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ISBN 978-84-608-2282-0 65-82 LA POTESTAS DIRECTA IN TEMPORALIBUS ATTRAVERSO IL SIMBOLO DELLE “DUE SPADE” NEI SECOLI XII-XIV Michele Pepe Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” L’esercizio da parte della Chiesa cattolica di un’azione di controllo diretto sulle istituzioni politiche medievali —definita generalmente potestas directa in temporalibus—, che ebbe nei secoli centrali dell’età di mezzo uno dei più caratteristici effetti nei violenti scontri fra Papato e Impero, si afferma in maniera sempre più consistente a partire dall’XI secolo, dopo un lungo e graduale percorso. Nonostante l’indubbia influenza esercitata dalle Sedi episcopali —e prima fra tutte dalla Sede romana— sul potere politico nel corso dell’Alto Medioevo, per buona parte del primo millennio la Chiesa fu una realtà frammentaria e, per conseguenza, politicamente limitata: a lungo le diverse comunità dei credenti in Cristo conservarono una propria autonomia e indipendenza tanto che, nei primi secoli, i vescovi avevano potuto addirittura scomunicarsi reciprocamente 1 . È l’epoca in cui, come ha osservato Mario Ascheri, «esistevano le chiese, non la Chiesa 2 ». Il superamento di questa frammentarietà e della connessa fragilità politica, si realizza, come abbiamo anticipato, nel corso dell’XI secolo e riceve un impulso decisivo durante il pontificato di Ildebrando di Soana che sarà papa con il nome di Gregorio VII dal 1073 al 1085. La riforma di quegli anni, che la storiografia ricorda come gregoriana a testimonianza dell’importanza del contributo diretto del pontefice alla sua realizzazione, mirava ad agire su due differenti piani. Il primo era interno alla Chiesa: Gregorio volle fortemente che la Sede di Roma acquisisse un primato indiscusso rispetto a tutte le altre Sedi episcopali secondo il principio Roma prima sedes, a nemine iuducatur 3 . Il secondo era relativo al 1 Così ASCHERI, M., Istituzioni medievali. Bologna, 1999, p. 49. 2 Ibidem. 3 Il percorso dell’affermazione del primato della Sede episcopale romana su tutte le altre si fondava sulla particolare posizione di Pietro rispetto agli altri apostoli. Particolarmente significativo in tal senso il passaggio di un’epistola inviata da papa Gregorio al conte di Fiandra: «(...) Dominus enim Iesus Christus beatum Petrum constituit principem apostolorum dans ei claves regni Celorum, et potestatem ligandi et solvendi in celo et in terra; super quem Ecclesiam sua etiam edificavit, commendans ei oves suas pascere». Cfr. VACCA, S., Prima sedes a nemine

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LA POTESTAS DIRECTA IN TEMPORALIBUS ATTRAVERSO IL SIMBOLO DELLE “DUE SPADE” NEI SECOLI XII-XIV

Michele PepeUniversità degli Studi di Roma “Tor Vergata”

L’esercizio da parte della Chiesa cattolica di un’azione di controllo diretto sulle istituzioni politiche medievali —definita generalmente potestas directa in temporalibus—, che ebbe nei secoli centrali dell’età di mezzo uno dei più caratteristici effetti nei violenti scontri fra Papato e Impero, si afferma in maniera sempre più consistente a partire dall’XI secolo, dopo un lungo e graduale percorso. Nonostante l’indubbia influenza esercitata dalle Sedi episcopali —e prima fra tutte dalla Sede romana— sul potere politico nel corso dell’Alto Medioevo, per buona parte del primo millennio la Chiesa fu una realtà frammentaria e, per conseguenza, politicamente limitata: a lungo le diverse comunità dei credenti in Cristo conservarono una propria autonomia e indipendenza tanto che, nei primi secoli, i vescovi avevano potuto addirittura scomunicarsi reciprocamente1. È l’epoca in cui, come ha osservato Mario Ascheri, «esistevano le chiese, non la Chiesa2».

Il superamento di questa frammentarietà e della connessa fragilità politica, si realizza, come abbiamo anticipato, nel corso dell’XI secolo e riceve un impulso decisivo durante il pontificato di Ildebrando di Soana che sarà papa con il nome di Gregorio VII dal 1073 al 1085. La riforma di quegli anni, che la storiografia ricorda come gregoriana a testimonianza dell’importanza del contributo diretto del pontefice alla sua realizzazione, mirava ad agire su due differenti piani. Il primo era interno alla Chiesa: Gregorio volle fortemente che la Sede di Roma acquisisse un primato indiscusso rispetto a tutte le altre Sedi episcopali secondo il principio Roma prima sedes, a nemine iuducatur3. Il secondo era relativo al

1 Così ASCHERI, M., Istituzioni medievali. Bologna, 1999, p. 49.2 Ibidem.3 Il percorso dell’affermazione del primato della Sede episcopale romana su tutte le altre

si fondava sulla particolare posizione di Pietro rispetto agli altri apostoli. Particolarmente significativo in tal senso il passaggio di un’epistola inviata da papa Gregorio al conte di Fiandra: «(...) Dominus enim Iesus Christus beatum Petrum constituit principem apostolorum dans ei claves regni Celorum, et potestatem ligandi et solvendi in celo et in terra; super quem Ecclesiam sua etiam edificavit, commendans ei oves suas pascere». Cfr. VACCA, S., Prima sedes a nemine

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rapporto fra la Sede romana e il suo pontefice e le istituzioni politiche dell’orbe cristiano le quali avrebbero dovuto considerarsi tributarie del papa di ogni loro potere e dunque in tutto e per tutto a quello assoggettate4.

Il compimento della Riforma fu opera di teologi, giuristi, filosofi che in alcuni casi formularono nuove teorie a legittimazione della funzione e del ruolo cui la Chiesa del secondo millennio ambiva; in altri utilizzarono costruzioni più risalenti reinterpretandole e attribuendo loro un inedito significato. È questo il caso della così detta teoria delle “due spade”5 che fu formulata nell’VIII secolo

iudicatur: genesi e sviluppo storico dell’assunto fino al Decreto di Graziano. Roma, 1993, p. 212.

4 Tutta la forza del pensiero politico del pontefice è riassunta nel notissimo Dictatus Papae. Il documento consta di ventisette lapidarie proposizioni nelle quali al pontefice, sia in ambito spirituale che temporale, si riconosce un potere supremo: «I, quod Romana ecclesia a solo Domino sit fundata; II, quod solus Romanus pontifex iure dicatur universalis; III, quod ille solus possit deponere espiscopus vel reconciliare; IV, quod legatus eius omnibus episcopis presit in concilio etiam inferioris gradus et adversus eos sententiam depositionis possit dare; V, quod absentes papa possit deponere; VI, quod cum excommunicatis ab illo inter cetera nec in eadem domo debemus manere; VII, quod illi soli licet pro temporis necessitate novas leges condere, novas plebes congregare, de canonica abatiam facere et e contra, divitem episcopatum dividere et inopes unire; VIII, quod solus possit uti imperialibus insigniis; IX, quod solius pape pedes omnes principes deosculentur; X, quod illius solius nomen in ecclesiis recitetur; XI, quod hoc unicum est nomen in mundo; XII, quod illi liceat imperatores deponere; XIII, quod illi liceat de sede ad sedem necessitate cogente episcopos transmutare; XIV, quod de omni ecclesia quocunque voluerit clericum valeat ordinare; XV, quod ab illo ordinatus alii ecclesie preesse potest, sed non militare; et quod ab aliquo episcopo non debet superiorem gradus accipere; XVI, quod nulla synodus absque precepto eius debet generalis vocari; XVII, quod nullum capitulum nullus queliber canonicus habeatur absque illius auctoritate; XVIII, quod sententia illius a nullo debeat retractari et ipse omnium solus retractare possit; XIX, quod a nemine ipse iudicare debeat; XX, quo nullus audeat condemnare apostolicam sedem apellantem; XXI, quod maiores cause cuiscunque ecclesie ad eam referri debeant; XXII, quod Romana ecclesia nunquam erravit nec imperpetuum scriptura testante errabit; XXIII, quod Romanus pontifex, si canonice fuerit ordinatus, meritis beati Petri indubitanter efficitur sanctus testante sancto Ennodio Papiensi episcopo ei multis sanctis patribus faventibus, sicut in decretis beati Symachi pape continetur; XXIV, quod illius precepto et licentia subiectis liceat accusare; XXV, quod absque synodali conventu possit episcopus deponere et reconciliare; XXVI, quod catholicus non habeatur, qui non concordat Romane ecclesie; XXVII, quod a fidelitate iniquorum subiectos potest absolvere». Il documento, con traduzione italiana, è pubblicato in VACCA, Prima sedes, pp. 214-215. Quanto alla natura e al fine della raccolta non vi sono certezze assolute: è possibile che il Dictatus fosse un semplice promemoria redatto dal papa allo scopo di fissare i princìpi che teologi e canonisti avrebbero dovuto far valere nelle loro discussioni con il potere politico; oppure che si tratti dell’elenco di titoli di una compilazione canonica oggi perduta; oppure, sostiene autorevolmante Cortese ritenendo più probabile quest’ultima ipotesi, che si tratti «di un elenco di rubriche da riempire in séguito con canoni e con decretali, predisposto dallo stesso Gregorio VII». Cfr. CORTESE, E., Le grandi linee della storia giuridica medievale. Roma, 2011, pp. 212-213.

5 Nella bibliografia sulla genesi e sviluppo della “teoria delle due spade” si segnala KATES, P., The two swords; a study of the union of church and state. Washington, 1928; LECLERQUE, J., “L’argument des deux glaives (Luc. XXII,38) dans les controverses politiques du Moyen Age: ses origines et son dévelopement”, in Recherches de science religieuse. N°21, 1931, pp. 299 ss.; ARQUILLIÈRE, H. X., “Origines de la théorie des deux glaives”, in Studi Gregoriani.

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sulla base di alcuni passi neotestamentari6 con intenti tutt’altro che teocratici e che proprio dall’XI-XII secolo, coll’affermazione delle tesi gregoriane, mutò la sua portata e venne con sempre maggiore frequenza utilizzata da giuristi e filosofi di pensiero ierocratico come strumento utile a confermare la legittimità della potestas directa dei pontefici. È proprio su quest’ultimo aspetto che verteranno le nostre brevi riflessioni.

Dobbiamo premettere che il presupposto della dottrina, intesa come argomentazione volta a teorizzare la separazione della giurisdizione spirituale da quella temporale, simboleggiate «dalle due spade della cristianità7» offerte a Cristo dai discepoli nell’imminenza della Passione, è generalmente individuato nella divisione dei poteri enunciata da papa Gelasio I († 496) alla fine del V secolo8. In una celebre epistola indirizzata nel 494 all’imperatore d’Oriente Anastasio, accolta nel Decreto di Graziano, il pontefice aveva scritto che due dovevano considerarsi i poteri disposti a reggere il mondo: l’auctoritas dei pontefici e la regia potestas. Assai più ponderosa la responsabilità dei sacerdoti —aveva scritto Gelasio— poiché questi avrebbero risposto davanti a Dio anche delle anime dei re9.

N°1, 1947, pp. 508 ss.; STICKLER, A. M.,“Sacerdozio e regno nelle nuove ricerche attorno ai secoli XII e XIII nei decretisti e nei decretalisti fino alle Decretali di Gregorio IX”, in Sacerdozio e regno da Gregorio IX a Bonifacio VIII. Roma, 1954, pp. 1-26; MACCARRONE, M., “Potestas directa e potestas indirecta nei teologi del XII e XIII secolo”, in Sacerdozio e Regno, pp. 2-48; GIACON, C., “Le due spade”, in Rivista internazionale di filosofia del diritto. N° 36, 1959, pp. 682 ss.; COSTA, P., Iurisdictio: semantica del potere politico nella pubblicistica medievale. Milano, 1969, specialmente pp. 345 ss.; PAGANONI, S., Il simbolo delle due spade da San Pier Damiani a San Bernardo di Chiaravalle. Milano, 1969; PILOT, G., Comunità politica e comunità religiosa nel pensiero di Guglielmo di Ockham. Bologna, 1977, pp. 41ss; ZERBI, P. “Riflessioni sul simbolo delle due spade in San Bernardo”, in Ecclesia in hoc mundo posita: studi di storia e di storiografia medioevale raccolti in occasione del 70° genetliaco dell’autore. Milano, 1993, pp. 387-410; PARAVICINI BAGLIANI, A., Il papato nel secolo XIII: cent’anni di bibliografia (1875-2009). Firenze, 2010, pp. 171-172; GOEDERT, C., Gladii Duo: Images of the Spiritual and the Secular in the Later Middle Ages. Lincoln, 2001.

6 Cfr. GIACON,“Le due spade”, p. 684. Nell’articolo, i brani della Scrittura individuati come fondanti la teoria sono: Lc 22,38 che narra come gli apostoli avessero offerto a Cristo nell’orto degli ulivi due spade in sua difesa; Gv 18,10-11 in cui Pietro taglia l’orecchio del servo del sommo sacerdote per quanto immediatamente dopo Gesù gli intimi di rinfoderare la spada e Rom 13,4 in cui Paolo, trattando dell’obbedienza al pubblico potere, afferma riferendosi a quest’ultimo: «non enim sine causa gladium portat».

7 Così BEDOUELLE, G., La storia della Chiesa, Milano, 1993, p. 76. 8 Così fra gli altri CASSANDRO, G., Lezioni di diritto comune. Napoli, 1974, p. 53; Terni,

M., La pianta della sovranità. Teologia e politica tra medioevo ed età moderna. Bari, 1995, p. 46; GALLI, G., Storia delle dottrine politiche. Milano, 2000, p. 30; GENTA TERNAVASIO, E., - ROSBOCH, M., Elementi di diritto comune: Appunti dalle lezioni. Torino, 2013, p. 12.

9 Cfr. D. 96 c. 10: «Duo sunt quippe, imperator auguste, quibus principaliter mundus hic regitur: auctoritas sacra pontificum, et regalis potestas. In quibus tanto gravius est pondus sacerdotum, quanto etiam pro ipsis regibus hominum in divino reddituri sunt examine rationem».

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Parte della storiografia, superando una prima e immediata lettura del notissimo passo, più ancora che un invito al rispetto delle reciproche prerogative, ha ravvisato nell’epistola del pontefice una non troppo velata rivendicazione di superiorità da parte dell’autorità episcopale e dunque papale10.

Di questa opinione Mario Ascheri secondo cui è indubitabile che nell’epistola Gelasio riconosca la coesistenza di due distinte giurisdizioni; è altrettanto vero, tuttavia, che, “assegnando ai vescovi quella responsabilità «per i re», quello gelasiano si connota come «un dualismo che tende a una forma di teocrazia ecclesiastica11”.

Una conferma della radice teocratica del pensiero di Gelasio I sarebbe da individuarsi nell’utilizzo da parte del pontefice di specifici lemmi. In particolare Walter Ullmann, che come Ascheri interpreta in senso teocratico le parole del pontefice, ha osservato come il papa avesse consapevolmente qualificato con il termine auctoritas il potere del pontefice e con il termine potestas quello dei sovrani temporali12. La diversa nomenclatura non sarebbe priva di significato: pur dissentendo dall’interpretazione teocratica dell’epistola gelasiana, Ennio Cortese ha sottolineato come, nel linguaggio giuridico romano, certamente noto a papa Gelasio, i due sostantivi avessero valori ben precisi e diversi: l’auctoritas indicava «una fonte carismatica di legittimità; la potestas un potere essenzialmente esecutivo13».

Ad ogni modo, se la questione dell’ispirazione teocratica del pensiero gelasiano è oggetto di dibattito —e su di essa non è possibile in questa sede soffermarsi ulteriormente—, pacificamente si ritiene che gli scritti del pontefice nordafricano costituiscano una delle prime compiute testimonianze di argomentata separazione tra i due poteri e, come si è detto, uno dei presupposti più significativi per l’elaborazione della teoria delle “due spade”.

I primi documenti in cui, elaborando la distinzione tracciata da papa Gelasio, compare la rappresentazione delle «due spade (...) per simboleggiare una doppia autorità» si collocano a cavallo fra l’VIII e il IX secolo14. Si tratta di alcune epistole del filosofo ed erudito inglese Alcuino di York (735-804), fedelissimo

10 Così CORTESE, Le grandi linee, p. 36 che pure non sposa la tesi dell’intento teocratico degli scritti gelasiani.

11 ASCHERI, Istituzioni medievali, p. 57.12 Di questa opinione ULLMANN, W., in The Growth of Papal Government in the middle

ages. Londra, 1970, p. 174 ove si enuncia il «Gelasian contrast» e si illustrano i differenti significati di “auctoritas” e “potestas”.

13 CORTESE, Le grandi linee, p. 36. Contrario ad una interpretazione teocratica dell’epistola, pur sottolineando il voluto utilizzo da parte del pontefice dei due diversi lemmi —auctoritas e potestas— anche CASSANDRO, Lezioni, p. 53: «Gelasio I, pur enunciando la tesi delle due spade, simbolo dei due poteri, secolare ed ecclesiastico, che doveva fare tanto cammino, dichiarò tuttavia che il pondus dell’autorità pontificale è maggiore di quella imperiale. (...). Ma va osservato che questa auctoritas, così come la spada che ne è il simbolo, non è temporale, né il suo possesso comporta (...) un’effettiva e politica superiorità dell’autorità pontificia sull’autorità regia».

14 Cfr. GIACON, “Le due spade”, p. 683.

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di Carlo Magno, da cui fu chiamato a dirigere ad Aquisgrana la Schola Palatina nel 78215, e convinto assertore della titolarità, da parte dell’imperatore, di prerogative sacerdotali e regali nonchè di una funzione di difesa e protezione della Chiesa e del pontefice16. Alcuino si serve per la prima volta del simbolo in una lettera del 799:

Hoc mirabile et speciale in te pietatis Dei donum predicamus, quod tanta devotione ecclesia Christi a perfidorum intrinsecus purgare tueri queniteris, quanta forinsecus a vastatione paganorum defendere vel propagare conaris. His duobus gladiis vestram venerandam excellentiam dextra levaque divina armavit potentia17.

Ciò che immediatamente si nota è che, nell’epistola, i duo gladii non rappresentano ancora le due differenti e somme giurisdizioni —la spirituale e la temporale—. L’immagine pare piuttosto individuare due differenti uffici dell’imperatore: quello di combattere le dottrine eretiche e quello di difendere la Chiesa dai pagani.

In una lunga lettera successiva, ancora una volta indirizzata a Carlo Magno, il tema viene più dettagliatamente sviluppato. Rifacendosi a numerosi passi della Scrittura e soprattutto al Vangelo di Luca18, Alcuino espone il significato dei duo gladii. Anche in questa seconda epistola le due spade offerte a Cristo assumono il significato di due elementi distinti, ma organicamente coordinati nel perseguimento di un unico fine. Così scrive l’inglese:

Diximus duos gladios corpus et animam significare: quae ambo per unam fidem operari debent, ut fides, quae in anima latet, foras per corpus ostendatur in opere. (...) Possunt quoque non inconvenienter duo gladii fides et opus intelligi: illa in corde latens, istud in factum in palam procedens.19

15 MUSCA, G., Carlo Magno e l’Inghilterra anglosassone. Bari, 1964, p. 22.16 La citazioni di Alcuino è tratta da PILATI G., Chiesa e Stato nei primi quindici secoli. Città

di Castello, 1961, p. 81.17 Ibidem.18 Anche se, come si è anticipato e come si avrà modo di dire meglio in seguito, sono diversi

i brani della Scrittura su cui la teoria delle “due spade” verrà costruita, si osserva come, almeno in questa prima fase della sua genesi, il riferimento principale sia costituito dalla Passione di Cristo narrata da Luca e, specialmente, Lc 22, 35-38: «Quando misi vos sine sacculo, et pera, et calceamentis, numquid aliquid defuit vobis? At illi dixerunt: Nihil. Dixit ergo eis: Sed nunc qui habet sacculum, tollat; similiter et peram: et qui non habet, vendat tunicam suam et emat gladium. Dico enim vobis, quoniam adhuc hoc quod scriptum est, oportet impleri in me: Et cum iniquis deputatus est. Etenim ea quae sunt de me finem habent. At illi dixerunt: Domine, ecce duo gladii hic. At ille dixit eis: Satis est».

19 ALCUINO DI YORK, Opera Omnia. Parigi, 1863, t. I, p. 426.

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Due spade, dunque: una rappresenta l’anima, la fede che ispira e guida i comportamenti; l’altra il corpo che ne esegue le indicazioni.

A metà del X secolo, circa centocinquant’anni dopo le epistole di Alcuino, un altro inglese si serve nuovamente dell’allegoria con fini non dissimili ma, sembra, con una connotazione politica più evidente. Rivolgendosi ai vescovi del regno riuniti a Canterbury, Edgardo il Pacifico (944-975), re d’Inghilterra dal 959 alla sua morte, aveva affermato: «Ego Constantini, vos Petri gladius habetis in manibus. Iungamus dexteras; gladium gladio copulemus et eiiciantur extra castra leprosi et purgetur Sanctuarium Domini20».

Edgardo parla espressamente del gladius Constantini, che pare rappresentare l’autorità regale, e del gladius Petri che invece identificherebbe quella episcopale. Pur permanendo l’utilizzo del simbolo al fine di identificare due differenti “funzioni” più che due distinti poteri, nel discorso del re inglese sembra però in qualche modo prefigurata l’immagine delle due spade simboleggianti giurisdizione temporale e potere spirituale21.

Fino al X secolo dunque —paiono confermarlo gli scritti di Alcuino ed Edgardo— non si registra alcuna propensione ad interpretare ierocraticamente il simbolo delle due spade. La “svolta teocratica” della teoria, che, come detto, è l’oggetto d’indagine principale di queste nostre considerazioni, affonda le sue radici nell’XI e si consolida nel corso del XII secolo, quando gli obiettivi della Riforma possono dirsi in gran parte raggiunti.

Una delle prime testimonianze di questo mutamento di prospettiva è offerto dagli scritti del cardinale francese Umberto di Silvacandida (†1061) considerato uno dei maggiori precursori e collaboratori della Riforma gregoriana22. Nel suo Adversus simoniacos libri tres, scritto fra il 1054 e il 105823, riprendendo la visione di Alcuino, ma con fini evidentemente differenti scrive: «Sacerdotium in praesenti ecclesia assimilari animae, regnum autem corpori (...). Ex quibus, sicut praeminet anima et praecipit, sic sacerdotalis dignitas regali, utputa coelestis terrestri24».

Nello scritto del cardinale francese, dunque, così come l’anima vanta signoria sul corpo, così la sacerdotalis precede la regalis dignitas e ne determina le azioni. È per tanto in difesa della Chiesa, continua Umberto richiamando la figura delle “due spade”, che i principi «gladium a Christi sacerdotibus

20 La citazione è tratta da LIBERATORE, M., La Chiesa e lo Stato. Napoli 1872, p. 88 che riporta parte del discorso pronunciato da re Edgardo.

21 Così BREZZI, P., in Società feudale e vita cittadina. Roma, 1972, p. 331.22 Cfr. VACCA, Prima sedes, p. 174.23 Cfr. BURNS, J. H., The Cambridge History of Medieval Political Thought. Cambridge,

1988, p. 318.24 La citazione dall’Adversus simoniacos è tratta da PALAZZINI, P.,“Il decreto del concilio

del laterano del 1059 sull’elezione del Papa”, in La preparazione della riforma gregoriana e del pontificato di Gregorio VII: Atti del IX convegno del Centro di studi avellaniti, Fonte Avellana, 1985, p. 114.

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accipiunt (...) ut pro aecclesiarum Dei defensione militent et, ubicunque opus est, pugnent25».

Analogo utilizzo del simbolo si registra in questi stessi anni, ma in un’area geografica differente —siamo in questo caso nel centro Italia— nell’opera del cardinale Pier Damiani (1007-1072), venerato come santo dalla Chiesa e «ben noto agli storici giuristi per la sua conoscenza del diritto romano e soprattutto per essere stato un pilastro della riforma gregoriana26». Damiani dimostra di conoscere perfettamente la figura: nel Sermone LXIX, intitolato In dedicatione Ecclesiae, passa in rassegna dodici sacramenti amministrati dalla Chiesa e fra questi, quinto nell’ordine, si sofferma sulla consacrazione dei sovrani che il camaldolese definisce inunctio regis. Nel brano è meticolosamente descritta la cerimonia di incoronazione e i suoi simboli. Poi, al termine, riferendosi al re che dal momento dell’unzione sarà timendus pariter amandus da tutti i sudditi, il cardinale scrive: «Felix autem si gladium regni cum gladio jungat sacerdotii, ut gladius sacerdotis mitiget gladium regis et gladius regis gladium acuat sacerdotis. Isti sunt duo gladii de quibus in Domini passione legitur27».

Il passo decisivo per lo sviluppo in senso teocratico della teoria delle “due spade” si compie, però, nei primi anni del XII secolo con l’intervento di Bernardo di Chiaravalle (1090-1153). Due scritti, osserva Pietro Zerbi28, sono da considerarsi particolarmente importanti in questo senso. Il primo è una lettera inviata dal cistercense a papa Eugenio III: per arginare lo stato di abbandono in cui versa la Terra santa in seguito al fallimento della seconda crociata, Bernardo, scrivendo al pontefice, auspica che venga nuovamente sguainato l’uterque gladius. Così scrive il monaco:

Exserendus est nunc uterque gladius in passione Domini, Christo denuo patiente, ubi et altera vice passus est. Per quem autem nisi per vos? Petri uterque est, alter suo nutu, alter sua manu, quoties necesse est evaginandus. Et quidem de quo minus videbatur, de ipso ad Petrum dictum est “Converte gladium tuum in vaginam”. Ergo suus erat et ille sed non sua manu utique educendus29.

25 Cfr. KÖLMEL, W., Regimen Christianum: Weg und Ergebnisse des Gewaltenverhaltnisses und des Gewaltenverstandnisses. Berlino, 1970, p. 198 da cui si è tratto il passo dell’Adversus simoniacos del cardinale Umberto.

26 CORTESE, Le grandi linee, p. 209.27 Pier DAMIANI, Opera omnia. Parigi, 1743, t. II, p. 900.28 ZERBI, “Riflessioni sul simbolo delle due spade”. Il saggio è da considerarsi uno

scritto fondamentale sull’argomento anche perché corredato da una ricca bibliografia. Sul tema cfr. anche PAGANONI, Il simbolo delle due spade e DI BELLO, A.,“Rapporti tra potere religioso e potere secolare nell’operato e negli scritti di Bernardo di Clairvaux negli anni dal 1128 al 1138” in Rivista cistercense. N° 11, 1994, pp. 89-136.

29 La citazione è tratta da ZERBI, “Riflessioni sul simbolo delle due spade”, p. 390.

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Si nota immediatamente come nel passo, pur evidentemente ispirato al più volte citato brano di Luca —in cui, come si è detto, si parla delle due spade offerte a Cristo dai discepoli— venga introdotto un ulteriore richiamo scritturistico, questa volta al Vangelo di Giovanni e precisamente al passo in cui Cristo, con le parole «Converte gladium tuum in vaginam», ordina a Pietro di rinfoderare la spada che l’apostolo aveva sguainato in difesa di Gesù. Secondo Bernardo l’intimazione rivolta a Pietro da un lato indica l’attribuzione della titolarità della spada secolare al principe degli apostoli, dall’altro proibisce a questi di usarne direttamente30.

Si tratta di un fatto di non secondario interesse perché, come scrive il citato Zerbi, proprio nell’accostamento dei due differenti brani evangelici consiste la sostanziale novità recata da san Bernardo nello svolgimento del tema: il richiamo al Vangelo di Giovanni consente al cistercense di sottolineare come a Pietro, e dunque al pontefice «appartengono ambedue i gladii, anche quello temporale, per quanto egli non ne debba fare uso31».

Il secondo brano —e in questo caso tanto il Vangelo di Giovanni quanto quello di Luca sono espressamente richiamati— è un celebre passo del Tractatus de Consideratione, opera in cinque libri dedicata ad Eugenio III e scritta da Bernardo su espressa richiesta del pontefice32. In questo scritto il concetto, che è nuovamente enunciato, trova uno sviluppo maggiore.

(...) Quem tamen qui tuum negat, non satis mihi videtur attendere verbum Domini dicentis sic. “Converte gladium tuum in vaginam”. Tuus ergo et ipse, tuo fortisan nutu, etsi non tua manu evaginandus. Alioquin si nullo modo ad te pertineret et is, dicentibus apostolis: “Ecce duo gladii hic”, non respondisset Dominus: “Satis est”, sed “Nimis est”. Uterque ergo Ecclesiae et spiritalis scilicet gladius et materialis; sedis quidem pro Ecclesia, ille vero et ab Ecclesia exserendus. Ille sacerdotis, is militis manu, sed sane ad nutum sacerdotis, et iussum imperatoris33.

Ancora più chiaramente nel passo del De Consideratione si osserva come, per San Bernardo, la Chiesa sia l’unica titolare del gladio materiale.

30 Cfr. Gv 18,7-11: «Iterum ergo interrogavit eos: Quem quaeritis? Illi autem dixerunt: Iesum Nazarenum. Respondit Iesus: Dixi vobis, quia ego sum: si ergo me quaeritis, sinite hos abire. Ut impleretur sermo, quem dixit: Quia quos dedisti mihi, non perdidi ex eis quemquam. Simon ergo Petrus habens gladium eduxit eum: et percussit pontificis servum, et abscidit auriculam ejus dexteram. Erat autem nomen servo Malchus. Dixit ergo Iesus Petro: Mitte gladium tuum in vaginam».

31 ZERBI, “Riflessioni sul simbolo delle due spade in San Bernardo”, p. 391.32 ZERBI,“Introduzione al De Consideratione di san Bernardo” in GASTADELLI, F. (cur.),

Opere di san Bernardo. Milano, 1984, p. 727.33 Bernardo DI CHIARAVALLE, b., De Consideratione libri V ad Eugenium III. Landshut,

1845, L. IV, c. III, p. 74.

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Essendogliene però inibito l’uso diretto per espressa statuizione divina, essa ne delega l’esercizio «ai principi e all’imperatore soprattutto, e questi lo vibrano ad nutum sacerdotum34».

Per quanto la posizione di Bernardo non possa essere definita propriamente teocratica —nei suoi scritti è «nettissimo il divieto al pontefice di occuparsi delle cose del mondo35»— tuttavia essa, forte delle conquiste ottenute dalla Chiesa nel corso della Riforma e con l’accostamento del passo giovanneo a quello lucano, fornisce la piattaforma scritturistica imprescindibile su cui si innesterà la letteratura teocratica successiva che utilizzerà l’allegoria delle due spade.

L’influenza della costruzione di Bernardo emerge in maniera netta se si considerano gli scritti di Alano Anglico, una delle prime e più autorevoli voci della nascente dottrina teocratica in seno alla canonistica del Duecento36. Assai affascinato dall’azione di papa Innocenzo III, l’inglese, maestro nello studium di Bologna, aveva curato la redazione di una compilazione di decretali, aveva glossato la I Compiatio antiqua ed aveva composto due diversi apparati di glosse al Decretum di Graziano37.

Proprio il raffronto fra questi due apparati consente di osservare come fosse mutato nel tempo l’approccio di Alano rispetto al problema del rapporto fra giurisdizione papale e imperiale. Ha osservato Domenico Maffei come «se nella prima redazione composta attorno al 1192 il canonista inglese avrebbe ispirato la sua visione ad uno schietto dualismo (...), nella seconda redazione, elaborata

34 STICKLER, “Sacerdozio e Regno”, p. 10. Questa circostanza si manifesta concretamente nel corso della cerimonia di incoronazione imperiale allorquando “il papa consegna una spada chiusa nel fodero all’imperatore e questi la sguaina per dichiarare che egli ha ricevuto l’esercizio del potere temporale dal papa: tale potere, da potenziale che era per volontà di Dio presso la Chiesa, con questo passaggio diviene attuale”. Cfr. BUCCI, A.,“La potestas directa et indirecta in temporalibus nella dottrina del Cardinale Ostiense”, in Cajetele Institutului Catolic. N° 1-2, 2011, p. 59.

35 ZERBI, “Riflessioni sul simbolo delle due spade”, p. 406.36 Così CORTESE, E., Il diritto nella storia medievale. Roma, 1995, v. II (Basso Medioevo),

p. 217: «Il processo (di elaborazione delle dottrine teocratiche) avveniva nella cornice di un ordinamento canonico in fermento perché lo si doveva adeguare al rinnovato status Ecclesiae e in particolare alla nuova potestas pontificia audacemente allargata al campo temporale, il cui disegno aveva sì tratto ispirazione già dalla riforma gregoriana, ma che la dottrina canonistica veniva solo allora recependo. Era un disegno non facile: l’ostacolo più forte alle innovazioni era costituito dalla gloriosa tradizione del dualismo gelasiano, riprodotto nel Decreto e quindi fedelmente professato, per tutto il secolo XII, dalla decretistica. (...) Alano anglico —redattore egli stesso di una raccolta di decretali e glossatore della prima Compilatio antiqua— fu, tra le voci iniziali, forse la più autorevole e la più chiara: la società cristiana essendo unica doveva esserle riconosciuto un solo capo, appunto il papa» titolare, dunque, di ogni giurisdizione.

37 Cfr. MOCHI ONORY, S., Fonti canonistiche dell’idea moderna dello Stato. Milano, 1951, p. 50.

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attorno al 1202 (...) egli si sarebbe fatto portatore di principi decisamente ierocratici38».

Coerente con questa ricostruzione è il contenuto di una nota glossa che Alano appose ad una decretale di Alessandro III e che scrisse presumibilmente nel 120839. L’epistola, inserita nella Compilatio I e poi accolta nel Liber Extra, verte su questioni relative alla possibilità di appello alla Sede apostolica40.Riportiamo alcuni passi della glossa che risulta particolarmente interessante nella ricostruzione di quel filone interpretativo ierocratico del simbolo delle due spade:

(...) Verumtamen papa imperatori non subest nec quoad spiritualia nec quoad temporalia. (...) Verius est quod gladium habeat a papa. Est enim corpus unum Ecclesiae ergo unum solum caput habere debet. Item Dominus utroque gladio usus est (...). Sed Petrum vicarium suum in terris in solidum constituit, ergo utrum gladium ei reliquit. Item, si Dominus materialem gladium habuit, dicas, quem principem sibi vicarium in hoc constituit. (...) Item ipse Petrus dixit Domino: Ecce duo gladii sunt hic; ergo illi gladii apud Petrum tunc fuerunt. (...). Propter hoc dicatur quod gladium materialem habet a papa41.

Ciò che emerge con una certa evidenza è come nella glossa, quella novità peculiare della riflessione di Bernardo messa in luce da Zerbi, cioè l’accostamento del passo lucano descrittivo dell’esistenza di due differenti gladii con quello giovanneo che vàlida la titolarità del pontefice del gladio materiale, è accolto da Alano pur in assenza di una espressa citazione. L’inglese, infatti, osserva come le due spade, originariamente nella disponibilità di Cristo, siano state attribuite entrambe a Pietro, costituito vicarium in solidum. Per tanto, conclude Alano, solo a Pietro —e ai pontefici suoi successori— può competere di attribuire il gladio materiale all’imperatore il cui ruolo, in tal modo, viene ad essere configurato quasi come quello di un mero esecutore.

Molto chiara, secondo Cortese, la sostanza del messaggio di Alano. Una è la società cristiana che potrà, per tanto, avere «un solo capo, appunto il

38 Cfr. MAFFEI, D., La Donazione di Costantino nei giuristi medievali. Milano, 1964, pp. 43-44 che sull’argomento cita, a sua volta, STICKLER, A. M.,“Alanus Anglicus als Verteidiger des monarchischen Papsttums” in Salesianum. N° 21, 1959, pp. 371 ss.

39 Cfr. CORTESE, Le grandi linee, p. 342 che cita alcuni lavori in cui si tratta della glossa del canonista inglese fra cui: Von SCHULTE, J. F., Literaturgeschichte der Compilationes antiquae. Sitzungsberichte der kaiserlichen Akademie der Wissenschalten, n° 66, 1870, pp. 89 ss. e ULLMANN, W., Medieval Papalism: The Political Theories of the Medieval Canonists. Londra, 1949, pp. 148-151.

40 La decretale era stata inserita nella I Compilatio antiqua in Comp. I 2. 20. 7, che, come si è detto, Alano aveva glossato, ed era stata poi accolta nel Liber Extra in X 2. 27. 7. Cfr. CALASSO F., I glossatori e la teoria della sovranità. Milano, 1951, p. 68.

41 Ibidem.

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papa; al papa, infatti, Cristo ha consegnato per il tramite di Pietro entrambi i gladi, e dal papa imperatori e re ricevono, per delega, quello temporale42». Nel prosieguo del XIII secolo il filone teocratico che si serve del simbolo delle due spade si arricchisce di molte autorevoli voci. Fonte di particolare interesse è lo Speculum iudiciale di Guglielmo Durante in cui l’autore scrive: «Ipse (papa) habet utrumque gladium scilicect temporalem et spiritualem ex commissione Dei». Durante inserisce alcune citazioni di fonti giuridiche, poi continua: «Ipse (papa) est successor Petri et vicarius Christi (...) unde omnia regit et disponit et iudicat43». Così come teorizzato da Bernardo, dunque, il papa è titolare di entrambi i gladii e, in quanto vicario del Salvatore, esercita in terra il suo potere universale.

A conclusioni analoghe a quelle tracciate dal doctor speculator giunge Raimondo di Peñafort, l’esecutore del progetto compilativo di Gregorio IX che scrive nella sua Summa de iure canonico: “papa habet a Domino utrumque gladium”: il pontefice, tuttavia, deve commettere ad altri l’esecuzione della spada materiale44.

Ugualmente Giovanni Teutonico, il curatore della Glossa ordinaria al Decretum di Graziano, il quale scrive che entrambe le spade appartengono al pontefice e che, quindi, «imperator habet illum (temporalem gladium) a papa45».

Anche papa Gregorio IX sembra aderire a questa visione. In un’epistola indirizzata al patriarca di Costantinopoli nel 1232 scrive: «(...) Nunc igitur (...) quod utrumque gladium ad Romanum pertinere Pontificem ex evangelica lectione tenemus46». Il pontefice non cita espressamente i brani di Luca e Giovanni, ma, richiamando l’insegnamento del Vangelo, evidentemente si ispira alla lettura che di quei due passi aveva dato Bernardo.

Stessa posizione assume Innocenzo IV nell’epistola Eger cui lenia, anch’essa da considerarsi un testo fondamentale del pensiero ierocratico medievale47. Dopo aver ripreso le argomentazioni classiche formulate nel De Consideratione di Bernardo, il pontefice scrive: «Huius siquidem materialis

42 CORTESE, Le grandi linee, p. 342.43 Cfr. DURANTE, Guglielmo, Speculum iuris. Venezia, 1602, parte prima, p. 51.44 Cfr. PILATI, Chiesa e Stato, p. 254, da cui si è tratta la citazione.45 GIOVANNI TEUTONICO, Gl. ad C. 33, q. 2, c. 6.46 Cfr. CHERUBINI, L. - CHERUBINI, a. M. (cur.), Magnum bullarium romanum a beato

Leone Magno usque ad Benedictum XIV. Lussemburgo, 1742, t. I, p. 82.47 Papa Innocenzo IV scrisse l’epistola per ribattere alle rimostranze mosse da Federico II di

Svevia subito dopo la sua deposizione avvenuta nel 1245. Lo scritto del pontefice raccoglie molti degli argomenti caratteristici del pensiero teocratico medievale e ne rappresenta una delle più spinte rappresentazioni: in esso, senza che venga contemplata alcuna eccezione, la sovranità dei pontefici, definita monarchatum, è configurata come «totale e illimitata». Cfr. DELLE DONNE, F.,“Il papa e l’anticristo: poteri universali e attese escatologiche all’epoca di Innocenzo IV e Federico II”, in Archivio Normanno-Svevo: Testi e studi sul mondo euromediterraneo dei secoli XI-XIII. N° 4, 2013-2014, pp. 22-23.

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potestas gladii apud ecclesiam est implicata, sed per imperatorem, qui eam inde recipit, explicatur48».

Interessante la tesi esposta da Enrico da Susa nella Summa aurea delle Decretali di Gregorio IX in cui l’interpretazione bernardiana pare recepita pienamente. A commento del titolo Qui filii sunt legitimi, nel IV Libro, il cardinale Ostiense afferma la separazione delle giurisdizioni arrivando a sostenere l’illegittimità delle ingerenze del pontefice nella sfera temporale. Ciò non toglie, però, che l’imperatore riceva il gladio temporale dalla Chiesa e che, dunque, ne sia una sorta di esecutore: «(Imperator) coronam recipit a Papa et gladium ab altari (...) executionem tamen gladii temporalis accepit ab ecclesia, quare Papa maior est: et utroque gladio utipotest49».

In questo percorso tra gli scritti nei quali si ricorre alla figura delle “due spade” per fondare i diritti della Chiesa di esercitare un controllo diretto sulle istituzioni politiche, una menzione particolare si deve alla Bolla Unam sanctam promulgata da papa Bonifacio VIII nell’autunno del 130250. Siamo, dunque, agli inizi del XIV secolo e, relativamente alla recezione della figura, il documento, generalmente considerato uno dei testi più significativi della letteratura teocratica del Medioevo, da un lato si riallaccia alle posizioni di cui si è parlato e, soprattutto, ancora una volta, a quell’opera che abbiamo definito fondamentale per la formulazione della teoria che è il De Consideratione di san Bernardo; dall’altro si attesta come una delle maggiori fonti di ispirazione per alcuni autori successivi che, come diremo, si rifaranno alla Bolla per fondare costruzioni teocratiche, anche più avanzate.

Prima di osservare nel dettaglio in che modo il simbolo delle due spade venga utilizzato nella Bolla al fine di fondare la potestas directa dei pontefici, può essere utile sottolineare quanto, in un articolo di alcuni anni fa, Emanuele Conte ha evidenziato rispetto alla natura del provvedimento. Come, cioè, la bolla di papa Caetani, che non verrà inserita nelle Constitutiones Clementinae per ragioni agevolmente intuibili51 e che, invece, entrerà a far parte del Corpus

48 INNOCENZO IV, “Eger cui lenia”, in WINKELMANN, E., Acta imperii inedita saeculi XIII et XIV. Innsbruk, 1885, v. II, pp. 696-701.

49 Cfr Enrico DA SUSA, Aurea summa. Colonia, 1612, p. 1229.50 Per quanto riguarda la bibliografia si citano alcuni dei contributi maggiormente significativi

rispetto al tema da noi trattato: ULLMANN, W., “Die Bulle Unamsanctam: Rückblick und Ausblick”, in Römische historische Mitteilungen. N° 16, 1974, pp. 45-77; CONTE, E., “La bolla Unam Sanctam e i fondamenti del potere papale fra diritto e teologia”, in Melange de l’École française de Rome. N° 113, 2001, pp. 663-684; BERTELLONI C. F.,“Sobre las fuentes de la Bula Unam Sanctam y el De Ecclesiastica potestate de Egidio Romano”, in Pensiero politico medievale. N° 71, 2004, pp. 177-200; MINNUCCI, G., “La Unam Sanctam fra ecclesiologia e diritto”, in I poteri universali e la fondazione dello studium Urbis. Roma, 2007, pp. 89-106.

51 Gli assunti della Unam Sanctam non dovevano certo essere graditi alla Corte francese che, al momento della promulgazione delle Clementinae, esercitava una influenza diretta sul papato che aveva fissato la sua Sede ad Avignone.

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iuris canonici soltanto con la compilazione delle Extravagantes communes52, presenti una struttura piuttosto particolare. Ed infatti, nonostante la riconosciuta competenza giuridica del suo autore -artefice, tra le altre cose, di una nuova collezione di decretali53— e nonostante sul piano strettamente formale non se ne possa in alcun modo disconoscere la natura normativa, mancano alcuni di quegli elementi tipici delle norme giuridiche —per esempio la previsione della sanzione— così che la bolla si presenta più che altro come un manifesto ideologico-politico54.

Questa circostanza trova conferma anche se ci si sofferma sulle modalità di recezione del simbolo delle “due spade”. E infatti, sebbene Bonifacio potesse attingere ad una vasta letteratura giuridica che aveva introdotto la metafora dei duo gladii nella propria riflessione, la bolla non contiene richiami diretti a fonti normative o di dottrina strettamente giuridica. Ad ispirare in maniera quasi esclusiva la redazione della Unam Sanctam, pare la costruzione di Bernardo di Chiaravalle e l’interpretazione che di quella costruzione darà Egidio Romano55. Questo il brano della bolla in cui è esposta la metafora:

In hac eiusque potestate duos esse gladios, spiritualem videlicet et temporalem, evangelicis dictis instruimur. Nam dicentibus Apostolis: “Ecce gladii duo hic”, in ecclesia scilicet, cum apostoli loquerentur, non respondit Dominus nimis esse, sed satis. Certe qui in potestate Petri temporalem gladium esse negat, male verbum attendit Domini proferentis: “Converte gladium tuum in vaginam.” Uterque ergo est in potestate ecclesiae, spiritualis scilicet gladius et materialis. Sedis quidem pro ecclesia, ille vero ab ecclesia exercendus, ille sacerdotis, is manu regum et militum, sed ad nutum et patientiam sacerdotis56.

E questo, sembra utile riproporlo, il brano tratto dal De Consideratione di Bernardo di Chiaravalle:

(...) Quem tamen qui tuum negat, non satis mihi videtur attendere verbum Domini dicentis sic. “Converte gladium tuum in vaginam”. Tuus ergo et ipse, tuo fortisan nutu, etsi non tua manu evaginandus. Alioquin si nullo modo ad te pertineret et is, dicentibus apostolis: “Ecce duo gladii hic”, non respondisset Dominus: “Satis est”, sed “Nimis est”. Uterque ergo Ecclesiae et spiritalis scilicet gladius et materialis; sedis quidem pro Ecclesia, ille vero et ab Ecclesia

52 Cfr. X Com. 1. 8. 1.53 Si tratta del Liber Sextus decretalium Bonifacii papae VIII, promulgato nel 1298.54 CONTE, “La bolla Unam Sanctam”, p. 665.55 Id., “La bolla Unam Sanctam e i fondamenti del potere papale”, pp. 663-684 che individua,

fra le cause della poco incisiva giuridicità della norma, l’influenza che sulla stesura ebbe il teologo e filosofo Egidio Romano. Da questo punto di vista, continua Conte, la Bolla costituisce il tentativo di Bonifacio di dare una patente di giuridicità alle teorie egidiane. Sul punto cfr. p. 672.

56 X Com.1. 8. 1.

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exserendus. Ille sacerdotis, is militis manu, sed sane ad nutum sacerdotis, et iussum imperatoris57.

Del tutto evidente pare l’influenza dello scritto di San Bernardo: non soltanto per le fonti citate —Lc 22,38 e Gv 18,11— che sono le medesime, ma anche per la coerenza delle argomentazioni e la ripresa letterale di alcuni brani58.

Agli inizi del XIV secolo - la bolla Unam Sanctam lo testimonia piuttosto efficacemente —l’idea della titolarità da parte del pontefice di entrambi i gladii è piuttosto diffusa e condivisa. Ciò che distingue le diverse posizioni in campo è essenzialmente il riconoscimento della possibilità, per il pontefice, di usare direttamente del gladio materiale. Registriamo da un lato posizioni più moderate, che si limitano ad un riconoscimento della titolarità, ma negano - più o meno espressamente— al vescovo di Roma l’esercizio della spada temporale.Fra queste, a titolo esemplificativo, citiamo quella di Bartolo da Sassoferrato, forse il più rappresentativo giurista dell’età del diritto comune.

Nel suo commento alla costituzione Ad reprimendum dell’imperatore Enrico VII di Lussemburgo, licenziato nel 1355, Bartolo accoglie il simbolo delle due spade per riconoscere al pontefice la titolarità di entrambi i gladii. In maniera piuttosto lapidaria egli scrive: «apud Christi vicarium est uterque gladius, scilicet spiritualis et temporalis59».

Può apparire stridente che lo stesso giurista il quale in molte occasioni aveva sostenuto l’universalità del potere imperiale su ogni creatura60 affermando che gli stessi nemici dell’impero dovevano osservarne le leggi perchè l’imperatore è signore di tutti i popoli61; lo stesso giurista il quale aveva teorizzato l’universalità della monarchia imperiale non inficiata dalla pur legittima esistenza di dominia particularia62; che aveva definito eretici tutti coloro che avessero contestato la signoria universale dell’imperatore63, giungesse ad affermare ora una subordinazione di questi al pontefice.

57 Bernardo di CHIARAVALLE, De Consideratione, p. 74.58 Cfr. sul punto “Del diritto della Chiesa all’assistenza per parte della potestà civile”, in

La Civiltà cattolica. N°13, 1886, p. 400, in cui vengono messi in evidenza i richiami testuali dell’opera di San Bernardo nella bolla di papa Caetani e PARAVICINI BAGLIANI, A., Bonifacio VIII. Torino, 2003, p. 307 secondo cui, appunto, la metafora delle due spade accolta nell’Unam sanctam «segue la formulazione classica di Bernardo di Chiaravalle»..

59 Bartolo DA SASSOFERRATO, Consilia, quaestiones et tractatus. Venezia, 1590, t. X, c. 95r.60 Bartolo DA SASSOFERRATO, Super Institutionibus iuris civilis commentaria. Lione,

1559, p. 11: «(...) Imperator antonomasice omni creaturae universaliter imperare potest, quia totius mundi dominus est, et domini est imperare»..

61 Cfr. Ivi, p. 122: «(...) Quia imperator potest dare legem hostibus, si vellet, quia dominus totius mundi est»..

62 Cfr. Id, In primam Digesti veteris partem. Venezia, 1585, p. 553: «Ego dico quod imperator est dominus totius mundi vere. Nec obstat quod aliis sunt domini particulariter, quia mundus est universitas quaedam; unde potest quis habere dictam universitatem, licet singulae res non sint suae».

63 Cfr. Id, In secundam Digesti novi partem. Venezia 1585, p. 553: «Et forte si quis diceret dominum imperatorem non esse dominum et monarcham totius orbis esset hereticus, quia diceret

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E invece, come conferma un recente contributo di Berardo Pio, negli scritti di Bartolo non è affatto infrequente rinvenire affermazioni di subordinazione del potere imperiale a quello pontificio64. Il commento alla costituzione Ad reprimendum, sembra collocarsi in questo filone degli scritti bartoliani.

Di questa opinione Orazio Condorelli secondo cui, mediante il modello offerto dalla profezia di Daniele, adattato alla teoria della translatio imperii codificata nella decretale Venerabilem di Innocenzo III, nel commento alla costituzione Ad reprimendum, Bartolo teorizza l’esistenza di un impero universale traslato da Dio attraverso cinque regni ed in fine attribuito ai pontefici cui il grande giurista riconosce, quindi, la titolarità di entrambi i gladii65.

Per altro, nel caso del commento alla costituzione Ad reprimendum, ad influenzare Bartolo non ci sarebbero solo ragioni di reverenza nei confronti della Chiesa, ma anche gli stessi motivi che avevano ispirato all’imperatore la promulgazione della costituzione e che Bartolo fa suoi. Con l’intenzione di rafforzare la posizione imperiale nei confronti dei suoi avversari in Italia —quando Enrico VII promulga la costituzione è acutissimo, ad esempio, lo scontro con Roberto d’Angiò re di Napoli66— Bartolo si fa sostenitore di tesi tipicamente curialiste che, se da un lato, in qualche modo, sottopongono l’imperatore all’autorità pontificia, dall’altra, in quanto “vicario del vicario” di Cristo, lo elevano dinanzi ad ogni altra potestà67 per cui il gladio imperiale ricevuto dal pontefice vicario di Cristo diviene arma legittima da usare contro qualunque altro potentato.

Accanto a posizioni come quella di Bartolo, che abbiamo definito “moderate”, ve ne sono di più avanzate. Si tratta di posizioni che si inseriscono in quel filone che è stato oggetto principale della nostra indagine; quel filone, cioè, originatosi nell’XI e nel XII secolo e caratterizzato da una recezione della teoria delle due spade in senso fortemente teocratico.

contra determinationem ecclesie et contra textum sancti evangeli».64 Cfr. PIO, B. “Il pensiero politico di Bartolo”, in Bartolo da Sassoferrato nel VII centenario

della nascita: diritto, politica, società. Spoleto 2014, p. 177: «Bartolo cerca di circoscrivere gli ambiti del potere spirituale e di quello temporale escludendo, in circostanze normali, ogni possibilità di sovrapposizione fra le due autorità. Al tempo stesso però pone l’Impero in un rapporto di subordinazione rispetto al Papato e le simpatie per l’universalismo imperiale sembrano cedere il passo a considerazioni vagamente ierocratiche che emergono dalla riflessione sul Constitutum Constantini, dal ruolo attribuito al papa durante i periodi di vacanza imperiale, dall’importanza riconosciuta al diritto canonico, tutte questioni nelle quali si ha l’impressione di una concezione del potere imperiale subordinato all’autorità pontificia e incentrato sulla figura di un imperatore fedele alla Chiesa».

65 Cfr. CONDORELLI, O.,“Bartolo e il diritto canonico” in ivi, pp. 475-476: «Il discorso bartoliano si snoda lungo il modello biblico offerto dalla profezia di Daniele (...) e trova nelle fonti del ius decretalium, in particolare nella teoria della translatio imperii a Grecis in Germanos, un autorevole sostegno alla teoria che il potere imperiale risiede principaliter nel vicario di Cristo».

66 PENNINGTON, K., The prince and the law, 1200-1600: sovereignty and rights in the Western legal tradition. California, 1993, pp. 165-201.

67 Ivi, pp. 197-198.

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Ancora a titolo esemplificativo, come testimonianza di questa linea, citiamo il trattato assai poco conosciuto e finora inedito intitolato De Monarchia mundi ecclesiastica et temporali di Iacopo da Teramo68. Il trattato, attualmente allo studio da parte di chi scrive, si presenta, per argomentazioni utilizzate e soluzioni proposte, come avanzatissimo nel proporre la legittimità della monarchia universale dei pontefici. Rispetto alla metafora dei duo gladii, nell’introdurre l’esposizione del simbolo, Iacopo individua implicitamente i destinatari del suo discorso. Scrive il giurista:

Sunt autem aliqui qui de plano confitentur Christum tamspiritualitatis quam temporalitatis habuisse monarchiam; sed tamen dicunt quod spiritualem Petro dimisit, temporalem vero cesari reliquit, exercendas auctoritate scripture se fulcientes et dicentes, Luce XXII: Domine, ecce duo gladii sunt hic; quorum unum educens Petrus meruit redargui a Christo sibi dicente: Mitte gladium tuum in vaginam etc. Volentes sepedicti ex hiis concludere Christum cesari gladii potestatem reliquisse69.

L’intento dell’autore è quello di ribattere a chi si serve del simbolo delle due spade per fondare tesi di stretta separazione dei poteri, dunque a coloro i quali ritengono che Cristo abbia lasciato al pontefice il gladio spirituale; all’imperatore quello materiale. Chi affermi una visione di questo tipo, continua Iacopo, non ha ben inteso la Scrittura che riporta l’intimazione, rivolta da Cristo a Pietro, di rinfoderare la spada:

Ecce duo gladii sunt hic, idest due potestates contrarie, sicut hic in mundo una cesaris et altera Christi, quasi velit dicere Petrus: Domine, si percucimus in gladio tuo contra cesaris gladium. Et Christus dixit sibi: Pro nunc non, sed mitte gladium in vagina; tamen sibi non dixit depone vaginam cum gladio, sed mitte, dans Petro potestatem evagynandi gladium; et iterum ponendi in vaginam pro iusticia exercenda de potestate evaginandi dicit Christus Petro70.

68 Iacopo da Teramo (1349-1417) è noto per l’ordoi udiciarius, articolato sul modello dei così detti “processi simulati”, intitolato Liber Belial de consolatione peccatorum, licenziato ad Aversa dal suo autore nel 1382 e pubblicato ripetutamente in tutta Europa fra XV e XVI secolo. Oltre al conosciutissimo Belial, Iacopo scrisse anche un trattato sulla monarchia dei pontefici licenziato a Lucca nel 1387 e fino ad ora rimasto inedito dal titolo De monarchia mundi ecclesiastica et temporali necnon sacerdocio et prophecia. Su Iacopo da Teramo e la sua opera cfr. da ultimo MASTROBERTI, F. - VINCI, S. - PEPE, M., Il Liber Belial e il processo romano-canonico in Europa fra XV e XVI secolo. Bari, 2012.

69 IACOPO DA TERAMO, I., De Monarchia mundi ecclesiastica et temporali necnon sacerdocio et prophecia. Roma, 1393, coll. Praga, Biblioteca Nazionale, Cod. 2811, c. 8r.

70 Ibidem.

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E dunque, se Cristo avesse voluto sottrarre la potestà temporale a Pietro non gli avrebbe chiesto di rimettere la spada nel fodero; piuttosto gli avrebbe ordinato di deporre sia l’arma sia il suo involucro. Che senso ha, allora, l’intimazione? Quale è il suo esatto significato? Iacopo lo chiarisce nel brano immediatamente successivo:

Et propterea si Christus dixit Petro: mitte gladium in vagina, idest nunc non iuste agis, Petre, in eum gladium educendo contra cesaris gladium; quia calicem que dedit michi Pater tu non vis ut bibam illum; idest quia si non bibam calicem mee passionis, iustum gladium contra cesarem non habebis, quo calice potato, mea erit in celo et in terra omnis potestas et, per consequens et tua. Ideo nunc mitte gladium in vaginam; postea vero eum evaginabis contra dictum cesarem, prout, iustum fuerit71.

Nell’ultimo passaggio di questo trattato del tardo Trecento, l’interpretazione della teoria delle due spade si spinge fino alle estreme conseguenze, superando persino la tesi della Unam Sanctam. Lì l’ordine di rinfoderare la spada era interpretato come il riconoscimento al pontefice successore di Pietro della titolarità del gladio, ma non anche della possibilità di un suo uso diretto. Nel De Monarchia mundi, invece, il pontefice è titolare della spada materiale e può usarne direttamente. Il divieto di cui si legge nel Vangelo di Giovanni è solo un fatto temporaneo e vale fino a che Cristo non sarà risorto. In quel momento egli coniugherà in sè entrambe le potestà e potrà trasmetterle al pontefice suo vicario il quale potrà usarne secondo la propria discrezione, anche contro lo stesso imperatore.

Con la citazione del De Monarchia mundi concludiamo il nostro percorso. Ciò che si è tentato di fare è stato di dar conto succintamente dello sviluppo di una delle più fortunate metafore politiche dei secoli medievali e, soprattutto, di individuare i momenti, le opere, gli snodi attraverso cui la teoria, elaborata sulla base di due passi della Scrittura senza alcuna intenzione teocratica, sia giunta, alla fine del XIV secolo, ad esiti tali da giustificare il più ampio potere di controllo politico da parte del potere religioso.

71 Ibidem.