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La politica del Partito d’Azione in un giornale clandestino di Firenze (Continuazione dal n. 14 pp. 3-19 e fine) L a crisi di aprile a B ari Il n. 7 comparve il 30 aprile 1944. Recava questa testata: È co- stituito il Governo italiano di guerra. Il C.L.N. assicura agli italiani che la guerra sarà guerra per la democrazia. Il foglio si apriva con un mio articolo di chiarimento e di com- mento, intitolato: La crisi di aprile e il C.L.N. !Non si dimentichi che gli avvenimenti dell’aprile a Bari, contrassegnati dal gesto del Partito comunista di aderire al terzo governo Badoglio, che ebbe per conse- guenza l’adesione degli altri partiti antifascisti, e ciò dopo la lunga polemica fra C.L.N., anche nell’ Italia liberata, e governo del re, recarono grande disorientamento nell’ Italia occupata. La reazione del Partito d’Azione sia nell’ Italia liberata che nell’ Italia occupata è nota, ed è documentata sia dal comunicato del Comitato Centrale del Partito, sia dagli O. d. G. votati dall’ Esecutivo per l’Alta Italia c dall’ Esecutivo toscano. cc La crisi di aprile — così cominciava l’articolo — che ha portato alla costituzione nell’ Italia meridionale di un governo di guerra, è stata causata dalla convergente pressione sul problema italiano da parte degli angloamericani e dei russi. La mossa del Partito comunista in Italia, di rompere ad un tratto il C.L.N., i patti che lo legavano alla politica italiana degli altri partiti del fronte antifascista, gli impe- gni di Bari, non è stato che un elemento, uno degli strumenti di questa pressione estera ». Isolo questa dichiarazione, perchè essa, a mio sapere, fu la sola che fu allora espressa con compiuta ed esplicita chiarezza sulla dipen- denza della politica del Partito comunista in Italia dalla politica inter- nazionale dei Sovieti. Il gesto del Partito comunista, secondo me, ave- va un significato ben chiaro anche rispetto al cosiddetto ccpatto delle sinistre », che fino allora aveva legato nel C.L.N. il Partito d’Azione, il Partito socialista ed il Partito comunista, e doveva indurci a rivedere la nostra politica, come espressi specialmente a Valiani ed agli amici dell’ Italia del Nord, che continuavano a sentire come ancor valido quel piano politico. Sentii allora profondamente quanto il gesto di Stalin e di Togliatti

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La politica del Partito d’Azione in un giornale clandestino di Firenze

(Continuazione dal n. 14 pp. 3-19 e fine)

L a crisi di aprile a B ari

Il n. 7 comparve il 30 aprile 1944. Recava questa testata: È co­stituito il Governo italiano di guerra. Il C.L.N. assicura agli italiani che la guerra sarà guerra per la democrazia.

Il foglio si apriva con un mio articolo di chiarimento e di com­mento, intitolato: La crisi di aprile e il C.L.N. !Non si dimentichi che gli avvenimenti dell’aprile a Bari, contrassegnati dal gesto del Partito comunista di aderire al terzo governo Badoglio, che ebbe per conse­guenza l’adesione degli altri partiti antifascisti, e ciò dopo la lunga polemica fra C.L.N., anche nell’ Italia liberata, e governo del re, recarono grande disorientamento nell’ Italia occupata. La reazione del Partito d’Azione sia nell’ Italia liberata che nell’ Italia occupata è nota, ed è documentata sia dal comunicato del Comitato Centrale del Partito, sia dagli O. d. G. votati dall’ Esecutivo per l ’Alta Italia c dall’ Esecutivo toscano.

cc La crisi di aprile — così cominciava l ’articolo — che ha portato alla costituzione nell’ Italia meridionale di un governo di guerra, è stata causata dalla convergente pressione sul problema italiano da parte degli angloamericani e dei russi. La mossa del Partito comunista in Italia, di rompere ad un tratto il C.L.N., i patti che lo legavano alla politica italiana degli altri partiti del fronte antifascista, gli impe­gni di Bari, non è stato che un elemento, uno degli strumenti di questa pressione estera ».

Isolo questa dichiarazione, perchè essa, a mio sapere, fu la sola che fu allora espressa con compiuta ed esplicita chiarezza sulla dipen­denza della politica del Partito comunista in Italia dalla politica inter­nazionale dei Sovieti. Il gesto del Partito comunista, secondo me, ave­va un significato ben chiaro anche rispetto al cosiddetto cc patto delle sinistre », che fino allora aveva legato nel C.L.N. il Partito d’Azione, il Partito socialista ed il Partito comunista, e doveva indurci a rivedere la nostra politica, come espressi specialmente a Valiani ed agli amici dell’ Italia del Nord, che continuavano a sentire come ancor valido quel piano politico.

Sentii allora profondamente quanto il gesto di Stalin e di Togliatti

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I.A POLITICA DEL P. ILA. IN UN GIORNALE CLANDESTINO 17

spostasse le basi della rivoluzione italiana in corso, in quanto lo schie­ramento su due fronti internazionali dei partiti antifascisti portava con sè, come inesorabile conseguenza, F indebolimento della capacità autonoma delle forze politiche antifasciste italiane di risolvere la si­tuazione del Paese con una politica unitaria di fronte agli Alleati, ed apriva quella situazione centrifuga nella quale, come poi si vide, il rafforzamento ottenuto dai centri reazionari facenti capo a Badoglio e alla monarchia, quello delle forze politiche moderate, e d’altra parte Fazione della rivoluzione democratica (impersonata specialmente dal P. d’A.), e Fazione dell’ internazionale comunista, avrebbero deter­minato un orientamento inevitabile o verso un compromesso perico­loso per le necessarie riforme sostanziali della società italiana, o una soluzione rivoluzionaria dominata da interventi esteri. Credetti allora, e credo anche adesso, che il vero punto di crisi della soluzione rivolu­zionaria della lotta di liberazione fu determinato dall’accordo Togliatti- Badoglio. Dopo la crisi di aprile, non restava pili che un partito, il Partito comunista, che fosse in grado di sfruttare, con l ’appoggio della Russia, la propria permanenza al governo, e nello stesso tempo di conservare la riserva di rivoluzione, specialmente nel Nord Italia. Que­sta svolta poneva nella massima difficoltà proprio il Partito d’Azione, in quanto diventava chiaro che persistere in un indirizzo rivoluzionario, dopo ciò, significava soltanto favorire la soluzione comunista, già po­tentemente aiutata dal partito isocialista, il quale era imito ai comu­nisti da un patto di unità d’azione la cui forza era superiore certamente a quella del patto politico delle sinistre nel C.L.N., e si palesò del resto nel procedere della situazione italiana.

È noto che questa profonda modificazione della realtà politica italiana non si rivelò con la stessa chiarezza a tutti gli aderenti al Partito d’Azione, e nemmeno a molti dei suoi esponenti : come prova­rono le reazioni dell’Italia settentrionale, e più specialmente poi il Con­vegno di Cosenza, che avvenne di lì a pochi mesi, dopo la liberazione di Roma, e segnò la crisi inarrestabile del Partilo. Tanto più, perciò, potrà interessare la lettura di questo articolo che sotto la spinta degli avvenimenti prendeva una posizione così esplicita, e, se si pensa al momento ed alla lotta in corso, così coraggiosa (e tale la definì, ap­punto, Valiani) nei riguardi di un partito che condivideva col Partito d’Azione la maggiore efficacia combattente e rivoluzionaria. La rivolu­zione democratica fu battuta nell’aprile 1944, a Bari: e si aperse la strada del compromesso politico gravato dalla situazione internazio­nale. Da quel momento, non c’era altro da fare, secondo me, che carat­terizzare la lotta in corso col massimo numero di conquiste democra­tiche e di modificazioni di fatto, usufruendo della possibilità che dava il C.L.N. anche nei suoi limiti, e puntare sulla riforma per mezzo degli istituti rappresentativi.

Churchill aveva dichiarato, nel suo discorso del 22 febbraio, che

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avrebbe sostenuto il governo Badoglio e non i partiti antifascisti, poi­ché Badoglio gli dava maggiori garanzie di stabilità soprattutto dal punto di vista militare; la soluzione dei problemi politici si sarebbe dovuta rinviare alla liberazione di Roma.

Gli americani allora lasciavano mano libera alla politica inglese in Italia, era nolo. « In vista delle conseguenze politiche che questa decisione avrebbe avuto, e cioè di spostare verso il governo Badoglio la forza politica effettiva e valida anche per la preparazione del futuro italiano, Stalin si è affrettato, per la salvaguardia degli interessi russi nel Mediterraneo, e dato anche il precedente dello scarso successo dei comunisti nel Gomitato di Liberazione francese, a riconoscere diplo­maticamente il governo Badoglio, e il 1° aprile ha mandato Ercoli (Togliatti) in Italia, col compito di provocare una rapida capitola­zione incondizionata dei partiti antifascisti di fronte alla monarchia e al governo del maresciallo. Il riconoscimento diplomatico e l ’inizia­tiva della rottura del C.L.N. da parte del Partito comunista, che sa­rebbe così divenuto l'arbitro e mediatore necessario nella soluzione della crisi politica, avrebbero assiemato al Governo russo la parte di controllo che desiderava sulla politica italiana. D’altronde, tale gesto avrebbe prodotto anche la fine dell’antitesi fra governo Badoglio e C.L.N., reso possibile un governo su per giù rappresentativo, e perciò avrebbe incontrato anche l ’approvazione degli alleati».

Seguiva una interpretazione dell’atteggiamento del Partito d’Azio- ne di fronte alla crisi repentina: s’intende che, malgrado l ’ovvio tono apodittico, si trattava di un’ interpretazione del tutto induttiva, scar­sissime ed anche conraddittorie essendo le notizie che pervenivano dal sud, ed anche dallo stesso nostro centro politico di Roma.

Rilevavo che il Partito d’Azione aveva assunto un atteggiamento di intransigenza per la conferma dei deliberati del Congresso di Bari, « per salvare, di fronte alla reazione al potere o in attesa, la possibilità della rivoluzione italiana, nell’ interesse del Paese e degli stessi al­leati ».

« Si deve a questo atteggiamento — continuavo — e alla lunga bat­taglia sostenuta per venti giorni dal Partito d’Azione qui e nellTtalia liberata (come è risultato persino dai giornali fascisti e dalla oscuran- listica Radio Londra) se al posto della capitolazione proposta con sor­presa strategica e minatoria il 1° aprile i parliti hanno potuto reagire, resistere, ed ottenere, a vantaggio del Paese, quanto è stato ottenuto : T impegno del re fuggiasco di ritirarsi a vita privata dopo la libera­zione di Roma, la luogotenenza, una intera ricomposizione del gabi­netto di guerra invece della concessione di alcuni ministeri secondari, e infine il controllo dei partiti antifascisti esteso in xdtimo fino ai dica­steri militari ».

Ottenute queste garanzie, che nella situazione di fatto erano il massimo che si potesse avere, il Partito d’Azione aveva deciso di par-

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tecipare al nuovo governo direlto (lai Badoglio: tuttavia aveva inteso di formulare e di far permanere rispetto a tale governo una sostanziale riserva di carattere politico, rifiutando di farsi rappresentare nel co­mitato dei ministri senza portafoglio, che avevano il controllo della politica generale, e ciò « per significare che collaborazione al governo di guerra non è collaborazione politica col governo Badoglio ». Questa era pura induzione: ma mi fu poi confermata nella sua effettiva rispon­denza dagli amici Omodeo e Tarchiani, clic avevano partecipato atti­vamente alla crisi.

Che cosa era e doveva essere per noi tale governo? « Governo di guerra », accettato per la « necessità immediata di un governo a larga base rappresentativa capace di assicurare il massimo sforzo bel­lico del Paese a fianco degli alleati». Ma, riconosciuto questo, aggiun­gevo che la presenza dei partiti antifascisti doveva assicurare che «via via che si procederà alla liberazione di altre parti d’ Italia, tale governo non potrà nè dovrà rimanere statico, ma dovrà identificarsi sempre più integralmente con le forze politiche portatrici di un vero rinnovamento, fino alla Costituente che ci darà statuto e governo ». Se l ’oggettiva situazione politica nell’ Italia meridionale non aveva consentito altra soluzione, se ormai doveva darsi per scontata una po­litica del partito comunista fuori delC.L.N., o quanto meno con le più ampie riserve di indipendenza, non per ciò non restavano vie politiche per assicurare o quanto meno per promuovere quel rinnovamento ita­liano che era la ragione della nostra lotta.

Ma quale significato aveva la costituzione del governo Badoglio - partiti antifascisti nei riguardi del C.L.N.? Questo, al suo inizio, e per tutti gli otto mesi nei quali aveva guidato la riscossa nell’ Italia occupata, ed aveva agito nell’ Italia liberata, si era posto come l ’or­gano autonomo della rivoluzione italiana, come « effettivo governo di diritto del Paese ». La defezione comunista evidentemente ne pro­vocava la crisi, almeno in quella funzione. Ma restava la necessità che le forze politiche rinnovatrici che avevano aderito al governo Badoglio trovassero un sostegno per la continuazione e lo sviluppo della loro azione, di fronte agli istituti ed ai complessi reazionari della vecchia Italia, ormai legittimati e reintrodotti alla pari con le forze rinno­vatrici nella lotta politica.

Che cosa doveva essere dunque, nella nuova situazione, il C.L.N.? « A fianco del governo di guerra, deve rimanere con tutti i suoi poteri, eome un parlamento politico permanente e insostituibile, il Comitato di Liberazione Nazionale. Così nell’ Italia occupata, come nell’ Italia liberata». Un parlamento che derivava la sua forza dal fatto di rap­presentare tutti i partiti politici italiani, e per di più stretti in un patto che li legava fino alla Costituente. Un .parlamento che poteva delegare suoi membri anche in un governo Badoglio, ma poteva per ragione politica ritirare la sua collaborazione, cioè la sua fiducia

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(anche se data per scopi limitati, ad esempio la guerra dall’ Italia meridionale); ma poteva anche a sua volta porre in crisi la collabo- razione accettata per forza di cose, per la pressione internazionale e la mossa comunista. Si trattava, insomma, di mantenere una situazione aperta il più possibile, per un recupero : che infatti su queste basi potè avvenire a Roma liberata, col compromesso del giugno, che allon­tanò definitivamente il Badoglio, e rese il governo espressione del Co­mitato di Liberazione Nazionale, accantonando la monarchia e innan­zitutto togliendole la prerogativa del giuramento di fedeltà e dell’inve­stitura esclusiva al capo del governo (10).

Ho stimalo utile illustrare in modo particolarmente ampio questo momento, perchè mi sembra che tuttora sia poco chiaro, nelle menti degli storici e dei politici, questo vero e proprio punto di frattura della storia recente italiana. Ho detto che dalla crisi scaturiva la necessità di una revisione della linea politica dei partiti democratici e rinnovatori, e principalmente di quella del Partito di’Azione. A questo proposito, pubblicai in seguito al precedente un altro articolo, che ne era in qual­che modo il completamento, col titolo: Il Partito (l’Azione nella lotta per la democrazia italiana.

« Noi consideriamo quello che è successo nell’ Italia libera come una prima sconfitta della democrazia italiana, anche se, naturalmente, una sconfitta non definitiva ». Dopo le parole esplicite, e già così dure, se si pensa che erano scritte in periodo clandestino, su un foglio clandestino, verso un partito che pur lottava al nostro fianco nella guerra di liberazione e sedeva con gli altri, partiti e con noi nel Comi­tato di Liberazione, non si insisteva sulla grave responsabilità del par­tito comunista nella crisi di aprile, ma si additava soprattutto il grave fatto della reintroduzione nella vita politica nazionale di fattori estre­mamente pericolosi e certo non giovevoli, nè dal punto di vista dello sviluppo della situazione interna, nè da quello dei futuri rapporti inter­nazionali dell’ Italia.

II Times del 17 aprile aveva dichiarato che Badoglio aveva sa­puto guadagnarsi la fiducia degli Alleati. L’articolo sottolineava l ’a­spetto negativo per ii Paese di questo riconoscimento: Badoglio ed il re rappresentavano la continuità col regime fascista, la correspon­sabilità nella guerra a fianco della Germania nazista, la corresponsa­bilità nella disfatta, e infine la massima garanzia dell’oneroso armisti­zio. La loro legittimazione avrebbe ridotto di significato e di peso, verso gli Alleati, la resistenza italiana, le rivendicazioni e i diritti che

(I0) E proprio dalla persuasione di questa mutata funzione dei C.L.N. provenne l’opera che iniziai subito dopo la liberazione di Firenze, per la costituzione di una Consulta Nazionale, richiesta dal C.T.L.N. fin dal settembre, reclamata dal Governo Bonoini nel novembre, sulla base di un documento formulato per il C.T. L.N. da Attilio Piccioni e da me, accettata in principio anche dal C. Centrale di T..N. di Roma, e finalmente realizzata col Governo Parri, superando le resistenze opposte specialmente dal Bonomi e dalle forze politiche moderate.

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la perenne opposizione al fascismo e la guerra di liberazione avrebbero consentito di porre, sia su un piano morale che politico, agli Alleati. Questo giudizio, come è purtroppo noto, si è rivelato vero: la politica angloamericana, ma specialmente inglese, in Italia, ha largamente usufruito delPequivoco insito lino al giugno 1944 nel governo Badoglio, e quindi anche in parte nei governi Bonomi, per contrariare al possi­bile e per svalutare al possibile il valore della resistenza italiana, che si traduceva per forza in uno spostamento dalle dure linee dell armi­stizio. La monarchia, Badoglio, i complessi reazionari dei quali si era accettata le cooperazione, in definitiva danneggiavano quell’ Italia che si voleva punire, e perciò furono aiutati e sostenuti. Si può ben dire quindi che monarchia, Badoglio, e centri reazionari e conservatori furono, ancora una volta, contro la patria, per la loro propria conser­vazione. Si schierarono con gli Alleati contro una politica nazionale.

Ciò era anche dimostrato dalla premura con la quale Badoglio si era affrettato — con un accorgimento che aveva lo stile della vecchia politica piemontese — a giocare la carta russa contro gli altri alleati, con un opportunismo miope, in quanto apriva ai comunisti il controllo interno del governo, e con questo aggiungeva la possibilità di una pressione estera alle altre già in atto. 'Nel deplorare questa situazione dovuta alle manovre conservatrici, e della quale si vedeva chiaro tutto il pericolo per il futuro, si poneva però insieme il problema di ciò che i! Partito d’Azione avrebbe dovuto fare, dopo la fine dell’alternativa fra Badoglio e C.L.N. provocata dalla rottura dei comunisti.

Ricordata ancora l ’azione svolta dal Partito nell’Italia meridionale, si confermava che ciò che era avvenuto veniva accettato provviso­riamente, ma considerando che non costituisse affatto una soluzione della crisi apertasi il 25 luglio. Riaffermata quindi con la massima energia la collaborazione nella guerra liberatrice, si aggiungeva: «Ma sappiamo anche che il centro direttivo del Partito è nell’ Italia occu­pata, non nell’ Italia lib era le che, liberata Roma, il gabinetto di guerra dovrà subire una profonda trasformazione, e tutti i parliti po­tranno riesaminare la loro posizione ». Il Partito quindi veniva impe­gnato in un’azione di sostanziale modifica della situazione prodotta dal gesto comunista e dalle manovre alleate e badogliane, azione che avrebbe dovuto aver luogo non appena liberata Roma, e perciò reso possibile la decisione dei partiti che avevano la loro direzione nell’ Ita­lia occupata, anzi nella capitale. E qui a nessuno sfuggirà che si toccava un elemento nuovo della situazione: nessuno poteva, a tale data, sapere quando Roma sarebbe stata liberata; anzi era viva in molti di noi la preoccupazione (che viene riflessa anche nel carteggio pubblicato dal- P Editore Laterza) che la costituzione del nuovo Gabinetto Badoglio significasse che gli Alleati cercavano una condizione di relativa sta­bilità, di conclusione politica di compromesso, da serbare appunto in quanto la liberazione d’ Italia — settore ormai secondario del fronte

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mondiale — subiva un rinvio. Come, infalli, pensare a tanta fatica da parte delle diplomazie alleate per costringere i partiti antifascisti ed il C.L.N. alla collaborazione con la monarchia e col Badoglio, per vederla eventualmente compromessa ben presto, con la liberazione di Roma e 1’ intervento delle forze politiche la cui voce era stata ben sentita sia a Bari, sia nella crisi di aprile? (non si dimentichi che i partiLi del Gomitato centrale di L. IN. di Roma avevano inviato dele­gati a Bari ed a Brindisi, per dichiarare il loro pensiero, o di opposi­zione, o di riserva). Comunque, sia che fosse o non fosse rinviata la liberazione di Roma e del resto d’ Italia, j’elemento nuovo per i par­titi del C.L.N. rimaneva: e cioè che, mentre fino allora tutti i partiti erano diretti da Roma e per delega da Milano, ora un partito, il comu­nista, era diretto dal sud, come dimostrava 1’ iniziativa presa diretta- mente dal Togliatti venuto dalla Russia e disponente delFazione del suo partito del tutto al di fuori della sua direzione in Italia occupata, e soprattutto al di fuori dei precedenti accordi di C.L.N. e con altri partiti. Questo fatto spostava nettamente le basi del C.L.N. in Italia occupata, e di ciò quindi si doveva tenere il massimo conto Q1).

L ’ uccisione di Gentile

Un articolo, che seguiva a questi due, fu e resta particolarmente degno di nota, anche per la risonanza che esso ebbe a Firenze. Esso fu scritto da Tristano Codignola, e riguardò L’uccisione di Gentile, avve­nuta il 15 aprile. Questo articolo fu l ’espressione di quel che noi sen­timmo alla notizia dell’uccisione di un uomo, del quale ci erano note le colpe e gli errori, ma anche i meriti che in altri tempi esso aveva avuto per la cultura nazionale. Fra l ’altro, il sentimento penoso per la sua tragica fine era provocato dal fatto che egli non usava, nella sua dimora fiorentina, nessuna precauzione : frequentemente anche noi che scorrevamo la città in bicicletta, spostandoci per gli appuntamenti e le occorrenze dell’organizzazione clandestina, lo avevamo incontrato per strada, sempre enorme, più curvo, a piedi, con le sue carte in mano, gli occhi miopi protesi com’era sua abitudine nel camminare. In quella tragedia, non si sa fino a qual punto ignaro della delittuosa attività che i fascisti svolgevano intorno a lui, pubblicava articoli quasi assurdi nel periodico clerico-fascista Italia e Civiltà, che si stampava a Firenze (uni­ca rivista, credo, dovuta ai fascisti repubblichini, che uscisse in Italia), invocanti un’ impossibile pacificazione e insieme minacciosi di spietata * •

(ll) La simazione creata nel modo che si è narralo fu in parie recuperata a Roma, dove riuscì al Partilo d’Azione, principalmente per merito di La Malfa, di conseguire quei risultati, che anche nell’articolo clandestino pubblicato iu Toscana occupata erano auspicali. I precedenti fanno tuttavia vedere o presumere ciò che sarebbe avvenuti) se le cose in Italia avessero continuato a svolgersi sulla hase della• risi di aprile, anziché su quella del compromesso del giugno 1944.

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repressione per chiunque rifiutasse di identificare Italia e fascismo ; si occupava attivamente, scrivendo ad antichi collaboratori, e persino a notori antifascisti, della fantasima di Accademia d’ Italia che era stata nominalmente ricostituita a Firenze, e della Nuova Antologia, die voleva fare organo di quella; e dava opera all’organizzazione di conferenze, come quelle indette dal « Lycaeum » sui Santi d’ Italia, all’ inaugurazione delle quali aveva partecipato con il cardinale arci­vescovo, ma anche con criminali come il Carità, il Manganiello ed altri gerarchi fascisti.

L’articolo del Codignola, che noi tutti condividemmo come un chiarimento leale e coraggioso anche di fronte all’azione parallela, ma non sempre coincidente, di altri partiti antifascisti, cominciava così: «Deploriamo l ’assassinio di Giovanni Gentile. La violenza, per quanto giustificata come reazione ad altrui violenza, ha un limite, oltre il quale si ritorce su se medesima: e la brutale eliminazione di Gentile ha creato nelle coscienze di noi lutti un disagio che dev’essere analiz­zato senza settarismi e con spregiudicata serenità ». Dopo avere ricor­dato che il Gentile si era assunto responsabilità pesanti e inescusabili, anche dopo l ’8 settembre, e soprattutto aveva avuto « una parte pre­ponderante nel mercimonio e nella corruttela delle coscienze di intere generazioni di giovani, ammulando l ’essenziale carenza di ogni con­tenuto spirituale, caratteristica del fascismo, in una pseudo-filosofia dello Stato etico, e legando questa dottrina alla propria dignità di stu­dioso e di ricercatore, e aveva gettato 1’ incertezza e lo scetticismo sull’effettiva essenza dei valori morali, e sul dovere di difenderli fino alla morte, nell’animo di molti, che subivano l ’innegabile azione della sua forte personalità », il Codignola riconosceva il contributo dato dal Gentile, nei primi decenni del secolo, alla cultura filosofica italiana, ed anche gli aspetti positivi della riforma scolastica che da lui prese nome, e che realizzala nello spirito della tradizione dello Spaventa e del De Sanctis, continuando l ’opera iniziata dal Croce, veniva però subito deformata e sostanzialmente vanificata dal fascismo.

Fra le forze oscure e torbide del fascismo, « pur con qualche rilut­tanza e incertezza, il Gentile finì per essere Iravolto, e asservito: cor­rotta la sua coscienza morale e politica, divenne essa stessa fomite di corruzione per gli altri. E più si andava ricreando e maturando, fra le persecuzioni e le sofferenze, una rinnovata coscienza politica in quanti avevano per tempo riconosciuto nel futile trionfo del fascismo uull’altro che un’esasperata manifestazione di materialismo cinico, di sfrontato nazionalismo, di corruttela morale, di oppressione classista, più la figura del filosofo siciliano, già amata e rispettata, si andava staccando — talora con violenza, tal’altra lentamente ma con fermez­za — dall’animo di molti, fino a simboleggiare nella forma più mani­festa ed amara la diabolica potenza della tirannia a piegare la libertà interiore degli uomini. Questo cammino, sull’orma del Croce, fu

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percorso da tutti gli spiriti migliori del Paese, che inesorabilmente si trovavano sull’altra sponda, allorché più chiaramente cominciarono a delincarsi le conseguenze catastrofiche dell’esperimento fascista ».

Senza volere perciò negare o sminuire le responsabilità dell’uomo, sembrava al Codignola « legittimo che egli fosse chiamato un giorno a rendere conto, davanti a un tribunale straordinario del popolo, delle sue gravi colpe di lesa patria e di lesa coscienza, poiché a nessuno è lecito, e tanto meno a un alto intelletto, tradire il proprio paese e cor­rompere le anime dei concittadini. Ma la sua uccisione per mano di quattro irresponsabili non solo ha generato una reazione penosa e ne­gativa in vasti ambienti antifascisti, ma ha vanificato 1’ efficacia di ammaestramento che sarebbe derivata dalla pronuncia di una con­danna da parte di un tribunale nazionale, che fosse legalmente costi­tuito e rappresentasse la vindice testimonianza di un’ Italia risorta a libertà ed a giustizia ».

L’articolo così concludeva: «Noi neghiamo che all’eliminazione di Gentile possa aver avuto interesse uno qualsiasi dei movimenti antifascisti che dall’ 8 settembre lottano spalla a spalla contro la tirannia: se non fosse altro, per ragioni pratiche e di convenienza poli­tica, poiché non poteva sfuggire a nessuno l ’odiosità di un simile attentato contro una personalità alla quale il paese intero, dopo la liberazione, avrebbe potuto e dovuto chieder conto del suo operato nella forma più alta e solenne; e perchè era a tutti nota l ’opera di moderazione da lui frequentemente svolta, e si sapeva che il suo inter­vento personale era più volte valso a mitigare provvedimenti polizie­schi, a rimuovere ingiustizie, ad evitare più gravi sventure ».

È bene aggiungere che, per quanto alcuni degli autori presuntivi deH’omieidio fossero poi rivendicati come eroi da uno dei partiti del C.L.N., tuttavia nessun partito politico, nè allora nè poi, volle addos­sami la responsabilità dell’uccisione, per quanto nella stampa clande­stina comparisse soltanto quest’articolo de La Libertà a precisare il pen­siero di uno almeno dei partiti del C.L.N. eull’avvenuto. È pure da osservare che il misfatto era avvenuto completamente al di fuori delle azioni di guerra ordinate dal comando militare del C.L.N. toscano: tanto più grave, quindi, perchè solidalmente su di esso ne sarebbero ricadute le conseguenze politiche, e le prevedibili rappresaglie fa­sciste.

Nei giorni 22 e 23 aprile era stalo diffuso a Firenze un manifesto, a firma « Il Comitato di Liberazione Nazionale », intitolato II caso Gentile, che portava in corsivo la seguente premessa: «Ai clamori ed ai piagnistei della stampa fascista per 1’ uccisione di Giovanni Gen­tile, crediamo sufficiente rispondere con il seguente articolo dal titolo Rinascita fascista: i tribunali degli assassini, pubblicato il mese scorso su La nostra lotta, organo del partilo comunista italiano, che rispec­chia efficacemente la posizione di Gentile quale esponente e difensore

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del pseudo movimento fascista repubblicano... Ricordiamo anche che i patriotti fiorentini il 22 marzo giurarono di vendicare i loro cinque fratelli caduti sotto il piombo dei traditori fascisti. Alle promesse se­guono i fatti » (seguiva il testo dell’articolo citato). Il commento del nostro giornale era questo: «Tale manifestino non è del Comitato di Liberazione Nazionale. La firma è apocrifa. Si tratta dunque di un falso e di un atto provocatorio ». Sta di fatto che nelle discussioni avvenute in sede di C.L.N. clandestino nessuno dei partiti componenti, com­preso il partito comunista, volle assumei-e la responsabilità dell’edi- zione e della diffusione del manifestino: è perciò restato sempre dubbio se la paternità di questo si dovesse ai fascisti, che tentavano di far passare l’uccisione del Gentile come una rappresaglia alle fucilazioni del marzo, speculando sulla sensibilità pubblica. Così si chiuse il « caso » dello sventurato filosofo, rimasto vittima di quella violenza fine a se stessa ch’egli aveva predicato e sostenuto (12).

Sviluppi della crisi di aprile

Il n. 8 de La Liberiti comparve il 15 maggio 1944. L’articolo di fondo, dal titolo Terzo Fronte, pigliava argomento dalla depredazione dì macchine, di materiali, di viveri, di impianti di intere industrie, di prodotti di ogni genere, che venivano allora sistematicamente ope­rate dalle autorità germaniche con l ’aiuto dei mercenari fascisti, de­predazioni alle quali era seguito un piano di deportazioni e di trasfe­rimenti forzati, che aveva per scopo evidente quello di «vuotare 1’ Ita­lia dei suoi uomini validi ».

(I2) Nel Diario F iorentino dell’avv. G. C a s o n i, fonte d i grande interesse per gli avvenimenti del giugno-agosto 1944 a Firenze, si riferisce (pp. 148 segg.) che ai primi di luglio i tedeschi annunziarono di aver catturato uno dei tre uccisori di Gentile. Testimonianza più che dubbia, e considerata come tale dalla popolazione, la quale invece, a conoscenza degli uomini e dei fatti, aveva apertamente accusato delFomicidio i sicari del centurione Carità. Era infatti risaputo ampiamente che il Gentile era energicamente intervenuto, più volte, presso il capo della Provincia ManganieUo, per far cessare gli assassinii e le torture del Carità; ed aveva minac­ciato pubblicamente di informare lo stesso Mussolini. Da ciò Tatto dei delinquenti minacciati: in sè più che plausibile, avuto riguardo alla loro efferatezza ed al loro cinismo. Conferme di questa responsabilità dei fascisti, derivate direttamente dal loro ambiente, sono citate anche dal Casoni a pp. 169-170.

Seguivano, nello stesso numero: una cronaca delle stragi perpetrate dalla Di­visione Hermann Goering in Toscana, a Vaglia, Cercina, nel Casentino, a San Godenzo, Stia, Pomino, Badia a Prataglia, Vallucciole. La documentazione, per voler essere assolutamente esatta e obbiettiva, era mollo incompleta, e lo si avver­tiva: tuttavia i soli fatti accertati bastavano a ispirare terrore e desolazione, per Federata crudeltà delle stragi collettive; stragi la cui entità integralmente cono­sciuta sorpassò poi. di molto, le notizie che allora se ne ebbero.

Una rubrica di attività del partito dava notizia di un complesso di pubblica­zioni, giornali, riviste, opuscoli, fogli etc., editi in ogni parte deUTtalia occupata dal Partito d’Azione: un complesso veramente imponente, se si ha mente alle enor­mi difficoltà che si incontravano, ed alla somma di sacrifici e di rischi mortali che la stampa clandestina comportava.

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2 (i C. L . RAGGHIASTI

Già durante il fascismo notevoli aliquote di lavoratori erano state inviate in servizio « volontario » nelle fabbriche di guerra tedesche. La parziale smobilitazione industriale, che aveva assunto in Italia centrale un ritmo sempre più accelerato dall’aprile 1944. aveva pro­vocato licenziamenti in massa, sincronizzati sia col richiamo alle armi, sia con l ’opzione del servizio di lavoro in Germania. Si era fatta a questo scopo in Italia una pubblicità giornalistica e murale immensa, che aveva avuto scarsissimo esito. Poiché alcuni episodi dimostrativi di razzie d’uomini e di deportazioni forzate non erano valsi a modifi- ficare l ’orientamento delle masse lavoratrici, si ricorse ai grandi mezzi. La violenza si travestì ancora una volta in forme legali, e si ebbe una serie di decreti della pseudo-repubblica di Salò, intesi ad ottenere con successo totalitario la soddisfazione delle richieste pressanti del go­verno hitleriano.

Decreto su decreto, fra l ’aprile e il maggio 1944 il governo fantoc­cio dispose richiami alle armi di classi e categorie fino allora rimaste esenti, richiami per il servizio del lavoro, nuovi controlli alle attività e alle persone, imposizione a tutti gli ufficiali in congedo di giurare pena la degradazione e la conseguente assegnazione al servizio obbli­gatorio di lavoro. Bandi pubblici e cartoline personali si moltiplica­rono: fra l ’altro fu disposto il richiamo per il servizio di lavoro per tutte le classi comprese fra il 1899 e il 1926-28.

Ondate di panico traversavano le città e le campagne. C’erano giorni nei quali si vedevano pochissimi uomini d’età giovane o virile girare per le strade, attendere alle loro occupazioni nei negozi o nelle officine. I membri della resistenza attiva dovevano moltiplicare affan­nosamente le carte false, i timbri, i permessi, rinnovandoli via via che uscivano i nuovi decreti restrittivi. E v’era sempre il caso — molti tli noi ricordano d’essere sfuggiti avventurosamente o fortunosamente ai subitanei agguati — dei rastrellamenti improvvisi, degli imbotti­gliamenti di strade e di quartieri, delle razzie negli abitati isolati. Treni partivano carichi d’uomini, dopo i trasferimenti coatti: scene pietose avvenivano, di madri, di mogli e di figli respinti dalla polizia tedesca e fascista; correvano voci di fughe, ma anche di stragi e di punizioni spietate.

Perchè tutto questo? Secondo me, era il sintomo chiaro dell’ ini­zio della sconfitta tedesca: « Il tedesco sa di doversi fra breve ritirare davanti alla grande riscossa che sarà il secondo fronte». L’apertura del secondo fronte sembrava allora ai più avvertiti imminente, e non solo da questi segni. Pigliavo argomento da questi sintomi, per incuo­rare gli italiani alla lotta che da otto mesi conducevamo sul terzo fronte, il fronte della resistenza e della libertà.

Seguiva un accoralo ricordo dei compagni del Comando militare piemontese, fucilati il 5 aprile: Balbis, Biglie«, Bevilacqua, Braccini, Giachino, Giambone, Montano e il generale Perotti; e }a ristampa di un

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LA POLITICA DEL P. B ’A. IN UN GIORNALE CLANDESTINO 27

manifestino diffuso dal Partito d’Azione in Piemonte, nella prima metà di api-ile.

Sempre preoccupato della crisi di aprile e delle sue conseguenze, ■commentavo poi nelle due colonne di spalla, sotto il titolo L’Italia oc­cupata di fronte al governo di guerra, i deliberati del Comitato regio­nale toscano del P. d’A., l ’altro dell’ Esecutivo interregionale del P. d’A. per l’Alta Italia, e infine la dichiarazione emessa in data 30 aprile 1944 dal C.LJN. toscano, su proposta e per iniziativa del Partito d’A- zione, rappresentato dall"'Agnoletti.

Il motivo politico saliente del commento è questo : prima della costituzione del governo di guerra a Bari, la situazione politica era eguale sia nell’ Italia occupata, che nell’ Italia libera, nel senso che in tutta Italia v’erano le forze del C.L.N., intese alia guerra di libera­zione come azione integrale del rinnovamento italiano, e le forze rea­zionarie e conservatrici, che rappresentavano la continuità col passate fascista. « L’Italia di domani non era ancor nata nè di qua nè di là dat Garigliano. Ma avrebbe potuto nascere, di qua e di là, con lo stesso volto». Nella nuova situazione, restava la speranza che l ’Italia potesse partecipare più attivamente e più direttamente alla guerra di libera zione, affrettandone così l ’esito, e che potesse avvalersi della legge detta di prestito e affitto per armare le sue forze combattenti, sia al fianco degli Alleali, che nell’ Italia occupata. Ma C.L.N. e partiti del l'innovamento italiano dovevano continuare con la stessa energia la loro azione, per aver sempre maggior peso nella determinazione del­l ’avvenire del Paese.

Seguivano gli O'.d.G., che meritano di essere ricordati almeno nelle jiarli essenziali. Quello del Comitato regionale toscano del P. d’A., se­gnato il 25 aprile, era formidato in quattro punti: 1° riconoscimento del governo meridionale di coalizione come governo di guerra, per la guerra di liberazione, e a condizione che desse il massimo incremento alla guerra, e il massimo aiuto alla resistenza; 2° proposta al Comitato centrale del P. d’A. di limitare ai compiti concreti di guerra e di rico­struzione civile la collaborazione al governo Badoglio, e approvazione dell’assenza di un rappresentante del partito dal comitato dei ministri senza portafoglio, come manifestazione di riserva politica; 3° invito a tutti gli altri partiti del fronte antifascista di opporsi ad ogni eventuale tentativo di infrangere il C.L.N., sola garanzia per il Paese di reale l'innovamento politico e sociale, e di indipendenza da ogni interesse estero; 4° affermazione che sia nell’ Italia libera che nell’ Italia occu­pata i C.L.N. non divengano organi periferici del nuovo governo di guerra, ma mantengano integralmente il loro carattere di unica ed au­tentica rappresentanza politica del Paese, e perciò tutti i poteri che derivano dal mandato popolare, compreso il controllo politico sul governo di coalizione.

Il rafforzamento del C.L.N., nella nuova situazione, si potevg

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realmente ottenere soltanto assicurando il carattere, la funzione ed i poteri dell’organo elle era derivato dal patto dei partiti antifascisti, che dopo la disfatta e la fuga del governo Badoglio si erano assunti il compilo della guerra, il massimo elle comporti la responsabilità di un governo e di uno Stato.

La dichiarazione dell’ Esecutivo del P. d’A. per L’Alta Italia, pure diramata il 25 aprile, indipendentemente dalla nostra, pur non defi­nendo con la stessa precisione quale dovesse essere il carattere e il compito del C.L.N., era sostanzialmente identica a quella toscana (e del resto a quella del Comitato Centrale romano). Premessa la deplo­razione « per la grave violazione alle premesse di programma di rinno­vamento morale e politico del C.L.N. » avvenuta a Bari, senza tuttavia attribuirla a nessun fattore particolare, si enunziava di considerare il nuovo governo « legalo a circostanze transitorie e di carattere prov­visorio », e di condizionare la permanenza dei rappresentanti del P. d’A. nel nuovo governo a queste condizioni: 1° massimo aiuto del go­verno alla guerra partigiana, all’agitazione delle masse lavoratrici e alla lotta clandestina per la libertà; 2" i rappresentanti del P. d’A. nel governo si intendano impegnati a promuovere, non appena possibile, la trasformazione dell’attuale governo in un governo che sia emana­zione diretta ed esclusiva delle forze antifasciste; 3" il governo si con­sideri responsabile di fronte agli organi rappresentativi dei partiti an­tifascisti, e perciò respinga recisamente ogni eventuale ingerenza dina­stica. Dopo ciò, veniva riaffermato che « la funzione effettiva di gover­no nell’ Italia settentrionale deve spettare al C.L.N. nella loro attuale composizione e in quanto mantengano ed accentuino il carattere popo­lare e rivoluzionario della guerra di liberazione ».

Ma gli eventi di Bari avevano portato, com’è evidente, un disagio profondo nello stesso C.L.N., in quanto la politica indipendente non solo, ma ad esso contraria, svolta da uno dei partiti che lo compone­vano nell Italia liberata nc aveva dislocato l’unità e reso incerta la funzione; mentre entrava in campo un nuovo fattore politico estraneo ai C.L.N. ma oramai con esso coordinato nell’ Italia libera, e cioè il governo dinastico derivato dallo Stato fascista.

Ricordo che la massima preoccupazione politica di quei giorni fu perciò quella di ricostruire, come già s’'è detto, una base di effettua­lità per il presente e per il futuro del C.L.N., allo scopo di mantenerne l’efficacia ai fini del rinnovamento politico e sociale del Paese, ed anche di conservare i benefici che derivavano sia dai pregi come dai limiti del patto unitario dei partili. Nel C.L.N., erano rappresentati partiti democratici e non democratici, ed è chiaro che un patto democratico unitario, valido fino alla Costituente, garantiva o favoriva le forze e l ’equilibrio democratici; d'altronde, il patto riaffermato poteva costi­tuire sempre una remora ad iniziative centrifughe dei partiti, malgrado l ’esempio recente.

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Fu svolta perciò da parte del Partito d’Azione un’opera estrema­mente energica nel C.L.N. toscano, e si riuscì, il 30 aprile 1944, a far volare all’unanimità dai partiti che lo componevano una dichiara­zione, che nella sostanza riproduceva quella del Partilo d Azione.

Non piccolo successo, se si pensa che tale dichiarazione impegnava anche partiti, come il comunista, che a Bari avevano provocato la crisi del C.L.N., e come il liberale, che spesso nell’ Italia liberata era il meno favorevole all’univoco schieramento nel patto nazionale rappre­sentato dal C.L.N., ed anzi era piuttosto orientalo verso modificazioni anche notevoli dello Slato monarchico, ma che salvaguardassero, come si diceva allora e si disse poi, la «continuità dello Statoli.

(Questa dichiarazione del C.T.L.N. fu, per quanto mi consta, Puni­ca del genere in Italia: e può avere qualche interesse riscontrare che era guidata da mia previsione politica sicura, che la pose come un pre­cedente della riscossa politica che si operò in Roma, proprio sulle linee indicate dalla Dichiarazione toscana, nel giugno 1944, neutraliz­zando in notevole misura il successo conseguito a Bari dalle forze rea­zionarie.

Il C.T.L.N. dichiarava dunque: 1° che riconosceva il governo italiano di guerra come unico governo legittimo del Paese per il fatto che era espressione del C.L.N.; 2° che il C.L.N. manteneva la sua funzione di unico rappresentante del popolo italiano nella sua lotta di liberazione, e che in mancanza di qualsiasi altra assemblea rappre­sentativa esso era chiamato a fare continua opera di collaborazione, di propulsione e di controllo nei confronti del governo, e ad esso Comi­tato, ed alla futura Assemblea Costituente che lo avrebbe sostituito e di cui il C.L.N. costituiva il primo nucleo, il governo avrebbe reso conto del proprio operato; 3U che nell’ Italia occupata e fino al passaggio del­l ’amministrazione sotto il controllo di un governo italiano, che fosse sempre espressione del C.L.N., spettava a questo ed agli organi che erano sua emanazione di rappresentare il popolo italiano e di eserci­tarne tutti i poteri.

È opportuno un breve commento dichiarativo. Nel primo comma, vi è un’alterazione politica cosciente, in quanto il governo di Bari non si poteva dire espressione diretta ed esclusiva del C.L.N. : tuttavia proprio in questa « riduzione » era tutto il valore politico della riser­va. Nel secondo comma, non sfuggirà che si tentava una prima defi­nizione giuridica del C.L.N., inserendolo con una fisionomia ed una funzione determinata nella realtà politica italiana, togliendo ad esso ogni fluidità, e, nel momento stesso che si riconosceva il governo costi­tuito a Bari — governo del quale non si sottovalutava la possibilità di avvalorare la lotta al nord, contro il costituito governo fantoccio, che aveva aspetto ed apparato di governo, mentre il C.L.N. non lo aveva, di fronte alla massa dei cittadini — lo si vincolava al C.L.N. Ma non basta: nel comma seguente, si assegnava al C.L.N. anche una

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rappresentanza politica del governo nell’ Italia occupata, secondo il concetto che si è veduto esposto nell’ articolo La crisi di aprile e il C.L.N. Un altro punto importante, e che la sua importanza rivelò proprio alla liberazione di Firenze, è quello nel quale si afferma che il C.L.N. avrebbe mantenuto le sue funzioni fino al passaggio dell’am­ministrazione del Paese sotto il controllo di un governo italiano, quin­di anche sotto ramministrazione alleata. Chi abbia seguito la storia dell’AMG in Italia, sa bene che la modifica sostanziale nella considera­zione del C.L.N. e nei rapporti col C.L.N. non avvenne a Roma, ma appunto a Firenze, in virtù deH’altuazione integrale di queste funzioni del C.L.N. («).

(13) La seconda pagina del nr. 8 conteneva testimonianze della criminalità fa­scista. Ricordavo i casi di molti uccisi da « ignoti » (secondo che pubblicava la cro­naca dei giornali fiorentini fascisti), il Ceccbi, il Lenni, il Cenni, ed infine Fer­nando Traquandi, fratello del nostro compagno e ben noto antifascista Nello Tra­quandi. Si era trovata una nuova tecnica: si prelevavano i designati, li si uccideva- in campagna, i cadaveri venivano lasciati lungo le strade o nei fossi. Poi i giornali pubblicavano la notizia del ritrovamento dei cadaveri e della loro identificazione. Ili pubblico era ignaro, ma noi sapevamo che si trattava, sempre, di vittime del fascismo. Il Traquandi era stalo attivo nella resistenza, cooperando col Partito d’Àzione.

Mettevo poi in luce un allro caso, (piasi esemplare. La N azione del 2 marzo 1944 aveva riprodotto in seconda pagina una grande fotografia del sottotenente Luigi Ferro, e un lungo articolo di esaltazione del martirio che aveva subito da parte di partigiani jugoslavi. Era stato lungamente percosso, e gli avevano bruciato le falan­gi delle dita, per farlo confessare: nella fotografia erano ben visibili i segni della tortura. L’articolo si diffondeva lungamente sulla « barbarie dei nemici d’ Italia ». Che cosa avevano fatto i nazifascisti di questo giovane eroe? E quali erano i nemici d’ Italia? La risposta l’aveva data la stessa N azione pochi giorni dopo, il 29 aprile 1944, allorché il giornale riportava questa secca notizia : « Il Coletti Per­mea, il Ballerini ed il Ferro sono stati condannati alla pena di morte mediante fucilazione. La sentenza è stata eseguila ». Come si vede, il sottotenente Ferro, non appena ritornato dalla Jugoslavia, si era arruolato coi patrioti. Quegli stessi che avevano sfruttalo il suo patriottismo di fronte agli jugoslavi, per lo stesso patriot­tismo Io fucilavano, insieme ad altri giovani, come il nostro compagno Coletti Per. ruca, cui fu assegnata poi la medaglia d’oro alla memoria, e del quale ricordavo le ultime parole di perdono ai suoi uccisori, e di speranza che la sua morte avrebbe giovato all’ Italia.

Trascrivevo poi il terribile bando tedesco del 3 maggio 1944, contro i partigiani definiti «banditi»: ognuno che ne avesse notizia e non li denunciasse ai comandi germanici, punito di morte; ogni casa nella quale venisse trovato un bandito, fatta saltare in aria; ogni casa donde si fosse sparato contro le truppe germaniche, bru­ciata, e con essa fieno, paglia, viveri, bestiame sequestrato, abitanti fucilati. Se­guiva una lunga cronaca, ahimè più precisa, delle stragi avvenute sul Monte Morello, in Casentino e nel Mugello, da parte delle truppe tedesche e dei fascisti. Nel com­mento, rilevavo come l’uccisiqne di cittadini inermi e non responsabili di atti di guerra, e le stragi indiscriminate e collettive, costituissero una atroce violazione di tutte le leggi di guerra, e fossero soltanto criminalità organizzata.

Seguiva un fervorino « Organizzazione e disciplina », sulla struttura democra­tica ed i compiti e le funzioni del partito, e infine un documento del Comando pro­vinciale militare repubblicano di Firenze, del 29-3-944, nel quale si denunciava I' indisciplina degli arrolati nelle file fasciste, e la loro inefficienza militare.

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LA POLITICA DEL P. ITA. IN I N GIORNALE CLANDESTINO 31

P roletariato e ceti medi

Il n. 9 de La Libertà apparve il 12 giugno 1944. Fu l’ultimo del quale potei occuparmi direttamente ( l4j.

In testata era questo motivo: Il grande attacco alla fortezza hitle­riana è vittoriosamente cominciato. Il Partito d’Azione invita gli Ita­liani a considerarsi mobilitali per la battaglia di liberazione. Nell’ar­ticolo di fondo, dal titolo La guerra per gli Italiani, prendevo argo­mento dall’attacco degli Alleati nell’ Italia meridionale (che si concluse con la liberazione di Roma) per incitare gli italiani a partecipare tutti alla lotta nel momento decisivo, sull’esempio di quel milione di partigiani che combattevano in tutta l ’Europa nel fronte clandestino. Seguivano ordinanze e consigli per i Comitati segreti di agitazione nelle fabbriche, ai quali si dovevano i grandi scioperi del marzo nell’ Italia del Nord. Infine, una notizia delle forze tedesche in Europa, della situazione strategica nell’atto dell’avanzata alleata in Italia, e nella previsione dell’apertura del secondo fronte.

Un articolo interessante direttamente il Partito d’Azione, la sua struttura e i suoi programmi politico-sociali, dal titolo Proletariato e ceti medi, attesta come tuttora si svolgesse quel travaglio, al quale si è già accennato. Anche questo articolo fu il fruLto di una collabora­zione, come risulta evidente dalla stesura e dalla diversità del dettato: non ricordo tuttavia di chi fosse il testo che elaborai largamente. L’ar­ticolo merita di essere riassunto nei suoi capi significativi.

Esso era rivolto principalmente « ai nostri amici operai fra i quali era ancora diffuso certo demagogismo schematico di marca marxisti­ca ». Dal momento della formulazione marxistica della lotta di classe fra proletariato e borghesia, molta acqua era passata sotto i ponti, la struttura sociale avendo subito modificazioni radicali nel corso di un secolo. La rivoluzione francese, pur non inquadrando le esigenze e gli interessi di quello che sarebbe divenuto il proletariato industriale del secolo XIX, teorizzato dal Marx come unica forza rivoluzionaria della storia, aveva tuttavia attuato principi di efficacia perenne, di un va­lore assoluto non attinente a nessuna classe sociale particolare, come la libertà politica, le garanzie costituzionali, etc. Ma il sistema di libe­ralismo economico, del commercio e della produzione per il mercato, determinarono una caratterizzazione della « borghesia » molto diversa dallo schema elaborato dal Marx. Una parte della borghesia si conso­lidò in forza reazionaria, protezionistica, tendente a sottoporre a sè gli Stati mediante regimi appropriati, per esempio i fascismi; ma la

(14) Nei giorni immediatamente seguenti alla sua redazione fu distrutta l’orga­nizzazione detta R adio CoRa, e dovetti dare tutta la mia opera, già gravosa per le responsabilità militari e politiche clandestine, alla ricostruzione di quell’essenziale servizio, che riprese tuttavia a funzionare fin dal 13 giugno.

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slessa complessità della struttura economica e dello sviluppo econo­mico aveva comportato la costituzione di un’altra borghesia vasta e multiforme, intellettuale, tecnica, impiegatizia, amministrativa, arti- stica etc.; mentre non si era avverata affatto la profezia marxistica della unificazione delle condizioni economiche, ed era avvenuta, al contrario, una ulteriore diffusione delle attività specializzate e decen­trate, ed anche della proprietà individuale socialmente utile e più red­ditizia. I « celi medi » erano anch’essi forze del lavoro, e non potevano essere confusi con gli interessi e le volontà della borghesia capitali­stica. Come i concetti di proletariato e di borghesia erano superati dalla situazione storica reale, così la lotta politica non poteva essere posta in quei termini, almeno per chi tendesse alla realizzazione di una giustizia sociale che implicasse la distruzione dei privilegi e del sovrapotere politico derivante dal sovrapotere economico, ma inten­desse mantenere le istituzioni della libertà, come una delle più alte conquiste untane, e garanzie per lo sviluppo degli individui. Il Partito d’Azione doveva la sua novità al fatto di avere inteso questa identità che si era stabilita fra tutte le forze del lavoro, di qualsiasi origine storica. Respingendo perciò sia l ’astrattezza delle formule schematiche di proletariato e borghesia, sia la strumentalità che tale formula aveva per la costituzione di uno Stato totalitario di estensione sovietica, il Partito d’Azione puntava sull’unità di volontà e di interessi sostan­ziali di tutte le forze del lavoro, per creare quello Stato di libertà e del lavoro che solo avrebbe potuto garantire egualmente giustizia e libertà. Chiarito infine che in Italia non sussistevano le condizioni ob­biettive, nè politiche, nè economiche, nè sociali, per l ’affermazione di una dittatura del proletariato, si incitava a concretare il partito del lavoro, anche per evitare che le forze del clericalismo reazionario strappassero i contadini al fronte del lavoro, per farsene strumento ed appoggio (15).

Era vivissimo nel Partito d’Azione lo spirito repubblicano, in quanto gli aderenti vedevano nella repubblica non soltanto la sanzione della corresponsabilità della monarchia col regime fascista, ma una delle condizioni per lo sviluppo della democrazia italiana. La parteci­pazione al governo di Bari aveva suscitato alcune perplessità, alle quali si rispose con un articolo: Nostra posizione sul problema istitu­zionale, nel quale si richiamava la dichiarazione emessa il 16 aprile 1944 dalla Direzione centrale del partito sul problema istituzionale, e la dichiarazione della stessa pubblicata il 18 aprile, nella quale la Di­rezione, premesso di aver comunicato per le vie che erano possibili ai rappresentanti del partito in Napoli di astenersi dal partecipare al

(15) Nella rubrica «Attività del partito » Tristano Codignola, che fin dal princi­pio si era maggiormente preoccupato dell’organizzazione con esemplare dedizione, tenacia e abilità, pubblicava un articolo dal titolo: D irettive di lavoro, nel quale de­finiva i caratteri, la struttura, i compili del partito.

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LA POLITICA DEL P. ILA. IX UN GIORNALE CLANDESTINO 33

governo Badoglio, essa, pur non essendo in grado di stabilire se la co­municazione fosse pervenuta, e cpiali ailri fatti avessero potuto con­tribuire alla decisione di Napoli, era costretta a considerare fuori del partito, fino ai necessari chiarimenti, i membri dello stesso che fos­sero entrati nel progettato governo. Si pubblicava anche un O’.d.G. del 4 maggio, e infine un importante comunicato del Comitato Centrale di Liberazione Nazionale, del 5 maggio, votato per iniziativa del P. d'A. (del quale si riferiva anche la dichiarazione di voto), in cui saranno evidenti le coincidenze e le diversità con quello del Comitato toscano di L.N.: il Comitato Cenlr. di L.N., constatando la diversità pubbli­camente dichiarata di atteggiamenti dei vari partiti nei riguardi della soluzione raggiunta, decide che i partiti tutti rimangano stretti e so­lidali nel C.L.N., cooperando col governo ai fini della guerra liberatrice.

A lla vigilia dell’ insurrezione di F irenze

11 n. 10 de La Libertà uscì, a quattro pagine, il 15 luglio 1944, alla vigilia dell' insurrezione di Firenze. Anche questo è stato redatto quasi interamente da me, ma la stampa ne fu curata da Sergio Telmon. Fra posto sotto la testata: Popolo toscano, è la nostra ora!

Dopo un appello al combattimento (Ora di combattimento, ora di libertà), seguiva subito un rendiconto dell’attività militare svolta nei mesi di giugno e di luglio dalle Brigate Rosselli (le). Si ricorda­vano anche, nell’articolo, le azioni della formazione «Mameli», at­tiva nel Casentino. Questo testo, ricavato direttamente da me sulle no­tizie inviate dai comandi delle Brigate, ha particolare importanza, in quanto non presenta alcuna deformazione propagandistica, ed è se mai inferiore, che superiore al vero (17).

11; 1 Tale fu il nome che proposi per le formazioni militari del Partito d’Azione in Toscana, d’accordo con Riccardo Bauer. Poiché l’ordinamento formale risultò poi mutato, in seguito all’allineamento con le leggi che riconoscevano le formazioni partigiane, preciso che le Brigate Rosselli furono cinque: la prima, comandata da Pippo (Manlio Ducceschi) ed attiva sull’Appennino pistoiese e quindi nella zona del- l’Appennino lucchese, autonomizzata nel giugno 1944, divenne da allora « Comando dell’X! ' zona operativa » ; la seconda, attiva nella zona del Mugello, e comandata successivamente da Rio (Silvio Riso), da Anseimi (Riccardo Gizdulichj e da Vit­torio 'Grimani, che partecipò alla liberazione di Firenze; la terza, attiva nella zona a sud di Firenze, comandata da Mario del Monaco, che partecipò alla liberazione di Firenze; la quarta, ricostituita nel maggio-giugno nella zona dell’Antella, che par­tecipò alla liberazione di Firenze; la quinta, comprendente le formazioni, cittadine, al comando di Alberto Angeli (Athos Albertoni), il quale inquadrò poi tutte le formazioni armate del Partito d’Azione nella Divisione G. L. prima, e poi nel Rag­gruppamento Divisioni G. L., quando avvenne, sotto il comando generale di Nello Niccoli, il riordinamento delle forze armate dipendenti dal C.L.N.; del Raggrup­pamento Divisioni G. L. lo scrivente ebbe l’onore di essere Commissario di guerra.

(17) Devesi rammentare che era allora in corso una polemica vivace fra i par­liti che avevano organizzato forze annate, in quanto alcuni di essi tendevano ad esagerare in modo anche troppo palese l’attività militare delle formazioni dipen­denti dal C.L.N. Specialmente un giornale, Il C om battente, si distingueva per la

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Un articolo dal titolo : L’onore militare e i principi umani di Kes- selring commentava il manifesto diffuso dal comandante germanico in Italia il 28 giugno e stampato dai giornali toscani, nel quale il gene­rale, riferendosi al proclama di Alexander ai partigiani italiani, ri­vendicava il proprio onore militare e si richiamava ai « principi uma­ni » che aveva fino allora praticato verso i <t ribelli ». Spiegato- che l ’onore militare non aveva impedito al generale Keaselring di far fu­cilare migliaia di ostaggi, di distruggere interi paesi inermi, di ucci­dere migliaia e migliaia di innocenti, di depredare le popolazioni, spiegato che i suoi principi umani non gli avevano impedito di far praticare dalla sua polizia e dal suo esercito la tortura, le impiccagioni, le feroci rappresaglie su donne e bambini, gli arresti, le deportazioni, le stragi in massa, di fronte alle nuove ed anche più dure minacce contenute nel manifesto del 28 giugno dichiaravamo la legittimità pie­na della guerra di liberazione, imputavamo il generale Kesselring come criminale di guerra, e affermavamo : che avremmo combattuto come prima, in modo che « il nemico non possa avere il minimo pretesto alle sue barbare stragi. Se queste avvengano come sono avvenute, noi giudicheremo i colpevoli, tutti i colpevoli, e prima o poi li condan­neremo, ma non tenteremo domani di vendicarci su famiglie tedesche. Anche se venissimo quasi tutti ticcisi, i superstiti sanno che combat­tono per la civiltà, e sanno che c’è una legge morale più forte del no­stro odio e del nostro sdegno, che ci vieta e ci vieterà sempre di ver­sare sangue innocente ».

Seguiva un articolo che conserva ancora interesse, sempre nel sen­so della definizione del C.L.N.: è intitolato appunto Cos’è il C.L'.IS. Alla vigilia delle sue funzioni palesi, sembrava opportuno, anzi neces­sario chiarire al pubblico l ’opera, la funzione ed i poteri di questo organo che non aveva precedenti nella storia italiana. L’articolo costi­tuiva anche una spiegazione e un commento al Proclama indirizzato al popolo toscano dal C.T.L.N. il 10 giugno 1944, proclama che era pure stampato in occhiello.

Tracciavo anzitutto la differenza del C.L.N. italiano da quelli sorti in altri paesi occupati dai nazisti, ed anche col C.L.N. francese. Il contrassegno del C.L.N. italiano era quello di essersi costituito per la guerra e la lotta in territorio occupato, ma anche per il rinnovamento

dilatazione sistematica delle azioni militari, al di là di ogni verosimiglianza: e poi­ché il territorio era relativamente piccolo e le notizie di facile controllo, ben presto l’effetto propagandistico delle notizie ampliate o false si disperdeva, lasciando anzi delusione, freddezza e diffidenza. Perciò all’elencazione delle azioni realmente con­dotte dalle Brigate Rosselli seguiva questo commento: «Queste notizie, non gran­diose nè pubblicitariamente presentate, ma che hanno il pregio di essere rigorosa­mente vere e controllate (anzi di alcune azioni non si è volontariamente parlato, per non pregiudicare 1’ ulteriore attività dei patriotti), dimostrano l’energica par­tecipazione delle Brigate Rosselli, a fianco delle Brigate Garibaldi e delle altre for­mazioni partigiane, alla guerra rivoluzionaria di liberazione ».

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politico e sociale italiano, sia nell’ Italia libera che nell’ Italia oc­cupata, e di essere la prosecuzione del Comitato dei partiti antifascisti, che si era costituito di fronte al Governo Badoglio dopo il colpo di stato monarchico del 25 luglio, e contrapponendo ad esso la forza mo­rale e politica dell’antifascismo democratico.

Designati i partiti che avevano stretto il patto (Partito liberale, Democrazia cristiana. Partito d’Azione, Partito socialista di unità pro­letaria, Partito comunista), segnata la continuità e la positività del patto, aggiungevo che la permanenza del C.L.N. nelle sue volontà e nei suoi poteri « dimostra chiaramente il completo fallimento della restaurazione dello Stato prefascista tentata da Badoglio e dalla monar­chia ». Il C.L.N. era in sostanza un parlamento politico, e come tale aveva agito: come depositario della volontà popolare nella guerra contro i nazifascisti e nella ricostruzione dello Stato. Pure accettando ogni contributo alla lotta, il C.L.N. non aveva voluto compromettere questa sua garanzia del rinnovamento nazionale, e perciò aveva rifiu­tato di accogliere forze che ne avessero falsato il carattere, perciò aveva rifiutato di scendere a patti con Badoglio e la monarchia: « I fatti hanno dimostrato che sarebbe stato molto meglio per tutti che questa posizione di intransigenza, rotta dall’ iniziativa Togliatti, fosse stata mantenuta. Bastava tener fermo ancora per due mesi di fronte a tutte le pressioni interessate, e la nuova democrazia italiana sarebbe nata a Roma senza nessun legame con il passato regime, senza nessuna capitolazione morale, e libera quindi di non volere assumere la re­sponsabilità di colpe non sue ». Era un rimprovero duro ai comunisti, che nell’ introdurre 1’ ingerenza russa nelle cose italiane, accettando in cambio la legittimazione della monarchia e del governo Badoglio che continuavano il passato, avevano portato l ’Italia democratica al ri­conoscimento del duro armistizio alleato. « Comunque, si aggiungeva, dopo l’allontanamento del re e la formazione a Roma di un governo diretta espressione del C.L.N., questo nell’ Italia occupata non è più soltanto rappresentanza popolare, ma anche l ’organo rappresentante del governo, e in questa sua duplice funzione viene riconosciuto dagli Al­leati » (ed anche questa era piuttosto un’anticipazione che una realtà: tutti sanno la battaglia che si dovette fare proprio a Firenze per otte­nere dagli Alleati tale riconoscimento, fino allora non mai avvenuto).

Seguiva infine il chiarimento di tutti i compiti spettanti al C.L.N. quando da governo di diritto divenisse governo anche di fatto, governo provvisorio in attesa dell’amministrazione normale italiana.

In un successivo articolo, dal titolo II nuovo governo, tornavo sul­l ’argomento già trattato, pigliando spunto dalla liberazione di Roma e dalla costituzione del primo Gabinetto Bonomi.

La liberazione di Roma aveva chiarito di colpo la situazione po­litica, in quanto a Roma per la prima volta gli alleati e le forze poli­tiche agenti nell’ Italia meridionale erano venuti a contatto con la

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effettiva realtà italiana quale si era maturala negli ultimi nove mesi di sanguinosa oppressione e resistenza. Il governo Badoglio, frutto del compromesso di Napoli fra il complesso reazionario od ex-fascista e i partiti antifascisti, era slato spazzato via, e si era costituito un nuovo governo formalo esclusivamente da antifascisti ed espressione diretta e piena del C.L.N. Era una decisa espressione di volontà contro ogni ritorno reazionario, di « avversione contro ogni tentativo inteso a fal­sificare (come la fugace visita del luogotenente regio con il relativo artefatto e grossolano abbozzo di corteo aulico) la contrarietà verso altri compromessi ». Vittoria particolare del Partito d’Azione, che unico nel C.L.N. aveva indicato la caducità necessaria dell’ultimo esperimento, e negato la sua solidarietà politica al governo Badoglio. Per quanto il nuovo governo apparisse « gravato dai residui della si­tuazione precedente, indicali nel n. 8 del giornale, dalla presenza della monarchia nella persona del luogotenente, dalla larga parteci­pazione al governo di vecchi e non in tutto adeguati rappresentanti della politica prefascista », tuttavia era un passo avanti perchè il go­verno coincidesse con la volontà di rinnovamento politico e sociale espressa dai C.L.N., ed era aperta la speranza e l ’attesa che « il gover­no divenisse sempre piti strumento adeguato della rivoluzione demo­cratica die è in atto, rivoluzione delia quale anche il nuovo governo era uno dei risultati ». Il governo avrebbe potuto porsi alla testa del movimento rivoluzionario di liberazione, ricordando i risultati con­seguiti dalla politica del C.L.N., e la sua responsabilità di fronte ad esso (giusta preoccupazione, quando si ricordi il gesto di Bonomi, dimissionario di lì a non molto verso il Luogotenente, anziché verso il C.L.N. che lo aveva investilo quale jiresidente, appunto, del Comi­tato). Comunque, i primi atti del nuovo governo erano apprezzati positivamente: giuramento fatto alla nazione, anziché al Luogotenen­te; allontanamento dei militari legati a Badoglio; deciso orienta­mento repubblicano, malgrado le dichiarazioni monarchiche od agno­stiche del Bonomi e del Ruini; esclusione degli intrighi acquaronici; epurazione dei quadri dell’esercito e della burocrazia’fascista; epura­zione della magistratura fascista; completa libertà di stampa; affer­mazione della Costituente italiana non più sotto l’egida e 1’ iniziativa entrambe ambigue e pericolose dell’ istituzione regia, ma come espres­sione necessaria e inalienabile del diritto popolare.

Il Proclama del C.T.L.N. aveva parlato di « sequestro nazionale provvisorio » delle industrie, imprese od aziende collaborazioniste. Di che cosa si trattava? Un altro lungo articolo, dal titolo II compito del lavoro, illustrava questa iniziativa proposta al C.L.N. dal Partito d’A­zione, e nella quale ebbi parte eminente, come non esito a rivendicare.

I C.L.N. dell’ Italia occupata avevano accolto la proposta del Partito d’Azione (proposta che non venne eseguita che in modestis­sima parte, e spesso a vantaggio delle autorità di occupazione alleate,

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dirimencio così il carattere rivoluzionario dell' iniziativa), e di dichia­rare, in virtù dei poteri di governo del C.L.N., il sequestro nazionale provvisorio di tutte le industrie, imprese od aziende i cui proprietari avevano collaborato con il nemico nazifascista. Tali imprese sarebbero state gestite da Consigli di fabbrica eletti, e composti da rappresen­tanti degli operai, dei tecnici, degli ingegneri e degli impiegati, coa­diuvati da un commissario del C.L.N. come rappresentante dell’ in­teresse generale.

Quali erano le ragioni della nostra proposta? Non erano soltanto contingenti, ma si riallacciavano ad una concezione più generale della struttura sociale ed economica. Così come il C.L.N. pure conducendo la guerra di liberazione aveva provveduto alla ricostruzione della struttura civile, nel settore politico, amministrativo, giudiziario e così via, « non altrettanto era avvenuto nel settore economico-sociale, nel quale la sola ricostituzione dei liberi sindacati si mostrava soluzione nettamente insufficiente ».

Ricordato 1" immenso contributo che il lavoro italiano aveva dato nei mesi della resistenza non solo con la consapevolezza politica degli scioperi, o col sabotaggio delle macchine e delle merci requisite dal nemico, ma anche salvando e occultando macchinari, materiali pre­giati, brevetti, difendendo le fabbriche e gli impianti; e ricordato d’al­tro canto il contributo dato da grandi aziende industriali ed agrarie, e dai loro proprietari o dirigenti, al nemico, gli enormi profitti di guerra realizzati col fascismo e coi tedeschi, le consegne di impianti, macchine e prodotti fatte anche minando direttamente l’esistenza dèlie popolazioni, si proponeva un atto di giustizia che fosse insieme etica e sociale, punisse cioè il collaborazionismo col nemico e la responsa­bilità dell’oppressione fascista, e insieme rappresentasse il nucleo ini­ziale di una migliore sistemazione economica e sociale.

« Noi vogliamo, e lo dichiariamo apertamente, non per interesse di partito, ma nell'interesse generale del popolo e dei lavoratori, che alle prime conquiste rivoluzionarie sul piano politico, amministrativo, giudiziario, istituzionale, corrispondano altre ed altrettante legittime conquiste sul piano .sociale ». Pure restando inteso che la definitiva trasformazione del regime economico-sociale esistente spettava alla Costituente Nazionale, quale emanazione della diretta volontà di tutto il popolo, che avrebbe deciso le socializzazioni, gli esproprii, le for­me finali di gestione economica nel quadro delle istituzioni generali della nuova Italia, tuttavia il Partito d’Azione affermava il diritto di prefigurare le linee delle nuove strutture economiche, contrassegnate non dal passaggio giuridico delle proprietà, ma dalle nuove forme di gestione autonoma del lavoro.

E qui si inseriva un concetto che mi era e mi è rimasto caro, e che condizionava una effettiva trasformazione della condizione dei lavoratori al concretamento di un « autogoverno del lavoro », del qua­

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le avevo del resto lungamente studiato esempi in Inghilterra, in Fran­cia, in Cecoslovacchia e negli Stati Uniti; ed era perciò tutt’altro che un concetto arbitrario o impraticabile. Questa concezione limitava fortemente la validità ed i compiti dei sindacati: il sindacato ha come presupposto intrinseco l’organizzazione capitalistica, rappresenta sol­tanto l ’organizzazione degli interessi dei salariati o degli interessi di categoria e la loro difesa esclusiva contro i capitalisti o il sistema pa­dronale, non potrebbe assumere un compito di trasformazione sociale del salariato.

« Il Consiglio di fabbrica, cioè la gestione diretta del lavoro, è lo strumento più idoneo per la liberazione dell’operaio dalla condizione di salariato»... «la piena e differenziata partecipazione all’attività dell’ impresa che 'è la sua vita, assicura al lavoratore la dignità di pro­duttore, lo impegna a compiti di responsabilità e di solidarietà, lo eleva con la libertà all’eguaglianza sociale»... « I consigli saranno la migliore garanzia contro ogni ritorno sia di un capitalismo sfrutta­tore che di una dittatura di Stalo o di partito che tornerebbe a confi­nare i lavoratori nella servitù passiva del salariato ». Non si esclu­deva al sindacato « il compito di difendere il presente», ma si asse­riva che soltanto il Consiglio di fabbrica avrebbe potuto assumere il compito di formare l ’avvenire del lavoro. Quanto al «Sindacato uni­co », verso il quale sembrava allora orientata la maggioranza dei la­voratori in Europa, si affermava che questo doveva avere come base il sindacato di categoria, abolendone però la pluralità (cattolici, co­munisti, repubblicano-sindacalisti, socialisti, etc.) per unificarsi in sin­dacati meccanici, minatori, braccianti etc. La C.G.L. avrebbe dovuto rappresentare tutti gli operai sindacati, di qualsiasi tendenza ideolo­gica essi fossero, e la controparte del riconoscimento giuridico esclu­sivo alla C.G.L. e ai suoi sindacati unici avrebbe dovuto essere l ’ap­partenenza obbligatoria dei lavoratori alla C.G.L.

L’attuazione dei sequestri nazionali provvisori, pure stanziata dal C.T.L.N., non avvenne che in parte, ed in forme subito alterate dalla sovrapposizione delle norme dell’A.M.G. Tuttavia ebbe qualche ef­fetto, in alcuni complessi dove temporaneamente agirono il Commis­sario del C.L.N. ed i consigli di fabbrica: e comunque valse ad assi­curare la difesa di molte industrie, per esempio di quella del gas a Firenze, i cui impianti furono quasi interamente salvati, mentre se­condo un progetto allestito dal mio amico Enzo Tardini, partigiano e già tecnico del metano, fu tempestivamente preparata la trasforma­zione degli impianti dell’ Italgas di Firenze, mentre parallelamente si provvide al salvataggio del metanodotto e degli impianti di Pietramala, per cui, a poco più di un mese dalla liberazione ed alle soglie dell’in­verno, dopo una memoranda battaglia contro l’amministrazione eco­nomica alleata, Firenze potè essere fornita di gas metano e di riscal­damento regolare.

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In due articoli neirultima pagina si illustravano gli scioperi av­venuti in Alta Italia nel giugno, dai giorni 17 a 23 giugno, e l ’addio di sangue che le truppe tedesche avevano dato alla Toscana nella loro ritirata. Di particolare interesse la notizia del ritrovamento di 7 cada­veri denudati nei pressi dì Cercina. (Noi sappiamo i nomi di questi martiri, scrivevo: si tratta infatti di Anna Maria Enriquez, Enrico Bocci, Italo Piccagli, Luigi Morandi, ed altri componenti la Radio CoRa, massacrati la sera del 12 giugno, con la partecipazione personale dei capi delle SS von Alberti, Gold e Rabanzer.

Conclusione

L’illustrazione del periodico clandestino toscano del Partito d’A- zione presenta, a me pare, anche riscontrata a distanza notevole dagli avvenimenti e dagli scritti, un interesse non dubbio, non soltanto per la rarità del foglio (IS), ma anche per il suo contenuto, se si consideri specialmente quanto ancora sia poco nota l ’attività politica e militare clandestina in Toscana, rispetto a quella svolta nello stesso periodo in altre regioni italiane.

Di fronte ad altre pubblicazioni ed ai fogli clandestini di altri par­titi, è caratteristico il fatto che La Libertà non si limitava ad appelli ed a notizie, ad incitamenti e propaganda. Per quanto non manchino quegli aspetti di « moralismo » politico, che erano quasi inevitabili in coloro che provenivano dalla cospirazione ed ai quali mancava ancora per forza di cose l ’esperienza e la duttilità politica vera e propria, tut­tavia il tono prevalente non è moralistico o sentimentale od oratorio, ma è quello di una valutazione critica, che è poi in notevole parte, se si confrontino le diagnosi e le previsioni con gli avvenimenti ed i risul­tati, anche calma, obbiettiva e matura.

E poiché la pubblicazione riflette il circolo di riflessione e di azio­ne del partito in quel tempo, documenta anche per sua parte l ’atteg­giamento di una larga parte della Resistenza, nel suo corso.

La condizione del Partito d’Azione, sia per la confluenza avvenuta in esso di diverse correnti dell’antifascismo democratico e socialista e di elementi provenienti dall’esperienza critica e negativa del fascismo, sia per la sua recente costituzione, sia per essersi subito dovuto im­mergere nell’azione bellica senza che avesse potuto avvenire alcuna decantazione del suo amalgama, sia infine perchè il Partito d’Azione era sorto prima degli altri, e non aveva offerto ai convinti e desiderosi di azione nessun’altra alternativa politica o scelta, come rendeva ne­cessario di condurre egualmente la lotta per l ’organizzazione clande­stina del partito che aveva una selezionatissima ma relativamente scar**

(18) Ringrazio l’amico e resistente Achille Belloni (Prati) che mi ha fornito 1* .sua preziosa raccolta completa de La Libertà.

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base e nessuna tradizione, e non era inteso od era frainteso dal pubblico e dagli stessi antifascisti, e di condurre insieme la lotta militare e quella politica coi partili del C.L.N., così rendeva necessario che nello stesso foglio, come si è veduto, si conducesse la politica generale del C.L.N., l ’azione di sostegno e di incitamento alla resistenza armata e non ar­mata, l ’organizzazione politica clandestina, e il chiarimento dei pro­grammi del partito non soltanto al pubblico, ma anche agli stessi ade­renti del partito.

Una condizione, perciò, di particolare difficoltà e travaglio, che si potè sostenere e superare non soltanto in virtù delle qualità morali degli aderenti al Partito d’Azione — che per generale riconoscimento di amici e di avversari dette il più alto contributo di sacrificio e di sangue, specialmente nei quadri dirigenti, alla Resistenza — ma anche perchè fu sentito se non da tutti almeno dalla maggior parte dei diri­genti che fino alla liberazione totale del Paese non si poteva rischiare di spezzare una forza, che si era rivelata e si rivelava preziosa nella contingenza storica; mentre d’altro canto si affermava nel sentimento il legame di unione che derivava dal sacrificio di tutti coloro che erano morti e morivano per gli ideali di giustizia e di libertà che il Partito agitava per il rinnovamento italiano.

Carlo Ludovico R agghiarti

Poiché risulta che molti amici conservano copie di gior­nali della Resistenza in numero multiplo o in serie incom­plete, la Rassegna, al fine di permettere loro di completare la collezione di detti giornali e perchè I’ Istituto Nazionale possa riunire collezioni dei medesimi possibilmente complete da mettere eventualmente a disposizione delle grandi biblio­teche italiane ed estere che ne facciano richiesta, apre le proprie pagine ad una lubrica che organizzi Io scambio dei duplicati.

Gli amici sono pertanto invitati a inviarci notizia delle copie di duplicati in loro possesso con la richiesta dei numeri loro mancanti.

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