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La politica scolastica dell’Azione cattolica. 1923-1931 di Angelo Gaudio L’inizio del pontificato di Pio XI1 è carat- terizzato dalla rinnovata affermazione del- la dottrina sociale cattolica nei termini del- la utopia teocratica della “Regalità di Cristo”2. La traduzione operativa di un simile am- bizioso disegno richiedeva una più efficace organizzazione del movimento cattolico. Questo era particolarmente vero in un set- tore come quello scolastico3, in cui il rag- giungimento dell’obiettivo di una rinnovata egemonia cattolica non poteva non richie- dere sia un perfetto coordinamento di tutte le forze cattoliche, sia un rinnovato rappor- to di collaborazione con lo Stato che si pre- sentava più che mai come un soggetto da influenzare e, in prospettiva, conquistare piuttosto che un nemico da combattere aprioristicamente. Muovendo da tali esigen- ze e sotto la spinta del radicale mutamento intervenuto nella situazione politica italiana con l’avvento al potere di Mussolini, avve- nimento in cui l’atteggiamento dei cattolici in genere e della Santa Sede in particolare è sicuramente un fattore non marginale, si realizza la ristrutturazione del laicato catto- lico “militante” in una unica e centralizzata organizzazione, l’Azione cattolica italiana, che sostituisce la precedente Unione popo- lare (l’Unione economico-sociale e quella Elettorale erano state sciolte nel 1919 alla vigilia della fondazione del Ppi) e raggrup- pa al suo interno i tradizionali “rami” (Uo- mini, Donne, Gioventù maschile, Gioventù femminile) nonché tutte le organizzazioni laicali a carattere sportivo, scoutistico, coo- perativistico, bancario ecc. Nell’ambito di tale rinnovata centralizza- zione era quindi logico che anche nel setto- re della politica scolastica, tradizionale Si ringrazia l’Istituto per la storia dell’azione cattolica e del movimento cattolico in Italia “Paolo VI” per aver per- messo la consultazione della sua emeroteca rendendo così possibile la stesura di questo saggio. L’autore si rende con- to del carattere parziale di un contributo basato quasi esclusivamente su fonti a stampa prevalentemente interne e si augura di poter tornare sull’argomento servendosi anche dei documenti conservati nell’Archivio storico dell’Azione cattolica italiana. 1 Manca tuttora un’opera complessiva di riferimento sulla figura e l’operato di Pio XI. Per un primo orientamento si veda Antonio Rimoldi, Pio XI, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, diretto da F. Traniello e G. Campanini, Torino, Marietti, 1981-84 (d’ora in poi DSMCI), vol. II, pp. 495-502 e la bibliografia ivi citata. 2 Da vedere anzitutto l’enciclica Ubi arcano dei. in “Acta Apostolicae Sanctae Sedis” (d’ora in poi AAS), 1922, pp. 673-700. Tr. it. AAS, 1923, pp. 5-26. Sulla problematica più generale cfr. Severino Dianich, L ’ecclesiologia in Italia dal Vaticano la ! Vaticano II, in DSMCI, vol. I, t. 1, pp. 162-180, soprattutto pp. 170-171, L ’ecclesiologia della rega- lità di Cristo. 3 P. L. Weinacht, Sistema scolastico, educazione ed inserimento, in Storia della Chiesa, diretta da Hubert Jedin, Milano, 1980, vol. X /l ,L a Chiesa nel ventesimo secolo, 1914-1975, pp. 321. “Italia contemporanea”, giugno 1985, n. 159.

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La politica scolastica dell’Azione cattolica. 1923-1931di Angelo Gaudio

L’inizio del pontificato di Pio XI1 è carat­terizzato dalla rinnovata affermazione del­la dottrina sociale cattolica nei termini del­la utopia teocratica della “Regalità di Cristo”2.

La traduzione operativa di un simile am­bizioso disegno richiedeva una più efficace organizzazione del movimento cattolico. Questo era particolarmente vero in un set­tore come quello scolastico3, in cui il rag­giungimento dell’obiettivo di una rinnovata egemonia cattolica non poteva non richie­dere sia un perfetto coordinamento di tutte le forze cattoliche, sia un rinnovato rappor­to di collaborazione con lo Stato che si pre­sentava più che mai come un soggetto da influenzare e, in prospettiva, conquistare piuttosto che un nemico da combattere aprioristicamente. Muovendo da tali esigen­ze e sotto la spinta del radicale mutamento

intervenuto nella situazione politica italiana con l’avvento al potere di Mussolini, avve­nimento in cui l’atteggiamento dei cattolici in genere e della Santa Sede in particolare è sicuramente un fattore non marginale, si realizza la ristrutturazione del laicato catto­lico “militante” in una unica e centralizzata organizzazione, l’Azione cattolica italiana, che sostituisce la precedente Unione popo­lare (l’Unione economico-sociale e quella Elettorale erano state sciolte nel 1919 alla vigilia della fondazione del Ppi) e raggrup­pa al suo interno i tradizionali “rami” (Uo­mini, Donne, Gioventù maschile, Gioventù femminile) nonché tutte le organizzazioni laicali a carattere sportivo, scoutistico, coo­perativistico, bancario ecc.

Nell’ambito di tale rinnovata centralizza­zione era quindi logico che anche nel setto­re della politica scolastica, tradizionale

Si ringrazia l’Istituto per la storia dell’azione cattolica e del movimento cattolico in Italia “Paolo VI” per aver per­messo la consultazione della sua emeroteca rendendo così possibile la stesura di questo saggio. L’autore si rende con­to del carattere parziale di un contributo basato quasi esclusivamente su fonti a stampa prevalentemente interne e si augura di poter tornare sull’argomento servendosi anche dei documenti conservati nell’Archivio storico dell’Azione cattolica italiana.1 Manca tuttora un’opera complessiva di riferimento sulla figura e l’operato di Pio XI. Per un primo orientamento si veda Antonio Rimoldi, Pio XI, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, diretto da F. Traniello e G. Campanini, Torino, Marietti, 1981-84 (d’ora in poi DSMCI), vol. II, pp. 495-502 e la bibliografia ivi citata.2 Da vedere anzitutto l’enciclica Ubi arcano dei. in “Acta Apostolicae Sanctae Sedis” (d’ora in poi AAS), 1922, pp. 673-700. Tr. it. AAS, 1923, pp. 5-26. Sulla problematica più generale cfr. Severino Dianich, L ’ecclesiologia in Italia dal Vaticano la! Vaticano II, in DSMCI, vol. I, t. 1, pp. 162-180, soprattutto pp. 170-171, L ’ecclesiologia della rega­lità di Cristo.3 P. L. Weinacht, Sistema scolastico, educazione ed inserimento, in Storia della Chiesa, diretta da Hubert Jedin, Milano, 1980, vol. X / l ,L a Chiesa nel ventesimo secolo, 1914-1975, pp. 321.

“Italia contemporanea”, giugno 1985, n. 159.

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campo di intervento del movimento cattoli­co4, venisse rinnovato il tentativo di coordi­nare tutti gli interventi dei cattolici, singoli o in gruppi.

La ristrutturazione coincise quasi perfetta­mente, sul piano cronologico, con la crisi po­litica della seconda metà del 19225 permet­tendo tra l’altro ai massimi dirigenti del mo­vimento cattolico, privi del loro organo di stampa e di fatto esautorati6, di poter evitare qualsiasi presa di posizione impegnativa e “ufficiale” riguardo alla marcia su Roma. Pur non ritenendo che fra i due fatti ci sia un univoco rapporto di causa ed effetto ritenia­mo che la mutata situazione politica abbia spinto il papa ad accelerare un processo già deciso, che però in tempi più tranquilli sareb­be forse stato condotto con maggiore gra­dualità.

Venivano pertanto sciolti i preesistenti Uf­fici centrali dell’Unione popolare, fra cui vi era anche un segretariato pro schola allo sco­po di ottenere un “azzeramento” che garan­tisse la piena adesione di tutta l’organizza­zione alle nuove direttive.

La Giunta centrale avocava a sé la compe­tenza su tutte le questioni specifiche pur assi­curando che: “la presidenza della Giunta centrale ricostituirà man mano, secondo i nuovi statuti che verranno in seguito emana­ti, i suoi uffici...”7.

Le conseguenze di questi interventi furono pressoché immediate; il 13 gennaio 1923 la Giunta centrale veniva ricevuta dal presiden­

te del Consiglio Mussolini al quale veniva consegnato un memoriale8 in cui si auspicava che lo Stato desse in campo scolastico un maggior riconoscimento al ruolo delle fami­glie e dell’iniziativa privata. Il memoriale si concludeva con la richiesta che “lo Stato nel­la scelta di persone competenti chiamate a collaborare alla risoluzione dei problemi ine­renti a quanto forma oggetto del presente memoriale9, tenga conto del contributo per­sonale offerto dalle Associazioni maschili e femminili qui rappresentate” . Sottolineiamo il profondo significato politico di una simile offerta di collaborazione tecnica, al di là del fatto che Gentile, per l’elaborazione della ri­forma, pur tenendo conto delle richieste cat­toliche non si avvalse della collaborazione di “esperti” cattolici10. Con tale gesto l’Ac sce­glieva come suo interlocutore privilegiato e diretto il capo del governo scavalcando così i popolari, che pure di quello stesso governo facevano parte.

Pochi giorni dopo, il 24 gennaio, la Giun­ta centrale venne ricevuta da Gentile con cui ebbe uno scambio di vedute in merito ai problemi dell’insegnamento religioso nelle scuole elementari e all’adeguamento del ca­lendario scolastico in relazione ad alcune fe­stività religiose che non vi erano comprese; non risulta che si parlasse più in generale della riforma scolastica in corso di elabora­zione11.

Comunque i massimi dirigenti dell’Ac non dovevano essere all’oscuro di quanto Gentile

4 Cfr. Luciano Pazzaglia, Movimento cattolico e questione scolastica, in DSMCI, vol. I, t. 2, pp. 72-78.5 Cfr. Gregorio Penco, Storia della Chiesa in Italia, Milano, JacaBook, 1978, vol. II, pp. 521-533.6 L’ultimo numero de “La settimana sociale” (organo della giunta direttiva dell’Azione cattolica, cioè il massimo or­ganismo dell’“Unione popolare”) prima del 28 ottobre 1922 è il n. 18 che è datato 15-30 settembre 1922. Il successi­vo, che è anche l’ultimo con quella testata (che dal 1 ° gennaio 1923 diventa “Bollettino ufficiale dell’Azione cattolica italiana”, d’ora in poi Buaci) è il n. 19-20-21-22-23-24 datato “ottobre-novembre-dicembre” e che, in base al conte­nuto, è da ritenere stampato nella seconda metà di dicembre. La costituzione della Giunta centrale è del 30 novembre e la nomina di Colombo a presidente è del 12 dicembre.7 “La settimana sociale”, cit., p. 3.8 Buaci, gennaio 1923, n. 1, pp. 7-9.9 Nel memoriale si parlava anche di “difesa della famiglia e di istruzione premilitare”.10 Come lamentò “La Civiltà cattolica”, 1924, vol. I, pp. 385-517, La nuova riforma scolastica.11 Buaci, gennaio, 1923, n. 1, pp. 9-10.

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andava preparando, cosa che d’altronde era largamente prevedibile nelle linee generali al­la luce delle numerose precedenti prese di po­sizione12, se potevano affermare in tono fi­ducioso che “si sta elaborando un orienta­mento particolarissimo nella vita pubblica in Italia; la situazione generale del nostro pae­se, [...] ci permette di sperare in provvedi­menti legislativi i quali rispondano netta­mente ad alcuni postulati del nostro pro­gramma (accenniamo, per il momento, al problema dell’insegnamento religioso nelle scuole primarie e all’orientamento della Pi verso qualche applicazione concreta del prin­cipio della libertà di insegnamento)” 13.

Il Convegno di Roma del luglio 1923

La riforma Gentile segnava un indubbio pas­so avanti per le prospettive della presenza cattolica nella scuola italiana pubblica e privata14.

In questo contesto era evidente l’urgenza e la delicatezza della necessità di sfruttare al meglio le possibilità offerte dal provvedi­mento soprattutto per far sì che la sua inter­pretazione e attuazione fosse la più favore­vole possibile. L’esperienza della legge Casa­ti non poteva essere elusa. Formalmente non certo chiusa verso le esigenze della libertà di insegnamento essa aveva dimostrato come l’attuazione fosse molto più importante del­l’enunciato. Il problema veniva affrontato, con notevole tempestività, nella settima riu­

nione della Giunta centrale di Ac, svoltasi il 19 giugno presso la residenza di Monsignor Pizzardo, sostituto della Segreteria di Stato15.

Si decideva di indire in Roma un convegno “dei dirigenti delle organizzazioni nazionali, dei capi dei nostri istituti privati e di altre persone competenti in materia” al fine di “esaminare il punto di vista dei cattolici ita­liani di fronte alle diverse questioni che dalla riforma scaturiranno, specialmente in rela­zione all’insegnamento privato” . Allo scopo di preparare il convegno, non esistendo an­cora organismi specializzati competenti nel­l’ambito della organizzazione centrale della Ac, venne istituita una commissione provvi­soria cui parteciparono praticamente tutti i maggiori esperti cattolici di questioni scola­stiche. Ne facevano parte, tra gli altri, padre Gemelli, rettore dell’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, il senatore Montre- sor, presidente della Federazione nazionale degli istituti scolastici privati (Fnisp)16 non­ché autorevole esponente della destra popolare17, padre Barbera collaboratore di “Civiltà Cattolica”, e il Procuratore generale dei Salesiani Munerati. La parallela mobili­tazione della base avveniva per diversi canali con il dovuto rispetto delle competenze, e delle gelosie.

La Giunta centrale di Ac provvedeva ad informare le proprie organizzazioni con la Circolare n. 418 “Per il Congresso Eucaristi­co Nazionale e per un Convegno Nazionale Scolastico” indirizzata alla presidenza delle organizzazioni nazionali e alle Giunte dioce-

12 Cfr. soprattutto l’intervista concessa a “La Tribuna” del 5 gennaio 1923.13 Uno sguardo sereno all’avvenire dell’Azione Cattolica, in Buaci, marzo 1923, n. 3, pp. 1-2.14 Marzio Barbagli, Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico in Italia, Bologna, Il Mulino, 1974, pp. 157-210; Luigi Ambrosoli, Libertà e religione nella riforma Gentile, Firenze, Vallecchi, 1980. Vedi Mario Casella, L ’Azione Cattolica del tempo di Pio XI e Pio XII, in DSMCI, vol. I, t. 1, pp. 84-101 e Renato Moro, Azione Cattoli­ca Italiana, in DSMCI, vol. I, t. 2, pp. 180-191.15 Per la fase preparatoria vedi Buaci, luglio-agosto 1923, n. 7-8, p. 9.16 Sulle origini della Fnisp si vedano i resoconti offerti da “La settimana sociale” , 1918, pp. 235-236 e da “La Civiltà cattolica”, 1919, pp. 45-48.17 G. De Rosa, Storia del movimento cattolico, cit., vol. II, p. 282.18 Buaci, giugno 1923, n. 6, pp. 5-7. Anche in “L’Osservatore romano”, 7 luglio 1923, p. 2.

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sane e firmata congiuntamente dal presidente Colombo e dal segretario generale monsignor Roveda. In tale sede gli estensori potevano chiaramente mettere sul tappeto i problemi reali e affermare la necessità che “le diverse energie nostre, pur abbondanti, nel campo scolastico [fossero] meglio coordinate” e sta­bilito “un vincolo più stretto di aiuto e ap­poggio reciproco fra le provvidenziali istitu­zioni che danno scienza ed educazione” .

I vescovi venivano informati con apposita comunicazione del Segretario di Stato, cardi­nal Gaspard19. L’iniziativa è segno della im­portanza che nelle altissime sfere vaticane si attribuiva alle questioni scolastiche ma anche consapevolezza della non adeguata sensibili­tà di almeno una parte significativa dell’epi­scopato italiano, aspetto particolare, a sua volta, di una più generale scarsa sensibilità verso i problemi della cultura20. Inoltre ana­loghe comunicazioni furono fatte dalla Con­gregazione dei religiosi e dal Vicariato di Ro­ma per le scuole da essi dipendenti21.

È opportuno tracciare un resoconto abba­stanza ampio dello svolgimento dei lavori del convegno non solo per la disponibilità delle fonti, ma soprattutto perché durante i lavori furono sollevati buona parte di quei proble­mi che in tutto il periodo successivo si cercò, con alterne fortune, di risolvere22. Va inoltre tenuto presente che esso si svolse in un perio­do in cui, almeno per i cattolici, la libertà di espressione era notevole e in esso poterono essere dette ad alta voce cose destinate in se­

guito ad essere solo sussurrate, anche se non si può in alcun modo sostenere che fra i pro­tagonisti del convegno ci fossero personaggi definibili come antifascisti. La riuscita della manifestazione fu evidentemente superiore alle aspettative degli organizzatori23. Oltre alla partecipazione di tutti i principali ordini religiosi interessati va rilevata quella di dodi­ci deputati del Ppi tra i quali De Gasperi e Gronchi e anche l’adesione della Confedera­zione italiana dei lavoratori, cioè la centrale sindacale cattolica. Dal resoconto ufficiale non risulta l’adesione o la partecipazione di Don Sturzo, che pure era stato tra i fondato­ri delle Fnisp e che aveva dedicato ai proble­mi scolastici una parte significativa del suo impegno politico24. Significativa ma non ec­cezionale la partecipazione dei vescovi, in ge­nere rappresentati da membri del clero dioce­sano. La prima relazione fu quella di Mon- tresor ed ebbe carattere prevalentemente sto­rico-giuridico, come del resto indicava il tito­lo La nuova legislazione nei suoi rapporti con le leggi finora vigenti. Coerentemente con le posizioni assunte dalla federazione da lui presieduta, egli dava un giudizio molto cauto sulla introduzione dell’esame di Stato che veniva definito “tappa modesta” . Parti­colarmente significativo il fatto che non si desse credito al “liberalismo” di Gentile e si sottolineasse come esso fosse partito dal “concetto di diminuire la spesa per le scuole statali” e come ciò imponesse “nuovi sacrifi­ci alle scuole private”.

19 Lettera circolare n. 19730 del 4 luglio 1923 inviata dal Segretario di Stato cardinal Gasparri agli Ordinari diocesa­ni d’Italia. Da noi rinvenuta nell’Archivio della Curia vescovile di Livorno, b. Segreteria di Stato, Congregazioni, fase. 1, Segreteria di Stato. Si ringraziano i responsabili dell’Archivio della Curia vescovile di Livorno per la cortese liberalità con cui hanno consentito la consultazione dei documenti interessanti questa ricerca.20 Giacomo Martina, I cattolici di fronte al fascismo, in “Rassegna di teologia”, 1976, pp. 170-194.21 Tutte le notizie sui lavori del convegno, salvo diversa indicazione, sono desunte da Buaci, luglio-agosto 1923, n. 7-8, pp. 8-28; resoconto molto ampio, sostanzialmente coincidente con quello dato da “L’Osservatore romano”.22 Dedica solo un breve cenno ai lavori del convegno il pur notevole saggio di Emilio Butturini, La riforma Gentile e i cattolici italiani, in “Humanitas”, 1975, pp. 1000-1002. Una maggiore attenzione, anche se con conclusioni solo in parte convincenti, in Luigi Ambrosoli, Libertà e religione..., cit., pp. 87-88.23 La circostanza è sottolineata anche da “L’Osservatore romano” del 16-17 luglio 1923.24 Luigi Sturzo, Il partito popolare italiano, Bologna, Zanichelli, 1956, voi. Il, p. 6.

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La seconda relazione, senz’altro la più im­portante sia per il tema che la rilevanza del relatore, fu quella di padre Gemelli su “Gli istituti privati e la riforma della scuola media”25. Gemelli si rivelò politico molto più sottile e consumato del senatore Montresor. Dopo aver rilevato come Gentile arrivasse al­la “libertà della scuola” partendo da principi e per motivi diversi da quelli dei cattolici, in­vitava i cattolici al realismo26, e giungeva alla conclusione che “i cattolici hanno il dovere di accettare la legge con buon animo, per il bene che afferma, non per quello che non in­clude e come un ideale spiraglio aperto nella morta gora della scuola chiusa fin qui alle più elementari libertà”, anche nella speranza che “da una volenterosa interpretazione del­la legge, si possano ricavare vantaggi non piccoli per l’educazione dei giovani”. Le pro­poste avanzate quindi da Gemelli partivano dalla fondamentale, anche se apparentemen­te ovvia, constatazione che “per avere una buona scuola bisogna avere un buon inse­gnante e buoni allievi” e che per ottenere questo bisognava offrire adeguate condizioni di lavoro e di retribuzione agli insegnanti e adeguate garanzie agli studenti e alle loro fa­miglie. Constatato che questi scopi difficil­mente possono essere raggiunti da tutte le scuole private il rettore dell’Università catto­lica giungeva alla conclusione che “è necessa­rio che i cattolici abbiano a fondere le loro forze” e a questo fine proponeva la istituzio­ne di un Segretariato per l’istruzione.

Si trattava di una relazione molto lucida ed esplicita, che partiva dal presupposto di dare per scontata una scelta qualitativa in cui la posta in gioco non era tanto 1’“educazione cattolica della gioventù” quanto l’egemonia sulla formazione culturale delle future classi dirigenti del paese. Senza alcun dubbio la

Chiesa era storicamente più attrezzata per questo secondo tipo di operazione. Bisogna però dire che una simile scelta, per poter ave­re qualche realistica possibilità di successo, doveva essere innanzitutto formulata e accet­tata senza equivoci e sottintesi; inoltre si può aggiungere che con essa, come nei propositi di Gentile, si puntava su una inversione della tendenza storica all’aumento della scolarità.

Del dibattito che seguì sono da segnalare le riserve del padre Barbera sul proposto orga­nismo di coordinamento nel senso che “non si può concepire Autorità Ecclesiastica di cui si parla nelle conclusioni del relatore all’in- fuori del Papa, dei Vescovi e delle Congrega­zioni ecclesiastiche”; obiezione “troppo ov­via” , che con la sua formulazione dà l’idea dei contrasti suscitati da una proposta che minacciava di intaccare autonomie secolari. Le conclusioni finali vennero tratte dal padre Filograssi, provinciale romano della Compa­gnia di Gesù, e si tennero su una linea inter­media tra Gemelli e Montresor, mentre il proposto ufficio veniva più modestamente definito “di assistenza per gli Istituti e per la soluzione dei problemi scolastici” : non man­cava inoltre la cautela di aggiungere che “questo Ufficio non dovrebbe certo diminui­re o intralciare comunque l’esame [s/c] e le li­bere feconde attività già esistenti” .

L’Ufficio scolastico

Nello stesso numero del “Bollettino ufficia­le” dell’Aci in cui veniva pubblicato il reso­conto dell’incontro del 16 e 17 luglio, com­pariva un editoriale non firmato, da attri­buirsi quindi alla Giunta centrale nella sua collegialità, in cui si faceva il punto delle prospettive che si aprivano dopo il conve­

25 Un più ampio testo della relazione di Gemelli in “Vita e Pensiero”, 1923, pp. 519-528.26 Cfr. quanto osserva sul valore pratico della filosofia per il Gemelli Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, edi­zione critica a cura di Valentino Gerratana, Torino, Einaudi, 1977, pp. 1114-1115.

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gno. Per quanto riguarda la proposta costi­tuzione di un ufficio di coordinamento e consulenza delle scuole cattoliche si assi­curava che la proposta era stata trasmessa tramite la stessa presidenza della Giunta centrale alla superiore autorità ecclesiastica “alla quale spetta la decisione”. Sembra però che la soluzione del problema non fos­se né semplice, il che si era già capito nel corso del convegno, né rapida, per cui si co­municava che “nell’attesa” e “come avvia­mento” avrebbe cominciato a funzionare presso la giunta Centrale di Ac un “ufficio di consulenza” . Scopo dell’ufficio era una attività di consulenza legale, sia generica sia specifica, ma anche una azione di coordi­namento fra le varie iniziative locali e il cen­tro che era poi l’unico in grado di compie­re un’efficace azione di pressione politica sulle competenti autorità statali. Primo compito operativo era la pubblicazione, in collaborazione con la Federazione nazionale degli istituti scolastici privati di un opuscolo illustrativo della riforma Gentile. Direttore dell’ufficio era nominato, su designazione della Giunta centrale, fratei Alessandro Alessandrini dei Fratelli delle scuole cri­stiane27.

La figura giuridica dell’organismo veniva regolamentata dall’articolo 14 del nuovo sta­tuto dell’Azione cattolica28 che stabiliva che “la giunta Centrale ha la facoltà di istituire, dipendenti dalla segreteria generale, uno o più uffici speciali per lo studio e la soluzione dei diversi problemi concernenti l’attività cattolica” .

Si noti sin d’ora l’ambiguità della formula “studio e soluzione”; comunque, dietro il se­

condo dei due termini si intravede una vo­lontà di fare politica in proprio, senza dele­ghe a nessuno, che nel periodo 1923-26 riu­scì a incidere realmente, alimentando la spe­ranza che il governo a guida fascista potesse essere un “governo amico” . La dirigenza del movimento cattolico italiano dimostrava così, condividendone gli errori pur da un di­verso punto di vista, di avere in comune con buona parte della classe dirigente liberale molto di più di quanto fosse disposta ad ammettere pubblicamente, quand’essa in­fatti dimostrava di non capire il carattere nuovo e totalitario del fascismo pensando di potersene servire senza correre particolari rischi29.

Fratei Alessandro riferiva sugli inizi della sua attività nel corso dei lavori della adunan­za della Giunta centrale30 sottolineando co­me l’istituzione dell’ufficio da lui diretto se­gnasse un salto di qualità rispetto alla azione puramente “sindacale” svolta fino ad allora dalla Fnisp in quanto esso “traendo più im­mediatamente la sua autorità dall’autorità religiosa può con questo suo carattere inte­ressare con speciale efficacia alla soluzione degli interessi cattolici” . Dopo aver ribadito che una delle principali funzioni dell’ufficio consisteva nel rapporto con le autorità go­vernative, esprimeva l’augurio che parallela- mente ai provveditorati sorgessero uffici re­gionali che svolgessero una azione analoga in periferia, con l’obiettivo di costituire “una rete di relazioni tutte rivolte all’assistenza, al collegamento, al coordinamento, delle singo­le attività cattoliche nel campo della scuola” . Come si può ben vedere ci troviamo di fronte alla applicazione di un principio della mo-

27 Precedentemente preside dell’istituto tecnico “De Merode”, uno dei più grandi istituti cattolici di Roma.28 Buaci, settembre 1923, n. 9, pp. 3-14. Cfr. il fondamentale articolo L ’Azione Cattolica Italiana e i suoi nuovi sta­tuti, in “La Civiltà cattolica”, 1923, vol. IV, pp. 199-208, che sottolineava “l’impronta esclusivamente religiosa, e quindi la piena dipendenza dall’autorità ecclesiastica” e la conseguente “esclusione della politica”.29 Cfr. Enzo Santarelli, Storia del movimento e del regime fascista, Roma, Editori Riuniti, 1967, vol. I, p. 553: “... sembra qui ripetersi, su un altro piano [...] ‘l’errore’ di Giolitti e del liberalismo nei confronti del nascente fa­scismo”.30 Ivi, pp. 15-18.

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derna teoria dell’organizzazione secondo cui due organizzazioni in rapporto tra di loro tendono a “mimarsi” nella loro struttura or­ganizzativa interna31.

La modernità e la spregiudicatezza del pro­getto così enunciato ci sembrano consistere nel fatto che si punta in primo luogo sull’or­ganizzazione degli interessi e solo in modo subordinato e complementare sulla mobilita­zione della opinione pubblica, cercando così di ripercorrere all’inverso la strada compiuta dai liberali che in Italia avevano laicizzato la scuola molto più con i regolamenti e le circo­lari che non con una mobilitazione d’opinio­ne32 33. Nel febbraio 1924 fratei Alessandro po­teva annunciare di essere riuscito ad avere in ogni città sede di provveditorato un delegato regionale nominato d’intesa con l’ordinario locale: da sottolineare che si trattava di una figura piuttosto atipica per l’organizzazione periferica dell’Ac che era essenzialmente basa­ta sulle diocesi. In questo periodo la attività dell’ufficio fu essenzialmente rivolta ai pro­blemi dell’insegnamento religioso nelle scuo­le elementari e degli asili infantili.

Il segretariato generale

Proseguendo il processo di ristrutturazione organizzativa, la Giunta centrale varava nel­la sua XVIII adunanza un apposito Regola­mento per i Segretariati della giunta Cen­trale dell’Azione cattolica italiana33 in base

al quale gli uffici previsti dall’articolo 14 de­gli Statuti dell’Aci prendevano il nome di se­gretariati, ciascuno dei quali era guidato da un segretario-direttore che era affiancato da una Commissione di assistenza, consulenza ed esecuzione nominata anch’essa dalla Giunta centrale e che disponeva di un pro­prio personale d’ordine retribuito. Veniva chiaramente stabilito che i segretariati aveva­no solo funzioni di studio ed esecutive, pre­stando qualsiasi potere decisionale nelle ma­ni della Giunta centrale, e che potevano isti­tuire analoghi segretariati o corrispondenti presso le giunte diocesane. Il potere di nomi­na della commissione da parte della Giunta centrale è da intendersi in senso non assoluto in quanto si ha sicura notizia34 di un apposito regolamento per le relazioni tra il Segretaria­to per la scuola e le altre associazioni scola­stiche cattoliche in cui si stabiliva che “la Giunta centrale nei limiti del possibile, invi­terà a far parte della commissione di assi­stenza al Segretariato centrale un esponente adatto di ogni Associazione, esponente scel­to di comune accordo”. La Commissione si riunì per la prima volta il 15 giugno 192435. Ne erano membri inizialmente il senatore Montresor, presidente della Fnisp, il com- mendator Fornari, segretario della Fnisp, padre Filograssi, provinciale romano della Compagnia di Gesù, monsignor Poli36, il re­verendo Piroli, il professor Festa, e la dotto­ressa Moretti. Successivamente furono ag­giunti37 don Tomasetti38, padre Fraccalvie-

31 Anna Anfossi, Organizzazione, in Politica e società, a cura di Paolo Farneti, Firenze, La Nuova Italia, 1979, pp. 616-644, soprattutto p. 639.32 Sulla debolezza delle spinte laiche dal basso vedi Guido Verucci, L ’Italia laica prima e dopo l ’Unità, Roma-Bari, Laterza, 1981.33 Buaci, giugno 1924, n. 6, pp. 9-10.34 Luigi Civardi, Manuale dì Azione Cattolica, Pavia, Tip. Ed. Artigianelli, 1926, vol. II, p. 25, n. 1.35 Buaci, giugno 1924, n. 6, p. 19.36 Coordinatore delle scuole cattoliche del Vicariato di Roma.37 Come risulta da Buaci, ottobre-dicembre 1925, n. 11-12-13, Relazione sulla attività svolta dalla Giunta Centrale dì A C nel biennio 1923-24, p. 7.38 Salesiano, Procuratore generale dell’ordine, buon amico di Federzoni.

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ri39, don Facco e il commendator Petroc­chi40.

Nei mesi successivi il segretariato si occu­pò principalmente dei problemi dell’insegna­mento della educazione fisica, in seguito ai tentativi dell’Ente nazionale per l’educazione fisica (Enef) di monopolizzarlo.

In data 13 settembre 1924, parallelamente ai lavori della XI settimana sociale41, si svol­se a Torino il convegno nazionale del Segre­tariato per la scuola42. A differenza del con­vegno di Roma non si trattava di un incontro a tema unico ma di una iniziativa tra il politi­co e l’organizzativo, in cui venivano trattate tutte le principali questioni del momento43. L’ordine del giorno comprendeva infatti due argomenti di politica scolastica generale, la legge sugli asili e l’insegnamento religioso, e due argomenti di carattere per così dire inter­no, cioè “l’organizzazione dei cattolici per la scuola” e i “rapporti con le organizzazioni affini” .

Per quanto riguarda l’organizzazione pe­riferica veniva constatata la inadeguatezza della dimensione diocesana ai fini di un ef­ficace rapporto con l’organizzazione perife­rica del ministero, che all’epoca era regio­nale, e di conseguenza veniva decisa la co­stituzione di veri e propri segretariati regio­nali come strutture intermedie tra il segreta­riato centrale e i previsti segretariati dioce­sani.

Ad attuazione dei deliberati del convegno di Torino la Giunta centrale emanava un

apposito regolamento per il funzionamento delle delegazioni scolastiche regionali44 in cui veniva stabilito che i delegati regionali venis­sero nominati dalla Giunta centrale e che do­vessero essere assistiti da una commissione della quale facevano parte di diritto i segreta­ri scolastici diocesani e, su proposta del dele­gato e nomina della Giunta centrale, rappre­sentanti delle organizzazioni affini esistenti nella regione o “persone di speciale autorità e competenza in materia scolastica” . Per il funzionamento di tali delegazioni era previ­sto, in mancanza di risorse locali, un contri­buto finanziario da parte del centro sia pure “nei limiti del bilancio” e con un controllo accurato della Giunta centrale sui fondi così elargiti.

L’anno 1924 si chiudeva con una lettera del direttore-segretario al presidente generale della Federazione italiana uomini cattolici (Fiuc)45 in cui si invitavano i padri di fami­glia cattolici a “tener duro” di fronte ai vari comitati di genitori che si erano costituiti al fine di ottenere un “ammorbidimento” della riforma Gentile. Sembra infatti che queste iniziative avessero lasciato qualche traccia anche in ambienti cattolici, in quanto il se­gretario-direttore riteneva di dover assicura­re che “sarà ben lieto di sottoporre alla equa considerazione dell’Autorità scolastica le considerazioni di indole generale che in meri­to alla Riforma Gentile gli saranno comuni­cate o direttamente dagli interessati o anche meglio dalle Associazioni di cattolici che

39 Superiore generale dei Barnabiti.40 Ex esponente popolare di notevole rilievo. Collaboratore di De Rossi e Giordani nell’ufficio stampa del Ppi.41 Dedicata al tema “L’autorità sociale” . Notizie complessive su tutte le settimane sociali di questo periodo in F. Ma­gri, L'azione cattolica in Italia, Milano, La Fiaccola, 1953, vol. I, pp. 505-519, Le settimane sociali da! 1920 al 1934.42 Sulla settimana sociale di Torino si veda il particolareggiato contributo di B. Vanzetti, La settimana sociale di To­rino (14-19 settembre 1924), in Aa.V.v., Giornalismo e cultura cattolica a Torino. Aspetti storici e testimonianze fra 800 e 900, Torino, Quaderni del centro studi Carlo Trabucco, 1982, pp. 37-74.43 Buaci, novembre 1924, n. 11, pp. 18-20.44 Buaci, dicembre 1924, n. 12, p. 16.45 Ivi, p. 17. La lettera è riprodotta anche in “Bollettino della FIUC”, III, n. 1, gennaio 1925, p. 9. Presidente della FIUC era il comm. Ciriaci, successivamente presidente generale dell’Aci. Per un efficace profilo biografico vedi Lu­ciano Osbat, Ciriaci Augusto, in Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana (d’o­ra in poi Dbi), voi. 25°, pp. 781-785.

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s’interessano in modo speciale di questioni scolastiche” . In quei mesi veniva fondata per iniziativa dello stesso Alessandrini l’Associa­zione educatrice italiana (Aei) destinata a svolgere la sua attività prevalentemente nel settore delle scuole di metodo, cioè le scuole per la formazione delle maestre d’asilo, poi scuole magistrali.

Analogamente a quanto fatto per le dele­gazioni scolastiche regionali, venivano forni­te le norme per il funzionamento dei segreta­ri diocesani46. Seguiva l’elenco dei delegati regionali da cui si evidenzia come, con una sola eccezione, si trattasse sempre di sacerdo­ti o religiosi, talvolta anche di un certo ran­go; indizio della considerazione che gli ordi­nari davano ai problemi scolastici, ma anche della mancanza in genere di laici preparati nel settore e più in generale di una mentalità che considerava la scuola cattolica una cosa troppo importante perché dei laici potessero davvero occuparsene.

Seguiva poco tempo dopo la pubblicazio­ne di un programma di lavoro per i segreta­riati diocesani47. Veniva indicata come prio­ritaria l’azione in favore dell’insegnamento religioso: seguiva l’azione in favore degli isti­tuti privati, “funzione delicata quanto mai, ma di grande importanza”. A questo propo­sito veniva raccomandato di procedere sem­pre d’intesa con tutti gli interessati, in primo luogo la Finsp, fino al punto di collaborare e promuovere la creazione dove questa non esistesse. È quasi superfluo far notare come l’Ac, dichiarando di non voler fare politica, in realtà faceva politica nella misura in cui favoriva, entro certi limiti, il consolidamento del potere fascista. Non si può dire che tale

scelta sia stata perdente perché, se non altro, ha salvaguardato 1’esistenza dell’organizza­zione e quindi, secondo un’etica del succes­so, è risultata corretta. Bisogna comunque ricordare che tale scelta non solo fu appog­giata dalle massime gerarchie cattoliche, ma anche che venne condivisa dalla stragrande maggioranza del clero e del laicato, sia pure per motivi diversi.

Premesse queste considerazioni si può cer­care di capire meglio come i cattolici mili­tanti italiani dopo la fine del pluralismo po­litico-parlamentare avessero bisogno di sa­pere che fare di fronte alla nuova situazione, il che non significava dal loro punto di vista come difendersi (le manifestazioni totalitarie in campo sociale non erano ancora iniziate), ma come approfittarne nel modo più van­taggioso! Diventa perciò quasi ovvio il fatto che la XII settimana sociale, convocata a Napoli dal 20 al 25 settembre 1925, avesse come tema “Principi e direttive in ordine al­la scuola, ai problemi economici e alla atti­vità politica”. Rispetto alla tradizione era insolito che non ci fosse un tema unico e che quel tanto di unità dato dai “principi e diret­tive” fosse un fatto scontato trattandosi non di un congresso in cui discutere, ma di una serie di lezioni, miste a celebrazioni religiose e riunioni organizzative, sulle quali, per la seconda volta, non era nemmeno ammesso il dibattito48.

La prima giornata fu quasi interamente dedicata ai problemi scolastici49.

La prima lezione su “La scuola secondo il concetto cristiano” fu tenuta da Padre Chiocchetti, professore di storia della filoso­fia moderna alla Università cattolica, che si

46 Buaci, 15 aprile 1925, n. 7, pp. 15-16.47 Buaci, 15 maggio 1925, n. 9, pp. 14-15.48 La circostanza è sottolineata, in termini positivi, dal commento che ne diede “La Civiltà cattolica”, 1925, vol IV, pp. 193-205. Il resoconto uscì anonimo; in base all’elenco dei corrispondenti accreditati pubblicato in Buaci, 15 otto­bre 1925, n. 18-19, p. 111, è da attribuirsi al padre Gaspare Mario.49 Per lo svolgimento dei lavori, salvo diversa indicazione, ci si basa sul resoconto fornito in Buaci, 15 ottobre 1925, n. 18-19, pp. 21-28.

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limitò a ribadire le linee fondamentali del magistero cattolico sul problema, con parti­colare riguardo alla ben nota tesi dei diritti primari della famiglia e della Chiesa sulla educazione, e del conseguente ruolo solo au­siliario dello Stato. La seconda lezione su “La legislazione della scuola in Italia” fu te­nuta dal professor Della Rocca, libero do­cente alla università di Napoli, con un taglio prevalentemente giuridico-politico. La lezio­ne si concludeva con l’esposizione di una se­rie di richieste di modifiche alla legislazione vigente che potrebbero essere definite la ver­sione cattolica dei “ritocchi” alla riforma Gentile, che andavano dall’estensione del­l’insegnamento religioso alla revisione dei programmi di insegnamento della filosofia, fino alla modifica dell’esame di Stato in sen­so più garantista per le scuole private, per ar­rivare a richieste minori come l’abolizione del liceo femminile.

La giornata si concludeva con una relazio­ne di padre Gemelli dal titolo “I postulati dei cattolici in ordine alla legislazione scolasti­ca”, il cui tono, che ci appare paradossale e impolitico, necessita di una spiegazione par­ticolarmente attenta, data la personalità del­l’autore.

L’oratore esordiva con lo sconcertante po­stulato che “assolutamente respingiamo l’af­fermazione che la questione della scuola, co­me noi la agitiamo, è questione politica, os­sia dei rapporti tra Chiesa e Stato50, chiaren­do che si trattava invece di una questione di diritto naturale intorno alla quale non erano quindi possibili discussioni ma solo deduzio­ni rigide. Merita, per dare un’idea, sia pure approssimativa, non solo della lezione ma di tutta la giornata (ricordiamo che siedeva alla presidenza il senatore Montresor) l’afferma­

zione di padre Gemelli, a proposito dell’at­teggiamento da tenere verso la società libera­le: “Contro questa società noi siamo ostina­tamente, pervicacemente clericali e clericali della peggiore specie, neri più del carbone; medievali più del retrivo Medioevo; retrogra­di a tutto spiano; antimoderni per eccellenza; ma soprattutto cristiani, cattolici, apostolici, romani; e, perché cristiani cattolici apostolici romani, soprattutto per questo, e vorrei dire solamente noi, veramente italiani” . È appe­na il caso di sottolineare l’affinità di simili posizioni con quelle di letterati come Papini e Giuliotti e anche più in generale con tutto il movimento di Strapaese51. Dopo aver chiari­to simili premesse Gemelli si soffermava sul­la opportunità attuale di un movimento cat­tolico Pro schola libera, sostenendo in impli­cita polemica non solo con l’oratore che l’a­veva preceduto ma, almeno così ci sembra, anche con la concretezza realista del Segreta­riato per la scuola, che l’Ac, che non può avere le preoccupazioni dell’alchimia parla­mentare, deve rivendicare tutta la attuazione del grande programma della scuola libera, deve considerare il problema in tutta alla sua vastità e deve indicare i provvedimenti che siano realmente efficaci” . Temendo infine che per qualcuno non fosse chiaro delineò la “solida base” su cui avrebbe dovuto poggia­re la libertà della scuola per essere “completa e assicurata”, cioè quello che, in linguaggio politico, si chiamerebbe una sorta di pro­gramma massimo comprendente: “ 1) la per­fetta uguaglianza delle scuole pubbliche e private; 2) il diritto di chi insegna nelle scuole private a rilasciare titoli di attestazione degli studi compiuti e del progresso fatto dall’al­lievo, titoli aventi valore di pubblico ricono­scimento di tali corsi e del profitto fatto, di

50 Le citazioni delia lezione di padre Gemelli sono tratte da Agostino Gemelli, Ipostulati dei cattolici in ordine alla legislazione scolastica, Milano, Vita e Pensiero, s.d.51 Vedi Alberto Asor Rosa, La cultura, in Storia d ’Italia, Torino, Einaudi, 1975, vol. IV, t. 2, pp. 1500-1517. Vale la pena di ricordare che esistevano solidi legami anche di natura editoriale tra Gemelli e il gruppo di Papini e Giuliotti, come è testimoniato dal fatto che le controriformistiche prefazioni ai Discorsi dell'Omo Selvatico furono pubblicate in “Vita e Pensiero”, 1923, pp. 140-152.

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guisa che l’azione che lo Stato esercita in fat­to di scuole è limitata ad essere solo un con­trollo; 3) infine parità economica delle scuole pubbliche e private”.

Ci sembra che la tesi enunciata non difet­tasse di chiarezza anche se si intravedono nel programma due obiettivi: il primo, a più bre­ve scadenza, di parità fra scuola pubblica e scuola privata; il secondo, più in prospettiva, di completa abolizione della presenza statale nel settore dell’istruzione. Bisogna dire che il ragionamento contiene implicita la premessa che la strada della “cristianizzazione” della scuola statale non fosse vantaggiosamente percorribile52.

La lezione si concluse con una ampia illu­strazione del terzo punto, cioè la “ripartizio­ne scolastica” , nota anche come finanzia­mento statale. Nel corso dello stesso 21 set­tembre si svolse la consueta riunione del Se­gretariato per la scuola allargata ai delegati regionali, ai segretari diocesani presenti e ai rappresentanti delle organizzazioni affini. Da rilevare il tono organizzativo della riunio­ne e la completa mancanza di riferimenti ai lavori della giornata. Non stupisce quindi che la settimana sociale non abbia avuto, al­meno nel breve periodo, alcuna ripercussio­ne operativa.

Nella successiva riunione della Giunta cen­trale lo stesso fratei Alessandro poteva an­nunciare come un suo successo le “provvide disposizioni” sulla sanatoria per i titoli di studio degli insegnanti privati53. Evidente­

mente il realismo, all’ombra del binomio Fe­dele-Severi54 dava i suoi frutti.

Il regime fascista ormai consolidato dove­va però ben presto cominciare a mostrare il rovescio della medaglia. Di fronte alla an­nunciata istituzione di quella che poi sarà la Opera nazionale Balilla55, la giunta centrale si esprimeva in termini in cui è difficile capire se prevalga la prudenza o l’incomprensione della vera natura delle intenzioni di fondo del governo fascista. Infatti si dichiarava che “allo scopo di evitare equivoche e non giusti­ficate interpretazioni, possibili specialmente se non si attenda bene alla natura e alle fina­lità dell’Azione cattolica, si riafferma la per­sistente necessità che questa continui, in tutte le sue forme concrete, lo svolgimento inte­grale del suo programma, il quale non può essere sostituito né svolto da nessun’altra istituzione od opera, essendo rivolto alla for­mazione specializzata di una schiera distinta di cattolici detti militanti col fine di adde­strarli e di usarli nelle opere svariate dell’a­postolato religioso e sociale, in servizio e alla diretta dipendenza della Chiesa”56. Natural­mente i fascisti l’avevano capito benissimo; quello che i dirigenti dell’Ac non avevano ca­pito erano le intenzioni dei fascisti. Ci sem­bra però che, fra le righe, emerga dalle paro­le sopra riportate la consapevolezza della in­sidia celata nella manovra con la quale si ten­tava da parte fascista di ripetere nei confron­ti dell’Azione cattolica sul piano sociale quella operazione che era stata portata a ter-

52 Argomentazioni nel complesso analoghe, anche se di tono più moderato, furono svolte nell’articolo dello stesso Agostino Gemelli, Gli alunni delie scuole private e gli esami di Stato, in “Annali dell’Istruzione Media”, 1926, pp. 107-116.53 Si tratta dell’art. 116 del reg. 6 giugno 1925 n. 1084. Il resoconto della riunione della Giunta centrale in Buaci, 15 novembre 1925, n. 21, pp. 10-15.54 Fedele era all’epoca ministro della Pubblica Istruzione, Leonardo Severi era Direttore generale dell’istruzione me­dia classica. Verrà silurato nel 1928 in quanto accusato dai fascisti intransigenti di favorire le scuole cattoliche. Cfr. ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato (1922-1943), b. 78, fase. H /R , Severi Leonardo.55 Istituita in base alla legge 3 aprile 1926, n. 2247. Cfr. Carmen Betti, L ’Opera Nazionale Balilla, Firenze, La Nuo­va Italia, 1983.56 Buaci, 15 gennaio 1926, n. 2, pp. 10-11.

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mine nei confronti del partito popolare sul piano politico; cioè lo svuotamento.

Ovviamente questo secondo tipo di opera­zione si rivelava molto più difficile del prece­dente, anche perché richiedeva in qualche misura il consenso almeno passivo degli inte­ressati. Nel complesso la linea di difesa adot­tata dalla Chiesa consiste in una sempre maggiore identificazione tra Ac e la gerar­chia ecclesiastica, di modo che qualsiasi at­tacco all’Azione cattolica finisse per diventa­re automaticamente un attacco alla Chiesa nel suo insieme.

L’operazione era pericolosa proprio nella misura in cui l’Onb si presentava come na­zionale e quindi anche come cattolica, a- vendo dei propri cappellani ovviamente, col consenso delle gerarchie ecclesiastiche e pre­tendendo quindi in tal modo di monopoliz­zare anche la formazione religiosa dei gio­vani. Bisogna dire che in questo caso l’istin­to di autoconservazione dell’organizza­zione, quello stesso istinto che aveva por­tato a tante gravi compromissioni, fece ca­pire l’essenziale; cioè la necessità di difende­re la specificità, se non l’autonomia, del­l’organizzazione cattolica. È appena il caso di sottolineare che l’Ac lottava per la sua li­bertà non per la libertà, come d’altronde aveva fatto nei confronti dello Stato giaco­bino.

Sebbene che i rapporti col ministero rima­nessero ottimi, come è dimostrato dalla no­mina di fratei Alessandro a ispettore speciale per l’insegnamento religioso nelle scuole elementari57, si facevano sentire sull’organiz­zazione gli effetti del mutato clima generale che inducevano ad una riflessione di tipo

storico58, ma anche politico-organizzativo sulle prospettive dell’Azione cattolica in campo scolastico. In questo senso sono da intendere le riflessioni che Alessandrini pro­poneva in vista della settimana sociale di Ge­nova sulla “Organizzazione scolastica nazio­nale dei cattolici”59, poneva varie domande sugli ostacoli che si opponevano al raggiun­gimento degli scopi del Segretariato, prima fra tutte quella sulla esistenza in Italia di una “coscienza scolastica cattolica” e quindi sul­la esistenza di insegnanti, organi di stampa, organizzazioni “saldamente preparati a tutte le necessità e a tutti gli eventi” che riuscissero ad essere “baluardo sicuro per la difesa” e “strumento per il conseguimento di nuove ri­vendicazioni” . Perfino sull’atteggiamento degli istituti cattolici di fronte a possibili in­quietanti sviluppi non si diceva sicuro. Le ri­sposte venivano lasciate in sospeso dicendo che “al Segretariato centrale parrà sufficien­te d’impostarli”; prassi insolita per un’orga­nizzazione del genere. Pur disponendo di scarsi elementi per approfondire la questione ci sembra di poter interpretare questo non meglio precisato disagio, fatto di elementi quasi impalpabili come qualcosa di molto profondo. Forse fra i motivi che spinsero la Santa Sede ad imboccare lentamente ma de­cisamente la strada che sarebbe sfociata nei Patti Lateranensi c’erano anche preoccupa­zioni come queste.

Parallelamente ai lavori della settimana sociale di Genova60 si svolse la ormai consue­ta adunanza allargata del segretariato Pro Schola61. L’insolita laconicità del resoconto ci induce a pensare che il dibattito dovette es­sere particolarmente vivace. Sulla base della

57 Buaci, 15 giugno 1926, n. 4.58 In questo senso la serie di articoli dal titolo I cattolici italiani e il problema scolastico apparsa nei nn. 4, 5 e 7 del 1926 del Buaci in cui veniva ricostruita una storia del movimento cattolico in cui c’era anche un insolito spazio per i “transigenti”.59 Buaci, 1° settembre 1926, n. 16, pp. 17-18.60 Dedicata a “La famiglia cristiana” .61 Buaci, 15 settembre-10 ottobre 1926, n. 17, pp. 49-50.

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azione immediatamente successiva di Ales­sandrini, si può ritenere che le perplessità po­litiche fossero state superate con la decisione di un rilancio organizzativo. In questo caso è significativa la comunicazione data dallo stesso Alessandrini alla Giunta centrale circa un “lavoro statistico che si compirà quanto prima per avere conoscenza esatta del nume­ro e della natura di opere e pubblicazioni scolastiche ispirantesi al programma cattolico”62 63. Questo progetto sarà realizzato solo in parte soprattutto con l’aumento delle informazioni contenute negli “Annali dell’I­talia cattolica” . Veniva quindi inviata una circolare alle organizzazioni periferiche a cui era allegato un questionario particolareggia­to ai fini del lavoro statistico già ricordato. La particolare insistenza con cui gli interes­sati erano invitati a rispondere in modo solle­cito e adeguato induce non pochi dubbi sui risultati ottenuti, almeno a giudicare dalla qualità dei dati pubblicati sugli “Annali del­l’Italia cattolica” , che sono indubbiamente molti ma con un grado di omogeneità e com­parabilità ben poco soddisfacente. Fornisco­no ulteriori elementi sui risultati delle discus­sioni di Genova le rinnovate Norme per la costituzione e il funzionamento dei segreta­riati diocesani per la scuola163. Veniva inoltre indicato un programma di lavoro di massima che presenta rispetto al precedente alcune novità che meritano di essere segnalate in quanto, al di là della loro effettiva realizza­zione, ci sembrano indizio di un certo muta­mento nello “spirito” della azione scolastica cattolica in senso meno tecnico e più di mas­sa. In orientamenti di questo tipo, indirizzati

essenzialmente a fronteggiare la concorrenza delle nascenti organizzazioni di massa del re­gime, si devono intravedere le più lontane origini di quella che poi sarà la crisi del 193164.

In questo senso è da intendere l’invito a “incoraggiare l’opera delle Associazioni gio­vanili studentesche di qualsiasi grado e di tutte le Istituzioni educative di carattere non propriamente scolastico, creando attorno a loro il consenso di cui hanno necessità, e so­prattutto mettendole in condizione, per quanto possono consentirlo il carattere e le funzioni specifiche del segretariato, di realiz­zare i fini che esse perseguono” . Nello stesso senso va anche l’invito a “farsi promotore [...] della istituzione di circoli di studio e di biblioteche, per insegnanti ed allievi. Fare il possibile per orientare l’attenzione del pub­blico nostro verso quei centri di produzione libraria che si trovino in condizione di soddi­sfare con serietà le esigenze della propaganda culturale cattolica” . Non contraddittori, ma in qualche modo complementari, gli inviti a “tenersi in buoni rapporti con le Autorità scolastiche locali, sia interessandole a quelle manifestazioni nostre che le possano riguar­dare, sia appoggiandole per quanto l’opera loro possa richiedere e meritare il consenso delle istituzioni” e a “mettersi a disposizione degli organi competenti e dare il migliore contributo per l’organizzazione di corsi rego­lari di cultura popolare, secondo i criteri or­dinariamente seguiti nelle così dette universi­tà popolari”. Si potrebbe quasi parlare, in casi come questi, anche correndo il rischio dell’anacronismo, di una tendenza del movi-

62 Ivi, pp. 87-88, Adunanza della Giunta Centrale della AC. Secondo quanto risulta da una successiva circolare “di richiamo” (Buaci, 15 dicembre 1927, n. 23, p. 16, Un importante questionario) l’indagine non riguardava soltanto le organizzazioni cattoliche ma tutte le organizzazioni che si occupassero in qualche modo di educazione. Sui risultati vedi anche più avanti.63 Buaci, 15 novembre 1926, n. 20, pp. 17-19.64 Vedi Aa.Vv. , Chiesa, Azione Cattolica e fascismo nel 1931, Roma, Ave, 1983 e Maria Cristina Giumella, I fatti del ’31 e la formazione della seconda generazione, in I cattolici tra fascismo e democrazia, a cura di Pietro Scoppola e Francesco Traniello, Bologna, 11 Mulino, 1977, pp. 233-281.

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mento cattolico a farsi Stato. Senza dubbio si tratta di una concorrenza molto insidiosa per le organizzazioni fasciste, specie in un campo come quello educativo in cui esse ben difficilmente erano in grado di offrire com­petenze di analogo valore.

Il rilevare anche il carattere sempre più cle­ricale dell’opera di Alessandrini, che portava il segretariato a diventare progressivamen­te qualcosa di più importante, ma anche di diverso, da un organismo di Azione cattoli­ca intesa come organizzazione laicale. In questo senso si spiegano la partecipazione di Alessandrini a “una adunanza delle superio­re degli istituti femminili di educazione alle quali illustrò importantissime questioni sco­lastiche”65 66, nonché le Note sull’attività che i sacerdoti possono svolgere a favore del mo­vimento scolastico cattolico66 in cui le diretti­ve prima accennate venivano adattate alle specifiche possibilità di azione dei sacerdoti.

Il momento forse più alto di tutta l’attività del segretariato fu la settimana sociale del 1927, svoltasi a Firenze dal 12 al 19 settem­bre e dedicata all’educazione cristiana67. Se­condo la prassi consueta la settimana veniva presentata da un editoriale del “Bollettino ufficiale” , affidato questa volta alla penna

particolarmente autorevole nell’ambiente dell’Ac68, di Luigi Civardi, che sottolineava il fine essenzialmente educativo dell’Azione cattolica69.

La prima lezione70 fu quella di monsignor Todesco71 dedicata a “L’opera educativa del­la Chiesa nella storia” . Da rilevare anzitutto la discreta apertura verso la tradizione italia­na e la pedagogia cristiana del Risorgimento con riferimento ad autori come Aporti72, Ro­smini e Lambruschini, che “pur tra ombre e incertezze furono figli devoti della Chiesa cattolica” . Significativa anche la riafferma­zione del primato dell’educazione sull’istru­zione, secondo una tradizione che aveva illu­stri e recenti precedenti in pronunciamenti papali73, ma non mancava anche di antenati assolutamente laici74: “falsa credenza che l’i­gnoranza sia causa di tutti i mali e l’istruzio­ne fonte di tutti i beni; cultura intellettuale e perfezionamento morale non sempre s’ac­compagnano, e per quanti sarebbe stato for­tuna se non avessero mai varcato la soglia della scuola! più che a istruir la mente si deve badare a formar la volontà, tesoro inapprez­zabile ma che bisogna meritare” .

Particolarmente interessante la lezione del professor Del Giudice75. La parte fondamen-

65 Buaci, 15 dicembre 1926, n. 22, p. 17.66 Ivi, pp. 18-20.67 Si tratta anche di uno dei momenti di maggiore espansione della organizzazione periferica del Segretariato. Cfr. Relazione sull’attività svolta dalla Giunta Centrale dell’A.C.I. per il biennio 1925-1926, in Buaci, 1 ° agosto 1927, n. 15, secondo cui i segretariati regolarmente costituiti erano 120 mentre nel 1930 erano soltanto 90 (“Annali dell’Italia cattolica”, 1930).68 Si ricordi che era l’autore del notissimo Manuale di Azione Cattolica.69 L. Civardi, Attendendo la XIV Settimana Sociale. Educazione e Azione Cattolica, in Buaci, 1° maggio 1927, n. 9, pp. 1-3.70 Gli atti sono pubblicati nel volume: Giunta Centrale dell’Azione Cattolica Italiana, L ’Educazione. A tti della XIV Settimana Sociale dei cattolici d ’Italia-Firenze 1927, Milano, 1928.71 Storico della Chiesa, autore di vari manuali.72 Di cui si svolgevano in quell’anno le celebrazioni per il centenario. Vedi Buaci, 15 marzo 1927, n. 6, pp. 18-19, Per il 1 centenario degli Asili Aportiani.73 Cfr. il famoso discorso di Pio XI del 6 luglio 1922: “Non politica, non economia, dico perfino non cultura, ma prima di tutto formazione cristiana della vita individuale” (ora in Pio XI, Discorsi, a cura di D. Bertetto, Torino, SEI, 1961, vol. I, p. 39).74 II famoso “Istruire quanto si può, educare più che si può”.75 Professore di diritto ecclesiastico alla Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

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tale del ruolo educativo dello Stato era indi­viduata in quella che oggi si chiamerebbe educazione civica: “Deve lo Stato occuparsi di coltivare nell’animo dei giovani — specie quando questi sono prossimi ad entrare nella vita più attiva — gli speciali sentimenti che li rendano psicologicamente, oltre che cultu­ralmente, preparati a divenire l’elemento per l’organizzazione gerarchica e per l’adempi­mento delle pubbliche finalità” .

Il contesto non era ovviamente di tipo libe­rista, ma si aveva presente un modello di Sta­to disposto a svolgere anche funzioni repres­sive di vero e proprio braccio secolare76. Esso doveva infatti avere tra i suoi compiti verso i giovani quello di “distoglierli dalle suggesti­ve propagande a favore di concezioni fami- gliari, demografiche, economiche, sociali condannate dalla civiltà o dai precetti morali e religiosi; difendere e rinvigorire negli adul­ti, dare forza e incremento nei giovani al sen­timento della moralità e della vera religione, che sono i più insidiati e i più utili beni d’un popolo”. Nonostante si esprimesse in questo modo, Del Giudice tendeva a prendere netta­mente le distanze dai nazionalisti, precisando che lo Stato deve “onorare veramente Dio e la Chiesa non per ragioni storiche o estetiche o utilitarie ma per ragioni di intrinseca e in­dubitabile certezza” .

Da ricordare infine, anche per la sua com­plementarietà con quella di Del Giudice, la lezione di Padre Bruccoleri77 sul “Diritto e il dovere della Chiesa nell’educazione” . L’o­biettivo polemico immediato era lo Stato eti­co basato sulla filosofia hegeliana, che era

definita “vecchia, ripugnante, anacronistica quanto il paganesimo”, ma in realtà si aveva di mira lo Stato assoluto nel senso originario di “sciolto da legami” e, per così dire, auto- fondantesi78.

Parallelamente ai lavori della settimana sociale si svolse la consueta adunanza orga­nizzativa dei segretariati per la scuola. Essa fu caratterizzata da una relazione di Alessan­drini su “Gli attuali problemi scolastici e l’A­zione cattolica” . Solo apparentemente in contraddizione col tono generale della setti­mana egli riaffermò la consueta tattica gra­dualistica e prudente basata su una corretta attuazione della riforma Gentile, illustrando nuovamente il “programma di lavoro che i cattolici devono proporsi per collaborare ef­ficacemente con l’Autorità alla integrale e completa attuazione dei postulati fondamen­tali della riforma scolastica” .

Il clima totalitario non poteva, prima o poi, non far sentire i suoi effetti sulle scuole cattoliche. Anche se esse riuscirono in questa fase a sottrarsi all’inquadramento si trattava pur sempre di un privilegio che non poteva non comportare dei prezzi politici79. In que­sto contesto ci sembra di poter collocare l’annunciata80 e poi revocata81 convocazione di un convegno nazionale dei dirigenti di isti­tuzioni scolastiche ed educative cattoliche per discutere intorno ad importanti argo­menti ed esaminare vari problemi riguardan­ti l’azione scolastica cattolica.

Continuavano comunque a svolgersi, in questo periodo, le settimane sociali, in quan­to una loro sospensione avrebbe comportato

76 Alessandro D ’Avack, Braccio secolare, in Dizionario di politica..., cit., pp. 1111-1112.77 Notissimo scrittore de “La Civiltà Cattolica”. Famosi i suoi articoli economico-sociali, in particolare quelli sul corporativismo, che lo rendono tuttora noto anche nella letteratura non specialistica.78 Pierangelo Schiera, Stato moderno, in Dizionario di politica..., cit., pp. 1007-1009, Lo Stato come ordine politico.79 È opportuno tener presente che a partire da questo periodo l’attività dell’Ac, particolarmente in campo scolasti­co, diveniva oggetto dì una più attenta vigilanza poliziesca. Cfr. in questo senso la circolare riservata del 14 dicembre 1928 inviata dal ministero dell’Interno ai prefetti (ACS, Ministero dell’Interno, Dir. Gen. P.S., AA. GG. RR., G l, b. 91, Gioventù Cattolica) con cui si invitavano i prefetti a vigilare sulle attività dei dirigenti dell’Ac nella scuola.80 Buaci, 1° febbraio 1928, n. 3.81 Buaci, 1° marzo 1928, n. 5.

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una crisi di carattere generale nei rapporti fra Stato e Chiesa, e quindi una interruzione nel­le trattative in corso per la stipulazione di quelli che poi sarebbero stati i Patti Latera- nensi. Durante i lavori della settimana socia­le del 192882 ai problemi scolastici non fu de­dicata la solita Adunanza organizzativa ri­servata agli addetti ai lavori ma una Adunan­za generale di Azione cattolica presieduta dallo stesso Colombo, presidente della Giun­ta centrale. L’adunanza fu incentrata sulla relazione di Alessandrini dedicata questa volta a “Il pensiero dei cattolici nel campo scolastico”83.

In essa appare particolarmente significati­va la rivendicazione del legame fra i grandi principi sanciti l’anno prima e la politica spicciola: “le piccole e grandi conquiste, rea­lizzate dai cattolici nel campo scolastico, non debbono far perdere di vista il programma massimo, che tende alla completa libertà di insegnamento; mentre il programma minimo è realizzare giorno per giorno, a seconda del­le possibilità, qualche punto di quello”84. Ve­nivano quindi esaminati i problemi specifici dei vari ordini e gradi di insegnamento. È da segnalare l’indicazione di priorità, riferita al settore elementare, ma certo non priva di si­gnificato più complessivo, circa la opportu­nità di “dare la precedenza alla realizzazione dei vantaggi di ordine morale, lasciando in un secondo tempo quella dei vantaggi di or­dine economico, essendo inopportuna la im­postazione del problema dal solo punto di vi­

sta economico” . L’indicazione, oltre ovvia­mente a un indubbio valore morale, ci sem­bra rivesta un sottile e raffinato valore politi­co, come indice della consapevolezza, non sappiamo se del tutto esplicita, che anteporre la realizzazione delle richieste di tipo econo­mico avrebbe potuto portare a un consolida­mento della situazione in uno stato di com­promesso “intermedio” e quindi ad un arre­sto pressoché definitivo di quella “politica dei piccoli passi” che fino ad allora era stata così promettente. Per quanto riguardava le scuole medie cattoliche il programma massi­mo veniva fissato, in termini relativamente realistici85, nelle richieste di “riconoscimento legale dei titoli di studio e dei diplomi rila­sciati [...], concorso finanziario dello Stato [e] una conveniente libertà didattica nei me­todi e nei programmi” . Ci sembra particolar­mente importante l’ultimo punto, in quanto espressione di una residua volontà di resi­stenza alla “omologazione” alla scuola stata­le che dopo il Concordato sarà destinato a scomparire come richiesta generale del movi­mento cattolico. Si può anzi dire che l’omo­logazione sempre maggiore sarà il prezzo da pagare per le successive concessioni, fino ad arrivare a una libertà che sarà sempre di più nello Stato e sempre meno dallo Stato86. Il programma immediato verteva su una serie di aggiustamenti tecnici volti ad alleggerire il complesso meccanismo dell’esame di Stato. Sempre in quella linea costruttiva e volta a fare dei cattolici una componente fondamen-

82 Dedicata a “La vera unità religiosa”, cioè alle iniziative per contrastare il movimento ecumenico di ispirazione protestante.83 Buaci, 15 settembre-l° ottobre 1928, n. 18-19, pp. 676-678.84 Si tratta dell’ennesima versione della teoria della tesi e dell’ipotesi. Nel settore specifico la distinzione esplicita era stata fissata della Unione pro schola libera. Cfr. Per la libertà di insegnamento, in “La Civiltà cattolica”, 1918, voi. Ili, pp. 205-212.85 Cfr. il succitato programma massimo che mostrava una capacità utopica ai limiti del pensiero reazionario otto­centesco, ma indubbiamente indice della capacità di pensare una realtà totalmente altra da quella esistente.86 Si vedano le acute e pertinenti osservazioni sul carattere ideologico dell’antistatalismo cattolico contenute in Nor­berto Bobbio, Profilo ideologico dei Novecento, in Storia della letteratura italiana, Milano, Garzanti, 1969, vol. IX, pp. 194-195.

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tale e, alla lunga insostituibile87 dello Stato è da vedere il corsivo Famiglia e scuola88 con cui si invitavano le organizzazioni periferiche degli uomini e delle donne, nell’ambito del­l’auspicata “coscienza scolastica cattolica” , ad adoperarsi per contribuire a superare le diffidenze dei genitori verso la scuola che, specie nelle campagne, permanevano pesan­ti: “I genitori debbono sì interessarsi affin­ché gli educatori dei loro figli (essendo i rap­presentanti, i mandatari dei genitori stessi) non vengano meno ai propri alti delicati do­veri. Ne hanno il dovere e il diritto. Ma deb­bono farlo attraverso gli organismi scolasti­ci; e tale loro opera di controllo non deve mai degenerare in sterili querimonie, o peg­gio in inutili pettegolezzi, indice di leggerez­za, e non di consapevole autorità dei capi di famiglia” .

L’azione cattolica italiana considerò i Pat­ti Lateranensi come una vittoria anche sua89, ma si rese subito conto che se si trattava di un punto di arrivo si trattava anche, e so­prattutto, di un punto di partenza i cui effetti reali sarebbero dipesi non tanto dalla lettera degli accordi, quanto dalle modalità della lo­ro applicazione90. Si dichiarava infatti che: “Spetta a noi di lavorare con ritemprate energie, nei nuovi solchi aperti al nostro apo­stolato, così che le sapienti decisioni del So­vrano Pontefice diano abbondante messe di benefici alla Chiesa e alla Nazione [e che] la nostra missione di apostolato, non più in funzione di rivendicazioni, ma di applicazio­ne di principi accettati, continui nella sua im­mutata necessità” . La suddetta missione di apostolato veniva intesa come collaborazio­

ne dei cattolici organizzati all’applicazione del Concordato e trasformava quindi il ca­rattere dell’Ac da collaboratore della gerar­chia ecclesiastica a collaboratore della gerar­chia ecclesiastica e dello Stato cattolico. Esa­minare il modo in cui si realizzò questo cam­biamento, che ovviamente non era improvvi­so, ma che solo dopo il Concordato veniva formulato in termini così espliciti e impegna­tivi, non ha solo un valore solo accademico perché, almeno così ci sembra, nonostante le rapide disillusioni che seguirono sul breve periodo esso è indizio di un mutamento di lunga durata nell’atteggiamento verso le isti­tuzioni dello Stato.

In una autorevole presa di posizione sulle caratteristiche di questa collaborazione91 ve­niva anzitutto chiarito il suo carattere di “di­ritto-dovere” nell’ambito di una ben precisa concezione del ruolo dello Stato e della socie­tà nel campo della “difesa del corpo socia­le” : “Qualcuno ha potuto vedere talvolta, in questa nostra collaborazione, quasi un’inva­denza nel campo riservato ai poteri dello Sta­to; dimenticando, evidentemente, che la di­fesa del corpo sociale, se è un dovere dello Stato, non dispensa i singoli membri dal por­tarvi ciascuno il proprio contributo; anzi ne fa uno specifico dovere”. È da sottolineare come in una simile sociologia i confini tra i vari momenti sociale, religioso, politico, eco­nomico, siano così sfumati da divenire inesi­stenti.

Per quanto riguardava il campo scolastico veniva chiarito il carattere onnicomprensivo del nuovo impegno: “l’insegnamento religio­so, anche impartito con le dovute condizioni,

87 Cfr. quanto precedentemente accennato sulla tendenza del movimento cattolico a “farsi Stato”.88 Buaci, 15 dicembre 1928, n. 24, p. 862.89 Buaci, 15 febbraio 1929, n. 4, pp. 136-138, Dopo gli accordi tra la S. Sede e l ’Italia. Il pensiero dell’Azione Catto­lica Italiana.90 Vedi Arturo Carlo Jemolo, Chiesa e Stato in Italia dall’Unità ad oggi, Torino, Einaudi, 1970!, pp. 445-523.91 Buaci, 15 aprile 1929, n. 8, pp. 277-281, La nostra collaborazione. L’articolo non è firmato, quindi è da attribuir­si alla Giunta centrale.

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non basterebbe a formare nello scolaro una coscienza veramente cristiana, se nella vita di questo dovesse poi rimanere un episodio iso­lato, o, peggio, contrastante con altri episo­di. Bisogna che nella scuola lo scolaro trovi un ambiente dove il buon seme dell’istruzio­ne religiosa possa svolgersi e germinare” .

Notevole attenzione venne logicamente de­dicata alla vicenda del provvedimento per la parificazione degli istituti privati92, ma con una certa prudenza, dovuta alla maggiore consapevolezza che essi erano diventati una parte, e non la più importante, della posta in gioco: “è opportuno affermare che noi catto­lici non chiediamo il riconoscimento di tutti gli istituti privati, ma solo di quelli che che ne siano effettivamente degni, e questi purtrop­po non sono ancora la grande maggioran­za”93.

La promulgazione del decreto sulle parifi­cazioni veniva accolta con la dovuta soddi­sfazione: “Tutto il complesso delle norme suaccennate dimostra come il Ministero ab­bia conceduto la parificazione con una op­portuna larghezza94; ma giustamente intende che la concessione sia riservata agli istituti che ne siano effettivamente degni. Ed in que­sto non può non trovare la completa appro­vazione dei cattolici italiani, i quali desidera­no anch’essi che i nostri Istituti cattolici di educazione possano degnamente figurare vi­cino ai migliori Istituti di Stato”95.

La settimana sociale del 1929 si svolse in un clima doppiamente trionfalistico per la coincidenza in quell’anno del concordato e del giubileo sacerdotale di Pio XI a cui essa era dedicata96. Ai problemi scolastici era de­

dicata la consueta adunanza dei Segretariati per la scuola97. La relazione di Alessandrini, consacrata prevalentemente ai problemi del­l’insegnamento religioso non mancò di con­statare come “un gran numero dei punti con­tenuti nel programma compilato lo scorso anno e contenente le aspirazioni dei cattolici in ordine ai vari problemi scolastici, abbia ottenuto la sua realizzazione” e, sofferman­dosi sulla prima attuazione del decreto sulle parificazioni, dichiarò che “il conseguimento rapido di un così felice risultato deve attri­buirsi non solo al risultato favorevole dell’i­spezione degli istituti stessi, ma anche alla veramente encomiabile sollecitudine e alle buone disposizioni dell’Ispettorato per le scuole private” . Nonostante tale ottimismo il segretariato poche settimane dopo tornava a invitare alla prudenza e a misurare bene i propri passi; illustrando la circolare ministe­riale n. 77 del 15 maggio 192998 si faceva pre­sente come: “è meglio aspettare un anno a mettersi in regola, anziché esporsi ad un ri­fiuto. Il decreto di parificazione non è legato ad una disposizione transitoria, ma ad una disposizione definitiva. Esso conferisce in­dubbiamente dei vantaggi, ma per gli Istituti non preparati esso potrebbe anche essere ac­compagnato da oneri non facilmente soppor­tabili99. Un simile invito alla prudenza nasce­va, oltre che dalla reale conoscenza della condizione degli istituti privati cattolici, an­che dalla consapevolezza che eventuali in­convenienti nell’applicazione delle nuove di­sposizioni avrebbero immediatamente susci­tato la polemica da parte di quegli ambienti del regime, ormai minoritari ma non inin-

92 R.D. 25 aprile 1929, n. 647.93 Buaci, 15 marzo 1929, n. 6, pp. 223-224, Il riconoscimento degli istituti privati.94 Cosa che da parte dell’Ac fu riconosciuta anche per quanto riguardava le concrete modalità con cui venne attuato il provvedimento. Vedi più avanti.95 Buaci, 1 ° maggio 1929, n. 9, Sulla “parificazione” degli Istituti privati.96 Dedicata a “L’opera di Sua Santità Pio XI”.97 Buaci, 1° ottobre 1929, n. 18-19, pp. 714-71698 Circolare applicativa del R.D. 25 aprile 1929, n. 647.99 Buaci, 1° novembre 1929, n. 217, p. 792.

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fluenti, che avevano “digerito” il Concorda­to come uno stato di necessità.

L’Azione cattolica non poteva ovviamente non cogliere un’occasione così importante, come quella rappresentata dall’enciclica sul­l’educazione Divini illius magistrim per una messa a punto delle sue posizioni e delle sue prospettive. Dell’enciclica venne anzitutto, sia pure con la dovuta prudenza, sottolineata l’attualità precisando la sua importanza nel trattare il problema dell’educazione: “se lo consideriamo relativamente ai tempi in cui viviamo, il suo valore e la sua efficacia, ap­paiono anche più grandi insieme con la sua opportunità” ricordando come “le teorie co­sidette stataliste, che troppo attribuiscono al­lo Stato in materia di educazione, a danno dei diritti precedenti e preminenti della fami­glia e della Chiesa, non sono certo una novi­tà dei tempi nostri. Ma forse mai come oggi, ebbero una così vasta ed efficace diffusione, né mai ebbero un più vasto campo di applicazione”100 101. Nonostante il tono generi­co e il fatto che evitasse la polemica specifica non sembrano esserci dubbi sul valore politi­co di una simile, peraltro corretta, interpre­tazione dell’enciclica papale.

Due successive prese di posizione serviro­no a chiarire gli specifici compiti in materia educativa dell’Azione cattolica in riferimen­to all’enciclica. Veniva anzitutto ribadito che “l’Azione cattolica [...] è avanti tutto opera educativa, formativa. E ciò specialmente nel­le sue elementari sezioni, nelle sue più tenere branche, nelle organizzazioni giovanili. Qui il compito formativo diventa non solo essen­ziale ma precipuo, e quasi caratteristico”102. Con riferimento al ruolo educativo dello Sta­

to era ribadita la volontà dell’Ac in quanto tale di collaborare: “lo Stato, nell’esercizio delle sue funzioni educative, che sono a be­neficio di tutti i cittadini, deve essere da tutti coadiuvato, sia pure in diverso modo e misu­ra. E non c’è ragione perché l’Azione cattoli­ca, che opera nell’ambito delle leggi e delle istituzioni statali, e a beneficio della nazione, non debba dare la sua leale ed efficace colla­borazione anche allo Stato, nel campo edu­cativo”. È appena il caso di sottolineare co­me una simile ribadita offerta fosse non solo oggettivamente in collisione con le pretese di un totalitarismo monolitico, ma anche non poco ingombrante proprio perché difficile da rifiutare. Per evitare comunque pericolosi equivoci veniva ripetuto che “anche nel mo­mento attuale, come in tutti i momenti della sua storia ormai non breve, l’Azione cattoli­ca è chiamata a lavorare per scopi puramente religiosi, che si assommano in questa sempli­ce formula: formazione cristiana delle co­scienze, principio e base di ogni vera civiltà. E perciò l’opera sua è veramente e deve dirsi — per ripetere le parole del Santo Padre — ‘un’opera genuinamente religiosa’; e perciò ‘suo compito principalissimo”103. Non a caso nello stesso numero del “Bollettino ufficia­le” era riportato il comunicato apparso su “L’Osservatore romano” con cui veniva resa nota la circolare del segretario del Pnf con cui veniva chiarito che la compatibilità tra appartenenza al Partito nazionale fascista e all’Azione cattolica era da intendersi valida anche per quanto riguardava le altre organiz­zazioni del regime104.

L’azione quotidiana procedeva secondo i consueti binari. Con particolare attenzione

100 AAS, XXI, 1929, pp. 723-762.101 Buaci, 15 gennaio 1930, n. 2, pp. 45-48, Un immortale documento dottrinario della Chiesa.102 Buaci, V ili, n. 3, 1° febbraio 1930, pp. 89-92, Dopo l ’enciclica pontificia. Azione Cattolica ed Educazione.103 Buaci, 1° aprile 1930, n. 8, pp. 244-246, Dopo l ’enciclica sull’educazione cristiana. L ’Azione Cattolica e laScuola.

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venne seguito l’iter della seconda mandata di parificazioni105 e la notevole moderazione con cui si rispose agli interventi parlamentari di Gentile106. Questa moderazione era certo dovuta alla consapevolezza che l’influenza politica di Gentile era ormai in declino e che comunque si trattava pur sempre di un per­sonaggio che, da parte dei cattolici, poteva e doveva essere “tenuto buono”. Colpisce in­vece l’atteggiamento moderato di fronte al provvedimento che disponeva il blocco delle parificazioni107, atteggiamento che appare ispirato alla consapevolezza storica che se nel nuovo contesto concordatario si sareb­bero verificate crisi congiunturali e di aggiu­stamento, sarebbe stato al contrario molto difficile che si manifestassero rotture defi­nitive.

Alla vigilia della crisi del 1931 il Segreta­riato per la scuola risultava presente in 88 diocesi su 270108. Da tener presente che se­condo dati dell’estate del 1930 le giunte dio­cesane funzionanti erano 160109.

Questo non significa però che nella totalità delle altre diocesi non ci fosse qualcuno del- l’Ac che si occupasse in qualche modo di problemi scolastici, come è dimostrato dal fatto che le diocesi che risposero al citato questionario del 1927 furono ben 145. Te­nendo anche conto della non casuale circo­stanza che tale numero era pressoché uguale a quello delle giunte in cui risultava un Segre­tariato per la moralità, si può dire che i pro­

blemi dell’organizzazione periferica dell’A­zione cattolica scolastica erano nel comples­so gli stessi dell’Azione cattolica come orga­nizzazione generale. Da rilevare inoltre che, almeno dai dati disponibili, non risultava una corrispondenza particolare fra presenza di istituti cattolici e presenza dei segretariati. Questo tipo di difficoltà dovevano essere ben presenti agli interessati, come è dimostrato dalla costituzione, avvenuta nel 1928, di un Comitato centrale per l’educazione cattolica “sorto per iniziativa della Giunta centrale con lo scopo di integrare l’azione svolta dalla Commissione propriamente detta del Segre­tariato centrale, specialmente per quanto si riferisce al coordinamento dei vari enti che attendono nel campo cattolico ad attività re­lative alla scuola”110. Degno di nota il fatto che tale comitato funzionasse sotto la dire­zione del presidente generale dell’Ac. Pur non disponendo di notizie sistematiche sul suo funzionamento si può dire che tale comi­tato funzionò relativamente bene, poiché si può notare nel periodo interessato un mag­giore coordinamento fra Ac e Fnisp. In se­guito alla crisi del 1931 il Segretariato per la scuola cessò la sua attività111.

Questo non significa che l’Ac non si occu­passe più di problemi educativi o scolastici, ma significa, semplicemente, che non si oc­cupava più in modo sistematico di politica scolastica generale. Questo era senz’altro do­vuto alla consapevolezza che un organismo

105 Vedi Buaci, nn. 7,10 e 12.106 Buaci, 1° maggio 1930, n. 10, Abilitazioni e parificazioni degli Istituti privati. L’intervento di Gentile è in Atti Parlamentari, Senato, Discussioni, XXVIII legislatura, tornata del 12 aprile 1930.107 R.D. 26 giugno 1930, n. 966. Il parere della Ac in Buaci, 1° luglio 1930, n. 13, p. 480.108 “Annali dell’Italia cattolica”, 1930. Le diocesi diventavano 90 tenendo conto anche del Vicariato di Roma e della abbazia di Subiaco.109 Relazione di mons. Boni, direttore dell’ufficio giunte diocesane, in Buaci, 1° luglio 1930, n. 13, pp. 458-468, Il Convegno dei Consigli Superiori delle Organizzazioni di Azione Cattolica, soprattutto pp. 458-459, Lo stato attuale dell ’organ izzazione.110 Relazione e documentazione sull’attività svolta dalla Giunta Centrale di Ac nel biennio 1927-28 in Buaci, agosto 1929, nn. 15-16.111 Cfr. Buaci, 31 dicembre 1931, n. 20, Statuto dell’Azione Cattolica Italiana (aggiornato secondo le ultime disposi­zioni).

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dimostratosi relativamente vulnerabile come l’Ac non aveva abbastanza forza per affron­tare frontalmente un campo così delicato co­me quello scolastico.

Per quanto riguarda lo specifico settore delle scuole cattoliche il carattere solo relati­vo del disimpegno delle organizzazioni del- l’Ac è dimostrato dal particolare sviluppo che venne dato negli anni trenta alle associa­zioni interne nei collegi112, specie femminili. Si trattava di speciali associazioni della gio­ventù di Ac, costituite all’interno dei collegi per i soli studenti113. Si trattava di iniziative importanti in primo luogo da un punto di vi­sta interno della Chiesa, poiché costituivano il momento di saldatura tra una forma di apo­stolato sempre esistita come le scuole e una forma di apostolato nuova come l’Azione cat­tolica. Erano però importanti anche nell’ambi­to di una complessiva strategia di riconquista globale della società, come era esplicitamente

dichiarato in una pubblicazione riservata della Gioventù femminile di Azione cattolica114 che descriveva lo scopo “per quanto riguarda l’Ac” nei seguenti termini: “Conquistare l’ade­sione di alcune classi sociali, finora assenti in parte, o quasi totalmente. Tra l’elemento as­sente in parte, potremmo citare quello studen­tesco e quello delle classi professioniste e colte. Negli Istituti a tipo studentesco, possiamo arri­vare alle studenti (per il presente). Ed un grup­po di queste formerà appunto (nel futuro) la classe colta e professionista. Come elemento quasi totalmente assente, intendiamo quello delle classi sociali più elevate. Con queste possiamo entrare in contatto negli Educan­dati signorili, e gli sforzi non saranno mai troppi per guadagnare quelle anime, che han­no un’influenza grande, non soltanto nel lo­ro ambiente, ma anche su tutte le classi so­ciali ».

Angelo Gaudio

112 Ma anche più in generale in tutte le comunità di convivenza. Esistevano infatti associazioni speciali per orfanatro- fi, sanatori e simili con un grado di penetrazione totalitaria che i fascisti non erano nemmeno capaci di pensare.113 Gioventù femminile di Azione Cattolica, Le associazioni interne. Guida per la formazione e l ’assistenza delle as­sociazioni interne della Gioventù femminile di azione cattolica, Milano, Vitae Pensiero, 1938, p. 14.114 Altre notizie sulle associazioni interne femminili in A. Barelli, La sorella maggiore racconta, Milano, Edizioni O.R., 1949, pp. 181-184.