LA POLITICA AMERICANA

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LA POLITICA AMERICANA NEI CONFRONTI DEI MOVIMENTI DELLA RESISTENZA EUROPEA Una qualsiasi analisi della politica americana nei confronti della Resistenza europea durante la Seconda Guerra Mondiale ri' chiede una precisazione di alcune fondamentali situazioni storiche, le quali sole possono spiegare le premesse di tale politica. Le tre situazioni fondamentali sono: i) la tradizione isolazioni' stica della diplomazia americana, 2) l’eredità wilsoniana della leadership americana, 3) il ritardato intervento degli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale, più di due anni dopo che i nazisti avevano attaccato la Polonia il 1 settembre 1939. La tradizione isolazionistica spiega il fatto che gli Stati Uniti avessero poca esperienza e scarso interesse per le complicazioni della politica di molti Stati europei, specialmente dell’Europa centrale e orientale, dei Balcani e dell’area mediterranea. Fatta eccezione per la Francia, con la quale il popolo americano aveva molti legami storici e che, comunque, rivestiva un’importanza cruciale per una qualsiasi ricostruzione politica dell’Europa, gli Americani tendevano a tenersi al di fuori delle complicazioni politiche connesse con le attività della Resistenza e dei partigiani e a lasciare che fossero gli Inglesi a prendere e a tenere la guida. Due fattori fondamentali consigliavano un atteggiamento del genere: anzitutto, gli Inglesi da secoli avevano le mani in pasta nella politica europea e vi avevano acquistato abilità, attitudini e tattica tali da giustificare un predo- minio del loro punto di vista in tale materia; in secondo luogo, i numerosi Governi europei in esilio avevano la loro sede a Londra, erano sotto la protezione britannica e dipendevano in larga misura dall’aiuto finanziario inglese. I movimenti di resistenza erano, in un modo o nell’altro (salvo che in Italia o in Germania), legati a questi Governi in esilio, sia che li appoggiassero sia che li osteggiassero. L ’America preferiva perciò trattare con essi sulle basi ed entro i li- miti ben precisi delle considerazioni di natura puramente militare, fondando le sue decisioni sulla valutazione del contributo bellico che un movimento di resistenza poteva apportare e, di conseguenza,

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LA PO LITICA A M ERIC A N A N EI CO N FRO N TI

DEI M O VIM EN TI D E LL A R E SIST E N Z A EU RO PEA

Una qualsiasi analisi della politica americana nei confronti della Resistenza europea durante la Seconda Guerra Mondiale ri' chiede una precisazione di alcune fondamentali situazioni storiche, le quali sole possono spiegare le premesse di tale politica.

Le tre situazioni fondamentali sono: i) la tradizione isolazioni' stica della diplomazia americana, 2) l’eredità wilsoniana della leadership americana, 3) il ritardato intervento degli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale, più di due anni dopo che i nazisti avevano attaccato la Polonia il 1 settembre 1939.

La tradizione isolazionistica spiega il fatto che gli Stati Uniti avessero poca esperienza e scarso interesse per le complicazioni della politica di molti Stati europei, specialmente dell’Europa centrale e orientale, dei Balcani e dell’area mediterranea. Fatta eccezione per la Francia, con la quale il popolo americano aveva molti legami storici e che, comunque, rivestiva un’importanza cruciale per una qualsiasi ricostruzione politica dell’Europa, gli Americani tendevano a tenersi al di fuori delle complicazioni politiche connesse con le attività della Resistenza e dei partigiani e a lasciare che fossero gli Inglesi a prendere e a tenere la guida. Due fattori fondamentali consigliavano un atteggiamento del genere: anzitutto, gli Inglesi da secoli avevano le mani in pasta nella politica europea e vi avevano acquistato abilità, attitudini e tattica tali da giustificare un predo- minio del loro punto di vista in tale materia; in secondo luogo, i numerosi Governi europei in esilio avevano la loro sede a Londra, erano sotto la protezione britannica e dipendevano in larga misura dall’aiuto finanziario inglese. I movimenti di resistenza erano, in un modo o nell’altro (salvo che in Italia o in Germania), legati a questi Governi in esilio, sia che li appoggiassero sia che li osteggiassero. L ’America preferiva perciò trattare con essi sulle basi ed entro i li­miti ben precisi delle considerazioni di natura puramente militare, fondando le sue decisioni sulla valutazione del contributo bellico che un movimento di resistenza poteva apportare e, di conseguenza,

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sulle posizioni assunte dai nostri maggiori alleati. Risultato: Tinte' resse degli Stati Uniti si rivolgeva anzitutto ai movimenti dei paesi nei quali erano in azione forze americane, cioè il Nord Africa, l ’Ita­lia e la Francia. I dirigenti politici americani non erano certi che la loro opinione pubblica avrebbe sostenuto un’implicazione perma' nente nella politica europea post-bellica, e si preoccupavano anzitutto di vincere la guerra al più presto e con il minimo sacrificio di vite umane. Solo là dove un movimento di resistenza potesse contribuire al raggiungimento di questo scopo erano pronti ad appoggiarlo e ad aiutarlo.

Sia- il Presidente Franklin Delano Roosevelt come il Segretario di Stato Cordell Hull discendevano dalla tradizione wilsoniana, i cui principi erano: i) sospetto per l’equilibrio delle forze politiche;2) devozione al principio- delTauto-determinazione che aveva trovato espressione nella Carta Atlantica e 3) antimperialismo. Molti dei movimenti di resistenza in Europa, specialmente il Comitato Fran.' cese di Liberazione Nazionale presieduto dal generale Charles de Gaulle, entrarono in urto con gli Americani su l’uno o sull’altro di questi principi. I dirigenti degli Stati Uniti furono costantemente contrariati dalla tendenza dei capi della Resistenza a dedicare mag' gior tempo ed energia alle manovre politiche intese ad impadronirsi del potere, a guerra finita, nel quadro delle potenze europee, che non a combattere contro le forze dell’Asse. Roosevelt e Hull vole- vano rimandare qualsiasi decisione politica a dopo il conflitto. In molti casi essi temettero che i gruppi resistenti, o associati o in oppo' sizione ai Governi in esilio, fossero decisi ad imporre ai rispettivi popoli un Governo che effettivamente negasse a questi ultimi il diritto di autodeterminarsi, il diritto di scegliersi, liberi da coercL zioni, la loro- forma di governo e i loro governanti. Non desidera' vano perciò che armi ed equipaggiamento americani fossero usati a questo scopo. Erano anche contrariati dalla tendenza dei gruppi resistenti ad avanzare pretese territoriali su altri paesi o sulla resti' tuzione degli imperi d’oltremare. I maggiori alleati degli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Russia-, si comportarono in modo com simile, ma comunque l’America fu sempre del parere che si dovesse rimandare a dopo la fine delle ostilità la soluzione del problema.

Poiché gli Stati Uniti entrarono- nel conflitto tardi, il 7 di' cembre 19 4 1, le loro relazioni con certi movimenti della Resistenza ricevettero da- questa premessa caratteristiche particolari. Fino allora

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erano stati mantenuti rapporti diplomatici con le potenze dell’Asse e con la Francia di Vichy; e ciò comportò, sin quasi dall’ inizio, complicazioni con i Gollisti. Sebbene la politica americana prece- dente Pearl Harbor fosse stata ben lungi dall’essere una politica di neutralità e gli aiuti della legge « Affitti e prestiti » (Lend-Lease Act) fossero stati estesi ai vari Governi in esilio così come all’ In­ghilterra e all’U .R.S.S., tuttavia il fatto che noi continuassimo i rapporti diplomatici con gli stati dell’Asse fino alla nostra entrata in guerra limitò in una certa misura i contatti e le relazioni che po­tevamo intrattenere con gli elementi dell’opposizione. Il nostro ri­tardato ingresso nel conflitto significò che il periodo iniziale della partecipazione americana fu dedicato in tutto e per tutto al duplice scopo di mobilitare le nostre forze armate e di aiutare i principali alleati, l’ Inghilterra e la Russia. Il nostro impegno nel raggiungi­mento di questi obiettivi ci indusse ad una dilazione nell’affrontare il problema dei movimenti di resistenza. Ce ne saremmo occupati seriamente solo nel 1944, quando le forze anglo-americane comin­ciarono ad entrare in territorio partigiano' in Italia e a invadere la Francia e quando gli eserciti sovietici varcarono la frontiera della Polonia.

E ’ chiaro che ho usato la espressione-chiave « movimenti di resistenza » in riferimento a due fenomeni diversi e pure connessi fra loro. Ovviamente l’espressione si riferisce a quei gruppi che, nel territorio occupato dall’Asse, erano impegnati in un modo o nell’al­tro a resistere all’occupazione — si trattasse di azioni di guerriglia o di sabotaggio o di attività spionistiche e informative, o di aiuto ai prigionieri alleati o di dimostrazioni aperte, o di rifiuto a collaborare con le forze occupanti. Però la definizione di « movimento di resi­stenza » può anche essere data con proprietà ai gruppi che o erano fuggiti dai territori occupati dai Tedeschi o erano impegnati nel­l’opposizione al fascismo o al nazismo già prima dell’ inizio della guerra; mi voglio riferire cioè ai Governi in esilio e alle forze a loro disposizione fuori dal continente europeo, non meno che alle organizzazioni politiche italiane antifasciste o tedesche antinaziste. La Francia di Vichy occupava una posizione ambigua, perchè per un lungo periodo il Governo americano la considerò utile allo scopo di poter usare del Governo Pétain e dei Francesi d’oltremare ad esso alleati, soprattutto nel Nord Africa, come strumento per limitare l’espandersi delle forze dell’Asse. Invece la maggior parte

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dei resistenti, come pure la Gran Bretagna, considerarono la Francia di Vichy come uno strumento del nemico.

Sotto questo aspetto la mia affermazione di poco fa che l’inte­resse americano ai movimenti di resistenza si sviluppò realmente solo nel 1944 vuol riferirsi ai movimenti esistenti nei territori occu­pati. Fin dal principio gli Stati Uniti intrattennero rapporti coi Go­verni in esilio: ebbero un ambasciatore a Londra accreditato presso questi Governi e mantennero, per via militare, contatti non ufficiali con de Gaulle e col suo Comitato londinese. I problemi politici connessi con questi rapporti erano determinati dalla presenza o meno, nel territorio metropolitano occupato, di gruppi resistenti tali da poter contestare al Governo in esilio il diritto di rappresen­tare la nazione stessa occupata. Se non vi erano gruppi del genere, la Resistenza non presentava problemi politici; se invece sussisteva la possibilità di contestazioni al Governo riconosciuto, allora la questione della successione, della restaurazione ed i conseguenti diffìcili rapporti di potere contribuivano a complicare tutta quanta la situazione. Fra i paesi della prima categoria possiamo annoverare la Norvegia e l’Olanda, dove la Resistenza « interna » era leale al Governo in esilio e dove, quindi, sussistevano solamente le conside­razioni di natura militare. Anche il Belgio venne considerato in questa categoria fino a parecchio tempo dopo la guerra, quando, con una certa sorpresa da parte americana, ci si dovette rendere conto che il movimento clandestino belga non era disposto ad acco­gliere con gioia il ritorno del Governo in esilio. Alla seconda cate­goria appartenevano la Francia, l'Italia, la Jugoslavia, la Grecia e la Polonia. In quei paesi c’erano gruppi resistenti in competizione fra loro, gli uni legati al Governo in esilio e altri no. Nel caso della Polonia, poi, la situazione era ulteriormente complicata dall’appoggio sovietico ad un gruppo, mentre l’altro era sostenuto dagli Anglo- Americani. Così era anche in Jugoslavia, sia pure in misura minore, perchè in quel paese l’appoggio dell’Unione Sovietica a Tito fu meno vigoroso di quello dato ai Polacchi di Lublino.

Mi propongo ora di esaminare la politica americana nei con­fronti dei movimenti di resistenza paese per paese, cominciando da quelli che non presentarono seri problemi politici, e dei quali quindi ci occuperemo più brevemente: potremo così dedicare maggior tempo ai paesi, in particolare alla Francia e all’ Italia, nei quali si presentarono in atto conflitti politici di entità notevole.

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L ’occupazione nazista della Norvegia portò alla fuga a Lon­dra del Governo norvegese, che aveva sotto il suo controllo piccole forze aero-navali sfuggite alla cattura più una considerevole flotta mercantile. Ancor prima di entrare in guerra, gli Stati Uniti forni­rono equipaggiamento, rifornimenti, pezzi di ricambio e altri aiuti di varia specie alle formazioni militari e alle industrie norve­gesi e continuarono a fare così per tutto il resto del conflitto (1).

Parallelamente a questa Resistenza norvegese, che chiameremo « esterna », si svolse un movimento di Resistenza « interna » che si concentrò soprattutto in una lotta non-violenta intesa a conservare al popolo norvegese un modo di vita che valesse la pena di conser­vare. Le condizioni geografiche e climatiche non si prestavano gran che alla formazione di forze di guerriglia; inoltre i Nazisti evitarono in Norvegia le crudeltà che invece provocarono in altri paesi la resistenza armata; essi furono però costretti a far fronte ad un at­teggiamento compatto di ostilità e di non-cooperazione da parte del popolo norvegese (2). I dirigenti americani non avevano inten­zione di liberare la Norvegia con un’invasione; la loro concezione delle funzioni della Resistenza interna norvegese si può riassumere come segue:

1) fornire informazioni agli Alleati;2) compiere atti di sabotaggio;3) incoraggiare la popolazione a resistere ai tentativi tedeschi

di mobilitare il lavoro forzato e l’economia norvegese;4) impedire l’invio di norvegesi in Germania;5) nell’ultimo periodo della guerra, fare ogni sforzo possibile

per bloccare i tentativi nazisti di evacuare le loro truppe dalla Norvegia per mandarle di rinforzo all’esercito di Ger­mania. In questa ultima situazione riuscì molto utile l ’esi­stenza di forze norvegesi territoriali, che assommavano a circa 40.000 uomini (3).

Questa descrizione della politica americana verso i movimenti della Resistenza esterna e interna norvegese può dare un’idea piut-

(1) H alvdan K oht, Norway Neutral and Invaded, New York, The Macmillan Co., 1941, pp. 198-199.

(2) W illiam W arbey, Look to Norway, London, Seeker and Warburg, 1945, pp. 212-213.

(3) Ibid., pp. 204-205.

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tosto precisa di quello che fu il nostro comportamento nei confronti dei movimenti olandese e belga, fatte alcune poche eccezioni. Gli Stati Uniti riconobbero i Governi belga ed olandese in esilio e concessero aiuti militari ed economici a tutte le forze che erano sfuggite alla conquista nazista dell’Europa e a quella giapponese neirimpero olandese delle Indie Orientali (4). Roosevelt fu però molto riluttante a permettere che gli Olandesi ritornassero, alla fine della guerra, nel loro impero asiatico; invece i suoi successori cedettero finalmente alle insistenze degli Inglesi, i quali sostenevano non essere i principi della Carta Atlantica applicabili ai popoli non-europei e non potersi estendere agli alleati degli Stati Uniti le dottrine deirautodeterminazione e dell’antimperialismo. La cono' scenza olandese degli atteggiamenti americani a proposito di questo problema fu l’unica nube di qualche importanza che offuscò i rap­porti americano-olandesi, improntati generalmente alla più cor­diale cooperazione.

Anche le relazioni degli Stati Uniti col Governo belga in esilio furono in generale cordiali. Quel Governo controllava ancora le risorse di un vasto e ricco impero africano, e queste risorse furono messe a disposizione dello sforzo bellico alleato. Fino all’autunno e all’ inverno 1944 gli Americani non si resero conto, o comunque sot­tovalutarono, il fatto che il ritorno del Governo belga potesse non essere gradito alla madrepatria. Il Governo americano, prima del­l’ ingresso delle truppe alleate nel Belgio alla fine del 1944, aveva firmato col Governo in esilio un accordo secondo il quale le zone liberate dalle truppe anglo-americane dovevano essere amministrate da un elemento nazionale belga designato dal Governo di Londra. Quando i nazisti furono cacciati dal paese, gruppi di sinistra della Resistenza interna rifiutarono di accettare il delegato del Governo in esilio e chiesero invece che venisse installato un governo militare alleato (AMG) (5). Allora Churchill ordinò agli Inglesi di usare la forza per piegare la Resistenza belga di sinistra. Questo atteggia­mento andò a cadere proprio nel tempo in cui i Britannici attacca­vano pure le forze di sinistra della Resistenza ellenica e mettevano il veto all’inclusione del Conte Carlo Sforza in un Governo italiano

(4) L. de Jong and Joseph W. F. Stoppelman, The Lion Rampant, New York, Querido, 1943, p. 330.

(5) Hajo H olborn, American Military Government, Washington, Infantry Journal Press, 1947, pp. 30-31.

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(Sforza era il Presidente in funzione del Comitato Centrale di Li- berazione Nazionale a Roma). In una dichiarazione pubblica del 5 dicembre 1944 il Governo americano, nella persona del suo nuovo Segretario di Stato Edward Stettinius, protestò ufficialmente contro questa opposizione militare e politica a movimenti e capi della Resistenza (6).

Ritornerò su questo punto quando esaminerò i rapporti con i movimenti francese e jugoslavo alla fine della guerra, nel mag­gio 1945. Ora vorrei rivolgere la mia attenzione, sia pure breve­mente, all’atteggiamento americano verso i resistenti tedeschi, cioè verso quei gruppi di individui che ebbero mano nel fallito attentato a Hitler del luglio 1944. In Germania non ci fu un vero e proprio movimento di Resistenza, anche se si verificarono contatti fra civili come Goerdeler, militari come Beck e Haider, capi socialisti e comu­nisti ed il gruppo di intellettuali noto col nome di Circolo Kreisau. Questi gruppi anti-hitleriani avevano strane idee, ancora durante la prima parte della guerra, a proposito di un assestamento post-bel­lico da negoziarsi fra loro, in qualità di Governo post-nazista, e gli Alleati. Taluni pretendevano addirittura la restituzione delle ex colonie germaniche antecedenti la Prima Guerra Mondiale, altri il mantenimento delle terre « germaniche « conquistate in Europa dal ’38 in poi. Allen W. Dulles era stato mandato in Svizzera nel tardo 1942 con lo scopo principale, se non unico, di scoprire che cosa stava succedendo nell’ interno della Germania. Egli si rifiutò di ri­conoscere in alcun modo il movimento clandestino tedesco, anche se si tenne informato della sua esistenza e delle sue attività (7).

Quando, negli ultimi mesi del 1942, i capi deH’opposizicne tedesca richiesero a Dulles un appoggio politico, egli lo rifiutò di­cendo che la Germania doveva prima subire una disfatta militare. L ’annuncio fatto alla Conferenza di Casablanca, nel gennaio 1943, della dottrina della resa incondizionata, congelò tutte le possibilità di concessioni negoziate. Von Trott zu Solz, del Circolo Kreisau, insinuò che il movimento clandestino si sarebbe potuto rivolgere alla Russia, nel caso non avesse ricevuto nessun aiuto dall’Occidente. Dulles rifiutò di esprimere una reazione qualsiasi, limitandosi ad

(6) Il testo della dichiarazione americana è stampata nel « New York Times », 6 dicembre 1944.

(7) H ans W . Rothfels, The German Opposition to Hitler, Hinsdale, Henry Rcgnery Company, 1948, pp. 130-157.

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ammonire che non ci sarebbe stata capitolazione separata solo all’Oc- adente, sibbene solo ai tre Alleati insieme. Ulteriori tentativi, da parte dei cospiratori tedeschi, di carpire un’interpretazione più parti' colareggiata e specifica della resa incondizionata portò ad un nuovo rifiuto americano, ispirato dal timore che una simile specificazione « potesse essere interpretata dai Tedeschi come una promessa che poi un futuro Hitler avrebbe potuto sostenere essere stata violata » (8).

Nell’aprile del 1944 il maggiore Goerdeler e il generale Beck trasmisero a Dulles, in Svizzera, un messaggio per i suoi superiori di Washington; in questo messaggio veniva dichiarato che i cospi­ratori tedeschi erano pronti a sferrare un’azione allo scopo di rove­sciare Hitler e vi si precisava inoltre il desiderio di negoziare con gli Anglo-Americani su un piano politico. Beck e Goerdeler espressero anche il timore di un controllo comunista sull’Europa centrale e chiesero all’Occidente incoraggiamenti precisi per opporsi a questa eventualità. Soprattutto i socialdemocratici tedeschi chiesero dichia­razioni pubbliche dell’Occidente in favore della partecipazione dei sindacati e dei socialisti ai governi post-bellici tedeschi.

Il mese seguente, maggio 1944, i cospiratori militari tedeschi notificarono a Dulles che erano disposti ad arrendersi solo ad ovest, continuando invece la resistenza sul fronte orientale. Dulles rifiutò recisamente di prendere in considerazione una simile proposta. Solo allora il movimento clandestino tedesco abbandonò le speranze a questo riguardo e si rassegnò all’ idea che la resa sarebbe dovuta essere incondizionata e simultanea agli Anglo-Americani e ai Russi (9).

Roosevelt non fece mai nessuna dichiarazione pubblica che incoraggiasse il popolo tedesco a rovesciare il Governo di Hitler (io); in nessuna occasione egli volle lasciare la porta aperta a future pro­teste germaniche che gli Alleati avessero mancato alle loro promesse, e si rifiutò di prendere impegni politici circa l'assestamento post­bellico della Germania o di altro paese. Il movimento clandestino tedesco dovette lavorare senza incoraggiamento, senza nessuna assicurazione che un successo da parte sua avrebbe mitigato le deci-

(8) A llen W. D u lles , Germany’s Underground, New York, The Macmillan Co., 1947, pp. 125-135.

(9) Ibid., pp. 136-139.(10) Ibid., p. 14 1.

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sioni alleate circa il futuro del paese. Il fallito attentato a Hitler del 20 luglio 1944 pose termine a tutta quanta la faccenda.

E ritorniamo ai movimenti di Resistenza francese ed italiano. Gli Stati Uniti li considerarono ambedue notevolmente impor­tanti, perchè la Francia e l’Italia erano per tradizione grandi potenze e ancor più perchè erano teatro della principale azione militare delle forze anglo-americane. Non dobbiamo mai dimenticare la preponde­ranza dei fattori militari nella valutazione del Comando americano e la tendenza di quest’ultimo a subordinare alle necessità belliche le considerazioni politiche. Questa disposizione si rivela chiara­mente nei rapporti e nell’atteggiamento degli Stati Uniti verso la Resistenza francese, soprattutto verso t Francesi del Comitato di Liberazione Nazionale. Nel caso della Francia Roosevelt non era disposto ad accettare la leadership della Gran Bretagna e della Russia, come invece era disposto a fare per gli altri paesi del Me­diterraneo o dell’Europa orientale. La Francia e la Germania erano due paesi per i quali gli Americani intendevano riservarsi fin dall’i­nizio la più ampia facoltà di dire l’ultima parola.

Dopo aver sottilineato l’importanza della Francia agli occhi dell’America è ora necessario qualificare e mettere nella sua giusta prospettiva questa accentuazione. La politica francese non occupava molta parte del tempo e dei pensieri di Roosevelt; « se lo confron­tiamo con gli affari interni, con la strategia bellica e con i rapporti con la Gran Bretagna e con la Unione Sovietica, il problema fran­cese era per Roosevelt di proporzioni relativamente modeste » (11). Eppure il problema fu torturante sin dall’inizio, sin dai terribili giorni del giugno 1940, quando la Francia crollo e si arrese all’Asse e Charles de Gaulle riparò a Londra per invitare i suoi compatrioti a continuare la resistenza in Europa, in Africa, ovunque.

Gli Stati Uniti, non ancora in guerra, furono profondamente scossi dal crollo della Francia. Roosevelt perdette ogni fiducia in quel paese come grande potenza, e la sua poco lusinghiera opinione fu ulteriormente rafforzata quando, più tardi, i Francesi abbando­narono senza lotta la colonia dell’Indocina al Giappone (12). Il Governo formato a Vichy dal maresciallo Pétain apparve non del

(11) A rthur L ayton Fu n k , Charles de Gaulle, The Cruciai Years. 1943-1944, Norman, University of Oklahoma Press, 1959, p. 304.

(12) Ibid., p. 87.

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tutto ossequiente ai Tedeschi, e quindi molto importante per man­tenere la Francia di Vichy e la flotta francese fuori dalla guerra contro gli Alleati (13). Così gli Stati Uniti riconobbero la Francia di Vichy e vi mandarono come ambasciatore il conservatore ammi­raglio Leahy, pregiudicando così, fin dall’ inizio, i nostri buoni rap­porti con i Gollisti. Sembrò necessario aiutare il Governo di Vichy a condurre un’azione diplomatica dilazionatrice allo scopo di tenere il Nord Africa francese fuori dalle mani tedesche (14).

Dal punto di vista americano la posizione di de Gaulle come capo di uno dei movimenti della Resistenza era discutibile. Egli fu considerato per molto tempo più un simbolo che un riconosciuto capo politico. A lungo si pensò a lui come ad un mercenario dell’In­ghilterra, senza un seguito definito e dimostrabile nell’ interno della Francia e nemmeno fra i Francesi lontani dalla madrepatria. Già allora il generale aveva fama di essere un uomo vanitoso, egocentrico, ambizioso e pressoché intrattabile (15). Tuttavia, se i Gollisti d’ In­ghilterra o d’Africa erano disposti a combattere e lavorare contro l’Asse, l’America era disposta ad aiutarli in questo, e, ancor prima che gli Stati Uniti entrassero in guerra, la Gran Bretagna fu auto­rizzata a trasferire ai Gollisti delle colonie africane i rifornimenti « affitti e prestiti ». Dopo Pearl Harbor i rapporti con de Gaulle peggiorarono, quando egli, mancando alla promessa fatta agli Stati Uniti, si impadronì delle isole francesi di St. Pierre e Miquelon alle foci del fiume San Lorenzo. Quell’atto irritò fortemente Roosevelt e Hull e li convinse vieppiù che di de Gaulle non ci si poteva fida­re (16). Ci vollero più di due anni perchè essi si liberassero di questo sospetto. Il risentimento americano fu aumentato dalla propaganda dei Francesi Liberi in America, che dipingeva gli uomini di Vichy come traditori e collaboratori dei nazisti (17).

Era necessario conoscere questi precedenti per capire gli avve­nimenti e gli atteggiamenti che seguirono. Infatti la politica ameri­cana continuò a ignorare i Francesi Liberi e a tagliarli fuori da tutti

(13) W illiam L. L anger, Our Vichy Gamble, New York, Alfred A. Knopf, 1947, p. 391.

(14) Ibid., pp. 395-398.(15) Ibid., pp. 393-394. L ’ammiraglio Leahy non si rese conto dell’appoggio che

de Gaulle avrebbe avuto dai più importanti movimenti clandestini in Francia: F u n k , op. cit., p. 7.

(16) F u n k , op. cit., pp. 17-18.(17) L anger, op. cit., p. 387.

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i progetti di invasione dell'Africa settentrionale; tuttavia furono autorizzati aiuti diretti « affitti e prestiti », il 6 ottobre 1942 (18). A ll’ultimo momento fu anche stretto un accordo col comandante di Vichy nell’Africa settentrionale, ammiraglio Darlan; ciò rese pos- sibile una comoda invasione alleata nel novembre 1942 ed evitò i gravi problemi dell’occupazione, in quanto insieme con gli Alleati furono trasportati colà dei funzionari francesi (19). Questo accordo, però, offese i Francesi Liberi e tutti gli antifascisti, di qualunque parte fossero. In realtà, malgrado i sospetti di questi ultimi, l’accordo americano con Darlan fu un atto di pura e temporanea utilità contin­gente. Roosevelt non aveva nessuna fiducia in Darlan (20), anche se uscì dai gangheri quando poco dopo quello fu assassinato.

L ’eliminazione di Darlan non migliorò la posizione dei Francesi Liberi agli occhi dell’America. Prima dell’ invasione in Africa gli Stati Uniti avevano promesso di riarmare le forze francesi d’Africa e, il 13 novembre 1942, fu esteso l’aiuto « affitti e prestiti » all’eser­cito del generale Giraud, che da allora diventò una diretta respon­sabilità degli Stati Uniti (21). Alla Conferenza di Casablanca, del gennaio 1943, Roosevelt accondiscese a riarmare un esercito fran­cese di undici divisioni agli ordini del generale Giraud. (Più tardi questo esercito fu ridotto a otto divisioni per ragioni logistiche). L ’incontro di Roosevelt con de Gaulle, avvenuto in quel tempo, non modificò le opinioni del Presidente sul generale. Anche se le consi­derazioni militari prevalsero nella decisione di riarmare i Francesi, non c’è ragione di dubitare che gli Americani speravano di innalzare Giraud contro de Gaulle e i Francesi Liberi.

Nella primavera del 1943 de Gaulle cominciò le sue manovre per ottenere il comando delle forze francesi, e Roosevelt ordinò ad Eisenhower di non permettere che il generale la spuntasse. Nello stesso tempo gli Inglesi stavano equippaggiando unità fedeli a de Gaulle attraverso il loro Quartier Generale del Medio Oriente. Eisenhower chiese agli Inglesi di cessare di rifornire le forze di de Gaulle, sperando così di costringere i due gruppi francesi a fon-

(18) F un k , op. cit., p. 28.(19) L anger, op. cit., p. 398.(20) Robert E. Sherwood, Roosevelt and Hopkins, New York, Harper and Bro­

thers, 1948, p. 654.(21) Marcel V igneras, Rearming the French, U. S. Army in World War li,

Washington Department of the Army, 1957, pp. 6-7, 2 1.

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dersi. Questa tattica fu approvata dal Comando Interalleato il 3 1 lu­glio 1943, e con riluttanza i Francesi Liberi, che ora avevano assunto il nome di Comitato Francese di Liberazione Nazionale, accondi­scesero a fondersi in un’unica forza armata al comando del generale Giraud. Nei mesi seguenti, però, de Gaulle riuscì con le sue manovre politiche a scalzare Giraud e finì coll’assumere il controllo di tutte le forze francesi fuori dalla Francia (22).

I rapporti politici fra gli Americani e il Comitato Francese di Liberazione Nazionale rimasero tesi anche dopo che ebbe luogo la unificazione militare delle Forze Francesi. Il 26 agosto 1943 gli Stati Uniti riconobbero ufficialmente il C LN come rappresentanza, ma non come un vero e proprio Governo, contrariamente a quanto avrebbe desiderato il CLN . L ’America inoltre rifiutò di accettare quest’ultimo come membro ufficiale della Alleanza delle Nazioni Unite e impedì che i maggiori alleati, la Gran Bretagna e la Russia, concedessero un simile riconoscimento (23). Così pure noi ci oppo­nemmo a che la Francia diventasse membro della Commissione Consultatrice Mediterranea creata nell’autunno del 1943, e in effetti tenemmo lontani i Francesi da qualsiasi autentico ruolo politico negli affari italiani (24). Respingemmo tutte le proposte del CLN francese di governare le zone della Francia via via liberate dopo la progettata invasione del paese da parte degli Alleati: Eisenhower doveva essere libero di trattare con qualsiasi gruppo francese, perfino coi Pétainisti. Roosevelt continuò a rifiutarsi di credere che de Gaulle rappresentasse il popolo francese (25). Fino al giorno della grande invasione della Francia, il 7 giugno 1944, e anche dopo, non fu deciso nessun piano circa il governo delle zone liberate della Francia. A l momento dell’invasione non si era nemmeno con- cordata la linea di condotta da seguire con i partigiani, con i quali ci si sarebbe incontrati. Eisenhower aveva carta bianca (26). Questa resistenza ad un riconoscimento qualsiasi del C LN francese rispose ad una politica personale del Presidente. Nel gennaio 1944 sia il Di­partimento di Stato che quello della Guerra erano d’accordo sulla necessità di riconoscere il C LN francese, ma Roosevelt rimandò la

(22) I bid., pp. 8i-86.(23) F unk , op. cit., pp. 161-164.(24) lbid., pp. 174.176.(25) Ibid., pp. 221-222.(26) lbid ., p. 225.

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decisione fino all’ottobre seguente, molto tempo dopo, cioè, che la maggior parte della Francia era stata liberata e già si trovava sotto un effettivo governo francese. Dietro l’ostinazione di Roosevelt si nascondevano parecchi timori: timori che potessero saltar fuori in Francia capi politici rivali di de Gaulle; timori che scoppiasse in Francia una guerra civile dopo la rottura del controllo germanico; timori che de Gaulle instaurasse una dittatura della quale potessero essere ritenuti responsabili gli Alleati (27).

Naturalmente sino a questo punto io ho detto molto poco della politica americana nei confronti della Resistenza francese sul territorio metropolitano'. Fino alla primavera del 1944 gli Americani ebbero relativamente poco a che fare con i partigiani che dovevano essere organizzati sotto il controllo delle Forze Francesi dell’Interno (FFI). Questo anzitutto rientrava nelle responsabilità degli Inglesi, operanti sin dal novembre 1940. Nell’estate del 1942 l’Ufficio Americano dei Servizi Strategici (OSS) aveva stabilito una sua branca a Londra per lavorare col Movimento della Resistenza Fran­cese, ed operò in stretta collaborazione con le Forze Speciali Britan­niche. Nell’autunno 1943 i due gruppi si fusero, ma gli Inglesi continuarono a tenere un posto preminente e nella condotta opera­tiva e nei rifornimenti degli aiuti. Fino al marzo 1944 i Britannici diedero alle FFI un aiuto dieci volte maggiore di quello degli Ame­ricani (28). Il 23 marzo 1944 il Comando Supremo delle Forze Alleate di Spedizione (SHAEF) assunse il controllo dell’attività di spionaggio connessa con i futuri sbarchi in Francia, e tutti i rapporti con le FFI furono messi sotto l’autorità di Eisenhower.

In realtà, un anno prima, la Resistenza in Francia si era legata al Comitato di de Gaulle. Il 27 maggio 1943 tutti i principali partiti e movimenti clandestini si erano unificati nel Consiglio Nazionale della Resistenza, a capo del quale fu prima Jean Moulin e poi Georges Bidault. Questi fatti vennero riferiti a Washington, ma non valsero a persuadere gli Americani a passare il loro appoggio da altri a de Gaulle (29). Gli Stati Uniti non riconobbero mai il Con­siglio Nazionale della Resistenza e non negoziarono mai con esso come ente collettivo, preferendo trattare volta per volta, per fini

(27) Ibid., pp. 294-295.(28) VlGNERAS, Op. cit., pp. 300-302.(29) F u n k , op. cit., p. 105.

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contingenti, con chiunque in Francia fosse in grado di fornire in- formazioni o in generale attività utili alla guerra.

Lo SH A EF era stato scettico circa la validità dell’apporto militare del movimento clandestino francese e non aveva contato troppo sulla sua assistenza. Quando ebbe luogo, nel giugno 1944, l ’ invasione della Normandia, questo giudizio americano si rivelò giusto, perchè l’aiuto delle FFI fu deludente, mentre in Bretagna i guerriglieri francesi fecero dell’ottimo lavoro e l’opinione di Eisen- hower sui partigiani migliorò rapidamente. Il 23 giugno 1944 egli riconobbe il generale Koenig come comandante delle FFI conferen­dogli una posizione pari a quella degli altri comandanti subordinati al Comando Supremo (30). Quando, più tardi, durante la stessa estate, gli Alleati invasero la Francia meridionale, la rivolta delle FFI contro i Tedeschi si svolse su scala così vasta che gli Americani del nord-ovest della Francia ne furono fortemente impressionati. Le forze clandestine francesi si rivelarono molto più estese di quanto ci si aspettasse, e gli Stati Uniti cominciarono a inviare loro riforni­menti aerei in misura massiccia (31).

A mano a mano che procedeva la liberazione della Francia, gli Alleati in generale accettarono di fatto gli amministratori fran­cesi designati dai comitati di resistenza e i funzionari di de Gaulle che vennero in Francia ad assumere l’amministrazione civile del paese. Non furono insediati governi militari alleati, fatta eccezione per le immediate vicinanze delle posizioni dove ancora si combatte­va. Con i gruppi della Resistenza non si incontrò nessuna difficol­tà (32). Però l’opinione di Roosevelt che de Gaulle non avesse seguito in Francia persistette nonostante tutte le prove in contrario; solo quando Parigi fu liberata, il 25 agosto del 1944, il C LN francese fu riconosciuto come Governo de facto; solo il 23 ottobre — e la sincronizzazione con le elezioni presidenziali americane fu perfetta — Roosevelt riconobbe de facto il Governo del C LN come governo provvisorio della Francia. Tuttavia egli continuò ad opporsi alla partecipazione di de Gaulle alla Conferenza di Yalta del febbraio del 1945 (33).

(30) Ibid., pp. 275 e ss; D wight D. E isenhower, Crusade in Europe, Garden City, Doubleday and Co., Ine., 1948, pp. 296-297.

(31) V igneras, op. cit., pp. 305-306.(32) F u n k , op. cit., p. 274.(33) H erbert F e is , Churchill, Roosevelt, Stalin, Princeton, Princeton University

Press, 1957, pp. 320-322; 470-471, 477.

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Sinora nessuno dei timori del Presidente aveva preso corpo. De Gaulle non agiva come un dittatore (nel 1944), la guerra civile non era scoppiata, le forze comuniste, che facevano parte della Re- sistenza interna, non avevano sfidato il CLN , il Consiglio Nazionale della Resistenza non rivaleggiava col CLN per il potere politico. Il Governo provvisorio di de Gaulle comprese un vasto campionario delle forze politiche francesi: comunisti, socialisti, MRP, radicali, rappresentanti della C G T e indipendenti. Proprio prima della data del riconoscimento i tre quarti della Francia erano ormai nella Zona Interna, e con questa espressione si voleva significare che erano fuori dall’area dei combattimenti e soggetti quindi alla giurisdizione e all’amministrazione del Governo del C LN (34).

Si potrebbe pensare che 1 problemi dell’America cori la Resi' stenza Francese fossero così finiti; ma non sarebbe esatto. Almeno due questioni restavano insolute: l ’impiego da farsi dei partigiani dopo la liberazione del territorio e la ricostruzione di un esercito francese a scopi imperiali. N ell’agosto 1944 gli Inglesi si dimostra- rono interessati ad armare i partigiani francesi per 1 compiti dell’oc­cupazione della Germania a guerra finita, ma gli Americani re­spinsero questa politica britannica. Non eravamo preparati ad af­frontare la questione dell’assestamento militare post-bellico, ma eravamo disposti ad equipaggiare divisioni di partigiani francesi perchè combattessero contro 1 Tedeschi e aiutassero a vincere la guerra in Europa. Però i nostri capi militari si rendevano conto che ci sarebbe voluto circa un anno per equipaggiare e addestrare al combattimento nuove divisioni francesi, mentre ci si aspettava che la guerra in Europa finisse molto prima; e cosi gli Americani tem­poreggiarono e resistettero a tutte le richieste francesi (35). Tuttavia al tempo della controffensiva tedesca delle Ardenne, nel dicembre 1944 (Battle of the Bulge) Eisenhower pretese perentoriamente un maggior numero di divisioni francesi. Immediatamente tutte le obbiezioni in seno al Comando Interalleato caddero e fu data la autorizzazione ad equipaggiare altre otto divisioni formate di parti­giani, altre truppe di polizia e altre unità aeree (36).

Tuttavia i Francesi rimasero insoddisfatti, perchè avevano

(34) F u n k , op. cit., pp. 289, 293-294.(35) V igneras, op. cit., pp. 307-309, 317-318.(36) Ibid., p. 335.

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sperato in un’autorizzazione più ampia. Dietro alle richieste di de Gaulle c’era l ’intenzione di montare una vasta campagna per la riconquista dell'impero francese nell’Estremo Oriente. Questa in- tenzione urtava apertamente con i sentimenti antimperialisti del Presidente americano. E ’ vero che fin dal novembre 1942 il con- sole americano al Marocco, Robert Murphy, aveva assicurato in una lettera al generale Giraud che la sovranità francese sarebbe stata ristabilita in tutti i territori della Repubblica, metropolitani e colo­niali; ma questa assicurazione non corrispondeva alla politica di Roosevelt, il quale era deciso a non garantire a nessuno imperi coloniali (37). La disputa franco-americana si trascinò a lungo, ma fino al febbraio 1945 il Presidente si rifiutò di aiutare i Francesi e le forze indigene di resistenza in Indocina. Solo allora, finalmente, egli modificò la sua posizione e acconsentì ad appoggiare il movi­mento clandestino nella colonia, a patto però che non si interpre­tasse il suo gesto come un riconoscimento ufficiale da parte degli Stati Uniti di interessi francesi in quel paese (38). Indubbiamente, l’insistenza di de Gaulle, fin dal principio-, perchè si ricostituissero tutti i possedimenti francesi (39) influenzò molto il rifiuto di Roo­sevelt a riconoscere il CLN francese come Governo provvisorio. Roosevelt vagheggiava il progetto di affidare a una tutela interna­zionale le terre coloniali (40).

Dopo la morte di Roosevelt e la fine della guerra in Europa, il suo successore, Harry Truman, accondiscese al principio che la partecipazione francese alla campagna nell’Estremo Oriente fosse limitata alle sue possibilità di attuazione. Le truppe francesi dove­vano essere composte di volontari, ex-partigiani e no, e sottoposte al comando militare degli Stati Uniti ed erano quindi tenute a combattere dove ne avessero avuto l’ordine, non necessariamente in Indocina. L ’accettazione americana di queste forze francesi perven­ne il 19 luglio 1945, ma prima che potessero essere precisati i parti­colari dell’equipaggiamento di questi corpi volontari la guerra nel­l’Estremo Oriente finì (41).

(37) Fu n k , op. cit., pp. 36-37.(38) ViGNERAS, op. cit., pp. 394-395.(39) Charles de Gaulle, The Call to Honour, New York, The Viking Press,

1955- P- 95-(40) F u n k , op. cit., pp. 268-269.^41) V igneras, op. cit., pp. 268-269.

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L ’ultimo urto fra Americani e Francesi filoimperialisti della Resistenza ebbe luogo a proposito dell’Italia, quando le forze fran- cesi entrarono in Piemonte e nella Val d’Aosta varcando la linea originariamente fissata per la loro occupazione. Gli sforzi americani ed inglesi per persuadere i Francesi a ritirarsi fallirono; il coman­dante francese arrivò a minacciare di sparare sulle truppe americane che si fossero opposte all’occupazione. Truman ingiunse senza in­dugio al comandante americano in Italia di evitare urti violenti con le forze francesi, ma il 6 giugno ordinò al generale Eisenhower di interrompere qualsiasi rifornimento alle forze francesi, ovunque si trovassero. Quattro giorni dopo de Gaulle capitolò e fu concluso un accordo: le truppe furono ritirate al di qua del confine fran­cese (42).

L ’aver sottolineato i conflitti americani con il movimento fran­cese della Resistenza non deve farci dimenticare la consuetudine gior­naliera di una cooperazione militare ed economica, che continuò pure nel corso di tutti questi anni di discordia politica. Gli Stati Uniti diedero equipaggiamento e rifornimenti per otto divisioni francesi e per 300 unità complementari arruolate in Africa e as­sommanti ad un totale di 250.000 uomini; provvidero parziale equipaggiamento per altre 3 divisioni e 40 unità ausiliarie per un totale di 50.000 uomini raccolti fra i partigiani della Francia conti­nentale prima che la guerra finisse. L ’America forni ancora equi- paggiamento per diciannove squadre aeree più sessanta unità com­plementari, per un totale di 20.000 uomini; aiutò a ricostituire la flotta francese e provvide vestiario, rifornimenti e macchinario per riorganizzare le forze francesi territoriali del Nord Africa, per un complesso di più di 200.000 uomini. Gli aiuti « affitti e presti­ti » dati alla- Resistenza francese occupano il terzo posto per impor­tanza dopo quelli concessi al Commonwealth britannico e alla U RSS. In termini monetari furono spesi in totale 2.842.000.000 (1945) di dollari americani, mentre la Francia a sua volta ottenne, in aiuti « affitti e prestiti », 868.000.000 di dollari (43).

Senza dubbio Roosevelt commise penosi errori nei suoi rapporti col C LN francese permettendo che l’antipatia personale per il ge­nerale de Gaulle facesse velo al suo giudizio; ad esempio sbagliò

(42) Ibid., pp. 368-369.(43) Ibid., pp. 401-402.

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nel valutare le correnti politiche in azione, e nel Nord Africa e in Francia si appoggiò a militari deboli e politicamente incompetenti come il generale Giraud. Il giudizio politico britannico sugli affari francesi appare molto più acuto,* tuttavia Churchill non prese mai decisioni importanti se non d’accordo con Roosevelt (44); quindi l’ostinazione del Presidente ridusse per gli Inglesi le possibilità di far sentire la loro influenza. Però, guardando le cose a posteriori, non risulta nemmeno che tutti i giudizi di Roosevelt fossero errati, specialmente alla luce dei successivi eventi dell’ impero francese di oltremare.

La lunga esperienza con le forze della Resistenza francese in­fluenzò Patteggiamento americano verso altri movimenti di resistenza ed indusse a sospettare delle loro intenzioni e delle persone di coloro che li rappresentavano; nemmeno l’evidenza del comportamento e dei fatti riuscì talvolta a travolgere questi sospetti. Nel caso dell’ Ita­lia furono fatti alcuni tentativi per incoraggiare gli esiliati antifasci­sti a sviluppare un’organizzazione di resistenza con le relative forze armate. Nell’estate 1942 il Dipartimento di Stato appoggiò un ten­tativo del Conte Carlo Sforza di costruire una potenziale organizza­zione per la liberazione, promuovendo la convocazione di un con­gresso antifascista a Montevideo, nell’Uruguay. Il Congresso decise di costituire una Legione Italiana, analoga alle Forze Francesi com­battenti, sotto il comando di Randolfo Pacciardi, che aveva co­mandato un’unità italiana antifascista al tempo della Guerra Civile in Spagna. Però pochi volontari si presentarono, e d’altronde, nella primavera 1943, gli Alleati avevano deciso di amministrare diret­tamente con un governo militare qualsiasi parte del territorio italiano venisse conquistata (45).

Fino ad allora le trasmissioni-radio americane per l ’Italia ave­vano lodato Casa Savoia e concentrato i loro attacchi personalmente contro Mussolini, facendo ben poco per incoraggiare gli oppositori del fascismo in Italia a lottare contro il regime. Però nella primavera 1943 si rilevarono i primi cambiamenti d’atteggiamento: i pro­grammi ad onde corte cominciarono ad incoraggiare le forze sinda- caliste e socialiste in territorio italiano e a denunciare la Famiglia Reale e tutto quanto il sistema fascista. Dalla Svizzera Allen Dulles

(44) D e Gaulle , op. cit., pp. 232-233.(45) N orman K ogan, Italy and the Allies, Cambridge, Harvard University Press,

1956, pp. 20-21.

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fece giungere i primi fondi ai capi del movimento clandestino ita­liano (46). Ma fra ile autorità americane regnava una spaventosa igno­ranza su ciò che stava accadendo in Italia. Sebbene si incoraggiasse l’opposizione interna a Mussolini, non ci si aspettava che essa sarebbe riuscita molto efficace e, quando il colpo di stato monarchico del 25 luglio 1943 rovesciò il regime di Mussolini, in America si rimase increduli e non ci si rese conto di quale fosse l’atteggiamento popo­lare esistente sotto alla superficie; perciò si fu impreparati a cogliere le occasioni che improvvisamente si erano offerte (47).

La capitolazione del Governo regio italiano agli Alleati, l’8 set­tembre 1943, e l’ invasione della penisola pochi giorni dopo, culminate con la conquista di Napoli nell’ottobre, aprirono la prima crisi politica nei rapporti con le forze della Resistenza. Gli Americani e gli Inglesi si erano impegnati ad appoggiare il re. Il Comitato napoletano di Liberazione Nazionale, dopo essersi dap­prima dichiarato disposto a collaborare con Vittorio Emanuele III e col suo Primo Ministro, il Maresciallo Pietro Badoglio, cambiò parere sotto l’influenza di uomini come Benedetto Croce, Carlo Sforza ed i membri del Comitato romano di Liberazione Nazionale, ancora bloccato dietro le linee tedesche, e chiese l’abdicazione del re e del principe ereditario e la costituzione di una reggenza per il nipote del re; allora il C LN sarebbe stato pronto a formare un Gabinetto per governare la piccola parte d’Italia non posta diretta- mente sotto il controllo dell’AM G. Gli Americani appoggiarono la proposta della reggenza, ansiosi di far entrare i capi del C LN nel Governo italiano, e pretesero sia dal re che dagli Inglesi la promessa che, alla fine della guerra, il popolo italiano avrebbe potuto sce­gliersi quella forma di governo che desiderava. Gli Inglesi appog­giarono il re; Vittorio Emanuele rifiutò di abdicare e gli Americani desistettero, accettando di rimandare la decisione (48).

Dietro questa ritirata americana, così strana se la si confronta con la ostinazione di Roosevelt nei confronti dei Francesi, stava la consuetudine nostra di riconoscere la leadership britannica nel Mediterraneo. Per usare le parole del Sottosegretario di Stato,

(46) Ibid., p. 20.(47) G eorge C. S. Benson and Maurice N eufeld , American Military Government

in Italy, in Carl J. Friedrich (et. al.), American Experiences in Military Government in World War II, New York, Rinehart and Co., Ine., 1948, pp. 1 1 1 - 1 12 .

(48) K ogan, op. cit., pp. 50-52.

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Sumner Welles: « perno della nostra politica era il riconoscimento della preponderanza degli interessi inglesi nel teatro italiano. Fu convenuto perciò che nell’organizzazione militare, come in quella politica, l’America fosse rappresentata in misura ” grosso modo ” equivalente a quella dell’Inghilterra, ma che l’autorità degli Stati Uniti fosse supplementare più che pari all’autorità della Gran Bretagna » (49).

I tentativi del Croce e di un certo generale Pavone, nell’ottobre 1943, per formare un esercito partigiano indipendente dal Governo regio, erano stati incoraggiati dal generale americano William Do- novan, capo dell’OSS, ma non ci sono prove che questo piano sia mai uscito dalla cerchia dei circoli OSS. Badoglio fece di tutto presso il Quartier Generale Alleato perchè le formazioni di Pavone venis- sero disciolte (50).

Nella primavera 1944 i capi del CLN dell’Italia meridionale offrirono di rinunciare alla loro richiesta di abdicazione da parte del principe ereditario, ma non a quella da parte del re. Erano pronti a creare una Luogotenenza Generale del Regno sotto il .nuovo re Umberto II e a formare successivamente un Governo. Gli Stati Uniti accettarono questa proposta, mentre gli Inglesi la respinsero. La lotta che ne seguì fra Americani e Britannici fu interrotta daL l’improvviso riconoscimento del Governo di Vittorio Emanuele da parte dell’Unione Sovietica. Poco dopo, il ritorno dall’esilio in Russia del capo del Partito Comunista Italiano, Paimiro Togliatti, ruppe il fronte antifascista e condusse al nuovo compromesso della Luo- gotenenza di Umberto sotto il padre. Nell’aprile 1944 fu formato il Governo del C LN con Badoglio ancora Primo Ministro, grazie alle insistenze inglesi (51).

II problema dei partigiani non fu pressante fino alla tarda pri­mavera ed ai primi dell’estate 1944, perchè le truppe alleate non combattevano ancora in territorio partigiano. Solo nell’estate 1944 le avanzate alleate nell'Italia centrale misero a fuoco il problema con maggior acutezza. Inoltre in questo momento stava venendo a maturazione il processo di unificazione delle forze partigiane. Le unità furono divise in gruppi comandati da ufficiali dell’esercito sbandati e

(49) Sum ner W elles , Where Are We Heading?, New York, Harper and Bro­thers, 1946, p. 130.

(50) K ogan, op. cit., pp. 99-100.(51) Ibid., pp. 55-65.

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in gruppi guidati da capi dei partiti appartenenti al CLN . Gli ufficiali alleati del servizio informazioni incoraggiarono i vani tentativi compiuti da Badoglio perchè i militari prendessero nelle loro mani tutto il movimento partigiano.

1 capi militari alleati, inclusi gli Americani, non avevano fi­ducia nei partigiani, e per un naturale disgusto verso le forze irre­golari e per la prevalente intonazione politica di sinistra del movi­mento. Tuttavia avevano bisogno di informazioni e di azioni di sa- botaggio, che i partigiani potevano fornire e compiere. A mano a mano che le bande partigiane aumentavano di forza e meglio si coordinavano, allargavano anche i propri orizzonti: volevano crea­re eserciti organizzati, occupare vasti territori e governarli — e ciò apriva le porte alla possibilità che si formasse un altro governo in competizione con quello riconosciuto nel Sud, cosa che gli Americani non volevano più di quanto non la volessero i Britannici. Ufficiali dell’AM G, responsabili dell’amministrazione delle cittadine di re­cente occupate, non desideravano certo che la loro autorità venisse sfidata da unità partigiane che avanzassero la pretesa di governare una zona liberata. Si temette anche che i comunisti assumessero posizioni di governo per incarico dei comandi partigiani. Tutto que­sto era già successo in Jugoslavia e in Grecia (52).

L ’azione alleata non riuscì a impedire l’unificazione partigiana dietro le linee tedesche e, nel gennaio 1944, i cinque principali partiti politici del nord organizzarono un Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia (CLNAI), e furono riconosciuti dal C LN romano come « governo straordinario del Nord « (53). Questo rico­noscimento non implicò quello del Governo italiano e degli Alleati. D ’altronde, nell’estate 1944, gli Alleati operavano ormai in zona partigiana e si imponeva una decisione. In favore dell’organizzazione partigiana italiana militavano due fattori: primo, parte delle truppe anglo-americane stavano per essere distaccate dalla penisola per andare a combattere su altri fronti e, secondo, l’aiuto dato dai parti­giani francesi in Bretagna e, soprattutto, nella Francia meridionale, stava a dimostrare l’utilità militare degli eserciti partigiani. Queste considerazioni militari travolsero le esitazioni politiche, e fu presa la decisione di estendere ed incoraggiare l’aiuto alle formazioni ir-

(52) C. R. S. H arris, Allied Military Administration of Italy 1943-1945, London, H. M. S. O., 1957, p. 276.

(53) FRANCO Catalano, Storia del C. L. N . A . I., Bari, Laterza, 1956, pp. 113 -114 .

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regolari. Nell’agosto, il generale Raffaele Cadorna era giunto in volo a Milano per assumere la direzione militare del Corpo Volontari della Libertà, lo strumento militare del C LN A I (54).

Rimanevano da risolvere i problemi politici a Roma e nel Nord. Roma fu occupata il 5 giugno 1944 e il C LN romano aveva formato un nuovo Governo, allontanando Badoglio, nonostante le obbiezioni inglesi. Le pressioni americane su Vittorio Emanuele costrinsero il re a proclamare la Luogotenenza di Umberto e a non ritornare nella capitale (55). L ’America non aveva neanche appog­giato il permanere di Badoglio nel Gabinetto e aveva protestato contro il veto di Churchill alla nomina di Sforza a Ministro degli Esteri (56). Nell'autunno 1944 Churchill tentò di introdurre altri elementi conservatori, estranei al CLN , nel Gabinetto italiano, ma gli Americani si opposero, dichiarando che il C LN era per il mo­mento il corpo più rappresentativo della volontà del popolo italia­no (57). Nel settembre e ottobre 1944, in conseguenza delle pros­sime elezioni presidenziali americane, Roosevelt insistette per il pieno riconoscimento diplomatico del Governo italiano nonostante le opposizioni inglesi. Il 26 ottobre fu dato l’annuncio del pieno ristabilimento dei rapporti diplomatici fra gli Stati Uniti e l’Italia, anche se l’ Inghilterra si rifiutò di seguire l’esempio (58).

Alla fine d'agosto, dietro le linee tedesche, il C LN A I aveva affermato di rappresentare il Governo italiano nel territorio occupato dai Germanici. Nè la Commissione Alleata in Italia nè i G-5 al Quartier Generale Alleato erano disposti a concedere questo rico­noscimento ufficiale, per timore degli urti che ne sarebbero venuti con l’AM G (59). Nel novembre 1944 furono aperti negoziati fra i rappresentanti del C LN A I — Pizzoni, Parri e Pajetta — e il maresciallo Wilson, comandante alleato nel Mediterraneo. Il 7 di­cembre 1944 fu raggiunto un accordo in forza del quale i capi par­tigiani acconsentirono a riconoscere l’A M G come autorità di governo nell’Italia settentrionale, dopo la sconfitta dei Tedeschi, e a conse-

(54) K ogan, op. cit., p. 105.(55) Cordell H u l l , The Memoirs of Cordell Hull, Vol. II, New York, The

Macmillan Co., 1948, p. 1563.(56) Ibid.(57) K ogan, op. cit., p. 93.(58) I bid., p. 84.(59) H arris, op. cit., p. 276.

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gnare le loro armi; in cambio gli Alleati specificarono l’aiuto finan­ziario e militare che sarebbe stato fornito al movimento clandestino. Fu raggiunta l’intesa che l’AM G avrebbe approvato tutte le no­mine politiche del C LN A I, eccetto quelle che avessero incontrato difficoltà da parte del normale controllo dei servizi di sicurezza (60). Il 6 dicembre 1944 fu stipulato un accordo fra il CLN A I e il Governo di Roma, in forza del quale il Governo delegò il CLN A I ad agire in suo nome nel nord, mentre il C LN A I riconobbe la vali­dità vincolante dei termini dell’armistizio firmato dallo sconfitto Governo regio nel settembre 1943 (61).

Gli accordi raggiunti nel dicembre 1944 avrebbero dovuto assi­curare gli Anglo-Americani che le forze partigiane italiane non volevano sfidare l’autorità legale dell’AM G nè tentare un rovescia­mento rivoluzionario del Governo italiano riconosciuto. Tuttavia permaneva un certo timore sulle intenzioni partigiane, più però presso gli Inglesi che presso gli Americani. La sollevazione dell’ELA S in Grecia contro le forze britanniche ed il ritorno del Governo Greco nell’inverno ’44-’45, causarono, il 4 febbraio 1945, un ordine dello Special Force Britannico in Italia (non però degli Americani) « di scoraggiare l'indiscriminata distribuzione di arma­menti ai partigiani » (62). Il Comando Alleato considerò anche con un certo allarme i progetti del C LN A I di lanciare una solleva­zione nel nord contro i nazisti in coincidenza con l’entrata degli Anglo-Americani nella Valle Padana. Gli Alleati preferivano che i partigiani del nord proteggessero gli impianti industriali e i pubblici servizi piuttosto che impegnarsi in una rivolta armata (63); comun­que, le preferenze alleate non furono decisive; la sollevazione ebbe luogo e con un successo sorprendente.

A guerra finita, i partigiani d’Italia costituirono un problema di ordine pubblico, ma di modesta portata; qualsiasi minaccia di ri­voluzione fu presto dissipata. Non tutte le armi vennero restituite ai depositi alleati, come era stato richiesto; però, in generale, le pro­messe politiche, che erano state fatte, furono mantenute. Commis-

(60) K ogan, op. cit., pp. 106-107.(61) Ibid.(62) Enciclopedia Italiana, Appendice, II, I-Z, Roma, Istituto Poligrafico dello

Stato, 1949, p. 689.(63) H arris, op. cit., p. 282; Raffaele Cadorna, La Riscossa dal 25 luglio alla

Liberazione, Milano, Rizzoli, 1948, pp. 237-244.

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sari regionali alleati confermarono le designazioni del C LN A I, ed il colonnello Poletti, commissario per la Lombardia, fece in modo che i decreti del C LN A I restassero in vigore anche dopo che l’AM G aveva assunto il controllo nel nord, salvo nel caso che precisi ordini dell*AMG li cassassero (64).

E ’ interessante, a questo punto, fare qualche raffronto fra l’atteggiamento tenuto da Roosevelt verso il Comitato di Libera­zione Nazionale francese e quello verso il C LN italiano. Il Presi­dente fu molto meglio disposto verso il C LN italiano che verso quello francese, tanto che, nelle discussioni avute con gli inglesi nell’autunno 1944, egli ebbe a dichiarare che esso era il corpo più rappresentativo dell’opinione pubblica italiana, mentre continuò a negare, anche dopo prove schiaccianti del contrario, che altrettanto fosse del CLN francese nei confronti dell’opinione pubblica di Francia. Egli temeva che scoppiasse una guerra civile in Francia, una volta distrutta la potenza tedesca, e invece si preoccupò molto meno di una possibile guerra civile in Italia. In realtà il suo prin­cipale timore era che de Gaulle e il CLN francese stabilissero una nuova dittatura in Francia, mentre una simile eventualità in Italia non lo preoccupava. Qualsiasi spiegazione di questa diversità di atteggiamento deve rimanere allo stato di ipotesi. Forse le forze e le situazioni partigiane erano nei due paesi abbastanza differenti da giustificare una differente conclusione. Ciononostante l’antago­nismo personale fra il capo della Repubblica Francese ed il Presi­dente fu — lo si intuisce — un fattore considerevole nel modo di­verso con cui Roosevelt giudicò le organizzazioni della Resistenza nei due paesi (65).

Vorrei passare ora ad occuparmi della politica americana verso i movimenti di resistenza in Polonia, Jugoslavia e Grecia. In tutte e tre i casi il Governo americano riconobbe i Governi in esilio, Governi di tipo conservatore e nazionalista, residenti a Lon­dra e al Cairo. In tutti e tre questi casi sorsero organizzazioni resi­stenti rivali fra loro, che traevano ispirazione, da una parte, dal Governo in esilio e, dall’altra, dal movimento comunista con suo centro nell’Unione Sovietica.

(64) H arris, op. cit., p. 312.(65) Un’altra spiegazione potrebbe essere costituita dall’ influenza dei voti italo-

americani sulla politica americana. Assolutamente non confrontabile il peso dei voti franco-americani, anche se però non si deve dimenticare che il CLN francese godeva di grandi simpatie presso i liberali e gli antifascisti americani.

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L ’atteggiamento fondamentale dell’America verso l’Europa orientale fu che quell’area era fuori dalla sfera degli interessi degli Stati Uniti; non si doveva perciò concretare una politica ufficiale sui problemi dell’Est europeo; meglio lasciare che la direzione di tutte queste faccende l’assumesse la Gran Bretagna, salvo nei casi in cui venissero offesi i sentimenti del popolo americano. Ad esem- pio, nel caso della Polonia, l’esistenza di una cospicua comunità polacco'americana negli Stati Uniti, con molti voti a sua dispo­sizione, tendeva a contrastare questa politica di disinteressamento.

Coerentemente con questo atteggiamento, nel settembre 1943, gli Stati Uniti respinsero una richiesta del Governo polacco in esilio di mandare una missione in Polonia ad investigare la situa­zione del movimento clandestino, complicata dalle competizioni fra i vari gruppi della Resistenza. Evidentemente Roosevelt non desiderava mettersi in urto con Stalin (66). Alla Conferenza di Teheran egli rifiutò di impegnarsi in un modo o nell’altro negli sforzi di Stalin per rivedere i confini polacchi verso l’occidente, ed i Sovietici interpretarono questa reticenza come una tacita ap­provazione delle loro pretese (67). Anche se io non sono qui fon­damentalmente interessato allo spinoso problema diplomatico delle frontiere polacche, devo ammettere che esso incise indirettamente sul problema della Resistenza.

Nell’ottobre 1943 gli Stati Uniti avevano accondisceso a for­nire equipaggiamento e rifornimenti militari all’esercito nazionale polacco agli ordini del generale Bor, forza resistente fedele al Go­verno in esilio a Londra. L ’incarico di consegnare il materiale al movimento nazionalista in Polonia spettò all’ Inghilterra. Poche settimane dopo, alla Conferenza di Mosca dell’ottobre 1943, i So­vietici protestarono contro quelle consegne e gli Stati Uniti (e l’ In­ghilterra) cedettero; il materiale promesso cessò di affluire (68).

Fino al giugno 1944 Roosevelt cercò di tenersi fuori dalla lotta fra le due fazioni polacche, mentre i sovietici sostennero quella parte che ebbe poi il nome di Polacchi di Lublino (69). L ’azione americana tendeva a premere su Stalin perchè si mode-

(66) E dward J. Rozek, Allied Wartime Diplomacy. A Pattern in Poland, New York, John Wiley and Sons, Ine., 1958, pp. 153-154.

(67) Fe is , op. cit., p. 460.(68) Rozek, op. cit., p . 145.(69) Fe is , op. cit., p. 375.

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rasse, ma il Presidente non corroborò quella pressione esercitando una qualsiasi influenza politica o militare. Nell’estate 1944 Roose­velt si accordò con Churchill per dividere le responsabilità di tener d’occhio i singoli paesi. Alla Gran Bretagna furono, per così dire, affidati quelli dell’Europa orientale inclusa la Polonia (70). Più tardi, quello stesso autunno, Churchill strinse il ben noto accordo con Mosca riguardante l’ influenza1 britannica e sovietica da eser­citare nell’Europa orientale e nei Balcani.

Alla fine del giugno 1944, dopo l’adesione data da Mikolajczyk, il Primo Ministro polacco di Londra aderì a recarsi a Mosca per cercare un accordo con Stalin sulla questione delle frontiere e sulla composizione di un nuovo Governo polacco, gli Stati Uniti ripre­sero ad inviare aiuti militari all’esercito polacco metropolitano (71). Pressapoco in quell’epoca gli eserciti sovietici entrarono in Polonia lungo la loro avanzata su Berlino. Seguì, in agosto, la famosa rivolta di Varsavia. L ’esercito polacco scatenò un’insurrezione con­tro i nazisti nella capitale, mentre i sovietici arrestarono la loro avanzata. Gli inglesi tentarono di rifornire gli insorti dalle basi italiane; Mikolajczyk chiese anche agli americani di fare altrettanto dalle basi francesi. Solo dopo una settimana Roosevelt finalmente acconsentì a mandare rifornimenti e armamenti a Varsavia per via aerea. Furono anche richiesti apparecchi americani per bombar­dare le posizioni tedesche intorno alla città; ma per fare questo gli aeroplani avrebbero dovuto proseguire per la Russia (facendo la spola) e atterrare negli aeroporti sovietici; i russi rifiutarono l’atterraggio agli apparecchi. Churchill era pronto a mandarli ugual­mente, perchè sperava che gli alleati orientali non avrebbero osato persistere nel loro atteggiamento, ma Roosevelt rifiutò di mettere Stalin di fronte al fatto compiuto. In quell’occasione si ebbe la prima netta presa di posizione verbale dèi Presidente nei confronti della questione polacca; però nemmeno allora egli fu disposto a mandare aerei, stante il rifiuto sovietico di accoglierli.

Nelle settimane che seguirono la discussione continuò, mentre l’esercito polacco di Polonia veniva lentamente decimato. Il io set­tembre 1944 Roosevelt e Churchill rivolsero un appello congiunto a Stalin perchè permettesse agli aerei anglo-americani di aiutare

(70) Rozek, op. cit., p. 267.(71) lbid., p. 227.

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i resistenti di Varsavia. E finalmente l’approvazione russa venne, e il 18 settembre gli aerei degli Stati Uniti paracadutarono rifor­nimenti alla capitale polacca. Ma era ormai troppo tardi perchè l’aiuto servisse veramente alla resistenza di Varsavia (72).

Con questo episodio termina l’ interesse americano al proble­ma della Resistenza polacca. Roosevelt indubbiamente provò col­lera e disgusto per tutta questa faccenda, ma fu soprattutto in­fluenzato dalla preoccupazione di perdere i voti « polacchi » nelle elezioni in programma per la prima settimana del novembre 1944 (73). Concluse le elezioni, egli preferì rimandare qualsiasi regolamento dei problemi politici polacchi a dopo la fine della guerra (74). Solo agli ultimi di marzo del 1945, proprio poche settimane prima di morire, crollate tutte le speranze di un asse­stamento nell’Europa orientale che si basasse sul principio del- l’autodeterminazione, quale era stato formulato nella dichiarazione di Yalta, il Presidente si tuffò letteralmente, con tutte le sue forze, nella questione polacca (75). Ma ormai questo, da problema della Resistenza, era diventato un problema di alta politica, e non ci spetta di considerarlo in questa sede.

Passando ora dalla Polonia alila Grecia, troviamo da parte americana una diffidenza consimile. La posizione del Presidente e dei suoi collaboratori era che i Balcani e le loro complicazioni fossero al di fuori della vera e propria sfera d’azione degli Stati Uniti (76). La Grecia era sempre stata per tradizione nell’ambito dell’ influenza inglese. Le intese raggiunte nel gennaio 1943 a Ca­sablanca fra Americani e Britannici avevano assegnato il Mediter­raneo orientale soprattutto all’attività inglese. L ’accordo dell’esta­te 1944, prima ricordato, aveva confermato questa intesa; persino i Russi avevano accettato il predominio britannico negli affari greci (vedi l’accordo stretto da Churchill nell’autunno del 1944).

Anche in Grecia ritroviamo il quadro di due gruppi resistenti in competizione fra loro, l ’ED ES nazionalista, fedele al Governo in esilio, e l ’ELA S, guidato dai comunisti. Talune forze dell’ED ES

(72) Fe is , op. cit., pp. 386-388; Rozek, op. cit., pp. 251-255.(73) Rozek, op. cit., p. 177.(74) Lettera a Mikolajczyk, datata il 17 novembre 1944, citata in: Ibid., p. 3 13 .(75) Fe is , op. cit., p. 575.(76) H enry Stimson a McGeorge Bundy, On Active Service in Peace and War,

New York, Harper and Brothers, 1948, p. 609; K ent Roberts G reenfield (et. al.). Command Decisions, New York, Harcourt, Brace and Co., 1959, p. 299.

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avevano perfino collaborato con le truppe occupanti ai danni del gruppo rivale (77). Il comando dell’ED ES dipendeva dal Quartier Generale britannico del Medio Oriente e dal Governo ellenico in esilio, ma spesso nè questo nè quello controllavano le attività che si svolgevano sul territorio greco. Nel 1944, oltre a prendere armi dagli inglesi, vari gruppi dell’ED ES, ricevettero piccoli aiuti dai tedeschi per usarli contro i loro nemici dell’ELA S (78).

Nel luglio 1944 le forze dell’ED ES mutarono improvvisa' mente fronte e aprirono le ostilità contro la Germania. E allora 5000 rinforzi greci, addestrati nel Medio Oriente, furono traspor­tati in Grecia dagli Inglesi, in appoggio all’EDES. Nel settembre- ottobre 1944 i nazisti abbandonarono la Grecia e l’ELA S si gettò nella guerra civile; le truppe britanniche vennero aviotrasportate nel sud della penisola ellenica per prendervi il loro posto di com­battimento (79).

La conoscenza di questi precedenti è necessaria per capire il comportamento americano; infatti, fu a questo punto che gli Stati Uniti entrarono nella lotta politica greca. Roosevelt aveva accon­sentito, nel settembre 1944, a che si usassero aerei americani per trasportare truppe britanniche in Grecia allo scopo di impedire, se necessario, che l’E L A S si impadronisse di tutto il paese (80). Egli sperava che ciò non sarebbe stato necessario e che la presenza degli Inglesi avrebbe posto fine al conflitto fratricida e condotto alla pacifica formazione di un Governo di coalizione. Il suo otti­mismo si dimostrò ingiustificato; i tentativi di formare una coali­zione fallirono ed i combattimenti ripresero. A questo punto i Britannici attaccarono l’E L A S e soffocarono temporaneamente l’op­posizione comunista (81). L ’uso di forze armate contro i partigiani che avevano combattuto i Tedeschi era davvero troppo per il Go­verno americano, ed ebbe luogo la famosa protesta pubblica cui feci cenno poco fa, tanto più che questi avvenimenti coincisero con un comportamento consimile, da parte degli Inglesi, nel Belgio e col veto al Conte Sforza in Italia. Nella primavera del 1947,

(77) Robert M. K ennedy, German Anti-Guerrilla Operations in the Balkans, Washington, Department of the Army, 1954, p. 75.

(78) Ibid., pp. 32, 56.(79) Ibid., pp. 59-64.(80) Fe is , op. cit., p. 425.(81) New York Times, 6 dicembre 1944.

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meno di tre anni dopo, il Governo degli Stati Uniti avrebbe ripe- tuto in Grecia la politica britannica.

Se ora ci volgiamo un po’ verso nord, troviamo in Jugoslavia una situazione sotto certi aspetti paragonabile a quella greca. Am che là c’erano due organizzazioni di resistenza in lotta fra loro, i nazionalisti serbi, comandati da Mihailovic, fedéle al Governo in esilio ed i partigiani dominati dai comunisti e guidati dal ma­resciallo Tito. Di nuovo ci troviamo ad esaminare la sorte di un paese dalla cui politica gli Stati Uniti avevano deciso di estra­niarsi; l’area era di interesse britannico e nemmeno i Russi vi mandarono una missione se non alla fine del 1944.

Fino al luglio 1943 gli aiuti inglesi erano andati alle forze di Mihailovic, che però collaborava anche con gli occupanti italiani e tedeschi ai danni dei partigiani di Tito. Quando, nel settem­bre 1943, l’ Italia capitolò, le forze di Tito si impadronirono di molte armi delle truppe italiane dislocate nel paese e in quello stesso mese Churchill mandò il brigadiere Fitzroy Maclean al quartier generale di Tito per vedere se fosse 0 no il caso di aiutare i partigiani {82). A l tempo della Conferenza di Teheran, del di­cembre 1943, Churchill aveva deciso di concedere ogni aiuto a Tito per la ragione che egli era l’unico che combattesse il nemico, e in quella Conferenza ricevette la piena approvazione di Roosevelt alle sue decisioni (83). Da allora le relazioni fra le forze di Tito e gli Alleati si fecero sempre più strette, però rimasero sempre sotto la responsabilità degli Inglesi. Nell’autunno 1944 la Jugoslavia fu divisa in settori operativi con un comandante partigiano e un ufficiale inglese, responsabili di ciascun settore (84).

Gli Stati Uniti non entrarono nel quadro di questa situazione in misura degna di nota se non proprio alla fine della guerra, quando i partigiani di Tito tentarono di invadere la Venezia Giulia ed il suo centro principale, Trieste. Il punto di vista americano, dall’autunno 1944, era stato che i territori italiani in discussione dovessero essere occupati dall’AM G fino a che ne avesse deciso il trattato di pace. Gli Inglesi furono d’accordo sul principio, ma avevano i loro dubbi circa la possibilità di governare, in pratica,

(82) F itzroy Maclean, Escape to Adventure, Boston, Little Brown and Co., 1950, p. 223.

(83) Ibid., p. 309.(84) Ibid., p. 370.

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le zone orientali della Venezia Giulia. Nella prima parte del 1945 il maresciallo Alexander precisò ai suoi superiori che da un punto di vista militare egli aveva bisogno di controllare la linea di comunicazione fra Trieste e l’Austria, più la base navale di Pola. Però li ammonì sulle conseguenze politiche che avrebbe avuto la concessione ai partigiani jugoslavi di imporre un loro go­verno militare sulla parte orientale della Venezia Giulia. Il Fo­reign Office, alla Conferenza di Yalta del febbraio 1945, propose agli Americani e ai Russi una divisione della regione. Per il momento non gli fu data nessuna risposta (85).

Dietro la mancata risposta gli Americani dissimularono la loro disapprovazione. Dopo Yalta il Dipartimento di Stato insistette di nuovo per il governo dell’AM G in tutta la regione. Alexander riferì questo punto di vista a Tito, le cui forze occupavano già gran parte dell’area contestata, e più tardi gli consigliò un governo tripartito dell’AM G, che includesse anche la Jugoslavia; ma Tito non si pronunciò. Il 2 1 marzo 1945 il Dipartimento di Stato re­spinse di nuovo l’idea di una linea di demarcazione; quando però Alexander chiese agli Americani che cosa si dovesse fare se Tito rifiutava il governo dell’AM G su tutta la regione, non ricevette una risposta precisa (86).

Ancora senza istruzioni, il 26 aprile 1945 Alexander suggerì al Supremo Comando Interalleato di Washington che l’A M G , salvo contrordini, occupasse Trieste e la linea a nord sino all’Austria, la zona ad ovest di questa linea e Pola. Tutti i partigiani di Tito che si trovassero1 in queste aree sarebbero passati sotto il comando dell’AM G. Il 28 aprile il Comando Interalleato mandò ordini ad Alexander di occupare tutta la Venezia Giulia, inclusi Fiume e le isole (eccetto Zara). Si sarebbe chiesto alla Russia di usare la sua influenza presso Tito perchè allontanasse tutte le sue forze dalla Venezia Giulia; però Alexander non fu autorizzato ad usare la violenza nel caso i partigiani avessero opposto resistenza (87).

In realtà i partigiani di Tito cominciarono ad occupare Trieste e altre città dell’ Istria fin dai primi giorni di maggio, mentre truppe neozelandesi si trovavano pure in alcuni quartieri di Trieste e di Gorizia. In altre parole l’occupazione fu duplice e competitiva. Il

(85) H arris, op. cit., pp. 330-331.(86) Ibid., pp. 331-332.(87) Ibid., p. 333.

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9 maggio fu chiaro ad Alexander che, per stabilire il controllo deh l’AM G su tutta la regione ci voleva la forza. Mandò perciò il ge- nerale Morgan a Belgrado ad offrire a Tito la spartizione della Venezia Giulia in zone di occupazione lungo quella che fu poi chiamata la linea Morgan. Tito respinse la proposta e reclamò tutto il territorio, ammassando intanto le sue forze nella zona di­scussa. A questo punto gli Americani si ritirarono anch’essi sulle posizioni britanniche favorevoli alla spartizione, e Truman pre­mette su Stalin perchè questi convincesse il maresciallo ad accet­tare la linea Morgan. Il 15 maggio furono mandate al maresciallo Tito una nota americana ed una inglese che gli proponevano la linea Morgan di demarcazione. Il 20 maggio Truman mandò un telegramma a Stalin, ed il 2 1 Tito aderì alla proposta di sparti­zione. L ’accordo definitivo fu concluso il 9 giugno: Tito avrebbe ritirato le sue truppe dall’area ad ovest della linea Morgan, entro il 12 di giugno. Fu fatta un’eccezione per un solo distaccamento. I partigiani irregolari dell’area dovevano essere disarmati (88). Il problema partigiano era finito; quello diplomatico invece era an­cora molto lontano dalla sua soluzione.

Dal 28 aprile, giorno in cui il Comando Interalleato mandò ordini ad Alexander di occupare tutta la Venezia Giulia, al 9 giu­gno, quando fu concluso l’accordo ufficiale per la spartizione, l ’u­nico elemento costante della posizione americana era stato il rifiuto di usare le armi contro i partigiani jugoslavi. Dietro questo ele­mento si cela un complesso di ragioni, importanti perchè rivelano alcuni dei fondamentali atteggiamenti che informarono la politica americana non solo verso i movimenti partigiani, ma anche verso la guerra in generale. Prima fra tutte ci fu la ragione umana: non uccidere altri uomini, soprattutto uomini che avevano combattuto contro lo stesso nemico. Seconda fu la ragione militare: se si fossero usate le armi contro i partigiani, le truppe americane avrebbero dovuto trattenersi per il loro servizio di occupazione nei Balcani, e invece esse erano necessarie nel Pacifico dove ci si aspettava an­cora una lunga guerra contro il Giappone. In terzo luogo venivano le ragioni politiche: il pubblico americano non avrebbe capito questa lotta contro alleati e la necessità per i soldati di rimanere ad occupare degli stati amici. Aggiungasi infine il forte desiderio

(88) Ibid., pp. 337-342.

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americano di non aggravare la tensione con i Russi. Si riteneva ancora importantissimo ottenere l’aiuto sovietico nella lotta contro il Giappone e si sperava ancora che si potessero gettare le basi della pace futura su una stretta amicizia e cooperazione americano-sovie- tica. Per tutte queste ragioni Truman esitò ad usare la maniera forte con Tito, e solo il 9 maggio si decise a tener duro (89). Quanto a Churchill, era disposto ad adoperare la forza contro gli alleati pur di raggiungere i suoi obbiettivi politici; Truman invece non lo era, ma finalmente si persuase che bisognava resistere a questo arraffamento di terre da parte della Resistenza francese e jugoslava in Piemonte e nella Venezia Giulia, se si voleva rendere possibile una pace ragionevole a conclusione della guerra.

E ’ ora venuto il momento di tirare alcune conclusioni gene­rali sulla politica americana nei confronti dei movimenti di resi­stenza. Ovvia è quella dell’opposizione all’uso delle armi contro le forze resistenti, fossero di sinistra, come nel caso del Belgio, della Grecia e della Jugoslavia, o nazionaliste, come nel caso di de Gaulle. Gli Inglesi non ebbero questa riluttanza; usarono la forza in Grecia e nel Belgio, e il maresciallo Alexander era pronto a fare altret­tanto per cacciare i Francesi dal nord dell’ Italia (90) e gli jugoslavi da Trieste, se fosse stato necessario. Le ragioni di questa posizione americana sono già state precisate. Nel riassunto da me fatto si possono trovare esemplificazioni delle mie iniziali affermazioni sul punto di vista americano.

I precedenti isolazionistici si riflettono nella scarsa volontà americana di interessarsi dei movimenti della Resistenza in molti paesi d’Europa. Solo con riluttanza, nell’ultimo anno, e in misura limitata, noi ci lasciammo alla fine indurre a metterci mano. Dietro questa riluttanza stava il timore di comprometterci con la politica interna di molti paesi, i cui interessi apparivano ancora lontani e distaccati da quelli degli Stati Uniti e la cui atmosfera ci risultava estranea, grazie alla mancanza di una qualsiasi esperienza storica dell’America in quelle aree. Era molto più facile lasciare le deci-

(89) Fe is , op. cit., pp. 630-632.(90) H arris, op. cit., p. 230. Il generale Mark Clark, d’altra parte, ordinò alle

truppe della V Armata di occupare tutto il territorio dell’ Italia nord-occidentale fino al confine francese del 1939, ma di non entrare in combattimento, nel caso si dessero resistenze da parte dei Francesi. I suoi comandanti, in questo caso, avrebbero dovuto riferire al Quartier Generale: ibid., p. 319,

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sione agli Inglesi, che avevano una base di esperienza storica della politica europea e interessi ben definiti in varie parti del continente. Gli interessi americani erano o generici piuttosto che specifici op- pure strettamente militari. C ’era, in aggiunta, il timore da parte dei dirigenti degli Stati Uniti che l’opinione pubblica non appro­vasse una partecipazione prolungata ed intima alla politica europea post-bellica. Un lungo indugio delle truppe americane sarebbe stato una delle conseguenze di un interessamento stretto da parte del Governo alla politica interna, compresa quella della Resistenza, di molti Stati europei durante la guerra. Il caso non si verificò; ma è innegabile il fatto che questo timore rappresentò un fattore determinante nella leadership americana (91).

La fedeltà al principio dell’autodeterminazione, mantenuta da gente come Roosevelt e Hull, si può riscontrare nel loro sospetto per i movimenti della Resistenza, come pure per i Governi in esilio. Gli americani si opposero alla restaurazione violenta di detti Go­verni, perchè sapevano che molti di essi non avevano più l’ap- poggio dell’opinione pubblica nazionale. Ma sapevano anche che molte delle organizzazioni della Resistenza erano pronte ad imporre un Governo non meno impopolare di quello in esilio. Già si è accennato ai timori di Roosevelt che de Gaulle volesse creare una dittatura in Francia; timori consimili furono determinati nell’Europa mediterranea e orientale. La soluzione americana a questo proble­ma fu di rimandare le questioni politiche a dopo la fine della guerra e di risolverle allora con il meccanismo delle libere elezioni. Roosevelt pensava di aver raggiunto questo fine quando ottenne che Churchill e Vittorio Emanuele III acconsentissero a che fosse concesso al popolo italiano di scegliersi quella forma di governo (eccettuata la fascista) che avesse desiderato a guerra finita (92). Altrettanto egli riteneva di aver assicurato all’Europa orientale quando ottenne il consenso sovietico e britannico alla Dichiarazione di Yalta suH’Europa Liberata (93). Non è necessario ora spingersi a considerare la storia che seguì.

(91) Questa affermazione è vera alla luce degli avvenimenti dell’ultima decade e mezza. Però è innegabile che subito dopo la fine della guerra ci fu, da parte dell’opi­nione pubblica americana, una grande pressione a che «si riportassero i ragazzi a casa ».

(92) Dichiarazione del 13 ottobre 1943: U. S. Department of State, Bulletin, 16 ottobre 1943, pp. 253-254.

(93) « N ew York Times », 17 marzo 1955.

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L'antimperialismo americano si rifletté soprattutto nei rap­porti col Comitato Francese di Liberazione Nazionale. Però anche in altri paesi le organizzazioni della Resistenza non andarono im­muni dal microbo imperialista. Per esempio, il C LN italiano, durante e dopo la guerra, reclamò la restituzione delle colonie pre- fasciste (94). L ’arraffamento di territori da parte francese ed jugo­slava alle frontiere italiane può ancia’esso essere considerato una forma di imperialismo. Gli Americani non volevano' essere messi davanti al fatto compiuto; ecco perchè in questi casi l’irritazione americana esplose. La nostra posizione però era debole, perchè i nostri maggiori alleati, la Gran Bretagna e la Russia, avevano an- ch’essi le loro ambizioni a questo proposito.

Vantaggi militari e speranze umane indussero l’America a trattative con i movimenti della Resistenza europea; una volta assunti degli impegni, la nostra inesperienza rese le relazioni in fatto meno vantaggiose di quanto avrebbero potuto essere. Indub­biamente dolorosi errori furono commessi nei rapporti col Comitato Francese di Liberazione Nazionale, e questo costituisce un esempio del rifiuto americano di guardare in faccia la realtà; un altro esempio fu l’illusione che le questioni politiche potessero essere rimandate a dopo la fine della guerra. D ’altra parte, i meriti principali di questa posizione furono due: evitare, finché continuavano i com­battimenti, l ’aggravarsi dei rapporti con i principali alleati, spe­cialmente con la Russia, ed impedire il ripetersi di quel genere di accordi di cui i trattati secreti della Prima Guerra Mondiale erano un famigerato esempio. Gli Stati Uniti non volevano in defini­tiva permettere che i movimenti della Resistenza ostacolassero i nostri rapporti con la Russia: per il bene come per il male noi eravamo legati al principio che l'amicizia americano-sovietica do­vesse essere il basilare fondamento della pace nel mondo uscito dalla guerra. L ’intensità di questa speranza può essere valutata dalla violenza con cui gli Americani reagirono alla delusione.

Il principale danno della nostra posizione stette nel fatto che nessuno degli altri alleati, più o meno importanti, Governi in esilio

(94) Discorso di Sforza in data 20 agosto 1944; testo in Countercurrent, Boston, agosto 1944, p. 1. Lettere di Parri e di De Gasperi a Truman e Byrnes, in data 22 agosto 1945; testi in : U . S. D epartment of State, United States and Itah 1936-1946, Whasington Government Printing Office, 1946, pp. 163-170.

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o organizzazioni della Resistenza, avevano nessuna intenzione di seguire la nostra stessa politica.

Tutti quanti preparavano il terreno alle loro speranze post- belliche, stabilendo posizioni di potere durante la guerra, ed una delle cose che più irritarono gli Americani fu la tendenza di varie organizzazioni della Resistenza a usare per questo scopo i nostri equipaggiamenti piuttosto che per combattere il nemico comune (95). Gli Americani possono essere criticati per la loro ingenuità, non però per le loro intenzioni.

N o r m a n K o gan .

(95) Intervista personale col generale SpofEord, G-5 per il Teatro Mediterraneo.