La povertà in Cile - Bollettino Goel

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S E T T E M B R E 2 0 1 2 La Povertá in Cile PERCHÉ LA POVERTÁ NON É SOLO DENARO... Cile: un alto indice di sviluppo umano, il soprannome di “Locomotiva del Sudamerica”, il boom economico. Ma le ricette neoliberiste hanno allargato il fossato tra ricchi e poveri. Uomini d’affari e ricchi professionisti, alla testa dell’economia più dinamica dell’America Latina, convivono con una varietà sorprendente di personaggi marginali: lustrascarpe, venditori ambulanti, artisti di strada che cercano in questo modo di guadagnarsi da vivere. Negli ultimi 15 anni il Cile ha mantenuto un tasso di crescita senza precedenti, l’inflazione endemica del secolo scorso è scesa vistosamente al 2-4%, la democrazia si è in qualche modo consolidata, la povertà estrema è stata notevolmente ridotta. Eppure allo stesso tempo la distribuzione dei redditi resta una delle più inique del continente, c’è una forte sottoccupazione, e mancano pari opportunità. . Insomma, il tanto decantato “modello cileno” funziona bene per i ricchi, lasciando le briciole ai poveri.

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Il bollettino dei Caschi Bianchi a Santiago del Cile

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S E T T E M B R E 2 0 1 2

La

Povertá in Cile

PERCHÉ LA POVERTÁ NON É SOLO

DENARO...

Cile: un alto indice di sviluppo umano, il soprannome di

“Locomotiva del Sudamerica”, il boom economico. Ma le ricette

neoliberiste hanno allargato il fossato tra ricchi e poveri.

Uomini d’affari e ricchi professionisti, alla testa dell’economia

più dinamica dell’America Latina, convivono con una varietà

sorprendente di personaggi marginali: lustrascarpe, venditori

ambulanti, artisti di strada che cercano in questo modo di

guadagnarsi da vivere. Negli ultimi 15 anni il Cile ha mantenuto

un tasso di crescita senza precedenti, l’inflazione endemica del

secolo scorso è scesa vistosamente al 2-4%, la democrazia si è

in qualche modo consolidata, la povertà estrema è stata

notevolmente ridotta. Eppure allo stesso tempo la

distribuzione dei redditi resta una delle più inique del

continente, c’è una forte sottoccupazione, e mancano pari

opportunità. . Insomma, il tanto decantato “modello cileno”

funziona bene per i ricchi, lasciando le briciole ai poveri.

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Anche l’arcivescovo di Santiago afferma che la cattiva distribuzione dei redditi in Cile è scandalosa. Ma la denuncia delle forti disuguaglianze in Cile è arrivata anche tempo fa dalla rivista Mensaje, fondata da padre Alberto Hurtado e voce dei gesuiti cileni. Quello che si critica sono le politiche neoliberiste introdotte durante la dittatura di Pinochet e applicate dai governi seguenti. Esse hanno portato alcuni risultati, ma mantengono e allargano la breccia che separa ricchi e poveri, riflettendo una mentalità fortemente classista, come succede anche in molti altri contesti latinoamericani. A Santiago, le condizioni di vita dei poveri sono migliorate dal 1990, ma la distribuzione “spaziale” della povertà non ha conosciuto grandi cambiamenti. Nelle comunas più depresse come nei campamentos, insediamenti urbani precari, e nelle toma, zone occupate, continuano ad esserci bassissimi tassi di scolarizzazione, sottoccupazione, mancanza di opportunità, bassa autostima, crimine, violenza, droga. In Cile insomma continua ad esistere un ristretto ceto dirigente fortemente legato all’ex regime di Pinochet, che concentra nelle sue mani la maggior parte dei profitti, l’educazione di qualità, gli impieghi meglio retribuiti e il potere. Dall’altra parte esiste un nutrito ceto subalterno che non possiede nulla ed è costretto a vendere la sua manodopera a poco prezzo e senza garanzie. Come in molti altri paesi dell’America Latina inoltre anche in Cile la qualità dell’occupazione è un grosso problema.

La grande maggioranza di coloro che secondo le statistiche risultano “occupati” lavora nelle piccole imprese o nei cosiddetti lavori informali, con guadagni irrisori e spesso senza contratto e copertura medica. Significa vivere alla giornata senza potersi costruire un futuro. I posti buoni sono quelli nelle grandi imprese, ma non sono alla portata di tutti: ci si entra solo se si è frequentata un’università prestigiosa, e questa è una prerogativa dei pochi che appartengono al ceto ricco. È una catena in cui le elite si riproducono e conservano le redini del potere: in Cile insomma l’origine segna ancora il destino. Tutto ciò spiega la scandalosa distribuzione del reddito esistente nel paese, che lo Stato riesce a ridurre solo con un discutibile sistema di sussidi. Resta il fatto che il 2% più ricco dispone di quasi un quarto del totale del reddito generato nel paese. Senza dimenticare inoltre che coloro che possiedono più risorse hanno maggiori possibilità di influire nelle decisioni pubbliche per ottenere benefici, con importanti ricadute politiche che si sospetta permettano la sopravvivenza di una democrazia non piena, che nasconde residui dittatoriali tra le sue pieghe. Purtroppo le contraddizioni del Cile di oggi sono anche il prodotto di questo sbilanciamento a destra, eredità dell’epoca di Pinochet. Sono le prevedibili conseguenze di un modello economico imposto arbitrariamente da un regime che, appena insediatosi, non a caso rase al suolo le baraccopoli di Santiago.

Nel mese di luglio sono stati presentati i dati aggiornati riguardanti la povertà in Cile raccolti tramite la cosiddetta “Encuesta Casen”. L’Encuesta de Caraterización Socioeconómica Nacional viene realizzata dal 1985 dal Ministero dello Sviluppo Sociale cileno, il quale raccoglie informazioni che permettano di aggiornare periodicamente la situazione della popolazione, soprattutto quella che si trova in situazione di povertà, e dei gruppi considerati “prioritari” per la politica sociale. Vengono raccolti dati demografici, riguardanti l’educazione, la salute, la casa, il lavoro. Lo scopo sarebbe quello di stimare l’entità della povertà e la distribuzione del reddito, identificare carenze e necessità della popolazione e valutare le brecce che separano i diversi segmenti sociali e ambiti territoriali. I dati raccolti servono poi per valutare l’impatto della politica sociale sul paese, e programmare le azioni per il futuro. Secondo i dati da poco resi pubblici, la povertà nel paese sarebbe diminuita dal 15,1% al 14,4% negli

L’Encuesta Casen: una misura realistica della

povertà?

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Economisti e professionisti locali hanno

cercato quindi di dare una valutazione alternativa e il più possibile obiettiva di questa diminuzione della povertà. Ed è emerso un primo grande limite: la povertà è stata misurata utilizzando un “paniere” di beni e servizi (strumento di misura molto usato in economia) fissato nel 1988, cioè più di 20 anni fa, momento in cui il Cile stava uscendo dalla crisi degli anni ’80 e si considerava che i più poveri occupassero la metà delle proprie risorse per alimentarsi. La realtà di oggi è molto diversa da allora: i consumi non alimentari sono aumentati moltissimo, come ad esempio il trasporto. Tale “paniere” manifesta tutto il suo anacronismo nel momento in cui fissa la linea di povertà per le zone urbane a 72.000 pesos/pro capite, secondo la quale addirittura le persone che vivono in strada risulterebbero al di sopra della soglia di povertà, dato che secondo i dati del Ministero dello Sviluppo Sociale le loro entrate medie raggiungerebbero gli 88.690 pesos. Risulta insomma assolutamente necessario attualizzare il metodo di misura della povertà. Il metodo usato oggi non descrive il livello di sviluppo del paese, e influisce negativamente nella presa di decisioni sull’investimento nel sociale. Il Cile, in sostanza, deve dare una risposta più contundente ai più poveri, dato che si contano 33 mila famiglie che vivono in accampamenti e che ancora non traggono beneficio dalla crescita economica del paese.

ultimi tre anni. Sarebbe a dire che 321 mila persone che nel 2009 erano povere oggi non lo sono più. Da tale data, anno in cui venne realizzata l’inchiesta precedente, il numero dei poveri sarebbe quindi diminuito da 2 milioni e mezzo a meno di 2 milioni e 200 mila. Secondo i dati ufficiali anche la povertà estrema si sarebbe ridotta, dal 3,7% al 2,8%, registrando il livello più basso dal 1990. Ciò significa che 148 mila persone sono uscite dall’indigenza, uno ogni 4 cileni che si trovavano in questa condizione. I dati presentati segnalano quindi una diminuzione nella cifra globale della povertà in Cile. Ma quanto realistici sono questi risultati? Rispecchiano veramente la situazione del Cile in materia di povertà? La loro significatività e il grande entusiasmo dimostrato dal Governo nel presentarli sono stati subito fortemente contestati. La pubblicazione dei dati ha originato infatti un’ampia discussione nel paese e un’accesa disputa tra Governo e opposizione. Il risultato ottenuto come succede troppo spesso è stato quello di manipolare i poveri per scopi politici. Ma la povertà non si misura solo in base a ciò che guadagnano le persone. Si deve vedere anche dove vivono, le opportunità che hanno, l’accesso all’educazione di qualità, ad un sistema sanitario efficiente, la possibilità di vivere in un quartiere sicuro e con servizi di base. Eppure questi aspetti non sembrano essere considerati.

“Una notte particolare quella di venerdì scorso. Io, Benedetta e Silvia abbiamo risposto all'invito di Charlie, un' invito a condividere la serata con i senza dimora di Santiago! Charlie lavora in un progetto della Diocesi di Santiago, in collaborazione con il Governo. Tutte le sere con il suo gruppo va a visitare le persone che vivono in strada, per portargli un caffè e un piatto caldo. La sua non è l'unica associazione che aiuta gli emarginati senza una casa. Quando arriviamo davanti all'ospedale ci sono altri gruppi di volontari che distribuiscono cibo. La quantità è tanta che spesso i piatti vengono appena toccati, per poi essere buttati per terra, ai cani. A Santiago difficilmente si soffre la fame. Le nostre intenzioni vanno oltre il placare la fame: noi ci fermiamo, regaliamo un po' del nostro tempo a quei volti che ci sorridono dal bordo del marciapiede, con l'intenzione di condividere, parlare, ridere, cantare, ballare e mangiare insieme. Il cibo è più che altro un mezzo, tramite il quale si raggiunge l'obiettivo di rallegrare e dare speranza alla vita degli ultimi, e perché no, anche alla nostra”.

Pietro: Compartendo Vida

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La risposta della

Papa Giovanni XXIII

Nel 2009, lo studio di Analisi Socio-economica realizzata dalla Municipalità di Santiago registrava la presenza di 2.508,880 persone povere nel paese, 777.016 residenti nella regione metropolitana e 11.483 residenti in Santiago. Tale distribuzione della popolazione povera permetteva di concludere che la regione metropolitana non è una regione povera rispetto al resto del paese, cosi come la comuna di Santiago con rispetto all’intera regione metropolitana. Sul territorio, la Municipalidad pone in essere alcuni programmi e servizi sociali contro la disuguaglianza e la povertà. Esistono sussidi nazionali per invalidi, sussidi per figli, per l’acqua potabile, sussidi familiari, programma Puente “Chile solidario”, programma di violenza intra-familiare. Esistono programmi di aiuto alla gioventù e all’infanzia, di aiuto per la ricerca dell’impiego, per la terza età e per la donna. Esiste “Un techo para Chile”, istituzione senza fini di lucro della società civile che lavora per lo sradicamento dei campamentos (zone con case precarie costruite su terreni sui quali i residenti non hanno diritto di proprietà) attraverso il loro trasferimento in barrios con case stabili. Esiste la Fundaciòn superación de la pobreza, ed esiste l’Hogar de Cristo. Tutte istituzioni che, con maggiore o minore efficacia, e a volte in modo discutibile, cercano di far fronte alla situazione dei poveri nella Municipalidad. Un’altra risposta, di tipo diverso, viene data dalla Comunità Papa Giovanni XXIII. La Comunità sceglie di contrastare la povertà e la disuguaglianza con strumenti del tutto particolari: prima tra tutti la condivisione. In quest’ottica non basta offrire un piatto caldo, e con loro il proprio tempo, il proprio spazio, ascoltare e parlare con coloro che spesso non vengono considerati. Condividere insomma con chi troppo spesso viene considerato invisibile. Ma come sceglie la Comunità di condividere la propria esistenza con i poveri? Mossi dallo spirito di seguire Gesù povero e servo, i membri della Comunità, per vocazione, si compromettono a condividere direttamente la propria vita con gli ultimi, facendosi carico dei loro problemi e cercando la rimozione delle cause dell’emarginazione. A questo scopo la Comunità si compromette seriamente anche in campo sociale, ponendo in essere una azione non violenta per creare un mondo più giusto, per essere voce di chi non ha voce. Nella Comuna di Peñalolen, in particolare, essa mette a disposizione due diverse strutture: un Comedor e una Casa di Fraternità.

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Progetti per

Accogliere

Il Comedor, nasce il primo maggio del 1999. All'epoca

a Santiago, in particolare nel settore di Peñalolén, dove

la mensa attualmente sorge, vi era una maggiore

povertà rispetto ad oggi. La povertà di cui la

responsabile del progetto ci parla è di tipo non solo

economico, ma anche di tipo intellettuale ed umano.

Molte delle persone che frequentano ad oggi il Comedor

sono per lo più uomini e donne che vivono in strada, che

etiquettati come scarto della sociatà sono considerati degli emarginati sociali che

affogano i loro dispiaceri e problemi nell'alcool e qualcheduno anche nella droga.

La maggior parte di loro non hanno un lavoro e molti ancora soffrono di quella paura, lasciata in

eredità dal regime di Pinochet, di uscire dalle proprie tane.

La Papa Giovanni XXIII in collaborazione con la parrocchia di Peñalolén riuscì dunque ad

aprire uno spazio all'interno del quale venne allestita la mensa per i poveri, con lo scopo non

solo di offrire un pasto, ma bensì di condividere la vita con gli ultimi, con coloro che non solo

erano e sono poveri economicamente, ma che a livello umano sono privi di relazioni e che qui

in Cile vengono accuratamente evitati e tenuti a distanza.

Al principio il Comedor offriva loro un panino, ma poi, con il passare degli anni, si arrivò a dare

circa 140 pasti al giorno, senza considerare i pasti portati direttamente nelle case alle persone

che per problemi di salute non potevano recarsi alla mensa.

Le persone che lavorano al Comedor sono animate da uno spirito di comunione con i più poveri

che fa sì che questi ultimi possano usufruire anche di un supporto morale e psicologico. In

questo spazio si riconosce nei bisognosi una povertà umana che è maggiore di quella

economica. Ciò rende possibile la condivisione di alcuni momenti come quello delle chiacchiere

fatte all'esterno della struttura prima che il pasto sia consumato, nonché nel momento stesso del

pranzo.

Molte delle persone frequentanti la struttura hanno potuto intraprendere dei percorsi terapeutici

e di auto-aiuto per poter uscire dalla propria condizione di povertà ed emarginazione.

Comedor: la mensa per i

bisognosi

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Il progetto della Casa di Fraternità è nato nel 2008 dall'iniziativa di una sorella di Comunità

che decise di dedicare il suo tempo ai caballeros della

strada per dar loro un ricovero durante le lunghe e fredde

notti d'inverno. In passato nasceva negli spazi di un centro

diurno per anziani, che durante la notte si trasformava in

centro d'accoglienza per gli anziani signori nel settore di

Peñalolén basso.

Dal 2010 la Casa di Fraternità si è spostata nel settore di

Peñalolén alto dove a partire dall'anno 2011 la casa è

aperta tutte le sere dell'anno.

In generale vengono accolti uomini tra i 50 e i 65 anni,

quasi tutti fortemente dipendenti dall'alcool, un

compagno di vita che li ha ridotti schiavi di sè stessi e

padroni di niente, neanche delle loro azioni. Molti di

loro hanno una famiglia, una moglie, dei figli, dei nipoti e

madri, che però non vedono da tempo e alle quali non possono

avvicinarsi a causa della loro dipendenza.

Qui in Casa di Fraternità queste persone non trovano solo un tetto, un piatto caldo, una doccia

calda e un letto su cui riposare tranquillamente, ma anche e soprattutto la possibilità di

instaurare delle relazioni che nascono attraverso la condivisione del pasto e del momento della

colazione.

La Casa di Fraternitá: un

pasto e una chiacchierata

La componente chiave nel recupero di queste

persone non è data, dunque, dal semplice fatto di

offrire loro un pasto, un servizio, bensì nel dare

loro delle attenzioni che, seppur minime e

semplici, fanno sì che queste persone riescano a

percepirsi come uomini e non come fantasmi

della società.

“Sono passati cinque mesi da quando sono partito dall'Italia, per i

primi due mesi la difficoltà piu' grande è stata non potermi esprimere a

causa della lingua e di conseguenza nel capire una cultura differente

dalla nostra. Adesso non è che io sappia perfettamente lo spagnolo, ma

almeno riesco ad avere una conversazione.Sono stato inserito in due

progetti: il Comedor e la Casa di Fraternità.

La voce dei Caschi

Bianchi Mauro e Pietro sono i due Caschi Bianchi della Papa Giovanni

XXIII che per l'anno 2011/12 sono stati inseriti in quei progetti che

si occupano più nello specifico della povertà in Cile.

I ragazzi ogni giorno entrano in contatto con persone che in Cile

solitamente sono considerate “invisibili”, cercando di creare delle

relazioni e tentando di dare loro una voce e una dignità in quanto

uomini, riscattandoli dal fatto di essere pura “spazzatura della

società”.

Mauro: la forza della condivisione

SETTEMBRE 2012

Il Comedor, è una mensa per i poveri. All'inizio pensavo fosse una mensa come tante altre, dove le persone

che vivono in strada si limitano a consumare il pasto senza instaurare alcun tipo di relazione con nessuno.

Esso, invece, non è frequentato solo dai cosidetti barboni, ma anche da signore di una certa eta', che sole da

anni, vengono a condividere un po' di tempo ed a mangiare in compagnia. Inoltre, ciò che più mi ha stupito

sono coloro che nella pausa del lavoro vengono qua a pranzare. Sono lavoratori umili che non arrivano a

fine mese, parlando con loro ho scoperto che la paga minima di un lavoratore e' di 180.000 pesos (circa 250

euro). La vita qui è poco costosa se ti accontenti di poco, ma la paga minima non e' sufficente per vivere.

Il Comedor, fino alla fine di questo mese, è stato gestito da una sorella di comunità, responsabile anche di

una casa famiglia bella numerosa, ma a partire da agosto la gestione sarà affidata alla Comunita Terapeutica

per agevolare il percorso terapeutico dei ragazzi accolti.

Con Pietro e gli altri volontari prepariamo la mattina il pranzo per tutti e predisponiamo la mensa che deve

essere pronta per quando arrivano i caballeros e le signore. Via via che la gente giunge li riceviamo nel

patio, dove segnamo le presenze. In questi momenti parliamo con loro del più e del meno, di come hanno

passato la mattinata, e a volte, invece, si fanno dei discorsi più profondi dove ci raccontano della loro vita e

dei loro problemi.

Quando il pranzo è pronto li facciamo passare nella mensa, dove serviamo loro il pasto e facciamo un

momento di preghiera prima di consumarlo. Non sempre mangiamo con loro, dipende dalle cose che ci sono

da fare. Adesso ci sono circa 40 persone al giorno, di cui otto di loro vivono fissi in strada.

Qui dentro si vive la quotidianità, è un ambiente stimolante proprio per il fatto che il contatto con gli ultimi

ti fa capire l'importanza delle piccole cose. Ti fanno riflettere sulla vita e comprendere che per quanto tu

possa dare, sono sempre loro che danno a te. É una forma di crescita che mi regala molte emozioni.

L'altro progetto, la Casa di Fraternità, è gestito da due ragazze, una sorella di comunità e una PVV

(Periodo di verifica vocazionale), le quali vivono all'interno della struttura occupandosi delle persone

che vengono accolte ogni sera. Qui vengo tre volte alla settimana, arrivo prima di cena per ricevere i

Caballeros ed esco dal progetto la mattina seguente dopo aver condiviso con loro la colazione.

Qui facciamo accoglienza ai senza tetto. Entrano in struttura per la cena ed escono dopo la colazione. È

un' accoglienza di cinque o sei persone a notte, sono sempre le stesse e sono uomini sui sessanta anni,

quasi tutti con problemi di alcool.

L'accoglienza inizia alle 19, quando iniziamo a preparare la cena e i caballeros inizano ad arrivare.

Dopo un primo momento di saluti, li invitiamo a fare una doccia e a cambiarsi, sempre supervionati da

un volontario per accertarci che si lavino e che non abbiano bisogno di aiuto. Dopodichè, mentre si

aspetta che la cena sia servita, parliamo e a volte alcuni di loro vanno nel proprio dormitorio a

riposarsi. La condivisone avviene proprio in questi momenti informali, durante i quali succede spesso

che alcune persone facciano delle confidenze e si raccontino. La cena è un momento di comunione,

dove tutti, volontari, responsabili e caballeros, sediamo allo stesso tavolo, mangiando, parlando e

scherzando.

Penso che sarebbe bello poter accogliere più persone, perché molti bisognosi restano in strada al

freddo, ma le energie e i mezzi che abbiamo sono limitati, quindi al momento cerchiamo di accogliere

bene coloro che già ci sono.

Questa è la struttura alla quale si appoggiano la maggior parte dei volontari che vengono in Cile a

prestare servizio. Devo dire che qua c'e' un bel giro di volontari che vanno e vengono, questo puo'

essere un po' confusionale ma è anche molto bello, senza contare che ogni anno vengono circa dieci

Caschi Bianchi. Vivendo qui ho percepito l'aria nuova e la freschezza che portano, oltre, ovviamente, al

loro aiuto”.

SETTEMBRE 2012

Servizio Go’El 2011/12

Maria Luisa Bonanno & Eva Rizzo