LA POLITICA ENERGETICA DELL’ITALIA REPUBBLICANA TRA...

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA” ________________________________________ TESI DI DOTTORATO DI RICERCA IN STORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI LA POLITICA ENERGETICA DELL’ITALIA REPUBBLICANA TRA INTERESSE NAZIONALE E VINCOLI ATLANTICI (1945-1975) COORDINATORE: Prof.re Gianluigi ROSSI TUTOR: Prof.ssa Laura SCALPELLI DOTTORANDO: Silvio LABBATE ________________________________________ 2009

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA”

________________________________________

TESI DI DOTTORATO DI RICERCA

IN

STORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI

LA POLITICA ENERGETICA DELL’ITALIA REPUBBLICANA TRA INTERESSE NAZIONALE E VINCOLI

ATLANTICI (1945-1975)

COORDINATORE: Prof.re Gianluigi ROSSI TUTOR: Prof.ssa Laura SCALPELLI

DOTTORANDO:

Silvio LABBATE

________________________________________

2009

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I

Ai miei cari che non ci sono più

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II

Ringraziamenti

Vorrei porgere i più sentiti ringraziamenti a tutti coloro che mi hanno aiutato con preziosi consigli nelle ricerche archivistiche e nella stesura di questa tesi. In particolare vorrei ringraziare il Prof. Daniele Caviglia per avermi indirizzato nella scelta di questo argomento molto affascinante, il Prof. Luca Micheletta e il Prof. Giampaolo Malgeri per avermi guidato nei primi passi della ricerca e la Prof.ssa Laura Scalpelli per il suo contributo finale.

Un grazie anche a tutto il personale delle biblioteche e degli archivi che ho visitato. Soprattutto alla gentilissima dott.ssa Elena Accorinti dell’ENEL, alla dott.ssa Lucia Nardi dell’ENI, al dott. Carmine Marinucci e all’avv. Davide Ansanelli dell’ENEA, alla dott.ssa Stefania Ruggeri dell’archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri, alla dott.ssa Nicoletta Vernillo e alla dott.ssa Margherita Martelli dell’Archivio Centrale di Stato, al Prof. Giovanni Battimmelli del Dipartimento di Fisica dell’Università La Sapienza, al dott. Grégoire Eldin degli Archivi Diplomatici del Ministère des Affaires Étrangères, al gentilissimo Prof. Giovanni Paoloni della Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari dell’Università La Sapienza e al dott. Giuliano Garavini per i suoi utili suggerimenti.

Un ringraziamento speciale infine va al dott. Giuseppe Accorinti e all’ing. Paolo Fornaciari per le preziose indicazioni e per avermi concesso un’intervista.

Silvio Labbate

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III

Indice generale

Ringraziamenti II Indice generale III Sigle e abbreviazioni VI CAPITOLO I GLI ALBORI DELLA POLITICA ENERGETICA ITALIANA 1. “Politica energetica” e centralità delle fonti primarie 1 2. La situazione energetica italiana prima della seconda guerra mondiale 2 3. Le conseguenze del conflitto e i primi passi verso una politica energetica nazionale 7 4. I primi passi della collaborazione europea nel settore nucleare 15 CAPITOLO II LA POLITICA ENERGETICA ITALIANA NEGLI ANNI CINQUANT A 1. Gli sviluppi dell’energia elettrica 17 2. L’espansione dell’energia nucleare 36

2.1 Dall’INFN al CNRN 36

2.2 Gli albori della collaborazione internazionale 41

2.3 Le prime centrali nucleari italiane 52

2.4 Dal CNRN al CNEN 56 3. La politica petrolifera di Mattei 59

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IV

CAPITOLO III LA POLITICA ENERGETICA DELL’ITALIA NEGLI ANNI SESSANTA 1. Gli sviluppi dell’energia elettrica e del nucleare 69

1.1 ENEL: organizzazione, investimenti e risultati 69

1.2 Gli investimenti dell’ENEL nel settore nucleare 75

1.3 Il caso Ippolito 79

1.4 Il CNEN dopo Ippolito 87

1.5 La CEE e i tentativi di avviare una politica energetica nucleare 90

1.6 Tra ambizioni nazionali e collaborazione internazionale 94

1.7 La nuova crisi del CNEN 104 2. La politica petrolifera italiana durante gli anni Sessanta 106

2.1 L’ENI dopo Mattei 106

2.2 L’ENI e il nucleare 111

2.3 Una politica energetica comune 115 3. La guerra dei Sei Giorni e la politica energetica 118 CAPITOLO IV LA CRISI ENERGETICA DEGLI ANNI SETTANTA 1. L’Italia alla vigilia dello “shock” 137 2. Il sogno di una politica energetica comunitaria 141 3. L’Italia e la crisi petrolifera dello Yom Kippur 144 4. La politica energetica italiana dopo lo scoppio della guerra del Kippur 157 5. L’Italia, la cooperazione europea e i rapporti con gli Stati Uniti 170 6. La politica filo-araba del governo italiano 190 7. La conferenza di Washington e la cooperazione internazionale 199

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V

CAPITOLO V LA RISPOSTA ITALIANA ALLA CRISI PETROLIFERA 1. Gli sviluppi dell’energia nucleare 209 2. I progetti di cooperazione nucleare europea 216 3. L’Italia e la politica energetica comunitaria 225 4. L’ENI e la politica petrolifera 230 5. La cooperazione internazionale 236 6. Il Piano Energetico Nazionale 251 7. L’Italia da Rambouillet alla CIEC 258 8. Dai problemi di attuazione del PEN all’abbandono del nucleare 265 CONCLUSIONI 271 Fonti e bibliografia 276 Indice dei nomi 310

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VI

Sigle e abbreviazioni ACEU Archive of the Council of the European Union ACLI Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani ACP African, Caribbean and Pacific Group of States ACS Archivio Centrale di Stato AECL Atomic Energy of Canada Limited AEN Agenzia per l’Energia Nucleare AEEN Agenzia Europea per l’Energia Nucleare AGIP Azienda Generale Italiana Petroli AID Agency for International Development AIEA Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica o IAEA AIPA Azienda Italiana Petroli Albanesi AMI Agenzia Multimediale Italiana NIGERIA ANIC Azienda Nazionale Idrogenazione Combustibili ANIDEL Associazione Nazionale Imprese produttrici e Distributrici di Energia

Elettrica ARAMCO Arabian American Oil Company ASE Archivio Storico dell’ENI ASENEA Archivio Storico dell’ENEA ASENEL Archivio Storico dell’ENEL ASGEN Ansaldo San Giorgio Compagnia Generale S.p.A ASMAE Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri ASSR Archivio Storico del Senato della Repubblica BIRS Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo CCR Centro Comune di Ricerca dell’EURATOM CEA Commissariat à l’Énergie Atomique CECA Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio CED Comunità Europea di Difesa CEE Comunità Economica Europea CEEA Comunità Europea dell’Energia Atomica o EURATOM CEGB Central Electricity Generating Board CEL Oleodotto nell’Europa Centrale CENTEC Gesellschaft für Centrifugentechnik m. b. H. CERN Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire CESI Centro Elettrotecnico Sperimentale Italiano CHAN Centre Historique des Archives Nationales CIA Central Intelligence Agency CIAU Comitato Italiano per l’Arricchimento dell’Uranio CIEC Conferenza sulla Cooperazione Economica Internazionale CIEP Council on International Economic Policy CIGRE Conférence Internationale des Grands Réseaux Électriques CIP Comitato Italiano Petroli CIPE Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica CIRENE CISE Reattore Nebbia CISE Centro Italiano di Studi ed Esperienze CLNAI Comitato di Liberazione Nazionale per l’Alta Italia CNEN Comitato Nazionale Energia Nucleare CNR Consiglio Nazionale delle Ricerche CNRN Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari

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VII

Coll. Collezione COREDIF Compagnie de Realisation d’Usine de Diffusion Gazeuse CPE Cooperazione Politica Europea DC Democrazia Cristiana DGAE Direzione Generale Affari Economici DGAP Direzione Generale Affari Politici DL Decreto Legge DM Decreto Ministeriale DPR Decreto del Presidente della Repubblica EDF Électricité de France EFIM Ente Partecipazioni e Finanziamento Industrie Manifatturiere ENE Ente Nazionale Energia ENEA Comitato nazionale per la ricerca e lo sviluppo dell’Energia Nucleare e delle

Energie Alternative, divenuto successivamente Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente

ENEL Ente Nazionale Energia Elettrica ENEN Ente Nazionale per Energia Nucleare ENI Ente Nazionale Idrocarburi ENSI Energia Nucleare Sud Italia ENUSA Empresa Nacional del Uranio SA ERDA Energy Research and Development Administration ERP European Recovery Program ESE Ente Siciliano di Elettricità ESK Europäische Schnellbrüter Kernkraftwerkgesellschaft ESSO nome commerciale internazionale utilizzato dalla EXXON e dalle sue

compagnie EURATOM Comunità Europea dell’Energia Atomica (CEEA) EUREX Enriched Uranium Extraction EURODIF European Gaseous Diffusion Uranium Enrichment Consortium FAST Federazione delle Associazioni Scientifiche e Tecniche FCO Foreign and Commonwealth Office FIAT Fabbrica Italiana Automobili Torino FIEN Forum Italiano dell’Energia Nucleare FLN Fronte di Liberazione Nazionale algerino FNAN Federazione Nazionale delle Aziende elettriche FO Foreign Office GeV Giga electron Volt GFL Gerald Ford Library GIAU Gruppo Italiano Arricchimento Uranio GLAT Gruppo di Lavoro per l’Area Tecnologica GNR Groupement Neutron Rapides GWe Gigawatt elettrico HAEC Historical Archives of the European Commission HAEU Historical Archives of the European Union IAEA International Atomin Energy Agency ICMESA Industrie Chimiche Meda Società Azionaria IEA International Energy Agency IEOC International Egyptian Oil Company INA Istituto Nazionale delle Assicurazioni INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare

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VIII

IPALMO Istituto per le Relazioni tra l’Italia e i Paesi dell’Africa, America Latina, Medio ed Estremo Oriente

IPC Iraq Petroleum Company IRI Istituto per la Ricostruzione Industriale ISMES Istituto Sperimentale Modelli e Strutture JET Joint European Tourus KV Chilovolt KWh Chilowattora LBJL Lyndon Baines Johnson Library MAE Ministero degli Affari Esteri MAEF Ministère de Affaires Étrangères Français MEC Mercato Europeo Comune MERISINTER Società per azioni Meridionale Prodotti Sintetizzati MW Megawatt MWe Megawatt elettrico NARA National Archives and Record Administration NATO North Atlantic Treaty Organization Nda Nota dell’autore NEA Nuclear ENEL Alusuisse NERSA Nucléaire Européenne à Neutrons Rapides S. A. NIOC National Iranian Oil Company NIRA Nucleare Italiana Reattori Avanzati NPMP Nixon Presidential Materials Project NRC Nuclear Regulatory Commission NSC National Security Council NSF National Security Files NSSM National Security Study Memorandum NUCLIT Nucleare Italiana OAPEC Organization of Arab Petroleum Exporting Countries OCSE Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico o OECD OECD Organisation for Economic Co-operation and Development o OCSE OECE Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea OLP Organizzazione per la Liberazione della Palestina ONU Organizzazione delle Nazioni Unite OPEC Organization of Petroleum Exporting Countries OPEN Organizzazione di Produttori di Energia Nucleare OTAN Organisation du Traité de l’Atlantique du Nord PAC Politica Agricola Comune PCUT Programma Ciclo Uranio-Torio PEC Prova Elementi di Combustibile PEN Piano Energetico Nazionale PIL Prodotto Interno Lordo PLI Partito Liberale Italiano PRI Partito Repubblicano Italiano PRO Progetto Reattore Organico PSDI Partito Socialista Democratico Italiano PSI Partito Socialista Italiano PUN Progetto Unificato Nucleare PVS Paesi in Via di Sviluppo PWR Pressurized Water Reactor ROVI Reattore Organico Vapore Industriale

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IX

RWE Rheinisch-Westfälisches Elektrizitätswerk SADE Società Adriatica di Elettricità SAIP Società Automazioni Impianti Produttivi SAIPEM SAIP e Montaggi SALT Strategic Arms Limitation Talks SELNI Società Elettronucleare Italiana SEEA Società Europea per l’Energia Atomica SENN Società Elettronucleare Nazionale SGES Società Generale Elettrica della Sicilia SGHWR Steam Generatine Heavy Water Reactor SICN Société Industrielle de Combustibles Nucléaires SICS Società Italiana Carburanti Sintetici SIEN Société Industrielle de Combustibles Nucléaires SIMEA Società italiana meridionale per l’energia atomica SIP Società Idroelettrica Piemontese SIRIP Società Irano-Italienne des Pétroles SME Società Meridionale dell’Elettricità SNAM Società Nazionale Metanodotti SNIA Società Nazionale Industrie Applicazioni SNR Schnell Natrium Reaktor SOFIDIF Société Franco-Iranienne pour l’Enrichissement de l’uranium par Diffusion

gazeuse SOMAIR Société des Mines de l’Aïr SOMICEM Società Mineraria Centro Meridionale SOMIREN Società Minerali Radioattivi Energia Nucleare SORIN Società Ricerche Impianti Nucleari START Strategic Arms Reduction Treaty SVIMEZ Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno SWUCO Separative Work Units Corporation SYBESI Syndicat Belge pour la Séparation Isotopique TAPLINE Trans-Arabian Pipeline TNA The National Archives TNP Trattato di Non Proliferazione nucleare TNPG The Nuclear Power Group Ltd. TRA Testimonianza resa all’autore TVA Tennessee Valley Authority Udc. Unità di condizionamento UKAEA United Kingdom Atomic Energy Authority UNCTAD United Nations Conference on Trade and Development UNESCO United Nations Educational Scientific and Cultural Organization UNIEL Unione Industrie Elettriche UNIPÈDE Union Internationale des Producteurs et Distributeurs d’Énergie Électrique URENCO Uranium Enrichment Company URSS Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche USA United States of America USAEC United States Atomic Energy Commission VDEW Verband Deutscher Elektrizitätswerke

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CAPITOLO I

GLI ALBORI DELLA POLITICA ENERGETICA ITALIANA

1. “Politica energetica” e centralità delle fonti primarie

Il termine “politica energetica” venne introdotto durante gli anni Settanta per indicare

tutte quelle iniziative nazionali volte a risolvere questioni quali le difficoltà

nell’approvvigionamento petrolifero, l’aumento dei costi energetici nazionali e le relative

necessità di razionalizzazione dei consumi interni. Misure simili vennero adottate in tutti i paesi

durante i due conflitti mondiali e vertevano sulla necessità di congelare le risorse esistenti per

evitare periodi di cosiddetto blackout energetico. A partire dalla fine della seconda guerra

mondiale tutto il mondo industrializzato aveva potuto contare su una fonte energetica

abbondante: il petrolio. La caratteristica principale di questa risorsa consisteva nella sua

“economicità”1: risultava competitiva rispetto alle altre fonti, facile da trasportare e molto duttile

nelle sue utilizzazioni2. Queste qualità avevano indotto i governi di tutti i paesi industrializzati a

abbandonare qualsiasi investimento immediato sulle altre risorse esistenti (carbone e energia

nucleare), finendo quasi per far coincidere, almeno fino agli anni Sessanta, le politiche

energetiche nazionali con le iniziative in campo petrolifero3. Non si poteva parlare di vere e

proprie politiche di programmazione settoriale ma la necessità dei paesi poveri, fra cui l’Italia, di

garantirsi le risorse per far fronte al fabbisogno energetico nazionale aveva spinto i governi a

prendere delle contromisure4.

Il punto focale di qualsiasi politica energetica nazionale consisteva dunque nella necessità

di possedere una fonte primaria idonea a produrre energia5: grazie alle innovazioni tecnologiche

introdotte durante il periodo conosciuto come rivoluzione industriale, il carbone svolse questo

ruolo nel corso di tutto il XIX° secolo. L’invenzione del motore a scoppio, tuttavia, comportò

1 Le grandi scoperte del Medio Oriente, del Nord America, dell’America Latina, dell’Unione Sovietica e, successivamente, dell’Africa settentrionale e occidentale avevano contribuito a aumentare il livello delle riserve di petrolio greggio determinandone in conseguenza una rilevante diminuzione dei prezzi; per approfondimenti si veda, ad esempio, P. Bairoch, Economia e storia mondiale, Cernusco, 1996. 2 Cfr. N. J. D. Lucas, Energy and the European Communities, London, 1977, p. 263. 3 Per approfondimenti su questo processo si vedano, tra gli altri, J. G. Clark, The political economy of world energy: a twentieth-century perspective, New York, 1990, p. 95 e ss.; B. Curli, Le origini della politica energetica comunitaria, 1958-64, in M. Guderzo, M. L. Napolitano (a cura di), Diplomazia delle Risorse. Le materie prime e il sistema internazionale del Novecento, Firenze, 2004, pp. 95-97; J. A. Hassan, A. Duncan, The Role of Energy Supplies during Western Europe’s Golden Age, 1950-1972, in «The Journal of European Economic History», vol. 18, n. 3, 1989, pp. 482-488. 4 Per un’analisi sul problema della sicurezza degli approvvigionamenti e sulla ricerca di fonti di energia alternative si vedano, tra gli altri, F. Garino, Il petrolio oggi e domani, in «Relazioni Internazionali», XXXVII, n. 42, 1973, pp. 325-328; M. Guderzo, M. L. Napolitano (a cura di), Diplomazia delle Risorse, cit. 5 Per uno studio sulle fonti e sulle forme di energia si vedano, tra gli altri, A. Cardinale, A. Verdelli, Energia per l’industria in Italia. La variabile energetica dal miracolo economico alla globalizzazione, Milano, 2008, pp. 17-26; L. Bruni, M. Colitti, La politica petrolifera italiana, Milano, 1967, pp. 5-16; V. D’Ermo, Le fonti di energia tra crisi e sviluppo. Mercati e operatori, Roma, 1997.

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una parziale sostituzione del carbone con i primi prodotti petroliferi. Prima di questa invenzione

l’utilizzo del petrolio era rimasto limitato a causa di numerosi ostacoli tecnici: diversamente dal

carbone, infatti, il petrolio non poteva (e ancora oggi è lo stesso) essere utilizzato direttamente

come combustile, ma doveva essere trasformato in prodotti derivati attraverso il procedimento di

raffinazione6. Nel XIX° secolo iniziò inoltre anche la produzione su scala industriale dell’energia

elettrica; quest’ultima, oltre a alimentare gli apparati elettronici, risultava facile da convertire in

energia luminosa, meccanica e termica. Questa energia poteva essere ottenuta sia sfruttando le

risorse idriche presenti nel territorio, sia utilizzando apparecchiature alimentate da carbone e dai

prodotti derivati del petrolio.

A partire dal Novecento, e più precisamente dopo il primo conflitto mondiale,

l’eccezionale sviluppo nel settore dei trasporti portò a una rapida espansione dell’utilizzo del

petrolio. Stessa sorte ebbe l’energia elettrica con i nuovi impieghi per la produzione di energia

meccanica, per l’illuminazione, per il trasporto su rotaia e, infine, per l’alimentazione dei primi

apparecchi elettronici. Il carbone venne invece sempre più accantonato per la creazione di

energia meccanica e usato principalmente nel settore termoelettrico a integrazione dell’energia

idroelettrica. Questi sviluppi risultavano più evidenti negli Stati Uniti, all’avanguardia

nell’utilizzazione del petrolio e dei suoi derivati, ma iniziarono a diffondersi anche nei paesi

dell’Europa Occidentale. Tutto ciò era l’effetto dell’eccezionale aumento della popolazione e

della ricchezza pro-capite che determinavano a loro volta un incremento dei fabbisogni

energetici e la necessità per i governi di assicurare un adeguato approvvigionamento nazionale. Il

secondo conflitto mondiale bloccò temporaneamente questa tendenza, soprattutto in Europa.

2. La situazione energetica italiana prima della seconda guerra mondiale

Il problema della mancanza di fonti energetiche primarie in Italia si presentò in tutta la

sua gravità già a partire dall’avvio del primo processo di industrializzazione. La carenza di

risorse carbonifere7 e l’elevato costo di trasporto determinavano un prezzo di acquisto delle fonti

energetiche primarie molto più alto di quello praticato negli altri paesi europei che disponevano

di proprie risorse carbonifere8. Questa situazione pesò fortemente sull’industria italiana,

specialmente su quella metallurgica, e venne considerata la principale causa del ritardo

6 Per uno studio sulla storia delle raffinerie petrolifere italiane si veda G. E. Kovacs, Storia delle raffinerie di petrolio in Italia, Roma, 1964. 7 Cfr. C. Bardini, Senza carbone nell'eta del vapore: gli inizi dell'industrializzazione italiana, Milano, 1998, pp. 20-29. 8 Cfr. A. Fossati, Lavoro e produzione in Italia: dalla metà del secolo XVIII alla seconda guerra mondiale, Torino, 1951, pp. 239-240.

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complessivo9. Nulla tuttavia si fece per colmare questo gap, che pure era “ritenuto una causa

permanente di svantaggio dell’industria italiana rispetto a quella degli altri Paesi europei, tale da

giustificare un regime di deciso protezionismo industriale”10. D’altro canto, il ritardo italiano non

era determinato solo dal costo elevato degli approvvigionamenti di materie prime ma risultava

aggravato dalla scarsità di capitali, dalla mancanza di un diffuso spirito imprenditoriale e dalla

carenza di adeguate conoscenze tecniche.

La situazione iniziò a modificarsi con la produzione di energia elettrica11 derivante dallo

sfruttamento delle risorse idriche presenti sul territorio italiano. Durante il primo decennio del

Novecento, l’abbondanza di acque sulle Alpi, e in parte sugli Appennini, portò a un rapido

aumento degli investimenti privati nel settore, associato a uno sviluppo molto elevato della

produzione di energia elettrica e a positive ricadute sull’economia del paese12. A causa della

struttura fisica del territorio il boom degli investimenti e della produttività industriale si verificò

però quasi esclusivamente nel nord del paese, aggravando così lo squilibrio economico e sociale

con il meridione.

Diversamente da quanto avvenuto in tutti gli altri settori produttivi, nell’industria elettrica

gli investimenti pubblici italiani, sia diretti che indiretti, furono praticamente assenti durante il

periodo iniziale. Il governo si limitò a eliminare quegli ostacoli giuridici e infrastrutturali che

avrebbero potuto compromettere l’evoluzione della nascente industria elettrica13. Il settore

energetico italiano non poteva però contare sull’utilizzo delle sole risorse idroelettriche per

rispondere alle esigenze della domanda interna e dovette fare i conti con la necessità di reperire

combustibili solidi dall’estero a prezzi elevati14. Ciò indusse il governo a investire direttamente

nel settore dell’industria elettrica con il Regio Decreto Legge n. 2161 del 9 ottobre 1919 che

9 Per uno studio sul rapporto energia-produttività, soprattutto per quanto concerne il caso italiano, si vedano, tra gli altri, A. Cardinale, A. Verdelli, Energia per l’industria in Italia. La variabile energetica dal miracolo economico alla globalizzazione, cit., pp. 27-34; A. Clô, Crisi energetica: consumi, risparmi e penetrazione elettrica, in G. Zanetti (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 5, Gli sviluppi dell’ENEL. 1963-1990, Roma-Bari, 1994, pp. 85-87; U. Colombo, Energia: storia e scenari, Roma, 2000, p. 63 e ss.; C. Pavese, L’energia, le risorse, l’ambiente, in P. A. Toninelli (a cura di), Lo sviluppo economico moderno: dalla rivoluzione industriale alla crisi energetica, Venezia, 2006, pp. 107-154; V. Smil, Storia dell’energia, Bologna, 2000, p. 9 e ss. 10 L. Bruni, M. Colitti, La politica petrolifera italiana, cit., p. 36. 11 L’uso di questa energia in Italia venne avviato alla fine dell’Ottocento grazie all’opera svolta dal Comitato promotore per l’applicazione dell’energia elettrica fondato a Milano nel 1881. Nei primi anni essa venne prodotta mediante piccole centrali termiche a carbone all’interno delle città e impiegata per l’illuminazione civile e urbana; il raggio limitato di azione e il costo elevato delle reti elettriche rendevano però poco appetibile l’energia elettrica e favorivano l’impiego del gas. 12 A favorire questo sviluppo intervenne anche l’invenzione del motore a corrente alternata che rese possibile il trasporto dell’energia elettrica a distanza e a costi sostenibili. Furono i tedeschi a investire in modo massiccio in Italia, spinti non solo dalla possibilità di effettuare investimenti decisamente redditizi, ma anche dall’opportunità di creare un nuovo mercato in cui esportare i propri macchinari elettrici. 13 Nel 1898 ci fu un acceso dibattito nazionale sull’opportunità o meno di procedere a una nazionalizzazione del settore elettrico, ma nel 1903 si scelse di emanare solo una legge sull’assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni, permettendo la nascita di società municipalizzate con lo scopo di erogare energia elettrica a costi più bassi rispetto a quelli praticati dai soggetti privati (cfr. legge n. 103 del 29 marzo 1903). 14 Per uno studio sul problema della disponibilità delle fonti primarie per lo sviluppo dell’energia elettrica in Italia si veda F. Silari, L’industria elettrica e i problemi energetici, in V. Castronovo (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 4, Dal dopoguerra alla nazionalizzazione 1945-1962, Roma-Bari, 1994, pp. 275-319.

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concesse forti agevolazioni tributarie e contributive per la costruzione di serbatoi e finanziamenti

in funzione della potenza installata15. Quest’ultima, grazie alle disposizioni governative, aumentò

rapidamente, così come la produzione nazionale di elettricità, ma il carbone continuò a essere la

principale fonte di calore industriale e i costi complessivi dell’energia in Italia rimasero di gran

lunga superiori a quelli degli altri paesi industrializzati.

Durante gli anni del regime fascista, grazie a varie favorevoli concessioni, il numero delle

società che operavano nel settore elettrico aumentò considerevolmente. Nel 1925 le principali

aziende elettriche operanti in Italia, oltre alle cosiddette municipalizzate, erano la SIP, l’Edison,

la SADE e la SME. Dal 1921 al 1931 gli investimenti ricevettero un forte impulso grazie

soprattutto all’afflusso di capitali americani e di massicci contributi statali: gli impianti

idroelettrici alpini vennero raccordati con quelli appenninici, furono create altre linee di trasporto

e di distribuzione e, infine, continuò l’utilizzo dell’energia elettrica nelle ferrovie. Con il crollo

della borsa di Wall Street del 24 ottobre 1929, l’Italia perse gran parte degli investimenti

americani ma guadagnò posizioni nel settore dell’intervento pubblico mediante la costituzione

nel 1933 dell’IRI. Nato come ente provvisorio con il compito di salvare il sistema creditizio

italiano dalla crisi, l’IRI assunse il controllo della SIP e si fece promotore di un nuovo sviluppo

del settore elettrico attraverso la proprietà di banche e di imprese che comunque continuarono a

mantenere la loro struttura giuridica di società per azioni. Nel 1937 l’IRI da ente temporaneo

divenne permanente con l’incarico di gestire direttamente le imprese che fino a quel momento

aveva indirettamente controllato. Lo Stato italiano, quindi, si trovò nel giro di pochi anni a

controllare ampie porzioni dell’industria nazionale e del sistema creditizio, in particolare nei

settori ad alta intensità di capitale con imprese di grandi dimensioni, fra cui l’ottanta percento del

settore bancario e ben il trenta percento dell’industria elettrica. Il numero delle centrali andava

sempre più aumentando e così anche la diversificazione della produzione, concentrata per ben tre

quarti in Piemonte, in Lombardia e in Veneto16.

Oltre che per l’energia elettrica, l’interesse dell’Italia si manifestò anche nei confronti del

petrolio. La ricerca di questa fonte primaria sul territorio nazionale iniziò già nel 1862, ma i

risultati furono decisamente deludenti17. L’intera penisola venne considerata di scarso interesse

da parte degli investitori privati che abbandonarono quasi del tutto le ricerche. La convenienza

economica del rischio di investimento venne ulteriormente minata dalla notevole diminuzione

dei prezzi all’importazione del petrolio che scesero da 330 a 170 lire la tonnellata fra il 1870 e il

15 Cfr. Regio Decreto Legge n. 2161 del 9 ottobre 1919. 16 Per approfondimenti si veda B. Bottiglieri, L’industria elettrica dalla guerra agli anni del «miracolo economico», in V. Castronovo (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 4, cit., pp. 62-66. 17 Cfr. M. Boldrini, Problemi economici del metano in Italia, Roma, 1953, p. 13.

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191018. Ciò indusse il governo a intervenire direttamente concedendo dapprima premi ai

perforatori in funzione alle profondità raggiunte e rinunciando a qualunque forma di imposta o

royalty e, successivamente, istituendo compensi proporzionali alla quantità di derivati petroliferi

prodotti con greggio di provenienza italiana e offrendo ai privati l’uso gratuito degli impianti di

perforazione. Nonostante questi tentativi, le quantità di petrolio trovate nel territorio nazionale

risultarono praticamente insignificanti così che l’intera porzione di prodotti petroliferi utilizzati

in Italia veniva importata19.

Anche se i risultati furono deludenti, principalmente per quanto riguardava le ricerche

petrolifere, il governo decise di investire ancora nel settore delle fonti di energia. Questo

indirizzo divenne quasi obbligatorio in quanto la profonda crisi finanziaria e i successivi tentativi

di salvataggio bancario portarono lo Stato a rilevare un numero considerevole di società operanti

nel settore elettrico. D’altra parte, i notevoli investimenti effettuati costrinsero in un certo qual

modo il governo a continuare sulla strada dell’intervento pubblico nel tentativo di ottenere dei

risultati soddisfacenti e di permettere all’economia italiana di arginare la crisi in atto. Un primo

significativo esempio di questa politica fu la creazione nel 1926 dell’AGIP, un ente statale con il

compito specifico di operare nel settore petrolifero20. Nonostante in quegli anni il carbone fosse

ancora la principale fonte di energia consumata con più del cinquanta percento di utilizzo21, il

governo decise di operare una scelta lungimirante, ritenendo che anche in Italia il petrolio si

avviasse verso un considerevole sviluppo, ritenuto fondamentale per soddisfare i consumi del

tempo. Del resto negli altri Stati industrializzati l’oro nero aveva avuto e continuava a avere un

ruolo determinante nell’avvio di un nuovo processo di crescita finanziaria e di sviluppo

economico. L’obiettivo principale del governo consisteva quindi nel garantire al paese un

approvvigionamento petrolifero adeguato attraverso la creazione di un ente statale che operasse

sia nel mercato interno che in quello estero. Considerati gli anni in cui si prese questa decisione è

plausibile ritenere che gli interessi militari giocarono un ruolo importante: era impensabile che in

caso di un nuovo conflitto bellico l’esercito italiano si ritrovasse infatti sprovvisto di risorse

petrolifere e non potesse utilizzare i propri mezzi di difesa, oppure, ipotesi ancora peggiore,

18 Cfr. L. Bruni, M. Colitti, La politica petrolifera italiana, cit., p. 39. 19 Per uno studio sulle vicende che portarono alla nascita di una politica nazionale nel settore petrolifero si vedano, tra gli altri, C. Alimenti, La questione petrolifera in Italia, Torino, 1937; L. Bruni, M. Colitti, La politica petrolifera italiana, cit.; M. Magini, L’Italia e il petrolio tra storia e cronologia, Milano, 1976; M. Pizzigallo, Alle origini della politica petrolifera italiana (1920-1925), Milano, 1981; D. Pozzi, Dai gatti selvaggi al cane a sei zampe: tecnologia, conoscenza e organizzazione nell'AGIP e nell'ENI di Enrico Mattei, Venezia, 2009, pp. 19-140; F. Squarzina, Le ricerche di petrolio in Italia: cenni storici dal 1860 e cronache dell’ultimo decennio, Roma, 1958. 20 La costituzione dell’AGIP avvenne ufficialmente mediante il Regio Decreto Legge n. 556 del 3 aprile 1926 e con la formula di società per azioni. Il capitale sociale era conferito per il sessanta percento dal Ministero del Tesoro, per il venti percento dall’INA e per il restante venti percento dalle Assicurazioni Sociali. Il primo presidente fu Ettore Conti, imprenditore del settore elettrico. 21 Per uno studio sui consumi energetici italiani si rimanda a P. Malanima, Energy consumption in Italy in the 19th and 20th centuries. A statistical outline, Napoli, 2006.

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dovesse dipendere dalle società straniere operanti in Italia che potevano anche risultare ostili nel

corso dello scontro armato.

La creazione dell’AGIP indicava quindi in un certo qual modo la fine dell’intervento

pubblico nel settore petrolifero; il governo sembrava orientato a far operare il nuovo ente nel

mercato come azienda privata, seguendo l’esempio delle grandi compagnie petrolifere

internazionali22. L’AGIP rappresentava uno “strumento della politica autarchica dello Stato, cui

era affidato il compito di sopperire alla carenza di iniziative dei gruppi industriali privati, poco

propensi ad affrontare il rischio della ricerca petrolifera”23; per questo motivo gli vennero

affidate competenze molto estese che andavano dalla ricerca e produzione di greggio, al

trasporto e alla raffinazione, fino a comprendere la distribuzione e la vendita del prodotto finito.

Nella sua attività l’AGIP24 operò attraverso la creazione di altre società controllate che agivano

in settori precisi e zone limitate; nel campo dell’esplorazione petrolifera, inoltre, “più che

operare in proprio, agiva da contrattista per lo Stato, che stanziava appositi fondi ed incaricava

l’AGIP di attuare piani di ricerca approvati volta per volta”25.

Il primo obiettivo del nuovo ente consisteva ovviamente nell’assicurare al paese un

adeguato approvvigionamento di petrolio attraverso la ricerca mineraria sul territorio nazionale

ma anche in quello delle colonie e in Albania. In secondo luogo, la nuova azienda cercò di

acquisire partecipazioni in società petrolifere dell’Europa orientale e nel Medio Oriente. A

favorire l’AGIP nelle ricerche nazionali intervenne la cosiddetta “legge mineraria fondamentale”

del 192726 che attribuiva la proprietà del sottosuolo al demanio dello Stato e imponeva che

qualsiasi attività di perforazione e prelievo fosse preventivamente soggetta a autorizzazione e/o a

concessione governativa. Piccoli giacimenti di gas naturale vennero scoperti nel 1929 a

Fontevivo (Parma), nel 1935 a Bellena e a Podenzano e nel 1942 a S. Giorgio, vicino Bolzano; il

primo ritrovamento di un certo rilievo avvenne però solo nel 1944-1945 con il ricco giacimento

di gas naturale di Caviaga (Lodi). Le ricerche petrolifere da parte degli imprenditori privati

continuarono ma non assunsero mai dimensioni paragonabili a quelle dell’AGIP. Sul mercato

interno quest’ultima operò anche grazie all’aiuto dell’ANIC, una società costituita nel 1935 in

accordo con la Montecatini e in cui l’AGIP aveva una partecipazione rilevante, creata con

l’obiettivo di aumentare velocemente la capacità di raffinazione e di diminuire le importazioni di

22 Cfr. L. Bruni, M. Colitti, La politica petrolifera italiana, cit., p. 43. 23 Appunto interno all’ENI (non firmato), ASE, coll. AS. III. 6, udc. 8. 24 Per uno studio sulla storia dell’AGIP si vedano R. Fabiani, La ricerca del petrolio: A.G.I.P., Azienda Generale Italiana Petroli, Roma, 1950; F. Guidi, History of AGIP: an example of upstream development, San Donato Milanese, 1994; M. Pizzigallo, L’AGIP degli anni ruggenti (1926-1932), Milano, 1984; Id., La “politica estera” dell’AGIP (1933-1940). Diplomazia economica e petrolio, Milano, 1992; D. Pozzi, Dai gatti selvaggi al cane a sei zampe, cit., pp. 141-268; AA. VV., Nascita e trasformazione d’impresa: storia dell’AGIP Petroli, Bologna, 1993. 25 L. Bruni, M. Colitti, La politica petrolifera italiana, cit., p. 43. 26 Cfr. Regio Decreto Legge n. 1443 del 29 luglio 1927.

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prodotti raffinati sostituendoli direttamente con petrolio greggio27. Per quanto concerneva il

settore della distribuzione dei prodotti petroliferi, l’AGIP tentò di aumentare il più possibile la

propria quota di mercato ricorrendo perfino a vere e proprie guerre di prezzi28.

Le attività di ricerca all’estero produssero risultati limitati; giacimenti petroliferi

produttivi si scoprirono in Albania e l’estrazione avvenne mediante la costituzione, in

collaborazione con le Ferrovie dello Stato, dell’AIPA, anche se il greggio risultò di cattiva

qualità e la sua lavorazione scarsamente redditizia. Le promettenti operazioni di prospezione

avviate in Iraq e in altri paesi vennero invece abbandonate a causa delle notevoli spese sostenute

per le campagne coloniali italiane. Solo in Libia le prospezioni continuarono grazie alla scoperta

casuale di petrolio avvenuta nel 1939 e da cui ebbe origine la cosiddetta “operazione Petrolibia”:

si trattava di una collaborazione dell’AGIP con la FIAT mediante la creazione della SICS che si

proponeva di ricavare benzina dalla sintesi chimica. L’AGIP aveva deciso infatti di investire

molte risorse nella ricerca di fonti di energia alternative, ma i risultati si rivelarono inferiori alle

aspettative.

In concomitanza con i primi anni del conflitto, l’azienda pubblica italiana si interessò

soprattutto al metano: nel 1940 venne infatti costituito l’Ente Nazionale Metano con il compito

di eseguire, controllare e coordinare le ricerche di sorgenti e di giacimenti metaniferi sul

territorio nazionale29. L’anno successivo si creò invece la SNAM il cui mandato prevedeva la

costituzione di una rete di metanodotti per unire le zone produttive scoperte fino a quel momento

dall’AGIP alle centrali di compressione.

3. Le conseguenze del conflitto e i primi passi verso una politica energetica nazionale

Il secondo conflitto mondiale, a causa del massiccio bombardamento subito dall’Italia e

per via del drammatico esito finale, rappresentò una grave battuta d’arresto per la politica

energetica nazionale. Nel settore elettrico si dovette registrare la distruzione di ben un quarto

della potenza installata precedentemente; a farne le spese fu principalmente l’energia

termoelettrica in quanto i relativi impianti erano situati nei pressi di zone portuali e industriali e,

27 La norma protezionistica emanata con il Regio Decreto Legge del 2 novembre 1933 in materia di raffinerie permise all’AGIP di ottenere vantaggi anche in questo settore (cfr. Regio Decreto Legge n. 1741 del 2 novembre 1933, “Disciplina dell'importazione, della lavorazione, del deposito e della distribuzione degli oli minerali e dei carburanti”, convertito nella legge n. 367 dell’8 febbraio 1934 e dotato di un regolamento di attuazione con il Regio Decreto Legge n. 1303 del 20 luglio 1934). 28 Cfr. L. Bruni, M. Colitti, La politica petrolifera italiana, cit., p. 46. 29 Cfr. legge n. 1501 del 2 ottobre 1940.

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quindi, vicino ai principali obiettivi bellici30. I primi anni del dopoguerra si impiegarono dunque

per la ricostruzione di tutto ciò che era stato danneggiato, nel tentativo di riportare la situazione

al periodo prebellico31. Con la nascita della Repubblica si decise inoltre di inserire nella nascente

Costituzione l’articolo 43 secondo cui:

“Ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante

espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di

utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o

a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse

generale”.

Si decise pertanto di non eliminare l’IRI ma di trasformarlo in uno strumento di

ammodernamento del paese. L’uso dei massicci aiuti internazionali32 risultò determinante per la

ripresa nel settore elettrico mediante la graduale conversione delle industrie nazionali belliche in

imprese varie che iniziarono a produrre, tra l’altro, componenti tecnologici per la produzione

della stessa energia elettrica33.

Conseguenze meno distruttive si ebbero nel settore petrolifero, comunque costretto a uno

sforzo di rilancio. Dopo l’armistizio di Cassibile, nella Repubblica Sociale Italiana venne deciso

di commissariare l’AGIP e di spostarne la sede sociale a Milano; si paventò addirittura l’ipotesi,

dietro pressioni americane, di chiudere completamente l’ente di Stato. Ciononostante, le ricerche

di giacimenti produttivi sul territorio italiano continuarono e, come già accennato, portarono alla

scoperta del gas naturale di Caviaga, presso Lodi. In un primo momento le dimensioni del

giacimento non erano state ben determinate e si pensava fossero simili agli altri siti produttivi

precedentemente rinvenuti e rivelatisi decisamente esigui. La guerra e le precarie condizioni

economiche pesarono notevolmente in questa prima affrettata valutazione. Con il passare dei

mesi, invece, il gas naturale che veniva estratto non sembrava diminuire e ciò indusse i tecnici

dell’AGIP a ritenere il nuovo giacimento ben più grande di quanto inizialmente ipotizzato. In

ogni caso le vicende postbelliche non agevolavano la vita dell’ente statale. Nel febbraio del 1945

30 Per uno studio sulla situazione strutturale italiana nel settore elettrico e sulle innovazioni introdotte a partire dalla fine degli anni Quaranta si veda L. De Paoli, Programmi di investimento e novità tecniche, in V. Castronovo (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 4, cit., pp. 167-238. 31 Per uno studio sul ruolo della ricerca di fonti energetiche nazionali in funzione della ricostruzione si veda R. Ranieri, L’approvvigionamento di materie prime nella ricostruzione italiana, in L. Tosi (a cura di), Politica ed economia nelle relazioni internazionali dell’Italia del secondo dopoguerra. Studi in ricordo di Sergio Angelini, Roma, 2002, p. 211 e ss. 32 Del resto la questione energetica divenne uno dei problemi centrali dello stesso Piano Marshall (per uno studio sul rapporto fra aiuti americani e problemi energetici europei si vedano E. B. Kapstein, The Insecure Alliance: Energy Crises and Western Politics since 1944, Oxford, 1990, p. 68 e ss.; L. Maugeri, L'arma del petrolio. Questione petrolifera globale, guerra fredda e politica italiana nella vicenda di Enrico Mattei, Firenze, 1994, pp. 49-54). 33 Per ulteriori approfondimenti si veda B. Bottiglieri, L’industria elettrica dalla guerra agli anni del «miracolo economico», in V. Castronovo (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 4, cit., pp. 68-75.

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si insediò a Roma un consiglio di amministrazione che riportò la sede sociale nella capitale e

nominò alla presidenza il senatore Arnaldo Petretti; per un periodo sopravvissero dunque due

sezioni dello stesso ente. Le pressioni anglo-americane si indirizzarono verso il tentativo di

indurre la chiusura della stessa AGIP; inoltre, gli interessi di Londra e Washington nel settore

petrolifero erano notevolmente cresciuti dopo una serie di ingenti investimenti. La sola

potentissima Standard Oil of New Jersey (EXXON) era giunta a controllare una miriade di

società34 e si temeva che l’AGIP, qualora fosse rimasta in vita, potesse ricevere vantaggi statali a

danno degli interessi stranieri35. Il clima politico italiano spingeva del resto verso una soluzione

non molto dissimile: l’ente statale veniva visto come uno dei tanti istituti voluti dalla politica

autarchica degli anni del fascismo che bisognava eliminare per dare spazio allo sviluppo

dell’iniziativa privata. Di certo sull’AGIP pesava fortemente il clima di sfiducia per le tante e

lunghe ricerche infruttuose effettuate fino a quel momento e il suo smantellamento sembrava

anche venire incontro alla terribile situazione economica che suggeriva di dismettere

definitivamente ogni società che non risultasse utile al risollevamento del paese36.

Il governo italiano decise quindi di chiudere la sezione ricerche dell’AGIP lasciando

operativo il solo settore commerciale; mentre dal canto loro gli Alleati, al fine di gestire proprio

quest’ultima area, avevano costituito il Comitato Italiano Petroli37, alla guida del quale, oltre a

rappresentanti dell’AGIP, vennero nominati manager della SHELL e della Standard Oil of New

Jersey. Le grandi compagnie straniere38 sembravano voler trasformare l’Italia in una specie di

34 Cfr. N. Perrone, Mattei, il nemico italiano: politica e morte del presidente dell’ENI attraverso i documenti segreti, 1945-1962, Milano, 1989, p. 18. 35 Per questo motivo all’AGIP fu preclusa la possibilità di attingere dagli aiuti americani (per approfondimenti si veda L. Maugeri, L'arma del petrolio, cit., pp. 74-75). 36 Appunto interno all’ENI (non firmato), ASE, coll. AS. III. 6, udc. 8; per approfondimenti si veda G. E. Kovacs, Storia delle raffinerie di petrolio in Italia, cit., p. 145. 37 Il CIP venne creato con il DL n. 238 del 1 marzo 1945 che assegnava il compito di “coordinare in via straordinaria l’approvvigionamento dei prodotto petroliferi per le forze armate sia italiane, sia alleate e per gli usi civili, rispettando l’autonomia amministrativa, gestionale ed organizzativa delle società del settore esistenti in Italia” (M. Magini, L'Italia e il petrolio tra storia e cronologia, cit., p. 89). Per ulteriori approfondimenti si veda P. H. Frankel, Petrolio e potere: Enrico Mattei, Firenze, 1970, p. 58 e ss. 38 Le cosiddette big seven o “sette sorelle” erano: la anglo-olandese Royal Dutch Shell Oil Company (SHELL), la inglese British Petroleum Company (ex Anglo-Iranian) e le cinque compagnie americane: la EXXON, la Socony Mobil Oil Company (Standard Oil of New York), la SOCAL (Standard Oil Company of California), la TEXACO e la Gulf Oil Company (si vedano, tra gli altri, G. Buccianti, Enrico Mattei. Assalto al potere petrolifero mondiale, Milano, 2005, p. 26; A. Roncaglia, L'economia del petrolio, Roma-Bari, 1983, p. 61; A. Sampson, Le sette sorelle: le grandi compagnie petrolifere e il mondo che hanno creato, Milano, 1976, p. 91). Secondo l’interpretazione di Francisco Parra, segretario generale dell’OPEC nel 1968, il termine “seven sisters” sarebbe stato pronunciato per la prima volta proprio dallo stesso Mattei (cfr. F. Parra, Oil politics: a modern history of petroleum, London, 2004, p. 6). Per un approfondimento sulle “big seven” cfr. A. Clô, Economia e politica del petrolio, Bologna, 2000, pp. 68-72; N. H. Jacoby, Multinational oil: a study in industrial dynamics, New York, 1974; G. Luciani, L’OPEC nella economia internazionale, Torino, 1976, pp. 3-17; V. Marcel, J. V. Mitchell, Oil titans: national oil companies in the Middle East, London, 2006; L. Maugeri, Petrolio. Storie di falsi miti, sceicchi e mercati che tengono in scacco il mondo, Milano, 2001, pp. 35-42; J. V. Mitchell, Companies in a World of Conflict, London, 1998; E. Penrose, International Oil Companies and Governments in the Middle East, in J. D. Anthony, The Middle East: Oil, Politics and Development, Washington, 1975, pp. 3-19; A. Roncaglia, L'economia del petrolio, cit., pp. 61-87; B. Shwadran, The Middle East, Oil and the Great Powers, London, 1985; J. Stork, Il petrolio arabo, Torino, 1978; C. Tugendhat, A. Hamilton, Oil: the biggest business, London, 1975; L. Turner, Oil companies in the international system, London, 1980; F. Venn, Oil Diplomacy in the Twenthieth Century, London, 1986; D. Yergin, The Prize. The Epic Quest for Oil, Money and Power, New York, 1991. Per un’analisi generale sul mercato petrolifero internazionale e sul controllo politico delle fonti energetiche si vedano M. A. Adelman, The world petroleum market, Baltimore, 1972; Id., The genie out of the bottle: world oil since 1970, Cambridge, 1995; J.

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centro di raffinazione e di snodo per la commercializzazione del petrolio proveniente dal Medio

Oriente39. La direzione dell’AGIP accolse le decisioni del governo riservandosi tuttavia la

possibilità di continuare le ricerche nelle zona di Lodi e decise la creazione di una commissione

con il compito di studiare i problemi relativi alla liquidazione della sezione ricerche40.

All’interno dello stesso ente statale si levarono però molte proteste e le sezioni di Milano e

Roma, rimaste entrambe in vita, non concordarono sulla strada da intraprendere. La commissione

centrale per l’economia del CLNAI, che operava nelle regioni ancora occupate, decise di

nominare Enrico Mattei41 commissario straordinario dell’AGIP con il compito di porre la società

in liquidazione, facendo seguito alla volontà del governo di smobilitare quelle aziende che, con i

loro deficit, si riteneva gravassero pesantemente sul bilancio dello Stato42. Nell’ottobre del 1945

le due sezioni di Roma e di Milano vennero riunificate e Mattei nominato vicepresidente della

M. Blair, The Control of Oil, New York, 1976; P. F. Cowhey, The Problems of Plenty: Energy Policy and International Politics, Berkeley, 1985; D. Durand, La politique pétrolière internationale, Paris, 1970; W. N. Greene, Strategies of the Major Oil Companies, Ann Arbor, 1982; R. Engler, The Brotherhood of Oil: Energy Policy and the Public Interest, Chicago, 1977; B. I. Kaufman, The Oil Cartel Case: A Documentary Study of Antitrust Activity in the Cold War Era, Westport, 1978; W. J. Levy, Oil Strategy and Politics, 1941-1981, edited by M. A. Conant, Boulder, 1982; A. Nouschi, Pétrole et relations internationales de 1945 a nos jours, Paris, 1995; A. E. Safer, A strategy of oil proliferation: a study, Washington, 1980; C. E. Solberg, Oil Power, New York, 1976. Per uno studio sull’economia del petrolio negli anni cinquanta-settanta in relazione ai paesi in via di sviluppo si veda, ad esempio, E. T. Penrose, The Large International Firm in Developing Countries. The International Petroleum Industry, London, 1968. 39 Cfr. M. Magini, L'Italia e il petrolio tra storia e cronologia, cit., p. 96. Questa ipotesi venne avanzata perché in Italia le grandi compagnie petrolifere stavano avviando una serie di iniziative che avrebbero portato a una disponibilità della capacità di raffinazione superiore al fabbisogno nazionale. Tuttavia, le motivazioni di questa politica erano da attribuirsi a questioni “di ordine più generale: la maggiore convenienza al trasporto su lunghe distanze del greggio rispetto ai prodotti raffinati; la maggiore stabilità politica rispetto ai paesi in via di sviluppo; la maggiore «flessibilità» fiscale rispetto ai paesi più sviluppati, di un paese a «industrializzazione ritardata» come l’Italia” (A. Roncaglia, L'economia del petrolio, cit., nota 48, pp. 146-147). 40 Cfr. L. Bruni, M. Colitti, La politica petrolifera italiana, cit., p. 50. 41 Per uno studio sulla figura di Enrico Mattei e sulle sue iniziative nel settore petrolifero si vedano G. Accorinti, Quando Mattei era l’impresa energetica. Io c’ero, Matelica (Mc), 2008; B. Bagnato, Petrolio e politica: Mattei in Marocco, Firenze, 2004; L. Bazzoli, R. Renzi, Il miracolo Mattei. Sfida e utopia del petrolio italiano nel ritratto di un incorruttibile corruttore, Milano, 1984; M. Boldrini, Enrico Mattei, Roma, 1968; F. Briatico, Ascesa e declino del capitale pubblico in Italia. Vicende e protagonisti, Bologna, 2004; L. Bruni, M. Colitti, La politica petrolifera italiana, cit.; G. Buccianti, Enrico Mattei, cit.; A. Clô (a cura di), ENI (1953-2003), Bologna, 2004; M. Colitti, Energia e sviluppo in Italia: la vicenda di Enrico Mattei, Bari, 1979; Id., ENI. Cronache dall’interno di un’azienda, Milano, 2008; Id., Enrico Mattei (1906-1962), in A. Mortara (a cura di), I protagonisti dell’intervento pubblico in Italia, Milano, 1984, pp. 683-719; S. De Angelis, Enrico Mattei, Roma, 1966; C. R. Dechert, Ente Nazionale Idrocarburi: profile of a State corporation, Leiden, 1963; P. H. Frankel, Petrolio e potere: Enrico Mattei, cit.; G. Galli, La sfida perduta: biografia politica di Enrico Mattei, Milano, 1976; Id., Enrico Mattei: petrolio e complotto italiano, Milano, 2005; B. Li Vigni, Il caso Mattei: un giallo italiano, Roma, 2003; Id., La grande sfida: Mattei, il petrolio e la politica, Milano, 2006; C. M. Lomartire, Mattei: storia dell’italiano che sfidò i signori del petrolio, Milano, 2004; M. Magini, L'Italia e il petrolio tra storia e cronologia, cit.; E. Mattei, Enrico Mattei, 1945-1953: scritti e discorsi, a cura di A. Trecciola, Matelica, 1982; Id., Enrico Mattei, 1953-1962: scritti e discorsi, a cura di A. Trecciola, Matelica, 1992; L. Maugeri, L'arma del petrolio, cit.; C. Moffa (a cura di), Enrico Mattei. Contro l’arrembaggio al petrolio e al metano: una vita per l’indipendenza e lo sviluppo dell’Italia, del Medio Oriente e dell’Africa, Roma, 2006; N. Perrone (a cura di), Giallo Mattei: i discorsi del fondatore dell'ENI che sfidò gli USA, la NATO e le Sette sorelle, Roma, 1999; Id., Enrico Mattei, Bologna, 2001; Id., La morte necessaria di Enrico Mattei, Roma, 1993; Id., Mattei, il nemico italiano: politica e morte del presidente dell’ENI attraverso i documenti segreti, 1945-1962, cit.; Id., Obiettivo Mattei: petrolio, Stati Uniti e politica dell’ENI, Roma, 1995; I. Pietra, Mattei: la pecora nera, Roma, 1987; D. Pozzi, Dai gatti selvaggi al cane a sei zampe, cit., pp. 141-458; H. Roh, Enrico Mattei: chevalier des temps modernes, Sion, 1960; A. Roncaglia, L'economia del petrolio, cit., pp. 146-150; F. Rosi, E. Scalfari, Il caso Mattei: un corsaro al servizio della repubblica, Bologna, 1972; G. Sapelli, F. Carnevali, Uno sviluppo tra politica e strategia. ENI (1953-1985), Milano, 1992; S. Terranova, La Pira e Mattei nella politica italiana: 1945-1962, Troina, 2001; A. Tonini, Il sogno proibito: Mattei, il petrolio arabo e le ‘sette sorelle’, Firenze, 2003; M. Vittorini, Petrolio & Potere. Il racket dei petrolieri, Venezia-Padova, 1974; D. Votaw, The six-legged dog: Mattei and ENI a study in power, Los Angeles, 1964; D. Yergin, The Prize. The Epic Quest for Oil, Money and Power, cit., pp. 501-505. 42 Appunto interno all’ENI (non firmato), ASE, coll. AS. III. 6, udc. 8; risulta interessante notare che, secondo l’opinione alcuni studiosi tra cui Frankel, l’ordine di sospendere le ricerche petrolifere e di porre in liquidazione tutti gli impianti, nonostante l’esistenza di numerosi documenti come controprova, non fu mai stato effettivamente impartito (per approfondimenti cfr. P. H. Frankel, Petrolio e potere: Enrico Mattei, Firenze, 1970, p. 40).

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società, ma fin da subito si mostrò contrario alla liquidazione dell’AGIP ritenendola una risorsa

strategica nazionale da valorizzare e potenziare. Le perforazioni nella Pianura Padana ebbero

nuovo impulso e dimostrarono la validità delle ipotesi avanzate in precedenza da alcuni tecnici

della società che ritenevano la zona di Caviaga realmente ricca di gas naturale. L’importanza

della scoperta agli inizi del '46 di un secondo pozzo produttivo non era data solo dalle

considerevoli dimensioni del giacimento, ma soprattutto dal fatto che il gas era stato rinvenuto in

strutture molto diffuse nell’intera area43. L’episodio generò nuove speranze sia all’interno

dell’AGIP che in tutto il mondo petrolifero che operava sul territorio nazionale44; furono

principalmente le società private a effettuare notevoli pressioni affinché il processo di

liquidazione dell’azienda di Stato venisse accelerato. Ovviamente non tutto il mondo politico

accettò queste sollecitazioni e ebbe inizio un acceso dibattito pubblico sull’opportunità di

continuare la smobilitazione dell’AGIP. D’altronde, se effettivamente i giacimenti della Pianura

Padana erano così ricchi come veniva ritenuto essi potevano rappresentare un valido strumento

per promuovere la ricostruzione e lo sviluppo economico così fortemente compromessi dopo il

conflitto. Il fatto che il gas fosse presente proprio in questa area rappresentava un ulteriore

vantaggio per l’Italia vista l’alta concentrazione industriale; la possibilità di rifornire a costi

minori il polmone economico nazionale poteva quindi davvero determinare quella ripresa tanto

auspicata e così difficile da ipotizzare in quegli anni. Per questi motivi risultava fondamentale

avviare nel più breve tempo possibile tutte le attività di ricerca e di estrazione del caso e

affidarne dunque la gestione dei lavori a una società in grado di offrire adeguate garanzie.

Soltanto l’AGIP aveva i requisiti tecnici e le attrezzature necessarie per assicurare una certa

rapidità di esecuzione dato che già operava nell’area e erano stati i suoi esperti a individuare i

due pozzi produttivi; ma, soprattutto, l’azienda italiana era l’unica a assicurare che le riserve di

idrocarburi della Valle Padana rimanessero nelle mani dello Stato.

Durante gli anni del conflitto anche il mercato energetico mondiale aveva subito profonde

modifiche45. La scoperta e lo sviluppo dei giacimenti petroliferi del Medio Oriente poneva

l’Italia – e in generale l’Europa mediterranea – in una condizione più favorevole rispetto al

passato: da paese lontano dalle zone di produzione delle fonti di energia si trovò a essere il più

vicino e, quindi, quello che avrebbe risparmiato maggiormente sui costi di trasporto del greggio

43 Cfr. L. Bruni, M. Colitti, La politica petrolifera italiana, cit., p. 50. 44 Basti pensare che solo nel 1947 vennero presentate al governo ben 421 domande di concessione nella Valle del Po da parte di ditte sia italiane che straniere (cfr. M. Magini, L'Italia e il petrolio tra storia e cronologia, cit., p. 101). 45 Il ritrovamento di ingenti quantità di greggio nell’area mediorientale aveva gradualmente reso il mondo occidentale, e soprattutto l’Europa, dipendente dalle importazioni petrolifere provenienti dalla sponda meridionale del Mediterraneo (per approfondimenti si veda P. Bairoch, Storia economica e sociale del mondo: vittorie e insuccessi dal XVI secolo ad oggi, Torino, 1999, pp. 1134-1136).

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e dei prodotti raffinati provenienti dall’area mediorientale46. Si andava dunque prospettando

l’ipotesi di avviare, fin dagli anni immediatamente successivi al conflitto, il primo vero passo

verso una politica energetica nazionale; le pressioni da parte delle società private e di quelle

straniere, com’era ipotizzabile, divennero fortissime. Proprio in risposta a queste sollecitazioni,

che nel governo erano molto sentite vista la precarietà del quadro economico, nel 1949 venne

presentato un progetto di legge sulla ricerca mineraria, immediatamente accantonato per le

violente critiche sulle condizioni di favore che esso prevedeva per il settore privato47. Divenne

quasi impossibile per l’esecutivo tentare di rispondere alle pressioni esterne; l’AGIP, di contro,

aveva aumentato ulteriormente il ritmo delle ricerche abbandonando del tutto l’ipotesi dello

smantellamento. Nel 1948 si scoprirono i giacimenti di Ripalta, mentre l’anno successivo quelli

di Cortemaggiore e di una serie di altri pozzi produttivi in tutta la Pianura Padana. Il principale

artefice di questo indirizzo fu Mattei il quale fin da subito ritenne fondamentale, per la

ricostruzione economica italiana, la ricerca di nuovi fonti energetiche; a questo scopo egli non

solo riuscì a modificare efficacemente le iniziali direttive governative, ma stimolò l’avvio di

un’aperta battaglia politica fra chi difendeva la legittimità dell’intervento pubblico nei settori

produttivi strategici e coloro che sostenevano il primato del libero mercato e dell’iniziativa

privata. Ovviamente a sostenere quest’ultima tesi erano gli investitori privati e principalmente gli

industriali petroliferi americani; ragione per la quale la battaglia intrapresa da Mattei presentava

numerose difficoltà48. L’obiettivo principale del vicepresidente dell’AGIP consisteva nel

raggiungimento dell’indipendenza energetica che perseguì cercando di sfruttare a proprio

vantaggio la situazione italiana. Il gas metano, infatti, all’epoca non era preso seriamente in

considerazione dalle altre compagnie petrolifere, ma era già stato utilizzato come combustibile

industriale nel 1944. Seguendo questa strada Mattei dotò l’Italia, primo paese al mondo a farlo,

di una rete di metanodotti che divenne il pilastro fondamentale per l’avvio del processo di

industrializzazione degli anni Cinquanta. Alla costruzione parteciparono sia l’AGIP che,

soprattutto, la SNAM di cui l’azienda italiana aveva acquisito il controllo quasi totale nel 194949.

All’indomani del conflitto, anche un’altra ipotesi energetica si era profilata all’orizzonte:

la possibilità di utilizzare la devastante forza esplosiva del nucleare per applicazioni pacifiche.

L’Italia in questo settore aveva già espresso diverse personalità che avevano avviato una serie di

46 Cfr. L. Bruni, M. Colitti, La politica petrolifera italiana, cit., p. 58. Per uno studio generale sul rapporto tra il Mediterraneo e l’energia si rimanda a G. Luciani, The Mediterranean and the energy picture, in Id. (a cura di), The Mediterranean region: economic interdependence and the future of society, Camberra, 1984, pp. 1-40. 47 Cfr. L. Bruni, M. Colitti, La politica petrolifera italiana, cit., pp. 50-51. 48 Per un’analisi sugli innumerevoli tentativi per bloccare l’avvio della politica di Mattei all’interno dell’AGIP si veda M. Colitti, Mattei (1906-1962), cit. pp. 690-697. 49 Pe approfondimenti sulle iniziative di Mattei nel campo della produzione metanifera si rimanda a A. Giuntini, D. Pozzi (a cura di), Energia per il territorio: Enrico Mattei e l'industria del metano in Italia, Lodi, 2003.

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studi promettenti50. Basti pensare a personaggi come Enrico Fermi e Bruno Rossi, costretti a

emigrare negli Stati Uniti alla fine degli anni Trenta51, che avevano contribuito notevolmente al

progresso degli studi generali sulla fisica dell’atomo. Fermi, inoltre, in Italia aveva trasformato

l’Istituto di Fisica di via Panisperna in un moderno centro di ricerca già nel 1926, grazie

all’appoggio del direttore Orso Mario Corbino. Il fisico italiano si avvalse della collaborazione di

giovani ricercatori quali Franco Rasetti, Edoardo Amaldi e Ettore Majorana che passarono alla

storia come i “ragazzi di via Panisperna”52, a cui si aggiunse successivamente anche Bruno

Pontecorvo53. All’indomani del secondo conflitto mondiale, le risorse disponibili per investire

nella ricerca risultarono praticamente inesistenti ma gli studi nel settore nucleare avevano

ricevuto un impulso notevole con l’utilizzazione dell’arma atomica per cui divenne praticamente

impossibile non continuare sulla strada precedentemente intrapresa54. Nel 1945 l’analisi delle

possibilità di un uso pacifico dell’energia atomica venne condotta anche al Politecnico di Milano

da Giuseppe Bolla e dai suoi allievi, fra cui figuravano Giorgio Salvini, Carlo Salvetti, e Mario

Silvestri55. L’Istituto di Fisica dell’Università Statale milanese era oltretutto diretto da Giovanni

Polvani fin dal 1929 e pure in questa città, dunque, le ricerche sull’atomo erano giunte a notevoli

risultati. D’altra parte in Italia iniziò a circolare in tempi rapidi il cosiddetto “Rapporto Smith”,

cioè il libro bianco americano sul programma nucleare militare che comprendeva un’analisi

50 Per uno studio generale sulla tradizione scientifica italiana e sulle personalità che si distinsero a livello internazionale si veda L. Belloni, Da Fermi a Rubbia, Milano, 1988, pp. 7-62. 51 Bruno Rossi era di origine ebraica mentre Enrico Fermi aveva sposato Laura Capon di religione ebraica; dopo la promulgazione delle leggi razziali del 14 luglio 1938 entrambi lasciarono l’Italia. Sulla figura di Enrico Fermi si vedano, tra gli altri, L. Fermi, Atomi in famiglia, Milano, 1954; E. Segré, Enrico Fermi, fisico: una biografia scientifica, Bologna, 1971. 52 Per uno studio sulle vicende della “scuola Fermi”, sui finanziamenti ricevuti e sui risultati conseguiti tra il 1926 e il 1943 si veda G. Battimelli (a cura di), L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Storia di una comunità scientifica, Roma-Bari, 2002, pp. 3-33. 53 Bruno Pontecorvo, in particolare, si concentrò sui promettenti studi del nucleo atomico, ma importante fu anche il contributo apportato da studiosi quali Marcello Conversi, allievo di Bruno Ferretti, Ettore Pancini, laureatosi con Bruno Rossi e assistente di Gilberto Bernardini, e Oreste Piccioni, che faceva parte del gruppo di Fermi. Questi fisici, durante gli anni del secondo conflitto mondiale e il periodo immediatamente successivo, condussero una serie di esperimenti che determinarono la nascita della cosiddetta fisica delle alte energie o delle particelle (cfr. L. W. Alvarez, Recent Developments in Particle Physics, in M. Conversi, Evolution of particle physics: a volume dedicated to Edoardo Amaldi in his sixtieth birthday, Milano, 1970, pp. 1-2). Si veda anche E. Amaldi, Da via Panisperna all’America. I fisici italiani e la seconda guerra mondiale, a cura di G. Battimelli e M. De Maria, Roma, 1997. 54 Nel novembre del 1945 si tenne a Como un convegno che riunì per la prima volta dopo la guerra i fisici dell’Italia settentrionale e centro-meridionale; in questa occasione Edoardo Amaldi incontrò il chimico Luigi Morandi (fratello del leader socialista Rodolfo Morandi) che era stato nominato commissario della società italiana Montecatini e sembrava “molto interessato al problema dei rapporti tra ricerca universitaria e industria”. Ciò indusse Amaldi a produrre un dattiloscritto dal titolo “La Fisica in Italia” in cui veniva indicata la necessità per la comunità scientifica italiana di acquisire attrezzature e di avviare la formazione di personale adeguato “in vista di un decoroso sviluppo anche delle applicazioni pacifiche della fisica nucleare” (E. Amaldi, Gli anni della ricostruzione, Archivio del Dipartimento di Fisica dell’Università di Roma “La Sapienza”, Fondo Edoardo Amaldi, Archivio Amaldi Eredi, Busta 89E. Questo scritto venne rielaborato e pubblicato in «Giornale di fisica», XX, 3, 1979, pp. 186-225). Per uno studio generale sulla situazione della ricerca scientifica in Italia nel dopoguerra si veda anche L. Nuti, La sfida nucleare. La politica estera italiana e le armi atomiche, 1945-1991, Bologna, 2007, pp. 32-44. 55 Cfr. P. Fornaciari, Il petrolio, l’atomo e il metano: l’Italia nucleare, 1946-1997. Dallo sviluppo a un’irragionevole rinuncia, Milano, 1997, pp. 11-12. Il primo interessamento a Milano fu del presidente dell’Edison, Giorgio Valerio, e dell’amministratore delegato della stessa società, Vittorio De Biasi, che all’indomani del bombardamento americano di Hiroshima del 6 agosto 1945 convocarono Mario Silvestri per cercare di conoscere il tipo di combustibile utilizzato dagli statunitensi e per capire se questo potesse essere usato per scopi pacifici.

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sull’ipotesi di utilizzazione dell’uranio anche a scopi civili56. Il primo problema che gli studiosi

italiani dovettero affrontare risiedeva nell’eventualità che nel trattato di pace imposto al paese

venisse proibito l’uso dell’energia atomica anche per fini pacifici57; fortunatamente questo si

evitò anche grazie alle pressioni degli stessi scienziati del gruppo milanese58. A sostenere questi

ultimi nelle ricerche intervennero diverse industrie private, interessate alla possibilità di sfruttare

questa nuova fonte di energia per produrre principalmente elettricità. La prima fra queste fu la

Edison59, allora privata, ma figuravano anche, con tempistiche e finanziamenti diversi, la FIAT,

la Cogne, la Montecatini, la SADE, la Falck, la Terni, l’Olivetti e la Pirelli. Grazie ai fondi messi

a disposizione dai maggiori gruppi industriali del nord, il 19 novembre del '46 si istituì il Centro

Italiano di Studi ed Esperienze60, considerato il primo passo verso lo sviluppo dell’energia

nucleare in Italia61. Fin dall’inizio vi collaborarono, tra gli altri, Edoardo Amaldi e Gilberto

Bernardini che in Italia rappresentavano la punta di diamante della fisica nucleare, ai quali si

aggiunsero successivamente anche Bruno Ferretti, noto fisico teorico, Gustavo Colonnetti,

presidente del CNR, e Felice Ippolito, geologo napoletano che in quegli anni iniziava a

interessarsi alle ricerche dell’uranio sul territorio italiano62. Ciò permise alla nuova

organizzazione di rappresentare per qualche anno l’unica struttura di ricerca italiana orientata

verso lo studio dell’energia nucleare fino alla costituzione del Comitato Nazionale per le

Ricerche Nucleari nel 1952. Il principale obiettivo del CISE era quello di sviluppare un reattore

nazionale in proprio63, impresa complessa visto che nessuno scienziato italiano conosceva in

quel periodo quali fossero i principi di funzionamento di un simile dispositivo64. Occorre inoltre

56 Il “Rapporto Smith” conteneva una serie di indicazioni importanti sulla base del “Progetto Manhattan”, il programma di ricerca condotto dagli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale che produsse la costruzione della prima bomba atomica e al quale partecipò anche Enrico Fermi in qualità di direttore scientifico. 57 Per uno studio sulla politica estera italiana e le armi atomiche si veda, tra gli altri, L. Nuti, La sfida nucleare, cit.; per un’analisi comprendente anche i progetti europei e il ruolo dell’Italia durante gli anni della guerra fredda cfr. P. Cacace, L’atomica europea: i progetti della guerra fredda, il ruolo dell’Italia, le domande del futuro, Roma, 2004. 58 Cfr. G. Battimelli (a cura di), L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, cit., p. 63; M. Silvestri, Il costo della menzogna: l’Italia nucleare (1945-1968), Torino, 1968, pp. 29-30. Bolla, Silvestri, Salvini e Salvetti si recarono di persona a Parigi, dove si stava discutendo il trattato di pace, grazie a un finanziamento ottenuto proprio dalla società Edison (cfr. P. Fornaciari, Il petrolio, l’atomo e il metano: l’Italia nucleare, 1946-1997, cit., p. 12). 59 Per approfondimenti sulla Edison e sui suoi progetti elettrici si rimanda a B. Bezza, Energia e sviluppo: l'industria elettrica italiana e la Societa Edison, Torino, 1986. 60 Nel nome del nuovo istituto si evitò volontariamente qualsiasi riferimento all’energia nucleare perché in quegli anni essa era sinonimo di distruzione. 61 Alla creazione del CISE contribuì notevolmente l’opera di Giuseppe Bolla il quale si recò personalmente da Amaldi a Roma nel febbraio del 1946 per illustrare il progetto messo a punto con Salvetti, Salvini e Silvestri e sostenuto da finanziamenti privati. Bolla mirava a promuovere una collaborazione tra i gruppi di Roma e di Milano, evitando rischi di competizione o concorrenza [cfr. G. Paoloni, Gli esordi del nucleare, in V. Castronovo (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 4, cit., p. 384]. 62 Per approfondimenti sulle disponibilità di uranio sul territorio italiano e sulle prospettive delle ricerche alla fine degli anni Cinquanta si veda F. Ippolito, L’EURATOM e la politica nucleare italiana, Roma, 1958, pp. 66-95. 63 Più precisamente il CISE mirava a costruire un reattore nucleare da dieci megawatt termici a uranio naturale moderato a acqua pesante [cfr. F. Ippolito, F. Simen, La questione energetica: dieci anni perduti (1963-1973), Milano, 1974, p. 75]. 64 Programmi per sviluppare le utilizzazioni pacifiche dell’energia nucleare erano stati avviati anche in Francia, in Inghilterra e in Unione Sovietica, oltre che, ovviamente, negli Stati Uniti. In questi paesi le ricerche venivano finanziate e controllate da organismi statali costituiti ad hoc: lo United States Atomic Energy Commission negli USA, il Commissariat à l’énergie atomique in Francia e lo

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considerare che la ricerca nucleare italiana non era immune dalle influenze esercitate dal sistema

internazionale della seconda metà degli anni Quaranta. Innanzitutto, le scoperte in questo settore

erano protette dal segreto militare e nell’agosto del 1946 gli Stati Uniti approvarono il McMahon

Act65 con il quale sospesero ogni scambio di informazione in materia nucleare con tutti i paesi

stranieri. Inoltre, le possibilità di riuscire a ottenere approvvigionamenti di uranio erano

decisamente limitate66. Si ritenne dunque necessario coinvolgere direttamente lo Stato mediante

la concessione di finanziamenti pubblici ad opera del Consiglio Nazionale delle Ricerche;

l’ottenimento di queste sovvenzioni, però, oltre a dover superare l’ostilità di alcune società

private si rivelò insufficiente. Per questo motivo e al fine di permettere a tutti gli studiosi italiani

di contribuire allo sviluppo di una fisica nucleare nazionale mediante il coordinamento tra le

varie attività scientifiche svolte sul territorio nazionale, il presidente del CNR, Colonnetti,

decise, in accordo con Amaldi, di dar vita a un apposito organismo all’interno dello stesso

Consiglio Nazionale delle Ricerche: venne così creato a Roma, l’8 agosto 1951, l’Istituto

Nazionale di Fisica Nucleare67.

4. I primi passi della collaborazione europea nel settore nucleare

Il notevole gap tecnologico di cui i paesi europei soffrivano nei confronti delle

avanzatissime ricerche americane sull’atomo aveva dato vita a un interessantissimo dibattito

sulla possibilità di unire le forze del vecchio continente per rispondere alla sfida proveniente

d’oltreoceano. L’ipotesi di una cooperazione europea nel settore nucleare venne formulata in

Italia per la prima volta dagli stessi Amaldi e Bernardini attorno al 194868; entrambi erano infatti

molto vicini ai movimenti europeistici che suggerivano un’integrazione economica e politica fra

i vari paesi del vecchio continente. L’opportunità di condividere le risorse nel campo tecnico-

United Kingdom Atomic Energy Authority in Gran Bretagna. All’esterno di queste istituzioni non trapelava tuttavia alcuna notizia sui metodi utilizzati e sulle sperimentazioni che si stavano studiavano. 65 Nel 1943 si firmarono anche gli accordi di Quebec tra il presidente americano e il premier britannico. In un protocollo segreto, essi prevedevano piena e effettiva collaborazione tra i due paesi nel settore atomico e, in particolare, Roosevelt e Churchill si impegnarono a non fornire alcuna informazione sull’energia nucleare a paesi terzi. Gli Stati Uniti si riservavano inoltre la possibilità di usare questa fonte per un possibile uso industriale e commerciale. 66 Per uno studio sull’uranio si veda N. Frandi, La questione dell’uranio negli anni Quaranta e Cinquanta, in M. Guderzo, M. L. Napolitano (a cura di), Diplomazia delle Risorse, cit., pp. 87-93. 67 Per un’analisi sulle vicende che portarono alla nascita dell’INFN si veda G. Battimelli (a cura di), L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, cit., pp. 38-72. 68 Un evento importantissimo in questo senso fu il primo congresso internazionale dopo la guerra organizzato dalla British Physical Society e il Cavendish Laboratory che si svolse a Cambridge dal 22 al 27 luglio 1946 con il titolo “Fundamental Particles and Low Temperature”: “Esso fu l’occasione per un primo incontro fra fisici delle diverse parti del mondo che non si erano più scambiati idee da anni, una occasione per riallacciare vecchie amicizie e per ascoltare cosa avevano fatto gli altri” (E. Amaldi, Gli anni della ricostruzione, Archivio del Dipartimento di Fisica dell’Università di Roma “La Sapienza”, Fondo Edoardo Amaldi, Archivio Amaldi Eredi, Busta 89E, p. 30).

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scientifico venne proposta anche da altri studiosi e nel 1948, durante il congresso dell’Aja,

nacque il Movimento Europeo che raggruppò al proprio interno le diverse organizzazioni

europeiste e si dotò di una propria sezione culturale. Si convocò in seguito a Losanna (8-12

dicembre 1949) una conferenza per discutere, tra l’altro, delle questioni legate alla cooperazione

scientifica. Durante i dibattiti, a cui partecipò anche Gustavo Colonnetti, presidente del CNR, si

prospettò l’ipotesi di istituire un laboratorio di ricerca internazionale che unisse le menti e le

risorse nel campo della collaborazione scientifica. La proposta, patrocinata da Louis de Broglie,

matematico e fisico francese, nell’immediato non ebbe riscontri. Le discussioni tuttavia

proseguirono e in occasione della Conferenza Generale dell’UNESCO, tenutasi a Firenze nel

maggio-giugno 1950, il fisico americano Isaac Isidor Rabi riprese l’idea di Louis de Broglie per

l’istituzione di un laboratorio europeo, limitandolo però al solo settore delle ricerche nucleari.

Tutti questi contributi possono essere considerati i primi passi verso la nascita di una

cooperazione comunitaria nel settore dell’energia nucleare e il preludio all’istituzionalizzazione

dell’EURATOM e del più grande laboratorio al mondo per lo studio della fisica delle particelle:

il CERN (Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire)69.

69 Per uno studio sugli eventi e sulle discussioni per una cooperazione scientifica europea negli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale si veda L. Belloni, Da Fermi a Rubbia, cit., pp. 58-94. Per un’analisi completa sulla nascita del CERN cfr. L. Belloni, Sulla genesi del CERN, in «Storia contemporanea», XVII, n. 4, Milano, agosto 1986, pp. 615-663.

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CAPITOLO II

LA POLITICA ENERGETICA ITALIANA NEGLI ANNI CINQUANT A

1. Gli sviluppi dell’energia elettrica

La produzione di energia elettrica fino agli anni Quaranta era stata assicurata quasi

esclusivamente dagli impianti idroelettrici. A partire dai primi anni Cinquanta furono invece

promossi una serie di investimenti aziendali che miravano alla creazione e allo sviluppo di

centrali termoelettriche, impianti nei quali la fonte primaria viene convertita in energia elettrica

utilizzando un processo termodinamico. Le società che operavano in Italia erano ben

duecentocinquantanove, ma risultavano controllate in misura maggioritaria soltanto da sei gruppi

industriali che assicuravano la copertura dell’ottantacinque percento della produzione nazionale

e erano organizzati secondo modelli strutturali decisamente antiquati. Diversa era la struttura

amministrativa della Finelettrica, una holding finanziaria del gruppo IRI a cui appartenevano

anche le società SIP, SME e Terni, che nel 1952 controllava il 25,4% della potenza idroelettrica,

il 14,8% della potenza termoelettrica e complessivamente il 25% della produzione nazionale70.

Accanto a queste società, operavano nel settore anche le aziende elettriche municipalizzate che

ampliarono negli anni Cinquanta la loro capacità di produzione, e i cosiddetti autoproduttori,

imprese che agivano in altre aree economiche ma che producevano energia elettrica per le

proprie necessità aziendali.

Questa diversificazione settoriale dei soggetti produttori di energia elettrica non influì

però positivamente sulle tariffe. Nel 1944 era stato istituito il Comitato interministeriale prezzi

che negli anni successivi emanò una serie di provvedimenti sulla revisione delle tariffe pubbliche

e disciplinò con nuove disposizioni i prezzi delle forniture elettriche. Nel 1953 si realizzò un

primo tentativo di unificare le tariffe cercando di favorire anche la costruzione di nuovi impianti.

Gli sforzi del Comitato interministeriale prezzi non si rivelarono però efficaci: molto spesso alle

società elettriche venivano infatti concessi ritocchi tariffari in cambio di impegni verbali per la

costruzione di nuovi impianti; gli utili prodotti dalle imprese in seguito agli aumenti venivano

invece quasi sempre investiti per finanziare altri campi di attività. Si venne dunque a delineare

nel corso del tempo un vero e proprio monopolio del mercato dell’elettricità, suggellato dai

generosi finanziamenti che gli imprenditori operanti in questo settore concedevano alla carta

stampata e ai partiti politici garantendo il sostegno socio-istituzionale dei loro interessi 70 Cfr. B. Bottiglieri, L’industria elettrica dalla guerra agli anni del «miracolo economico», in V. Castronovo (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 4, cit., p. 70.

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economici. La presenza dell’IRI, pur notevole in questo settore, non riuscì a rendere il mercato

italiano dell’industria elettrica concorrenziale; al contrario, in più circostanze l’istituto operò in

maniera del tutto simile agli altri soggetti privati cercando di ottenere vantaggi economici. A

farne le spese furono ovviamente gli utenti privati e quelle aziende che necessitavano di energia

elettrica per sviluppare attività e investimenti. Il costo di questa energia variava infatti da zona a

zona e, specialmente al sud, influì negativamente sulla ripresa economica e industriale. Tutto ciò

acuì nell’opinione pubblica italiana la convinzione della necessità di modificare l’intero settore a

vantaggio di una possibile nazionalizzazione, appoggiata politicamente anche dai liberali.

D’altra parte, gli interventi statali a sostegno delle società elettriche operanti in Italia

erano già stati avviati e sembravano indirizzarsi proprio verso la necessità di un controllo

maggiore di questo settore produttivo. Nel 1947 l’Associazione nazionale imprese produttrici e

distributrici di energia elettrica71 aveva infatti presentato un piano di sviluppo che prevedeva la

realizzazione di nuovi impianti i quali, entro il '52, avrebbero dovuto consentire una produzione

annua di energia elettrica pari a 11,3 miliardi di chilowattora, prevedendo un incremento medio

di due miliardi di KWh all’anno72. Il progetto venne fatto proprio dal governo ma fu bocciato

dall’OECE73 perché ritenuto troppo ambizioso. L’anno successivo si presentò un nuovo piano in

cui nello stesso periodo si ipotizzava la costruzione di impianti per 5,3 miliardi di kWh e

l’attivazione di quasi seicento chilometri di reti elettriche. Il nuovo progetto venne ampliato e

presentato dal governo come “Programma Nazionale” nel settore elettrico e ottenne, seppur con

qualche riserva sulle possibilità di attuazione e alcune modifiche apportate in corso d’opera,

l’approvazione dell’OECE e i finanziamenti del caso74. Tutto questo, tuttavia, risultò

insufficiente per far fronte ai reali fabbisogni interni di energia e di ciò divennero presto

71 L’ANIDEL venne costituita il 24 luglio 1945 in sostituzione dell’UNIEL considerata troppo compromessa con il regime fascista. Mediante la raccolta dei programmi di nuove costruzioni di impianti elettrici elaborati autonomamente dai singoli gruppi regionali, l’Associazione nazionale imprese produttrici e distributrici di energia elettrica aveva lo scopo di formare uno strumento di informazione sulle attività del settore e di mettere in evidenza le esigenze finanziarie di questi investimenti e, conseguentemente, di rimarcare la necessità di un adeguamento delle tariffe elettriche che erano sottoposte al controllo del governo (cfr. F. Silari, L’industria elettrica e i problemi energetici, cit., pp. 282-283). 72 Cfr. B. Bottiglieri, L’industria elettrica dalla guerra agli anni del «miracolo economico», in V. Castronovo (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 4, cit., pp. 73-74. 73 L’OECE venne istituita il 16 aprile 1948 come organizzazione permanente destinata a controllare la distribuzione degli aiuti americani per la ricostruzione dell’Europa dopo la seconda guerra mondiale. In origine vi parteciparono diciotto Stati membri: Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Svezia, Svizzera, Turchia, Regno Unito, Germania Occidentale e la Zona A del Territorio libero di Trieste (fino al 1954, quando ritornò sotto la sovranità italiana). 74 La programmazione governativa iniziale, analizzata anche dal Comitato interministeriale per la ricostruzione e dal Comitato interministeriale dei prezzi e scaturita da un accordo firmato tra le parti in causa, prevedeva: un aumento tariffario immediato pari a ventiquattro volte il livello dei prezzi registrati nel 1942 e un ulteriore aumento nel primo semestre nel 1949 che non venne concesso; la liberalizzazione dei prezzi delle forniture con potenza impegnata superiore a trenta chilowattora (anch’esso non attuato); l’impegno da parte delle società elettriche a realizzare in un quinquennio impianti di produzione idroelettrica con una potenza media annua pari a 5.899 milioni di kWh, oltre a un impianto termoelettrico di sessanta megawatt in Sicilia e il completamento dell’elettrodotto nazionale lungo la dorsale tirrenica che avrebbe dovuto congiungere il nord del paese al sud (cfr. L. De Paoli, Programmi di investimento e novità tecniche, cit., p. 175).

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consapevoli sia il governo che le stesse imprese elettriche75. Furono però gli esperti dell’OECE,

analizzando i programmi inviati dai vari partecipanti, a richiedere a tutti i paesi di predisporre un

altro piano di sviluppo per incrementare la produzione elettrica interna. L’Italia presentò il

cosiddetto “Programma Complementare”, basato esclusivamente su impianti idroelettrici, che

avrebbe dovuto incrementare in un quinquennio la capacità produttiva per una ulteriore

produzione annuale pari a 8.306 milioni di chilowattora76. In un secondo momento e solo dopo

che alcune imprese elettriche italiane decisero autonomamente di aumentare il programma di

costruzione di centrali termoelettriche, si previdero anche importanti incentivi statali per la

progettazione di impianti siffatti, suscitando veementi proteste fra quanti ritenevano che essi non

si sarebbero potuti sviluppare in un territorio privo delle fonti di energia indispensabili. Tuttavia,

alla fine degli anni Quaranta il quadro della situazione iniziò a mutare: le novità tecnologiche

allo studio e la costante diminuzione dei costi del carburante produssero un atteggiamento più

favorevole nei confronti della produzione di energia termoelettrica77. Grazie anche agli incentivi

governativi previsti per lo sviluppo di questa energia, l’incremento e l’attivazione di nuovi

impianti, sia termoelettrici che idroelettrici, portarono nel 1953 a una capacità produttiva annua

pari a trentasette miliari e mezzo di chilowattora.

Lo sviluppo del settore elettrico fu anche favorito dallo sfruttamento della fonte

geotermica, per molti versi assimilabile all’energia idraulica fluente. Essa si sfruttò già a partire

dal 1916 e conobbe un impiego pressoché stabile sino alla scoperta di nuovi campi di vapore

nella metà degli anni Trenta; ciò riaccese l’interesse imprenditoriale per lo sfruttamento di questa

risorsa. Si creò nel 1939 la Società Larderello, controllata dalle Ferrovie dello Stato, che

contribuì a portare nel '42 la produzione di energia elettrica tramite lo sfruttamento delle fonti

geotermiche fino al cinque percento del totale nazionale78. Alla fine degli anni Quaranta anche la

Società Larderello presentò un programma di sviluppo delle centrali geotermiche che

contemplava il raddoppio dell’intera produzione entro il 1954. Questa previsione ottimistica

traeva origine dalle eccezionali condizioni geologiche presenti nella zona di Volterra,

difficilmente riscontrabili in altre parti del territorio79.

75 Per un’analisi critica sul “Programma nazionale” si veda V. De Biasi, Le origini, lo sviluppo e la situazione attuale dell’Industria elettrica italiana, Milano, 1949, p. 33. 76 In sede OECE venne inoltre elaborato un “Programma Internazionale” in base al quale dovevano essere finanziati anche alcuni impianti idroelettrici che coinvolgevano i bacini idrici di più paesi; l’Italia, ad esempio, doveva realizzare impianti congiuntamente con Francia e Svizzera (cfr. L. De Paoli, Programmi di investimento e novità tecniche, cit., p. 178). 77 In questa direzione influì notevolmente anche la scelta statunitense di non introdurre nell’ERP finanziamenti per lo sviluppo e per il mantenimento delle centrali idroelettriche. L’ERP era un progetto di aiuti alla ricostruzione economica europea, varato il 5 giugno del 1947 dal generale americano George Marshall, segretario di Stato degli Stati Uniti, e meglio conosciuto come Piano Marshall. Lo scopo politico di questo piano era quello di legare economicamente e socialmente i paesi dell’Europa, senza escludere a priori gli Stati nell’orbita dell’influenza sovietica, al sistema economico statunitense. 78 Cfr. L. De Paoli, Programmi di investimento e novità tecniche, cit., p. 171. 79 Ibidem, pp. 179-180.

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Nonostante i risultati positivi, il settore elettrico italiano rimaneva fortemente influenzato

dalla presenza dei potenti gruppi privati che avevano come unico scopo il raggiungimento di

maggiori profitti attraverso l’aumento delle tariffe80. La necessità di un nuovo assetto giuridico e

economico e la prospettiva di una nazionalizzazione dell’intero settore erano infatti temi sempre

più presenti nel dibattito politico. Queste esigenze erano d’altronde condivise anche dagli altri

paesi europei all’indomani del conflitto: gli indirizzi di programmazione politica e economica

miravano a dare allo Stato un ruolo più importante, sia come pianificatore che come protagonista

nei settori produttivi e, quindi, anche in quello dell’energia. Nella fattispecie si cercò di eliminare

i particolarismi e gli squilibri settoriali e regionali, potenziando le infrastrutture e tentando di

aumentare il numero di aziende pubbliche nelle varie aree di produzione affinché diminuissero

gli operatori privati monopolisti. Ovviamente in ogni paese i governi attuarono queste direttive

con modalità e risultati diversi. La Francia fu la prima a operare la nazionalizzazione

dell’industria elettrica nel 1946, istituendo la società “Électricité de France” per la produzione e

la distribuzione di questa energia. Le imprese private che fino a quel momento operavano nel

settore elettrico vennero espropriate in cambio di un modesto risarcimento economico e quelle

che non operavano in altre aree economiche si sciolsero per legge81. L’Inghilterra operò invece la

nazionalizzazione dell’industria elettrica nel '47 creando la “British Electricity Authority” a capo

di quattordici enti pubblici regionali ciascuno con la propria area di competenza per la

produzione e la distribuzione82 e si indennizzarono le società espropriate mediante titoli azionari

della “British Electricity Compensation Stock”83.

In Italia, nonostante una cospicua partecipazione dell’IRI, pari a circa il venticinque

percento della produzione di energia elettrica interna, il processo di nazionalizzazione settoriale

venne bloccato di pari passo con l’emarginazione dal governo dei partiti di sinistra. Presente tra i

punti programmatici salienti prospettati dai principali movimenti politici alle elezioni del 1946,

statalizzazione dell’energia elettrica si scontrò “con le posizioni ancora assai salde dei gruppi

privati, ai quali una serie di collegamenti industriali, finanziari e politici conferivano un notevole

potere di pressione e comunque una forza più che sufficiente ad allontanare i rischi della

nazionalizzazione”84.

80 Per approfondimenti sulle caratteristiche del sistema elettrico prima della nazionalizzazione si vedano, ad esempio, E. Scalfari (a cura di), La lotta contro i monopoli, Bari, 1955; Id., Le baronie elettriche, Bari, 1960; Id., Storia segreta dell’industria elettrica, Bari, 1963. 81 Cfr. H. Morsel, Modelli ed esperienze della nazionalizzazione in Francia, in V. Castronovo (a cura di), La nazionalizzazione dell’energia elettrica. L’esperienza italiana e di altri paesi europei, Roma-Bari, 1989, pp. 29-72. 82 Cfr. L. Hannah, Modelli ed esperienze della nazionalizzazione in Gran Bretagna, ibidem, pp. 15-28. 83 Cfr. B. Bottiglieri, L’industria elettrica dalla guerra agli anni del «miracolo economico», in V. Castronovo (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 4, cit., p. 76. 84 Ibidem, p. 77.

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D’altra parte, i pareri espressi alla Commissione economica dell’Assemblea Costituente

da importanti personalità operanti nel settore, quali il presidente della Compagnia nazionale

imprese elettriche, Giovanni Silva, e il presidente dell’Edison, Pietro Ferrerio, avevano fatto

intendere fin da subito ai politici italiani le difficoltà che avrebbero incontrato intraprendendo la

strada della statalizzazione: lo Stato non sarebbe riuscito a operare in maniera diversa e migliore

rispetto alle imprese private sia nella gestione della produzione di energia elettrica che nella

possibilità finanziaria di concedere ulteriori investimenti necessari. Anche il problema delle

tariffe sarebbe stato difficilmente risolvibile se non mediante una programmazione economica

rapida che rendesse più moderna l’intera rete produttiva; ciò, tuttavia, avrebbe richiesto ingenti

finanziamenti pubblici che la situazione critica del bilancio statale non era in grado di garantire.

Forse anche per queste motivazioni i governi centristi, all’interno dei quali alcuni leader erano

strettamente legati al trust elettrico, cercarono di mantenere fuori dal dibattito parlamentare

l’intera questione. Furono le esigenze economiche del paese, spesso interpretate da esponenti

dell’opposizione di sinistra, a spingere in direzione della riproposizione periodica nelle sedi

istituzionali di discussioni circa la convenienza per lo Stato a intervenire nell’industria elettrica.

Si presentarono dunque diverse proposte di legge finalizzate alla nazionalizzazione del settore:

fra queste le più importanti furono quelle avanzate da Riccardo Lombardi, esponente del Partito

d’Azione85 e poi del Partito Socialista Italiano, da Luigi Longo, appartenente al Partito

Comunista Italiano, e più tardi da Guido Ceccherini del Partito Socialista Democratico Italiano.

Tuttavia, in Parlamento i dibattiti svolti su questi progetti incontrarono sempre l’opposizione dei

governi centristi86, contribuendo così alla creazione di un fronte politico-sociale che spostò

l’attenzione del problema sulle alte tariffe elettriche praticate che influivano notevolmente sui

costi per l’economia italiana e per le imprese. Oltre agli esponenti della sinistra, ai sindacati e a

alcune associazioni come le ACLI, al blocco favorevole alla statalizzazione partecipava anche

l’Unione nazionale consumatori di energia elettrica, creata nel 1948 ad opera della FIAT e del

gruppo Montecatini e a cui aderirono successivamente anche la Confagricoltura e la

Confartigianato. Questa convergenza di forze sociali e economiche così diverse fra loro

dimostrava quanto il problema energetico fosse sentito in quegli anni e potesse rappresentare una

sorta di terreno comune su cui incardinare una rigorosa azione politica. Purtroppo, però, ogni

confronto tra queste componenti si trasformò in una mera contrapposizione fra i fautori

85 Nel 1947 Riccardo Lombardi riuscì a ottenere la costituzione dell’Ente Siciliano di Elettricità allo scopo di promuovere l’industrializzazione della Sicilia mediante finanziamenti pubblici che potenziassero le infrastrutture. Da presidente dell’ESE realizzò le centrali idroelettriche di Pelino, Troina e Carboi e i grandi impianti termici di Termini Imerese e di Augusta. 86 Per approfondimenti si veda B. Bottiglieri, L’industria elettrica dalla guerra agli anni del «miracolo economico», in V. Castronovo (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 4, cit., pp. 76-79.

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dell’ideologia statalista e gli antistatalisti, ritardando ogni possibile compromesso in vista della

nazionalizzazione dell’energia elettrica in Italia.

Inoltre, a partire dal 1954 il ministro delle Finanze, Ezio Vanoni, elaborò un piano

economico nel tentativo di adeguare la produzione elettrica nazionale allo sviluppo industriale87

dal momento che l’offerta di energia elettrica rimaneva sempre precaria88. La previsione della

crescita media del consumo di energia elettrica venne fissata al 5,7% per il decennio successivo,

aumentata al 6,2% in un secondo momento. L’ANIDEL adottò invece nel '56 un programma di

sviluppo per la costruzione di nuovi impianti produttivi che in cinque anni avrebbero aumentato

la capacità di diffusione capillare dell’elettricità89. Grazie ai nuovi progetti adottati dall’ANIDEL

e a quelli di altri produttori privati, si realizzarono impianti capaci di garantire una produzione

potenziale di oltre cinquantotto miliardi di chilowattora; nel 1960 la produzione effettiva di

energia elettrica divenne pari a cinquantasei miliardi di chilowattora, marciando di pari passo

con la crescita economica del paese90.

Il tema della nazionalizzazione ritornò in auge nella seconda metà degli anni Cinquanta in

coincidenza con i primi segnali di crisi delle maggioranze centriste e con l’avvio di un lungo

periodo di gestazione al termine del quale il quadro politico italiano si sarebbe ricomposto

intorno alla formula del centrosinistra91. In questo nuovo contesto, l’accentramento economico

dell’industria elettrica divenne uno dei punti programmatici principali: si ritenne indispensabile

la nazionalizzazione per garantire uno sviluppo industriale più omogeneo e una distribuzione

delle risorse più equilibrata. Si ipotizzava la creazione di un ente nazionale unico che riunisse le

diverse società elettriche già operanti in Italia e ne coordinasse le attività. In questo modo si

87 Per uno studio sul progetto economico del ministro Vanoni si veda M. Ferrari-Aggradi, Il piano Vanoni. Premessa ai discorsi di Ezio Vanoni sul programma di sviluppo economico, Roma, 1956. Il cosiddetto Piano Vanoni, segnando una svolta nella politica economica italiana, perseguiva tre obiettivi: pieno assorbimento dell’offerta di lavoro esistente nel paese; progressiva eliminazione dello squilibrio tra nord e sud; pareggio della bilancia dei pagamenti. Le innovazioni introdotte da Vanoni nel settore energetico erano da supporto al miglioramento della condizione economica del paese e miravano a: intensificare la ricerca e lo sfruttamento nel settore energetico, nei limiti della economicità e nel quadro della progressiva diminuzione delle importazioni; razionalizzare lo sfruttamento delle varie fonti energetiche nel tentativo di massimizzare i rendimenti e di comprimere i costi; migliorare la distribuzione territoriale delle disponibilità nell’intento di attenuare e di ridurre progressivamente lo squilibro esistente a svantaggio del Mezzogiorno; sviluppare la collaborazione internazionale e, in particolare, quella europea [per un’analisi sui risultati ottenuti dal Piano Vanoni nei vari settori energetici italiani si veda G. Galloni, A. Repetto (a cura di), Esigenze del settore energetico per una politica di sviluppo nazionale, numero speciale dell’agenzia giornalistica «Radar», non datato, in ASE, coll. BG. III. 6, udc. 2]. 88 La realizzazione dei nuovi impianti elettrici previsti tardava a completarsi e rischiava di non riuscire a rispondere adeguatamente all’incremento della domanda interna. Nell’aprile 1954 si costituì pertanto una “Commissione Ministeriale per lo studio dei problemi relativi alla produzione e alla distribuzione dell’energia elettrica” presieduta dal consigliere di Stato, Santoro. Le previsioni formulate dalla Commissione Santoro furono alla base dello “Schema di sviluppo della occupazione e del reddito in Italia nel decennio 1955-1964” (ovvero dello “Schema Vanoni”) e ipotizzavano nel 1964 una domanda di energia elettrica pari a sessanta miliardi di kWh (cfr. L. De Paoli, Programmi di investimento e novità tecniche, cit., p. 181). 89 Il nuovo programma di sviluppo dell’ANIDEL rispose a un ulteriore accordo raggiunto con il governo sulla base delle previsioni della Commissione Santoro e di un gruppo di esperti guidati da Pasquale Saraceno e, quindi, in virtù del cosiddetto “Schema Vanoni” (ibidem, p. 183). 90 Cfr. B. Bottiglieri, L’industria elettrica dalla guerra agli anni del «miracolo economico», in V. Castronovo (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 4, cit., p. 79. 91 Per uno studio sui processi di trasformazione che investirono l’Italia e le sue istituzioni dalla fine dell’età degasperiana all’affermazione del centrosinistra si veda, tra gli altri, P. L. Ballini, S. Guerrieri, A. Varsori (a cura di), Le istituzioni repubblicane dal centrismo al centro-sinistra (1953-1968), Roma, 2006.

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sarebbe eliminato il monopolio presente nel settore che, con l’imposizione dei prezzi

differenziati, aveva fino a quel momento avvantaggiato la grande impresa e danneggiato gli

utenti e le piccole e medie imprese fortemente dipendenti dall’energia elettrica. Malgrado le

difficoltà che molti si attendevano nella fase di realizzazione del piano, numerosi esponenti

politici paragonarono l’impresa ai grandi piani riformatori sviluppati durante il New Deal

americano92.

La nazionalizzazione del settore elettrico si analizzò anche in funzione dell’ipotesi,

certamente molto pretenziosa ma sicuramente affascinante, di creare un unico ente pubblico nel

campo dell’energia93. Presentato come necessità di dare un assetto più organico alle

partecipazioni statali nel settore energetico, il raggruppamento di tutte le competenze relative in

un unico istituto statale venne proposto nei documenti programmatici dei partiti di governo nel

1958 e, in particolare, nel programma elettorale della DC, nel piano governativo concordato tra

quest’ultimo partito e il PSDI e nelle dichiarazioni programmatiche presentare dal presidente del

Consiglio, Amintore Fanfani, in Parlamento94. Gli obiettivi perseguiti, secondo quanto presentato

in campagna elettorale dai rappresentanti della Democrazia cristiana per le elezioni del 25

maggio del '58, comprendevano: un equilibrio fra il settore pubblico e quello privato, la

valorizzazione delle risorse energetiche nazionali e l’intensificazione dello sviluppo economico

generale. All’indomani delle elezioni politiche, la DC e il PSDI formarono un nuovo governo, il

secondo presieduto da Fanfani, stilando un programma di venti punti programmatici nel quale si

evidenziarono ulteriori particolari sulle misure che si sarebbero dovute adottare nel settore

dell’energia. Al punto undici, in particolare, si prendeva l’impegno di “concentrare in un ente

pubblico tutte le imprese statali o a prevalente partecipazione statale che [attendevano] alla

ricerca, alla produzione, alla distribuzione dell’energia di qualsiasi origine”95.

92 Per approfondimenti sul New Deal si vedano, tra gli altri, C. A. Chambers, The New Deal at home and abroad, 1929-1945, New York, 1965; W. E. Davies, The New Deal interpretations, New York, 1964; E. Fossati, New Deal: il nuovo ordine economico di F. D. Roosevelt, Padova, 1937; E. W. Hawley, Il New Deal e il problema del monopolio: lo Stato e l’articolazione degli interessi nell’America di Roosevelt, Bari, 1981; W. E. Leuchtenburg, Roosevelt e il New Deal (1932-1940), Roma-Bari, 1976; D. Perkins, The new age of Franklin Roosevelt: 1932-45, Chicago, 1957; M. Pierro, L’esperimento Roosevelt e il movimento sociale negli Stati Uniti d’America, Milano, 1937; A. U. Romasco, The politics of recovery: Roosevelt’s New Deal, New York, 1983; M. Vaudagna (a cura di), Il New Deal, Bologna, 1981; F. Villari, Democrazia e capitalismo: il New Deal, Reggio Calabria-Roma, 1983. 93 All’interno dell’ENI si ritenne infatti possibile che l’intero settore elettrico venisse inglobato dall’Ente Nazionali Idrocarburi. Particolarmente interessato a questa ipotesi era ovviamente Mattei che si era da sempre battuto per un prezzo competitivo per la produzione di energia elettrica; il presidente dell’ENI “sosteneva che il massimo delle sinergie nel rifornimento delle materie prime avrebbe determinato il massimo delle economie per la produzione di quella energia elettrica che per tutti gli anni Cinquanta non riforniva completamente il paese. Del resto Mattei fu uno dei motori della nazionalizzazione dell’energia elettrica e il suo obiettivo era di modificare la ragione sociale di ENI in ENE: Ente Nazionale Energia” (TRA dall’ex vicepresidente dell’AGIP Petroli, dott. Giuseppe Accorinti). Si veda in proposito anche G. Buccianti, Enrico Mattei, cit., pp. 51-54; D. Pozzi, Dai gatti selvaggi al cane a sei zampe, cit., pp. 351-363. 94 Cfr. Appunti sulla costituzione di un Ente Nazionale dell’Energia, redatto da Manlio Magini, responsabile della pubblicità per l’ENI, marzo 1958, ASE, coll. BG. III. 6, udc. 2. 95 A. Fanfani, Da Napoli a Firenze (1954-1959): proposte per una politica di sviluppo democratico, Milano, 1959, p. 318.

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Secondo le intenzioni del neopresidente del Consiglio, ciò doveva avvenire “in modo da

affidare con successo [all’ente unico nel campo dell’energia] un intervento sistematico diretto ad

integrare le manifeste insufficienze dell’iniziativa privata, e a sostenere con efficacia una

doverosa politica regolarizzatrice della distribuzione e dei prezzi dell’energia, specie secondo le

esigenze dello sviluppo del Sud e delle aree depresse. […] Per rendere più incisiva e ad effetto

sicuro l’azione del suddetto ente si pensa[va] di passare ad esso, via via che scadranno, le

concessioni in corso per la produzione di energia, ed affidare allo stesso il compito di utilizzare

gli utili di gestione od altri fondi messi a disposizione per il riscatto anticipato di altre

concessioni”96.

Il nuovo istituto avrebbe dovuto rafforzare la sicurezza degli approvvigionamenti di ogni

genere di energia; provvedere all’ottimizzazione delle risorse energetiche nazionali e delle fonti

importate al fine di coprire il fabbisogno interno ai costi più convenienti attraverso

l’eliminazione di sperperi e distorsioni; stabilire una connessione organica tra i problemi dello

sviluppo elettrico, sempre più condizionato dall’approvvigionamento di olio combustibile, e i

problemi di importazione, di lavorazione e di mercato dei prodotti petroliferi; sfruttare in

maniera conveniente le risorse carbonifere del Sulcis nel quadro dei programmi di incremento

termoelettrico; fissare i tempi dell’utilizzazione della fonte nucleare per la produzione su vasta

scala di elettricità in funzione della convenienza di questa energia e, di conseguenza, stabilire

l’ubicazione delle centrali elettronucleari in rapporto all’esigenza di accelerare lo sviluppo

economico in determinate zone del paese; razionalizzare il sistema di trasporti e di distribuzione

dell’energia mediante il completamento di una rete nazionale di elettricità, in modo da porre

nelle mani dello Stato uno strumento efficace per l’unificazione tariffaria; rilevare le opere di

derivazione idrica e riscattare gli impianti; integrare la produzione di determinati settori e di fasi

di lavorazione nell’area dei combustibili. Si trattava di un disegno decisamente ambizioso che

non risolveva, tra le altre cose, la questione riguardante gli enti statali che già operavano nel

settore dell’energia. Non veniva chiarito, ad esempio, quali rapporti avrebbe dovuto avere il

nuovo istituto con l’IRI o, addirittura, con l’Ente Nazionale Idrocarburi creato nel 1953:

bisognava verificare se nelle intenzioni governative si pensava alla costituzione di un organismo

ex novo, che quindi avrebbe potuto inglobare gli altri enti già esistenti, o se si ipotizzava

l’allargamento delle competenze di uno di questi ultimi, come ad esempio dell’ENI, a tutti i

settori energetici sfruttando le strutture nazionali funzionanti. L’Ente Nazionale Idrocarburi

occupava una posizione decisamente preponderante dal punto di vista del patrimonio e del

volume di produzione, controllando quasi totalmente il settore del gas naturale, larga parte di 96 Discorso di Amintore Fanfani alla Camera dei Deputati, Comunicazione del Governo, Atti parlamentari, Legislatura III, Discussioni, Seduta del 9 luglio 1958, parte IV, p. 102 (http://legislature.camera.it).

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quello petrolifero e della collaterale industria petrolchimica, e operando già nell’ambito

nucleare97. Risultava quindi improponibile l’ipotesi di smantellarlo a vantaggio di un nuovo

istituto nazionale; oltretutto, la dirigenza dell’ENI, Enrico Mattei in primis, godeva di una fitta

rete di interessi pubblici da cui derivava una potente lobby, difficilmente scalfibile. Furono

probabilmente queste premesse a spingere per una modifica del progetto governativo principale a

favore di una nazionalizzazione del solo ramo elettrico, mantenendo in vita gli altri enti operanti

nel settore.

In questo clima si sviluppò anche il concetto della cosiddetta “programmazione

generale” che il ministro del Bilancio, Ugo La Malfa98, presentò al Parlamento il 22 maggio

196299. Secondo l’opinione del leader repubblicano, come per una buona parte della sinistra

italiana, l’amministrazione dell’intero settore dell’industria elettrica (e in generale della politica

energetica) rappresentava uno degli elementi fondamentali per una programmazione economica

efficace. Risultava dunque necessario individuare un piano di sviluppo per assicurare la

copertura elettrica totale del territorio, sia per gli utenti privati che per le aziende, mediante

l’introduzione di una tariffa unica; bisognava inoltre attuare una riduzione generale dei costi e

cercare di ottenere una disponibilità di riserve adeguate in caso di necessità. In questa atmosfera i

fautori della nazionalizzazione del settore elettrico ricominciarono a far sentire la loro voce,

riuscendo a sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso una vasta azione di propaganda

sviluppata sia all’interno dei partiti che in sede di convegni. Così, ad esempio, durante il

congresso socialista del marzo 1961 Riccardo Lombardi sottolineò la necessità di contrapporre i

poteri pubblici “al potere soverchiante che i gruppi più avanzati del capitalismo, cioè i gruppi del

neo-capitalismo, esercita[va]no nella società italiana. Il modo concreto per combattere il neo-

capitalismo – secondo il leader socialista – [era] di opporsi realmente al suo concetto di sviluppo

obiettivo sostituendo al criterio assoluto del profitto il criterio dell’utile collettivo, sostituendo

alla scala dei consumi che corrisponde ai bisogni elementari, i bisogni elevati della

collettività”100.

97 Si veda ad esempio la descrizione fatta sulle attività posseduta da Mattei in L. Bazzoli, R. Renzi, Il miracolo Mattei. Sfida e utopia del petrolio italiano nel ritratto di un incorruttibile corruttore, cit., p. 164 e ss. Per uno studio sull’industria petrolchimica in Italia si rimanda a S. Vaccà, L’industria petrolchimica in Italia: anatomia di una crisi, Milano, 1979. 98 Per uno studio sulla figura di Ugo La Malfa, i suoi progetti per l’Italia e per l’Europa, si vedano, tra gli altri, P. J. Cook Jr., Ugo La Malfa e le tradizioni politiche dell’Italia laica, Bologna, 1999; Fondazione Ugo La Malfa, Annali dell’Istituto Ugo La Malfa, Roma, 1985-2001; Istituito Ugo La Malfa (a cura di), L’Italia negli anni del centrismo: 1947-1958, Roma, 1990; L. Mechi, L’Europa di Ugo La Malfa. La via italiana alla modernizzazione (1942-1979), Milano, 2003. 99 Cfr. Ministero del Bilancio, Problemi e prospettive dello sviluppo economico italiano. Nota presentata al Parlamento dal ministro del Bilancio on. Ugo La Malfa il 22 Maggio 1962, Roma, 1962. 100 L. Orizio, F. Radice, Storia dell’industria elettrica in Italia (1882-1962), Milano, 1964, p. 305.

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Un’opinione favorevole alla nazionalizzazione del settore elettrico venne espressa anche

dal segretario della Democrazia cristiana, Aldo Moro, durante il famoso discorso di sei ore

pronunciato all’VIII° congresso del partito tenutosi dal 27 al 31 gennaio '62 a Napoli:

“Giova premettere che non [eravamo] in alcun modo contrari in linea di principio al pensiero

di portare nella sua interezza il settore elettrico nella sfera pubblica; [era] questa, però, una misura

che noi [avremmo dovuto] prendere in relazione ad un determinato obiettivo di una politica

dell’energia e non come una misura che si giustifica[va] in sé, per il solo fatto che essa riduce[va]

l’area dell’iniziativa privata”101.

Una simile impostazione, secondo Moro, “doveva essere accetta da tutti i partiti dell’arco

democratico che non si trova[va]no sulle due posizione estreme di respingere pregiudizialmente

l’iniziativa pubblica o di ridurre pur pregiudizialmente l’area dell’iniziativa privata”102. Per

questo il leader democristiano continuò la sua esposizione evidenziando i notevoli limiti

strutturali del settore elettrico:

“L’attuale struttura produttiva ripartita in gruppi regionali ed interregionali non permette[va]

la più appropriata utilizzazione degli impianti disponibili e non rende[va] conveniente l’adozione,

nel campo termo-elettrico, di unità di grande potenza che le tecniche più recenti [avevano]

apprestato e che [avrebbero permesso] ulteriori riduzioni di costi; gli inconvenienti di questa

situazione [erano] destinati ad aggravarsi con la messa a punto delle centrali termonucleari e con

la possibilità oggi conseguita di trasportare l’energia a grandi distanze a costi relativamente

modesti. Una politica dell’energia, se [voleva] conseguire le riduzioni di costi possibili, [doveva]

quindi tendere oggi a dare al sistema elettrico nazionale un grado di unitarietà maggiore

dell’attuale”103.

In realtà egli propendeva per una soluzione intermedia piuttosto che per la

nazionalizzazione settoriale, cercando di operare modifiche strutturali con gradualità104. Nella

101 A. Moro, Scritti e discorsi, a cura di G. Rossini, vol. II, 1951-1963, Roma, 1982, p. 1050 [cit. anche in L. Orizio, F. Radice, Storia dell’industria elettrica in Italia (1882-1962), cit., p. 306]. 102 A. Moro, Scritti e discorsi, a cura di G. Rossini, vol. II, 1951-1963, Roma, 1982, p. 1050. 103 Ibidem, p. 1051. 104 Al congresso di Napoli, infatti, nel proseguo del suo discorso Moro sottolineò anche che il processo di nazionalizzazione avrebbe accollato allo Stato un impegno sul piano organizzativo e un onere finanziario che potevano invece essere più utilmente spostati in altri settori dell’azione pubblica. Solo nel caso in cui il processo di riordinamento del settore, proposto come alternativa alla nazionalizzazione, non avesse avuto successo si contemplava l’ipotesi di un cambiamento radicale del sistema elettrico, nel quadro della generale politica di sviluppo del paese e a condizione che esso fosse davvero necessario per fornire energia a costo minore (ibidem, pp. 1051-1052). Questo concetto venne espresso con più chiarezza nel discorso del 9 marzo 1962 pronunciato alla Camera dei Deputati durante la discussione generale delle dichiarazioni programmatiche del governo Fanfani: “Per quanto riguarda l’energia, noi [avevamo] espresso a Napoli nel modo più netto l’esigenza di un coordinamento che [assicurasse] il rendimento di questo servizio fondamentale per la vita economica ai costi più bassi ed alle condizioni più vantaggiose per la collettività. Mentre [avevamo]

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relazione presentata in occasione del Consiglio Nazionale della Democrazia cristiana del luglio

'62, il segretario DC precisò che al congresso si era volutamente limitato a indicare delle direttive

generali senza entrare nel merito della questione:

“Una politica dell’energia doveva proporsi tre obiettivi: assicurare la tempestiva copertura di

ogni possibile fabbisogno, mantenendo costantemente adeguate riserve di producibilità;

assicurare a tutte le categorie di utenza la energia domandata a condizioni uniformi determinate,

per di più, in conformità alle esigenze di progresso civile e di sviluppo di cui si intende farsi

carico; in terzo luogo la politica dell’energia [doveva] ottenere che gli obiettivi di cui sopra

[venissero] conseguiti riducendo al minimo i costi. I primi due obiettivi [potevano] considerarsi

acquisiti o in via di acquisizione. Nessuna carenza si [era], infatti, verificata in Italia in fatto di

energia né si prevede[va] si [verificasse] in futuro. […] Per il terzo obiettivo, invece, […] non

poteva darsi un giudizio positivo e […] non poteva considerarsi neppure parzialmente raggiunto.

L’obiettivo di integrare maggiormente fra loro i complessi di impianti che [componevano] il

sistema elettrico nazionale [era] un problema che si [era] sempre presentato in questo dopoguerra

ogni volta che [erano] venute in discussione le linee di sviluppo della nostra economia e della

nostra società. Questo problema di razionale unificazione deriva[va], da un lato, dal progresso

delle tecniche che [avevano] creato esigenze di coordinamento molto maggiori che in passato,

dall’altro, dal ruolo che una politica dell’energia inevitabilmente [veniva] ad assumere nella vita

del nostro tempo”105.

Il progetto di Moro presentato a Napoli costituì un punto fondamentale nell’alleanza

politica di centrosinistra106, da cui nacque un nuovo governo fra la DC, il PRI, il PLI e il PSDI,

con l’appoggio esterno del Partito socialista, che, come da programma, avrebbe dovuto

presentare al Parlamento un piano per la nazionalizzazione dell’energia elettrica entro i primi tre

mesi di attività107. Nel nuovo esecutivo, presieduto da Fanfani e entrato in carica il 21 febbraio

1962, sembrava delinearsi una forte spinta riformatrice sulla base di un ampio consenso politico.

sin da allora indicato alcune forme possibili e certo esse almeno essenziali di questo coordinamento, [avevamo] aggiunto che, se l’adozione di questi mezzi [fosse apparsa] insufficiente in ordine ai fini da raggiungere, noi non avremmo avuto alcuna obiezione nei confronti di una pubblicazione del settore che apparisse necessaria. Questa [era] appunto la nostra posizione. Noi non [eravamo] naturalmente, come [avevamo] detto a Napoli, in favore della nazionalizzazione per una ragione di principio, al solo scopo di restringere la sfera di azione della iniziativa privata; ma [eravamo] ad essa favorevoli senza riserve tutte le volte che essa [fosse apparsa] necessaria per soddisfare un interesse pubblico che altrimenti [sarebbe rimasto] inattuato” (ibidem, pp. 1114-1115). 105 Discorso del segretario della Democrazia cristiana, Aldo Moro, al Consiglio Nazionale tenutosi a Roma dal 3 al 5 luglio del 1962, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 1, Scritti e discorsi 1953-1978, Sottoserie annuali, Busta 4 (si veda anche A. Moro, Scritti e discorsi, a cura di G. Rossini, vol. II, 1951-1963, Roma, 1982, pp. 1164-1197). 106 Per approfondimenti sulla formula del centrosinistra e sui suoi sviluppi si vedano, tra gli altri, P. Di Loreto, La difficile transizione. Dalla fine del centrismo al centro-sinistra (1953-1960), Bologna, 1993; G. Tamburrano, Dal centrosinistra al neocentrismo. I difficili rapporti tra cattolici e socialisti, Firenze, 1973; Id., Storia e cronaca del centro-sinistra, Milano, 1976. Si veda anche P. Nenni, Gli anni del centro-sinistra. Diari 1957-1966, Milano, 1982. 107 Cfr. B. Bottiglieri, L’industria elettrica dalla guerra agli anni del «miracolo economico», in V. Castronovo (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 4, cit., pp. 82-83.

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Ciò malgrado, le innovazioni prospettate apparivano diverse a seconda delle appartenenze

politiche e sociali dei protagonisti, tanto che era possibile distinguere tre correnti di pensiero. Da

un lato, vi erano coloro che guardavano a delle riforme di tipo correttivo miranti a migliorare il

sistema di sviluppo italiano senza modificarne la struttura economica capitalistica.

Appartenevano a questa corrente i settori democristiani più progressisti rappresentati, ad

esempio, da Achille Ardigò e Pasquale Saraceno, ma vi faceva parte anche il repubblicano Ugo

La Malfa. Diversa, invece, la spinta riformatrice proposta dai socialisti che miravano a attuare

una serie di cambiamenti tali da avvicinare il paese a un graduale socialismo. Molto meno

ambiziosa, infine, la ricetta riformatrice che lo stesso Moro aveva delineato con precisione.

Questa corrente, detta minimalista, anziché intendere le riforme come un obiettivo primario le

considerava piuttosto uno strumento necessario per unire le forze del centrosinistra in un governo

stabile e duraturo:

“Come [era] noto i partiti che partecipa[va]no direttamente o indirettamente alla

maggioranza erano […] orientati verso la nazionalizzazione. Non solo per il partito socialista

italiano la disponibilità in mano pubblica delle fonti di energia rappresentava «condizione

necessaria» per il processo di industrializzazione e di sviluppo economico del Paese, ma anche

per il partito socialdemocratico «la nazionalizzazione dell’energia idroelettrica, termoelettrica e

nucleare, concepita come pubblico servizio, [veniva] ritenuta necessaria per realizzare una

politica di sviluppo. L’ente nazionalizzato che [avrebbe realizzato] – proseguiva il documento

programmatico del PSDI – la avocazione a pubblica impresa dell’industria energetica [doveva]

essere strutturato in modo da realizzare un efficiente decentramento che [valorizzava] e

[rispettava] l’apporto delle aziende municipalizzate e provincializzate e [garantiva] una serie di

democratici controlli ai quali [avrebbero partecipato] i rappresentanti dei consumatori e dei

lavoratori». Anche il partito repubblicano [aveva] assunto al riguardo una posizione analoga: pur

affermando la funzione essenziale dell’iniziativa privata e dichiarando che il settore elettrico

doveva essere l’unico settore da nazionalizzarsi, si [era] mostrato su tale punto fermo ed

intransigente. Il nostro atteggiamento fu dunque in partenza diverso da quello dei partiti alleati. E

tale atteggiamento prudente, ma libero da ogni preconcetto, ribadimmo in occasione delle

dichiarazioni programmatiche del Governo”108.

108 Discorso del segretario della Democrazia cristiana, Aldo Moro, al Consiglio Nazionale tenutosi a Roma dal 3 al 5 luglio del 1962, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 1, Scritti e discorsi 1953-1978, Sottoserie annuali, Busta 4.

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A emergere con maggiore forza rispetto alle altre proposte fu la corrente minimalista; la

questione della nazionalizzazione109 dell’energia elettrica rappresentò dunque il punto centrale

del programma di riforme governativo110:

“Il problema dell’energia in sede tecnica e politica ebbe – malgrado la brevità del periodo

trascorso – un notevole approfondimento. E fu attraverso questo approfondimento che prevalse

l’opinione che un trasferimento integrale nella sfera pubblica dell’industria elettrica sarebbe stata

la soluzione preferibile. A parte le già rilevate posizioni degli altri partiti che [costituivano] o

[condizionavano] la maggioranza, la nostra riserva poté essere sciolta per la considerazione della

pressante esigenza del coordinamento della impresa elettrica in Italia e per il dubbio che le forme

parziali ed esterne di unificazione si rivelassero col tempo inadeguate e riproponessero il

problema in condizioni aggravate e con la perdita di un tempo prezioso per il nostro sviluppo

economico e sociale. Ci [era] sembrato preferibile, conservando inalterata la presente situazione

politica, contribuire in modo determinante a strutturare il provvedimento in maniera che fossero

rispettate due condizioni: a) che una misura di nazionalizzazione fosse fatta con modalità tali da

non creare motivi di squilibrio in quel mercato finanziario, dal quale si [sarebbero dovuti]

attingere i mezzi necessari alla realizzazione del complessivo programma di Governo; b) che la

misura venisse adottata in modo conforme a quei principi di giustizia e di libertà cui si [era]

costantemente ispirata la nostra azione”111.

109 In realtà il termine pubblicamente utilizzato “in sede di dichiarazioni programmatiche del governo” non fu nazionalizzazione bensì “«pubblicizzazione», termine che senza escludere la soluzione nazionalizzatrice la considera[va] solo come una fra quelle possibili” [Lettera di Riccardo Lombardi, presidente del Comitato del PSI per l’attuazione del programma di governo, a Ugo La Malfa, ministro per il Bilancio, 29 maggio 1962, ACS, Carte Ugo La Malfa, Serie 3, Cariche di Governo, Sottoserie 4, Ministro del Bilancio (IV° Governo Fanfani), “Carteggio Onorevole Riccardo Lombardi”, Busta 27]. 110 Fu proprio grazie a questa promessa che il Partito socialista decise infatti di appoggiare, seppur esternamente, il nuovo esecutivo. Questa condizione sine qua non venne ribadita chiaramente in una lettera inviata il 29 maggio 1962 da Riccardo Lombardi, in qualità di presidente del Comitato del Partito socialista per l’attuazione del programma di governo, al ministro per il Bilancio, Ugo La Malfa: “Devo ribadire che il consenso del PSI al programma del governo fu esplicitamente subordinato alla condizione economicamente, tecnicamente e politicamente pari alla natura e al grado di maturazione nel Paese del problema energetico; condizione che assumeva un valore quanto mai vincolante per la congiunta dichiarazione fatta da due dei tre partiti partecipanti al governo di condividere la posizione del PSI, cioè di ritenersi vincolati, solo ad una soluzione nazionalizzatrice e non di altra diversa” [Lettera di Riccardo Lombardi, presidente del Comitato del PSI per l’attuazione del programma di governo, a Ugo La Malfa, ministro per il Bilancio, 29 maggio 1962, ACS, Carte Ugo La Malfa, Serie 3, Cariche di Governo, Sottoserie 4, Ministro del Bilancio (IV° Governo Fanfani), “Carteggio Onorevole Riccardo Lombardi”, Busta 27]. Il punto di vista coercitivo dei socialisti venne fatto conoscere al segretario della DC con una lettera di Nenni del 30 maggio '62, prima cioè che si tenesse la riunione del 4 giugno a Villa Madama alla quale parteciparono i segretari dei quattro partiti di maggioranza, Moro, Fanfani, La Malfa, (ministro del Bilancio), Giacinto Bosco (ministro di Grazia e Giustizia) e, in qualità di esperti, Mario Ferrari-Aggradi, Pasquale Saraceno e lo stesso Riccardo Lombardi, che doveva trattare proprio il tema della nazionalizzazione del settore elettrico [cfr. Lettera di Pietro Nenni a Aldo Moro, Roma, 30 maggio 1962, in Fondazione Pietro Nenni (a cura di), Pietro Nenni,Aldo Moro: Carteggio 1960-1978, Scandicci (Firenze), 1998, p. 4]. 111 Discorso del segretario della Democrazia cristiana, Aldo Moro, al Consiglio Nazionale tenutosi a Roma dal 3 al 5 luglio del 1962, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 1, Scritti e discorsi 1953-1978, Sottoserie annuali, Busta 4. Un chiarimento ulteriore è possibile trarlo dalla replica del segretario della DC alle discussioni sviluppatesi durante il citato Consiglio Nazionale di Roma: “Per quanto riguarda[va] il tema centrale del dibattito […] [era] emerso chiaramente che la nazionalizzazione dell’energia elettrica [era] stata decisa in un quadro politico determinato, che noi [ritenevamo] importante conservare inalterato. [Era] vero che a Napoli avevo accennato ad altre possibilità ma in seguito gli organi responsabili del Partito [erano] addivenuti alla convinzione della necessità della nazionalizzazione sia per un naturale accostamento di posizioni con i partiti alleati, sia perché ci [eravamo] persuasi che le misure surrogatorie non sarebbero state sufficienti ad attuare una reale unificazione ed un coordinamento adeguato del settore, come tutti [riconoscevano] unanimamente essere necessario” (A. Moro, Scritti e discorsi, a cura di G. Rossini, vol. II, 1951-1963, Roma, 1982, p. 1194).

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L’accordo raggiunto portò al disegno di legge presentato da Fanfani il 2 giugno 1962112

che prevedeva sia l’istituzione dell’ente statale per l’energia elettrica che una serie di obiettivi di

politica economica: completamento dell’elettrificazione dell’intera penisola, stabilizzazione e

contenimento delle tariffe, programmazione delle risorse energetiche e una politica di

investimenti allo scopo di favorire lo sviluppo del sud del paese113. La direzione intrapresa

produsse però forti resistenze all’interno degli stessi partiti114: nella Democrazia cristiana

insorsero i rappresentanti delle posizioni cosiddette di destra, i quali si opponevano sia alla

procedura di statalizzazione del settore elettrico che allo stesso programma elettorale preparato

per la coalizione di governo; perfino nei partiti di sinistra si manifestarono molti dubbi,

soprattutto fra coloro che temevano venissero abbandonati i vecchi principi anticapitalitistici pur

di trovare un accordo con le forze centriste115. Anche i giornali si schierarono: erano contrari alla

112 Tuttavia, già a partire da maggio si ebbero una serie di consultazioni sulle caratteristiche che la normativa sulla nazionalizzazione dell’energia elettrica avrebbe dovuto assumere. Particolarmente interessante, ad esempio, fu un’altra lettera inviata il 10 maggio 1962 da Lombardi al ministro La Malfa. Nella prima parte del testo si sottolineava la necessità che la competenza ministeriale del nuovo ente che si avviavano a costituire fosse del ministro per le Partecipazioni Statali e non di quello per l’Industria e Commercio, come ipotizzato in principio, “poiché [bisognava] garantire che l’azienda [ottemperasse] alla programmazione generale e del settore statale e del complesso economico nazionale; perciò [era] previsto il concerto del Ministro delle Partecipazioni con quello del Bilancio”. Nella seconda parte della lettera, invece, Lombardi rilevava che solo “la forma del decreto-legge” dava “il massimo di garanzie anche dal punto delle difficoltà parlamentari”. Così facendo “la discussione parlamentare […] sarebbe [stata] limitata a un solo articolo, quello di ratifica contenente l’elenco delle eventuali modificazioni introdotte e non invece la somma di ben 45 articoli che [costituivano] il progetto; là dove la procedura nel caso di legge delegata sarebbe [stata] molto più complessa e [avrebbe reso] inevitabile la defaticante discussione eventualmente ostruzionistica in sede di formulazione delle leggi delegate per le quali [sarebbe stata] difficilmente evitabile l’assistenza e il parere magari vincolante di una commissione parlamentare. Ma la preoccupazione più seria emerge[va] dal fatto che nel caso di legge delegata non si [sarebbe passati] immediatamente agli atti esecutivi. […] Il vero e principale vantaggio del decreto legge [era] appunto la esecuzione immediata almeno della parte essenziale e irreversibile del provvedimento che [sarebbe valsa] a deludere ogni prospettiva di efficace azione contraria” [Lettera di Riccardo Lombardi, presidente del Comitato del PSI per l’attuazione del programma di governo, a Ugo La Malfa, ministro per il Bilancio, 10 maggio 1962, ACS, Carte Ugo La Malfa, Serie 3, Cariche di Governo, Sottoserie 4, Ministro del Bilancio (IV° Governo Fanfani), “Carteggio Onorevole Riccardo Lombardi”, Busta 27]. Durante una riunione governativa del 15 giugno 1962 si era deciso anche di raggiungere “una soluzione comune” che ponesse particolare tutela per i piccoli azionisti interessati (cfr. Diario n. 14 dell’On. Amintore Fanfani, 15 giugno 1962, ASSR, Fondo Amintore Fanfani). 113 Cfr. F. Mazzonis, La nazionalizzazione elettrica: un’interpretazione storica, in G. Toniolo (a cura di), L’industria elettrica dai monopoli nazionali ai mercati globali, Roma, 2000, pp. 80-83. 114 Per uno studio sul lungo e aspro dibattito sulla nazionalizzazione si vedano, tra gli altri, G. Mori, La nazionalizzazione in Italia: il dibattito politico-economico, in V. Castronovo (a cura di), La nazionalizzazione dell’energia elettrica, cit., p. 107; E. Rossi, Elettricità senza baroni, Bari, 1962, pp. 70-71. 115 Le forti opposizioni presenti anche all’interno dei partiti di maggioranza spinsero Lombardi a scrivere un’ulteriore lettera indirizzata a La Malfa al fine di chiarire la situazione. Le soluzioni che si prospettavano erano principalmente due: nazionalizzazione o semplice «pubblicizzazione» del settore elettrico. Nel primo caso si sarebbe creato un “Ente nazionale unitario ma decentrato nelle funzioni: gli organi di decentramento privi di personalità giuridica; l’Ente, cioè, [doveva essere] […] un vero organismo unitario che affida[va] determinate funzioni a organi territoriali di decentramento. […] Questa soluzione implica[va] che la legge, contemporaneamente all’istituzione dell’ente, [stabilisse] la riserva in esclusiva all’Ente dei nuovi impianti, la riserva delle concessioni e la decadenza di quelle in atto, la decadenza delle subconcessioni in atto, la liquidazione delle società azionarie nazionalizzate conferendo ai commissari liquidatori tutti i poteri ordinari e straordinari spettanti ai consigli di amministrazione”. Nell’eventualità fosse stata scelta la «pubblicizzazione» si sarebbe stabilito “subito il passaggio di proprietà all’Ente delle imprese esistenti, e ciò mediante legge ordinaria, ma si affida[va] a leggi delegate il compito di organizzare l’Ente come azienda nazionale oppure come azienda a partecipazione, maggioritaria o totale, di capitale pubblico. Difatti la legge [avrebbe provveduto] solo l’appropriazione mediante riscatto con obbligazioni e la costituzione dell’Ente che [avrebbe assunto] la figura di una holding finanziaria. Si [sarebbe lasciato] alle leggi delegate […] il compito di attribuire all’Ente la struttura di holding, partecipando, con pacchetto maggioritario o addirittura totale, al capitale delle imprese ex private; i titoli azionari eventualmente di tipo «privileggiato» privi cioè del diritto di nomina degli amministratori”. Quest’ultima alternativa, ammoniva Lombardi, “non optando preventivamente per la nazionalizzazione (ma semplicemente per la proprietà pubblica) non risponde[va] agli impegni di tre fra i partiti della maggioranza che si [erano] pronunciati per la nazionalizzazione”. La «pubblicizzazione», dunque, sembrava essere quasi una «irizzazione». [Lettera di Riccardo Lombardi, presidente del Comitato del PSI per l’attuazione del programma di governo, a Ugo La

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nazionalizzazione, tra gli altri, «Il Sole», il «24 ore» e il «Corriere della Sera»; a favore «Il

Mondo», «L’Espresso», il «Giorno» e «La Stampa»116. L’editoriale de «L’Unità» del 21 giugno

'62, a firma di Mario Alicata, sottolineava come l’accordo governativo per la nazionalizzazione

dovesse rappresentare il primo passo verso l’abolizione di ogni monopolio privato nell’economia

italiana e richiamava all’unità tutte le forze di sinistra presenti nel paese:

“[Il] primo importante successo della lunga e tenace lotta delle forze di sinistra per imporre

la liquidazione del dominio dei monopoli privati in un settore chiave della nostra economia. […]

Le resistenze da battere [richiedevano] che l’azione delle forze di sinistra si [sviluppasse] unita in

tutto il paese su di un terreno più avanzato: per imporre, cioè, che la nazionalizzazione [segnasse]

effettivamente l’avvio di una nuova politica energetica; per imporre che ciò avvenga nel quadro

di una nuova politica economica generale antimonopolistica”117.

La posizione dei socialisti venne invece sintetizzata da un articolo di Lombardi

pubblicato sempre il 21 giugno '62 sull’«Avanti!» in cui sosteneva che la nazionalizzazione

costituiva il punto di svolta nella contrapposizione pubblica alle carenze delle iniziative private

nel settore; essa rappresentava di fatto:

“una rottura nell’equilibrio economico tradizionale [perché] per la prima volta dalla

Liberazione, un governo italiano si trova[va] nella condizione di fare una scelta contro

l’opposizione dichiarata dei gruppi di interesse. […] Alla carente, o minacciata di carenza,

iniziativa dell’imprenditore privato, occorre[va] supplire con una aumentata iniziativa pubblica.

Altrimenti l’economia s’inceppa[va] e ristagna[va] e la collettività paga[va] un alto prezzo

all’insipienza dei suoi inefficaci riformatori”118.

Il giornale socialdemocratico «La Giustizia» si limitò a pubblicare il 26 giugno il

resoconto dei lavori del Comitato Centrale del PSDI che, nella mozione conclusiva, si

impegnava “ad assecondare la realizzazione del programma governativo e si compiace[va] della

decisione raggiunta di presentare al Parlamento il progetto di legge per la nazionalizzazione

dell’energia elettrica che pone[va] la gestione di un servizio pubblico fondamentale a servizio

Malfa, ministro per il Bilancio, 8 giugno 1962, ACS, Carte Ugo La Malfa, Serie 3, Cariche di Governo, Sottoserie 4, Ministro del Bilancio (IV° Governo Fanfani), “Carteggio Onorevole Riccardo Lombardi”, Busta 27]. 116 Cfr. B. Bottiglieri, L’industria elettrica dalla guerra agli anni del «miracolo economico», in V. Castronovo (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 4, cit., p. 83. 117 M. Alicata, editoriale de «L’Unità», 21 giugno 1962. 118 R. Lombardi, «Avanti!» 21 giugno 1962.

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della nazione ed [era] la premessa di una seria programmazione della economia senza alcuna

mortificazione delle sane iniziative private”119.

Secondo le parole del direttore del giornale «La Voce Repubblicana», Ugo La Malfa, la

statalizzazione non era dettata da una astratta simpatia ideologica ma rispondeva alla necessità di

porre a disposizione della collettività un essenziale servizio pubblico del quale era tributaria

l’intera attività produttiva del paese:

“[La forma della nazionalizzazione era] stata scelta proprio in vista degli obiettivi che si

[intendevano] raggiungere con la pubblica gestione dell’energia elettrica: obiettivi di

incentivazione delle attività produttive, fornendo a tutti la possibilità di facile accesso a parità di

condizioni alle fonti energetiche e per ciò obiettivi squisitamente liberali, intesi ad assicurare la

vera libertà del mercato; obiettivi di perequazione tra diversi settori produttivi e fra le varie

regioni; obiettivi di sviluppo economico”120.

Di parere diametralmente opposto erano sia le considerazioni de «Il Secolo d’Italia», per

il quale alla base del provvedimento vi erano esclusivamente motivi politici che avrebbero avuto

gravissime conseguenze sull’economia nazionale121, che le valutazioni del direttore del

quotidiano «Il Roma», Alberto Giovannini, vicino ai monarchici, il quale nell’editoriale del 23

giugno affermava che il nuovo ente avrebbe rappresentato uno strumento di lottizzazione per i

socialisti e per i clericali:

“L’ENEL [era questo il nome ipotizzato per il nuovo ente nazionale per l’energia elettrica]

non [era stato] costituito per ragioni sociali ma per fornire ai socialisti uno strumento di potere, un

pascolo riservato per il riempimento di sempre nuove clientele; e un modo per spartire ciò che

rimane della torta italiana tra clericali e socialisti”122.

Il liberale Francesco Malagodi, infine, in un articolo del 21 giugno 1962 su «Il Giornale

d’Italia» rivelava come quella del settore elettrico non poteva essere considerata come la prima e

l’ultima nazionalizzazione in quanto lo statalismo socialista non si sarebbe accontentato della

sola elettricità123.

Le imprese private che operavano nel settore elettrico cercarono con ogni mezzo di

impedire che il governo portasse avanti il progetto. Esse cercarono l’appoggio dei piccoli 119 «La Giustizia», 26 giugno 1962. 120 U. La Malfa, «La Voce Repubblicana», 21 giugno 1962. 121 Cfr. editoriale de «Il Secolo d’Italia», 23 giugno 1962. 122 A. Giovannini, «Il Roma», 23 giugno 1962. 123 Cfr. F. Malagodi, «Il Giornale d’Italia», 21 giugno 1962.

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azionisti che con la nazionalizzazione avrebbero potuto perdere i loro risparmi, ma anche dei

gruppi politici della destra e dei liberali. In Parlamento più volte si sollevarono questioni di

incostituzionalità al disegno di legge e venne praticato un massiccio ostruzionismo. Sulla stampa

si scatenò una lunga battaglia in seguito alla quale, in un’intervista concessa al settimanale «Il

Borghese» l’11 ottobre '62, il ministro del Bilancio cercò di tranquillizzare l’opinione pubblica

affermando che “nelle presenti condizioni, cioè nelle stesse condizioni in cui si sarebbe trovata

l’impresa privata, l’ENEL non [avrebbe aumentato] le tariffe agli utenti”124. In risposta alle

dichiarazioni del ministro, il direttore della rivista, Mario Tedeschi, nel numero successivo del

giornale sottolineò come anche La Malfa fosse a conoscenza del fatto che il nuovo ente si

sarebbe trovato a operare in una situazione strutturale e ambientale completamente diversa dalla

presente e, quindi, esso sarebbe stato costretto, per motivi meramenti economici, a aumentate i

costi del servizio offerto:

“l’ENEL, nel momento stesso della sua nascita, e sol perché nasce, non si [sarebbe trovata]

«nelle stesse condizioni in cui si sarebbe trovata l’industria privata». Il Governo [aveva] cercato

di nascondere questa realtà all’opinione pubblica, tanto [era] vero che nel progetto di legge non

[veniva] previsto alcun finanziamento per la costituzione dell’Ente: in altre parole, l’organismo

centrale che [avrebbe dovuto] nazionalizzare le varie imprese elettriche, nominare circa cinquanta

commissari straordinari ed altrettanti vicecommissari, assumere la gestione collettiva di un

patrimonio smisurato, secondo il progetto di legge governativo [avrebbe dovuto] nascere senza

bisogno d’una lira, per virtù dello Spirito Santo. Tutti [capivano] che ciò non [era] possibile, ma il

Governo non poteva confessare che, soltanto per mettere in piedi il «carrozzone» dell’ENEL, si

[sarebbero spese] molte decine di miliardi. Così, nella relazione alla Camera si [era] ricorsi ad una

scappatoia, e si [era] detto che all’inizio l’Ente [avrebbe vissuto] con una «apertura di credito a

suo favore presso il Tesoro», di settanta-ottanta miliardi. Un debito, insomma, che poi [doveva]

essere pagato. Inoltre, l’onorevole La Malfa [sapeva] che la nascita dell’ENEL [avrebbe

provocato] una notevole decurtazione degli introiti fiscali. […] La perdita per il fisco, a giudizio

dei più, si [sarebbe aggirata] sui trenta miliardi di lire. Il Governo, perciò, una volta costituito

l’ENEL, se [voleva] rifarsi, [aveva] soltanto una strada: aumentare le tariffe; farsi pagare più caro

il servizio, per tappare le falle della nazionalizzazione”125.

Anche all’interno dello stesso esecutivo emersero forti dubbi; fra i contrari, ad esempio,

figurava il ministro della Difesa, Giulio Andreotti, il quale richiese ufficialmente assicurazioni

124 I protagonisti della «svolta». Intervista col Ministro La Malfa di Gianna Preda in «Il Borghese», XIII, vol. XXIII, n. 41, Milano, 11 Ottobre 1962. 125 Risposta al Ministro La Malfa di Mario Tedeschi in «Il Borghese», XIII, vol. XXIV, n. 42, Milano, 18 Ottobre 1962.

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affinché provvedimenti analoghi non venissero adottati anche in altri settori126. Un gruppo di

studio composto dai senatori democristiani era addirittura giunto alla conclusione che la

nazionalizzazione sarebbe stata in contrasto con la linea politica approvata dal Congresso di

Napoli; in una relazione degli inizi di novembre 1962 veniva detto che:

“Il quadro obiettivamente delineato [era] sufficiente per efficacemente ed ineccepibilmente

dimostrare e convincere – quando non si [avessero] preconcetti e pregiudizi – che gli obiettivi di

una politica dell’energia ispirata all’interesse generale del paese [potevano] essere conseguiti

senza la nazionalizzazione e più efficacemente che con la nazionalizzazione”127.

Nonostante le tante voci contrarie, l’iter legislativo si compì e il 6 dicembre 1962 venne

promulgata la legge n. 1643 che sanciva la nascita dell’Ente Nazionale Energia Elettrica128.

Durante i dibattiti politici sulla nazionalizzazione, l’industria elettrica italiana conobbe

una netta espansione nel pieno del “miracolo economico”: tra la fine degli anni Cinquanta e gli

inizi degli anni Sessanta la domanda di energia aumentò considerevolmente e si effettuarono

ingenti finanziamenti per la costruzione di nuovi impianti che però apparivano poco adatti a

rispondere alle nuove esigenze del mercato. L’accresciuto fabbisogno energetico richiedeva

infatti la costruzione di centrali elettriche decisamente più potenti che erano ritenute a ragion

veduta più convenienti dal punto di vista economico129. Anche le caratteristiche territoriali

dell’Italia, con l’ulteriore riduzione dell’apporto delle risorse idriche, spingevano verso una

diversificazione degli investimenti: in impianti termici o nucleari. Nel 1960 il settore privato

copriva il 61,6% della produzione ma quest’ultima era suddivisa in tante società più o meno

grandi e si avvertiva la necessità di assicurare unità anche sul piano tecnico per rispondere in

maniera adeguata alla crescente domanda. I programmi di sviluppo presentati in quegli anni

furono decisamente ambiziosi nel tentativo di bloccare il processo di nazionalizzazione e

126 Cfr. F. Mazzonis, La nazionalizzazione elettrica: un’interpretazione storica, cit., p. 83. 127 F. Arcidiacono, La Commissione speciale per l’ENEL non ha accolto tutte le proposte DC, «Il Giornale d’Italia», 12 Novembre 1962. 128 Per uno studio sulle leggi emanate dallo Stato e riguardanti l’istituzionalizzazione dell’ENEL si veda Ente Nazionale Energia Elettrica, Provvedimenti legislativi di carattere generale riguardanti l’ENEL, Roma, 1966. Per un’interpretazione diretta con il commento di alcuni dei protagonisti (Amintore Fanfani, Emilio Colombo, Francesco De Martino, Mario Ferrari-Aggradi, Riccardo Lombardi, Giovanni Malagodi, Pasquale Saraceno) si veda G. Schiavi, La rivoluzione elettrica. ENEL, storia di una nazionalizzazione, Roma, 1989. 129 Per un’analisi a carattere generale tra le necessità energetiche e la disponibilità delle fonti primarie nella seconda metà degli anni Cinquanta e agli inizi degli anni Sessanta si veda A. M. Angelini, L’accesso alle fonti di energia nel quadro dei rapporti internazionali, Estratto da «L’elettronica», vol. XLVIII, n. 3 bis, 1961, in Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, ENEL, Società Italiana per il Progresso delle Scienze, Raccolta di Scritti sull’Energia Elettrica del Prof. Arnaldo Maria Angelini, Roma, 2006, pp. 141-159. In quegli anni il prof. Angelini faceva parte, tra l’altro, della Commissione Consultiva dell’Energia dell’OECE e nel 1963 fu chiamato a assumere dapprima la Direzione Generale e, successivamente, durante gli anni Settanta, la presidenza proprio dell’ENEL. Per uno studio sul ruolo economico che l’energia ebbe nel determinare la crescita dell’industria italiana dal 1953 al 2005 si veda, tra gli altri, A. Cardinale, A. Verdelli, Energia per l’industria in Italia. La variabile energetica dal miracolo economico alla globalizzazione, cit., pp. 37-57.

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dimostrare che anche i privati erano in grado di sostenere le nuove esigenze imposte

dall’ingresso dell’Italia nel Mercato Comune Europeo. L’ANIDEL stimò una crescita per il

triennio '60-'63 pari al 7,2% che, anche se leggermente ritoccata, portò nel '63 la produzione

effettiva a 71,3 miliardi di kWh e un consumo pari a 62,8 miliardi130. Uno sviluppo garantito

essenzialmente dalla costruzione di nuovi impianti di tipo termico e, per la prima volta, da

piccoli impianti nucleari.

Il nuovo ente istituito con la legge n. 1643 del 6 dicembre 1962 non poteva dunque

prescindere dalle caratteristiche tecniche delle industrie elettriche presenti131; era necessario

considerare in modo unitario tutto il sistema per cercare di raggiungere il più alto grado di

coordinamento e il migliore utilizzo possibile delle risorse. Per questa ragione si optò per “il

trasferimento ad un Ente di diritto pubblico delle imprese che esercita[vano] le attività di

produzione, trasporto, trasformazione e distribuzione dell’energia elettrica da qualsiasi fonte

prodotta, attività che [venivano] riservate all’Ente”132.

All’ENEL si riconobbe massima autonomia e operatività, non vincolando fin da subito

l’attività a obiettivi redditizi come per le aziende private o a partecipazione statale. Per quanto

concerneva gli indennizzi alle società private, si stabilì che il totale venisse dedotto dalle

quotazioni di mercato e che su questi debiti venisse riconosciuto un tasso di interesse del

5,50%133. Una parte delle azioni delle imprese venne acquistata direttamente dal nuovo ente,

corrispondendo un prezzo pari a quello stabilito per l’indennizzo, mentre per le necessità di

investimenti e impianti si fece ricorso sia all’autofinanziamento che all’emissione di

obbligazioni. Il sistema delle liquidazioni si rivelò decisamente positivo in quanto permise a

diversi imprenditori di non subire danni finanziari e di investire queste somme in altri settori. In

questo contesto la Edison si fuse con la Montecatini, la SIP acquisì il controllo del servizio

telefonico e le potenti società elettriche private, che per anni avevano creato una posizione forte

di comando nell’economia italiana, cessarono di esistere.

130 Cfr. F. Mazzonis, La nazionalizzazione elettrica: un’interpretazione storica, cit., p. 84. 131 Per un’analisi sulle caratteristiche tecniche del settore elettrico italiano nel 1962 si veda G. Verzì, Struttura e problemi dell’industria elettrica italiana nel 1962, Milano, 1962. 132 G. Mori, La nazionalizzazione in Italia: il dibattito politico-economico, in V. Castronovo (a cura di), La nazionalizzazione dell’energia elettrica, cit., p. 98. 133 Anche sulla forma e sulle modalità di indennizzò delle società elettriche private si scontrarono due idee differenti: la prima, di Guido Carli, prevedeva un pagamento in contanti che avrebbe permesso a queste di continuare a operare come società finanziarie; la seconda, fatta propria da Riccardo Lombardi, consisteva nell’emissione di obbligazioni varate dall’ENEL e garantite dallo Stato. Si preferì, proprio per evitare una linea troppo radicale, il piano previsto da Carli (cfr F. Mazzonis, La nazionalizzazione elettrica: un’interpretazione storica, cit., p. 84). Per ulteriori approfondimenti si veda anche P. Bolchini, Le aziende municipalizzate e la nazionalizzazione dell’energia elettrica, in V. Castronovo (a cura di), La nazionalizzazione dell’energia elettrica, cit., pp. 187-219.

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2. L’espansione dell’energia nucleare

2.1. Dall’INFN al CNRN

Costituito nel 1951, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare rappresentò da subito il polo

attorno al quale si raccolsero le personalità più attive in Italia nel settore della ricerca nucleare

fondamentale. Venne considerato dai più come lo strumento decisivo mediante il quale la fisica

italiana riuscì a recuperare e a mantenere una posizione di prestigio internazionale nel campo

delle alte energie e delle particelle elementari, un settore che si contraddistingueva per una

crescita innovativa molto rapida e per una forte competizione134. L’INFN aveva il compito di

coordinare le attività dei vari centri di studio del Consiglio Nazionale delle Ricerche ma si

sviluppò al punto da acquisire una propria distinta autonomia e rappresentare, sul piano dei

risultati scientifici, uno dei centri di ricerca più prestigiosi per l’Italia. L’istituto fin dall’inizio

fece propri gli obiettivi principali del CISE: costruire un grande acceleratore di particelle e un

potente reattore nucleare italiano. Il Centro informazioni studi ed esperienze alla fine del 1951

aveva già raggiunto alcuni importanti traguardi: erano stati realizzati un impianto pilota per la

produzione di acqua pesante mediante elettrolisi, un sistema sperimentale per la metallurgia

dell’uranio e era stata approntata un’attrezzatura elettronica di alta qualità. Ciò nondimeno, il

maggiore risultato era da considerarsi la formazione di personale qualificato che negli anni

successivi svolse un ruolo importante per lo sviluppo della ricerca nucleare italiana135. Agli inizi

del 1952, secondo il parere di Giuseppe Bolla, esistevano nel paese le premesse scientifiche

ideali per lo sviluppo dei promettenti stugli studi sull’atomo ma le risorse finanziarie messe a

disposizione erano insufficienti e sembrava mancare l’interesse stesso della politica:

“Si [poteva] affermare che [esistevano] in Italia i presupposti scientifici e tecnici

fondamentali per la costruzione di una pila sperimentale. Esiste[va] cioè un nucleo di ricercatori

specializzati e capaci di inquadrare il lavoro di altri ricercatori; [esistevano] inoltre impianti pilota

dai quali derivare gli impianti di produzione. [Il problema principale che il Centro informazioni

studi ed esperienze doveva affrontare era la mancanza di finanziamenti adeguati per cui]

delude[va] […] il ritardo di un interessamento ufficiale a sostegno dello sforzo degli industriali,

degli universitari, dei ricercatori”136.

134 Per uno studio effettuato da uno dei protagonisti si veda E. Amaldi, Gli anni della ricostruzione, Archivio del Dipartimento di Fisica dell'Università di Roma “La Sapienza”, Fondo Edoardo Amaldi, Archivio Amaldi Eredi, Busta 89E, pp. 55-56. Per un’analisi sui risultati raggiunti dalla ricerca nel settore nucleare già nel '51 cfr. Id., Recenti progressi e prospettive dello sviluppo della energia nucleare, aprile 1951, ibidem, Busta 8E. 135 Cfr. M. Silvestri, Il costo della menzogna, cit., pp. 58-59. 136 Ibidem, p. 58; G. Battimelli (a cura di), L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, cit., p. 79.

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Ciò che da più parti veniva richiesto era quindi un intervento dello Stato mediante

sovvenzioni pubbliche che permettessero al CISE di proseguire le ricerche in atto e, in generale,

sostenessero adeguatamente l’intero settore del nucleare137. Diversi tentativi per sensibilizzare i

politici italiani si fecero già a partire dalla nascita del CISE e, in particolare, ci provò anche

Edoardo Amaldi nel 1951 con un promemoria fatto recapitare direttamente a De Gasperi, il

quale, noto per avere un atteggiamento, secondo l’opinione di Silvestri138, poco favorevole nei

confronti della ricerca scientifica, non cambiò le proprie convinzioni139. Con la formazione del

VII° governo De Gasperi il 26 luglio 1951, la nomina a ministro dell’Industria e Commercio di

Pietro Campilli fornì un nuovo impulso che si sostanziò, nell’aprile successivo, nella creazione

della Finelettrica, la finanziaria dell’IRI nella quale erano state raggruppate le quote di

partecipazione pubblica nell’industria elettrica. Il neo ministro appariva sensibile alle questioni

energetiche e, in particolare, comprese fin da subito il ruolo che avrebbe potuto assumere

l’energia nucleare140; per queste motivazioni venne contattato direttamente dal professore

Francesco Giordani141, in quel momento in carica come presidente della SVIMEZ, nel tentativo

di conseguire impegni governativi anche nel settore nucleare. Campilli riuscì a trovare un

accordo con il ministro della Pubblica Istruzione, Antonio Segni, e, facendo pressione su De

Gasperi, ottenne, il 26 giugno '52, il varo del decreto che istituì il Comitato nazionale per le

ricerche nucleari142. Il nuovo istituto si classificò come organo di ricerca e coordinamento nel

settore degli studi atomici. Al CNR fu riservato il compito di dirigerne la ricerca scientifica,

mentre il Ministero dell’Industria e Commercio doveva dettare i criteri per l’esecuzione degli

137 Per uno studio sulle varie osservazioni che ci furono in merito alla scarsa considerazione del mondo politico nei confronti dello sfruttamento delle ricerche sul nucleare a scopi industriali si vedano, tra gli altri, B. Curli, Il progetto nucleare italiano (1952-1964), Soveria Mannelli, 2000, p. 146; L. De Paoli, Programmi di investimento e novità tecniche, cit., pp. 212-213; F. Ippolito, F. Simen, La questione energetica: dieci anni perduti (1963-1973), cit., p. 83; G. Paoloni (a cura di), Energia, ambiente, innovazione: dal CNRN all’ENEA, Roma-Bari, 1992, p. 9-11; M. Silvestri, Il costo della menzogna, cit., p. 65. 138 Cfr. ibidem, pp. 61-63. 139 Cfr. G. Battimelli (a cura di), L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, cit., p. 77-78; G. Paoloni, Gli esordi del nucleare, cit., pp. 386-387. 140 Cfr. R. Maiocchi, Il ruolo delle scienze nello sviluppo industriale italiano, in G. Micheli (a cura di), Storia d’Italia. Annali 3. Scienza e tecnica nella cultura e nella società dal Rinascimento a oggi, Torino, 1980, p. 968, cit. in A. R. Rigano, La Banca d’Italia e il progetto ENSI: fonti per la storia dello sviluppo energetico italiano degli anni Cinquanta nelle carte dell’Archivio della Banca d’Italia , in Banca d’Italia, «Quaderni dell’Ufficio Ricerche Storiche», n. 4, Roma, 2002, p. 15, nota 16. 141 Francesco Giordani, professore di elettrochimica ed impianti industriali, ricoprì fino al 1951 le cariche di vicepresidente dell’IRI dal 1937 al 1939; presidente dell’IRI dal 1939 al 1943; vicepresidente dell’Ente nazionale cellulosa e carta dal 1937 al 1938; presidente del CNR dal 1943 al 1944; alternate executive director dell’Italia presso la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo dal 1947 al 1950. Tra gli studi sulla sua figura si vedano B. Curli, Francesco Giordani, in «La città nuova», 1994, n. 4-5; L. Scalpelli, Francesco Giordani (1896-1961) in A. Mortara (a cura di), I protagonisti dell’intervento pubblico in Italia, cit., pp. 471-499. 142 Cfr. G. Battimelli (a cura di), L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, cit., p. 80-81; L. Nuti, La sfida nucleare, cit., pp. 53-70; G. Paoloni, Gli esordi del nucleare, cit., p. 386.

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studi sull’impiego industriale del nucleare143. In base al decreto istitutivo il CNRN doveva

assolvere i seguenti compiti:

“Effettuare studi, ricerche e sperimentazioni nel campo della fisica nucleare; promuovere il

coordinamento delle iniziative che [potevano] sorgere nello stesso campo di studi e ricerche;

attuare eventualmente tale coordinamento nell’ambito delle leggi vigenti; promuovere ed

incoraggiare lo sviluppo delle applicazione industriali dell’energia nucleare; mantenere i rapporti

e sviluppare la collaborazione con le organizzazioni internazionali e con gli enti stranieri che

opera[vano] nel campo degli studi nucleari”144.

Per svolgere queste funzioni si misero a disposizione dell’organismo circa un miliardo di

lire, di cui seicento milioni destinati al CISE, duecento all’INFN145, cento agli impegni

internazionali e cento alle spese per il funzionamento del Comitato, alle missioni e alle ricerche

minerarie146. Se paragonati ai risultati che si volevano conseguire gli investimenti effettuati dal

governo italiano erano decisamente contenuti e molto inferiori rispetto alle sovvenzioni concesse

nello stesso periodo negli altri paesi147. Nel caso italiano, inoltre, occorreva fare i conti anche

con una forte opposizione fra gli appartenenti alle diverse istituzioni create nel settore nucleare;

in particolare emerse una certa diffidenza all’interno del CISE, organismo finanziato da società

private, all’indomani della nascita dello stesso CNRN, sovvenzionato e gestito direttamente dal

governo, a cui si aggiunse la personale ostilità del presidente del CNR, Gustavo Colonnetti, nei

confronti del presidente Francesco Giordani148. Con la concessione di finanziamenti pubblici al

CNRN le divergenze aumentarono: anche se le decisioni sulle somme da stanziare erano in realtà

143 Cfr. F. Ippolito, L’EURATOM e la politica nucleare italiana, cit., pp. 49-55; A. R. Rigano, La Banca d’Italia e il progetto ENSI, cit., p. 15. 144 Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari, Un piano quinquennale per lo sviluppo delle ricerche nucleari in Italia, Roma, 1958, pp. 1-2. All’interno del CNRN lavorarono personalità quali Modesto Panetti (docente del Politecnico di Torino, presidente del Comitato nazionale per l’ingegneria e l’architettura del CNR e senatore democristiano) con il ruolo di vicepresidente, Edoardo Amaldi, Enrico Medi (fisico, allievo di Antonino Lo Surdo e deputato DC), Aldo Silvestri-Amari (direttore generale per la produzione industriale), Felice Ippolito, Bruno Ferretti, Arnaldo Maria Angelini, Vittorio De Biasi e lo stesso Francesco Giordani, nominato primo presidente. 145 Per uno studio sulle ricerche tecniche e i relativi risultati raggiunti dall’INFN durante gli anni Cinquanta si vedano G. Battimelli (a cura di), L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, cit., p. 77-138; Relazione sull’attività svolta dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Storia dell’Istituto, in Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari, Un piano quinquennale per lo sviluppo delle ricerche nucleari in Italia, cit., pp. 374-397. Per un’analisi generale si veda G. Battimelli, V. Patera (a cura di), L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. La ricerca italiana in fisica subatomica, Roma-Bari, 2003. Per gli anni successivi cfr. C. Villi (a cura di), La Fisica nucleare fondamentale in Italia. Relazione sul complesso di attività dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare nel periodo 1970-1975, Padova, 1976. 146 Il Ministero dell’Industria e Commercio mise a disposizione seicento milioni, il CNR inizialmente duecento che poi diventarono duecentocinquanta milioni, l’IRI ne stanziò cento e altrettanto fece la Confindustria che, tuttavia, non li versò mai (cfr. G. Paoloni, Gli esordi del nucleare, cit., p. 387). 147 Negli Stati Uniti, ad esempio, l’USAEC nel 1952 disponeva circa di un miliardo e ottocento milioni di dollari (circa ottocento miliardi di lire); in Gran Bretagna l’UKAEA aveva ottenuto un finanziamento pari a sessantadue milioni di sterline (circa centodieci miliardi di lire); il CEA francese ben cinquecento milioni di franchi (ibidem, 388). 148 Per approfondimenti si vedano L. Belloni, Sulla genesi del CERN, in «Storia contemporanea», cit., pp. 615-663; G. Paoloni (a cura di), Energia, ambiente, innovazione: dal CNRN all’ENEA, cit., pp. 9-11; M. Silvestri, Il costo della menzogna, cit., pp. 64-79.

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già decise da tempo e il Comitato non doveva fare altro che smistarle fra i vari enti, il CNRN,

promuovendo “il coordinamento delle iniziative” dell’intero settore nucleare, poteva

condizionare i piani di ricerca e, quindi, aveva un certo potere di ingerenza sull’utilizzo delle

sovvenzioni che indirettamente elargiva. A ciò bisognava aggiungere l’assenza di una legge che

disciplinasse l’intero settore e quindi l’impossibilità di definire i compiti che spettavano allo

Stato nell’ambito di tutte le applicazioni e gli usi del nucleare e quelli, invece, che concernevano

il CNRN stesso, privo di una propria personalità giuridica149. D’altronde, era palese che vi

fossero divergenze tecniche profonde anche fra i collaboratori del Comitato nazionale: le idee di

Giordani e di Ippolito, ad esempio, non potevano certo coincidere con quelle di De Biasi150. Si

crearono all’interno del CNRN, dunque, almeno due anime che iniziarono a ostacolarsi

vicendevolmente. Si trattava in ogni caso di un contrasto ipotizzabile anche a priori dal momento

che l’istituzionalizzazione stessa del Comitato nazionale era avvenuta con un decreto del

presidente del Consiglio e senza quindi alcuna discussione parlamentare; segno, questo, che il

CNRN nasceva senza una reale strategia politica che intendesse impiegarlo concretamente per

gli scopi prestabiliti. Né l’iniziativa privata mediante la creazione del CISE, né l’intervento

pubblico successivo tramite il CNRN e le sovvenzioni concesse, potevano ritenersi sufficienti e

adeguate perché si realizzasse un programma strategico nazionale nel settore dell’energia

nucleare.

Dal punto di vista strettamente tecnico, le posizioni principali che emersero

rispecchiavano divergenze di natura socio-politica e economica. Il gruppo milanese del CISE,

diretto dal professore Bolla, più orientato verso l’industria privata, intendeva sviluppare un

reattore nucleare completamente italiano. Era un progetto certamente ambizioso date le ridotte

disponibilità finanziarie, ma di certo, se realizzato, avrebbe potuto dare all’Italia quel know-how

indispensabile per padroneggiare in toto la complessa tecnologia alla base dell’energia nucleare.

L’idea del CNRN e del presidente Giordani, ovviamente più burocratica e statalista data la

composizione stessa del Comitato, mirava ad acquisire all’estero quei prodotti avanzati già

sviluppati e necessari per costruire fin da subito un reattore, evitando i lunghi e fondamentali

stadi intermedi che una siffatta ricerca scientifica nazionale imponeva151. Tuttavia, nella realtà

149 Diversi furono i pareri negativi espressi nei confronti del nuovo istituto all’indomani della sua nascita: “Per il Consiglio delle Ricerche infatti il CNRN non era che un figlio illegittimo, mostruoso e indisciplinato; per il Ministero dell’Industria uno dei tanti comitati, come per esempio il «comitato carboni», da ascoltare in alcuni casi, ma lasciando ovviamente il potere decisionale nelle mani della burocrazia ministeriale; per gli industriali del CISE, il CNRN avrebbe dovuto essere solo lo strumento per pompare qualche miliardo alle casse dello Stato” [F. Ippolito, F. Simen, La questione energetica: dieci anni perduti (1963-1973), cit., p. 90]. 150 Per approfondimenti si vedano L. De Paoli, Programmi di investimento e novità tecniche, cit., pp. 212-213; G. Paoloni, Gli esordi del nucleare, cit., p. 388. 151 Entrambe le scelte avrebbero tuttavia avuto risvolti sia di natura politica che militare. L’industria elettrica del settore privato, ad esempio, spingeva per creare in Italia un reattore di tipo americano a uranio arricchito che avrebbe inevitabilmente comportato l’appoggio definitivo al blocco politico-militare statunitense in piena guerra fredda, ma avrebbe anche permesso l’importazione di know-how e di prodotti americani. Se si fosse invece seguita l’ipotesi, capeggiata dai fautori di un controllo statale di tutti gli impianti

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l’unica struttura operante nel campo della ricerca nucleare applicata era proprio il CISE e,

quindi, qualsiasi fosse l’indirizzo programmatico che si voleva perseguire era inevitabile che il

CNRN collaborasse fattivamente con il gruppo milanese capeggiato dal professore Bolla. Questa

condizione di base, come si poteva immaginare, era difficile da ottenere: da una parte, le società

private appartenenti al CISE pretendevano l’autonomia assoluta rispetto al CNRN, dall’altra,

Giordani avversava l’ipotesi che il Comitato nazionale si trasformasse in un semplice istituto

dispensatore di fondi senza alcun compito operativo e senza programmazione degli indirizzi152.

Sulla base di queste considerazioni e per evitare che all’interno del CISE si rafforzasse

notevolmente il ruolo delle aziende private, il presidente del CNRN, in accordo con Felice

Ippolito, decise di limitare i finanziamenti nei confronti di queste ultime imponendo che le

sovvenzioni del Comitato nazionale dirette al CISE fossero equamente divise al suo interno fra

soggetti privati e pubblici. Ne beneficiarono ovviamente le aziende a partecipazione statale quali

l’IRI, l’Ente Nazionale Idrocarburi e la Cogne, ma il provvedimento si rivelò inefficace vista

l’impossibilità di ridurre il ruolo primario svolto dalle società private all’interno del CISE, vera

anima dello stesso Centro Italiano di Studi ed Esperienze153. Le contrapposizioni interne

aumentarono fino a comprendere, oltre alla scelta del tipo di reattore da realizzare, anche

l’ubicazione degli impianti, le effettive competenze tecniche e valutative dei progetti da parte di

alcuni protagonisti, la convenienza economica di certi investimenti e, come se non bastasse,

anche gli accesi dibattiti sulla nazionalizzazione dei vari settori energetici italiani, incluso quello

nucleare154. Nonostante all’interno del CISE si diffondessero le preoccupazioni fra i privati sulla

possibilità di una nazionalizzazione estesa al Centro, quest’ultimo riuscì a ingrandirsi e a

potenziarsi finché, nel 1955, si decise di comune accordo l’ingresso, con il cinquanta percento

nucleari, di creare una filiera a uranio naturale come quelle francesi o inglesi si poteva prevedere anche un utilizzo delle ricerche atomiche in campo militare. Secondo i protagonisti del tempo questo dilemma risultava decisamente infruttuoso: Giordani e Ippolito propendevano infatti per la collaborazione statunitense, almeno nella prima fase, anche perché l’Italia, per ovvie motivazioni di tipo storico-politico, era interessata solo alle utilizzazioni pacifiche dell’energia nucleare [si vedano, tra gli altri, B. Curli, Il progetto nucleare italiano (1952-1964), cit., pp. 155-156; F. Ippolito, L’EURATOM e la politica nucleare italiana, cit., pp. 56-60; C. Lombardi, La questione dell’energia nucleare, in G. Zanetti (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 5, cit., 1994, p. 601; A. R. Rigano, La Banca d’Italia e il progetto ENSI, cit., p. 17]. 152 Per approfondimenti si veda G. Paoloni, Gli esordi del nucleare, cit., p. 406. 153 Cfr. L. De Paoli, Programmi di investimento e novità tecniche, cit., p. 213. Si costituì anche un sottocomitato scientifico per lo studio dei progetti del reattore nucleare composto sia dai membri del CNRN (Giordani, Angelini e Ferretti) che dagli esperti del CISE (Bolla, Salvetti e Silvestri). Questo sottocomitato a cui, in un secondo momento collaborarono anche Felice Ippolito, Modesto Panetti e Giuseppe Gabrielli, aveva il compito di preparare un programma più dettagliato e di studiare il problema della sede del reattore e dei nuovi impianti del CISE (cfr. G. Paoloni, Gli esordi del nucleare, cit., pp. 388-389). 154 In proposito vennero richieste particolari garanzie da parte degli Stati Uniti per quei paesi che volevano stabilire accordi commerciali sulle importazioni di uranio: Washington pretendeva che i governi attuassero legislazioni sulla base di quella in vigore negli Stati Uniti. In questo paese la proprietà dei materiali fissili era sotto il controllo diretto dello Stato in quanto potenzialmente utilizzabili per scopi militari, mentre i privati, dopo aver richiesto un’autorizzazione all’USAEC, potevano solo sfruttare i combustibili nucleari, dietro compenso, per usi pacifici [cfr. B. Curli, Il progetto nucleare italiano (1952-1964), cit., p. 25; L. De Paoli, Programmi di investimento e novità tecniche, cit., p. 237].

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del capitale, di una finanziaria appositamente costituita, la Finsas, che inglobava le quote

partecipative dell’IRI, dell’AGIP e del Comune di Milano155.

2.2. Gli albori della collaborazione internazionale

Il clima creatosi in seguito alla riunione di Losanna del dicembre 1949 e alla Conferenza

Generale dell’UNESCO di Firenze dell’anno successivo contribuì a intensificare notevolmente i

dibattiti e le ipotesi di cooperazione internazionale anche nel settore delle ricerche nucleari156.

Dopo aver firmato il 18 aprile 1951 a Parigi il Trattato istitutivo della Comunità europea del

carbone e dell’acciaio, mediante il quale Francia, Germania Occidentale, Italia, Belgio,

Lussemburgo e Paesi Bassi mettevano in comune le produzioni di queste due materie prime157,

nel luglio del '53, durante un meeting tenuto nella capitale francese, alcuni Stati europei decisero

di impegnarsi per la costituzione di un altro organismo, a cui venne assegnato il nome

convenzionale di EURATOM158, che avrebbe dovuto coordinare i programmi di ricerca

comunitari relativi all’energia nucleare159. Nello stesso anno, dopo la notizia pubblicata il 12

155 Cfr. G. Paoloni, Gli esordi del nucleare, cit., p. 389. 156 Per un’analisi delle cooperazioni scientifiche che, nonostante l’assenza di istituzioni internazionali preposte, si avviarono a partire dagli anni Cinquanta si veda E. Amaldi, Gli anni della ricostruzione, Archivio del Dipartimento di Fisica dell'Università di Roma “La Sapienza”, Fondo Edoardo Amaldi, Archivio Amaldi Eredi, Busta 89E, pp. 55-63. 157 Il Trattato del 1951 instaurò un vero e proprio mercato comune del carbone e dell’acciaio, eliminando tutti i diritti di dogana e le limitazioni quantitative che regolavano fino a quel momento il circolo di queste due materie prime, rendendo completamente libera dunque la loro circolazione; si soppressero anche tutte le misure discriminatorie, gli aiuti o le sovvenzioni accordate in precedenza dai vari governi in funzione delle relative produzioni nazionali. Anche se l’accordo sembrava regolare aspetti puramente economici, mediante la CECA i firmatari del Trattato miravano al controllo reciproco della produzione delle materie prime fondamentali per l’industria bellica, riunendo assieme paesi che fino a qualche anno prima erano stati in guerra tra loro. In particolare furono importanti le partecipazioni dell’Italia, Stato verso il quale ancora permanevano incertezze e dubbi internazionali sia sull’affidabilità politica che economica, ma, soprattutto, della Germania Occidentale; riguardo quest’ultimo paese e sul suo possibile e temuto riarmo si incentrarono infatti gran parte degli studi e dei dibattiti del tempo nel tentativo di evitare il ripetersi di quanto successo all’indomani del primo conflitto mondiale. In proposito pesava la gravosa questione della Saar tra la Francia e la Germania federale e, contemporaneamente, la forte ripresa produttiva che si stava avendo nel bacino carbosiderurgico della Ruhr. Il tutto si risolse grazie all’acuta proposta avanzata il 9 maggio 1950 dal ministro degli Esteri francese, Robert Schuman, che prevedeva la costituzione di un’alta autorità carbosiderurgica che avrebbe costituito la premessa per l’unificazione europea; l’idea di estendere la proposta all’Italia e al Benelux avvenne solo in un secondo momento, ma il cosiddetto Piano Schuman venne accolto positivamente, in maniera non del tutto scontata, anche da Adenauer in quanto prevedeva che i controlli internazionali effettuati sulla Ruhr venissero sostituiti da un’autorità sovranazionale a cui, da quel momento in poi, avrebbe partecipato anche la Germania che fino a allora era stata esclusa da qualsiasi decisione in merito (sul piano del ministro degli Esteri francese cfr. W. Diebold Jr., The Schuman plan. A Study in economic cooperation, 1950-1959, New York, 1959; D. Spierenburg, R. Poidevin, The history of the high authority of the European coal and steel community: supranationality in operation, London, 1994). Per uno studio sulla nascita delle istituzioni europee si vedano, tra gli altri, A. Varsori, P. L. Ballini (a cura di), L’Italia e l’Europa: 1947-1979, Soveria Mannelli, 2004; E. Noël, Le istituzioni delle Comunità europee, Roma, 1972. 158 Prima della definitiva nascita dell’EURATOM, gli istituti nazionali per l’energia nucleare di Belgio, Francia, Gran Bretagna. Italia, Olanda, Norvegia, Svizzera e Svezia fondarono il 15 giugno '54 a Londra la Società Europea per l’Energia Atomica per creare un libero scambio di informazioni sulle conoscenze relative all’uso pacifico dell’atomica; per approfondimenti sulla nascita e sugli scopi della SEEA si veda A. Albonetti, Energia nucleare e crisi energetica europea, Roma, 1974, pp. 98-99. 159 Fra gli studi sull’energia e sulla cooperazione europea si vedano, tra gli altri, P. D’Amarzit, Les entreprises publiques pétrolières et l’approvisionnement en énergie de la Communauté Economique Européenne, Paris, 1978; Id., Essai d’une politique pétrolière européenne, 1960-1980, Paris, 1982; J. A. Hassan, A. Duncan, Integrating Energy: the Problems of Developing an Energy Policy in the European Communities, 1945-1980, in «The Journal of European Economic History», vol. 22, n. 1, 1994, pp. 159-175; M. Ippolito, Contribution a l’étude du problème énergétique communautaire, Paris, 1969; N. Lucas., Western european energy policies: a comparative study of the influence of institutional structure on technical change, Oxford, 1985; N. J. D. Lucas, Energy and the

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agosto dagli organi di stampa secondo cui l’Unione Sovietica aveva fatto esplodere la sua prima

bomba all’idrogeno160, Eisenhower, in un discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite

dell’8 dicembre, propose la creazione di un’organizzazione sovranazionale che promuovesse

l’uso pacifico dell’energia nucleare e invitò tutti gli Stati a compiere uno sforzo comune per

evitare che gli studi sull’atomo venissero usati nuovamente per scopi militari. Nella fattispecie, il

presidente americano suggerì l’istituzionalizzazione di una conferenza mondiale, denominata

«Atoms for peace», con il compito di creare un’agenzia internazionale per la collaborazione

sull’utilizzazione pacifica dell’energia atomica161. L’anno successivo, inoltre, si tenne a Ann

Arbor un convegno mondiale di ingegneria nucleare a cui parteciparono anche esperti del CISE;

in questa occasione si preannunciarono una serie di innovazioni tecniche, tra cui il

conseguimento dell’acqua pesante, una sostanza dal ruolo fondamentale negli impianti di

fissione nucleare162. L’organizzazione della conferenza era la dimostrazione che i tempi stavano

cambiando e che una cooperazione internazionale nel campo dell’uso pacifico dell’energia

atomica poteva realmente concretizzarsi. Un primo passo in questo senso venne fatto anche dal

governo statunitense che nell’agosto del 1954 modificò la restrittiva legislazione vigente nel

settore nucleare, emanando l’Atomic Energy Act Amendments163 con il quale si diminuirono i

limiti precedentemente imposti con il McMahon Act del '46 sulla liberalizzazione delle

informazioni riguardanti le ricerche atomiche non militari. Nella primavera del 1955 si tenne

inoltre a Roma un simposio europeo sui metodi di produzione dell’acqua pesante che

rappresentava in quel momento il principale problema tecnico della penisola, mentre mediante la

produzione e la realizzazione di un impianto italiano (il progetto CISE della Montecatini e della

Larderello) ebbe inizio una collaborazione con il centro nucleare inglese di Harwell. In questo

clima di cooperazione internazionale si annunciò, nell’agosto del 1955, l’organizzazione ad

opera delle Nazioni Unite della prima conferenza di Ginevra164.

In vista dell’appuntamento, Giordani propose l’invio negli Stati Uniti di un gruppo di

tecnici con il compito di “prendere contatti con la Commissione atomica americana per la stipula

European Communities, cit.; J. H. Matlary, Energy Policy in the European Union, London, 1991; H. Wallace, C. Webb, W. Wallace (a cura di), Policy-making in the European communities, London, 1977. 160 Per uno studio sulle iniziative nucleari sovietiche si rimanda a D. Holloway, Stalin and the bomb: the Soviet Union and the atomic energy, 1939-1956, London, 1994. 161 Più verosimilmente, secondo il parere di Paolo Fornaciari, ex vicedirettore centrale e responsabile dell’attività nucleare dell’ENEL, la motivazione reale alla base della proposta di Eisenhower “era quella di far dimenticare il tragico modo in cui la nuova fonte energetica era apparsa sulla scena del mondo con i bombardamenti atomici sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, offrendo all’umanità energia elettrica abbondante e a basso prezzo attraverso l’impiego pacifico dell’energia nucleare” (P. Fornaciari, L’Atomo per la pace, Milano, 2004, p. 5). Gli Stati Uniti puntavano ovviamente al controllo generalizzato dell’utilizzo di questa nuova fonte energetica. 162 Cfr. B. Curli, Le origini della politica energetica comunitaria, 1958-64, in M. Guderzo, M. L. Napolitano (a cura di), Diplomazia delle Risorse, cit., pp. 95-118; G. Paoloni, Gli esordi del nucleare, cit., p. 389. 163 Il primo Atomic Energy Act venne emanato nel 1946 e istituì, tra l’altro, l’USAEC. 164 Per uno studio generale sul rapporto tra l’Italia e le Nazioni Unite si veda, tra gli altri, A. Villani, L’Italia e l’ONU negli anni della coesistenza competitiva (1955-1968), Padova, 2007.

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di un accordo di collaborazione nello spirito della dichiarazione del presidente Eisenhower del

dicembre 1953 per la collaborazione atomica per usi pacifici”165. Questa scelta non poteva

ovviamente soddisfare i rappresentanti del CISE in quanto, seguendo questa direzione, si sarebbe

abbandonata l’ipotesi di sviluppare un reattore con tecnologie soltanto italiane. L’idea del

presidente del CNRN partiva però dalla necessità di dotare fin da subito l’Italia di impianti

nucleari, anche se ciò avrebbe significato importare quasi completamente il know-how,

soprattutto dagli Stati Uniti, in vista di un uso immediato della tecnologia nucleare nell’industria

del paese166. Superando le opposizioni e i dubbi del CISE, il CNRN portò avanti l’indirizzo

programmatico avviato dal suo presidente raggiungendo un accordo bilaterale con gli Stati Uniti

che entrò in vigore nel luglio '55 e fu alla base delle successive intese fra i due paesi dopo

Ginevra167. In quella sede, dall’8 al 20 agosto 1955 si svolse la prima conferenza internazionale

sull’uso pacifico dell’energia atomica che rappresentò il più grande convegno di scienziati e di

ingegneri nella storia168. Vi parteciparono circa 1.400 delegati provenienti da tutte le parti del

mondo, compresi gli scienziati sovietici che, per la prima volta, parteciparono a un convegno

organizzato fuori dai confini del blocco orientale:

“Apertasi subito dopo l’incontro dei «quattro grandi» e quindi in un euforico clima di

distensione, questa conferenza fu certamente la più grande assise scientifica del mondo. […] Per

la prima volta dopo la guerra uno spirito di grande collaborazione regnò tra gli scienziati e tecnici

di tutti i paesi rappresentati; dati e procedimenti, fino allora oggetto del più assoluto segreto,

furono messi alla portata di tutti”169.

165 Verbale del Comitato Nazionale Ricerche Nucleari, Roma, 9 marzo 1955, ASENEA. In particolare, secondo Giordani, la missione doveva avere i seguenti scopi: “a) Fornitura di acqua pesante. Per accelerare i tempi di realizzazione del primo reattore e per utilizzare nel miglior modo le assegnazioni disponibili, sarebbe [stato] estremamente utile all’Italia poter acquistare una prima partita di acqua pesante, necessaria per la costruzione del primo reattore nucleare […]; b) Acquisto di un primo reattore. Premessi i necessari accordi di governo, per ottenere la fornitura dei materiali necessari, ed in particolare anche delle modeste quantità di uranio arricchito che saranno necessarie, si [potevano] avviare trattative con le ditte costruttrici americane per l’acquisto di un reattore di prova, capace di raggiungere un livello di potenza dell’ordine del MW con una densità di flusso dei neutroni piuttosto elevata in modo che il dispositivo possa servire, oltre che per esperienza di tipo esponenziale, anche per lo studio del comportamento dei materiali; c) Impianti in scala industriale. La maggioranza dei competenti [riteneva] che – in dipendenza delle scarse disponibilità e degli alti costi dell’energia prevalenti in Italia – si [dovevano] raggiungere più rapidamente le condizioni di convenienza economica per l’uso dell’energia nucleare. Pertanto sarebbe [stato] gradito di poter iniziare lo studio per l’impianto di una prima centrale, esaminando eventualmente le condizioni di fornitura ed iniziando i contatti per eventuali finanziamenti da parte di quegli organismi bancari che già annuncia[vano] il loro vivo interesse per questo nuovo campo di attività” (ibidem; per ulteriori approfondimenti si veda G. Paoloni, Gli esordi del nucleare, cit., p. 390). 166 D’altronde questa scelta fu comune a diversi paesi che, come l’Italia, erano in ritardo nelle applicazioni pacifiche del nucleare, primi fra tutti la Germania e il Giappone (cfr. F. Silari, L’industria elettrica e i problemi energetici, cit., pp. 303-304). 167 La rappresentanza italiana del CNRN giunse negli Stati Uniti il 18 marzo '55; vi facevano parte Giordani, Salvetti e Amaldi. Ai colloqui venne invitato a partecipare anche Egidio Ortona, consigliere dell’Ambasciata italiana a Washington (per approfondimenti si veda E. Ortona, Anni d’America. La diplomazia 1953-1961, Bologna, 1986, pp. 135-140). 168 Per approfondimenti sulla partecipazione italiana alla prima conferenza di Ginevra si veda G. T. Scarascia Mugnozza (presidente dell’Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL), Introduzione al Convegno sull’uso pacifico dell’energia nucleare da Ginevra 1955 ad oggi: il caso italiano, in Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, L’uso pacifico dell’energia nucleare da Ginevra 1955 ad oggi: il caso italiano, Atti del Convegno di Roma, 8-9 marzo 2006, Collana “Scritti e Documenti”, vol. 40, Roma, 2007, pp. 7-13. Per un’analisi generale sulla conferenza si veda F. Ippolito, L’EURATOM e la politica nucleare italiana, cit., pp. 11-19. 169 F. Ippolito, F. Simen, La questione energetica: dieci anni perduti (1963-1973), cit., pp. 88-89.

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L’incontro suscitò un grande ottimismo al punto che i principali segreti che avevano

caratterizzato la ricerca nucleare fin dai suoi albori iniziarono a essere rivelati. Alla

pubblicazione degli atti del convegno furono infatti allegate più di mille pubblicazioni

scientifiche, tra cui, ad esempio, quella riguardante la tecnologia francese per processare il

combustibile nucleare e ricavarne plutonio. Fra il 1957 e il 1958 anche la Gran Bretagna, gli

Stati Uniti e l’URSS resero pubbliche le ricerche nazionali nel settore, ma solo con la successiva

conferenza del '58 si divulgarono tutti i segreti.

L’entusiasmo generale si diffuse anche in Italia dove neanche i dissidi interni fra il

CNRN e il CISE riuscirono a frenare il desiderio di avviare nuovi studi sull’atomo. Subito dopo

Ginevra, la Edison decise di promuovere il progetto per la costruzione di una centrale nucleare

nel nord del paese. Era un’idea particolarmente ardita se si considera che nel 1955 solo l’Unione

Sovietica possedeva una centrale nucleare in funzione170; gli scopi della società italiana, in realtà,

erano strettamente politici e erano riconducibili all’intensificazione dei dibattiti interni sulla

nazionalizzazione del settore nucleare che, come già visto, godeva di vasti consensi fra la

maggioranza dei membri del CNRN. Infatti, in maniera del tutto paradossale rispetto ai propositi

fino a quel momento enunciati, per la realizzazione di questo impianto la stessa Edison avrebbe

dovuto acquistare il reattore nucleare negli Stati Uniti171. Tuttavia, secondo quanto riferito da

Giordani durante la riunione del CNRN del 15 novembre 1955, il direttore della divisione affari

internazionali dell’USAEC, John A. Hall, aveva affermato che “sembra[va] prematuro per

l’Italia incominciare a parlare di costruire importanti centrali di potenza prima di aver messo in

esercizio un reattore sperimentale: tappa questa obbligatoria sia per motivi tecnici sia per la

preparazione del personale”172.

Come prevedibile, il progetto della Edison incontrò forti opposizioni all’interno del

CNRN e spinse il direttivo del Comitato a approvare nella stessa seduta un ordine del giorno nel

quale si invitava il governo a prendere tempestive iniziative legislative al fine di assegnare allo

Stato, in via definitiva, un ruolo preminente nel settore nucleare, ipotizzando eventualmente una

170 Nel 1954 era infatti entrata in esercizio la centrale di Obninsk di soli cinque megawatt, mentre nel '56 si inaugurò il primo impianto britannico a Calder Hall, dotato di ben tre reattori da quaranta megawatt ciascuno. L’anno successivo, inoltre, entrò in funzione la prima centrale statunitense di Shippingport con un reattore da sessanta megawatt, mentre i primi impianti francesi, di ugual potenza rispetto a quello americano, vennero attivati nel '60 (cfr. G. Paoloni, Gli esordi del nucleare, cit., p. 391). 171 A questo proposito, già nel 1954 Giorgio Valerio della Edison condusse una missione esplorativa negli Stati Uniti assieme a Mario Silvestri; questa missione venne ripresa da entrambi l’anno successivo con il supporto del direttore della Divisione centrali termiche della Edison, Franco Castelli, con l’intento preciso di preparare le specifiche tecniche per creare una centrale nucleare in Italia che fosse gemella di quella statunitense, in via di costruzione, di Rowe, nel Massachusetts (cfr. M. Silvestri, Il costo della menzogna, cit., p. 104). 172 Verbale del Comitato Nazionale Ricerche Nucleari, Roma, 15 novembre 1955, ASENEA.

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riserva solo sull’energia elettrica prodotta utilizzando fonti atomiche173. Si decise di conferire al

CISE l’incarico di uno studio per installare un reattore sperimentale, come suggerito

dall’USEAC, da acquistare dagli Stati Uniti e, di conseguenza, si approvò un contratto fra il

CNRN e il CISE stesso per l’esecuzione del progetto; si stipulò una convenzione con l’American

Car & Foundry per la fornitura e si diede mandato al Centro Italiano di Studi ed Esperienze di

acquistare il terreno presso Ispra, nel varesotto. Il Comitato deliberò anche la nomina di una

Commissione con il compito di studiare l’ubicazione degli impianti nucleari sul territorio

nazionale; vennero chiamati a far parte di questa commissione, oltre ai soci del CISE e del

CNRN, anche rappresentati dell’Ente Nazionale Idrocarburi, che aveva nel frattempo costituito

l’AGIP Nucleare174 con l’intento dichiarato di costruire una centrale a combustibile atomico175, e

della SELNI, creata dalla Edison per la realizzazione del progetto del 1954176. Nell’ottica di

garantire l’indipendenza delle fonti energetiche nazionali, Mattei177 decise anche di creare

173 Ibidem. Influenzati molto probabilmente dalle conclusioni del direttivo del CNRN, i senatori Montagnani, Donini, Pesenti, Sereni, Negri, Tibaldi, Busoni, Roda, Cerabona, Smith e Ottavio Pastore, presentarono al Senato, l’8 marzo 1956, il disegno di legge n. 1404 mediante il quale chiesero l’istituzione dell’Ente Nazionale per Energia Nucleare. L’ENEN, dotato di personalità giuridica, avrebbe dovuto esercitare, per conto dello Stato, le attività di “importazione, esportazione dei combustibili nucleari”; ottenere “la proprietà e l’esercizio degli impianti destinati alla loro produzione, la trasformazione ed utilizzazione a qualsiasi scopo”; “sviluppare le ricerche sulla energia nucleare e le sue applicazioni pacifiche in tutte le loro forme assicurando nello stesso tempo la tutela dell’incolumità e della salute pubblica” (Per la nazionalizzazione e lo sviluppo dell’energia nucleare, Senato della Repubblica, Disegno di legge n. 1404 comunicato alla Presidenza l’8 marzo 1956, ASE, coll. AR. II. 1, udc. 4). 174 Sull’interesse mostrato dal presidente dell’ENI nel campo nucleare si vedano anche G. Buccianti, Enrico Mattei, cit., pp. 51-54; E. Ortona, Anni d’America. La diplomazia 1953-1961, cit., p. 299. 175 A questo scopo vennero avviate trattative tra la direzione studi economico-tecnici dell’ENI e l’americana Westinghouse Electric International Company. Quest’ultima propose la creazione di una centrale elettronucleare internazionale da 11.500 kW con un reattore a uranio arricchito come combustibile e acqua naturale in pressione come moderatore e come refrigerante, già in uso sul sommergibile Nautilus della Marina Militare degli Stati Uniti [cfr. La centrale elettronucleare internazionale da 11.500 kW proposta dalla Westinghouse Electric International Company, direzione studi economico-tecnici dell’ENI, servizio II - studi tecnici (ing. Vito Schirone), Roma, novembre 1955, ASE, coll. U. III. 4, udc. 70]. Stesso intento aveva un altro rapporto, eseguito nel gennaio '56 sempre dall’ing. Schirone, in cui si analizzava tecnicamente la questione della produzione di energia elettrica dall’energia nucleare, esponendo le principali difficoltà di questa lavorazione in considerazione dei costi economici necessari. La conclusione dell’indagine evidenziava la necessità, ai fini della creazione di un’industria nucleare, di cospicui mezzi finanziari che risultavano necessari e opportuni “pur di giungere alla realizzazione di impianti che assicurino una grande disponibilità di energia a basso costo”; entrambi, notevoli investimenti e la costruzione di centrali nucleari, erano “condizioni indispensabili per lo sviluppo e il progresso industriale ed economico di qualsiasi Paese”. Tuttavia si prevedeva che per la costruzione di impianti con un basso costo di produzione mediante l’uso di combustibili nucleari, rispetto alla convenienza del prezzo delle altre fonti energetiche presenti, ci sarebbero voluti circa venticinque anni [cfr. L’energia elettrica da energia nucleare, direzione studi economico-tecnici dell’ENI, servizio II - studi tecnici (ing. Vito Schirone), Roma, 25 gennaio 1956, ibidem]. Questo studio permetteva di focalizzare l’attenzione anche sulla situazione esistente e sugli investimenti che erano stati fatti nelle altre nazioni. Solo per citare alcuni esempi, gli Stati Uniti avevano già costruito e messo in funzione ben ventinove reattori nucleari sperimentali, la Gran Bretagna sei, il Canada si avviava alla costruzione del suo primo impianto nucleotermoelettrico, mentre la Francia poteva vantare una serie di progetti tali da consentire di essere l’unico Stato dell’Europa continentale occidentale più progredito in campo nucleare e, dopo quelli citati, quello transalpino era il paese più vicino all’utilizzazione industriale dell’energia atomica (ibidem). 176 Cfr. Verbale del Comitato Nazionale Ricerche Nucleari, Roma, 15 novembre 1955, ASENEA. Per approfondimenti si veda G. Paoloni, Gli esordi del nucleare, cit., p. 392. 177 Secondo la testimonianza di Paolo Fornaciari, ex vicedirettore centrale e responsabile dell’attività nucleare dell’ENEL, la decisione di Mattei di investire anche nel settore dell’energia nucleare, nonostante questa apparisse decisamente meno competitiva del petrolio, sarebbe potuta derivare dalla conoscenza degli studi di Marion King Hubbert, un geologo americano della SHELL. Quest’ultimo, infatti, durante la Conferenza annuale dell’American Petroleum Institute del marzo 1956, presentò un rapporto in cui si prevedeva il declino della produzione petrolifera degli Stati Uniti per l’inizio degli anni Settanta e una crisi a livello mondiale all’inizio degli anni 2000. Questo rapporto, pubblicato dalla SHELL nel giugno successivo con il titolo “Nuclear energy and fossil fuels”, fu pesantemente criticato dall’industria petrolifera statunitense e Hubbert apostrofato come una “Cassandra e un pessimista e visionario non attendibile”. La profezia del geologo della SHELL su una possibile crisi petrolifera scatenò nell’estate del 1956 un ampio dibattito sulla stampa internazionale: “Non può esser casuale che Enrico Mattei, nel novembre di quello stesso anno, richiedesse al presidente del Consiglio, Antonio Segni, l’autorizzazione per realizzare a Latina la prima centrale nucleare italiana che divenne «critica» il 28 dicembre 1962. A quell’epoca, io lavoravo all’AGIP Nucleare, si riteneva che l´iniziativa di Enrico Mattei

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all’interno dell’ENI una società di prospezioni e di ricerche minerarie, la SOMIREN, nel

tentativo di assicurare una fornitura di uranio attraverso i giacimenti esistenti sul territorio

nazionale e all’estero178.

Nel luglio del 1956, dopo il varo delle ultime decisioni179, Giordani si dimise da

presidente del CNRN e venne sostituito, con misura temporanea, dal professore Felice

Ippolito180. Sul piano internazionale, dopo la conferenza di Ginevra si registrò la visita in Gran

Bretagna, nella primavera dello stesso anno, di una delegazione sovietica guidata da Nikita

Kruscev, Nikolai Bulganin e dal fisico Igor Kurchatov: essa rappresentò il vero passo sulla via

della cooperazione mondiale negli studi per l’uso pacifico dell’energia atomica. Il governo

italiano, sulla scia delle aspettative crescenti presso l’opinione pubblica, decise di rispondere alle

difficoltà stigmatizzate da Giordani con le dimissioni mediante un decreto varato dal Consiglio

dei ministri del 24 agosto '56 che modificava in profondità l’assetto del CNRN. Dopo la nomina

del nuovo presidente Basilio Focaccia, professore di elettrotecnica all’Università di Roma e

senatore democristiano di lungo corso, si avviò un cambiamento organizzativo dell’intero

Comitato che portò alla creazione di una struttura articolata, coordinata da una Segreteria

generale e con una sede autonoma rispetto a quella del CNR. Figura chiave del nuovo corso

divenne Felice Ippolito, nominato segretario generale in ottobre e membro, assieme a Focaccia,

Amaldi e Angelini, della neo costituita Giunta esecutiva del Comitato.

Il rinnovato CNRN si trovò dunque a operare in uno scenario internazionale rimodellato

dagli effetti dello “spirito” di Ginevra, che non era però risultato sufficiente per superare le

diffidenze reciproche circa le possibili utilizzazioni del nucleare in chiave militare. Gli Stati

Uniti introdussero infatti una clausola in tutti gli accordi in fase di trattativa mediante la quale i

contraenti, tra cui l’Italia, si impegnavano a utilizzare le nuove conoscenze atomiche solo per usi

industriali e accettavano l’invio sistematico di ispettori americani per il controllo dei materiali e

fosse legata al desiderio di inserire l’ENI anche nel settore elettrico, in vista di un Ente Nazionale Energia di cui in quei giorni si parlava, prima che si costituisse l’ENEL. Ma se fosse stato così, sarebbe stato sufficiente per Mattei costruire una centrale termoelettrica a gas, fonte energetica allora emergente, di cui egli era stato illustre pioniere in Val Padana. La mia personale convinzione invece è che Mattei conoscesse bene la profezia di Hubbert e fosse giustamente preoccupato di trovare delle concrete alternative al possibile declino della produzione petrolifera mondiale, che sarà poi confermato dagli studi di Campbell, Laherrère, Simmons e Leach, nei primi anni 2000. Enrico Mattei era uomo che sapeva guardare alto e lontano, con straordinaria e intelligente lungimiranza” (TRA dall’ex vicedirettore centrale e responsabile dell’attività nucleare dell’ENEL, ing. Paolo Fornaciari). 178 Cfr. Atto costitutivo e statuto della SOMIREN, Società Minerali Radioattivi Energia Nucleare, gennaio 1956, ASE, coll. BB. III. 2, udc. 439. 179 Per uno studio sulle iniziative nazionali e le collaborazioni internazionali avviate dal CNRN nella prima metà degli anni Cinquanta si veda F. Ippolito, Recenti aspetti della politica nucleare e presupposti per uno sviluppo dell’industria nucleare in Italia, estratto da «Industria d’oggi», numero speciale «Gli atomi e l’industria», Milano, marzo 1956. Per un’analisi sulla giurisdizione italiana in funzione di quelle estere nel settore nucleare si veda A. Baroni, La legislazione nucleare italiana in rapporto alle legislazioni estere, ibidem. 180 Secondo l’opinione di Paoloni, le dimissioni di Giordani “avevano sullo sfondo la pesante situazione finanziaria del Comitato; esse richiamavano l’attenzione dell’opinione pubblica e del mondo politico, già sensibilizzati dalla conferenza di Ginevra, sulla questione dello sviluppo dell’energia nucleare. Giordani intendeva evidentemente forzare il Governo a decidere, superando una situazione di incertezza che si protraeva da un anno” (Verbale del Comitato Nazionale Ricerche Nucleari, Roma, 15 novembre 1955, ASENEA).

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degli impianti forniti. Per trasformare questa procedura in un sistema di controllo internazionale

si pensò alla creazione di un’apposita agenzia all’interno delle Nazioni Unite. Nella conferenza

tenuta a Washington nel febbraio del '56 si giunse, non senza problemi, a un compromesso che

produsse, nell’ottobre dello stesso anno, la costituzione dell’Agenzia internazionale per l’energia

atomica181. L’organizzazione, fondata ufficialmente il 29 luglio del 1957, aveva lo scopo di

promuovere l’utilizzazione pacifica dell’energia nucleare e di impedirne l’utilizzo per scopi

militari mediante il sistema di controllo internazionale già sperimentato dagli Stati Uniti negli

accordi sottoscritti precedentemente. In questa atmosfera di collaborazione si registrarono anche

due importanti accordi ufficiali per l’Italia sugli usi pacifici dell’energia nucleare: il primo con il

governo statunitense del 3 luglio '57182, il secondo con la Gran Bretagna del 28 dicembre dello

stesso anno183. Il 1° settembre 1958 si inaugurò inoltre la seconda conferenza internazionale di

Ginevra, sotto la presidenza di Francis Perrin, Alto Commissario francese per l’energia atomica.

L’interesse manifestato per questo convegno non fu minore rispetto al precedente; vi

parteciparono circa cinquemila delegati ufficiali, nonostante la conferenza avesse un contenuto

quasi esclusivamente tecnico. L’Italia fu rappresentata da Edoardo Amaldi, Arnaldo Maria

Angelini, Guido Giorgi (membro del CNRN e direttore generale del ministero dell’Industria e

Commercio), Felice Ippolito e Roberto Ducci (consigliere d’Ambasciata e vicedirettore generale

degli Affari Economici del Ministero degli Affari Esteri) e da ben centoventitre consiglieri, cui si

aggiunsero numerosi osservatori, per un totale di circa quattrocento persone184. La

rappresentanza italiana decise di nominare un Consiglio provvisorio con il mandato di convocare

a Roma l’Assemblea costitutiva di un’associazione italiana senza scopo di lucro che assunse il

nome di Forum Italiano dell’Energia Nucleare. Nel corso della prima assemblea che si tenne il

23 novembre del 1958 si decise che la nuova organizzazione, temporaneamente con sede presso

il CNRN, si strutturasse come “il luogo ideale e materiale di unione, di discussione, di esame e di

studio dei vari problemi […] che si presenta[va]no nella utilizzazione della nuova forma di

energia”185.

181 Per il testo costitutivo dell’AIEA si veda Statut de l’Agence internazionale de l’énergie atomique, New York, 26 ottobre 1956, HAEU, Fondo Jules Guéron, n. 112; per ulteriori approfondimenti sulle sue funzioni e sulla sua storia cfr. A. Albonetti, Energia nucleare e crisi energetica europea, cit., pp. 92-96; Fischer D., History of the international Atomic Energy Agency: the first forty years, Vienna, 1997. 182 Cfr. Accordo tra l’Italia e gli Stati Uniti d’America sugli usi pacifici dell’energia atomica, Washington, 3 luglio 1957, ACS, Fondo Ministero Pubblica Istruzione, Direzione generale per l'istruzione universitaria, Ispettorato generale per la ricerca scientifica, Divisione X, Busta 93. 183 Cfr. Accordo di cooperazione tra il governo della Repubblica italiana ed il governo del Regno Unito di Gran Bretagna e d’Irlanda del Nord nel campo degli usi pacifici dell’energia nucleare, Roma, 28 dicembre 1957, HAEU, Fondo Edoardo Martino, n. 227. 184 Sulla seconda conferenza di Ginevra e la relativa partecipazione italiana si veda F. Ippolito, L’Italia e l’energia nucleare: cronache di cinque anni, Venezia, 1960, pp. 66-77. 185 FIEN, Forum Italiano dell’Energia Nucleare, Finalità e attività, Roma, 1958, ASE, coll. I. V. 3, udc. 279. Presidente del Forum venne nominato Carlo Matteini, amministratore delegato della Compagnia Generale Telemar Spa e professore di radiotecnica ed elettronica all’Università di Roma, mentre vicepresidenti furono Arnaldo Maria Angelini e Gino Bozza, direttore tecnico del CISE e

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Sul piano europeo, il 29 settembre del '54 venne firmata, come già visto, la convenzione

che istituì il CERN, il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle186. Si diede vita

inoltre all’EURATOM a cui parteciparono i sei paesi che già avevano aderito alla CECA con lo

scopo di mettere in comune le conoscenze scientifiche e tecniche e velocizzare lo sviluppo

dell’industria nucleare187. L’idea di dar vita a una Comunità europea per lo sfruttamento delle

applicazioni pacifiche dell’energia atomica era nata all’indomani della definitiva bocciatura della

CED188 e rappresentava in quella fase un importante strumento per il rilancio dell’integrazione

europea. La scelta partiva dalla necessità di combattere la carenza generalizzata di energia

cosiddetta “tradizionale” avutasi durante gli anni Cinquanta sfruttando l’atomo per conseguire

l’indipendenza energetica del continente. La decisione di unire gli sforzi a livello comunitario

era anche il risultato dei costi di investimento che superavano le possibilità dei singoli Stati. Il

trattato istitutivo mirava a contribuire alla formazione e allo sviluppo delle industrie nucleari

europee al fine di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti. Allo stesso tempo, l’intesa

puntava a rassicurare la popolazione, nella certezza che le materie atomiche destinate a finalità

civili non sarebbero state utilizzate per scopi militari189.

Malgrado le premesse condivise, anche nel corso dei negoziati per l’EURATOM non

mancarono le difficoltà. Dopo una prima intesa raggiunta alla conferenza di Venezia del '56, il

direttore dell’Istituto di Fisica tecnica del Politecnico di Milano. Uno dei risultati che il FIEN raggiunse fu la costituzione a Parigi del “Forum Atomique Européen” nel 1960 (cfr. Lettera del segretario generale del FIEN, Pietro Bullio, al vicepresidente dell’AGIP Nucleare, Raffaele Girotti, Roma, 19 luglio 1960, ASE, coll. I. V. 4, udc. 280). 186 Per approfondimenti sulla nascita e sulle funzioni del CERN si vedano A. Albonetti, Energia nucleare e crisi energetica europea, cit., pp. 96-98; L. Belloni, Sulla genesi del CERN, in «Storia contemporanea», cit., pp. 615-663. Per uno studio conciso sui risultati scientifici raggiunti da questo istituto cfr. L. Maiani, Il ruolo della ricerca fondamentale, in Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, L’uso pacifico dell’energia nucleare da Ginevra 1955 ad oggi: il caso italiano, cit., pp. 41-49. Per un’analisi sull’evoluzione degli studi sulla fisica delle particelle si veda M. Conversi, Evolution of particle physics, cit. 187 Per approfondimenti sulla nascita, sugli scopi e sui programmi dell’EURATOM si vedano, tra gli altri, A. Albonetti, Energia nucleare e crisi energetica europea, cit., pp. 103-108; M. Dumoulin, M. Vaisse, P. Guillen, L’énergie nucléaire en Europe : des origines a Euratom. Actes des journées d’études de Louvain-la-Neuve des 18 et 19 novembre 1991, Bern, 1994; O. Pirotte, Trente ans d’expérience Euratom : la naissance d'une Europe nucléaire, Bruxelles, 1988. 188 Sulla CED, sull’azione diplomatica dell’Italia e sulla posizione del governo e delle Forze Armate italiane si vedano, tra gli altri, A. Breccia, L’Italia e la difesa dell’Europa. Alle origini del piano Pleven, Roma, 1984; Id., L’Italia e le origini della Comunità Europea di Difesa (CED), in G. Rossini (a cura di), De Gasperi e l’età del centrismo, Roma, 1984, pp. 243-257; D. Caviglia, A. Gionfrida, Un’occasione da perdere. Le Forze Armate italiane e la Comunità Europea di Difesa (1950-54), Roma, 2009; D. Preda, Storia di una speranza. La battaglia per la CED e la federazione europea nelle carte della delegazione italiana (1950-1952), Milano, 1990; Id., Sulla soglia dell’unione. La vicenda della Comunità Politica Europea (1952-1954), Milano, 1993; Id., CPE e integrazione europea: un’ipotesi interpretativa, in «Storia delle relazioni internazionali», XIII-XIV, 1998 - n. 2, 1999 - n. 1, pp. 117-150; Id., De Gasperi, Spinelli e l’art. 38 della CED, in «Il Politico», LIV, 1989, n. 4, pp. 575-595; A. Varsori, Italy between Atlantic Alliance and EDC, 1948-1955, in E. Di Nolfo (a cura di), Power in Europe?, vol. II, Great Britain, France, Germay and Italy and the Origins of the EEC, 1952-1957, Berlino-New York, 1992, pp. 260-299; Id., L’europeismo nella politica estera italiana, in L. Tosi (a cura di), L’Italia e le organizzazioni internazionali. Diplomazia multilaterale nel Novecento, Padova, 1999, pp. 392-415; Id., L’Italia fra Alleanza atlantica e la CED, in «Storia delle relazioni internazionali», IV, 1988, n. 1, pp. 125-165. 189 Per uno studio sulle vicende che portarono alla nascita dell’EURATOM e sulle difficoltà incontrate si vedano, tra gli altri, M. Elli, A politically-tinted rationality: Britain vs. EURATOM, 1953-63, in «The journal of European Integration History», Vol 12, n. 1, 2006, pp. 105-124; L. Hubert, La politique nucléaire de la Communauté européenne (1956-1968) Une tentative de définition, à travers les archives de la Commission européenne, in «The journal of European Integration History», vol. 6, n. 1, 2000, p. 129 e ss.; F. Ippolito, L’EURATOM e la politica nucleare italiana, cit., pp. 20-45. Per un’analisi sui propositi dell’EURATOM si veda Relazione sul Trattato EURATOM (Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari), gennaio 1957, Archivio del Dipartimento di Fisica dell'Università di Roma “La Sapienza”, Fondo Edoardo Amaldi, Sezione Archivio Dipartimento di Fisica, Busta 175, European Atomic Energy Society.

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trattato istitutivo venne firmato nel marzo dell’anno seguente a Roma, contestualmente a quello

per il Mercato Comune190. Il progetto di una Comunità europea per lo sfruttamento delle

applicazioni pacifiche dell’energia nucleare si scontrò con i propositi militari francesi. La

Francia aveva già avviato un programma atomico nazionale e aspirava alla costruzione di un

impianto di separazione isotopica ritenuto necessario per poter disporre di una fonte sicura di

uranio arricchito del tipo U235, utilizzabile sia in ambito civile che militare. La realizzazione

dell’impianto era però molto onerosa come dimostrarono le pressioni esercitate da Parigi nel

corso dei negoziati191. Se analizzato da un punto di vista prettamente economico, il programma

francese risultava ingiustificato in quanto sarebbe stato più conveniente acquistare il

combustibile necessario direttamente dagli Stati Uniti. Dal punto di vista programmatico, invece,

oltre alle motivazioni politiche alla base delle volontà di Parigi, l’allestimento di un impianto di

separazione isotopica per produrre uranio arricchito avrebbe garantito un’autonomia globale in

virtù della disponibilità di carburante atomico che ne sarebbe derivata. Con un indirizzo simile si

creavano inoltre i presupposti per sviluppare anche un programma militare atomico. Tuttavia, le

potenziali conseguenze negative nel rapporto con gli Stati Uniti nel caso in cui Parigi avesse

beneficiato della scelta europea per rafforzare il proprio programma nucleare stimolarono la

resistenza degli altri partner. Si optò per la creazione di un Syndicat d’études con il solo compito

di redigere e di valutare il progetto per un eventuale allestimento di un impianto di separazione

isotopica192.

Il problema principale per i paesi europei riguardava la sicurezza e l’indipendenza

energetica in rapporto alle condizioni geografiche e politiche. Già a partire dal 1955 erano stati

infatti presentati numerosi studi sul tema dell’approvvigionamento, della dipendenza e della

190 La questione energetica in ambito europeo figurava anche nella terza parte del famoso “Rapporto Spaak” (dal nome del ministro degli Esteri belga che aveva presieduto i lavori del Comitato intergovernativo istituito in seguito alle indicazioni della Conferenza di Messina); questa sezione conteneva una serie di raccomandazioni sulle misure da prendere in quei settori considerati urgenti e, tra questi, l’energia figurava al primo posto. Quando vennero firmati i trattati istitutivi della CEE e dell’EURATOM il 25 marzo 1957, i sottoscriventi si impegnarono dunque a mettere a punto anche delle proposte in materia di politica energetica europea [per approfondimenti si veda B. Curli, Le origini della politica energetica comunitaria, 1958-64, in M. Guderzo, M. L. Napolitano (a cura di), Diplomazia delle Risorse, cit., p. 98]. Qualche mese più tardi si siglò un protocollo d’intesa segreto tra il Consiglio dei ministri della CECA e l’Alta Autorità per cui quest’ultima venne incaricata di presentare al Consiglio delle proposte per avviare una politica energetica comunitaria. La prima conseguenza pratica di questo protocollo fu la creazione di un “Comitato Misto Energia” che formò il “Gruppo di Lavoro intersecutivi sull’Energia”. Il 22 aprile 1959 venne presentato un primo rapporto, seguito da un altro del 19 marzo 1960 contenente una serie di proposte per la realizzazione di un mercato comune dell’energia da sottoporre al Consiglio. Queste diventeranno effettive dopo una risoluzione approvata dal Parlamento europeo del febbraio 1962 e la conseguente deliberazione del Consiglio dei ministri dell’aprile successivo (ibidem, pp. 98-99). Per uno studio sulla posizione italiana in merito alla nascita dell’EURATOM e alle sue politiche si vedano, tra gli altri, B. Curli, La tecnocrazia nucleare italiana e le origini dell’EURATOM, in L. V. Majocchi (a cura di), Messina quarant’anni dopo: l’attualità del metodo in vista della conferenza intergovernativa del 1996, Bari, 1996; Id., L’Italie et l’EURATOM : l’attitude des hauts fonctionnaires et des experts, in E. du Réau (a cura di), Europe des élites, Europe des peuples. La construction de l'espace européen, Paris, 1998, pp. 277-289; Id., L’Italia e la scelta nucleare europea, in «Storia delle Relazioni Internazionali», XIII, 2, 1998. 191 Cfr. L. Nuti, La sfida nucleare, cit., p. 120. 192 Per approfondimenti B. Curli, Il progetto nucleare italiano (1952-1964), cit., pp. 192-194; L. Nuti, La sfida nucleare, cit., pp. 120-131.

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scarsità di materie prime in Europa193 ma solo in seguito alla crisi di Suez194 le trattative

ricevettero una improvvisa accelerazione. Il rischio di un eventuale blocco delle forniture

energetiche provenienti dalle rotte navali del Medio Oriente imponeva agli europei di trovare al

più presto soluzioni alternative. A questo scopo rispondeva la nomina di un Comitato composto

da tre esperti di altissimo livello, il professore francese Louis Armand, il docente tedesco Franz

Etzel e l’italiano Francesco Giordani, i cosiddetti “Tre Saggi dell’EURATOM”, incaricati di

presentare un programma per l’installazione di centrali elettronucleari in Europa, quale punto

d’incontro fra l’esigenza di un approvvigionamento energetico sicuro e un costo sostenibile per i

paesi europei195. Si avviarono pertanto una serie di consultazioni sia all’interno dei Sei che con

gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e il Canada196 finché, nel maggio del 1957, il Comitato presentò

un rapporto, dal titolo “Un obiettivo per l’EURATOM”, che rappresentava un vero e proprio

manifesto programmatico del nuovo istituto atomico della Comunità. Il documento stabiliva che

la potenza elettronucleare da installare in Europa entro il '67 avrebbe dovuto raggiungere i

193 Tra gli studi presentati vi furono il “Rapporto Armand”, prodotto in sede OECE e pubblicato nel luglio 1955 e il “Rapporto Hartley” del maggio 1956, anch’esso prodotto in sede OECE e immediatamente successivo a quello Spaak. 194 Sulla crisi di Suez e sulla politica americana in Medio Oriente si vedano, tra gli altri, G. Calchi Novati, Il canale della discordia. Suez e la politica estera italiana, Urbino, 1998; D. De Luca, Fuochi sul Canale. La crisi di Suez, gli Stati Uniti e la ricerca di una nuova politica in Medio Oriente, 1955-1958, Milano, 1999; Id., A. Donno, Eisenhower, Dulles and the U.S. Policy toward Israel and the Middle East Crisis of 1956, in J. M. Nielson, Paths not Taken. Speculations on American Foreign Policy and Diplomatic History, Interests, Ideals, and Power, New York, 2000, pp. 131-160; J. Georges-Picot, La véritable crise de Suez: fin d'une grande oeuvre du XIXe siècle, Paris, 1975; M. H. Heikai, Cutting the lions tail: Suez through Egyptian eyes, London, 1986; P. Johnson, La Guerra di Suez, Milano, 1957; C. C. Kingseed, Eisenhower and the Suez crisis of 1956, Baton Rouge, 1995; K. Kyle, Suez, London, 1991; G. Lenczowski, The Middle East in World Affairs, Ithaca-London, 1980, pp. 716-723; W. S. Lucas, Divided we stand: Britain, the US and the Suez crisis, London, 1991; D. Neff, Warriors at Suez: Eisenhower takes America into the Middle East, New York, 1981; G. Peroncini, La guerra di Suez, Parma, 1986; A. Shlaim, The iron wall: Israel and the Arab world, New York-London, 2000, pp. 143-185; D. Tal, The 1956 war: collusion and rivalry in the Middle East, London, 2001; H. Thomas, La crisi di Suez, Milano, 1969; S. I. Troen, M. Shemesh, The Suez-Sinai crisis, 1956: retrospective and reappraisal, London, 1990. 195 Per approfondimenti si vedano, tra gli altri, B. Curli, L’Italie et l’EURATOM : l’attitude des hauts fonctionnaires et des experts, in E. du Réau (a cura di), Europe des élites, Europe des peuples. La construction de l'espace européen, Paris, 1998, pp. 277-289; F. Ippolito, Un progetto incompiuto. La ricerca comune europea: 1958-88, Bari, 1989, pp. 68-70. 196 Una delle prime riunioni avviate dai Tre Saggi si tenne a Parigi dal 21 al 23 gennaio '57. Il rapporto presentato da Armand così riassumeva le scelte che la Comunità avrebbe dovuto compiere in campo nucleare: “Si prospetta[va]no due soluzioni: quella dell’America che, avendo sufficienti risorse di energia classica, non s’immobilizza[va] sin da ora in un programma industriale e moltiplica[va] gli studi e le ricerche per una gamma svariata di reattori, preparando gli strumenti dell’avvenire ed aprendo delle concrete possibilità per la costruzione di reattori competitivi sul piano internazionale; quella della Gran Bretagna che, per l’esigenza di integrare quanto più presto e possibile le sue risorse classiche, si [era] già impegnata in una via determinata di produzione dell’energia atomica. Dato che la tecnica [era] in questo campo in piena evoluzione, [era] da domandarsi se i modelli di reattori già realizzati per scopi industriali, come quelli inglesi, [rispondessero] veramente alle esigenze di una produzione economica. La scelta, quindi, fra le due soluzioni si presenta[va] non facile: se si [seguiva] l’esempio inglese, si corre[va] il rischio di cominciare troppo presto e di pagare troppo cara l’energia atomica; se si [preferiva] attendere gli ulteriori sviluppi della tecnica dei reattori, si corre[va] il rischio di cominciare troppo tardi e trovare un’industria atomica già costituita sul piano internazionale, contro cui non [era] possibile lottare. La scelta, conclude[va] Armand, non si [poteva] operare soltanto in base a considerazioni tecniche ma implica[va] una vera e propria decisione politica” [Riunione dei Tre Saggi, Telespresso n. 01730 della Direzione Generale Affari Esteri, Ufficio IV, del MAE alla Presidenza del Consiglio dei ministri, inviato al Ministero dei Lavori Pubblici, al Ministero dell’Industria e commercio, al prof. Francesco Giordani, al Comitato Nazionale Ricerche Nucleari, alla Confederazione Generale Industria Italiana, Roma, 2 febbraio 1957, ACS, Fondo CNR, Presidenza Giordani, Busta 9]. Dopo Parigi, un’altra tappa fondamentale per i Tre Saggi fu l’incontro negli Stati Uniti con il presidente Eisenhower, il segretario di Stato, Foster Dulles, e il presidente della Commissione dell’energia atomica, Strauss. Le riunioni portarono a una comunicazione congiunta dell’8 febbraio 1957 mediante la quale le autorità americane si impegnavano a dare tutto il loro supporto alle iniziative europee nel campo dell’energia nucleare (cfr. Communique conjoint de Département d’état, de la Commission pour l’Energie Atomique et du comité des Sages, 8 febbraio 1957, Secrétariat du “Comité des Sages”, ibidem). Stesso risultato si ebbe con la visita dei Tre Saggi in Gran Bretagna (cfr. Communique publie conjointement par “The United Kingdom Atomic Energy Authority” et le Comité des trois Sages de l’EURATOM, 1 marzo 1957, Secrétariat du “Comité des Sages”, ibidem).

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15.000 MW, attraverso la costruzione di circa cento nuovi impianti nucleari di medie

dimensioni197.

Il processo di cooperazione si avvalse inoltre di un altro organismo nato in ambito OECE

sempre nel '57: l’Agenzia Europea per l’Energia Nucleare198 che aveva come scopo la

costituzione di aziende nucleari comuni aperte a tutti i membri e il coordinamento dei progetti

esistenti199. Sebbene la crisi di Suez fosse alla base dei principali progetti europei per la

cooperazione nel settore nucleare, in realtà l’episodio dimostrò come l’Europa poteva essere

considerata ancora impermeabile alle ripercussioni derivanti dai fragili equilibri mediorientali. Il

mercato internazionale petrolifero aveva infatti manifestato in quell’occasione un’eccezionale

flessibilità e un’efficienza tranquillizzante, al punto che le preoccupazioni sulla sicurezza

energetica comunitaria non sembrarono più condizionate da fattori geopolitici. La disponibilità

di energia in Europa rimase talmente abbondante che l’urgenza di una politica nucleare

comunitaria a breve termine nel settore delle applicazioni pacifiche, presente durante tutti gli

anni Cinquanta, si andò lentamente smorzando nel decennio successivo. Questa nuova

percezione, secondo l’interpretazione di Barbara Curli: “[era dovuta] anche alla convinzione –

che si dimostrerà largamente fondata – che l’energia atomica non sarebbe stata competitiva

ancora per lungo tempo, almeno fino al 1980, quando, secondo le previsioni, non avrebbe

comunque dovuto coprire oltre il 30% della produzione energetica comunitaria. Inoltre, e più

importante, come sottolineava un Memorandum della Commissione EURATOM del febbraio

1960, […] lo sviluppo dell’energia nucleare era sempre meno percepito come una questione

«europea» […], ma come un’evoluzione che sarebbe dipesa fondamentalmente dalle politiche

pubbliche «nazionali», e in particolare da scelte strategiche industriali, più che da priorità

energetiche”200.

L’idea di avviare una politica energetica comunitaria fondata sullo sviluppo degli studi

sul nucleare restava comunque una necessità irrinunciabile, come indicava l’accordo per gli usi

pacifici dell’energia atomica fra l’EURATOM e gli Stati Uniti del maggio-giugno 1958201. Gli

197 Cfr. F. Ippolito, Un progetto incompiuto. La ricerca comune europea: 1958-88, cit., p. 69. 198 Per approfondimenti sulla nascita e sugli scopi dell’AEEN, che a partire all’aprile '72 grazie all’ingresso del Giappone perse la sua connotazione essenzialmente europea assumento la generica denominazione di Agenzia per l’Energia Nucleare (AEN), si veda A. Albonetti, Energia nucleare e crisi energetica europea, cit., pp. 99-103. 199 La collaborazione in ambito OECE nel 1957 si concretizzò con la realizzazione di ben tre progetti: il reattore di Halden in Norvegia, quello Dragon a Winfrich, in Gran Bretagna, e lo stabilimento Eurochemic di Mol, nel Belgio (per ulteriori approfondimenti si veda B. Goldschmidt, Il nucleare: storia politica dell’energia nucleare, Napoli, 1986, pp. 281-282). 200 B. Curli, Le origini della politica energetica comunitaria, 1958-64, in M. Guderzo, M. L. Napolitano (a cura di), Diplomazia delle Risorse, cit., pp. 104-105. Per approfondimenti sulla situazione generale del mercato petrolifero si vedano J. G. Clark, The political economy of world energy: a twentieth-century perspective, cit., p. 187 e ss.; N. J. D. Lucas, Energy and the European Communities, cit., p. 50 e ss. 201 Cfr. Accord de coopération entre la Communauté Européenne de l’Énergie Atomique (EURATOM) et le gouvernement des États-Unis d’Amérique concernant les utilisations pacifiques de l’énergie atomique, Bruxelles, 29 maggio 1958, Washington, 19 giugno 1958, in «Journal Officiel des Communautés Européennes», 19 marzo 1959, II, n. 17. Il 3 e 4 novembre del '59 si tenne a Londra anche una tavola rotonda sui problemi energetici dell’Europa; Felice Ippolito vi partecipò in qualità di segretario generale del CNRN

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studi per una cooperazione settoriale europea iniziarono però a concentrarsi su un’altra questione

che diverrà centrale da quel momento in poi: la necessità di garantire a tutti i paesi europei una

energia a costi accettabili202. Questa nuova prospettiva si tradusse nei primi anni Sessanta nella

ricerca di una vera e propria politica energetica comunitaria203. Il 20 febbraio 1962 il Parlamento

europeo votò una risoluzione che elencava i principi su cui si sarebbe dovuta incardinare l’azione

dei Sei: approvvigionamento delle fonti primarie a buon mercato e loro progressiva sostituzione,

stabilità a lungo termine del rifornimento, libera scelta del consumatore e unità del mercato

comune204. Sulla base dell’iniziativa del Parlamento europeo, il Consiglio dei ministri del 5

aprile diede mandato al “Comitato intersecutivi Energia” di formulare delle proposte concrete

che in giugno presero forma nel “Memorandum sulla politica energetica”, primo reale progetto

nel quadro della ricerca di una politica energetica comune205.

2.3. Le prime centrali nucleari italiane

In Italia l’avvio di queste collaborazioni internazionali diede nuovo l’impulso a tutte

quelle iniziative volte a colmare il ritardo accumulato negli anni precedenti. In quest’ambito

rientrava la presentazione da parte di Villabruna, La Malfa e Lombardi di una proposta di legge

sulla produzione e sull’utilizzazione dei combustibili nucleari. All’interno del progetto si

prospettava l’urgente necessità di ricorrere “ad altre fonti di energia per assicurare negli anni

futuri la soddisfazione dei fabbisogni energetici [italiani] e così la base del[lo] sviluppo

economico. [Era] in questo quadro che [doveva] considerarsi tra noi, come negli altri paesi

e presentò un’interessantissima relazione dal titolo “Il ruolo dell’energia nucleare nella coordinazione delle politiche energetiche europee” (cfr. Il ruolo dell’energia nucleare nella coordinazione delle politiche energetiche europee, rapporto del prof. Felice Ippolito, Londra, 3-4 novembre 1959, ASE, coll. I. V. 3, udc. 279). 202 Sui cambiamenti intervenuti nel mercato petrolifero internazionale alla fine degli anni Sessanta si vedano J. G. Clark, The political economy of world energy: a twentieth-century perspective, cit., p. 124-129; E. B. Kapstein, The Insecure Alliance: Energy Crises and Western Politics since 1944, cit., pp. 127-128. Per approfondimenti sull’evoluzione dell’energia nucleare nello stesso periodo si veda D. Burn, The political economy of nuclear energy: an economic study of contrasting organisations in the UK and USA, with evaluation of their effectiveness, London, 1967. 203 Molto interessante in proposito il giudizio espresso da Mattei al XII° Convegno Nazionale degli Ingegneri del 13 maggio '60. Il presidente dell’ENI nella sua relazione analizzò tutti gli “schemi e [le] proposte per un «coordinamento» delle politiche energetiche della Comunità sulla base di un «prezzo orientativo»” e sottolineò il fatto che queste proposizioni erano ancora “embrionali” e si poteva pertanto esprimere un giudizio solo sulla loro interpretazione. “Se per prezzo di orientamento della energia si intende[va] quello che misura[va] il costo marginale del suo approvvigionamento, in condizioni di libera contrattazione, noi non [potremmo], credo, che dichiararci fautori di un tal prezzo, da cui purtroppo la realtà del mercato europeo dell’energia si discosta[va] ancora notevolmente. Se invece sotto tale formula si [voleva] intendere il congelamento delle condizioni di concorrenza tra le fonti energetiche attraverso un prezzo «regolato» a un livello superiore a quello che la libera concorrenza tra le varie fonti [avrebbe instaurato], allora io credo che dovremmo dichiarare nei termini più netti il nostro dissenso. […] Nessuna politica che [avesse] per risultato di orientare i consumi energetici in modo da rendere più care le fonti attualmente più convenienti o da impedire un ulteriore abbassamento del prezzo, [poteva] essere accettata dal nostro Paese” (Le fonti di energia nel mercato comune, Enrico Mattei, Milano, 13 maggio 1960, ASE, coll. BB. II. 2, udc. 440). 204 Cfr. Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea del 16 marzo 1962. 205 Cfr. B. Curli, Le origini della politica energetica comunitaria, 1958-64, in M. Guderzo, M. L. Napolitano (a cura di), Diplomazia delle Risorse, cit., pp. 112-113.

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europei […] il problema dell’utilizzazione dell’energia nucleare”206. Il documento indicava due

strade alternative per lo sviluppo di un’industria nucleare italiana:

“a) quella di impianti per la diretta utilizzazione di uranio 235 per la produzione di energia

elettrica; b) quella di impianti plutogeni che [utilizzassero] inizialmente uranio naturale per la

produzione di energia elettrica e [riutilizzassero] poi allo stesso fine il plutonio prodotto nei

reattori”.

La prima soluzione era indubbiamente più rapida ma dipendeva strettamente dalla

quantità di uranio 235 che gli Stati Uniti erano disposti a fornire e che, nel complesso, appariva

decisamente modesta. La seconda strada, dunque, era l’unica che poteva offrire una serie di

vantaggi:

“[Essa poteva] effettivamente assicurare una produzione di energia elettrica per via nucleare

[sopperendo alla carenza di uranio 235]; permette[va] un’effettiva formazione di ricercatori ed

esperti nazionali; [garantiva] lo stimolo […] a tutta la nostra industria, date le ripercussioni

indette di un programma di sviluppo dell’industria nucleare che [partiva] dall’uranio naturale e

che, come tale, [avrebbe mobilitato] tutta la nostra economia, dal campo minerario a quello della

metallurgia a quello meccanico ai numerosissimi settori affini (quali innanzi tutto quello

elettronico)”207.

A questo proposito, i proponenti del progetto di legge ammonivano che spettava solo allo

Stato italiano, così come accadeva in ogni altro paese, sia il compito di scegliere tra le due strade

suggerite per lo sviluppo di un’industria nucleare nazionale, che l’onere di partecipare

direttamente al controllo della successiva produzione di combustibili atomici:

“La seconda via non [poteva] essere percorsa che da un ente pubblico ed [era] d’altra parte e

preliminarmente solo allo Stato che [poteva] spettare la scelta tra le due vie indicate. [Veniva

dunque previsto] il monopolio statale solo in due campi: a) quello della produzione di 206 Proposta di legge d’iniziativa dei Deputati (Villabruna, La Malfa e Riccardo Lombardi) sulla produzione e utilizzazione dei combustibili nucleari, 16 luglio 1957, ACS, Carte Ugo La Malfa, Serie 2, Attività politica, Busta 10. Il documento proseguiva denunciando che “di fronte all’urgente necessità di disporre già a partire dal 1961 di energia elettrica per via nucleare […] sta[va] invece la tragica arretratezza del nostro paese in questo settore, che pure si riporta[va] a scoperte e invenzioni che porta[vano] nomi italiani, nomi di scienziati che l’assurda politica del ventennio fascista costrinse a lasciare il suolo d’Italia colpendo con boriosa stupidità le stesse radici del nostro progresso economico. […] Il problema che l’utilizzazione dell’energia nucleare pone[va] al nostro paese [era] quello di non perdere il treno della seconda rivoluzione industriale ormai in corso, così come arretratezza di strutture economiche e giuridiche fece perdere al nostro paese nel sec. XIX il treno della prima rivoluzione industriale. L’arretratezza della nostra situazione nel settore nucleare si esprime[va] innanzi tutto nel numero estremamente modesto di nostri ricercatori e tecnici in questo campo, modestia che si riflette[va] poi in un generale arretramento comparativo di tutta la nostra cultura scientifica e tecnica, con conseguenze i cui effetti [potevano] farsi sentire lungo numerosi decenni” (ibidem). 207 Ibidem.

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combustibili nucleari speciali; b) quello della produzione di energia elettrica per via nucleare.

[…] La sfera così riservata al pubblico monopolio [era] quella che si riscontra[va] in tutte le

legislazioni, compresa, in sostanza, l’americana, perché non c’[era] finora legislazione che

all’inizio del processo di sviluppo dell’industria nucleare […], non [avesse] fatto capo alla mano

pubblica, né si [poteva] al riguardo ricorrere a una storia fatta di «se» ritenendo che ciò [era]

dovuto solo a esigenze militari”208.

Ciò che Villabruna, La Malfa e Lombardi chiedevano era in definitiva l’istituzione di un

“ente pubblico […] per la produzione di combustibili nucleari speciali e di energia elettrica in via

nucleare” a cui decisero di proporre il nome di “Istituto per l’Energia Nucleare”209.

In questo quadro si svolsero anche le discussioni, già accennate in precedenza, sulla

possibilità di creare un unico ente statale per la gestione di tutte le fonti energetiche e

sull’eventualità di trasferire la responsabilità del nucleare direttamente all’ENI, senza dover

creare un istituto con personalità giuridica ex novo210. Per questo l’AGIP Nucleare portò avanti

una serie di progetti, fra cui l’avvio di una cooperazione diretta nel campo dei reattori a gas con

l’EURATOM, che fino a quel momento non aveva mostrato interesse verso ipotesi di questo

genere211.

Sempre allo scopo di accelerare l’utilizzazione dell’energia nucleare, si rilanciò il

progetto, già intrapreso nel '55, di costruire un reattore nucleare a Ispra acquistando la fornitura

necessaria dall’American Car & Foundry. Il compito di provvedere alla prosecuzione del piano

si affidò al CISE, seppur con il finanziamento del CNRN e il supporto di alcuni suoi membri.

Anche in questa circostanza affiorarono contrasti tra le due organizzazioni italiane e, di

conseguenza, il CNRN decise nel settembre del 1957 di portare avanti il progetto escludendo il

CISE e provocando una rottura definitiva212. Il Comitato costituì dunque una nuova società per

azioni, la NUCLIT, che si occupò di completare la realizzazione del reattore sperimentale

integrando buona parte dei tecnici del CISE. Quest’ultimo ne uscì svuotato sia per quanto

concerneva il personale specializzato che sulla realizzazione dell’impianto di Ispra che si costruì

effettivamente nel '59 e rappresentò il primo reattore di ricerca italiano.

L’altro progetto per la realizzazione di una centrale nucleare era stato avanzato dalla

Edison nel 1954, con la costituzione, nel dicembre successivo, della società SELNI a cui

partecipavano, mediante una sottoscrizione paritaria, anche la SADE, la Romana, la Selt-

208 Ibidem. 209 Ibidem. 210 Cfr. Appunto interno all’ENI (non firmato), ASE, coll. BG. III. 6, udc. 2. 211 Cfr. Riunione AGIP Nucleare–EURATOM, tenutasi ad Ispra il 23 agosto 1960, ASE, coll. I. V. 4, udc. 280. 212 Per approfondimenti si veda G. Paoloni (a cura di), Energia, ambiente, innovazione: dal CNRN all’ENEA, cit., pp. 29-32.

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Valdarno, la SGES e la IRI-Finelettrica (quest’ultima, a sua volta, con la presenza della SME,

della SIP, della Terni e della Trentina). Nell’aprile del '56 questi gruppi di proprietà pubblica di

separarono creando una nuova azienda: la Società elettronucleare nazionale. All’interno della

SELNI, dopo varie vicissitudini tecnico-politiche, la Edison riuscì a sottoscrivere un accordo con

la Westinghouse per la fornitura di un reattore a uranio arricchito, moderato con acqua ordinaria

e raffreddato a acqua pressurizzata; la potenza inizialmente prevista era di centotrentaquattro

megawatt, poi aumentata nel corso del tempo fino a raggiungere i duecentosettanta megawatt213.

I lavori per la costruzione della centrale a Trino Vercellese iniziarono nel 1961 e si conclusero

nel giro di tre anni214.

La SENN si pose invece come obiettivo la realizzazione di un impianto nucleare al

sud215. Con lo stesso intento, nel '56 l’ENI creò la Società italiana meridionale per l’energia

atomica, il cui capitale era diviso tra l’AGIP Nucleare (settantacinque percento) e l’IRI. L’Ente

Nazionale Idrocarburi decise di realizzare un reattore di tecnologia inglese a gas grafite

alimentato con combustibile a uranio naturale metallico, firmando con la Nuclear Plant Power

Company un accordo nel maggio del 1958. L’impianto della potenza di duecento megawatt si

realizzò a Foce Verde, presso Latina, in soli quattro anni. Questa centrale fu la prima a entrare in

funzione in Italia e si dotò del più grande reattore europeo dell’epoca216.

Un terzo progetto venne appoggiato e finanziato dalla Banca internazionale per la

ricostruzione e lo sviluppo che propose al governo italiano di studiare l’ipotesi di avviare la

costruzione di un impianto nucleare217. Nel luglio del '57 la BIRS, attraverso la Cassa del

Mezzogiorno, concesse, per la prima volta nella sua storia, un prestito di quaranta milioni di

dollari per lo sviluppo dell’energia nucleare a scopi pacifici. Al fine di valutare le offerte dei

fornitori per l’acquisto del reattore venne creato un Comitato direttivo composto da Corbin

213 Cfr. G. Paoloni, Gli esordi del nucleare, cit., p. 398. 214 Per un’analisi dei problemi che la SELNI dovette fronteggiare prima di ottenere la definitiva autorizzazione alla realizzazione del progetto si veda L. De Paoli, Programmi di investimento e novità tecniche, cit., pp. 223-227. Particolarmente interessante fu, ad esempio, il tentativo di ostacolare un finanziamento consistente da parte dell’Export-Import Bank ad opera del ministro dell’Industria, Guido Cortese, dietro le forti pressioni di Felice Ippolito e del CNRN. La centrale di Trino Vercellese passò successivamente sotto il controllo dell’ENEL in applicazione della legge sulla nazionalizzazione dell’energia elettrica. 215 Ibidem, pp. 223-224. 216 Per approfondimenti si vedano ibidem, pp. 229-231; F. Ippolito, L’Italia e l’energia nucleare: cronache di cinque anni, cit., pp. 190-214. A proposito della centrale di Latina, nel 1961, sulla base di una collaborazione tra l’AGIP Nucleare e l’EURATOM, quest’ultima vide con particolare preoccupazione la possibilità che la società del gruppo ENI si orientasse verso una fornitura francese di elementi di combustibile. In particolare, “essendo Latina produttrice di plutonio, l’EURATOM [aveva] una certa apprensione (diciamo politica), dati i programmi militari francesi in contrapposto agli scopi strettamente pacifici dell’EURATOM”. I francesi avevano infatti rifiutato il controllo dell’organismo europeo sugli impianti nazionali di riprocessamento (Lettera dell’osservatore presso la CEE dell’AGIP Nucleare, Piero De Peverelli, al Direttore Generale dell’AGIP Nucleare, Mario Campanini, Bruxelles, 23 maggio 1961, ASE, coll. I. V. 4, udc. 280). 217 Sulle proposte che i rappresentanti della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo si avviavano a fare all’Italia per la costruzione di una nuova centrale elettronucleare si veda Riunione della BIRS in Italia per il progetto di finanziamento di impianti elettronucleari, Telespresso n. 03754 della Direzione Generale Affari Esteri, Ufficio IV, del MAE indirizzato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero dell’Industria e Commercio, al Comitato Nazionale Ricerche Nucleari, alla DGAE, Ufficio I del MAE, 8 marzo 1957, ACS, Fondo CNR, Presidenza Giordani, Busta 9.

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Allardice, esperto nucleare della BIRS, e da Felice Ippolito. Il progetto, che prese il nome di

Energia Nucleare Sud Italia218, venne affidato alla SENN per la sua realizzazione e, nel

settembre '58, forse per controbilanciare la scelta inglese dell’ENI, si preferì acquistare un

reattore a uranio arricchito, moderato e raffreddato a acqua bollente, prodotto dalla General

Electric. La centrale, costruita a Punta Fiume, nel Garigliano, disponeva di una potenza di

centosessanta megawatt e entrò in funzione nel '64219.

I tre programmi per la realizzazione di altrettante centrali nucleari furono giudicati

diversamente dall’opinione pubblica italiana; le polemiche, in particolare, si intrecciarono con i

dibattiti sulla nazionalizzazione dell’energia elettrica visto che gli impianti erano stati concepiti

per produrla. C’era, ad esempio, chi criticava la quantità degli investimenti elargiti a paragone

del costo effettivo del prodotto finale rispetto all’economicità dell’elettricità ottenuta da altre

fonti primarie; altri obiettavano sulla localizzazione degli impianti ritenuta troppo favorevole al

Mezzogiorno. Vi era, inoltre, chi chiedeva a gran voce una legislazione ad hoc che ancora

tardava a arrivare e che avrebbe dovuto stabilire, tra l’altro, dei controlli adeguati per l’intero

settore; e vi erano, infine, coloro che denunciavano lo scarso coordinamento fra i progetti in

corso. Molte critiche, tuttavia, erano strumentali rispetto ai contrapposti interessi politici in

gioco.

2.4. Dal CNRN al CNEN

Anche se all’interno del CNRN operavano una serie di commissioni con compiti diversi,

l’attività centrale dell’ente consisteva nella ricerca applicata. In questo contesto, il risultato

principale fu la realizzazione del centro di Ispra, ultimato nel 1959 e ceduto quasi subito

all’EURATOM perché divenisse uno dei centri comuni di ricerca previsti dagli accordi

costitutivi del '57. Durante il 1958 si era inoltre iniziata la realizzazione di un altro centro di

ricerche nucleari a Casaccia, nei pressi di Roma dove si concentrarono, fra le altre, tutte le

attività del settore chimico, elettronico e radiobiologico e dove si indirizzarono molti programmi

di ricerca avviati a Ispra e trasferiti dopo l’assegnazione all’EURATOM. Nel luglio del '60 si

istituì a Bologna un nuovo centro destinato a amministrare i grandi mezzi di calcolo del CNRN e

le attività connesse220. L’obiettivo principale perseguito dalla ricerca applicata riguardava la

218 Per approfondimenti si vedano B. Curli, Energia nucleare per il Mezzogiorno: l’Italia e la Banca Mondiale, 1955-1959, in «Studi Storici», 37, 1996, n. 1; F. Ippolito, L’EURATOM e la politica nucleare italiana, cit., pp. 61-65; A. R. Rigano, La Banca d’Italia e il progetto ENSI, cit. Per un’analisi dei verbali delle varie riunioni e delle proposte sulla collaborazione con la BIRS e l’elaborazione del progetto ENSI si vedano i verbali e le relazioni presenti su questo argomento in ACS, Fondo CNR, Presidenza Giordani, Busta 9. 219 Cfr. A. R. Rigano, La Banca d’Italia e il progetto ENSI, cit., pp. 227-229. 220 Cfr. G. Paoloni, Gli esordi del nucleare, cit., p. 401

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realizzazione di un progetto per la costruzione di impianti nucleari di fabbricazione interamente

italiana, al termine di un processo di acquisizione delle conoscenze idonee. In questo caso,

costruendo tutti i componenti di una centrale nucleare l’Italia avrebbe potuto ridurre i costi e

conseguire più rapidamente una competitività energetica adeguata per sopperire al crescente

fabbisogno nazionale. Si decise, pertanto, di costruire un “reattore dimostrativo” prodotto

interamente da ricercatori italiani; il piano prese il nome di Progetto reattore organico221 e vi

collaborarono l’AGIP Nucleare e la SORIN, nata dalla cooperazione tra la Montecatini e la

FIAT. Un altro piano per la realizzazione di reattori nazionali venne portato avanti dal CISE: il

progetto, nato agli inizi degli anni Sessanta, venne denominato CIRENE e rappresentò, dopo la

chiusura di quello PRO nel '64, il solo programma di ricerca italiano per la realizzazione di un

reattore nazionale.

Mentre altre iniziative nel campo della ricerca applicata proseguivano nel quadro della

collaborazione europea, in Italia il dibattito iniziò a spostarsi sull’annoso problema dell’assenza

di una legislazione nazionale complessiva per il settore nucleare; una questione che si andava

sempre più acuendo in parallelo con i progressi della nazionalizzazione elettrica. Il timore era

sempre lo stesso: la statalizzazione estesa al nucleare e lo smantellamento di tutte le iniziative

private che avevano rappresentato, almeno nei primi anni, il vero fulcro delle ricerche

sull’atomo. Tutti i tentativi volti a evitare che ciò accadesse fallirono e le risorse disponibili

divennero sempre più scarse al punto che nel 1959 il CNRN affrontò una nuova crisi finanziaria

alleggerita solo da ulteriori stanziamenti statali222. Aiuti economici saltuari senza una reale

programmazione nazionale apparivano però sempre più insufficienti dal momento che il

Comitato si era trasformato, con il passare degli anni, in un imponente centro di ricerca provvisto

di un importante patrimonio tecnico-scientifico. Per queste motivazioni il ministro dell’Industria

e Commercio, Emilio Colombo, nel gennaio '60 presentò al Senato il disegno di legge n. 940 con

il quale proponeva di dare personalità giuridica al CNRN e di fissare una concreta disciplina

legislativa per gli impianti nucleari. La proposta mirava all’istituzione di un ente di diritto

pubblico dotato di ampi poteri e di mezzi adeguati a stimolare le attività di ricerca.

Ciononostante, l’iniziativa lasciava in sospeso la controversia relativa al tipo di regime da

applicare agli impianti nucleari. Il Parlamento, dal canto suo, decise di approvare uno stralcio del

221 Per un’analisi su tutte le riunioni e le discussioni circa la realizzazione del PRO, la localizzazione scelta e le collaborazioni avviate si vedano i vari verbali e le relazioni presenti su questo argomento in ASE, coll. I. V. 3, udc. 279. 222 Tra le normative che stanziarono nuovi aiuti finanziari al CNRN figuravano: la legge n. 19 del 5 febbraio 1957 di tre miliardi e cinquecento milioni di lire; la legge n. 357 del 23 marzo 1958 di quindici miliardi e settecentoquaranta milioni; la legge n. 74 del 19 febbraio 1960 di cinque miliardi.

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disegno di legge che, in risposta alle urgenti impellenze economiche, stanziava un impegno di

spesa quinquennale per le ricerche nel settore nucleare pari a ottanta miliardi di lire223.

L’onere dell’investimento pubblico lasciava intravedere il peso che il governo aveva in

mente di attribuire al settore. In questo quadro, con la legge n. 933 dell’11 agosto 1960, si istituì

il Comitato nazionale energia nucleare224, ente di diritto pubblico, in sostituzione del CNRN,

presieduto direttamente dal ministro dell’Industria, Commercio e Artigianato e retto da una

Commissione direttiva. Quale segretario generale si confermò Felice Ippolito225, mentre la

Commissione direttiva risultava composta dal sen. Basilio Focaccia (vicepresidente), Edoardo

Amaldi, Bruno Ferretti, Vincenzo Caglioti, Arnaldo Maria Angelini, Guido Giorgi (direttore

generale della produzione industriale), Vittorio Marchese (direttore generale dell’istruzione

superiore) e Carlo Salvetti226. Nonostante il cospicuo finanziamento già erogato, all’indomani

dell’entrata in funzione del nuovo Comitato le richieste di intervento statale a favore delle

centrali elettronucleari in costruzione continuarono incessanti. Il 13 maggio '61 il ministro per le

Partecipazioni statali, Giorgio Bo, indirizzò una lettera al ministro dell’Industria, Commercio e

Artigianato, Emilio Colombo, sottolineando “la necessità che lo Stato, al pari di altri Paesi

nuclearmente più progrediti, [intervenisse] con adeguati contributi a favore delle […] imprese

[italiane] operanti nello specifico settore elettronucleare […] tenuto conto che tutte le iniziative

nel settore nucleare [perseguivano] in sostanza un fine d’interesse pubblico, in quanto esse

[rispondevano], tra l’altro, alle esigenze di tenere il passo con gli altri Paesi, di formare e

mantenere addestrata una classe di tecnici specializzati, di favorire la conoscenza e lo sviluppo

presso l’industria nazionale delle tecniche relative alla costruzione degli impianti

elettronucleari”227.

223 Per approfondimenti sulle fasi che portarono alla nascita del CNEN e sui risultati del primo programma quinquennale si veda G. Medici, Rapporto sull’energia nucleare in Italia, Roma, 1964, pp. 15-39. Per il testo degli articoli del disegno di legge n. 940, del 30 gennaio 1960 cfr. Disegno di legge sull’istituzione del CNEN, ACS, Fondo Ministero Partecipazioni Statali, DGAE, Serie Energetiche, Busta 4. 224 I dibattiti parlamentari sulla costituzione di un soggetto di diritto pubblico che regolamentasse l’intero settore nucleare italiano risalivano almeno al marzo del 1958 quando in Senato era in discussione il cosiddetto progetto di legge Gava, n. 2315 sull’istituzione proprio del Comitato nazionale energia nucleare. Durante quei giorni Felice Ippolito inviò infatti una lettera a Ugo La Malfa in cui chiese il sostegno di quest’ultimo: “Sarebbe [stato] […] altamente augurabile che un Senatore amico, affiancandosi al Senatore Carmagnola del PSDI (che farà analoga proposta), [avesse insistito] per l’immediata approvazione del puro stralcio finanziario del Disegno di Legge n. 2315” (Lettera di Felice Ippolito a La Malfa, 10 marzo 1958, ACS, Carte Ugo La Malfa, Serie 1, Atti e corrispondenza, Busta 3). Per il testo della legge n. 933 dell’11 agosto 1960 che istituì il CNEN si veda Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 6 settembre 1960, Parte Prima, ACS, Fondo CNR, Presidenza Polvani, Busta 20. 225 Per una testimonianza diretta si veda F. Ippolito, La politica del CNEN (1960-1963), Milano, 1965. 226 Cfr. Verbale della prima riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 10 dicembre 1960, p. 1, ASENEA. Durante questa prima riunione si espresse anche il parere positivo per un accordo di collaborazione tecnica tra il CNEN e la Commissione Jugoslava per l’Energia Nucleare, rilevando il reciproco interesse per la cooperazione nella realizzazione dei programmi nel campo dell’utilizzo dell’energia nucleare a fini pacifici (cfr. ibidem, p. 7). Una collaborazione simile si avviò successivamente con la Commissione Ellenica per l’Energia Atomica nei campi della ricerca fondamentale e applicata, nello studio sulle materie prime nucleari, delle applicazioni dei radioisotopi, della protezione sanitaria e della produzione di energia nucleare (cfr. Verbale della quinta riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 31 ottobre 1961, pp. 8-9, ibidem). 227 Richiesta di intervento statale per le centrali elettronucleari di prima generazione, lettera del Ministero delle Partecipazioni Statali, Servizio per gli Affati Economici, Divisione VII (firmata dal ministro Giorgio Bo) al Ministero dell’Industria, Commercio e Artigianato, Roma, 13 maggio 1961, ACS, Fondo Ministero Partecipazioni Statali, DGAE, Serie Energetiche, Busta 4. Le

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Nel tentativo di risolvere la questione venne convocata una riunione il 7 febbraio 1962

presso la Direzione Affari Generali ed Energia del Ministero dell’Industria. Il punto di partenza

della discussione era il recente provvedimento dell’EURATOM relativo alla concessione di un

contributo, pari a sette milioni di dollari, a favore della SENN (dei quali tre destinati ai rischi di

avviamento e i restanti quattro per l’acquisto del combustibile occorrente al secondo nocciolo) e

di quattro milioni di dollari a favore della SIMEA per il solo acquisto del combustibile. Su

proposta di Albonetti, in rappresentanza del CNEN, si decise di inquadrare l’intera questione dei

finanziamenti necessari per lo sviluppo delle centrali elettronucleari in costruzione sia dal punto

di vista tecnico che economico228. Nella successiva riunione interministeriale del 21 marzo la

proposta di un contributo a favore delle centrali elettronucleari italiane venne resa ufficiale229.

Tutte le discussioni, unite alla recente istituzione del CNEN, costituirono la premessa

all’approvazione di una legislazione che regolamentava in toto le attività nel settore nucleare.

Con il varo della legge n. 1860 del 31 dicembre 1962, immediatamente successiva alla

nazionalizzazione dell’energia elettrica e alla nascita dell’ENEL, il CNEN, oltre a promuovere

ricerche, esercitò, da quel momento in poi, anche il controllo su tutte le attività nucleari

nazionali. L’ambiziosa programmazione presentata dal nuovo Comitato ad opera di Felice

Ippolito prevedeva lo sviluppo della ricerca applicata su ben quatto tipi diversi di reattori: il

primo a acqua bollente, il secondo moderato da sostanze organiche, il terzo raffreddato a metalli

liquidi e il quarto refrigerato da gas a altissima temperatura230.

3. La politica petrolifera di Mattei231

L’operato svolto dal commissario straordinario dell’AGIP, Enrico Mattei, incaricato

ufficialmente di porre la società in liquidazione, portò, come visto, a accertare l’esistenza di

importanti giacimenti di idrocarburi nella Valle Padana. Di fronte a questa scoperta, nonostante

le forti pressioni esterne di coloro che volevano accelerare l’iter burocratico che avrebbe

condotto alla fine dell’Azienda Generale Italiana Petroli e approfittare delle recenti scoperte

sovvenzioni pubbliche, nello specifico, dovevano comprendere sia contributi sulla potenza installata nelle centrali elettronucleari che apporti sull’energia prodotta dalle centrali. 228 Cfr. Appunti sulla riunione del 7/2/1962 presso il Ministero Industria - Direzione Affari Generali ed Energia, (Mario Cometto della SENN), Roma, ACS, Fondo Ministero Partecipazioni Statali, DGAE, Serie Energetiche, Busta 4. 229 Cfr. Proposta di un contributo a favore delle centrali elettronucleari di prima e seconda generazione - Riunione interministeriale del 21 marzo 1962, Ministero delle Partecipazioni statali, Servizio Affari Economici, Divisione VII, Roma, 14 aprile 1962, ibidem. 230 A questi era da aggiungere il reattore a acqua pesante e uranio naturale del progetto CIRENE. 231 Sulla figura di Enrico Mattei esiste già una cospicua bibliografia che si è concentrata principalmente sull’analisi della sfida lanciata dal presidente dell’ENI allo strapotere delle grandi compagnie petrolifere partendo dal presupposto che la sua morte sia stata opera di un complotto internazionale. La maggior parte degli studi risultano pertanto condizionati da queste ipotesi e appaiono carenti di quella oggettività scientifica che dovrebbe essere il punto di partenza di un’analisi storica. In questa sede ci si limiterà a fare un excursus storico degli avvenimenti.

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effettuate, prevalse la linea favorevole allo sfruttamento delle risorse petrolifere per il solo

fabbisogno nazionale. Il dibattito pubblico e parlamentare fu molto acceso: ci si interrogò

sull’opportunità di intervenire in questo settore attraverso un monopolio pubblico oppure

creandone uno privato. Il ministro delle Finanze, Ezio Vanoni, scelse la strada del controllo

statale cosicché le imprese a partecipazione statale, precedentemente create, restarono in vita e

assunsero il compito di controllare i giacimenti padani. Si decise quindi, con la legge n. 136 del

10 febbraio 1953232 presentata proprio dal ministro Vanoni, la creazione, sotto la guida dello

stesso Mattei, di un Ente Nazionali Idrocarburi a cui furono affidate le società già operanti nel

settore, con il compito di “promuovere ed attuare iniziative d’interesse nazionale nel campo degli

idrocarburi e dei vapori naturali, operando in regime di concorrenza con i privati in tutti i settori

dell’attività petrolifera”233.

Con la nascita dell’ENI l’Italia sviluppò una politica petrolifera autonoma, spesso in

antagonismo con le potenti società inglesi, francesi e americane234 operanti in tutto il mondo235.

Allo scopo di garantire al paese un approvvigionamento petrolifero stabile si decise la

costituzione, nel maggio '53, della società AGIP Mineraria a cui furono ceduti tutti i permessi e

le concessioni precedentemente possedute dall’AGIP e dalle altre aziende minerarie minori, con

l’incarico di intraprendere una vasta attività di ricerca. La nuova società godeva inoltre della

facoltà di esercitare diritti esclusivi per la ricerca e lo sfruttamento degli idrocarburi della

232 Per un’analisi sulla storia e le vicende che portarono alla creazione dell’ENI cfr. L. Maugeri, L'arma del petrolio, cit., pp. 67-78. In proposito si veda anche la relazione presentata al Senato dal ministro delle Finanze, Ezio Vanoni, sul progetto di legge per l’istituzione dell’Ente Nazionale Idrocarburi: “Le ragioni per le quali [era] stata proposta la legge [per l’istituzione dell’ENI erano:] la necessità del riordino delle partecipazioni statali nel settore petrolifero […], [oltre all’urgenza] di risolvere il problema politico ed economico più importante che si [era] presentato in questo dopoguerra. Infatti i grandi giacimenti di metano che [erano] stati ritrovati [consentivano] di produrre del metano e quindi dell’energia a costi di produzione molto inferiori a quelli delle altre fonti e, ove tale nuova risorsa non fosse stata opportunamente disciplinata, incalcolabili ripercussioni si sarebbero prodotte su tutta la nostra struttura economica e politica. La scelta di affidare il reperimento e lo sfruttamento di queste nuove fonti di energia all’iniziativa privata avrebbe rappresentato due gravi e pericolose alternative. Prima: la necessità di un importante impegno di capitale per creare l’attrezzatura avrebbe limitato la possibilità di azione a poche imprese, che facilmente si sarebbero accordate per una politica dei prezzi che avrebbe sfruttato al massimo le possibilità del mercato. Ne sarebbe derivato quindi non un regime di libera concorrenza bensì di accordi monopolistici ed in conseguenza una situazione economicamente pericolosa. Seconda: se si fosse realizzato veramente un regime di vivace concorrenza ed il prezzo del metano si fosse avvicinato al costo, si sarebbero avute non meno gravi conseguenze, perché alcune regioni avrebbero avuto l’energia a costi notevolmente inferiori delle altre e gli squilibri, già notevoli nella struttura economica e sociale del Paese, si sarebbero aggravati, mentre sarebbe rimasto compromesso lo sforzo per sollevare le zone depresse del mezzogiorno e della montagna. Di fronte a questa alternativa, l’impostazione del Governo, che non poteva non assumersi la propria responsabilità, [era] stata chiara e semplice. Valendosi della indiscutibile sussistenza di un pubblico interesse di chiara evidenza dell’ammonimento dell’art. 43 della costituzione e della possibilità di facile trapasso dall’organizzazione esistente a quella pubblica, il Governo [proponeva] la costituzione di un ente pubblico che realizzasse la politica del Governo, facendo affluire sul mercato la nuova fonte di energia senza creare squilibri e turbamenti dannosi” (Riassunto del discorso del ministro Vanoni al Senato sul progetto di legge per la costituzione dell’ENI , ASE, coll. AR. II. 1, udc. 4). 233 Appunto interno all’ENI, ASE, coll. AS. III. 6, udc. 8. La legge istitutiva trasferiva dunque al nuovo ente diritti e beni immobili statali per un valore di quindici miliardi di lire (per approfondimenti si veda M. Magini, L'Italia e il petrolio tra storia e cronologia, cit., p. 119). Per una disamina sugli stretti rapporti tra Mattei e Vanoni si vedano L. Bazzoli, R. Renzi, Il miracolo Mattei. Sfida e utopia del petrolio italiano nel ritratto di un incorruttibile corruttore, cit., p. 91 e ss.; F. Briatico, Ascesa e declino del capitale pubblico in Italia, cit., p. 19 e ss. 234 Proprio con gli Stati Uniti si svilupparono una serie di incomprensioni e rivendicazioni circa il ruolo del nuovo ente e i suoi collegamenti con il mondo politico italiano (cfr. L. Maugeri, L'arma del petrolio, cit., pp. 70-91). 235 Per un excursus generale e completo sulle attività e sui progetti dell’ENI si rimanda a D. Pozzi, Dai gatti selvaggi al cane a sei zampe, cit., pp. 269-458.

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Pianura Padana, proseguendo e intensificando le operazioni nella zona. Tuttavia, l’attività di

prospezione dell’AGIP Mineraria non si esaurì nella Valle Padana e in quelle aree già

individuate in precedenza ma abbracciò presto tutta la penisola236.

All’indomani della nascita dell’ENI e dell’esclusiva assegnatali dallo Stato sulla Pianura

Padana, le società private e le compagnie internazionali con interessi economici in Italia

protestarono con veemenza, accompagnando la loro azione ai vari tentativi di modificare la legge

istitutiva al fine di eliminare l’esclusiva ottenuta dal nuovo ente statale sulla Valle Padana237. Di

fronte a queste incessanti pressioni, Mattei e le forze politiche che sostenevano l’istituzione e

l’attività dell’ENI opposero una tenace resistenza finché il Parlamento riuscì a approvare la legge

n. 6 dell’11 gennaio 1957 sulla ricerca e la coltivazione degli idrocarburi nell’Italia peninsulare.

Il testo conteneva una serie di disposizioni tecniche concepite allo scopo di controllare

attentamente gli operatori minerari e di prevenire ogni eventuale concentrazione monopolistica.

La legge imponeva inoltre uno sviluppo rapido delle attività minerarie e garantiva allo Stato un

corrispettivo sugli idrocarburi estratti e un contributo fiscale oneroso su tutte le attività inerenti la

ricerca e la produzione petrolifera238. All’ENI veniva anche garantita una posizione privilegiata

circa la possibilità di ottenere nuove concessioni e di espandere le proprie aree di ricerca senza

che venisse applicata la limitazione legislativa prevista per le società private. All’ente statale

venne infine affidata anche la gestione degli idrocarburi liquidi e gassosi spettanti allo Stato a

titolo di royalty239.

Fino alla fine degli anni Cinquanta l’ENI operò dunque in maniera coerente con la

propria funzione pubblica seguendo fedelmente i compiti impartiti dal governo:

“[…] potenziamento, a livello nazionale, dell’Ente di Stato, al fine di assicurare ad esso la

preminenza, rispetto alle compagnie multinazionali e ai ‹petrolieri indipendenti›,

nell’approvvigionamento del greggio, nel suo trasporto, nella raffinazione e nella

distribuzione”240.

Derivava da ciò la necessità fondamentale dell’autonomia dell’ente rispetto agli operatori

privati. L’ENI aveva anche il delicato compito di ricercare fonti di energia alternative per ridurre

236 Per un’analisi sull’attività di ricerca effettuata dall’AGIP Mineraria dalla nascita al '62 si vedano L. Bruni, M. Colitti, La politica petrolifera italiana, cit., pp. 66-71; M. Magini, L'Italia e il petrolio tra storia e cronologia, cit., pp. 120-121. Si veda anche la relazione del ministro Vanoni in Parlamento del dicembre 1954 in cui vennero elencate tutte le attività già avviate e i risultati raggiunti dall’AGIP Mineraria a partire dai primi mesi di vita [Dichiarazioni del ministro del Bilancio (Onorevole Vanoni), Roma, 3 dicembre 1954, ASE, coll. AR. II. 1, udc. 4]. 237 In questo ambito rientravano i due disegni di legge presentati nel '56 e nel '57 dai ministri dell’Industria Cortese e Gava. 238 Cfr. L. Bruni, M. Colitti, La politica petrolifera italiana, cit., pp. 82-87; F. Squarzina, Le ricerche di petrolio in Italia: cenni storici dal 1860 e cronache dell’ultimo decennio, cit., p. 189. 239 Per ulteriori approfondimenti si veda M. Magini, L'Italia e il petrolio tra storia e cronologia, cit., pp. 126-128. 240 M. Vittorini, Petrolio & Potere, cit., p. 3.

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l’assoluta dipendenza della politica energetica italiana dal petrolio e di sviluppare una politica

europea dell’energia che controbilanciasse le azioni di Stati Uniti e di Unione Sovietica. Il

petrolio che si consumava in Europa veniva infatti per la gran parte fornito da imprese non

europee che imponevano il loro prezzo241. Per questa ragione, nonostante le recenti scoperte e

l’avvio di un’ampia attività di prospezione sull’intera penisola, Mattei volle riprendere fin dal

1953 anche l’esplorazione all’estero242.

Tuttavia, a partire dagli inizi degli anni Sessanta l’azione dell’ENI cominciò a cambiare:

“Il controllo degli approvvigionamenti, della raffinazione e della distribuzione non fu

garantito all’ente di Stato con adeguate e più che giustificate iniziative politiche e legislative, ma

l’ente stesso fu costretto a operare come ‹azienda fra le aziende› e a conquistarsi la sua parte di

mercato – estero e nazionale – usando gli stessi metodi delle aziende private e accettando anche il

ruolo, certamente non coerente con il suo carattere pubblico, di socio, rappresentante di interessi e

paravento di quelle aziende private che avrebbe dovuto, per mansioni d’istituto, condizionare e

imbrigliare”243.

L’ENI entrò dunque ufficialmente in competizione con i petrolieri nazionali e,

soprattutto, con le cosiddette “sette sorelle” a livello internazionale, come dimostrò la crisi

iraniana del '53244. In quella occasione, il presidente dell’ENI cercò di acquistare a prezzi

vantaggiosi un milione di tonnellate di greggio dalla NIOC, la società di Stato creata da

Mossadeq, nonostante l’imposizione del blocco petrolifero verso l’Iran. La controffensiva delle

grandi compagnie petrolifere rese vano il tentativo lasciando uno strascico di sospetti e di accuse

nei confronti dell’Italia per aver cercato, tramite l’azione di un’azienda statale, di sfruttare la

241 Sulla necessità di sviluppare una politica europea del petrolio Mattei discusse a Roma agli inizi del '58 in una conferenza tenutasi presso l’Associazione Italo-Svizzera di Cultura: “[Era] venuto il momento di sottoporre l’industria petrolifera mondiale a una regolamentazione internazionale e non lasciarla più in mano ai cartelli petroliferi”. L’aumento della produzione di petrolio da parte delle nazioni dell’Europa occidentale richiedeva, infatti, “nuove soluzioni” rispetto alle politiche sostenute dai grandi gruppi petroliferi. In questo proposito, “i paesi produttori di petrolio del Medio Oriente [dovevano] essere presi in partecipazione dai titolari di concessioni per lo sviluppo delle loro risorse petrolifere. Questo [era] il principio che [aveva] ispirato i recenti accordi italo-egiziano e italo-iraniano. In ambedue [l’ENI operava] in associazione con una società petrolifera rispettivamente egiziana o iraniana sulla base del 50:50. Su questa base saranno negoziati i futuri accordi petroliferi italiani […] una collaborazione europea sarebbe stata [dunque] necessaria per coordinare le esigenze dei paesi consumatori e di quelli produttori” [W. Lucas (corrispondente speciale di «The Christian Science Monitor»), L’Italia alla ricerca dell’autosufficienza nel campo del petrolio. Si fanno pressioni per rapporti internazionali, «The Christian Science Monitor», Boston, 11 gennaio 1958, in ASE, coll. BG. III. 6, udc. 2]. 242 Campagne di ricerche geologiche vennero intraprese infatti in diversi paesi; già nel '53 di avviarono lavori in questo senso in Somalia ma le ricognizioni si rivelarono infruttuose. 243 M. Vittorini, Petrolio & Potere, cit., p. 3. 244 Sugli eventi che caratterizzarono la crisi iraniana si vedano, tra gli altri, E. Abrahamian, Iran: between two revolutions, Princeton, 1982; M. Elm, Oil, power and principle: Iran’s oil nationalization and its aftermath, Syracuse, 1992; W. R. Louis, J. A. Bill (a cura di), Musaddiq, Iranian nationalism, and oil, Austin, 1988, p. 235 e ss.; L. Maugeri, L'arma del petrolio, cit., pp. 29-38; Id., L’era del petrolio. Mitologia, Storia e futuro della più controversa risorsa del mondo, Milano, 2006, pp. 87-99; G. Meyr, La crisi petrolifera anglo-iraniana del 1951-1954: Mossadegh tra Londra e Washington, Firenze, 1994.

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situazione critica a proprio vantaggio245. Sebbene risoltosi in un nulla di fatto, l’episodio fece

emergere i limiti dello spazio di manovra concessi all’ENI a livello internazionale e rafforzò in

Mattei la convinzione di dover eliminare gli ostacoli principali per un’azione ad ampio raggio

dell’Ente Nazionale Idrocarburi.

A partire da quell’esperienza la politica dell’ingegnere si concentrò sull’estensione delle

attività dell’ENI all’estero nel tentativo di trovare approvvigionamenti in grado di garantire

l’indipendenza e l’autonomia energetica del paese, malgrado il rischio di porsi in netto contrasto

con il cartello internazionale delle big seven246. L’accordo del '55 di partecipazione dell’ENI

all’esplorazione petrolifera nell’Egitto nasseriano, mediante l’acquisto del venti percento della

IEOC, rappresentò il primo tassello di un progetto più ampio volto a destabilizzare l’ordine

creato dalle grandi compagnie petrolifere in Medio Oriente247. Tuttavia, secondo l’opinione di

Maugeri, “il presidente dell’ENI […] era ancora incerto sulla condotta da tenere verso gli Stati

Uniti, che nella regione sembravano destinati a assumere un ruolo sostitutivo delle tradizionali

presenze europee […] Mattei credette fin dal principio che una strategia politica ben congegnata

potesse consentire un’intesa tra l’ENI e la grande industria petrolifera statunitense”248.

La contesa con le “sette sorelle”, e in particolare la relazione con gli Stati Uniti,

caratterizzarono da quel momento in poi l’attività politico-imprenditoriale del presidente

dell’ENI. Nel descrivere le iniziative di quest’ultimo, Ortona osservava come “[Mattei] non

[potesse] prescindere da spinte esclusivistiche nei confronti della ricerca da parte di altri enti di

giacimenti petroliferi sul territorio italiano e di conseguenza da un atteggiamento di insofferenza

e di intolleranza verso le grandi compagnie, quasi esclusivamente americane, impegnate nella

ricerca e nella produzione di petroli”249.

245 Risulta importante sottolineare come Mattei, dopo la pressione esercitata delle grandi compagnie petrolifere, decise di bloccare ogni trattativa diretta con Mossadeq, rimettendosi alle volontà del governo inglese (cfr. M. Elm, Oil, power and principle: Iran’s oil nationalization and its aftermath, cit., p. 148). Per approfondimenti e per una testimonianza diretta degli eventi decisivi per il cambio di strategia del presidente dell’ENI nei confronti delle grandi compagnie internazionali si veda G. Accorinti, Quando Mattei era l’impresa energetica. Io c’ero, cit., pp. 148-151. 246 Sull’evoluzione della posizione di Mattei pesò fortemente la mancata partecipazione dell’ENI al consorzio internazionale creato in Iran nel '54, dopo il ritorno dello Scià, per l’estrazione e la commercializzazione del greggio iraniano; il presidente dell’ente di Stato si era mosso nel tentativo di ottenere una presenza italiana in questo organismo ma non vi riuscì determinando il cosiddetto “sgarbo-iraniano” (per approfondimenti si vedano G. Accorinti, Quando Mattei era l’impresa energetica. Io c’ero, cit., pp. 353 e ss.; C. R. Dechert, Ente Nazionale Idrocarburi: profile of a State corporation, cit., p. 61; P. H. Frankel, Petrolio e potere: Enrico Mattei, cit., p. 95 e ss.; L. Maugeri, L'arma del petrolio, cit., pp. 84-90; I. Pietra, Mattei: la pecora nera, cit., p. 103; A. Tonini, Il sogno proibito: Mattei, il petrolio arabo e le ‘sette sorelle’, cit., p. 47; D. Votaw, The six-legged dog: Mattei and ENI a study in power, cit., p. 18). 247 Per uno studio sugli accordi dell’ENI in Egitto e in Iraq si vedano D. Pozzi, Dai gatti selvaggi al cane a sei zampe, cit., pp. 338-350; A. Tonini, Il sogno proibito: Mattei, il petrolio arabo e le ‘sette sorelle’, cit., pp. 57-128; Id., L’ENI alla ricerca di un partner arabo: Egitto e Iraq, 1955-62, in M. Guderzo, M. L. Napolitano (a cura di), Diplomazia delle Risorse, cit., pp. 205-223. Per un’analisi sul rapporto petrolio-nazionalismo arabo si veda, tra gli altri, L. Maugeri, L’era del petrolio. Mitologia, Storia e futuro della più controversa risorsa del mondo, cit., pp. 115-124. 248 L. Maugeri, L'arma del petrolio, cit., p. 95. 249 E. Ortona, Anni d’America. La diplomazia 1953-1961, cit., p. 97.

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Nonostante queste premesse250, Mattei decise nel gennaio del 1955 di compiere un

viaggio negli Stati Uniti per “saggiare l’atteggiamento americano nei suoi confronti”. Gli

incontri non offrirono però tutte le risposte che il presidente dell’ENI si attendeva. In maggio

egli si recò nuovamente negli USA per definire alcuni dettagli relativi alla costituzione in Italia

di un complesso petrolchimico mediante l’intervento di un’importante azienda americana di

progettazione industriale. In quella occasione Mattei ebbe modo di illustrare la sua impostazione:

da un lato, essa prevedeva la possibilità di partecipazioni straniere in campo petrolifero sul

territorio italiano, dall’altro, escludeva però la creazione di posizioni di privilegio. In particolare

occorreva “evitare che gli americani [esercitassero] pressioni indebite forzando la mano al

parlamento italiano in un senso favorevole alle compagnie americane”251.

Erano così precisati i limiti entro i quali una collaborazione con gli Stati Uniti sarebbe

stata accettabile per il presidente dell’ENI. D’altronde, partendo dall’accordo con l’Egitto,

Mattei aveva sostenuto l’idea di offrire ai paesi produttori condizioni migliori di quelle delle

compagnie statunitensi e britanniche mediante la partecipazione diretta e paritaria allo

sfruttamento del petrolio252. L’elezione di Gronchi alla Presidenza della Repubblica non fece che

aumentare le distanze tra Mattei e gli americani: la politica mediterranea del neo-presidente

coincideva infatti con quella del responsabile dell’ENI nel ritenere che i movimenti di

decolonizzazione del mondo arabo rappresentassero un’occasione unica per recuperare un ruolo

di prestigio nello scenario mediterraneo253.

250 Ortona sottolineava inoltre che la politica di Mattei nel campo della prospezione delle ricerche petrolifere era motivo di “imbarazzo” per l’Italia nei confronti degli Stati Uniti (ibidem, p. 110). 251 Ibidem, p. 130. 252 La scelta di Mattei di offrire accordi più vantaggiosi partiva anche dall’analisi della situazione del mercato petrolifero internazionale per cui al continuo aumento della produzione di greggio imposto dalle grande compagnie internazionali non era seguito alcun beneficio per i governi dei paesi produttori (per uno studio generale si veda P. Bairoch, Economia e storia mondiale, cit.). Per approfondimenti sulla questione dei prezzi fino agli inizi degli anni Sessanta si veda H. J. Frank, Crude oil prices in the Middle East: a study in oligopolistic price behavior, New York, 1966. 253 Sulla politica estera italiana in Medio Oriente si vedano, tra gli altri, G. Baget Bozzo, G. Tassani, Aldo Moro. Il politico della crisi, 1962/73, Firenze, 1983, pp. 394-427; B. Bagnato, La politica “araba” dell’Italia vista da Parigi (1945-1955), in «Storia delle Relazioni Internazionali», V, 1989, 1, pp. 115-155; A. Brogi, L’Italia e l’egemonia americana nel Mediterraneo, Firenze, 1996; E. Calandri, Il Mediterraneo nella politica estera italiana, in A. Giovagnoli, S. Pons (a cura di), L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta, vol. I, Tra guerra fredda e distensione, Soveria Mannelli, 2003, pp. 351-381; G. Calchi Novati, Cooperazione allo sviluppo: una scelta per la politica estera italiana, in IPALMO (a cura di), Cooperazione allo sviluppo: una sfida per la società italiana, Milano, 1982, pp. 30-51; Id., Il canale della discordia. Suez e la politica estera italiana, cit.; Id., Mediterraneo e questione araba nella politica estera dell’Italia, in F. Barbagallo (a cura di), Storia dell’Italia repubblicana, vol. II, La trasformazione dell’Italia. Sviluppo e squilibri, Tomo II, Torino, 1995, pp. 197-263; F. Carri, Petrolio e Medio Oriente: un’offensiva diplomatica ambivalente, in «Politica Estera», n. 14, 1974, pp. 19-22; D. Caviglia, M. Cricco, La diplomazia italiana e gli equilibri mediterranei. La politica mediorientale dell’Italia dalla guerra dei Sei Giorni al conflitto dello Yom Kippur (1967-1973), Soveria Mannelli, 2006; D. Caviglia, La politica dell’Italia e il conflitto arabo-israeliano (1967-1973). L’atteggiamento italiano nella documentazione diplomatica francese, in «Nuova Storia Contemporanea», IX, 2005, 1, pp. 17-50; M. De Leonardis (a cura di), Il Mediterraneo nella politica estera italiana del secondo dopoguerra, Bologna, 2003; P. G. Donini, I paesi arabi, Roma, 1983; M. Pizzigallo (a cura di), L’Italia e il Mediterraneo orientale. 1946-1950, Milano, 2004; Id. (a cura di), Amicizie mediterranee e interesse nazionale. 1946-1954, Milano, 2006; L. Riccardi, Il «problema Israele»: diplomazia italiana e PCI di fronte allo Stato ebraico (1948-1973), Milano, 2006; Id., La politica estera italiana, Israele e il Medio Oriente alla vigilia della crisi di Suez, in «Clio», n. 4, 2003, pp. 629-669; Id., Sempre più con gli arabi. La politica italiana verso il Medio Oriente dopo la guerra del Kippur (1973-1976), in «Nuova Storia Contemporanea», n. 6, 2006, pp. 57-82; E. Rogati, L’Italia e il Medio Oriente, in «Relazioni Internazionali», XXXVII, n. 43, 1973, p. 1096 e ss.; A. Saba, La politica estera italiana in Medio Oriente, in «Ricerche Storiche», XXV, n. 2, 1995, pp. 383-400; C. M.

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La convergenza fra Gronchi e Mattei permise all’ENI di ottenere importanti risultati a

danno delle “sette sorelle”254. Dopo gli accordi con Il Cairo, gli interessi petroliferi italiani si

spostarono verso l’Iran: nel marzo del '57 venne sottoscritto l’accordo fra l’AGIP e la National

Iranian Oil Company che diede vita alla SIRIP255. L’intesa applicava la cosiddetta “formula

Mattei” che coinvolgeva i paesi produttori nella gestione delle risorse petrolifere nazionali256: il

governo iraniano avrebbe incamerato il settantacinque percento dei profitti complessivi della

società creata, mentre all’AGIP sarebbe andato il restante venticinque percento. Le proteste

anglo-americane257 furono veementi ma si placarono di fronte alle possibili reazioni dello scià

Reza Palhavi258. L’operazione si rivelò un notevole successo per l’attività di Mattei e per gli

interessi italiani e venne seguita, l’anno successivo, da una serie di accordi con la Libia259,

l’Etiopia e la Somalia, per la realizzazione ad opera dell’ENI di impianti di distribuzione di

carburante260. Il rapporto con gli Stati Uniti era ormai divenuto conflittuale, come riconosceva lo

stesso presidente dell’Eni:

“Se le grandi società [volevano] combattermi [facessero] pure. Esse non [potevano] dire che

io non le [avessi] avvertite”261.

Santoro (a cura di), L’Italia e il Mediterraneo: questioni di politica estera, Milano, 1988; A. Varsori (a cura di), La politica estera italiana nel secondo dopoguerra (1943-1957), Milano, 1993, Parte VII: La “vocazione mediterranea”. 254 Per un approfondimento sull’attivismo italiano e sulla convergenza politica in Medio Oriente al fine di ottenere vantaggi immediati nel settore petrolifero, specie da parte di Gronchi e del Ministero degli Esteri (prima con Giuseppe Pella e poi con Amintore Fanfani), si vedano A. Brogi, L’Italia e l’egemonia americana nel Mediterraneo, cit., pp. 274 e ss.; L. Maugeri, L'arma del petrolio, cit., pp. 117-134; A. Tonini, Il sogno proibito: Mattei, il petrolio arabo e le ‘sette sorelle’, cit., pp. 42-45. 255 Per uno studio sui dettagli dell’accordo tra l’AGIP e la National Iranian Oil Company cfr. Notes et Études Documentaires, Les Rapports Économiques et Commerciaux entre l’Italie et le Pays du Moyen-Orient, Secrétariat Général du Gouvernement, 7 maggio 1962, MAEF, Archives Diplomatiques, Afrique Levant, Généralités, 852. Si vedano anche P. H. Frankel, Petrolio e potere: Enrico Mattei, cit., p. 172 e ss.; S. Labbate, La diplomazia ENI-AGIP e la ricerca petrolifera in Siria in M. Pizzigallo (a cura di), Cooperazione e Relazioni Internazionali. Studi e ricerche sulla politica estera italiana del secondo dopoguerra, Milano, 2008, pp. 105-108; L. Maugeri, L'arma del petrolio, cit., pp. 142-160; I. Pietra, Mattei: la pecora nera, cit., p. 112-114; N. Perrone, Mattei, il nemico italiano: politica e morte del presidente dell’ENI attraverso i documenti segreti, 1945-1962, cit., pp. 78-80; D. Pozzi, Dai gatti selvaggi al cane a sei zampe, cit., pp. 412-427; D. Yergin, The Prize. The Epic Quest for Oil, Money and Power, cit., pp. 503-505. 256 Per ulteriori approfondimenti si veda P. H. Frankel, Petrolio e potere: Enrico Mattei, cit., p. 137. 257 Per un’analisi sulle considerazioni inglesi cfr. Letter n. 469 (Mr. Stevens to the Foreign Office), 12 aprile 1957, TNA, FO, 371/127203. 258 Per uno studio sul difficile rapporto tra il governo e l’Iraq Petroleum Company si rimanda a G. W. Stocking, Middle East Oil: a study in political and economic controversy, Nashville, 1970, pp. 212-239. 259 Sulle attività delle compagnie petrolifere in Libia cfr. G. Buccianti, Libia: petrolio e indipendenza, Milano, 1999; M. Cricco, Il petrolio dei Senussi. Stati Uniti e Gran Bretagna dall’indipendenza a Gheddafi (1949-1973), Firenze, 2002; Id., Gheddafi e la nuova strategia del petrolio in Libia (1970-73), in Guderzo M., Napolitano M. L. (a cura di), Diplomazia delle Risorse, cit., pp. 231-246; A. Sampson, Le sette sorelle: le grandi compagnie petrolifere e il mondo che hanno creato, cit., pp. 283-289; F. C. Waddams, The Libyan oil industry, London, 1980. 260 Grazie anche a una condivisione di intenti pressoché totale tra Mattei e i dirigenti del gruppo ENI, le iniziative volte a promuovere l’azione della compagnia nazionale petrolifera nel mondo furono molteplici. Nel giro di pochi anni la presenza dell’ENI, soprattutto nel continente africano, si moltiplicò a dismisura specie mediante la realizzazione di impianti di distribuzione di carburanti: “Un risultato così rilevante non si [sarebbe conseguito] se tutti i protagonisti non [avessero condiviso] l’iniziativa e non [avessero lavorato] ventre a terra […] verso il medesimo obiettivo anche in situazioni ambientali molto difficili perché le difficoltà che ci creavano le società petrolifere internazionali erano proprio rilevanti” (TRA dall’ex vicepresidente dell’AGIP Petroli, dott. Giuseppe Accorinti, il quale nel 1962 venne incaricato direttamente da Mattei di coordinare le attività delle società del gruppo AGIP Commerciale in Africa). 261 N. Perrone, Enrico Mattei, cit., p. 82.

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Malgrado da più parti pervenissero sollecitazioni per un’azione di ritorsione, in quella

fase Eisenhower e Dulles non ritennero che l’operato di Mattei fosse tale da costituire una seria

sfida agli interessi degli Stati Uniti. Si riconosceva infatti che la politica italiana aveva il solo

scopo di cercare di ottenere un più ampio margine di autonomia e un certo prestigio

internazionale e, dunque, non era da considerarsi antiamericana262.

La situazione iniziò però a mutare quando Mattei raggiunse un accordo con l’Unione

Sovietica nel 1958: l’ENI ottenne petrolio a prezzo inferiore a quello imposto dalle grandi

compagnie in cambio dell’acquisto da parte russa di materiali chimici, tessili e meccanici

prodotti dalle aziende dello stesso gruppo italiano263. L’entità degli scambi previsti era

nettamente superiore rispetto a quella degli altri accordi: il prezioso collegamento tra petrolio

sovietico e altre merci prodotte dall’ENI rendeva l’intesa ancor più rilevante. Le numerose

proteste non impedirono a Mattei di continuare sulla strada intrapresa; gli scambi commerciali

con l’URSS aumentarono fino alla firma dell’accordo definitivo dell’ottobre 1960: l’Italia

ottenne dodici milioni di tonnellate di petrolio (divisi in quattro anni) e ingenti quantitativi di gas

in cambio di gomma sintetica prodotta dall’ANIC, macchinari e attrezzature petrolifere

fabbricati dal Nuovo Pignone (un’azienda rilevata dall’ENI nel '54) e tubi prodotti dalla Finsider,

una società di proprietà dell’IRI264.

Ovviamente tutti gli accordi negoziati da Mattei erano soggetti al limite di non potersi

spingere fino a correre il rischio di pregiudicare i rapporti con i paesi occidentali265 e, in

particolare, con la Gran Bretagna266 e gli Stati Uniti267. In Medio Oriente268, tuttavia, la nascita

262 Per un’analisi sulle valutazioni statunitensi relative all’azione petrolifera di Mattei in Medio Oriente che emergono dai documenti ufficiali si vedano L. Maugeri, L'arma del petrolio, cit., pp. 154-160; E. Ortona, Anni d’America. La diplomazia 1953-1961, cit., pp. 253-256. 263 Mediante questo accordo si introdusse per la prima volta il cosiddetto metodo “barter” che verrà applicato anche nei successivi contratti di fornitura e consisteva nel prevedere uno scambio di greggio con prodotti del gruppo ENI; cfr. P. H. Frankel, Petrolio e potere: Enrico Mattei, cit., p. 141. 264 Per uno studio sull’accordo raggiunto da Mattei con l’Unione Sovietica e sulle sue conseguenze si vedano M. A. Adelman, The world petroleum market, cit., pp. 407-410; B. Bagnato, Prove di Ostpolitik. Politica ed economia nella strategia italiana verso l’Unione Sovietica: 1958-1963, Firenze, 2003, pp. 397-408; Id., Diplomazia petrolifera e diplomazia italiana: il caso del contratto ENI-SNE dell’ottobre 1960, in M. Guderzo, M. L. Napolitano (a cura di), Diplomazia delle Risorse, cit., pp. 177-203; F. Briatico, Ascesa e declino del capitale pubblico in Italia, cit., p. 43 e ss.; G. Buccianti, Enrico Mattei, cit., pp. 173-200; P. H. Frankel, Petrolio e potere: Enrico Mattei, cit., p. 142 e ss.; J. E. Hartshorn, Oil Companies and Governments: an account of the International Oil Industry in its Political Environment, London, 1967, pp. 252-253; N. H. Jacoby, Multinational oil: a study in industrial dynamics, cit., p. 163 e ss.; A. J. Klinghoffer, The Soviet Union & international oil politics, New York, 1977, pp. 220-221; D. Pozzi, Dai gatti selvaggi al cane a sei zampe, cit., pp. 440-454; A. E. Stent, From Embargo to Ostpolitik: the Political Economy of West German-Soviet Relations, 1955-1980, Cambridge, 1981, p. 99; B. Wall, Growth in a Changing Environment: The History of Standard Oil (New Jersey), 1950-1972, and the Exxon Company, 1972-1975, New York, 1988, pp. 332-333; D. Yergin, The Prize. The Epic Quest for Oil, Money and Power, cit., pp. 519-520. 265 Per un commento di Giovanni Malagodi in proposito si veda P. Cacace, Venti anni di politica estera italiana, (1943-1963), Roma, 1986, pp. 500-501. 266 Sulle riflessioni inglesi e sugli sviluppi degli accordi contratti dall’ENI con l’URSS e altri paesi cfr. Circular No. 029, “The Significance of Ente Nazionale Idrocarburi”, 30 marzo 1961, TNA, FO, 371/160305. 267 Per un approfondimento sulla posizione di Mattei nel delicato rapporto tra il cosiddetto “neo-atlantismo” di Gronchi e Fanfani e il tradizionale orientamento della politica estera italiana con gli Stati Uniti e con le potenze europee si vedano L. Maugeri, L'arma del petrolio, cit., pp. 117-123; N. Perrone, Obiettivo Mattei: petrolio, Stati Uniti e politica dell’ENI, cit., pp. 85-89; Politica estera

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dell’OPEC269, indirettamente incoraggiata dalla politica di Mattei270, sembrò indicare una prima

significativa battuta d’arresto per le big seven271. Fra i progetti del presidente dell’ENI, quello

relativo alla costruzione di una rete di oleodotti che avrebbe dovuto attraversare mezza Europa e

garantire approvvigionamento petrolifero dall’URSS a prezzi concorrenziali, era oggetto di

particolare apprensione da parte delle società petrolifere anglo-americane272. Se realizzato, il

dell’ENI e neutralismo italiano, in «Rivista di Storia Contemporanea», XVI, 1987, n. 4, p. 622; D. Votaw, The six-legged dog: Mattei and ENI a study in power, cit., pp. 25 e ss. Sulle preoccupazioni del ministro degli Esteri Pella per le iniziative di Mattei si veda anche E. Ortona, Anni d’America. La diplomazia 1953-1961, cit., p. 253. 268 Nel marzo 1959 furono gli stessi paesi arabi del Medio Oriente, uniti a quelli dell’Africa del Nord, a esprimere il desiderio di voler intensificare i rapporti economici con l’Italia. Venne così deciso di creare un Centro italo-arabo che, con il sostegno del Ministero degli Affari Esteri, aveva il compito di intensificare le relazioni politiche e economiche tra gli Stati interessati; presidente di questa nuova istituzione fu nominato il ministro per il Commercio con l’Estero, Rinaldo Del Bo, mentre Mattei prese parte al Comitato Direttivo (cfr. Notice d’information : La politique arabe de l’Italie, non datato, MAEF, Archives Diplomatiques, Afrique Levant, Généralités, 852). 269 Fondata alla Conferenza di Baghdad del settembre '60, essa nacque come conseguenza ai tagli decisi unilateralmente dalla compagnie petrolifere internazionali nei mesi precedenti dei cosiddetti “posted price”, i prezzi di riferimento sulla base dei quali venivano calcolate le tasse che le aziende petrolifere dovevano versare a favore degli Stati produttori (per un approfondimento sul sistema del “prezzo assegnato” si veda ad esempio L. Mosley, Power Play: Oil in the Middle East, New York, 1973, pp. 289-291). Inizialmente l’OPEC era composta da cinque paesi: Iran, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita e Venezuela. Nell’arco di undici anni entrarono nell’organizzazione altri sei paesi: Qatar (1961), Indonesia e Libia (1962), Emirati Arabi Uniti (1967), Algeria (1969) e Nigeria (1971). In base alla Carta approvata a Caracas dai paesi fondatori, l’OPEC perseguiva tre obiettivi: incrementare gli introiti dei paesi membri per favorirne lo sviluppo economico e sociale; stabilire un maggiore controllo sull’estrazione del greggio; unificare le politiche produttive attraverso un sistema di quote. Nella sostanza si mirava a ridurre l’autonomia delle grandi multinazionali (sia europee che americane) e a nazionalizzare la proprietà dei campi petroliferi; questi propositi però non si realizzarono nell’immediato a causa di una produzione petrolifera superiore di gran lunga alla domanda. La composizione dell’OPEC implicava inoltre una spiccata sensibilità nei confronti della disputa arabo-israeliana. Ad esempio, durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967 i paesi arabi decisero di ricorrere all’embargo petrolifero per mettere in difficoltà gli Stati amici d’Israele chiudendo il canale di Suez. Le ritorsioni, pur non raggiungendo in questa occasione i risultati sperati, rappresentarono il primo tentativo di utilizzare l’arma petrolifera per condizionare il mondo occidentale [per approfondimenti si vedano, tra gli altri, M. A. Adelman, OPEC as a Cartel, in J. M. Griffin, D. J. Teece (a cura di), OPEC behavior and world oil prices, London, 1982, pp. 37-63; A. Clô, Economia e politica del petrolio, cit., pp. 72-74; J. Crémer, D. Salehi-Isfahani, Models of the oil market, London, 1991; M. El-Sayed, Organisation des pays exportateur du pétrole, Paris, 1967; J. E. Hartshorn, The special characteristics of OPEC and importing Countries National Oil Companies, in R. Mabro (a cura di), World Energy Issue and Policies, Oxford, 1980, pp. 157-165; A. D. Johany, The Myth of the OPEC Cartel, New York, 1980; G. Luciani, L’OPEC nella economia internazionale, cit., pp. 35-40; F. Parra, Oil politics: a modern history of petroleum, cit.; A. Roncaglia, L'economia del petrolio, cit., pp. 103-120; I. Seymour, OPEC: instrument of change, New York, 1980; D. J. Teece, OPEC behavior: an Alternative view, in J. M. Griffin, D. J. Teece (a cura di), OPEC behavior and world oil prices, cit., pp. 64-93; G. W. Stocking, Middle East Oil: a study in political and economic controversy, cit., pp. 357-380; P. Terzian, OPEC: The Inside Story, London, 1985; G. Tomajuoli, Petrolio arabo e prospettive di crisi energetica, in «Relazioni Internazionali», XXXVI, n. 31, 1972, pp. 122-124; D. Yergin, The Prize. The Epic Quest for Oil, Money and Power, cit., pp. 479-498]. 270 Secondo alcuni studiosi, infatti, fu l’applicazione della cosiddetta “formula Mattei” a incoraggiare la creazione di un’organizzazione indipendente dalle grandi compagnie petrolifere anglo-americane. Conferme in questo senso non ve ne furono ma all’indomani della nascita dell’OPEC, Francisco Parra, uno dei leader di quest’ultima e futuro segretario generale nel 1968, incaricò l’ufficio studi dell’ENI di effettuare un’analisi con l’obiettivo di far conoscere alla nuova organizzazione la struttura dell’intero mercato petrolifero internazionale: “Per l’ENI si trattò di un riconoscimento importante della sua differenza dalle altre compagnie” (M. Colitti, ENI. Cronache dall’interno di un’azienda, cit., p. 59). Per un’analisi interessante fatta da uno dei protagonisti sui rapporti intercorsi tra Mattei e l’OPEC all’indomani della sua nascita cfr. ibidem pp. 62-65. Per un approfondimento sulle fasi che portarono alla creazione dell’OPEC si vedano L. Mosley, Power Play: Oil in the Middle East, cit.; B. Shwadran, The Middle East, Oil and the Great Powers, cit.; I. Skeet, OPEC: twenty-five years of prices and politics, Cambridge, 1988; A. Tonini, Il sogno proibito: Mattei, il petrolio arabo e le ‘sette sorelle’, cit., pp. 112-117. 271 Per un approfondimento sugli scarsi effetti che la nascita dell’OPEC avrebbe invece determinato sul mercato petrolifero internazionale durante gli anni sessanta si veda I. Skeet, OPEC: twenty-five years of prices and politics, cit., p. 15 e ss. 272 In Italia, grazie al lavoro svolto dalla SNAM e dalle consociate SNAM Montaggi (costituita nel 1955), SNAM Progetti (nata nel 1956) e SAIPEM (originata nel 1957 dalla fusione della SAIP con la SNAM Montaggi) si era già realizzato, in tempi estremamente rapidi, uno dei sistemi di trasporto del gas naturale tra i più estesi del mondo, che superava i 4.400 chilometri di lunghezza alla fine del '62. Il progetto per la costruzione dell’oleodotto dell’Europa centrale aveva invece come unico obiettivo quello di creare nuovi motivi di inquietudine per le compagnie petrolifere internazionali. Secondo l’idea di Mattei queste ultime avrebbero avuto, in caso di realizzazione del progetto, solo due alternative: sarebbero state costrette a allearsi con il presidente dell’ENI oppure avrebbero dovuto avviare piani di investimento per costruire una rete di oleodotti alternativa pur di evitare che il CEL si sostituisse alle attuali rotte di trasporto di greggio, controllate dalle “sette sorelle”, attraverso il Mare del Nord (per approfondimenti si veda D. Yergin, The Prize. The Epic Quest for Oil, Money and Power, cit., pp. 530-531). Per una testimonianza diretta sulle iniziative dell’ENI all’estero e sul progetto CEL si veda P. Papi, Le reti commerciali all’estero e l’oleodotto del centro Europa, in F. Venanzi, M. Faggiani (a cura di), ENI: un’autobiografia. La storia di una grande impresa raccontata dagli uomini di Enrico Mattei, Milano, 1994, pp. 179-182.

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piano avrebbe messo in pericolo l’intero cartello delle grandi compagnie petrolifere creando una

forte dipendenza da Mosca di molti paesi europei273. A preoccupare maggiormente

l’amministrazione americana era piuttosto la supposta crescente influenza di Mattei sugli

orientamenti della politica estera italiana274. Ciò indusse Washington a aprire una trattativa con

lo stesso presidente dell’ENI al fine di favorire l’individuazione di un terreno comune con le

grandi compagnie petrolifere275. Una sorta d’intesa fra il sottosegretario di Stato, George Ball, e

Mattei venne raggiunta durante l’incontro del 22 maggio 1962 a Villa Taverna: l’ente italiano

avrebbe potuto partecipare ai consorzi petroliferi in Iran e Iraq276. Si sarebbe trattato dunque di

un compromesso decisamente vantaggioso per l’ENI; ciononostante Mattei decise di continuare

a condurre anche le altre trattative rimaste in sospeso, non escludendo a priori la stipulazione di

ulteriori accordi anche in contrasto con l’intesa verbale raggiunta con gli americani. In effetti,

pochi giorni dopo l’incontro con Ball, Mattei proseguì le trattative con Ben Bella per procedere

alla costruzione di un metanodotto che unisse Italia e Algeria277. I rapporti tra il presidente

dell’ENI e gli algerini erano sempre stati delicati in quanto lo stesso Mattei veniva accusato di

favorire e addirittura di armare il Fronte di Liberazione Nazionale278. La convenzione che si

stava per concludere appariva dunque di importanza storica per i notevoli vantaggi che

prometteva all’Italia e per il fatto che ne faceva parte anche la Francia gollista279. Mattei non

riuscì tuttavia a concludere né questo né gli altri progetti in corso a causa della morte avvenuta il

27 ottobre 1962 in seguito alla caduta a Bascapè, vicino Pavia, dell’aereo su cui viaggiava.

273 Il pericolo era reso più acuto dal clima della guerra fredda: per gli Stati Uniti risultava inaccettabile un siffatto riavvicinamento tra l’Europa occidentale e il nemico sovietico. Per approfondimenti si veda G. Buccianti, Enrico Mattei, cit., pp. 259-266. Secondo le indicazioni riportate da Fanfani nel suo diario, l’URSS accettò di costruire il metanodotto ipotizzato da Mattei solo nel '66 (cfr. Diario n. 18 dell’On. Amintore Fanfani, 25 giugno 1966, Archivio Storico del Senato della Repubblica, Fondo Amintore Fanfani). 274 Cfr. L. Maugeri, L'arma del petrolio, cit., pp. 167-204 e 308-311. Per uno studio sulla politica estera italiana durante gli esecutivi guidati da Fanfani si veda, tra gli altri, E. Martelli, L’altro atlantismo. Fanfani e la politica estera italiana 1958-1963, Milano, 2008. 275 Per un’analisi sulle fasi che portarono alle proposte americane di collaborazione rivolte a Mattei si veda G. Buccianti, Enrico Mattei, cit., pp. 275-285. 276 Cfr. ibidem, pp. 285-289; G. Galli, La sfida perduta: biografia politica di Enrico Mattei, cit., p. 211; B. Li Vigni, Il caso Mattei: un giallo italiano, cit., p. 120 e ss.; D. Pozzi, Dai gatti selvaggi al cane a sei zampe, cit., pp. 454-458. 277 Sugli interessi dell’ENI per il petrolio dell’Algeria si veda I. Pietra, Mattei: la pecora nera, cit., p. 110 e ss. 278 Per un’analisi circa i rapporti tra Mattei e l’FLN e in generale tra l’ENI e i paesi nordafricani si vedano, tra gli altri, B. Bagnato, Vincoli europei, echi mediterranei. L’Italia e la crisi francese in Marocco e in Tunisia (1949-1956), Firenze, 1991; Id., Une solidarité ambiguë. L'OTAN, la France et la guerre d’Algérie 1954-1958, «Revue d’histoire diplomatiques», n. 4, 2001; Id., The Decline of the Imperial Role of the European Powers: France, Italy and the Future of Northern Africa, in A. Varsori, Europe 1945-1990s. The End of an Era?, London, 1995; Id., L'opinion publique italienne et la décolonisation du Maroc et de la Tunisie, 1949-1956, in «Relations internationales», n. 77, 1994; G. Buccianti, Enrico Mattei, cit., pp. 57-172; B. Li Vigni, Il caso Mattei: un giallo italiano, cit., p. 46 e ss.; I. Pietra, Mattei: la pecora nera, cit., p. 206 e ss. 279 Un riavvicinamento nel settore petrolifero tra Francia e Italia era stato avviato anche mediante un convegno organizzato a Grenoble dal 5 al 7 aprile '62 sul tema dell’economia dell’energia. Le relazioni italiane in proposito furono presentate da Giorgio Ruffolo, Luigi Bruni e Luigi Faleschini (cfr. Colloquio franco-italiano sulla economia dell’energia, Grenoble, 5-6-7 aprile 1962, Servizio Relazioni Pubbliche dell’ENI, Studi Economici e Stampa, Ufficio Studi Economici, Quaderno n. 5, maggio 1962, ASE, coll. BB. II. 2, udc. 440).

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CAPITOLO III

LA POLITICA ENERGETICA DELL’ITALIA NEGLI ANNI SESSANTA

1. Gli sviluppi dell’energia elettrica e del nucleare

1.1. ENEL: organizzazione, investimenti e risultati

Raggiungere un’intesa sulla legge n. 1643 del 6 dicembre 1962 non fu un compito facile.

Oltre ai problemi di natura politica bisognava risolvere anche il nodo sul ruolo e la funzione da

riservare agli enti locali e alle loro aziende in ottemperanza all’art. 5 della Costituzione280. Non

erano mancati infatti profondi contrasti fra chi propendeva per una nazionalizzazione estesa alle

società municipalizzate del settore elettrico e coloro che vi si opponevano. La stessa struttura

delle aziende elettriche municipali rendeva difficile una soluzione rapida: queste imprese

avevano da sempre costituto il settore più redditizio e sviluppato ma, al tempo stesso,

presentavano una diffusione territoriale non omogenea, con una concentrazione maggiore nel

nord e nel centro della penisola. Anche la loro configurazione risultava essere eterogenea, sia per

quanto concerneva la dimensione, che per l’area che servivano, per la tipologia di società creata

e per le caratteristiche giuridiche (alcune aziende erano dotate di personalità giuridica, come ad

esempio l’Ente siciliano di elettricità, altre erano state istituite mediante leggi regionali, come nel

caso dell’Ente sardo di elettricità). Come se non bastasse, i servizi elettrici relativi

all’illuminazione pubblica e ai compiti di utilità collettiva venivano spesso gestiti direttamente

dagli enti locali in economia o mediante l’affidamento a terzi281. Le divergenze politiche282

consigliarono alla fine la rinuncia alla nazionalizzazione di alcuni comparti: le imprese elettriche

degli enti locali e di altri istituti pubblici tassativamente individuati, già attive al tempo, dietro

apposita concessione da parte dell’ENEL, vietando ulteriori municipalizzazioni del servizio

elettrico283; gli autoproduttori e i piccoli produttori in quanto titolari di un diritto soggettivo, a

patto che si rispettassero alcuni vincoli di consumo interno di energia (con un impiego pari

almeno al settanta percento) e di quantità di produzione (al massimo quindici milioni di

280 “La Repubblica – secondo quanto previsto – […] riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”. 281 Per approfondimenti si vedano P. Bolchini, Le ragioni del decentramento: enti locali, aziende municipalizzate ed ENEL, in G. Zanetti (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 5, cit., p. 177; Id., Le aziende elettriche municipali dal primo dopoguerra alla nazionalizzazione, in V. Castronovo, Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 4, cit., p. 595. 282 Per un’analisi sui dibattiti parlamentari si veda P. Bolchini, Le ragioni del decentramento: enti locali, aziende municipalizzate ed ENEL, cit., pp. 177-179. 283 Il riferimento era diretto agli enti istituiti dalle Regioni a statuto speciale: l’ESE e gli Enti autonomi del Volturno e del Flumendosa (cfr. art. 4, legge n. 1643/1962).

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chilowattora prodotti o distribuiti all’anno, escludendo quelle imprese produttrici che avessero

distribuito energia acquistata da terzi)284.

Per ciascuno di questi casi era comunque necessario fare dei distinguo; alcune eccezioni

si previdero direttamente nella legge 1643 del '62, altre si aggiunsero nel corso dei mesi

successivi al fine di completare il processo di nazionalizzazione del settore e per risolvere le

questioni rimaste in sospeso dopo la promulgazione della normativa. Per quanto concerneva le

imprese elettriche degli enti locali e di altri istituti pubblici era già prevista l’esclusione delle

società gestite da questi ultimi, nonché dei Consorzi tra Comuni e Province per la gestione di

concessioni idroelettriche o promiscue285. Nel caso di piccole imprese di produzione già esistenti

all’epoca della nazionalizzazione, e che secondo la legge del 1962 non potevano distribuire

energia acquistata da terzi, si previde la possibilità di acquisti saltuari, dovuti solo a motivazioni

occasionali286. Per i piccoli autoproduttori si stabilì anche la possibilità di creare imprese singole

nuove che avrebbero potuto avviare impianti di autoproduzione previa autorizzazione del

ministro dell’Industria e dopo il parere positivo dell’ENEL, purché l’energia prodotta servisse ai

soli fabbisogni interni determinati da nuovi impianti produttivi e solo se questa attività fosse

compatibile con i piani di sviluppo dell’Ente Nazionale Energia Elettrica287. Inoltre, a tutte le

imprese esonerate dalla nazionalizzazione era vietato di importare, esportare e scambiare energia

elettrica, riducendo così ai minimi termini il loro ruolo e le capacità di sviluppo

imprenditoriale288.

Da un punto di vista organizzativo e gestionale lo Stato godeva anche di una pluralità di

poteri di intervento sull’ENEL che però, secondo quanto stabilito all’art. 3 della legge 1643/62,

dovevano lasciare all’ente sufficienti spazi di autonomia. Se da una parte, dunque, spettava al

governo indicare le esigenze fondamentali che l’ENEL doveva soddisfare nell’interesse della

popolazione, dall’altra, queste necessità potevano essere trasformate in azioni imprenditoriali

solo e esclusivamente dall’ente statale289. Gli interventi governativi erano decisi dal cosiddetto

284 Per approfondimenti si vedano G. Caia, N. Aicardi, La struttura organizzativa dell’ENEL e il regime giuridico della sua attività, in G. Zanetti (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 5, cit., p. 226; C. Lavagna, Il trasferimento all’ENEL delle imprese elettriche, in «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 1995, pp. 589-649. 285 Il subentro dell’ENEL nella gestione di queste società venne regolato mediante l’emanazione del DPR n. 727 del 22 maggio 1963. 286 Cfr. art. 5 della legge n. 452 del 27 giugno 1964. 287 Cfr. art. 13 del DPR n. 36 del 4 febbraio 1963 (per approfondimenti si veda G. Caia, N. Aicardi, La struttura organizzativa dell’ENEL e il regime giuridico della sua attività, cit., p. 226). 288 Per approfondimenti sul rapporto ENEL-autonomie locali si veda G. Caia, Stato e autonomie locali nella gestione dell’energia, Milano, 1984, pp. 317-320. Un resoconto dettagliato è presente anche in Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1964, Roma, 1965, pp. 10-18, ASENEL. 289 Come specificato nella relazione del Consiglio di amministrazione dell’ENEL del dicembre 1963: “La programmazione [aziendale] dell’Ente […] [era] parte integrante della programmazione economica nazionale. Da questa attinge[va] le direttive sugli obiettivi di sviluppo settoriale e territoriale per formulare il piano di nuovi impianti necessari a garantire la piena copertura degli incrementi dei consumi relativi a tale sviluppo, nonché le direttive per fornire gli elementi necessari alla elaborazione e alla realizzazione dei piani pluriennali per la elettrificazione del Paese, stabilire l’ordine di priorità territoriale per la realizzazione integrale dei programmi di elettrificazione rurale, individuare i mezzi occorrenti per detti programmi, ed infine definire una politica

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Comitato dei ministri per l’ENEL, un apposito organismo interministeriale presieduto dal

presidente del Consiglio dei ministri e composto dai ministri del Bilancio, del Tesoro,

dell’Industria, dei Lavori Pubblici, delle Partecipazioni Statali e dell’Agricoltura290 e, in alcuni

casi, direttamente dal ministro dell’Industria291. Il potere più rilevante che spettava all’esecutivo

consisteva nella nomina dei vertici dell’ente statale: il presidente, il vicepresidente e i

componenti del Consiglio di amministrazione erano nominati mediante Decreto del Presidente

della Repubblica, dietro proposta del ministro dell’Industria e sentito il parere del Consiglio dei

ministri292. Sotto il profilo economico, la legge istitutiva non assegnò all’ENEL un fondo di

dotazione in quanto, secondo il governo, i profitti che l’ente avrebbe prodotto nell’esercizio delle

attività elettriche sarebbero stati sufficienti per l’autofinanziamento. Le obbligazioni di

indennizzo emesse a favore delle imprese elettriche espropriate erano però a carico dell’ENEL e

dovevano essere estinte entro dieci anni. Questi oneri, uniti ai programmi di sviluppo della

capacità produttiva che l’ente di Stato si impegnò a attuare fin da subito, finirono per rendere

decisamente precaria la situazione finanziaria. Inoltre, l’ENEL dipendeva dal governo sia per

quanto concerneva la determinazione delle tariffe elettriche che per l’emissione di prestiti

bancari e, dunque, non disponeva liberamente di quegli strumenti atti a favorire un ritorno

economico strutturale. La questione delle tariffe elettriche rappresentava oltretutto nello

specifico un tema difficile da esaminare, specie nel periodo immediatamente successivo alla

nazionalizzazione: assoggettata, come visto, a autorizzazione da parte del Comitato

interministeriale prezzi, la possibilità di un aumento venne scartata a priori dal governo per le

possibili ripercussioni negative. Una delle motivazioni che portarono alla stessa

nazionalizzazione era stata infatti la presenza di un vero e proprio cartello delle imprese

elettriche private che imponevano prezzi elevati al mercato. Una simile misura avrebbe rischiato

inoltre di accendere l’inflazione e di alimentare una forte opposizione da parte di quei settori

politici e imprenditoriali che avevano fin da subito manifestato il proprio dissenso nei confronti

della statalizzazione del settore elettrico.

Per quanto riguardava l’organizzazione vera e propria la legge istitutiva decretava che:

tariffaria corrispondente alle esigenze di uno sviluppo equilibrato” (Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1963, Roma, 1964, p. 24, ibidem). 290 Cfr. art. 1, comma 2°, legge 1643 del 1962. 291 Nel '67 alcune funzioni del Comitato dei ministri per l’ENEL si trasferirono tuttavia al CIPE, altre ancora al Ministero dell’Industria (cfr. DPR n. 554 del 14 giugno 1967). Il Comitato dei ministri per l’ENEL venne definitivamente soppresso con la legge n. 48 del 27 febbraio 1967 (cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1967, Roma, 1968, p. 20, ASENEL). 292 Per approfondimenti si veda G. Caia, N. Aicardi, La struttura organizzativa dell’ENEL e il regime giuridico della sua attività, cit., pp. 235-237.

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“[L’ENEL doveva essere] funzionalmente articolata e territorialmente decentrata, con

particolare riguardo al settore della distribuzione, al fine di assicurare maggiore efficienza

dell’Ente nazionale nel rispetto della sua unitarietà”293.

Il legislatore sembrava essersi riferito al modello adottato in Gran Bretagna: con la

nazionalizzazione dell’industria elettrica del '47 e la relativa creazione della British Electricity

Authority, nel regno anglosassone si era assistito a una centralizzazione delle attività produttive e

di trasporto unita a un importante decentramento della distribuzione mediante enti

completamente autonomi. In Italia si assistette invece a un forte accentramento di quasi tutte le

attività dell’ENEL, mentre agli organi periferici si concesse solo un’autonomia operativa294. Al

vertice dell’ente di Stato figuravano il presidente e il Consiglio di amministrazione, composto

dal presidente e da otto consiglieri, uno dei quali investito della carica di vicepresidente. Alla

gestione della struttura burocratica provvedeva la direzione Generale che comprendeva nove

direzioni centrali preposte al funzionamento dei vari rami tecnici e amministrativi:

“L’organizzazione territoriale, [sostituendo le] molteplici amministrazioni autonome

preesistenti, [era] articolata in otto Compartimenti e ventinove Distretti o Esercizi distrettuali, a

loro volta suddivisi in Zone, collegati fra loro con la Direzione generale in modo da realizzare un

costante concorso di capacità e di esperienze per il migliore funzionamento dei servizi, in unitaria

azione di direttive”295.

Come sottolineato dal primo direttore generale, Arnaldo Maria Angelini296, fin dal

principio l’ENEL si impegnò a fondo nel campo della ricerca:

“[L’ente di Stato] fin dalla sua costituzione […] [aveva] dedicato particolare attenzione ai

problemi della ricerca scientifica e tecnologica nei settori direttamente connessi con i compiti

istituzionali […]. L’attività di ricerca dell’ENEL si [era] pertanto indirizzata ad elevare il

rendimento e l’affidabilità degli impianti elettrici di produzione, trasmissione e distribuzione, alla

293 Art. 3, comma 6 della legge n. 1643 del 1962. 294 Per approfondimenti si veda Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1964, Roma, 1965, pp. 5-9, ASENEL. 295 Ministero dell’Industria e del Commercio, Direzione Generale delle Fonti di Energia e delle Industrie di base, Primo rapporto della Commissione consultiva per l’energia, Roma, 1965, p. 19. 296 Presidente dell’ENEL venne nominato l’avvocato Vito Antonio Di Cagno che mantenne questa carica fino al 1972, quando gli successe proprio Arnaldo Maria Angelini.

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soluzione dei problemi legati all’interazione tra gli impianti e l’ambiente, ed in generale al

miglioramento della qualità e dell’economicità del servizio”297.

Si creò dunque una Direzione studi e ricerche composta in massima parte da personale

che era appartenuto alle società elettriche private e che aveva già avuto esperienze importanti

nella ricerca sia in Italia che all’estero. I compiti di questo gruppo comprendevano lo studio per

il progresso tecnico-scientifico del sistema elettrico italiano mediante un miglioramento dei

criteri, dei metodi e dei procedimenti utilizzati nei vari impianti; l’offerta di un adeguato

supporto di studi e ricerche sperimentali per la realizzazione dell’unificazione nazionale dei

criteri di progettazione, costruzione e esercizio del sistema elettrico generale; la definizione di

risposte adeguate per la risoluzione di problemi emergenti nelle varie attività operative dell’ente.

Per poter svolgere con efficacia queste mansioni si stabilì anche una collaborazione concreta con

i costruttori e con le università, soprattutto per quanto concerneva la ricerca applicata. Per

completare la suddivisione interna dei campi specialistici di studio e ricerca si decise di istituire

anche un reparto specialistico dedicato esclusivamente alle applicazioni degli elaboratori

elettronici e alla automazione degli impianti. Vi era infine un settore specifico dedicato alla

ricerca termica e nucleare298.

L’ENEL aveva ottenuto anche l’acquisizione del controllo di altre società di ricerca già

operanti. Fra queste figurava il Centro Elettrotecnico Sperimentale Italiano, fondato nel '56 dalle

società elettriche private e dai costruttori elettro-meccanici allo scopo di “concentrare

investimenti in laboratori di prova per qualificare l’industria nazionale” e di raggruppare “le

competenze di sistema necessarie per l’unificazione della rete elettrica italiana”. Dopo la

nazionalizzazione, il CESI operò come “supporto tecnico all’ENEL nel settore della trasmissione

e distribuzione” e in qualità di “fornitore di prova, certificazione, studio e consulenza sul

mercato internazionale”299. Vi erano, inoltre, il Centro Informazioni Studi ed Esperienze, che

divenne uno degli istituti di ricerca più importanti dell’ente di Stato, e l’Istituto Sperimentale

Modelli e Strutture, nato nel 1951 con capitale privato per svolgere attività di ingegneria e di

sperimentazione a supporto della verifica di sicurezza degli sbarramenti idraulici. L’idea di

acquisire queste società partiva dall’assunto di consentire all’ENEL di orientare la ricerca e di

ottimizzare l’uso delle strutture esistenti. Questi centri possedevano oltretutto strumentazioni

297 A. Galbani, L. Paris, A. Silvestri, La ricerca nel settore elettrico, in G. Zanetti (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 5, cit., p. 488. 298 Per uno studio sull’organizzazione effettiva della Direzione studi e ricerca dell’ENEL, sulla sua composizione interna e sui campi di applicazione seguiti si veda ibidem, pp. 489-499. 299 http://www.cesi.it.

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sofisticate che al tempo della nazionalizzazione l’ente statale non poteva permettersi300; d’altra

parte, i costi di gestione sarebbero stati elevati e alcune attrezzature apparivano già obsolete in

virtù del rapido progresso della tecnica. Nonostante questi aspetti negativi, il DPR n. 728 del 22

maggio '63 consentì all’ENEL di assumere nei centri di ricerca esterni la partecipazione

azionaria delle società elettriche trasferite e, mediante la delibera del Consiglio di

amministrazione del 15 ottobre successivo, la direzione dell’ente di Stato avviò le azioni

necessarie per assicurarsene il controllo301. Il ruolo svolto da queste società di ricerca risultò

fondamentale per l’attuazione dei programmi di sviluppo dell’ENEL302. Il Centro Informazione

Studi ed Esperienze, in particolare, fu impiegato per la progettazione del prototipo di una

centrale nucleare di piccole dimensioni e per una serie di lavori di interesse immediato collegati

all’attività stessa degli impianti nucleari.

L’ENEL si trovò subito a dover affrontare il problema strutturale303 dell’espansione e del

completamento del processo di elettrificazione nazionale mediante la costruzione di reti di

trasporto cosiddette dorsali (a 380 kV), che dovevano cioè trasportare l’energia elettrica lungo

tutta la penisola e collegarla con l’estero. La realizzazione del piano di sviluppo, ormai divenuto

improrogabile, necessitava di grossi investimenti di cui l’ENEL non disponeva. A questo scopo

nel 1965 l’ente di Stato decise di emettere sul mercato i suoi primi due prestiti obbligazionari:

uno di settantacinque miliardi di lire, destinato al solo mercato italiano, l’altro pari a cento

miliardi di lire per il mercato domestico, con ulteriori trentasette miliardi per gli Stati membri

della Comunità europea. Nello stesso periodo si creò il Centro Nazionale di Dispacciamento di

Roma al fine di gestire gli impianti di produzione e la rete di trasmissione e interconnessione con

l’estero: si trattava del cervello dell’intero sistema elettrico italiano. Nel '66 si registrò un forte

cambiamento nel settore: per la prima volta in Italia la produzione idroelettrica risultò al di sotto

del cinquanta percento dell’energia prodotta complessivamente304. Il risultato deludente era il

frutto di due componenti: il progressivo esaurimento delle risorse idroelettriche, come era stato

già preventivato durante gli anni precedenti dagli studi di settore effettuati, e il contemporaneo

300 Per approfondimenti sulla necessità per l’ENEL di investire pesantemente in nuove strutture produttive si veda B. Passamonti, Il bilancio dell’azienda elettrica, Milano, 1990, p. 41. 301 Cfr. ENEL, 50 anni di industria elettrica italiana, Roma, 1997, p. 117. Per ulteriori approfondimenti si vedano anche Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1963, Roma, 1964, p. 1 e ss., ASENEL; A. Galbani, L. Paris, A. Silvestri, La ricerca nel settore elettrico, in G. Zanetti (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 5, cit., p. 501. 302 Per approfondimenti sulle collaborazioni avviate mediante la partecipazione del CESI, del Centro Informazioni Studi ed Esperienze e dell’ISMES si veda ENEL, Relazione sul primo anno di attività e programmi dell’ENEL, Roma, 1964, pp. 186-187. 303 In realtà uno dei primi gravi problemi che l’ENEL dovette affrontare fu la gestione della gravissima sciagura del 9 ottobre 1963 quando una massa di circa trecento milioni di metri cubi di roccia si staccò dal Monte Toc e precipitò sul sottostante bacino idroelettrico del Vajont. Un’ondata di oltre trecento milioni di metri cubi di acqua, alta più di duecento metri, scavalcò la diga investendo i paesi e le borgate della valle del Piave, provocando più di duemila morti. 304 Per uno studio sulla situazione degli impianti idroelettrici all’indomani della nazionalizzazione e sullo sviluppo negli anni successivi si veda Ente Nazionale Energia Elettrica, ENEL 1963-1977, Roma, 1978, pp. 27-30.

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aumento costante della richiesta di energia elettrica305 con il conseguente ricorso alla produzione

mediante impianti termoelettrici. Solo durante gli anni compresi fra il 1968 e il 1972 l’ENEL

riuscì a registrare una forte crescita al punto da risultare tra le prime industrie italiane per

fatturato. La costruzione di una rete di trasmissione adeguata alle esigenze del territorio e della

popolazione si ultimò mediante l’inaugurazione della dorsale a 380 kV che collegava Firenze a

Roma. Vennero anche completate le interconnessioni, sempre con la stessa tensione, con le reti

francesi e svizzere. Il processo di elettrificazione nazionale si andava dunque pian piano

completando306.

1.2. Gli investimenti dell’ENEL nel settore nucleare

Dal punto di vista strategico era ben chiaro fin dagli anni Cinquanta che il settore più

promettente dove investire maggiori risorse finanziarie era rappresentato dalle centrali

elettronucleari. Tuttavia, al momento della nascita dell’ENEL si presentava nell’immediato la

scelta del tipo di impianti di generazione elettrica da utilizzare, analizzando quelli che erano già

funzionanti in Italia: vi erano infatti sia centrali termoelettriche che impianti idroelettrici. La

potenza di questi ultimi era tecnicamente condizionata dal regime idrologico e pertanto, salvo

eccezioni dovute all’installazione di grandi serbatoi stagionali, la disponibilità elettrica non

poteva essere costante e disponibile per tutto l’anno, cosa che invece accadeva nel caso delle

centrali termoelettriche. Sotto il profilo economico, l’installazione di un impianto idroelettrico

comportava inoltre un costo per chilowattora superiore a quello di un corrispondente impianto

termoelettrico. Ciò nonostante, quest’ultimo presentava dei costi di esercizio più alti,

necessitando di un continuo approvvigionamento di combustibile307. La situazione italiana, a dire

il vero, offriva scarsi margini di discrezionalità: le risorse idroelettriche andavano esaurendosi e,

pur mancando nel territorio italiano altre fonti primarie, si era obbligati a investire

nell’immediato su centrali termoelettriche con l’impiego di combustibile importato, non

305 Prendendo in considerazione i consumi interni di energia elettrica in Italia nel periodo dal '54 al '64, i consumi di illuminazione pubblica erano aumentati del 9,64%, gli impieghi privati per forniture fino a trenta chilowatt erano saliti del 9,82%, e quelli per potenza superiore di trenta chilowatt (inclusi quelli per la gestione e il funzionamento delle stazioni ferroviarie e dei treni) erano incrementati dell’8,01% (Ministero dell’Industria e del Commercio, Direzione Generale delle Fonti di Energia e delle Industrie di base, Primo rapporto della Commissione consultiva per l’energia, cit., p. 19) 306 Il grado di elettrificazione del paese salì dal valore percentuale del 1965 pari al 97,7% al 98,8% del 1971 ma lo squilibrio tra il nord e il sud, in termini di consumo di energia elettrica per abitante, rimaneva ancora molto elevato. 307 Per uno studio sulle caratteristiche principali dell’approvvigionamento elettrico in Italia si veda A. M. Angelini, La evoluzione dell’approvvigionamento di energia elettrica in Italia, estratto da «L’energia elettrica», fascicolo n. 12, vol. XLIV, 1967, trad. it. del testo della Conferenza tenuta a Londra il 22 marzo 1967 dal presidente dell’ENEL presso la Institution of Electrical Engineer sul tema “The Development of Electricity Supply in Italy”, in Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, ENEL, Società Italiana per il Progresso delle Scienze, Raccolta di Scritti sull’Energia Elettrica del Prof. Arnaldo Maria Angelini, cit., pp. 271-295.

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escludendo la possibilità di creare impianti che usassero anche carbone e gas naturale308. Già nel

'64 però l’energia nucleare aveva cominciato a avere un peso non trascurabile nell’ambito della

produzione globale di energia elettrica e si calcolava che il suo utilizzo sarebbe cresciuto

costantemente nel tempo:

“Un giorno non lontano essa [avrebbe potuto] rappresentare la fonte principale di produzione

dell’energia elettrica, giacché l’alta concentrazione energetica del combustibile nucleare [avrebbe

consentito] di evitare l’obbligatoria ubicazione delle grandi centrali in prossimità di porti, come

[era] oggi necessario per consentire il rifornimento economico degli imponenti quantitativi di

combustibile necessari”309.

I tre impianti nucleari in esercizio in Italia erano passati sotto la gestione diretta

dell’ENEL: la SIMEA era confluita nel '64 assieme alla relativa centrale elettronucleare di

Latina; l’anno successivo passarono all’Ente Nazionale Energia Elettrica anche la centrale della

SENN, costruita alle foci del Garigliano, e la centrale di Trino Vercellese della SELNI310. L’ente

di Stato poteva dunque contare su una potenza nucleare installata pari a 546.000 kW e su una

capacità di produzione complessiva annua di 3,8 miliardi di kWh, aggiornata al 1964311.

L’investimento globale per gli impianti era stimato intorno ai centocinquanta miliardi di lire,

escluse le spese per le forniture di combustibile che si aggiravano, inclusa la scorta già esistente,

sui venticinque miliardi, circa metà dei quali erano pagabili per il tramite dell’EURATOM in

308 Cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1963, Roma, 1964, pp. 30-32, ASENEL. 309 Ministero dell’Industria e del Commercio, Direzione Generale delle Fonti di Energia e delle Industrie di base, Primo rapporto della Commissione consultiva per l’energia, cit., pp. 29-30. 310 Per approfondimenti su questo argomento si veda P. Fornaciari, Il petrolio, l’atomo e il metano: l’Italia nucleare, 1946-1997, cit., pp. 59-77. 311 L’ENEL decise tuttavia di non investire fin da subito nuove risorse nel settore nucleare. Come indicato nella relazione del Consiglio di amministrazione dell’ENEL dell’aprile 1964: “L’Ente non [riteneva], anche per ragioni di ordine finanziario, che [fosse] per il momento il caso di impostare altri programmi di centrali nucleari. Esso, in collaborazione con il Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare, si [sarebbe dedicato] all’attento rilievo di tutte le caratteristiche di funzionamento e di esercizio dei tre impianti di Latina, del Garigliano e di Trino Vercellese, tanto sotto l’aspetto tecnico, quanto sotto quello economico, e [avrebbe utilizzato] gli impianti stessi – nei limiti del possibile – al fine di formare in campo nucleare gli ingegneri e i tecnici che in gran numero [sarebbero occorsi] per la costruzione e l’esercizio degli impianti futuri. Tale esame [sarebbe stato] esteso – e [sarebbe stato] per quanto possibile approfondito – agli impianti costruiti negli altri paesi e soprattutto alle varie «categorie» o «filiere» […] onde disporre della più ampia ed attendibile documentazione e degli elementi di giudizio più sicuri per fondare le scelte che dovranno essere fatte al momento opportuno per l’impostazione di nuove unità nucleari. Intanto, il concorso che l’Ente si proponeva di dare, in collaborazione con il CNEN, per la intensificazione e lo sviluppo della ricerca tecnologica di base, non [avrebbe mancato] di affrettare il momento in cui l’industria nazionale [avrebbe potuto] partecipare attivamente, e in notevole misura, alla costruzione anche delle parti non tradizionali degli impianti nucleari. Regolari contratti [venivano] intrattenuti con la Electricité de France e col Central Electricity Generating Board di Londra per il reciproco scambio di informazioni, sia sulla questione nucleare, che sulle altre di carattere generale. Una stretta collaborazione [veniva] anche mantenuta con l’EURATOM e con gli Enti di vari paesi che si occupa[va]no della utilizzazione della energia nucleare” (Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1963, Roma, 1964, pp. 35-36, ASENEL).

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dieci anni. Le spese annue di esercizio e di manutenzione delle centrali erano infine calcolate

intorno ai quattro miliardi di lire312.

Con l’assorbimento delle tre centrali italiane si decise di creare all’interno dell’ENEL un

apposito Centro di Progettazione Nucleare che si occupasse sia della gestione delle attività

nucleari correnti che della programmazione a lungo termine dell’intero settore. Dopo l’effettiva

entrata in funzione nel '65 della centrale di Trino Vercellese, in pratica si esaurì la prima fase

dello sviluppo industriale dell’energia nucleare in Italia. L’ENEL, oltre a incorporare le strutture

di produzione, ereditò anche il personale qualificato che conosceva le diverse tecnologie studiate

fino a quel momento nelle varie sedi. Se, da un lato, le centrali nucleari in quella fase non

risultavano economicamente competitive, dall’altro, occorreva però considerare che gli

investimenti più onerosi erano già stati effettuati. L’Ente Nazionale Energia Elettrica decise

quindi per convenienza di far funzionare gli impianti al massimo delle loro possibilità,

avvantaggiandosi dei minori costi di gestione che ne derivavano rispetto a una centrale a olio

combustibile313. La scelta dell’ENEL risultò strategicamente condivisa anche a livello

internazionale; sebbene la competitività degli impianti nucleari tardasse a realizzarsi era infatti

opinione comune negli ambienti della ricerca scientifica che si trattasse solo di una questione di

tempo314. Inoltre, durante gli anni Sessanta gli investimenti settoriali puntarono a un aumento

delle potenze unitarie delle singole centrali che apparivano senza limiti tecnologici e,

contemporaneamente, l’industria nucleare americana, per vincere le remore del mercato nei

confronti della nuova energia, decise di offrire impianti nucleari a prezzi molto contenuti.

L’episodio del famoso black-out elettrico di New York, quando il 9 novembre del 1965 l’intera

312 Ministero dell’Industria e del Commercio, Direzione Generale delle Fonti di Energia e delle Industrie di base, Primo rapporto della Commissione consultiva per l’energia, cit., p. 30. 313 Tuttavia, fin dal '64 si presentò la questione del ritrattamento o, in alternativa, dello stoccaggio del combustibile irradiato (quello cioè già usato nel reattore e altamente radioattivo che necessitava di essere sostituito con combustibile nuovo) della centrale di Latina. All’ENEL si prospettarono due ipotesi: vendere il combustibile irradiato all’UKAEA, oppure riprocessarlo in vista dell’estrazione e della conservazione del plutonio in esso contenuto. L’ente di Stato decise per quest’ultima opzione in quanto “lo sviluppo degli studi intrapresi [aveva] indotto a ritenere probabile a non lunga scadenza la possibilità tecnologica di impiegare il plutonio per arricchire l’uranio naturale e di ottenere in tale maniera combustibile nucleare arricchito da utilizzare negli altri due reattori a acqua [Garigliano e Trino Vercellese]: quando questo obiettivo fosse [stato] raggiunto, il problema dell’approvvigionamento del combustibile nucleare sarebbe [stato], in parte tutt’altro che trascurabile, risolto con l’acquisto del solo uranio naturale o con l’uso dell’uranio impoverito” (Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1964, Roma, 1965, p. 65, ASENEL). Proprio per questo erano stati interpellati la stessa UKAEA, il CEA di Parigi e l’Eurochemic di Bruxelles, ma solo la società britannica aveva dimostrato interesse per le condizioni poste dall’ENEL. Il 2 novembre 1964 venne dunque firmato un contratto con l’UKAEA che prevedeva la restituzione all’ente italiano del plutonio recuperato mediante il riprocessamento del combustibile irradiato della centrale di Latina. Proprio in conseguenza di ciò era inoltre allo studio la possibilità di utilizzare il plutonio stesso come combustibile nei reattori termici esistenti; l’avvio di questa ipotesi avvenne grazie alla collaborazione diretta tra l’ENEL e il CNEN (cfr. ibidem, pp. 64-66). Successivamente, l’ENEL stipulò con l’UKAEA un contratto per il ritrattamento del combustibile nucleare irradiato anche della centrale del Garigliano, mentre per l’impianto di Trino Vercellese si firmò un accordo con la società belga Eurochemic (cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1969, Roma, 1970, p. 123, ibidem). 314 Del resto le collaborazioni internazionali nel settore nucleare furono fin dall’inizio molteplici. Oltre ai già citati rapporti con l’EURATOM e l’UKAEA, l’ENEL nel 1964 aveva avviato collaborazioni anche con le aziende elettriche nazionalizzate inglese e francese (CEGB e EDF) e con l’AECL canadese (cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1964, Roma, 1965, p. 68, ibidem).

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città assieme a ben sette Stati della costa occidentale e a una parte del Canada rimasero al buio

per diverse ore, accelerò la corsa alle ordinazioni di nuove centrali elettriche in tutto il mondo e,

in particolare, di impianti nucleari.

Questa necessità di investire ancora sull’energia atomica per scopi pacifici si avvertì

anche in Italia315. La forte crescita dei consumi energetici aveva spinto la penisola a dipendere

sempre più dalle importazioni petrolifere, mentre gli impieghi elettrici non potevano più essere

soddisfatti dalle fonti idroelettriche316. Proprio in virtù di questa situazione, la Commissione

consultiva per l’energia317 presentò nel gennaio del '66 il Primo rapporto nel quale si indicava

che “per il periodo 1968-1975 [in Italia sarebbe stato necessario] procedere alla installazione di

nuove centrali, di potenza complessiva fra 8,5 e 17,5 milioni di kW”318.

Sulla base di queste raccomandazioni e in virtù degli ulteriori progressi realizzati nel

settore nucleare319, il direttore generale dell’ENEL, Arnaldo Maria Angelini, nella relazione

presentata al Convegno dal titolo “Giornate dell’Energia Nucleare 1966”, tenuto a Milano nel

dicembre dello stesso anno, affermò pubblicamente che l’ente avrebbe disposto l’ordinazione di

una nuova centrale nucleare da seicentocinquanta megawatt320. Fu così che nel '69 si avviò la

315 Nel corso del '65 si svolsero infatti numerose riunioni tecniche e diversi scambi di informazioni con società elettriche estere le quali si avviavano a costruire grandi centrali elettronucleari. I contatti che l’ENEL tenne con enti stranieri come l’USAEC, l’UKAEA, il CEA e l’AECL portarono alla conclusione della necessità di programmare la costruzione di un nuovo impianto elettronucleare di ultima generazione che sarebbe dovuto entrare in servizio nel 1971-72 (cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1965, Roma, 1966, pp. 95-101, ibidem). 316 Nel campo della collaborazione internazionale, nel 1965 venne concluso un importante accordo tripartito tra l’EURATOM, l’ENEL e il Commissariat à l’Energie Atomique per uno scambio reciproco di prestazioni di studio e di ricerca con riferimento a alcuni particolari aspetti dei reattori gas-grafite (cfr. ibidem, p. 94). 317 Presieduta dal ministro dell’Industria e Commercio, Lami Starnuti, questa Commissione venne istituita nel marzo del 1964 e prevedeva la collaborazione di numerosi esperti del settore. 318 Ministero dell’Industria e del Commercio, Direzione Generale delle Fonti di Energia e delle Industrie di base, Primo rapporto della Commissione consultiva per l’energia, cit., p. 81. 319 Nel corso del '66 si registrarono infatti ulteriori progressi grazie soprattutto al sorgere di numerose e importanti nuove iniziative sia nel campo delle applicazioni industriali che in quello della ricerca e dello sviluppo nei settori più avanzati. Ciò avvenne principalmente negli Stati Uniti dove “l’elevata potenza unitaria degli impianti e il grande sviluppo conseguito nelle locali industrie costruttrici [facevano] ormai ritenere indubbiamente competitiva l’energia che [sarebbe stata] prodotta dalle centrali elettronucleari in corso di costruzione” (Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1966, Roma, 1967, pp. 95-101, ASENEL). Significative a questo riguardo le conclusioni del rapporto pubblicato nel giugno del '66 dalla TVA contenente le risultanze di una centrale con due unità di circa mille e cento megawatt ciascuna: “Gli impianti nucleari offerti avrebbero permesso, non solo costi di produzione del kWh inferiori a quelli delle centrali alimentate a carbone, ma, fatto più importante, avrebbero consentito, per la prima volta nella sia pur breve storia dell’energia nucleare, un costo d’impianto di poco inferiore al corrispondente costo di una centrale tradizionale di pari potenza” (ibidem, p. 117). Il 1966, inoltre, risultò un anno di rilievo anche per quanto riguardava le iniziative prese nei campi avanzati di sviluppo in materia di energia nucleare. Nella fattispecie due progetti apparivano particolarmente significativi: la decisione presa in Gran Bretagna di costruire un impianto prototipo di duecentocinquanta megawatt equipaggiato con un reattore veloce autofertilizzante, raffreddato con sodio e, più importante per l’Italia, la scelta congiunta di ENEL e CNEN di trarre profitto dai risultati di ricerca e di sviluppo svolti dal 1958 in poi dal CISE e di procedere alla costruzione di un reattore prototipo da trentatre megawatt del tipo CIRENE, presso la centrale di Latina (ibidem, p. 119). 320 Cfr. A. M. Angelini, Prevedibile evoluzione nella integrazione economica degli impianti nucleari, termici tradizionali e idroelettrici, estratto da «Energia nucleare», vol. 14, n. 2, febbraio 1967, Relazione presentata al Convegno “Giornate dell’Energia Nucleare 1966”, tenuto a Milano dal 15 al 17 dicembre 1966 e organizzato dalla FAST con la collaborazione del CNEN e del FIEN, in Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, ENEL, Società Italiana per il Progresso delle Scienze, Raccolta di Scritti sull’Energia Elettrica del Prof. Arnaldo Maria Angelini , cit., p. 264.

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procedura per la creazione della quarta e più grande centrale nucleare italiana321. Realizzata in

località Zerbio, nel comune di Caorso, a partire dal 1970 mediante la cooperazione della società

Ansaldo Meccanico-Nucleare322 e della statunitense General Electric Technical Services

Company323, la centrale entrò in funzione nel '78324.

1.3. Il caso Ippolito

Dopo la nascita dell’ENEL e la successiva gestione delle tre centrali nucleari esistenti,

divenne fondamentale instaurare una proficua collaborazione con il CNEN. Soprattutto perché

solo un’azione programmata comune avrebbe potuto determinare un progresso della politica

nucleare italiana avviata durante gli anni precedenti. Una convergenza di intenti avrebbe infatti

sicuramente significato uno sviluppo dell’intero settore che poteva avvantaggiarsi

dell’accentramento decisionale garantito dalla nascita dell’ENEL. Le difficoltà in questo senso si

erano già preannunciate durante l’acceso dibattito sulla nazionalizzazione del settore elettrico: la

scelta di nominare Arnaldo Maria Angelini alla direzione generale del nuovo ente era stata

prettamente politica e quest’ultimo aveva già espresso pubblicamente i propri dubbi circa la

momentanea competitività dell’energia nucleare325. La presa di posizione era il frutto di mere

valutazioni economiche che in quegli anni indicavano la convenienza a investire in centrali

termoelettriche piuttosto che in impianti nucleari. Era principalmente il prezzo a buon mercato

del petrolio e del gas naturale a suggerire a Angelini la prosecuzione di questo indirizzo che in

ogni caso non presupponeva l’abbandono della via nucleare fino a quel momento perseguita, ma

piuttosto mirava nell’immediato alla sola prosecuzione dei progetti già avviati. In virtù di questa

impostazione aziendale lo scontro fra Angelini e Felice Ippolito, segretario generale del CNEN e

anche membro del Consiglio di amministrazione dell’ENEL, divenne inevitabile326.

Già durante le discussioni per la definizione del secondo Piano quinquennale del CNEN,

relativo al periodo '63-'68, affiorarono le prime divergenze. Le finalità che la Commissione 321 Cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1969, Roma, 1970, p. 106, ASENEL. 322 Per uno studio sulla storia della società Ansaldo, sulle collaborazioni nazionali e internazionali avviate nel settore nucleare e sui difficili e vitali rapporti con l’ENEL di cui era uno dei fornitori più importanti si vedano B. Curli, Il nucleare, in ibidem, pp. 109-142; R. Giannetti, Il meccanico e l’elettromeccanico, in V. Castronovo (a cura di), Storia dell’Ansaldo, vol. 8, Una grande industria elettromeccanica, 1963-1980, Roma-Bari, 2002, pp. 79-107; A. Quagli, La struttura e la strategia dell’impresa, in ibidem, pp. 19-78. 323 Per approfondimenti di carattere tecnico circa la costruzione della quarta centrale nucleare italiana si veda Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1969, Roma, 1970, pp. 114-119, ASENEL. 324 Nel '71 l’ENEL riuscì anche a ottenere un importante finanziamento parziale dell’impianto ad opera della banca americana Eximbank, per un ammontare di poco inferiore agli ottanta milioni di dollari (cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1971, Roma, 1972, p. 122, ibidem). 325 Cfr. B. Curli, Il progetto nucleare italiano (1952-1964), cit., pp. 69-71. 326 Per approfondimenti si vedano ibidem, p. 70; F. Ippolito, F. Simen, La questione energetica: dieci anni perduti (1963-1973), cit., pp. 181-185.

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direttiva del CNEN si poneva mediante il secondo Piano erano duplici: utilizzare i primi profitti

derivanti dai programmi nucleari attuati fino a quel momento e avviare una progressiva

emancipazione dell’industria atomica italiana. Particolarmente interessanti apparivano una serie

di progetti che collegavano quest’ultima ai programmi di ricerca dell’EURATOM con lo scopo

di ricavare i massimi benefici dalla collaborazione internazionale a vantaggio delle attività del

CNEN e delle singole imprese327. Altrettanto promettente sembrava inoltre il proposito del

Comitato di iniziare la fabbricazione di elementi di combustibili nucleari. Si ipotizzò pertanto la

costituzione di una società comune tra la FIAT e la Montecatini, che già partecipavano mediante

la SORIN per il cinquanta percento all’impresa Italatom, e l’AGIP Nucleare; il CNEN avrebbe

acquisito il venti percento dell’Italatom, rilevando una parte delle partecipazioni straniere328.

Secondo Ippolito, segretario del Comitato, l’ENEL avrebbe dovuto occuparsi della costruzione

delle nuove centrali nucleari giudicate necessarie, mentre spettava al CNEN sviluppare l’intero

settore sia mediante un’impostazione programmatica generale, sia attraverso un piano per

l’evoluzione della ricerca atomica italiana. Per Angelini, invece, la costruzione di nuove centrali

doveva “essere condizionata dal raggiungimento della competitività economica con le fonti di

energia convenzionali e dall’esperienza di esercizio compiuta grazie alle centrali attualmente in

costruzione”329.

Da queste dichiarazioni già traspariva quella che sarebbe stata la linea programmatica

dell’ENEL nel settore nucleare all’indomani della sua istituzione. L’impostazione strategica di

Ippolito era quella adottata dalla maggior parte dei paesi occidentali che svilupparono politiche

nucleari basate sulla continua evoluzione dell’intero settore in funzione del raggiungimento di

tecniche che in futuro sarebbero risultate più convenienti di quanto non lo fossero le centrali

termiche. Una linea programmatica che appariva in sintonia con le indicazioni fornite

dall’ambasciatore italiano a Londra, Pietro Quaroni, al ministro dell’Industria, Commercio e

Artigianato, Emilio Colombo. Il diplomatico suggeriva “di inviare una missione tecnico-politica

a Londra per [avviare] conversazioni colle autorità inglesi interessate nello sviluppo della

energia atomica. Tale missione [poteva] essere capeggiata dallo stesso Ippolito come esponente

del CNEN e dell’ENEL e [doveva essere] composta da due gruppi di tecnici incaricati di

prendere contatti rispettivamente colla Atomic Energy Authority e coll’Ente Elettricità

327 Tra questi progetti figuravano: la cooperazione tra il CNEN, la FIAT e l’Ansaldo sulla propulsione navale; un contratto di ricerca tra il CNEN, l’EURATOM e la SNAM per lo sviluppo delle leghe ternarie a uranio; la collaborazione tra CNEN e EURATOM per le ricerche nel campo della fusione presso il Laboratorio gas ionizzati del Comitato stesso; il finanziamento del reattore del CISE ad opera dell’EURATOM [per approfondimenti si vedano Relazione del Segretario Generale sui programmi in corso e deliberazioni relative, Verbale della ottava riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 2 maggio 1963, pp. 3-11, ASENEA; B. Curli, Il progetto nucleare italiano (1952-1964), cit., pp. 72-73]. 328 L’altro cinquanta percento dell’Italatom era posseduto infatti da aziende tedesche e americane che avevano già espresso il desiderio di ritirarsi (ibidem, p. 73). 329 Verbale della settima riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 5 novembre 1962, p. 11, ASENEA.

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britannico (CEGB)”330. Colombo sembrò concordare sull’opportunità del contatto anche perché

“interventi di questo genere in Italia [potevano] alleggerire notevolmente il peso finanziario della

programmazione nel campo dell’energia. Il governo inglese – oltretutto – [avrebbe potuto]

facilitare, per ragioni politiche, l’avviamento di fondi internazionali verso le aree di sviluppo

italiane”331. Il premier conservatore Macmillan, convinto sostenitore di una politica di apertura

fra Oriente e Occidente e impegnato in prima persona nel lungo processo del disimpegno

coloniale britannico, nel '61 chiese infatti ufficialmente l’ingresso dell'Inghilterra nella CEE. Il

rinnovato europeismo di Macmillan risultò gradito alla maggioranza dei partner europei con la

sola eccezione della Francia del generale de Gaulle, dovuta principalmente alla politica

filoamericana adottata dal primo ministro britannico nel tentativo di mantenere intatta la “special

relationship” con gli Stati Uniti e decisamente in contrasto con quella nazionalistica francese.

Ciononostante, anche grazie agli eventi della crisi di Cuba che per l’Europa occidentale

rappresentarono l’inizio di una serie di chiarimenti di fondo a causa della gestione rigorosamente

bipolare della circostanza che avrebbe potuto far precipitare il mondo intero in una guerra

nucleare, le relazioni politiche fra Roma e Londra erano decisamente buone e Macmillan voleva

sfruttare questa situazione per vincere l’opposizione francese alla richiesta britannica di adesione

alla CEE. Rimanendo nell’ambito dell’energia nucleare, la Gran Bretagna aveva investito ingenti

capitali nello sviluppo delle applicazioni pacifiche degli studi sull’atomo e l’Italia era stata la

prima e l’unica cliente estera con l’accordo per la costruzione della centrale nucleare di Latina.

Vi era inoltre una notevole convenienza da parte dei grandi gruppi industriali internazionali, e

soprattutto di quelli britannici, a investire nell’industria nucleare nelle varie parti del mondo

grazie alle prospettive di arricchimento offerte dalla tecnica moderna. Il governo italiano era da

tempo impegnato a risolvere il problema dello sviluppo delle aree depresse del Mezzogiorno e la

prospettiva di ottenere prestiti internazionali da investire in queste zone, mediante la

realizzazione di impianti termonucleari di ultima generazione, si sposava bene con i propositi di

Londra di avviare nuovi investimenti all’estero.

Tuttavia, nel gennaio '63, in seguito al tentativo inglese di ridiscutere il proprio contributo

alla PAC e a causa della sottoscrizione dell’accordo di Nassau fra il presidente statunitense

Kennedy e il premier inglese Macmillan sulla fornitura dei missili Polaris alla Gran Bretagna, il

generale de Gaulle pose ufficialmente il veto all’ingresso britannico nella Comunità; di

conseguenza i negoziati con tutti i paesi candidati (Danimarca, Regno Unito, Irlanda e Norvegia)

330 Appunti di Aldo Cassuto per il dott. Di Falco (Capo di Gabinetto del ministro La Malfa), Roma, 29 gennaio 1963, ACS, Carte Ugo La Malfa, Serie 3, Cariche di Governo, Sottoserie 4, Ministro del Bilancio (IV° Governo Fanfani), Busta 27. Aldo Cassutto era un giornalista italiano residente a Londra e “public-relationship man” delle industrie nucleari inglesi. 331 Ibidem.

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si sospesero332. Questa circostanza, grazie anche alla recente inaugurazione della centrale

elettronucleare di Latina, non intaccava il momento propizio “per stringere vieppiù i legami di

collaborazione esistenti tra le autorità atomiche britanniche ed italiane”333. Fra Roma e Londra

era infatti in atto fin dal dicembre '57 un accordo di collaborazione nel settore degli usi pacifici

dell’energia nucleare grazie al quale si era sviluppata una discreta cooperazione scientifica, si era

avuto un fitto scambio di informazioni tra l’UKAEA e il CNEN, e si era altresì stabilita l’intesa

per la costruzione della centrale di Latina fra gruppi industriali inglesi e l’AGIP Nucleare. Si

poteva ora ipotizzare una collaborazione più intima fra CNEN e UKAEA, così come tra le

industrie costruttrici di reattori britanniche e l’ENEL. In questo modo: “Il programma elettrico

italiano [poteva] essere favorito da accordi particolari colle nazioni atomicamente più progredite.

Cominciare dall’Inghilterra [voleva] dire approfittare di un clima politico straordinariamente

favorevole, ed i mercati interessati negli investimenti auro-uraniferi (Londra e Sud-Africa) in

presenza della immensa valorizzazione del combustibile nucleare per la generazione di elettricità

[potevano] aiutarci”334.

La linea programmatica dell’ENEL inaugurata da Angelini si dimostrò però intangibile e

la collaborazione con il Regno Unito non proseguì sulla strada desiderata da Ippolito. Inoltre, le

risorse economiche di cui il CNEN poteva disporre erano irrisorie già solo per la prosecuzione

dei programmi di ricerca in corso e, quindi, qualsiasi progettazione che prevedesse nuovi piani di

sviluppo doveva fare i conti con la misera situazione economica del Comitato. Il clima politico

non oltretutto era fra i più favorevoli e risultò impossibile ottenere nuovi finanziamenti:

l’insuccesso della DC e del PSI alle elezioni politiche dell’aprile 1963 aprì la strada a una fase

confusa e transitoria che si concluse con la formazione del primo governo Moro, in dicembre, al

quale i socialisti parteciparono direttamente per la prima volta nella storia repubblicana335. Prese

dunque il via quella fase politica, definita “minimalista”, che avrebbe gradatamente svuotato il

centrosinistra della sua iniziale spinta riformatrice, in virtù anche del deteriorarsi della situazione

332 Per un approfondimento generale sulle vicende riguardanti la Comunità europea si veda, tra gli altri, A. Varsori (a cura di), Inside the European Community. Actors and Policies in European Integration (1957-1972), Bruxelles, 2006. 333 Appunto per S. E. il Ministro La Malfa, Roma, 29 gennaio 1963, ACS, Carte Ugo La Malfa, Serie 3, Cariche di Governo, Sottoserie 4, Ministro del Bilancio (IV° Governo Fanfani), Busta 27. 334 Lettera di Aldo Cassuto a Felice di Falco, Roma, 18 gennaio 1963, ibidem. 335 Per uno studio generale sulla situazione politica italiana durante gli anni che portarono alla formazione del primo governo Moro si vedano, tra gli altri, S. Colarizi, Storia dei partiti nell’Italia repubblicana, Roma-Bari, 1994, pp. 308-362; P. Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1991, in G. Galasso, Storia d’Italia, vol. XXIV, Torino, 1995, pp. 160-181; P. Ginsborg, Storia dell’Italia dal dopoguerra ad oggi, vol. II, Dal miracolo economico agli anni '80, Torino, 1989, pp. 362-373; S. Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana: dalla fine della guerra agli anni Novanta, Padova, 1993, pp. 223-306; F. Malgeri, L’Italia dal centro-sinistra agli «anni di piombo», in G. Aliberti, F. Malgeri, Due secoli al Duemila. Transizione Mutamento Sviluppo nell’Europa Contemporanea (1815-1998), Milano, 1999, pp. 682-693; L. Musella, Formazione ed espansione dei partiti, in F. Barbagallo (a cura di), Storia dell’Italia repubblicana, vol. II, La trasformazione dell’Italia. Sviluppo e squilibri, cit., pp. 181-187; G. Tamburrano, Storia e cronaca del centro-sinistra, cit., pp. 264 e ss.; N. Tranfaglia, La modernità squilibrata. Dalla crisi del centrismo al «compromesso storico», in F. Barbagallo (a cura di), Storia dell’Italia repubblicana, vol. II, La trasformazione dell’Italia. Sviluppo e squilibri, cit., pp. 50-75.

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economica nazionale. In questo scenario, le speranze dei vertici del CNEN di ottenere ulteriori

aiuti economici si andarono gradualmente affievolendo. Al contrario, prese sempre più corpo la

critica sui metodi di gestione attuati fino a quel momento dal Comitato stesso: il segretario del

CNEN venne infatti accusato di avere sperperato le risorse pubbliche in progetti poco produttivi.

Critiche ufficiali furono fatte dal senatore democristiano Giovanni Spagnolli, presidente della

Commissione Finanze e Tesoro e della Sottocommissione Pareri per gli adempimenti in materia

di copertura degli oneri finanziari, durante una discussione di bilancio del luglio '63 sui fondi da

destinare alla ricerca scientifica336. Nel corso del dibattito sulla nazionalizzazione, assieme al

senatore Edgardo Lami Starnuti, presidente dell’Azienda elettrica municipale di Milano e della

FNAN, Spagnolli aveva polemizzato vivacemente sulla questione delle concessioni da garantire

alle aziende municipalizzate. Anche Spagnolli aveva infatti notevoli interessi in merito: era

presidente dell’Azienda elettrica municipale di Rovereto e, addirittura, della Confederazione

della municipalizzazione. Era dunque inevitabile che all’indomani della nascita dell’ENEL

entrambi continuassero in sede parlamentare a rappresentare i diritti delle autonomie locali: dalla

discussione in atto sui margini di discrezionalità che il nuovo ente elettrico avrebbe dovuto

attribuire in merito alle concessioni, dipendevano notevoli ritorni economici perché i nuovi

assetti avrebbero rappresentato una redistribuzione dei poteri in favore delle amministrazioni

locali. In questo quadro, la presenza di Felice Ippolito nel Consiglio di amministrazione

dell’ENEL risultava un forte ostacolo in quanto egli si era da sempre espresso in favore di uno

statalismo che poco avrebbe concesso agli interessi delle autonomie locali.

La figura del segretario del CNEN era dunque già al centro delle critiche e un editoriale

di Eugenio Scalfari su «L’Espresso» del 4 agosto non fece che acuire i dubbi sulla gestione

economica e politica del Comitato337. Sulla stessa linea si collocarono una serie di articoli ad

opera di Giuseppe Saragat pubblicati dall’agenzia di stampa del PSDI, «Agenzia democratica»: il

leader socialdemocratico sottolineò addirittura l’inopportunità che Ippolito fosse anche membro

del Consiglio di amministrazione dell’ENEL e paventò il rischio che i suoi metodi poco chiari

potessero rovinare la gestione del nuovo ente338. Saragat auspicava inoltre che la politica

nucleare venisse completamente assegnata all’ENEL e al suo direttore generale, Angelini, senza

la partecipazione del CNEN. L’attacco frontale a Ippolito andava analizzato in funzione del

particolare momento politico. I partiti che avevano appoggiato il segretario del Comitato 336 Cfr. B. Curli, Il progetto nucleare italiano (1952-1964), cit., p. 80. 337 Cfr. E. Scalfari, Chi si è accorto della nazionalizzazione? A sette mesi dalla nascita dell’ENEL, «L’Espresso», 4 agosto 1963. Al cosiddetto “caso Ippolito” sono stati dedicati innumerevoli scritti: si vedano, ad esempio, AA. VV., L’energia nucleare e il caso Ippolito, Roma, 1965; AA. VV., Il caso Ippolito. Quinta tavola rotonda organizzata dal Movimento Gaetano Salvemini, sabato 14 novembre 1964, Roma, 1964; O. Barrese, Un complotto nucleare. Il caso Ippolito, Roma, 1981; G. Battimelli (a cura di), L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, cit., p. 158-166. 338 Cfr. B. Curli, Il progetto nucleare italiano (1952-1964), cit., p. 82. Per uno studio sulle note pubblicate da «Agenzia democratica» si veda G. Saragat, Metter ordine nella politica nucleare, Roma, 1963.

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avevano infatti perso la centralità politica precedente e personalità come La Malfa e Lombardi

non avrebbero direttamente assunto responsabilità nel nuovo governo Moro in fase di

formazione. Inoltre, il PSDI mirava a aumentare in qualche modo la propria visibilità nel

tentativo di conquistarsi un maggiore spazio politico.

Successivamente, sul settimanale cattolico «Vita» venne pubblicata un’inchiesta privata

condotta da quattro senatori democristiani, facenti capo a Spagnolli339, che confermarono le

accuse precedentemente mosse a Ippolito sulla gestione economica del CNEN340. In virtù di

queste nuove insinuazioni il ministro dell’Industria, Giuseppe Togni, decise di sospendere

Ippolito dalla carica di segretario generale del CNEN e di nominare una Commissione

d’indagine amministrativa con il compito di fare chiarezza sui fatti341. Il 14 ottobre Ippolito fu

sospeso anche dal Consiglio di amministrazione dell’ENEL con un decreto del presidente della

Repubblica. Che il caso Ippolito fosse una questione politica lo si poteva desumere dal fatto che

venne sostituito nel CNEN dal ragioniere del Comitato, Ernesto Citterio, che in materia

economica poteva essere altrettanto coinvolto nell’intera controversia. D’altronde, le accuse di

cattiva gestione finanziaria erano in contraddizione con il fatto che il CNEN, con un bilancio di

circa venti milioni di lire all’anno, doveva sovvenzionare i propri progetti di ricerca e,

contemporaneamente, quelli dell’INFN, di quattordici istituti universitari, nonché i programmi di

cooperazione internazionale ai quali l’Italia partecipava con il CERN342, con l’EURATOM e con

l’Agenzia internazionale per l’energia atomica343.

L’ impasse creatasi all’interno del CNEN determinò un forte immobilismo. Il mancato

finanziamento governativo rischiò di causare la chiusura definitiva del Comitato344. Solo agli

inizi di gennaio del 1964 il nuovo ministro dell’Industria, Giuseppe Medici, concesse un

finanziamento straordinario pari a sette miliardi di lire “dato l’assetto organizzativo già raggiunto

dall’Ente e l’esigenza di assicurargli un minimo di attività”345. Inoltre, agli inizi di marzo si

affidò la segreteria generale del CNEN all’ispettore generale del Ministero del Tesoro, Giovanni

Calderale, con il mandato di ridurre al massimo le spese dell’intero Comitato con la conseguenza

339 Cfr. «Vita», 5 settembre 1963. 340 Per approfondimenti si vedano O. Barrese, Un complotto nucleare. Il caso Ippolito, cit., pp. 105-108; B. Curli, Il progetto nucleare italiano (1952-1964), cit., p. 82. 341 Per conoscere il testo del provvedimento del ministro dell’Industra Togni si veda Relazione della Commissione di indagine sulla gestione amministrativa del Segretario Generale del Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare, DM del 31 agosto 1963, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, 4 settembre 1963, n. 2341. 342 Per uno studio sui programmi tecnici sviluppati dal CERN si veda, tra gli altri, J. Krige, History of CERN, vol. III, Amsterdam, 1996, pp. 3-38. 343 Erano queste le argomentazioni presentate in Senato dal socialista Carlo Arnaudi durante il dibattito politico che seguì; per approfondimenti su queste discussioni si veda B. Curli, Il progetto nucleare italiano (1952-1964), cit., pp. 84-87. 344 A riprova del momento critico, nell’ottobre del '63 la Commissione direttiva del CNEN mise in serio dubbio anche la partecipazione stessa dell’Italia alla Terza Conferenza di Ginevra che si tenne nel settembre dell’anno successivo (cfr. Verbale della undicesima riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 26 ottobre 1963, p. 13, ASENEA). 345 G. Medici, Rapporto sull’energia nucleare in Italia, cit., p. 56.

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di un rallentamento globale dei progetti in cantiere e della programmazione346. Dal punto di vista

della pianificazione tecnica, nel settembre del '63 si costituì una Commissione consultiva

temporanea CNEN-ENEL con il compito di revisionare i programmi dei reattori in previsione

del futuro sviluppo dell’energia nucleare in Italia347. La relazione conclusiva della Commissione

mista ENEL-CNEN ricalcava in gran parte le idee già espresse dal direttore generale dell’Ente

Nazionale Energia Elettrica348; in pratica ciò significava un drastico ridimensionamento delle

prospettive della ricerca nucleare italiana e dello sviluppo dello stesso CNEN che avrebbe

dovuto agire in mancanza di effettivi collegamenti con applicazioni industriali nazionali349.

Analogamente con quanto avvenuto con Felice Ippolito, Angelini entrò in forte polemica con

Amaldi, membro anch’egli della Commissione direttiva del CNEN e sostenitore da sempre di

una politica nucleare nazionale indipendente. Durante la seduta del 17 aprile 1964, dopo le

osservazioni di Amaldi circa il fatto che all’estero le scelte in materia di ricerca nucleare erano

prese dalle agenzie atomiche, Angelini reagì seccamente precisando che:

346 Per uno studio sugli interventi attuati da Calderale e sul periodo di forte crisi del CNEN si veda E. De Leone, C. Dau Novelli, Dal CNEN all’ENEA. 1960-1982, in G. Paoloni (a cura di), Energia, ambiente, innovazione: dal CNRN all’ENEA, cit., pp. 96-102. 347 La Commissione era composta da Arnaldo Maria Angelini, Franco Castelli, direttore centrale delle costruzioni tecniche e nucleari dell’ENEL, Teo Leardini, direttore centrale del servizio studi e ricerche dell’ENEL, Guido Baglio del Ministero dell’Industria, Mario Silvestri del CISE, Carlo Salvetti e Vincenzo Caglioti, membri della Commissione direttiva del CNEN, Ezio Clementel, direttore del centro di calcolo del CNEN, e Giovanni Naschi, direttore della segreteria tecnica del CNEN. 348 Cfr. E. De Leone, C. Dau Novelli, Dal CNEN all’ENEA. 1960-1982, in G. Paoloni (a cura di), Energia, ambiente, innovazione: dal CNRN all’ENEA, cit., pp. 96-102. 349 Forti perplessità sulla nuova situazione delineatasi furono espresse anche all’interno delle aziende italiane che si erano fino a quel momento occupate di portare avanti i vari progetti della politica nucleare italiana. Tra queste vi era l’ENI; un promemoria interno redatto agli inizi di febbraio del '63 per conto del vicepresidente Cefis, sottolineava come l’interesse per il programma nucleare italiano non fosse solo un’esclusiva dell’ENEL: “Tale programma interessa[va] infatti non solo l’Ente che utilizza[va] l’energia nucleare ma anche quelli che [utilizzavano] tale energia per altri scopi (per es. produzione vapore, propulsione, ecc.), quelli interessati alla fabbricazione dei reattori, e quelli interessati alla fabbricazione, maneggio e riprocesso del combustibile. Sarebbe [stato] opportuno quindi che rappresentanti di questi enti partecipassero alla discussione e formulazione dei programmi. L’ENI – d’altronde – [aveva] compiuto notevoli sforzi per formare tecnici ed organizzazione capaci di affrontare in Italia i problemi realizzativi nei diversi campi dell’industria nucleare […] [e riteneva sarebbe stato] un danno per la Nazione se questa organizzazione andasse dispersa”. Il promemoria continuava analizzando la situazione della progettazione e della costruzione dei reattori criticando fortemente le scelte che Angelini si avvia a fare: “L’ENEL sembra[va] non [aver] intenzione di mettere in costruzione centrali nucleari se non fra qualche anno e [aveva] mostrato l’intenzione di attrezzarsi per la loro progettazione. [Era] comunque probabile che il reattore, inteso come generatore di vapore, [rimanesse] affidato ad altri enti che ne [avrebbero assunto] la fornitura o garanzia globale. [Si riteneva] che l’Italia, dopo il non indifferente sforzo sostenuto, non [doveva] limitarsi all’acquisto di reattori di progettazione straniera […] ma [poteva] contribuire allo sviluppo su linee proprie dei tipi di reattore che si [erano] affermati. […] L’ENI [aveva] affrontato i problemi di progettazione, sviluppo, costruzione ed esercizio per reattori di ricerca e di potenza ed [era] pronta ad affrontare quello dello sviluppo dei reattori da adottare per le prossime centrali”. Per quanto concerneva i suggerimenti proposti da questo studio sull’azione da svolgere, si riteneva di dover chiedere: un “chiarimento dei compiti dell’ENEL nella progettazione e costruzione delle future centrali nucleari”; la “definizione dei compiti del CNEN affinché questo [potesse] essere un efficace organo di programmazione, propulsione e controllo e non un concorrente nel campo industriale”; l’”emanazione di direttive governative atte a regolare programma e campo di azione dei diversi enti interessati allo sviluppo nucleare sulla base dei consigli di un organo consultivo qualificato nel quale [fossero] rappresentati tutti gli interessati e utilizzata tutta l’esperienza raccolta”; la “costituzione di una Azienda, che si [occupasse], d’accordo con l’ENEL e con le direttive di interesse nazionale a lungo raggio, delle attuazioni industriali e commerciali relative al ciclo del combustibile in tutte le sue fasi” [Promemoria sulla situazione ENI nel settore nucleare (M. Campanini) per Eugenio Cefis, San Donato Milanese, 3 febbraio 1964, ASE, coll. I. V. 3, udc. 279].

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“L’ENEL [era] il solo responsabile dei risultati economici della gestione delle future centrali

nucleari [e, quindi, aveva il compito di definire] la programmazione e la progettazione delle

centrali stesse”350.

Nel frattempo la Commissione d’indagine amministrativa concluse i lavori il 26 ottobre

'63 e il 3 febbraio successivo, su ordine di cattura della procura generale di Roma, Felice Ippolito

fu arrestato. All’ex segretario generale del CNEN si contestarono ben otto capi d’imputazione

che andavano dal falso continuato in atti pubblici, al peculato continuato per appropriazione e

per distrazione, fino a contemplare l’interesse privato e l’abuso continuato in atti d’ufficio351. Al

termine di un processo durato quasi un anno, la sentenza di primo grado addebitò a Felice

Ippolito quasi tutti i reati, senza nessuna attenuante, e lo condannò a ben undici anni di

reclusione, oltre al pagamento di una multa pari a sette milioni di lire e alla interdizione perpetua

dai pubblici uffici. Invece, il CNEN nonostante tutto riuscì a ottenere un finanziamento pubblico

pari a centosessanta miliardi di lire per l’esecuzione del Secondo piano quinquennale, una cifra

addirittura di venti miliardi superiore alla richiesta avanzata dall’ex segretario generale e che era

stata all’origine delle accuse contro gli sprechi. L’attività del Comitato continuò dunque

seguendo le linee guida e i metodi che erano stati inaugurati da Ippolito. Quest’ultimo ottenne la

riduzione della pena a cinque anni e tre mesi di reclusione dopo il processo di appello, per poi

essere graziato dal neo presidente della Repubblica Saragat nel '66 e riammesso all’esercizio dei

pubblici uffici. In apparenza la situazione sembrava volgere alla normalità anche se, come

osservava Amaldi, per quanto concerneva il nucleare “i programmi [erano] rimasti, se non tutti,

quasi tutti, praticamente fermi […] e in particolare i grandi programmi […]. [Il CNEN rimaneva

in vita ma in una condizione che] sarebbe [stata] inconcepibile in qualsiasi altro Paese”352.

Nella realtà dei fatti la politica nucleare italiana nella sua impostazione originaria degli

inizi degli anni Cinquanta aveva subito un forte ridimensionamento. Non era solo la conseguenza

diretta del caso Ippolito, né del rallentamento, per così dire fisiologico, del programma nucleare

nazionale che tutto il mondo occidentale aveva conosciuto, anche se con tempi e modi differenti,

durante gli anni Sessanta in seguito al declino di quell’entusiasmo che aveva caratterizzato i

primi anni di sperimentazione. Nel caso dell’Italia il mutamento era stato piuttosto il prodotto del

350 Verbale della venticinquesima riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 17 aprile 1964, p. 7, ASENEA. In una riunione successiva il prof. Vincenzo Caglioti, componente della Commissione direttiva del CNEN, riconobbe ufficialmente all’ENEL “il compito di programmare, progettare, costruire ed esercire le centrali nucleari”, ma rivendicava per il Comitato tutte le competenze riguardanti “l’attività di ricerca tecnologica intesa allo sviluppo dei reattori”; sulla base di questo compromesso anche il prof. Angelini si trovò d’accordo e tutti i partecipanti convennero sull’assoluta necessità di cooperazione tra il CNEN e l’ENEL per un adeguato e proficuo sviluppo di una politica nucleare italiana (cfr. Verbale della ventottesima riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 15 maggio 1964, pp. 4-22, ibidem). 351 Per approfondimenti di veda B. Curli, Il progetto nucleare italiano (1952-1964), cit., pp. 91-113. 352 AA. VV., Il caso Ippolito. Quinta tavola rotonda organizzata dal Movimento Gaetano Salvemini, cit., pp. 119-122.

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declinante interesse politico a investire in una fonte energetica che già allora si riteneva potesse

rappresentare il futuro. L’effettivo abbandono di politiche energetiche diversificate finì

praticamente per affidare quasi interamente al petrolio la produzione di energia elettrica353.

1.4. Il CNEN dopo Ippolito

Dopo l’uscita di scena di Ippolito, il ministro dell’Industria, Giuseppe Medici, decise di

ridisegnare l’organizzazione interna del Comitato. Le ragioni del cambiamento si presentarono

nelle conclusioni di un “Rapporto sull’energia nucleare in Italia” redatto nel '64:

“L’avvenire di un paese come il nostro, che sta[va] completando la trasformazione della sua

economia da agricola e precapitalistica in industriale, dipende[va], in larga misura, dal suo

patrimonio scientifico e tecnologico. […] Per attuare una politica di sviluppo economico

bisogna[va] destinare una parte non irrisoria del reddito alla ricerca; perciò i nostri investimenti in

essa [dovevano] aumentare. Soltanto così il nostro popolo [avrebbe potuto] continuare il suo

felice sviluppo. […] Era di sicuro interesse del nostro Paese attuare una lungimirante politica

nucleare, indispensabile per mantenere il posto che la storia gli ha assegnato nella civiltà

dell’Occidente”354.

Oltre a concedere un cospicuo finanziamento per il Secondo piano quinquennale del

Comitato, Medici decise di rinnovare la Commissione direttiva e di procedere alla nomina di un

nuovo segretario generale. Molti dei protagonisti della prima e più produttiva fase della politica

nucleare italiana uscirono dal CNEN; fra questi Edoardo Amaldi, Bruno Ferretti e Vincenzo

Caglioti. La nuova Commissione direttiva, insediatasi ufficialmente agli inizi del febbraio '65,

era composta da Carlo Salvetti, Arnaldo Maria Angelini, Giulio Battistini, Riccardo Levi, Adolfo

Quilico, Antonio Rostasti, Franco Marinane, in rappresentanza del Ministero dell’Industria e

Commercio e Vittorio Marchese per quello della Pubblica Istruzione. Si nominò vicepresidente

Carlo Salvetti, mentre Giovanni Calderale divenne il nuovo segretario generale. Medici

sottolineò la continuità dell’azione di propulsione scientifica promossa dal Comitato e la

necessità che tutti coloro i quali operavano direttamente o indirettamente nella ricerca nucleare in

Italia assicurassero la loro collaborazione all’ente. Dopo aver rinnovato gli organi direttivi,

Medici decise di riformare l’organizzazione interna e gli stessi programmi del Comitato. Nel

tentativo di far fronte alla situazione di incertezza sulla scelta e sull’esecuzione dei progetti, si

353 Per approfondimenti si veda B. Curli, Il progetto nucleare italiano (1952-1964), cit., pp. 106-113. 354 G. Medici, Rapporto sull’energia nucleare in Italia, cit., pp. 65-66.

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abbandonò la vecchia struttura piramidale per una organizzazione a matrice: i settori e i

programmi dovevano costituire la linea di staff, mentre i laboratori e i centri di ricerca quella

cosiddetta di line355. Ma le difficoltà non diminuirono neanche con la nuova organizzazione

interna del CNEN attuata nel luglio del '64 in forza della quale il Comitato si articolò in quattro

settori scientifici ben definiti: Reattori, Ricerca nucleare applicata, Fisica nucleare e Radiazioni.

La novità assoluta rappresentata dalla nomina per ogni settore di un direttore e di un entourage

sovrintendente con un mandato annuale, aveva infatti determinato parecchie incertezze e una

forte discontinuità programmatica.

Tra i laboratori in cui le attività di ricerca ebbero maggiore impulso durante la seconda

metà degli anni Sessanta c’era quello geominerario, affidato a Mario Mittempergher, che

raccoglieva vari studi già avviati dal CNRN e dall’Istituto di Fisica dell’Università di Roma356 e

svolgeva un tipo di ricerca cosiddetta “finalizzata”: disegnare una mappa con l’inventario delle

risorse minerarie in Italia di interesse nucleare, principalmente uranio e torio. Un impegno

indispensabile per un paese che intendeva avviare delle ricerche nel settore atomico357. Le linee

programmatiche del secondo Piano quinquennale, deliberate dalla nuova Commissione direttiva

del CNEN nel 1965, erano però state elaborate sulla base di documenti tecnici preparati dal

ministro dell’Industria e Commercio che imponevano una verifica e una revisione dei principali

piani tecnologici in vigore. Si istituirono pertanto tre Commissioni di valutazione che, in pratica,

proposero e ottennero la sospensione della costruzione del reattore PRO e, confermando nella

sostanza le linee di attività del Comitato, imposero la sostituzione del ciclo dei reattori veloci da

uranio-torio a quello, ormai divenuto uno standard mondiale, dell’uranio-plutonio. Si decise

inoltre lo sviluppo di una filiera autonoma di reattori a nebbia in collaborazione con il CISE e

l’avvio del programma del reattore CIRENE, da costruirsi a Latina358. Ai gruppi di lavoro

parteciparono anche rappresentanti dell’ENEL, mentre si analizzarono ulteriormente le linee

programmatiche con il sostegno tecnico delle industrie maggiormente interessate359. Per un breve

355 Per approfondimenti si veda E. De Leone, C. Dau Novelli, Dal CNEN all’ENEA. 1960-1982, in G. Paoloni (a cura di), Energia, ambiente, innovazione: dal CNRN all’ENEA, cit., pp. 96-99. 356 Cfr. M. Mittempergher, Laboratori centrali della Divisione geotermica, in «Notiziario CNEN», Roma, maggio 1962. 357 Per uno studio sulle ricerche della Divisione geotermica si vedano E. De Leone, C. Dau Novelli, Dal CNEN all’ENEA. 1960-1982, in G. Paoloni (a cura di), Energia, ambiente, innovazione: dal CNRN all’ENEA, cit., p. 99; Ente Nazionale Energia Elettrica, ENEL 1963-1977, cit., p. 33. Tuttavia, nel '63 Felice Ippolito aveva già redatto uno studio sui metodi e sui risultati ottenuti nei primi dieci anni di ricerche uranifere in Italia (cfr. F. Ippolito, Dieci anni di ricerca uranifera in Italia, Roma, 1963, estratto da «Notiziario CNEN», 9, n. 7, luglio 1963). Tra il 1960 e il 1963, inoltre, la SOMIREN aveva effettuato diverse attività di ricerca nella zona di Novazza, vicino Bergano, che avevano portato alla scoperta di un giacimento di minerali uraniferi molto interessante (cfr. Programma tecnico-economico per l’esecuzione dei lavori di ricerca di minerali di uranio in Val Seriana da parte della SOMIREN S.p.A., ottobre 1966, ASE, coll. BA. II. 1, udc. 181). 358 Cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1966, Roma, 1967, p. 119, ASENEL. 359 Per approfondimenti sui singoli programmi di ricerca avviati si veda E. De Leone, C. Dau Novelli, Dal CNEN all’ENEA. 1960-1982, in G. Paoloni (a cura di), Energia, ambiente, innovazione: dal CNRN all’ENEA, cit., p. 102-116. Per un’analisi sulle scelte strategiche del Comitato cfr. Linee programmatiche del CNEN per il prossimo quinquennio, in «Notiziario CNEN», Roma, settembre 1964.

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periodo di tempo si tentò dunque di inaugurare una stretta collaborazione con l’ENEL e, agli

inizi del '65, un gruppo di lavoro misto operò per definire le aree di possibile collaborazione,

puntando principalmente sul ciclo dei combustibili. Un settore in cui meno potevano verificarsi

interferenze e pressioni sulle scelte dell’ENEL in materia di reattori da costruire. Tuttavia, l’ente

elettrico decise improvvisamente di sospendere le collaborazioni con il CNEN, preferendo

operare autonomamente nell’ambito italiano, sotto il coordinamento dell’EURATOM.

Ciononostante, il settore atomico tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi dei Settanta

iniziò a subire le conseguenze della carenza di fondi e dell’allontanamento di molti dei quadri

più qualificati. Secondo la testimonianza di Ippolito:

“Il CNEN fu ibernato per 10 anni dal 1963 al 1973 […]. Il personale tecnico scientifico che

era allora in grado di progettare e seguire la costruzione degli impianti [risultava] […]

disperso”360.

Se durante gli anni della gestione Ippolito e soprattutto in quelli immediatamente

successivi, la partecipazione di ricercatori del CNEN in qualità di docenti a corsi universitari fu

ampia, fra il '69 e il '70 le migliori condizioni economiche offerte dall’industria privata

determinarono l’abbandono quasi totale dell’interesse verso il mondo accademico. A partire

dalla seconda metà degli anni Sessanta migliorarono invece gli scambi e le collaborazioni con

paesi con i quali fino a quel momento i rapporti scientifici nel settore nucleare erano stati

pressoché inesistenti: Giappone, Polonia, Pakistan, Unione Sovietica, Brasile e altri361. Erano

però collaborazioni marginali non in grado di sopperire alla grave crisi di investimenti nel settore

nucleare che l’Italia stava attraversando in quegli anni; l’unica speranza restava legata all’ipotesi

di un collegamento diretto con i progetti e i finanziamenti europei, sebbene una politica

energetica comunitaria stentasse a decollare.

360 F. Ippolito, F. Simen, La questione energetica: dieci anni perduti (1963-1973), cit., pp. 194-195. 361 Nel luglio del '65, ad esempio, la Commissione direttiva del CNEN autorizzò la firma di un accordo con l’Atomic Energy Board Sudafricano per la realizzazione di programmi nel campo dell’utilizzazione dell’energia nucleare a fini pacifici e la collaborazione con il Comitato statale per l’utilizzo dell’energia atomica dell’URSS (Goskomitet) (cfr. Verbale della 63ª riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 16 luglio 1965, pp. 26-27, ASENEA). Nel 1971 venne invece sottoscritta un’intesa per una collaborazione tecnico-scientifica con l’Argentina sulla base dell’accordo bilaterale in essere tra il CNEN e la Commissione Nucleare per l’energia atomica della Repubblica Argentina (cfr. Verbale della 234ª riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 4 giugno 1971, p. 23, ibidem), mentre si rinnovò quella con la Commissione per l’Energia atomica del Pakistan (cfr. Verbale della 221ª riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 12 febbraio 1971, p. 28, ibidem). Sempre nel '71, un’intesa si stipulò anche con la Commissione Nazionale per l’Energia Nucleare del Brasile (cfr. Verbale della 239ª riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 16 luglio 1971, p. 26, ibidem). Infine, durante l’anno successivo gli accordi bilaterali di cooperazione nel campo degli usi pacifici dell’energia nucleare interessarono l’Ungheria, il Cile e in parte anche lo Zaire (cfr. Verbale della 258ª riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 27 giugno 1972, pp. 85-86, ibidem). Con il Commissariato per le Scienze Nucleari della Repubblica dello Zaire l’accordo però si sottoscrisse definitivamente quasi un anno più tardi (cfr. Verbale della 8ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 3 aprile 1973, p. 37, ibidem). Per ulteriori approfondimenti si veda E. De Leone, C. Dau Novelli, Dal CNEN all’ENEA. 1960-1982, in G. Paoloni (a cura di), Energia, ambiente, innovazione: dal CNRN all’ENEA, cit., p. 101.

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1.5. La CEE e i tentativi di avviare una politica energetica nucleare

Fin dal principio il progetto di cooperazione atomica europea, iniziato con la nascita

dell’EURATOM, aveva incontrato grosse difficoltà. La scoperta di nuovi giacimenti di uranio e

di petrolio, unita alla diminuzione dei prezzi del greggio ad opera delle grandi compagnie

petrolifere verso la fine degli anni Cinquanta, determinarono infatti la diffusa opinione che la

competitività del nucleare fosse destinata a subire un ulteriore arretramento. Le stesse iniziative

dell’EURATOM erano state concepite fino a quel momento allo scopo di garantire un

approvvigionamento uranifero adeguato in funzione della scarsità di questo combustibile. I

mutamenti dello scenario, provocarono in primo luogo l’abbandono dell’obiettivo proposto dal

Rapporto dei Tre Saggi sull’impianto di quindicimila megawatt che doveva realizzarsi nel

quinquennio 1963-1967 in virtù del programma per i reattori di potenza previsto con l’accordo

USA-EURATOM362. Altrettante difficoltà incontrò l’avvio del programma comune di ricerche

nucleari che, assieme all’Agenzia di approvvigionamento dell’EURATOM e all’accordo con gli

Stati Uniti per i reattori di potenza, doveva costituire il terzo e ultimo pilastro della Comunità

appena istituita363. In particolare, non si era riusciti a stabilire delle priorità e non si era pervenuti

alla definizione di una strategia che avrebbe dovuto sfruttare i risultati degli studi già in corso nei

paesi comunitari e pianificare nuove ricerche in modo da rendere il nucleare in grado di

soddisfare le esigenze energetiche europee364. In questo quadro, forte risultò la delusione italiana

per il mancato decollo del centro di Ispra, divenuto ufficialmente centro comune di ricerca

dell’EURATOM nel marzo del 1961365. Negli anni successivi si crearono infatti altri CCR366 e

362 L’intesa doveva entrare in vigore nel febbraio del '59 e prevedeva, tra l’altro, la collaborazione tecnica e finanziaria della Import-Export Bank sui costi degli impianti [cfr. B. Curli, Il progetto nucleare italiano (1952-1964), cit., p. 63]. 363 La necessità di cooperare con gli Stati Uniti in tutti i settori tecnologici al fine di colmare il gap posseduto dai paesi europei, e tra questi in primis dall’Italia, subì un’accelerazione durante la metà degli anni Sessanta: secondo uno studio redatto dal prof. Carlo Calosi emergeva l’assoluta “necessità di uno sforzo da parte degli Stati europei nei «settori d’avanguardia» che, come quelli spaziale e nucleare, [erano] già arrivati alla fase industriale negli Stati Uniti grazie al continuo intervento dello Stato” [Carlo Calosi, Cooperazione tecnologica tra Europa e Stati Uniti, Roma, 24 ottobre 1966, ASMAE, Fondo Emilio Bettini (1941-1983), busta 15]. La questione venne analizzata anche dal Consiglio Tecnico Scientifico della Difesa su iniziativa del ministro degli Esteri Fanfani e, tra i settori tecnologici su cui concentrare la cooperazione euro-statunitense, figurava anche quello delle sorgenti energetiche che avrebbe dovuto comprendere: le ricerche nucleari, con particolare proiezione alla propulsione nucleare; i combustibili nucleari; la conversione diretta dell’energia (cfr. Consiglio Tecnico Scientifico della Difesa, Ritardo Tecnologico europeo, Roma, 24 ottobre 1966, ibidem). Per approfondimenti sulla questione del gap tecnologico tra Europa e Stati Uniti cfr. L. Sebesta, A new political tool for the sixties: the technological gap, in AA. VV., Oltre la guerra fredda: gli Stati Uniti e la rinascita dell'Europa postbellica, dattiloscritti di alcune relazioni del convegno, Firenze-Bologna, 26-29 ottobre 1994. 364 Per un approfondimento si veda, tra gli altri, F. Ippolito, F. Simen, La questione energetica: dieci anni perduti (1963-1973), cit., pp. 143-170. 365 Per un’analisi generale sulla posizione italiana nei confronti del programma europeo per le ricerche nucleari si veda A. Varsori, Italy’s Policy towards European Integration (1947-58), in C. Duggan, C. Wagstaff (a cura di), Italy in the Cold War. Politics, Culture and Society, 1948-58, Oxford-Washington, 1995, pp. 47-66. 366 Durante gli anni immediatamente successivi si costruirono infatti i centri comuni di ricerca di Petten nei Paesi Bassi, Geel in Belgio e Karlshure in Germania.

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quello italiano visse un periodo di stenti e di contraddizioni in concomitanza con le vicissitudini

della Comunità367.

Altrettanto insoddisfacente per l’Italia si rivelò la prassi comunitaria di assegnare,

secondo la constatazione di Amaldi, “la maggior parte dei contratti di ricerca […] a Paesi quali la

Francia, che [potevano] presentare programmi di attività assai maggiori dei nostri”368.

D’altronde, il CNEN si avviava in quel periodo a affrontare il momento più difficile della sua

storia per via del caso Ippolito e, di certo, il suo peso in sede EURATOM era stato drasticamente

ridotto369. A questo proposito, in una lettera del dicembre '65 il vicepresidente in carica

dell’EURATOM, Antonio Carrelli, si era mostrato preoccupato per la situazione di alcuni

programmi di ricerca che l’organizzazione comunitaria svolgeva in collaborazione con le

istituzioni italiane:

“[Da un lato, le] numerose proposte provenienti da organismi di ricerca di altri Paesi membri

[…] [venivano] considerate dai nostri Servizi di interesse tecnico prioritario […], [dall’altro], da

parte italiana […], dopo l’euforia dei giorni seguenti la notizia dell’ottenimento dei fondi [del

secondo programma quinquennale dell’EURATOM], non si [era] cercato di definire mediante un

contatto proficuo e conclusivo la portata tecnica e le implicazioni finanziarie dei contratti

maggiori. Ciò che maggiormente […] preoccupa[va], oltre alla perdita certa di fondi ora a

disposizione, [era] la prova di scarso interesse da parte degli enti italiani alla collaborazione

nucleare comunitaria. […] Nel quadro della partecipazione EURATOM ai reattori di potenza di

tipo sperimentale, [esistevano] fondi provenienti dal 1° programma quinquennale […] a

disposizione dell’ENEL dal 1963. Nel settore dei reattori rapidi, infine, l’importo […] che

l’EURATOM [aveva] impegnato per l’associazione con il CNEN, [era] in gran parte tuttora

inutilizzato per mancanza di un programma tecnico”370.

La Comunità europea, oltretutto, sembrava aver deciso di puntare definitivamente su

politiche nucleari su scala regionale abbandonando il progetto iniziale di uno sviluppo unitario

367 Per un giudizio negativo sull’andamento dell’EURATOM nei primi anni di vita si veda F. Ippolito, Un progetto incompiuto. La ricerca comune europea: 1958-1988, cit., p. 62 e ss. Per un’analisi generale sul rapporto tra l’Italia e l’EURATOM si veda, tra gli altri, B. Curli, L’esperienza dell’EURATOM e l’Italia. Storiografia e prospettive di ricerca in P. Craveri, A. Varsori (a cura di), L’Italia nella costruzione europea. Un bilancio storico (1957-2007), Milano, 2009, pp. 211-232. 368 Verbale della ottava riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 2 maggio 1963, p. 23, ASENEA. Per ulteriori approfondimenti si veda B. Curli, Il progetto nucleare italiano (1952-1964), cit., p. 68. 369 Secondo l’analisi presentata alla Commissione direttiva del CNEN da Achille Albonetti, direttore della Divisione Affari Internazionali e Studi Economici dello stesso Comitato, a condizionare le insoddisfazioni italiane pesò anche il rapporto sfavorevole tra i contributi versati all’EURATOM per lo svolgimento delle attività contrattuali e l’effettiva partecipazione comunitariadell’Italia ai programmi nucleari. Negli altri paesi membri le entrate a questo titolo pareggiavano infatti le spese e in certi casi erano anche superiori. Per queste ragioni risultava necessario un forte impegno del Comitato per modificare questa impostazione (cfr. Verbale della 110ª riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 9 settembre 1966, pp. 16-27, ASENEA). 370 Lettera inviata dal vicepresidente dell’EURATOM, Antonio Carrelli, al rappresentante permanente dell’Italia presso la Comunità europea dell’Energia Atomica, ambasciatore Antonio Venturini, Bruxelles, 8 dicembre 1965, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 3, Presidenza del Consiglio dei ministri, Sottoserie Questioni diverse, Busta 14.

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dell’energia atomica. È quanto accadde in maniera definitiva nel '67 quando gli esecutivi delle

Comunità europee si fusero e le attività dell’EURATOM si suddivisero tra la Direzione della

Ricerca e quella dell’Istruzione, ponendo quasi definitivamente termine al tentativo di avviare

una cooperazione europea nel settore nucleare371.

Tuttavia, già in quegli anni si stimava che “nel 1970 oltre il 60% del fabbisogno

energetico europeo [sarebbe stato] coperto dalle importazioni [e la riduzione di queste ultime

sarebbe dipesa solo e soltanto] dallo sviluppo dell’energia nucleare”, secondo il monito lanciato

da Jack Hartshorn, Assistant Editor del settimanale inglese «The Economist» in un articolo

pubblicato il 13 aprile '63 sull’agenzia europea di stampa «Political and Economic Planning»372.

A questa conclusione Hartshorn era giunto analizzando la situazione energetica dei Sei che

durante tutti gli anni Cinquanta e fino agli inizi del decennio successivo avevano assistito a una

fase di forte espansione economica caratterizzata da un rapido incremento dei consumi di energia

e, di conseguenza, dalla graduale riduzione delle fonti locali di approvvigionamento che fino a

quel momento avevano alimentato i consumi. Ciò, dunque, da un lato, aveva portato i paesi

europei a raggiungere un elevato grado di sviluppo industriale paragonabile a quello degli Stati

Uniti e dell’Unione Sovietica, ma, dall’altro lato, aveva posto l’Europa comunitaria nella

condizione di dipendere dalle importazioni per la gran parte del fabbisogno energetico. Una

carenza di risorse interne che poneva i Sei in una situazione completamente differente rispetto a

americani e sovietici. Gli USA potevano infatti definirsi autosufficienti, mentre l’economia

dell’URSS era caratterizzata ancora da bassi consumi pro-capite e le risorse esistenti nell’intero

blocco comunista erano in questo campo notevolissime. In virtù di queste considerazioni

Hartshorn sosteneva che:

“La possibilità che i Sei [potessero] ridurre questa loro dipendenza dall’estero esiste[va] ma

non [era] tanto prossima in quanto si affida[va] allo sviluppo di una nuova fonte, l’energia

nucleare che, come [era] noto, non [poteva] ancora considerarsi competitiva con l’energia

prodotta dalle fonti convenzionali”373.

Per quanto concerneva l’Italia, lo scenario appariva ancora più fosco:

371 Si veda in proposito D. Spierenburg, R. Poidevin, The history of the high authority of the European coal and steel community: supranationality in operation, cit., p. 799. 372 J. E. Hartshorn, La politica energetica nella Comunità europea, in «Political and Economic Planning», VI, n. 87, Roma, 13 aprile 1963. 373 Ibidem.

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“Il vicino esaurimento delle risorse idriche – il 60% di esse [era] già stato sfruttato – [e] il

ritmo vertiginoso a cui continua[va] a svilupparsi la produzione nazionale [lasciavano] prevedere

che già nel 1970 […] l’Italia [avrebbe dovuto] importare il 75% del proprio fabbisogno

energetico. Il contributo del petrolio e del metano, pertanto, alla risorgente economia [era]

destinato ad accentuarsi”374.

La necessità per la penisola di trovare alternative energetiche adeguate e di avviare una

seria programmazione appariva dunque più urgente che in qualsiasi altro paese della CEE.

Proprio nella realizzazione di una politica energetica coordinata o, addirittura, di un mercato

comune europeo che investisse ingenti risorse sull’evoluzione del nucleare risiedevano le

speranze di limitare la dipendenza del continente dalle importazioni. Nel '62 l’accordo raggiunto

sulla politica comune agricola aveva in qualche modo aperto uno spiraglio in questo senso, ma i

fatti dimostrarono che nel settore energetico, e soprattutto in quello nucleare, le divergenze di

carattere strategico erano destinate a prendere il sopravvento.

Nella prima settimana del settembre '64 si tenne a Ginevra la Terza Conferenza mondiale

sulle applicazioni pacifiche dell’atomo che confermò le ottimistiche previsioni degli ambienti

scientifici americani e europei sulla possibilità di passare nel giro di pochi anni allo sfruttamento

su scala industriale dell’energia nucleare. Ciò presupponeva che anche l’Italia si impegnasse con

una programmazione nazionale efficace, in risposta alle difficoltà sempre maggiori di

approvvigionamento energetico man mano che le fonti tradizionali si andavano esaurendo e il

fabbisogno interno aumentava. La scarsità di fondi disponibili spingeva però verso la necessità

ineluttabile di una collaborazione internazionale che, senza una rinuncia preventiva a uno

sviluppo nucleare autonomo, permettesse di colmare in parte il gap con l’estero. Una serie di

circostanze storico-economiche avevano infatti reso possibile nei paesi occidentali più

industrializzati, e soprattutto negli Stati Uniti, un’enorme disponibilità finanziaria da destinare

alla ricerca nucleare, contribuendo a creare un divario netto con le altre nazioni. Motivazioni

differenti spinsero l’Unione Sovietica a fare altrettanto, determinando una situazione per cui,

come stava avvenendo per gli altri casi occidentali, era lo Stato a intervenire direttamente

mediante la fornitura dei mezzi finanziari necessari. In Italia, invece, questa funzione era

demandata agli organismi propri di ricerca e all’industria privata, mentre sembrava mancare un

impegno massiccio del governo. Ciò determinava la mancanza di unità di intenti e una

dispersione delle poche risorse disponibili. Secondo l’opinione di Raniero Vanni d’Archirafi,

futuro commissario della Comunità europea, l’unica opportunità per l’Italia di recuperare terreno

374 Ibidem.

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nei confronti degli altri paesi più avanzati nelle ricerche sull’atomo risiedeva proprio

nell’EURATOM e nella capacità di collegare la programmazione nucleare nazionale con quella

comunitaria375. Il 21 luglio dello stesso anno, la Commissione europea per l’energia aveva

elaborato un parere sull’VIIIª Relazione generale dell’EURATOM, in virtù di quanto previsto

dalla risoluzione del Parlamento europeo del 22 marzo '65. La Commissione, presieduta

dall’onorevole Edoardo Battaglia, aveva mostrato un certo ottimismo che derivava dal “valore

crescente che l’energia nucleare [avrebbe dovuto] assumere per diminuire la dipendenza della

Comunità dall’esterno. […] Da queste considerazioni la Commissione della C.E.E.A. trae[va] la

conclusione che la creazione di una industria nucleare comunitaria [doveva avere] come

presupposto che il fabbisogno [energetico comunitario venisse] coperto dai produttori europei;

soltanto così, infatti, sarebbe [stato] possibile rispondere alle esigenze della concorrenza

internazionale”376. Per raggiungere il difficile e quanto mai urgente sviluppo di una politica

nucleare comunitaria era necessaria l’“armonizzazione dei diversi programmi nazionali” anche

in funzione del rafforzamento di una solidarietà fra i Sei che avrebbe potuto assumere contorni

politici:

“[Le iniziative europee avviate in tale direzione] se ben coordinate con misure da prendere

nel quadro di una politica energetica comune e generale [avrebbero potuto cementare]

economicamente i paesi della Comunità e [riavvicinarli] anche politicamente”377.

La politica energetica poteva dunque rappresentare un punto di partenza per il

proseguimento dello stesso processo di integrazione europea ma solo a condizione che la

Comunità avviasse un programma energetico efficace: una prospettiva che in quel momento

appariva di difficile realizzazione.

1.6. Tra ambizioni nazionali e collaborazione internazionale

Tra i progetti sviluppati durante gli anni Sessanta figurava il Programma reattori a acqua

pesante denominato CIRENE che rappresentò, dopo la chiusura di quello PRO nel '64, l’unico

piano di ricerca italiano per la realizzazione di un reattore nazionale. Il piano era il risultato degli

studi sullo scambio termico con miscele bifasi effettuate dal CISE dopo il suo passaggio

375 Cfr. R. Vanni d’Archirafi, L’Italia e l’Europa di fronte all’economica nucleare, in «Mondo Economico», n. 13, 3 aprile 1965. 376Parere sulle parti dell’VIIIª Relazione generale della Commissione della C.E.E.A. che rientrano nella competenza della Commissione per l’energia, redattore on. Edoardo Battaglia, Parlamento europeo, 21 luglio 1965, HAEU, Fondo European Commission, BAC 118/1986, 975. 377 Ibidem.

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all’ENEL in seguito alla nazionalizzazione. Reattori simili erano stati già sviluppati in Canada

(reattore Gentilly-1) e in Svezia (reattore di Marviken)378. In Italia lo sviluppo avvenne grazie

all’assegnazione al CISE di un contratto di valutazione per lo studio delle applicazioni del

raffreddamento con miscele bifasi a diversi tipi di reattori, anche se il progetto proseguì solo

grazie a un accordo finanziario con l’EURATOM379. A partire dal '67 l’intero Programma venne

regolato da una Convenzione tra il CNEN e l’ENEL che prevedeva la progettazione, la

realizzazione e l’esercizio di un reattore prototipo da centodieci megawatt presso la centrale

elettronucleare di Latina380. Il progetto fu affidato a una organizzazione apposita, composta da

personale del CNEN, dell’ENEL, del CISE e della Progettazioni Meccaniche Nucleari, società

del gruppo IRI-Finmeccanica. La costruzione effettiva del reattore, iniziata nel 1970, fu invece

demandata alla Ansaldo Meccanico-Nucleare, anch’essa appartenente al gruppo IRI-

Finmeccanica, dietro indicazione del CIPE381.

Un secondo progetto nucleare era rappresentato dal Programma reattori veloci che si

prefiggeva il compito di acquisire conoscenze necessarie per rendere l’industria nazionale capace

di progettare e costruire centrali elettronucleari dotate di reattori veloci, così da permettere

all’Italia di sviluppare una delle tecnologie più avanzate del settore. Alla fine del '64, erano

infatti già in funzione, o si avviavano a esserlo nel giro di pochi mesi, i primi reattori veloci

sperimentali in Francia (Rapsodie), Gran Bretagna (DFR), Unione Sovietica (BR-5) e Stati Uniti

(EBR II e Enrico Fermi), mentre paesi quali la Germania e il Belgio avevano già avviato da

tempo studi in questa direzione. In Italia il progetto si sviluppò fino al '67 nell’ambito

dell’Associazione EURATOM-CNEN, ma gli avvenimenti seguiti al caso Ippolito

determinarono un notevole ritardo rispetto agli altri Stati europei382. Durante il 1965 si era

tentato di colmare il gap mediante un accordo bilaterale tra il CNEN e il CEA, l’Ente nucleare

378 Per approfondimenti si veda E. De Leone, C. Dau Novelli, Dal CNEN all’ENEA. 1960-1982, in G. Paoloni (a cura di), Energia, ambiente, innovazione: dal CNRN all’ENEA, cit., p. 103. 379 Nei primi mesi del '63 venne costituito un Comitato di Collegamento CNEN-EURATOM con il compito di “esaminare periodicamente i problemi concernenti la collaborazione con EURATOM ed in modo particolare i contratti di ricerca ed associazione proposti da parte italiana. In questa sede, i rappresentanti del CNEN, assistiti di volta in volta da rappresentanti delle diverse industrie interessate, [si dovevano fare] portavoce degli interessi italiani al fine di ottenere una più attiva partecipazione di EURATOM allo sforzo compiuto dall’industria nazionale nel settore nucleare” [Lettera del segretario generale del Comitato Nazionale per l’energia Nucleare (Felice Ippolito) alla SNAM - Laboratori Riuniti Studi e Ricerche, San Donato Milanese, 30 luglio 1963, ASE, coll. I. V. 3, udc. 279]. Per un approfondimento sulle questioni tecniche dell’impianto si veda Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1966, Roma, 1967, pp. 130-132, ASENEL. 380 Cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1968, Roma, 1969, pp. 113-115, ibidem; Verbale della 121ª riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 25 febbraio 1967, pp. 24-42, ASENEA. 381 Molto importante per la realizzazione del CIRENE risultò anche la conclusione di un accordo quinquennale di collaborazione tra ENEL e CNEN da una parte, e Atomic Energy of Canada Limited, dall’altra, per uno scambio ampio di informazioni sui programmi di ricerca e di sviluppo e sulle attività relative alla realizzazione dell’impianto di Gentilly in Canada e dello stesso prototipo italiano (cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1970 Roma, 1971, pp. 127-128, ASENEL; Verbale della 190ª riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 17 aprile 1970, pp. 17-24, ASENEA). 382 Cfr. E. De Leone, C. Dau Novelli, Dal CNEN all’ENEA. 1960-1982, in G. Paoloni (a cura di), Energia, ambiente, innovazione: dal CNRN all’ENEA, cit., pp. 104-109.

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francese, per un’azione congiunta nello sviluppo di reattori veloci al sodio383. Fallito questo

tentativo, non senza che si verificasse il rischio di una crisi incolmabile tra il CNEN,

l’EURATOM e la Francia384, si decise di sviluppare il Programma reattori veloci in maniera

automa, alla pari di quanto accadeva negli altri paesi avanzati (USA, URSS, Gran Bretagna,

Francia, Germania e Giappone). All’interno di questo programma, il progetto più ambizioso e

affascinante era costituito dal reattore cosiddetto PEC, previsto della potenza di centoquaranta

megawatt; l’obiettivo, se raggiunto, avrebbe fornito anche un valido know-how per la

progettazione e la costruzione di reattori veloci. Il CNEN e, in parte, dietro contratto, la SNAM

Progetti del gruppo ENI e la Ansaldo Meccanico-Nucleare condussero gli studi di fattibilità e di

progettazione del PEC, mentre un consorzio industriale costituito dalla stessa SNAM Progetti e

dalla Italimpianti (anch’essa del gruppo IRI-Finmeccanica) si incaricarono della realizzazione

del reattore. Il PEC rappresentò di fatto la prima vera esperienza industriale italiana nella

realizzazione di reattori veloci prototipi che, superata la fase critica dovuta alle vicende del caso

Ippolito, conobbe una fase di intense applicazioni. Nel '67 si stipularono diversi contratti di

studio e progettazione su parti specifiche del reattore ritenute critiche; fra le ditte e gli enti

contraenti figuravano: la English Electric, la Fairey Nuclear Ltd., la Honeywell, la Kaiser,

l’Università di Bologna e la Hispano Suiza. Il progetto del reattore PEC fu inoltre sottoposto

all’esame dei tecnici della UKAEA durante una riunione tenutasi nel gennaio del '67 a Risley e,

nel novembre dello stesso anno, ricevette un esito positivo dopo un attento esame effettuato da 383 Cfr. Impostazione del programma reattori veloci, Doc. CNEN (66) 9, Verbale della 82ª riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 21 gennaio 1966, ASENEA. 384 Secondo l’analisi presentata alla Commissione direttiva del CNEN da Achille Albonetti, direttore della Divisione Affari Internazionali e Studi Economici dello stesso Comitato, a completamento della precedente disamina del settembre '66 e alla luce di una relazione presentata al Parlamento dal ministro degli Esteri, Amintore Fanfani, sulla situazione dei rapporti italiani con l’EURATOM, nonché di un documento presentato da quest’ultimo ente sui progetti futuri: “i motivi di insoddisfazione italiana […] [partivano]: - [dall’]eccessivo sviluppo dato da EURATOM alle attività contrattuali, a tutto scapito delle attività svolte nei Centri Comuni; - [dal] grave squilibrio a danno dell’Italia nella ripartizione fra gli Stati membri dei contratti comunitari nell’ambito del Secondo Programma Quinquennale EURATOM, squilibrio non compensato dall’andamento del Primo Programma Quinquennale né, tanto meno, dall’ubicazione in Italia del principale Centro Comune di Ricerche EURATOM, il Centro di Ispra; - [dall’]inefficacia dello strumento contrattuale sul piano della collaborazione comunitaria; - [dall’]insufficiente coordinamento degli investimenti da parte EURATOM, con conseguente verificarsi di doppi impieghi, di cui il caso più noto [era] quello relativo ai due programmi paralleli francese e tedesco nel settore dei reattori veloci; - [dalla] concentrazione delle attività del Centro di Ispra sul programma ORGEL […] che oltre ad essere concorrenziale con parecchi programmi svolti su scala nazionale, [era] ritenuto scarsamente interessante dagli ambienti nucleari italiani, comunitari e internazionali; - [dal] mancato rinnovo del contratto di associazione EURATOM-CNEN nel settore dei reattori veloci. A distanza di circa 6 mesi dal precedente dibattito della Commissione Direttiva sui problemi di EURATOM (settembre 1966), la crisi della Comunità si [era] notevolmente aggravata ed i rapporti tra quest’ultima e l’Italia [erano] sensibilmente peggiorati. Non [era] stato, infatti, ancora possibile ottenere il rinnovo dell’associazione EURATOM-CNEN nel settore sei reattori veloci, nonostante che: - la copertura finanziaria integrale di tale associazione [fosse stata] assicurata fin dal 1965, nell’ambito dell’attuale Piano Quinquennale Comunitario; - nell’ottobre scorso la Commissione EURATOM [avesse] approvato incondizionatamente sul piano tecnico, il programma presentato dal CNEN (reattore PEC); nella seduta del 27 ottobre scorso, il Consiglio dei ministri EURATOM [avesse] dato espresso mandato al Comitato dei Rappresentanti Permanenti di procedere urgentemente all’esame della proposta di EURATOM per rinnovare l’associazione con il CNEN. Tale situazione [era] dovuta principalmente all’opposizione francese nei confronti del piano italiano che, invece, [aveva] accolto consensi pressi le altre delegazioni. Nel frattempo, la Commissione [aveva] provveduto a consegnare al Commissariat à l’Energie Atomique il plutonio acquistato negli USA per il funzionamento dell’esperimento critico Mazurka. Questa decisione della Commissione [rivestiva] carattere di indubbia gravità, in quanto la suddetta operazione non [aveva] la necessaria copertura finanziaria, in assenza di un impegno finanziario francese pari 2,8 milioni di dollari ovvero in assenza di un ulteriore revisione del programma quinquennale EURATOM da decidersi all’unanimità” (Verbale della 122ª riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 5 marzo 1967, pp. 7-9, ibidem).

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una commissione di tecnici della Atomic Power Department Associated di Detroit, della Power

Reactor Development Company e della Detroit Edison. In dicembre si scelse quale sito per la

realizzazione del reattore la località di Brasimone, vicino Bologna385, e si stipularono contratti di

progettazione, studio e consulenza con la Stein Industrie, l’Atomic Power Department

Associated, The Nuclear Power Group Ltd., il Centro di studi nucleari Enrico Fermi del

Politecnico di Milano, la Hispano Suiza, la English Electric. Con quest’ultima si sottoscrisse

inoltre un contratto per i lavori sperimentali386, così come con la Sogreah387, l’EURATOM,

l’Università di Bologna e con l’Istituto sperimentale modelli e strutture388.

Allo studio figurava anche il Programma navale per la propulsione nucleare iniziato già

nel '57 dalla FIAT e dall’Ansaldo le quali, nel dicembre 1961, stipularono un contratto di

associazione direttamente con l’EURATOM mediante la partecipazione del CNEN. Si pervenne

così, nel dicembre del '66, alla firma di una convenzione tra il CNEN e la Marina Militare per la

costruzione di una nave di appoggio logistico da diciottomila tonnellate (la “Enrico Fermi”

azionata da un reattore nucleare) e per la realizzazione di una stazione di servizio a terra389.

Maggiore interesse a livello internazionale suscitò il Programma ROVI, diretto da Raffaele Di

Menza, che si basava sullo sviluppo di un reattore a liquido organico con caratteristiche tali da

fornire, in impianti di medie dimensioni, vapore industriale per la dissalazione delle acque

salmastre e marine. Grazie agli studi compiuti da un gruppo di esperti del CNEN e delle società

SNIA Viscosa-BPD, Montedison, SNAM Progetti e SORIN, nel '68 si costituì un Consorzio

industriale in cui si riunirono le competenze di tali aziende, oltre a quelle delle imprese Breda

Termoneccanica Locomotive (gruppo EFIM), della FIAT e dell’Italimpianti, con l’obiettivo di

esaminare le concrete possibilità di realizzazione di un reattore nazionale ROVI in un’area a

forte carenza di acque dolci. Questi studi erano già stati avviati da tempo in diversi paesi,

soprattutto negli Stati Uniti, ma erano stati sviluppati con impianti che combinavano la

produzione di acqua dolce e di energia elettrica e si erano rivelati spesso molto onerosi.

Viceversa, il programma italiano che si concentrava sullo sviluppo di impianti per la sola

produzione di acqua dolce, veniva seguito con molta attenzione da tutti gli esperti internazionali

soprattutto per i benefici che si potevano trarre in funzione dell’orografia della maggioranza dei

paesi in via di sviluppo, siti in regioni aride o semiaride. I primi incoraggianti risultati

385 Cfr. Verbale della 136ª riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 15 dicembre 1967, pp. 27-28, ibidem. 386 Cfr. Verbale della 149ª riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 13 settembre 1968, pp. 10-11, ibidem. 387 Cfr. Verbale della 151ª riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 22 novembre 1968, pp. 12-13, ibidem. 388 Per ulteriori approfondimenti si veda E. De Leone, C. Dau Novelli, Dal CNEN all’ENEA. 1960-1982, in G. Paoloni (a cura di), Energia, ambiente, innovazione: dal CNRN all’ENEA, cit., pp. 105-109. 389 Cfr. Appunto interno al MAE, DGAE, CEE, Ufficio V, non firmato, Roma, 5 dicembre 1966, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 3, Presidenza del Consiglio dei ministri. Sottoserie Questioni diverse, Busta 11.

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condussero alla costituzione del suddetto Consorzio industriale con la partecipazione del CNEN

in qualità di ente promotore390.

Oltre ai progetti già menzionati, l’Italia partecipò in prima fila allo sviluppo di altri studi

grazie al lavoro svolto dai tecnici del CNEN e in forza dell’interesse mostrato dal mondo

industriale e dei finanziamenti dell’EURATOM. In questo ambito rientrava il Programma sul

ritrattamento chimico del combustibile irradiato che portò alla realizzazione dell’impianto

EUREX, realizzato a Saluggia, che costituì l’esperimento preliminare per il progetto EUREX-2

nato nel '69 grazie alla collaborazione tra il CNEN e l’AGIP Nucleare. Nel 1965 si giunse inoltre

a un accordo fra il vicepresidente del CNEN e il presidente dell’USAEC per il riprocessamento e

la fabbricazione del combustibile scaricato dal reattore americano di Elk River e per

l’ampliamento dell’intesa a tutti gli aspetti basati sul sistema uranio-torio391. Il progetto,

denominato Programma PCUT, subì però un notevole ridimensionamento tre anni dopo a seguito

della rinuncia dell’USAEC. Nel '66, invece, prese l’avvio il Programma sul riciclo del plutonio

nei reattori provati (ovvero di prima generazione) che, in stretta collaborazione con l’ENEL,

mirava a acquisire le conoscenze necessarie allo sviluppo di combustibile nucleare ceramico a

base di plutonio, finalizzato all’uso di questo metallo prodotto nei grossi impianti elettronucleari

già in funzione in Italia. Per questo motivo il CNEN costruì presso il centro di Casaccia un

impianto pilota nel '68, realizzato dalla SORIN392.

Certamente più importante si rivelò il Programma arricchimento uranio ideato con

l’obiettivo di sviluppare le capacità progettuali e realizzative dell’industria nazionale in questo

campo, al fine di permettere all’Italia la partecipazione alla realizzazione di un eventuale

impianto di arricchimento nell’ambito di iniziative comunitarie o internazionali che iniziavano a

profilarsi durante la seconda metà degli anni Sessanta393. Tutti i paesi tecnologicamente più

avanzati erano infatti già impegnati nello sviluppo di questi progetti: Stati Uniti, Francia, Unione

Sovietica, Gran Bretagna, Olanda, Repubblica Federale Tedesca, Belgio, Svizzera, Svezia,

Giappone e Cina. Con l’obiettivo di promuovere concrete collaborazioni in questo ambito, nel

dicembre del '67 si promosse la costituzione del CIAU cui partecipavano, oltre al CNEN e

all’ENEL, rappresentanti del Ministero dell’Industria e Commercio, della Confindustria, del

FIEN, dell’ENI, dell’IRI, della SNIA Viscosa, della FIAT e della Montedison394.

390 Cfr. E. De Leone, C. Dau Novelli, Dal CNEN all’ENEA. 1960-1982, in G. Paoloni (a cura di), Energia, ambiente, innovazione: dal CNRN all’ENEA, cit., pp. 110-111. 391 Cfr. Verbale della 76ª riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 12 novembre 1965, pp. 3-9, ASENEA. 392 Cfr. E. De Leone, C. Dau Novelli, Dal CNEN all’ENEA. 1960-1982, in G. Paoloni (a cura di), Energia, ambiente, innovazione: dal CNRN all’ENEA, cit., pp. 111-115. 393 Cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1967, Roma, 1968, p. 103, ASENEL. 394 Cfr. E. De Leone, C. Dau Novelli, Dal CNEN all’ENEA. 1960-1982, in G. Paoloni (a cura di), Energia, ambiente, innovazione: dal CNRN all’ENEA, cit., pp. 115-116.

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Un discorso a parte merita inoltre il progetto per la costruzione in Italia del cosiddetto

protosincrotrone da trecento Giga electron Volt ideato dal CERN. Un protosincrotrone o

sincrotrone per protoni era un tipo di acceleratore di particelle elementari per lo studio della

fisica subnucleare costruito per la prima volta nel '52 presso il Brookhaven National Laboratory

dello Stato di New York, conosciuto con il nome di Cosmotron, che poteva accelerare i fasci di

particelle all’energia di tre GeV. I promettenti risultati ottenuti da questo primo esperimento

spinsero gli scienziati del più grande laboratorio al mondo per la ricerca di fisica delle alte

energie a progettarne la realizzazione anche in Europa. Secondo un rapporto redatto

dall’ambasciatore presso il Centro Europeo delle Nazioni Unite, Justo Giusti del Giardino, la

realizzazione di un impianto simile avrebbe permesso agli Stati europei di mantenere in vita la

difficile competizione con gli USA in ambito scientifico e, soprattutto, avrebbe evitato quel

fenomeno che oggi viene identificato con il nome convenzionale di “fuga di cervelli”:

“La «grande macchina» progettata dal CERN [avrebbe consentito] all’Europa di mantenere

di fronte agli Stati Uniti e all’Unione Sovietica la posizione competitiva ora raggiunta per quanto

concerne[va] gli studi della fisica delle particelle elementari nel campo della fisica nucleare delle

alte energie. Ove non fosse possibile raggiungere un accordo europeo per la costruzione della

«grande macchina», [sarebbe stato] da prevedere sia un netto distanziamento scientifico

dell’Europa a favore americano e sovietico, sia una massiccia fuga da essa dei migliori scienziati

europei delle nuove generazioni, sia infine un grave danno nel settore dello sviluppo

tecnologico”395.

Per questo progetto ben nove paesi avevano offerto “siti” con le caratteristiche necessarie

per la realizzazione: Spagna, Francia, Belgio, Regno Unito, Norvegia, Svezia, Austria,

Repubblica Federale Tedesca e, come detto, Italia. Le due località della penisola identificate

erano Doberdò del Lago, in provincia di Gorizia, e Nardò, nel leccese; l’eventuale scelta di uno

dei due siti per la realizzazione del progetto avrebbe certamente giovato al prestigio italiano.

Tuttavia, l’intera opera necessitava di “una valutazione definitiva dei costi e dell’accertamento

della disponibilità degli Stati membri a realizzare il progetto […]. [Secondo il governo italiano,]

questi elementi [costituivano] premessa indispensabile [per evitare che l’Italia non si venisse a

trovare nella spiacevole situazione di non poter attuare il programma europeo]”396.

395 Progetto sul Protosincrotrone da 300 Gev, Telespresso n. 45/24882, inviato dal MAE, DGAE, CEE, Ufficio V alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Roma, 3 dicembre 1965, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 3, Presidenza del Consiglio dei ministri. Sottoserie Questioni diverse, Busta 15. 396 Lettera inviata dall’ambasciatore italiano presso il Centro Europeo delle Nazioni Unite, Justo Giusti del Giardino, al Presidente del Consiglio del CERN, M. G. W. Funke, Ginevra, gennaio 1967, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 3, Presidenza del Consiglio dei ministri. Sottoserie Questioni diverse, Busta 54.

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Escludendo il sito leccese data la sua perifericità, anche se ufficialmente questa

destinazione non si abbandonò mai, per avviare il progetto a Doberdò risultavano necessari

ulteriori “stanziamenti di 120 miliardi per 5 anni e di altri 12 miliardi all’anno per la maggiore

spesa di esercizio”397 in quanto la sede friulana era stata già concessa al Ministero della Difesa

che aveva provveduto alla costruzione di una base militare. La zona di Gorizia presentava infatti

l’annoso problema della vicinanza con la Jugoslavia di Tito e della questione triestina398,

spingendo il governo italiano a fortificare la zona di frontiera proprio a Doberdò. Tuttavia,

secondo il parere espresso dal presidente dell’INFN, Giorgio Salvini, sarebbe risultato

importantissimo per l’Italia associarsi al progetto europeo, anche nel caso in cui fosse stato

realizzato all’estero. Le spese eccessive della sede friulana avrebbero perfino inciso troppo

negativamente sui vantaggi economici derivanti dalla costruzione dell’impianto in territorio

italiano:

“La partecipazione italiana ad una impresa europea di tanto rilievo come la realizzazione

dell’acceleratore da 300 GeV [era] di straordinaria importanza, e […] l’Italia [doveva]

associarvisi anche nell’ipotesi che essa dovesse essere realizzata fuori dal nostro Paese. La

realizzazione della macchina in territorio italiano [avrebbe comportato] […] oltre che un grande

vantaggio tecnico, civile e scientifico, anche dei vantaggi economici assai rilevanti, ove si [fosse

considerato] che non meno del 50% del bilancio di funzionamento del Laboratorio europeo

sarebbe [stato] speso in territorio italiano. […] I vantaggi economici che [sarebbero derivati] –

tuttavia – […] sarebbero [stati] in gran parte annullati se alle spese relative alla partecipazione

alla costruzione della macchina […], ed alle spese a carico dell’Italia per le infrastrutture […],

dovessero aggiungersi le notevolissime, inattese spese (specifiche per il sito di Doberdò) per la

particolare riorganizzazione della zona per speciali esigenze non considerate nelle infrastrutture;

spese che […] risulterebbero [essere] pari a 240 miliardi di lire in 15 anni”399.

Come spesso avveniva una decisione così importante si rimandò a lungo per consentire

opportune valutazioni politiche400; ciò dimostrava che la scelta di costruire il protosincrotrone sul

397 Lettera inviata dal Presidente del Consiglio dei ministri, Aldo Moro, al ministro degli Affari Esteri, Amintore Fanfani, Roma, 26 maggio 1967, ibidem. 398 La questione triestina si risolse solo nel '75 con il Trattato di Osimo e con la cessione da parte italiana della zona B dell’ex Territorio Libero di Trieste, ovvero dell’Istria nord-occidentale. Per approfondimenti si veda, tra gli altri, M. Bucarelli, La questione jugoslava nella politica estera dell’Italia repubblicana (1945-1999), Roma, 2008. 399 Lettera inviata dal presidente dell’INFN, Giorgio Salvini, al Presidente del Consiglio dei ministri, Aldo Moro, Frascati, 8 luglio 1967, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 3, Presidenza del Consiglio dei ministri. Sottoserie Questioni diverse, Busta 11. 400 Nel dicembre del '67, infatti, in una lettera indirizzata a Fanfani il presidente del Consiglio, Aldo Moro, spiegava che “almeno fino al giugno dell’anno [successivo], in ragione delle elezioni politiche e regionali previste, non [si era] in grado di rinunciare a nessuno dei due siti previsti, né di assumere oneri così gravosi e in parte imprecisati, né ancor meno di ritirar[si] da un progetto europeo, che tanto interessa[va] i nostri scienziati. In tali condizioni […] [conveniva] continuare a pretendere che, prima di addivenire in sede internazionale ad una scelta del sito, siano studiate a fondo le implicazioni finanziarie, la ripartizione delle spese, le procedure per la scelta stessa e infine si [avessero] gli impegni fermi dei diversi Stati a partecipare all’impresa, qualunque [fosse]

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territorio italiano aveva un forte valenza politica, specie in funzione della località che si sarebbe

ufficialmente prescelta. In proposito, il ministro della Difesa, Roberto Tremelloni, fece pervenire

alla Presidenza del Consiglio il parere tecnico-militare del Consiglio Supremo di Difesa che si

opponeva con fermezza all’ipotesi di cambio di destinazione d’uso:

“La cessione dell’area di Doberdò – con la sua conseguente smilitarizzazione – non

rende[va] possibile una efficace difesa della nostra frontiera nord-orientale con le forze

disponibili e programmate. Difatti [si sarebbe venuto] a creare […] [un] vuoto difensivo […]

nella zona del Carso […]. [Tuttavia si decise]: di non porre riserve alla candidature dell’area di

Doberdò; che, se tale area [venisse] prescelta dal CERN, [sarebbero state] prese le necessarie

decisioni per garantire l’efficace difesa della frontiera nord-orientale […]. In conclusione, si

sottolinea[va] la necessità che l’eventuale cessione dell’area di Doberdò [fosse] subordinata al

finanziamento occorrente per l’adeguamento dello strumento militare”401.

L’uso della zona di Gorizia per la realizzazione del protosincrotrone avrebbe dunque

potuto arrecare problemi difensivi in virtù dei cattivi rapporti italo-jugoslavi, mentre il sito di

Nardò, per il quale Moro ci teneva particolarmente perché vicino alla sua terra nativa,

soddisfaceva le esigenze strutturali richieste: aveva un territorio sfruttabile, sicuro e molto più

vasto di quello di Doberdò per gli eventuali progressi futuri e si trovava, soprattutto, in un’area

depressa dell’Italia, rispondendo appieno alle esigenze di sviluppo del paese. I continui rinvii del

governo italiano non giocarono a favore della penisola e la scelta sul sito ricadde in un tunnel al

confine franco-svizzero, dove il cosiddetto Super Proton entrò in funzione nel '76.

Come se non bastasse, talvolta alla lentezza delle decisioni del governo si sommava

l’ostilità dei partner comunitari come nel caso del progetto di rinnovo dell’accordo italo-

britannico di cooperazione raggiunto nel '57 nel campo degli usi pacifici dell’energia nucleare. In

questa occasione, la Comunità europea espresse parere negativo alla richiesta italiana: secondo

quanto sostenuto dalla Commissione, nella proroga di intese simili si era “sempre ritenuto che

l’articolo 106 del Trattato, il quale fa obbligo agli Stati membri di avviare con gli Stati terzi

trattative volte a ottenere per quanto possibile la cessione alla Comunità dei diritti ed obblighi

l’esito della scelta del sito. Una simile scelta [era] perfettamente aderente alla prassi nel campo multilaterale ed [era] pienamente giustificata dalla logica che regge[va] una tale operazione. Se non si fosse sicuri del numero e della qualità dei contribuenti, si [sarebbe dovuto] temere che l’esito della scelta influisse negativamente sugli impegni definitivi e quindi sugli oneri che ognuno [avrebbe dovuto] sostenere. D’altra parte […] una tesi simile [era] stata sostenuta dalla Germania: […] dovremmo formalmente associarci a tale presa di posizione, precisando che l’Italia si [asteneva] dal prendere impegni e dal fare la richiesta «dichiarazione di intenzioni» fintantoché il progetto non [venga] esaminato nel suo complesso e soprattutto nei suoi aspetti finanziari” (Lettera inviata dal Presidente del Consiglio dei ministri, Aldo Moro, al ministro degli Affari Esteri, Amintore Fanfani, Roma, 9 dicembre 1967, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 3, Presidenza del Consiglio dei ministri. Sottoserie Questioni diverse, Busta 54). 401 Lettera inviata dal ministro della Difesa, Roberto Tremelloni, al Presidente del Consiglio dei ministri, Aldo Moro, Roma, 3 novembre 1967, ibidem.

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derivanti da tali accordi, si opponesse al rinnovo puro e semplice degli accordi bilaterali conclusi

anteriormente all’entrata in vigore del Trattato”402. Di fatto non era stato prorogato nessuno degli

accordi di questa natura:

“La transizione dal quadro bilaterale al quadro comunitario [era] stata del resto riconosciuta

normale da Stati terzi che [erano] parte di accordi bilaterali con Stati membri. […] per quanto

riguarda[va] la Gran Bretagna, […] sia nell’accordo italo-britannico del 28 dicembre 1957

(articolo II), sia nell’accordo di cooperazione EURATOM-Gran Bretagna (articolo XV), il

governo del Regno Unito si [era] esplicitamente dichiarato disposto ad intavolare delle trattative

volte ad ottenere la cessione alla Comunità dei diritti ed obblighi derivanti dagli accordi bilaterali

da esso conclusi. Mossa dalla preoccupazione di non creare discriminazioni tra gli Stati membri,

la Commissione non è in grado di rilasciare il suo benestare per la proroga dell’accordo italo-

britannico”403.

Nel quadro dell’utilizzazione pacifica dell’energia nucleare si registrarono infine una

serie di discussioni sul Trattato di Non Proliferazione nucleare; firmato il 1° luglio 1968,

l’accordo si poneva come obiettivo primario il mantenimento del controllo sulle applicazioni

pratiche degli studi sull’atomo, principalmente ad opera di Stati Uniti e di Unione Sovietica404. Il

trattato si basava su tre principi: disarmo, non proliferazione e uso pacifico del nucleare,

proibendo agli Stati firmatari non in possesso di armi atomiche di procurarsi questi armamenti e,

al contempo, ai paesi che disponevano di questi ultimi di fornire alle altre nazioni le tecnologie

belliche necessarie alla costruzione delle suddette armi405. Il trasferimento di queste tecniche

nucleari per scopi pacifici, che era invero uno degli obiettivi incoraggiati proprio dal TNP,

doveva avvenire sotto il controllo dell’AIEA, ma le limitazioni previste generarono una serie di

discussioni e polemiche con i paesi non nucleari. Era il caso, ad esempio, dell’Italia preoccupata

che i controlli generassero restrizioni troppo vincolanti perfino nell’utilizzazione pacifica del

nucleare406. In funzione di ciò, le nazioni che ancora non possedevano armi atomiche

402 “Accord de coopération sur l’énergie nucléaire entre l’Italie et le Royaume-Uni”, Communication de M. Martino, Commission des Communautés Européennes, Secrétariat Général, Bruxelles, 6 giugno 1968, HAEU, Fondo Edoardo Martino, n. 227. 403 Ibidem. 404 Il trattato fu sottoscritto da USA, URSS e Gran Bretagna e entrò in vigore il 5 marzo 1970; per approfondimenti si veda L. Nuti, La sfida nucleare, cit., pp. 287-345. 405 In pratica il trattato divise il mondo in due parti: gli Stati possessori di armi nucleari e quelli non. Tra i primi, cioè tra quelli che avevano fatto esplodere un ordigno atomico prima del 1° gennaio '67, figuravano Stati Uniti, Unione Sovietica, Gran Bretagna, Francia e Cina. 406 Per un approfondimento sui chiarimenti che l’Italia avrebbe dovuto chiedere prima di aderire al Trattato di Non Proliferazione nucleare si veda Lettera dell’ing. Giulio Cesoni a Emilio Bettini, Torino, 27 ottobre 1967, ASMAE, Fondo Emilio Bettini (1941-1983), busta 13. Per una testimonianza diretta si vedano Rapporto di Achille Albonetti dal titolo “Accesso degli Stati militarmente non nucleari - che hanno rinunciato alla produzione, all’acquisto e all’utilizzazione delle armi nucleari - alle tecnologie per l’utilizzo dell’energia nucleare, giugno 1968” in ibidem; E. Bettini (a cura di), Il Trattato contro la proliferazione nucleare, Bologna, 1968. Sulle iniziative italiane per la non proliferazione nucleare si vedano, tra gli altri, R. Gaja, L’Italia nel mondo bipolare: per una

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convocarono una conferenza a Ginevra dal 29 agosto al 29 settembre '68 per discutere sulle

conseguenze che si sarebbero potute avere dopo la firma del TNP407. Fra gli argomenti iscritti

all’ordine del giorno, oltre a quelli specificatamente militari, figuravano: la questione delle

esplorazioni pacifiche a beneficio dei paesi non nucleari, l’assistenza a questi ultimi firmatari del

TNP nell’attuazione dei loro programmi di attività pacifiche e l’accesso alle tecnologie sull’uso

non bellico degli studi sull’atomo408. L’Italia vi partecipò con il ministro degli Esteri, Giuseppe

Medici, il quale nel suo discorso sottolineò la necessità che il trattato fungesse anche da

strumento di garanzia per il libero accesso alle forniture dei materiali nucleari e per

l’acquisizione delle necessarie conoscenze tecnologiche per i paesi privi di armamenti atomici:

“In sostanza occorre[va] raggiungere i seguenti obiettivi: a) sviluppo delle ricerche nucleari,

della produzione e degli impieghi dell’energia nucleare per scopi pacifici, senza discriminazione,

o penalizzazioni economiche; b) piena partecipazione allo scambio di informazioni tecniche e

scientifiche in materia di impieghi pacifici; c) libero accesso, per i paesi non nucleari, alle

forniture dei combustibili nucleari e degli equipaggiamenti per impianti nucleari a scopi pacifici;

d) accordi che [avrebbero dovuto garantire] ai paesi non nucleari, firmatari del Trattato, la

disponibilità dei benefici derivanti da qualsiasi applicazione pacifica delle esplosioni nucleari; e)

conferimento ad un idoneo organismo internazionale, con adeguata rappresentanza degli stati

militarmente non nucleari delle funzioni relative alle esplosioni pacifiche”409.

I concomitanti eventi cecoslovacchi non favorirono però il dialogo: l’Unione Sovietica, a

poche settimane dalla firma del Trattato di non proliferazione nucleare, aveva infatti palesemente

violato la parte del preambolo dello stesso documento che faceva richiamo alle disposizioni della

Carta delle Nazioni Unite sull’impegno degli Stati a astenersi nei loro rapporti internazionali

dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di

ogni Stato410. Secondo il parere del capo della delegazione italiana alla conferenza dei paesi non

nucleari, però, “i temi politici, anche se taluni [erano] stati oggetto di riferimenti – tra cui quello

importantissimo degli avvenimenti cecoslovacchi, ai quali si [erano] riferiti, sia pure con misura storia della politica estera italiana (1943-1991), Bologna, 1995, pp. 173-179; A. Villani, L’Italia e l’ONU negli anni della coesistenza competitiva, cit., pp. 326-342. 407 Cfr. Appunto non firmato dal titolo “Conferenza dei Paesi non nucleari”, New York, 6 maggio 1968, ASMAE, Fondo Emilio Bettini (1941-1983), busta 14. 408 Cfr. Sintesi delle dieci memorie per la Conferenza dei non nucleari predisposte da esperti indipendenti, allegato di un appunto interno al MAE, DGAP, Ufficio XIV, non firmato, Roma, 19 agosto 1968, ibidem. Alla conferenza parteciparono le delegazioni di ben novantacinque governi (inclusi quelli dei quattro paesi nucleari Stati Uniti, Unione Sovietica, Francia e Gran Bretagna che non godevano però del diritto di voto) e di tre agenzie specializzate delle Nazioni Unite: AIEA, Organizzazione Internazionale del Lavoro e Organizzazione Meteorologica Mondiale (per approfondimenti si veda Relazione sullo svolgimento della Conferenza dei Paesi non nucleari, redatta dal presidente della delegazione italiana, Alberto Folchi, Roma, 30 settembre 1968, ibidem). 409 Discorso del senatore Giuseppe Medici ministro degli Affari Esteri della Repubblica Italiana alla conferenza dei paesi militarmente non nucleari, Ginevra, 5 settembre 1968, ibidem. 410 Cfr. art. 2, comma 4 della Carta delle Nazioni Unite.

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e senso di responsabilità, moltissimi oratori, e tra i più autorevoli, che [avevano] preso la parola

in plenaria – [avevano] avuto un’importanza marginale, e […] irrilevante”411. Ad ogni modo, le

deliberazioni approvate durante la conferenza dei paesi non nucleari furono oggetto di

discussione della XXIIIª riunione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite; in questa sede il

segretario generale, tra l’altro, fu incaricato di portare avanti una serie di iniziative volte a

perseguire gli scopi del summit di Ginevra e, in modo particolare, la parte relativa agli usi

pacifici dell’energia atomica412. L’Italia decise di aderire ufficialmente al TNP solo nel maggio

del '75.

1.7. La nuova crisi del CNEN

Anche se il numero dei progetti e degli studi avviati era notevole e le collaborazioni fra

CNEN, industria italiana, EURATOM e altre società internazionali apparivano altrettanto

consistenti, mancava un forte centro di coordinamento nazionale che godesse di un consenso

unanime, sia al suo interno, sia da parte delle forze governative e che, soprattutto, riuscisse a

ottenere i finanziamenti necessari per proseguire i programmi in corso. Fra il '65 e il '67 si

susseguirono infatti una serie di scontri tra Ferrante Pierantoni, capo progetto dell’Associazione

EURATOM-CNEN per i reattori veloci, e i capi direttivi dei quattro settori incaricati del

coordinamento delle attività del Comitato. Forse alla base di queste divergenze, che assunsero a

volte anche toni aspri, vi era la precaria situazione economica in cui versava il CNEN. L’allora

presidente, nonché ministro dell’Industria, Commercio e Artigianato, Giulio Andreotti, decise

quindi di adottare nuovamente una organizzazione piramidale. Tuttavia, nel dicembre '68

Andreotti lasciò la carica ministeriale e il Parlamento fu chiamato a discutere un’ulteriore legge

di riforma del Comitato. Il CNEN, nel frattempo, fu praticamente abbandonato a se stesso e lo

sviluppo di una nuova programmazione strategica rimase praticamente assente fino agli inizi

degli anni Settanta.

Nel tentativo di rivitalizzare i progetti di ricerca in corso e di avviare una rinnovata

strategia programmatica, il segretario generale del Comitato, Giovanni Calderale, nel '70 mise in

funzione un Gruppo di lavoro per l’area tecnologica, composto dai direttori dei settori, dei Centri

e dei Programmi, che, alla luce della ridotta disponibilità finanziaria, avrebbe dovuto avanzare

proposte alla Commissione direttiva. Il GLAT constatò la necessità di operare ulteriori

411 Relazione sullo svolgimento della Conferenza dei Paesi non nucleari, redatta dal presidente della delegazioni italiana, Alberto Folchi, Roma, 30 settembre 1968, ASMAE, Fondo Emilio Bettini (1941-1983), busta 14. Molto interessanti, ad esempio, i commenti relativi alle deliberazioni approvate durante questo summit e i giudizi sui risultati ottenuti dall’Italia. 412 Per approfondimenti si veda Conclusione dei lavori della XXIII Assemblea Generale dell’Onu sulla questione della Conferenza dei Paesi non nucleari, Telespresso n. 064/0018/C, MAE, DGAP, Ufficio XIV, Roma, 9 gennaio 1969, ibidem.

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pesantissimi tagli su alcuni dei grandi Programmi tecnologici in atto, con notevoli ripercussioni

sull’intero sviluppo dell’industria nucleare nazionale. Legge n. 1240 del 15 dicembre '71 cercò in

qualche modo di risollevare le attività del Comitato operando una netta ristrutturazione

dell’organizzazione interna: si soppresse la figura del segretario generale che si sostituì con un

direttore generale con compiti e funzioni ben definiti. Il presidente del Comitato, secondo quanto

previsto dalla nuova normativa, non sarebbe più stato il ministro dell’Industria e Commercio; si

assegnò dunque l’incarico a Ezio Clementel, uno dei primi direttori delle ricerche del CNRN che

aveva ricoperto per vent’anni il ruolo di direttore del centro di Bologna del CNEN.

Vicepresidente rimase Carlo Salvetti, mentre si nominò direttore generale Gianfranco Franco. La

nuova struttura del Comitato prevedeva un modello piramidale che eliminava i settori precedenti

e costituiva dei dipartimenti con la responsabilità gerarchica dei laboratori. Si istituirono un

Consiglio di amministrazione e una giunta esecutiva in luogo della commissione direttiva413.

Inoltre, l’articolo 2 ampliava e precisava le mansioni del Comitato:

“[Il CNEN aveva il compito, tra gli altri]: - di effettuare, anche su commessa, e promuovere

studi, ricerche ed esperienze curandone l’opportuno coordinamento, nel campo delle discipline

nucleari, dei relativi impianti e della protezione dalle radiazioni ionizzanti; - di provvedere, in

collaborazione con le industrie nazionali specializzate nel settore, alla progettazione, costruzione

e sviluppo di prototipi di reattori di impianti e di componenti nucleari prototipi, sperimentali e

pilota, ivi compresi quelli relativi al combustibile nucleare, al suo riprocessamento ed alla

utilizzazione di materiali di interesse nucleare e delle relative tecnologia. In mancanza della

prevista collaborazione, il CNEN [avrebbe potuto] provvedere direttamente alle realizzazione di

cui sopra, previo parere del CIPE”414.

Nel perseguimento dei suoi compiti il CNEN poteva dunque affidare a terzi qualificati

l’esecuzione di studi e esperienze, associarsi contrattualmente con industrie e assumere

partecipazioni di minoranza in società per azioni, consorzi industriali e società a statuto

internazionale che avessero come fine l’uso pacifico dell’energia nucleare. Infine, gli articoli 25,

26 e 27 della legge stabilivano il distacco definitivo dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare dal

CNEN, riconoscendo l’INFN come ente autonomo, posto sotto la sorveglianza del Ministero

della Pubblica Istruzione e sottoposto alle direttive del CIPE.

413 Cfr. “Norme relative alla ristrutturazione del Comitato nazionale per l’energia nucleare (CNEN)”, legge n. 1240 del 15 dicembre 1971. 414 Ibidem, art. 2.

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Tuttavia, nonostante l’ulteriore riorganizzazione interna, il Comitato si avviava a

ricoprire inevitabilmente un ruolo sempre più marginale nel quadro della politica nucleare

italiana.

2. La politica petrolifera italiana durante gli anni Sessanta

2.1. L’ENI dopo Mattei

Dopo la morte di Mattei, Marcello Boldrini divenne presidente dell’ENI anche se di fatto

fu Eugenio Cefis, in qualità di vicepresidente, a predisporre i piani dell’ente statale415.

Quest’ultimo aveva affiancato l’ingegnere marchigiano fin dal 1948 nella ristrutturazione

dell’AGIP e nella creazione e nello sviluppo dell’ENI stesso416. Gli ottimi rapporti fra i due

improvvisamente subirono una battuta d’arresto quando nel gennaio '62 Cefis decise di lasciare

l’ENI. Questa scelta suscitò notevoli perplessità perché molti la associarono alle contingenze e

agli sviluppi successivi: in quel momento Mattei stava negoziando con Ben Bella la costruzione

di un metanodotto fra Italia e Algeria, nonostante le offerte americane di collaborazione. Le

dimissioni di Cefis sembravano dunque in qualche modo collegate alla volontà del presidente

dell’ENI di concludere l’accordo con gli algerini417. Con l’incidente di Bascapè, il progetto finì

nel dimenticatoio e, anzi, Cefis, ritornato in società e insediatosi ai vertici, fu tra gli artefici dello

smantellamento di gran parte dei progetti matteiani e del cambiamento dell’intera politica

dell’ENI418. Il nuovo vicepresidente preferì accordarsi con la ESSO per la fornitura di gas libico

da trasportare dalla Libia a Panigaglia, vanificando così il lavoro di Mattei relativamente

all’accordo con algerini e francesi e innescando non poche proteste da parte di questi ultimi e di

molti paesi produttori mediorientali419. Al di là di tutto, restava il fatto che da quel momento in

poi ci si confrontò con un Ente Nazionale Idrocarburi completamente diverso dal passato; anche

se all’interno della nuova direzione non tutti erano favorevoli al cambiamento: fra questi

415 Cfr. G. Galli, La sfida perduta: biografia politica di Enrico Mattei, cit., p. 217. 416 Cefis e Mattei si erano conosciuti durante il periodo della Resistenza nella formazione partigiana Valtoce (Valle d’Ossola). Durante quegli anni, secondo quanto riportato da Buccianti, nacque anche uno stretto rapporto tra Cefis e l’Office of Strategic Services, l’intelligence americana che nel '47 divenne nota con il nome CIA (cfr. G. Buccianti, Enrico Mattei, cit., p. 267). Per un approfondimento sugli eventi riguardanti Mattei negli anni della Resistenza si veda C. M. Lomartire, Mattei: storia dell’italiano che sfidò i signori del petrolio, cit., p. 42 e ss. 417 Per un’analisi sulla figura di Eugenio Cefis e le perplessità generate con le sue dimissioni dall’ENI cfr. G. Buccianti, Enrico Mattei, cit., pp. 266-273; B. Li Vigni, Il caso Mattei: un giallo italiano, cit., p. 24 e ss. 418 Cfr. G. Galli, La sfida perduta: biografia politica di Enrico Mattei, cit., pp. 216-218; G. Sapelli, F. Carnevali, Uno sviluppo tra politica e strategia. ENI (1953-1985), cit., pp. 50-53. 419 Per approfondimenti si veda D. Pozzi, Dai gatti selvaggi al cane a sei zampe, cit., pp. 459-498.

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l’ingegnere Raffaele Girotti, uno dei contendenti per la stessa presidenza, fautore convinto della

continuazione della politica matteiana420.

Fra le cause ritenute favorevoli alla nascita e alla caratterizzazione della politica di Enrico

Mattei vengono spesso annoverate l’instabilità del quadro istituzionale, il correntismo interno e il

frazionamento esterno dei partiti, la povertà di risorse petrolifere nazionali e di materie prime in

generale, nonché l’assenza di ingenti capitali da investire. In questo quadro, la morte di una

personalità forte come quella di De Gasperi accentuò i problemi italiani e creò quel vuoto di

potere in cui Mattei riuscì a inserirsi421. Approfittando di questa situazione, egli promosse

un’azione politica autonoma caratterizzata, tra l’altro, da finanziamenti a gruppi politici e da

consultazioni dirette, mediante la stipula di accordi, con capi di Stato e di governo esteri, spesso

senza che lo stesso esecutivo italiano ne fosse al corrente. Mentre il quadro politico interno

continuò a mostrare una certa instabilità, negli ultimi anni di vita di Mattei cominciarono a

affiorare nuove personalità in grado di contrastare efficacemente le sue scelte. Dopo l’incidente

di Bascapè sarebbe stato quindi difficile per la nuova dirigenza della società petrolifera nazionale

procedere sulla stessa strada e con gli stessi metodi; risultò complicato, in particolare, proseguire

la via antagonista nei confronti degli interessi petroliferi delle cosiddette “sette sorelle”.

Diversi furono gli studi ufficiali effettuati sul ruolo dell’ENI nel quadro delle relazioni

estere e dei rapporti con le altre società petrolifere internazionali negli ultimi anni di vita

dell’ingegnere marchigiano e nei mesi immediatamente successivi. In particolare, in una analisi

redatta dal Foreign Office nel luglio del '63, era messa in rilievo la difficile situazione economica

dell’ENI:

“We know that [ENI is] heavily in debt and that the Italian Governement[s] are not so keen

as they have been in the past to provide [to ENI] further credit”422.

Il maggiore timore risiedeva nella possibilità che la nuova dirigenza ricercasse

concessioni o accordi sul territorio dell’Iraq; in questo caso “their feud with the international oil

companies would enter an altogether more serious phase”423. In via prioritaria, ogni compagnia

petrolifera doveva assicurarsi dei mercati adeguati in cui operare e la sola via per raggiungere

una posizione solida passava attraverso la costruzione in proprio o in società di una raffineria.

420 Cfr. Letter from the Foreign Office (Mr. Miles) to Minister of Power (Mr. Wright), London, 31 luglio 1963, TNA, FO, 371/172544. 421 Per un’analisi dettaglia sulla situazione politica italiana negli anni di De Gasperi e sull’ascesa di Mattei si veda, tra gli altri, L. Maugeri, L'arma del petrolio, cit., pp. 299-312. 422 Letter from the E.R.D., Foreign Office (Mr. A. T. Lamb) to Central Department (Mr. K. B. A. Scott), London, 15 luglio 1963, TNA., FO, 371/172544. 423 Ibidem.

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Tuttavia, anche in questo modo una compagnia petrolifera avrebbe dovuto affrontare la

competizione spietata del mercato a meno che non fosse stata in grado di ottenere un qualche

tipo di protezione da parte del governo locale, come si era spesso verificato del caso dell’ENI

che:

“[…] has been assiduous in seeking protection of this kind and in seeking agreements which

give its refineries a monopoly. This has led to direct conflict with the international oil

companies”424.

Sulla falsariga di quanto realizzato in passato l’ente petrolifero italiano, ora in

collaborazione con la ESSO, aveva negoziato intese dello stesso genere in India, Nigeria, Malta,

Kenya, Somalia e Sudan e stava avviando trattative simili con i governi di Pakistan, Ceylon e

Mauritius. La situazione dopo la morte di Mattei era però apparsa in via di mutamento anche agli

occhi di osservatori esterni:

“ENI’s propaganda may have lost some of its bitterness […], [although it was believed that]

ENI’s trading tactics [were] certainly no less aggressive than before”425.

La precedente ostilità fra Italia e Gran Bretagna nel settore petrolifero non era comunque

stata sufficiente a interrompere le collaborazioni tra i due paesi in altri settori commerciali;

l’impegno del governo di Sua Maestà sarebbe ora stato quello di persuadere l’Italia sui vantaggi

di una cooperazione anche nel campo petrolifero.

Uno studio effettuato dalla CIA nell’aprile del '64 presentava invece un taglio più

politico; nell’analizzare la nuova leadership dell’ENI si riconosceva che essa aveva dimostrato la

stessa dinamicità di Mattei e si riscontrava un certo appoggio della coalizione di centrosinistra al

nuovo corso:

“Premier Moro and his ministers are preoccupied with more pressing problems, and ENI

continues to enjoy a certain immunity from criticism because it has been so consistently

successful. Still expanding, at home and abroad, ENI has continued its efforts to increase trade

with the URSS and to improve relations with Us and other foreign oil companies, and its has been

even more energetic in pushing its African ventures than in Mattei’s day”426.

424 Ibidem. 425 Ibidem. 426 Special Report, Recent Activities of Italy’s State Petroleum Corporation, Central Intelligence Agency (CIA), Office of Current Intelligence, Rome, April 17, 1964, LBJL, NSF, Country File, Italy, Box 196.

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Dal canto suo il governo italiano era impegnato a fronteggiare difficoltà economiche cui

aveva cercato di porre in parte rimedio attraverso una legge che mirava a un maggior controllo

da parte dell’esecutivo sulle attività delle aziende statali. Sempre secondo l’analisi della CIA, la

nuova dirigenza dell’ENI si stava battendo contro alcuni tentativi di abrogare il monopolio

sull’esplorazione del petrolio nazionale e si poneva in sostanziale continuità con la “Mattei’s

policy of aggressively seeking new sources of cheap oil in any part of the world”427. Nel '63,

infatti, Boldrini aveva firmato un nuovo accordo della durata di sette anni con Mosca per

l’acquisto di quatto milioni e duecento mila tonnellate all’anno di greggio, riducendo così in

maniera considerevole la dipendenza dell’ENI dalle maggiori compagnie petrolifere occidentali.

Il nuovo presidente dell’ente petrolifero italiano aveva tuttavia più volte espresso il desiderio di

fare progressi in “developing business arrangements with US oil companies”428. In definitiva,

dallo Special Report della CIA sembrava emergere una cauta previsione circa l’evoluzione dei

rapporti dell’ENI con il governo anche in ragione del riconoscimento conclusivo di un ruolo di

rilievo nella ricostruzione economica del dopoguerra:

“Future Italian governments will probably continue to underwrite ENI’s efforts. It is also

likely, however, that in due course efforts may be made to curtail ENI’s activities. Since ENI is

one of the most important organizations in all Italian industry, it and other government agencies

would inevitably be affected by any determined effort to reshape the country’s economy along

more rational lines. Such an effort is, however, not yet in sight, and so far ENI has apparently not

even become a subject of active party controversy. The magnitude of the other problems calling

for drastic reform […] is so great that the present government may well be content to leave

relatively undisturbed an organization which has been a major factor in achieving Italy’s postwar

economy miracle, in helping to rehabilitate Southern Italy, and in boosting Italian prestige

abroad”429.

Anche secondo le informazioni raccolte dall’Ambasciata di Francia in Italia, il

mutamento al vertice non impediva di rintracciare una certa continuità negli indirizzi generali:

“Pour faire pièce aux grandes compagnies pétrolières, l’ENI, sour [sic!] la direction de

Mattei, dont la politique, après sa mort, se poursuit de façon plus assagie, s'efforce de séduire les

427 Ibidem. 428 Ibidem. 429 Ibidem.

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pays d'Afrique et du Moyen-Orient par des contrats particulièrement favorables et la constitution

de sociétés mixtes”430.

Per la diplomazia d’oltralpe la maggiore prudenza mostrata dalla nuova dirigenza nulla

toglieva quindi alla continuità di una politica mirante sempre a “s’assurer […] des zones

autonomes d’approvisionnement, à y distribuer sa production et à en assurer le raffinage”431. Pur

evitando ogni aperto antagonismo con le compagnie petrolifere anglo-americane, si poteva in

effetti ragionevolmente ritenere che la nuova dirigenza continuasse le attività di ricerca e di

collaborazione con quei governi e quelle istituzioni laddove esistevano ancora spazi di manovra

autonomi da poter sfruttare a vantaggio degli interessi italiani. Rispetto al periodo precedente

non si registrarono dunque significativi mutamenti nelle strategie dell’ENI, quanto piuttosto una

serie di piccole trasformazioni432. La più importante di queste riguardò proprio la prospettiva

energetica: da ricercatore e produttore di petrolio, l’ente divenne gradualmente compratore di

greggio altrui, rallentando contemporaneamente lo sviluppo della capacità di raffinazione. I

giacimenti nazionali di metano si stavano esaurendo, mentre la domanda interna cresceva e

quindi apparve necessario avviare un forte programma di importazione. Rientravano in questo

quadro gli accordi con la Standard Oil e la Gulf Oil, così come quelli già citati con l’URSS e la

ESSO. L’ENI entrò pertanto ufficialmente a far parte del sistema internazionale petrolifero tanto

osteggiato da Mattei; si trattava, in fondo, dell’unica strada possibile per garantire un

approvvigionamento adeguato al paese e, d’altra parte, lo stesso ex presidente dell’ENI aveva a

suo tempo inaugurato questa nuova linea programmatica mediante le trattative avviate con gli

USA.

Nell’ambito di questo percorso si procedette alla fusione nel '62 dell’AGIP Mineraria

direttamente nell’AGIP, attraverso la costituzione, all’interno di quest’ultima, di una direzione

autonoma. Nel giro di poco tempo si liquidarono tutte le società minerarie che operavano in

Italia a eccezione della SOMICEM433. Nel frattempo, le nuove perforazioni effettuate dalla

direzione mineraria dell’AGIP sulla penisola portarono alla scoperta di numerosi giacimenti ma

430 Télégramme de l'Ambassade de France en Italie au Ministère des Affaires Étrangères, Rome, 21 gennaio 1965, MAEF, Archives Diplomatiques, Afrique Levant, EU 65-70, Italie. 431 Ibidem. 432 All’interno dell’azienda il post-Mattei “è stato molto duro e difficile perché la morte di quello che noi giovani chiamavamo «il principale» ha segnato anche un salto culturale rispetto al modo di fare impresa al quale eravamo abituati quando lui era il presidente dell’ENI. E questo perché mentre l’ing. Mattei aveva creato un rapporto di grande familiarità con tutti i suoi lavoratori (non usava mai la parola dipendenti) e particolarmente caldo con i suoi dirigenti (l’età massima che aveva fissa per nominarli erano trentacinque anni), i presidenti che si succedettero lavoravano con ristretti gruppi di dirigenti […] ma molti di noi hanno continuato a lavorare secondo gli schemi culturali e comportamentali di Mattei, conservando la filosofia di fondo ma naturalmente adeguando la gestione dei business alle mutevoli realtà del mercato” (TRA dal dott. Giuseppe Accorinti). 433 Sulle attività della SOMICEM si veda D. Pozzi, Dai gatti selvaggi al cane a sei zampe, cit., pp. 314-323.

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tutti di gas naturale434. Inoltre, fra il '63 e il '71 l’AGIP acquistò diversi permessi di ricerca in

numerosi Stati, costituendo nuove società, fra cui l’AGIP United Kingdom e la Norsk AGIP che,

in un consorzio con la Phillips Petroleum, ottennero autorizzazioni di ricerca per lo sfruttamento

del petrolio del Mare del Nord435. Nonostante tutto, le principali zone di produzione di greggio

rimasero in ogni caso quelle già avviate da Mattei. Nel campo della distribuzione, nel '63 si

iniziarono anche una serie di costruzioni di tronchi di condutture in virtù del progetto CEL,

l’oleodotto dell’Europa orientale che l’ex presidente dell’ENI aveva fortemente voluto. Le

direttive principali della politica petrolifera dell’Ente Nazionale Idrocarburi rimasero dunque

invariate, anche se emergeva con sempre maggiore chiarezza la necessità di impostare una

politica energetica globale.

2.2. L’ENI e il nucleare

Il 14 novembre '67 si promulgò la legge n. 1153 che integrava e modificava la precedente

norma istitutiva dell’Ente Nazionale Idrocarburi (n. 136 del 10 febbraio 1953). Secondo il nuovo

articolo 1:

“L’ENI [aveva], altresì, il compito di promuovere ed attuare iniziative di interesse nazionale

nei settori della chimica e della ricerca, produzione, rigenerazione e vendita dei combustibili

nucleari, nonché nel settore minerario attinente a questa attività. L'intervento in altri settori,

previa autorizzazione formale del Ministro per le partecipazioni statali, [era] consentito solo in

quanto essi [fossero] collegati con quelli fondamentali degli idrocarburi, dei vapori naturali, della

chimica e dei combustibili nucleari da un vincolo di strumentalità, accessorietà o

complementarietà. L'ente, oltre a gestire le partecipazioni già acquisite, [poteva] assumere, previa

autorizzazione formale del Ministro per le partecipazioni statali, nuove partecipazioni […] anche

nei settori della chimica e dei combustibili nucleari” 436.

Grazie a questa integrazione legislativa, l’ENI accentuò la propria presenza nei settori

della ricerca dell’uranio, dei combustibili per centrali nucleari e del ritrattamento dell’uranio

irradiato. In particolare, per quanto riguardava l’uranio la situazione dell’approvvigionamento in

Italia era stata giudicata particolarmente critica da uno studio effettuato dal CNEN nel luglio

dello stesso anno. Fino a quel momento, il mercato di questo combustibile era stato caratterizzato

434 Cfr. M. Magini, L'Italia e il petrolio tra storia e cronologia, cit., p. 183. 435 Ibidem, p. 185. 436 Legge n. 1153 del 14 novembre 1967, art. 1.

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da un eccesso dell’offerta sulla domanda ma ci si stava gradualmente avviando verso una

pericolosa inversione di tendenza. A differenza di quanto accaduto in altri paesi, l’Italia non

aveva ancora fatto nulla sul fronte della ricerca e dell’approvvigionamento dell’uranio. In base

all’analisi del CNEN, infatti, le prospezioni fino a quel momento eseguite sul territorio nazionale

erano state limitate alla superficie e quindi urgeva avviare nuovi studi che approfondissero la

reale situazione delle riserve interne. Solo in questo modo si sarebbe potuto affrontare, senza

ulteriori ritardi, il problema dell’approvvigionamento dell’uranio che risultava necessario per

portare avanti una politica nucleare nazionale. Ad ogni modo, la partecipazione dell’Italia a

iniziative internazionali del settore era ancora possibile, ma più il tempo trascorreva, meno

possibilità si profilavano per aderire ai progetti più promettenti:

“Il genere di iniziative intraprese dagli altri Paesi, la distribuzione geografica delle riserve, la

coalizione di grandi complessi finanziari interessati nello sfruttamento dei giacimenti, gli interessi

commerciali dei costruttori di centrali o dei fornitori di elementi di combustibile, particolari

aspetti politici, [potevano] rendere il mercato difficile per coloro che non [erano] inseriti nel ciclo

produttivo. […] I Paesi che [prevedevano] uno sviluppo dei programmi nucleari, [avevano] già

affrontato questi problemi ed [avevano] posto in essere le prime azioni tendenti a procurarsi

l’uranio occorrente per far fronte ai fabbisogni a medio ed a lungo termine. Le diverse linee di

azione adottate [erano]: 1) una ripresa e una intensificazione delle prospezioni sul territorio

nazionale per individuare giacimenti sfruttabili economicamente; 2) la stipulazione di accordi

internazionali tendenti ad assicurarsi lo sfruttamento dei giacimenti uraniferi individuati in altri

Paesi dalle squadre di prospezione – nazionali o plurinazionali – operanti in base agli stessi

accordi; 3) [erano] anche stati stipulati contratti di fornitura a lungo termine, per esempio

dall’Inghilterra con il Canada, da gruppi privati tedeschi con produttori sud-africani, etc. In Italia

le riserve accertate e possibili non [erano] allo stato attuale delle conoscenze, tali da garantire la

copertura dei fabbisogni nazionali. Tuttavia [era] da considerare il fatto che le prospezioni fino ad

oggi effettuate, tranne che in qualche caso, [erano] state limitate alla superficie ed [era] quindi

probabile che uno studio in profondità delle anomalie individuate [potesse] modificare in modo

sostanziale l’ammontare delle nostre riserve. L’Italia [aveva] ancora la possibilità di partecipare a

promettenti iniziative internazionali; [era] certo che con il passare del tempo [diveniva] via via

più difficile partecipare alle iniziative più interessanti. […] Si ritene[va] [dunque] necessario

affrontare senza ulteriori ritardi il problema dell’approvvigionamento di uranio in Italia e definire

di conseguenza una linea politica nazionale. Occorre[va] pertanto esaminare tutti i mezzi possibili

atti ad assicurare l’approvvigionamento di uranio naturale alle migliori condizioni sia per quanto

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riguardava il costo, sia per quanto riguardava la sicurezza di approvvigionamento basandosi su

fonti interne od esterne”437.

Nel quadro di una efficace politica energetica il problema dell’approvvigionamento di

uranio non poteva quindi essere ignorato. Con questa politica ci si proponeva, da un lato, di

disporre di energia a basso costo e, dall’altro lato, di garantirsi la certezza del rifornimento di

combustibile. L’energia nucleare consentiva di raggiungere il primo obiettivo in quanto le

innovazioni raggiunte e gli investimenti effettuati permettevano a questa tipologia energetica di

essere già disponibile durante il 1967 a costi inferiori rispetto a quelli delle altre fonti. Più

urgente appariva invece l’avvio di una politica che mirasse a assicurare l’adeguato

approvvigionamento di uranio, sia naturale che arricchito438. Per quanto riguardava il primo

combustibile, i potenziali venditori erano soltanto il Canada, gli Stati Uniti e il Sud Africa con

l’intero mercato di fatto controllato da poche società minerarie riconducibili a questi Stati;

l’uranio arricchito derivava invece quasi esclusivamente dagli impianti statunitensi, gli unici in

grado di assicurare una copertura dei fabbisogni mondiali439. Era quindi evidente che la crescita

dell’importanza dell’approvvigionamento di combustibile nucleare per l’Italia risultava collegata

alla potenza nucleare installata, ma anche alla scarsità delle risorse energetiche interne per cui

l’energia atomica rappresentava l’unica fonte, anche se di importazione, in grado di soddisfare i

requisiti della sicurezza di rifornimento energetico e di contenimento dei costi.

A partire dalla fine del '67 i tentativi avviati in questa direzione da parte dell’ENI si

moltiplicarono. L’anno successivo la SOMIREN riuscì a ottenere permessi di ricerca in Kenia e

437 Il problema dell’approvvigionamento di uranio in Italia, Doc. CNEN (67)250, Verbale della 136ª riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, luglio 1967, ASENEA. 438 In questo contesto, dopo la promulgazione della legge n. 1153 del 14 novembre '67, il presidente del CNEN, Giulio Andreotti, durante la riunione della Commissione direttiva del 15 dicembre sottolineò ufficialmente “la necessità di stringere contatti al più presto con [l’ENI] al fine di procedere con unità di obiettivi”. A questa affermazione fecero seguito le parole del vicepresidente del CNEN, Carlo Salvetti, per cui il Comitato era “pronto a mettere a disposizione delle industrie, in particolare dell’ENI, tutti i dati a disposizione [per eventuali sviluppi di soluzioni integrate derivanti da accordi per la ricerca e lo sfruttamento di giacimenti uraniferi all’estero] nonché ad offrire una collaborazione operativa da parte dei suoi gruppi di geologi che [avevano] compiuto prospezioni in Italia al fine di evitare duplicazioni o ripetizioni di lavoro” (Verbale della 136ª riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 15 dicembre 1967, p. 14, ASENEA). Nessuna dichiarazione sulla necessità di collaborazione tra CNEN, ENI e ENEL nel settore dell’approvvigionamento di uranio fu fatta da Angelini che, come noto, era sia membro della Commissione direttiva del CNEN che direttore generale dell’ENEL. L’impressione era che a quest’ultimo la legge n. 1153 del 14 novembre '67 non piacesse affatto e che tra l’ENEL e l’ENI continuasse a esistere una sorta di antagonismo nel settore nucleare. 439 Il 24 maggio '67 la Commissione dell’EURATOM effettuà uno studio sui problemi relativi all’approvvigionamento di uranio arricchito all’interno della Comunità giungendo alla conclusione che “in base ai programmi di sviluppo elaborati nei Paesi del Mondo Occidentale, gli impianti di arricchimento attualmente esistenti non sarebbero più [stati] sufficienti verso il 1980 a coprire il previsto fabbisogno globale di uranio arricchito di tali Paesi, per cui […] [veniva] ritenuto necessario procedere con sollecitudine allo studio delle soluzioni possibili e dei provvedimenti da adottare”. In particolare, la Commissione reputava non ci fossero valide alternative alla realizzazione di un grande impianto nella Comunità [Commenti alla relazione EURATOM: “Problemi relativi alla disponibilità di un impianto di arricchimento dell’uranio nella Comunità Europea (Doc. EUR/C/1800/2/67 del 24 maggio 1967), Lettera del vicepresidente dell’ENI, Raffaele Girotti, al Sottosegretario di Stato del Ministero dell’Industria, Commercio e Artigianato, Franco Maria Malfatti, Roma, 14 settembre 1967, ASE, coll. I. V. 4, udc. 280]. Uno studio analogo sull’approvvigionamento del combustibile nucleare, anche se molto più dettagliato e ricco di valutazioni tecniche, venne redatto dal CNR in novembre (cfr. Approvvigionamento a medio e lungo termine delle materie prime essenziali per la fabbricazione dei combustibili nucleari, Roma, novembre 1967, ACS, Fondo CNR, Presidenza Caglioti, Busta 1).

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in Somalia e stipulò un accordo con la società canadese Denison Mines per ricerche congiunte in

concessioni da questa già acquisite nel Wyoming e nel Montana440. Nel '69 gli accordi si estesero

al Canada e alla Guyana441, mentre in Kenia la SOMIREN riuscì a ottenere un secondo permesso

di ricerca. Nel '70 l’AGIP Nucleare acquisì una partecipazione dell’8,125% nella società

francese SOMAIR, titolare di un’importante concessione nel Niger; altre joint venture si

realizzarono in Australia, mentre in Italia si continuava a esplorare la zona della Val Seriana442.

Decisamente più rilevante fu l’accordo triennale stipulato nel '68 mediante la società

Combustibili Nucleari, costituita su basi paritetiche dalla SOMIREN e dalla britannica

UKAEA 443, per la fornitura all’ENEL della metà del combustibile occorrente per la centrale

elettronucleare di Latina444. Oltretutto, la SNAM Progetti, in collaborazione con la BPD,

completò l’impianto pilota EUREX per il ritrattamento di combustibili irradiati, dietro commessa

del CNEN445. Di fatto, dunque, dalla fine del '67 l’ENI si occupò di gestire, assieme all’ENEL

ma spesso anche in maniera del tutto autonoma, una parte delle più importanti trattative di

cooperazione internazionale nel settore dell’energia nucleare446. Ciò trovò conferma anche nella

lettera del 21 febbraio '68 che l’amministratore generale del Commissariat à l’Energie Atomique

e dell’Electricité, Robert Hirsch, indirizzò direttamente al presidente dell’ENI, Eugenio Cefis,

sulla possibilità di intavolare trattative per lo sviluppo dei reattori veloci in Italia e in Francia447.

Inoltre, per quanto concerneva le ricerche di minerali di uranio sul territorio della penisola,

durante una riunione tenutasi il 17 novembre 1968 tra l’ENI e il CNEN si decise una più stretta

440 Cfr. Incontro a Toronto del 19 giugno 1968 presso gli uffici della Denison, resoconto preparato dall’ing. A. Turchi dell’ENI, ASE, coll. I. V. 4, udc. 285. 441 Cfr. Nuova iniziativa di ricerca di minerali uraniferi nel Quebec (Canada) e nella Guyana (ex Guayana Britannica), Lettera del vicepresidente dell’ENI, Raffale Girotti, al presidente della SNAM Progetti S.p.a., Mario Campanini Mescoli, San Donato Milanese, 2 dicembre 1968, ASE, coll. I. V. 6, udc. 301. 442 Per approfondimenti si veda M. Magini, L'Italia e il petrolio tra storia e cronologia, cit., pp. 196-197. Contratti per la fornitura di combustibile nucleare vennero sottoscritti direttamente anche dall’ENEL; nel '68, ad esempio, si stipularono accordi con la SIEN e l’UKAEA (cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1968, Roma, 1969, p. 117, ASENEL). 443 Cfr. Costituzione della Combustibili Nucleari S.p.A., promemoria per l’ing, Girotti (M. Campanini), San Donato Milanese, 11 ottobre 1967, ASE, coll. I. V. 6, udc. 301. L’accordo fu la conseguenza diretta dell’intesa siglata tra la SNAM Progetti e la TNPG che prevedeva “un’azione congiunta di propaganda per i reattori AGR, tipo perfezionato di reattore raffreddato a gas, e la collaborazione nella progettazione e nella costruzione di impianti nucleari di potenza utilizzanti reattori AGR od altri tipo di reattori, in Italia ed in altri paesi. Un accordo analogo [era] stato stipulato, a Bruxelles nell’aprile del corrente anno, tra la TNPG e la Belgonucleaire” [Bozza del comunicato stampa sull’accordo TNPG-SNAM Progetti proposta dalla TNPG in data 7 novembre 1967, SNAM Progetti (non firmata), ibidem]. 444 Per approfondimenti si veda anche Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1968, Roma, 1969, pp. 117-118, ASENEL. L’ENEL strinse in realtà molteplici contratti per l’approvvigionamento e il ritrattamento del combustibile nucleare: oltre che con la Combustibili Nucleari si firmarono accordi, solo per citarne alcuni, con la Società Italiana Fabbricazioni Nucleari, con la francese SICN e con la britannica UKAEA (ibidem). 445 Cfr. Bozza del comunicato stampa sull’accordo TNPG-SNAM Progetti proposta dalla TNPG in data 7 novembre 1967, SNAM Progetti (non firmata), ASE, coll. I. V. 6, udc. 301. 446 Per un’analisi sulle trattative che l’ENI stava portando avanti per cercare di ottenere un rifornimento adeguato di combustibile nucleare si vedano: Iniziativa approvvigionamento Uranio, Servizio Sviluppo Industriale e Commerciale all’Estero dell’ENI, relazione redatta da Enrico Gandolfi, Roma, 25 marzo 1968, ASE, coll. I. V. 4, udc. 285; Esame situazione iniziative all’estero per approvvigionamento Uranio, Servizio Sviluppo Industriale e Commerciale all’Estero dell’ENI, relazione redatta da Enrico Gandolfi, Roma, 9 aprile 1968, ibidem. 447 Cfr. Lettera inviata dall’amministratore generale del Commissariat à l’Energie Atomique e dell’Electricité, R. Hirsch, al presidente dell’ENI, Eugenio Cefis, Parigi, 21 febbraio 1968, ASE, coll. I. I. 5, udc. 50.

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cooperazione tra i tecnici di entrambi le istituzioni. In particolare, per le ricognizioni si

individuarono due linee di ricerca, “una prima essenzialmente mineraria e prevalentemente

polarizzata sull’area di Novazza; una seconda di studi e prospezioni superficiali nelle Alpi e in

Sardegna”448.

Nuovi giacimenti uraniferi si scoprirono però all’estero nel corso degli anni successivi,

anche se la loro consistenza poteva essere valutata solo in un secondo momento449. Il 18

dicembre '72, infine, l’AGIP Nucleare e l’Ansaldo Meccanico-Nucleare diedero vita, in misura

paritetica, a una nuova società, la NIRA, per lo studio e la sperimentazione dei reattori avanzati e

veloci450. Essa sviluppò importanti collaborazioni sia nazionali, nel campo della progettazione

dei reattori nucleari italiani (principalmente il CIRENE e il PEC), che internazionali451.

2.3. Una politica energetica comune

Il 21 aprile '64 il Consiglio dei ministri della CECA approvò un “Protocollo di accordo”

in materia energetica nel quale i governi degli Stati membri, “persuasi dalla necessità di

realizzare nel quadro del mercato comune generale un mercato comune dell’energia […]

afferma[vano] la loro volontà di proseguire nei loro sforzi per elaborare e porre in atto una

politica comune dell’energia”452. La stessa necessità, seppure nell’ambito di una accentuazione

degli interessi nazionali, venne espressa in maggio dal ministro degli Affari Esteri, Giuseppe

Saragat, in un telegramma inviato alla Presidenza del Consiglio dei ministri:

448 Programma generale per una ripresa delle ricerche di minerali di uranio in Italia, SOMIREN S.p.A., San Donato Milanese, gennaio 1969, ASE, coll. BA. II. 1, udc. 181. 449 Si segnalarono, ad esempio, nuovi ritrovamenti in India, in Nuova Zelanda, in Australia, in Algeria e in Brasile (per approfondimenti si veda Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazione del Direttore generale al Consiglio di amministrazione sull’attività dell’ente nel 1972, Roma, 1973, pp. 483-485, ASENEL). 450 All’indomani della costituzione della NIRA, il Consiglio di amministrazione del CNEN, per bocca del suo presidente, Ezio Clementel, espresse tutte le perplessità per la nascita di una nuova realtà societaria con partecipazione pubblica nel settore nucleare senza che il Comitato fosse stato informato e avesse potuto esprimere il proprio parere in merito, specie dopo l’approvazione della legge n. 1240 del 15 dicembre '71 (cfr. Verbale della 5ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 19 dicembre 1972, pp. 8-9, ASENEA). L’AGIP Nucleare e l’Ansaldo Meccanico Nucleare decisero tuttavia di possedere a testa solo il trentacinque percento delle partecipazioni azionarie della NIRA, lasciando il rimanente trenta percento a disposizione di altre società interessate. Si profilò dunque per il Comitato la possibilità di entrare a fare parte direttamente della nuova società. Le cose sembrarono andare proprio in questa direzione dopo che il ministro dell’Industria, Mauro Ferri, intervenne presso il Ministero delle Partecipazioni Statali sottolineando la necessità che le società promotrici della NIRA prendessero contatto con il CNEN al fine di esaminare le modalità della sua partecipazione (cfr. Verbale della 6ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 30 gennaio 1973, pp. 3-6, ibidem). Ciononostante, il CNEN non entrò a far parte della NIRA e si dovette confrontare con questa nell’esercizio della propria attività, affidandole una serie di progetti (cfr. Verbale della 9ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 19 aprile 1973, pp. 3-8, ibidem). Il Comitato, come detto, si avviava a svolgere un ruolo di secondo piano nel panorama della politica nucleare italiana, trasformandosi gradualmente in semplice dispensatore di fondi per i programmi. 451 Molto importante fra queste si rivelò la cooperazione con la Francia e la Germania per la realizzazione del reattore Superphénix. 452 Protocollo di accordo sui problemi energetici concluso fra i governi degli Stati membri delle Comunità Europee, in occasione della 94° sessione del Consiglio speciale dei Ministri della CECA, Lussemburgo, 21 aprile 1964, Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, n. 69, 30 aprile 1964, pp. 1099-1100.

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“Recenti decisioni di carattere multilaterale, trattative in corso per oleodotti di notevole

importanza strategica ed economica per il nostro paese, contatti sempre più frequenti con

compagnie internazionali o con Governi africani ed europei per assicurare all’Italia fonti di

approvvigionamento di petrolio o di gas, prospetta[va]no a questo Ministero l’esigenza che

[venisse] impostata con urgenza un politica globale delle fonti energetiche, con particolare

riferimento al petrolio, ispirata sia ai nostri giusti interessi nazionali ed europei, sia ai principi

direttivi della nostra collaborazione internazionale”453.

A preoccupare Saragat erano una serie di circostanze che in qualche modo coinvolgevano

l’Italia e che potevano essere fonte di inquietudine: le trattative in corso fra l’ENI e l’ente

petrolifero di Stato dell’Austria (OMV) per la costruzione di un oleodotto da Trieste a Vienna,

ad esempio, erano state accompagnate dalle minacce austriache di far sboccare la conduttura in

territorio jugoslavo; una situazione simile a quella verificatasi durante la contrattazione che si

stava svolgendo tra l’ENI e la TAL, un consorzio di compagnie internazionali, per la costruzione

dell’oleodotto Trieste-Baviera. Bisognava inoltre vigilare sull’evoluzione di alcune dinamiche

che urtavano in modo particolare la sensibilità italiana: occorreva registrare, ad esempio,

l’aumento vertiginoso della produzione petrolifera della Libia che si avviava a divenire uno dei

maggiori produttori mondiali di greggio. Un mutamento che implicitamente suggeriva un

ulteriore sforzo per ottenere nuove concessioni da Tripoli; vi erano, inoltre, i delicati contatti in

corso con le autorità olandesi e tedesche per una partecipazione dell’ENI alle ricerche in Olanda

e nel Mare del Nord454. Anche il ritmo crescente della produzione del Medio Oriente, ormai in

procinto di caratterizzarsi come “il cuore energetico del mondo occidentale”, secondo Saragat

richiedeva alcune attente riflessioni:

“Questa circostanza, mentre pone[va] a tutti i paesi democratici delicati problemi d’ordine

strategico e militare che non [potevano] essere sottovalutati, tende[va] d’altra parte a favorire

economicamente ed anche politicamente l’Italia la quale [veniva] a trovarsi oggi, come molti

secoli fa, sulla rotta di un vitale traffico tra l’Europa e l’Asia. Il problema merita[va] di essere

attentamente studiato anche perché [poteva] verificarsi una discrepanza di interessi tra l’Italia e le

grandi Compagnie internazionali, come [poteva] dimostrare lo scarso interesse di queste ultime

all’approfondimento del Canale di Suez (peraltro perseguito dal Governo egiziano con energia)

ed il fatto che non si [potevano] costruire pipelines verso il Mediterraneo. […] [Tutti questi

risvolti sembravano dunque] rendere quanto mai urgente l’elaborazione di una politica globale

453 Impostazione di una politica globale delle fonti energetiche con particolare riferimento al petrolio, Telespresso n. 40/9390/C inviato dal Ministro degli Affari Esteri, Giuseppe Saragat, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Roma, 12 maggio 1964, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 3, Presidenza del Consiglio dei ministri. Sottoserie Questioni diverse, Busta 50. 454 Ibidem.

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delle fonti di energia, con particolare riferimento agli idrocarburi. L’energia atomica, infatti, non

sembra[va] dover minacciare, almeno per qualche decennio, il crescente predominio degli

idrocarburi nel campo delle fonti di energia. […] L’elaborazione di una tale politica

(indispensabile anche ai fini della programmazione della nostra economia) […] [doveva]

soprattutto individuare e tutelare, in una ampia prospettiva futura, i vitali interessi del Paese sia

sotto il profilo strategico-militare (cioè politico) sia sotto il profilo economico-finanziario, sia nel

quadro della nostra politica atlantica, europea e mediterranea”455.

D’altronde, il notevole sviluppo dei consumi petroliferi non accompagnato da un

proporzionale aumento delle produzioni nazionali di fonti primarie di energia, aveva determinato

un crescente ricorso alle importazioni dall’estero per assicurare la copertura dei fabbisogni.

Come sottolineato dall’ingegnere Raffaele Girotti, vicepresidente dell’ENI, in una relazione sulla

situazione del settore degli idrocarburi presentata alla Commissione Consultiva per l’Energia nel

luglio '66, in sede europea non si era ancora riusciti a impostare una politica energetica comune e

ciò aveva determinato uno scenario di accordi diretti fra i governi e le singole imprese che

rendeva più difficile, ma anche maggiormente necessaria, la cooperazione comunitaria. In attesa

che ciò si concretizzasse, l’Italia non doveva esitare a sviluppare una propria politica energetica:

“Per un complesso di cause […] la Comunità non [era] riuscita, in otto anni di discussioni

sull’argomento, a formulare una effettiva politica comune dell’energia. Ma intanto Governi ed

imprese [avevano] continuato a procedere per la loro strada, creando situazioni che se da un lato

[rendevano] più urgente l’adozione di una politica comune, dall’altro lato la [rendevano] più

difficile. Per quest’ultima ragione [era] da ritenersi che l’Italia non [dovesse] esitare a precisare e

applicare una propria politica energetica e degli idrocarburi in base alla valutazione delle

situazioni obiettive interne ed esterne e degli interessi nazionali. Per la prima ragione, sembra[va]

conveniente che l’Italia [sostenesse] in sede comunitaria una linea di politica energetica che, pur

contemperando le differenti esigenze nazionali, [desse] un valido contributo alla soluzione dei

problemi comuni ai Sei paesi e [facilitasse] il conseguimento degli obiettivi nazionali italiani

attraverso la collaborazione di tutti i paesi membri” 456.

Se da una parte, dunque, Girotti puntava sul raggiungimento di accordi internazionali che

potessero migliorare la situazione energetica italiana, al pari di quanto stavano facendo le altre

compagnie petrolifere europee e in attesa che decollasse una politica comunitaria del settore,

455 Ibidem. 456 Situazione del settore degli idrocarburi, Relazione presentata dall’Ing. Raffaele Girotti alla Commissione Consultiva per l’Energia, 21 luglio 1966, ASE, coll. I. II. 6, udc. 105.

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dall’altra parte, Saragat era preoccupato dai possibili risvolti negativi dell’operato dell’ENI. In

un certo qual modo Girotti si rifaceva alla politica antagonista di Mattei in nome degli interessi

energetici nazionali, non curandosi di alcune situazioni difficili che contraddistinguevano le

relazioni estere dell’Italia e che, di contro, stavano a cuore a Saragat. Al fine di evitare contrasti

internazionali non facili da gestire, la Farnesina spingeva per l’elaborazione di una politica

globale dell’energia che togliesse la penisola da ogni eventuale impasse. I tempi sembravano

però in questo senso non maturi e le iniziative dell’ENI apparivano quanto meno opportune

finché il quadro petrolifero internazionale non avesse assunto connotazioni differenti.

Un passo in avanti considerevole in vista dell’attuazione di una politica energetica

comunitaria si realizzò nel febbraio del '66 mediante la trasmissione, da parte della Commissione

al Consiglio dei ministri, della “Prima nota sulla politica della CEE in materia di petrolio e di gas

naturale”. Nel documento si sottolineava che, in applicazione del Trattato di Roma, tutti gli

obiettivi energetici puramente nazionali sarebbero dovuti essere rimpiazzati, prima del 1970, da

quelli decisi in sede comunitaria457. Si trattava di una presa di posizione coraggiosa che fino a

quel momento era sempre stata ostacolata sia da difficoltà amministrative e giuridiche, sia,

soprattutto, dalle divergenze fra i paesi membri. In particolare, la Germania, il Belgio e in parte

la Francia erano riluttanti a accettare, in materia di politica energetica, i principi liberali sostenuti

dai governi dell’Italia e dell’Olanda458. Questa situazione derivava dagli interessi carboniferi

detenuti da Parigi, Bonn e Bruxelles che pertanto si opponevano all’elaborazione di norme che

potessero in qualche modo limitare la produzione interna e la sovranità nazionale di ogni fonte

energetica. Lo scenario era però destinato a essere in larga parte modificato dallo scoppio della

guerra dei Sei Giorni.

3. La guerra dei Sei Giorni e la politica energetica

In seguito all’assetto configuratosi dopo la crisi di Suez del '56 e in risposta alla strategia

dell’attacco preventivo avviata fra la fine del '66 e la primavera del '67 dallo Stato di Israele

mediante diversi raid in Cisgiordania e in Siria, il 22 maggio Nasser decise di bloccare il traffico

navale israeliano negli stretti di Tiran che separavano il golfo di Aqaba dal Mar Rosso e che

rappresentavano l’unica via di accesso al porto israeliano di Eilat. Si trattava del preludio

457 Per uno studio sui rifornimenti petroliferi europei si rimanda a G. Pappalardo, R. Pezzoli, Il petrolio e l’Europa: strategie di approvvigionamento, Bologna, 1971 458 Per approfondimenti si veda Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1967, Roma, 1968, pp. 36-37, ASENEL.

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all’escalation che sfociò nel cosiddetto terzo conflitto arabo-israeliano459. L’impressionante

successo militare, mediante il quale Israele arrivò a controllare le alture del Golan, la striscia di

Gaza, la Cisgiordania e tutta la penisola del Sinai, unificando anche la Gerusalemme ebraica e

quella araba, provocò una trasformazione radicale di tutta l’area che investì sia gli equilibri

regionali che i rapporti internazionali nel loro complesso. La questione palestinese acquistò una

sua definitiva centralità nel dibattito internazionale, mentre gli arabi si sentirono sempre più

isolati e lontani dal mondo occidentale al punto da ricorrere, mediante l’OPEC, all’embargo

petrolifero per mettere in difficoltà gli Stati amici di Israele attraverso la chiusura del canale di

Suez. Il primo tentativo nella storia di utilizzare l’arma petrolifera per condizionare le scelte

dell’Occidente non comportò però gravi conseguenze data la breve durata e il fatto che gli Stati

Uniti, principali destinatari di questa azione, disponevano di abbondanti riserve nazionali.

Ciononostante, l’iniziativa diede avvio a una serie di riflessioni circa l’opportunità di un cambio

di strategia in merito alle politiche energetiche adottate fino a quel momento.

L’agenzia giornalistica «Europa Unita», ad esempio, il 9 giugno '67 diramò un dispaccio

nel quale si rimarcava la necessità, dopo gli eventi bellici mediorientali, “di progredire

sollecitamente sul cammino dell’energia nucleare, la sola che [poteva] assicurare all’Europa una

indipendenza energetica”. Erano le parole pronunciate dall’onorevole Mario Pedini, presidente

della Commissione Ricerca, Energia e Problemi Atomici del Parlamento europeo al termine di

una riunione tenutasi a Bruxelles. L’esponente democristiamo sottolineò anche che “la crisi

459 Per uno studio sulla guerra dei Sei Giorni si vedano, tra gli altri, I. Abu-Lughod, Arab-Israeli confrontation of June 1967. An Arab perspective, Evaston, 1970; E. Hammel, Six Days in June: How Israel Won in 1967 Arab-Israeli War, New York, 1992; D. Kimche, D. Bawly, The Sandstorm. The Arab-Israeli war of june 1967: prelude and aftermath, New York, 1968; W. Laqueur, The road to war 1967: the origins of the Arab-Israel conflict, London, 1969; E. O’Ballance, The third Arab-Israeli war, London. 1972; M. B. Oren, Six days of war: June 1967 and the making of the modern Middle East, Oxford, 2002; R. Ovendale, The Origins of the Arab-Israeli Wars, London, 1987; R. B. Parker, The Six-Day War, Jacksonville, 1997; W. B. Quandt, Peace Process: American Diplomacy and the Arab-Israeli Conflict since 1967, Berkeley, 2001; A. Rabinovich, H. Shaked, From June to October: the Middle East between 1967 and 1973, New Brunswich, 1978; A. Shlaim, The iron wall: Israel and the Arab world, cit., pp. 241-264. Sulle iniziative diplomatiche italiane durante la guerra dei Sei Giorni e nel periodo successivo cfr. D. Caviglia, Dallo scoppio del conflitto al fallimento delle prime iniziative diplomatiche (1967-1970) in D. Caviglia, M. Cricco, La diplomazia italiana e gli equilibri mediterranei, cit., pp. 13-75; Id., La politica dell’Italia e il conflitto arabo-israeliano (1967-1973). L’atteggiamento italiano nella documentazione diplomatica francese, in «Nuova Storia Contemporanea», cit., pp. 17-50; L. Riccardi, Il «problema Israele»: diplomazia italiana e PCI di fronte allo Stato ebraico (1948-1973), cit., pp. 203-308; Id., Sempre più con gli arabi. La politica italiana verso il Medio Oriente dopo la guerra del Kippur (1973-1976), cit., pp. 57-82; Id., La politica estera italiana, Israele e il Medio Oriente alla vigilia della crisi di Suez, in «Clio», n. 4, 2003, pp. 629-669. Per approfondimenti sul ruolo dell’Italia durante e dopo la crisi si vedano P. Borruso, L’Italia e la crisi della colonizzazione, in A. Giovagnoli, S. Pons (a cura di), L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta, cit., pp. 397-399; E. Calandri, Il Mediterraneo nella politica estera italiana, cit., in A. Giovagnoli, S. Pons (a cura di), L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta, cit., pp. 351-381; G. Calchi Novati, Mediterraneo e questione araba nella politica estera italiana, in F. Barbagallo (a cura di), Storia dell’Italia repubblicana, vol. II, La trasformazione dell’Italia. Sviluppo e squilibri, cit., pp. 229-237; L. V. Ferraris (a cura di), Manuale della politica estera italiana, 1947-1993, Roma-Bari, 1996, pp. 168-171; V. Ianari, L’Italia e il Medio Oriente: dal “neoatlantismo” al peace-keeping, in A. Giovagnoli, S. Pons (a cura di), L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta, cit., pp. 383-395; C. Meneguzzi Rostagni, La politica estera italiana e la distensione: una proposta di lettura, in F. Romeo, A. Varsori (a cura di), Nazione, Interdipendenza, integrazione. Le relazioni internazionali dell’Italia (1917-1989), Roma, 2005, vol. I, pp. 355-371; Ministero degli Affari Esteri (Servizio Storico e Documentazione), Italia e Medio Oriente (1967-1974), Roma, 1974, pp. 81-130; L. Nuti, Le relazioni tra Italia e Stati Uniti agli inizi della distensione, in A. Giovagnoli, S. Pons (a cura di), L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta, cit., pp. 47-51; L. Tosi, L’Italia e la cooperazione internazionale nel Mediterraneo: aspirazioni, interessi nazionali e realtà internazionale, in M. De Leonardis (a cura di), Il Mediterraneo nella politica estera italiana del secondo dopoguerra, cit., pp. 184-187; A. Varsori, L’Italia nelle relazioni internazionali dal 1943 al 1992, Bari, 1998, pp. 164-165.

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conferma[va] soprattutto che i Paesi europei, se non [volevano] essere esposti al ricatto dei

dittatori o abdicare alle superpotenze le responsabilità del loro futuro, [dovevano] trovare

quell’unità politica che sola [poteva] consentire al nostro continente di «pesare» sui destini della

pace”460.

In relazione al problema dei rifornimenti energetici della Comunità, i rappresentanti dei

tre esecutivi europei nel corso della stessa riunione sostennero invece che: “tenendo conto delle

realizzazioni raggiunte soprattutto nel campo della diversificazione degli approvvigionamenti,

non vi [erano] motivi di apprensione per il prossimo avvenire; la commissione parlamentare [era

nonostante tutto] convinta della necessità che i Governi dei sei Paesi membri si [adoperassero]

per la messa in opera di una vera politica energetica comune, sulla base delle indicazioni fatte

dall’interesecutivo e, più volte, riaffermate dal Parlamento europeo”461. Di parere diverso era

però il senatore italiano Pietro Micara per il quale era giunto il momento per la Comunità

europea di affrontare in altro modo l’intera questione:

“Si impone[va] una nuova visione della problematica del Medio Oriente in chiave

economica. […] [Era] giunto il momento in cui [dovevamo] trovare una soluzione politica che

[potesse] garantire, a lungo termine, la sicurezza del Medio Oriente che, per gli europei,

rappresenta[va] anche l’approvvigionamento energetico di tutto il continente. Perciò [bisognava]

forse cominciare a pensare ad un’associazione tra i Paesi arabi produttori di petrolio e la

Comunità”462.

L’idea di Micara consisteva nel cercare di inserire i paesi arabi direttamente nel circuito

economico della CEE, anche per cancellare definitivamente un’immagine che in Medio Oriente

appariva eccessivamente schiacciata sulle iniziative di Washington.

Come si poteva osservare, di fronte al tentativo dei paesi dell’OPEC di influenzare le

scelte del mondo occidentale emergevano diverse tipologie di risposte. Da un lato vi era chi, in

maniera lungimirante, spingeva per puntare su fonti energetiche alternative; dall’altro, invece, vi

erano coloro che non ritenevano di dover prendere troppo sul serio il tentativo arabo. I primi

richiamavano l’attenzione principalmente sull’urgenza di un ulteriore sviluppo dell’energia

nucleare, i secondi sembravano più propensi a promuovere vere e proprie politiche energetiche

sovranazionali che avrebbero ineluttabilmente creato forti legami, soprattutto economici, fra i

partecipanti. Qualunque strategia si fosse scelta, sarebbe stato importante per i paesi

460 La crisi di Suez al Parlamento Europeo, Agenzia giornalistica «Europa Unita», 9 giugno 1967. 461 Ibidem. 462 Il Medio Oriente al Parlamento Europeo, «Il Sole 24 ore», 15 giugno 1967.

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maggiormente colpiti dalle decisioni dell’OPEC optare per una linea d’azione comune, come

suggerivano gli Stati Uniti. All’interno della CEE si assistette invece alla messa in campo di

strategie diverse che non tenevano conto dei possibili rischi legati agli approvvigionamenti

petroliferi del Medio Oriente.

Il 18 dicembre '68 la Commissione della CEE approvò un documento dal titolo “Primo

orientamento per una politica energetica comunitaria” con lo scopo dichiarato di proporre

un’azione politica tendente alla creazione di un effettivo mercato comune dell’energia atto a

realizzare, sia nel medio che nel lungo periodo, l’approvvigionamento dei paesi comunitari con

garanzie di sicurezza, stabilità e bassi prezzi, tutelando al contempo la libertà della concorrenza.

Gli orientamenti ai quali i Sei dovevano attenersi ai fini dell’attuazione di una politica comune

dell’energia erano quattro:

“1) pianificare il loro sviluppo sulla base di previsioni a medio ed a lungo termine; 2)

realizzare un effettivo mercato comune dell’energia, assicurando la libera circolazione delle varie

fonti e la libertà di stabilimento, fissando regole di concorrenza e armonizzando la fiscalità

indiretta; 3) definire una politica dell’approvvigionamento che si [potesse inserire] nel contesto

della politica generale della Comunità, ma che [tenesse] conto della particolarità del settore; 4)

definire una politica della ricerca e del finanziamento degli investimenti”463.

Tuttavia, nel '69 la Gran Bretagna, la Repubblica Federale Tedesca e l’Olanda si

accordarono separatamente per la costruzione di un impianto per la produzione di uranio

arricchito mediante il procedimento dell’ultracentrifugazione che, per alcuni osservatori, poteva

rappresentare il “futuro dell’industria nucleare europea”. In effetti ciò costituiva una grande

opportunità per assicurare all’intera Europa forniture di uranio arricchito autonome, necessarie

per il funzionamento delle centrali termonucleari, senza bisogno di ricorrere alle importazioni

dagli Stati Uniti. In un articolo apparso in marzo su «Il Giorno», Giorgio Pirani stigmatizzò

come l’Italia, assieme agli altri paesi del MEC, avesse insistito vanamente per essere inclusa fin

dall’inizio nel progetto464. Nella riunione tripartita dell’11 marzo, nel corso della quale fu

ufficializzata la costruzione dell’impianto, si specificò difatti che l’esclusione della Francia,

dell’Italia e del Belgio era dovuta solo a motivi strettamente commerciali465. In particolare, la

463 Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1968, Roma, 1969, p. 39, ASENEL. 464 Cfr. G. Pirani, Estromessa l’Italia dall’accordo per l’uranio, «Il Giorno», 7 marzo 1967. 465 L’Italia partecipò tuttavia all’iniziativa presa nel '69 dall’Union internationale des producteurs et distributeurs d’énergie électrique che, facendo propria una proposta avanzata l’anno precedente da Angelini, direttore generale dell’ENEL, prevedeva la costruzione e l’esercizio di una centrale prototipo di grande potenza (tra i seicento e i mille megawatt), equipaggiata con un reattore autofertilizzante raffreddato a sodio. Il progetto, rinviato all’anno successivo, doveva compiersi in stretta collaborazione con l’EURATOM e si proponeva “di accelerare lo sviluppo dei reattori autofertilizzanti e di utilizzare nel modo più proficuo le

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posizione dell’Italia era giudicata troppo prudente e pregiudizialmente critica, mentre l’accordo

di cooperazione con Washington sugli usi pacifici dell’energia nucleare siglato nel '61 ne

avrebbe impedito la partecipazione466. Nonostante tutto, come sottolineava Achille Albonetti,

direttore della Divisione Affari Internazionali e Studi Economici del CNEN, “se l’iniziativa non

[fosse stata] portata al più presto nell’ambito della Comunità europea, essa [avrebbe potuto

significare], molto probabilmente, il colpo di grazia per l’EURATOM”467.

La Comunità Europea dell’Energia Atomica stava infatti attraversando un periodo di forte

crisi sia dal punto di vista delle iniziative (dopo il mancato accordo su un nuovo programma

pluriennale), che sotto il profilo economico (in seguito alla decisione della Francia di non

partecipare al finanziamento dei programmi complementari)468; un’intesa tripartita, conclusa

senza la sua partecipazione avrebbe quasi sicuramente determinato la fine dello spirito di

collaborazione europea e dei principi che erano alla base dell’iniziativa comunitaria. D’altronde,

il piano a tre469 aveva messo in allarme anche gli Stati Uniti che decisero di offrire alla Comunità

europea una nuova cooperazione scientifica nel settore atomico e condizioni più favorevoli per

l’acquisto di uranio arricchito470.

Fallita, almeno per il momento, la possibilità di avviare una proficua collaborazione

sovranazionale in risposta all’incertezza sull’approvvigionamento petrolifero proveniente

dall’area mediorientale, diversi Stati avviarono una serie di iniziative volte a rimodulare le

politiche energetiche, con particolare riferimento all’energia nucleare. In linea generale non

competenze e i mezzi disponibili nella Comunità, evitando duplicazioni di programmi e di iniziative che, nel caso specifico, [avrebbero comportato] oneri economici assai difficilmente sostenibili dai singoli paesi” (Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1969, Roma, 1970, pp. 112-113, ASENEL). 466 Cfr. Réunion tripartite pour la séparation des isotopes de l’uranium par ultracentrifugation gazeuse, Lettera della Delegazione della Commissione delle Comunità Europee al Presidente della Commissione delle Comunità Europee, Rapport n. 753, 19 marzo 1969, HAEU, Fondo Edoardo Martino, n. 219. Le discussioni in questo senso si rinviarono a un momento successivo e, come si avrà modo di constatare, verso la fine del '72 il progetto dell’ultracentrifugazione venne esteso parzialmente anche agli altri partner europei (cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazione del Direttore generale al Consiglio di amministrazione sull’attività dell’ente nel 1972, Roma, 1973, pp. 485-487, ASENEL). Risultano interessanti, in proposito, le parole pronunciate sull’argomento da Carlo Salvetti, vicepresidente del CNEN, dietro esplicita istanza del componente del nuovo Consiglio di amministrazione, sen. Francantonio Biaggi: “L’Italia, su richiesta del Ministero degli Esteri [aveva] avuto attraverso il Ministero dell’Industria, il CNEN e le industrie interessate, degli incontri con i rappresentanti del tripartito – Germania, Olanda e Inghilterra – incontri che avevano lo scopo di esplorare la possibilità da parte italiana di partecipare all’iniziativa, di valutarne le condizioni di partecipazione e le conseguenti implicazioni finanziarie. Non [era] stato raggiunto alcun accordo per una serie di ragioni, in primo luogo perché fin dalla fase di avviamento di questa attività non si era raggiunta tra i tre partecipanti all’iniziativa una intesa a carattere operativo; nel frattempo comunque [era] stata riconosciuta l’opportunità che l’industria italiana [avesse acquisito] un certo grado di qualificazione per un suo eventuale successivo inserimento nell’impresa” (Verbale della 3ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 30 ottobre 1972, p. 8, ASENEA). 467 A. Albonetti, Iniziativa tripartita senza l’Italia, «L’Europa», 19 marzo 1967. 468 Per approfondimenti sulla “crisi” dell’EURATOM si vedano Id., Energia nucleare e crisi energetica europea, cit., pp. 108-114; F. Ippolito, Un progetto incompiuto. La ricerca comune europea: 1958-88, cit. 469 In ottemperanza all’accordo sottoscritto da Gran Bretagna, Repubblica Federale Tedesca e Paesi Bassi si procedette alla costituzione della CENTEC e dell’URENCO. L’impianto sperimentale olandese di Amelo e quello inglese di Capenhurst entrarono in funzione nel '72, mentre quello tedesco, sempre situato a Amelo, era previsto entrasse in funzione nei primi mesi del '73 (cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazione del Direttore generale al Consiglio di amministrazione sull’attività dell’ente nel 1972, Roma, 1973, pp. 487-488, ASENEL). 470 Cfr. Relazione del Comitato dei Rappresentanti Permanenti al Consiglio, Bruxelles, 3 ottobre 1969, HAEU, Fondo Edoardo Martino, n. 224.

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appariva però molto chiaro se questi sviluppi fossero una diretta conseguenza degli eventi del '67

o piuttosto una risposta alla crisi dell’EURATOM471. Difficile credere che i governi occidentali

fossero infatti all’epoca pienamente consapevoli dei rischi derivanti da un eventuale boicottaggio

petrolifero da parte dei paesi dell’OPEC. In Italia, ad esempio, fra la fine del '69 e gli inizi del '70

la Commissione Direttiva del CNEN approvò un finanziamento per il Programma Arricchimento

Uranio presentato dal Gruppo Italiano Arricchimento Uranio472. Il piano era stato prospettato

quasi certamente al solo scopo di migliorare le conoscenze tecniche nazionali dopo l’esclusione

dal programma tripartito. A questo fine era previsto lo sviluppo delle due tecniche di separazione

isotopica allora conosciute per arrivare alla creazione di uranio arricchito: la diffusione gassosa e

l’ultracentrifugazione473. Nello scenario determinatosi occorreva anche valutare attentamente

l’offerta francese di cooperazione, avanzata proprio in quei giorni all’Italia e agli altri paesi

europei per la costruzione in comune di un impianto dedicato alla produzione di uranio

arricchito474. La Francia propendeva per un sistema a diffusione gassosa e, come sottolineato da

Achille Albonetti in una lettera all’ambasciatore Guido Soro, direttore generale per gli affari

economici del MAE, per un impianto di questo tipo “non basta[va] un eventuale accordo italo-

francese. Occorre[va] un accordo più vasto. [Speravamo] che le proposte di Pompidou e di

Schuman, accoppiate a quelle della Commissione Europea, [potessero] avere successo e

[servissero] anche di rilancio all’EURATOM”475.

Contemporaneamente a questo progetto si ufficializzò l’iniziativa dell’UNIPÈDE che,

facendo propria una proposta avanzata in precedenza dal direttore generale dell’ENEL476, si

proponeva la costruzione e la gestione di una centrale prototipo di grande potenza, equipaggiata

471 L’ENEL, ad esempio, inserì nella programmazione del settore nucleare la costruzione di un ulteriore nuovo impianto che sarebbe risultato il quinto in Italia (cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1967, Roma, 1968, p. 101, ASENEL). Contemporaneamente, l’ente elettrico italiano intensificò i contatti e la cooperazione con diversi organismi stranieri; tra questi figuravano: la CIGRE, l’UNIPÈDE, l’EDF, la CEGB e la VDEW (cfr. ibidem, p. 149). Nel '68 le collaborazioni internazionali dell’ENEL aumentarono e inclusero, oltre agli enti già citati, la European Nuclear Energy Agency, l’AIEA, l’USAEC e l’AECL (cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1968, Roma, 1969, p. 121, ibidem). 472 Istituito proprio nel '67, al GIAU partecipavano il CNEN, l’ENEL, il CISE, la Confindustria, l’ENI (mediante l’AGIP Nucleare, il Nuovo Pignone e il Pignone Sud), l’IRI (con l’ASGEN e la MERISINTER), la SNIA Viscosa BPD, la FIAT, la Montedison e la Breda. 473 Cfr. Lettera del presidente dell’ENI, Eugenio Cefis, al presidente del Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare, Carlo Salvetti, San Donato Milanese, 7 gennaio 1970, ASE, coll. I. I. 5, udc. 50. 474 Per approfondimenti si veda Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazione del Direttore generale al Consiglio di amministrazione sull’attività dell’ente nel 1972, Roma, 1973, pp. 485-487, ASENEL. L’iniziativa venne presa precisamente dal CEA e si pervenne nel '72 alla costituzione di una “Association d’études” denominata EURODIF. 475 Lettera del Direttore della Divisione Affari Internazionali e Studi Economici del CNEN, Achille Albonetti, al direttore generale per gli affari economici del MAE, Guido Soro, Roma, 8 luglio 1970, ASE, coll. BA. II. 1, udc. 181. 476 La proposta di un programma europeo per la realizzazione di impianti nucleari equipaggiati con reattori autofertilizzanti a neutroni veloci, con raffreddamento a sodio di potenza dell’ordine del milione di megawatt, fu presentata per la prima volta da Angelini il 19 settembre '68 nell’ambito del Comitato scientifico e tecnico dell’EURATOM. Successivamente, il 27 e 28 febbraio '69, il direttore generale dell’ENEL espose il suo progetto alla Commissione per la ricerca e l’energia del Parlamento europeo. Solo il 9 giugno dello stesso anno tuttavia l’UNIPÈDE fece propria la proposta approvando un ordine del giorno nel quale si auspicava una unione degli sforzi nell’ambito della Comunità (cfr. Date salienti riguardanti l’iniziativa europea per la realizzazione di reattori autofertilizzanti per la produzione di energia elettrica, appunto interno all’ENEL, ENEL-EDF-RWE, Promemoria 1973, ASENEL).

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con un reattore autofertilizzante raffreddato a sodio. Durante il '70 si contattarono i tre maggiori

produttori di energia elettrica della Comunità, Electricité de France, ENEL e Rheinisch-

Westfälisches Elektrizitätswerk e, accertata l’esistenza dei presupposti per un accordo, venne

redatta una dichiarazione di intenti:

“Preso atto dei programmi in corso di attuazione in Francia, in Germania e in Italia per la

realizzazione dei reattori prototipi Phénix, SNR (Schnell Natrium Reaktor) e PEC (Prova

Elementi Combustibili), nonché delle considerevoli capacità potenziali dei reattori

autofertilizzanti, si prevede[va] la costruzione, a distanza di quattro-cinque anni una dall’altra, di

due centrali nucleari da 1.000 MWe, equipaggiate con un reattore autofertilizzante a neutroni

veloci e a sodio; la prima avrebbe [avuto] un reattore progettato secondo la linea Phénix e la sua

costruzione [doveva] avere inizio nel 1974-75, vale a dire circa un anno dopo l’entrata in

funzione del prototipo francese Phénix da 250 MWe; la seconda [avrebbe avuto] un reattore

progettato secondo la linea SNR e la sua costruzione [doveva] avere inizio nel 1978-79, vale a

dire circa un anno dopo l’entrata in funzione del prototipo tedesco SNR da 300 MWe. La prima

centrale [dovuto essere] ubicata in Francia, la seconda in Germania. I due impianti [dovevavo

essere] realizzati da due società, alle quali [avrebbero partecipato] i tre produttori di energia

elettrica, la prima di diritto francese, la seconda di diritto tedesco. Ciascuno dei tre partecipanti

[avrebbe detenuto] complessivamente un terzo della somma dei capitali delle due società,

permettendo tuttavia alla EDF e alla RWE di avere la maggioranza, rispettivamente, nella società

francese e in quella tedesca. In ogni caso, le decisioni di rilievo [dovevano] essere prese

solamente con l’accordo unanime dei partecipanti”477.

L’opportunità per l’Italia era davvero importante478 e, nel giugno del '71, il CIPE approvò

in linea di massima la partecipazione dell’ENEL all’iniziativa UNIPÈDE, permettendo alla

477 Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1970, Roma, 1971, pp. 129-130, ibidem. 478 Per completezza di informazione, all’indomani della stesura della dichiarazione di intenti da parte delle tre società interessate, qualche personalità italiana di spicco, specie del settore nucleare, aveva avviato una campagna denigratoria sulla stampa e in alcune sedi istituzionali per contrastare l’iniziativa ENEL-EDF-RWE. Sulla base di ciò Angelini, durante la riunione della Commissione direttiva del CNEN dell’8 aprile '71, si scagliò contro lo stesso Comitato responsabile, a suo avviso, dell’azione di disturbo in corso d’opera. Era la prima volta che l’ENEL e il CNEN entrarono pubblicamente in contrasto mentre, specie in materia di relazioni internazionali, già in altre occasioni erano state prese iniziative e decisioni senza che la Commissione direttiva del CNEN si fosse espressa in merito. In risposta alle accuse del direttore generale dell’ENEL, l’istituto decisionale del CNEN criticò duramente l’eventuale comportamento tenuto da alcuni funzionari del Comitato. Al contempo veniva tuttavia ribadita la necessità che la Commissione direttiva fosse chiamata a discutere di tutti i problemi nucleari di maggior rilievo, anche per quelli in materia di rapporti internazionali, in modo che potesse emergere un orientamento ufficiale del CNEN. Da ciò poteva trasparire che il malcontento di alcune personalità del CNEN era dovuto essenzialmente dall’esclusione dalle trattative in corso tra l’ENEL, la EDF e la RWE (cfr. Verbale della 226ª riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 8 aprile 1971, pp. 21-23, ASENEA). Nella riunione successiva si presentò inoltre una proposta alternativa allo stesso progetto UNIPÈDE che, ovviamente, venne duramente rigettata da Angelini. Tra le critiche presentate all’iniziativa ENEL-EDF-RWE si espose quella relativa alla non ubicazione in Italia dei due reattori proposti. Il direttore generale dell’ENEL, nonché membro della stessa Commissione direttiva del CNEN e presidente proprio del Comitato di coordinamento per i reattori veloci, istituito dal Consiglio dei ministri della Comunità, rispose che “da un esame preliminare […] [i siti italiani potenzialmente proponibili per il progetto erano localizzabili] in riva al mare dalla Toscana in giù, ciò che avrebbe comportato un grosso onere per il trasporto di energia a danno dell’Italia perché l’energia, come [previsto] nella

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penisola di far parte di uno dei progetti nucleari della Comunità più promettenti. In conseguenza

di ciò, il 16 luglio le tre le società firmarono la suddetta dichiarazione di intenti, dando corso alla

tanto auspicata concentrazione degli sforzi in ambito europeo e agevolando gli accordi di

collaborazione fra le imprese dei tre paesi479. Si crearono così le premesse per assicurare

all’industria italiana una partecipazione attiva e significativa in un settore tecnologicamente

molto avanzato, caratterizzato da prospettive commerciali di estremo interesse. Successivamente

si stabilì che ciascuno dei tre produttori avrebbe concorso sia agli oneri che ai benefici derivanti

dall’esercizio delle due centrali in progetto, in proporzione alla partecipazione diretta alle

rispettive società previste e avrebbe avuto il diritto a utilizzare nelle stesse proporzioni l’energia

prodotta. L’iniziativa si estese anche ai produttori di energia elettrica degli altri paesi della

Comunità, con lo scopo di favorire la costituzione di gruppi multinazionali di costruttori cui

poter affidare la realizzazione degli impianti, offrendo così una valida occasione per la

promozione di industrie in grado di acquisire nel settore nucleare un respiro europeo480. La

validità del progetto ENEL-EDF-RWE si discusse nell’ambito del Comitato di coordinamento

per i reattori veloci, istituito dal Consiglio dei ministri della Comunità europea, al quale, a partire

dal '72, parteciparono anche rappresentanti del Regno Unito che apportarono un considerevole

know-how481.

In quello stesso anno l’ENEL stipulò un accordo con l’Edison Electric Institute,

un’associazione che raggruppava le società elettriche degli Stati Uniti, avente per oggetto lo

scambio di informazioni sulle performance del combustibile nucleare nelle tre centrali italiane e

in sette impianti statunitensi. Un altro contratto rilevante per l’ENEL si realizzò con le società

elettriche jugoslave Elektroprivreda-Zagabria, Savske Elektrarne-Lubiana e Elektrarna-Sostanj

per la collaborazione e l’assistenza tecnica finalizzati alla realizzazione dell’impianto

elettronucleare jugoslavo di Krsko. Oltre a queste intese, l’ENEL consolidò i rapporti con gli enti

dichiarazione di intenzioni, [doveva] essere recapitata allo stesso costo alla prima sottostazione utile ai confini nazionali dei partecipanti all’impresa. Nel caso di ubicazione in Italia tali oneri avrebbero riguardato i due terzi dell’energia prodotta”. Le risposte di Angelini non vennero accolte positivamente da tutti i componenti della Commissione direttiva; si convenne tuttavia di non esprimere giudizi affrettati sul progetto UNIPÈDE (cfr. Verbale della 227ª riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 16 aprile 1971, pp. 6-22, ibidem). Altre critiche si esternarono nella riunione del 23 aprile durante la quale Angelini pretese che la Commissione direttiva del CNEN esprimesse un parere chiaro e definitivo sull’iniziativa, minacciando di dimettersi dalla carica di presidente del Comitato di coordinamento per i reattori veloci qualora fosse stato messo in condizioni di non poter rispettare gli impegni assunti nei confronti del Consiglio dei ministri della Comunità. Trattandosi ancora della fase della dichiarazione d’intenti, i membri dell’istituto decisionale del CNEN convennero nel dare parere favorevole all’iniziativa UNIPÈDE che, giuridicamente, non era al momento vincolante per l’Italia (cfr. Verbale della 228ª riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 23 aprile 1971, pp. 5-25, ibidem). 479 Cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1971, Roma, 1972, pp. 125-130, ASENEL. 480 Cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1972, Roma, 1973, pp. 142-144, ibidem. 481 Cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1971, Roma, 1972, p. 127, ibidem; Date salienti riguardanti l’iniziativa europea per la realizzazione di reattori autofertilizzanti per la produzione di energia elettrica, appunto interno all’ENEL, ENEL-EDF-RWE, Promemoria 1973, ibidem.

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esteri con cui già cooperava482. Per quanto concerneva la programmazione nucleare interna,

invece, l’ente elettrico italiano nel '72 proseguì gli studi per la costruzione della quinta centrale

nucleare in ottemperanza a quanto stabilito dal Consiglio di amministrazione nel '67 e,

probabilmente, in conseguenza alle minacce di carenza energetica verificatisi in seguito alla

guerra dei Sei Giorni. Il tutto, però, inclusa la questione dell’ubicazione territoriale

dell’impianto, venne rimandato all’anno seguente483.

Nel frattempo, anche la politica energetica comunitaria sembrava avviata verso il decollo.

Si aggiornò infatti il documento del dicembre '68 intitolato “Primo orientamento per una politica

energetica comunitaria”, completandolo con la redazione da parte della Commissione europea

del provvedimento denominato “Progressi necessari della politica energetica comunitaria”.

Presentato al Consiglio il 13 ottobre '72, pochi giorni prima del vertice di Parigi dei capi di Stato

e di governo, il nuovo documento si avvaleva dell’esperienza maturata nel '68 e, tenendo conto

del fatto che la soluzione del problema energetico comunitario era inscindibile da quella

mondiale, comprendeva ben quarantasei proposte a carattere generale e settoriale. Fra queste

ultime, ad esempio, erano presenti diverse raccomandazioni in funzione di una maggiore

cooperazione in ogni ambito energetico, per un coordinamento delle varie iniziative già in atto o

in corso d’opera e sulla necessità di migliorare le relazioni con i paesi esterni alla Comunità, sia

nei confronti degli Stati esportatori di fonti di energia che verso quelli importatori. Nel

documento conclusivo del vertice di Parigi si dichiarò ufficialmente la necessità di elaborare, nel

più breve tempo possibile, una politica energetica comunitaria atta a garantire un

approvvigionamento sicuro e durevole e in condizioni economiche soddisfacenti484.

Il conflitto dei Sei Giorni aveva tuttavia profondamente modificato i termini del problema

relativo agli approvvigionamenti petroliferi, come mostrava una significativa nota interna

dell’ENI:

“La chiusura del Canale di Suez [aveva] provocato nel giugno 1967 un ingente aumento del

livello dei noli cisternieri nel mercato internazionale, causato dall’improvvisa e notevole

domanda di tonnellaggio occorrente per riallocare le importazioni di petrolio greggio dal Golfo

Persico via Capo di Buona Speranza, anziché via Suez. Le misure prese dall’industria petrolifera

per far fronte alla situazione (ricorso a fonti di rifornimento più vicine, impiego di superpetroliere

per le importazioni dal Golfo Persico via Capo di Buona Speranza) [avevano] successivamente

portato ad una graduale flessione dei noli, che nel primo periodo della crisi (II° semestre 1967) 482 Cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1972, Roma, 1973, pp. 148-149, ibidem. 483 Cfr. ibidem, pp. 137-140. 484 Cfr. Statement from the Paris Summit (19 to 21 October 1972), punto 9, Energy Policy (consultabile sul sito internet http://www.ena.lu).

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avevano raggiunto livelli eccezionali (fino a 350-400% al di sopra delle rate basi per viaggi

singoli). In seguito i noli si [erano] allineati, alla fine del 1969 e nei primi mesi del 1970, su

quotazioni molto più basse, ma un poco superiori a quelle precedenti la crisi di Suez”485.

Prima del conflitto le importazioni petrolifere italiane provenivano per quasi due terzi dal

Golfo Persico via Suez; successivamente, si era “proceduto ad uno spostamento ricorrendo ad

importazioni da provenienze più vicine, quali la Libia ed i terminali del Mediterraneo Orientale

ove [sboccavano] gli oleodotti provenienti dall’Irak e dall’Arabia Saudita. Queste provenienze

[avevano] ridotto la incidenza delle importazioni dal Golfo Persico, contribuendo a ridurre

l’onere derivante dal maggior percorso (65 giorni andata-ritorno via Capo di Buona Speranza,

rispetto ai 30 giorni via Suez) e diminuendo al tempo stesso la domanda di tonnellaggio

cisterniero”486.

Si poteva quindi affermare che la chiusura del Canale di Suez aveva influenzato

profondamente l’industria petrolifera, specie dal punto di vista economico: la variazione del

prezzo del greggio andava infatti valutata anche in funzione dei profondi mutamenti e dei

notevoli investimenti avviati nel settore dei trasporti cisternieri, nella struttura stessa degli

impianti portuali e nella concentrazione delle aree di raffinazione in vicinanza dei porti meglio

attrezzati per accogliere grandi petroliere. Da non sottovalutare, inoltre, il fatto che lo

spostamento dei traffici del greggio dal Mediterraneo all’Atlantico aveva comportato una

diminuzione dell’importanza dei centri di raffinazione per l’esportazione petrolifera ubicati in

Italia a vantaggio di quelli dell’Europa nord-occidentale. Nel maggio del 1970 si verificò anche

la rottura sul territorio siriano del TAPLINE, l’oleodotto della società ARAMCO per il trasporto

di greggio dall’Arabia Saudita al Mediterraneo, mentre la Libia decise di limitare il volume della

produzione di talune società. Tutto ciò appesantì ulteriormente la situazione degli

approvvigionamenti italiani, e occidentali in genere, dando il via a una serie di azioni unilaterali

che aumentarono il volume della richiesta internazionale di greggio487.

In questo scenario, iniziava a apparire ben chiara la necessità di delineare delle

contromisure adeguate al fine di scongiurare che una crisi successiva producesse ulteriori

contraccolpi. L’importanza del greggio come materia prima era tale da condizionare fortemente i

rapporti tra paesi produttori e nazioni consumatrici. La forza dei membri dell’OPEC era

accresciuta dal fatto che i paesi produttori non appartenenti all’organizzazione destinavano una

485 Stima dell’incidenza della chiusura del Canale di Suez sul costo dei rifornimenti di petrolio greggio in Italia, nota interna all’ENI non firmata, Roma, 6 agosto 1970, ASE, coll. I. III. 1, udc. 127. 486 Ibidem. 487 Secondo Nouschi i consumi globali di greggio nel 1970 erano cresciuti quasi del quattrocento percento rispetto a quelli del 1949 (per approfondimenti cfr. A. Nouschi, Pétrole et relations internationales de 1945 a nos jours, cit., p. 35).

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consistente porzione del greggio estratto al fabbisogno interno, permettendo all’OPEC di gestire

sul mercato internazionale una quota molto ampia di petrolio. Sempre più consapevole di questa

opportunità, durante un vertice a Caracas nel dicembre del '70, l’OPEC decise di portare al

cinquantacinque percento la tassa minima di interesse che le compagnie petrolifere dovevano

pagare ai paesi produttori, minacciando, in caso di inadempimento, interruzioni di

approvvigionamento488. L’iniziativa ancora una volta agì da stimolo per l’avvio di nuove

riflessioni sull’andamento del mercato petrolifero internazionale, come testimoniava un

approfondito studio interno preparato dall’Ente Nazionale Idrocarburi nel quale erano illustrate

le opzioni strategiche a disposizione:

“L’ENI [doveva] anzitutto decidere se intende[va] mantenere (e ampliare) il credito politico

di cui gode[va] e cercare di trarne profitto, o se [voleva] allinearsi alle posizioni delle grandi

compagnie. Una linea di differenziazione dalla compagnie maggiori sembra[va] coerente più con

una politica volta a sviluppare la ricerca di greggio che con una politica di buona amministrazione

delle riserve di cui già si dispone[va]; ma [era] probabile che senza un atteggiamento accetto ai

paesi produttori, anche la buona amministrazione [avrebbe finito] per risultare impossibile”489.

Già in questo resoconto traspariva la necessità di operare in armonia con i paesi

produttori, perseguendo un indirizzo alternativo a quello portato avanti dalle grandi compagnie

petrolifere. Ancora una volta veniva dunque ribadita, in Italia come altrove, l’esigenza di operare

scelte autonome al fine di ottenere, in caso di grave crisi, migliori condizioni di mercato. In altre

parole, già nel '70 si andava profilando la situazione provocata dalle decisioni prese dall’OPEC

durante la guerra del Kippur. D’altra parte, per nazioni come l’Italia, quasi completamente

dipendenti dalle importazioni petrolifere mediorientali e in cui i piani energetici alternativi

necessitavano di una lunga preparazione prima di divenire effettivi, nell’immediato l’unica

strada possibile da percorrere si riduceva al compromesso. Le organizzazioni comunitarie e

internazionali avevano oltretutto già palesato enormi difficoltà nel dar vita a politiche

energetiche sovranazionali. La scelta dell’ENI di non aderire all’iniziativa avanzata dalle grandi

compagnie del petrolio per un negoziato globale con i paesi produttori si ufficializzò con un

comunicato del 20 gennaio '71490 che suscitò molte proteste da parte dei grandi gruppi petroliferi,

488 Questa decisione rappresentò di fatto l’adeguamento dell’OPEC alle decisioni già adottate in ottobre dalla Libia e in novembre dall’Iran e dal Kuwait 489 I problemi dell’ENI nel mercato internazionale, appunto interno non firmato, Roma, novembre 1970, ASE, coll. BB. I. 5, udc. 422. 490 Cfr. Comunicato ufficiale del Servizio Relazioni Pubbliche dell’ENI, Roma, 20 gennaio 1970, ASE, coll. BB. II. 4, udc. 441.

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i quali paragonarono questa decisione alle iniziative antagoniste di Mattei491. I negoziati tra i

paesi dell’OPEC e le compagnie internazionali iniziarono a Teheran il 12 gennaio e si conclusero

il 14 del mese successivo con un accordo492 che in pratica sancì l’aumento progressivo del

prezzo del petrolio fino al 1975 e un maggior potere decisionale da parte dei governi dei paesi

produttori nell’intero settore493.

Sulla base della strategia avviata dall’ENI, agli inizi del '71 il Servizio Pianificazione

Energia ed Idrocarburi preparò uno studio dettagliato da cui emerse un’impostazione che

sembrava relegare a un ruolo strumentale l’opzione di un’azione collettiva:

“La possibilità per i paesi consumatori di approvvigionarsi di petrolio direttamente dai paesi

produttori senza l’intermediazione delle compagnie [andava] verificata alla luce di due aspetti

fondamentali: a) disponibilità di greggio da parte dei paesi produttori e sbocchi commerciali di

adeguata consistenza controllati dai paesi consumatori interessati; b) possibilità di instaurare

rapporti diretti di reciproco vantaggio fra paesi produttori e paesi consumatori”494.

I quantitativi di greggio disponibili da parte dei singoli Stati produttori tranne rare

eccezioni risultavano infatti modesti, mentre erano tutt’altro che trascurabili globalmente; ciò

491 Cfr. Situazione degli approvvigionamenti di petrolio, Telespresso n. 077/1690/C, inviato dal MAE, DGAE, Ufficio VII, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero del Bilancio, al Ministero del Tesoro, al Ministero Industria e Commercio, al Ministero Partecipazioni Statali, all’Ente Nazionale Idrocarburi, Roma, 25 gennaio 1971, ibidem. 492 Si trattava del cosiddetto Teheran Act Agreement a cui seguirono altri accordi simili: il 2 aprile si sottoscrisse infatti il Tripoli Agreement e successivamente l’East Mediterranean Agreement con cui si stabilivano nuove regole contrattuali per i paesi produttori del Nord Africa e per quelli che esportavano nel Mediterraneo [per ulteriori approfondimenti si vedano, tra gli altri, A. Clô, Crisi energetica: consumi, risparmi e penetrazione elettrica, in G. Zanetti (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 5, cit., pp. 70-71; Id., Economia e politica del petrolio, cit., pp. 158-162; G. Lenczowski, The Middle East in World Affairs, cit., pp. 214-215; W. J. Levy, Oil Strategy and Politics, 1941-1981, cit., pp. 180-195; L. Maugeri, L’era del petrolio. Mitologia, Storia e futuro della più controversa risorsa del mondo, cit., pp. 127-128; J. Stork, Il petrolio arabo, cit., pp. 166-171; D. Yergin, The Prize. The Epic Quest for Oil, Money and Power, cit., pp. 582-583]. 493 Il governo americano, dopo una serie di studi economico-politici avviati sulla questione, sostenne fortemente la necessità di raggiungere un accordo con i paesi dell’OPEC anche in presenza di rinunce considerevoli. Infatti, in un memorandum del 25 gennaio '71 indirizzato a Henry Kissinger da parte del presidente dell’Interagency Oil Task Force, Philip H. Trezise, si analizzò la situazione internazionale del settore petrolifero, mediante l’esposizione delle dimensioni del problema, le alternative possibili per la distribuzione, nonché le azioni proponibili da parte americana. Secondo questa analisi, un taglio delle importazioni di greggio dalle aree del Medio Oriente e del Nord Africa poteva esser compensato nel breve periodo direttamente dagli Stati Uniti con poche difficoltà, prendendo misure per incrementare la produzione nazionale e attingendo nel frattempo dalle scorte nazionali. In caso di un blocco prolungato delle importazioni, la speranza per le economie europee occidentali di sopravvivere senza l’approvvigionamento di petrolio dal Medio Oriente e dal Nord Africa era però giudicata davvero minima. A causa della crescita enorme del consumo globale di energia, gli Stati Uniti non potevano immaginare, anche dopo aver preso tutte le misure necessarie per mobilitare le proprie risorse, di fornire ai propri alleati petrolio sufficiente per ovviare ai tagli di greggio mediorientale e nordafricano. Si riconosceva tuttavia che le differenze tra le parti in causa, i paesi produttori, i consumatori e le compagnie petrolifere, vertevano essenzialmente sul prezzo e, quindi, il grande interesse di tutti gli attori a mantenere inalterati i livelli di scambio avrebbe portato sicuramente a un accordo. Sulla base di queste ipotesi si profilarono una serie di considerazioni che partivano dal presupposto per cui i paesi produttori non possedevano un altro mercato petrolifero; alla stessa stregua, i paesi consumatori avevano necessità di importare greggio e non possedevano altra fonte immediata e adeguata per soddisfare le proprie richieste. Veniva infine riconosciuto che il ruolo delle compagnie petrolifere, quali negoziatrici dirette tra le parti in causa, era essenziale e difficilmente sostituibile con altre forme di negoziazione (Cfr. Memorandum for Mr. Henry A. Kissinger from Philip H. Trezise, Chaiman of Interagency Oil Task Force, The White House, Washington, 25 gennaio 1971, NARA, NPMP, NSSM, doc. n. 114). 494 Alcune considerazioni sulla possibilità di instaurare rapporti diretti tra paesi produttori e paesi consumatori per l’approvvigionamento di petrolio, Studio redatto dal Servizio Pianificazione Energia ed Idrocarburi dell’ENI, 19 aprile 1971, ASE, coll. BB. II. 4, udc. 441.

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significava in pratica che un accordo con un singolo produttore poteva non risultare

soddisfacente. Bisognava inoltre verificare, come sottolineava lo studio dell’ENI, la reale

convenienza degli Stati produttori nell’intavolare accordi diretti con i consumatori:

“Si tratta[va] allora di vedere se i paesi consumatori, a differenza delle compagnie

petrolifere, [erano] in grado di offrire ai paesi produttori qualcosa al tempo stesso particolarmente

apprezzato da questi ultimi e di poco costo per i primi. Solo in questo modo [sarebbe stato]

possibile realizzare i due obiettivi del basto costo del petrolio per i consumatori e di sostanziali

vantaggi per i produttori. Vantaggi non solo in termini di entrate fiscali sulla produzione

petrolifera, perché [era] evidente che se i paesi produttori mirassero soltanto a massimizzare le

entrate fiscali (nel breve e medio termine) non avrebbero [avuto] interesse alcuno ad instaurare

rapporti diretti con i paesi consumatori poiché questi – [era] da presumere – sarebbero [stati] più

attenti delle compagnie petrolifere a non pagare un alto prezzo per il petrolio”495.

Affinché un rapporto diretto fra le due parti in causa potesse essere di reciproca utilità

risultava quindi necessario considerare aspetti più ampi di quelli relativi a una semplice

transazione commerciale. Si poteva ad esempio ipotizzare accordi quadro fra alcuni paesi

consumatori e un gruppo di nazioni produttrici; queste ultime, in cambio di assistenza tecnica e

collaborazione economico-politica per il loro sviluppo industriale avrebbero dovuto garantire

approvvigionamenti petroliferi stabili a prezzi relativamente moderati:

“Una via d’uscita [poteva] consistere in un’offerta da parte dei paesi consumatori (meglio

come gruppo – per esempio la CEE – che singolarmente) ad un gruppo di paesi produttori per un

accordo quadro nell’ambito del quale i paesi produttori si [impegnavano] a fornire quantitativi di

greggio a condizioni stabilite ed i paesi consumatori, oltre al pagamento di un prezzo

(relativamente basso), si [impegnavano] a fornire assistenza tecnica per lo sviluppo industriale dei

paesi produttori e forme varie di collaborazione nelle quali [sarebbero potute] rientrare

agevolazioni tariffarie e, più in generale, forme di associazione economico-politica (per esempio,

associazione alla CEE). Più specificatamente, si [potevano] prevedere accordi di lungo termine

tra consorzi di imprese dei paesi consumatori ed imprese o governi dei paesi produttori. Questi

accordi, che [potevano] essere negoziati a livello governativo, [avrebbero dovuto] prevedere da

un lato forniture di petrolio greggio e dall’altro forniture di beni di investimento per sviluppare

iniziative industriali nei paesi produttori di petrolio, in un quadro di stabilità della ragione di

scambio”496.

495 Ibidem. 496 Ibidem.

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In altri termini, iniziava a profilarsi la necessità di collegare la questione degli

approvvigionamenti con iniziative finanziarie dirette volte a risollevare le economie dei paesi

produttori, creando così un tessuto di interessi reciproci sul quale fondare stabilmente le

relazioni. D’altro canto, secondo quanto riportato nella relazione presentata dal vicepresidente

dell’ENI alla Commissione Consultiva per l’Energia il 23 aprile '71, l’importanza strategica e la

centralità dell’area mediorientale nell’ambito del possesso e della gestione delle risorse

petrolifere, nonostante le recenti scoperte di nuovi giacimenti, sarebbe rimasta invariata ancora

per molto tempo:

“I ritrovamenti in Alaska, quelli in atto nel sud-est asiatico, nel Mare del Nord nonché

possibili ulteriori scoperte [potevano] incidere in qualche misura sulla distribuzione delle riserve.

Ma l’attuale situazione di preminenza del Medio Oriente non [appariva] – nel breve e medio

termine – modificabile in misura sostanziale. Dal quadro prospettato emerge[va] che il problema

dell’energia [era] oggi, e ancora per molti anni, essenzialmente un problema petrolifero”497.

Girotti sottolineava tuttavia anche la necessità di perseguire con la massima urgenza lo

sviluppo di tutte le forme di energie alternative possibili: gas naturale proveniente da altre aree e

nucleare. Quest’ultimo avrebbe sicuramente rappresentato in futuro un’alternativa valida al

petrolio ma era necessario che l’Italia e la Comunità europea investissero molto in questa

direzione. Anche l’ENI avrebbe potuto fare la sua parte:

“[non bisognava] trascurare tutte quelle azioni che [potevano] contribuire a rafforzare la

posizione dei paesi consumatori attraverso uno sviluppo di fonti energetiche alternative: ricorso

al gas naturale, soprattutto se proveniente da zone diverse da quelle di origine del petrolio, e

sviluppo dell’energia nucleare […]. I più recenti sviluppi tecnico-economici che [interessavano]

l’energia nucleare [consentivano] di affermare che questa fonte [avrebbe rappresentato], nel

lungo periodo, una sostanziale alternativa all’uso dell’energia convenzionale. Ne [conseguiva]

che la crescita di un’industria nucleare italiana, possibilmente coordinata con quella europea,

autosufficiente sia per la progettazione e costruzione di impianti sia per la produzione di

combustibili, rappresenta[va] un valido strumento di diversificazione, e di limite alla lievitazione

dei prezzi delle fonti alternative. […] L’ENI, anche sulla base della sua esperienza, [possedeva]

497 Problemi dell’approvvigionamento degli idrocarburi e dei combustibili nucleari, Relazione presentata dall’Ing. Raffaele Girotti, vicepresidente dell’ENI, alla riunione del 23 aprile 1971 della Commissione Consultiva per l’Energia, Roma, ASE, coll. I. II. 3, udc. 54.

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la capacità di realizzare una più decisa azione nel campo dei minerali uraniferi. Occorre[va],

però, che l’impegno dell’ENI [potesse] collocarsi in un quadro sufficientemente definito di

sviluppo del settore nucleare in Italia”498.

I rapidi sviluppi relativi al settore degli approvvigionamenti petroliferi necessitavano

dunque di nuove strategie come confermavano i recenti provvedimenti adottati da alcuni fra i

maggiori produttori. Dopo l’accordo di Teheran del 14 febbraio '71, infatti, il 24 dello stesso

mese l’Algeria decise di nazionalizzare il cinquantuno percento delle concessioni petrolifere

possedute dalla Francia; il 2 aprile la Libia concluse un accordo con le società petrolifere per un

nuovo aumento del prezzo del petrolio499; il 31 luglio in Venezuela si approvò invece la

“Hydrocarbons Reversion Law” che prevedeva, a partire dal '74, un graduale trasferimento nelle

mani dello Stato di tutte le aree in concessione non utilizzate e, dal 1983, di tutti i loro beni

rimanenti; il 22 settembre ebbe inizio una Conferenza straordinaria dell’OPEC durante la quale

si formulò l’auspicio di condurre ulteriori “trattative con le compagnie petrolifere allo scopo di

ottenere, da un lato, una «partecipazione» nelle attività da loro svolte nei territori dei paesi

membri, dall’altro, un ulteriore aumento dei «prezzi di riferimento» per compensare la

svalutazione di fatto subita dal dollaro […] nello scorso mese di agosto”500.

Il deprezzamento della moneta statunitense determinò infatti l’inizio di una fase di

enorme incertezza e di inflazione generalizzata. I paesi cosiddetti in via di sviluppo che

dipendevano fortemente dalle importazioni dei beni di prima necessità subirono le maggiori

conseguenze e iniziarono a prendere coscienza della loro condizione. In altri termini, alcuni paesi

cominciarono a considerare l’ipotesi di utilizzare le poche risorse interne per migliorare la

difficile situazione economica aggravatasi con la svalutazione del dollaro501. Stava per nascere

quel movimento, affermatosi con forza dopo lo shock petrolifero, che raggruppava tutti i paesi

che rivendicavano una maggiore autosufficienza e una piena partecipazione al commercio

mondiale, al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale, nonché una protezione

delle loro risorse attraverso una regolamentazione delle multinazionali e un riassetto degli

scambi mondiali502.

498 Ibidem. 499 Dopo cinque settimane di negoziazione la Libia ottenne, assieme all’Arabia Saudita, all’Algeria e all’Iraq, un aumento immediato del prezzo del petrolio destinato al Mediterraneo da 2,55 a 3,45 dollari al barile, un ulteriore incremento annuale pari al 2,5% oltre il valore dell’inflazione riconosciuta e un aumento della tassa generale fino al sessanta percento. 500 Relazione sull’attività delle Comunità Economiche Europee per l’anno 1971 presentata dal Ministro degli Affari Esteri (Moro), Camera dei Deputati, V Legislatura, 27 dicembre 1971, HAEU, Fondo Edoardo Martino, nn. 27-28. 501 L’importanza della crisi del sistema monetario internazionale per giustificare le decisioni dell’OPEC è alla base delle teorie di Penrose e di Luciani (cfr. G. Luciani, L’OPEC nella economia internazionale, cit.; E. T. Penrose, The Large International Firm in Developing Countries. The International Petroleum Industry, cit.). 502 Per un approfondimento sulla questione dell’utilizzo dell’arma petrolifera come opportunità di crescita per i paesi produttori e nel tentativo di migliorare la condizione dei PVS proponendo un nuovo ordine economico internazionale si veda G. Garavini, Dopo gli imperi. L’integrazione europea nello scontro Nord-Sud, Firenze, 2009.

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Sulla scia di questo processo di autocoscienza, il 5 dicembre '72 la Libia decise di

nazionalizzare le concessioni petrolifere britanniche; il 20 gennaio una riunione fra Emirati

Arabi Uniti, Iran, Iraq, Kuwait, Qatar e Arabia Saudita e le compagnie petrolifere si concluse con

l’accordo per un aumento aggiuntivo del prezzo del greggio fino a un tetto pari all’8,49% per

compensare la perdita in valore delle concessioni di petrolio attribuibile al deprezzamento del

dollaro503. Tutto ciò confermava “l’esigenza di accelerare l’elaborazione di una politica

comunitaria per l’energia che [consentisse] all’Europa di poter fare affidamento su una propria

struttura energetica adeguata alla sua dimensione di grande consumatore e importatore di

prodotti petroliferi e che le [garantisse] dei rifornimenti sicuri ed a basso prezzo”504.

Fino a quel momento le divergenti strategie nazionali non avevano però permesso

l’approvazione di un piano energetico comunitario. Anche a livello mondiale la cooperazione tra

i paesi consumatori non aveva ottenuto i successi desiderati. Già a partire da settembre 1970 gli

statunitensi avevano esortato tutti gli Stati consumatori dell’OCSE505 a un’azione comune,

mentre gli alleati europei erano stati sollecitati a elevare i livelli delle scorte petrolifere

strategiche nazionali al fine di potenziare la propria capacità contrattuale nelle trattative con i

paesi produttori. Inoltre, gli Stati Uniti, secondo quanto riportato dal segretario di Stato, William

P. Rogers, in un memorandum indirizzato al presidente Nixon, erano in procinto di attuare un

piano strategico mirante a fronteggiare un’eventuale situazione di crisi nel settore petrolifero506.

Il progetto prevedeva tre azioni preventive, tra cui, sicuramente più interessante dal punto di

vista della cooperazione internazionale, la richiesta a Canada, Giappone, Gran Bretagna e paesi

503 Per uno studio sulle decisioni dell’OPEC si veda D. Yergin, The Prize. The Epic Quest for Oil, Money and Power, cit., pp. 633-652. 504 Relazione sull’attività delle Comunità Economiche Europee per l’anno 1971 presentata dal Ministro degli Affari Esteri (Moro), Camera dei Deputati, V Legislatura, 27 dicembre 1971, HAEU, Fondo Edoardo Martino, nn. 27-28. 505 Nata nel 1960 in sostituzione della precedente OECE, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico aveva tra i suoi compiti l’attuazione della massima espansione economica possibile, sia per i suoi membri che per i paesi sottosviluppati, attraverso l’incremento del commercio mondiale su base multilaterale e non discriminatoria. Entrata ufficialmente in funzione il 30 settembre 1961, accolse successivamente anche gli Stati Uniti e il Canada. 506 La situazione energetica degli Stati Uniti era andata profondamente modificandosi negli ultimi anni e nel '72 la produzione nazionale di fonti primarie si presentava insufficiente di fronte ai fabbisogni interni. Questa condizione era del tutto inattesa in un paese che possedeva ancora abbondanti risorse potenziali sul proprio territorio. Una delle cause andava cercata nel forte aumento del consumo energetico nazionale che, secondo le previsioni, avrebbe continuato a aumentare, rendendo la questione ancora più grave in prospettiva. Un’altra motivazione risiedeva nell’imprevisto ritardo dello sviluppo dell’energia nucleare il quale aveva provocato, da parte delle imprese elettriche, una maggiore richiesta di carbone che non era stata possibile fronteggiare interamente. Sull’onda dello sviluppo dell’energia nucleare, infatti, gli investimenti sul carbone, così come era accaduto in quasi tutti i paesi che stavano sviluppando una politica energetica nucleare, erano stati rallentati. Per produrre energia elettrica in funzione della richiesta interna si era dunque ricorsi all’olio combustibile e al gas naturale, senza effettuare un incremento nel ritmo di individuazione delle risorse di idrocarburi. Queste motivazioni, assieme alle situazioni critiche che si stavano succedendo nei paesi produttori del Medio Oriente, spingevano il governo a avviare un piano di emergenza energetica fin da subito (per uno studio sulla politica estera statunitense in relazione alle questioni energetiche si vedano, tra gli altri, S. Bromley, American Hegemony and World Oil: The Industry, the State System and the World Economy, Cambridge, 1991; E. W. Chester, United States Oil Policy and Diplomacy: A Twentieth-Century Overview, Westport, 1983; W. Engdahl, A century of war: Anglo-American oil politics and the new world order, London, 2004; R. Gilpin, U S. Power and the Multinational Corporations, New York, 1975; S. Karlsson, Oil and the world Order: American Foreign Oil Policy, Leamington Spa, 1986; N. Kokxhoorn, Oil and politics: the domestic roots of US expansion in the Middle East, Frankfurt, 1977; D. S. Painter, Oil and the American century: the political economy of U.S. foreign oil policy, 1941-1954, Baltimore, 1986; S. P. Tillman, The United States in the Middle East: interests and obstacles, Bloomington, 1982; R. H. K. Vietor, Energy policy in America since 1945: a study of business-government relations, Cambridge, 1984).

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della CEE, di esaminare di concerto la possibilità di aumentare la collaborazione nello sviluppo

di forme di energia sia tradizionali che non convenzionali507.

Nel giugno del '72 la situazione iniziò a deteriorarsi dopo la decisione del governo

iracheno di nazionalizzare la concessione petrolifera britannica della IPC, quella tedesca della

Royal Ducht-SHELL, quella francese della Compagnie Française des Pétroles e la società di

New Jersey Mobil and Standard Oil. In sostegno alle decisioni di Baghdad, l’OPEC si adoperò

inoltre per impedire che le società nazionalizzate incrementassero la loro produzione altrove. Era

dunque chiaro a tutti come le questioni petrolifere fossero ormai divenute di importanza

fondamentale anche per la politica estera occidentale e perciò bisognava tenerne conto

nell’impostazione strategica generale al fine di impedire, secondo le indicazioni dei membri del

National Security Council Staff, Robert D. Hormats, Richard T. Kennedy e John D. Walsh, che

divenissero ancora più determinanti in futuro508. Il nuovo assetto creato dai paesi produttori, forte

di un effettivo potere sulle decisioni del prezzo del greggio e delle crescenti richieste di

partecipazione alle lucrose concessioni estere, rischiava di eliminare presto il ruolo delle società

private occidentali nella produzione petrolifera mediorientale. Lo sviluppo politicamente più

significativo, sempre secondo i membri del NSC, consisteva nella capacità araba di sostenere

finanziariamente un embargo totale e prolungato sulle spedizione di petrolio. Questa nuova

condizione introduceva una diversa variabile anche nell’ambito della questione arabo-israeliana

con l’ipotetica minaccia di pressioni arabe sugli Stati Uniti e sui principali alleati, a cui si poteva

aggiungere la prospettiva di un aumento della penetrazione e dell’influenza sovietica509. In

ottobre, i paesi dell’OPEC approvarono infine un nuovo programma che prevedeva un diritto di

prelievo governativo, dal 1° gennaio '73, pari al venticinque percento di tutti gli interessi

petroliferi occidentali in Kuwait, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, prevedendone un

ulteriore aumento fino al cinquantuno percento a partire dal 1° gennaio '83; l’Iraq non partecipò

all’accordo che venne firmato definitivamente il 21 dicembre. Secondo le direttive impartite da

Kissinger, l’unica valida risposta poteva essere la creazione di un legame più stretto e efficace

con i partner europei510. In un memorandum del 18 dicembre '72 l’assistente in seconda del

507 La prima azione preventiva statunitense era indirizzata a raggiungere un accordo diretto e esclusivo con il Canada dopo la scoperta di ingenti quantità petrolifere nella zona artica; secondo l’analisi del segretario di Stato Rogers, il ritrovamento di nuovo greggio in quell’area avrebbe potuto convincere il governo canadese a considerare che il mercato naturale di questi idrocarburi coincideva con il territorio degli Stati Uniti. La seconda strategia mirava invece a preparare una proposta per il governo di Caracas al fine di ottenere una convenzione mediante la quale tutto il petrolio venezuelano potesse entrare liberamente nel territorio statunitense in cambio di un accordo che garantisse gli investimenti USA necessari per sviluppare le notevolissime riserve di greggio scoperte (cfr. Petroleum Developments and the Impeding Energy Crisis, Memorandum for the President from William P. Rogers, Secretary of State, Washington, 10 marzo 1972, NARA, NPMP, NSSM, doc. n. 174). 508 Cfr. Foreign Policy Ramifications of U S. Oil Policy, Memorandum for Kissinger from Robert D. Hormats, Richard T. Kennedy e John D. Walsh, Members of the National Security Council Staff, Washington, 11 luglio 1972, NARA, NPMP, NSSM, doc. n. 174. 509 Ibidem. 510 Il '73, infatti, doveva essere “The Year of Europe”, un anno dedicato alla ricerca di una cooperazione più stretta con gli alleati europei sulle questioni economiche e di sicurezza; la sua inaugurazione avvenne ufficialmente con un discorso dell’Assistente

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segretario di Stato per gli Affari Europei, Walter J. Stoessel, per la prima volta ammise la

possibilità che la questione petrolifera potesse rappresentare un elemento di divisione fra Stati

Uniti e Comunità europea, impegnata a sviluppare una politica energetica comune. Da parte loro,

gli USA intendevano sollecitare una completa cooperazione con gli europei per dar vita a una

strategia capace di contrastare un’eventuale emergenza e di promuovere uno sviluppo coordinato

di fonti di energia alternativa511. Nello stesso periodo si presentò una proposta di collaborazione

tra i paesi consumatori da parte del consulente petrolifero del Dipartimento di Stato americano,

Walter J. Levy512, ma i tempi non sembravano maturi per una soluzione di questo genere. Già nel

'72 si profilarono dunque riflessioni e orientamenti che sarebbero riemersi in un clima di

concitata preoccupazione nei mesi successivi, quando la situazione energetica mondiale sarebbe

stata sconvolta dagli eventi dell’ottobre del 1973.

Di fronte a una situazione così delicata, l’Italia, che dipendeva quasi totalmente dai

rifornimenti energetici mediorientali, provò a attuare una politica estera che, da una parte, mirava

a evitare iniziative mediterranee che potessero risultare non gradite a Washington e, dall’altra

parte, tentava di prendere gradatamente le distanze dalla politica filo-israeliana degli Stati Uniti.

Così facendo la Farnesina mirava a svolgere “un ruolo di interlocutore privilegiato” all’interno

dello scacchiere mediorientale513. Tuttavia, con la nomina di Aldo Moro a capo del Ministero

degli Esteri l’Italia andò sempre più avvicinandosi al mondo arabo in un contesto nel quale le

necessità energetiche nazionali suggerivano sempre più un rapporto non conflittuale con i paesi

presidenziale per i National Security Affairs il 23 aprile '73: “This year has been called the year of Europe, but not because Europe was less important in 1972 or in 1969. The alliance between the United States and Europe has been the cornerstone of all postwar foreign policy. […] Nineteen seventy-three is the year of Europe because the era that was shaped by decisions of a generation ago is ending. The success of those policies has produced new realities that require new approaches: the revival of western Europe is an established fact, as is the historic success of its movement toward economic unification; the East-West strategic military balance has shifted from American preponderance to near-equality, bringing with it the necessity for a new understanding of the requirements of our common security; other areas of the world have grown in importance. Japan has emerged as a major power center. In many fields, "Atlantic" solutions to be viable must include Japan; we are in a period of relaxation of tensions. But as the rigid divisions of the past two decades diminish, new assertions of national identity and national rivalry emerge; problems have arisen, unforeseen a generation ago, which require new types of cooperative action. Insuring the supply of energy for industrialized nations is an example. These factors have produced a dramatic transformation of the psychological climate in the West – a change which is the most profound current challenge to Western statesmanship. […] We must strike a new balance between self-interest and the common interest. We must identify interests and positive values beyond security in order to engage once again the commitment of peoples and parliaments. We need a shared view of the world we seek to build” (H. A. Kissinger, The Year of Europe, in «The Department of State Bulletin», 14 maggio 1973, vol. LXVIII, pp. 593-598). Per un approfondimento si vedano, tra gli altri, C. Hynes, The Year that Never Was: Heath, the Nixon Administration and the Year of Europe, Dublin, 2009; S. Karlsson, Oil and the world Order: American Foreign Oil Policy, cit., pp. 222-223. 511 Cfr. US Relations with Europe, Memorandum for Kissinger from Walter J. Stoessel, Jr. Assistant Secretary for European Affairs, The White House, Washington, 18 dicembre 1972, NARA, NPMP, NSSM, doc. n. 164. 512 Cfr. Reports W. Levy’s (Consultant to the US State Department) proposal for an alliance of oil consumers, Letter from Rothschild (Director General and First Permanent Under-Secretary, Central Policy Review Staff, Cabinet Office) to R. Marshall (Secretary of Department of Trade and Industry), Londra, 12 dicembre 1972, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, Documents on British Policy Overseas, Serie III, vol. IV, Oxon, 2006, doc. 4. 513 Cfr. M. Cricco, Dalla genesi del secondo piano Rogers alle premesse della guerra dello Yom Kippur (1970-1973), in D. Caviglia, M. Cricco, La diplomazia italiana e gli equilibri mediterranei, cit., p. 95.

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produttori514. Una tendenza destinata, man mano che la guerra del Kippur si avvicinava, a

misurarsi con tutte le conseguenze prodotte dallo scoppio delle ostilità.

514 Per approfondimenti sulle iniziative diplomatiche italiane tra il 1970 e il 1973 si veda ibidem, pp. 77-140.

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CAPITOLO IV

LA CRISI ENERGETICA DEGLI ANNI SETTANTA

1. L’Italia alla vigilia dello “shock”

Le difficoltà che stava attraversando il sistema degli approvvigionamenti petroliferi non

potevano non influenzare l’intero settore energetico internazionale, ma le conseguenze

risultavano particolarmente pesanti per un paese praticamente privo di risorse nazionali come

l’Italia 515. La cattiva gestione del settore nucleare da parte dell’ENEL dopo la nazionalizzazione

del '62 rese sempre più dipendente la penisola dalle importazioni di greggio e, in particolare, da

quello mediorientale. L’ENI, a sua volta, dopo la morte di Mattei non riuscì più a esprimere una

politica antagonista tale da assicurare all’Italia vantaggi petroliferi esclusivi; anzi, l’ente si

trasformò praticamente in compratore di greggio altrui, rallentando notevolmente lo sviluppo

della capacità di raffinazione. Ciò poneva l’ENI in una condizione di particolare sensibilità agli

eventi che riguardavano il sistema degli approvvigionamenti petroliferi internazionali. D’altro

canto, la dirigenza dell’ente petrolifero di Stato aveva impiegato molte risorse nel tentativo di

ottenere importanti rifornimenti di combustibile nucleare, intuendo con anticipo la necessità di

continuare a investire in un settore che rappresentava il futuro.

Nella stessa direzione andava la presentazione alla Presidenza della Camera di un disegno

di legge da parte del ministro del Tesoro, Malagodi, di concerto con il ministro dell’Industria,

Ferri, e con il ministro del Bilancio, Taviani, dal titolo “Conferimento di un fondo di dotazione

all’Ente Nazionale per l’Energia Elettrica”. Lo scopo principale del provvedimento, illustrato il

13 settembre '72, consisteva nello stanziamento di nuove risorse finanziarie destinate al rilancio

dell’ENEL. Durante il dibattito parlamentare si approvò un importante emendamento, presentato

dagli onorevoli Maschiella, Raffaelli, Giovanni Berlinguer e Giuseppe D’Alema per conto del

PCI, che assegnava al governo il compito di presentare entro il mese di giugno un progetto di

riforma generale della tariffa elettrica finalizzata:

“a) a permettere all’Ente di realizzare programmi a lungo termine di sviluppo del settore

energetico, con particolare riguardo per il settore nucleare; b) a promuovere lo sviluppo della

515 Per un approfondimento sulla situazione petrolifera internazionale agli inizi degli anni Settanta si vedano, tra gli altri, L. Maugeri, L’era del petrolio. Mitologia, Storia e futuro della più controversa risorsa del mondo, cit., pp. 125-141; D. Yergin, The Prize. The Epic Quest for Oil, Money and Power, cit., pp. 563-606.

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piccola e media industria, dell’artigianato e dell’agricoltura; c) ad incentivare lo sviluppo del

Mezzogiorno e delle zone depresse del paese”516.

Anche le forze politiche italiane, dunque, agli inizi del '73 sembravano consapevoli della

necessità di ripartire con gli investimenti in ambito nucleare. La situazione di stallo determinatasi

negli anni Sessanta imponeva però all’Italia di migliorare, nel breve e nel medio periodo, la

cooperazione europea e internazionale nel settore. Furono probabilmente queste riflessioni a

spingere verso la partecipazione al progetto EURODIF; sigla che indicava, come visto in

precedenza, un’associazione di studi costituita il 25 febbraio '72 da Francia, Germania Federale,

Italia, Belgio, Gran Bretagna e Paesi Bassi allo scopo di effettuare studi economico-tecnici

preliminari in vista della realizzazione di un impianto di arricchimento dell’uranio con il metodo

della diffusione gassosa517. L’iniziativa di marca francese rientrava in una strategia settoriale che

mirava a far assumere all’industria d’oltralpe la leadership europea nel settore nucleare518. Si

trattava di un programma certamente ambizioso519 ma che, come dimostrava un promemoria

preparato dall’amministratore delegato dell’AGIP Nucleare, Giorgio Fogagnolo, riscuoteva

l’entusiastico consenso degli ambienti italiani interessati; e ciò accadeva sia per via delle

forniture di uranio arricchito che il progetto avrebbe garantito alla penisola, sia per il notevole

ritorno economico a vantaggio dell’industria nazionale, sopratutto nel caso in cui la centrale

fosse stata realizzata in Italia:

“La realizzazione di questo impianto rappresenta[va] una tappa fondamentale per lo sviluppo

dell’industria nucleare in Europa e per la sicurezza degli approvvigionamenti di uranio arricchito.

I vantaggi per l’Italia, ad aderire all’iniziativa [erano] evidenti, non solo al fine di assicurare al

paese le forniture dell’uranio arricchito, ma anche per procurare all’industria manifatturiera un

516 ENEL, 50 anni di industria elettrica italiana, cit., p. 189. 517 Per approfondimenti si veda Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazione del Direttore generale al Consiglio di amministrazione sull’attività dell’ente nel 1972, Roma, 1973, pp. 485-487, ASENEL. Le organizzazioni che presero parte agli studi preliminari furono: il Syndicat Belge pour la séparation isotopique, il CEA, lo Studiengesellschaft für Uranisotopentrennverfahren, il CNEN, l’AGIP Nucleare, l’Ultra Centrifuge Nederland e la British Nuclear Fuel Ltd. Successivamente si aggiunsero la AB Atomenergi (Svezia) e l’Empresa nacional del uranio S. A. ENUSA (Spagna). Il CNEN ricevette l’autorizzazione a partecipare al cosiddetto Programma Arricchimento Uranio con la nota n. 740451 del 16 febbraio '72 del Ministero dell’Industria (cfr. Verbale della 254ª riunione della Commissione direttiva del CNEN, Roma, 18 febbraio 1972, p. 12, ASENEA). Per una testimonianza diretta dei fatti si veda P. Fornaciari, Il petrolio, l’atomo e il metano: l’Italia nucleare, 1946-1997, cit., pp. 93-96. 518 Contemporaneamente agli studi preliminari per il progetto EURODIF, la Francia, sempre attraverso l’operato del CEA, aveva stipulato accordi con l’Australia, interessata al problema quale paese produttore di uranio, e il Giappone, coinvolto con il suo vasto programma nucleare, per lo studio delle possibilità di realizzazione nella zona del Pacifico o in Australia di un impianto di arricchimento secondo il processo di diffusione gassosa (cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazione del Direttore generale al Consiglio di amministrazione sull’attività dell’ente nel 1972, Roma, 1973, pp. 486-487, ASENEL). 519 Già nel '73 la società EURODIF divenne una società per azioni e si adoperò per mettere in atto la costruzione dell’impianto. L’entrata in esercizio di quest’ultimo era prevista per il '78, mentre il funzionamento a regime per il 1980. Vi parteciparono effettivamente il Consorzio SYBESI al 10%, il CEA al 47,5%, l’AGIP Nucleare e il CNEN al 22,5%, l’ENUSA al 10% e la AB Atomenergy al 10% (cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1973, Roma, 1974, pp. 46-47, ibidem).

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flusso non indifferente di commesse con un alto contenuto tecnologico; ulteriori vantaggi

[sarebbero potuti] derivare da una localizzazione dell’impianto in Italia […]. Le localizzazione

che l’EURODIF [riteneva] possibili in Italia [erano] quelle di Piombino, Montalto di Castro e

Nardò. Anche la Francia (con 2 possibili siti), la Svezia (1 sito) e la Spagna (1 sito) [erano]

candidate ad ospitare l’impianto”520.

Sulla base di questa opinione, Girotti inviò una lettera a Gilberto Bernabei, capo di

Gabinetto della Presidenza del Consiglio dei ministri, informandolo sulla situazione

dell’EURODIF, sulle modalità della partecipazione italiana e sottolineando che:

“L’Italia [avrebbe potuto] migliorare la propria candidatura circa l’insediamento

dell’impianto sul proprio territorio, assicurando all’iniziativa gli incentivi previsti dalla vigente

normativa per il Mezzogiorno e per le aree depresse del Centro”521.

Risposte immediate in questo senso mancarono da parte delle istituzioni politiche

sebbene i tempi fossero decisamente ristretti; la scelta del sito sarebbe infatti dovuta avvenire

entro il primo semestre del '73 e la decisione finale per la costruzione dell’impianto era prevista

entro la fine dell’anno.

Nel frattempo, fra l’aprile e il giugno del '73 i paesi OPEC decisero di aumentare

ulteriormente il prezzo del petrolio, dapprima del 5,7% (in aprile) e successivamente dell’11,9%

(in giugno), ufficialmente per compensare la svalutazione del dollaro. Proprio nel tentativo di

trovare una risposta immediata ai continui apprezzamenti del petrolio Philip Odeen, presidente

della Committee on the international aspects of energy for OECD meetings, inviò un

memorandum a Kissinger nel quale sollecitava una più stringente collaborazione con gli alleati al

fine di coordinare le azioni tra i paesi consumatori e di fronteggiare il cartello dell’OPEC522. Per

quanto concerneva l’influenza statunitense sulle questioni energetiche internazionali Odeen

suggeriva di adottare un’analisi ad ampio spettro. In primis bisognava valutare il considerevole

peso economico e politico che gli Stati Uniti avevano nelle due nazioni più ricche di petrolio,

Arabia Saudita e Iran, le quali avrebbero dovuto incrementare notevolmente la produzione per

520 Lettera di Giorgio Fogagnolo, amministratore delegato dell’AGIP Nucleare, a Raffaele Girotti, presidente dell’ENI, Milano, 23 marzo 1973, ASE, coll. I. V. 4, udc. 286. 521 Lettera di Raffaele Girotti, presidente dell’ENI, a Gilberto Bernabei, Capo di Gabinetto della Presidenza del Consiglio dei ministri, Roma, 8 aprile 1973, ibidem. Circa l’eventuale localizzazione dell’impianto in Italia Girotti aveva anche ricevuto una lettera da parte del sottosegretario di Stato del Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, Attilio Jozzelli, nel tentativo di “appoggiare l’orientamento” dell’ENI in favore della zona di Montalto di Castro, nel viterbese (cfr. Lettera di Attilio Jozzelli, sottosegretario di Stato del Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, a Raffaele Girotti, presidente dell’ENI, Milano, 23 marzo 1973, ibidem). 522 Cfr. Memorandum for Kissinger from Philip Odeen, Chairman of the ad hoc committee on the international aspects of energy for OECD meetings, “Energy and Atlantic Alliance”, Washington, 6 giugno 1973, NARA, NPMP, NSSM., doc. N. 174.

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soddisfare la domanda petrolifera prevista per il 1980; traguardo assai difficile da realizzare

senza i relativi aiuti finanziari americani. Un altro elemento esaminato riguardava il ruolo degli

USA come nazione importatrice: erano l’unico paese, fra quelli con un elevato consumo

nazionale di greggio, con risorse interne tali da poter essere considerate sufficienti a ridurre, in

futuro, la richiesta di petrolio estero523. Tuttavia, riesaminando la questione della cooperazione

internazionale Odeen sottolineava come si fossero già palesati approcci differenti tra gli alleati:

francesi, italiani e tedeschi stavano infatti percorrendo strade separate alla ricerca di nuovi fonti

petrolifere; gli inglesi puntavano sulle scoperte di giacimenti nel Mar del Nord per diminuire la

dipendenza dalle importazioni mediorientali; i giapponesi nutrivano infine grande interesse per la

collaborazione internazionale in forza di una maggiore vulnerabilità dovuta alla totale

indisponibilità di alternative all’approvvigionamento dall’estero. Il pericolo più elevato era

comunque rappresentato dalla possibilità che i paesi OPEC scegliessero l’opzione politica dello

scontro con un nuovo cartello formato dalle nazioni consumatrici e decidessero per la rottura

degli accordi in vigore fino a giungere all’interruzione della produzione petrolifera. In caso di

crisi, Odeen ipotizzava che all’interno di ciascun paese importatore si sarebbero create forti

pressioni al fine di raggiungere un accordo separato e più conveniente con i produttori524. In

merito alla possibilità di sottoscrivere intese con i governi delle nazioni esportatrici di petrolio

occorreva però fare i conti anche con le aspirazioni della Commissione europea a negoziare per

conto dei Sei:

“Nel campo delle relazioni della Comunità con i Paesi terzi produttori di petrolio, la

Commissione [riteneva] che rappresentando la Comunità una delle più grandi aree consumatrici

di petrolio, essa [fosse] la più qualificata ad intraprendere contatti diretti con tali Paesi per la

instaurazione di ampi rapporti di cooperazione, nel cui quadro gli approvvigionamenti petroliferi

[avrebbero potuto] trovare una garanzia di continuità e di sicurezza”525.

Con motivazioni e proposte diverse, dunque, gli Stati Uniti, da una parte, e la Comunità

europea, dall’altra, ritenevano di poter svolgere un ruolo determinante in vista della

normalizzazione del mercato petrolifero internazionale. In ogni caso di lì a poco gli eventi

523 In questo modo lo sviluppo delle alternative statunitensi, anche se più costose, avrebbero potuto rendere il mercato petrolifero meno rigido e, sempre secondo le considerazioni di Odeen e della sua commissione, i paesi OPEC, in assenza della domanda petrolifera americana, che secondo dei calcoli approssimativi si aggirava al trenta-quaranta percento del totale, avrebbero difficilmente potuto mantenere i prezzi ai livelli del momento (cfr. ibidem). 524 Ibidem. 525 Relazione sull’attività delle Comunità Economiche Europee per l’anno 1972 presentata dal ministro per gli Affari Esteri, Medici, Camera dei Deputati, VI Legislatura, 15 gennaio 1973, HAEU, Fondo Edoardo Martino, nn. 27-28.

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mediorientali avrebbero spazzato via posizioni, progetti e aspirazioni che si erano cristallizzati

nel decennio precedente: dopo la guerra del Kippur nulla sarebbe tornato come prima.

2. Il sogno di una politica energetica comunitaria

In concomitanza con le crescenti tensioni che agitavano il settore petrolifero

internazionale all’interno della Comunità europea si intensificarono i dibattiti e le proposte di

soluzione526. Il 19 aprile '73 la Commissione inviò una communication al Consiglio, intitolata

“Orientations et actions prioritaires pour la politique énergétique communautaire”, nella quale

si affermava in primo luogo la necessità di avviare una proficua cooperazione internazionale nel

campo energetico. D’altronde, in previsione dell’aumento delle difficoltà relative

all’approvvigionamento di energia ogni azione di un singolo paese o di un gruppo di essi sarebbe

risultata vana; la Comunita europea, dal canto suo, doveva garantire la stabilità dei rifornimenti

energetici mediante un rapporto diretto e amichevole con i produttori:

“La dimension mondiale qu’[acquérait] progressivement l’approvisionnement énergétique

[avait] pour corollaire la quasi impossibilité, pour un pays ou même un groupe de pays, de

résoudre isolément les problèmes dans ce domaine. La préoccupation d’atténuer les risques de

surenchère et de confrontation [impliquait] que s’[instaurât] entre les grandes régions

importatrices d’énergie une coopération fondée sur certains principes, portant sur des domaines à

préciser et établie dans un cadre à définir. Cette coopération [devait] se développer en premier

lieu et compte tenu de l’importance de leur consommation, entre la Communauté, les Etats-Unis

et le Japon. Il [fallait] cependant se préoccuper d’y associer les pays en voie de développement

qui sont importateurs d’énergie. […] L’objectif prioritaire d’une politique énergétique de la

Communauté [était] de chercher à accroître la stabilité de ses approvisionnements. Cet objectif

[était] particulièrement évident en matière d’hydrocarbures où sa dépendance à l’égard de

l’extérieur est la plus grande. La meilleure garantie de stabilité [aurait résulté] en définitive d’un

climat de confiance à entretenir entre la Communauté et ses fournisseurs”527.

526 Per uno studio sugli anni precedenti si vedano, tra gli altri, J. A. Hassan, A. Duncan, Integrating Energy: the Problems of Developing an Energy Policy in the European Communities, 1945-1980, cit.; F. Petrini, L’arma del petrolio: lo “shock” petrolifero e il confronto Nord-Sud. Parte Prima. L’Europa alla ricerca di un’alternativa: la Comunità tra dipendenza energetica ed egemonia statunitense, in D. Caviglia, A. Varsori (a cura di), Dollari, Petrolio e aiuti allo sviluppo. Il confronto Nord-Sud negli anni '60-70, Milano, 2008, pp. 90-94. 527 Orientations et actions prioritaires pour la politique énergétique communautaire, Communication de la Commission au Conseil, Commission des Communautés Européennes, Bruxelles, 19 aprile 1973, HAEU, Fondo Emile Noël, n. 81.

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Questa necessità di avviare “un climat de confiance” con i fornitori di energia divenne un

caposaldo fondamentale delle linee guida per una politica energetica della Comunità:

“Pur être durable, cette confiance [devait] s’insérer dans une coopération axée sur la

satisfaction des intérêts mutuels des partenaires. Or, il n’[avait] pas douteux qu’il [existait] une

complémentarité profonde d’intérêts entre la Communauté, grand importateur de pétrole et de

gaz, et certains pays exportateurs parmi les principaux qui peuvent trouver en Europe. Outre un

débouché pour leurs produits bruts ou manufacturés, également une contribution au

développement de leur économie et particulièrement à la mise en valeur de leurs ressources

naturelles et à leur industrialisation”528.

Iniziava dunque a essere ipotizzata anche l’eventualità di collegare l’importazione di

prodotti petroliferi a iniziative finanziarie all’interno dei paesi esportatori in modo da unire

indissolubilmente gli interessi e le economie di entrambe le parti. La realizzazione di una politica

energetica così delineata poteva però funzionare solo a condizione di una reale unità d’intenti e

di un’effettiva volontà politica di demandare la decisioni relative a un settore così importante dal

punto di vista strategico alle istituzioni comunitarie. Bisognava inoltre appurare l’eventuale

sintonia nei propositi, richiamata nella stessa communication, fra Comunità europea, Stati Uniti e

Giappone. Ad ogni modo, su tutto prevaleva l’appello della Commissione in favore di massicci

investimenti nel campo dell’energia nucleare:

“L’accélération du recours à l’énergie nucléaire [présentait] un intérêt primordial tant du

point de vue de la sécurité de l’approvisionnement que sur le plan des coûts de

l’environnement”529.

Le sollecitazioni contenute nella comunicazione non vennero però raccolte dal Consiglio

che non ritenne necessario modificare nell’immediato la politica nucleare della Comunità.

Tuttavia, il 22 maggio '73, durante una riunione del Consiglio dei ministri CEE dedicata

esclusivamente ai problemi dell’energia, vennero approvati: una direttiva riguardante i

provvedimenti destinati a attenuare le conseguenze delle difficoltà per gli approvvigionamenti di

petrolio greggio; un regolamento per l’appoggio ai progetti comunitari nel settore degli

idrocarburi; un nuovo sistema di aiuti comunitari per i carboni da coke e il coke destinati

528 Ibidem. 529 Ibidem.

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all’industria siderurgica della Comunità530. Pochi mesi bastarono a dimostrare la fondatezza delle

analisi elaborate dalla Commissione. Già il 19 luglio, infatti, il Consiglio presentò una direttiva

“concernente le misure destinate ad attenuare le conseguenze delle difficoltà di

approvvigionamento di petrolio greggio e prodotti petroliferi”. Si trattava di un tentativo di

delineare una strategia comune di risposta a una possibile crisi energetica che, in pratica, dava

mandato a ciascuno Stato membro di prendere tutte le misure necessarie per dotare le relative

autorità competenti dei poteri atti a attenuare le difficoltà energetiche, specie quelle petrolifere,

che si fossero presentate:

“Considerando che occorre[va] prevedere anticipatamente le procedure e gli strumenti

appropriati che [potevano] garantire una rapida attuazione delle misure destinate ad attenuare gli

effetti delle difficoltà di approvvigionamento di petrolio greggio e prodotti petroliferi […]

considerando che tutti gli Stati membri [dovevano] a tal fine disporre dei poteri necessari per

prendere all’occorrenza le opportune misure […] [si decretava che] in caso di difficoltà di

approvvigionamento di petrolio greggio e prodotti petroliferi, che [avesse] per effetto di ridurre

sensibilmente le forniture dei suddetti prodotti e che [potesse] causare gravi perturbazioni, gli

Stati membri [avrebbero preso] tutte le disposizioni necessarie per dotare le autorità competenti

dei poteri idonei a: - effettuare i prelievi sulle scorte di sicurezza […]; - ridurre in modo specifico

o globale il consumo in funzione del deficit degli approvvigionamenti previsti, anche assegnando

prodotti petroliferi con precedenza a talune categorie di consumatori; - regolamentare i prezzi per

evitare rialzi anormali”531.

In realtà, sul fronte della cooperazione in campo energetico i risultati raggiunti in sede

comunitaria erano stati fino a quel momento assai deludenti. Le maggiori difficoltà derivavano

dalla posizione di Parigi e in particolare dalle diffidenze che il Quai d’Orsay nutriva nei

confronti degli Stati Uniti e della loro politica petrolifera. Ciononostante, a pochi giorni

dall’inizio della guerra del Kippur una nota preparata per Michel Jobert dal Centre d’Analyse et

de Prévision, creato appositamente dallo stesso ministro degli Esteri nel luglio precedente, dopo

aver sottolineato la forte pressione esercitata su Parigi da parte dei partner europei e, soprattutto,

dalla Gran Bretagna “pour la recherche d’éléments d’une politique énergétique commune […],

[soutenait] que la position française et celle de ses partenaires [étaient] susceptibles d'être plus

530 Per approfondimenti si veda Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazione del Direttore generale al Consiglio di amministrazione sull’attività dell’ente nel 1973, Roma, 1974, pp. 266-267, ASENEL. 531 Direttiva del Consiglio concernente le misure destinate ad attenuare le conseguenze delle difficoltà di approvvigionamento di petrolio greggio e prodotti petroliferi, Consiglio delle Comunità europee, Bruxelles, 19 luglio 1973, art. 1, ACEU, Intermediate Archives, 12136. Questa direttiva venne adottata ufficialmente dal Consiglio nella 252ª sessione del 24 luglio (cfr. Lettera del Presidente del Consiglio delle Comunità Europee, Ivar Norgaard, al Ministro degli Affari Esteri, Aldo Moro, Bruxelles, 27 luglio 1973, ibidem, 12137).

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proches que lors d’un débat précédent qui s'était terminé par un échec”532. Man mano che ci si

avvicinava alle gravi decisioni che i paesi dell’OPEC avrebbero preso dopo lo scoppio della

guerra si riteneva dunque possibile anche da parte francese avviare una certa cooperazione nel

settore energetico.

3. L’Italia e la crisi petrolifera dello Yom Kippur

Il 6 ottobre 1973, giorno dello Yom Kippur (espiazione, la festa più solenne del

calendario ebraico), Sadat, successore di Nasser, ritenne fosse giunto il momento di vendicare la

sconfitta subita nel '67. Cogliendo gli israeliani di sorpresa per via della sacra ricorrenza il leader

egiziano lanciò le truppe sulle sponde orientali del canale di Suez, mentre i siriani attaccarono

sulle alture del Golan. Inizialmente Siria e Egitto ottennero grandi vittorie facendo crollare il

mito dell’invincibilità dell’esercito di Israele ma, nel giro di pochi giorni, quest’ultimo riuscì a

ribaltare le sorti del conflitto, grazie anche agli aiuti provenienti dagli Stati Uniti e al ponte aereo

appositamente creato533. Come già avvenuto durante la guerra dei Sei Giorni,

contemporaneamente all’evolversi del conflitto i paesi dell’OPEC tentarono di utilizzare l’arma

petrolifera per influenzare a proprio vantaggio i rapporti degli Stati occidentali con Israele534.

532 Note pour le Ministre du le Centre d’Analyse et de Prévision, Parigi, 29 settembre 1973, CHAN, Archives présidentielles, Fondo Georges Pompidou, 5 AG 2, c. 173. 533 Sugli eventi della guerra del Kippur e sulle sue conseguenze cfr. A. Adan, The Yom Kippur War, New York, 1986; A. J. Barker, La guerra del Yom Kippur: enfrentamiento arabe-israeli 1973, Madrid, 1975; M. R. Buheiry, U.S. threats of intervention against Arab oil, 1973-1979, Beirut, 1980; A. Clô, Economia e politica del petrolio, cit., pp. 162-170 ; G. Golan, Yom Kippur and after: the Soviet Union and the Middle East crisis, Cambridge, 1977; G. Grossi, La guerra del petrolio, Roma, 1974; G. Lenczowski, The Middle East in World Affairs, cit., pp. 723-727; R. J. Lieber, Oil and the Middle East War: Europe in the Energy Crisis, Cambridge, 1976; Id., The Oil Decade: Conflict and Cooperation in the West, New York, 1983; G. Luciani, L’OPEC nella economia internazionale, cit., pp. 55-66; R. Maghroori, The Yom Kippur War: a case study in crisis decision-making in American foreign policy, Washington, 1981; L. Maugeri, L’era del petrolio. Mitologia, Storia e futuro della più controversa risorsa del mondo, cit., pp. 125-141; F. Mazzei, La guerra dello Yom Kippur, Firenze, 1979; K. R. Merrill, The oil crisis of 1973-1974: a brief history with documents, Boston, 2007; L. Mosley, La guerre du pétrole, Paris, 1974 ; P. R. Odell, Oil and World Power: background to the Oil Crisis, London, 1974; A. Rabinovich, The Yom Kippur war: the epic encounter that transformed the Middle East, New York, 2004; H. M. Sachar, From the aftermath of the Yom Kippur war, New York, 1987; A. Shlaim, The iron wall: Israel and the Arab world, cit., pp. 318-324; K. W. Stein, Heroic diplomacy: Sadat, Kissinger, Carter, Begin, and the quest for Arab-Israeli peace, New York, 1999, pp. 74-96; R. Vernon (a cura di), The Oil Crisis, New York, 1976; D. Yergin, The Prize. The Epic Quest for Oil, Money and Power, cit., pp. 588-612. Per un studio basato sul punto di vista dei paesi OPEC si vedano, tra gli altri, M. Abdel-Fadil, Papers on the Economics of Oil: a producer’s view, Oxford, 1979; F. J. Al-Chalabi, OPEC and the international oil industry: a changing structure, Oxford, 1980; A. Alnasrawi, Arab nationalism, oil and the political economy of dependency; New york, 1991; M. S. Al-Otaiba, Opec and the Petroleum Industry, London, 1975; A. Al-Sowayegh, Arab petro-politics, London, 1984; A. A. Attiga, Interdependence on the Oil Bridge: Risks and Opportunities, Kuwait, 1988; F. Parra, Oil politics: a modern history of petroleum, cit. 534 Secondo recenti interpretazioni le motivazioni alla base dell’utilizzo dell’arma petrolifera da parte dei paesi dell’OPEC non sarebbero attribuibili solo a questioni politiche e quindi alla causa araba. La composizione stessa dell’organizzazione dei paesi esportatori di greggio include del resto paesi con enormi differenze politiche tra loro e situati in continenti distinti; pertanto gli interessi dell’OPEC sono svariati e non possono limitarsi a quelli mediorientali (per uno studio generale che introduce nella questione lo scontro fra Occidente e PVS si veda G. Garavini, Dopo gli imperi. L’integrazione europea nello scontro Nord-Sud, cit.). Altri autori collegano invece i tagli della produzione degli anni Settanta al trasferimento dei diritti di proprietà dalle compagnie internazionali ai governi locali (cfr. A. D. Johany, The Myth of the OPEC Cartel, cit.); altri ancora alle necessità monetarie e di conseguenza alle capacità di assorbimento da parte delle economie domestiche [cfr. J. Crémer, D. Salehi-Isfahani, Models of the oil market, cit.; D. J. Teece, OPEC behavior: an Alternative view, in J. M. Griffin, D. J. Teece (a cura di), OPEC behavior and world oil prices, cit., pp. 64-93]. Ad ogni modo, fino ai primi anni Settanta i paesi OPEC non avevano giocato un ruolo di primo piano nella

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Oltre alle decisioni precedentemente prese535, il 16 ottobre i governi di Iran, Iraq, Emirati Arabi

Uniti, Kuwait, Arabia Saudita e Qatar decisero di aumentare unilateralmente il prezzo del

greggio del diciassette percento e annunciarono tagli alla produzione. Il giorno seguente i

ministri del petrolio dell’OPEC concordarono un taglio delle esportazioni petrolifere e

raccomandarono un embargo contro i paesi nemici536. Il passo successivo537 fu il blocco delle

esportazioni di greggio nei confronti degli Stati Uniti (19 ottobre) e dell’Olanda (23 ottobre) e la

diminuzione della produzione di greggio con forniture differenziate a seconda della posizione

assunta dai vari paesi durante il conflitto538. Come se non bastasse, in concomitanza con queste

decisioni il vice ministro degli Affari Esteri dell’Arabia Saudita, Massoud, convocò gli

ambasciatori dei Nove539 e minacciò di rallentare ulteriormente la produzione petrolifera se la

Comunità europea non avesse esercitato pressioni sugli Stati Uniti per indurli a modificare la

loro posizione540.

Di fronte al progressivo irrigidimento del blocco dell’OPEC in molti paesi consumatori

crebbe la tentazione di replicare con una politica di ferma contrapposizione. Dal canto suo

l’Italia reagì cercando di recuperare quel tradizionale indirizzo di paese “ponte” che ne aveva

spesso caratterizzato l’approccio verso gli Stati della sponda meridionale del Mediterraneo541. In

produzione petrolifera internazionale o nella determinazione del prezzo del greggio; questa situazione si modificò solo tra il 1970 e il 1973 quando la domanda globale di petrolio aumentò vertiginosamente e i rifornimenti maggiori provenivano proprio dall’area mediorientale. Ciò aumentò il potere dei governi OPEC a danno delle multinazionali petrolifere, creando uno scenario ideale nel quale i produttori poterono aumentare le pretese economiche sulle esportazioni di greggio. A dividere l’ampia letteratura esistente in merito è anche il livello di consapevolezza di questa posizione dominante dei produttori mediorientali e il tipo di cartello messo effettivamente in atto nel '73 (per ulteriori approfondimenti si rimanda a A. Clô, Economia e politica del petrolio, cit., pp. 76-85). 535 Tra queste rientrava ad esempio la nazionalizzazione in Libia del cinquantuno percento delle concessioni delle seguenti società petrolifere: ESSO, Libya/SIRTE, MOBILE, SHELL, Gelensberg, TEXACO, SoCAL, Libyan-American (ARCO), GRACE. 536 Venne bloccato, ad esempio, il flusso di petrolio attraverso i due importanti oleodotti di Banias e di Tartus che attraversavano la Siria e si ridusse del cinquanta percento il flusso di quello che sboccava a Sidone, nel Libano, proveniente dai giacimenti dell’Arabia Saudita (per approfondimenti si vedano, tra gli altri, L. Maugeri, L’era del petrolio. Mitologia, Storia e futuro della più controversa risorsa del mondo, cit., pp. 134-135; I. Skeet, OPEC: twenty-five years of prices and politics, cit., p. 100). 537 Per un excursus sulle misure prese dall’OPEC si rimanda a G. Lenczowski, The Oil producing Countries, in ibidem, pp. 59-72; E. T. Penrose, The Development of Crisis, in R. Vernon (a cura di), The Oil Crisis, cit., pp. 39-57. 538 Stati Uniti e Olanda si erano esposti più degli altri paesi a sostegno di Israele, sia prima che durante il conflitto. L’embargo venne esteso al Portogallo, all’Arabia Saudita e alla Rhodesia in un secondo momento per soddisfare le richieste in questo senso dei paesi africani dell’OPEC (per approfondimenti si vedano, tra gli altri, M. Magini, L'Italia e il petrolio tra storia e cronologia, cit., pp. 209-212; D. Yergin, The Prize. The Epic Quest for Oil, Money and Power, cit., pp. 606-632). 539 A partire dal 1° gennaio '73 Danimarca, Irlanda e Regno Unito entrarono infatti a far parte ufficialmente della Comunità europea. 540 Cfr. Communication téléphonique de l'ambassade de la Grande-Bretagne en Arabie Saoudite pour le Ministère des Affaires Étrangères, Direction des Affaires économiques et financiers, Affaires généraux, Parigi, 16 ottobre 1973, MAEF, Archives Diplomatiques, Affaires économiques et financières, Affaires générales, 1967-1975, 419. 541 Per uno studio sulla politica estera italiana durante la guerra del Kippur e nel periodo successivo si vedano, tra gli altri, E. Calandri, Il Mediterraneo nella politica estera italiana, cit., in A. Giovagnoli, S. Pons (a cura di), L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta, cit., pp. 351-381; G. Calchi Novati, Mediterraneo e questione araba nella politica estera italiana, in F. Barbagallo (a cura di), Storia dell’Italia repubblicana, vol. II, La trasformazione dell’Italia. Sviluppo e squilibri, cit., pp. 229-237; D. Caviglia, La politica dell’Italia e il conflitto arabo-israeliano (1967-1973). L’atteggiamento italiano nella documentazione diplomatica francese, in «Nuova Storia Contemporanea», cit., pp. 17-50; G. Formigoni, L’Italia nel sistema internazionale degli anni Settanta: spunti per riconsiderare la crisi, in A. Giovagnoli, S. Pons (a cura di), L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta, cit., pp. 271-298; R. Gaja, L’Italia nel mondo bipolare: per una storia della politica estera italiana (1943-1991), cit., pp. 191-200; V. Ianari, L’Italia e il Medio Oriente: dal “neoatlantismo” al peace-keeping, in A. Giovagnoli, S. Pons (a cura di), L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta, cit., pp. 383-395; C. Meneguzzi Rostagni, La politica estera italiana e la distensione: una proposta di lettura, in F. Romeo, A. Varsori (a cura di), Nazione, Interdipendenza, integrazione. Le relazioni internazionali dell’Italia (1917-1989), cit., pp. 355-371; Ministero degli Affari Esteri (Servizio Storico e Documentazione), Italia e Medio Oriente

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questa cornice, il deterioramento del clima con i produttori di greggio anziché divenire il primo

passo verso una rottura sembrò fornire lo spunto per impostare i rapporti su un nuovo tipo di

collaborazione542. Erano questi i criteri di fondo che avevano ispirato l’appunto della Direzione

Generale Affari Economici del MAE, dal quale traspariva lo sforzo per individuare un terreno

comune su cui realizzare una cooperazione vantaggiosa per entrambe le parti:

“La crisi medio orientale in corso ha reso più attuale ed urgente a livello mondiale, europeo

ed italiano un problema – quello degli approvvigionamenti energetici e petroliferi in particolare –

sul quale ormai da tempo i Governi vanno riflettendo. […] il punto centrale del problema in

questione [risiede] […] nella necessità […] di superare, in presenza dei profondi mutamenti nella

situazione politica ed economica di taluni gruppi di Paesi, gli schemi tradizionali caratterizzati, da

un lato, dagli sforzi dei Paesi produttori ad incrementare unicamente il ricavato delle vendite e,

dall’altro, da una politica dell’approvvigionamento dei Paesi consumatori, ispirata

essenzialmente, attraverso il ruolo di primo piano attribuito alle compagnie tradizionali, a criteri

mercantilistici e settoriali. Ora, un adeguamento ai mutamenti intervenuti non può avvenire se

non si crea un tipo di rapporto nel quale il petrolio costituisse soltanto un elemento di una vasta

cooperazione economica tra i Paesi produttori e i Paesi consumatori e che si inquadrasse, altresì,

in un processo di diversificazione sia delle fonti energetiche […] che dei luoghi di

approvvigionamento. […] un fattore di primo piano nel determinare la sicurezza degli

approvvigionamenti risiede nella stabilizzazione politica dell’area mediterranea e quindi,

nell’avviamento a soluzione della crisi medio orientale, così come già si agisce da parte del

Governo italiano. Entrando nel merito, […] almeno al momento attuale […] sembra difficile

impostare un discorso produttivo di effetti pratici nell’ambito della Comunità Europea. […] Così,

al di là delle eventuali misure di carattere contingente, […] sembra opportuno elaborare una

nostra strategia che possa altresì servire da stimolo alla ricerca di un’azione su scala europea.

Anzitutto, dovremmo cercare di stabilire nelle relazioni con i Paesi nostri principali fornitori (o

almeno, in una prima fase, con alcuni di essi) un collegamento organico tra ciò che potrà essere

(1967-1974), cit., 167-181; E. Ortona, Anni d’America. La cooperazione 1967-1975, Bologna, 1989; L. Riccardi, Il «problema Israele»: diplomazia italiana e PCI di fronte allo Stato ebraico (1948-1973), cit., pp. 441-467; Id., Sempre più con gli arabi. La politica italiana verso il Medio Oriente dopo la guerra del Kippur (1973-1976), cit., pp. 57-82; G. Romeo, La politica estera italiana nell’era Andreotti (1972-1992), Soveria Mannelli, 2000, pp. 13-46; A. Varsori, L’Italia nelle relazioni internazionali dal 1943 al 1992, cit., pp. 182-183. 542 All’indomani dell’inizio delle ostilità, come era prevedibile, tra le forze politiche italiane, anche tra quelle che componevano la maggioranza governativa (DC, PSI, PSDI e PRI) non esisteva una sintonia di vedute su come l’Italia avrebbe dovuto reagire: “Mentre i democristiani […] [avevano] assunto una posizione di sostanziale equidistanza [tra le parti in guerra], i socialdemocratici e i repubblicani [avevano] solidarizzato, con gli israeliani, rimproverando alle sinistre […] di essere specializzati nelle marce pacifiste a senso unico, solo quando a farne le spese maggiori [erano] certi Paesi. I socialisti, invece, [avevano] solidarizzato, sia pure con qualche incertezza, con gli arabi, allineandosi con i comunisti. […] Rendendosi comunque conto che non sarebbe [stato] possibile ottenere dal governo italiano una presa di posizione decisamente filo-araba, non fosse altro per le diverse valutazioni politiche esistenti fra i partiti della coalizione, i comunisti [avevano] chiesto con un discorso di Berlinguer una posizione rigorosamente neutrale” (F. Damato, Maggioranza divisa sul Medio Oriente, «Il Giornale d’Italia», 8-9 ottobre 1973). Queste posizioni iniziarono ovviamente a assumere aspetti più moderati dopo le decisioni dell’OPEC: i membri del governo e, nella fattispecie, il ministro degli Esteri, si misero a lavoro nel tentativo di cercare una posizione moderata e intermedia che non pregiudicasse ulteriormente i rapporti con i paesi arabi e, al contempo, non fosse in netta contrapposizione con le volontà statunitensi e con quelle israeliane.

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reciprocamente fornito: da parte loro, gli approvvigionamenti di energia a noi indispensabile; da

parte nostra, le attrezzature ed il know-how necessari al loro sviluppo. […] Nella misura in cui

uno sviluppo più integrato del settore energetico potesse creare in questi Paesi un centro di

irradiazione di attività industriali sempre più differenziate e quindi di propulsione dell’intero

sistema economico, anche altri nostri settori esportativi potrebbero beneficiare delle crescenti

prospettive offerte alla cooperazione”543.

Data però l’impossibilità di immaginare in tempi brevi una politica comune della CEE, la

Direzione Generale Affari Economici del MAE propendeva per un’azione unilaterale prendendo

spunto dal suggerimento presentato nell’aprile precedente dalla Commissione europea di

collegare le importazioni petrolifere a iniziative finanziarie544. Tuttavia, i tempi non erano ancora

maturi per definire una strategia indipendente e definitiva. Si era infatti ancora in una fase di

studio che doveva per lo più servire a valutare la gravità della situazione545. Non si sapeva, ad

esempio, quando i paesi dell’OPEC avrebbero revocato l’embargo petrolifero, se alla fine del

conflitto il prezzo del greggio avrebbe subito una diminuzione o se gli apprezzamenti sarebbero

continuati; ancora non si conoscevano le concrete ripercussioni in campo economico e pertanto

nessuna programmazione appariva immaginabile. Ciononostante, la situazione apparve subito

drammatica, aggravata dalla scelta di non investire adeguatamente nel settore nucleare e da una

condizione economico-sociale del paese molto difficile. Anche la forte e caotica instabilità

politico-istituzionale, caratterizzata dalla durata effimera degli esecutivi e dalla conseguente

insoddisfazione generale, non giovò alla causa546. Alle tensioni sociali, sfociate nella

543 Appunto interno del MAE, DGAE, Segreteria Generale, Roma, 18 ottobre 1973, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 6, MAE, Sottoserie Visite e questioni diverse, Busta 31. 544 Posizioni ufficiali in questo senso però non ve ne furono e in un discorso del 18 ottobre alla Camera dei Deputati sulla crisi in Medio Oriente il ministro degli Affari Esteri, Aldo Moro, si limitò a dichiarare la posizione neutrale dell’Italia, auspicando al contempo una pace immediata e definitiva tra arabi e israeliani e ribadendo “[…] la ferma e costante posizione del Governo italiano secondo cui il diritto all’esistenza dello Stato di Israele [era] fuori discussione” (Intervento del ministro degli Esteri On. Aldo Moro alla Camera dei Deputati sulla crisi in Medio Oriente, Roma, 18 ottobre 1973, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 1, Scritti e discorsi 1953-1978, Sottoserie annuali, Busta 28). Questo pronunciamento ufficiale in favore degli israeliani, unito alle notizie per cui l’Italia aveva rifornito di carburante sei navi da flotta statunitensi e concesso la partenza dal proprio territorio di settanta tra aerei da combattimento Skyhawk e Phantom in favore di Israele, rischiò di far estendere la sanzione dell’embargo petrolifero anche alla penisola e solo abili azioni diplomatiche riuscirono a scongiurare questa drammatica scelta (per approfondimenti cfr. Telegrams from the American embassy to Rome to the Secretary of State, Roma, 24 ottobre 1973 e 8 novembre 1973, NARA, NPMP, Country Files, Europe). L’indirizzo politico italiano per una soluzione negoziale, reso pubblico da Moro con il suddetto discordo alla Camera, ottenne dunque un largo consenso da parte delle forze politiche nazionali ma, ovviamente, si limitava a esprimere in maniera molto generica una serie di principi ampiamente condivisibili [per ulteriori approfondimenti si vedano, tra gli altri, Ribadita la posizione dell’Italia per una soluzione negoziata (articolo redazionale), «La Voce Repubblicana», 20 ottobre 1973; Il discorso dell’on Mammì (articolo non firmato), ibidem]. 545 Per un commento tecnico sulla situazione italiana cfr. F. Ippolito, La crisi energetica in Italia, in «Nord e Sud», XXI, Nuova Serie, Luglio 1974, n. 175 (236), pp. 93-113. 546 Per approfondimenti sulla difficile situazione economico-politico-sociale dell’Italia si vedano, tra gli altri, S. Colarizi, Storia dei partiti nell’Italia repubblicana, cit., pp. 363-471; P. Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1991, in G. Galasso, Storia d’Italia, vol. XXIV, cit., pp. 520-538; P. Ginsborg, Storia dell’Italia dal dopoguerra ad oggi, vol. II, Dal miracolo economico agli anni '80, cit., pp. 473-478; S. Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana: dalla fine della guerra agli anni Novanta, cit., pp. 307-347; F. Malgeri, L’Italia dal centro-sinistra agli «anni di piombo», cit., in G. Aliberti, F. Malgeri, Due secoli al Duemila. Transizione Mutamento Sviluppo nell’Europa Contemporanea (1815-1998), cit., pp. 697-699; N. Tranfaglia, La modernità squilibrata. Dalla crisi del

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contestazione studentesca dell’autunno caldo del '68 e nei confronti delle quali lo Stato si rivelò

incapace di rispondere in maniera adeguata547, si aggiunsero le prime manifestazioni del

terrorismo politico. Il 12 dicembre '69 una bomba esplose a Milano presso la sede della Banca

nazionale dell’agricoltura in piazza Fontana provocando diciassette morti e oltre cento feriti.

Avevano avuto inizio i cosiddetti “anni di piombo”, un periodo caratterizzato da una serie di atti

terroristici che, secondo talune interpretazioni, miravano a creare le condizioni per influenzare o

sovvertire gli assetti istituzionali e politici del paese548. L’impotenza dello Stato di fronte a

queste situazioni rifletteva anche le divisioni interne delle forze di governo: mentre la DC e il

PSDI erano interpreti di un’opinione pubblica moderata spaventata dagli eventi e tendente a

spostare l’asse politico della maggioranza verso destra, il PSI mirava al graduale coinvolgimento

del PCI nell’esecutivo. Ad ogni modo, né il governo Andreotti ('72-'73) composto da

democristiani, socialdemocratici e liberali, né i successivi guidati da Rumor ('73-'74) con una

maggioranza di centrosinistra si dimostrarono capaci di compiere scelte politiche di ampio

respiro affrontando efficacemente una situazione economica che appariva nuovamente difficile.

Si ripresentarono infatti fenomeni come il ristagno produttivo e la crescita della spesa pubblica

che durante il periodo del boom economico erano scomparsi. In questo contesto, lo scoppio del

nuovo conflitto arabo-israeliano e le sanzioni dei paesi dell’OPEC peggiorarono la situazione:

l’aumento del prezzo del petrolio provocò il calo della produzione industriale e l’avvio di un

forte processo inflazionistico. Il governo, nonostante le incertezze e i dubbi, si trovò nella

assoluta necessità di trovare delle risposte immediate.

Nella convulsa fase iniziale della crisi le proposte sulle scelte da compiere si

accavallarono in un dibattito ricco anche di vivaci contrasti. La tesi che privilegiava un approccio

unilaterale espressa dalla DGAE del MAE era fermamente respinta da Guido Carli, secondo il

quale la crisi petrolifera poteva addirittura fungere da acceleratore del processo comunitario di

unione economica:

“Un’azione nazionale non basta tuttavia da sé a risolvere il problema energetico. Solo

un’Europa concorde può sperare di acquisire una influenza significativa sul sistema

internazionale degli approvvigionamenti da cui essa dipende. La politica energetica comune, che

centrismo al «compromesso storico», in F. Barbagallo (a cura di), Storia dell’Italia repubblicana, vol. II, La trasformazione dell’Italia. Sviluppo e squilibri, cit., pp. 75-92. 547 Per approfondimenti sui riflessi del Sessantotto in politica si veda A. Lepre, Storia della prima Repubblica. L’Italia dal 1943 al 2003, Bolgna, 2004, pp. 223-245. 548 Si parlò anche di “strategia della tensione”, la teoria secondo cui il movente principale degli attentati era quello di destabilizzare la situazione politica italiana: gli atti terroristici miravano a creare allarme e terrore nell’opinione pubblica in modo da far accettare forti reazioni estreme come l’instaurazione di uno stato di polizia.

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finora ha rappresentato un elusivo miraggio, è oggi l’occasione più concreta e pressante per la

realizzazione dell’unione economica”549.

In effetti in quella prima fase fra i partner europei regnava un certo ottimismo sulla

possibilità di trovare soluzioni comuni. Così, ad esempio, in risposta alla preoccupazione di uno

sviluppo di politiche reciprocamente competitive fra i Nove, espressa in una lettera dal primo

ministro inglese, Edward Heath, il presidente della Repubblica francese, Georges Pompidou,

propose uno scambio di opinioni in sede OCSE550. Il 27 ottobre la riunione del Comitato del

petrolio dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico divenne l’occasione

per manifestare pubblicamente le crescenti preoccupazioni. Solo i rappresentanti francesi

cercarono di sdrammatizzare la situazione ipotizzando un veloce ritorno alla normalità al termine

del conflitto arabo-israeliano. La Francia, assieme alla Gran Bretagna, alla Spagna, alla Grecia e

alla Tunisia non era stata fino a quel momento colpita direttamente dalle sanzioni dell’OPEC e

poteva contare su approvvigionamenti petroliferi regolari. Decisamente più preoccupante si

presentava invece la situazione nel breve e medio periodo per gli Stati Uniti e l’Olanda, mentre

alquanto drammatiche erano le prospettive per l’Italia. Queste differenze si riflessero al momento

di prendere una decisione: la proposta di convocare l’organismo di consultazione industriale

(IIAB), formato dalle maggiori compagnie petrolifere (ENI compresa), al fine di mettere in moto

il meccanismo previsto per la ripartizione di greggio in caso di crisi si scontrò soprattutto con

l’opposizione della delegazione francese. La posizione di Parigi nasceva dalla convinzione che

una decisione del genere potesse essere interpretata come un riconoscimento dello stato di crisi

provocando reazioni negative nell’opinione pubblica e nei governi dei paesi produttori. Venne

pertanto approvata una proposta di compromesso avanzata dal rappresentante della Commissione

CEE, Spaak, in base alla quale il presidente del Comitato del petrolio dell’OCSE era incaricato

di prendere contatti con l’IIAB affinché predisponesse una propria organizzazione interna in

549 Appunti di Guido Carli, governatore della Banca d’Italia, per il ministro del Tesoro Ugo La Malfa, Roma, non datato ma dell’ottobre 1973, ACS, Carte Ugo La Malfa, Serie 3, Cariche di Governo, Sottoserie 5, Ministro del Tesoro (IV° Governo Rumor), Busta 31. 550 Cfr. Lettre de l'ambassadeur de la Grande-Bretagne en France, Edward Tomkins, au premier ministre britannique, Edward Heath, Parigi, 25 ottobre 1973, MAEF, Archives Diplomatiques, Affaires économiques et financières, Affaires générales, 1967-1975, 419. Contemporaneamente, però, la Francia aveva avviato una serie di trattative separate nel tentativo di ottenere una posizione privilegiata, oltre che accordi diretti con i produttori. In questa direzione andava ad esempio un incontro avutosi tra il rappresentante diplomatico francese in Kuwait, Carton, e il braccio destro del ministro degli Affari Esteri dello stesso Stato, Issa Al Hamad, durante il quale quest’ultimo aveva precisato che “la France [aurait été] traitée comme la plus précieuse amie du monde arabe” (Télégramme de l'Ambassade de France en Kuwait au Ministère des Affaires Étrangères, Kuwait, 4 novembre 1973, CHAN, Archives présidentielles, Fondo Georges Pompidou, 5 AG 2, c. 1037).

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modo da essere pronto a assolvere compiti di informazione e a preparare un eventuale intervento

qualora il Comitato OCSE lo avesse commissionato551.

Tutti i paesi colpiti dalle sanzioni petrolifere stavano al contempo studiando una serie di

misure per limitare i consumi interni di energia. Il 5 novembre, però, i paesi dell’OPEC

annunciarono la decisione di tagliare del venticinque percento, rispetto ai livelli del settembre

precedente, la produzione di greggio e minacciarono di effettuare una ulteriore riduzione del

cinque percento552. I nuovi provvedimenti si rivelarono determinanti perché i Nove, riunitisi a

Bruxelles il giorno successivo, adottassero una dichiarazione congiunta che segnava una svolta

apertamente filo-araba553. In particolare, i paesi CEE concordarono sul fatto che le due parti in

causa nel conflitto dovessero, conformemente alle risoluzioni 339 e 340 del Consiglio di

Sicurezza, tornare immediatamente alle posizioni che occupavano il 22 ottobre, giorno in cui il

massimo organismo internazionale aveva ordinato il cessate il fuoco rifiutato da Israele perché

giudicato troppo tardivo rispetto all’andamento delle ostilità554. I Nove si auguravano altresì che

iniziassero subito negoziati fra le parti al fine di giungere nel più breve tempo possibile al

conseguimento di una pace giusta e duratura in applicazione della risoluzione 242 dell’ONU555.

L’accordo di pace si sarebbe dovuto fondare sui seguenti punti:

“The inadmissibility of the acquisition of territory by force; the need for Israel to end the

territorial occupation which it has maintained since the conflict of 1967; respect for the

sovereignty, territorial integrity and independence of every state in the area and their right to live

551 Cfr. Telespresso n. 077/41777, MAE, DGAE, Ufficio VII, indirizzato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero del Bilancio, al Ministero del Tesoro, al Ministero dell’Industria e del Commercio, al Ministero delle Partecipazioni Statali, all’Ente Nazionale Idrocarburi, Roma, 3 novembre 1973, ASE, coll. BB. III. 1, udc. 442. 552 Cfr. L. V. Ferraris (a cura di), Manuale della politica estera italiana, 1947-1993, cit., p. 270. 553 Il raggiungimento dell’intesa non si rivelò una questione facile. L’Olanda, su cui gravava l’embargo, insisteva affinché la CEE dichiarasse pubblicamente di appoggiare il suo operato, ma la Francia si era già dichiarata decisamente contraria a qualsiasi presa di posizione che potesse irritare maggiormente i governi dei paesi produttori di petrolio. Allo stesso modo anche la Repubblica Federale Tedesca voleva evitare ciò e, in particolare, aveva ricevuto intimidazioni dal presidente libico Gheddafi, nonostante durante la guerra il cancelliere Brandt avesse negato agli Stati Uniti l’utilizzo del territorio tedesco per creare un ponte aereo con Israele. L’Italia, invece, aveva tenuto fino a quel momento una posizione equidistante e non intendeva esporsi con dichiarazioni politiche a favore dell’Olanda che potessero essere interpretate dai governi arabi in maniera completamente negativa. Anche la Gran Bretagna era su posizioni simili e per l’Aja non rimase altro che accettare una risoluzione generica della Comunità nella speranza che quest’ultima avviasse una nuova politica energetica a sostegno delle difficoltà olandesi e che gli arabi ritirassero la pesantissima sanzione dell’embargo (per approfondimenti si veda D. Ghillani, Difficile un accordo dei “Nove” sul petrolio, «Avanti», 6 novembre 1973). 554 In realtà i Nove avevano già preparato, sotto l’impulso di Italia e Francia, una dichiarazione congiunta che risultava meno filo-araba rispetto a quella effettivamente approvata il 6 novembre. Nel testo del primo proclama si sottolineava, da un lato, la centralità delle risoluzioni 242 e 338 delle Nazioni Unite e, dall’altro, la disponibilità dei membri della CEE a inviare proprie truppe per presidiare le aree smilitarizzate previste nel '67. Le decisioni dell’OPEC annunciate il 5 novembre ebbero però un effetto risolutivo nell’ottenere che il Comitato Politico dei Nove riesaminasse l’intera dichiarazione votando un nuovo testo più marcatamente filo-arabo. In particolare, fu la Gran Bretagna a premere perché le tesi arabe fossero pienamente soddisfatte fino al limite massimo di non mettere in discussione le esigenze e l’esistenza stessa di Israele; alla stessa conclusione, tuttavia, erano giunte anche l’Olanda e la Danimarca (cfr. Lettera del direttore generale degli Affari Politici del MAE, Roberto Ducci, per il segretario generale del MAE, Roberto Gaja, Roma, 8 novembre 1973, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 6, MAE, Sottoserie Visite e questioni diverse, Busta 57). Si vedano anche Ministero degli Affari Esteri (Servizio Storico e Documentazione), Italia e Medio Oriente (1967-1974), cit., pp. 177-178; L. Riccardi, Il «problema Israele»: diplomazia italiana e PCI di fronte allo Stato ebraico (1948-1973), cit., pp. 453-454. 555 Per uno studio sulle relazioni euro-mediterranee si veda, tra gli altri, F. Bicchi, European Foreign Policy Making toward the Mediterranean, New York, 2007.

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in peace within secure and recognized boundaries; recognition that in the establishment of a just

and lasting peace account must be taken of the legitimate rights of the Palestinians”556.

La decisione di rilasciare una simile dichiarazione derivava ovviamente dal desiderio di

evitare ulteriori rappresaglie da parte dell’OPEC e dalla speranza che le sanzioni in atto

venissero revocate557. Si trattava di una scelta di campo abbastanza netta che poneva l’Europa in

una posizione difficile sia nei confronti di Israele che, soprattutto, degli Stati Uniti558.

Per quanto concerneva l’Italia, inoltre, la decisione di aderire alla dichiarazione congiunta

risultava quasi un obbligo in considerazione delle gravi conseguenze economiche causate

dall’aumento vertiginoso del prezzo del petrolio e dalla diminuzione della sua disponibilità559.

556 Per consultare il testo completo della dichiarazione si vedano, tra gli altri, Ministero degli Affari Esteri (Servizio Storico e Documentazione), Italia e Medio Oriente (1967-1974), cit., pp. 179-180; Telegram n. 508 from Brussels to the Foreign and Commonwealth Office, Bruxelles, 6 novembre 1973, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, cit., doc. 375. 557 In questo senso, la politica dei Nove ebbe in effetti un certo successo: essi vennero esentati dal successivo taglio del cinque percento che i paesi OPEC adottarono in dicembre. Le reazioni delle nazioni arabe alla dichiarazione congiunta furono quasi tutte positive; secondo quanto riportato dal portavoce ufficiale egiziano, ad esempio, “con questa decisione la Comunità Europea [apriva] un’importante fase nel campo del coordinamento della sua politica estera nei confronti della crisi medio-orientale e [poteva], in tal modo, svolgere un ruolo nella ricerca di una soluzione”. Il presidente del Consiglio libanese, Takieddin Solh dichiarò pubblicamente che “il mondo arabo [aveva] accolto con molta soddisfazione i risultati della riunione dei Nove […] [che] dimostra[va] le divergenze esistenti tra Europa e Stati Uniti e rileva[va] il fossato che si sta[va] creando tra gli Stati europei e gli Stati Uniti, per quanto concerne[va] l’appoggio americano a Israele”. L’agenzia di informazione palestinese «Wafa» affermò che la dichiarazione costituiva senza dubbio un passo in avanti nell’approccio europeo verso il problema palestinese, mentre per il giornale di Beirut «An Nahar» l’Europa era migliore degli USA e si meritava prezzi ridotti per il petrolio. Di parere diverso il giornale marocchino «El Moudjahid» secondo cui era giunto il momento per l’Europa di agire e di abbandonare dichiarazioni “platoniche”. I giornali israeliani parlarono apertamente di una resa europea al ricatto petrolifero arabo a spese di Israele [Il Medio Oriente di fronte al documento del “Nove”. Israele: “resa europea al ricatto petrolifero” (articolo non firmato), «Avanti», 8 novembre 1973]. Tuttavia, anche tra i Nove non erano mancate pesanti critiche per il cedimento alle tesi arabe; secondo il ministro degli Esteri olandese, Van Der Stoel, la risoluzione del 6 novembre rappresentava addirittura una “nuova Monaco”. Ampie critiche pervennero altresì dalla stampa internazionale: il «Times», ad esempio, non riteneva che la decisione della CEE potesse minimamente accontentare gli arabi e, anzi, essa poteva incoraggiare certi Stati a aumentare le pretese; il conservatore «Daily Express» esprimeva altrettanti dubbi e criticava fortemente la decisione di abbandonare letteralmente Israele per assecondare gli arabi [per approfondimenti si veda Cedimento agli arabi. I Nove sotto accusa (articolo non firmato), «Il Giornale d’Italia», 7-8 novembre 1973]. 558 Per uno studio sui rapporti tra gli Stati Uniti e la Comunità europea durante la crisi petrolifera si vedano, tra gli altri, E. B. Kapstein, The Insecure Alliance: Energy Crises and Western Politics since 1944, cit.; W. L. Kohl, The United States, Western Europe and the Energy Problem, in «Journal of International Affairs», n. 1, 1976, pp. 81-96; F. Venn, International Cooperation versus National Self-Interests: the United States and Europe during the 1973-1974 Oil Crisis, in K. Burk, M. Stokes, The United States and the European Alliance since 1945, Oxford, 1999, pp. 71-98. Per un’analisi sulla politica estera statunitense in Medio Oriente durante gli anni di Nixon e di Kissinger si vedano, tra gli altri, W. Bundy, A tangled web: the making of foreign policy in the Nixon Presidency, New York, 1999; B. Colciago, Diplomazia kissingeriana in Medio Oriente: Yom Kippur e la svolta egiziana, Milano, 1990; W. C. Eveland, Ropes of Sand: America’s Failure in the Middle East, New York, 1980; T. G. Fraser, The USA and the Middle East since World War 2, London, 1989; J. M. Hanhimaki, The flawed architect: Henry Kissinger and American foreign policy, Oxford, 2004; A. M. Jone (a cura di), U.S. foreign policy in a changing world; the Nixon administration, 1969-1973, New York, 1973; D. B. Kunz, Butter and guns: America’s cold war economic diplomacy, New York, 1997; D. Lesch (a cura di), The Middle East and the United States. A Historical and Political Reassessment, Boulder, 1996; R. M. Nixon, The Memoirs of Richard Nixon, London, 1978; W. B. Quandt, Peace Process: American Diplomacy and the Arab-Israeli Conflict since 1967, cit.; S. L. Spiegel, The Other Arab-Israeli Conflict. Making America’s Middle East Policy, from Truman to Reagan, Chicago, 1985, pp. 165-314; R. C. Thornton, The Nixon-Kissinger years: reshaping America's foreign policy, St. Paul, 2001; G. Valdevit, Gli Stati Uniti e il Mediterraneo. Da Truman a Reagan, Milano, 1992, p. 149 e ss. Per uno studio generale sulla Comunità europea e le conseguenze degli eventi degli anni Settanta si veda, tra gli altri, A. Varsori (a cura di), Alle origini del presente: l'Europa occidentale nella crisi degli anni Settanta, Milano, 2007. 559 L’Italia al negoziato europeo venne rappresentata direttamente da Ducci il quale però non era convinto che il proclama europeo potesse portare a un alleggerimento delle sanzioni petrolifere attuate dall’OPEC ma, anzi, vi era la possibilità concreta che i governi arabi interpretassero la dichiarazione congiunta come un forte segno di debolezza (cfr. Lettera del direttore generale degli Affari Politici del MAE, Roberto Ducci, per il segretario generale del MAE, Roberto Gaja, Roma, 8 novembre 1973, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 6, MAE, Sottoserie Visite e questioni diverse, Busta 57). Per ulteriori approfondimenti si vedano L. V. Ferraris (a cura

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Sul fronte interno, la scelta del governo divise le forze politiche secondo linee di frattura che

riflettevano le tradizionali posizioni rispetto al conflitto arabo-israeliano:

“C’[era] chi [aveva] guardato al contenuto della risoluzione e [aveva] giudicato sulla base di

esso con entusiasmo, come [avevano] fatto i comunisti, o con aperta e veemente indignazione,

come nel caso dei repubblicani, dei liberali e dei socialdemocratici. E c’[era] chi invece [aveva]

sorvolato sulla sostanza, per rifugiarsi nell’episodio unitario ed esaltare l’autonomia dell’Europa

[come avevano fatto i democristiani]”560.

In particolare il gruppo repubblicano alla Camera e al Senato presentò l’8 novembre

un’interpellanza parlamentare al ministro degli Esteri proprio sul documento europeo per

conoscere:

“- i motivi che [avevano] indotto il governo italiano ad accettare in sede CEE una risoluzione

che al di là dei suoi termini formali si presenta[va] come politicamente qualificata dalle misure di

ritorsione adottate da Stati arabi produttori di petrolio verso uno Stato europeo solidale con

Israele e dalle relative minacce fatte dagli stessi Stati ad altri membri della CEE, e che rischia[va]

di alterare l’orientamento finora tenuto sulla questione medio-orientale da alcuni paesi della

Comunità tra i quali l’Italia; - quale linea di condotta il governo italiano intende[va] seguire nel

caso si [fossero profilate], da parte degli stessi Stati arabi, analoghe pressioni, su questioni diverse

da quella medio-orientale, che [minacciassero], insieme, la sovranità nazionale italiana e il

prestigio dell’Europa; - quali iniziative il governo italiano intende[va] prendere per contribuire a

rilanciare una omogenea politica europea, pronta a favorire una giusta pace nel Mediterraneo, e se

non [ritenesse] che tale politica [dovesse] essere condotta in modo da assicurarne la credibilità e

di), Manuale della politica estera italiana, 1947-1993, cit., pp. 271-272; L. Riccardi, Il «problema Israele»: diplomazia italiana e PCI di fronte allo Stato ebraico (1948-1973), cit., pp. 454-455. 560 L. Bianchi, Divisi i partiti italiani sulla decisione del MEC, «Corriere della Sera», 8 novembre 1973. Per un approfondimento sulla posizione socialista si veda, ad esempio, D. Ghillani, I Nove chiedono per il M.O. una pace “giusta e durevole”, «Avanti», 7 novembre 1973; per il parere dei democristiani cfr. F. Pace, Politica comune dei paesi europei sul Medio Oriente, «Il Popolo», 7 novembre 1973; sui repubblicani si veda Contraddittoria e ambigua risoluzione della CEE per sottrarre l’Europa al ricatto petrolifero (articolo redazionale), «La Voce Repubblicana», 7 novembre 1973. In particolare, per i repubblicani la posizione assunta dalla Comunità introduceva un ulteriore elemento di confusione nella crisi e era la conseguenza della mancanza di una politica estemporanea della CEE nel Mediterraneo; la dichiarazione rifletteva troppo il punto di vista francese, rafforzando la posizione politica degli arabi e accentuando i motivi di attrito e di divergenza nei confronti della politica americana: “La risoluzione […] esprime[va], in forma diplomaticamente interlocutoria ed ambigua, la condizione di minorità politica rispetto ai grandi eventi mondiali che caratterizza[va] oggi l’Europa. Silenziosi o incapaci a parlare nei momenti più gravi e delicati della crisi mediorientale, i paesi della CEE si [erano] risolti a parlare dopo il ricatto del petrolio. Come una qualunque provincia politica alle prese con cose più grandi, la CEE [aveva] finito per svolgere un ruolo secondario e non positivo dinnanzi al pericolo di andare in bicicletta il sabato e la domenica anziché in automobile” [Un’altra forma di sovranità limitata (articolo redazionale), «La Voce Repubblicana», 7 novembre 1973]. Per quanto concerneva i liberali, infine, si veda, tra gli altri, Cedimento agli arabi: i Nove sotto accusa (articolo non firmato), «Il Giornale d’Italia», 7-8 novembre 1973.

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l’autorità su tutti gli Stati coinvolti nella questione medio-orientale, e da evitare indebolimenti

nella politica si sicurezza e di solidarietà alla quale l’Italia partecipa[va]”561.

D’altra parte, lo stesso ministro degli Affari Esteri, secondo quanto riportato in un

telegramma dell’Ambasciata statunitense a Roma, aveva espresso il proprio disappunto sui

termini della risoluzione congiunta dei Nove:

“Foreign minister Moro had not […] pleased with specificity of declaration which [he]

believed had gone too far”562.

Molto probabilmente, però, la fonte d’informazione su cui si basavano le affermazioni

contenute nel telegramma (un responsabile del MAE protetto dal segreto) mirava a far apparire

la scelta italiana non così netta e in contrasto con gli interessi degli Stati Uniti563; anzi, secondo

l’opinione dell’ambasciatore John Anthony Volpe, tutte le scelte politiche dei Nove che

riguardavano il Medio Oriente erano comprensibilmente viziate dal timore di ripercussioni in

ambito petrolifero:

“It [was] clearer that ever that position of Italians and other Europeans towards Middle East

[was] conditioned primarily by their apprehension over threat to oil supply, and that they would

be welcome a U.S. lead on this aspects. We [were] not aware that U.S. [had] offered Europeans

any assurances. Such assurances, if we [could] provide them, could be determining factor in

stiffening the European’s spine in face of Arab oil blackmail which up until now [had] been

overriding element in European attitudes towards Middle East”564.

561 Le interpellanze dei repubblicani sul documento della CEE per il M. O. (articolo non firmato), «La Voce Repubblicana», 9 novembre 1973. L’interpellanza venne sottoscritta da: Reale, Biasini, Battaglia, Ascari Raccagni, Bandiera, Bogi, D’Aniello, Del Pennino, Gunnella, Giorgio La Malfa, Mammì, Visentini. 562 Telegram from the American embassy to Rome (J. A. Volpe) to the Secretary of State, Roma, 8 novembre 1973, NARA, NPMP, Country Files, Europe. 563 In effetti la posizione di Moro fu, come sempre, di estrema cautela e di equidistanza: da una parte, egli dava il consenso alla dichiarazione dei Nove del 6 novembre al fine di conservare buone relazioni con i paesi arabi, evitando ulteriori ripercussioni per l’Italia sul fronte energetico; dall’altra, il politico democristiano faceva intendere a Washington e a Tel Aviv che si trattava di una strategia temporanea rispondente solo alle contingenze del momento. L’atteggiamento di Moro nei confronti di Israele aveva tuttavia gradatamente assunto un certo distacco a vantaggio di una politica che sembrava avere connotazioni più vicine alla causa araba; questo passaggio, che non assunse mai posizioni estreme, presumibilmente partiva dalle modalità con cui si era conclusa la guerra dei Sei Giorni e dalla non applicazione da parte israeliana della Risoluzione 242 delle Nazioni Unite [per approfondimenti si veda L. Riccardi, Il «problema Israele»: diplomazia italiana e PCI di fronte allo Stato ebraico (1948-1973), cit., pp. 338-357]. Tuttavia, nella relazione presentata il 23 gennaio '74 alla Commissione Esteri del Senato Moro dichiarò ufficialmente che l’Italia si era fatta addirittura promotrice della dichiarazione congiunta dei Nove, sottolineando gli effetti positivi che questa ebbe nei confronti dei paesi del mondo arabo (cfr. A. Moro, Scritti e discorsi, a cura di G. Rossini, vol. VI, 1974-1978, Roma, 1990, p. 3124). 564 Telegram from the American embassy to Rome (J. A. Volpe) to the Secretary of State, Roma, 8 novembre 1973, NARA, NPMP, Country Files, Europe.

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Da parte britannica si pensò anche di utilizzare la dichiarazione congiunta “as the basis

for a concerted community effort to get the production cuts restored and the embargo on the

Netherlands lifted”565. Ma i dubbi sollevati dalla diplomazia transalpina dimostrarono ben presto

la difficoltà di trovare un’intesa sulla strategia da mettere in campo:

“The Quai [d’Orsay] agree[d] […] that we must seek to dissuade the Arabs from continuing

to make progressive over-all cuts in production and try to bring home to them the dangers of

discriminating between members of the Community. At official level, therefore, they [saw] some

merit in the idea of a collective démarche, but argue[d] that we must be careful to go about this in

the right way. If the European solidarity card [was] played the wrong way, there [was] an obvious

danger that we shall all suffer, and this will not help the Dutch”566.

La solidarietà fra i Nove emersa con la risoluzione del 6 novembre stava infatti

gradualmente per lasciare il passo a nuove divergenze. La situazione certamente più difficile

riguardava i Paesi Bassi, i più colpiti dal boicottaggio decretato dai produttori arabi. Il governo

olandese aveva ricevuto dai partner europei assicurazioni in merito all’adozione di misure per

una politica energetica comunitaria che avrebbero dovuto alleviarne fin da subito le difficoltà. I

provvedimenti tardarono però a arrivare e il 17 novembre il primo ministro olandese, Den Uyl,

accusò i partner europei di non rispettare le clausole sulla libera circolazione delle merci

all’interno del Mercato Comune per quanto concerneva il petrolio e minacciò di sospendere le

esportazioni di gas naturale567. L’avvertimento olandese sembrava giustificato dalla circostanza

secondo cui alcuni membri della CEE, fra i quali l’Italia, avevano preferito vietare tutte le

esportazioni dei prodotti petroliferi comprese quelle destinate all’Aja, considerata dai produttori

mediorientali troppo vicina a Israele, piuttosto che esporsi al rischio di un eventuale embargo da

parte dei paesi dell’OPEC568. Il caso dell’Olanda simboleggiava meglio di ogni altro la quasi

565 Telegram n. 207 from Sir Alec Douglas-Home, Secretary of State for Foreign and Commonwealth Affairs, to The Hague, Londra, 10 novembre 1973, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, cit., doc. 385. 566 Telegram n. 1543 from Sir Edward Tomkins, British Ambassador in France, to the Foreign and Commonwealth Office, Parigi, 11 novembre 1973, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, cit., doc. 386. 567 Cfr. F. Ivaldo, Gli Olandesi bloccheranno l’esportazione di metano, «Il Messaggero», 18 novembre 1973. 568 D’altra parte, dopo le prime reazioni quasi del tutto positive all’emanazione della dichiarazione congiunta, i paesi arabi dichiararono di volere continuare a mantenere l’embargo sui rifornimenti di greggio fino a quando Israele non avesse evacuato i territori arabi occupati e Gerusalemme e finché non fosse stato concesso ai palestinesi il diritto all’autodeterminazione. In più, come se non bastasse, alcuni governi dell’OPEC, tra cui la Libia, chiedevano agli europei la vendita di armi strategiche moderne, acutizzando i forti timori già espressi in precedenza dagli Stati Uniti proprio su questa questione [cfr. I paesi arabi decisi a mantenere l’embargo sul petrolio. Nuovi ricatti alla CEE per la consegna di armi moderne (articolo redazionale), «La Voce Repubblicana», 14 novembre 1973].

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impossibilità di delineare un approccio condiviso569. Al di là del fragile accordo raggiunto con la

dichiarazione del 6 novembre, a emergere erano le spinte centrifughe che, come messo in luce

dal commissario europeo, Henri François Simonet, compromettevano gli esiti delle discussioni in

corso sulla politica energetica comunitaria570.

Come se non bastasse, anche il rapporto con gli Stati Uniti che fin da subito avevano

espresso il loro disappunto sulle scelte dei Nove divenne motivo di disaccordo, in particolare

all’indomani della dichiarazione congiunta571. Pur riconoscendo che le difficoltà petrolifere

erano alla base delle decisioni dei paesi CEE, Washington non poteva accettare una netta

divaricazione fra le due sponde dell’Atlantico. Durante una riunione tra i massimi esponenti del

Dipartimento di Stato, tenuta il 28 novembre '73, si riconobbe ufficialmente che “under French

leadership and with the acquiesence [sic!] of the British, the Europeans are seeking their identity

in opposition to the U.S.”572. Secondo quanto riportato dall’ambasciatore britannico a

569 In tutte le nazioni europee la crisi stimolò studi e analisi volti a proporre misure di contenimento dei consumi energetici. In Italia si creaò un’apposita Commissione tecnica presso il Ministero dell’Industria che il 10 novembre presentò al governo un ampio ventaglio di suggerimenti. Le proposte avanzate, che dovevano comunque essere valutate in via definitiva dall’esecutivo, contemplavano: “[La] chiusura dei distributori di benzina il sabato e la domenica; [il] divieto di circolazione delle autovetture private la domenica; [il] divieto di trasportate sulle automobili taniche con il carburante; [il] divieto della navigazione da diporto; forti aumenti dei pedaggi autostradali; [la] riduzione dei voli della Alitalia. […] Per quanto riguarda[va] più esplicitamente l’energia elettrica, tra le proposte figurava l’interruzione dei «consumi» a partire dalle 23, il divieto di accensione delle insegne luminose, l’anticipazione alle 22.30 dell’orario di chiusura dei cinematografi e del termine delle trasmissioni televisive. L’illuminazione stradale [doveva essere] assicurata «dimezzando» i lampioni in funzione, cioè spegnendo, una sì e una no, le fonti luminose nelle vie e nelle piazze” [Le proposte per l’austerity al Governo (articolo non firmato), «Il Sole 24 ore», 20 novembre 1973]. Il governo Rumor, sulla base dei suggerimenti proposti dalla suddetta Commissione, adottò misure severe per far fronte alla diminuzione degli approvvigionamenti di greggio. Questi provvedimenti comprendevano l’aumento, a partire dal 23 novembre, della benzina (super duecento lire al litro, normale centonovanta lire) e del gasolio per uso industriale (cinquanta lire al chilogrammo) deciso dal Comitato Italiano Petroli, e una serie di misure, a partire dal 1 dicembre, al fine di restringere l’uso dei prodotti petroliferi per il riscaldamento, per l’energia elettrica e per i veicoli: si fissò un nuovo orario di lavoro per le amministrazioni pubbliche, si limitò la temperatura del riscaldamento negli edifici pubblici, si razionalizzò l’utilizzo della benzina per i veicoli statali. Per diminuire in particolare la consumazione elettrica l’esecutivo stabilì: la chiusura anticipata di un’ora degli stabilimenti commerciali (alle ore 19); il termine massimo dei programmi televisivi per le ore 23; l’anticipazione allo stesso orario della chiusura dei cinematografi; la riduzione delle illuminazioni pubblicitarie pubbliche e private. Per ridurre invece l’uso della benzina si sancì: la proibizione per gli autoveicoli, le barche da diporto e gli aerei da turismo di circolare la domenica e i giorni festivi (eccezion fatta per i trasporti pubblici, per i servizi d’urgenza e per i corpi diplomatici); la chiusura delle pompe di benzina a partire dalle ore 12 di ogni sabato e di ogni giorno prefestivo fino alla mezzanotte del lunedì; la nuova limitazione di velocità degli autoveicoli pari a 100 km/h sulle strade statali e a 120 km/h sulle autostrade. Si previdero inoltre sanzioni fino a un milione di lire e provvedimenti che comprendevano il ritiro della patente e il sequestro del mezzo per i trasgressori. Secondo l’opinione del ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, Luigi Ciriaco De Mita, queste misure avrebbero portato a una diminuzione dei consumi interni dei prodotti petroliferi del venti percento [cfr. Télégramme de l'Ambassade de France à Rome (Lucet) au Ministère des Affaires Étrangères, Roma, 23 novembre 1973, MAEF, Archives Diplomatiques, Affaires économiques et financières, Affaires générales, 1967-1975, 419]. Le decisioni del Consiglio dei ministri furono valutate in maniera differente da parte della stampa italiana. Per il «Corriere della Sera», ad esempio, il piano governativo era serio e coerente, mentre per «Il Messaggero» e per «L’Unità» era troppo eccessivo e l’esecutivo avrebbe ceduto al ricatto delle grandi compagnie internazionali. In alcuni ambienti politici si riteneva infatti che il ritardo dimostrato nell’applicazione di un piano nazionale di emergenza fosse la prova che le scelte di Rumor fossero dettate solo dalle pressioni delle grandi aziende petrolifere per ottenere maggiori introiti economici, utilizzando la crisi petrolifera internazionale a proprio vantaggio (cfr. Télégramme de l'Ambassade de France en Italie au Ministère des Affaires Étrangères, Rome, 23 novembre 1973, CHAN, Archives présidentielles, Fondo Georges Pompidou, 5 AG 2, c. 1037). I provvedimenti interni adottati dai singoli governi erano dunque spesso motivo di contrasto tra le varie fazioni politiche nazionali, così come accadde in Italia, ma furono anche causa di dissapori tra gli stessi paesi comunitari. 570 Cfr. Télégramme de l'Ambassade de France à Bruxelles au Ministère des Affaires Étrangères, Bruxelles, 20 novembre 1973, MAEF, Archives Diplomatiques, Affaires économiques et financières, Affaires générales, 1967-1975, 492. 571 Cfr. Telegram n. 1122 from Sir Philip Adams, British Ambassador in Cairo, to the Foreign and Commonwealth Office, Il Cairo, 8 novembre 1973, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, cit., doc. 382. 572 Memorandum of Conversation about Us-European Relations, Washington, 28 novembre 1973, NARA, NPMP, Presidential HAK MemCons.

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Washington, Lord Rowley Cromer, la diplomazia americana aveva inoltre ufficialmente

ammesso il fatto che “The Year of Europe [was] failed to live up its advance billing”573.

In realtà, i rapporti intereuropei si stavano avviando verso una fase di deterioramento. Già

nel corso della riunione del 3 dicembre del Consiglio dei ministri degli Esteri dei Nove i primi

segnali di tensione erano stati recepiti dalla stampa internazionale:

“La parola «energia» [aveva] ormai un significato sia politico sia economico. Tutti si

[rendevano] conto che l’Europa [era] un ostaggio nelle mani dei produttori dell’oro nero. Il fatto

più importante della riunione ministeriale odierna […] [era] il veto che taluni paesi [avevano]

posto sia all’esecutivo CEE che allo stesso Consiglio di mettere il problema energetico all’ordine

del giorno della discussione tra i ministri. La Francia soprattutto [voleva] che le manovre in corso

all’interno della Comunità [rimanessero] assolutamente segrete”574.

Per l’Italia alla riunione parteciparono il ministro degli Affari Esteri, Aldo Moro, e il

sottosegretario Mario Pedini. Entrambi ricavarono l’impressione che sulle questioni petrolifere

sarebbe stato difficile accordarsi: i francesi e gli inglesi spingevano per dare un seguito più

concreto alla dichiarazione del 6 novembre puntando su una evoluzione filo-araba della

Comunità nel tentativo di ottenere condizioni favorevoli sul mercato mediorientale; gli olandesi,

invece, insistevano nella richiesta di una maggiore solidarietà da parte dei partner europei con la

speranza che una dichiarazione pubblica facesse recedere gli arabi. Le altre questioni rimasero

praticamente congelate: nella riunione dello stesso giorno tra i ministri delle Finanze relativa

all’unione economica e monetaria, il cui passaggio alla seconda tappa era previsto per il gennaio

successivo, non si registrarono progressi significativi. Tutti i temi più importanti vennero quindi

rinviati al vertice dei capi di Stato e di governo previsto per il 14 e il 15 dicembre a

Copenaghen575.

573 Telegram n. 3752 from Lord Rowley Cromer, British Ambassador in Washington, to the Foreign and Commonwealth Office, Cairo, 2 dicembre 1973, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, cit., doc. 432. Sulle conseguenze del rapporto tra la CEE e gli Stati Uniti all’indomani della dichiarazione congiunta e sul proseguo del progetto di Kissinger (“The Year of Europe”) si veda anche S. Pietrantonio, La guerra d’ottobre vista dall’Europa: tra desideri di autonomia, crisi energetica e imperativi atlantici, in A. Bitumi, G. D’Ottavio, G. Laschi (a cura di), La Comunità europea e le relazioni esterne, 1957-1992, Bologna, 2008, pp. 103-104. 574 M. Malvestiti, Netti contrasti tra i Nove sulla politica dell’energia, «La Nazione», 4 dicembre 1973. 575 In questo clima si svolse la visita ufficiale in Italia del ministro degli Affari Esteri dell’Arabia Saudita, Saqqaf. Nei confronti di questo paese, il maggiore produttore petrolifero mediorientale, i governi della CEE (e, tra questi, in misura maggiore quello italiano) ponevano le speranze di ottenere una soluzione pacifica al conflitto arabo-israeliano e, nella fattispecie del momento, auspicavano che la tradizionale politica filo-occidentale saudita potesse influire positivamente sulle sanzioni applicate dall’OPEC. Tuttavia, Saqqaf, a colloquio con il presidente della Repubblica, Giovanni Leone, giustificò a pieni titoli la strategia adottata dagli Stati arabi che si proponeva di spronare i paesi europei a incalzare Washington e, conseguentemente, di costringere Israele a ritirarsi dai territori occupati [cfr. Appunto sul colloquio del ministro degli Esteri saudita, Saqqaf, al Quirinale, (Pedini), Roma, 4 dicembre 1973, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 6, MAE, Sottoserie Visite e questioni diverse, Busta 42].

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4. La politica energetica italiana dopo lo scoppio della guerra del Kippur

Dopo lo scoppio della guerra del Kippur e le rappresaglie decise dai paesi dell’OPEC la

situazione energetica nazionale risultava drammatica. Le decisioni del governo del 22 novembre

che imponevano drastiche riduzioni dei consumi energetici non apparivano adeguate, dal

momento che i paesi arabi non sembravano intenzionati nell’immediato a modificare

atteggiamento e la Comunità europea tardava a prendere una posizione univoca. Anche se

ufficialmente non venne mai confermato, il governo italiano sembrò appoggiare in sede europea

l’orientamento politico portato avanti dall’asse Parigi-Londra, cioè dei due paesi che avevano

assunto un atteggiamento molto favorevole alla causa araba, cercando di intavolare rapporti

diplomatici segreti con i paesi dell’OPEC per ottenere condizioni migliori nell’acquisto del

greggio576.

Sul fronte interno, frattanto, si prospettava l’ipotesi di una diminuzione delle attività delle

centrali termoelettriche e, addirittura, si pensò a uno spegnimento temporaneo per mancanza di

combustibile577. La situazione era il risultato della politica elettrica condotta dall’ENEL che,

almeno durante i primi anni di attività, aveva puntato quasi esclusivamente sull’utilizzo di

impianti di produzione basati sulla risorsa energetica fino a quel momento più economica, il

petrolio, penalizzando in questo modo il settore nucleare578. Le tre centrali atomiche in funzione

concorrevano solo per una percentuale irrisoria alla produzione energetica nazionale mentre il

quarto impianto in costruzione non era ancora pronto579. Nel dicembre del '72 il Consiglio di

amministrazione dell’ENEL decise l’ordinazione di due nuove centrali da un milione di kW

ciascuna, che avrebbero rappresentato il quinto e il sesto impianto nucleare italiano. Autorizzate

576 Per approfondimenti si veda M. Malvestiti, Netti contrasti tra i Nove sulla politica dell’energia, «La Nazione», 4 dicembre 1973. 577 Cfr. Il presidente dell’ENEL paventa un razionamento dell’energia (articolo non firmato), «Avanti», 8 novembre 1973. 578 Tuttavia, già all’indomani del conflitto il presidente dell’ENEL sembrò voler accelerare il cambio di strategia nel settore nucleare modificando le priorità produttive fino a quel momento portate avanti dall’ente statale. Angelini, durante una relazione presentata a un congresso europeo sull’utilizzo della fonte atomica per scopi industriali, aveva infatti sottolineato come la produzione di energia elettrica di origine nucleare avrebbe gradualmente sostituito gli altri metodi utilizzati fino a raggiungere quote dell’ottanta-novanta percento del totale complessivo nel 2000: “Le ragioni per cui si [prevedevano] sviluppi così importanti del settore [erano] da ricercare innanzitutto […] nella competitività economica dell’energia nucleare; poi nella buona disponibilità e sicurezza di approvvigionamento dell’uranio naturale, nella favorevole distribuzione geografica dei giacimenti di uranio, nella facilità di trasporto e di immagazzinamento del combustibile nucleare e nella compatibilità degli impianti nucleari con l’ambiente, senza dubbio migliore di quella degli impianti termoelettrici tradizionali” [ L’intervento dell’ing. Angelini al congresso Foratom: Dalle centrali nucleari l’elettricità del 2000 (articolo non firmato), «Avanti», 18 ottobre 1973]. 579 Il quarto impianto, quello di Caorso, doveva entrare in servizio entro il '74 e era destinato a produrre dai sei ai sette miliardi di kWh all’anno. Gli studi per la costruzione della quinta centrale nucleare, in ottemperanza a quanto stabilito dal Consiglio di amministrazione dell’ENEL nel '67, vennero invece portati avanti e si decise, nell’aprile del '72, la ripresa della costruzione di grossi impianti. Per questo motivo si invitarono i costruttori a presentare delle offerte per unità della potenza dell’ordine di un milione di kW ciascuna, con l’opzione per una seconda unità (cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1973, Roma, 1974, p. 9, ASENEL).

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dal CIPE, gli impianti erano destinati a sorgere nel medio Adriatico e nel medio Tirreno580. Il

tempo necessario per costruire e portare a regime una centrale termonucleare era tuttavia stimato

intorno ai dieci anni e le difficoltà energetiche del momento richiedevano risposte rapide. Se da

un lato risultava doveroso l’avvio di un serio programma di investimenti nel settore atomico per

iniziare la costruzione di un numero di impianti in grado di garantire nell’arco di un decennio

una fonte energetica alternativa al petrolio, dall’altro lato bisognava fare il possibile per

contrastare la crisi con efficacia. In questo drammatico scenario si affacciarono perfino ipotesi di

un ritorno all’uso del carbone fossile:

“Il progresso tecnologico [avrebbe potuto ora] attenuare alcuni inconvenienti derivanti […]

[dall’]impiego [di carbone fossile] nelle centrali termoelettriche, mentre la sua trasformazione in

combustibili liquidi o gassosi [avrebbe potuto] trovare una convenienza economica di fronte al

petrolio che venendo a mancare non ha più prezzo”581.

La gravità della situazione indusse inoltre il Parlamento a avviare a cura della

Commissione Industria della Camera un’indagine conoscitiva sulla situazione delle fonti di

energia. Secondo quanto testimoniato da Giorgio Ruffolo, segretario generale per la

Programmazione economica al Ministero del Bilancio, una forte responsabilità della scarsità di

petrolio era da attribuirsi anche all’azione delle grandi compagnie internazionali:

“L’attuale restrizione petrolifera, ed il suo eventuale aggravarsi, non [dipendevano] solo

dalle decisioni dei paesi arabi ma anche, e forse soprattutto dalla strategia delle grandi compagnie

petrolifere. In quanto alle fonti di energia alternativa a quella derivata dal petrolio, l’Italia si

trova[va] in una situazione «indegna» in rapporto alle prospettive dell’energia nucleare. […]

[erano] le grandi compagnie petrolifere che, forti della immaganizzazione [sic!] di grandi

quantitativi di greggio e della sua raffinazione, a decidere «se e in che misura» [doveva] essere

580 Cfr. ibidem, p. 10. Durante la riunione del Consiglio di amministrazione dell’ENEL del 7 dicembre '73, dopo aver esaminato le offerte pervenute in ottemperanza alla gara indetta nel dicembre dell’anno prima, e in vista del potenziamento della produzione nucleare e del suo sviluppo mediante reattori di grande potenza, si decise dunque di ordinare alla Società Elettronucleare una unità nucleare da 952.000 kW equipaggiata con un reattore a acqua in pressione e alla società Ansaldo Meccanico-Nucleare uno da 982.300 kW a acqua bollente. Inoltre, per ciascuna delle due unità l’ENEL si era riservato il diritto di opzione di ordinare un secondo reattore identico. Era pervenuta all’ente italiano anche un’offerta da parte dell’AECL in collaborazione con la società Italimpianti per la costruzione di una centrale della potenza di 975.000 kW equipaggiata con un reattore moderato e refrigerato con acqua pesante. Questa offerta, ritenuta valida al pari delle altre due, venne scartata solo sull’analisi del costo maggiore dell’energia prodotta. Il Consiglio di amministrazione dell’ENEL sottolineò anche come gli investimenti previsti risultavano praticamente doppi, così come era accaduto per la centrale di Caorso, rispetto alla costruzione di impianti termoelettrici tradizionali di pari potenza. Per questo motivo si richiedeva al governo di intervenire per aiutare l’ente nell’attuazione dell’ambito, quanto mai necessario, sviluppo della produzione interna di energia nucleare, così come richiesto dall’esecutivo stesso all’indomani delle restrizioni petrolifere imposte dai paesi dell’OPEC (per approfondimenti si veda Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazione del Direttore generale al Consiglio di amministrazione sull’attività dell’ente nel 1973, Roma, 1974, pp. 427-431, ibidem). 581 G. Martinoli, Appare inevitabile un ritorno al carbone, «Paese Sera», 5 dicembre 1973; per ulteriori approfondimenti si veda P. Genco, Il carbone: le possibilita di sviluppo di una alternativa energetica al petrolio, Milano, 1976

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immesso il petrolio sul mercato. Questo [avveniva] «anche indipendentemente» dalle decisioni

dei paesi arabi”582.

Le insinuazioni di Ruffolo erano decisamente allarmanti e, sebbene tutte da verificare,

estremamente indicative dello sbandamento totale del mondo politico e imprenditoriale.

L’autorevolezza della carica ricoperta da Ruffolo rafforzava in ogni caso la credibilità della tesi

contribuendo a gettare un’ombra sulle responsabilità delle grandi compagnie583. Ad ogni modo,

il 9 dicembre i ministri del petrolio dei paesi dell’OPEC annunciarono pubblicamente un

ulteriore taglio del cinque percento della produzione di greggio a partire da gennaio nei riguardi

di quei paesi considerati non-amici. Anche se l’Italia non figurava fra questi, grazie

essenzialmente alla sottoscrizione della dichiarazione congiunta dei Nove, la nuova sanzione

dimostrava che la crisi non era prossima al termine.

Dal punto di vista dello sviluppo di una nuova politica nucleare nazionale erano attese

decisioni importanti sebbene tutti fossero consci dell’impossibilità di ottenere risultati rapidi.

Secondo quanto stabilito nella programmazione approvata dal Consiglio di amministrazione

dell’ENEL nel dicembre '73, entro l’aprile dell’anno successivo si sarebbe provveduto

all’ordinazione di due ulteriori centrali nucleari e si sarebbe proceduto allo stesso modo negli

anni a seguire previo accertamento delle disponibilità finanziarie584. Ai fini di una contrazione

dei tempi, per l’Italia risultava dunque più conveniente appoggiare i progetti sviluppati a livello

europeo. Quello dell’EURODIF sulla diffusione gassosa, ad esempio, venne riproposto con forza

dalla Francia585 dopo lo scoppio della guerra del Kippur e ricevette il sostegno dell’Italia.

Accanto a questo progetto la Commissione europea aveva disposto lo sviluppo della tecnica

dell’ultracentrifugazione proposta, come visto in precedenza, dalla Repubblica Federale Tedesca,

dall’Olanda e dalla Gran Bretagna586. La decisione di Bruxelles di autorizzare lo studio e la

582 G. Selvaggi, Ruffolo: la crisi energetica “manovrata” dalle compagnie petrolifere, «Il Messaggero», 7 dicembre 1973. 583 In merito alla questione delle responsabilità delle grandi compagnie internazionali si veda l’interessante contributo di Maugeri sui sospetti e sulle indagini avviate negli Stati Uniti (cfr. L. Maugeri, Petrolio. Storie di falsi miti, sceicchi e mercati che tengono in scacco il mondo, cit., pp. 47-52). Sugli interventi del governo americano nel settore dei prezzi petroliferi all’indomani dello scoppio della crisi si rimanda a J. P. Kalt, The economics and politics of oil price regulation: federal policy in the postembargo era, Cambridge, 1981. 584 Cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1973, Roma, 1974, p. 10, ASENEL; Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazione del Direttore generale al Consiglio di amministrazione sull’attività dell’ente nel 1973, Roma, 1974, pp. 427-458, ibidem. 585 Il 27 novembre si riunì a Parigi l’Assemblea della società EURODIF deliberando che, arrivata ormai a buon punto la fase di studio, si poteva procedere nella realizzazione di un impianto europeo per l’arricchimento dell’uranio mediante il procedimento della diffusione gassosa. Questa disposizione seguiva la scelta effettuata il 23 novembre precedente da parte del governo francese di iniziare dal 1° gennaio '74 la costruzione in Europa dell’impianto. Parigi auspicava inoltre che gli altri Stati partecipanti (Italia, Belgio, Spagna e Svezia) prendessero decisioni parallele nel più breve tempo possibile (cfr. Telespresso n. 077/23663, MAE, DGAE, Ufficio VII, indirizzato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero del Bilancio, al Ministero del Tesoro, al Ministero dell’Industria e del Commercio, al Ministero delle Partecipazioni Statali, al Comitato Nazionale Energia Nucleare, all’Ente Nazionale Idrocarburi, Roma, 27 novembre 1973, ASE, coll. BB. III. 2, udc. 437). 586 Anche se inizialmente a questo progetto si escluse la partecipazione sia della Francia che dell’Italia e del Belgio, verso la fine nel '72, come visto, era stata resa nota la disponibilità delle società anglo-olandese-tedesca URENCO e CENTEC (create all’interno del

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realizzazione di entrambi i piani derivava dal desiderio di non precludere alla Comunità

l’opportunità di effettuare una scelta successiva sulla base dei risultati conseguiti. L’Italia aveva

avuto possibilità di partecipare fin dalla fase di studio solo al progetto EURODIF sul quale

avevano finito per concentrarsi le speranze soprattutto in forza di uno sviluppo che appariva

promettente587. Anche il Comitato dell’associazione dei produttori europei di energia elettrica,

cui era altresì associata l’ENEL588, aveva ritenuto validi entrambi i piani di sviluppo589, ma ciò

non bastò a escludere un energico richiamo alla necessità di ricorrere a fonti extra europee di

arricchimento590. Le forniture di uranio arricchito destinate a alimentare le centrali

elettronucleari italiane, ad esempio, dipendevano ancora dal monopolio di fatto detenuto dagli

USA591. Secondo quanto riportato in un appunto interno per Moro redatto in vista della riunione

di Copenaghen, questa posizione predominante non poteva più essere accettata in virtù della

necessità ineluttabile di una diversificazione delle fonti di approvvigionamento:

“Questa situazione di completa dipendenza dagli Stati Uniti, sebbene imposta finora da

obiettive circostanze di fatto, non [era] peraltro consona con la nostra politica in materia di

energia che, come [era] noto, tende[va] ad una sempre maggiore diversificazione delle fonti di

approvvigionamento. Questa esigenza di diversificazione risulta[va] rafforzata, per un verso, dalle

progetto rispettivamente per la progettazione e costruzione delle centrifughe e degli impianti di arricchimento e per la gestione e l’esercizio degli stessi) alla formazione di un’associazione di studi aperta a tutte le organizzazioni che desiderassero parteciparvi, al fine di esaminare le possibilità economiche, tecniche e organizzative in merito al progetto di arricchimento dell’uranio secondo il procedimento dell’ultracentrifugazione (cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazione del Direttore generale al Consiglio di amministrazione sull’attività dell’ente nel 1972, Roma, 1973, pp. 485-487, ASENEL; Verbale della 3ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 30 ottobre 1972, pp. 8-9, ASENEA). Il 1° giugno del '73 si procedette dunque alla creazione della “Association for Centrifuge Enrichment” formata da società e enti dei seguenti paesi: Svezia, Canada, Australia, Italia, Francia, Belgio, Giappone, Spagna, Olanda, Gran Bretagna. La partecipazione agli studi per lo sviluppo della tecnica dell’ultracentrifugazione vide pertanto anche la partecipazione italiana e, in particolare, dell’AGIP Nucleare e del CNEN (cfr. Verbale della 11ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 25 giugno 1973, pp. 43-44, ASENEA; Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1973, Roma, 1974, pp. 46-48, ASENEL). 587 Il procedimento della diffusione gassosa avrebbe infatti consentito di produrre notevoli quantità di uranio arricchito con un certo anticipo rispetto ai tempi previsti dalla ultracentrifugazione, anche se i costi ipotizzati per l’investimento complessivo risultavano essere superiori (per approfondimenti si veda Verbale della 10ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 10 maggio 1973, pp. 4-7, ASENEA). 588 L’ENEL faceva parte anche di un altro consorzio internazionale, il NERSA, nato invero sotto il progetto UNIPÈDE, con una quota pari al trentatre percento concessa dalla società elettrica francese EDF che ne deteneva la maggioranza con il cinquantuno percento, mentre il restante sedici percento apparteneva alla SBK (azienda in prevalenza tedesca ma con quote minoritarie del Belgio e dell’Olanda). Il NERSA condusse gli studi per la realizzazione della centrale elettronucleare francese sul fiume Rodano presso Creys-Malville denominata Superphénix, la cui costruzione venne approvata nel '72 e realizzata dal 1974 al 1981 (anche se la produzione di energia iniziò effettivamente nel 1985). 589 Nel dicembre del '73 era anche giunta l’avveniristica richiesta degli enti produttori di energia elettrica di cercare di stabilire un legame con gli Stati Uniti al fine di costruire un impianto con una tecnologia mista che potesse ricoprire il fabbisogno non solo dell’Europa ma anche degli USA e del Giappone. A ciò andava aggiunto il tentativo di coordinare le due tecnologie (diffusione e centrifugazione) al fine di prevedere lo studio del sistema di centrifugazione in modo da evitare quel surplus di uranio arricchito, previsto per il 1982-83, per il quale Germania, Inghilterra e Olanda avevano espresso delle preoccupazioni, e cercare quindi di passare gradualmente dal sistema per diffusione a quello per centrifugazione (cfr. Verbale della 16ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 5 dicembre 1973, pp. 5-6, ASENEA). 590 Per approfondimenti si veda Telespresso n. 077/23663, MAE, DGAE, Ufficio VII, indirizzato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero del Bilancio, al Ministero del Tesoro, al Ministero dell’Industria e del Commercio, al Ministero delle Partecipazioni Statali, al Comitato Nazionale Energia Nucleare, all’Ente Nazionale Idrocarburi, Roma, 27 novembre 1973, ASE, coll. BB. III. 2, udc. 437. 591 Questi rifornimenti avvenivano prevalentemente in virtù dell’accordo tra l’EURATOM e gli Stati Uniti concluso nel '58 e rinnovato nel '72.

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nuove e gravose condizioni di fornitura definite di recente dall’USAEC (ordinativi da effettuarsi 8

anni prima della consegna; durata decennale dei contratti di fornitura; aumento dei prezzi del

servizio di arricchimento da 32 a 36-38,5 dollari per unità di lavoro di separazione, con successivi

aumenti automatici dell’1 per cento ogni 6 mesi a partire dal 1° gennaio 1974, ecc.); per altro

verso dalla circostanza per cui, secondo ogni previsione, a partire dal 1980 la maggior parte della

produzione americana di uranio arricchito [sarebbe stata] assorbita dal mercato interno”592.

In ragione di questa circostanza l’AGIP Nucleare stava per concludere un contratto per

l’approvvigionamento di uranio arricchito con la società sovietica Techsnabexport, nel quadro di

un più ampio accordo tra l’Italia e l’Unione Sovietica sulle forniture nucleari593. Questa

operazione, pur offrendo il fianco alle critiche sia della Comunità europea che di Washington,

avrebbe permesso di spezzare il monopolio americano assicurando all’Italia una nuova fonte di

approvvigionamento a condizioni più vantaggiose594. Era ovvio, comunque, che un accordo con

l’URSS poteva permettere di ottenere solo benefici immediati e temporanei, in attesa che

l’Europa si dotasse di un’autonoma capacità di arricchimento in grado di superare qualsiasi

monopolio o duopolio esterno e di garantire al continente una reale indipendenza energetica nel

settore nucleare595.

I produttori di energia elettrica avevano inoltre pensato nel corso del '73 di creare un pool

fra le imprese del settore per studiare i problemi relativi all’arricchimento dell’uranio596. In

Europa, invece, i produttori di energia elettrica del Belgio, della Francia, della Repubblica

Federale Tedesca, dell’Italia, della Spagna e della Svizzera, nell’intento di trovare una soluzione

comune ai problemi relativi all’approvvigionamento di uranio arricchito, costituirono un

comitato di studio con il compito di definire, a partire dal '78, i fabbisogni di questo combustibile

per le imprese e gli enti interessati. Il comitato doveva prendere contatti anche con l’URENCO e

l’EURODIF al fine di conoscere le capacità di produzione e le condizioni di fornitura di

combustibile nucleare che avrebbero potuto garantire all’indomani dell’entrata in funzione degli

impianti. Qualche mese dopo la crisi, il comitato aveva dato vita alla OPEN che rappresentava

essenzialmente un’associazione di interessi economici della quale erano soci a pieno titolo

592 Appunto interno del MAE, Roma, 13 dicembre 1973, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 6, MAE, Sottoserie Visite e questioni diverse, Busta 36. 593 Secondo la testimonianza diretta di Accorinti, fu il governo stesso a chiedere all’ENI di adoperarsi per ottenere una diversificazione degli approvvigionamenti uraniferi, specie nei confronti del Canada (TRA dall’ex vicepresidente dell’AGIP Petroli, dott. Giuseppe Accorinti). 594 In realtà già nel mese di ottobre l’EURATOM aveva approvato il progetto della società tedesca RWE per l’acquisto di uranio arricchito proprio dall’URSS a un prezzo che si riteneva inferiore del cinque percento rispetto a quello praticato dall’USAEC. Altre trattative simili erano in corso sempre con l’Unione Sovietica da parte di Belgio e Svezia (cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazione del Direttore generale al Consiglio di amministrazione sull’attività dell’ente nel 1973, Roma, 1974, pp. 262-263, ASENEL). 595 L’accodo con la Techsnabexport venne stipulato nel '74 (cfr. M. Magini, L'Italia e il petrolio tra storia e cronologia, cit., p. 236). 596 Il nome previsto era SWUCO, mentre Washington la sede prescelta.

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diciassette produttori elettrici di Belgio, Francia, Spagna e Svizzera, mentre quelli di Austria,

Italia e Paesi Bassi godevano solo della qualifica di associati597.

Sul fronte della effettiva collaborazione italiana ai progetti europei, era giunto il momento

di definire la posizione ufficiale in merito alla partecipazione e alla realizzazione dell’impianto

per l’arricchimento dell’uranio mediante il procedimento della diffusione gassosa. Il progetto

EURODIF era infatti ormai giunto alla fase esecutiva e il governo italiano, incalzato da Parigi,

venne pressantemente chiamato a prendere una decisione definitiva. Gli obiettivi che Palazzo

Chigi si era posto durante le discussioni sul progetto erano duplici: ottenere che la centrale

sorgesse in territorio italiano (ovvero a Montalto di Castro598) e assicurare all’ENEL una

posizione privilegiata come futuro acquirente dell’energia prodotta dall’impianto. Per quanto

concerneva il primo aspetto, i vantaggi che l’Italia avrebbe ottenuto sul piano industriale,

tecnologico, energetico e occupazionale si sarebbero moltiplicati qualora la località viterbese

fosse stata scelta dagli Stati partecipanti all’EURODIF. L’interesse prevalente della Francia

spingeva però in direzione di una localizzazione dell’impianto a Tricastin, nei pressi di

Pierrelatte, rendendo di fatto le speranze italiane davvero irrisorie599. Circa il secondo punto

sembravano invece permanere margini per una trattativa.

Anche il progetto portato avanti dall’UNIPÈDE fece dei progressi durante il '73, tanto più

che per quanto concerneva la partecipazione dell’ENEL, la rimozione per via legislativa degli

ostacoli posti dalla stessa norma istitutiva dell’ente600 circa la partecipazione a iniziative europee

per la costruzione di impianti nucleari dimostrativi, di potenza elevata, equipaggiati con reattori a

neutroni veloci raffreddati con sodio ne agevolò il coinvolgimento601. Il 28 dicembre si

procedette quindi alla firma della convenzione per la regolazione dei rapporti fra le tre società

partecipanti: EDF, ENEL e RWE602. Secondo il parere espresso in un appunto interno all’ente

597 Per approfondimenti si veda Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1973, Roma, 1974, pp. 48-49, ASENEL. 598 A seguito di un esame congiunto tra CNEN, ENEL e AGIP Nucleare, Montalto di Castro era stato riconosciuto il luogo più adatto a ospitare la costruzione (cfr. Verbale della 10ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 10 maggio 1973, p. 5, ASENEA). 599 “Un’azione diplomatica svolta a Bruxelles, Madrid e Stoccolma per fare convergere le preferenze belghe, spagnole e svedesi su Moltalto non [aveva] avuto esito apprezzabile, benché il sito italiano [fosse] obiettivamente quello in grado di offrire tecnicamente le migliori condizioni” (Appunto interno del MAE, Roma, 13 dicembre 1973, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 6, MAE, Sottoserie Visite e questioni diverse, Busta 36). Tuttavia, la scelta si prese nel febbraio '74 e ricadde all’unanimità sul sito di Tricastin, nella valle del Rodano. Il voto favorevole da parte italiana era stato dato dopo laboriose trattative con i francesi che si conclusero con un accordo secondo il quale, in contropartita al ritiro dell’Italia della candidatura del proprio sito, la Francia si impegnava a ordinare all’industria italiana delle forniture di componenti per l’impianto di diffusione e, fra queste, anche quelle tecnologicamente più avanzate, nonché attrezzature per le centrali d’oltralpe per un valore corrispondente alla costruzione di un impianto (cfr. Verbale della 20 riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 13 febbraio 1974, p. 3, ASENEA; Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazione del Direttore generale al Consiglio di amministrazione sull’attività dell’ente nel 1973, Roma, 1974, pp. 258-259, ASENEL). 600 Cfr. legge n. 856 del 18 dicembre 1973. 601 Cfr. Una impresa europea per lo sviluppo dei reattori nucleari del prossimo futuro, appunto interno all’ENEL, gennaio 1974, ENEL-EDF-RWE, Promemoria 1973, ASENEL. 602 Cfr. ibidem; Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1973, Roma, 1974, pp. 123-124, ibidem.

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elettrico italiano, il progetto rappresentava una preziosa opportunità per lo sviluppo della politica

nucleare europea:

“Da oltre cinque anni l’ENEL auspicava la realizzazione di una impresa del genere e

perseguiva concretamente l’intento di parteciparvi attivamente e in maniera significativa in

considerazione, da un lato, della enorme portata dei problemi che [avrebbero trovato] soluzione

con il successo dei reattori autofertilizzanti e, dall’altro, della impossibilità di affrontare sul piano

nazionale problemi che [comportavano] così grande impegno di uomini e di mezzi e infine della

necessità di una efficace collaborazione delle industrie costruttrici dei paesi della Comunità in un

settore di importanza fondamentale e di sicuro grande sviluppo”603.

Il documento sottolineava inoltre i motivi per cui si attribuiva tanta importanza ai reattori

autofertilizzanti a neutroni veloci: in particolare, essi producevano più combustibile nucleare, o

meglio più plutonio, di quello che consumavano per produrre energia e, pertanto, erano in grado

di utilizzare in maniera pressoché totale il contenuto energetico dell’uranio naturale.

L’affermazione su scala industriale dei reattori autofertilizzanti poteva dunque condurre alla fine

della dipendenza esterna per l’approvvigionamento del combustibile nucleare. Il nuovo sistema

appariva inoltre in grado di offrire una soluzione al problema dell’arricchimento dell’uranio in

quanto il combustibile necessario era costituito da uranio naturale e plutonio, prodotto sia dagli

stessi reattori che, sebbene in quantità più limitate, dalle centrali nucleari già in servizio. Date

queste premesse, era quasi scontato ipotizzare una serie di vantaggi che potevano derivare dal

successo di questa filiera di reattori ai paesi che difettavano di fonti primarie di energia e, in

particolare, all’Italia che ne era praticamente priva. Si trattava però di un progetto tutto da

sperimentare che, secondo le previsioni, poteva essere sviluppato e utilizzato efficacemente solo

verso la fine degli anni Ottanta604.

Contemporaneamente all’appoggio alle strategie nucleari europee605, l’Italia si impegnò

alla ricerca di accordi anche nel settore petrolifero606. Il presidente dell’ENI, Raffaele Girotti,

603 Una impresa europea per lo sviluppo dei reattori nucleari del prossimo futuro, appunto interno all’ENEL, gennaio 1974, ENEL-EDF-RWE, Promemoria 1973, ibidem. 604 Ibidem. 605 Le collaborazioni italiane nel settore nuclearenon riguardarono, come visto, solo i paesi comunitari: si siglarono diversi accordi per l’uso pacifico di questa energia con altri paesi. Ad esempio, con la Polonia (cfr. Verbale della 12ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 23 ottobre 1973, p. 88, ASENEA) e con la Romania (cfr. Verbale della 14ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 24 luglio 1973, p. 15, ibidem). 606 Anche le attività di ricerca mineraria sia in Italia, nell’off-shore adriatico, che all’estero si intensificarono grazie al lavoro svolto dall’AGIP; in particolare giovò l’entrata in vigore della legge n. 443 del 28 luglio '73 che consentì, sulla base di specifiche autorizzazioni ministeriali, l’esercizio di attività minerarie nella piattaforma continentale italiana oltre i duecento metri di profondità [per approfondimenti sulle prospezioni minerarie svolte dalle società del gruppo ENI sia in Italia che all’estero si vedano M. Magini, L'Italia e il petrolio tra storia e cronologia, cit., pp. 214-219; G. Sapelli, F. Carnevali, Uno sviluppo tra politica e strategia. ENI (1953-1985), cit., pp. 70-71].

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riuscì a raggiungere sia un’intesa con Tunisi relativa all’installazione e allo sfruttamento del

gasdotto che avrebbe dovuto collegare l’Algeria all’Italia attraversando il territorio tunisino607,

sia un accordo con l’Iraq per la costruzione di un oleodotto per potenziare la rete già esistente

che convogliava greggio nel Mediterraneo608. Nel frattempo, però, sul piano interno emersero

notevoli difficoltà in merito alla delineazione di un programma nazionale per la riorganizzazione

del settore petrolifero609. Le compagnie private temevano, non a torto, che all’ENI venisse

assegnato un ruolo di eccessivo rilievo e minacciarono di uscire dalla Commissione speciale

(appositamente creata presso il Ministero del Bilancio e della Programmazione economica), della

quale facevano parte i rappresentanti dei dicasteri interessati, le sezioni italiane delle compagnie

multinazionali, i petrolieri privati (o direttamente o tramite l’associazione Unione Petrolifera) e

ovviamente l’ENI, con il compito di predisporre un’azione unitaria nel quadro di un più vasto

piano energetico610. Certamente questa presa di posizione derivava dalle recenti accuse rivolte da

una parte della stampa nei confronti dei maggiori gruppi petroliferi privati operanti in Italia611.

La Commissione, ad ogni modo, doveva ancora svolgere diverse indagini prima della

conclusione dei lavori e ciò determinò un ulteriore ritardo nella definizione di una strategia

governativa finalizzata a alleggerire la dipendenza dell’approvvigionamento petrolifero della

penisola dalle importazioni. Dall’analisi della situazione del mercato si poteva però evincere il

ruolo decisamente marginale che l’ENI si trovava a ricoprire: l’ente di Stato importava solo circa

il venti percento del greggio totale acquistato dall’estero e nelle raffinerie di sua proprietà ne

trasformava approssimativamente solo il dieci percento. Amplificare il ruolo dell’ENI

significava dunque limitare la presenza delle compagnie petrolifere private, mentre queste non

607 Cfr. L’accordo per il gasdotto dall’Algeria all’Italia (articolo non firmato), «Il Messaggero», 11 dicembre 1973. L’intesa rientrava nella cosiddetta “opzione metanifera”, la strategia dell’ENI che prevedeva la diffusione del gas naturale in tutta la penisola grazie soprattutto alla sottoscrizione di contratti di importazione dall’Olanda, dall’Unione Sovietica e, appunto, dall’Algeria [cfr. G. Sapelli, F. Carnevali, Uno sviluppo tra politica e strategia. ENI (1953-1985), cit., p. 70]. L’accordo con Tunisi prevedeva il convoglio in Italia di circa undici miliardi di metri cubi all’anno di gas naturale per venticinque anni a partire dal '78, un quantitativo che era pari al settanta percento dei consumi interni del tempo. L’imponente gasdotto sarebbe stato tra i più lunghi del mondo con i duemila e cinquecento chilometri previsti, di cui centosettantaquattro sottomarini, e avrebbe dovuto collegare i giacimenti del Sahara algerino con La Spezia [per ulteriori approfondimenti si veda Un grande gasdotto dall’Algeria all’Italia (articolo non firmato), «Il Popolo», 20 ottobre 1973]. 608 La realizzazione doveva avvenire congiuntamente per opera dell’ENI e dell’ente petrolifero iracheno (INOC) e prevedeva un oleodotto di 633 km per collegare i campi petroliferi di Rumalia Nord con la già esistente rete di pipeline che convogliavano greggio ai terminali del Mediterraneo orientale attraverso la Siria e il Libano [per approfondimenti si veda Accordo ENI-Irak per un oleodotto (articolo non firmato), «Il Popolo», 21 ottobre 1973]. 609 Per un approfondimento sulla situazione della politica energetica italiana dopo lo shock e sui primi interventi messi in campo dal governo si veda anche A. Clô, Crisi energetica: consumi, risparmi e penetrazione elettrica, in G. Zanetti (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 5, cit., pp. 112-125. 610 In realtà un primo Piano del petrolio venne elaborato già nel settembre '73 nel quadro di un programma nazionale dell’energia. Le principali linee di questo Piano erano le seguenti: cercare garanzie per un approvvigionamento petrolifero in base a un programma pluriennale prestabilito di rifornimenti a prezzi determinati; controllare i prezzi di lavorazione delle raffinerie mediante la definizione delle quote destinate al mercato interno e all’esportazione, favorendo prioritariamente il fabbisogno nazionale; ottimizzare gli impianti di raffinazione, di trasporto e di distribuzione in modo da eliminare sprechi; rafforzare il ruolo dell’ENI con l’aiuto dello sviluppo della ricerca e mediante la conclusione di contratti di lungo periodo con i paesi produttori nel quadro di accordi commerciali e industriali più ampi (cfr. M. Magini, L'Italia e il petrolio tra storia e cronologia, cit., pp. 213-214). Le decisioni dei paesi OPEC all’indomani della guerra del Kippur fecero tuttavia slittare le decisioni per l’emanazione definitiva del suddetto Piano del petrolio. 611 Cfr. In crisi il piano petrolifero per i contrasti nella Commissione (articolo non firmato), «Il Tempo», 19 dicembre 1973.

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volevano minimamente ridurre la posizione economica detenuta sul territorio nazionale. D’altro

canto, in una situazione energetica così drammatica per l’Italia risultava pressoché necessario per

il governo iniziare a operare verso un aumento delle quote di importazioni petrolifere a

vantaggio dell’azienda di proprietà pubblica. Ciò significava attuare una politica energetica

diversa da quella seguita fino a quel momento nei confronti dei paesi produttori, mediante

un’assunzione diretta di responsabilità da parte dello Stato con mezzi finanziari notevoli. Lungo

questo percorso non poteva mancare una programmazione dettagliata che prevedesse una

trasformazione progressiva dell’intero mercato. Secondo le parole del direttore generale

dell’ENI, Giorgio Mazzanti, l’ente petrolifero di Stato non poteva infatti mettere in pratica certe

decisioni che erano di competenza esclusiva dell’esecutivo:

“Sarebbe [stata] una sciocchezza pretendere che l’ENI [possedesse] una bacchetta magica e

[potesse] di colpo sostituirsi agli altri. Non [era] questo l’obiettivo. Questo consiste[va] in una

crescita graduale, condividendo pacificatamene con gli altri, e intanto affrancando il paese da

eventuali pedaggi che [potevano] diventare sempre più pesanti”612.

In vista della realizzazione di un valido progetto per la riorganizzazione del settore

petrolifero bisognava inoltre analizzare nel dettaglio anche i settori della raffinazione e della

distribuzione. Secondo quanto riportato in un documento consegnato alla Commissione speciale

del Ministero del Bilancio e della Programmazione economica:

“L’industria italiana si trova[va] in una situazione in cui l’aumento di alcuni costi, come per

esempio quelli industriali e fiscali del greggio, [era] difficilmente comprimibile, mentre

[esistevano] altri costi di gestione per i quali [era] possibile ottenere una riduzione attraverso un

serio sforzo di razionalizzazione. […] [Bisognava] spingere le imprese petrolifere a ricercare nel

loro interno le possibilità esistenti per una riduzione dei costi, in primo luogo nel settore della

distribuzione stradale: in Italia si [avevano] 40.000 impianti con una vendita media annua di 250

tonnellate di prodotti e una produttività estremamente bassa, che si traduce[va] in alti costi di

distribuzione. Lo spazio per una incisiva azione di razionalizzazione esiste[va] anche nel settore

della raffinazione, sia dal punto di vista economico che da quello ecologico e territoriale”613.

Oltretutto, i tempi lunghi della Commissione consentivano di approfondire con la dovuta

attenzione tutte le questioni relative al mercato petrolifero. I paesi produttori, nel frattempo,

612 G. Bianchi, E l’Italia? Spera nel suo “piano”, «Il Gazzettino», 28 dicembre 1973. 613 Ibidem.

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avevano deciso, da un lato, di ridurre le restrizioni previste sui rifornimenti con un taglio sulla

produzione inferiore del cinque percento rispetto a quanto precedentemente stabilito e, dall’altro

lato, di aumentare il prezzo del greggio portandolo fino a 11,65 dollari al barile a partire dal 1°

gennaio '74. Se le sanzioni sul boicottaggio erano dirette solo nei confronti di quei paesi

considerati nemici dai governi arabi, le decisioni sui prezzi e sul rallentamento delle estrazioni

petrolifere avevano un effetto erga omnes. Come ovvio, in virtù dei nuovi aumenti annunciati si

prospettava un ulteriore peggioramento della situazione italiana che richiedeva misure sempre

più urgenti. In questo contesto venne annunciato il 28 dicembre un accordo fra l’ENI e la

SHELL per la cessione delle attività petrolifere possedute da quest’ultima in Italia all’AGIP

Petroli, la quale veniva così a rafforzare notevolmente la propria posizione sul mercato nazionale

nel momento in cui era in preparazione il piano per la riorganizzazione del settore petrolifero (o

semplicemente piano petrolifero) che avrebbe dovuto assegnare maggiori responsabilità all’ente

di Stato. Le trattative tra le due parti erano iniziate già agli inizi di dicembre614 e probabilmente

le nuove decisioni prese dai paesi dell’OPEC, assieme all’estrema urgenza da parte del governo

italiano di trovare delle soluzioni rapide alle difficoltà del mercato petrolifero interno, dettarono

un’accelerazione dei tempi dell’intesa615. Secondo quanto riportato nel comunicato ufficiale

diramato dalle due società:

“Un accordo [era] stato raggiunto tra l’AGIP del Gruppo ENI e il Gruppo SHELL per la

cessione all’azienda di Stato delle attività petrolifere della SHELL Italiana, costituite dalle

raffinerie di Rho, Taranto e La Spezia, dalla rete stradale di distribuzione (4 mila 500 punti di

vendita), depositi, ecc., nonché dalle partecipazioni nella COVENGAS ed in altre società minori.

L’accordo prevede[va] consistenti forniture pluriennali di greggio all’AGIP. Non [rientravano]

nella cessione il settore dei prodotti chimici, le partecipazioni della SHELL nella MONTESHELL

e nella SUB SEA OIL Services, le attività di esplorazione e produzione di idrocarburi nella

piattaforma continentale italiana, ed il centro studi agricoli di Borgo a Mozzano. La SHELL

[sarebbe rimasta] anche presente in Italia nei settori dei bunkeraggi e dell’aviazione

internazionale”616.

614 Cfr. Letter from the Assistant Private Secretary to Secretary of State (Mr. Grattan) to Private Secretary to the Prime Minister (Lord Bridges), Londra, 3 dicembre 1973, TNA, FCO, 33/2205. 615 Risulta però necessario precisare che la decisione della SHELL di vendere alcune attività possedute in Italia rientrava nel quadro della volontà delle principali aziende estere del settore di ridurre la loro partecipazione nella penisola dopo lo scoppio dello shock petrolifero: “Alcuni importanti fornitori […] [italiani] (tra cui SHELL, BP e TOTAL) abbandonarono il mercato italiano e le majors americani rimaste (ESSO e MOBIL) ridussero la loro partecipazione […] essenzialmente a quelle centrali logisticamente meglio ubicate rispetto alle loro raffinerie” (TRA dall’ex vicepresidente dell’AGIP Petroli, dott. Giuseppe Accorinti). 616 Ufficiale: passano all’AGIP le attività SHELL Italiana (articolo non firmato), «Il Sole 24 Ore», 29 dicembre 1973.

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Con questa operazione l’ENI centrava tre obiettivi: accresceva in modo consistente la

propria capacità di raffinazione grazie ai tre impianti acquistati; raggiungeva il trenta percento

della rete stradale di distribuzione con undicimila e cinquecento punti vendita dislocati in tutto il

territorio nazionale (contro i settemila precedentemente posseduti); si assicurava consistenti

forniture pluriennali di greggio da parte della SHELL. L’accordo rappresentava dunque il primo

importante passo verso la realizzazione di una nuova politica energetica in attesa che venisse

varato il piano petrolifero nazionale617.

Sul fronte delle iniziative che il governo avrebbe dovuto intraprendere per ottenere nuovi

e più sicuri approvvigionamenti petroliferi, molto interessante risulta un appunto del MAE per il

ministro Moro. Nel documento si sottolineava la necessità di predisporre una nuova politica

globale che venisse incontro alle esigenze future e superasse, in presenza dei profondi mutamenti

della situazione politica e economica di alcuni Stati, gli schemi tradizionali seguiti fino a quel

momento. In base a questa impostazione, occorreva lasciarsi alle spalle gli sforzi dei paesi

produttori volti a incrementare il ricavato delle vendite e anche la politica di approvvigionamento

delle nazioni consumatrici, ispirata essenzialmente a criteri mercantilistici o settoriali dato il

ruolo di primo piano attribuito alle compagnie trasnazionali. Bisognava invece stabilire relazioni

dirette con le nazioni esportatrici di greggio, creando un proficuo rapporto di scambio che

avrebbe potuto prevedere la fornitura di petrolio in cambio di attrezzature e conoscenze tecniche

in grado di garantire lo sviluppo economico dei produttori:

“Ora, un adeguamento ai mutamenti intervenuti non [poteva] avvenire se non si [creava] un

tipo di rapporto nel quale il petrolio [costituisse] soltanto un elemento di una vasta cooperazione

economica tra i Paesi produttori e i Paesi consumatori. A tal fine, [avremmo dovuto] cercare di

stabilire, nelle relazioni con i Paesi nostri principali fornitori (o almeno, in una prima fase, con

alcuni di essi) un collegamento organico tra ciò che [poteva] essere reciprocamente fornito: da

parte loro, gli approvvigionamenti di energia a noi indispensabili; da parte nostra, le attrezzature

ed il know-how necessari alla loro crescita economica. In altre parole, [occorreva] offrire da parte

nostra a tali Paesi gli strumenti necessari a compiere il più naturale primo passo sulla via dello

sviluppo. Tali strumenti si [concretizzavano] in primo luogo nelle conoscenze tecnologiche,

nell’addestramento di quadri tecnici e direttivi, nell’inserimento nelle successive fasi gestionali

delle attività trasformatrici, distributive ed industriali derivate (petrolchimica, produzione di alto

consumo di energia, trasporti)”618.

617 Il piano petrolifero nazionale venne presentato, così come previsto, alla fine di gennaio '74 ma approvato solo il 29 marzo successivo [cfr. Approvato il piano petrolifero (articolo non firmato), «Avanti», 30 marzo 1974]. 618 Appunto interno del MAE, Roma, 31 dicembre 1973, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 6, MAE, Sottoserie Visite e questioni diverse, Busta 30.

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In vista della realizzazione di questo nuovo indirizzo bisognava fin da subito attuare una

serie di misure:

“[…] incoraggiare la costituzione e l’azione di consorzi tra aziende italiane pubbliche e

private, che [avrebbero potuto] comprendere le massime nostre imprese industriali, […] nella

certezza, altresì, che tali consorzi [avrebbero finito] col mettere in moto un meccanismo che

[avrebbe coinvolto] anche le piccole e medie imprese; promuovere la costituzione di società miste

per la progettazione, realizzazione e gestione di impianti ed altre opere cui [avrebbero dovuto]

partecipare le aziende italiane e quelle dei Paesi detentori di petrolio e che [avrebbero potuto]

operare in vari campi, non soltanto nei suddetti Paesi ma anche nel nostro stesso mercato o su

quelli di Paesi terzi; articolare, per quanto possibile, la nostra politica di assicurazione dei crediti

all’esportazione in modo da non disperdere più indiscriminatamente le nostre limitate risorse su

tutte le aree geografiche, ma di concentrarle sulle sole regioni per noi politicamente ed

economicamente rilevanti; […] orientate corrispondentemente anche la nostra attività di

assistenza, puntando in un primo tempo soprattutto sull’addestramento di personale locale addetto

all’industria petrolifera ed a quelle connesse e derivate”619.

Ciò che si suggeriva era in sostanza una sorta di politica del doppio binario in cui,

parallelamente alla ricerca di accordi bilaterali, si doveva procedere all’elaborazione di una

politica energetica comunitaria volta a assicurare la continuità dei rifornimenti a prezzi

accettabili. In questo senso, la dichiarazione dei Nove del 6 novembre avrebbe dovuto costituire

la necessaria premessa per un rilancio su nuove basi dei rapporti di cooperazione economica e

politica fra la Comunità e i paesi arabi in un clima di reciproca fiducia.

Sull’irrinunciabilità dell’avvio di un dialogo con i paesi produttori insisteva anche la

relazione presentata dal presidente dell’ENI nel gennaio '74 alla Commissione Industria della

Camera. Secondo Girotti i principali problemi relativi all’approvvigionamento petrolifero erano

di natura eminentemente politica, così come l’evoluzione della situazione continuava a

confermare, e ciò determinava l’impossibilità di venirne a capo mediante decisioni o iniziative

esclusivamente imprenditoriali. Perfino negli Stati Uniti, dove l’intervento del potere statale in

campo economico si manifestava in misura ridotta, la regolamentazione del settore energetico

rispondeva a logiche prevalentemente politiche:

619 Ibidem.

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“Il concetto di liberalismo economico non si [era] mai applicato nel settore dell’energia, nel

senso che il mercato energetico, interno ed internazionale, non si [era] mai sviluppato in regime di

libera concorrenza, ma [era] sempre stato regolato, sul piano interno, da interventi più o meno

estesi del potere pubblico, e condizionato sul piano internazionale, da fattori di ordine politico.

Nel più liberista dei paesi occidentali, negli Stati Uniti, il problema energetico [era] come il

problema politico prioritario rispetto a tutti gli altri, dal quale [erano] condizionati in parte anche i

problemi della sicurezza – politica e militare – e della perpetuazione del benessere economico e

della struttura economica e sociale del paese nelle sue forme attuali. Ecco perché, negli Stati

Uniti, mentre sul piano interno il mercato energetico [veniva] regolato da provvedimenti

governativi e l’industria energetica incentivata e sostenuta in vari modi con strumenti e fondi

pubblici, sul piano internazionale le imprese americane [avevano] sempre usufruito di un

sostegno politico-diplomatico più o meno illimitato da parte del governo federale e di

incentivazioni o agevolazioni di carattere fiscale. Tutto questo, per conseguire un obiettivo

ritenuto irrinunciabile: quello cioè, dell’approvvigionamento di fonti di energia in una situazione

di sicurezza, ed a condizioni economiche ragionevoli e compatibili con gli interessi del paese.

[…] Sul piano interno dei maggiori paesi industrializzati, laddove cioè i consumi di energia

[avevano] raggiunto livelli molto elevati, la rilevanza politica dell’approvvigionamento

energetico si [era] infatti accresciuta nel corso degli ultimi anni. La dimensione acquisita dagli

effetti che le attività di produzione, trasporto, trasformazione e distribuzione [producevano]

sull’ambiente [aveva] reso tutti consapevoli del fatto che a quegli effetti [era] necessario porre in

qualche modo rimedio, senza però, compromettere l’obiettivo di un equilibrato sviluppo

economico e sociale, per il conseguimento del quale – nelle attuali condizioni dello sviluppo

scientifico e tecnologico – non si [poteva] fare a meno dell’energia. [Era], però, soprattutto sul

piano internazionale che l’evoluzione degli ultimi anni [aveva] messo in luce quanta importanza

[avesse] assunto l’aspetto politico nei rapporti che [intercorrevano], nel caso specifico

dell’industria energetica, tra paesi detentori delle risorse petrolifere ed i paesi importatori”620.

In sostanza, la relazione di Girotti chiamava in causa il governo sollecitandolo a un

intervento diretto che doveva necessariamente passare attraverso l’avvio di un rapporto diretto e

costruttivo con i paesi produttori. Questa esigenza espressa dal presidente dell’Eni era fortemente

avvertita da gran parte del mondo imprenditoriale. Si riconosceva, infatti, che nella situazione

del momento l’aspetto politico era divenuto dominante e condizionava sempre più i rapporti fra

paesi esportatori e paesi importatori. Secondo alcune previsioni questa tendenza si sarebbe

affermata con maggiore forza con il passare del tempo e avrebbe caratterizzato anche i mercati

delle altre fonti energetiche. Ciò si sarebbe verificato essenzialmente perché queste risorse erano

620 Bozza Relazione Ing. Girotti alla Commissione Industria della Camera (vista e approvata dal presidente dell’ENI), Roma, gennaio 1974, ASE, coll. AS. I. 2, udc. 17.

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destinate a esaurirsi e avevano un’importanza strategica notevole; i paesi detentori cercavano

pertanto di ricavarne il maggiore profitto possibile prima del loro esaurimento e erano tentati di

utilizzarle anche per finalità politiche621. In questo scenario, il governo veniva pertanto chiamato

a avviare tutte quelle forme di interventismo che in altri settori e in altri momenti storici non si

sarebbero mai richieste e, anzi, sarebbero stare criticate duramente. D’altra parte, l’ipotesi di

stipulare accordi bilaterali con i produttori introduceva la possibilità di inserire nelle trattative

investimenti privati in altri settori e, quindi, ciò avrebbe permesso per le imprese italiane, in un

momento di grossa difficoltà economica, l’apertura di nuovi mercati che fino a quel momento

non erano accessibili e risultavano poco convenienti622.

5. L’Italia, la cooperazione europea e i rapporti con gli Stati Uniti

Se a livello nazionale la questione energetica aveva sollevato un vivace dibattito che

coinvolgeva ampi settori della società, sul piano internazionale essa generò un doppio confronto

che, oltre a mettere apparentemente in discussione i rapporti di forza fra il nord e il sud del

mondo, minava la solidarietà atlantica. Dopo la dichiarazione del 6 novembre la Comunità

europea sembrava avere inaugurato una svolta filo-araba fortemente incoraggiata dalla Francia

che continuava però a temere cedimenti nei confronti di Washington. Come osservava il

rappresentante permanente francese alle Nazioni Unite, Louis de Guiringaud, il fronte dei Nove

non offriva alcuna garanzia di tenuta di fronte a nuovi eventuali sviluppi della situazione

mediorientale:

“L’action concertée des de la Communauté [rencontrait] toutefois des limites, dues en

particulier au fait que nos partenaires [n’étaient] pas vraiment prépares à la conception d’une

Europe dégagée des hégémonies extérieures. […] La présence politique de l’Europe n’[était] pas

ce qu’elle devrait être et je serais tenté de dire, reprenant une remarque de votre excellence

[Michel Jobert] en tous point confirmée par ce que j’entende dire ici, que l’Europe [existait] plus

621 Sul rapporto tra la scarsità del petrolio e il suo prezzo si vedano le diverse ipotesi analizzate in A. Roncaglia, L'economia del petrolio, cit., pp. 30-60. Sulla teoria marginalista delle risorse naturali esauribili si vedano, ad esempio, H. Hotelling, The Economics of Exhaustible Resources, in «Journal of Political Economy», vol. XXXIX, 1931, pp. 137-175 e W. D. Nordhaus, The efficient use of energy resources, New Haven, 1979; sul modello ricardiano della rendita differenziale cfr. S. Parrinello, M. Resta, La misura del progresso tecnico e l’utilizzo ottimale delle risorse, Roma, 1967; sulla concorrenzialità del settore petrolifero si veda invece M. A. Adelman, The world petroleum market, cit.; per un’interpretazione diametralmente opposta a quest’ultima cfr. P. H. Frankel, Essentials of petroleum: a key to oil economics, New York, 1969 e E. T. Penrose, The Large International Firm in Developing Countries. The International Petroleum Industry, cit.; per un’analisi marxista si veda J. M. Chevalier, La nuova strategia del petrolio, Milano, 1975; per uno studio basato sul punto di vista dei paesi OPEC infine cfr. M. Abdel-Fadil, Papers on the Economics of Oil: a producer’s view, cit. e F. J.Al-Chalabi, OPEC and the international oil industry: a changing structure, cit. 622 Per ulteriori approfondimenti si veda La crisi petrolifera e il ruolo dell’Eni (articolo redazionale), «La Voce Repubblicana», 7 dicembre 1973.

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dans la conscience des 124 autre états qu’en elle-même. Je constaterai également que, si l’épreuve

provoquée par la crise du Proche-Orient a fourni, après le 6 novembre, l’occasion d’adopter des

point de vue communs, d’autres épreuves pourraient avoir des conséquences différentes et rendre

manifeste la fragilité de la concertation européenne”623.

Ma tanto bastava per allarmare l’amministrazione statunitense preoccupata di assistere a

una deriva filo-araba degli alleati europei. Prima dell’inizio della conferenza dei ministri degli

Esteri di Bruxelles del 10 dicembre, Kissinger invitò Moro e i suoi collaboratori presso la suite

dove alloggiava al fine di discutere esclusivamente dei rapporti fra CEE e Stati Uniti. Il

segretario di Stato, dopo aver ringraziato il governo italiano per il ruolo svolto affinché il dialogo

fra le due parti continuasse nonostante i dissidi, espresse disappunto nel constatare che talvolta

l’opposizione agli Stati Uniti costituiva l’unico collante tra i Nove:

“Of course, the European would sometimes be taking positions opposed to the United States,

but it was difficult for us to accept this opposition in order to justify European unity”624.

In ogni caso il problema principale consisteva nella totale esclusione di Washington dal

processo decisionale comunitario, al punto che Kissinger non si risparmiò un polemico accenno

alla maggiore propensione di Mosca alla consultazione reciproca:

“We do not necessarily [wanted] to be present during European consultations, but we would

want an opportunity to express our views. Even the Soviet Union [told] us what it is considering,

The Europeans [were] the only countries who [did] not do that”625.

La risposta di Moro fu molto formale e improntata alla ricerca di un compromesso; si

sottolineava infatti come per alcuni partner europei (il riferimento implicito era ovviamente alla

Francia) la presenza americana in discussioni nel campo dell’energia potesse essere considerata

una sorta di limitazione dell’autonomia stessa della Comunità, mentre in Italia si reputava il

dialogo con gli Stati Uniti come uno strumento utile alla causa:

“Perhaps within the Nine there were some who considered that an institutionalized forum for

consultations could impair European autonomy. For the Italians’ part […] consultations could be

623 Télégramme du représentant permanent de la France aux Nations Unies (Louis de Guiringaud) au Ministère des Affaires Étrangères, New York, 7 dicembre 1973, CHAN, Archives présidentielles, Fondo Georges Pompidou, 5 AG 2, c. 1035. 624 Memorandum of Conversation between Secretary of State (Kissinger) and Italian Foreign Minister (Aldo Moro), Secretary’s Suite, Bruxelles Hilton Hotel, 10 dicembre 1973, NARA, NPMP, Presidential HAK MemCons. 625 Ibidem.

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a useful and important element in our relationship. […] future misunderstandings could be

avoided by some form of increased consultations on a pragmatic basis”626.

Se da un lato il leader democristiano accettava l’idea di incrementare le occasioni di

consultazione, dall’altro ne respingeva però l’istituzionalizzazione allineandosi a quei governi

che l’avrebbero interpretata come un indebolimento dell’autonomia dei Nove. D’altronde, Moro

ebbe gioco facile nel ribattere che durante gli ultimi due anni i partner europei erano stati a loro

volta esclusi dai principali negoziati internazionali, come ad esempio nel caso dei SALT627. La

frecciata dell’esponente doroteo era estremamente indicativa degli strascichi provocati da quel

processo di distensione che aveva sollevato spesso la diffidenza dei governi europei, timorosi di

una gestione rigidamente bilaterale degli equilibri bipolari. A questo clima non era sfuggito

neppure Moro il quale aveva sempre mostrato una circospetta cautela nei riguardi dei risultati

prodotti dal dialogo fra la Casa Bianca e il Cremlino628. Ciononostante, a conclusione del

colloquio Moro ricordò come i rapporti fra Italia e Stati Uniti fossero rimasti eccellenti anche in

occasione della crisi petrolifera quasi a rimarcare quel ruolo di cerniera che Roma avrebbe

potuto svolgere per rasserenare l’atmosfera delle relazioni transatlantiche. Su questo piano il

responsabile della Farnesina incassò l’appoggio di Kissinger intenzionato a ricucire i rapporti

con gli alleati attraverso il lancio di una proposta di collaborazione che coinvolgeva le nazioni

europee, il Nord America e il Giappone allo scopo di stabilire “an energy action group of senior

and prestigious individuals with a mandate to develop within 3 months an initial action

programme for collaboration in all areas of the energy problem”629.

L’ action group avrebbe dovuto assicurare gli approvvigionamenti di energia a costi

contenuti definendo i principi generali della cooperazione e avviando iniziative in specifiche

aree:

626 Ibidem. 627 Il trattato per la limitazione degli armamenti strategici venne siglato tra Unione Sovietica e Stati Uniti il 26 maggio '72 dopo un lungo negoziato durato circa tre anni. Nel giugno '79 si siglò invece l’accordo per il SALT II, anche in questo caso dopo una lunghissima trattativa. Negli anni Novanta si raggiunsero infine gli accordi START I e II tesi a limitare o a diminuire gli arsenali delle armi cosiddette di distruzione di massa, come le armi nucleari, partendo dal presupposto che il numero elevato del possedimento di questi armamenti poneva un serio pericolo per la distruzione completa del pianeta (per approfondimenti si vedano, tra gli altri, R. L. Garthoff, Detente and confrontation: American-Soviet relations from Nixon to Reagan, Washington, 1985; L. Nuti, La sfida nucleare, cit., pp. 287-345). 628 Del resto questa impostazione politica di Moro nei confronti del processo di distensione era stata una costante del suo pensiero che aveva già avuto modo di rendere pubblica in un discorso tenuto in occasione della visita del primo ministro inglese in Italia nel 167 (cfr. Discorso tenuto a Roma in occasione della visita del primo ministro di Gran Bretagna Wilson, Roma, gennaio 1967, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 1, Scritti e discorsi 1953-1978, Sottoserie annuali, Busta 16). 629 Telegram n. 1534 from Sir Alec Douglas-Home, Secretary of State for Foreign and Commonwealth Affairs, to United Kingdom Representative in Brussels, Londra, 13 dicembre 1973, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, cit., doc. 457.

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“(a) to conserve energy through more rational utilisation of existing supplies; (b) to

encourage the discovery and development of new sources of energy; (c) to give producers an

incentive to increase supply; (d) to coordinate an international programme of research to develop

new technologies that use energy more efficiently and provide alternatives to petroleum”630.

Secondo il segretario di Stato for Foreign and Commonwealth Affairs, Sir Alec Douglas-

Home, la proposta di Kissinger rappresentava un’opportunità per i Nove chiamati a dare una

risposta efficace alla crisi energetica e a scongiurare il rischio di un allentamento dei legami con

gli Stati Uniti:

“If in Copenhagen Europe was to insist on having a common energy policy of its own before

opening discussion with the Americans, the Japanese and the producers, I fear the Americans

might conclude that the Community could not function as an effective partner in the crisis. The

consequences for our relations with the United States would be grave”631.

Contemporaneamente a questi sviluppi, durante il meeting di Strasburgo del 12 dicembre

la Commissione europea approvò in via definitiva una lettera del presidente, François-Xavier

Ortoli, che esortava i governi a definire una posizione univoca sui problemi petroliferi in vista

del vertice di Copenaghen. La crisi, sebbene ancora agli inizi, stava infatti creando notevoli

difficoltà economiche e la stessa solidarietà fra i partner europei, alla base dei trattati comunitari,

poteva essere messa a repentaglio; il raggiungimento di una politica energetica condivisa

diveniva dunque il passaggio fondamentale per completare il processo di unificazione europea,

passando per l’unione economica e monetaria:

“The circumstances under which it was decided to hold a summit conference on 14/15

December [made] this very much time for analysis and decision in the field of energy policy. For

this reason I should like in behalf of the Commission to submit the following points for your

consideration. Even now the oil supply crisis [was] affecting economic activity and employment

in every one of the Community member States, though in unequal measure. […] The de facto

solidarity created by the European treaties could be at risk, for there might be the temptation to

seek ways outside of and without reference to the Community for dealing with the problems

bedevilling economic affairs in our several countries. It [had] always been the Commission’s

630 Ibidem. 631 Meeting minute between Sir Alec Douglas-Home, Secretary of State for Foreign and Commonwealth Affairs, and Edward Heath, Prime Minister, Londra, 13 dicembre 1973, TNA, FCO, ibidem, doc. 461. Allo stesso modo Sir. Alec Douglas-Home esortava Heath a avviare una stretta collaborazione con Willy Brandt al fine di ottenere la sua approvazione alla proposta di Kissinger qualora qualche governo si fosse opposto; il riferimento era ovviamente diretto alla possibilità che la Francia esprimesse il proprio rifiuto (ibidem).

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conviction that the establishment of economic and monetary union, that essential stage on the way

to European union, must necessarily involve the establishment of a community energy policy.

[…] In the short term the object [was] primarily to keep activity and employment in the

Community as high as possible, which [would] necessitate arrangements for the equitable

apportionment among the member States of the burdens caused by shortage. To this end the

commission [was] proposing the pooling of the instruments of oil supply intelligence and

management in a steering committee on energy supply. By the operation of the committee the

Community would be able henceforth to speak with one voice on oil. […] The operation

proposed [were] as follows: (1) The Community, acting as a community, would take the decision

to offer those producer countries which desired it comprehensive cooperation facilitating their

rapid economic development. To this end the member States would agree to work up their

relations with those countries in a shared conception of the aim to be achieved, and to devote the

necessary means thereto at community level. (2) As to the consumer countries which have the

same problems to cope with and need to see that they do not try to cope by mutually inconsistent

means, the Community, having given practical effect to the solidarity among its own members,

would engage in active cooperation with them both in normal times and in emergency. (3) This

would call for a Community supply policy based on organisation of the Community market with

respect to prices, investment, rules of competition and the common commercial policy, and on

concertation with oil industry. (4) In the longer term, keeping the Community adequately supplied

with energy, would necessitate a joint energy efficiency drive and increased emphasis on energy

prospecting and development. (5) In addition, to enable nuclear energy to make its hoped-for

contribution to security of supply, the Community would need to take the decision without delay

to equip itself to produce substantial quantities of enriched uranium, by the concerted

development of the two processes currently being worked on within its borders”632.

Nella proposta Ortoli erano anche elencate le misure che la Comunità europea avrebbe

dovuto applicare in virtù di una valida politica energetica comunitaria. Ciononostante, non

necessariamente un’azione così delineata da parte dei Nove doveva essere considerata in

contrasto con l’iniziativa di Kissinger. La riunione di Copenaghen divenne pertanto il banco di

prova per valutare gli orientamenti prevalenti nella Comunità europea. Tuttavia, nella

dichiarazione congiunta stilata al termine del summit danese si faceva direttamente riferimento al

testo del 6 novembre. In primo luogo, il documento ribadiva la volontà dei Nove di realizzare

una politica estera comune promuovendo un’identità continentale attraverso l’accelerazione dei

lavori per il progetto di Unione europea. Quanto alle relazioni con gli Stati Uniti si affermava

l’intenzione di mantenere un dialogo positivo e di sviluppare una cooperazione amichevole. 632 Telegram n. 6266 from Brussels to the Foreign and Commonwealth Office, Bruxelles, 12 dicembre 1973, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, cit., doc. 452.

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Riconoscendo inoltre i rischi derivanti dalla crisi energetica in atto, i Nove convenivano sulla

necessità di adottare misure immediate per fare fronte ai bisogni energetici dell’intera Comunità.

In proposito il Consiglio avrebbe adottato un programma comunitario relativo alle risorse

energetiche sostitutive nel quadro di una diversificazione dei rifornimenti e di un’accelerazione

del reperimento di nuove fonti di energia. Si confermava infine l’importanza dell’apertura di

negoziati con i produttori sulla base del reciproco interesse a sviluppare l’apparato economico e

industriale locale in cambio di approvvigionamenti stabili di energia a prezzi consoni per la

Comunità633.

L’auspicio del mantenimento di cordiali rapporti con Washington e l’indicazione delle

linee guida su cui impostare le relazioni con i produttori634 non si rivelarono tuttavia sufficienti a

cancellare l’impressione che il vertice “did not reach a genuine consensus on the way in which

the interests of Europe are best defended in the energy field”635. D’altra parte, fra gli stessi Nove

figuravano paesi come la Gran Bretagna che non nascondevano una certa soddisfazione per il

parziale fallimento del vertice:

“Perhaps this [was] just as well, since the kind of measures for which some of our partners

were pressing would have been contrary to our interests. It would not be easy to present this

document as an effective community response to the gravity of the crisis”636.

633 Cfr. Relation sur la Réunion de Copenhague de 14 et 15 décembre 1973 des chefs d'État ou de gouvernement et des ministres des Étrangers des État membres de la Communauté Européenne, Copenaghen, 15 dicembre 1973, MAEF, Archives Diplomatiques, Affaires économiques et financières, Affaires générales, 1967-1975, 265. I capi di Stato e di governo si trovarono infatti d’accordo sulla necessità di adottare immediatamente misure efficaci per la crisi energetica. In particolare, venne deciso che: “-il Consiglio [avrebbe dovuto] adottare immediatamente disposizioni per autorizzare la Commissione a stabilire prima del 15 gennaio 1974 bilanci energetici esaurienti; - la Commissione [avrebbe dovuto] procedere ad un esame di tutte le ripercussioni attuali o prevedibili che la situazione energetica dell’approvvigionamento di energia [avrebbe potuto] avere sulla produzione, l’impiego, i prezzi e le bilance dei pagamenti; - prima del 31 gennaio 1974 la Commissione [avrebbe dovuto] presentare proposte sulle quali il Consiglio [doveva essere] chiamato a statuire al più tardi il 28 febbraio 1974; - il Consiglio [avrebbe adottato] disposizioni che [avrebbero assicurato] che tutti gli Stati membri [prendessero], su basi concertate, misure appropriate per restringere il consumo di energia; - per assicurare la fornitura di energia alla Comunità, il Consiglio [avrebbe adottato] un programma comunitario globale relativo alle fonti di energia sostituibili, promuovendo una diversificazione negli approvvigionamenti; - [sarebbe stato] nominato un Comitato dell’energia composto di alti funzionari, responsabile dell’applicazione delle misure di politica energetica” (Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazione del Direttore generale al Consiglio di amministrazione sull’attività dell’ente nel 1973, Roma, 1974, pp. 268-269, ASENEL). 634 Al vertice danese partecipò anche una delegazione di quattro ministri degli Esteri dei paesi arabi, così come deciso durante la conferenza araba di Algeri del 27-28 novembre; i rappresentanti politici dell’Algeria, del Sudan, della Tunisia e degli Emirati Arabi Uniti rivolsero un appello alla Comunità affinché si impegnasse, nell’immediato, a esercitare pressioni nei confronti di Tel Aviv e di Washington per ottenere il ritiro israeliano immediato e, in futuro, si adoperasse per migliorare le proprie relazioni con il mondo arabo, avviando una collaborazione anche nei settori economico, tecnico e culturale [cfr. L. V. Ferraris (a cura di), Manuale della politica estera italiana, 1947-1993, cit., p. 272; L. Riccardi, Il «problema Israele»: diplomazia italiana e PCI di fronte allo Stato ebraico (1948-1973), cit., p. 457]. Le reazioni in Italia sul vertice di Copenaghen furono alquanto positive anche se si riconobbe che di fatto non si era pervenuti alla soluzione di alcun problema reale [per approfondimenti si vedano, tra gli altri, I problemi energetici esaminati a Bruxelles (articolo non firmato), «Il Giornale d’Italia», 17 dicembre 1973; G. Rossi, Sostanziale intesa dei “Nove” alla Conferenza di Copenaghen, «Il Popolo», 16 dicembre 1973; M. Gilmozzi, La vera prova, ibidem]. 635 Telegram n. 1550 from Sir Alec Douglas-Home, Secretary of State for Foreign and Commonwealth Affairs, to United Kingdom Representative in Brussels, Londra, 17 dicembre 1973, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, cit., doc. 466. 636 Ibidem.

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Senza dubbio i diffusi timori di provocare l’irritazione degli Stati Uniti ostacolarono la

definizione di una linea comunitaria alternativa637, ma anche il tentativo di persuadere i francesi

affinché la proposta di Kissinger per un Energy Action Group venisse ufficialmente accettata dai

Nove non ottenne risultati concreti638. Ciononostante, secondo quanto riportato dall’ambasciatore

britannico a Parigi, Sir Edward Tomkins, i francesi non avevano ancora del tutto abbandonato

l’idea di accogliere la proposta statunitense di cui però contestavano alcuni aspetti:

“On the development of new energy resources, they believe[d] that a high level world wide

group of energy users could make a valuable contribution, but they [saw] some difficulty in

associating the producers in work which [was] designed to bring nearer the day when the

consumers are no longer dependent upon them. On the other hand they believe[d] that a high-

level group would provide a useful forum for a general discussions with the producers on issues

whether it would be appropriate to try to regulate detailed arrangements with the producers at this

level. This they believe[d] would be more appropriate to more limited groupings such as the

Community”639.

La decisione di Parigi venne pertanto rimandata al nuovo anno mentre si rimaneva in

attesa di una reazione ufficiale da parte degli Stati Uniti. Il 9 gennaio '74 Nixon prese l’iniziativa

invitando i ministri degli Esteri dei paesi occidentali a prendere parte a un incontro fra le

principali nazioni consumatrici:

“Le nazioni del modo si trova[vano] di fronte ad una scelta fondamentale che [poteva]

profondamente influenzare la struttura delle relazioni politiche ed economiche per il resto di

637 Ciononostante, nel rispetto delle scadenze fissate alla conferenza di Copenaghen, la Commissione europea agli inizi di gennaio aveva sottoposto al Consiglio sei proposte di politica energetica che investivano due ordini di problemi: la necessità del concerto fra i paesi membri sia per quanto riguardava i provvedimenti da adottare per fronteggiare la crisi che per le restrizioni al consumo di energia. Inoltre, in un secondo momento la Commissione aveva presentato altre due proposte riguardanti rispettivamente la costituzione di riserve di combustibili presso le centrali elettriche e l’adozione di un programma per favorire l’utilizzo dell’energia nucleare (per approfondimenti si veda Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazione del Direttore generale al Consiglio di amministrazione sull’attività dell’ente nel 1973, Roma, 1974, p. 270, ASENEL). La Commissione europea insisteva dunque sulla necessità di una concertazione a livello comunitario allo scopo di aumentare la potenza nucleare e quindi la disponibilità di energia in Europa. Si pensò anche all’apertura effettiva dei mercati dei componenti delle centrali nucleari oltre che all’elaborazione di misure relative alla concessione di crediti all’esportazione a favore dell’industria nucleare dei Nove e alla copertura del rischio derivante dal funzionamento delle centrali nucleari. Sulla questione dell’approvvigionamento di combustibile nucleare si riteneva inoltre necessario adottare misure per rendere sufficiente e regolare il rifornimento di uranio. Nello stesso settore, infine, la Commissione europea, dopo aver terminato le relative indagini, aveva proposto al Consiglio di concedere lo status di “impresa comune” ai sensi del trattato dell’EURATOM alla società Hochtemperatur-Kernkraftwerk (HRG) che aveva per oggetto la costruzione e l’esercizio di una centrale nucleare da trecento megawatt nel Land tedesco Nordhein-Westfalen. Si trattava della prima centrale europea con reattore a alta temperatura raffreddato a gas (HTGCR) che rivestiva una notevole importanza per lo sviluppo dell’industria nucleare della Comunità (cfr. ibidem, pp. 276-277). 638 Sui rapporti franco-americani si veda, tra gli altri, G. H. Soutou, Le président Pompidou et les relations entre les Etats-Unis et l’Europe, in «Journal of European Integration History»,vol. 6, n. 2, 2000, pp. 111-145. 639 Telegram n. 1768 from Sir Edward Tomkins, British Ambassador in France, to the Foreign and Commonwealth Office, Parigi, 21 dicembre 1973, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, cit., doc. 483.

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questo secolo. Oggi la situazione dell’energia minaccia[va] di scatenare forze politiche ed

economiche che [avrebbero potuto] causare grave ed irreparabile danno alla prosperità ed alla

stabilità del mondo. Due strade [erano] aperte dinnanzi a noi. [Potremmo] andare ognuno per la

propria strada, con la prospettiva di una divisione progressiva, di una erosione di vitali rapporti di

interdipendenza, e di crescente conflittualità politica ed economica; oppure [potremmo] lavorare

di concerto sviluppando illuminate forme di unità e cooperazione, per il beneficio di tutta

l’umanità: sia per i paesi produttori che per quelli consumatori. [Era] con queste considerazioni

[…] che chiesi al segretario di Stato Kissinger di proporre […] l’istituzione di un Gruppo di

Azione Energetica, e di sollecitare un programma di azione concertato tra consumatori e

produttori per far fronte ai fabbisogni mondiali di energia in una maniera che potesse soddisfare i

legittimi interessi sia dei consumatori che dei produttori”640.

Secondo i propositi del presidente americano, il vertice641 doveva servire a fare il punto

della situazione in funzione dell’istituzionalizzazione di un gruppo di lavoro formato dai paesi

consumatori allo scopo di formulare un programma di azione comune. Il fine del nuovo

organismo sarebbe stato duplice: da una parte, migliorare la cooperazione internazionale per

fronteggiare l’esplosiva crescita della domanda globale di energia e per accelerare lo sviluppo

coordinato di nuove fonti energetiche; dall’altra, sviluppare una posizione concertata dei paesi

consumatori per avviare una nuova era nei rapporti con i produttori di petrolio. Proprio in virtù di

questo secondo obiettivo Nixon aveva inviato una lettera analoga anche ai capi di governo dei

paesi OPEC illustrando gli intenti della conferenza dei consumatori642. Le reazioni del mondo

occidentale alla proposta americana non tardarono a giungere. Nello stesso giorno dell’invito e

ancor prima di conoscerne il contenuto, la Commissione europea inviò una comunicazione al

Consiglio nella quale esortava i governi dei Nove a avviare una fattiva collaborazione con gli

Stati Uniti nel settore energetico643. In linea generale le risposte ufficiali alla proposta di Nixon

furono positive. Il ministro degli Esteri belga, Renaat Van Elslande, ad esempio, scrisse al

segretario generale della Commissione delle Comunità europee, Emile Noël, definendo di

importanza capitale sia la partecipazione dei Nove alla conferenza che la collaborazione con gli

USA644. Risposte simili, anche se ancora non ufficiali, pervennero fin da subito da tutti i paesi

640 Lettera del Presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, al Presidente del Consiglio, Mariano Rumor, Washington, 9 gennaio 1974, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 6, MAE, Sottoserie Visite e questioni diverse, Busta 36. 641 L’incontro proposto dal presidente americano era previsto si tenesse a Washington a partire dall’11 febbraio. 642 Per il testo della lettera inviata da Nixon ai capi di governo dei paesi OPEC si veda Texte d’une lettre du Président Nixon aux chef d’état et de gouvernement des pays membres de l’Organisation des Pays Exportateurs du Pétrole, Washington, 9 gennaio 1974, CHAN, Archives présidentielles, Fondo Georges Pompidou, 5 AG 2, c. 115. 643 Cfr. Coopération avec les Etats-Unis dans le domaine de l’énergie, Communication de la Commission au Conseil, Commission des Communautés Européennes, Bruxelles, 9 gennaio 1974, HAEU, Fondo Emile Noël, n. 455. 644 Cfr. Lettre de M. Van Elslande, Ministre belge des Affaires Etrangères, a Emile Noël, secrétaire général de la Commission des Communautés européennes, Bruxelles, 10 gennaio 1974, ibidem.

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interessati con la sola eccezione della Francia che decise di prendere tempo. Secondo quanto

riferito all’ambasciatore britannico a Parigi, in seguito a un colloquio con Michel Fresche,

Consigliere tecnico del Segretariato generale del presidente francese, il titolare dell’Eliseo

riteneva assolutamente necessaria una concertazione fra i Nove sulla proposta americana; a suo

avviso l’Energy Action Group avrebbe creato un pericoloso fronte degli Stati consumatori ricchi

in netta contrapposizione all’OPEC, mentre sarebbe stata più opportuna una semplice riunione

ministeriale a cui partecipassero anche i paesi in via di sviluppo:

“The French government would be shocked if any replies were made before proper

concertation in the Community. […] The meeting would look like a front of rich consumers

preparing a confrontation. Technical ministers would be more appropriate than ministers of

Foreign Affaires who would make it look «political» and who in any case would not be

competent to discuss the principal issues – prices and alternative sources. The main developing

consumer countries […] should also be represented”645.

Le perplessità francesi, confermate da Jean-Pierre Brunet, direttore degli Affari

Economici e Finanziari del Quai d’Orsay, vertevano principalmente su due questioni. Dal punto

di vista procedurale, Parigi ammoniva i partner sui rischi di una risposta in ordine sparso che

avrebbe denotato la mancanza di una politica comune. Sotto il profilo politico, i dubbi

riguardavano invece il pericolo di accentuare i contrasti con il fronte dei produttori in uno

scenario di crescenti tensioni che avrebbero danneggiato le relazioni della Francia con i paesi

arabi646. A complicare la situazione giunsero le dichiarazioni rilasciate dal segretario di Stato

americano durante una conferenza stampa tenuta a Washington alla presenza di William Simon,

capo del Federal Energy Office: a una domanda dei giornalisti presenti Kissinger confermò

quanto dichiarato pubblicamente da James Schlesinger, segretario alla Difesa, circa la possibilità

di ricorrere all’uso della forza nei confronti dei paesi arabi qualora la pressione esercitata contro

gli Stati Uniti fosse divenuta eccessiva647. L’affermazione ebbe un’eco molto forte su tutti gli

organi di informazione francesi influendo negativamente sulle scelte del Quai d’Orsay. In un

incontro con l’ambasciatore britannico il ministro degli Esteri francese, Michel Jobert, ribadì

645 Telegram n. 39 from Sir Edward Tomkins, British Ambassador in France, to the Foreign and Commonwealth Office, Parigi, 10 gennaio 1974, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, cit., doc. 499. 646 Cfr. Telegram n. 40 from Sir Edward Tomkins, British Ambassador in France, to the Foreign and Commonwealth Office, Parigi, 11 gennaio 1974, ibidem, doc. 501. 647 Cfr. Télégramme de l'Ambassade de France à Washington au Ministère des Affaires Étrangères, Washington, 11 gennaio 1974, MAEF, Archives Diplomatiques, Affaires économiques et financières, Affaires générales, 1967-1975, 264. In Italia la notizia venne riportata dal quotidiano del partito socialista: Minacce americane ai paesi produttori (articolo non firmato), «Avanti», 8 gennaio 1974.

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infatti tutte le perplessità e le obiezioni già espresse in altre sedi rifiutandosi di dare fin da subito

una risposta definitiva all’invito statunitense in quanto, almeno per il momento, essa sarebbe

stata certamente negativa. Anche se le parole di Jobert lasciavano trasparire un qualche margine

di trattativa il rappresentante diplomatico inglese ricavò l’impressione che difficilmente la

Francia avrebbe cambiato parere648.

Il Quai d’Orsay, dal canto suo, in occasione della riunione del gennaio '74 del Comitato

Politico della CEE, formato dai Direttori Generali degli Affari Politici dei nove Ministeri degli

Esteri, aveva presentato la sua proposta alternativa. Si trattava di dare inizio al cosiddetto dialogo

euro-arabo649 secondo quanto già sollecitato dai ministri degli Esteri algerino, sudanese e

tunisino e dal ministro di Stato degli Emirati Arabi Uniti durante il vertice di Copenaghen e in

esecuzione a quanto concordato alla precedente conferenza araba di Algeri. In base all’opinione

del rappresentante francese i tempi erano maturi per sviluppare un dialogo, centrato

essenzialmente sulla cooperazione economica, che prevedesse tappe graduali a partire da un

sondaggio della presidenza della Commissione presso i paesi interessati, dall’istituzione di

commissioni miste euro-arabe a livello di funzionari per elaborare progetti di cooperazione nei

vari settori e arrivando fino alla realizzazione di una conferenza dei ministri degli Esteri di tutte

le parti in causa650. Prima ancora che la proposta francese fosse oggetto dei necessari

approfondimenti in sede comunitaria, il direttore generale degli Affari Politici del Ministero

degli Esteri decise di illustrare fin da subito a Moro i cardini a cui avrebbe dovuto ispirarsi la

condotta italiana. Ducci avvertì innanzitutto il leader democristiano sulle forti ripercussioni che il

dialogo euro-arabo poteva generare nel quadro della distensione. Ciò doveva indurre a una certa

circospezione dato che la situazione internazionale, già messa duramente alla prova dagli eventi

bellici e dalle decisione dell’OPEC, rischiava un ulteriore deterioramento:

648 Cfr. Telegram n. 44 from Sir Edward Tomkins, British Ambassador in France, to the Foreign and Commonwealth Office, Parigi, 12 gennaio 1974, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, cit., doc. 505. 649 Per uno studio sugli inizi del dialogo euro-arabo si vedano, tra gli altri, D. Allen, The Euro-Arab Dialogue, in «Journal of Common Market Studies», n. 4, 1977, pp. 323-342; S. A. Al-Mani’, S. Al-Shaikhly, The Euro-Arab dialogue: a study in associative diplomacy, London, 1983; B. B. Ghali, Il dialogo euroarabo: difficoltà e soluzioni, in A. Zevi (a cura di), Europa Mediterraneo: quale cooperazione, Bologna, 1975, pp. 33-38; S. A. S. Hallaba, Euro-Arab dialogue, Brattleboro, 1984; H. A. Jawad, Euro-Arab relations: a study in collective diplomacy, Ithaca, 1992. 650 Per un approfondimento sulla tesi della naturale propensione dell’Europa occidentale a dialogare con i paesi della sponda meridionale del Mediterraneo si rimanda a G. Garavini, Il confronto Nord-Sud allo specchio: l’impatto del Terzo mondo sull’Europa occidentale (1968-1975), in A. Varsori (a cura di), Alle origini del presente: l'Europa occidentale nella crisi degli anni Settanta, cit., pp. 67-95.

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“Prima di tutto vi [era] il problema dell’opportunità di questo dialogo […] [che] già [dal]

primo approccio [aveva dimostrato] l’esigenza di [essere] affronta[to] con tutte le debite cautele

e, in particolare, avendo presente le esigenze poste dagli equilibri Est-Ovest”651.

In secondo luogo il direttore generale del MAE mise in rilievo la possibilità di un legame

diretto fra l’iniziativa francese e gli interessi mediterranei dell’Italia in vista dello sviluppo di

una strategia che sovrapponesse i due piani:

“D’altra parte sembra[va] altrettanto evidente che lo sviluppo di un tale dialogo, purché

correttamente impostato, rientra[va] nella logica mediterranea cui si [era] sempre ispirata la nostra

politica europea e che adesso non conveni[va] sottrarvisi”652.

Per Ducci, inoltre, era da considerarsi estremamente positiva l’idea di allargare il dialogo

a tutti gli Stati della Lega araba per evitare sensazioni di isolamento da parte degli esclusi e rischi

di nuove ritorsioni; anche perché in questo modo sarebbe ricaduta sui destinatari la responsabilità

della scelta:

“[Appariva] anche valida la premessa che l’iniziativa europea [dovesse] rivolgersi a tutti i

paesi arabi (cioè i membri della Lega araba), poiché non sarebbe [stato] il caso per i Nove

compiere discriminazioni. Naturalmente non si [poteva] escludere che alcuni paesi arabi

[decidessero] di non raccogliere l’offerta europea”653.

Gli orientamenti di Ducci prevedevano inoltre una cooperazione non limitata alle

questioni economiche ma anche in grado di abbracciare aspetti politici delicati, quale quello

della sicurezza. Il tema era particolarmente avvertito dai paesi mediterranei più a ovest del nord-

Africa ma anche dall’Italia intimorita dalla presenza della flotta sovietica nel Mediterraneo. Per

questo motivo la questione della sicurezza, così come altri temi, andava affrontata coinvolgendo

nel dialogo tutti i governi interessati sia direttamente che indirettamente. Il riferimento implicito

riguardava le due superpotenze che non potevano essere escluse da decisioni così importanti. Più

spinoso appariva il caso di Israele data la composizione dei paesi destinatari dell’iniziativa

francese; era ovviamente impossibile coinvolgere lo Stato ebraico nelle discussioni con gli arabi

651 Appunto del direttore generale degli Affari Politici del MAE, Roberto Ducci, per il ministro Moro, Roma, 13 gennaio 1974, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 6, MAE, Sottoserie Visite e questioni diverse, Busta 31. 652 Ibidem. 653 Ibidem.

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e, secondo Ducci, anche la proposta olandese di un doppio dialogo, uno euro-arabo e l’altro

euro-israeliano, avrebbe compromesso la riuscita del primo:

“Sembra[va] anche inevitabile che la trattativa con gli arabi [potesse investire], almeno in

partenza, un fronte ampio, che [comprendesse] tutto l’arco degli interessi economici che l’Europa

[aveva] in comune con i paesi arabi. […] C’[era] anche da domandarsi se il dialogo con gli arabi

[dovesse] riferirsi esclusivamente alla sia pur vasta tematica della cooperazione economica, o se

[convenisse] allargarlo a problemi più propriamente politici, come quelli inerenti alla connessione

fra sicurezza in Europa e sicurezza nel Mediterraneo, cui particolarmente i paesi magrebini

[erano] sempre stati sensibili. […] In ogni caso, anche con riguardo alla cooperazione economica,

[sembrava essere] opportuno muovere dal principio che, mentre il dialogo dei Nove con i paesi

arabi [era] giustificato ed anzi opportuno data l’esistenza di una evidente complementarietà e di

interessi comuni, non per questo gli arabi [potevano] essere considerati interlocutori esclusivi

dell’Europa sui temi trattati. Basti pensare a quello dell’energia, che evidentemente i Nove

[dovevano] sentirsi pienamente liberi di trattare anche con altri. Inoltre [era] evidente che il

negoziato con gli arabi sulla cooperazione economica non [dovesse] precludere eventuali

analoghe iniziative nei confronti di altri paesi o gruppi di paesi nei confronti dei quali i Nove

[avevano] interessi importanti da coltivare e anche suscettibilità di cui [dovevano] tenere conto.

[…] Tuttavia non [appariva] realistico spingere lo scrupolo di riequilibrare una iniziativa nei

confronti degli arabi fino al punto di volerla aperta anche ad Israele, ovvero di contrapporvene

una di carattere analogo nei confronti dello Stato ebraico. Una impostazione del genere, cui

[sembravano] pensare gli olandesi, [avrebbe pregiudicato] ogni possibilità di successo del

negoziato euro-arabo e non si [sarebbe giustificata], sia in ragione del diverso stadio di sviluppo

che distingue[va] l’economia israeliana da quella del mondo arabo, sia perché [era] in atto da

tempo un rapporto diretto fra la Comunità ed Israele, che non [sarebbe stato] danneggiato, ma

anzi favorito nel suo sviluppo dai progressi che i Nove [avrebbero potuto] registrare nella

cooperazione economica con gli arabi”654.

I suggerimenti di Ducci sembravano nel complesso in linea con gli spazi di manovra

ancora a disposizione dell’Italia all’indomani dello scoppio della crisi energetica, come

dimostrarono gli sforzi della Farnesina di applicare la strategia delineata dal direttore generale

del MAE.

Il 18 gennaio il Gruppo Medio Oriente si riunì a Bonn per discutere la proposta francese.

Sia pure con qualche riserva avanzata da parte olandese e danese, si registrò un generale

654 Ibidem. Per un approfondimento sul rapporto paesi magrebini-sicurezza nel Mediterraneo cfr. I. W. Zartmann, Maghrebi politics and Mediterranean implications, in Luciani G. (a cura di), The Mediterranean region: economic interdependence and the future of society, cit., pp. 149-178.

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consenso sul fatto che l’iniziativa dovesse avere un carattere e un obiettivo politico, sebbene

finalizzata alla cooperazione economica. Senza minimizzare le difficoltà e i rischi che il dialogo

presentava, dalla discussione emerse l’urgenza di migliorare il clima dei rapporti con il mondo

arabo e di restituire ai Nove, se non un’influenza determinante, almeno un minimo margine di

agibilità in un’area strategica655. Così posto il dialogo euro-arabo non sembrava incompatibile

con l’iniziativa statunitense, anche se esisteva una certa interdipendenza tra i due progetti al

punto che la delegazione olandese formulò una riserva generica al piano comunitario nel

tentativo di esercitare una pressione sul Quai d’Orsay per convincerlo a accogliere l’iniziativa di

Nixon. Si convenne inoltre di informare Washington circa i propositi dei Nove provocando però

la prevedibile reazione negativa della Francia.

D’altra parte, la Comunità non poteva appoggiare il progetto senza mettere al corrente gli

Stati Uniti specie dopo che Brandt aveva ufficialmente accettato l’invito di Nixon in qualità di

presidente di turno del Consiglio656. Alla conferenza sull’energia la CEE sarebbe stata

rappresentata dai presidenti in carica del Consiglio e della Commissione ma ogni Stato membro,

secondo quanto stabilito durante la riunione del 15 gennaio, restava libero di rispondere in modo

autonomo all’invito statunitense657. Nello stesso Consiglio dei ministri si era inoltre deciso di

informare i governi dei paesi OPEC circa il fatto che, così come rimarcato nella lettera di

propositi del presidente statunitense, l’accoglimento da parte della Comunità della proposta di

Washington rappresentava “il primo passo per lo sviluppo di nuove relazioni tra produttori e

consumatori per addivenire a vantaggi per tutti”658.

L’Italia, secondo quanto riportato in un appunto del Ministero degli Esteri per Moro, “si

appresta[va] a rispondere favorevolmente all’invito del Presidente Nixon in quanto considera[va]

l’incontro di Washington come una iniziativa suscettibile di favorire un costruttivo dialogo tra

tutti i Paesi interessati ad una sollecita ed equa soluzione del problema petrolifero”659. Il governo

italiano considerava questa riunione come il primo passo verso un dialogo sulle questioni

energetiche da avviare in un quadro internazionale più ampio nell’interesse comune di produttori

e consumatori. Per questo motivo si riteneva di dover dare l’adesione alla proposta di Nixon

rimarcando però le seguenti esigenze:

655 Cfr. Appunto interno del MAE, DGAP, Ufficio IX, Roma, 19 gennaio 1974, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 6, MAE, Sottoserie Visite e questioni diverse, Busta 31. 656 Cfr. Lettera di risposta del Cancelliere Brandt a nome della Comunità al Presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, Bruxelles, 16 gennaio 1974, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 6, MAE, Sottoserie Visite e questioni diverse, Busta 36. 657 Durante il Consiglio dei ministri del 15 gennaio venne anche richiesto agli Stati Uniti di rivolgere l’invito anche agli altri paesi membri della Comunità che non avevano ricevuto la lettera di Nixon; si trattava di Belgio, Danimarca, Lussemburgo e Irlanda. 658 Telegram n. 120 from Sir Alec Douglas-Home, Secretary of State for Foreign and Commonwealth Affairs, to United Kingdom Representative in Washington, Londra, 17 gennaio 1974, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, cit., doc. 509. 659 Appunto interno del MAE, Roma, 18 gennaio 1974, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 6, MAE, Sottoserie Visite e questioni diverse, Busta 36.

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“- la riunione [avrebbe avuto] tanto maggiori possibilità di promuovere un’effettiva

cooperazione internazionale nel settore dell’energia quanta più cura [sarebbe stata] posta

nell’evitare di creare l’impressione che con questa iniziativa si [volesse] dar vita ad un blocco di

Paesi consumatori intenzionato a fronteggiare, su posizione antagoniste, i Paesi produttori: - la

riunione [avrebbe dovuto] costituire un primo passo per avviare, nel foro internazionale che si

[fosse ritenuto] più adatto ed a scadenza il più possibile ravvicinata, un dialogo tra consumatori e

produttori al quale [avrebbero dovuto] partecipare anche i Paesi in via di sviluppo, data la gravità

delle ripercussioni che l’attuale crisi energetica [stava minacciando] di avere sulle loro economie;

- la riunione di Washington non [avrebbe dovuto] interferire con l’iniziativa assunta a

Copenaghen, in occasione del recente Vertice europeo, di un diretto dialogo tra l’Europa ed i

Paesi produttori, specie quelli situati nell’area mediterranea e del vicino Oriente alla quale

l’Europa si [sentiva] legata da tradizionali vincoli storici, culturali, politici ed economici e dalla

quale essa, più di ogni altra zona geografica, dipende[va] in materia di rifornimenti petroliferi”660.

L’Italia aveva particolarmente a cuore la questione degli aiuti ai paesi in via di sviluppo,

fortemente colpiti dalle ripercussioni della crisi e materialmente impossibilitati a dare una

risposta adeguata senza assistenza esterna661. Risultava quindi opportuno, come da più parti

suggerito, inserire anche i PVS nel dialogo fra consumatori e produttori che si sarebbe dovuto

sviluppare all’indomani della riunione di Washington. All’interno del governo era stato proprio

Moro a spingere affinché la CEE svolgesse un ruolo di primo piano nel collegare la cooperazione

con le nazioni arabe alla questione degli aiuti ai paesi in via di sviluppo, anticipando quella che

diventerà una costante nelle relazioni nord-sud662.

660 Ibidem. 661 D’altronde i PVS avevano dimostrato una forte coesione interna grazie alla costituzione, in ambito ONU, nel cosiddetto “Gruppo dei 77” al punto che la loro istanza per una redistribuzione della ricchezza era divenuta una delle maggiori cause di tensione nelle relazioni internazionali. Il Movimento dei non allineati, infatti, presieduto dal '73 dall’Algeria, durante la conferenza di Algeri (settembre dello stesso anno) si era ufficialmente posto come obiettivo finale la lotta al “neocolonialismo economico”, facendosi al contempo promotore della convocazione di una sessione speciale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, prevista per l’aprile successivo, avente per oggetto proprio la questione delle materie prime [sull’argomento si vedano, tra gli altri, J. Bhagwati, The New International Economic Order: the North-South Debate, Cambridge, 1977; G. Garavini, La Comunità europea e il Nuovo ordine economico internazionale (1974-1977), in «Ventunesimo Secolo», n. 9, 2006, pp. 115-150; K. P. Sauvant, The Group of 77: evolution, structure, organization, New York, 1981]. 662 Per un approfondimento sulla politica dell’Italia verso i PVS si vedano, tra gli altri, R. Aliboni, Primo rapporto sull’assistenza ai paesi in via di sviluppo, in «Politica Internazionale», II, 1973, vol. 3, p. 27 e ss.; Id., Il Terzo mondo nel commercio estero dell’Italia, in «Politica Internazionale», IV, 1975, vol. 3, p. 5 e ss.; Id., Paesi in via di sviluppo e ruolo dell’Italia, in «Politica Internazionale», XXXXII, 1978, vol. 5, p. 94 e ss.; E. Calandri, Italy’s Foreign Assistance Policy, 1959-69, in «Contemporary European History», n. 4, 2003, pp. 509-526; Id., L’Italia e l’assistenza allo sviluppo dal neoatlantismo alla Conferenza di Cancun del 1981, in F. Romeo, A. Varsori (a cura di), Nazione, interdipendenza, integrazione. Le relazioni internazionali dell’Italia (1917-1989), cit., pp. 253-270; M. Colitti, I rapporti fra l’Italia e i paesi africani, in «Affari Esteri», VI, 1974, vol. 23, p. 93 e ss.; L. V. Ferraris, La politica italiana di cooperazione allo sviluppo, in L. Tosi (a cura di), L’Italia e le organizzazioni internazionali. Diplomazia multilaterale nel novecento, cit., pp. 327-340; P. Golino, Il pensiero di Moro sull’Europa e il Mediterraneo, in «Relazioni Internazionali», XXXVI, 1972, vol. 25, p. 608 e ss.; A. Moro (scritti e discorsi), L’azione internazionale dell’Italia, in «Relazioni Internazionali», XXXVIII, 1974, vol. 32-33, pp. 822-828 e vol. 29, pp. 825-829; Ministero degli Affari Esteri (a cura del Servizio per la cooperazione tecnica con i Paesi in via di sviluppo), Quaderni della cooperazione con i paesi in via di sviluppo (repertorio dei programmi 1972-1975), Roma, 1976; A. Saba, La politica estera italiana in Medio Oriente, in «Ricerche Storiche», XXV, 1995, vol. 2, pp. 383-400. Inoltre,

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Appena cinque giorni dopo la redazione dell’appunto del MAE per Moro, il presidente

del Consiglio Rumor inviò una lettera a Nixon confermando formalmente l’adesione italiana

all’iniziativa statunitense. L’Italia sarebbe stata rappresentata da Moro ma nella missiva il capo

dell’esecutivo ci tenne a precisare la necessità di inserire nelle discussioni anche il tema dello

sviluppo di nuove fonti energetiche. Secondo Rumor occorreva che i paesi interessati si

adoperassero per cooperare al fine di soddisfare la crescente richiesta mondiale di energia. In

questo modo sarebbe stato possibile avviare un tipo di collaborazione con i paesi arabi che

includesse uno scambio tra petrolio e energia, compresa quella prodotta da fonti alternative non

ancora in opera:

“I temi che la Conferenza [avrebbe dovuto] dibattere [andavano] al di là del petrolio. [Rumor

concordava infatti con Nixon] sulla opportunità che si [affrontasse], attraverso uno sforzo

collettivo e coordinato, il problema dello sviluppo delle nuovi fonti per soddisfare la costante

crescita della domanda globale di energia. [Era] un compito questo che [poteva] essere assolto

costruttivamente soltanto attraverso un impegno multilaterale che pote[va] mobilitare la capacità

ed il contributo di tutti i paesi interessati. [Il presidente del Consiglio riteneva] che su questa base

[fosse] realistico offrire oggi ai paesi produttori la possibilità di uno storico scambio: energia

attuale contro energia futura, in una più vasta ed organica prospettiva di collaborazione, che

abbracci[asse] tutti i vari fattori del processo di sviluppo economico”663.

Nel quadro della collaborazione europea, dopo aver risposto positivamente all’invito

statunitense, gli sforzi si indirizzarono invece alla ricerca di una posizione unica da presentare

la stessa Comunità europea aveva da sempre posto attenzione alle difficoltà dei paesi in via di sviluppo: allegata al proprio Trattato istitutivo, la CEE infatti aveva siglato la Convenzione di applicazione relativa all’Associazione dei Paesi e territori d’oltremare della Comunità. L’intento era quello di definire con urgenza una posizione comune di fronte a questo particolare e importante aspetto della politica dei Sei verso i PVS e quindi di promuovere lo sviluppo economico e sociale di questi ultimi, nonché di instaurare strette relazioni economiche tra essi e la Comunità nel suo insieme (cfr. art. 131 del Trattato istitutivo della CEE). Nel corso del '61, tra l’altro, la questione si ripropose in concomitanza della scadenza della suddetta Convenzione allegata al Trattato istitutivo della CEE e si redasse un Rapporto dal titolo “La politica della C.E.E. verso i Paesi in via di sviluppo”. Esso venne preparato e approvato da un Comitato di esperti presieduto da Emilio Colombo, ministro dell’Industria, Commercio e Artigianato del III° governo Fanfani (per il testo del suddetto Rapporto si veda l’allegato alla Lettera del dott. Achille Albonetti, direttore per gli Affari Internazionali e Studi Economici e direttore centrale delle Relazioni Estere del CNEN, all’on. Dott. Giovanni Francesco Malagodi, segretario generale del Partito Liberale Italiana, Roma, 11 agosto 1961, Archivio Fondazione Luigi Einaudi, Carte Malagodi, Serie III, Partito Liberale Italiano, Sottoserie 11, Nominativi I, Busta 139, fasc. 796, “Comitato Nazionale Energia Nucleare”, 1961-1968). Per uno studio sugli aiuti ai PVS si vedano, tra gli altri, H. I. Schmidt, H. Pharo, Europe and the First Development Decade. The Foreign Economic Assistance Policy of European Donor Countries, 1958-1972, in «Contemporary European History», n. 4, 2003; L. Tosi, L. Tosone (a cura di), Gli aiuti allo sviluppo nelle relazioni internazionali del secondo dopoguerra. Esperienze a confronto, Padova, 2006; R. E. Wood, From Marshall Plan to Debt Crisis: Foreign Aid and Development Choices in the World Economy, Berkeley, 1986. Si veda anche L. Grazi, Le relazioni euro-africane prima di Yaoundé. Contributo e posizione del Gruppo socialista al Parlamento europeo (1958-1963), in A. Bitumi, G. D’Ottavio, G. Laschi (a cura di), La Comunità europea e le relazioni esterne, 1957-1992, cit., pp. 149-171. 663 Lettera del Presidente del Consiglio, Mariano Rumor, al Presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, Roma, 23 gennaio 1974, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 6, MAE, Sottoserie Visite e questioni diverse, Busta 36.

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alla conferenza di Washington664. Nel frattempo la Francia rimandava una decisione ufficiale,

probabilmente in attesa che iniziassero i preparativi del vertice per conoscere meglio i propositi

statunitensi. Il 21 gennaio Jobert informò il presidente di turno del Consiglio delle Comunità

europee, Walter Scheel, di aver invitato il segretario generale delle Nazioni Unite a convocare

d’urgenza una conferenza mondiale sull’energia con il compito di:

“- faire le point des incidences de la situation actuelle en matière d’approvisionnement

énergétique sur le développement des États et d’étudier les mesures propres à remédier aux

difficultés qu’elle peut susciter; - arrêter les principes généraux de la coopération entre

producteurs et consommateurs d’énergie permettre d’assurer la satisfaction des besoins mondiaux

dans des conditions raisonnables et équitables pour tous les pays”665.

La richiesta sottoposta a Kurt Waldheim aveva tutte le sembianze di un netto rifiuto dei

progetti di Washington; inoltre, anticipando le possibili critiche, Jobert specificò che l’eventuale

vertice mondiale sotto gli auspici delle Nazioni Unite non era da considerarsi un’alternativa al

dialogo euro-arabo. In occasione della riunione del 24 gennaio del Gruppo di esperti della

cooperazione politica, i rappresentanti d’oltralpe presentarono in merito una nuova proposta che

prevedeva la possibilità di ampliare la collaborazione con i paesi arabi ai settori non rientranti in

quello specificatamente economico come previsto inizialmente. L’idea, definita “approche

globale”, non fu però gradita dalla delegazione britannica che mirava a un’azione esclusivamente

di tipo politico mediante la preparazione di una conferenza dei ministri degli Affari Esteri.

Entrambi i progetti vennero rigettati dalla maggioranza delle delegazioni che si espressero, da un

lato, in favore di una soluzione rapida difficilmente raggiungibile con la proposta di Parigi e,

dall’altro, in senso nettamente contrario all’iniziativa di Londra666.

Al di là delle divergenze, lo stallo registrato a Bonn era soprattutto il frutto

dell’approssimarsi della conferenza di Washington che rappresentava di fatto il primo vero

banco di prova della cooperazione internazionale dopo la crisi petrolifera. Anche in questo caso i

dissensi già manifestatisi fra i Nove finirono per riemergere in occasione della riunione del

Comitato dei rappresentanti permanenti del 30 gennaio. Dalla discussione scaturirono tre diversi

orientamenti di fondo: il primo era rappresentato da coloro che erano tendenzialmente favorevoli

664 Cfr. Projet de proposition de la Commission sur une position communautaire à prendre lors de la conférence de Washington le 11 février 1974, Projet de communication de la Commission au Conseil, Commission des Communautés Européennes, Bruxelles, 18 gennaio 1978, HAEU, Fondo Emile Noël, n. 454. 665 Lettre de M. Michel Jobert, Ministre des Affaires Etrangères de la France, a Walter Scheel, Président du Conseil des Communautés Européennes, Parigi, 21 gennaio 1974, HAEU, Fondo European Commission, BAC 25/1980, 1023. 666 Cfr. Note du Secrétaire Général adjoint de la Commission des Communautés Européennes, Klaus Meyer, pour le Président, François-Xavier Ortoli, Bruxelles, 28 gennaio 1974, HAEU, Fondo Klaus Meyer, n. 39.

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al vertice sull’energia (ne facevano parte la Gran Bretagna, la Germania, l’Olanda e l’Italia); nel

secondo prevaleva l’intenzione di partecipare alla conferenza ma a condizione che vi fosse un

approccio unitario della Comunità (la pensavano in questo modo il Belgio, la Danimarca e

l’Irlanda); l’ultimo, infine, era sostenuto solo dalla Francia desiderosa di limitare nel tempo e

negli scopi la riunione di Washington667.

Da parte statunitense, vennero intanto comunicati alcuni dettagli importanti sulla

conferenza: innanzitutto i nominativi dei rappresentanti designati (il segretario di Stato Henry

Kissinger, il segretario del Tesoro George P. Shultz, il capo del Federal Energy Office William

Simon, il direttore dell’Atomic Energy Commisson Dixie Lee Ray e il sottosegretario di Stato

William H. Donaldson); la data del vertice preparatorio fissata a Washington per l’8 febbraio;

l’ordine del giorno ufficiale che prevedeva la suddivisione della conferenza in base a due

tematiche principali: la situazione energetica e le iniziative comuni. Per queste ultime erano

contemplate due aree principali di azione per i paesi consumatori: la prima includeva l’aumento

dell’approvvigionamento, la riduzione della domanda di energia, la sua conservazione, lo

sviluppo di fonti alternative, la diversificazione della distribuzione e la cooperazione nella

ricerca e nello sviluppo; la seconda concerneva invece la realizzazione di politiche economiche e

monetarie concertate. Ovviamente si sarebbero potuti affrontare anche altri temi, come ad

esempio la questione degli aiuti ai paesi in via di sviluppo colpiti dalla crisi petrolifera, ma essi

dovevano essere considerati di contorno rispetto alla scaletta stabilita. Inoltre, nelle aspettative di

Washington la conferenza avrebbe dovuto costituire il punto di partenza per la creazione

dell’Energy Action Group, fortemente voluto da Kissinger ma verso il quale erano già state

espresse diverse riserve668.

Così presentato il vertice sull’energia suscitò molte perplessità. A Bonn, ad esempio, si

ritenne che la complessità delle questioni in gioco richiedesse una preparazione più esaustiva669.

Un certo pessimismo venne espresso anche dal ministro degli Esteri britannico, Douglas-

667 Cfr. Telegram n. 571 from Sir Michael Palliser, British Permanent Representative to EC, to the Foreign and Commonwealth Office, Bruxelles, 31 gennaio 1974, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, cit., doc. 524. Sul fronte interno alla Comunità, il Consiglio dei ministri aveva invece adottato il 30 gennaio il regolamento n. 293/74 concernente le informazioni per la redazione di bilanci energetici esaurienti sulla base del quale gli Stati membri dovevano comunicare trimestralmente alla Commissione i seguenti dati: la produzione di petrolio greggio, le importazioni e le esportazioni di prodotti raffinati con i paesi terzi e i paesi comunitari, la situazione delle scorte; la produzione, le esportazioni e gli scambi relativi al gas naturale; la produzione di energia elettrica, gli scambi di quest’ultima tra gli Stati membri e quelli terzi, le scorte di combustibili fossili e liquidi presso le centrali termiche. Ciò rappresentava un passo in avanti per avere un quadro generale sulla situazione energetica comunitaria del momento e per poter programmare una reale politica dei Nove nel settore (cfr. Regolamento CEE del Consiglio dei ministri n. 293/74 del 30 gennaio 1974). 668 Cfr. Letter from Stephen Egerton, Head of Energy Department of the Foreign and Commonwealth Office to G. Campbell, Secretary of State for Scotland, Londra, 1 febbraio 1974, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, cit., doc. 527. 669 Cfr. Telegram n. 184 from Reginald Hibbert, British Minister in Bonn, to the Foreign and Commonwealth Office, Bonn, 1 febbraio 1974, ibidem, doc. 528.

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Home670, anche se, come prevedibile, le critiche più accese giunsero da Parigi. Secondo il Quai

d’Orsay la conferenza di Washington non era il luogo appropriato per trattare questioni

economiche e monetarie di competenza di altre istituzioni internazionali come l’OCSE e il

Fondo monetario internazionale, senza considerare il fatto che la partecipazione dei soli paesi

consumatori più industrializzati impediva la definizione di una strategia che coinvolgesse nazioni

assenti. Ma come emergeva con chiarezza nella proposta avanzata ufficialmente in sede

comunitaria, la preoccupazione principale di Parigi risiedeva nel mantenere la libertà di manovra

dei Nove nei confronti degli Stati Uniti:

“[…] en ce qui concerne les relations avec les pays producteurs la Communauté [devait]

affirmer le principe de l’autonomie de son actions et de la liberté de négociation de chacune des

grandes entités consommatrices, afin de tenir compte du changement intervenu dans les relations

entre pays consommateurs et pays producteurs et des intérêt mutuel de toutes les parties. La

Communauté [devait] préserver sa liberté de conclure des accords d’approvisionnement et de

coopération avec les pays producteurs”671.

Di fronte a un ventaglio così ampio di reazioni divenne quasi inevitabile accontentarsi di

un vago compromesso che provava a definire in senso unitario gli obiettivi dei Nove. Il punto di

partenza era rappresentato dalla ricerca di forme di dialogo per dare vita a una fattiva

collaborazione internazionale fra produttori e consumatori. Bisognava inoltre evitare che si

presentassero occasioni di scontro tra le parti in causa e occorreva porre un’attenzione particolare

ai paesi in via di sviluppo:

“Viser à explorer les meilleures formes de dialogue permettant d’associer au niveau

international toutes les catégories de consommateurs ainsi que de pays producteurs ; éviter tout

confrontation entre certains pays consommateurs d’une part, et le pays producteurs, d’autre part ;

accorder une attention particulier aux pays en voie de développement”672.

I rappresentanti europei avrebbero anche esposto, al pari dei colleghi statunitensi,

un’analisi sulla situazione energetica del momento, sulle ripercussioni sugli equilibri economici

670 Cfr. Telegram n. 269 from Sir Alec Douglas-Home, Secretary of State for Foreign and Commonwealth Affairs, to British Embassy in Washington, Londra, 3 febbraio 1974, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, cit., doc. 531. 671 Position communautaire à prendre lors de la Conférence sur l’énergie de Washington, Proposition française, Note du Secrétariat Général du Conseil à l’attention de M. le Président du Conseil, Commission des Communautés Européennes, Bruxelles, 4 febbraio 1974, HAEU, Fondo Emile Noël, n. 456. 672 Telegram n. 691 from Sir Michael Palliser, British Permanent Representative to EC, to the Foreign and Commonwealth Office, Bruxelles, 5 febbraio 1974, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, cit., doc. 535.

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mondiali e, in forza delle perplessità espresse da alcuni membri, avrebbero ufficialmente

dichiarato i limiti della conferenza stessa. Innanzitutto la riunione di Washington, a causa della

composizione prevista e per via della sua brevità, non poteva portare a soluzioni concrete; essa,

inoltre, non poteva essere trasformata in un organismo permanente tale da sostituirsi alle

istituzioni internazionali già esistenti e da trattare compiti riservati esclusivamente a esse. La

Comunità europea avrebbe infine dovuto mantenere piena autonomia decisionale sia nel settore

della programmazione energetica che per quanto concerneva la questione dei rapporti con i paesi

produttori:

“[…] que la Conférence de Washington ne [pouvait] pas résoudre les questions concrètes

relevant du domaine de la coopération internationale dans le domaine de l’énergie, d’une part

parce qu’elle [aurait été] brève et, d’autre part, parce que les interlocuteurs nécessaires pour

aborder certains sujets [auraient été] absents ; que la Conférence de Washington ne [pouvait],

surtout dans sa composition actuelle, être transformée en organisme permanent et ne [devait] pas

conduire à institutionnaliser un nouveau cadre de coopération internationale réservé aux pays les

plus industrialisés et se substituant pour partie à des organisations internationales possédant déjà

une grande expérience, comme l’O.C.D.E. et le F.M.I. ; que la Communauté, conformément aux

dispositions arrêtées à Copenhague, [devait] conserver son entière liberté pour décider de la

forme que [devait] revêtir une politique communautaire en matière d’énergie et ses rapports avec

les pays producteurs. La Communauté [était] désireuse d’établir des procédures souples de

consultation avec les participants à la conférence et avec les autres pays consommateurs”673.

Nel complesso due preoccupazioni apparivano prevalenti in ambito comunitario: in primo

luogo quella di evitare il deterioramento delle relazioni economiche internazionali e,

secondariamente, quella di non indebolire il ruolo degli organismi multilaterali:

“Permettre l’examen des méthodes les plus appropriées et du calendrier pour faire participer

les pays en voie de développement consommateurs d’énergie et le pays producteurs dont le

dialogue devrait d’ailleurs s’établir avant le 1er avril 1974. Il y aura lieu an outre d’examiner

l’opportunité de réunir une conférence mondiale et d’étudier des modalités susceptibles de

permettre d’aboutir dans une telle conférence à des résultats rapides ; donner aux travaux en cours

dans le différentes organisations internationales de nouvelles impulsions correspondant à la

situation actuelle et en même temps examiner comment associer à ces travaux des groupes de

pays qui n’y participent pas pour le moment : cela vaut notamment pour les travaux de l’OCDE et

du FMI ; de renforcer les bases d’une coopération entre pays industrialisés dans les domaines qui

673 Ibidem.

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concernent le plus ces pays par exemple, la recherche et la technologie sans exclure une

participation d’autres pays intéressés. Il conviendra d’avoir recours, à cet effet et selon des

critères d’efficacité, aux action au sein d’organismes tels que l’OCDE ; examiner les possibilités

de constituer à court terme sur certaines questions concrètes des groupes de travail d’une

composition appropriée ; affirmer la volonté : (I) d’éviter que des mesures prises à titre individuel

menacent gravement les relations économiques internationales ; (II) de tenir compte aussi bien

des problèmes spécifiques des pays en voie de développement que ceux des pays producteurs en

renforçant la coopération internationale”674.

L’accordo raggiunto ricalcava sostanzialmente le perplessità manifestate dalla Francia e

dimostrava la volontà dei Nove di mantenere una posizione unitaria nella speranza che le

divergenze di opinione fra Parigi e Washington potessero essere appianate durante la conferenza.

Non si trattava dunque di un atto di accondiscendenza nei confronti della Francia: le obiezioni

mosse da Parigi apparivano agli occhi degli altri rappresentanti europei plausibili se dissociate da

quello che sembrava essere il vero obiettivo francese, cioè la sistematica opposizione a ogni

tentativo di dialogo promosso dagli Stati Uniti.

L’intesa cancellò le ultime riserve di Parigi che il 6 febbraio annunciò la partecipazione

di Jobert al vertice di Washington, non senza ribadire ancora una volta l’ostilità a qualsiasi

ipotesi di creazione di un fronte dei consumatori:

“La participation de notre pays à cette réunion répond[ait], outre à un souci de courtoisie, au

désir de permettre à l’Europe d’affirmer une position commune. Si la France [était] disposée à

participer à un échange de vues sur les différents aspects des problèmes de l’énergie, elle

[n’aurait] donner son adhésion à la mise sur pied d’une organisation des pays industrialisés

consommateurs de pétrole, indépendamment des autre pays consommateurs, notamment des pays

en voie de développement, ainsi que des pays producteurs”675.

La risposta statunitense alla presa di posizione dei Nove non si fece attendere. La

disponibilità a prendere in considerazione le richieste europee di dialogo con i PVS e con i paesi

produttori non bastava a celare una certa irritazione. In particolare, come annotò Kissinger nelle

sue memorie, le voci secondo cui alcuni paesi europei stavano cercando di ottenere dagli arabi

un trattamento preferenziale sconfessando la politica statunitense erano motivo di un crescente

674 Ibidem. 675 Texte de la communication du gouvernement sur la participation de la France à la Conférence de Washington, lue à l’issue du Conseil de Ministres par M. Jean-Philippe Legat, Parigi, 5 febbraio 1974, CHAN, Archives présidentielles, Fondo Georges Pompidou, 5 AG 2, c. 115.

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malcontento676 cui si accompagnava la minaccia verso gli arabi di considerare un ricatto la

mancata cancellazione dell’embargo petrolifero677.

6. La politica filo-araba del governo italiano

Per quanto riguardava l’Italia, in quel frangente la critica situazione energetica spingeva il

governo a valutare tutte le ipotesi compresa quella di avviare dei contatti diretti con i paesi

produttori, pur senza rinunciare alla strada della cooperazione europea e internazionale. In questo

caso l’Italia avrebbe dovuto però in primo luogo vincere la diffidenza dei paesi arabi che

l’avevano relegata fra le nazioni cosiddette “neutrali”. Secondo quanto riportato in un appunto

redatto in occasione della visita in Italia del ministro per il petrolio saudita e del ministro

algerino per l’Energia, ciò appariva un’ingiustizia che non prendeva assolutamente in

considerazione la simpatia sempre mostrata da Roma nei riguardi delle esigenze arabe:

“Una simile classificazione non corrisponde[va] alla realtà e si ispira[va] a valutazioni che

non [tenevano] conto dell’amicizia da noi sempre dimostrata per il mondo arabo né dell’evidente

comprensione delle sue istanze che [avevano] rappresentato una costante della nostra politica

estera”678.

In quest’ottica la visita dei due rappresentanti di paesi produttori costituiva un’occasione

unica per avviare un chiarimento su i rapporti italo-arabi. Secondo il ministro consigliere presso

l’Ambasciata italiana al Cairo, Bruno Aglietti, l’evento offriva al governo italiano sia

“l’opportunità di prospettare ai due emissari arabi forme di cooperazione economica, soprattutto

sottolineando la nostra piena disponibilità ad impegnarsi in tale via; [che] l’opportunità di

mostrare un atteggiamento favorevole alle istanze arabe in relazione al delicato problema della

restituzione dei territori arabi”679.

Nel corso della visita i due ministri incontrarono in un clima di cordialità sia Leone che

Rumor e Moro. In base a quanto riferito all’ambasciatore britannico da Attolico, direttore

generale per i paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente del MAE, il desiderio del governo

676 Cfr. H. A. Kissinger, Anni di crisi, Milano, 1982, p. 692. 677 Cfr. Telegram n. 478 from Richard A. Sykes, Minister of British Embassy in Washington, to the Foreign and Commonwealth Office, Washington, 6 febbraio 1974, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, cit., doc. 537. 678 Appunto interno del MAE, DGAE, Ufficio VII, Roma, 8 gennaio 1974, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 6, MAE, Sottoserie Visite e questioni diverse, Busta 30. 679 Appunto interno del MAE, DGAP, Ufficio IX, Roma, 9 gennaio 1974, ibidem.

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italiano di migliorare le relazioni con i paesi della sponda meridionale del Mediterraneo non

bastò a appianare le divergenze. In particolare, l’insistenza di Yamani e Abdesselam sulla

richiesta di sostenere l’interpretazione della risoluzione 242 più favorevole agli arabi finì per

mettere all’angolo la diplomazia italiana, impegnata a salvaguardare una certa equidistanza fra le

parti pur nel quadro di un’evoluzione sempre più condizionata dai bisogni energetici. Secondo il

parere dei ministri arabi, l’aver aderito alla dichiarazione congiunta del 6 novembre non era

giudicata sufficiente perché all’interno dei Nove si palesavano enormi differenze e ogni Stato

aveva finito per interpretare in modo diverso e a proprio vantaggio questa convergenza

comunitaria; Roma doveva prendere dunque una posizione chiara, dichiarando inaccettabile la

presenza di Israele su tutti i territori occupati nel '67, al pari di quanto avevano fatto Parigi,

Londra e, più recentemente, Bruxelles:

“Abdesalam […] said that the Arab countries were friendly towards Italy and there was

reciprocal cooperation, but there remained the problem of the consequences of Israeli aggression.

Italy did not adopt an attitude in keeping with the demand of justice. There were frequent

references on the Italian side to the statement by the Foreign Ministers of the Nine on 6

November, but it was clear that difficulties had been encountered among the Nine in the working

out of a unified position on the basis of the statement. The Arabs were therefore obliged to take

account of the attitude of individual countries. In this connection it was enough to think of the

differences between the attitude of the French and the British and, lately, the Belgians, on the one

hand, and of the Netherlands on the other, to illustrate his point. The statement by the Nine could

not be taken as binding because anyone of the Nine could interpret it as they wished. The

Netherlands, for example, could say to Israel that the statement did not exclude the possibility of

Israel retaining some occupied territory, It was therefore necessary that Italy should make a clear

and categorical statement that she understood resolution 242 as meaning not just Israeli

withdrawal from occupied territory but withdrawal from all the territories occupied during 1967

war. Yamani said that so far only the French, British, and, again, lately, the Belgians, had done

this. If Italy were to do so it would have a «positive influence» on the Arabs. Abdesalam said also

that Italy’s position on the problem of Palestine did not seem clear either and that was why her oil

supplies were being reduced. The problem was not just one of refugees, but a political problem

and Italy should make clear publicly that she recognised this”680.

A queste sollecitazioni Moro tentò di replicare sottolineando lo stupore generato nel

paese dalle decisioni punitive prese nei confronti dell’Italia e elencando tutte le iniziative che il

680 Telegram from Sir Patrick Hancock, British Ambassador in Italy, to the Foreign and Commonwealth Office, Roma, 14 gennaio 1974, TNA, FCO, 33/2503.

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governo aveva avviato in favore degli arabi. Il leader democristiano ricordò che l’esecutivo

aveva non solo sfruttato le buone relazioni con Israele per sostenere gli interessi arabi, ma si era

anche attivato per primo in sede comunitaria in occasione dell’elaborazione della dichiarazione

congiunta del 6 novembre che aveva suscitato l’irritazione sia di Tel Aviv che di Washington.

L’Italia – proseguì Moro – aveva deciso di non rilasciare ulteriori commenti sugli avvenimenti

mediorientali perché riteneva fondamentale che la Comunità europea procedesse unita

nell’affrontare la situazione. Sul problema dei territori occupati da Israele nel '67 il responsabile

della Farnesina affermò di essere stato sempre d’accordo sul fatto che il ritiro dovesse

comprendere tutte le zone. Sulla scorta di queste precisazioni – incalzò Moro – non sembravano

esserci obiettive giustificazioni per l’atteggiamento assunto dai paesi arabi nei confronti

dell’Italia. Yamani e Abdesselam apparvero soddisfatti del colloquio, senza però rinunciare a

chiedere con forza che il governo italiano condannasse ufficialmente Israele. Tuttavia secondo

Attolico sarebbe stato difficile, se non impossibile, sottoscrivere una simile dichiarazione che,

oltretutto, sarebbe dovuta passare al vaglio del Parlamento proprio nel momento in cui

all’interno della Democrazia Cristiana stava prendendo sempre più corpo una corrente che

giudicava inopportune eventuali concessioni agli arabi in quella fase681.

Moro sembrava però fortemente convinto della possibilità di avviare un dialogo

produttivo con i paesi arabi e stava maturando l’ipotesi di recarsi direttamente in missione

nell’area mediterranea per accelerare questo processo. Con queste premesse il politico pugliese

affrontò il 23 gennaio il delicato passaggio dell’udienza in Commissione Esteri del Senato.

Ricordando i numerosi contatti avuti con gli esponenti politici dei paesi mediorientali a Roma, a

New York e a Copenaghen, nonché le missioni che il governo aveva svolto in Siria, Iraq e

Arabia Saudita, Moro spiegò che la costante preoccupazione dell’esecutivo era stata quella di

conoscere l’evoluzione della posizione araba nel tentativo di influire positivamente su di essa682.

Sulle scelte effettuate nei mesi precedenti in merito alla risoluzione del conflitto del Kippur, il

leader democristiano precisò inoltre che l’Italia aveva volontariamente preferito agire nel

contesto della Comunità europea perché riconosceva a quest’ultima una capacità negoziale

681 Ibidem. 682 Sulle parole di Moro riferite alla Commissione Esteri del Senato pesò anche il difficilissimo momento storico-sociale che l’Italia stava vivendo: si era infatti nel pieno degli “anni di piombo” caratterizzati da una serie di atti terroristici a cui, all’indomani dello scoppio del conflitto mediorientale, si affiancarono attentati di matrice filo-araba. Qualche settimana prima del discorso di Moro si era assistito infatti al dirottamento aereo da parte di alcuni terroristi palestinesi, conclusosi il 17 dicembre '73 con la morte di ben trentatre passeggeri presso l’aeroporto di Fiumicino. Per un approfondimento sulla situazione politico-sociale dell’Italia del momento si vedano, tra gli altri, S. Colarizi, Storia dei partiti nell’Italia repubblicana, cit., pp. 363-471; P. Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1991, in G. Galasso, Storia d’Italia, cit., pp. 520-538; P. Ginsborg, Storia dell’Italia dal dopoguerra ad oggi, vol. II, Dal miracolo economico agli anni '80, cit., pp. 473-478; S. Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana: dalla fine della guerra agli anni Novanta, cit., pp. 307-347; F. Malgeri, L’Italia dal centro-sinistra agli «anni di piombo», cit., in G. Aliberti, F. Malgeri, Due secoli al Duemila. Transizione Mutamento Sviluppo nell’Europa Contemporanea (1815-1998), cit., pp. 697-699; N. Tranfaglia, La modernità squilibrata. Dalla crisi del centrismo al «compromesso storico», in F. Barbagallo (a cura di), Storia dell’Italia repubblicana, vol. II, La trasformazione dell’Italia. Sviluppo e squilibri, cit., pp. 75-92.

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maggiore rispetto a quella posseduta dai singoli paesi membri, essendo in grado di rappresentare,

seppur con qualche piccola differenza, le volontà reali di tutti i partecipanti:

“in relazione all’esigenza di ristabilire e garantire una giusta pace nella tormentata regione

del Vicino Oriente [l’Italia aveva scelto la strada della concertazione europea nella convinzione

che] un apporto non formale alla soluzione della contesa arabo-israeliana [potesse] essere dato da

un’Europa che [parlasse], per quanto possibile, con una sola voce e non dai singoli paesi europei.

Per questo motivo ci facemmo promotori per primi delle dichiarazioni congiunte dei Nove

governi della CEE […]. [Era] sulla base di esse che si [era] atteggiato il comportamento dei paesi

della Comunità, anche se con talune sfumature. Questa valorizzazione della Europa [aveva]

trovato subito eco nel mondo arabo, i cui rappresentanti erano il 15 dicembre a Copenaghen, in

occasione del vertice europeo, per proporre di intavolare un discorso globale appunto con

l’Europa. Il governo [era] favorevole a che la Comunità europea da un lato, i paesi del mondo

arabo dall’altro confrontino, in larga apertura di spirito e con lo sguardo rivolto alle generazioni

che verranno, i dati del problema delle loro relazioni in tutti i campi, da quello industriale,

agricolo, tecnologico, scientifico e culturale sino a quello politico”683.

Per quanto concerneva la questione del conflitto arabo-israeliano in senso stretto, Moro

ebbe modo di ribadire pubblicamente quanto esposto di persona ai ministri Yamani e

Abdesselam durante la loro visita a Roma; in particolare, il leader democristiano precisò la

posizione assunta dall’Italia che, senza mettere in discussione l’esistenza stessa e l’integrità dello

Stato d’Israele, riconosceva legittime le aspirazioni arabe di avere una propria patria. Ai

palestinesi doveva essere garantita la possibilità di decidere del proprio futuro e si riteneva

pertanto necessario porre fine all’occupazione israeliana di tutti i territori conquistati con la forza

nel corso della guerra del '67, interpretando in maniera estensiva la risoluzione 242 delle Nazioni

Unite:

“Il governo italiano [aveva] dato la sua adesione alle risoluzioni dell’ONU, ed in particolare

a quelle del Consiglio di Sicurezza 242 del 1967 e 338 del 1973, sottolineando più volte che la

242 avrebbe dovuto essere applicata interamente, in tutte le sue parti, senza, quindi, alcuna

riserva. Per quanto riguardava il popolo palestinese dissi in Parlamento a più riprese […] che il

fattore palestinese [era] diventato per il corso degli eventi un problema politico da cui non [era]

possibile fare astrazione in una stabile sistemazione della zona. […] i palestinesi non cercano

683 Discorso del ministro Moro alla Commissione Esteri del Senato, Roma, 23 gennaio 1974, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 6, MAE, Sottoserie Visite e questioni diverse, Busta 31. Il testo completo dell’intervento di Moro è riportato anche in Ministero degli Affari Esteri (Servizio Storico e Documentazione), Italia e Medio Oriente (1967-1974), cit., pp. 193-207; A. Moro, Scritti e discorsi, a cura di G. Rossini, vol. VI, 1974-1978, Roma, 1990, pp. 3123-3132.

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dell’assistenza ma una patria. Si tratta[va] quindi di tutelare i diritti nazionali del popolo

palestinese, al quale non [doveva] essere sottratta la possibilità di decidere del proprio destino.

[…] Israele e gli Stati arabi [dovevano] coesistere, convivere in confini sicuri e riconosciuti,

vedere garantita la loro sicurezza come Stati indipendenti. […] A tale principio si [era] rifatta

l’Italia con la dichiarazione comune del 6 novembre, ribadendo la necessità che si [ponesse]

termine alla occupazione israeliana dei territori conquistati con la guerra. Non [avevamo] avuto

dubbi sul carattere globale e non parziale, come qualcuno [aveva] ritenuto, di questa indicazione.

[…] Dalla illiceità dell’acquisizione territoriale con la forza, illiceità che [eravamo] stati chiamati

più volte a confermare, deriva[va] la necessità dell’abbandono di tutti i territori occupati. […]

L’assumere questa posizione non significa[va] in nessun modo togliere forza al sentimento che,

anche nei paesi europei ed in Italia, pone[va] nel nostro patrimonio di civiltà la conservazione

dello Stato d’Israele nella sua integrità”684.

Sui rapporti con i paesi arabi il ministro ribadì la continuità dell’azione del governo anche

nel tentativo di allontanare il sospetto di una eccessiva disponibilità dettata dall’emergenza

energetica; Yamani e Abdesselam avevano infatti accennato a questa ipotesi durante la loro

missione italiana, criticanto quei governi, come quello di Roma, che si erano avvicinati alla

causa araba solo in seguito alle ripercussioni nel settore petrolifero:

“[…] le relazioni tra l’Italia ed il mondo arabo, come quelle tra l’Europa ed il mondo arabo,

[corrispondevano] ad una tradizione, [obbedivano] ad una ragione profonda, [erano] essenziali

per l’avvenire del nostro continente. Noi lo [avevamo] detto senza attendere la crisi del petrolio

ed [avevamo] svolto una politica conseguente. Ci si [stupiva] talvolta che l’Italia [manteneva] e

[consolidava] vecchi legami di amicizia e di cooperazione e ne [stringeva] di nuovi. In realtà noi

[eravamo] sempre nella nostra linea e ci [sforzavamo], in ispirito di mutua fiducia, di assicurare i

rifornimenti di energia necessari alla nostra industria ed alla nostra vita civile. Il momento che

[stavamo] attraversando mette[va] in evidenza i nostri comportamenti, ma c’[era] semplicemente

continuità nella nostra azione”685.

Moro ricordò successivamente gli intensi e costruttivi rapporti intrattenuti nel recente

passato con tutti i paesi arabi, sia sul piano bilaterale che su quello comunitario, preannunciando

un suo imminente giro di visite che comprendeva l’Iran, l’Arabia Saudita e il Kuwait. Egli

precisò anche che l’obiettivo finale di eventuali nuovi accordi diretti con i produttori non doveva

limitarsi solo alla questione della garanzia degli approvvigionamenti energetici; si riteneva

684 Discorso del ministro Moro alla Commissione Esteri del Senato, Roma, 23 gennaio 1974, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 6, MAE, Sottoserie Visite e questioni diverse, Busta 31. 685 Ibidem.

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piuttosto necessaria un’integrazione globale fra le parti che riconoscesse al contempo dei

vantaggi anche per i paesi più poveri:

“Perché mai, in un momento di emergenza, non [avremmo dovuto] fare quel che abbiamo

sempre fatto, almeno fin quando non vi [fosse stato] un più vasto quadro europeo, nel quale, una

volta che [venisse] concretato, non [avremmo avuto] certo alcuna difficoltà e remora ad inserirci?

[…] [Bisognava rivendicare], più che il diritto, il dovere di disegnare il quadro politico

appropriato, perché vitali interessi nazionali [fossero] salvaguardati. […] Non si tratta[va] solo di

garantire le forniture di petrolio, ma di mettere in comune le nostre diverse risorse per una

integrazione veramente efficace, la quale, per di più, assicurando il massimo vantaggio ai paesi

interessati direttamente, [facesse] pure posto a quelli in via di sviluppo, i quali [dovevano]

partecipare alla comune prosperità”686.

Tuttavia, nonostante l’importanza dell’avvio di un dialogo bilaterale con i produttori, la

cooperazione dell’Italia nel quadro della CEE sarebbe rimasta costante; le questioni energetiche

non potevano infatti essere risolte da singole iniziative ma necessitava una sorta di concertazione

fra i paesi industrializzati che, senza creare un fronte contrapposto ai produttori, trovasse

soluzioni valide alla risoluzione di problemi generalizzati occupandosi, ad esempio, di

coordinare la ricerca globale di fonti alternative al petrolio:

“La crisi del petrolio, già latente, ma esplosa in tutta la sua gravità in relazione con gli

avvenimenti in Medio Oriente, pone[va] a tutti problemi estremamente difficili, di quantità, di

regolarità di flusso, di prezzo. Non si [poteva] pensare di risolverli da soli. L’assicurare nella

maggior misura possibile, anche mediante intese bilaterali con i paesi produttori, i rifornimenti di

cui disponevamo, [era] solo una parte della nostra doverosa iniziativa. Ove [mancasse] un’intesa

in un quadro più largo, gli effetti sconvolgenti della penuria e dell’alto costo dell’energia

[sarebbero ricaduti] prima o poi su tutti ed in particolare sui più deboli. […] In questa esigenza

[…] si pone[va] la necessità di un raccordo tra i paesi industrializzati. Non di tratta[va] di

costruire un fronte antagonistico a quello dei produttori e, meno che mai, di tutelare i propri

interessi, a scapito dei terzi indifesi. Si tratta[va] di convogliare le energie e le risorse di cui

[disponevamo] verso un punto di convergenza, mediante il quale trovare, senza alcuna soluzione

di continuità, il giusto rapporto con tutte le altri componenti della vita economica internazionale.

Si pensi, in particolare, alla ricerca coordinata di fonti alternative di energia, indispensabili alla

686 Ibidem.

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nostra sopravvivenza ed egualmente necessarie per i paesi produttori, le cui risorse non [erano]

certo illimitate”687.

Queste motivazioni spingevano dunque l’Italia a aderire alla conferenza di Washington e

a parteciparvi assieme ai portavoce della Comunità europea. Moro riconobbe l’insostituibilità del

ruolo degli Stati Uniti per il raggiungimento della pace in Medio Oriente e la necessità della

collaborazione transatlantica in ogni settore. Infine, in merito alle questioni prettamente

energetiche, egli riferì ufficialmente la decisione del governo di aderire alla società EURODIF

che promuoveva la tecnica dell’arricchimento dell’uranio con il metodo della diffusione gassosa.

La scelta era presentata come il frutto delle direttive impartite dalla CEE che ponevano l’accento

sull’esigenza per le industrie comunitarie di dotarsi di una capacità di arricchimento tale da

consentire loro di coprire almeno una parte sostanziale e crescente dei fabbisogni europei.

L’Italia, oltretutto, nel campo della politica nucleare comunitaria aveva deciso di mantenere i

contatti anche con i promotori del procedimento basato sull’ultracentrifugazione:

“Non esiste[va] antitesi tra i due sistemi […]. La stessa Commissione della CEE, nel

riconoscere che essi [potevano] coesistere, ne [aveva] raccomandato la concertazione osservando

che «la diffusione gassosa [era] in grado di coprire sin dall’inizio del prossimo triennio un certo

numero di fabbisogni, mentre l’ultracentrifugazione [avrebbe apportato] un contributo elastico a

questa copertura». L’Italia [riteneva] che [fosse] nell’interesse europeo favorire lo sviluppo di

entrambi i procedimenti ed [aveva] ripetutamente manifestato la propria disponibilità a

partecipare pienamente anche al programma di ultracentrifugazione avviato dai tre paesi del

cosiddetto gruppo di Almelo [Repubblica Federale Tedesca, Olanda e Gran Bretagna]”688.

L’intero discorso rispecchiava la volontà del governo di avviare colloqui diretti con i

paesi produttori nel tentativo di ottenere rapidi vantaggi energetici. Le argomentazioni di Moro

andavano perciò valutate in funzione di questo obiettivo e, del resto, rispondevano pressoché in toto

alle richieste fatte dai ministri saudita e algerino durante la loro visita in Italia689. In questo quadro

rientrava anche la preannunciata lunga missione che il leader democristiano avrebbe compiuto in

Medio Oriente dal 25 gennaio al 3 febbraio '74690. Il viaggio mirava essenzialmente a intessere

687 Ibidem. 688 Ibidem. 689 Il discorso di Moro suscitò infatti diversi apprezzamenti da parte dei governi arabi e, in particolar modo, del segretario generale del ministro degli Esteri libanese, Fattal [per approfondimenti si veda L. Riccardi, Sempre più con gli arabi. La politica italiana verso il Medio Oriente dopo la guerra del Kippur (1973-1976), cit., pp. 61-62]. 690 Il ministro degli Esteri visitò l’Egitto (28 gennaio), gli Emirati Arabi Uniti (29 gennaio), il Kuwait (29 e 30 gennaio), l’Iran (30 e 31 gennaio) e l’Arabia Saudita (1 e 3 febbraio) [cfr. L. V. Ferraris (a cura di), Manuale della politica estera italiana, 1947-1993, cit., p. 273]. Per un approfondimento sulla visita di Moro in Egitto si veda Cominciata la visita di Moro in M. O. (articolo non firmato),

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contatti con i paesi produttori di petrolio per sondare il terreno alla luce delle dichiarazioni appena

rilasciate. Il 28 febbraio Moro riferì alla Commissione Esteri della Camera i risultati della missione

cercando ancora una volta di sfuggire alle critiche nei confronti del carattere esclusivamente

bilaterale delle iniziative italiane; il ministro sottolineò infatti come l’Italia aveva da sempre

coltivato un indirizzo politico basato sui contatti diretti con i paesi produttori e la crisi petrolifera

imponeva al momento di non abbandonare questa strategia. Del resto, le questioni energetiche si

erano rivelate così difficili da dirimere che qualsiasi istituto internazionale avrebbe fatto fatica a

gestirle; tuttavia, qualora si fosse profilata l’ipotesi di gestire globalmente, o almeno in sede

europea, l’intero quadro dell’approvvigionamento di energia e della sua distribuzione in base a

criteri di equità, il governo italiano, se richiesto ufficialmente, si dichiarava pronto a rinunciare a

qualsiasi rapporto bilaterale posto in essere. Sui risultati effettivamente raggiunti dal viaggio in

Medio Oriente, il ministro riferì del negoziato in corso per incrementare l’importazione italiana di

greggio saudita, dell’accordo libico per la fornitura di ulteriori quantitativi di petrolio e di altre

interessanti iniziative economiche in Iran, in Kuwait, negli Emirati Arabi Uniti e ancora in Arabia

Saudita e Libia che vedevano la penisola offrire tecnologia e capacità imprenditoriale per accrescere

lo sviluppo economico di questi paesi:

“Onorevoli Deputati, tra i fatti di rilievo della politica estera italiana […] [bisognava

annoverare] alcuni viaggi all’estero ed alcune visite a Roma, svoltisi in quest’ultimo periodo. Essi

[erano] il segno di una iniziativa che, del resto, non [era] mai venuta meno, anche se i momenti di

silenzio, un silenzio che prepara l’azione, [avevano] potuto indurre taluno a parlare d’inerzia. Ma

noi non [eravamo] mai stati inerti e ci [eravamo] dedicati a tessere la trama di rapporti difficili e

delicati, ma assai utili per il nostro Paese. Un problema fondamentale [era] dinanzi a noi, quello

del rifornimento di prodotti petroliferi, apparsi pericolosamente carenti, mentre essi [erano]

essenziali per il nostro sviluppo economico e la nostra vita civile. Si [era] detto che l’Italia, come

altri Paesi, si [era] avventurata sul terreno dei rapporti bilaterali, i quali [rischiavano] di

determinare un clima di gara e di concorrere all’aumento dei prezzi. In realtà, ponendo in essere

contatti diretti con Paesi produttori, […] noi [avevamo continuato] una politica sempre praticata e

che la stretta della crisi energetica, quanto meno, ci consiglia[va] di non abbandonare. […]

Mentre [era] immaginabile e desiderabile che, mediante una vasta intesa tra i Paesi interessati,

[venisse] definito un quadro giuridico ed economico nel quale inserire le singole contrattazioni,

[appariva] fuori di una ragionevole possibilità che un organismo collettivo si [assumesse] tutto

«Il Giornale d’Italia», 28-29 gennaio 1974; per un rapporto diretto sull’intera missione si vedano Moro nelle capitali del petrolio (articolo non firmato), «La Voce Repubblicana», 30 gennaio 1974; Riassunti da Moro i risultati del viaggio nelle capitali islamiche (articolo redazionale), ibidem, 5 febbraio 1974. L’intensa attività diplomatica in Medio Oriente si completò con il viaggio di Moro in Marocco dal 3 al 6 maggio '74 [cfr. Ministero degli Affari Esteri (Servizio Storico e Documentazione), Italia e Medio Oriente (1967-1974), cit., p. 208].

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intero il compito dell’approvvigionamento e della distribuzione. Ma se si profilasse, almeno a

livello europeo, una gestione comunitaria per quanto riguarda[va] la acquisizione, secondo criteri

di equità, dell’energia, noi non esiteremmo un istante a rinunciare, nella misura in cui ci [venisse]

richiesto, ai nostri rapporti bilaterali, per inserirci in quelli multilaterali ai quali si fosse

finalmente riusciti a dar vita. […] [Nel frattempo] […] [era] in corso a Ryad il negoziato tra gli

enti petroliferi di Stato, dell’Arabia Saudita e dell’Italia, per accrescere le già ingenti forniture di

greggio che [pervenivano] da quel Paese amico. Le prospettive [erano] buone. L’incontro con gli

alti dirigenti saudiani, da S. M. Re Feisal al Ministro degli Esteri Saqqaf, [era] stato estremamente

amichevole ed anche chiarificatore in ordine a voci e giudizi, di origine talvolta incerta, che anche

in questo momento difficile [avevano] mirato a mettere in difficoltà l’Italia, la quale gode[va]

invece nella penisola arabica di notevole prestigio ed [era] guardata con grande fiducia. [A ciò

andava aggiunto che], […] in occasione della gradita visita in Italia del Primo Ministro libico

Jallud, al nostro Paese [era] stato assicurato un quantitativo di petrolio dell’ordine di 30 milioni di

tonnellate con rilevante accrescimento delle forniture già provenienti dalla Libia. In altri Paesi

non [avevamo] posto, per l’immediato, problemi di rifornimento ulteriore di greggio, ma di altre

relazioni economiche interessanti per l’Italia, la quale, già presente in quei mercati e talvolta con

grande rilievo e con priorità temporale in confronto di altri Paesi, [era] chiamata con viva

cordialità a mettere a disposizione in misura crescente la sua tecnologia e la sua capacità

imprenditoriale e di lavoro per la politica di sviluppo che, mediante gli introiti del petrolio,

[veniva] perseguita con vigore in quell’area. Cio vale[va] per l’Iran come per l’Arabia Saudita

come per il Kuwait e la Libia mente in particolare il Kuwait ed Abu Dhabi [costituivano] centri

finanziari ai quali dedicare la massima attenzione”691.

Secondo la versione dell’esponente democristiano, l’Italia aveva dunque la possibilità di

ottenere concreti vantaggi sia dal punto di vista petrolifero che economico692. Toccava al paese

saper sfruttare, mediante iniziative governative e private, tutte le opportunità: prima fra tutte,

acquisire petrolio in contropartita di interventi, di consulenze tecniche e di investimenti da

realizzare nello Stato venditore o in altri in via si sviluppo, per poi utilizzare i petroldollari693

691 Discorso del ministro Moro alla Commissione Esteri della Camera, Roma, 28 febbraio 1974, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 1, Scritti e discorsi 1953-1978, Sottoserie annuali, Busta 29. Il testo completo di questo intervento viene riportato anche in A. Moro, Scritti e discorsi, a cura di G. Rossini, vol. VI, 1974-1978, Roma, 1990, pp. 3133-3142. Un resoconto sommario si trova invece in Ministero degli Affari Esteri (Servizio Storico e Documentazione), Italia e Medio Oriente (1967-1974), cit., pp. 227-237. Per ulteriori approfondimenti si veda anche A. Sterpellone, Il viaggio di Moro in Medio Oriente, in «Relazioni internazionali», XXXVIII, n. 7, 1974, p. 175 e ss. 692 In base all’accordo economico sottoscritto con Tripoli la Libia avrebbe infatti aumentato il flusso petrolifero diretto alla penisola in cambio dell’incremento e del miglioramento della presenza tecnica, scientifica, finanziaria e soprattutto industriale italiana nel paese africano [cfr. Più petrolio dalla Libia per l’Italia (articolo non firmato), «Avanti», 24 febbraio 1974]. 693 Per uno studio sulla questione dei petroldollari si vedano, ad esempio, H. Beblawi, The Rentier State in the Arab World, in H. Beblawi, G. Luciani (a cura di), The rentier state, New York, 1987, pp. 49-62; R. Gilpin, Politica ed economia delle relazioni internazionali, Bologna, 1990, pp. 420-424; S. Labbate, Il ruolo dei petroldollari nelle relazioni Nord-Sud, in D. Caviglia, A. Varsori (a cura di), Dollari, Petrolio e aiuti allo sviluppo. Il confronto Nord-Sud negli anni '60-70, cit., pp. 143-169; G. Luciani, L’OPEC

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attraverso la realizzazione di progetti industriali. Nella stipulazione di accordi bilaterali un ruolo

determinante doveva essere assunto proprio dall’ENI in funzione dell’incremento e del

mantenimento di un adeguato approvvigionamento energetico nazionale. La necessità che gli

accordi di fornitura venissero mantenuti nel tempo pose inoltre l’esigenza di un coordinamento

generale. A questo scopo venne costituito, su impulso di Girotti, un Comitato di Coordinamento,

creato all’interno del Ministero delle Partecipazioni Statali con il compito di impostare un’azione

coordinata694.

Ciononostante, fin da subito lo sviluppo di questa linea sostanzialmente filo-araba venne

messo a rischio dell’emergere del cosiddetto “scandalo petrolifero”, un’inchiesta giudiziaria di

grandi proporzioni che aveva portato alla scoperta del pagamento di tangenti in favore di

esponenti dei partiti di governo (DC, PSI, PSDI e PRI). Uno dei filoni dell’indagine coinvolgeva

anche rappresentanti dell’ENEL: secondo l’accusa formulata dai pretori genovesi vi era stato il

versamento di un miliardo di lire a beneficio dei gruppi politici (di cui 875 milioni attraverso

l’Unione Petrolifera e 125 versati direttamente dall’AGIP) al fine di ottenere che l’ente elettrico

di Stato non investisse ulteriormente in centrali nucleari e continuasse invece a costruire impianti

a petrolio695. Fra i vari politici di spicco coinvolti figuravano anche il ministro alla Difesa, Mario

Tanassi, e lo stesso Moro; l’inchiesta era solo all’inizio ma certamente pesò sulle scelte

governative696.

7. La conferenza di Washington e la cooperazione internazionale

Nel frattempo, l’11 febbraio prese il via il vertice promosso da Nixon per discutere dei

problemi energetici internazionali. Alla conferenza parteciparono i ministri degli Esteri, delle

Finanze e quelli aventi competenze nei settori dell’economia, della scienza e della tecnologia di

Italia, Belgio, Danimarca, Repubblica Federate Tedesca, Francia, Lussemburgo, Olanda,

Norvegia, Gran Bretagna, Irlanda, Giappone, Canada e Stati Uniti697. Anche il segretario

nella economia internazionale, cit., pp. 67-91; T. Stauffer, Income Measurement in Arab States, in H. Beblawi, G. Luciani (a cura di), The rentier state, cit., pp. 22-48. 694 Cfr. Lettera di Raffaele Girotti, presidente dell’ENI all’on. Matteo Matteotti, ministro per il Commercio Estero, Milano, 28 febbraio 1974, ASE, coll. BB. III. 1, udc. 442. 695 Cfr. F. Menghini, Tanassi: 180 milioni. Per Moro si parla di 30 milioni, «Il Messaggero», 1 marzo 1974. 696 Tutti gli accusati dopo un lungo processo vennero tuttavia assolti con formula piena. 697 Per quanto concerneva l’Italia, Moro era assistito dal ministro del Tesoro, Ugo La Malfa, dal sottosegretario agli Affari Esteri, Mario Pedini, e da una delegazione composta dall’ambasciatore Cesidio Guazzaroni, dal consigliere diplomatico del presidente del Consiglio, Rinaldo Petrignani, dai seguenti rappresentanti del dicastero degli Esteri: gli ambasciatori Ducci e Luigi Cottafavi, il ministro Bruno Bottai, Sereno Freato, i consiglieri d’Ambasciata Antonio Mancini e Arrigo Lopez Celly, il 1° segretario di Legazione Diego Moretti, il segretario di Legazione Francesco Trupiano; per il Ministero del Bilancio, Luigi Spaventa; per il Tesoro, il direttore generale Gastone Miconi e il dirigente generale Silvano Palumbo; per il dicastero dell’Industria il dirigente generale, nonché direttore generale delle fonti di energia, Ugo Ristagno; per il Ministero delle Partecipazioni Statali il direttore generale

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generale dell’OCSE, Emile Van Leppen, prese parte all’incontro con una relazione che partiva

dalla necessità indifferibile di incrementare gli aiuti ai paesi in via di sviluppo698. Il discorso di

Moro si focalizzò invece sull’imprescindibilità di un approccio che mettesse al centro la modalità

della cooperazione:

“L’Italia [era] convinta del fatto che le difficoltà del momento [potevano] essere superate

soltanto attraverso una sincera e coerente cooperazione internazionale che [portasse]

all’instaurazione di nuove relazioni fra Paesi industriali consumatori di energia, Paesi produttori e

Paesi in via di sviluppo, e che [permettesse] di trovare soluzioni adeguate ai gravi e complessi

problemi, non solo di ordine economico, ma anche, se non soprattutto, di carattere finanziario e

monetario, che [caratterizzavano] la presente congiuntura mondiale”699.

Accanto poi al tema principale della conferenza, il leader democristiano illustrò il punto

di vista dell’Italia basato sulla:

“[…] necessità di utilizzare in modo più razionale le fonti energetiche disponibili, di

sviluppare le tecnologie, di ricercare la messa in valore delle fonti energetiche esistenti, di

incoraggiare la scoperta e lo sfruttamento di fonti alternative di energia. Incoraggiare la scoperta e

lo sfruttamento di nuove fonti di energia [rappresentava] per noi un obiettivo prioritario: e non

solo per noi, che [vedevamo] compromesse le nostre possibilità di sviluppo da un prevedibile

esaurimento delle fonti tradizionali, ma per tutti i popoli del mondo, compresi quelli che, in

questo particolare momento, [cercavano] di trarre il massimo vantaggio dal possesso di fonti

energetiche che certamente, in passato, [erano] state sottovalutate e che [erano] in via di rapido

esaurimento”700.

dell’organizzazione amministrativa del personale, Mario Schiavoni; il prof. Puppi del Ministero della Pubblica Istruzione; il dirigente generale del dicastero del Commercio Estero, Armando Fracassi: Rinaldo Ossola della Banca d’Italia; Achille Albonetti e Piero Caldirola del CNEN; Marcello Colitti e Sflingiotti dell’ENI; Pier Giovanni Gamucci e Federico Dalla Volta di Finmeccanica; Arnaldo Maria Angelini e Franco Castelli dell’ENEL; il maresciallo Oreste Leopardi, il cancelliere Sergio Mitarotonda, il prof. Stefano Giovandone e il prof. Mario Giacovazzo (cfr. Appunto interno del MAE, Roma, non datatato, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 6, MAE, Sottoserie Visite e questioni diverse, Busta 36). 698 Cfr. Statement by Mr. Emile Van Lennep, Secretary-General of the OECD at the Washington Energy Conference, Washington,11 febbraio 1974, HAEU, Fondo OECD, 32. 699 Intervento dell’on. ministro (Aldo Moro) alla conferenza di Washington, Appunto interno del MAE, Washington, 11 febbraio 1974, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 6, MAE, Sottoserie Visite e questioni diverse, Busta 36. 700 Ibidem. Per un commento personale e diretto sull’intervento di Moro alla conferenza di Washington e sulle reazioni dei presenti si veda M. Colitti, ENI. Cronache dall’interno di un’azienda, cit., pp. 157-158. In particolare Colitti sottolineò come il proverbiale stile criptico del leader democristiano avesse messo il traduttore in grave difficoltà al punto che quest’ultimo non era stato più in grado di tradurre, “finché sbottò dicendo che non capiva più nulla e si sarebbe stato zitto. «It does not make any sense anyway», aggiunse, tra le risate di tutta la sala. Moro continuò per una ventina di minuti a scodellare frasi a esclusivo beneficio della delegazione italiana, mentre tutti gli altri si alzavano o chiacchieravano tra loro. Così finiva, nel ridicolo, la pretesa italiana di avere una propria politica petrolifera o un proprio atteggiamento verso il Terzo Mondo; le frasi intraducibili di Moro seppellivano ciò che avevamo cercato di costruire in tanti anni di lavoro, senza che l’Italia avesse ottenuto nulla in cambio, anzi, entrando nell’agenzia – [la futura International Energy Agency] – come l’ultima ruota del carro, il paese sempre rimproverato e chiamato a rispondere della sua debole, se non inesistente, politica energetica” (ibidem, p. 157).

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Il richiamo alle esigenze dei paesi produttori di petrolio permise a Moro di sottolineare,

da un lato, la necessità di avviare una collaborazione anche con le nazioni arabe evitando di

creare un fronte dei consumatori contrapposto e, dall’altro lato, l’inevitabilità di un inserimento

nel dialogo anche dei paesi in via di sviluppo.

Fin dall’inizio delle discussioni apparve tuttavia ben chiara l’impossibilità di raggiungere

un accordo che non fosse solo formale e generico. Forse proprio in previsione di ciò e spinti

dalle pressioni francesi volte a creare un “patto mediterraneo”, i direttori politici dei Ministeri

degli Esteri dei Nove si erano riuniti a Bonn, in concomitanza con il vertice di Washington, con

l’obiettivo di esaminare nel dettaglio la realizzazione di un rapporto duraturo fra la Comunità

europea e i paesi arabi esportatori di petrolio basato sull’offerta di assistenza tecnica, economica

e finanziaria in cambio della sicurezza degli approvvigionamenti a prezzi stabili e ragionevoli701.

D’altra parte, occorre ricordare che l’organizzazione della conferenza di Washington aveva

scatenato molteplici reazioni negative da parte dei produttori. In particolare, il segretario

generale dell’OPEC, l’algerino Abderrahmane Khene, aveva dichiarato che il vertice energetico

“voluto dagli americani artefici con altri Paesi industrializzati della crisi internazionale dovuta al

superconsumo e allo spreco di petrolio, [aveva] le caratteristiche di una riunione […] convocata

contro i Paesi produttori di petrolio, di una vera e propria minaccia sintomatica per quelli che

[erano] i traguardi noti degli Stati Uniti volti a mantenere il dominio sul mondo”702. Ad ogni

modo, la decisione dei Nove di avviare un dialogo diretto con i produttori si rimandò alla

successiva riunione dei ministri degli Esteri della CEE, prevista a Bonn per il 14 e 15 febbraio.

L’accordo di cooperazione con i paesi arabi sulla base della proposta francese, definita

“approche globale”, era stato comunque già deciso703 e a Bonn era previsto che i Nove stilassero

semplicemente una dichiarazione congiunta simile a quella del 6 novembre 1973704. Inoltre, la

riunione doveva essere anche il luogo in cui sarebbero stati discussi gli eventuali risultati

raggiunti a Washington.

Tuttavia, la conferenza sull’energia fu l’occasione in cui si palesarono ufficialmente le

divergenze tra la politica francese e quella statunitense, facendo definitivamente fallire le

701 Cfr. L. Ascoli, L’Europa prepara una “controconferenza” con i Paesi arabi, «Fiorino», 12 febbraio 1974. 702 B. Tedeschi, Severo monito dell’OPEC ai paesi industrializzati, «Il Messaggero», 12 febbraio 1974. 703 Durante la riunione del Comitato Politico della CEE del 6 e 7 febbraio venne redatto infatti un rapporto nel quale furono sintetizzate le tre fasi che il dialogo euro-arabo avrebbe dovuto compiere: nella prima doveva esserci uno scambio di punti di vista tra la presidenza della Commissione europea e i paesi della Lega araba sulle diverse possibilità di cooperazione; successivamente si sarebbero dovute creare delle commissioni miste euro-arabe a livello di funzionari per approfondire le possibilità di cooperazione nei vari settori; infine, si sarebbe dovuta convocare una conferenza euro-araba tra i ministri degli Esteri interessati che, presumibilmente, si sarebbe tenuta nel '75 (cfr. Appunto del direttore generale degli Affari Politici del MAE, Roberto Ducci, per il ministro Moro, Roma, 1 marzo 1974, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 6, MAE, Sottoserie Visite e questioni diverse, Busta 40). 704 Cfr. Note du Secrétaire Général adjoint de la Commission des Communautés Européennes, Klaus Meyer, pour le Président, François-Xavier Ortoli et pour le Membre de la Commission, M. Claude Cheysson, Bruxelles, 12 febbraio 1974, HAEU, Fondo Klaus Meyer, n. 39.

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speranze della Comunità europea di parlare a una sola voce, nonostante l’accordo raggiunto dai

Nove il 5 febbraio sulla posizione comune da adottare a Washington. I problemi energetici non si

trattarono neanche a causa della disputa procedurale sul seguito che il summit avrebbe dovuto

avere. Fin dal primo giorno, infatti, il ministro degli Affari Esteri francese aveva minacciato i

partner europei di ritirarsi dal vertice qualora si fossero raggiunti accordi al di fuori di quanto

stabilito a Bruxelles o senza il consenso francese. D’altro canto, l’ostinazione di Jobert stava

spingendo gli altri delegati europei a valutare l’ipotesi di un’intesa senza la Francia705. Per questa

ragione, dopo i diversi tentativi fatti ai margini della conferenza, i ministri degli Esteri dei Nove

decisero all’unanimità di posporre a data da destinarsi il vertice di Bonn del 14 e 15 febbraio,

lasciando così chiaramente intendere che la divergenza con la Francia era tale da non poter

essere appianata nell’immediato706.

La posizione di Parigi era sempre stata quella di rifiutare qualsiasi forma di

istituzionalizzazione della cooperazione Europa-Stati Uniti nel settore energetico, al contrario di

quanto espressamente voluto da Kissinger e Nixon. Di fronte a questo convincimento, a nulla

valsero le diverse formule di compromesso presentate durante la conferenza nel vano tentativo di

convincere la Francia dal momento che tutte presupponevano la creazione di un comitato di

coordinamento sovranazionale707. Dal canto suo, Nixon restava fermo nella pretesa di una

collaborazione totale anche nel settore energetico, come avevano dimostrato l’aspra condanna

degli accordi bilaterali conclusi da Parigi e da Londra con i paesi produttori di petrolio e l’invito

a tutte le nazioni occidentali a non percorrere strade separate in materia di rifornimenti

petroliferi708. Secondo il presidente degli Stati Uniti, questioni quali la sicurezza, l’economia e

l’energia erano inevitabilmente collegate fra loro e non si poteva pretendere di collaborare solo

in alcuni specifici settori; se non si fosse giunti a un accordo sull’energia gli americani

minacciavano di avviare un nuovo periodo di isolazionismo. Un atteggiamento del genere venne

interpretato dai francesi come un tentativo di imporre la leadership di Washington a tutto

l’Occidente709. L’opposizione di Parigi partiva dunque da ragioni strettamente politiche: il rifiuto

di accettare propositi egemonici, il timore di reazioni negative dei paesi arabi e i dubbi

705 Cfr. Telegram n. 540 from Richard A. Sykes, Minister of British Embassy in Washington, to the Foreign and Commonwealth Office, Bruxelles, Washington, 12 febbraio 1974, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, cit., doc. 548. 706 Cfr. Telegram n. 562 from Richard A. Sykes, Minister of British Embassy in Washington, to the Foreign and Commonwealth Office, Washington, 12 febbraio 1974, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, cit., doc. 549. 707 Cfr. Télégramme du Ministère des Affaires Étrangères, Michel Jobert, au Président de la République, Georges Pompidou, Washington, 12 novembre 1974, CHAN, Archives présidentielles, Fondo Georges Pompidou, 5 AG 2, c. 1037. 708 Per un approfondimento sugli accordi conclusi dagli Stati europei con i paesi arabi esportatori di petrolio cfr. F. Petrini, L’arma del petrolio: lo “shock” petrolifero e il confronto Nord-Sud, cit., in D. Caviglia, A. Varsori (a cura di), Dollari, Petrolio e aiuti allo sviluppo. Il confronto Nord-Sud negli anni '60-70, cit., pp. 98-99. 709 Cfr. Télégramme de l'Ambassade de France à Washington au Ministère des Affaires Étrangères, Washington, 15 febbraio 1974, MAEF, Archives Diplomatiques, Affaires économiques et financières, Affaires générales, 1967-1975, 405.

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sull’efficacia tecnica delle misure proposte. Questa scelta portò la Francia a declinare l’invito a

far parte del gruppo di coordinamento sull’energia – il cosiddetto Gruppo dei Dodici nato

proprio dalla conferenza di Washington – provocando così una grave battuta d’arresto nel

percorso di formazione di una politica comunitaria710.

Nel complesso, la conferenza di Washington711 finì per formalizzare le divergenze

franco-statunitensi e la spaccatura all’interno della CEE712. Anche in Italia si accolsero i risultati

del vertice con profonda delusione: le maggiori testate giornalistiche rimarcarono il grave colpo

dato alla Comunità e l’arrendevolezza degli europei di fronte alla volontà americana713. Le

pressioni degli Stati Uniti, e più precisamente di Kissinger, portarono alla luce la debolezza e le

divisioni in campo europeo, oltre che la persistente capacità americana di orientare le decisioni

della Comunità714. Ciononostante, il cosiddetto dialogo euro-arabo non fu mai messo in

discussione all’interno dei Nove dove anche i britannici resistettero alle pressioni di Washington

rifiutandosi di sconfessare la linea comunitaria. A questo proposito, il ministro degli Esteri

Douglas-Home incaricò l’ambasciatore britannico a Washington di spiegare le motivazioni per

cui i rapporti dei Nove con gli arabi non dovevano essere considerati con sospetto dagli Stati

Uniti; il dialogo con i paesi dell’area mediorientale non si poneva in contrasto con la politica

estera americana:

“it [was] not a question of the Nine making an unsolicited approach to the Arabs. The Arabs

asked the Community for a dialogue and the Community [could] hardly turn them down;

particularly since they [had] been told to expect a reply. We [did] not believe that the European

dialogue with the Arabs [could] damage American policies. We would oppose, within the

political cooperation machinery of the Nine any development in policy towards the Arabs which

might cut across America peace efforts or international discussion on oil supplies and prices. The

relationship between Europe and the Arabs […] [had] nothing to do with peacemaking and only a

remote connection with oil. Indeed one of the most important things about the dialogue [was] that

710 Cfr. Télégramme de l'Ambassade de France au Luxembourg (M. Luc) au Ministère des Affaires Étrangères, Lussemburgo, 21 febbraio 1974, MAEF, Archives Diplomatiques, Affaires économiques et financières, Affaires générales, 1967-1975, 405. 711 Per il testo finale approvato a Washington si vedano, tra gli altri, Ministero degli Affari Esteri (Servizio Storico e Documentazione), Italia e Medio Oriente (1967-1974), cit., pp. 213-220; Telegram n. 575 from Richard A. Sykes, Minister of British Embassy in Washington, to the Foreign and Commonwealth Office, Washington, 13 febbraio 1974, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, cit., doc. 551. 712 Per ulteriori approfondimenti si veda F. Petrini, L’arma del petrolio: lo “shock” petrolifero e il confronto Nord-Sud, cit., in D. Caviglia, A. Varsori (a cura di), Dollari, Petrolio e aiuti allo sviluppo. Il confronto Nord-Sud negli anni '60-70, cit., pp. 102-106. 713 Si vedano, ad esempio, F. Ivaldo, Ancora un passo indietro della Comunità Europea, «Il Messaggero», 14 febbraio 1974; F. Riccardi, Da Washington un colpo all’unità della Comunità, «Il Giorno», 14 febbraio 1974; G. Signorini, L’Europa si piega a Nixon, «Paese Sera», 14 febbraio 1974; U. Stille, La Francia è rimasta isolata alla fine della conferenza sull’energia, «Corriere della Sera», 14 febbraio 1974. 714 Le reazioni dell’OPEC ai risultati della conferenza di Washington furono chiaramente negative: i paesi della Comunità, eccezion fatta per la Francia, venivano accusati di aver ceduto completamente all’egemonia americana [per approfondimenti si vedano, tra gli altri, Gli arabi contrari alle tesi di Washington (articolo non firmato), «IL Giornale d’Italia», 14-15 febbraio 1974; Prime reazioni negative dei produttori all’accordo sulla politica energetica (articolo redazionale), «La Voce Repubblicana», 15 febbraio 1974].

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it [would] divert the Arabs from their expressed wish for a further European statement on peace

and notably boundaries. We [wanted] to avoid further declaration and we [knew] the Americans

[wanted] us to as well. There [were] many hoops to go through before we [got] to the stage of a

conference between the European and the Arabs. There [were] therefore no question of a

juxtaposition between such a conference and the Washington energy conference or the follow-up

meeting. The Arabs [were] already aware of the broad outline of what [was] being proposed. If

we [did] not proceed with it they [would] deduce that we [had] been ridden off it under pressure

from Israelis or the Americans or both. This [would] do no good to the interests of the West in

general witch [was] surely best secured by keeping in close touch with the Arabs. […] We and

other members of the Nine [were] keeping Americans informed bilaterally: and [were] taking

account of American views all the time. The Nine agreed that the Americans [should] be

informed officially”715.

D’altra parte sarebbe stato impossibile per gli europei annullare all’istante gli accordi

bilaterali faticosamente raggiunti con alcuni paesi arabi. E per la stessa motivazione, sottolineata

anche da Douglas-Home, sarebbe stato controproducente bloccare il dialogo euro-arabo prima

del suo inizio effettivo716. Ciò che necessitava era però il recupero della Francia, vera promotrice

dell’azione della Comunità verso i produttori. Sotto questo profilo, la documentazione francese

sembra confermare l’orientamento di Parigi volto a sostenere la cooperazione fra i Nove anche

all’indomani della rottura di Washington. Secondo quanto riportato da uno studio interno alla

Presidenza della Repubblica circa le ipotesi di sviluppo del mercato petrolifero nei dieci anni a

seguire, i principali paesi produttori avrebbero giocato un ruolo sempre più importante nei

traffici petroliferi mondiali e bisognava agire rapidamente per evitare il peggio. Fra le misure da

prendere erano indicate la riduzione dei consumi, una nuova politica di esplorazione che

comprendesse anche i mari e l’unificazione dei prezzi petroliferi all’interno della CEE come

condizione essenziale per il funzionamento del mercato comune e per lo sviluppo di una politica

energetica concordata. Nel documento veniva anche previsto che l’Arabia Saudita sarebbe

diventata il vero fulcro dei traffici petroliferi mondiali e che pertanto avrebbe attratto molti

investimenti provenienti degli Stati Uniti. In virtù di queste valutazioni e del fatto che gli

715 Telegram n. 436 from Sir Alec Douglas-Home, Secretary of State for Foreign and Commonwealth Affairs, to United Kingdom Representative in Washington, Londra, 20 febbraio 1974, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, cit., doc. 558. 716 Molto interessanti, in proposito, le parole di Moro (in parte già citate) riferite alla Commissione Esteri della Camera il 28 febbraio: “[…] se si profilasse, almeno a livello europeo, una gestione comunitaria per quanto riguarda[va] l’acquisizione, secondo criteri di equità, dell’energia, noi non [avremmo esitato] un istante a rinunciare, nella misura in cui ci [venisse] richiesto, ai nostri rapporti bilaterali, per inserirci in quelli multilaterali ai quali si fosse finalmente riusciti a dar vita. [Era] da tempo infatti che noi [chiedevamo] alla Comunità di porre in essere una propria politica energetica, che il corso degli ultimi avvenimenti [andava] dimostrando, ogni giorno di più, indispensabile” [Resoconto Sommario delle Comunicazioni del Ministro degli Affari Esteri On. Aldo Moro alla Commissione Esteri della Camera, Roma, 28 febbraio, 1974, Ministero degli Affari Esteri (Servizio Storico e Documentazione), Italia e Medio Oriente (1967-1974), cit., pp. 227-228].

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americani avrebbero detenuto ancora a lungo ingenti riserve petrolifere non risultava in quella

fase conveniente per la Francia sviluppare un’azione in opposizione agli interessi USA717.

Ciò faceva presupporre che l’Europa avrebbe potuto contare anche sulla Francia sulla

strada di un appianamento delle divergenze anche in merito alla cooperazione con gli Stati Uniti.

La riunione del 21 febbraio del Comitato dei rappresentanti permanenti presso la CEE, che

doveva discutere sui risultati della conferenza sull’energia e analizzare i passi successivi da

compiere in questa direzione, costituì il primo vero banco di prova. Nella fattispecie, la

Comunità era stata chiamata a rispondere all’invito statunitense a riunirsi entro la fine del mese

per tenere la prima riunione del gruppo di coordinamento sull’energia, in ottemperanza al punto

16 del comunicato finale della conferenza di Washington718. La delegazione francese colse

tuttavia l’occasione per ribadire la propria opposizione al progetto di Kissinger precisando che

non avrebbe partecipato a alcuna riunione inerente l’argomento. Inoltre, la Francia si opponeva

alla partecipazione stessa della Commissione europea al gruppo di coordinamento sull’energia

poiché sulla creazione di questo comitato non c’era stata unanimità in sede comunitaria719. Il

ragionamento di Parigi partiva dal presupposto che la politica economica rientrava nelle

competenze della Commissione di Bruxelles e i Nove, per di più, avevano anche sottoscritto a

Copenaghen un documento con il quale si impegnavano a definire e a perseguire una politica

comune dell’energia fondata in larga parte sul dialogo con i paesi arabi produttori di petrolio. Se

quindi alcuni Stati europei volevano, a titolo individuale, inquadrare la loro politica energetica

all’interno del progetto statunitense sarebbe stato necessario che la Commissione rinunciasse alla

propria competenza in materia, mettendo così gravemente a rischio l’unità dei Nove e bloccando

717 Cfr. Notes de synthèse sur les problèmes pétrolifères : hypothèse de développements dans les prochains 10 ans, Parigi, 21 febbraio 1974, CHAN, Archives présidentielles, Fondo Georges Pompidou, 5 AG 2, c. 67. 718 “[Foreign Ministers of Belgium, Canada, Denmark, France, the Federal Republic of Germany, Ireland, Italy, Japan, Luxembourg, the Netherlands, Norway, the United Kingdom, the United States] […] agreed to establish a coordinating group headed by senior officials to direct and to coordinate the development of the actions referred to above. The coordinating group shall decide how best to organize its work. It should: (a) Monitor and give focus to the tasks that might be addressed in existing organizations; (b) Establish such ad hoc working groups as may be necessary to undertake tasks for which there are presently no suitable bodies; (c) Direct preparations of a conference of consumer and producer countries which will be held at the earliest possible opportunity and which, if necessary, will be preceded by a further meeting of consumer countries. […] France does not accept this paragraph” [Telegram n. 575 from Richard A. Sykes, Minister of British Embassy in Washington, to the Foreign and Commonwealth Office, Washington, 13 febbraio 1974, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, cit., doc. 551; Ministero degli Affari Esteri (Servizio Storico e Documentazione), Italia e Medio Oriente (1967-1974), cit., p. 216]. 719 “La France ne s’est pas associés à l’adoption du § 16 du Communiqué final de Washington. Par conséquent, elle ne participera à la réunion des 25 et 26 février et il en découle que la Communauté, en tant que telle, ne sera pas non plus représentée à cette réunion. Dans l’esprit de cette délégation, la même chose vaudrait pour la Commission, laquelle n’a pas sa place à cette réunion ni en qualité de participant ni en qualité d’observateur. Cette délégation a saisi l'occasion pour rappeler les termes de l'art. 229 du Traité CEE, en affirmant qu'en cas de participation de la Commission aux réunions du Groupe de coordination, son rôle serait en contradiction avec cet article” (Note du Secrétaire Général adjoint de la Commission des Communautés Européennes, Klaus Meyer, pour les membres de la Commission, Bruxelles, 22 febbraio 1974, HAEU, Fondo European Commission, BAC 25/1980, 1024). L’articolo 229 del Trattato istitutivo della CEE stabiliva infatti che la Commissione aveva il compito di assicurare “ogni utile collegamento con gli organi delle Nazioni Unite, degli istituti specializzati delle Nazioni Unite e dell’Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio”. Secondo l’interpretazione di Parigi, la Commissione avrebbe dunque dovuto affrontare i temi energetici direttamente in sede ONU, in ottemperanza alla richiesta fatta nel gennaio precedente da Jobert a Kurt Waldheim di convocare d’urgenza una conferenza mondiale sull’energia.

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ogni ulteriore progresso. Si era insomma giunti a una situazione di stallo completo che avrebbe

probabilmente richiesto parecchi mesi per ricucire lo strappo con la Francia720.

Tuttavia la riunione dei ministri degli Esteri della CEE del 4 marzo offrì l’occasione per

superare l’impasse mediante l’approvazione di un aide-mémoire che, nonostante i dissidi interni

dopo la conferenza di Washington, optava per il proseguimento del dialogo euro-arabo721. Alla

Repubblica Federale Tedesca, in qualità di presidente di turno della Comunità, sarebbe spettato il

compito di proporre ai paesi arabi, attraverso i rappresentanti istituzionali, la cooperazione in

diverse aree, incluse l’industria, l’agricoltura, l’energia e le materie prime, le scienze e la

tecnologia, la finanza e l’istruzione. In particolare, il ministro degli Esteri tedesco era incaricato

di realizzare dei gruppi di lavoro congiunti con i paesi arabi con l’obiettivo di porre le premesse

per un vertice a livello di ministri degli Esteri722. Di fronte alla decisione dei Nove di persistere

nel dialogo con gli arabi, la reazione americana non si fece attendere723. Ciò che veniva

contestato da Kissinger non era la cooperazione in sé ma il processo mediante il quale gli europei

avevano deciso di intraprendere il dialogo. In particolare suscitava irritazione il riferimento

nell’aide-mémoire a un incontro dei ministri degli Esteri con gli arabi che appariva come

un’intenzionale gesto dei Nove diretto a sviluppare la propria identità in antagonismo con gli

720 Al contempo Parigi aveva continuato la propria politica bilaterale con i paesi arabi e in particolare con l’Iran al quale venne proposto anche un accordo in campo nucleare: “La France en mettant à la disposition de l’Iran son potentiel technologique dans le domaine de l'énergie nucléaire: fourniture de centrales atomiques, approvisionnement en uranium enrichi, mise en place des dispositions de sûreté nucléaire, formation de techniciens et développement en commun de techniques et d'installations nucléaires en Iran et en France” (Perspectives d’une collaboration entre l’Iran et la France dans le domaine de l’énergie, Lettre du Délégué Général à l’Energie au Première Ministre, Parigi, 23 febbraio 1974, CHAN, Archives présidentielles, Fondo Georges Pompidou, 5 AG 2, c. 173). I tentativi francesi non si nascosero alla comunità internazionale e le proteste statunitensi non tardarono a arrivare. Kissinger scrisse nelle sue memorie che: “La Francia si trovava in prima fila tra quei nostri alleati che stavano sfruttando l’embargo per concludere accordi bilaterali con i paesi produttori – quasi sempre dando armi contro il petrolio. Ed era stata la Francia a agire come punta di lancia nel cosiddetto dialogo europeo-arabo, l’alternativa europea alla nostra diplomazia nel Medio Oriente, e il cui scopo - mai dichiarato apertamente - poteva consistere soltanto dalla dissociazione dagli Stati Uniti” (H. A. Kissinger, Anni di crisi, cit., p. 711). In realtà, però, anche gli Stati Uniti avviarono e cercarono di dar vita a una serie di accordi bilaterali con gli stessi intenti di Parigi, ma in maniera segreta e continuando a insistere pubblicamente sull’urgenza di un’azione comune. 721 Si trattava di un compromesso che prevedeva l’avvio solo della prima fase del dialogo euro-arabo così come previsto durante la riunione del Comitato Politico del 6-7 febbraio, rinviando alle successive riunioni le discussioni su come procedere. Anche su questo accordo però il consenso non fu unanime e, in particolare, Londra, appoggiata da Bonn, pose una riserva sulla necessità di collegare l’iniziativa a misure che prevedessero la consultazione dei Nove con gli Stati Uniti. 722 Cfr. Meeting minute between Michael S. Weir, Counsellor and Head of Chancery of United Kingdom Mission in New York, and Alan Campbell, Assistant Under-Secretary of State for Foreign and Commonwealth Affairs, Londra, 6 marzo 1974, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, cit., doc. 564. I governi dei paesi arabi giudicarono positivamente sia il dialogo euro-arabo in sé che l’iniziativa di una conferenza per la cooperazione [cfr. Si arabo alla proposta CEE (articolo non firmato), «Avanti», 7 marzo 1974]. 723 Secondo quanto dichiarato da Washington, lo sviluppo del dialogo euro-arabo avrebbe potuto portare i paesi europei a cedere di fronte all’insistente richiesta araba di forniture di armi. In realtà, però, le perplessità d’oltreoceano nascevano dalla volontà del dipartimento di Stato di controllare direttamente l’andamento di questo processo e presumibilmente esse ebbero un certo peso nel far affiorare ripensamenti in alcuni governi della CEE. Per quanto concerneva l’Italia, la posizione di Moro fu invece quella di voler proseguire con il dialogo così come era stato concepito precedentemente in sede comunitaria, avvicinando la penisola alle strategie di Parigi. Tra il ministro degli Esteri italiano e quello francese si ebbero infatti una serie di incontri che dimostrarono come il Medio Oriente fosse ormai divenuto un punto focale nella politica estera di entrambe le nazioni. Per l’Italia questa convergenza suscitò tuttavia notevoli dubbi sia in funzione della posizione antagonista che la Francia stava sviluppando all’interno dei Nove sia per la netta contrapposizione di Parigi con la politica di Washington; pertanto il governo italiano non era disposto a spingersi fino a sviluppare un dialogo euro-arabo al di fuori di un’azione che partisse esclusivamente dalla Comunità europea [per approfondimenti si veda L. Riccardi, Sempre più con gli arabi. La politica italiana verso il Medio Oriente dopo la guerra del Kippur (1973-1976), cit., pp. 65-69]. La Comunità europea, secondo quanto sostenuto dallo stesso Moro, doveva svolgere un ruolo essenziale nell’evoluzione di una politica filo-araba [cfr. L. V. Ferraris (a cura di), Manuale della politica estera italiana, 1947-1993, cit., p. 269].

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Stati Uniti724. La situazione appariva piuttosto delicata in quanto se la Comunità avesse deciso, a

causa della pressione del segretario di Stato, di modificare le scelte del 4 marzo precedente la

Francia avrebbe sicuramente bloccato l’intero processo di cooperazione europea aprendo così le

porte al rischio di uno sfaldamento complessivo. Allo stesso modo vi era da attendersi una

reazione negativa del fronte arabo al punto da compromettere, con tutta probabilità, le relazioni

future. D’altronde, la Comunità non poteva trovarsi nella condizione di dover scegliere tra

Washington e Parigi e pertanto non restava che sperare che francesi e americani moderassero le

loro posizioni di partenza fino al raggiungimento di un compromesso725.

Nel frattempo, la crisi petrolifera internazionale sembrava volgere verso una fase

conclusiva. Durante la conferenza straordinaria di Vienna del 18-19 marzo sette paesi arabi

dell’Organization of Arab Petroleum Exporting Countries726 annunciarono ufficialmente la

sospensione dell’embargo nei confronti degli Stati Uniti, mentre la Libia, la Siria e l’Iraq

affermarono di voler continuare l’applicazione della sanzione. L’embargo rimase in vigore anche

nei confronti dell’Olanda, della Danimarca, della Rhodesia, del Portogallo e del Sud Africa727.

Nella stessa riunione si decise anche di includere l’Italia e la Germania Federale fra i paesi

cosiddetti “amici”, ciò che avrebbe comportato un ritorno della quantità di greggio importata da

Roma e Bonn ai livelli del settembre '73728. Ora che la crisi energetica aveva di fatto superato la

fase più acuta sembrava giunto il momento di concentrarsi sugli aiuti ai paesi poveri messi a dura

prova dalla situazione. In una comunicazione del 21 marzo '74 indirizzata al presidente del

Consiglio delle Comunità europee, Walter Scheel, il presidente della Commissione, François-

Xavier Ortoli, propose la creazione di un Fondo mondiale di tre miliardi di dollari da distribuire

agli Stati più colpiti, nel quale tutti i paesi ricchi, e non solo i donatori tradizionali, erano

chiamati a contribuire. La Comunità avrebbe dovuto presentare il progetto in occasione della

sessione speciale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 9 aprile '74 dedicata ai

problemi delle materie prime e dello sviluppo729. Da parte statunitense si istituì invece una

724 Cfr. Telegram n. 817 from Sir Peter Ramsbotham, British Ambassador in Washington, to the Foreign and Commonwealth Office, Washington, 7 marzo 1974, TNA, FCO, in K. Hamilton, P. Salmon, The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, cit., doc. 565. 725 Nella riunione del Comitato Politico del 12 e 13 marzo si prese ufficialmente atto dell’impossibilità di dare attuazione alle scelte della riunione del 4 marzo precedente in quanto la Gran Bretagna non aveva ancora sciolto la riserva e non esisteva una reale comunità di intenti su come il dialogo euro-arabo avrebbe dovuto proseguire [cfr. L. Riccardi, Sempre più con gli arabi. La politica italiana verso il Medio Oriente dopo la guerra del Kippur (1973-1976), cit., pp. 67-68]. 726 L’OAPEC venne fondata nel '68 dal Kuwait, dalla Libia e dall’Arabia Saudita, già membri dell’OPEC, con lo scopo di separare la produzione di petrolio dalle vicende politiche. Successivamente entrarono a far parte dell’organizzazione anche l’Algeria, l’Iraq, la Siria e l’Egitto, il Bahrein, gli Emirati Arabi Uniti, la Nigeria e il Qatar. 727 Cfr. Nota rapida sull’industria petrolifera, appunto interno non firmato, Roma, 22 marzo 1974, ASE, coll. BB. III. 1, udc. 422. 728 Ibidem. 729 Cfr. Lettera di Ortoli, presidente della Commissione delle Comunità europee, a Walter Scheel, presidente del Consiglio delle Comunità europee, Bruxelles, 21 marzo 1974, ACEU, Intermediate Archives, 12027. La sessione speciale dell’Assemblea dell’ONU era stata promossa dal Movimento dei non allineati il quale, al termine di accesi dibattiti, riuscì a ottenere l’approvazione di una risoluzione che sanciva l’obiettivo di creare un Nuovo ordine economico internazionale [per ulteriori approfondimenti si vedano, tra

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commissione ad hoc a cui presero parte rappresentanti del dipartimento di Stato, del Tesoro,

dell’Agency for International Development, del Council on International Economic Policy, del

Council of Economic Advisers e del National Security Council. Il rapporto finale stabilì che gli

Stati Uniti dovevano intervenire anche e soprattutto per mantenere e rafforzare la leadership

acquisita a partire dalla fine della prima guerra mondiale. In questo contesto, i paesi in via di

sviluppo erano considerati di primaria importanza sia perché gli USA ne erano i principali

creditori, e quindi risultavano direttamente interessati a garantirne le capacità di pagamento dei

debiti già contratti, sia perché le difficoltà economiche erano da sempre ritenute le principali

cause dell’instabilità politica interna730.

La questione degli aiuti ai paesi più in difficoltà sarebbe stata affrontata durante la sesta

sessione straordinaria dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di aprile, mentre il problema

della cooperazione europea e internazionale all’indomani della conferenza di Washington era

destinato a prolungarsi per diverso tempo e a condizionare le situazioni future.

gli altri, J. Bhagwati, The New International Economic Order: the North-South Debate, cit.; G. Garavini, La Comunità europea e il Nuovo ordine economico internazionale (1974-1977), cit.; K. P. Sauvant, The Group of 77: evolution, structure, organization, cit.]. 730 Cfr. Paper prepared by Ad Hoc Group of IER, Group including representatives of State, Treasury, AID, CIEP, Council of Economic Advisers, NSC, Washington, 29 marzo 1974, GFL, Federal Reserve Board, Subject Files, Council of Economic Advisers. Per approfondimenti si veda S. Labbate, Il ruolo dei petroldollari nelle relazioni Nord-Sud, in D. Caviglia, A. Varsori (a cura di), Dollari, Petrolio e aiuti allo sviluppo. Il confronto Nord-Sud negli anni '60-70, cit., pp. 154-158.

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CAPITOLO V

LA RISPOSTA ITALIANA ALLA CRISI PETROLIFERA

1. Gli sviluppi dell’energia nucleare

Lo shock petrolifero e la conseguente difficoltà di approvvigionamento energetico

avevano dimostrato ancora una volta la necessità improrogabile di trovare valide alternative ai

rifornimenti mediorientali731. In questo ambito, la soluzione più efficace era senza dubbio

rappresentata dalla prosecuzione degli investimenti nel settore nucleare: seppure non

nell’immediato, lo sviluppo dell’energia atomica per scopi pacifici avrebbe permesso all’Italia di

raggiungere il traguardo dell’indipendenza energetica dall’estero, eliminando sia i rischi di

possibili carenze di approvvigionamento che i costi eccessivi determinatisi dopo la guerra del

Kippur732.

Si trattava in pratica di riprendere il cammino interrotto nel '63 quando la penisola si

trovava al terzo posto mondiale fra i paesi produttori di energia elettronucleare e l’ENEL, da

poco costituita, decise, spinta dal direttore generale Angelini, di accantonare temporaneamente il

programma intermedio di costruzione di nuovi impianti nucleari proposto dal CNEN nel '62 per

aumentare la capacità produttiva di circa 1.500 MWe nel '70. Come già visto, solo nel novembre

'69 l’ente statale decise l’avvio della costruzione della quarta centrale nucleare a Caorso, con un

reattore a acqua bollente di ottocento MWe della General Electric. Il programma dell’ENEL

prevedeva l’ordinazione di un nuovo impianto da ottocento-mille MWe all’anno per il

quadriennio 1970-1974 ma i finanziamenti vennero negati bloccando ogni iniziativa fino al '72.

In quell’anno si rilanciò il piano nucleare e l’ENEL decise la costruzione del quinto e del sesto

impianto, ciascuno di uguale potenza rispetto a quello del Caorso; essi sarebbero stati realizzati

nel Lazio mediante la compartecipazione dell’Ansaldo Meccanico-Nucleare e della General

Electric733. Questi nuovi progetti erano ancora in cantiere quando scoppiò la crisi petrolifera e

non furono pertanto in grado di alleviare la riduzione degli approvvigionamenti e l’aumento

vertiginoso dei costi energetici. Alla fine del '73 l’Italia, dal terzo posto detenuto negli anni 731 Per uno studio sulla situazione del mercato petrolifero internazionale dopo i primi difficili mesi dello shock si veda, tra gli altri, D. Yergin, The Prize. The Epic Quest for Oil, Money and Power, cit., pp. 633-673. 732 La scelta di riprendere gli investimenti nel nucleare non era però condivisa da tutto il mondo politico italiano [per approfondimenti cfr. A. Clô, Crisi energetica: consumi, risparmi e penetrazione elettrica, in G. Zanetti (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 5, cit., pp. 122-124]. Sulle motivazioni della necessità assoluta di investire nel settore degli usi pacifici dell’energia atomica si veda invece S. Vaccà, Politica energetica e sviluppo nucleare: ragioni e limiti , in AA. VV. Una strategia per lo sviluppo energetico italiano, Milano, 1977, pp. 21-35.) 733 La costruzione della centrale elettronucleare nel Molise venne assegnata alla SENN su licenza Westinghouse, ma l’autorizzazione subì un blocco per via dell’immediata opposizione della Regione (per approfondimenti si vedano Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazione del Direttore generale al Consiglio di amministrazione sull’attività dell’ente nel 1973, Roma, 1974, pp. 427-431, ASENEL; P. Fornaciari, Il petrolio, l’atomo e il metano: l’Italia nucleare, 1946-1997, cit., pp. 84-85).

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Sessanta, scese al quattordicesimo nella produzione elettronucleare mondiale con una potenza

installata o in costruzione pari a 1.412 MWe734. Una svolta in questa direzione si ebbe già con

l’insediamento ufficiale dei nuovi vertici dell’ENEL nel marzo del '73 e con i progetti delineati

dal ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, Mauro Ferri, per potenziare le

centrali nucleari del paese735. Fu però la crisi petrolifera a accelerare in modo decisivo i piani per

l’utilizzo dell’energia atomica determinando, a partire dal 1974, una serie di rilevanti iniziative

nel settore. Nella programmazione approvata nel dicembre '73 dal Consiglio di amministrazione

dell’ente elettrico, si decise l’ordinazione di altre due centrali nucleari e si stabilì di

commissionare altrettanti impianti per ogni anno successivo736. La consapevolezza di dover

modificare radicalmente la politica nucleare portata avanti fino a quel momento divenne dunque

realtà anche all’interno dell’ENEL, così come testimonia la relazione annuale del Consiglio di

amministrazione del dicembre '74:

“[La crisi petrolifera rese] improcrastinabile il ricorso a fonti alternative o, per meglio dire,

integrative, al fine di assicurare in ogni caso all’economia nazionale il soddisfacimento dei

fabbisogni energetici. Escluso che i consumi di prodotti petroliferi [potessero] continuare a

crescere al ritmo assunto in questi ultimi dieci anni, sia per ragioni di disponibilità, sia perché non

era assolutamente prevedibile un così forte aumento del loro prezzo nel giro di soli tre mesi […] il

ricorso all’energia nucleare rappresenta[va] la sola alternativa industriale valida”737.

Al pari di quanto accadde in tutti i paesi industrializzati che svilupparono all’indomani

della crisi petrolifera un sostanziale incremento dei programmi di centrali nucleari, anche in

Italia la decisione andò incontro a notevoli ostacoli acuiti dall’aggravarsi della situazione

economica e finanziaria che coinvolgeva tutto l’Occidente. L’unico paese che faceva eccezione

per le scelte messe in campo dopo lo shock petrolifero furono gli Stati Uniti: Washington,

capitale della nazione di gran lunga più impegnata nello sviluppo dell’energia atomica per scopi

pacifici, optò infatti per un momentaneo rallentamento dei programmi nucleari. Con ogni

probabilità la mossa si rese necessaria sia per la fase di stasi registrata nel ritmo di sviluppo della

734 Prima dell’Italia nella classifica della produzione elettronucleare figuravano rispettivamente Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, Repubblica Federale Tedesca, Unione Sovietica, Francia, Svezia, Spagna, Canada, Cecoslovacchia, Svizzera, Repubblica Democratica Tedesca e Belgio (ibidem, p. 85). 735 Si nominò presidente dell’ENEL proprio Arnaldo Maria Angelini che dovette quindi dimettersi dalla carica di consigliere del Consiglio di amministrazione del CNEN (per approfondimenti si veda Verbale dell’8ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 3 aprile 1973, p. 4, ASENEA). 736 Cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1973, Roma, 1974, p. 10, ASENEL; Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazione del Direttore generale al Consiglio di amministrazione sull’attività dell’ente nel 1973, Roma, 1974, pp. 427-458, ibidem. 737 Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1974, Roma, 1975, p. 7, ibidem.

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domanda di energia, che per le gravi difficoltà finanziarie incontrate da molte società elettriche.

Il programma nucleare americano rimase tuttavia il più rilevante in quanto a dimensioni e le

nuove decisioni non ne intaccarono l’ampiezza e l’impatto globale. D’altronde, la crisi

petrolifera era troppo recente perché tutte le sue conseguenze sull’economia e sullo sviluppo

energetico del mondo occidentale potessero considerarsi concluse, cosicché risultava pressoché

impossibile avventurarsi in previsioni sul futuro.

In questa situazione di completa incertezza, si erano tuttavia delineati alcuni assiomi

condivisi da tutti gli operatori internazionali del settore energetico e dai governi: la fonte

nucleare, innanzitutto, rappresentava l’unica realistica alternativa ai combustibili fossili

utilizzabile al più presto e su scala industriale; inoltre, la domanda complessiva di energia dopo

un periodo di assestamento era destinata a crescere nuovamente a ritmi sostenuti a causa proprio

dell’esistenza della fonte nucleare, la cui unica applicazione industriale di rilievo appariva

nell’immediato confinata alla produzione di energia elettrica. Queste certezze portarono

praticamente tutti i paesi industrializzati del mondo occidentale a puntare pressoché

esclusivamente sul nucleare. Un indirizzo che si concretizzò anche in Italia dove le difficoltà

energetiche erano le più critiche dell’area occidentale. Pertanto, nel '74 il nuovo presidente

dell’ENEL, Arnaldo Maria Angelini, che all’indomani della nascita dell’ente elettrico era stato in

qualità di direttore generale il principale artefice dell’accantonamento del piano di costruzione di

nuovi impianti elettronucleari, si fece promotore della nuova politica nucleare nazionale,

sottolineando pubblicamente la necessità di promuovere consistenti investimenti nel settore:

“Gli eventi eccezionali, che [avevano] caratterizzato il settore energetico a partire

dall’autunno 1973, [rendevano] alquanto difficile effettuare in tema di energia previsioni a medio

e a lungo termine che [avessero] l’attendibilità desiderabile; agli usuali elementi di incertezza se

ne [aggiungevano] infatti oggi molti altri, alcuni dei quali rilevanti, come ad esempio l’andamento

nel tempo del prezzo di alcune fonti energetiche primarie e le conseguenze che prezzo e

disponibilità di tali fonti [avrebbero potuto] avere sullo sviluppo economico dei singoli Paesi.

Queste difficoltà [permanevano] quando dalle previsioni dei fabbisogni energetici complessivi si

[passava] a quelle relative alla domanda di energia elettrica. Esse [apparivano] però di entità

minore e ciò essenzialmente in quanto per il soddisfacimento della domanda di energia elettrica si

[poteva] contare su una fonte, quella nucleare, che [era] competitiva e caratterizzata da una buona

sicurezza di approvvigionamento; inoltre la tendenza, in atto da decenni, a convertire una parte

crescente del fabbisogno energetico complessivo in energia elettrica [avrebbe continuato] con

ogni probabilità a manifestarsi ed anche questo elemento [avrebbe dovuto] contribuire a ridurre il

grado di incertezza delle previsioni. Su quello che [sarebbe stato] poi il ruolo della fonte nucleare

per la produzione di energia elettrica, le previsioni, a rigor di logica, [avrebbero dovuto] avere un

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grado di attendibilità ancora maggiore, in quanto [appariva] oggi scontato che nella maggior parte

dei Paesi industrializzati le nuove centrali da mettere in cantiere [sarebbero state] nella quasi

totalità nucleari. Ciò [valeva] in particolare per quei Paesi, come l’Italia, che non [disponevano]

di combustibili fossili se non in quantitativi molto limitati e per i quali l’energia nucleare, oltre ad

essere economicamente conveniente, rappresenta[va] l’unica alternativa valida sul piano

industriale per ridurre il deficit valutario dovuto alle importazioni di petrolio e la dipendenza dai

Paesi produttori e per migliorare la sicurezza di approvvigionamento delle importazioni

energetiche”738.

Se, dunque, dopo la seconda guerra mondiale il petrolio appariva l’unica fonte energetica

conveniente grazie all’abbondanza, all’economicità, alla facilità di trasporto, oltre che per la sua

duttilità, gli eventi verificatisi con lo shock del '73 avevano finito per rendere l’uso pacifico

dell’energia atomica la strada più efficace per rispondere alle esigenze internazionali degli anni

Settanta e Ottanta. L’energia elettrica di origine nucleare risultava adesso notevolmente più

conveniente dal punto di vista economico rispetto a quella prodotta con combustibili fossili.

Questa tendenza sembrava inoltre destinata a durare anche nel medio e nel lungo periodo. D’altra

parte, il nucleare appariva preferibile ai combustibili fossili di importazione anche in funzione

della sicurezza degli approvvigionamenti: dalle recenti ricerche l’uranio risultava infatti alquanto

diffuso nel mondo e i principali giacimenti scoperti si trovavano in paesi politicamente stabili.

Era dunque ragionevole immaginare che l’intensificarsi delle ricerche avrebbe determinato un

notevole incremento delle riserve di uranio naturale accertate. Un altro vantaggio era

rappresentato dal minore costo di produzione energetica: per ogni kWh prodotto in una centrale

atomica si otteneva un risparmio di quasi nove volte superiore rispetto a un impianto

termolettrico. In un momento di grave crisi economica internazionale anche questa differenza si

rivelò determinante nelle valutazioni dei paesi maggiormente colpiti dallo shock petrolifero e dai

suoi risvolti finanziari. Vi erano però delle difficoltà oggettive da considerare in merito

all’installazione di nuove centrali nucleari: in diversi paesi, e principalmente negli Stati Uniti, si

riscontrarono difatti dei problemi sulla collocazione dei siti in seguito a campagne di stampa e a

prese di posizione contrarie alla costruzione di ulteriori impianti. Il fenomeno era sul punto di

trasferirsi anche in Italia favorito dai tempi sempre più lunghi registrati per ottenere le necessarie

autorizzazioni burocratiche e amministrative739. Le difficoltà maggiori provenivano però dai

738 A. M. Angelini, Verso la prevalenza dell’energia elettrica da fonte nucleare, relazione presentata alle XIII Giornate dell’Energia Nucleare tenuto a Milano dal 12 al 14 dicembre 1974 sul tema “La fonte nucleare nel futuro energetico”, in Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, ENEL, Società Italiana per il Progresso delle Scienze, Raccolta di Scritti sull’Energia Elettrica del Prof. Arnaldo Maria Angelini, cit., pp. 453-454. 739 Durante l’estate del '73, infatti, il governo italiano, preoccupato degli effetti esiziali che un’insufficiente disponibilità di energia elettrica avrebbe comportato sull’intera economia nazionale, aveva emanato un decreto legge, successivamente modificato e

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risvolti finanziari che assumevano un’importanza fondamentale soprattutto per l’Italia. Le

centrali nucleari richiedevano in effetti investimenti decisamente superiori rispetto a quelli

previsti per la realizzazione di impianti di tipo termoelettrico. Se a questo si aggiungeva il

numero elevato di centrali che l’Italia avrebbe dovuto costruire affinché i fabbisogni di energia

elettrica fossero integralmente soddisfatti dal nucleare, le dimensioni dello sforzo economico

risultavano praticamente irraggiungibili per il governo italiano740.

Nel corso del '74 l’ente elettrico statale procedette con i lavori per la costruzione della

quarta centrale ubicata sulla sponda destra del Po, presso Caorso, superando alcune difficoltà

tecniche e burocratiche sopraggiunte in corso d’opera, e, come già anticipato, ordinò la

costruzione di due nuove unità nucleari di circa un milione di kW ciascuna, esercitando nel mese

di luglio il diritto di opzione previsto con la commissione della quinta e della sesta centrale. Così

l’ENEL portò a compimento il programma annuale preannunciato nella relazione per l’esercizio

1971. Due di questi nuovi impianti, precisamente il quinto e il settimo, della potenza di 952.000

kW ciascuno e equipaggiati con reattori a acqua naturale in pressione, era previsto che

sorgessero nello stesso sito, sulla costa adriatica del Molise. L’ottava unità doveva invece essere

gemella con la sesta con una potenza di 982.000 kW e equipaggiata con un reattore a acqua

bollente; entrambe dovevano essere localizzare sulla costa tirrenica dell’Alto Lazio741. Come in

parte già avvenuto nel caso degli Stati Uniti, il completamento del programma nucleare subì un

ritardo a causa della tardiva disponibilità dei siti identificati: in particolare risultò molto

complessa e lenta la procedura per ottenere i necessari permessi per avviare le costruzioni. Per il

sito del Molise, ad esempio, la conclusione della procedura di autorizzazione tardò a giungere in

quanto gli organi regionali inquadravano l’impianto in un contesto più generale di promozione

delle attività industriali della zona742. I ritardi ancora una volta dimostrarono la centralità di una

scelta a favore della partecipazione diretta ai progetti di cooperazione nucleare europea avviati

nel corso dei mesi precedenti.

assorbito dalla legge n. 880 del 18 dicembre 1973, che disciplinava l’iter di autorizzazione per la localizzazione degli impianti destinati alla produzione e al trasporto di energia elettrica. Questa legge chiamava le Regioni a partecipare alla scelta dei siti, intendendo facilitare la costruzione degli impianti da tempo programmati e, in particolare, delle nove centrali elencate nella legge che, nell’intenzione del legislatore, dovevano essere avviate in tempo molto breve. La legge si riferiva a impianti termoelettrici ma divenne applicabile anche per quelli nucleari, ritardando, anziché accelerare, la procedura per ottenere l’autorizzazione alla realizzazione di nuove centrali nucleari. 740 Secondo le stime del presidente dell’ENEL il finanziamento necessario solo per il quinquennio '75-'79 sarebbe dovuto essere dell’ordine di 4.500-6.000 miliardi di lire (per approfondimenti sulla necessità di investire sulla fonte nucleare e sulla sua convenienza si veda A. M. Angelini, Verso la prevalenza dell’energia elettrica da fonte nucleare, relazione presentata alle XIII Giornate dell’Energia Nucleare tenuto a Milano dal 12 al 14 dicembre 1974 sul tema “La fonte nucleare nel futuro energetico”, in Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, ENEL, Società Italiana per il Progresso delle Scienze, Raccolta di Scritti sull’Energia Elettrica del Prof. Arnaldo Maria Angelini , cit., pp. 453-463). 741 Per approfondimenti si veda Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1974, Roma, 1975, pp. 118-121, ASENEL. 742 “La realizzazione della centrale [in Molise sembrava] quindi condizionata alla approvazione da parte delle Autorità del governo di infrastrutture connesse con lo sviluppo industriale della regione ed ai relativi stanziamenti” (ibidem, p. 120).

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Tuttavia, nell’ambito dei contributi nucleari nazionali, nel '74 venne portato avanti il

progetto CIRENE (relativo alla realizzazione a Latina di un prototipo di 40.000 kW mediante

un’iniziativa congiunta del CNEN e dell’ENEL e in stretta collaborazione con il CISE, vero

promotore dell’iniziativa), con la partecipazione attiva delle industrie del paese. Il CIRENE, nato

agli inizi degli anni Sessanta, apparteneva alla categoria dei convertitori di tipo avanzato e si

sviluppò inizialmente nei laboratori del CISE e con programmi di ricerca finanziati in un primo

momento dall’EURATOM e, successivamente, dal CNEN743. Alla fine del '73 il Comitato

Nazionale per l’Energia Nucleare e l’ENEL erano giunti alla conclusione che il modo migliore

per l’industria costruttrice italiana per realizzare il prototipo consisteva nell’affidare alla NIRA la

costruzione dell’intera isola nucleare, tenendo in particolare conto che essa era stata a suo tempo

costituita proprio per lo studio e la sperimentazione dei reattori avanzati e veloci. Si trasferì

pertanto presso questa società tutta la documentazione tecnica necessaria per proseguire con la

realizzazione del prototipo e nel corso del '74 iniziarono i relativi lavori presso il cantiere di

743 Molto importante fu anche la continuazione dell’accordo quinquennale di collaborazione, già citato in precedenza, tra ENEL e CNEN, da una parte, e AECL, dall’altra, per uno scambio ampio di informazioni sui programmi di ricerca e di sviluppo e sulle attività relative alla realizzazione dell’impianto di Gentilly in Canada e dello stesso prototipo CIRENE. Nel corso del '74 si sottoscrissero inoltre altri accordi bilaterali di cooperazione nel campo degli usi pacifici dell’energia nucleare; in aprile, ad esempio, si sostanziò quello tra il CNEN e la Bulgaria (cfr. Verbale della 23ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 3 aprile 1974, p. 18, ASENEA) e si paventò l’ipotesi di rendere più vasta la collaborazione iniziata nel '65 con il Comitato statale per l’utilizzo dell’energia atomica dell’URSS (GOSKOMITET), in modo che non interessasse solo le attività di fisica nucleare ma anche quelle tecnologiche relative ai combustibili, ai materiali e ai reattori e che rispondesse alle dichiarazioni espresse recentemente dal vicepresidente del Comitato sovietico, Morokov, desideroso che la cooperazione investisse anche le attività di ricerca (per approfondimenti si veda Verbale della 24ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 24 aprile 1974, pp. 47-48, ibidem). In ottobre si stipulò invece un accordo bilaterale di cooperazione nel campo degli usi pacifici dell’energia nucleare con l’Ungheria (cfr. Verbale della 33ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 9 ottobre 1974, p. 26, ibidem) e in dicembre si registrò un’intesa con Israele per una collaborazione sui problemi relativi alla sicurezza, al controllo e all’organizzazione delle centrali nucleari (cfr. Verbale della 38ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 19 dicembre 1974, p. 4, ibidem). Nel corso del '75 si sostanziarono altre cooperazioni internazionali: in gennaio, ad esempio, si rinnovò per la terza volta l’accordo quinquennale bilaterale tra il CNEN e la Commissione per l’Energia Atomica Pakistana (PAEC) con validità settembre 1976-1981 (cfr. Verbale della 39ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 29 gennaio 1975, p. 46, ibidem); alla stessa stregua venne rinnovato quello con l’Argentina del '71 (cfr. Verbale della 46ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 5 giugno 1975, p. 36, ibidem). Il 29 maggio si firmò anche a Washington un accordo di collaborazione quinquennale tra il CNEN e la NRC, l’organo pubblico statunitense di controllo e di sorveglianza delle applicazioni nucleari, sorto nell’ottobre '74 all’indomani della soppressione della precedente USAEC e dalla quale era nato anche il nuovo ente di ricerca sull’energia (ERDA) a cui erano state affidate tutte le altre attività inerenti il nucleare (ibidem, p. 4). Inoltre, sempre in maggio, si sostanziò il consorzio NUCLITAL-CNEN-Ansaldo Meccanico-Nucleare per lo sviluppo delle conoscenze e per la progettazione di noccioli di rettori BWR, ovvero a acqua bollente, come quelli della centrale del Garigliano, del Caorso e per le due unità previste a Montalto di Castro (ibidem, pp. 4-5). In luglio, invece, venne rinnovato l’accordo con la Spagna e se ne stipulò uno nuovo con l’Iraq (cfr. Verbale della 48ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 24 luglio 1975, p. 25, ibidem). Nel corso del '76, oltretutto, si definirono i termini dell’applicazione dell’intesa con l’Iraq e si raggiunse una convenzione con il Comitato Statale per l’Energia Nucleare della Romania (cfr. Verbale della 55ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 17 marzo 1976, pp. 4-5, ibidem). Per quanto riguardava nella fattispecie l’ENEL, nel febbraio '76 si raggiunse l’accordo tra la NEA e l’Ente elettrico di Stato Venezuelano (CADAFE) per l’assistenza tecnica su tutte le attività concernenti l’attuazione di un programma di sviluppo dell’energia nucleare nello stato sudamericano; un altro accordo interessò la Commissione pakistana per l’energia atomica (PAEK) che prevedeva l’assistenza tecnica dell’ENEL nelle fasi di programmazione, preparazione e esercizio di centrali nucleari; venne inoltre manifestato l’interesse da parte dell’Organizzazione Iraniana per l’Energia Nucleare (AEOI) affinché l’ente elettrico italiano effettuasse una collaborazione con la Motor Columbus A. G. di Baden per lo studio e per l’individuazione di siti nucleari nell’area nord-occidentale dell’Iran; altri contatti si ebbero con rappresentanti delle aziende elettriche jugoslave incaricate della realizzazione della centrale nucleare di Krsko per la fornitura di assistenza tecnica in merito a alcuni specifici problemi e con rappresentanti della Elektroprivreda Dalmacije per l’eventuale assistenza tecnica nella realizzazione a Zadar di un impianto nucleare; si avviarono infine trattative di consulenza con autorità maltesi, algerine e boliviane (per approfondimenti si veda Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazione del Direttore generale al Consiglio di amministrazione sull’attività dell’ente nel 1976, Roma, 1977, ASENEL).

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Latina744. Il progetto, sebbene avesse accumulato un forte ritardo rispetto ai programmi originali,

risultava ancora pienamente valido, come dimostravano le iniziative analoghe in corso in Canada

e in Giappone e la decisione presa dalla Gran Bretagna di impostare il nuovo programma

nucleare britannico su un tipo di reattore (SGHWR) che, al pari del prototipo italiano, era

moderato a acqua pesante e raffreddato con acqua naturale in condizioni di cambiamento di fase.

In linea teorica, la scelta italiana poteva quindi permettere la realizzazione di una proficua

collaborazione con la Gran Bretagna collocando l’attività dei convertitori avanzati a acqua

pesante su un piano di collaborazione internazionale745.

Agli inizi del '75 i progetti nucleari italiani e la relativa programmazione erano dunque

caratterizzati da una certa concretezza e riflettevano il periodo di assoluta emergenza energetica

acutizzato dalla crisi petrolifera. Nel passaggio dalla fase di pianificazione a quella di

realizzazione si verificarono però una serie di incidenti di percorso che incisero notevolmente sui

tempi di attuazione. La legge n. 880 del 18 dicembre 1973 che, ad esempio, si proponeva di

facilitare la costruzione di nuove centrali termoelettriche mediante la partecipazione diretta dei

governi regionali, rese di fatto più complicato l’iter di autorizzazione anche per la costruzione

degli impianti nucleari successivamente varati. Delle nove previste dalla stesse legge e già

autorizzate dal CIPE, fu possibile avviare o proseguire i lavori solo di tre centrali: Porto Tolle in

località Valle Lustraura, Brindisi e, parzialmente, Rossano Calabro; per le altre, invece,

nonostante il massimo impegno dell’ENEL non si era ancora riusciti a ottenere le prescritte

autorizzazioni e la licenza edilizia per l’avvio dei lavori746. I motivi che spingevano le

amministrazioni locali a non concedere i permessi erano essenzialmente dettati da

preoccupazioni, spesso esasperate, di natura ecologica. Di fronte a queste posizioni l’ente

elettrico non aveva alcun potere di intervenire per una rapida soluzione e analoghi problemi

744 La decisione di affidare alla NIRA la realizzazione dell’impianto CIRENE, togliendolo di fatto alla società Ansaldo Meccanico-Nucleare, generò molte perplessità. Durante la riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN del 3 aprile '74, il consigliere Giovanni Landriscina chiese infatti chiarimenti in merito al direttore generale del Comitato, Gianfranco Franco, sottolineando come al momento della stipula del contratto con l’Ansaldo si erano riconosciuti a quest’ultima tutti i requisiti e le capacità tecniche, economiche e finanziarie del caso. Franco rispose precisando che “nel Foratom di Firenze dell’ottobre scorso [era] stata riconfermata, per quanto concerne[va] le centrali provate, dalla maggioranza degli esperti partecipanti, la validità della formula cosiddetta del «Turn-key»: [era] stata cioè riconfermata l’utilità che i produttori di energia elettrica, nel caso specifico l’ENEL, anziché passare singole commesse per le varie parti dell’impianto a società diverse, si [affidassero] ad un’unica organizzazione, la quale, pur avvalendosi di sub-fornitori, [offrisse] una garanzia globale sull’impianto” (Verbale della 23ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 3 aprile 1974, p. 13, ASENEA). Le affermazioni del direttore generale convinsero il consigliere Landriscina anche se l’assegnazione del progetto alla NIRA avrebbe sicuramente significato un ritardo nel suo completamento (per approfondimenti di veda ibidem, pp. 12-17). 745 Cfr. Verbale della 29ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 17 luglio 1974, p. 4, ibidem; Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1974, Roma, 1975, p. 125, ASENEL. Durante una visita effettuata in Canada da parte di una delegazione del CNEN e dell’ENEL, capeggiata dai rispettivi presidenti, Clementel e Angelini, e effettuata in base all’accordo in essere tra i due enti italiani e l’AECL (avente per oggetto lo scambio di informazioni sulle tecniche dei reattori a acqua pesante), i canadesi espressero parere positivo circa la collaborazione anche della Gran Bretagna (cfr. Verbale della 33ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 9 ottobre 1974, pp. 4-5, ASENEA). 746 Per una testimonianza diretta sulla questione delle autorizzazioni locali si veda P. Fornaciari, Il petrolio, l’atomo e il metano: l’Italia nucleare, 1946-1997, cit., pp. 86-88.

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erano sorti con il programma operativo delle centrali nucleari: delle quattro nuove unità previste

da un milione di chilowattora ciascuna, il CIPE aveva autorizzato, nel luglio '74, la costruzione

solo delle due ubicate nel Lazio nella zona di Montalto di Castro, per le quali erano però ancora

in corso gli ulteriori adempimenti amministrativi. Per le altre due unità, invece, il CIPE non

aveva ancora preso alcuna decisione a seguito della persistente opposizione in seno alla

Commissione interregionale della Regione Molise, nel cui territorio era prevista l’ubicazione

della nuova centrale. Da ciò derivava che nella realizzazione di molti impianti, sia termoelettrici

che nucleari, mancava uno dei presupporti essenziali della programmazione e si imponeva

l’intervento urgente e tempestivo del governo747.

Allo stesso tempo, il nuovo ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato,

Carlo Donat-Cattin, a partire dal gennaio 1975 avviò una serie di incontri esplorativi al fine di

avviare una nuova politica energetica nazionale in funzione delle reali esigenze del paese. In

base a quanto riportato nella riunione del 29 gennaio del consiglio di amministrazione del

CNEN, dai colloqui con Donat-Cattin era emersa l’ipotesi di iniziare la costruzione di ben venti

nuovi impianti nucleari entro dieci anni748. Si trattava ancora di discussioni preliminari che

sarebbero però state la base per l’enunciazione del cosiddetto Piano Energetico Nazionale,

presentato dallo stesso ministro nel luglio successivo.

2. I progetti di cooperazione nucleare europea

La collaborazione fra i paesi europei nel settore nucleare era iniziata prima della crisi

petrolifera ma da questo evento aveva subito una forte accelerazione. Essa era il risultato di

accordi bilaterali e, in particolare, dell’iniziativa degli enti energetici nazionali, piuttosto che il

frutto di una reale politica nucleare comunitaria ancora in fase di decollo. Per quanto concerneva

l’ENEL, ad esempio, venne portata avanti con vigore l’iniziativa con la Electricité de France e la

Rheinisch-Westfälisches Elektrizitätswerk per la costruzione di impianti nucleari di

dimostrazione equipaggiati con reattori autofertilizzanti. Il 28 dicembre '73 era stata firmata la

convenzione fra le società interessate mediante la quale vennero regolarizzati i rapporti tra i soci.

La stipula faceva seguito all’approvazione dell’iniziativa da parte del CIPE e alla modifica della

legge sulla nazionalizzazione che il Parlamento italiano approvò proprio nel dicembre dello

747 Per approfondimenti si veda La costruzione delle nuove centrali termoelettriche dell’ENEL e la legge 18 dicembre 1973, n. 880, documento preparato per la presidenza del Consiglio dei ministri (non firmato), Roma, 8 gennaio 1975, ACS, Carte Ugo La Malfa, Serie 3, Cariche di Governo, Sottoserie 6, Vicepresidente del Consiglio (IV° Governo Moro), Busta 39. 748 Cfr. Verbale della 39ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 29 gennaio 1975, pp. 4-8, ASENEA.

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stesso anno al fine di rendere legittima la partecipazione dell’ENEL all’importante iniziativa749.

Nel corso del '74 all’interno del cosiddetto progetto UNIPÈDE si costituirono due società

incaricate di realizzare i due impianti previsti750. In entrambi i consorzi i rappresentanti negli

organi direttivi erano proporzionali alle quote di partecipazione: l’ENEL, nella fattispecie, prese

parte all’iniziativa per un terzo e venne rappresentata rispettivamente da un membro nel

direttorio (composto da tre partecipanti) e da quattro rappresentanti nel consiglio di sorveglianza

(formato da dodici). La NERSA, i cui uffici si stabilirono a Lione, aveva il compito di realizzare

a Creys-Malville, lungo il corso del Rodano, un impianto dimostrativo da 1.200 MW,

equipaggiato con un reattore autofertilizzante, derivato dal prototipo francese Phénix751. La

collaborazione fra i tre soci per l’impostazione e la progettazione impiantistica della centrale

ebbe inizio fin dai primi mesi dell’anno e, parallelamente, diede il via alla sottoscrizione di

accordi tecnici tra industrie e enti di ricerca dei paesi interessati. Per quanto concerneva l’Italia,

le cooperazioni più importanti riguardarono la NIRA e alcune industrie costruttrici francesi e,

soprattutto, il Commissariat à l’Energie Atomique, creatore dello stesso prototipo Phénix752. Con

quest’ultima società si stipularono inoltre accordi per una collaborazione nel campo della ricerca

e dello sviluppo e per lo scambio di informazioni con il CNEN753. La rilevanza dell’adesione

italiana al progetto ENEL-EDF-RWE, secondo il parere riportato in un promemoria dell’ENI

relativo agli accordi fra la NIRA e l’AGIP Nucleare, consisteva nel fatto che esso poteva

rappresentare il preludio per garantire all’Italia e, soprattutto alle sue industrie, promettenti

prospettive economiche; per la prima volta si era infatti agito armonicamente per garantire la

presenza simultanea di tutti gli enti settoriali interessati:

“L’importanza della partecipazione italiana all’iniziativa [andava] soprattutto vista sotto

questa luce: come premessa per assicurare alla nostra industria una presenza attiva e significativa

in un settore energetico tecnologicamente avanzato e caratterizzato da prospettive commerciali di

749 Cfr. legge n. 856 del 18 dicembre 1973. 750 La prima era la NERSA, costituita nel mese di luglio, mentre la seconda era la ESK, fondata nel mese di ottobre. 751 Cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1974, Roma, 1975, pp. 121-123, ASENEL. 752 L’accordo tra la NIRA e il CEA sui reattori veloci refrigerati al sodio prevedeva una collaborazione a lungo termine pari a quindici anni a partire dall’entrata in esercizio della centrale di Malville. 753 In particolare venne costituito un comitato di coordinamento tra il CNEN e il CEA, anch’esso della durata di quindici anni, la cui struttura organizzativa si ispirava a quella dei comitati di gestione dei contratti EURATOM. Il direttorio era aperto alla collaborazione di altre nazioni e era già in atto una proposta di partecipazione della Repubblica Federale Tedesca per l’esperienza critica del Superphénix. I vantaggi per il CNEN potevano rivelarsi dunque molto favorevoli in quanto il Comitato avrebbe potuto disporre di tutte le conoscenze tecnologicamente più avanzate possedute dal CEA nel settore dei reattori veloci (per approfondimenti si vedano Verbale della 24ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 24 aprile 1974, pp. 52-59, ASENEA; Verbale della 25ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 30 aprile 1974, pp. 3-15, ibidem). La firma dell’accordo di collaborazione CNEN-CEA si ebbe il 7 giugno (cfr. Verbale della 27ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 19 giugno 1974, pp. 4-5, ibidem). Un obiettivo importante della collaborazione italo-francese in questo campo era rappresentato anche dalla realizzazione del reattore veloce PEC, sul quale la Francia poneva grande interesse, nel quadro dei progressi dello sviluppo del reattore autofertilizzante al sodio e del relativo combustibile.

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estremo interesse. [Era] particolarmente significativo osservare che mai, come in questa

occasione, l’Italia [aveva] svolto un’azione coordinata per assicurare la contemporanea presenza,

nell’ambito delle relative competenze, di tutti gli Enti ed organismi interessati al settore; e ciò in

un quadro di accordi che [aprivano] prospettive ben più ampie di quelle rappresentate dalla

realizzazione della prima grande centrale elettronucleare mondiale autofertilizzante”754.

Infatti, oltre alle sopracitate collaborazioni fra l’ENEL, l’EDF e la RWE nel progetto

UNIPÈDE, tra il CNEN e il CEA sui reattori veloci autofertilizzanti e refrigeranti al sodio, fra la

NIRA e il CEA sui neutroni veloci al sodio, si aggiunsero: un accordo operativo tra la NIRA, il

Groupement Neutron Rapides755 e la società Technicatome, controllata sempre dalla francese

CEA, per l’offerta congiunta e relativa fornitura alla NERSA della caldaia nucleare della centrale

di Malville756 e una convenzione di licenza e di cooperazione tecnica fra l’AGIP Nucleare e il

CEA per la realizzazione in Italia di una fabbrica di elementi di combustibile nucleare a ossidi

misti uranio-plutonio, in parte destinati alla prima carica della centrale di Malville757. Altre

importanti partecipazioni per le aziende italiane si verificarono infine con l’aggiudicazione di

diverse gare per la costruzione concreta dell’impianto e con la fornitura di ben un terzo delle

apparecchiature necessarie. La decisione finale per la sua realizzazione era stata rinviata alla

seconda metà del '75, mentre la data prevista per il suo completamento era il 1980-1981. Più a

rilento procedettero invece le attività svolte dalla ESK per la quale si ipotizzava di avviare la

costruzione di un secondo impianto di dimostrazione, equipaggiato con un reattore

autofertilizzante veloce, un anno dopo l’entrata in funzione del prototipo tedesco-belga-olandese

SNR-300 di Kalkar, prevista per il 1980758.

754 Promemoria sui reattori veloci e sugli accordi NIRA-AGIP Nucleare (non firmato), 31 maggio 1974, ASE, coll. AS. I. 2, udc. 17. 755 Il GNR venne costituito dalle società Alsthome-CGE e Fives-Cail-Babcock. 756 In base a questo accordo, all’industria italiana si assicurarono forniture equivalenti a un terzo, pari cioè alla partecipazione dell’ENEL nella società NERSA. Era anche prevista la costituzione di un Comitato di direzione di tre membri e di una équipe comune per la progettazione e la sorveglianza tecnica su tutto il lavoro (per approfondimenti Promemoria sui reattori veloci e sugli accordi NIRA-AGIP Nucleare (non firmato), 31 maggio 1974, ASE, coll. AS. I. 2, udc. 17). 757 Secondo quanto riportato nel promemoria dell’ENI “la fornitura del combustibile […] rappresenta[va] la commessa più importante e qualificata affidata all’industria italiana nel quadro della realizzazione di Malville” (ibidem). L’accordo AGIP Nucleare-CEA venne firmato il 7 giugno a Parigi e permise all’Italia di acquisire la licenza e l’assistenza specialistica per realizzare una capacità produttiva propria in un settore a avanzato contenuto tecnologico. Ciò rappresentava quindi un’occasione unica per l’industria italiana in quanto le consentiva di essere presente nel campo dei combustibili al plutonio che, secondo le previsioni, avrebbe rappresentato uno degli ambiti energetici di maggiore interesse degli anni successivi. Anche in questo caso l’accordo aveva durata quindicinale e nella fabbrica per la produzione di combustibile nucleare a ossidi misti uranio-plutonio che l’Italia avrebbe costituito, denominata Società di Fabbricazione, il CEA avrebbe avuto una partecipazione iniziale del cinque percento, riservandosi la possibilità di acquisire un ulteriore trenta percento negli anni '80-'83 [per approfondimenti si veda Comunicato stampa su firma accordi NIRA e AGIP Nucleare-CEA per i reattori veloci (redatto dal dr. Formisano), 7 giugno 1974, ASE, coll. AS. I. 2, udc. 17]. 758 Cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazioni del Consiglio di amministrazione del Collegio dei revisori e bilancio al 31 dicembre 1974, Roma, 1975, pp. 121-123, ASENEL.

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Anche le iniziative europee nel campo dell’arricchimento dell’uranio conobbero

un’accelerazione dopo lo shock petrolifero759. L’EURODIF aveva registrato la defezione della

Svezia e la relativa ripartizione della sua quota (dieci percento) fra gli altri quattro paesi

(Francia, Italia, Belgio e Spagna760), così come comunicato ufficialmente il 3 aprile dal

presidente Ezio Clementel durante la riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN: la

“decisione presa dal governo svedese di non autorizzare la partecipazione della società

Atomenergi alla realizzazione dell’impianto EURODIF deriva[va] dal fatto che la Svezia a

seguito dei contratti conclusi con gli USA e l’URSS si [era] garantita il rifornimento di uranio fin

verso il 1980 e dalla mancanza di un programma nucleare definito”761. Le parole del presidente

del CNEN non convinsero però il consigliere Gino Martinoli secondo il quale le motivazioni di

Stoccolma risiedevano nei tempi lunghi prospettati per il completamento del progetto.

L’impianto EURODIF, infatti, nonostante i contratti di fornitura partissero nel '79, avrebbe

potuto realisticamente iniziare la produzione non prima del 1985 dato che non erano ancora state

concluse tutte le procedure tra gli Stati partecipanti e per via dei tempi di costruzione delle tre

centrali che, secondo il progetto, avrebbero dovuto fornire l’energia all’impianto di

arricchimento. In risposta alle perplessità espresse da Martinoli, il presidente Clementel,

nominato recentemente presidente del Consiglio di Sorveglianza della società EURODIF,

precisò che proprio in relazione ai tempi di realizzazione delle suddette centrali era stato previsto

che per la prima fase l’energia necessaria sarebbe stata fornita dalla rete normale con

l’intervento, seppur di modesta entità, dell’impianto di Pierrelatte come riserva762. Nel mese di

agosto si annunciò l’inizio dei lavori a Tricastin per la preparazione del terreno dove sarebbero

dovuti sorgere sia l’impianto di arricchimento che una centrale nucleare con quattro reattori763

della potenza di novecento MWe ciascuno764. Una bozza dell’ENI del novembre '74 illustrava

759 A dimostrazione dell’importanza riposta nei progetti relativi l’arricchimento dell’uranio, specie mediante il processo di diffusione gassosa, nel '74 si sottoscrissero due importanti accordi internazionali: il primo fra la Francia e il Canada per la costruzione di un impianto siffatto nella zona di James Bay, nel Quebec, dove era già allo studio un progetto analogo per conto della British Newfoundland Corporation; il secondo fra l’Australia e il Giappone per la realizzazione di una centrale nei pressi di Adelaide con prevalente capitale giapponese (cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazione del Direttore generale al Consiglio di amministrazione sull’attività dell’ente nel 1974, Roma, 1975, p. 215, ibidem). 760 La quota dell’Italia arrivò quindi al venticinque percento egualmente suddivisa tra il CNEN e l’AGIP Nucleare. 761 Verbale della 23ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 3 aprile 1974, pp. 3-4, ASENEA. 762 Cfr. ibidem, p. 4. 763 Per maggiori dettagli tecnici sulla centrale di Creys-Malville si veda P. Fornaciari, Il petrolio, l’atomo e il metano: l’Italia nucleare, 1946-1997, cit., pp. 96-98. 764 Per completezza di informazione relativa al progetto EURODIF bisogna aggiungere che nel giugno '74 si venne a creare una sorta di disputa tra i tre principali attori del settore nucleare italiano. Durante la riunione del 19 giugno del consiglio di amministrazione del CNEN, infatti, il presidente Clementel annunciò l’intenzione di esercitare in favore dell’ENEL, su espressa richiesta di quest’ultimo, il diritto di opzione per la quota di separazione di uranio arricchito riconosciuta al Comitato in funzione del contratto di associatura all’EURODIF. Alla quota di spettanza del CNEN era però interessata anche l’AGIP Nucleare ma, durante il suddetto incontro, il consiglio di amministrazione approvò la proposta di Clementel (cfr. Verbale della 27ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 19 giugno 1974, pp. 18-20, ASENEA). Il disappunto dell’ENI venne stigmatizzato in una lettera inviata dal suo presidente, Raffaele Girotti, al ministro per le Partecipazioni Statali, Antonino Pietro Gullotti, e, per conoscenza, al ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, Luigi Ciriaco De Mita: “Non ho nulla da eccepire, sul piano formale interno, a questa deliberazione del CNEN […]. Ritengo però che se ci scostiamo da un piano settoriale ad uno più generale, nel quale

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enfaticamente le ricadute positive del progetto per il paese sottolineando che la strategia

intrapresa, unita a un recente accordo dell’ente petrolifero di Stato con l’URSS, garantiva una

temporanea ma importante autonomia di uranio arricchito che, a sua volta, permetteva il

potenziamento del settore nucleare in risposta alle notevoli difficoltà energetiche del momento:

“La partecipazione italiana a tale impresa assume[va] una eccezionale importanza per il

nostro Paese sotto il profilo energetico; ciò in quanto essa [avrebbe consentito], ad integrazione

degli approvvigionamenti che verranno effettuati dall’Unione Sovietica attraverso il contratto di

acquisto posto in essere dall’ENI per il periodo 1975-83, di raggiungere, almeno per alcuni anni,

l’autosufficienza nel settore dell’arricchimento dell’uranio; condizione, quest’ultima, necessaria

per attuare il rapido sviluppo dell’energia nucleare reso indispensabile anche dalle difficoltà del

mercato petrolifero”765.

Nello stesso documento si sottolineava inoltre come la partecipazione all’EURODIF non

escludesse la possibilità di essere inclusi nelle altre iniziative europee inerenti l’impiego del

processo dell’ultracentrifugazione per ottenere uranio arricchito. Il riferimento era ovviamente al

progetto URENCO-CENTEC per il quale in novembre si stabilì una nuova struttura

organizzativa: lo stabilimento di Capenhurst passò sotto il controllo della sezione britannica

dell’URENCO e sotto la diretta gestione della British Nuclear Fuels Ltd.; l’impianto di Almelo

fu invece trasferito sotto il comando della suddivisione olandese dell’URENCO, mentre la

l’attività degli Enti di Stato deve trovare, nel superiore interesse del Paese, una razionale definizione di responsabilità e conseguentemente di deleghe, questa vicenda, vista nei suoi aspetti sostanziali, meriti alcune considerazioni […]. Come ben ricorderai, perché tu stesso svolgesti un ruolo essenziale a livello governativo nella decisione dell’Italia di partecipare all’EURODIF, fu allora deciso che fosse opportuna la partecipazione all’impresa sia dell’AGIP Nucleare che del CNEN; in quanto la partecipazione dell’AGIP Nucleare avrebbe assicurato la presenza dell’Ente di Stato responsabile per l’approvvigionamento delle fonti di energia, e quella del CNEN la collaborazione sul piano scientifico e tecnologico necessaria per una impresa così impegnativa. E poiché l’ingresso in EURODIF può avvenire solo per partecipazione azionaria, e poiché sembrava opportuno non creare inutili problemi di disaggio quantitativo, fu deciso che CNEN e AGIP Nucleare partecipassero con quota pari. Nella regolamentazione di EURODIF, però, ad ogni quota azionaria corrisponde un diritto di prelievo proporzionale e così il CNEN si è trovato a disporre del detto diritto di prelievo di uranio arricchito. Naturalmente, il presunto fabbisogno nazionale di uranio arricchito per il futuro, va in generale molto oltre quanto può essere assicurato dai diritti di prelievo italiani in EURODIF, ed è per questo che l’AGIP Nucleare […] si era preoccupata di assicurare per i fabbisogni italiani, altre fonti di lavoro separativo. In particolare, ha anche chiesto al CNEN di disporre del suo diritto di prelievo, per presentare all’ENEL il complesso delle possibilità offerte sul mercato mondiale, ai fini di un razionale bilancio tra fabbisogni e disponibilità, tra disponibilità e stoccaggio, tra stoccaggio e fornitura. A me sembra che questa procedura, che si traduce in una programmata politica di approvvigionamenti a lungo termine, quale è necessario in un settore non certo caratterizzato da abbondanza di offerta, rappresenti una filosofia migliore di quella del caso per caso, che sembra piuttosto ispirare l’azione in questione. E passando […] a considerazioni di respiro ancora più ampio, questa dell’approvvigionamento della fonte di energia nucleare mi sembrava una occasione che, per la sua novità e per la conseguente possibilità di una impostazione libera da retaggi storici, si presentava come modello per definire sfere di competenza, responsabilità di impegno e, di conseguenza, deleghe operative differenziate per i vari Enti di Stato interessati al problema dell’energia nei suoi vari aspetti: produzione, approvvigionamento della fonte, ricerca tecnologica” (Lettera del presidente dell’ENI, Raffaele Girotti, al ministro per le Partecipazioni Statali, Antonino Pietro Gullotti, e, per conoscenza, al ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, Luigi Ciriaco De Mita, Roma, 4 luglio 1974, ASE, coll. I. V. 4, udc. 286). La questione delle competenze nel settore nucleare risaliva agli inizi degli anni Sessanta con la nascita dell’ENEL e i malumori tra quest’ultimo, il CNEN e l’ENI rimasero tali anche durante gli anni Settanta. 765 Bozza interna all’ENI (non firmata), 30 novembre 1974, ASE, coll. I. V. 4, udc. 286.

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direzione venne affidata alla Ultra Centrifuge Nederland e alla società tedesca URANIT766.

Secondo le previsioni dell’ENI, se il processo dell’ultracentrifugazione fosse riuscito a ottenere

un grado di sviluppo industriale analogo a quello che attualmente caratterizzava gli impianti di

arricchimento a diffusione, avrebbe potuto rappresentare una soluzione idonea a soddisfare i

crescenti fabbisogni previsti per l’Italia a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta767.

I giudizi estremamente positivi espressi dall’ENI sulla partecipazione italiana al progetto

EURODIF subirono però un mutamento radicale in concomitanza con la partecipazione diretta

dell’Iran all’iniziativa. Nei primi giorni del '75 si annunciò la costituzione di una compagnia

franco-iraniana, la SOFIDIF768, alla quale la CEA aveva ceduto il venticinque percento del

capitale posseduto nella società EURODIF. L’accordo con la Francia prevedeva interessanti

collaborazioni nel quadro dell’ambiziosissimo programma di modernizzazione industriale che lo

scià, Mohammad Reza Pahlavi, aveva avviato grazie agli introiti derivati dai petroldollari:

durante la visita a Parigi nel giugno del '74 il sovrano dell’Iran e il presidente francese Valéry

Giscard d’Estaing concordarono una vasta cooperazione scientifica, tecnica e industriale per

l’impiego pacifico dell’energia nucleare769. Non risulta possibile sapere in che misura questa

situazione incise sull’evoluzione degli orientamenti dell’ENI verso il progetto EURODIF;

sembrerebbe più ragionevole ritenere che sul giudizio negativo dell’ente petrolifero pesarono

maggiormente l’abbandono della Svezia e la scelta del sito francese di Tricastin. In seguito al

primo evento, infatti, sia l’AGIP Nucleare che il CNEN dovettero aumentare la propria

partecipazione sino al venticinque percento, con un maggiore onere finanziario che si

moltiplicava in occasione dei vari aumenti di capitale che la società EURODIF si trovò a dover

compiere in funzione delle necessità economiche. Se questa circostanza si collegava con il

ritardo nell’avvio del progetto, emergevano con più chiarezza i motivi dei malumori all’interno

dell’ENI. D’altra parte, la stessa suddivisione della quota posseduta dalla Svezia in parti uguali

fra gli altri quattro paesi partecipanti aveva finito per determinare una quota superiore al

cinquanta percento in possesso del Commissariat à l’énergie atomique e anche se questa

porzione di capitale agli inizi di gennaio venne rimodellata con la nascita della nuova società

franco-iraniana SOFIDIF, di fatto il controllo del progetto rimaneva nelle mani della CEA. La

scelta definitiva del sito rappresentò un’altra delusione per gli italiani che desideravano trarre

tutti i benefici dell’eventuale collocazione dell’impianto sul territorio italiano. A questo

766 Per approfondimenti si veda Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazione del Direttore generale al Consiglio di amministrazione sull’attività dell’ente nel 1972, Roma, 1973, pp. 213-217, ASENEL. 767 Cfr. Bozza interna all’ENI (non firmata), 30 novembre 1974, ASE, coll. I. V. 4, udc. 286. 768 Partecipata per il sessanta percento dal CEA e per il quaranta dall’Agenzia iraniana per l’energia atomica. 769 Nel dettaglio l’accordo prevedeva, tra l’altro, la vendita di cinque centrali atomiche francesi, la costruzione di un centro nucleare con tre reattori di ricerca, lo sfruttamento comune di giacimenti di uranio in Iran e in paesi terzi e la formazione degli scienziati atomici iraniani.

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proposito, in un appunto dell’ENI si rimproverava al Commissariat à l’énergie atomique di

confondere i due piani principali dell’iniziativa, quello “economico-finanziario” e quello

“politico-strategico”: “[Avevamo] la chiara impressione che al CEA si [commetteva] […]

l’errore di attribuire una così grave prevalenza del secondo aspetto, da dimenticare che il primo

[doveva] pur sempre restare valido nell’ambito dei vincoli politico-strategici”770. L’impostazione

finanziaria del progetto era giudicata molto ardita data la bassissima percentuale del capitale di

rischio, mentre si contestavano errori grossi nella politica commerciale. Inoltre, per quanto

concerneva la gestione industriale, l’appunto evidenziava la difficoltà dell’ENI a potersi

esprimere date le scarse informazioni a disposizione, ma rilevava comunque la vana opposizione

all’ampliamento della capacità dell’impianto che avrebbe comportato un aumento dei rischi

finanziari. Quanto all’ingresso dell’Iran, l’evento creava “un’altra preoccupazione, trattandosi di

socio potentissimo che nessuno potrà scontentare. E purtroppo non [si poteva] escludere che

[entrassero] altri soci in futuro, aumentando l’incertezza dell’insieme”771. Nelle conclusioni

dell’analisi si rendeva noto che, in caso di ritiro dall’EURODIF, l’ENI avrebbe potuto comunque

assicurare all’ENEL il servizio di arricchimento dell’uranio necessario fino al 1989, avvalendosi

degli accordi con l’URSS772.

Come sottolineato in un appunto per Girotti, lo scopo principale della partecipazione

dell’Italia all’EURODIF consisteva nell’ottenere il rifornimento del combustibile nucleare

generato una volta che il progetto fosse partito, mentre lo scopo secondario, in pratica ancora non

perseguito, era quello di permettere all’AGIP Nucleare di acquisire il know-how tecnologico

francese. I rischi e gli oneri venivano accettati dall’ente petrolifero a condizione che l’ENEL

rimborsasse i secondi e si facesse carico dei primi773. Man mano che gli investimenti finanziari si

facevano più ingenti e si prospettava un ritardo nell’attuazione dell’iniziativa sorgevano dubbi

legati soprattutto alla mancanza di un accordo ufficiale con l’ente elettrico. Girotti decise dunque

di inviare una lettera al ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, Carlo Donat-

Cattin, al ministro del Bilancio e della Programmazione Economica, Giulio Andreotti, e al

ministro del Tesoro, Emilio Colombo, per sottolineare le difficoltà che, sul piano finanziario,

comportava la partecipazione dell’ente petrolifero nazionale al programma EURODIF. In

particolare, si richiedeva un intervento immediato del governo sia per precisare l’impegno

dell’ENEL a prelevare l’uranio arricchito spettante all’ente petrolifero, che per aiutare

economicamente quest’ultimo a sostenere gli oneri della partecipazione stessa all’EURODIF; in

770 Appunto servito per incontro con Min. Donat-Cattin sulla situazione dell’EURODIF (non firmato), 21 gennaio 1975, ASE, coll. I. V. 4, udc. 286. 771 Ibidem. 772 Ibidem. 773 Cfr. Appunto per l’ing. Girotti sull’EURODIF (redatto dall’ing. Gino Pagano), 25 febbraio 1975, ibidem.

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caso contrario, l’adesione italiana al progetto si sarebbe ridotta a una semplice presenza

simbolica senza il perseguimento degli obiettivi iniziali:

“Se, come l’ENI [riteneva], si giudica[va] utile proseguire nell’iniziativa, [appariva]

indispensabile che il Governo [adottasse] provvedimenti volti a: - definire i criteri in base al quale

l’ENEL si [impegni] a ritirare la quota parte dei servizi di arricchimento spettanti all’ENI, tenuto

conto degli effettivi costi sostenuti dall’AGIP Nucleare; - garantire all’ENI i mezzi finanziari per

far fronte alle scadenze immediate ed agli ulteriori impegni che la partecipazione comporta[va];

assicurare le disponibilità valutarie necessarie per mantenere la nostra quota di partecipazione,

nonché i crediti all’esportazione a tassi agevolati per consentire alle nostre industrie di acquisire

le commesse per la realizzazione dell’impianto EURODIF. I provvedimenti sopra sollecitati

[apparivano] indispensabili per una adeguata e proficua nostra presenza nell’iniziativa in oggetto

ed in particolare per esercitare l’opzione resasi disponibile per il ritiro della Svezia, nonché per

sottoscrivere l’aumento del capitale di EURODIF che [avrebbe consentito] di mantenere la nostra

partecipazione ad un ragionevole livello. […] qualora il Governo non fosse in grado di adottare,

in modo tempestivo, provvedimenti coerenti con le iniziative fin qui prospettate, la nostra

partecipazione nella Società EURODIF verrebbe fatalmente a ridursi ad una quota del tutto

simbolica, cioè pari al capitale fin qui sottoscritto, e quindi insufficiente a consentire il

conseguimento delle finalità che avevano giustificato l’adesione dell’Italia all’iniziativa

EURODIF”774.

Pur in assenza di risposte immediate, nel frattempo prese quota la possibilità di creare un

nuovo impianto di diffusione gassosa sul territorio italiano. La decisione era con ogni probabilità

frutto delle richieste di Girotti che impegnarono l’ENEL a farsi effettivamente carico dei rischi e

degli oneri derivanti dalla partecipazione dell’ENI al progetto EURODIF775. D’altra parte, un

ridimensionamento dell’Italia nell’iniziativa europea oppure addirittura il ritiro sarebbero apparsi

una sconfitta; a cui si sarebbe aggiunta la fine dei vantaggi derivanti da una delle più promettenti

iniziative di cooperazione comunitaria avviate nel settore nucleare: un paese povero di risorse

energetiche nazionali e dipendente in toto dalle importazioni dall’estero, così come

drammaticamente evidenziato dallo shock petrolifero, non poteva permettersi simili rinunce. Lo

stesso governo Moro sembrava infine aver posto il problema in termini prioritari preannunciando

la necessità di inaugurare una nuova e proficua politica nucleare.

774 Lettera del presidente dell’ENI, Raffaele Girotti, al ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, Carlo Donat-Cattin, al ministro del Bilancio e della Programmazione Economica, Giulio Andreotti, e al ministro del Tesoro, Emilio Colombo, Roma, 12 febbraio 1975, ibidem. 775 In assenza di accordi precisi l’ENEL avrebbe infatti potuto non acquistare l’uranio arricchito posseduto dall’ENI in virtù della partecipazione al progetto EURODIF.

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Al contempo, il 6 maggio '75 l’associazione EURODIF aveva costituito una nuova

Società Anonima di diritto francese, denominata COREDIF, assumendone direttamente il

cinquantuno percento del capitale e assegnando un altro ventinove percento al CEA e il restante

venti percento all’Organizzazione per l’Energia Atomica Iraniana776. Di conseguenza l’AGIP

Nucleare e il CNEN, soci della società EURODIF, erano presenti indirettamente nel nuovo

consorzio in ragione del 12,5% circa777. L’importanza dell’operazione risiedeva nel fatto che la

COREDIF stava studiando la possibilità di realizzare un altro impianto per l’arricchimento

dell’uranio con il metodo della diffusione gassosa che avrebbe dovuto avere dimensioni e

caratteristiche praticamente identiche a quello in costruzione a Tricastin. Le decisioni preliminari

concernenti la costruzione, la localizzazione e il planning del nuovo progetto non sarebbero state

prese prima del giugno '76, mentre entro l’anno successivo si sarebbe dovuto procedere all’inizio

dei lavori il cui completamento era previsto entro la metà del 1983778. I singoli partner, ad ogni

modo, erano già stati invitati a porre la candidatura per eventuali siti nazionali dove realizzare

l’impianto e, come avvenuto in occasione dell’avvio del primo sistema di diffusione quando

l’Italia offrì Montalto di Castro, si aprì anche per il nuovo progetto la prospettiva di una nuova

candidatura. Come messo in luce da Girotti in una lettera per Angelini, l’eventuale realizzazione

di un sito sul territorio nazionale avrebbe determinato una serie di effetti positivi sul piano dello

sviluppo industriale:

776 Per approfondimenti si veda Lettera del presidente dell’ENI, Raffaele Girotti, al presidente dell’ENEL, Arnaldo Maria Angelini, Roma, 22 luglio 1975, ASE, coll. I. II. 5, udc. 86. 777 Cfr. Verbale della 43ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 30 aprile 1975, pp. 35-41, ASENEA. La partecipazione del CNEN alla nuova società fu tuttavia oggetto di un dibattito molto serrato e interessante all’interno del consiglio di amministrazione; si valutò attentamente, infatti, l’opportunità e la convenienza stessa del Comitato di far parte del nuovo progetto. Il CNEN era innanzitutto un ente pubblico non economico avente una serie di limitazioni e di procedure che rendevano molto difficile il mantenimento di certi impegni, a differenza di quanto avveniva invece negli altri partner aderenti al progetto. Vi era inoltre la questione della forte presenza del CEA sia in EURODIF che, di conseguenza, anche in COREDIF, limitando la possibilità dell’Italia di godere di una posizione migliore e, soprattutto, di ottenere conoscenze maggiori del metodo della diffusione gassosa. A convincere il consiglio di amministrazione del CNEN sull’importanza anche di questa seconda iniziativa intervenne Achille Albonetti, direttore per gli Affari Internazionali e Studi Economici e direttore centrale delle Relazioni Estere dello stesso Comitato. Secondo il parere di quest’ultimo, il problema della conoscenza nello specifico campo di attività era uno dei più delicati: “[…] non esiste[va] accesso nel mondo alle conoscenze nel settore dell’uranio arricchito in quanto [era] il settore più segreto di tutta l’energia nucleare. La presenza italiana in EURODIF – ammoniva Albonetti – da un punto di vista legale [era] completa e per quanto concerne[va] la fornitura dei tre componenti dell’impianto (barriere, compressori e valvole) l’Italia [aveva] avuto un accesso privilegiato nel senso che i francesi [avevano] sollecitato l’industria italiana, in particolare la Nuovo Pignone e la MERISINTER, ed [era] stata agevolata nei confronti delle industrie belga e spagnola che non [avrebbero concorso] alla fornitura di tali componenti che [costituivano] circa il 44% dell’impianto. Per quanto riguarda[va] l’accesso alla tecnologia del sistema […] la presenza dei rappresentanti italiana nella USSI, che [era] l’organismo che prepara[va] le specifiche, e in EURODIF [era] molto importante e qualificata. […] piuttosto che difficoltà poste da parte francese all’ingresso dei rappresentanti italiani negli organismi esistenti, vi [era] stato un certo ritardo e una certa difficoltà da parte italiana ad avanzare proprie candidature. […] l’accesso alla tecnologia in EURODIF, anche se in certi casi [era] solo potenziale, [era] per quanto concerne[va] l’Italia, il più aperto possibile” (ibidem). Le parole di Albonetti sciolsero le ultime riserve per la partecipazione del CNEN mediante una quota pari a circa il 6,375% nella costituenda società COREDIF per la costruzione di un secondo impianto di produzione di uranio arricchito d’intesa con gli altri partner internazionali; da questa partecipazione l’Italia avrebbe tratto un notevole vantaggio economico rappresentato dal diritto di prelievo delle quantità di uranio arricchito di propria spettanza che avrebbero consentito di ridurre ulteriormente la dipendenza della penisola dagli altri fornitori, soprattutto dagli Stati Uniti. 778 Cfr. Lettera del presidente dell’ENI, Raffaele Girotti, al presidente dell’ENEL, Arnaldo Maria Angelini, Roma, 22 luglio 1975, ASE, coll. I. II. 5, udc. 86.

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“L’interesse dell’Italia per una localizzazione interna del nuovo impianto – secondo

l’opinione di Girotti – [era] dovuta in primo luogo al fatto che esso comporta[va] un fortissimo

investimento di capitale (si stima[va]no due mila miliardi più 1600 miliardi per la realizzazione di

quattro centrali nucleari da 1000 MW ciascuna necessarie per la alimentazione) ed una non

trascurabile occupazione. Infatti, oltre agli effetti indiretti che sul livello occupazionale

[avrebbero potuto] avere le rilevanti commesse che [sarebbero state] affidate all’industria (edile,

chimica, meccanica, manifatturiera in genere), di entità non trascurabile [sarebbero potuti]

risultare gli effetti diretti, in quanto l’impianto richiede[va] durante il periodo di montaggio (5

anni) un impiego di personale fino a 5000 unità lavorative. Una volta a regime, l’impianto

[avrebbe occupato] circa 1000 unità lavorative, ad elevata qualificazione professionale, una parte

delle quali potrà essere formata da personale italiano. Ciò, oltre al personale per la gestione degli

impianti elettrici di alimentazione (400-500 addetti). Sotto il profilo territoriale, poi, l’esistenza di

un impianto di arricchimento isotopico dell’uranio a diffusione gassosa, cui verrebbe affiancato

un grande complesso elettronucleare, [avrebbe rappresentato] potenzialmente un polo industriale

in grado di qualificare lo sviluppo di un’ampia zona nella quale l’impianto stesso verrebbe

localizzato”779.

Ovviamente altri vantaggi avrebbero riguardato la sicurezza dell’approvvigionamento

energetico per ciò che si riferiva al servizio di arricchimento dell’uranio, al punto da consentire

all’Italia di avvicinarsi all’agognato traguardo dell’autosufficienza energetica. In virtù di questo

obiettivo si sperava che il governo, mediante l’emanazione di provvedimenti simili a quelli varati

in Francia per la realizzazione dell’impianto di Tricastin, intervenisse per irrobustire la

concorrenzialità della candidatura italiana780.

3. L’Italia e la politica energetica comunitaria

La crisi petrolifera incise soprattutto nell’ambito della Comunità europea stimolando il

confronto per la definizione di una nuova e concreta politica energetica comune. I numerosi

779 Ibidem. 780 Il presidente dell’ENI riteneva opportuno, ad esempio, che il governo italiano concedesse un contributo a fondo perduto pari a circa 27,5 miliardi di lire, un finanziamento agevolato, una fiscalità indiretta pari a zero e una diretta drasticamente ridotta, oltre agli eventuali lavori per migliorare le infrastrutture (ibidem). Nell’ambito della cooperazione nucleare europea si eseguirono inoltre alcuni studi di fattibilità su progetti per la realizzazione di prototipi di reattori. Tra questi vi era quello per la costruzione di un reattore a fusione nucleare denominato JET alla cui progettazione il CNEN ebbe modo di partecipare a partire dal luglio '74 (per approfondimenti si veda Verbale della 30ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 24 luglio 1974, pp. 24-25, ASENEA). La costruzione del reattore iniziò effettivamente nel '78 a Culham, presso Oxford, e terminata cinque anni più tardi; esso divenne il più grande reattore a fusione nucleare, costituendo un importante successo della ricerca europea. Il Consiglio di amministrazione del CNEN aveva invitato il governo italiano a presentare con forza, presso il Consiglio dei ministri europeo, la candidatura del centro di Ispra per la localizzazione della macchina JET, ma purtroppo la scelta finale sfavorì ancora una volta l’Italia (cfr. Verbale della 53ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 4 dicembre 1975, pp. 23-28, ibidem).

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dibattiti si incentrarono principalmente sull’analisi delle implicazioni derivanti dallo shock: le

ripercussioni nel medio e nel lungo periodo dell’approvvigionamento di energia; le relazioni

della Comunità con i paesi produttori; la cooperazione con gli Stati Uniti; il bilancio energetico

comunitario; i riflessi sulla produzione, sull’occupazione, sui prezzi, sulla bilancia dei pagamenti

e sul livello delle risorse monetarie. Nell’ambito specifico della ricerca di una politica energetica

comunitaria, la Commissione presentò al Consiglio nel giugno '74 una communication dal titolo

esemplificativo “Une nouvelle stratégie de la politique énergétique pour la Communauté”.

Approvato in luglio, il documento conteneva una relazione sulle misure da prendere per

l’utilizzo razionale dell’energia e tre proposte generiche di regolamento781; a questo fece seguito

un’altra comunicazione presentata dalla Commissione il 5 agosto782. Sulla base di questi

documenti, il Consiglio pervenne alla risoluzione del 17 dicembre concernente un programma

d’azione comunitario per l’utilizzo efficiente dell’energia che faceva proprio l’obiettivo di una

riduzione del tasso di sviluppo medio a lungo termine del consumo di energia, in modo da

raggiungere nel 1985 un livello inferiore del quindici percento rispetto a quello inizialmente

previsto dalla Commissione. In secondo luogo, il Consiglio si riservò il diritto di fissare, a

seconda delle circostanze e su proposta della Commissione, obiettivi di risparmio energetico a

breve termine. Inoltre, si prendeva atto dell’intenzione di riunire un “gruppo di orientamento e di

coordinamento per l’utilizzazione razionale dell’energia”, composto da esperti nazionali dei

Nove, che avrebbe dovuto procedere a scambi di informazione e a consultazioni sull’esperienza

acquisita in materia e sulle linee fondamentali delle misure proposte in questo settore783. In

pratica, la risoluzione del 17 dicembre '74 riprendeva alcune delle proposte generiche di

regolamento della Commissione e si poneva l’obiettivo di accrescere l’indipendenza della

Comunità nei confronti dell’energia importata, e del petrolio in particolare, attraverso una

riduzione volontaria e concertata dei consumi, un impiego efficiente dell’energia, lo sviluppo

della produzione di fonti energetiche comunitarie e il sostegno a una politica di ricerca e

sviluppo per l’energia. Si sperava, così facendo, di ridurre almeno al cinquanta percento il grado

di dipendenza energetica della Comunità, contro il sessantatre percento dell’anno precedente.

Uno dei metodi previsti era quello di modificare la stessa struttura del consumo di energia,

avvalendosi sempre più dell’elettricità, così che questa potesse arrivare a coprire nel 1985 il

781 Per approfondimenti si veda Conseil des Communautés Européennes, Résolution portant avis du Parlement européen sur la communication et les propositions de la Commission des Communautés européennes au Conseil relatives à une nouvelle stratégie de la politique énergétique pour la Communauté, adoptée lors de la séance du 11 juillet 1974, Bruxelles, 15 luglio 1974, HAEU, Fondo European Commission, BAC 25/1980, 1024. 782 Cfr. Proposition de la Commission des Communautés européennes au Conseil : “Énergie pour l'Europe : recherche et développement”, Bruxelles, 5 agosto 1974, ibidem. 783 Cfr. Risoluzione del Consiglio delle Comunità Europee del 17 dicembre 1974 concernente un programma d’azione comunitario per l’utilizzazione razionale dell’energia (consultabile sul sito internet http://eur-lex.europa.eu).

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trentacinque percento del fabbisogno784. Bisognava, in definitiva, sviluppare la ricerca e la

produzione comunitaria di gas naturale, disporre nel 1985 di un parco di centrali nucleari per una

potenza di almeno centosessanta GWe, riordinare e sviluppare gli impianti di energia idraulica e

geotermica, limitare il più possibile il consumo petrolifero. Il razionale impiego dell’energia,

così come il reperimento di fonti energetiche comunitarie e il loro sviluppo, nonché l’esame delle

possibilità di impiego di nuove fonti energetiche richiedevano un ampio sforzo di ricerca che la

Commissione aveva delineato nel documento “Énergie pour l'Europe : recherche et

développement”785.

Nel contesto creatosi all’indomani della crisi petrolifera, la strategia adottata in sede

europea per lo sviluppo di una politica energetica prevedeva principalmente lo sfruttamento

accelerato dell’energia nucleare e il maggior ricorso al gas naturale, anche d’importazione. Allo

stesso tempo, anche per il settore petrolifero si prevedeva però “una politica di 784 Per uno studio sugli sviluppi previsti per l’elettricità e sulle iniziative comunitarie in genere nel settore energetico durante il 1974 si veda anche Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazione del Direttore generale al Consiglio di amministrazione sull’attività dell’ente nel 1972, Roma, 1973, pp. 217-234, ASENEL. 785 Cfr. Proposition de la Commission des Communautés européennes au Conseil : “Énergie pour l'Europe : recherche et développement”, Bruxelles, 5 agosto 1974, HAEU, Fondo European Commission, BAC 25/1980, 1024. Per quanto concerneva l’utilizzo dell’energia geotermica, ad esempio, il suo sviluppo in Italia era fermo ai progetti della fine degli anni Quaranta presentati, come già visto, dalla Società Larderello grazie allo sfruttamento dalle eccezionali condizioni geologiche presenti nella zona di Volterra e trasmessi per competenza all’ENEL con la nazionalizzazione del settore elettrico. Tuttavia, dopo lo shock petrolifero l’interesse in questo settore ritornò in auge: al fine di avviare una reale diversificazione delle fonti di energia il gruppo ENI si interessò infatti alla possibilità di attivare un programma specifico per la ricerca di vapori e di acque termali nella penisola. Una nota preparata dal direttore generale dell’ente petrolifero, Giorgio Mazzanti, per il presidente Girotti spiegava le motivazioni di un possibile intervento dell’azienda statale nel settore dell’energia geotermica: “- [avrebbe allargato] il campo di presenza dell’ENI nel settore delle fonti di energia contribuendo […] a trasformare l’ENI da operatore nel campo degli idrocarburi ad operatore nel più vasto campo energetico; - l’energia geotermica [era] in Italia una delle poche fonti energetiche indigene disponibili; - l’AGIP-AMI dispone[va] della maggior parte del know-how necessario ad entrare nel settore: - le potenzialità di sviluppo della fonte geotermica [erano] praticamente illimitate, nel caso che, oltre alle tecniche attuali che si [limitavano] a sfruttare campi di vapor naturali, si [potesse] passare alla utilizzazione di tecniche che recuperino il calore delle rocce sotterranee attraverso flussi di acqua indotti artificialmente; - l’utilizzazione dell’energia geotermica [poteva] abbracciare campi più vasti di quello per la produzione di energia elettrica, potendosi applicare al riscaldamento di quartieri urbani e ad utilizzazione diretta in processi industriali e agricoli, sia allo scopo di aumentarne il grado di sfruttamento, sia nel caso che le fonti scoperte [fossero] a temperature troppo basse per consentire la produzione di energia elettrica” (Richiesta di autorizzazione per una nuova iniziativa di esplorazione “Ricerca di vapori e acque termali in Italia” , Promemoria interno redatto dal direttore generale dell’ENI, Giorgio Mazzanti, per il presidente Girotti, Roma, 1 luglio 1974, ASE, coll. I. II. 5, udc. 86). Tuttavia, come lo stesso Mazzanti sottolineava, l’ENEL aveva già in corso un “Programma speciale per lo sfruttamento delle forze endogene nell’intero territorio nazionale” e se l’ENI voleva operare in questo settore doveva trovare un improbabile accordo con l’ente elettrico. Dopo quasi un anno, la questione venne riproposta dal ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, Carlo Donat-Cattin, durante una riunione tenutasi l’11 aprile '75, con l’invito ai due enti statali a raggiungere un’intesa per la ricerca e lo sfruttamento dell’energia geotermica. Sulla base di questa esortazione, il presidente dell’ENI inviò una lettera a Angelini al fine di definire le migliori forme di collaborazione e di coordinamento possibili (cfr. Lettera del presidente dell’ENI, Raffaele Girotti, al presidente dell’ENEL, Arnaldo Maria Angelini, Roma, 30 aprile 1975, ibidem). Il presidente dell’ENEL scrisse direttamente al ministro Donat-Cattin rivendicando la competenza dell’ente elettrico a operare nel suddetto settore ma mostrandosi disponibile a avviare una collaborazione con l’ENI per lo sfruttamento di tutte quelle risorse geotermiche non utilizzabili per la produzione di energia elettrica. Angelini, di fatto, aprì la strada allo sviluppo di una possibile cooperazione tra i due enti statali che poteva rivelarsi nel medio e nel lungo periodo vincente e avrebbe potuto garantire alla penisola una maggiore diversificazione delle fonti di energia sfruttabili (cfr. Lettera del presidente dell’ENEL, Arnaldo Maria Angelini, al ministro per l’Industria, il Commercio e l’artigianato, Carlo Donat-Cattin, Roma, 7 luglio 1975, ibidem). Per completezza di informazione bisogna però aggiungere che alla fine del '74 e, quindi, ben oltre lo scoppio dello shock petrolifero, il presidente dell’ENEL si espresse in modo molto negativo sullo sviluppo di fonti di energia alternative a quella nucleare. Intervenendo sulla programmazione dell’ente elettrico di Stato nel campo geotermico, Angelini dichiarò infatti ufficialmente che “l’ENEL intende[va] ricorrere esclusivamente alla fonte nucleare, fatte salve alcune eccezioni di carattere particolare e di entità molto modesta” (A. M. Angelini, Verso la prevalenza dell’energia elettrica da fonte nucleare, relazione presentata alle XIII Giornate dell’Energia Nucleare tenuto a Milano dal 12 al 14 dicembre 1974 sul tema “La fonte nucleare nel futuro energetico”, in Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, ENEL, Società Italiana per il Progresso delle Scienze, Raccolta di Scritti sull’Energia Elettrica del Prof. Arnaldo Maria Angelini, cit., p. 460). Forse furono queste dichiarazioni a spingere l’ENI a interessarsi direttamente anche allo sviluppo dell’energia geotermica.

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approvvigionamento comunitario nel quadro di un mercato ordinato, in cui le compagnie

petrolifere [avrebbero dovuto] seguire certe regole di comportamento ed essere sottoposte,

almeno in particolari momenti di tensione del mercato, ad una certa disciplina riguardante

soprattutto i prezzi al fine di eliminare ogni possibilità di movimenti di carattere speculativo”786.

Quest’ultima parte del piano europeo, che doveva essere inserita nella sopracitata

communication, incontrò delle difficoltà tanto che, sotto la pressione della Gran Bretagna, della

Repubblica Federale Tedesca e dell’Olanda, la Commissione rinunciò a inserirla. Questi tre

paesi, infatti, secondo Rumor, restavano “orientati verso una concezione «liberista» del mercato

energetico e in particolare del petrolio, [e pertanto erano] decisamente contrari alla realizzazione

di un «mercato ordinato», basato su regole atte a rendere trasparente il mercato dell’energia,

troppo rigide e impegnative”787. Sulla base di un compromesso, durante la riunione del Consiglio

della Comunità si giunse all’approvazione della risoluzione del 17 dicembre '74 che prevedeva,

oltre alle misure già menzionate, aiuti comunitari a sostegno di ventidue progetti riguardanti

iniziative nel campo degli idrocarburi, caratterizzate da un alto fattore di rischio e da un elevato

contenuto tecnologico. Fra questi, ben otto erano italiani con il ventisette percento delle risorse

totali messe a disposizione dalla Comunità; il principale progetto era certamente quello previsto

dalla SNAM per lo studio sulla posa di condotte sottomarine per il trasporto di gas naturale nello

Stretto di Messina e nel Canale di Sicilia788. L’imponenza dell’azione comunitaria nei confronti

della penisola, sebbene frutto del decisivo ruolo svolto dai rappresentanti presso le istituzioni

comunitarie, dimostrava l’enorme disagio che l’Italia stava attraversando nel settore energetico.

In una Note d’information diffusa da Henri François Simonet (vicepresidente della

Commissione Ortoli con competenze nel settore Energia) con l’obiettivo di sintetizzare i lavori

precedenti, si rilevava l’interconnessione fra la politica energetica comunitaria e quella delle altre

nazioni del mondo, Stati Uniti in primis789. Questa constatazione avrebbe dovuto spingere la

Comunità a ricercare collaborazioni sempre più proficue sia con i paesi produttori che con gli

Stati consumatori di energia per mettere in atto programmi economici condivisi nel breve e nel

lungo periodo e per sviluppare politiche energetiche il più possibile in sintonia fra loro. Nella

nota, la Commissione stabilì anche che la politica dei prezzi al consumo dovesse basarsi sulla

concorrenza e sulla trasparenza dei costi e dei prezzi. Ciò avrebbe potuto contribuire a rendere

coerenti all’interno della Comunità i livelli dei prezzi energetici, fondati sulla reale evoluzione

786 Relazione sull’attività delle Comunità europee per l’anno 1974, presentata dal ministro per gli Affari Esteri, Mariano Rumor, Camera dei Deputati, VI Legislatura, 8 gennaio 1975, HAEU, Fondo Edoardo Martino, nn. 27-28, p. 125. 787 Ibidem. 788 Ibidem, p. 126. 789 Cfr. Commission des Communautés européennes, Note de d’information diffusée sur instruction de M. Simonet : “La Politique énergétique communautaires. Réalisation-Perspective” , Bruxelles, 13 febbraio 1975, HAEU, Fondo European Commission, BAC 25/1980, 1025.

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delle condizioni di approvvigionamento790. Su questa stessa linea, a conclusione delle analisi del

gruppo di lavoro incaricato dal Comitato per l’Energia di esaminare la possibilità di istituire un

regime comunitario dei prezzi dei prodotti petroliferi, la Commissione europea sottopose al

Consiglio, nel luglio '75, una procedura volta a garantire una migliore trasparenza dei mercati del

greggio e dei prodotti derivati. La finalità del procedimento d’informazione era duplice:

“- conoscere e raffrontare i livelli dei prezzi praticati nei vari paesi della Comunità; -

analizzare le tendenze evolutive dei prezzi dei prodotti petroliferi e dei costi di

approvvigionamento di petrolio greggio”791.

La Commissione, in base alle informazioni raccolte, avrebbe quindi comunicato, con

cadenza trimestrale, ai paesi membri:

“- dati di sintesi sui prezzi del petrolio greggio e dei prodotti petroliferi; - il raffronto dei

livelli dei prezzi dei prodotti petroliferi praticati nella Comunità; l’evoluzione, per ogni singolo

Stato membro e per la Comunità, della valorizzazione media all’uscita dalla raffineria per

tonnellata di petrolio greggio trattato; - il raffronto fra l’evoluzione delle condizioni di

approvvigionamento di petrolio greggio e di prodotti petroliferi e gli introiti della vendita sui

mercati dei prodotti petroliferi”792.

Questa impostazione avrebbe permesso, da un lato, un’analisi dettagliata del mercato

energetico comunitario e, dall’altro lato, la possibilità di intervenire direttamente in caso di

difficoltà. Il “gruppo Energia” si riunì il 12 novembre '75 e, dopo uno scambio di opinioni fra i

rappresentati degli Stati membri793, il Consiglio pervenne a una nuova stesura del documento in

cui la competenza sulla forma e i mezzi per raccogliere le informazioni relative al mercato

petrolifero si lasciò alle autorità nazionali dei singoli paesi794. La revisione poteva essere

considerata un ulteriore passo in avanti nel lungo percorso verso l’adozione di una efficace

politica energetica comunitaria ma, nonostante ciò, si era ancora molto lontani dal raggiungere lo

scopo finale. Era stato impossibile, ad esempio, convenire sull’attuazione di misure concrete per

790 Ibidem. 791 Cfr. Progetto di Regolamento (CEE) del Consiglio concernente una procedura comunitaria d’informazione e di consultazione sui prezzi del petrolio greggio e dei prodotti petroliferi nella Comunità (presentata dalla Commissione al Consiglio), Bruxelles, 25 luglio 1975, ACEU, Intermediate Archives, 12199. 792 Ibidem. 793 Cfr. Dichiarazione rilasciata dal rappresentante della Commissione nella riunione del gruppo “Energia”, Bruxelles, 12 novembre 1975, ibidem, 12236. 794 Cfr. Progetto di Regolamento (CEE) del Consiglio concernente una procedura comunitaria d’informazione e di consultazione sui prezzi del petrolio greggio e dei prodotti petroliferi nella Comunità (testo elaborato dal segretario generale, Bruxelles, 18 novembre 1975, ibidem.

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centrare l’obiettivo, fissato dai ministri dell’Energia già nel dicembre '74, di ridurre al quaranta-

cinquanta percento la dipendenza globale dei paesi comunitari dalle importazioni di idrocarburi.

Inoltre, nel '76 la Comunità non raggiunse l’obiettivo prefissato della formulazione e della

concreta attuazione di una politica energetica unitaria; le decisioni più importanti che

influenzarono il mercato energetico europeo e la sua futura evoluzione si presero infatti in altre

sedi internazionali o nell’ambito delle politiche nazionali degli Stati membri795.

4. L’ENI e la politica petrolifera

Lo shock petrolifero determinò, oltretutto, una notevole intensificazione dello sforzo

produttivo dell’ENI attraverso la ricerca di nuovi idrocarburi sia sul territorio nazionale che

all’estero. Giacimenti di gas naturale si scoprirono già nel corso del '73, parte in terra e parte in

mare, nella zona adriatica ma il ritrovamento più interessante si rivelò senza dubbio quello del

sito di Malossa, presso Casirate d’Adda, le cui riserve estraibili erano state valutate in cinquanta

milioni di metri cubi di gas naturale e in quaranta milioni di tonnellate di greggio796. Si trattava

del più grande giacimento mai scoperto in Italia che accendeva nuovamente grandi speranze

sull’esistenza di ricchi depositi di idrocarburi in tutta la Val Padana. Tuttavia, le ricerche

successive, avviate mediante l’uso di tecniche di prospezione all’avanguardia e con strumenti di

perforazione di ultima generazione, non diedero i risultati sperati spingendo così l’ENI a

incrementare la ricerca all’estero delle fonti di approvvigionamento. A partire dagli inizi degli

anni Settanta, l’ente petrolifero avviò una strategia di ricerca mineraria fuori dal territorio

italiano che puntava alla riduzione delle aree dei permessi di ricerca sulla terra ferma e si

concentrava su quelle ubicate in zone marine e nelle piattaforme continentali. Le principali

scoperte si verificarono nel Mar del Nord, nel golfo del Niger, nel Congo, in Iraq, nel fuoricosta

del Canada, in Indonesia, in Tailandia, in Tunisia e in Tanzania; nel '75, ben il 66,2% dei

permessi di ricerca detenuti dall’AGIP era riconducibile a pozzi off-shore, per una produzione,

nel quadriennio '72-'76, di quasi sessanta milioni di tonnellate di greggio all’estero e che

superava addirittura l’intera produzione del decennio precedente797. Purtroppo, però, i maggiori

giacimenti scoperti erano troppo distanti dal territorio italiano per essere sfruttati direttamente e

795 Per approfondimenti si veda Ente Nazionale Energia Elettrica, Relazione del Direttore generale al Consiglio di amministrazione sull’attività dell’ente nel 1976, Roma, 1977, ASENEL. 796 Per approfondimenti si vedano M. Magini, L'Italia e il petrolio tra storia e cronologia, cit., pp. 214-215; G. Sapelli, F. Carnevali, Uno sviluppo tra politica e strategia. ENI (1953-1985), cit., p. 73. 797 Cfr. M. Magini, L'Italia e il petrolio tra storia e cronologia, cit., pp. 217-218; G. Sapelli, F. Carnevali, Uno sviluppo tra politica e strategia. ENI (1953-1985), cit., p. 74.

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ciò rese necessario uno scambio con le compagnie che se ne approvvigionavano dal

Mediterraneo.

Nel campo della raffinazione l’ente petrolifero, in conseguenza della già citata

acquisizione delle attività detenute dalla SHELL Italia, aumentò la propria capacità interna,

diminuendo quella estera e modificando una tendenza assunta fin dalla morte di Mattei. Sul

fronte delle opere per il trasporto del combustibile fossile, oltre all’accordo per il gasdotto con

l’Algeria, nell’aprile del '74 venne completato il metanodotto dall’Olanda che immetteva nella

rete italiana il gas proveniente dai giacimenti di Drenthe, mentre in maggio fu la volta del

gasdotto dall’URSS798.

All’indomani della crisi, l’ENI effettuò dunque tutti quegli investimenti necessari per il

recupero di un ruolo di primo piano con il duplice obiettivo di ottenere quante più importazioni

petrolifere possibili e di aumentare la propria capacità di raffinazione interna. In pratica l’ente

petrolifero sembrò volere riguadagnare quella posizione detenuta negli anni Cinquanta che,

successivamente, aveva perduto a vantaggio delle big seven. Era ovvio, però, che l’ENI degli

anni Settanta, pur dichiarando gli stessi obiettivi energetici di Mattei, non avrebbe mai potuto

svolgere un ruolo antagonista nei confronti delle grandi compagnie petrolifere internazionali.

L’imperativo del '74 era infatti quello di evitare il ripetersi degli eventi accaduti nei mesi

precedenti e, in funzione di ciò, il governo aveva delineato un piano per la riorganizzazione del

settore petrolifero mediante il quale si proponeva di garantire la continuità e l’economicità degli

approvvigionamenti anche attraverso un potenziamento del ruolo svolto dall’ENI. Annunciato

nell’ottobre precedente, il piano subì un notevole ritardo dovuto sia alle pressioni esercitate dalle

compagnie private che cercarono di evitare l’assegnazione di un ruolo di eccessivo rilievo per

l’ente statale, sia alla crisi di governo799. Presentato in gennaio come previsto, esso si approvò

definitivamente solo il 29 marzo successivo, subito dopo la formazione del V° governo Rumor,

avvenuta il 14 marzo. Dopo solo otto mesi di vita, infatti, il precedente esecutivo, presieduto

dallo stesso Rumor, cadde a seguito delle dimissione del ministro del Tesoro, il repubblicano

Ugo La Malfa, per contrasti con il socialista Antonio Giolitti, ministro del Bilancio e della

Programmazione Economica, sulle condizioni poste all’Italia dal Fondo Monetario

Internazionale per la concessione di un prestito. L’episodio determinò l’uscita del PRI dalla

798 Per approfondimenti si veda M. Magini, L'Italia e il petrolio tra storia e cronologia, cit., pp. 218-219. 799 In un certo qual modo sul ritardo nell’approvazione del piano petrolifero influì anche lo scoppio, in febbraio, del secondo scandalo dei petroli che coinvolse i segretari amministrativi di tutti e quattro i partiti politici al governo (DC, PSI, PSDI e PRI) e di ben trentacinque dirigenti ENEL per presunti fondi neri pagati dai petrolieri allo scopo di influenzare la politica energetica nazionale.

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maggioranza del nuovo esecutivo composta da democristiani, socialisti e socialdemocratici,

mentre i repubblicani optarono per un appoggio esterno800.

Dopo l’approvazione del piano petrolifero, spettava al ministro del Bilancio e della

Programmazione Economica predisporre gli strumenti operativi per la sua attuazione, mentre per

il periodo successivo era previsto che l’intero programma si sottoponesse all’esame delle

competenti commissioni dei due rami del Parlamento801. Il 26 aprile il piano venne approvato dal

Comitato interministeriale per la programmazione economica che affidò il mandato al ministro

dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, Ciriaco De Mita, di formulare, d’intesa con le

amministrazioni interessate e dietro consultazione con le Regioni, un disegno di legge per

modificare sia la disciplina delle attività petrolifere di approvvigionamento e raffinazione, che i

compiti del CIP relativi all’indagine sui costi e sulle fissazioni dei prezzi petroliferi802. Una serie

di disposizioni particolari erano previste per imporre agli operatori del settore gli adempimenti

necessari per il soddisfacimento del mercato interno e per la regolamentazione delle concessioni

di raffinazione. Per ovviare a eventuali carenze nell’approvvigionamento il ministro per le

Partecipazioni Statali aveva il compito di regolamentare, mediante l’elaborazione di un disegno

di legge, i rapporti fra lo Stato e le società petrolifere relativamente agli acquisti di greggio da

parte dell’ENI, mentre spettava al Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato

predisporre un programma di rifornimento per l’ultimo semestre del '74. Allo stesso Ministero

spettava inoltre il compito di elaborare il piano di ristrutturazione del settore della raffinazione e

un programma per la rete di oleodotti e del sistema di stoccaggio, previa consultazione con le

Regioni. Il ministro per la Marina doveva infine approntare il rafforzamento della flotta

cisterniera. Nel suo insieme, il piano petrolifero prevedeva una serie di disposizioni che

andavano dalla determinazione dei prezzi, alla valutazione dei costi, alla definizione delle

modalità e dei tempi per l’attuazione delle direttive comunitarie in materia di scorte e includeva,

infine, gli apporti tecnici dell’ENI803. All’ente petrolifero toccava il compito di reperire sul

mercato internazionale e alle migliori condizioni i quantitativi necessari in caso di carenze di

approvvigionamento, caricando lo Stato degli eventuali oneri delle operazioni. In vista di questo

800 Nel V° governo Rumor, pertanto, Antonio Giolitti vide riconfermata la sua carica di ministro del Bilancio e della Programmazione Economica, mentre al Tesoro La Malfa venne sostituito con Emilio Colombo. Per un approfondimento sulla situazione politico-sociale dell’Italia del momento si vedano, tra gli altri, S. Colarizi, Storia dei partiti nell’Italia repubblicana, cit., pp. 413-471; P. Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1991, in G. Galasso, Storia d’Italia, cit., pp. 520-538; P. Ginsborg, Storia dell’Italia dal dopoguerra ad oggi, vol. II, Dal miracolo economico agli anni '80, cit., pp. 473-478; S. Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana: dalla fine della guerra agli anni Novanta, cit., pp. 307-347; F. Malgeri, L’Italia dal centro-sinistra agli «anni di piombo», cit., in G. Aliberti, F. Malgeri, Due secoli al Duemila. Transizione Mutamento Sviluppo nell’Europa Contemporanea (1815-1998), cit., pp. 699-701; N. Tranfaglia, La modernità squilibrata. Dalla crisi del centrismo al «compromesso storico», in F. Barbagallo (a cura di), Storia dell’Italia repubblicana, vol. II, La trasformazione dell’Italia. Sviluppo e squilibri, cit., pp. 75-92. 801 Cfr. Approvato il piano petrolifero (articolo non firmato), «Avanti», 30 marzo 1974. 802 Cfr. Delibera del CIPE n. 056 del 26 aprile 1974 (il testo integrale della delibera è consultabile sul sito internet http://www.cipecomitato.it). 803 Cfr. Direttive per attuare il piano petrolifero (articolo non firmato), «Il Popolo», 27 aprile 1974.

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obiettivo l’ENI avrebbe dovuto intensificare le attività di ricerca mineraria in Italia e all’estero, a

condizione di poter disporre di un adeguato ammontare di capitale di rischio. Le scorte d’obbligo

di greggio o di prodotti del petrolio dovevano essere portate, secondo quando deliberato in sede

CEE, a novanta giorni rispetto ai consumi dell’anno precedente804; in aggiunta, il piano

petrolifero italiano prevedeva la possibile costituzione di una ulteriore scorta strategica pari a

trenta giorni. Nel settore della raffinazione gli interventi previsti erano diretti a realizzare un

sistema che assicurasse la priorità al soddisfacimento dei fabbisogni interni e a promuovere la

razionalizzazione degli impianti al fine di eliminare sprechi derivanti da una capacità eccessiva,

da dimensioni insufficienti e da una squilibrata distribuzione sul territorio.

Il piano petrolifero nazionale introdusse, per la prima volta in Italia, una programmazione

energetica nel senso compiuto del termine, quale strumento per affrontare il problema

dell’approvvigionamento delle fonti. Molto interessante in proposito risulta il commento del

presidente dell’ENI espresso durante il primo convegno internazionale sull’ambiente e sulla crisi

energetica svoltosi a Torino nel maggio '74; secondo l’opinione di Girotti, in Italia la situazione

appariva più difficile che altrove e non poteva essere risolta senza fare i conti con la necessità di

importare fonti energetiche dall’estero e, di conseguenza, senza considerare le implicazioni del

caso. A differenza di quanto possibile negli USA con l’emanazione del progetto Indipendenza805,

l’Italia doveva infatti confrontarsi con la sua scarsa disponibilità di risorse interne e ciò

imponeva una programmazione settoriale capace di valutare tutti i fattori esterni condizionanti.

In questa direzione Girotti considerava essenziale la coerenza di obiettivi fra la politica estera

italiana, quella commerciale e quella di cooperazione con i PVS:

“La programmazione energetica per il nostro Paese [era] resa, per certi aspetti, più complessa

dal fatto che in Italia [era] inconcepibile, ad esempio, un progetto «Indipendenza» analogo a

quello approntato negli Stati Uniti. Qualunque [fosse], quindi, l’obiettivo della programmazione –

riduzione dei consumi ed aumento dell’offerta, o aumento di entrambe le componenti del mercato

– [era] necessario prendere atto che una politica di programmazione energetica [doveva] essere

elaborata tenendo presente lo scarso apporto delle fonti energetiche interne alla copertura del

804 Cfr. Direttiva del Consiglio delle Comunità europee n. 425 del 19 dicembre 1972. Per un’analisi sulle discussioni inerenti questa direttiva e le sue applicazioni nel breve periodo si veda Relazione della Commissione al Consiglio sull’applicazione della direttiva 72/425 che stabilisce l’obbligo per gli Stati membri di portare a 90 giorni di consumo, al più tardi il 1° gennaio 1975, il livello minimo delle scorte di petrolio greggio e/o di prodotti petroliferi, Bruxelles, 28 novembre 1974, ACEU, Intermediate Archives, 12119. Per uno studio sullo stato di attuazione della direttiva si veda anche Commission des Communautés Européennes, Rapport sur l’état d’application de la directive du Conseil 68/414/CEE modifie par la directive du Conseil72/425/CEE faisant obligation aux états membres de la C.E.E. de maintenir un niveau minimum de stocks de pétrole brut et/ou de produits pétroliers, Bruxelles, 28 novembre 1975, HAEC, BAC 28/1980, 690. 805 Il progetto “Indipendenza” venne varato da Nixon a pochi giorni dalla scoppio dello shock petrolifero e mirava a far raggiungere entro sette anni agli Stati Uniti la capacità di far fronte a ogni esigenza energetica senza dipendere da fonti straniere. Si trattava di un piano avveniristico che venne abbandonato immediatamente con il dirompere dello scandalo Watergate e con le dimissioni del presidente.

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fabbisogno globale. Quali che [fossero], cioè, le fonti energetiche chiamate a svolgere un ruolo

più o meno importante nella copertura del fabbisogno energetico italiano esse [sarebbero state]

disponibili soltanto mediante l’importazione, poiché le risorse nazionali (essenzialmente energia

idroelettrica e gas naturale) non [avrebbero potuto] rappresentare che quote molto modeste del

bilancio energetico. Questa constatazione [aveva] implicazioni evidenti. Una politica di

programmazione energetica non [poteva] limitarsi a delineare la evoluzione dei settori finali di

utilizzazione e di definire con quali fonti [era] più economico e razionale soddisfarli in una

situazione o di relativa abbondanza o di relativa scarsità. Essa [doveva] anche essere resa coerente

con tutti gli altri fattori che [intervenivano] a determinare l’equilibrio o lo squilibrio globale del

sistema economico sul piano esterno […]. In altri termini, la programmazione energetica italiana

– così come quella di altri paesi che si [trovavano] in condizioni analoghe – [doveva]

necessariamente tenere conto di tutti i fenomeni esogeni che [potevano] influenzarla. Di

conseguenza, essa [doveva] essere inserita in un contesto più ampio in cui la politica estera, la

politica commerciale e la politica italiana di cooperazione con i paesi in via di sviluppo [fossero]

coerenti e [rappresentassero] un supporto alla programmazione energetica stessa. […] Sul piano

dell’approvvigionamento energetico […] la realtà [era], come già detto, che il nostro Paese

dipende[va] e [sarebbe dipeso] dall’esterno in misura elevata, tale da costituire per esso un grosso

condizionamento. I nostri interlocutori [erano] – e lo sarebbero [stati] sempre più nel futuro – i

paesi produttori di petrolio e di altre materie prime”806.

Le affermazioni del presidente dell’ENI puntavano dunque sull’importanza per l’Italia,

vista la situazione di cronica dipendenza energetica, di mantenere buone relazioni diplomatiche

con i paesi produttori e esportatori di qualunque fonte di energia. Nel breve e medio periodo il

petrolio avrebbe rappresentato ancora la principale componente energetica e ciò poneva il

problema significativo dell’economicità dell’approvvigionamento che non poteva essere

trascurato dalla programmazione energetica italiana. In proposito Girotti dava merito al piano

petrolifero appena approvato di tenere conto di questo aspetto, riconoscendo che questo progetto

“rappresenta[va] anche il primo tentativo effettuato nel nostro Paese di programmare lo sviluppo

di un settore fondamentale alla copertura del fabbisogno energetico”807. Il piano prevedeva infatti

che l’ENI svolgesse un ruolo di primo piano nell’approvvigionamento petrolifero e che

ampliasse l’impegno nell’acquisizione di fonti autonome. L’espansione delle attività di ricerca a

livello internazionale non era tuttavia sufficiente alla copertura del fabbisogno energetico

nazionale e si rendeva necessario, secondo il presidente dell’ENI, “avviare un’azione diretta ad

806 La programmazione energetica nazionale in Italia nel quadro della situazione mondiale delle fonti di approvvigionamento, relazione di Raffale Girotti, presidente dell’ENI, durante il primo convegno internazionale sull’ambiente e sulla crisi dell’energia, Torino, 8-12 maggio 1974, ASE, coll. AS. I. 2, udc. 17. 807 Ibidem.

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acquisire quantità consistenti di petrolio dai paesi produttori. Questi ultimi, in relazione ai

cambiamenti che si [erano] già verificati e che ancora si [sarebbero verificati] nell’assetto

dell’industria petrolifera internazionale, [avrebbero] disposto di quantità sempre più elevate di

petrolio, che [avrebbero teso] a collocare in modo diretto sul mercato o a cedere sulle basi di

accordi di scambio di petrolio contro beni di investimento, assistenza tecnica, cooperazione

industriale ed economica in genere”808. A questo fine l’ENI doveva essere pertanto sostenuta dal

governo non solo in termini finanziari ma anche con l’affiancamento di una politica estera che

includesse una adeguata cooperazione internazionale.

Seguendo fedelmente questa linea d’azione, l’ente petrolifero di Stato intraprese diverse

iniziative con i paesi produttori che prevedevano forniture di beni e servizi anche da parte

dell’industria privata. La caratteristica principale delle attività dell’ENI, peraltro già attuata con

successo in passato, consisteva nel legare l’approvvigionamento di energia a lungo termine verso

il mercato italiano mediante la conclusione di accordi di collaborazione che contemplavano,

soprattutto, l’esecuzione di infrastrutture per la messa in produzione, lo sviluppo e il trasporto

delle materie energetiche così da renderle più economiche. Le iniziative principali riguardarono

la realizzazione del tratto algerino del gasdotto verso l’Italia; l’esecuzione, sempre in Algeria,

della raffineria di Skikda e delle stazioni di compressione gas; il completamento della raffineria

Warri nel Lagos (Nigeria); la costruzione dell’oleodotto Kirkuk-Iskenderun (Turchia) e del

relativo terminale; l’esecuzione di impianti chimici in Unione Sovietica e la fornitura di stazioni

di compressione809. L’azione dell’ENI presupponeva ovviamente notevoli risorse economiche da

investire. In tutti i progetti avviati nei paesi produttori, infatti, il ritorno finanziario era previsto

solo in una fase avanzata dei progetti o con una rateizzazione a lunga scadenza, al punto che si

ipotizzò di offrire ai produttori una partecipazione paritaria in nuove società finanziarie

appositamente create in loco allo scopo di sovvenzionare i progetti di collaborazione. Allo Stato

estero si chiedeva di concedere dei finanziamenti alla nuova società, offrendo al contempo

l’opportunità di diventarne socio e inserendo così nella proposta di cooperazione un elemento

appetibile per i paesi esteri che avevano risorse finanziarie disponibili810. Anche se l’oggetto di

questi accordi non era direttamente il petrolio, le proposte di partecipazione paritaria ricordavano

molto la politica di Mattei degli anni Cinquanta e il tentativo di offrire ai produttori

collaborazioni più vantaggiose nello sfruttamento delle loro risorse petrolifere rispetto alle grandi

compagnie internazionali. Ad ogni modo, non vi furono conferme sull’uso effettivo di questa

particolare strategia. 808 Ibidem. 809 Cfr. Iniziative ENI verso paesi produttori di energia, Promemoria interno redatto da Guido Pasetti, 26 giugno 1974, ASE, coll. BB. III. 1, udc. 442. 810 Cfr. Appunto interno all’ENI (non firmato), 4 dicembre 1974, ibidem.

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Gli accordi bilaterali con i paesi produttori rimanevano l’obiettivo primario poiché solo in

questo modo sarebbe stato possibile tenere conto sia delle esigenze energetiche dell’Italia che

della necessità di orientare il flusso delle esportazioni nazionali verso quelle aree:

“L’ENI, in armonia con le politiche generali del Governo italiano, [stava compiendo] ogni

sforzo per raggiungere accordi con i Paesi produttori articolati in due componenti principale: - da

un lato l’impegno pluriennale del Paese produttore di consegnare determinati quantitativi di

greggio e/o gas naturale; - dall’altro gli interventi delle Società del Gruppo con ricorso anche a

Società di altri Gruppi italiani a partecipazione statale e privati, diretti ad assicurare un contributo

effettivo all’industrializzazione dei Paesi produttori, mediante l’apporto di forniture tecnologiche,

di progetti per la creazione di infrastrutture o di fornitura di beni strumentali o di consumo”811.

Tuttavia, gli accordi bilaterali dell’ENI con i produttori avrebbero lasciato il passo a

intese multilaterali eventualmente sopraggiunte per risolvere i problemi energetici condivisi a

livello mondiale.

5. La cooperazione internazionale

Con la conferenza sull’energia di Washington si formalizzarono ufficialmente le

divergenze franco-americane con profonde ripercussioni sui rapporti intracomunitari. La

direzione intrapresa dall’Eliseo rischiava di determinare forti ripercussioni negative sull’intero

processo di cooperazione europea. In questo contesto avvenne la morte, il 2 aprile del '74, del

presidente francese Georges Pompidou, già malato da tempo e che aveva scelto, nonostante i

sintomi fossero ormai visibili e invalidanti, di non dimettersi e di continuare a esercitare il suo

mandato. Temporaneamente la presidenza della Repubblica venne assegnata ad interim al

presidente del Senato, Alain Poher, fino all’elezione, avvenuta il 28 maggio successivo, di

Valéry Giscard d’Estaing. Il nuovo presidente aveva già ricoperto diversi incarichi governativi e,

da ultimo, era stato ministro delle Finanze e degli Affari Economici, diventando in pratica il

principale artefice della politica economica francese. Grazie alle vaste competenze in campo

finanziario, Giscard d’Estaing era già noto al palcoscenico internazionale per essere da sempre

un convinto europeista: le relazioni all’interno della Comunità iniziarono dunque a prendere una

piega diversa, così come avvenne con i rapporti con gli Stati Uniti812. Il 10 giugno i ministri degli

811 Appunto per l’ing. Girotti dal titolo “Rapporti ENI-Paesi produttori” (redatto da P. Landolfi), Roma, 27 febbraio 1975, ibidem. 812 Sulla politica estera di Giscard d’Estaing si rimanda a S. Cohen, M. C. Smouts, La politique extérieure de Valérie Giscard D’Estaing, Paris, 1985.

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Esteri dei Nove, riuniti a Bonn, decisero di dare definitivamente corso al progetto del dialogo

euro-arabo, superando sia la netta ostilità di Kissinger, che vedeva in questa iniziativa una sorta

di interferenza nell’azione politica, diplomatica e economica che stava conducendo in Medio

Oriente813, sia lo scetticismo britannico, direttamente connesso alla scarsa credibilità che agli

occhi degli inglesi aveva una simile iniziativa europea814, sia, infine, l’opposizione di una parte

degli stessi paesi arabi, quelli più vicini alle posizioni statunitensi come l’Arabia Saudita815. Per

quanto concerneva in particolare i rapporti atlantici, i Nove optarono per un contatto diretto con

Washington, dando concreta applicazione al principio delle consultazioni che, come ben

specificato, non sarebbero state né automatiche né istituzionalizzate816. In definitiva, il dialogo

euro-arabo che la Comunità si avviava a intraprendere mediante le nuove decisioni di Bonn

appariva solo un lontano parente dei propositi francesi iniziali. Il Quai d’Orsay intendeva infatti

dar vita a una cooperazione con i paesi produttori alternativa alla politica statunitense e che

portasse dei vantaggi diretti all’intera Comunità, e soprattutto alla Francia i cui accordi bilaterali

erano stati messi in discussione dalle iniziative di Washington. I tempi erano però già

profondamente cambiati: la crisi petrolifera si poteva dire ormai conclusa; Kissinger era riuscito

a ottenere, grazie all’applicazione di quella che passò alla storia come la “diplomazia della

spola”, un accordo di disimpegno fra le forze israeliane e quelle siriane in base al quale Israele si

sarebbe ritirato da tutti i territori conquistati sulle alture del Golan durante la guerra del Kippur.

D’altronde, la stessa elezione di Giscard d’Estaing aveva finito per determinare un approccio

meno antagonista nei confronti degli Stati Uniti. Si trattava insomma di una serie di fattori che

813 Le riserve espresse in precedenza dagli Stati Uniti, seppur ribadite da Kissinger, andarono infatti gradualmente scemando in concomitanza al superamento della fase acuta della crisi e in virtù dei notevoli progressi che l’opera di mediazione in Medio Oriente stava avendo. Nella fattispecie, gli USA strinsero un accordo con l’Arabia Saudita mediante il quale, non solo si assicurarono l’usufrutto delle immense riserve petrolifere del paese arabo, ma lo condizionarono con ingenti forniture militari (cfr. Note du Secrétaire Général adjoint de la Commission des Communautés Européennes, Klaus Meyer, à l’attention de Monsieur C. Cheysson, Membre de la Commission, Bruxelles, 14 giugno 1974, HAEU, Fondo Klaus Meyer, n. 39). In effetti, secondo quanto riportato dallo stesso Meyer in una nota per Cheysson, sulla base di una conversazione avuta con un esperto di affari del Vicino Oriente dell’Auswärtiges Amt, il Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Federale Tedesca, “les objections américaines contre le projet du dialogue euro-arabe [étaient] essentiellement dues au fait que les Américains veulent d’abord conclure un important accord de coopération avec l’Arabie saoudite. Cet accord [aurait prévu] une augmentation de la production et des livraisons de l’Arabie saoudite de 30% jusqu’en 1980, année à partir de laquelle les Etats-Unis [espéraient] avoir regagné leur autonomie en matière d’énergie. Les termes de cet accord [avaient] déjà [été] négociés et sa signature [serait intervenue] dès qu'un règlement entre l'Israël et la Syrie [serait] intervenu. De cette façon, M. Kissinger [aurait reporté] un double succès” (Note du Secrétaire Général adjoint de la Commission des Communautés Européennes, Klaus Meyer, à l’attention de Monsieur C. Cheysson, Membre de la Commission, Bruxelles, 29 maggio 1974, ibidem). Per uno studio sui rapporti Stati Uniti-Arabia Saudita in funzione delle risorse petrolifere si veda R. Bronson, Thicker Than oil: America’s Uneasy Partnership with Saudi Arabia, Oxford, 2006. 814 Ciò fu possibile accettando definitivamente l’impostazione britannica secondo cui la programmata cooperazione euro-araba non doveva essere intesa in opposizione alla politica statunitense ma strettamente collegata con essa. 815 Per approfondimenti si veda Note du Secrétaire Général adjoint de la Commission des Communautés Européennes, Klaus Meyer, à l’attention de Monsieur le Président Ortoli, de sir Christopher Soames, vice-président, et de Monsieur C. Cheysson, Membre de la Commission, Bruxelles, 24 giugno 1974, HAEU, Fondo Klaus Meyer, n. 39. 816 L’accordo definitivo tra i partner europei si raggiunse alla riunione dei ministri degli Esteri del 21 e 22 aprile tenutasi presso il castello di Schloss Gymnich da cui prese il nome l’intesa stessa: “compromesso di Gymnich” [per approfondimenti si vedano, tra gli altri, B. Koheler, Le relazioni euro-americane e la CPE, in G. Bonvicini (a cura di), La politica estera dell’Europa. Autonomia o dipendenza?, Roma, 1980, pp. 105-116; S. Pietrantonio, La guerra d’ottobre vista dall’Europa: tra desideri di autonomia, crisi energetica e imperativi atlantici, in A. Bitumi, G. D’Ottavio, G. Laschi (a cura di), La Comunità europea e le relazioni esterne, 1957-1992, cit., p. 105; S. J. Nuttal, European Political Co-operation, Oxford, 1992, p. 18].

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stavano configurando l’avvio di un nuovo clima, più disteso e cooperativo, nel complesso

mosaico dei rapporti atlantici817.

Secondo quanto riportato in una nota dal direttore del Centro d’Analisi e Previsione del

Quai d’Orsay, Thierry de Montbrial, le relazioni franco-americane sembravano addirittura

avviarsi verso un vero e proprio disgelo come testimoniava il nuovo approccio di Parigi verso il

Gruppo dei Dodici, nato con la conferenza di Washington sull’energia:

“La Francia [aveva] deciso di non partecipare al gruppo di coordinamento sull’energia creato

alla Conferenza di Washington per ragioni principalmente politiche: rifiuto di intenzioni

egemoniche che partivano dagli Stati Uniti, difesa dell’identità europea, timore di reazioni

negative dei paesi arabi, dubbi sull’efficacia tecnica delle misure proposte da Washington. […]

Gli eventi sembra[va]no dar ragione agli Stati Uniti: la coesione europea [aveva] avuto un duro

colpo e la costituzione del Gruppo dodici [era] stata accolta positivamente dai paesi arabi che

[avevano] finito per giocare il gioco americano. […] Vi [erano] state diverse richieste perché la

Francia [entrasse] a far parte del Comitato di coordinamento sull’energia: come farlo senza

perdere la faccia? Gli Stati Uniti [avevano] proposto la creazione di un gruppo dei tredici presso

l’OCSE, ma […] sarebbe [stato] meglio creare un gruppo in coordinazione con il Fondo

Monetario Internazionale”818.

Un cambio così netto sarebbe stato forse troppo difficile da effettuare, specie a pochi

giorni dall’elezione di Giscard d’Estaing. Rimaneva però il significativo riavvicinamento con

817 Nel quadro di un’effettiva collaborazione internazionale si potevano collocare anche le decisioni prese durante la sesta sessione straordinaria dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dedicata ai problemi delle materie prime e dello sviluppo e che si svolse dal 9 aprile al 2 maggio '74 (per consultare il testo dell’intera sessione si veda Relazione a nome della Commissione per lo sviluppo e la cooperazione del Parlamento europeo del 9 luglio 1974, ACEU, Intermediate Archives, 12024). Il principale organo istituzionale dell’ONU stabilì la creazione di uno Special Fund allo scopo di aiutare i paesi in via di sviluppo più bisognosi e cercando di rispondere a una delle più difficili situazioni del momento. Per quanto riguardava la Comunità europea, venne presentato un progetto in cui si dichiarava ufficialmente la disponibilità “a svolgere un ruolo attivo” e “a fornire un contributo sostanziale” per l’avvio “di un’azione di aiuto internazionale a carattere eccezionale, onde far fronte alle difficoltà incontrate da tali paesi in via di sviluppo […] a condizione che gli altri membri della Comunità internazionale si [associassero] ad essi” (Discorso del Rappresentante della Comunità europea all’Assemblea Generale straordinaria delle Nazioni Unite, Walter Scheel, Commissione delle Comunità europee, Bruxelles, 29 maggio 1974, ACEU, Intermediate Archives, 12028). Il riferimento era ovviamente diretto ai paesi produttori che avevano ottenuto introiti economici smisurati con lo shock petrolifero e che, mediante la loro ritorsione, avevano contribuito direttamente a rendere insostenibile la situazione dei paesi in via sviluppo; essi erano pertanto chiamati a intervenire per aiutare, con l’utilizzo dei surplus accumulati, i PVS. Una risposta positiva in questa direzione si ebbe durante il primo simposio mondiale sull’energia e sulle materie prime svoltosi a Parigi dal 6 all’8 giugno e nel corso del quale il rappresentante dei paesi produttori di petrolio, Kheme, confermò la disponibilità a collaborare con le nazioni industrializzate per sanare il debito dei paesi del terzo mondo, dopo aver già messo a disposizione l’uno percento del PIL (cfr. Relazione a nome della Commissione per lo sviluppo e la cooperazione, Parlamento europeo, Documenti di seduta, 9 luglio 1974, ACEU, Intermediate Archives, 12024). Il 13 giugno, infine, il Fondo Monetario Internazionale diede seguito alle decisioni prese durante la sesta sessione straordinaria dell’Assemblea Generale e istituì il suddetto Special Fund, denominandolo Oil Facility, mediante il quale i paesi OPEC si impegnavano a versare una somma considerevole di dollari per prestiti a tasso agevolato destinati ai paesi maggiormente afflitti dal deficit della bilancia dei pagamenti [per approfondimenti si veda S. Labbate, Il ruolo dei petroldollari nelle relazioni Nord-Sud, in D. Caviglia, A. Varsori (a cura di), Dollari, Petrolio e aiuti allo sviluppo. Il confronto Nord-Sud negli anni '60-70, cit., pp. 157-158]. 818 Note de Thierry de Montbrial, premier directeur du Centre d'Analyse et de Prévision du ministère des Affaires Etrangères, pour le Ministre des Affaires Étrangères, Parigi, 26 giugno 1974, MAEF, Archives Diplomatiques, Affaires économiques et financières, Affaires générales, 1967-1975, 405.

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l’alleato d’oltreoceano che si rifletteva inevitabilmente anche sulle relazioni intracomunitarie.

Durante un incontro fra il segretario di Stato, in visita in Europa in luglio, e il presidente della

Commissione, Ortoli, i due ebbero modo di analizzare sia la nuova posizione francese che la

situazione dei rapporti transatlantici. Secondo le parole di Kissinger, gli americani erano da

sempre stati favorevoli al processo di integrazione europea e, superati alcuni momenti di

tensione, il clima fra le parti sembrava ora tornato sereno; ciò avrebbe permesso la ripresa di una

cooperazione Europa-Stati Uniti totale, a patto però che i propositi di Parigi fossero realmente

sinceri:

“[…] the United States [had] always supported European integration and we have not

changed that basic position. But we would not [have] appreciated it, of course, to see Europe

organize against the United States, and we would not [have] supported such a movement. As I

said, the climate [was] now much better, and we were certainly prepared to cooperate fully with

the European Community. The French attitude [was] clearly very important and the question I

still [had] in my mind [was] whether the change in France [was] based on a real desire to

cooperate with us or whether it [was] merely a tactical change and the French [have] might later

go back to the Jobert line. This latter would not [have been] a pleasant prospect”819.

La risposta di Ortoli senza dubbio suonò molto confortante per il segretario di Stato in

quanto garantiva l’autenticità delle intenzioni di Parigi e la piena unità di intenti tra i partner

comunitari per la costruzione di un’Europa non contrapposta agli Stati Uniti:

“In my view, the French attitude [was] clear and it [was] shared by all the other members of

the Community: it [was] not our intention to construct Europe against the United States. […] the

change in the French attitude [was] genuine and they were now on the same line with the other

European countries”820.

Risultava tuttavia molto chiaro a entrambi gli interlocutori che questo nuovo

atteggiamento francese doveva essere valutato di volta in volta, ma il terreno comune era basato

su una piena convergenza di propositi in funzione delle relazioni all’interno della Comunità e sul

fronte della cooperazione con gli Stati Uniti dove, tra l’altro, lo scandalo Watergate si stava

819 Memorandum of Conversation about Us-European Relations, Bruxelles, 4 luglio 1974, NARA, NPMP, Presidential HAK MemCons. 820 Ibidem.

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avviando alla fase conclusiva con la nomina alla presidenza, in sostituzione di Nixon, del

repubblicano Gerald Rudolph Ford821.

Ad ogni modo, in virtù della nuova e positiva congiuntura comunitaria, furono fatti

diversi passi in avanti in direzione del dialogo euro-arabo: dopo la decisione del 10 giugno i

Nove vennero chiamati a dare corso all’applicazione del progetto. La prima sessione del dialogo

si svolse a Parigi a partire dal 31 luglio '74, anche se i tentativi di istituzionalizzare la

collaborazione, nel corso degli anni successivi, si dimostrarono fallimentari822. Il 3 ottobre Klaus

Meyer, segretario generale della Commissione, presentò una proposta basata sull’identificazione,

all’interno di una commissione di lavoro appropriata, di settori per i quali era ipotizzabile

un’efficace cooperazione industriale euro-araba. Secondo Meyer sarebbe stato necessario dar

vita a piani di collaborazione che associassero capitali congiunti nello sfruttamento di materie

prime di uno o più Stati arabi. Mediante l’attuazione di questi progetti si sarebbero creati posti di

lavoro all’interno dei paesi destinatari e i nuovi prodotti realizzati avrebbero trovato impiego in

loco, nella Comunità europea, o in paesi terzi. Gli europei avrebbero messo a disposizione il

know-how tecnologico, l’organizzazione dei servizi e le nozioni di marketing; erano inoltre

previsti degli incontri preliminari, per ogni singolo settore, fra le principali industrie, i dirigenti

dell’ambiente bancario europeo e i responsabili arabi delle specifiche divisioni industriali,

bancarie o governative, con lo scopo di definire progetti concreti da realizzare in

cooperazione823. Meyer prevedeva anche la creazione di convenzioni garantite da ambo le parti

821 In seguito all’evolversi dello scandalo la posizione di Nixon apparve infatti sempre più compromessa e il 27 luglio '74 la Commissione della Camera dei Rappresentanti votò a favore della procedura di impeachment. Nixon, dopo la scoperta di ulteriori prove compromettenti a suo carico, fu costretto a dimettersi il 9 agosto dalla carica di presidente che, come previsto dalla costituzione federale, passò ad interim al vicepresidente in carica, Gerald Rudolph Ford. Quest’ultimo, in realtà, venne nominato alla seconda carica dello Stato in sostituzione del dimissionario Spiro Agnew, costretto anch’egli a abbandonare l’incarico pubblico nell’ottobre dell’anno precedente perché scoperto responsabile di evasione fiscale su alcuni contributi elettorali. Ford divenne quindi il primo presidente degli Stati Uniti formalmente non eletto direttamente dal popolo. 822 Per approfondimenti si veda L. Riccardi, Sempre più con gli arabi. La politica italiana verso il Medio Oriente dopo la guerra del Kippur (1973-1976), cit., pp. 65-70. A pesare in questa direzione furono certamente i diversi interessi presenti all’interno dei Nove in merito alla disputa arabo-israeliana che di fatto finirono per far fallire ogni tentativo di avviare una reale e unitaria politica comunitaria verso il Medio Oriente [cfr. G. Mammarella, P. Cacace, Storia e politica dell’Unione Europea, Roma-Bari, 1998, p. 162; L. Riccardi, Sempre più con gli arabi. La politica italiana verso il Medio Oriente dopo la guerra del Kippur (1973-1976), cit., p. 70]. Verso la fine del '74, ad esempio, sorsero enormi difficoltà sulla questione della partecipazione o meno al dialogo anche dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e del suo leader indiscusso, Yasser Arafat, dietro richiesta esplicita da parte di alcuni rappresentanti arabi (cfr. Note du Secrétaire Général adjoint de la Commission des Communautés Européennes, Klaus Meyer, à l’attention de Monsieur le président F. X. Ortoli sur l’Etat actuel du dialogue euro-arabe, 11 aprile 1975, HAEU, Fondo Klaus Meyer, n. 40). Altri problemi emersero sulla questione dei cosiddetti petroldollari e su quella degli aiuti ai paesi in via di sviluppo [per approfondimenti si veda S. Labbate, Il ruolo dei petroldollari nelle relazioni Nord-Sud, in D. Caviglia, A. Varsori (a cura di), Dollari, Petrolio e aiuti allo sviluppo. Il confronto Nord-Sud negli anni '60-70, cit., pp. 143-169]. Ciononostante, all’indomani del primo incontro di Parigi, Moro, nella relazione presentata alla Commissione Esteri della Camera il 1° agosto '74, apostrofò il dialogo euro-arabo come quello strumento che, utilizzando “la naturale complementarità e continuità del mondo europeo e del mondo arabo”, avrebbe potuto portare a “un’ampia ed organica collaborazione in una prospettiva evolutiva di lungo periodo”, comportando la definitiva “accettazione di quella logica mediterranea che [avevamo] sempre indicato per l’Europa. Ne [dovevano] derivare stabilità e benessere accresciuti nell’area mediterranea”. Il dialogo avrebbe quindi dovuto “supera[re] gli schemi degli accordi economici già stipulati o da stipulare dalla CEE con paesi mediterranei, come quelli del Magred ed esprime[re] la volontà dell’Europa di far ascoltare una voce autorevole anche in un nuovo quadro” (cfr. A. Moro, Scritti e discorsi, a cura di G. Rossini, vol. VI, 1974-1978, Roma, 1990, p. 3168). 823 Cfr. Note pour M. De Kergorlay, Directeur Général adjoint et M. Durieux, Directeur á la D.G. VIII, Klaus Meyer, Prémier programme d’action du dialogue euro-arabe, 3 ottobre 1974, HAEU, Fondo Klaus Meyer, n. 39.

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per prevenire i rischi negli investimenti diretti, uno sforzo congiunto per l’esplorazione di quei

territori non ancora ispezionati e che potevano risultare ricchi di petrolio, il contributo da parte

europea alla formazione di mano d’opera araba locale e all’espansione delle infrastrutture di

formazione per rispondere ai bisogni di industrializzazione824. Tuttavia, la proposta del segretario

generale della Commissione presupponeva una reale unità di intenti sia all’interno dei Nove, che

fra questi ultimi e i paesi arabi; i tempi però non sembravano in questo senso essere troppo

maturi. Da parte araba, ad esempio, ancora non era ben chiara la valenza politica della proposta

e, soprattutto, la reale autonomia del progetto dagli Stati Uniti, specie dopo il cambio di

atteggiamento francese all’indomani dell’avvento di Giscard d’Estaing825.

L’avvio del dialogo euro-arabo, oltretutto, non limitò la politica degli accordi bilaterali

nella quale si dimostrarono particolarmente attive in ambito europeo, oltre all’Italia, sia la

Francia che la Gran Bretagna. Moro continuò a ritenere valida la possibilità di raggiungere

accordi diretti con i governi arabi e, al contempo, puntò sul ruolo costruttivo della Comunità

europea826. L’indirizzo politico impresso dal ministro degli Esteri portò l’Italia a un

riavvicinamento anche nei confronti di quei paesi dell’area mediorientale considerati più radicali,

come l’Iraq827, e ciò avvenne nonostante la profonda crisi di governo in atto che finì per

influenzare le iniziative italiane in Medio Oriente. L’ impasse si risolse con uno spostamento più

a sinistra degli equilibri della maggioranza di centrosinistra e della Democrazia Cristiana

mediante la formazione del IV° governo Moro sostenuto direttamente dalla coalizione DC-PRI,

con l’appoggio esterno del PSI e del PSDI e la susseguente astensione dei liberali. Alla Farnesina

venne nominato l’ex presidente del Consiglio, Mariano Rumor, e, di conseguenza, l’indirizzo

della politica mediorientale non subì cambiamenti significativi e rispose pienamente alla

necessità di avviare proficue collaborazioni nel tentativo di ottenere vantaggi energetici

essenziali per risollevare il paese828.

824 Ibidem. 825 Contemporaneamente allo sviluppo del dialogo euro-arabo, nel settembre '74 il ministro del Petrolio saudita Yamani si fece promotore di un’iniziativa per rilanciare un vertice tra paesi produttori e consumatori, seppur in forma qualificata e ridotta; la proposta non trovò tuttavia validi consensi all’interno degli stessi produttori [per approfondimenti si veda G. Garavini, L’arma del petrolio: lo “shock” petrolifero e il confronto Nord-Sud. Parte Seconda. Il fallimento dell’alternativa europea: la Conferenza di cooperazione economica internazionale (1975-1977), in D. Caviglia, A. Varsori (a cura di), Dollari, Petrolio e aiuti allo sviluppo. Il confronto Nord-Sud negli anni '60-70, cit., p. 112]. 826 Cfr. Appunto per il ministro Moro in occasione della visita di Kissinger, Roma, 5 luglio 1974, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 6, MAE, Sottoserie Visite e questioni diverse, Busta 40. Per un approfondimento sulla politica di Moro in questa fase si vedano, tra gli altri, G. Calchi Novati, Mediterraneo e questione araba nella politica estera italiana, in F. Barbagallo (a cura di), Storia dell’Italia repubblicana, vol. II, La trasformazione dell’Italia. Sviluppo e squilibri, cit., pp. 245-246; L. V. Ferraris (a cura di), Manuale della politica estera italiana, 1947-1993, cit., p. 274. 827 Il 17 luglio si sottoscrisse con l’Iraq un accordo decennale di collaborazione tecnica e economica e fu l’occasione per il ministro degli Esteri, Hadil Taka, di ribadire la posizione intransigente del suo governo in merito al conflitto arabo-palestinese [per approfondimenti si veda L. Riccardi, Sempre più con gli arabi. La politica italiana verso il Medio Oriente dopo la guerra del Kippur (1973-1976), cit., pp. 74-75]. 828 Sul fronte della disputa arabo-israeliana l’Italia agì inoltre in funzione dell’accrescimento del consenso internazionale che la causa dei palestinesi ottenne nel corso del '74, grazie soprattutto all’operato del leader dell’OLP, Yasser Arafat, senza però schierarsi dichiaratamente contro Israele (per approfondimenti ibidem, pp. 76-82).

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Sul fronte della cooperazione internazionale, durante la riunione del Consiglio dell’OCSE

del 15 novembre '74 si diede seguito alle scelte fatte a Washington con la creazione

dell’International Energy Agency829. Il compito del nuovo istituto consisteva nel realizzare un

programma di cooperazione seguendo le linee guida espresse durante la conferenza sui problemi

energetici: sviluppare un livello comune di emergenza per raggiungere l’autosufficienza

dell’approvvigionamento di petrolio; dare vita a un sistema di informazione riguardante il

mercato internazionale del greggio; creare e realizzare un programma di collaborazione a lungo

termine per ridurre la dipendenza dalle importazioni petrolifere; promuovere le relazioni

cooperative con i paesi produttori e con gli altri Stati importatori. La mozione dell’OCSE ottenne

l’adesione di sedici paesi830, mentre Francia, Grecia e Finlandia si astennero. Nonostante i

consistenti riavvicinamenti e il riconoscimento pubblico dell’importanza della cooperazione tra i

paesi produttori, Parigi preferì non partecipare all’iniziativa831. L’assenza della Francia non destò

tuttavia particolari preoccupazioni all’interno dei Nove e, anzi, si ritenne ragionevolmente

possibile recuperare in breve tempo il consenso di Parigi. Secondo quanto sottolineato in una

nota della Direzione Generale degli Affari Esteri del MAE, la Francia, pur non entrando a far

parte della nuova agenzia internazionale, aderiva agli sforzi per lo sviluppo di una politica 829 Per approfondimenti sulle scelte statunitensi per la creazione dell’IEA cfr. A. Roncaglia, L'economia del petrolio, cit., pp. 139-141. 830 Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Germania, Irlanda, Italia, Giappone, Lussemburgo, Olanda, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti. 831 Cfr. Decision of the OECD Council, Parigi, 15 novembre 1974, HAEU, Fondo OECD, 32. In una nota interna al Quai d’Orsay si specificava che l’IEA, per via della sua composizione, non era adatta a sviluppare una politica a lungo termine efficace nel campo della cooperazione energetica internazionale. I paesi consumatori dovevano certo collaborare tra loro, agendo in maniera solidale, per diminuire la dipendenza dai produttori ma solo l’OCSE costituiva il luogo naturale per questo tipo di situazioni (cfr. Note pour le Ministre des Affaires Étrangères, Position de la France sur la coopération internationale dans le secteur de l'énergie, Parigi, 24 ottobre 1974, MAEF, Archives Diplomatiques, Affaires économiques et financières, Affaires générales, 1967-1975, 412). Proprio in questa direzione andava la proposta di Giscard d’Estaing, formulata qualche giorno prima della riunione del Consiglio dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, di convocare una conferenza tripartita sull’energia, da tenersi entro il prossimo febbraio tra i rappresentanti dei produttori, dei paesi industrializzati e di quelli in via di sviluppo, sempre nel quadro dell’OCSE. Lo scopo era quello di trovare un accordo per ridurre la dipendenza dagli Stati produttori avviando una serie di iniziative volte a limitare il consumo energetico interno, a favorire lo sviluppo di risorse nazionali e a intraprendere un’azione concertata sia in seno alla Comunità europea che all’OCSE (cfr. Télétex n. 302 de la Délégation permanente de la Commission Européenne auprès des organisations internationales a Genève, 11 novembre 1974, HAEU, Fondo European Commission, BAC 25/1980, 1025). La proposta francese non venne rigettata dagli altri membri della Comunità ma essi sottolinearono il bisogno di preparare accuratamente questa conferenza, sia nei modi che nei tempi, escludendo implicitamente che potesse essere tenuta entro un termine così ravvicinato (cfr. Appunto interno del MAE, DGAE, Segreteria Generale, Roma, 21 novembre 1974, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 4, Presidenza del Consiglio dei ministri, Sottoserie Questioni diverse, Ufficio del Consigliere diplomatico, Busta 81). Un parere positivo all’iniziativa di Parigi giunse anche da parte dei paesi produttori e, principalmente, dall’Arabia Saudita, dall’Iran e dall’Iraq; il Giappone accettò invece in linea di principio l’idea di una conferenza tripartita ma espresse la necessità che in via preliminare Stati Uniti e Francia si incontrassero per raggiungere un compromesso sulle rispettive strategie da adottare (cfr. Note de la Direction Générale de l’Energie de la Commission des Communautés Européennes, Bruxelles, 5 dicembre 1974, HAEU, Fondo Emile Noël, n. 139). Risultava infatti essenziale valutare quale sarebbe stata la risposta statunitense all’avance francese; Ford, verosimilmente, avrebbe potuto avvallare questa proposta solo a condizione che Parigi iniziasse a cooperare fattivamente con gli Stati Uniti. Il presidente americano e Giscard d’Estaing, così come auspicato dal Giappone, si incontrarono sull’isola di Martinica dal 14 al 16 dicembre e concordarono per la preparazione di un vertice tra paesi produttori e consumatori per incrementare la cooperazione nelle aree della conservazione energetica, dello sviluppo di energie alternative e della cooperazione finanziaria [cfr. Communique Publié à l’issue des entretiens entre le Président de la République Française et le Président des Etats-Unis, à la Martinique, 16 dicembre 1974, MAEF, Archives Diplomatiques, Affaires économiques et financières, Affaires générales (1967-1975), Direction Economique, Energie, 265]. Per uno studio sulla proposta di Giscard d’Estaing per la convocazione di una conferenza tripartita sull’energia e sulle risposte ricevute in merito da parte dei paesi interessati si veda G. Garavini, L’arma del petrolio: lo “shock” petrolifero e il confronto Nord-Sud, cit., in D. Caviglia, A. Varsori (a cura di), Dollari, Petrolio e aiuti allo sviluppo. Il confronto Nord-Sud negli anni '60-70, cit., pp. 112-124.

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energetica comunitaria e gli obiettivi di quest’ultima coincidevano in toto con quelli dell’IEA.

Un ulteriore elemento positivo era rappresentato dal fatto che il nuovo istituto si inquadrava

nell’OCSE che la Francia aveva sempre definito come il luogo ideale dove risolvere i problemi

energetici internazionali832. Diversi elementi lasciavano dunque immaginare, se non una

partecipazione diretta, almeno una collaborazione di Parigi con l’International Energy Agency,

specie dopo l’incontro fa Ford e Giscard d’Estaing a Martinica e successivamente allo

svolgimento del vertice dei capi di governo e dei ministri degli Affari Esteri svoltosi a Parigi in

dicembre833.

Durante la riunione del Consiglio dell’OCSE l’Italia aveva riconosciuto l’esigenza di una

concertazione fra la Comunità e gli altri paesi consumatori, aggiungendo inoltre di ritenere che

l’IEA fosse la sede naturale dove effettuare questo genere di contatti. D’altronde, gli obiettivi

energetici della CEE e dell’IEA coincidevano e l’Italia si auspicava che la Comunità europea

aderisse in quanto tale all’accordo raggiunto in sede OCSE:

“Una soluzione del genere [avrebbe reso] possibile un apporto comunitario globale ai lavori

dell’Agenzia e, in tal modo, [avrebbe assicurato] la partecipazione indiretta della Francia

all’attività dei Sedici”834.

L’auspicio italiano sembrava troppo pretenzioso e, soprattutto, presupponeva che Parigi

avrebbe accettato di buon grado l’adesione diretta della Comunità al progetto dell’IEA. Di certo,

però, la divergenza franco-americana si era notevolmente ridotta e l’attuazione di entrambe le

strategie sembrava essersi trasformata in una questione di tempi: tutti e due i governi

esprimevano ora pubblicamente sia la necessità di una maggiore collaborazione fra le nazioni

consumatrici, principio che era stato alla base della proposta di Kissinger per la creazione di un

Energy Action Group, che l’ineluttabilità dell’avvio un dialogo con i produttori, così come Parigi

aveva da sempre sostenuto. Una conferma in questo senso si ebbe in una nota interna al Quai

d’Orsay in cui veniva sottolineato chiaramente come la Francia non si sarebbe opposta “allo

sviluppo di una concertazione tra paesi consumatori in seno all’OCSE. Questo [avrebbe dovuto]

permettere di ottenere la riduzione della dipendenza dei paesi industrializzati dall’importazione

832 Cfr. Appunto interno del MAE, DGAE, Roma, 16 dicembre 1974, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 4, Presidenza del Consiglio dei ministri, Sottoserie Questioni diverse, Ufficio del Consigliere diplomatico, Busta 81. 833 Il summit di Parigi rappresentò infatti il momento culminante della cooperazione politica comunitaria: si riaffermò, tra l’altro, la volontà dei Nove di adottare posizioni comuni mediante l’attuazione di una diplomazia concertata che avrebbe rappresentato “l’elemento caratteristico della dimensione esterna della Comunità” (cfr. Relazione sull’attività delle Comunità europee per l’anno 1974, presentata dal ministro per gli Affari Esteri, Mariano Rumor, Camera dei Deputati, VI Legislatura, 8 gennaio 1975, HAEU, Fondo Edoardo Martino, nn. 27-28, pp. 249-250). Il clima di collaborazione ritrovato con il vertice di Parigi faceva presupporre che anche tutte le altre questioni di carattere internazionale si sarebbero potute risolvere mediante un consenso unanime. 834 Appunto interno del MAE, DGAE, Roma, 16 dicembre 1974, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 4, Presidenza del Consiglio dei ministri, Sottoserie Questioni diverse, Ufficio del Consigliere diplomatico, Busta 81.

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di petrolio per via di un programma a lungo termine di cooperazione tra la domanda di energia

economica, dello sviluppo di risorse energetiche interiori e della ricerca”835. La nota non faceva

riferimento diretto all’IEA ma non precisava neanche un’avversione nei confronti dell’agenzia

internazionale, ora diversamente considerata rispetto agli anni di Pompidou.

In un lungo memorandum redatto da Kissinger, l’International Energy Agency era invece

dipinta come uno dei maggiori successi dell’ultima decade sotto il profilo della cooperazione tra

le democrazie industrializzate. In ogni caso, secondo l’opinione del segretario di Stato, nella

risoluzione delle crisi internazionali di carattere economico e energetico rimanevano

determinante il ruolo e la leadership degli Stati Uniti. Nella progettazione di un rapido schema

per la ricerca di nuovi approvvigionamenti e per l’uso di fonti alternative, ad esempio, nulla era

possibile in assenza della tecnologia americana e senza l’iniziativa politica di Washington836.

Mediante l’operato della IEA, Kissinger sosteneva che si dovessero perseguire tre fasi. La prima

era finalizzata alla protezione dalle emergenze: bisognava cioè essere pronti a evitare l’uso del

petrolio o dei petroldollari come armi politiche e, in caso di fallimento, occorreva aver

approntato un’efficace strategia difensiva. A questo fine risultava determinante stabilire

programmi di emergenza condivisi per fronteggiare nuovi eventuali embarghi e creare

meccanismi a protezione delle istituzioni finanziarie. La seconda fase serviva a trasformare le

condizioni di mercato del petrolio dei paesi OPEC: se si fosse agito in maniera decisa per ridurre

il consumo del petrolio importato e per sviluppare risorse alternative, la pressione internazionale

in direzione di una diminuzione dei prezzi avrebbe finito per avere la meglio. Una volta che i

paesi consumatori avessero messo in atto questi passaggi essenziali per ridurre la loro

vulnerabilità, si sarebbe proceduto alla terza e ultima fase: una conferenza con i produttori per

discutere sull’applicazione di prezzi petroliferi equi, su strutture di mercato differenti e su nuove

relazioni economiche di lungo termine837. Due misure di emergenza utili per la realizzazione di

questo progetto erano state già previste: in novembre la IEA aveva infatti stabilito la creazione di

un piano senza precedenti per un’assistenza reciproca in caso di applicazione di un nuovo

embargo petrolifero. Su questa base, ciascuna nazione si era impegnata a creare una scorta di

emergenza e a provvedere, in caso di embargo, a attuare una serie di misure volte a ridurre il

consumo interno e a condividere il petrolio disponibile con gli altri partner, in modo tale che “un

embargo contro uno Stato sarebbe divenuto un embargo contro tutti”838. Inoltre, in gennaio le

835 Note pour le Ministre des Affaires Étrangères, Politique pétrolifère des États-Unis et position française, Parigi, non datato ma del gennaio 1975, MAEF, Archives Diplomatiques, Affaires économiques et financières, Affaires générales, 1967-1975, 266. 836 Cfr. Memorandum address by Henry A. Kissinger, Secretary of State, before the National Press Club Washington D. C., 3 Febbraio 1975, GFL, Office of Editorial Staff, William Seidman (Economic Affairs), Kissinger. 837 Ibidem. 838 Ibidem.

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maggiori nazioni industriali avevano deciso, su proposta americana, di creare un fondo di

solidarietà di venticinque miliardi di dollari per un sostegno reciproco in caso di crisi finanziarie.

Mediante questo strumento sarebbero stati concessi prestiti e garanzie ai paesi più colpiti da un

deficit dei pagamenti, salvaguardando così l’economia internazionale da possibili ritorsioni da

parte dei produttori. Tutte le iniziative all’interno dell’International Energy Agency, secondo

Kissinger, partivano dalla necessità assoluta di una collaborazione, in primo luogo fra i paesi

consumatori e, secondariamente, tra questi ultimi e i produttori839.

In questo quadro, sopraggiunse la firma il 28 febbraio '75 della Convenzione di Lomé840,

in sostituzione del precedente accordo di Yaoundé, fra la Comunità europea e ben quarantasei

paesi in via di sviluppo dell’Africa, dei Carabi e del Pacifico. L’intesa stabiliva un rapporto

associativo e di cooperazione che comprendeva le relazioni commerciali, la collaborazione

industriale e tecnica, l’aiuto finanziario e, per la prima volta, il principio della stabilizzazione dei

proventi delle esportazioni di materie prime di questi paesi841. La conclusione di questo accordo

poneva la Comunità in una posizione di primo piano nelle relazioni tra le nazioni industrializzate

e i paesi in via di sviluppo, proseguendo la strada già avviata con la pionieristica applicazione nel

'71 del sistema delle preferenze generalizzate ai PVS appartenenti al “Gruppo dei 77” nell'ambito

dell'UNCTAD, nonché ai paesi e ai territori d'oltremare dipendenti dagli Stati membri.

A distanza di pochi giorni, la Francia decise che era giunto il momento di dare il via alla

strategia proposta da Giscard d’Estaing in novembre per la convocazione di un vertice tripartito

fra consumatori, produttori e paesi in via di sviluppo che si concentrasse principalmente sulla

cooperazione economica internazionale842. La riunione preliminare si svolse dal 7 al 16 aprile a

Parigi ma il negoziato si arrestò fin dalla scelta dell’ordine del giorno: la presenza infatti di

nazioni del terzo mondo non produttrici come l’India, il Brasile e lo Zaire rese praticamente

impossibile stabilire se si dovessero affrontare problemi relativi al petrolio e quindi all’energia,

oppure temi economici di più ampio respiro843. Diverse difficoltà emersero anche all’interno

della stessa IEA alle cui riunioni, nonostante la convergenza di interessi, si evidenziarono metodi

839 Ibidem. Per approfondimenti si veda S. Labbate, Il ruolo dei petroldollari nelle relazioni Nord-Sud, in D. Caviglia, A. Varsori (a cura di), Dollari, Petrolio e aiuti allo sviluppo. Il confronto Nord-Sud negli anni '60-70, cit., pp. 162-164. 840 Per un’analisi sulla Convenzione di Lomé si vedano G. Migani, Un nuovo modello di cooperazione Nord-Sud? Lomé, la CEE e i paesi ACP, in A. Bitumi, G. D’Ottavio, G. Laschi (a cura di), La Comunità europea e le relazioni esterne, 1957-1992, cit., pp. 173-192; J. M. Palayret, Mondialisme contre régionalisme : CEE et ACP danse les négociations de la Convention de Lomé, in A. Varsori (a cura di), Inside the European Community. Actors and Policies in European Integration (1957-1972), cit., pp. 369-398. 841 Cfr. Relazione sull’attività delle Comunità europee per l’anno 1975, presentata al ministro per gli Affari Esteri, Rumor, Camera dei Deputati, VI Legislatura, 30 dicembre 1975, HAEU, Fondo Edoardo Martino, nn. 27-28. 842 Cfr. Telelegram from the Secretary of State to Foreign English Minister, Callaghan, 3 marzo 1975, GFL, Presidential Country Files for Europe and Canada, England. 843 Le differenze tra i partecipanti erano tuttavia ben più profonde e non si limitavano alla scelta dell’ordine del giorno da discutere; per ulteriori approfondimenti si veda G. Garavini, L’arma del petrolio: lo “shock” petrolifero e il confronto Nord-Sud, cit., in D. Caviglia, A. Varsori (a cura di), Dollari, Petrolio e aiuti allo sviluppo. Il confronto Nord-Sud negli anni '60-70, cit., pp. 124-125.

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di intervento difformi844. La proposta di Kissinger di stabilire un prezzo minimo per le

importazioni di petrolio dei paesi industrializzati al fine di stimolare e proteggere lo sviluppo di

altre risorse di energia845, venne ad esempio accolta con riserva da alcune delegazioni.

L’iniziativa avrebbe di fatto avvantaggiato gli Stati Uniti che disponevano di importanti riserve

energetiche nazionali, mentre la maggior parte dei paesi europei sarebbe continuata a dipendere

almeno per altri dieci-quindici anni dalle importazioni petrolifere; inoltre, se fossero stati

costretti a pagare un prezzo più alto per i rifornimenti di greggio, alcune nazioni del vecchio

continente non avrebbero potuto investire al meglio nello sviluppo di altre risorse energetiche846.

Era questa infatti la preoccupazione espressa da Moro in una lettera inviata a Ford in marzo in

risposta a una possibile collaborazione bilaterale proposta da Washington847. Il premier italiano

chiese espressamente al presidente americano di prendere in considerazione la situazione della

penisola nelle scelte in corso d’opera presso l’International Energy Agency:

“[…] nell’affrontare i problemi energetici in una cornice multinazionale ed a lunga scadenza

non si [poteva] prescindere dalle situazioni di fatto dei singoli Paesi partecipanti. L’Italia, ad

esempio, per il suo fabbisogno energetico, dipende[va] per il 75% dal petrolio e non dispone[va]

di fonti alternative, al di fuori di quelle che [sarebbero state] rappresentate dallo sviluppo

dell’energia nucleare, i cui effetti, tuttavia, non [si sarebbero manifestati] in modo rilevante, se

non a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta. Le nostre preoccupazioni non si [riferivano]

quindi agli obiettivi strategici della cooperazione che si sta[va] realizzando in seno all’Agenzia,

ma alle nostre necessità a breve e medio termine, che [avrebbero continuato] a fondarsi

principalmente sul petrolio”848.

In una situazione economica molto difficile, l’Italia doveva affrontare, da un lato, il

problema dell’approvvigionamento petrolifero a prezzi convenienti e, dall’altro, quello degli 844 Già in gennaio una nota del Quai d’Orsay sottolineava infatti come le notizie che giungevano dai partecipanti all’IEA palesavano una serie difficoltà interne dovute principalmente a resistenze europee e giapponesi alle soluzioni proposte dagli Stati Uniti (cfr. Note de M. Labouat pour M. Brunet e pour M. Cabouat, Parigi, 16 gennaio 1975, MAEF, Archives Diplomatiques, Affaires économiques et financières, Affaires générales, 1967-1975, 406). 845 Una delle cause per cui l’energia nucleare non si era sviluppata in modo adeguato in tutti i paesi industrializzati (e in particolar modo in Italia) era infatti imputabile all’economicità del petrolio e alle sue caratteristiche. Superata la fase acuta della crisi il prezzo del greggio era fortemente aumentato rispetto agli anni precedenti ma non era più così elevato come durante i mesi dello shock. Il rischio era dunque, secondo gli Stati Uniti, che alcuni governi decidessero di non investire in altre risorse energetiche a causa degli ingenti finanziamenti richiesti. La proposta di Kissinger partiva proprio da questa analisi: solo la fissazione di un prezzo base più alto per le importazioni petrolifere avrebbe incentivato investimenti su altre fonti energetiche e avrebbe pertanto favorito una necessaria diversificazione (per ulteriori approfondimenti si veda A. Roncaglia, L'economia del petrolio, cit., pp. 141-146; A. Sampson, Le sette sorelle: le grandi compagnie petrolifere e il mondo che hanno creato, cit., p. 407; C. E. Solberg, Oil Power, New York, 1976, p. 262). 846 Da questo punto di vista i propositi statunitensi e quelli di alcuni paesi europei apparivano dunque divergenti (cfr. Note pour le Ministre des Affaires Étrangères, Parigi, 4 febbraio 1975, MAEF, Archives Diplomatiques, Affaires économiques et financières, Affaires générales, 1967-1975, 439). 847 Cfr. Letter from Gerald Ford to Aldo Moro, Washington, 22 febbraio 1975, GFL, Presidential Country Files for Europe and Canada, Italy. 848 Letter from Aldo Moro to the president Ford, delivered by the ambassador Egidio Ortona, Washington, 11 marzo 1975, ibidem.

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investimenti necessari a realizzare, entro il 1985, un oneroso programma nucleare. Data questa

premessa, Moro mise in evidenza come la penisola avrebbe dovuto poter contare su aiuti

economici proporzionati alle dimensioni dei problemi esistenti e su un trattamento diverso da

quello che si stava mettendo a punto in quei giorni presso l’Agenzia internazionale sull’energia:

“Il Governo italiano, mentre conferma[va] la propria disponibilità di accettare il principio

dell’istituzione di un «floor price» sul petrolio importato, [riteneva] necessario studiarne

attentamente le implicazioni con particolare riguardo al suo livello od anche ai suoi livelli. Ci

[sarebbe sembrato] infatti giustificato sul piano economico prevedere dei «floor prices»

differenziati per zone geografiche, in riferimento ai prezzi dell’energia esistenti in passato nel

Nord America, in Europa ed in Giappone. […] l’Italia dovrebbe poter contare su una adeguata

assistenza finanziaria […] anche nell’ambito di eventuali «Consorzi» od altre iniziative specifiche

da attuare nell’AIE”849.

Le considerazioni espresse da Moro rispondevano in pratica all’esigenza di dover tenere

conto delle diverse condizioni strutturali presenti nei paesi consumatori e, quindi, della necessità

di attenuare queste differenze in funzione di una maggiore solidarietà e di una migliore

cooperazione850. La partecipazione stessa dell’Italia all’IEA era stata pensata proprio in virtù

della condizione critica esistente e nella speranza che un’azione collettiva potesse arrecare

benefici alla penisola. L’International Energy Agency, d’altronde, pur rappresentando il più

valido strumento di collaborazione fra le democrazie industrializzate, possedeva un limite di

azione non indifferente: così come marcatamente sottolineato dalla Francia già durante la

Conferenza di Washington del febbraio '74, non si potevano risolvere concretamente i problemi

849 Ibidem. 850 I timori manifestati da Moro sulle decisioni in corso presso l’IEA vennero riportate dal presidente dell’ENI in una lettera indirizzata al ministro delle Partecipazioni Statali, Antonio Bisaglia, nella quale Girotti richiamava l’attenzione del governo sulla necessità di una collaborazione diretta con gli Stati Uniti. Nella fattispecie, si riteneva possibile e auspicabile che Washington intervenisse in favore dell’Italia in quei settori in cui le difficoltà erano più marcate. Primo fra tutti, il mercato dell’uranio naturale che era al momento caratterizzato da notevoli tensioni e, di conseguenza, da prezzi crescenti e da insicurezza degli approvvigionamenti: “[…] l’intervento [americano] dovrebbe […] consentire l’accesso dell’Italia allo «stock-pile» statunitense di uranio naturale per far fronte ad eventuali difficoltà […] che dovessero verificarsi [e] […] assicurare, sin da ora, all’industria italiana un maggiore accesso alle ricerche di minerali uraniferi in aree geografiche in cui i particolari rapporti stabilitisi tra i produttori [assicuravano] agli USA una influenza diretta od indiretta”. Nel campo dell’uranio arricchito, invece, dove grazie ai contratti stipulati o in via di definizione con gli stessi Stati Uniti, con l’Unione Sovietica e con l’EURODIF, la penisola si era assicurata una copertura di approvvigionamento pari a più del cinquanta percento del fabbisogno, la parte restante necessaria poteva essere soddisfatta mediante la realizzazione di ulteriori capacità di arricchimento europeo o grazie a altre fonti come quelle americane. Gli USA potevano però aiutare l’Italia anche assicurando l’accesso all’indispensabile know-how riguardante le tecniche di diffusione gassosa, di centrifugazione e laser, attualmente utilizzate dagli americani con successo. Anche nel settore del ritrattamento e del condizionamento del combustibile ci si attendeva che gli Stati Uniti assicurassero all’Italia: “a) gli interventi più opportuni per facilitare […] l’accesso alla tecnologia degli impianti di ritrattamento di grande capacità ed alla tecnologia di condizionamento dei rifiuti radioattivi […]; b) l’ammissione di tecnici italiani ai centri americani dell’ERDA […]; c) l’ammissione di tecnici italiani ai Centri di ricerca americani, che svolgono ricerche nel campo della radiochimica, del ritrattamento e della conversione dei Sali di uranio UF6”. Gli USA potevano infine accelerare l’avvio di programmi di collaborazione tra le aziende dei due paesi e partecipare al finanziamento del programma di sviluppo elettronucleare italiano in fase di studio dal ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato (cfr. Lettera del presidente dell’ENI, Raffaele Girotti, al ministro delle Partecipazioni Statali, Antonio Bisaglia, Roma, 9 maggio 1975, ACS, Fondo Ministero Partecipazioni Statali, DGAE, Serie Energetiche, Busta 6).

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energetici internazionali senza la relativa partecipazione dei paesi produttori di petrolio. La

composizione dell’IEA, sancita sulla base delle proposte di Kissinger e dopo il rifiuto a

parteciparvi di Parigi, rendeva invece di fatto dominante il ruolo e la leadership degli Stati Uniti

anche nella risoluzione delle crisi mondiali di carattere energetico. Ciò, come era immaginabile

ritenere, non poteva essere accettato dai paesi OPEC che nel maggio '75 dichiararono

ufficialmente di non riconoscere l’International Energy Agency come un interlocutore valido,

rafforzando così il ruolo della CEE851.

In questo contesto, il 14 giugno, dopo difficili trattative presso il quartier generale della

Lega Araba al Cairo, venne adottato un “Joint Memorandum” fra la delegazione di esperti

europea e quella araba quale primo concreto passo in direzione del dialogo852. Il documento

finale sottolineava come l’obiettivo stabilito in comune fosse la creazione di una special

relationship tra la Comunità europea e il mondo arabo nelle seguenti aree: l’agricoltura e gli

sviluppi rurali, l’industrializzazione, l’infrastruttura di base, la cooperazione finanziaria, il

commercio, la collaborazione scientifica, tecnologica, culturale, sociale e lavorativa. Per

raggiungere questi obiettivi si convenne di prevedere delle riunioni periodiche nella forma di un

comitato direttivo di esperti che avrebbe dovuto portare avanti la cooperazione nei suddetti

settori, avviando di fatto la prima infrastruttura operativa del dialogo euro-arabo853. L’accordo

rappresentò un importantissimo riconoscimento del ruolo svolto dalla Comunità europea

all’interno dello scacchiere del Mediterraneo, oltre che un fondamentale punto di partenza per

una collaborazione che avrebbe potuto portare vantaggi economici per mezzo di una strategia

caratterizzata da investimenti nei mercati internazionali, soprattutto nel settore petrolifero, nel

commercio e nella produzione industriale. Negli anni successivi si palesarono però evidenti

differenze di vedute fra le parti su questioni delicate, quali la disputa con Israele e le pressioni

americane, che di fatto finirono per limitare notevolmente le potenzialità del dialogo euro-

arabo854.

851 Cfr. “Dialogue énergie-matières premier : l’OPEP déclare l’AIE « Persona non grata » et il s’adresse vers la CEE”, Nouvelle Agence de Presse Internationale, Parigi, 6 maggio 1975, MAEF, Archives Diplomatiques, Affaires économiques et financières, Affaires générales, 1967-1975, 430. 852 Le difficoltà emerse alla fine del '74 sulla possibilità che l’OLP partecipasse attivamente al dialogo euro-arabo, cosa che aveva di fatto causato il rinvio della convocazione dell’organo istituzionale previsto dalle due parti sotto la denominazione di “Commissione Generale”, si superarono nei primi mesi dell’anno successivo mediante un compromesso: la cosiddetta “formula di Dublino”. In questa sede si riunirono infatti i ministri degli Esteri dei Nove il 13 febbraio '75 e decisero, sulla base di una proposta araba pervenuta tramite l’Ambasciata d’Italia al Cairo (cfr. Note du Secrétaire Général adjoint de la Commission des Communautés Européennes, Klaus Meyer, à l’attention de Monsieur le Président Ortoli, de sir Christopher Soames, vice-président, et de Monsieur C. Cheysson, Membre de la Commission, Bruxelles, 28 gennaio 1975, HAEU, Fondo Klaus Meyer, n. 87), di avviare, nel frattempo, una serie di incontri tra esperti europei e arabi, riuniti in due sole delegazioni unitarie (cfr. Note du Secrétaire Général adjoint de la Commission des Communautés Européennes, Klaus Meyer, à l’attention de Monsieur le Président Ortoli, Bruxelles, 11 aprile 1975, ibidem, n. 40). 853 Cfr. “Joint communiqué: Euro-Arab Dialogue, Cairo, 14th June 1975”, Note du Secrétaire Général adjoint de la Commission des Communautés Européennes, Klaus Meyer, à l’attention de MM. Les membres de la Commission, Bruxelles, 16 giugno 1975, ibidem. 854 Il petrolio, ad esempio, venne eliminato come argomento da trattare dall’agenda delle discussioni, mentre, all’indomani degli accordi di Camp David tra l’Egitto e Israele del '78, si palesarono sempre più le fratture interne al fronte arabo. Tutto ciò finì per

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Nonostante tutto, il problema principale rimaneva quello di avviare una reale

cooperazione fra consumatori, produttori e paesi in via di sviluppo, così come si era tentato di

fare a Parigi dal 7 al 16 aprile su iniziativa di Giscard d’Estaing. Per quanto concerneva la CEE

era previsto che i Nove, in occasione del Consiglio europeo di Bruxelles del 16-17 luglio, fossero

in grado di raggiungere un punto di vista unitario. Durante la riunione del gruppo di alti

funzionari degli Stati membri, tenutasi a Bruxelles il 7 luglio, si redasse un interessante

documento che doveva rappresentare la base per le discussioni da tenersi in seno al Consiglio: la

Comunità si sarebbe espressa in favore di una ripresa del dialogo fra le parti nel più breve tempo

possibile e avrebbe ufficialmente dichiarato di volere “attribuire la stessa importanza e trattare

con la stessa volontà politica i temi dell’energia, delle materie prime e dello sviluppo dei

PVS”855. Per quanto concerneva i metodi, si sarebbe dovuto scegliere tra la ripresa della riunione

preparatoria dell’aprile precedente e la convocazione di un nuovo vertice preliminare. In

entrambi i casi lo scopo della Comunità sarebbe stato quello di elaborare le basi per la

convocazione di una conferenza ristretta ma rappresentativa delle parti, o di una riunione

conclusiva che avrebbe dovuto adottare le disposizioni necessarie relative all’organizzazione del

dialogo e, in particolare, all’istituzione di commissioni speciali per ciascun settore: materie

prime, energia e sviluppo856. Durante il Consiglio europeo di Bruxelles risultò tuttavia

impossibile concordare una soluzione sulla metodologia da attuare per il prosieguo del dialogo

tra produttori, consumatori e paesi in via si sviluppo857 e si preferì concentrare gli sforzi sulle

questioni che raccoglievano un consenso unanime858.

sancire il fallimento dello stesso dialogo euro-arabo e, di conseguenza, per confermare la debolezza della Comunità di fronte al ruolo importante che gli Stati Uniti giocavano in Medio Oriente; d’altronde, in questa area gli spazi di manovra concessi all’Europa erano davvero esigui e difficilmente sfruttabili. 855 Note du Chef de la délégation de la Commission de la Communauté européenne, Edmund P. Wellenstein, pour M. le président, M. Soames, et M. Cheysson, Bruxelles, 14 luglio 1975, HAEC, BAC 79/1982, 229. 856 Ibidem. 857 Le maggiori differenze vertevano su due questioni: la struttura effettiva da dare alla cooperazione e il problema della partecipazione al dialogo dell’International Energy Agency in qualità di osservatore. Sul primo problema gli Stati Uniti, appoggiati dalla maggioranza dei paesi membri dell’IEA e della stessa Comunità europea, avevano proposto che i tre temi principali della discussione, energia, materie prime e sviluppo fossero affidati a tre distinte commissioni che avrebbero dovuto lavorare in modo autonomo e non far capo a una conferenza unica, bensì riferire direttamente ai singoli governi. A questo progetto si erano opposti i paesi in via di sviluppo e la Francia si era fatta interprete delle loro istanze con la proposizione di una conferenza “globale ma differenziata” e con carattere di continuità. Per quanto concerneva la posizione dell’Italia in proposito, un appunto interno al MAE suggeriva di attendere una eventuale soluzione di compromesso sulla base dei propositi di Parigi: “Dati i nostri interessi nei confronti dei Paesi produttori di petrolio avremmo [avuto] interesse ad appoggiare discretamente la posizione dei francese, soprattutto se essi [avessero presentato] formalmente una soluzione di compromesso che [sarebbe dovuta consistere] nel proporre che le Commissioni [facessero] rapporto alla Presidenza della Conferenza senza render necessario ripetute ed automatiche riconvocazioni della Conferenza stessa” (Appunto interno del MAE, Roma, 11 luglio 1975, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 4, Presidenza del Consiglio dei ministri, Sottoserie Questioni diverse, Ufficio del Consigliere diplomatico, Busta 82). Inoltre, sulla richiesta della partecipazione al dialogo dell’IEA si opponevano sia la delegazione francese che i paesi produttori (ibidem). 858 Si pervenne, ad esempio, alle dichiarazioni comuni concernenti le Nazioni Unite e la Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Quest’ultima, in particolare, ricordava il ruolo positivo svolto dalla Comunità in seno alla cooperazione politica che, in prospettiva della fase finale della lunga trattativa, aveva contribuito affinché trentacinque paesi dell’Europa e dell’America del nord riuscissero a definire gli orientamenti guida delle loro relazioni future [cfr. Déclaration du Conseil européen sur la CSCE (17 juillet 1975), consultabile sul sito internet http://www.ena.lu]. Questa dichiarazione venne infatti seguita pochi giorni dopo dalla firma del noto Atto Finale della conferenza di Helsinki per la promozione della pace, del dialogo politico, della giustizia e della cooperazione in Europa (per il testo del suddetto Atto Finale si veda il sito internet http://www.osce.org; per il

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In un contesto internazionale caratterizzato da eventi del tutto inediti rispetto al

passato859, il presidente francese si fece promotore di un’altra iniziativa, suggerendo la

convocazione di un vertice fra i leader delle maggiori potenze860 con l’obiettivo di trovare un

accordo sui principali problemi economici mondiali, avviando al contempo un dialogo con i

paesi in via di sviluppo861. Il summit si sarebbe tenuto in novembre a Parigi e sarebbe passato

alla storia come conferenza di Rambouillet, dal nome del castello omonimo, residenza ufficiale

del presidente della Repubblica francese assieme all’Eliseo. Secondo quanto stabilito nella

dichiarazione finale adottata durante la riunione preparatoria tenutasi a Parigi dal 13 al 16

ottobre862, i problemi strettamente energetici sarebbero stati oggetto, in linea con la proposta di

Giscard d’Estaing, della successiva Conferenza sulla Cooperazione Economica Internazionale863

fissata per dicembre864.

discorso di Moro alla Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa nella duplice veste di capo del governo e quindi rappresentante dell’Italia, nonché presidente in esercizio del Consiglio delle Comunità europee si vedano Intervento dell’On. Presidente del Consiglio, Helsinki, luglio 1975, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 1, Scritti e discorsi 1953-1978, Sottoserie annuali, Busta 31; A. Moro, Scritti e discorsi, a cura di G. Rossini, vol. VI, 1974-1978, Roma, 1990, pp. 3346-3350). Appare tuttavia importante sottolineare che l’iniziativa italiana per la convocazione di una conferenza per la sicurezza e la cooperazione nel Mediterraneo, così come gli sviluppi della stessa collaborazione europea in questa area, in funzione di quanto stabilito nell’Atto finale di Helsinki, si rivelarono fallimentari [per approfondimenti si veda E. Calandri, Il Mediterraneo nella politica estera italiana, cit., in A. Giovagnoli, S. Pons (a cura di), L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta, cit., pp. 373-374]. 859 Tra questi accadimenti il più eclatante era certamente la fine della guerra in Vietnam con il ritiro e la relativa prima sconfitta militare da parte degli Stati Uniti; non meno sorprendente era da considerarsi la firma dell’Atto finale della Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Vi erano state inoltre una serie di altre situazioni, quali, ad esempio, la caduta dei regimi dittatoriali e autoritari di Grecia, Portogallo e Spagna e l’ascesa sempre maggiore dei partiti socialisti in tutta Europa, che rischiavano di cambiare completamente il quadro delle relazioni internazionali. 860 In realtà l’idea di organizzare entro l’anno un vertice ristretto tra i leader dei maggiori paesi industrializzati si decise durante un pranzo a quattro al margine della conferenza di Helsinki tra Giscard d’Estaing, Schmidt, Ford e Callaghan; in particolare, l’iniziativa partì dal presidente francese e dal cancelliere tedesco [per approfondimenti si veda G. Garavini, The Battle for the Participation of the European Community in the G7 (1975-1977), in «Journal of European Integration History», vol. 12, n. 1, 2006, pp. 143-145]. 861 Nei propositi di Giscard d’Estaing per la convocazione di una nuova conferenza internazionale che doveva focalizzare l’attenzione sui problemi economici fu chiaro fin da subito che tra le maggiori potenze da invitare sarebbe stata esclusa l’Italia perché non considerata tale. Il vertice doveva infatti essere un meeting ristretto tra Francia, Gran Bretagna, Repubblica Federale Tedesca, Stati Uniti e Giappone. In proposito, già da settembre il segretario generale del MAE, Raimondo Manzini, si attivò con successo per fare in modo che la penisola partecipasse attivamente all’iniziativa francese, intravedendo in quest’ultima l’importanza che poi effettivamente si rivelerà avere con il passare degli anni e la nascita del cosiddetto Gruppo dei Sei, meglio conosciuto con il nome di G6, a cui partecipò dunque anche l’Italia [per approfondimenti sulle iniziative di Manzini di settembre si veda Memorandum of Conversation between Raimondo Manzini (Secretary General, Italian Foreign Ministry) and Helmut Sonnenfeldt (Counselor of the Department of State), Sonnenfeldt’s Office, Washington, 4 settembre 1975, NARA, General Records of the Department of State, Record Group 59, Records of the Office of the Counselor, 1955-1974]. Sull’azione diplomatica di Manzini nel suo complesso si veda anche L. V. Ferraris (a cura di), Manuale della politica estera italiana, 1947-1993, cit., p. 264. 862 Anche in questa circostanza la decisione di rilanciare la conferenza tripartita tra consumatori, produttori e paesi in via di sviluppo venne presa preliminarmente a Helsinki [cfr. G. Garavini, L’arma del petrolio: lo “shock” petrolifero e il confronto Nord-Sud, cit., in D. Caviglia, A. Varsori (a cura di), Dollari, Petrolio e aiuti allo sviluppo. Il confronto Nord-Sud negli anni '60-70, cit., p. 127]. 863 Ovvero, come venne battezzato dalla stampa, “dialogo Nord-Sud”. 864 Alla riunione preparatoria di Parigi, a cui parteciparono dieci paesi in totale, di cui sette in via di sviluppo (Algeria, Arabia Saudita, Iran, Venezuela, Brasile, India e Zaire) e tre industrializzati (CEE, Giappone e Stati Uniti), si decise sia l’allargamento della conferenza a ventisette paesi, sia che essa si sarebbe strutturata su quattro commissioni: energia, materie prime, sviluppo, affari finanziari [per approfondimenti sulle decisioni prese a Parigi si veda Conferenza sulla Cooperazione Economica Internazionale (16-17 dicembre 1975), Appunto interno del MAE, Segreteria Generale, Roma, non datato ma dell’ottobre 1975, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 4, Presidenza del Consiglio dei ministri, Sottoserie Questioni diverse, Ufficio del Consigliere diplomatico, Busta 87]. Molto interessante rilevare che, qualche giorno prima della suddetta riunione preparatoria, la Gran Bretagna aveva espresso la propria riluttanza a essere rappresentata dalla CEE alla Conferenza sulla Cooperazione Economica Internazionale. Nella fattispecie, Londra non voleva che i suoi interessi nelle questioni di cui si sarebbe discusso a Parigi fossero difesi da una delegazione che, a suo parere, non rispecchiava le reali necessità britanniche. La decisione inglese, resa pubblica direttamente dal ministro degli Affari Esteri, James Callaghan, durante una riunione dei Nove a Lussemburgo, scatenò le reazioni negative degli altri partner comunitari; il rappresentante della Repubblica Federale Tedesca, ad esempio, non esitò a qualificare la scelta di Londra come una catastrofe per la Comunità [cfr. Note pour le Ministre des Affaires Étrangères, Dialogue Nord-Sud: la bombe britannique (Jean Burner),

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6. Il Piano Energetico Nazionale

Così come previsto, al termine di un approfondito giro di consultazioni con i principali

attori operanti nel settore energetico italiano865, il ministro dell’Industria, del Commercio e

dell’Artigianato, Carlo Donat-Cattin, presentò il 29 luglio '75 il Piano Energetico Nazionale.

Secondo quanto stabilito nella bozza presentata per l’approvazione da parte del CIPE, le misure

previste si concentravano, per via delle necessità contingenti, principalmente sull’offerta

energetica e, dunque, sulla ricerca della massima indipendenza possibile degli

approvvigionamenti di energia, su una più chiara distinzione dei compiti spettanti a ciascun

operatore settoriale, sul tentativo di massimizzare i risvolti positivi per l’industria nazionale e

sull’accertamento dell’esistenza dei presupposti finanziari:

“Il programma […] non [era], e non poteva essere in questa fase, un programma che

[esauriva] tutti gli aspetti della manovra energetica. Esso si sofferma[va] in via prioritaria sui

problemi che [concernevano] l’offerta di energia, anche se a varie riprese [venivano] toccati temi

che [investivano] la domanda di energia e le modalità necessarie per evitare sprechi ed indurre

razionalizzazioni. […] [Nel dettaglio il piano prevedeva]: 1) l’adozione di programmi tendenti

alla massima possibile autonomia degli approvvigionamenti energetici del Paese, pur avendo

presente il fatto che le scelte compiute oggi [incidevano] solo marginalmente sulla situazione

immediata e [potevano] dare risultati tangibili solo dopo un certo numero di anni; 2) la

precisazione del ruolo dei vari operatori pubblici e privati, cercando di eliminare le duplicazioni

che si [rivelavano] inutili o dannose e per contro di individuare i livelli di responsabilità per

alcune azioni che finora [avevano] ricevuto un’attenzione marginale; 3) una concreta azione ai

risvolti di natura industriale dei programmi che si [adottavano] e quindi la preoccupazione di

coglierne tutti gli aspetti che [potevano] massimizzare gli effetti positivi sulla struttura produttiva;

4) la verifica dell’esistenza di una cornice finanziaria adeguata per le varie azioni programmatiche

che si [intendevano] adottare”866.

Lussemburgo, 7 ottobre 1975, MAEF, Archives Diplomatiques, Affaires économiques et financières, Affaires générales, 1967-1975, 433]. 865 Per approfondimenti si veda Verbale della 48ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 24 luglio 1975, pp. 4-6, ASENEA. 866 Ente Nazionale Energia Elettrica, Programma Energetico Nazionale, testo provvisorio presentato al CIPE in data 29 luglio 1975, Roma, ASENEL, Segreteria del Consiglio, Piani energetici, 12.1.

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Si trattava di propositi senza dubbio ambiziosi in cui andava preliminarmente risolto il

quesito relativo al reperimento dei finanziamenti necessari. Secondo quanto previsto in una nota

del Ministero delle Partecipazioni Statali, la spesa prevista per l’attuazione del programma

elettronucleare enunciato da Donat-Cattin si aggirava sui quindici miliardi di dollari, inclusi i

costi dei combustibili necessari867. L’ENEL aveva già provveduto a firmare accordi preliminari

per l’acquisto di quattro impianti sia con un consorzio guidato dalla compagnia americana

General Electric che con la Westinghouse868.

La condizione italiana nel campo dell’energia necessitava però di interventi immediati

non più rimandabili nel tempo e, pertanto, le questioni finanziarie dovevano necessariamente

essere risolte a priori e non potevano incidere sull’ampiezza dell’intervento governativo da

realizzare. Nel frattempo la situazione internazionale aveva subito dei mutamenti importanti: il

problema degli approvvigionamenti era divenuto, terminata la fase di crisi acuta, meno grave

mentre rimaneva gravoso il livello dei costi petroliferi, nonostante la sovrabbondanza dell’offerta

dei prodotti derivati del greggio. L’urgenza di perseguire una politica di differenziazione dei

rifornimenti al fine di raggiungere una maggiore sicurezza energetica rimaneva dunque evidente,

ma il problema più grave, specie per l’Italia, era rappresentato dalla necessità di superare il grave

squilibrio esistente nell’offerta di energia che per oltre il settanta percento riguardava i prodotti

petroliferi. Per ovviare gradatamente a questa situazione, il piano di Donat-Cattin prevedeva, nel

breve periodo, di ottimizzare la politica degli acquisti, della raffinazione e della distribuzione dei

prodotti petroliferi, nonché di aumentare al massimo l’uso di fonti energetiche alternative quali il

metano e il carbone; nel medio-lungo periodo, di sollecitare fin da subito una ripresa nelle

ricerche di energia geotermica e, soprattutto, di varare un programma elettronucleare di notevoli

dimensioni. Secondo l’esponente della sinistra democristiana, nonostante i costi e le incertezze

tecniche, il piano rimaneva indispensabile nell’ottica di sottrarre la penisola da possibili ulteriori

minacce esterne:

“Questa manovra [era] costosa e presenta[va] ancora oggi margini non trascurabili di

incertezza anche sul piano strettamente tecnico, soprattutto per quanto concerne[va] la

diversificazione prevista in direzione elettro-nucleare. Tuttavia la manovra [era] necessaria e

[veniva] proposta proprio perché, in sua assenza, il Paese si [sarebbe trovato] a dipendere in via

perenne ed in misura sempre maggiore da possibili ricatti esterni. Tali ricatti [erano] provenuti di

867 Di questa somma, circa sette-otto miliardi sarebbero dovuti provenire da crediti internazionali, mentre la parte restante sarebbe stata assicurata da finanziamenti nazionali. 868 Cfr. Appunto interno del Gabinetto del Ministero delle Partecipazioni Statali sul finanziamento del programma elettronucleare italiano (non firmato), Roma, 30 maggio 1975, ACS, Fondo Ministero Partecipazioni Statali, DGAE, Serie Energetiche, Busta 6.

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recente dai Paesi del Golfo Persico; domani [sarebbero potuti] provenire da altre più insospettabili

parti geografiche”869.

Il piano energetico così presentato assegnava un ruolo fondamentale e diretto alle due

aziende pubbliche del settore (ENEL e ENI) che, per far fronte agli eccezionali compiti a cui

erano chiamate, avrebbero dovuto disporre in primo luogo di una solida capacità manageriale.

All’ENEL veniva richiesto ufficialmente di avviare, dopo una lunga pausa negli investimenti

nucleari, un programma indubbiamente impegnativo la cui attuazione, per ammissione dello

stesso Donat-Cattin, non era facile da garantire entro i termini previsti: la realizzazione di ben

venti nuovi impianti nucleari entro il 1985870. All’ENI, invece, per quanto concerneva

l’approvvigionamento petrolifero venivano ribaditi i compiti già delineati dal precedente piano

petrolifero, mentre nuove responsabilità si profilarono nell’ambito della ricerca geotermica, così

come fortemente desiderato dal presidente Girotti, e in quello dell’intero ciclo del combustibile

nucleare871. Si precisarono inoltre i compiti peculiari degli altri operatori energetici che agivano

accanto all’ENEL e all’ENI: IRI, CNEN, Industria della Raffinazione Petrolifera, Industria

termoelettromeccanica. A quest’ultima, ad esempio, si garantiva una committenza molto più

certa e definita rispetto al passato, prevedendo un supporto del CNEN per le azioni di ricerca e di

sviluppo essenziali in materia elettronucleare. Anche per il Comitato Nazionale per l’Energia

Nucleare si delinearono innovazioni, pure di carattere istituzionale, tali da poter operare con più

snellezza e autonomia, a fronte però di un richiamo a un maggiore rispetto delle scadenze

operative prefissate e degli accordi che intercorrevano a livello internazionale872.

Queste precisazioni sui ruoli specifici degli operatori energetici nazionali partivano dal

presupposto per cui solo una forte ripresa delle capacità imprenditoriali, sia pubbliche che

869 Ente Nazionale Energia Elettrica, Programma Energetico Nazionale, testo provvisorio presentato al CIPE in data 29 luglio 1975, Roma, ASENEL, Segreteria del Consiglio, Piani energetici, 12.1. 870 Tuttavia, all’ente elettrico era garantita, per la prima volta in assoluto dalla nazionalizzazione, una cornice finanziaria ritenuta idonea per il completamento del progetto. 871 Il ciclo del combustibile consiste nelle varie tappe di approvvigionamento e di smaltimento del combustibile utilizzato per produrre energia nucleare che formano una successione di tre stadi fondamentali: il trattamento di preparazione del combustibile di un reattore, lo stadio di sfruttamento (o bruciamento) e il successivo immagazzinamento o riciclaggio del combustibile usato. Tenuto conto del fatto che l’ENEL costituiva l’acquirente unico sul mercato nazionale del prodotto finale del ciclo del combustibile nucleare, il PEN individuava possibili soluzioni per una collaborazione diretta tra ENI e l’ente elettrico: si sarebbe potuta costituire sia una società paritetica tra i due soggetti statali, a cui affidare il compito dell’approvvigionamento di uranio naturale, sia una o più società miste ENI-ENEL-CNEN, a maggioranza ENI, cui demandare la gestione di tutte le altre fasi del ciclo del combustibile (ad eccezione dello stoccaggio dei rifiuti radioattivi) e, in particolare, la fornitura diretta all’ENEL degli elementi di combustibile. L’ente elettrico si poteva tuttavia riservare il diritto di ricorrere direttamente al mercato qualora fossero emerse condizioni per le quali venisse posta in dubbio l’economicità della fornitura degli elementi di combustibile da parte della suddetta società mista (cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Programma Energetico Nazionale, testo provvisorio presentato al CIPE in data 29 luglio 1975, Roma, ASENEL, Segreteria del Consiglio, Piani energetici, 12.1). 872 Gli interventi previsti dal programma per il Comitato Nazionale per l’Energia Nuclerare si riproponevano di: “a) semplificare le procedure di vigilanza e di controllo sul CNEN e garantire una maggiore continuità e certezza negli stanziamenti finanziari per il CNEN; b) dotare il CNEN di una maggiore snellezza decisionale interna anche attraverso maggiori deleghe di funzioni esecutive ai responsabili delle singole attività; c) permettere al CNEN rapporti con le industrie nazionali tali da rendere possibile un effettivo travaso alle industrie stesse dei risultati positivi delle azioni di ricerca e sviluppo intraprese dal CNEN” (ibidem).

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private, avrebbe potuto garantire il buon esito del Piano Energetico Nazionale. Parimenti, solo

comportamenti coerenti in campo economico, soprattutto per quanto concerneva la certezza dei

finanziamenti, e in politica estera, con riferimento alla differenziazione anche geografica degli

approvvigionamenti, avrebbero potuto favorire il raggiungimento degli scopi previsti. Per

rendere il programma più operativo attraverso nuovi strumenti amministrativi, Donat-Cattin

riteneva inoltre necessario “adeguare l’assetto istituzionale delle attuali competenze in materia

energetica alle emergenti esigenze di coordinamento delle diverse fonti di energia”; un percorso

che implicava la creazione di un nuovo ente, l’Alto Commissariato per l’Energia, cui sarebbero

spettate una serie di competenze:

“Il problema [poteva] trovare soluzione con la istituzione di un nuovo organismo di indirizzo

politico-amministrativo, l’Alto Commissariato per l’Energia, con attribuzioni e compiti sui vari

settori energetici […]. La funzione dell’Alto Commissariato [doveva] essere svolta in modo tale

da assicurare la realizzazione del disegno unitario in vista di risultati di interesse generale previsti

dal programma. […] Le attribuzioni da conferire all’Alto Commissario [riguardavano] in primo

luogo il compito di proporre al Governo e al CIPE l’indirizzo della politica energetica e la

formulazione del coordinamento delle politiche energetiche del Paese. In particolare [sarebbe

spettato] all’Alto Commissario: a) esercitare le attribuzioni e i compiti attualmente spettanti al

Ministero dell’Industria, al Ministero delle Partecipazioni Statali ed al Ministero per il

Commercio con l’Estero in materia di fonti di energia, comprese la ricerca e l’attività mineraria;

b) sovraintendere alla esecuzione coordinata da parte dell’ENEL, del CNEN e dell’ENI, nonché

degli altri operatori pubblici e privati, dei programmi annuali e pluriennali deliberati dal CIPE per

il soddisfacimento dei fabbisogni energetici; c) provvedere, d’intesa con la competente Direzione

generale del Ministero degli Affari Esteri, al coordinamento dei rapporti con i paesi terzi degli

enti predetti e degli altri operatori tecnici e privati ai fini dell’approvvigionamento dei prodotti

energetici; d) partecipare alla elaborazione degli indirizzi e delle misure della Comunità

Economica Europea in materia energetica; e) provvedere alla istruttoria per la determinazione dei

prezzi dei prodotti energetici e fornire i relativi elementi al Comitato Interministeriale Prezzi”873.

Il nuovo ente avrebbe dunque dovuto svolgere una funzione unificatrice fra i vari soggetti

pubblici e privati operanti nel campo energetico e, di fatto, dare vita a una politica nazionale nel

settore, controllando lo stato di attuazione del PEN. Particolarmente interessante risulta il legame

previsto con la direzione generale del MAE per il coordinamento dei rapporti con le nazioni terze

in merito all’approvvigionamento dei prodotti energetici. Per quanto concerneva il petrolio, il

873 Ibidem.

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piano di Donat-Cattin874 sottolineava infatti l’importanza di avviare una politica di

approvvigionamento più consona alle esigenze della bilancia dei pagamenti nazionale e collegata

allo sviluppo economico in corso nei paesi produttori. In particolare, gli investimenti in queste

nazioni potevano essere favoriti e sollecitati da un’attiva collaborazione dell’industria italiana

volta a creare correnti di esportazione di beni capitali e di consumo. La realizzabilità degli

accordi sembrava inoltre godere di una serie di condizioni favorevoli: una crescente domanda di

beni e di servizi da parte dei paesi produttori unita alla disponibilità di notevoli risorse

finanziarie; la presenza in Italia di ampie capacità produttive industriali per quanto riguardava i

beni capitali e di consumo, nonché i servizi di progettazione e di esecuzione di grandi

infrastrutture; l’esistenza di buoni rapporti a livello governativo. Riprendendo un indirizzo

politico-finanziario ampiamente ipotizzato durante i mesi difficili dello shock e già avviato in

alcuni aspetti, l’Italia avrebbe quindi dovuto partecipare direttamente allo sviluppo economico

dei produttori collegando i flussi di approvvigionamento petrolifero agli investimenti.

In questo quadro, lo sviluppo di una politica estera coerente assumeva un ruolo

fondamentale, specie in virtù dei basilari rifornimenti di combustibile atomico senza i quali

l’intera pianificazione elettronucleare del PEN non avrebbe avuto motivo di esistere. In questo

scenario rientravano la partecipazione italiana al progetto dell’EURODIF e alle altre iniziative

multilaterali attivate nel corso degli ultimi anni, nonché i contratti di acquisto di uranio naturale

posti in essere esclusivamente dall’ENI. Tutto ciò imponeva il raggiungimento di nuove intese

commerciali con i paesi produttori di combustibile nucleare e l’avvio di nuove tipologie di

collaborazione in chiave europea che contemplavano la realizzazione di impianti di

arricchimento dell’uranio con il metodo della diffusione gassosa (come l’EURODIF e il

COREDIF) o con il metodo dell’ultracentrifugazione (come l’URENCO-CENTEC).

Nella suo complesso, il Piano Energetico Nazionale presentato da Donat-Cattin appariva

perfino pretenzioso ma rispondeva in dettaglio a tutte le esigenze specifiche di un paese privo di

fonti interne di energia e che solo dopo lo shock petrolifero aveva maturato la scelta di una

valida programmazione energetica. Diverse questioni restavano tuttavia da valutare nel dettaglio,

come nel caso degli ingenti finanziamenti economici occorrenti e delle difficoltà, già emerse in

passato, di ottenere le autorizzazioni regionali e locali per la costruzione di nuovi impianti 874 Durante la fase di predisposizione del PEN si analizzò dettagliatamente sia la situazione dei principali Stati esportatori di petrolio verso l’Italia che quella relativa ai risultati delle prospezioni petrolifere svolte dall’ENI. Nell’ambito del Medio Oriente i paesi che avevano maggiormente esportato greggio verso la penisola erano stati: l’Arabia Saudita per il trentaquattro percento sul totale delle importazioni italiane, l’Iran con circa il dodici percento, l’Iraq con l’undici percento e il Kuwait con il cinque percento; l’altra sorgente significativa per l’Italia era stata la Libia con circa il venti percento. Per quanto concerneva invece i risultati dell’operato svolto dell’ente petrolifero, si erano rinvenuti, come già analizzato, dei giacimenti nella Valle Padana, nell’off-shore dell’Adriatico e nel sud della penisola (compresa la Sicilia); all’estero, viceversa, l’attività di ricerca e di sfruttamento dell’ENI si svolgeva in ventitre paesi di vari continenti. Tra i ritrovamenti effettuati, vi erano quelli significativi di gas naturale in Gran Bretagna, Norvegia e Egitto che erano stati già avviati per il consumo locale, mentre per altri (Iran, Labrador e Qatar) erano in corso accertamenti e studi di fattibilità.

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elettronucleari875. Un altro aspetto che lasciava a desiderare era rappresentato dal ruolo eccessivo

assegnato agli enti pubblici nazionali che operavano nel settore energetico. Per quanto

concerneva il mercato elettrico, la situazione di monopolio di cui già godeva l’ENEL non

implicava particolari cambiamenti, mentre, nel settore nucleare, le competenze rispetto al CNEN

e all’ENI erano state già ben definite in precedenza. Nel campo petrolifero, invece, l’ENI

operava in concorrenza diretta con le altre compagnie del settore, soprattutto straniere, che

rappresentavano oltre il sessanta percento del mercato nazionale. Già con il precedente piano

petrolifero, si era stabilito che l’ente petrolifero statale svolgesse un ruolo di primo piano

nell’approvvigionamento di greggio e che rafforzasse l’impegno nell’acquisizione di fonti

autonome. Il PEN considerava opportune queste scelte, ampliando ulteriormente le

responsabilità dell’ENI al punto da suscitare la veemente protesta delle aziende private. Il

presidente dell’Unione Petrolifera, Giovanni Theodoli, decise di inviare una lettera al

vicepresidente del Consiglio, Ugo La Malfa, in cui criticava aspramente molti aspetti del

progetto giudicati penalizzanti per gli operatori privati:

“[…] il carattere vincolante e limitativo che caratterizza[va] molte delle proposte riportate

nel documento ministeriale […] [lasciava] trasparire un indirizzo volto a porre restrizioni e

difficoltà alle attività aziendali. Restrizioni e difficoltà queste che non […] [apparivano]

giustificate dall’attuale situazione energetica nazionale ed internazionale né credo [rientravano] in

un organico disegno di programmazione che, per essere flessibile e democratico, non [poteva]

prescindere dal considerare le strutture e le esigenze operative delle imprese petrolifere private

presenti nel nostro Paese. Ove il suddetto indirizzo dovesse trovare completa applicazione,

sicuramente [sarebbero venute] meno quelle condizioni di flessibilità che specie per un settore

tipicamente internazionale e legato a regole di mercato come quello petrolifero, [erano]

indispensabili perché [potesse] validamente continuare a operare e ad investire un’industria

petrolifera privata”876.

875 Secondo una serie di indagini preliminari effettuate dall’ENEL e riportate all’interno del PEN, oltre ai siti già prescelti per l’ubicazione delle quattro unità ordinate nell’Alto Lazio e Molise, esistevano altre aree geografiche che per la loro posizione e in base alle caratteristiche tecniche analizzate risultavano adatte a ospitare l’installazione di nuove centrali nucleari. Esse erano: l’arco alpino lombardo, il Piemonte orientale, la costa ionica (Basilicata), la Lombardia orientale, la costa dell’Alto Tirreno (Toscana centrale), la costa del Basso Tirreno (Campania), la costa marchigiana meridionale o Abruzzo, l’arco alpino piemontese, la costa dell’Alto Adriatico (Romagna settentrionale), la costa del Medio Tirreno (Lazio meridionale), la costa della Venezia Giulia e la costa meridionale della Puglia (ionica o adriatica). Ovviamente, mettendo da parte il problema delle concessioni, questi siti non erano sufficienti a ottemperare al fabbisogno energetico previsto da Donat-Cattin (cfr. Ente Nazionale Energia Elettrica, Programma Energetico Nazionale, testo provvisorio presentato al CIPE in data 29 luglio 1975, Roma, ASENEL, Segreteria del Consiglio, Piani energetici, 12.1). 876 Lettera di Giovanni Theodoli, presidente dell’Unione Petrolifera, a Ugo La Malfa, vicepresidente del Consiglio dei ministri, Roma, 1 settembre 1975, ACS, Carte Ugo La Malfa, Serie 3, Cariche di Governo, Sottoserie 6, Vicepresidente del Consiglio (IV° Governo Moro), Busta 39.

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Le dure parole di Theodoli rispecchiavano fedelmente i malumori delle imprese private

che, dopo la morte di Mattei, si erano di fatto spartite il mercato petrolifero nazionale riservando

all’ENI un ruolo secondario, dopo lo sbandamento seguito alla scomparsa del fondatore. Con

ogni probabilità, queste pressioni da parte del mondo privato finirono per divenire un forte limite

per l’attuazione del PEN, mentre una maggiore centralizzazione del settore petrolifero avrebbe

favorito gli obiettivi del governo in questo campo.

Al contrario di quanto accadeva in Italia, il piano di Donat-Cattin ricevette maggiori

consensi in sede internazionale come testimoniavano i giudizi del gruppo ad hoc sullo sviluppo

accelerato di fonti alternative dell’International Energy Agency877, riunitosi a Parigi dal 22 al 26

settembre. In base alla regolamentazione interna di questo gruppo, la situazione italiana venne

analizzata da un club ristretto composto dai delegati della Gran Bretagna, della Svizzera e della

Spagna i quali, prendendo in esame la condizione del settore energetico dell’Italia e gli obiettivi

dell’IEA, espressero apprezzamento per la politica settoriale perseguita dal governo, soprattutto

nel campo nucleare e in quello dello sviluppo delle risorse di idrocarburi. Il nuovo indirizzo

programmatico intrapreso era ritenuto una valida risposta ai problemi posti dalla recente

evoluzione del mercato energetico internazionale, a patto che si attuassero immediatamente una

serie di azioni coerenti con gli orientamenti preannunciati878. Purtroppo, però, appariva sempre

più evidente l’eccessiva dipendenza nel settore energetico dalle importazioni dall’estero e,

soprattutto, da quelle petrolifere provenienti dal Medio Oriente879. Nonostante la situazione

italiana apparisse più difficile rispetto a altri paesi, il rapporto conclusivo sulle politiche

energetiche dei paesi membri dell’International Energy Agency, redatto sempre dal gruppo ad

hoc, ipotizzava una lieve diminuzione della dipendenza dall’estero nell’arco di un decennio880.

Nel dicembre '75 il CIPE881 approvò in via definitiva il PEN che venne presentato

ufficialmente con una conferenza nazionale a Perugia882. Malgrado la vastità degli interessi e

degli investimenti in gioco, la convergenza sul potenziamento del settore nucleare favorì

un’importante intesa bipartisan che consentì al progetto di Donat-Cattin di superare lo scoglio

877 Tra i compiti riservati al gruppo ad hoc dell’IEA rientrava infatti l’analisi approfondita delle politiche energetiche di tutti i paesi membri. 878 Cfr. Ad hoc Group on accelerated development of alternative energy sources, International Energy Agency, Meeting 22-26 September, Country report: Italy (allegato di un appunto di Vittorio D’Ermo, dirigente dell’area studi e strategie dell’ENI), Parigi, 25 settembre 1975, ASE, coll. AS. I. 4, udc. 34. 879 Questa situazione, secondo il parere del gruppo ad hoc dell’IEA, non sarebbe invariata nel breve-medio periodo e pertanto il governo italiano doveva attivarsi per mantenere buoni i rapporti di cooperazione con gli Stati dell’area mediorientale. Ciò nondimeno, anche per gli altri paesi membri la strategia da seguire in relazione alle importazioni energetiche era simile. 880 Cfr. Ad hoc Group on accelerated development of alternative energy sources, International Energy Agency, Parigi, 13-14 novembre 1975, ASE, coll. AS. I. 4, udc. 34. 881 Cfr. Delibera del CIPE n. 229 del 23 dicembre 1975 (il testo integrale della delibera è consultabile sul sito internet http://www.cipecomitato.it). 882 Cfr. Regione dell’Umbria (Giunta regionale), Conferenza nazionale sul Piano Energetico, Perugia, 6-7 dicembre 1975, ACS, Fondo Ministero Partecipazioni Statali, DGAE, Serie Energetiche, Busta 14.

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parlamentare senza sostanziali modifiche883. Tuttavia, le difficoltà sarebbero affiorate con

l’attuazione del piano stesso, specie in merito al programma nucleare.

7. L’Italia da Rambouillet alla CIEC

In vista della conferenza di Rambouillet si svolsero due riunioni preliminari, tra ottobre e

novembre, durante le quali un gruppo di esperti elaborò uno schema degli argomenti che

sarebbero stati discussi durante il vertice. Oltre alle prospettive economiche relative a ciascun

paese, ai problemi finanziari internazionali, alle relazioni con le nazioni emergenti e ai rapporti

Est-Ovest, si prevedeva anche la trattazione dei temi riguardanti l’energia e le materie prime. Il

dibattito sui problemi energetici, in particolare, doveva svolgersi in prospettiva della successiva

conferenza di Parigi sulla cooperazione economica internazionale prevista in dicembre. Tuttavia,

alla vigilia di Rambouillet le questioni energetiche assunsero delle connotazioni decisamente

diverse rispetto ai mesi precedenti. Una contingenza colta con chiarezza in un appunto della

segreteria generale del MAE, preparato in vista dell’imminente riunione di Rambouillet, in cui si

sottolineava come ogni preoccupazione energetica fosse ormai ampiamente superata:

“L’impressione tratta [dagli] […] ultimi sviluppi [era] che si [stesse] ormai perdendo il senso

della necessità e dell’urgenza di adottare politiche suscettibili di affrancare l’Occidente da una

situazione che [avrebbe consentito] tuttora all’OPEC di imporre unilateralmente le proprie

condizioni in materia di quantità e prezzi delle forniture di idrocarburi. Sintomatica di tale

atmosfera di acquiescenza [era] stata la reazione di sollievo, invece che di protesta, con cui

l’Occidente [aveva] accolto l’ultima decisione OPEC di aumentare i suoi prezzi «soltanto del

10%». […] lo spirito di solidarietà tra i Paesi industrializzati sembra[va] ormai insufficiente a far

materializzare i vasti programmi di sviluppo di fonti non OPEC di idrocarburi o delle fonti

alternative necessarie per l’attuazione di una politica intesa a sottrarre le economie occidentali

alla loro condizione di subordinazione nei confronti dell’OPEC”884.

Le diminuite preoccupazioni del mondo occidentale di fronte al problema degli

approvvigionamenti energetici erano ascrivibili al sovrapporsi di una serie di cause: prima fra

tutte, la constatazione che, seppur con differenze sostanziali fra loro, i paesi industrializzati erano

883 Per approfondimenti si veda Verbale della 58ª riunione del Consiglio di amministrazione del CNEN, Roma, 25 febbraio 1976, pp. 6-17, ASENEA. 884 Riunione dei Capi di Stato o di Governo a Rambouillet, Appunto interno del MAE, Segreteria Generale, Roma, 12 novembre 1975, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 4, Presidenza del Consiglio dei ministri, Sottoserie Questioni diverse, Ufficio del Consigliere diplomatico, Busta 87.

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riusciti a riassorbire senza eccessivi contraccolpi il quintuplicarsi del prezzo del petrolio. Ciò era

stato possibile essenzialmente grazie a un collegamento finanziario diretto, creato da ciascuna

nazione del mondo occidentale con i paesi produttori, che in pratica aveva finito per unire

saldamente gli interessi delle due parti in causa attraverso la formula “petrolio in cambio di

investimenti”. In questo modo, le esportazioni dei prodotti dei paesi industriali finirono per

confluire in maniera massiccia verso i paesi del Medio Oriente, favorendo un rapido trend

positivo delle bilance dei pagamenti occidentali885. Anche la spirale inflazionistica dei mesi dello

shock petrolifero si era praticamente bloccata e si poteva ragionevolmente ritenere che proprio

l’accumularsi delle enormi ricchezze negli Stati produttori avesse finito per risolversi in un

volano per l’industria occidentale, sollecitata dall’incremento delle commesse provenienti

dall’area OPEC. Vi erano state inoltre nuove scoperte di giacimenti petroliferi nel Mare del

Nord, nell’Artico nordamericano e nell’off-shore africano e asiatico; in prospettiva, grazie alla

diversificazione dell’approvvigionamento di greggio e alle divergenze di posizioni già

delineatesi, si riteneva dunque molto probabile un prossimo indebolimento del ruolo dell’OPEC

nel mercato petrolifero internazionale. Alcuni paesi mediorientali, oltretutto, avevano investito

ingenti somme di petroldollari in ambiziosi programmi di riarmo e di sviluppo interno che nel

giro di qualche mese avrebbero prodotto ripercussioni negative in campo valutario. Anche

l’andamento positivo dei negoziati per la pacificazione dell’area mediorientale stava infine

incidendo nella determinazione di un clima più disteso sui temi energetici all’interno del mondo

occidentale. Nell’appunto del novembre '75 della segreteria generale del MAE, si rilevava

tuttavia come, nonostante tutto, fosse ancora fortemente necessaria una collaborazione

internazionale nel settore petrolifero. A giustificazione di ciò, si osservava che la domanda

globale di energia avrebbe continuato a aumentare, grazie anche agli scarsi risultati ottenuti dalle

misure messe in atto per scoraggiare l’uso dei prodotti petroliferi e in virtù della ripresa

economica dei paesi occidentali, a fronte di un’offerta energetica che nel breve periodo non

avrebbe registrato sostanziali modifiche, in considerazione dei tempi necessari per l’esplorazione

e lo sfruttamento effettivo dei nuovi giacimenti scoperti nonché per l’attuazione dei programmi

elettronucleari avviati. Di conseguenza, l’OPEC, se non in caso di insanabili contrasti politici

interni, avrebbe rappresentato ancora per diverso tempo un fattore determinante sul mercato

petrolifero internazionale, specie considerando che alcuni paesi membri (Arabia Saudita, Emirati

Arabi Uniti, Qatar, Kuwait e in parte la Libia) erano in condizione di ridurre drasticamente la

produzione di greggio senza subirne i contraccolpi, assicurando così all’organizzazione un

885 Cfr. S. Labbate, Il ruolo dei petroldollari nelle relazioni Nord-Sud, in D. Caviglia, A. Varsori (a cura di), Dollari, Petrolio e aiuti allo sviluppo. Il confronto Nord-Sud negli anni '60-70, cit., pp. 143-169.

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notevole potere negoziale nei confronti dei paesi industrializzati886. D’altra parte, bisognava

anche tenere presente che, malgrado nel suo complesso il mondo occidentale apparisse in fase di

ripresa, al suo interno vi erano nazioni che continuavano a soffrire gli effetti della crisi. Era

questo, ovviamente, il caso dell’Italia la cui economia era strettamente condizionata dalla

disponibilità di prodotti energetici e di materie prime d’importazione, senza considerare la grave

situazione dei paesi in via di sviluppo non produttori. Sulla base dello scenario che si era venuto

a delineare, dunque, il vertice economico di Rambouillet avrebbe dovuto compiere un serio

intervento anche sul mercato delle fonti di energia al fine di renderne più ordinato lo sviluppo.

L’atteggiamento dell’Italia avrebbe quindi dovuto orientarsi in questa direzione. A tale

riguardo, l’appunto del MAE sottolineava come “almeno per 10-15 anni lo sviluppo industriale

dell’Italia [sarebbe stato] condizionato dalla regolarità e dai prezzi delle importazioni

energetiche”; anche il progresso degli impianti elettronucleari, previsto dal Piano Energetico

Nazionale, non avrebbe modificato la situazione “perché [esso] – anche se attuato nei termini

indicati – probabilmente [avrebbe ecceduto] di poco il prevedibile accrescimento della domanda

[interna di energia]”. In quest’ottica, le priorità individuate dal MAE in vista del vertice

comprendevano la:

“a) sicurezza degli approvvigionamenti di energia (petrolio, gas naturale, uranio e relativi

servizi di arricchimento); b) [la] stabilizzazione, se non riduzione, nonché «trasparenza» dei

relativi prezzi; c) [l’]accesso alle fonti di energia controllate direttamente o indirettamente dei

principali Paesi occidentali, anche al di fuori degli accordi intesi a far fronte a situazioni di

emergenza; d) [l’]accesso ad adeguate risorse finanziarie: - per far fronte agli squilibri della

bilancia dei pagamenti connessi con le importazioni energetiche; - per finanziare lo sviluppo di

fonti alternative di energia (sostanzialmente nel settore elettro-nucleare in misura minore in quelli

geotermico e solare); e) [l’]inserimento di importanti operazioni bilaterali o multilaterali per

forniture industriali ai Paesi produttori ed ai Paesi in via di sviluppo, così che l’economia italiana

[potesse trarre] beneficio anche dal riciclaggio dei petroldollari operato dai Paesi che [avevano]

maggiore potere negoziale nei confronti dell’OPEC; f) [l’]attenuazione delle conseguenze, anche

finanziarie, della dipendenza dal petrolio OPEC che [poteva] indirettamente conseguirsi da

eventuali importanti programmi per lo sviluppo di fonti alternative attuate nei Paesi occidentali

che [disponevano] di tali fonti”887.

886 Cfr. Riunione dei Capi di Stato o di Governo a Rambouillet, Appunto interno del MAE, Segreteria Generale, Roma, 12 novembre 1975, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 4, Presidenza del Consiglio dei ministri, Sottoserie Questioni diverse, Ufficio del Consigliere diplomatico, Busta 87. 887 Ibidem.

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Così posti, gli obiettivi da conseguire mediante la collaborazione internazionale e il

vertice di Rambouillet apparivano a dir poco pretenziosi. In primo luogo, l’Italia era priva della

necessaria forza negoziale, visto che inizialmente non era neanche prevista la sua partecipazione;

secondariamente, era difficile immaginare che dall’incontro sarebbero scaturite soluzioni

quantomeno simili a quelle desiderate dal governo italiano nel settore energetico. D’altronde, gli

Stati Uniti, la Francia, la Repubblica Federale Tedesca e la Gran Bretagna non avevano

manifestato alcun interesse in tal senso. La forte solidarietà fra i paesi industrializzati che aveva

caratterizzato i mesi della crisi petrolifera, mai peraltro tradottasi in una linea politica condivisa,

aveva gradatamente lasciato il passo a strategie d’azione unilaterali. Ciò si riflesse

inevitabilmente sul vertice di Rambouillet888 dove le questioni energetiche finirono per essere

trattate solo marginalmente, attraverso la generica riaffermazione della volontà comune di

cooperare sia per assicurare a tutti i paesi industrializzati le fonti di energia necessarie per la

crescita economica, sia per ridurre la dipendenza dalle importazioni dall’estero tramite la

conservazione e lo sviluppo di energie alternative, sia, infine, mediante la collaborazione

internazionale tra produttori e consumatori889. Oltretutto la riunione mantenne il carattere di

scambio di opinioni così come era stato previsto e ogni decisione venne di fatto rinviata alla

Conferenza sulla Cooperazione Economica Internazionale fissata a Parigi per la fine

dell’anno890.

All’appuntamento891 la Comunità europea fu chiamata a svolgere un ruolo di primo

piano, al pari di Giappone e Stati Uniti, nell’ambito di un’evoluzione delle relazioni economiche

internazionali che aveva dimostrato chiaramente l’interconnessione crescente fra i paesi

industrializzati e quelli in via di sviluppo. Da ciò derivava l’interesse comune da parte dei PVS

888 Per un approfondimento sul vertice di Rambouillet si vedano D. Caviglia, La conferenza di Rambouillet tra rilancio dell’economia internazionale e dialogo Nord-Sud, in D. Caviglia, A. Varsori (a cura di), Dollari, Petrolio e aiuti allo sviluppo. Il confronto Nord-Sud negli anni '60-70, cit., pp. 187-210; H. James, Rambouillet, 15 novembre 1975. La globalizzazione dell’economia, Bologna, 1999. 889 Cfr. Punto 13 della dichiarazione finale del vertice di Rambouillet [per consultarne il testo integrale si veda, ad esempio, Declaration of Rambouillet, Parigi, 17 novembre 1975, GFL, Council of Economic Affairs, Alan Greenspan Files]. Da questo incontro sarebbe nato l’esclusivo club delle grandi potenze, all’inizio denominato “G6” (dal numero dei paesi partecipanti), poi “G7” con l’ammissione del Canada, e infine “G8” con la Russia. Per uno studio sulla partecipazione diretta della Comunità europea alle riunioni ristrette delle maggiori nazioni industrializzate, caratterizzata fin dall’inizio dall’opposizione britannica e dal veto francese e avvenuta effettivamente per la prima volta al vertice di Londra del '77, si veda G. Garavini, The Battle for the Participation of the European Community in the G7 (1975-1977), in «Journal of European Integration History», vol. 12, n. 1, 2006, pp. 141-158. 890 Ibidem. Per consultare il testo delle conversazioni si veda Memorandum of Conversation for the White House, Rambouillet Economic Summit, Parigi, 15-17 novembre 1975, NARA, General Records of the Department of State, Record Group 59, Records of the Office of the Counselor, 1955-1974. Molto interessanti, in proposito, le parole del primo ministro giapponese, Takeo Miki, il quale, riconoscendo l’importanza assoluta in campo energetico dei risultati derivanti dalla fusione nucleare, che avrebbe potuto rappresentare l’unica valida alternativa all’utilizzo del petrolio, propose una cooperazione internazionale nella ricerca e nello sviluppo di questo settore scientifico. L’unica risposta positiva pervenne dal ministro Moro, mentre per Wilson il nucleare costava troppo e presentava questioni di difficile soluzione, fra cui quella dello smaltimento delle scorie radioattive. 891 La CIEC iniziò i lavori il 16 dicembre protraendosi fino al 19 con la partecipazione dei rappresentanti di ventisette paesi e con la presenza del segretario generale delle Nazioni Unite: Algeria, Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Camerun, Canada, CEE, Spagna, Stati Uniti, India, Indonesia, Iran, Iraq, Giamaica, Giappone, Messico, Nigeria, Pakistan, Perù, Egitto, Svezia, Svizzera, Venezuela, Jugoslavia, Zaire e Zambia.

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produttori e non di petrolio all’espansione e alla prosperità dell’economia mondiale892. Sulla base

di queste considerazioni, in una nota preparata dal Consiglio il 21 novembre si delineava la

posizione generale che la Comunità avrebbe dovuto tenere durante la Conferenza sulla

Cooperazione Economica Internazionale:

“[Essa era] disposta ad iniziare la discussione in tutti i settori che [erano] oggetto del dialogo

e a trattare i vari argomenti su un piede di parità. Essa [era] disposta ad affrontare tale dialogo in

modo costruttivo all’insieme di tali lavori. [Era] infatti necessaria una discussione costruttiva dei

problemi, onde pervenire ad una migliore comprensione dei reciproci interessi e giungere ad una

effettiva collaborazione, solo fattore in grado di condurre a soluzioni globali di interesse

generale”893.

Dall’enfasi del documento si poteva cogliere l’importanza che i Nove riponevano

nell’evento e, in modo particolare, nella cooperazione con i PVS: un’impostazione che avrebbe

dovuto permettere la realizzazione di reali progressi sulla via di una più equilibrata struttura delle

relazioni economiche internazionali, tale da determinare un rafforzamento della posizione degli

stessi paesi in via di sviluppo894. Secondo quanto riportato nella nota del Consiglio, il dialogo in

campo energetico doveva mirare a: migliorare le relazioni fra produttori e consumatori,

includendo tra questi ultimi i PVS al fine di contribuire al buon funzionamento e alla prosperità

dell’economia mondiale; porre in evidenza il nesso fra l’economia mondiale e le prospettive di

sviluppo delle principali fonti di energia; puntare a un’impostazione comune delle previsioni

relative allo sviluppo nel breve, medio e lungo periodo dell’offerta e della domanda di energia;

facilitare l’approvvigionamento sufficiente e continuo dei paesi consumatori in condizioni di

stabilità e a prezzi equi sia per questi ultimi che per i produttori; esaminare le possibilità di

cooperazione industriale fra tutte le parti in causa in quei settori di comune interesse che

potevano includere gli ambiti scientifici e tecnologici per lo sviluppo, l’utilizzo razionale e la

ricerca di nuove fonti di energia; giungere, infine, a consultazioni regolari fra produttori e

892 Alla CIEC, inoltre, il Movimento dei non allineati, come già visto, puntava a riproporre il suo obiettivo principale: creare un Nuovo ordine economico internazionale [per approfondimenti G. Garavini, La Comunità europea e il Nuovo ordine economico internazionale (1974-1977), cit.; K. P. Sauvant, The Group of 77: evolution, structure, organization, cit.; J. Bhagwati, The New International Economic Order: the North-South Debate, cit.]. 893 Nota del Consiglio delle Comunità europee concernente la Conferenza sulla Cooperazione economica internazionale, Progetto di posizione generale della Comunità, Bruxelles, 21 novembre 1975, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 4, Presidenza del Consiglio dei ministri, Sottoserie Questioni diverse, Ufficio del Consigliere diplomatico, Busta 82. 894 Per approfondimenti sulle discussioni e sulle decisioni inerenti i paesi in via di sviluppo alla conferenza di Rambouillet si veda in particolare D. Caviglia, La conferenza di Rambouillet tra rilancio dell’economia internazionale e dialogo Nord-Sud, in D. Caviglia, A. Varsori (a cura di), Dollari, Petrolio e aiuti allo sviluppo. Il confronto Nord-Sud negli anni '60-70, cit., pp. 199-206.

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consumatori895. In vista di questi obiettivi, appariva necessario instaurare un dialogo continuo tra

le parti allo scopo di favorire una reciproca comprensione e di contribuire alla risoluzione dei

problemi energetici mondiali. Nel determinare la posizione della CEE, i rappresentanti italiani e,

soprattutto, il capo del governo, Aldo Moro, nella sua veste di presidente di turno della Comunità

europea, svolsero un ruolo particolarmente attivo soprattutto nel convincere i partner europei, e

più di tutti Londra, sulla necessità di presentarsi uniti al vertice896. Secondo quanto riportato in

un appunto sulla posizione italiana alla CIEC redatto dall’Ufficio del Consigliere diplomatico del

presidente del Consiglio dei ministri: “Sul piano comunitario, la presidenza italiana [era] riuscita

a condurre a buon fine i lavori per la stesura del c.d. «mandato» comunitario”897.

Durante la conferenza emerse una completa identità di vedute sulla necessità di rafforzare

la cooperazione economica internazionale mediante il dialogo che, in effetti, ebbe inizio proprio

a partire da quella data898. I tempi sembravano dunque maturi per il raggiungimento di intese sui

temi economici e energetici, a condizione però che si continuasse a manifestare una elevata

disponibilità delle parti in causa a mettere in primo piano gli aspetti della cooperazione

internazionale. La CIEC ebbe in ogni caso il merito di rendere consapevoli tutti gli attori del

fatto che le soluzioni a problemi di carattere globale potevano essere trovate solo mediante un

connubio fra paesi industrializzati e PVS899. Il dialogo proseguì nei mesi successivi con le

riunioni dei co-presidenti della conferenza e delle quattro commissioni create durante la CIEC

895 Cfr. Nota del Consiglio delle Comunità europee concernente la Conferenza sulla Cooperazione economica internazionale, Progetto di posizione generale della Comunità, Bruxelles, 21 novembre 1975, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 4, Presidenza del Consiglio dei ministri, Sottoserie Questioni diverse, Ufficio del Consigliere diplomatico, Busta 82. 896 I presupposti per raggiungere un mandato unico comunitario erano infatti stati minati, come già accennato, dalla iniziale decisione di Londra di non voler essere rappresentata dalla Comunità europea alla CIEC. L’azione mediatrice, giunta a un esito positivo per merito soprattutto del lavoro diplomatico svolto dai rappresentanti italiani, era riuscita a appianare le divergenze di opinione tra i Nove sui singoli dettagli, concentrando l’attenzione su quelle direttive generiche su cui la CEE avrebbe dovuto puntare durante la conferenza [cfr. Conferenza sulla Cooperazione Economica Internazionale: posizione italiana, appunto redatto dall’Ufficio del consigliere diplomatico del presidente del Consiglio dei ministri (non firmato e non datato, ma del novembre 1975), ACS, Carte Aldo Moro, Serie 4, Presidenza del Consiglio dei ministri, Sottoserie Questioni diverse, Ufficio del Consigliere diplomatico, Busta 82]. Per ulteriori approfondimenti si veda anche G. Garavini, L’arma del petrolio: lo “shock” petrolifero e il confronto Nord-Sud, cit., in D. Caviglia, A. Varsori (a cura di), Dollari, Petrolio e aiuti allo sviluppo. Il confronto Nord-Sud negli anni '60-70, cit., p. 130. Le linee guida dei Nove vennero ufficializzate e rese pubbliche durante la riunione del Consiglio europeo tenutosi a Roma l’1 e il 2 dicembre '75 [cfr. Conferenza sulla Cooperazione Economica Internazionale: decisioni prese dal Consiglio CEE, appunto del Ministero degli Affari Esteri (non firmato), Roma, 1-2 dicembre 1975, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 4, Presidenza del Consiglio dei ministri, Sottoserie Questioni diverse, Ufficio del Consigliere diplomatico, Busta 82]. 897 Conferenza sulla Cooperazione Economica Internazionale: posizione italiana, appunto redatto dall’Ufficio del consigliere diplomatico del presidente del Consiglio dei ministri (non firmato e non datato, ma del novembre 1975), ibidem. 898 Cfr. Relazione sull’attività delle Comunità europee per l’anno 1975, presentata al ministro per gli Affari Esteri, Rumor, Camera dei Deputati, VI Legislatura, 30 dicembre 1975, HAEU, Fondo Edoardo Martino, nn. 27-28. D’altronde, alcuni paesi in via di sviluppo (quali ad esempio l’Egitto, il Messico, il Brasile e la Corea del Sud) rivestivano un ruolo importante anche per gli Stati Uniti nel quadro delle dinamiche della guerra fredda (per uno studio sul ruolo dei paesi del Terzo mondo nelle relazioni internazionali si veda O. A. Westad, The Global Cold War. Third World Interventions and the Making of Our Times, New York, 2005) 899 Per consultare il testo del comunicato finale della Conferenza sulla Cooperazione Economica Internazionale e della dichiarazione finale della riunione preparatoria (Parigi, 16 ottobre 1975) si veda Relazione sull’attività delle Comunità europee per l’anno 1975, presentata al ministro per gli Affari Esteri, Rumor, Camera dei Deputati, VI Legislatura, 30 dicembre 1975, HAEU, Fondo Edoardo Martino, nn. 27-28.

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(energia, materie prime, sviluppo e affari finanziari900). Tuttavia, durante i mesi successivi i

lavori segnarono il passo fino a determinare l’abbandono dei propositi iniziali e il fallimento del

stesso “dialogo Nord-Sud”901. I deludenti risultati erano anche il frutto della debolezza della

Comunità europea: i Nove si trovarono infatti profondamente divisi sulle scelte nei confronti dei

paesi in via di sviluppo e alle prese con diverse difficoltà interne. La Francia, ad esempio, a

causa dell’instabilità del mercato dei cambi si avviava a mettere in atto una politica economica

molto restrittiva con inevitabili ripercussioni sugli aiuti ai PVS. Vi erano inoltre i problemi

connessi al possibile allargamento della Comunità ai paesi del Mediterraneo e, infine, le gravi

preoccupazioni dei partner europei verso l’Italia, la cui crisi economica e politica rischiava di

precipitarla nell’isolamento.

Il caso italiano fu infatti al centro del successivo vertice occidentale di Portorico (27-28

giugno '76) dove emerse la preoccupazione di una partecipazione dei comunisti al governo che

avrebbe potuto coinvolgere gli altri paesi comunitari e, in primis, la Francia. Il tema della

cooperazione economica internazionale si trattò pertanto solo a margine della conferenza, mentre

per quanto concerneva le questioni energetiche nella dichiarazione finale i capi di Stato e di

governo del Canada, della Francia, della Repubblica Federale Tedesca, dell’Italia, del Giappone,

della Gran Bretagna e degli Stati Uniti si limitarono a ribadire il comune intento di intensificare

gli sforzi per lo sviluppo, la conservazione e l’uso razionale delle varie risorse esistenti e di

assistere in questa direzione i paesi in via di sviluppo902. Lo scambio di vedute sull’energia mise

in evidenza i persistenti timori nutriti dai partecipanti per gli scarsi progressi realizzati nel campo

della riduzione dei consumi e per le incertezze in materia di prezzi, riducendo così l’esito del

vertice all’enunciazione di propositi generici per la continuazione del dialogo903. Ancora una

volta si assisteva al fallimento di un accordo generale sull’energia nel quadro di una reale

cooperazione internazionale fra produttori e consumatori che rispondesse in primo luogo alle

900 Per uno studio sui lavori delle singole commissioni e sulla posizione degli Stati Uniti si veda, ad esempio, Background of the Conference on International Economic Cooperation: the Commissions, Parigi, 7 gennaio 1976, GFL, Council of Economic Affairs, Paul W. MacAvoy Files, 106, CIEC. 901 Per un’analisi sullo svolgimento e sulle conclusioni della CIEC si veda anche G. Garavini, L’arma del petrolio: lo “shock” petrolifero e il confronto Nord-Sud, cit., in D. Caviglia, A. Varsori (a cura di), Dollari, Petrolio e aiuti allo sviluppo. Il confronto Nord-Sud negli anni '60-70, cit., pp. 131-140. 902 Per consultare il testo integrale della dichiarazione finale di Portorico si veda, tra gli altri, Joint Declaration-International Conference of Puerto Rico, Dorado, 27-28 giugno 1976, GFL, Council of Economic Affairs, Alan Greenspan Files. 903 Per approfondimenti si veda Telespresso n. 076/119799, MAE, DGAE, CEE, Ufficio VI, dal titolo “Vertice di Portorico”, Roma, 6 luglio 1976, ACS, Carte Aldo Moro, Serie 4, Presidenza del Consiglio dei ministri, Sottoserie Questioni diverse, Ufficio del Consigliere diplomatico, Busta 86. Su proposta della Francia e dell’Italia si decise di menzionare esplicitamente la necessità di continuare la cooperazione tra i paesi consumatori e quelli produttori [cfr. Memorandum for the President on Puerto Rico Summit (Alan Greenspan, Brent Scowcroft), The White House, Washigton, 25 giugno 1976, GFL, Council of Economic Affairs, Alan Greenspan Files]. Per un’analisi sui propositi statunitensi al vertice di Portorico si veda International Economic Summit, Puerto Rico, Washington, non datato, NARA, General Records of the Department of State, Record Group 59, Records of the Office of the Counselor, 1955-1974.

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esigenze dei paesi più in difficoltà, anche perché la riluttanza di alcuni governi a avviare

politiche economiche a sostegno dei PVS risultò alimentata dalla crisi finanziaria in atto.

8. Dai problemi di attuazione del PEN all’abbandono del nucleare

Il Piano Energetico Nazionale presentato dal ministro Carlo Donat-Cattin prevedeva fra

le sue misure più rilevanti la costruzione di venti nuove centrali elettronucleari entro il 1985. Le

numerose difficoltà incontrate dal progetto non si discostarono molto da quelle presentatesi nei

mesi precedenti. Il problema più pressante risultò infatti essere quello relativo alle autorizzazioni

che, in base alla legge n. 880 del 18 dicembre '73, prevedeva il coinvolgimento diretto delle

Regioni nella scelta dei siti. L’iter burocratico, anziché accelerare secondo le intenzioni del

legislatore, si rese ancora più complicato con il risultato di allungare ulteriormente i tempi904. In

aggiunta a questa circostanza, in tutto il mondo iniziarono a sorgere i primi movimenti

ambientalisti che influenzarono, in maniera a volte determinante, l’opinione pubblica sui rischi

di inquinamento radioattivi e sui danni alla salute905. Nel caso dell’Italia il disastro di Seveso del

10 luglio '76, provocato da una fuga di un composto chimico nello stabilimento della società

ICMESA che intossicò la popolazione locale, inquinò l’aria, i terreni circostanti e uccise migliaia

di animali risultò decisivo nell’orientare l’opinione pubblica. Il drammatico evento, che

palesemente non aveva nulla a che vedere con il nucleare, si strumentalizzò ad arte per

evidenziare le possibili conseguenze catastrofiche in caso di incidente all’interno di una centrale

atomica. Il tutto venne amplificato dalla sciagura verificatasi il 28 marzo del '79 nella centrale

americana di Three Mile Island, situata sull’omonima isola nei pressi di Harrisburg, in

Pennsylvania: si trattò del più grave incidente mai occorso in un impianto nucleare statunitense,

che diede luogo a un cospicuo rilascio di radiazioni nell’ambiente e a una pericolosa fusione

parziale del nocciolo. Di fatto, da quel momento i movimenti ambientalisti intensificarono

notevolmente le proteste, divenendo anche in Italia un ulteriore ostacolo da superare in vista

della costruzione di nuovi impianti atomici. Inoltre, per quanto concerneva la penisola si

904 Nel tentativo di modificare questa circostanza si promulgò la legge n. 393 del 2 agosto 1975 dal titolo “Norme sulla localizzazione delle centrali elettronucleari e sulla produzione e sull’impiego di energia elettrica” che modificava e integrava la precedente direttiva prevista dalla legge n. 880 del 18 dicembre 1973, ampliando l’intervento delle istituzioni centrali e degli enti locali e fissando i limiti temporali per ogni fase dell’iter di autorizzazione. In pratica, era il CIPE, nel quadro del PEN e su proposta del ministro per l’Industria, il Commercio e l’Artigianato, che approvava, d’intesa con la Commissione Consultiva interregionale e sentito il parere del CNEN, i programmi pluriennali dell’ENEL per la costruzione di centrali elettronucleari e determinava le Regioni nel cui territorio potevano essere insediati questi impianti, tenendo conto anche delle esigenze di un equilibrato sviluppo economico del paese (cfr. art. 2 della legge n. 393 del 2 agosto 1975). Una volta che il CIPE aveva determinato le Regioni che potevano ospitare una centrale nucleare, queste ultime dovevano indicare almeno due zone del proprio territorio suscettibili di insediamento di questi impianti entro un periodo di cinquanta giorni, scaduti i quali le aree venivano determinate con una legge su proposta del ministro per l’Industria, il Commercio e l’Artigianato di concerto con il ministro per il Bilancio e la Programmazione economica (ibidem). 905 Sul rapporto energia nucleare-ambiente si rimanda a C. Senis, L’impatto ambientale delle centrali nucleari, in S. Garribba, S. Vaccà, Il controllo sociale dell'energia nucleare in Italia, Milano, 1978, pp. 109-117.

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aggiungevano le difficoltà economiche: il finanziamento previsto per l’attuazione del PEN e i

costi relativi alla costruzione di una centrale nucleare risultavano all’incirca al doppio di quelli

necessari per la realizzazione di un impianto di pari potenza alimentato a combustibile fossile.

L’ENEL, pertanto, in attesa di avviare la costruzione di nuovi sistemi elettronucleari continuò a

costruire centrali alimentate a olio combustibile906.

Di fronte a questo scenario, il governo italiano decise di rivedere il Piano Energetico

Nazionale presentando un nuovo programma nell’autunno del '77 mediante il quale, tra le altre

cose, il numero delle centrali nucleari da realizzare scese a sei, ma con una potenza unitaria

raddoppiata, pari a duemila megawatt. Il nuovo PEN fu approvato dal CIPE il 23 dicembre sulla

scorta della proposta presentata da Donat-Cattin e in virtù della risoluzione approvata dalla

Camera dei Deputati il 5 ottobre dello stesso anno907. Il ridimensionamento del numero degli

impianti elettronucleari non portò tuttavia a un rallentamento delle proteste da parte del

movimento ambientalista che finì per influire notevolmente sui ritardi per la realizzazione anche

del secondo Piano Energetico Nazionale.

Oltretutto, la crisi petrolifera del '73 produsse effetti contraddittori all’interno del mercato

energetico mondiale. I paesi industrializzati erano riusciti a risollevarsi dalla crisi e a creare le

premesse per una vigorosa ripresa economica. Al contempo, però, partendo dagli Stati Uniti, si

era assistito a una forte riduzione del tasso di aumento dei consumi di energia elettrica, in netto

contrasto con le previsioni che preconizzavano un raddoppio della domanda ogni decennio. Si

trattava di un rallentamento dovuto principalmente al lungo periodo di stagnazione a cui si era

aggiunto l’aumento del prezzo del petrolio a seguito dello shock. Nel complesso, era stata

raggiunta una capacità produttiva di gran lunga superiore alla domanda effettiva che indusse il

governo americano a modificare i programmi energetici: l’opportunità di costruire nuovi

impianti nucleari venne messa in dubbio e si preferì piuttosto rilanciare un vasto programma di

ricerca, di incentivazione del risparmio energetico e dello sviluppo di fonti rinnovabili908.

Secondo l’opinione di Carlo Lombardi, questa tendenza cominciò a manifestarsi già a partire dal

maggio '74 quando l’India fece esplodere, fra la sorpresa generale, il suo primo ordigno atomico

utilizzando il plutonio prodotto all’interno di una centrale elettronucleare che era stata sottoposta

906 Sul fronte delle collaborazioni internazionali, l’ENEL, grazie alla modifica alla legge della nazionalizzazione (legge n. 856 del 18 dicembre 1973) avviò i primi accordi di partecipazione all’estero. Nel marzo '75, ad esempio, venne sottoscritta un’intesa con l’Ente elettrico brasiliano (ELETROBABRAS) per una consulenza generale nei vari settori dell’energia elettrica e in particolare per lo sviluppo degli impianti idroelettrici di pompaggio; in aprile fu invece la volta dell’accordo con il Ministero dell’Energia iraniano per l’avvio di un programma di ricerche geotermiche in Iran (cfr. ENEL, 50 anni di industria elettrica italiana, cit., pp. 208-209). Per una valutazione generale sull’operato dell’ente elettrico dalla nazionalizzazione al '78 si veda G. Zanetti, G. Fraquelli G., Una nazionalizzazione al buio. L’ENEL dal 1963 al 1978, Bologna, 1979. 907 Cfr. Delibera del CIPE n. 113 del 23 dicembre 1977 (il testo integrale della delibera è consultabile sul sito internet http://www.cipecomitato.it). 908 Per un approfondimento sulle ripercussioni di questa situazione in Italia si veda E. De Leone, C. Dau Novelli, Dal CNEN all’ENEA. 1960-1982, in G. Paoloni (a cura di), Energia, ambiente, innovazione: dal CNRN all’ENEA, cit., pp. 127-133.

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ai controlli da parte dell’AIEA909. L’evento richiamò ancora una volta l’attenzione sui rischi

connessi all’uso pacifico dell’energia nucleare e con ogni probabilità incise anche sulle scelte di

programmazione energetica avviate da Jimmy Carter. Eletto alla fine del '76, il nuovo presidente

americano presentò al Congresso un piano nazionale che puntava sul recupero della fonte

carbonifera interna e sul blocco della realizzazione di nuovi impianti atomici, evidenziando i

pericoli di una proliferazione del nucleare per scopi militari, nonostante fossero stati attivati i

controlli internazionali e si fosse firmato il Trattato di non proliferazione nucleare. Le decisioni

dell’amministrazione Carter produssero un effettivo rallentamento dello sviluppo dell’energia

nucleare a livello mondiale con inevitabili ricadute anche sui più modesti piani italiani.

Sullo sfondo di questo rallentamento globale si collocò il secondo shock petrolifero: in

conseguenza della rivoluzione iraniana e dello scoppio del conflitto tra il nuovo regime

khomeinista e l’Iraq di Saddam Hussein, il prezzo del greggio tornò a salire fino a raggiungere il

picco storico di trentasei dollari al barile, quasi il triplo rispetto ai mesi precedenti910. Anche in

questa occasione l’Italia si fece trovare palesemente impreparata come dimostrava la perdurante

dipendenza sbilanciata in favore delle importazioni petrolifere per un valore pari a circa l’ottanta

percento del fabbisogno energetico interno911. La conseguente ondata inflazionistica agì in

questo caso da sprone per il rilancio della fonte energetica nucleare. Il 25 novembre '81 venne

presentato un terzo Piano Energetico Nazionale912 che prevedeva, fra l’altro, la realizzazione di

tre ulteriori centrali nucleari da duemila megawatt, da ubicare in nuovi siti in Piemonte, in

Lombardia e in Puglia, parte delle quali dovevano entrare in servizio entro il 1990913. Per la

prima volta si introdusse il concetto di impianto standard o unificato: uno degli obiettivi del

nuovo PEN era infatti quello di sviluppare il cosiddetto Progetto unificato nucleare, basato sul

sistema PWR, identico per tutti gli impianti in costruzione salvo che per gli adattamenti richiesti

in relazione ai singoli siti914. Il nuovo programma definiva anche i ruoli che i vari operatori

dovevano svolgere: all’ENEL veniva assegnato il compito di committente e architetto generale,

al Comitato nazionale per la ricerca e lo sviluppo dell’energia nucleare e delle energie

alternative, nato invero nel 1982 come evoluzione CNEN in ottemperanza alla legge n. 84 del 5

909 Cfr. C. Lombardi, La questione dell’energia nucleare, in G. Zanetti (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 5, cit., p. 616. 910 Per approfondimenti sulla nuova crisi petrolifera e sulle conseguenze per l’intero settore si vedano, tra gli altri, L. Maugeri, L’era del petrolio. Mitologia, Storia e futuro della più controversa risorsa del mondo, cit., pp. 142-152; D. Yergin, The Prize. The Epic Quest for Oil, Money and Power, cit., pp. 674-744. 911 Per uno studio sull’ENI e sulle sue attività nel periodo del secondo shock petrolifero e negli anni successivi si veda, tra gli altri, G. Sapelli, F. Carnevali, Uno sviluppo tra politica e strategia. ENI (1953-1985), cit., pp. 77-104. 912 Cfr. Delibera del CIPE n. 243 del 4 dicembre 1981 (il testo integrale della delibera è consultabile sul sito internet http://www.cipecomitato.it). 913 Cfr. C. Lombardi, La questione dell’energia nucleare, in G. Zanetti (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 5, cit., p. 631. 914 Per approfondimenti e per una testimonianza diretta si veda P. Fornaciari, Il petrolio, l’atomo e il metano: l’Italia nucleare, 1946-1997, cit., pp. 171-192.

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marzo915, la funzione di autorità di controllo, alle industrie costruttrici quella di fornitori di

sistemi e di componenti e, infine, all’AGIP Nucleare il ruolo di approvvigionare il combustibile.

Per coordinare e controllare le attività delle varie organizzazioni coinvolte si decise la

costituzione, nell’ambito dell’ENEL, di un apposito gruppo ad hoc. Gli obiettivi del PUN erano

essenzialmente basati sulla sostanziale riduzione dei costi complessivi e dei tempi di

realizzazione delle centrali, in virtù di un iter di autorizzazione anticipato e di una

programmazione più razionale delle attività collaterali.

Le innovazioni introdotte dal terzo PEN rompevano nettamente con il passato per il

maggior realismo dei programmi, per la filiera unica e per l’assegnazione di maggiori

responsabilità all’ente elettrico. Anche la scelta del reattore (a acqua pressurizzata della

Westinghouse) costituiva una novità assoluta: era il più diffuso al mondo e era stato adottato da

Francia e Gran Bretagna che possedevano il programma nucleare più avanzato. Il valore del

nuovo programma energetico nazionale traspariva infine anche dall’assegnazione di un ruolo di

primo piano riservato, per la prima volta, alle fonti alternative e al risparmio, in parte come

risultato delle pressioni derivanti dal fronte antinucleare e delle recenti scelte energetiche

dell’amministrazione Carter:

“Una politica della conservazione, del risparmio e dell'uso razionale dell'energia dovrà

influenzare l'intera politica industriale attraverso la incentivazione del risparmio energetico, lo

stimolo della ricerca, la innovazione tecnologica e lo sviluppo delle energie rinnovabili, al fine di

raggiungere, per fonte, gli obiettivi di riferimento dell'evoluzione della domanda totale di energia

fissati dal piano al 1985 e al 1990”916.

Dopo circa dieci anni di lavori, nel 1981 entrò in funzione la centrale termonucleare di

Caorso con una potenza pari a 840 MW, mentre iniziarono i progetti per la costruzione

dell’impianto di Montalto di Castro e del raddoppio di quello di Trino Vercellese.

Contemporaneamente, però, la produzione elettrica italiana subì una lieve flessione causata da

una nuova riduzione della domanda interna di energia come conseguenza del secondo shock

petrolifero e, quindi, dell’aumento vertiginoso dei costi energetici. Ancora una volta, dunque,

emergeva la necessità assoluta di differenziare lo sfruttamento delle fonti riducendo il peso delle

importazioni di greggio. Le energie alternative non sembrarono però risultare efficaci

nell’immediato e pertanto si puntò nuovamente, fra le proteste veementi degli ambientalisti, sullo

915 Cfr. E. De Leone, C. Dau Novelli, Dal CNEN all’ENEA. 1960-1982, in G. Paoloni (a cura di), Energia, ambiente, innovazione: dal CNRN all’ENEA, cit., p. 132. 916 Punto 1 della Delibera del CIPE n. 243 del 4 dicembre 1981.

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sviluppo del nucleare creando gli idonei presupposti legislativi. Nel corso del 1983 venne varata

una legge che consentiva al CIPE, in caso di inerzia delle Regioni e dei Comuni, di scegliere il

sito per la realizzazione di nuove centrali nucleari o a carbone e prevedeva un indennizzo per i

danni ambientali causati dalla costruzione e dall’esercizio dell’impianto917. Sulla scorta di queste

premesse, il precedente piano energetico venne aggiornato nel corso del 1985 e approvato

definitivamente nel marzo dell’anno seguente, comprendendo la costruzione di sei nuove centrali

nucleari in siti non ancora determinati918. Il 26 aprile successivo il disastro di Chernobyl, in

Ucraina, con l’esplosione del quarto reattore della centrale elettronucleare in funzione dal

dicembre '83 e la liberazione di radiazioni pari a centocinquanta milioni di Curie (cento volte

superiori, cioè, alla potenza delle bombe atomiche utilizzate contro Hiroshima e Nagasaki nel

'45), rappresentò un passaggio fatale per le sorti del nucleare italiano. Le tragiche conseguenze

sulla popolazione si fecero sentire in tutta Europa e finirono per avvalorare le tesi degli

ambientalisti, che insistevano sui problemi connessi alla sicurezza degli impianti nonostante si

fosse accertato che l’incidente non era dipeso da un errore umano ma da un deliberato

esperimento condotto senza autorizzazione dal personale tecnico, amplificato all’ennesima

potenza a causa della mancanza di qualsiasi struttura di protezione e di contenimento919.

Il disastro condizionò pesantemente le scelte nucleari di tutti i paesi europei e quindi

anche dell’Italia: il Parlamento si affrettò a bloccare il piano energetico appena approvato e,

tranne qualche eccezione, tutti i maggiori leader politici si orientarono in favore di uno

sganciamento dal nucleare, in vista anche delle elezioni anticipate previste per l’anno

successivo920. Di fatto il PEN del 1985 non venne abbandonato ma il movimento ambientalista e

i gruppi politici antinucleari si fecero promotori di tre quesiti referendari concernenti le

modifiche introdotte dalle leggi del 1983 che consentivano al governo di superare i veti posti

dalle amministrazioni locali alla costruzione di impianti nucleari o a carbone: il primo quesito

riguardava l’abolizione del comma 13 della legge n. 8 del 10 gennaio '83 che permetteva al CIPE

di decidere sulla localizzazione delle centrali nel caso in cui gli enti locali non avessero preso

una decisione definitiva entro i tempi stabiliti; il secondo riguardava l’eliminazione dei commi

della suddetta norma che prevedevano l’erogazione di contributi a favore dei comuni e delle

regioni sedi di impianti alimentati con combustibili diversi dagli idrocarburi; l’ultimo si riferiva

all’abrogazione della legge n. 856 del '73 che aveva modificato la legge istitutiva dell’ENEL e

917 Cfr. legge n. 8 del 10 gennaio 1983. 918 Cfr. Delibera del CIPE n. 013 del 20 marzo 1986 (il testo integrale della delibera è consultabile sul sito internet http://www.cipecomitato.it). 919 Per approfondimenti si veda, tra gli altri, ENEL, 50 anni di industria elettrica italiana, cit., pp. 300-301. 920 Per approfondimenti si veda S. Garribba, S. Vaccà, Lo sviluppo nucleare in fase di transizione: ragioni di un impegno e motivazioni dell’opposizione, in S. Garribba, S. Vaccà, Il controllo sociale dell'energia nucleare in Italia, cit., pp. 19-46.

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permesso all’ente statale di partecipare a accordi internazionali per la costruzione e la gestione di

centrali nucleari all’estero. Gli esiti plebiscitari in favore dell’abrogazione sancirono, di fatto,

l’abbandono del nucleare come forma di approvvigionamento energetico nazionale921. Nell’arco

di quasi un anno tutti i cantieri delle centrali elettronucleari in costruzione vennero chiusi e nel

nuovo PEN, presentato nel 1988 dall’esecutivo De Mita, il nucleare scomparve definitivamente

in favore del risparmio energetico, rimasto sulla carta, e dell’importazione di energia elettrica dai

paesi vicini (Francia e Svizzera) e del metano, meno inquinante del petrolio ma proveniente

anch’esso, per la maggior parte, da zone geopoliticamente instabili. In momenti diversi anche

altri paesi europei, come la Svezia, la Germania, la Svizzera e la stessa Francia, annunciarono un

forte ridimensionamento delle politiche nucleari nazionali, anche se non effettuarono una

rinuncia così drastica come nel caso dell’Italia. Un abbandono completato in via definitiva dalla

riconversione della centrale di Montalto di Castro dal nucleare al gas (per un costo aggiuntivo

pari a circa cinque miliardi di lire) e dalla decisione di chiudere le centrali di Trino Vercellese e

di Caorso nel '90.

921 Cfr. ENEL, 50 anni di industria elettrica italiana, cit., pp. 313-318; C. Lombardi, La questione dell’energia nucleare, in G. Zanetti (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 5, cit., pp. 634-637.

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271

CONCLUSIONI

Per l’Italia, come per la maggior parte dei paesi occidentali, l’avvio e il coordinamento di

iniziative nazionali volte a risolvere problemi legati alle difficoltà nell’approvvigionamento

petrolifero, all’aumento dei costi energetici nazionali e alle relative necessità di

razionalizzazione dei consumi interni, coincise di fatto con gli sviluppi dello shock petrolifero

del '73. Malgrado i rischi di una dipendenza pressoché totale dalle importazioni petrolifere

fossero stati evidenziati con largo preavviso, mancò comunque una vera pianificazione e quindi

la necessaria diversificazione degli approvvigionamenti energetici. L’assenza di risorse interne

avrebbe dovuto spingere il governo a ricercare valide alternative che, invece, per una serie di

cause si decise di non perseguire. Dopo la morte di Mattei, le questioni energetiche sembrarono

quasi abbandonate a se stesse e l’ENEL, sia a causa della nazionalizzazione del settore elettrico

che della momentanea convenienza nel continuare a investire in centrali a combustibile fossile,

non fu in grado di interpretare le reali esigenze del paese. Allo scoppio della crisi petrolifera

l’Italia si fece cogliere completamente impreparata dimostrandosi incapace di rispondere con la

messa in opera di soluzioni energetiche alternative.

Eppure, già all’indomani dell’accordo di Teheran del 14 febbraio '71 tra i paesi

dell’OPEC e le compagnie internazionali che sancì l’aumento progressivo del prezzo del petrolio

fino al 1975 e quindi un maggior potere decisionale da parte dei governi dei paesi produttori

nell’intero settore, il presidente dell’ENI, Eugenio Cefis, nella relazione alla Commissione

Consultiva per l’Energia, richiamò la necessità assoluta di un intervento diretto del governo

mediante l’instaurazione di rapporti economico-politici con i produttori al fine di mantenere e

rafforzare i vantaggi reciproci:

“Gli avvenimenti recenti hanno più volte fatto temere una interruzione nei rifornimenti di

petrolio, in caso di fallimento dei negoziati tra i paesi produttori e le compagnie internazionali.

Queste ultime non potevano offrire infatti alcuna garanzia di continuità dei rifornimenti ai livelli

richiesti dalla domanda nell’ipotesi di un embargo che avesse coinvolto i principali paesi

produttori. In realtà non potevano offrire all’Italia e ad altri paesi europei questa garanzia, perché

essa va oltre le possibilità dell’industria petrolifera internazionale, così come è attualmente

strutturata. Si è reso evidente, nel corso della crisi, che il problema della sicurezza fisica degli

approvvigionamenti petroliferi attuali e più ancora futuri può essere avviato a soluzione

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prevalentemente attraverso un’azione condotta sul piano politico. Si è chiaramente avvertita la

necessità che i rapporti politici ed economici diventino oggetto di intese dirette”922.

Sulla scorta di questi suggerimenti, fatti propri dal governo dopo lo scoppio del primo

shock petrolifero, l’Italia cercò di recuperare quel tradizionale indirizzo di paese “ponte” che ne

aveva spesso caratterizzato l’approccio verso gli Stati della sponda meridionale del

Mediterraneo. In questa cornice, il deterioramento del clima con i produttori di greggio anziché

divenire il primo passo verso una rottura poteva fornire lo spunto per impostare nuovi rapporti di

collaborazione. Gli spazi di manovra a disposizione dell’Italia erano però limitati e, soprattutto,

fortemente condizionati dalle gravi carenze energetiche interne. Certamente una qualche

rilevanza ebbero le iniziative di Aldo Moro in qualità prima di ministro degli Esteri e,

successivamente, di presidente del Consiglio: la decisione di intraprendere un viaggio presso le

nazioni mediorientali agli inizi del '74, ad esempio, sembrò quasi proiettarlo nel ruolo di

ambasciatore presso alcuni paesi produttori, dando luogo a importanti ritorni economici per

l’Italia. Non bisogna dimenticare, infatti, che il governo italiano non possedeva le risorse

politiche e economiche necessarie per condurre iniziative al di fuori del contesto europeo.

Al di là però dei limiti imposti da una serie di fattori che sfuggivano alle responsabilità

del governo, non si può non sottolineare il fallimento della costruzione di un percorso che

sciogliesse il paese dai vincoli della dipendenza dalle importazioni petrolifere. Malgrado il fatto

che alla realizzazione dei primi studi sull’atomo avessero contribuito in modo determinante

diverse personalità scientifiche italiane (primi fra tutti, Enrico Fermi e Bruno Rossi),

l’abbandono del nucleare segnò di fatto l’accantonamento dell’unica strategia in grado di mutare

la condizione energetica del paese. Mentre in tutti i paesi industrializzati si moltiplicarono nel

corso degli anni Settanta gli stimoli al potenziamento delle risorse nucleari, in Italia la

programmazione energetica sembrò fermarsi agli inizi del decennio precedente, quando la

penisola occupava il terzo posto mondiale fra i paesi produttori di energia elettronucleare.

Eppure, secondo la testimonianza diretta dall’ex vicepresidente dell’AGIP Petroli, Giuseppe

Accorinti, già alla fine degli anni Cinquanta Enrico Mattei aveva commissionato uno studio per

stimare il numero di centrali nucleari di cui l’Italia avrebbe avuto bisogno entro l’anno 2000:

dall’analisi risultava che si sarebbero dovuti costruire ben quaranta impianti923. All’epoca, però,

questo numero apparve impressionante, anche se paragonato con le cinquantacinque centrali

costruite nello stesso periodo in Francia rendeva giustizia alle intuizioni di Mattei e del suo

922 Linee di politica energetica nel settore degli idrocarburi e dei combustibili nucleari, Relazione presentata dal Dr. Eugenio Cefis, presidente dell’ENI, alla riunione de 7 aprile 1971 della Commissione Consultiva per l’Energia, Roma, ASE, coll. I. II. 3, udc. 54 (la riunione venne in realtà rimandata al 23 aprile successivo). 923 TRA dall’ex vicepresidente dell’AGIP Petroli, dott. Giuseppe Accorinti.

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entourage. Ciò induce a ritenere che probabilmente il fondatore dell’ENI fu davvero l’unico

interprete di una politica energetica nazionale interrotta bruscamente con sua improvvisa

scomparsa924. Gli avvenimenti successivi, in particolare le crisi degli anni Settanta e i Piani

Energetici Nazionali con le relative difficoltà di attuazione, fino alla rinuncia definitiva al

nucleare dopo il disastro di Chernobyl e il referendum del 1987, confermarono l’assenza di una

concreta programmazione unitaria925 e l’impossibilità di affrontare in via risolutiva il problema

della quota eccessiva delle importazioni petrolifere italiane926.

Per quanto riguarda poi la cooperazione europea in ambito energetico, bisogna registrare

il fatto che sia prima che dopo lo scoppio delle crisi petrolifere degli anni Settanta, la CEE non

riuscì a promuovere una politica comune. In parte lo stallo poteva essere spiegato con la

disomogeneità presente nei vari paesi membri: se da un lato, infatti, vi era una nazione come

l’Italia completamente priva di risorse energetiche interne e quindi dipendente in toto dalle

importazioni estere, dall’altro lato un paese come la Gran Bretagna aveva quasi raggiunto

l’autonomia energetica grazie alle notevoli riserve di carbone e alle nuove scoperte petrolifere

nel Mare del Nord. In aggiunta, mancava una reale volontà politica dei governi nazionali per

conferire alla Comunità effettive competenze in un settore così fondamentale dal punto di vista

strategico: ogni paese preferiva riservarsi una certa libertà di manovra in funzione delle necessità

energetiche interne. Ciò malgrado, i progetti avviati in precedenza, specie in ambito nucleare,

come ad esempio l’EURODIF, l’UNIPÈDE e l’URENCO, proseguirono sebbene fossero

destinati a produrre risultati concreti solo nel lungo periodo e restarono evidentemente il frutto

della cooperazione fra singoli paesi, piuttosto che di un’azione comunitaria. In altri termini, per

riprendere le parole di Felice Ippolito, “la politica della Comunità [costituì] la somma aritmetica

o algebrica delle singole politiche degli Stati membri”927.

Di fronte all’utilizzo dell’arma petrolifera da parte dei paesi produttori, i Nove non

seppero rispondere con una politica energetica unitaria ma con la continuazione delle

collaborazioni bilaterali. Durante il primo shock petrolifero, ciò si riflesse anche sui rapporti

transatlantici mettendo in luce il ruolo fondamentale assunto dalle questioni energetiche nel

quadro delle relazioni internazionali. Contrariamente alle previsioni avanzate all’epoca da

numerosi esperti, i fatti confermarono la primazia degli Stati Uniti rafforzata dalla creazione

924 Oppure, come lo definisce Briatico, un “futurologo” (cfr. F. Briatico, Ascesa e declino del capitale pubblico in Italia, cit., p. 27). 925 Per un approfondimento sui risultati deludenti conseguiti dall’Italia in politica energetica nel periodo 1973-1990 cfr. A. Clô, Crisi energetica: consumi, risparmi e penetrazione elettrica, in G. Zanetti (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 5, cit., pp. 116-119. 926 Per uno studio sulle possibili alternative si vedano, tra gli altri, P. Fornaciari, L’Atomo per la pace, cit., pp. 101-110; L. Maugeri, Con tutta l’energia possibile. Tutto quello che è necessario sapere sui problemi e il futuro delle diverse fonti di energia, Milano, 2008. 927 F. Ippolito, Politica europea e politica dell’energia, Napoli, 1981, p. 89.

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dell’International Energy Agency928. Un dato di fatto reso ancora più evidente dal secondo shock

petrolifero: se infatti in quella occasione i paesi OPEC riconobbero alla CEE un ruolo

imprescindibile per l’avvio di un dialogo, gli europei dal canto loro, spinti dall’acuirsi della crisi

economica, optarono per una cooperazione ancora più stretta con gli Stati Uniti. Ovviamente a

questa scelta contribuì in maniera determinante il tramonto della distensione e l’emergere di

scenari di crisi in Iran e in Afghanistan, che risvegliarono i timori di una nuova guerra fredda e

spostarono il baricentro dell’attenzione mondiale vero il Golfo Persico. In ogni caso la Comunità

europea non rinunciò a mantenere in vita un rapporto con i produttori mediorientali,

condizionato però dalla maggiore ritrosia a porsi in antagonismo con gli Stati Uniti, come

qualche governo dell’area del Mediterraneo avrebbe desiderato. Del resto, la leadership

americana uscì rafforzata proprio dall’uso dell’arma petrolifera: le gravi ripercussioni

economiche, manifestatesi soprattutto nei paesi del sud del mondo, finirono per rinsaldare

istituzioni quali la Banca mondiale e il Fondo Monetario, che erano alla base della

riorganizzazione delle relazioni commerciali e finanziarie decisa a Bretton Woods nel '44 sotto il

patrocinio degli Stati Uniti. Infine, l’allargamento della Comunità europea alla Grecia (1981),

alla Spagna e al Portogallo (1986), se da un lato sembrò preludere alla valorizzazione del settore

mediterraneo, dall’altro non si tradusse in nuove iniziative poiché l’azione europea si concentrò

piuttosto nella soluzione dei problemi derivanti dall’ampliamento: costi, adattamenti e revisione

dei trattati.

In definitiva, l’approvvigionamento delle fonti di energia rappresenta una delle questioni

prioritarie per i governi di tutto il mondo e la possibilità di disporre di risorse energetiche

costituisce un elemento fondamentale per gli equilibri geopolitici internazionali. Accanto alle

fonti di origine fossile, come il petrolio, il carbone e il gas naturale e a quelle tradizionali, quali il

928 All’interno dell’IEA si registrarono però notevoli difficoltà circa l’adozione di un programma di cooperazione a lungo termine che finì per subire una serie di slittamenti nel tempo a causa dell’assenza di un accordo definitivo tra le parti sulle misure da attuare che risultassero soddisfacenti per tutte le delegazioni rappresentate [per un approfondimento sulla posizione della delegazione italiana si veda Promemoria interno dal titolo “Agenzia Internazionale Energia: Programma di cooperazione a lungo termine” (non firmato), Roma, 3 novembre 1975, ASE, coll. AS. I. 4, udc. 34] Molto interessanti in proposito i commenti sulla fase delle trattative in corso espressi durante una riunione interministeriale svoltasi il 12 novembre presso il Ministero degli Affari Esteri in cui si sottolineava che il Programma di cooperazione a lungo termine era ancora lontano dall’essere sottoscritto ma, nel corso dei vari incontri, aveva assunto delle caratteristiche più vicine alle richieste italiane (cfr. Telespresso n. 077/22429, MAE, DGAE, Ufficio VII, indirizzato al Ministero del Tesoro, al Ministero dell’Industria e del Commercio, al Ministero del Bilancio e delle Programmazione, al Ministero del Commercio Estero, al Ministero delle Partecipazioni Statali, al Comitato Nazionale Energia Nucleare, all’Ente Nazionale Idrocarburi e all’Ente Nazionale Energia elettrica, Roma, 3 dicembre 1973, ibidem). In questa occasione si fece anche riferimento alla proposta di Washington per una collaborazione bilaterale con l’Italia in risposta alla lettera di chiarimento inviata da Moro a Ford nel marzo precedente in cui si evidenziava la necessità di trovare un compromesso all’interno dell’IEA che potesse venire incontro anche alle questioni difficili della penisola. Solo nel marzo '76 si pervenne all’approvazione del programma di cooperazione a lungo termine, in attuazione al trattato istitutivo dell’IEA, introducendo il cosiddetto “prezzo minimo di salvaguardia” sul petrolio di importazione che aveva dato luogo a diverse polemiche e perplessità anche da parte dell’Italia [Appunto per il presidente dal titolo “Agenzia Internazionale per l’ Energia: Programma di cooperazione a lungo termine” (non firmato), Roma, 24 marzo 1976, ASE, coll. AS. I. 4, udc. 34]. Secondo quanto riportato nell’appunto, il testo dell’accordo andava interpretato anche alla luce delle dichiarazioni espresse in proposito dai paesi membri, inserite a verbale all’atto dell’approvazione: “Tali dichiarazioni, in molti casi, [erano] costituite da riserve o interpretazioni degli articoli del programma che [potevano] tradursi in limitazioni alla sua effettiva applicabilità” (ibidem).

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nucleare, esistono alternative energetiche altrettanto valide: acqua, biocarburanti, eolico, solare,

geotermia, idrogeno. Un’efficace politica energetica nazionale dovrebbe prevedere iniziative

comprendenti tutte queste fonti, non limitandosi al nucleare e all’uso del petrolio e cercando

anche di rispondere alle fondamentali esigenze dell’ambiente. Ancora oggi, però, il possesso e il

controllo delle fonti energetiche cosiddette tradizionali (petrolio, uranio, gas naturale, ecc.)

rappresenta una delle principali cause di controversie internazionali spesso sconfinate in conflitti

armati. Si pensi, ad esempio, alle guerre del Golfo e al notevole interesse mostrato verso l’area

mediorientale, storicamente la più ricca di petrolio, da parte delle grandi potenze mondiali:

dapprima Gran Bretagna e Francia, poi Stati Uniti e Unione Sovietica. Il problema del controllo

delle fonti energetiche, e in particolare del petrolio in quanto risorsa strategica nell’attuale

modello di sviluppo, rappresenta dunque un elemento essenziale per capire lo svolgimento degli

eventi, nonché le scelte politiche e economiche operate negli ultimi due secoli.

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Fonti e bibliografia

FONTI INEDITE

I. DOCUMENTI D’ARCHIVIO

1. ARCHIVES DU MINISTÈRE DES AFFAIRES ENTRANGÈRES, Parigi

2. ARCHIVES OF THE COUNCIL OF THE EUROPEAN UNION, Bruxelles 3. ARCHIVI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Roma

4. ARCHIVIO CENTRALE DI STATO, Roma

� CARTE CNR

I. Presidenza CAGLIOTI

II. Presidenza GIORDANI

III. Presidenza POLVANI

� CARTE MINISTERO DELLE PARTECIPAZIONI STATALI

� FONDO ALDO MORO

� FONDO UGO LA MALFA � CARTE MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE

5. ARCHIVIO DIPARTIMENTO DI FISICA, UNIVERSITÀ “LA SAPIENZA”, Roma

� CARTE EDOARDO AMALDI

6. ARCHIVIO STORICO DELL’ENEA, Roma

� CARTE CNRN

� CARTE CNEN

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277

7. ARCHIVIO STORICO DELL’ENEL, Frosinone 8. ARCHIVIO STORICO DELL’ENI, Pomezia, Roma

9. ARCHIVIO STORICO DEL SENATO, Roma

� CARTE FANFANI

10. CENTRE HISTORIQUE DES ARCHIVES NATIONALES, Parigi

11. GERALD R. FORD LIBRARY, Ann Arbor, Michigan 12. HISTORICAL ARCHIVES OF EUROPEAN COMMISSION, Bruxelles 13. HISTORICAL ARCHIVES OF EUROPEAN UNION, Fiesole, Firenze

14. LYNDON BAINES JOHNSON LIBRARY, Austin, Texas

15. NATIONAL ARCHIVES AND RECORD ADMINISTRATION, Washington D.

C. and College Park, Maryland

16. THE NATIONAL ARCHIVES, Londra

� FONDO FOREIGN AND COMMONWEALTH OFFICE

� FONDO FOREIGN OFFICE

II. INTERVISTE

1. Dott. Giuseppe Accorinti, ex vicepresidente di AGIP Petroli 2. Ing. Paolo Fornaciari, ex vicedirettore centrale e responsabile dell’attività

nucleare dell’ENEL

FONTI EDITE

I. RACCOLTE DOCUMENTARIE 1. Archivio Storico dell’ENI, La questione petrolifera italiana. Studi di Oreste

Jacobini tra primo e secondo dopoguerra, Milano, 2006

2. Discorso di Amintore Fanfani alla Camera dei Deputati, Comunicazione del Governo, Atti parlamentari, Legislatura III, Discussioni, Seduta del 9 luglio 1958, parte IV

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278

3. ENEL, 50 anni di industria elettrica italiana, Roma, 1997

4. Id., Relazione sul primo anno di attività e programmi dell’ENEL, Roma, 1964

5. Ente Nazionale Energia Elettrica, ENEL 1963-1977, Roma, 1978

6. Id., Provvedimenti legislativi di carattere generale riguardanti l’ENEL,

Roma, 1966

7. Fondazione Pietro Nenni (a cura di), Pietro Nenni, Aldo Moro: Carteggio 1960-1978, Scandicci (Firenze), 1998

8. Fondazione Ugo La Malfa, Annali dell’Istituto Ugo La Malfa, Roma, 1985-

2001

9. Hamilton K., Salmon P., The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, Documents on British Policy Overseas, Serie III, vol. IV, Oxon, 2006

10. Ministero degli Affari Esteri (Servizio Storico e Documentazione), Italia e

Medio Oriente (1967-1974), Roma, 1974

11. Id. (a cura del Servizio per la cooperazione tecnica con i Paesi in via di sviluppo), Quaderni della cooperazione con i paesi in via di sviluppo (repertorio dei programmi 1972-1975), Roma, 1976

12. Ministero del Bilancio, Problemi e prospettive dello sviluppo economico

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Indice dei nomi

ABDESSELAM, BELAID: 190, 192-194 ACCORINTI, GIUSEPPE: 23n, 65n, 110n,

161n, 166n, 272 ADAMS, SIR PHILIP: 155n AGLIETTI, BRUNO: 190 AGNEW, SPIRO: 240n ALBONETTI, ACHILLE: 59, 91n, 96n,

102n, 122, 123, 183n, 194n, 224n ALICATA, MARIO: 31 ALLARDICE, CORBIN: 56 AMALDI, EDOARDO: 13-15, 37, 38n, 43n,

46, 47, 58, 85-87, 91 ANDREOTTI, GIULIO: 33, 104, 113n, 148,

222, 223n ANGELINI, ARNALDO MARIA: 34n, 38n,

40n, 46, 47, 58, 72, 78-80, 82-84, 85, 86n, 87, 113n, 121n, 123n-125n, 157n, 199n, 209, 210n, 211, 212n, 215n, 224, 227n

ARAFAT, YASSER: 240n-241n ARDIGÒ, ACHILLE: 28 ARMAND, LOUIS: 50 ARNAUDI, CARLO: 84n ASCARI RACCAGNI, RENATO: 152n ATTOLICO, GIOVANNI: 190, 192 BAGLIO, GUIDO: 85n BALL, GEORGE: 68 BANDIERA, PASQUALE: 152n BATTAGLIA, ADOLFO: 152n BATTAGLIA, EDOARDO: 94 BATTISTINI, GIULIO: 87 BEN BELLA, AHMED: 68, 106 BERLINGUER, ENRICO: 146n BERLINGUER, GIOVANNI: 137 BERNABEI, GILBERTO: 139 BERNARDINI, GILBERTO: 13n, 14-15 BETTINI, EMILIO: 102n BIAGGI, FRANCANTONIO: 122n BIASINI, ODDO: 152n BISAGLIA, ANTONIO: 247n BO, GIORGIO: 58 BOGI, GIORGIO: 152n BOLDRINI, MARCELLO: 106, 109 BOLLA, GIUSEPPE: 13, 14n, 36, 39, 40 BOSCO, GIACINTO: 29n BOTTAI, BRUNO: 199n BOZZA, GINO: 47n

BRANDT, WILLY: 150n, 173n, 181, 182n BRIATICO, FRANCO: 273n BRIDGES, LORD: 166n BRUNET, JEAN-PIERRE: 178, 246n BRUNI, LUIGI: 68n BUCCIANTI, GIOVANNI: 106n BULGANIN, NIKOLAI: 46 BULLIO, PIETRO: 47n BURNER, JEAN: 250n BUSONI, JAURES: 44n CABOUAT, JEAN-PIERRE: 246n CAGLIOTI, VINCENZO: 58, 85n, 86n, 87 CALDERALE, GIOVANNI: 84, 85n, 87, 104 CALDIROLA, PIERO: 199n CALLAGHAN, L. JAMES: 245n, 250n CALOSI, CARLO: 90n CAMPANINI, MARIO: 55n, 85n, 114n CAMPBELL, ALAN: 206n CAMPBELL, COLIN: 46n CAMPBELL, GORDON: 186n CAMPILLI, PIETRO: 37 CAPON, LAURA: 13n CARLI, GUIDO: 35n, 148 CARMAGNOLA, LUIGI: 58n CARRELLI, ANTONIO: 91 CARTER, JIMMY: 267, 268 CARTON: 149n CASSUTTO, ALDO: 81n CASTELLI, GIANFRANCO: 44n, 85n, 199n CECCHERINI, GUIDO: 21 CEFIS, EUGENIO: 85n, 106, 114, 123n, 271,

272n CERABONA, FRANCESCO: 45n CESONI, GIULIO: 102n CHEYSSON, CLAUDE: 201n, 237n, 248n,

249n CHURCHILL, WISTON: 15n CITTERIO, ERNESTO: 84 CLEMENTEL, EZIO: 85n, 105, 115n, 215n,

219 COLITTI, MARCELLO: 199n, 200n COLOMBO, EMILIO: 34n, 57-58, 80-81,

183n, 222, 223n, 232n COLONNETTI, GUSTAVO: 14-16, 38 COMETTO, MARIO: 597n CONTI, ETTORE: 5n

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311

CONVERSI, MARCELLO: 13n CORBINO, ORSO MARIO: 13 CORTESE, GUIDO: 55n, 61n COTTAFAVI, LUIGI: 199n CROMER, LORD ROWLEY: 155 CURLI, BARBARA: 49 D’ALEMA, GIUSEPPE: 137 D’ANIELLO, ENNIO: 152n D’ERMO, VITTORIO: 257n DALLA VOLTA, FEDERICO: 199n DE BIASI, VITTORIO: 13n, 38n, 39 DE BROGLIE, LOUIS: 16 DE GASPERI, ALCIDE: 37, 107 DE GAULLE, CHARLES: 81 DE GUIRINGAUD, LOUIS: 170 DE KERGORLAY, M. ROLAND: 240n DE MARTINO, FRANCESCO: 34n DE MITA, LUIGI CIRIACO: 155n, 219n,

220n, 232, 270 DE MONTBRIAL, THIERRY: 238 DE PEVERELLI, PIERO: 55n DEL BO, RINALDO: 67n DEL PENNINO, ANTONIO: 152n DI CAGNO, VITO ANTONIO: 72n DI FALCO, FELICE: 81n, 82n DI MENZA, RAFFAELE: 97 DONALDSON, WILLIAM H.: 186 DONAT-CATTIN, CARLO: 216, 222, 223n,

227n, 251-255, 256n, 257, 265, 266 DONINI, AMBROGIO: 46n DOUGLAS-HOME, SIR ALEC: 153n, 172,

173n, 175, 182n, 186, 203, 204 DUCCI, ROBERTO: 47, 150n, 151n, 179-

181, 199n, 201n DULLES, FOSTER: 50n, 66 DURIEUX, M. JEAN: 240n EGERTON, STEPHEN: 186n EISENHOWER, DWIGHT DAVID: 42-43,

50n, 66 ETZEL, FRANZ: 50 FALESCHINI, LUIGI: 68n FANFANI, AMINTORE: 23, 24n, 26n, 27,

29n, 30, 34n, 65n, 66n, 68n, 90n, 96n, 100n, 101n, 183n

FATTAL, ANTOINE: 196n FEISAL, IBN AZIZ: 197 FERMI, ENRICO: 12, 13, 272 FERRARI-AGGRADI, MARIO: 29n, 34n FERRERIO, PETRO: 21 FERRETTI, BRUNO: 13n, 14, 38n, 40n, 58,

87

FERRI, MAURO: 115n, 137, 210 FOCACCIA, BASILIO: 46, 58 FOGAGNOLO, GIORGIO: 138, 139n FOLCHI, ALBERTO: 103n, 104n FORD, GERALD RUDOLPH: 240, 242n,

243, 246, 250n, 274n FORMISANO: 218n FORNACIARI, PAOLO: 42n, 45n, 46n FRANCO, GIANFRANCO: 105, 215n FREATO, SERENO: 199n FRESCHE, MICHEL: 177 FUNKE, MATTHIAS G. W.: 99n GABRIELLI, GIUSEPPE: 40n GAJA, ROBERTO: 150n, 151n GAMUCCI, PIER GIOVANNI: 199n GANDOLFI, ENRICO: 114n GAVA, SILVIO: 61n GHEDDAFI, MUAMMAR: 150n GIACOVAZZO, MARIO: 199n GIOLITTI, ANTONIO: 221, 232n GIORDANI, FRANCESCO: 37-40, 42, 43n,

44, 46, 50 GIORGI, GUIDO: 47, 58 GIOVANDONE, STEFANO: 199n GIOVANNINI, ALBERTO: 32 GIROTTI, RAFFAELE: 48n, 107, 113n,

114n, 117, 118, 131n, 139, 163, 168-169, 198, 199n, 219n, 220n, 222-225, 227n, 233-234, 236n, 247n, 253

GISCARD D’ESTAING, VALÉRY: 221, 236-238, 241, 242n, 243, 245, 249, 250

GIUSTI DEL GIARDINO, JUSTO: 99 GRATTAN, PATRICK H: 166n GREENSPAN, ALAN: 261n GRONCHI, GIOVANNI: 64-65 GUAZZARONI, CESIDIO: 199n GULLOTTI, ANTONINO PIETRO: 219n,

220n GUNNELLA, ARISTIDE: 152n HALL, JOHN A.: 44 HAMAD, ISSA AL: 149n HANCOCK, SIR PATRICK: 191n HARTSHORN, JACK: 91 HEATH, EDWARD: 149, 173n HIBBERT, REGINALD: 186n HIRSCH, ROBERT: 134 HORMATS, ROBERT D.: 134 HUBBERT, KING MARION: 45n, 46n HUSSEIN, SADDAM: 267

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312

IPPOLITO, FELICE: 14, 38n, 39-40, 46-47, 51n, 55n, 56, 58, 59, 79-80, 82-87, 88n, 89, 91, 95-96, 273

JALLUD, ABDUL SALAM: 198 JOBERT, MICHEL: 143, 170, 178, 184, 185,

189, 201, 202n, 205n, 239 JOZZELLI, ATTILIO: 139n KENNEDY, JOHN FITZGERALD: 91 KENNEDY, RICHARD T.: 134 KHENE, ABDERRAHMANE: 201 KISSINGER, HENRY A.: 129n, 134, 135n,

139, 144n, 151n, 155n, 170, 172, 173n, 174, 176, 178, 186, 189, 202-203, 206, 235n, 237, 239, 240n, 241n, 243-246, 248

KRUSCEV, NIKITA: 46 KURCHATOV, IGOR: 46 LA MALFA, GIORGIO: 152n LA MALFA, UGO: 25, 28, 29n, 30n, 31n,

32-33, 52, 53n, 54, 58n, 81n, 82n, 84, 148n, 199n, 231, 232n, 256

LABOUAT: 246n LAHERRÈRE, JAEN: 46n LAMB, MR A. T.: 107n LAMI STARNUTI, EDGARDO: 78n, 83 LANDOLFI, PASQUALE: 236n LANDRISCINA, GIOVANNI: 215n LEACH, SUE: 46n LEARDINI, LEO: 85n LEGAT, JEAN-PHILIPPE: 189n LEONE, GIOVANNI: 156n, 190 LEOPARDI, ORESTE: 199n LEVI, RICCARDO: 87 LEVY, WALTER J.: 135 LO SURDO, ANTONINO: 38n LOMBARDI, CARLO: 260 LOMBARDI, RICCARDO: 21, 25, 29n, 30n,

31, 34n, 35n, 52, 53n, 54, 84 LONGO, LUIGI: 21 LOPEZ CELLY, ARRIGO: 199n LUC: 202n LUCET, JEAN LOUIS: 155n LUCIANI, GIACOMO: 132n MACMILLAN, HAROLD: 81 MAGINI, MANLIO: 23n MAJORANA, ETTORE: 13 MALAGODI, GIOVANNI FRANCESCO:

32, 34n, 66n, 137, 183n MALFATTI, FRANCO MARIA: 113n MAMMÌ, OSCAR: 152n MANCINI, ANTONIO: 199n MANZINI, RAIMONDO: 250n

MARCHESE, VITTORIO: 58, 87 MARINANE, FRANCO: 87 MARSHALL, GEORGE: 19n MARSHALL, SIR ROBERT: 135n MARTINO, EDOARDO: 102n MARTINOLI, GINO: 219 MASCHIELLA, LODOVICO: 137 MASSOUD, MUHAMMAD IBRAHIM: 145 MATTEI, ENRICO: 10, 11, 23n, 25, 45, 46n,

52n, 59-68, 106-111, 118, 129, 137, 231, 235, 257, 271, 272

MATTEINI, CARLO: 46n MATTEOTTI, MATTEO: 199n MAUGERI, LEONARDO: 63, 158n MAZZANTI, GIORGIO: 165, 227n MEDI, ENRICO: 38n MEDICI, GIUSEPPE: 84, 87, 103, 140n MEYER, KLAUS: 185n, 201n, 205n, 237n,

240, 248n MICARA, PIETRO: 120 MICONI, GASTONE: 199n MIKI, TAKEO: 261n MILES, MR OLIVER: 107n MITAROTONDA, SERGIO: 199n MITTEMPERGHER, MARIO: 88 MONTAGNANI, PIETRO: 45n MORANDI, LUIGI: 13n MORANDI, RODOLFO: 13n MORETTI, DIEGO: 199n MORO, ALDO: 26-27, 28n, 29n, 82, 84,

100n, 101, 108, 132n, 133n, 135, 143n, 147n, 153, 156, 160, 167, 170-172, 179, 182-184, 190-196, 198n, 199-200, 201n, 204n, 206n, 223, 240n, 241, 246-247, 250n, 261n, 263, 272, 274n

MOROKOV: 206n MOSSADEQ, MOHAMMED: 62, 63n NASCHI, GIOVANNI: 85n NASSER, GAMAL ABD EL: 118, 144 NEGRI, ALCEO: 45n NENNI, PIETRO: 27n, 29n NIXON, RICHARD: 133, 151n, 176-177,

181-182, 184, 199, 202, 233n, 240 NOËL, EMILE: 177 NORGAARD, IVAR: 143n NOUSCHI, ANDRE: 127n ODEEN, PHILIP: 139-140 ORTOLI, FRANCOIS-XAVIER: 173, 174,

185n, 201n, 207, 228, 237n, 239, 240n, 248n

ORTONA, EGIDIO: 43n, 63, 64n, 246n

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313

PAGANO, GINO: 222n PALLISER, SIR MICHAEL: 185n, 187n PALUMBO, SILVANO: 199n PANCINI, ETTORE: 13n PANETTI, MODESTO: 38n, 40n PARRA, FRANCISCO: 9n, 67n PASETTI, GUIDO: 235n PASTORE, OTTAVIO: 45n PEDINI, MARIO: 119, 156, 199n PELLA, GIUSEPPE: 65n, 67n PENROSE, EDITH T: 132n PERRIN, FRANCIS: 47 PESENTI, ANTONIO: 45n PETRETTI, ARNALDO: 9 PETRIGNANI, RINALDO: 199n PICCIONI, ORESTE: 13n PIERANTONI, FERRANTE: 104 PIRANI, GIORGIO: 121 POHER, ALAIN: 236 POLVANI, GIOVANNI: 13 POMPIDOU, GEORGES: 123, 149, 202n,

236, 244 PONTECORVO, BRUNO: 13 PREDA, GIANNA: 33n PUPPI, FRANCO: 199n QUARONI, PIETRO: 80 QUILICO, ADOLFO: 87 RABI, ISAAC ISIDOR: 16 RAFFAELLI, LEONELLO: 137 RAMSBOTHAM, SIR PETER: 206n RASETTI, FRANCO: 13 RAY, DIXIE LEE: 186 REALE, ORONZO: 152n REZA PALHAVI, MOHAMMAD: 65, 221 RISTAGNO, UGO: 199n RODA, GIUSEPPE: 45n ROGERS, WILLIAM P.: 133, 134n ROOSEVELT, FRANKLIN DELANO: 15n ROSSI, BRUNO: 12, 272 ROTHSCHILD, NATHANIEL M. V.: 135n RUFFOLO, GIORGIO: 68n, 158 RUMOR, MARIANO: 148, 154n, 155n,

177n, 184, 190, 228, 231, 241, 243n, 245n, 263n

SADAT, ANWAR AL: 144 SALVETTI, CARLO: 13, 14n, 40n, 43n, 58,

85n, 87, 105, 113n, 122n, 123n SALVINI, GIORGIO: 13, 14n, 100 SANTORO, SERGIO: 22n SAQQAF, NOURAH AL: 156n, 197

SARACENO, PASQUALE: 22n, 28, 298n, 34n

SARAGAT, GIUSEPPE: 83, 86, 115-116, 118

SCALFARI, EUGENIO: 83 SCHEEL, WALTER; 184, 185n, 207, 238n SCHIAVONI, MARIO: 199n SCHIRONE, VITO: 45n SCHLESINGER, JAMES: 178 SCHMIDT, HELMUT: 250n SCHUMAN, ROBERT: 41n, 123 SCOTT, MR K. B. A.: 107n SCOWCROFT, BRENT: 264n SEGNI, ANTONIO: 37, 45n SERENI, EMILIO: 45n SFLINGIOTTI, GIUSEPPE MARIA: 199n SHULTZ, GEORGE P.: 186 SILVA, GIOVANNI: 21 SILVESTRI, MARIO: 13, 14n, 37, 40n, 44n,

85n SILVESTRI-AMARI, ALDO: 38n SIMMONS, MATTHEW R.: 46n SIMON, WILLIAM: 178, 186 SIMONET, HENRI FRANCOIS: 155, 228 SMITH, TOMASO: 45n SOAMES, CHRISTOPHER: 237n, 248n,

249n SOLH, TAKIEDDIN: 151n SONNENFELDT, HELMUT: 250n SORO, GUIDO: 123 SPAAK, PAUL HENRY: 149 SPAGNOLLI, GIOVANNI: 83-84 SPAVENTA, LUIGI: 199n STEVENS, MR ROGER: 65n STOESSEL, WALTER J.: 135 STRAUSS, LEWIS: 50n SYKES, RICHARD A: 189n, 202n, 203n,

205n TAKA, HADIL: 241n TANASSI, MARIO: 199 TAVIANI, EMILIO PAOLO: 137 TEDESCHI, MARIO: 33 THEODOLI, GIOVANNI: 256-257 TIBALDI, ETTORE: 45n TITO, JOSIP BROZ: 100 TOGNI, GIUSEPPE: 84 TOMKINS, SIR EDWARD: 149n, 154n, 176,

178n TREMELLONI, ROBERTO: 101 TREZISE, PHILIP H.: 129n TRUPIANO, FRANCESCO: 199n

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314

VALERIO, GIORGIO: 13n, 44n VAN DER STOEL, MAX: 151n VAN ELSLANDE, RENAAT: 177 VAN LENNEP, EMILE: 199n VANNI D’ARCHIRAFI, RANIERO: 93 VANONI, EZIO: 22, 60, 61n VENTURINI, ANTONIO: 91n VILLABRUNA, BRUNO: 52, 53n, 54 VISENTINI, BRUNO: 152n VOLPE, JOHN ANTHONY: 153 WALDHEIM, KURT: 185, 205n WALSH, JOHN D.: 134 WEIR, MICHAEL S: 206n WELLENSTEIN, EDMUND P.: 249n WILSON, LORD JAMES HAROLD: 172n

261n WRIGHT, SIR PAUL: 107n YAMANI, ZAKI: 190-194, 241n