oltre a quanto previsto per la fase di sorveglianza, le seguenti operazioni:

controllo del tipo e dell’idoneità dell’agente estinguente in funzione delle aree da proteggere;

controllo della presenza, del tipo e della carica delle bombole di gas ausiliario per gli estintori pressurizzati con tale sistema, secondo le indicazioni del produttore;

verifica mediante pesata: a) della carica della bombola di anidride carbonica per la pressurizzazione degli

estintori (a polvere, a schiuma, ecc.); b) della carica degli estintori ad anidride carbonica; c) della carica degli estintori a pressione permanente (compresi quelli ad

idrocarburi alogenati) e delle bombole di gas nei quali una perdita dell’1% della massa totale dell’estintore o della bombola a gas produce una perdita di pressione non maggiore del 10% della pressione di esercizio alla temperatura di 20 ± 2 °C; verifica degli estintori a pressione permanente e le bombole di gas,

diversi da quelli di cui alle lettere b) e c) del punto precedente, mediante misura della pressione interna alla temperatura di 20 ± 2 °C. Ciò deve essere ottenuto in uno dei seguenti modi:

1) a mezzo di una presa che consenta di determinare direttamente la pressione interna con l’ausilio di un apparecchio di misura indipendente; tale presa deve essere munita di tappo di chiusura;

2) a mezzo di un indicatore di pressione, fisso sull’involucro dell’estintore, il cui buon funzionamento deve poter venire verificato indipendentemente;

controllo del serraggio dei raccordi ruote-mozzi e lubrificazione delle parti mobili;

compilazione del cartellino di manutenzione con punzonatura della data di effettuazione del controllo

In sostanza deve essere controllata la completa e corretta funzionalità dell’estintore senza tuttavia procedere a prove di funzionamento. La frequenza dei controlli deve essere almeno semestrale. Il produttore deve fornire tutte le indicazioni necessarie per effettuare il controllo. Gli interventi devono essere eseguiti da personale qualificato ed in possesso dei requisiti di legge e devono essere annotati sull’apposita scheda del registro.

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La frequenza con cui eseguire le operazioni previste per la fase di revisione è indicata nella seguente tabella:

FREQUENZA DI REVISIONE

Tipo di estintore Tempo massimo di revisione con sostituzione della carica (mesi)

A polvere 36 Ad acqua o a schiuma 18 Ad anidride carbonica 60 Ad idrocarburi alogenati 72

Il produttore deve fornire tutte le indicazioni necessarie per effettuare il controllo. Gli interventi devono essere eseguiti da personale qualificato ed in possesso dei requisiti di legge e devono essere annotati sull’apposita scheda del registro. la sostituzione di un elemento (estinguente, serbatoio, dispositivi di sicurezza, ecc.) con un componente diverso da quello previsto nel prototipo approvato, fa decadere l’approvazione di tipo e rende il prodotto non conforme alla legge.

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COLLAUDO Il collaudo consiste nella verifica della stabilità del serbatoio o della bombola di gas ausiliario, secondo le prescrizioni impartite dalla vigente legislazione in materia di apparecchi a pressione. Gli estintori e le bombole che non siano già soggetti a verifiche periodiche secondo la predetta legislazione, devono essere sottoposti, con periodicità di sei anni, ad una prova idraulica di pressione della durata di un minuto ad una pressione di 3,5 MPa, ad eccezione degli estintori a CO2 e delle bombole di gas ausiliario a CO2 per i quali la pressione di prova deve essere di 25 Mpa. Al termine della quale non devono verificarsi perdite, deformazioni o dilatazioni di sorta. La data di collaudo e la pressione di prova devono essere riportate sull’estintore in modo ben leggibile, indelebile e duraturo. Il produttore deve fornire tutte le indicazioni utili per effettuare il collaudo. Naturalmente gli estintori che vengono rimossi per eseguire gli interventi di revisione e collaudo devono essere prontamente rimpiazzati con altri aventi prestazioni non inferiori. In ogni caso gli estintori devono essere ricaricati quando siano utilizzati anche parzialmente.