La piccola equilibrista

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Disponibile anche: Libro: 15,50 euro (dal 25 novembre 2011) e-book (download): 9,99 euro e-book su CD in libreria: 9,99 euro (da dicembre 2011)

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Stefano Vignati, noir

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Libro: 15,50 euro (dal 25 novembre 2011) e-book (download): 9,99 euro e-book su CD in libreria: 9,99 euro (da dicembre 2011)

STEFANO VIGNATI

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La Piccola Equilibrista Copyright © 2011 Zerounoundici Edizioni

Copyright © 2011 Stefano Vignati ISBN: 978-88-6307-392-8

In copertina: Immagine Shutterstock.com

Finito di stampare nel mese di Novembre 2011 da Logo srl

Borgoricco - Padova

A Te, che mi hai spinto a crederci davvero

e

A Chi mi ha fatto amare lo Scrivere e il Leggere

1 «La Piccola Equilibrista, eh?» «Esatto.» Nathaniel corrucciò la fronte, grattandosi il pizzetto ispido. Era proprio l’attrazione che gli mancava per rendere perfetto il Circo. Nella sudicia saletta della sua roulotte, il giovane imprenditore sedeva su una poltroncina rossa con due braccioli in finto oro finemente intarsiati. L’aveva acquistata per pochi spiccioli solo un mese prima da un ladro che se ne voleva liberare al più presto. Certo quell’oggetto stonava con il resto dell’arredamento. La tappezzeria era rigonfia in alcuni punti a causa delle infiltrazioni d’acqua, e la muffa cominciava a intaccare le tendine trasandate. Nathaniel odiava dover spendere soldi per la propria roulotte, dato che trascorreva la maggior parte del tempo nel camper di testa. La lampada gettava una luce fioca sui due presenti. «Descrivimela» disse Nathaniel allungando il sorriso spigoloso, e appoggiando il mento puntuto sulle mani incrociate. Si volse un attimo verso lo specchio, costellato di scheggiature e macchie di cerone. Le prime rughe di espressione si stavano disegnando sul suo viso di trentasettenne, frastagliando in crepe ondulate la fronte spaziosa. Gli occhi, di un verde profondo con screziature dorate, si posarono per un istante su quei capelli corvini che cominciavano a mostrare un’incipiente brizzolatura. Tornò a guardare Toretto. Entrambi avevano scelto di chiamarsi con nomi di fantasia per il Circo, per renderlo più affascinante agli occhi dei clienti, e avevano finito con l’utilizzare quei soprannomi ogni volta che si parlasse di lavoro. Il grasso aiutante, fradicio di birra, si sedette di fronte al capo, spigolando gli ossicini rimasti impigliati dalla cena nella lunga barba. «Si chiama Alessia. Ha quindici anni, forse sedici. Le mie fonti sono piuttosto vaghe» estrasse un unto taccuino malamente scarabocchiato, poi continuò «è alta circa un metro e sessanta, capelli castani, grandi occhi azzurri, molto carina. Un bambino ha detto che il suo sorriso assomiglia a una “falce di luna”.» Scoppiò in una fragorosa risata che per poco non lo fece cadere dalla sedia. Nathaniel ignorò l’esplosione d’ilarità del collega. Sentiva l’odore pungente

della birra che esalava dalla bocca di Toretto, e conosceva bene quali fossero le dosi di alcool che quell’uomo era capace di ingerire. Nonostante l’ubriachezza, però, l’omaccione rimaneva uno dei suoi più fidati dipendenti, quindi lasciò che l’accesso di risa terminasse prima di intervenire. «Sembrerebbe un soggetto interessante, e pare confermare ciò che mi avevi anticipato. È davvero così brava in quello che fa, Toretto?» «È impressionante, boss» ripose quello annuendo «io l’ho vista e quasi non ci credevo. Saltellava sui lampioni e sui tetti senza mai fermarsi, e correva velocissima. Una cosa pazzesca!» Gli occhi del ricco padrone del circo si illuminarono. «Sappiamo come trovarla? Che zone frequenta, in quali orari, se esce sola o in compagnia?» «Fammi controllare» Toretto impiegò qualche secondo a elaborare la risposta «bazzica perlopiù la periferia, qualche volta va in centro per le sagre, o qualche festa del paese. Soprattutto la sera, a volte il pomeriggio. E per quel che ne so, esce sola. Al massimo qualche bambino la segue lungo la strada. Ah, giusto, senti questa! Dicono che non cammini per terra come tutti, ma che se ne vada in giro passeggiando sui fili del telefono.» Nathaniel spalancò gli occhi, già subodorando l’affare. «Capirai certo che un esborso di soldi come quello a cui sarei tenuto per questo impiego merita una ragazzina veramente capace» Nathaniel scandiva per bene le parole, in modo che anche Toretto potesse capirlo fino in fondo «non mi bastano fonti vaghe. Voglio certezze.» L’altro sogghignò rumorosamente, facendo ampi cenni con la testa. «Te la do io la certezza, boss. Sai che ho fiuto per queste cose, e non ho mai sbagliato.» Questo non si poteva negare; quando si trattava di scovare talenti a buon prezzo, Toretto era un maestro. Nathaniel lo sapeva, e si fidava ciecamente di quel suo sesto senso. «Pensi che potresti bastare tu per catturarla, magari se ti facessi accompagnare da un paio di ragazzi?» «No» rispose l’omaccione barbuto senza indugi «serve gente specializzata per questa bimba. Serve uno che riesca a tenerle dietro nella corsa, e che non si faccia problemi se dovesse farle del male.» «Farle del male?» ripeté Nathaniel inarcando un sopracciglio «mi serve un’equilibrista, Toretto, non un rottame.» L’altro annuì serioso, massaggiandosi la spalla sinistra. «E allora a maggior ragione ti serve uno bravo.» Nathaniel si stravaccò sulla sedia e volse la testa verso il soffitto crepato. Per un attimo rimase in quella posa a fissare il vuoto, tanto che Toretto cominciò

a chiedersi se si fosse addormentato. Poi, d’improvviso, scattò in avanti, poggiò i gomiti sulle cosce e sorrise compiaciuto. «Ho le persone che fanno per noi Toretto.» «Persone?» «Già. Sono due sicari, ma per un lauto compenso accetteranno anche un lavoro come questo. Tu e io andremo con loro, per assicurarci che la bambina rimanga illesa. Siamo d’accordo?» Toretto assentì, quindi sfregò tra loro il pollice e l’indice. «Non ancora. Un’ultima domanda» aggiunse Nathaniel, che ignorò lo sbuffare insolente del suo dipendente «è una ribelle o una tenerona? Insomma, come la vede la gente del luogo?» Era estremamente interessato alla risposta, forse anche più che alle precedenti. Il primo elemento che rende star un’atleta circense è l’immagine. Sulla sbiadita tavolozza della sua mente, Nathaniel stava già disegnando il manifesto che avrebbe accolto Alessia al Circo dei Bambini. Si tese verso Toretto, in ascolto. Questi sfogliò controvoglia il bloc notes sgualcito, poi rispose. «Eh, qui sta il problema boss. I bambini dicono che è una forza, gli adulti invece sono sicuri che questa ragazzina sia una leggenda del posto, che in realtà non esista. Adesso però ho sete, capo. Hai qualche spicciolo?» «Come non esista?» lo interruppe Nathaniel «sto per investire parecchi soldi in questa storia, e non voglio bruciarli, hai capito?» «Certo, boss. Il fatto è che nel paese gira voce che Alessia sia solo un’invenzione dei bambini, una specie di “amico immaginario”. Ma io ti assicuro che esiste; l’ho pure vista, mi è passata tanto vicina che quasi potevo prenderla. È che non le piace farsi vedere dai grandi, me lo hanno detto pure i bambini. Fidati capo, è un affare!» Nathaniel non rispose. Si sarebbe fidato di Toretto anche questa volta, come già aveva fatto in passato. Dopotutto le statistiche erano dalla sua. Gli sganciò giusto un paio di banconote perché le scialacquasse in qualche birreria. Sì, un soggetto davvero interessante. Una ragazzina del genere farà accorrere al Circo centinaia di persone! Alzò la pesante cornetta del telefono, poi compose lentamente un numero a dieci cifre. «Prepara l’auto, partiamo domani. Sì, sì. Io, Toretto, Vincent e Cordelia. Esatto, proprio loro due. Chiamami Vincent e passamelo su questo telefono; per Cordelia lascio fare a te, c’è da discutere col suo agente e io non ne ho assolutamente voglia. È un comune di montagna, ehm… Fasterna. D’accordo allora, appena sai per la ragazza aggiornami.» Riappese, quindi si abbandonò nella sua comoda poltrona. Chiuse gli occhi, e

fantasticò sugli incassi dei mesi a venire. Alessia, la Piccola Equilibrista… Drinn… drinn… «Ma chi cazzo?» Un braccio esile sbucò dalle lenzuola e si allungò assonnato verso il comodino. Lì, per quanto ricordava la sua mente annebbiata, avrebbe trovato il cordless. La mano sferzò inutilmente l’aria un paio di volte in cerca della cornetta, ma riuscì a trovarla solo al terzo tentativo. «Spero abbiate un buon motivo per rompere i coglioni a quest’ora della notte» biascicò al telefono, mentre con gli occhi semiaperti scrutava la penombra in cerca della sveglia. 5:03 Emise un verso a metà tra un grugnito e uno sbuffo. «Sei la donna della mia vita, piccola» gracchiò il telefono. «Marco, figlio di buona donna, questa la paghi doppia» rispose ridacchiando Cordelia «io domani devo lavorare, mica come te che ti scialli tutto il giorno sul divanetto a bere bourbon.» «Bourbon, bimba? Nell’ultimo periodo posso a malapena permettermi il vino del discount!» La ragazza abbozzò un risolino con la bocca ancora impastata dal sonno, come se chili di mastice le bloccassero la mascella. «Sono sicuro che saprai scusarmi una volta che ti avrò detto perché ti ho chiamata» riprese l’altro «mettiti comoda bambolina, e apri le orecchie.» Cordelia si spinse pigramente contro lo schienale del letto. I lunghi capelli corvini le caddero a cascata a lato delle tempie e giù fino ai fianchi. Qualche ricciolo ribelle disegnò strani arabeschi intorno ai suoi occhi di un acceso color verde smeraldo, e Cordelia li allontanò con un poderoso sbuffo. Le lunghe gambe ceree, muscolose e agili, si accavallarono sotto le coperte per mantenere un minimo tepore. «Ho un lavoro per te, sai? Te lo manda Nathaniel.» Il corpo della ventiquattrenne fu scosso da un tremito violento, quando il nome di quell’uomo le si insinuò tra i ricordi. Aveva già avuto a che fare con lui; era stato un lavoro semplice e pulito, ma la storia che ci stava dietro era ripugnante. Non erano echi a cui dovesse dare ascolto a quell’ora della notte, o gli incubi l’avrebbero tormentata ancora una volta. Quell’uomo, quel Nathaniel, era stato molto protettivo nei confronti dei bambini del suo Circo, tanto da assoldare un sicario per risolvere quel problema. E per il resto, non v’era nulla di particolarmente losco o criminale nella sua attività.

Dalle labbra di Cordelia non sfuggì una sillaba, tanto che la lunga pausa indusse Marco a continuare. «Dovrai rapire una ragazzina, una quindicenne, e consegnargliela. Illesa. Lavoro semplice e ben pagato. Partenza tra un’ora e mezza circa.» L’orgoglio da quattro spicci di Cordelia si attivò d’improvviso. «Rapire? Ma con chi cazzo crede di avere a che fare, Nathaniel, eh? Io sono un sicario! Quindi se vuole il cadavere di questa ragazzina, perfetto, altrimenti si cerchi qualcun’altra!» Dall’altro capo del telefono giunse un lieve sogghigno. «Tu gli porteresti il cadavere di una ragazzina? Suvvia, piccola, sappiamo entrambi che non ammazzeresti una bambina nemmeno per un assegno a dieci zeri!» «Hai capito cosa intendevo» tagliò corto l’altra «non posso mettermi a fare commissioni da oratorio se non voglio perdere credibilità.» Cordelia stava già riattaccando il telefono, quando Marco aggiunse: «Mille euro subito. Mille a lavoro ultimato. Sai quanto fa, bimba? Due-mi-la! Duemila euro per rapire un’orfana! Cazzo, se rifiuti sarò io a fartela pagare!» Cordelia vide le cifre disegnarsi nella mente. Era un numero seducente, in tutte le sue curve. Odiava dover sottostare alla legge del denaro, ma in quel caso non aveva altra scelta. Il lavoro che faceva durante la giornata come cameriera in pizzeria non bastava a garantirle vitto e alloggio. Si morse il labbro inferiore fino a farselo sanguinare. «Va bene. Cioè, ho bisogno di quei soldi.» «Brava Cor, hai fatto la scelta giusta» le rispose Marco in tono serio, per incoraggiarla. «Fra un’ora e mezza hai detto?» «Esatto. Il ritrovo è fissato nello spiazzo sterrato di fronte al cimitero di Sacconago.» «Ok, ho capito.» Cordelia prese la sveglia tra le mani e armeggiò con le logore manopole. Avrebbe potuto riposare ancora una mezz’oretta prima di doversi alzare dal rifugio caldo delle coperte. «Però» aggiunse Cordelia all’improvviso, quando Marco stava già per riagganciare «be’… digli che ti ci è voluto molto tempo per convincermi. Molto, mi raccomando.» Una nuova risatina le giunse dall’altra parte dell’apparecchio, quindi il suono di un bacio scoccato. Click, conversazione terminata. La ragazza si sdraiò di nuovo nel letto. Il sonno la colse, facendola piombare in un quieto dormiveglia.

2 La mattina che accolse i quattro malviventi era fredda e nebbiosa. L’orologio di Nathaniel segnava le sei e mezzo, e gli sbadigli di Toretto confermavano l’esatta posizione delle lancette sul quadrante. Il ritrovo era stato fissato in uno spiazzo deserto, un rettangolo di terra ghiacciata nella periferia di Busto Arsizio. Anche l’erbaccia preferiva evitarne la desolazione; nient’altro che sabbia e sassi ricoprivano il suolo, turgido per la temperatura glaciale di quell’inizio d’inverno. I pochi alberi scheletrici si stagliavano contro il cielo livido del mattino, quando anche il sole stava ancora sonnecchiando. Il boss si era preoccupato di ridurre al minimo il rischio di incontrare qualcuno, anche se il malcapitato passante non avrebbe mai pensato a una spedizione criminale. Toretto lo chiamava perfettino, ma lui preferiva definirsi perfezionista. Nathaniel, appoggiato con la schiena alla portiera nera dell’automobile, adocchiava impazientemente l’orologio. Lui e Toretto erano arrivati oramai da mezz’ora al punto di ritrovo, dove avevano trovato Cordelia già in attesa. Anche lei era seccata per il ritardo del quarto membro del gruppo, di cui ancora non conosceva l’identità. La gamba destra, avvolta in un aderente jeans blu notte, martellava il terreno senza sosta. «Marco mi ha rivelato che è stato difficile convincerti ad accettare questo lavoro» disse Nathaniel al sicario, per rompere il silenzio «il tuo sterile orgoglio, vero?» Cordelia volse lo sguardo dall’altra parte. Un corvo approfittò del sopraggiunto silenzio per emettere una sonora gracchiata, e poi volare via in un rumoroso sbatter d’ali. Il proprietario del Circo ne sorrise, divertito. Cordelia era conosciuta per la sua grandissima agilità e lestezza, doti che le avevano permesso di ritagliarsi uno spazio nel mercato dell’omicidio su commissione. Probabilmente sarebbe stata più adatta per altri incarichi, ma la sua fierezza la portava ad accettare solamente richieste di omicidio. Perlomeno quando non era in bolletta. «Piuttosto» cambiò discorso la ragazza «vuoi dirmi chi è questo quarto uomo? Sono stanca di aspettare.» «Ragazza impaziente. Eccolo che arriva.» Cordelia si girò, seguendo con lo sguardo la linea immaginaria che partiva dal dito di Nathaniel e terminava su un robusto uomo in giacca nera che si

avvicinava nella loro direzione, tenendo nella mano destra un’ingombrante valigia. «Lui è Vincent, un tuo collega.» La giovane lo fissò stranita. «E perché mai dovresti pagare due onorari? Se ci sono già io, che bisogno hai di lui?» Nathaniel la guardò amorevolmente, come farebbe un padre di fronte alla figlia che non riesce a risolvere un problema di matematica. «Due specialisti sono meglio di uno. Voglio solo avere la certezza di non fallire.» «Per il rapimento di una teen-ager?» ridacchiò Cordelia. «Sei una novizia ancora, lo sai. Con Vincent farai molta esperienza, fidati.» «Non penso mi serva un baby-sitter, ma sei tu il capo» rispose lei con secchezza. Sentiva la diffidenza di Nathaniel nei suoi confronti, ma non poteva certo opporsi a una decisione del suo datore di lavoro. Duemila, duemila, duemila, si ripeté per rabbonire l’orgoglio. Vincent nel frattempo si era accostato a Nathaniel, salutandolo cordialmente. Era statuario, alto almeno un metro e novanta. La giacca che indossava costringeva a malapena le sue spalle larghe, e le maniche delineavano nettamente i muscoli delle braccia. Il viso squadrato era abbronzato, chiuso tra folti capelli castani e un mento tozzo. I suoi occhi neri si posarono su Cordelia, e ne analizzarono i lineamenti delicati. Incrociò le braccia, quindi le rivolse la parola. «Tu devi essere Cordelia, allora. Nathaniel mi ha parlato molto bene di te, soprattutto delle tue doti atletiche» piccola pausa, studiata, e un leggero sorriso «e a vederti, le sue lodi sembrano meritatissime. Sono sicuro che collaboreremo al meglio.» Nonostante un attimo di titubanza, Cordelia sorrise a sua volta. «L’importante è che non mi intralci» scherzò la ragazza. «Vince, stai attento a quella là» intervenne Toretto con baldanzosa simpatia «l’ultima volta che le ho schiaffato una pacca sul culo mi sono trovato un coltello puntato alla gola.» La killer lo trafisse con lo sguardo, ma l’omaccione scoppiò a ridere e si diresse verso la macchina in attesa. Spalancò il bagagliaio e vi caricò anche la valigia di Vincent, incastrandola tra le altre come un campione di Tetris. «D’accordo, d’accordo» intervenne Nathaniel «ora che avete fatto conoscenza saliamo in macchina. Ho alcune indicazioni da darvi, e non abbiamo tempo da perdere.» Toretto mise in moto l’auto, mentre Nathaniel prendeva posto sul sedile del

passeggero. Vincent aprì la portiera a Cordelia. Non c’era dubbio che la ragazza lo avesse colpito, quel corpicino non sfuggiva certo al suo occhio interessato. Anche se rimaneva una killer di serie B; Nathaniel non aveva citato solo i suoi pregi. Aveva invece calcato il suo principale difetto. Al momento della chiamata di Nathaniel, Vincent si trovava al solito pub, impegnato a sorseggiare una birra schiumante. Il killer si trovava nella saletta principale di quel locale piccolo e fumoso, seduto al lungo bancone scheggiato. «Ehi, Vince!» lo chiamò il barista «ti vogliono al telefono.» Il sicario gli rivolse uno sguardo asettico, quindi annuì lentamente e si diresse verso di lui. «Vincent?» Silenzio. Il killer soleva non rispondere finché il suo interlocutore non si fosse presentato. «Ehi Vince, sono Melissa Reggiani, la segretaria di Nathaniel, quello del Circo. Dai rispondi, non fare il cazzone!» «Parla.» «Ti passo il boss, io dovevo solo sbattermi perché tu rispondessi.» Un leggero fruscio, quindi una voce tonante proruppe dal microfono. «Vincent? Sono Nathaniel. Saltiamo a piè pari i convenevoli, già ci conosciamo. Ho un lavoro per te: ho trovato un soggetto interessante per il mio Circo.» Vincent infilò una mano nella giacca e ne estrasse un piccolo libricino nero e una penna. Sfogliò velocemente le pagine fino a trovarne una vuota, quindi invitò il boss a cominciare. «È una ragazzina, un’orfana. Dobbiamo rapirla. Semplice e lineare. Il tuo compito sarà collaborare al rapimento e, soprattutto, eliminare qualunque ostacolo si frapponga tra noi e l’obiettivo. Qualunque. Ho chiamato te perché sono certo che non ti farai scrupoli nemmeno di fronte ai bambini.» Vincent continuava a scribacchiare senza sosta. Nathaniel sentiva il suono tagliente della sua stilografica che vergava la carta. «Bambini, hai detto?» intervenne il killer senza interrompere la scrittura «verrà a costarti di più se succedesse, e tu lo sai.» «Ovvio, Vincent, ovvio. Discuteremo poi dei dettagli economici. Piuttosto, oltre a noi due e Toretto ci sarà un’altra persona, una tua collega. Nell’ambiente si fa chiamare Cordelia, non so se la conosci.» Vincent sollevò il mento d’istinto, in segno di diniego. Annotò il nome della ragazza e lo cerchiò due volte. Dall’altra stanzetta del locale un gruppo di

esaltati cantava cori da stadio. «E per quale motivo dovrebbe servirti un altro sicario? Uno non basta per rapire un’orfana?» «Non è per questo. Sai, Cordelia ha doti fisiche eccezionali. Ha una destrezza e una rapidità senza eguali. È flessuosa come una contorsionista, roba che neppure ti immagini; avesse dieci anni di meno, probabilmente si esibirebbe nel mio Circo» a Nathaniel sfuggì una risata che contenne a fatica «è su di lei che conto per catturare la piccola funambola. Ma ha anche un difetto: è troppo emotiva, manca di un po’ di sano cinismo. Non uccide nessuno se non per motivi che condivida. Figurarsi uccidere dei bambini!» «Sbaglio o mi stai chiedendo di tenere un occhio anche su di lei?» chiese Vincent, disegnando una freccia sul suo libricino. «È per questo che mi rivolgo spesso a te, Vince: perché capisci al volo» rise di gusto Nathaniel «ora ti saluto. Ci vediamo domani, Melissa ti aggiornerà su luogo e ora del ritrovo.» Un tramestio sommesso, la cornetta che passa di mano. «D’accordo. Allora Vince, pronto a scrivere?»

3 «Pronti e ricettivi?» L’auto si mise in moto, uscendo lentamente dallo spiazzo sterrato e infilando a gran velocità la strada asfaltata. Secondo il navigatore satellitare che Toretto aveva appiccicato al parabrezza, li aspettavano almeno due ore e mezza di viaggio, quindi avevano tutto il tempo per organizzare al meglio il da farsi. La voce registrata della speaker lo indirizzò verso il cavalcavia per l’autostrada. Nathaniel appoggiò la schiena al sedile e chiuse gli occhi, come per leggere sulla superficie interna delle proprie palpebre il programma delle successive giornate. Abbassò il finestrino e si accese un sigaro, portandolo poi meccanicamente alla bocca. «Non abbiamo indicazioni dettagliate; vaga descrizione fisica, dati incerti sugli spostamenti, nessuna notizia precisa su dove risieda. Di conseguenza, l’obiettivo di questa prima giornata sarà raccogliere informazioni. Ci divideremo per coprire ciascuno una zona del paese, e ci ritroveremo poi in nottata in una delle stanze che ho prenotato per radunare le idee.» «Hai preso in affitto un appartamento?» chiese Vincent al boss, pronto a bacchettare un suo eventuale errore. «No, ho riservato per noi quattro stanze in un alberghetto di Fasterna. Si chiama L’Ostello del Montanaro. Non ci sono stelle o costellazioni nella sua valutazione, è quanto di più spartano si possa immaginare. Però non chiede documenti, purché si paghi tutto in anticipo.» Nathaniel si concesse una pausa per aspirare una boccata, e per lasciare spazio a eventuali domande. Nessuno fiatò, eccezion fatta per un colorito insulto di Toretto a un SUV blu che lo aveva sorpassato. «D’accordo» riprese Nathaniel «se l’esito di queste ricerche fosse positivo, ci metteremo sulle tracce di Alessia già domani. In caso contrario, caso che io spero vivamente non si presenti, vedremo di basarci su ciò che avremo raccolto.» Vincent annotò qualcosa sul suo libretto, mentre Cordelia lo osservava con un misto di curiosità e ammirazione. Lei era un sicario che viveva d’istinto, non d’ingegno, non aveva mai pensato a una programmazione del genere! «Vorrei sentire questa vaga descrizione fisica» intervenne di nuovo il killer «almeno la riconoscerò se mi passasse davanti.»

Nathaniel bussò alla spalla destra di Toretto, richiamando la sua attenzione. «Tocca a te, Tor.» «Sì, ehm… era molto buio, però mi è passata vicina quindi un po’ te la so descrivere.» «Sentiamo.» «Ha gli occhi azzurri che brillano come quelli dei gatti, li ho visti anche se intorno era buio pesto. I capelli ce li ha corti fino alle spalle, ed è alta più o meno un metro e sessanta. Cioè, io ero seduto, quindi non sono proprio sicuro.» «Ha parlato, ha detto qualcosa?» si informò Vincent, che intanto aveva trascritto i tratti elencati da Toretto sul suo notes. «Non mi pare. Ah no, stava ridendo.» «Ridendo?» gli fece eco il killer. «Già. Credo che stesse giocando coi bambini.» L’auto imboccò il cavalcavia per l’autostrada e si imbottigliò nel traffico del primo mattino. Cordelia registrò distrattamente le auto che le scorrevano di fianco. Oltre ai pendolari assonnati, c’era qualche famigliola che partiva per il week-end. Una bimba, col viso premuto contro il finestrino, la salutò allegramente con la mano paffuta. La giovane killer le sorrise a sua volta con tenerezza, agitando la mano in segno di saluto. «…delia?» «S-Sì?» rispose automaticamente la ragazza, sentendo solo la parte finale del suo nome. «Nulla, mi sembravi distratta» disse Nathaniel «quindi, una volta che l’avremo trovata sarà compito tuo catturarla. Spero tu sia allenata, perché Alessia ha le ali ai piedi. Durante l’inseguimento» proseguì, voltandosi verso Vincent «dovrai tenere lontano chiunque possa disturbare Cordelia. Io e Toretto nel frattempo prepareremo l’auto per ripartire in fretta e furia.» Nathaniel espirò l’ennesima boccata di fumo, poi aprì il portaoggetti dell’auto e ne estrasse quattro aggeggi. «Un telefono cellulare a ciascuno, in modo da poterci contattare in caso di bisogno. Ci sono registrati i nostri numeri, e il credito è più che sufficiente da durarvi per qualche giorno. Nessuna chiamata personale con questi, mi sembra ovvio.» «Non ci avrai mica messo dentro uno di quei cosi per rintracciare la gente, eh capo?» chiese Toretto con un ghigno, poi il suo volto si contrasse in un’espressione corrucciata «anche perché ho sentito che quei cosi fan venire il cancro al cervello.» Era una sorta di battuta, era evidente a tutti, ma Vincent fissò comunque Nathaniel in attesa di una risposta.

«No, non c’è nulla. Sono semplici telefoni cellulari.» Il sigaro, ormai esaurito, seguì una lunga traiettoria parabolica che lo portò dalle dita di Nathaniel al duro asfalto autostradale, lanciandosi alle spalle un arcobaleno di scintille colorate. Cordelia appoggiò la spalla sinistra al lato interno dell’auto e chiuse gli occhi. Voleva sonnecchiare per recuperare il sonno perso. «Adesso godetevi il viaggio.» «Cordelia? Sei sveglia?» Sì, adesso lo sono… «Cordelia?» Le palpebre erano troppo pesanti perché potesse aprirle. Dal rumore costante del motore ricordò di trovarsi sull’auto di Nathaniel, diretta a Fasterna. Con quel dolore alla schiena, poi, sicuramente non era sdraiata nel suo letto. Con voce pastosa, la lingua ancora troppo intorpidita per formulare parole chiare, Cordelia biascicò un “Sì, dimmi” prima di cercare una posizione più comoda in cui dormire. «Dobbiamo lavorare insieme, no? Credo sarebbe ottimo se ci conoscessimo meglio.» Era Vincent a parlare. Quella mattina lo aveva trovato attraente, ma ora gli avrebbe volentieri affondato un coltello in gola pur di zittirlo. La ragazza si stiracchiò allungando le braccia, e sentì tendersi piacevolmente i muscoli della schiena. Si passò una mano sulle palpebre, riparando con un po’ di oscurità gli occhi ancora assonnati. «Cosa vuoi sapere, Vincent? Quanti anni ho? Quanta gente ho ammazzato? Se sono irascibile appena sveglia?» Si era alzata alle cinque e mezza quel mattino, e adesso avrebbe davvero gradito un bel sonno ristoratore. «Non voglio interrogarti, solo parlare» ridacchiò Vincent. Solo ora si accorse che il suo collega stava bisbigliando. Con la vista ancora annebbiata dalle ampie espirazioni di Morfeo, Cordelia socchiuse le palpebre per osservare l’interno dell’auto. Nathaniel stava dormendo, la testa appoggiata sulla spalla sinistra. Il suo collo avrebbe protestato al momento del risveglio. Toretto invece era ancora alla guida, ma aveva nelle orecchie un paio di cuffie. Stava canticchiando qualcosa in una lingua tutta sua, uno strano miscuglio di inglese e milanese. Il paesaggio al di fuori dell’auto era radicalmente cambiato. Non si trovavano più in autostrada, bensì su una stradina tutta curve in leggera salita. Il sole, ora visibile in tutto il suo splendore, sembrava tingere di luce il cielo del

mattino. Larghi campi arati si altalenavano a isole erbose e piccole macchie alberate, in un panorama così diverso da quello artificiale della città che sulle prime ne rimase spiazzata. L’orologio che portava al polso indicava le dieci e dieci. Non doveva mancare molto all’arrivo. «Forza, spara!» disse Cordelia, quando gran parte dei suoi sensi si rifocalizzarono sul mondo reale. «Ok, una domanda personale. Stato civile?» «Perché ti interessa?» rispose la ragazza di rimando. «Perché se tu morissi dovrei pur avvisare qualcuno, no?» disse l’altro, mantenendo il sorriso sulle labbra. «Senza secondi fini, quindi. D’accordo» una risatina le scoppiò inaspettata a fior di labbra «be’, se morissi dovrai avvisare i miei, sempre che gli interessi se ancora respiro o meno.» «Rapporto difficile?» «Non ti conosco abbastanza per parlartene» rispose Cordelia con calma, troncando il discorso «tu, invece? Non credo tu abbia moglie o figli.» «No, sono un lupo solitario io. Certo, non disdegno un po’ di compagnia ogni tanto.» Era un occhiolino, quello? Ti sei fatto un’idea sbagliata della sottoscritta. «Da quanti anni fai questo lavoro?» sentì dire a Vincent. La domanda emerse annaspando dal mare dei suoi pensieri, flebile e lontana. «Tre anni circa, da quando ne avevo ventuno. Avevo bisogno di lavorare. I miei…» Cordelia voltò il viso verso il finestrino e digrignò i denti. Stava per sfuggirle di bocca. Ne aveva già parlato con molte persone, ma non aveva intenzione di parlarne con uno sconosciuto, soprattutto se doveva lavorarci insieme. Il suo tono di voce era amaro e Vincent non volle insistere. Fu Cordelia a riprendere il dialogo, cambiando argomento. «Sai perché Nathaniel ha deciso di assumere ben due sicari? Il vero motivo. Per un semplice rapimento gliene sarebbe bastato uno.» Ora fu Vincent a rimanere sorpreso. Sbatté le palpebre due volte, quindi rispose. «N-Non me l’ha detto» balbettò. Poi serrò d’istinto la mascella, quasi a punirsi; la risposta non era suonata granché sicura. «Vuoi forse dirmi che un professionista come te non glielo ha chiesto?» insisté Cordelia. A Vincent bastò questo lasso di tempo per riassestarsi e preparare una risposta convincente. «Sì, cioè, non a lui direttamente. L’ho chiesto alla sua collaboratrice, a Melissa. Ha scelto noi due perché ci completiamo. Tu hai l’agilità, io ho la

forza: è perfetto!» Cordelia si volse a guardarlo. «Quindi» continuò Vincent «la collaborazione potrebbe essere la nostra arma vincente. Sei disposta ad accettarla?» Vincent le tese la mano destra. Cordelia lo fissò negli occhi, profondi eppur vacui. Nel castano sporco delle sue iridi danzava la sua immagine riflessa. Non era sicura, ma gli prese la mano e ricambiò la stretta. Un acuto assolo di chitarra esplose all’improvviso nell’abitacolo e invase l’automobile, assordando i due killer che fino ad allora si erano sintonizzati sul reciproco sommesso sussurrio. Toretto si era tolto le cuffie e aveva staccato il jack dalla porta Usb. Cordelia sollevò lo sguardo e lo fissò sul parabrezza. Un cartello chiazzato di terra sovrastava l’auto proprio di fronte a loro. Sulla superficie biancastra campeggiava la scritta “Fasterna”. «Chissà dove cazzo sta l’Ostello» proruppe Toretto con voce tonante. Doveva ancora abituarsi al mondo ovattato al di fuori delle cuffie. Nathaniel sollevò la schiena, guardandosi intorno confuso. Erano arrivati.

4 Fasterna appariva proprio come i quattro membri del gruppo se l’erano aspettata. Le viuzze strette tipiche dei paeselli di montagna si inerpicavano vertiginosamente fino alla parte centrale della città, che si sviluppava invece piuttosto in piano. Le casette in mattoni, strette le une alle altre come pendolari in metropolitana, avevano finestre molto piccole per disperdere meno calore possibile; in inverno la temperatura scendeva diversi gradi sotto lo zero, e anche se dicembre non era ancora inoltrato, Cordelia pensò che quella sera avrebbe dovuto indossare una giacca pesante. In effetti la visione d’insieme di Fasterna imbiancata dalla neve doveva essere l’immagine perfetta per una cartolina. Avvicinandosi al centro città, l’asfalto cedeva il passo a larghe piastrelle biancastre che dovevano aver conosciuto diverse generazioni. Un’imponente chiesa giganteggiava sul lato destro della piazza nella sua spartana costruzione in pietra. Nel largo sagrato di fronte all’entrata un gruppo di bambini giocava a calcio. Toretto trovò parcheggio in uno spiazzo erboso, di fianco a un pick-up blu notte. Proprio davanti a questo parcheggio improvvisato si trovava l’Ostello del Montanaro. «Torno subito.» Nathaniel scese dall’auto e si diresse verso l’Ostello, da cui tornò pochi minuti dopo. «Prendete.» Il boss aveva in mano tre piccole chiavi metalliche, bordate nella parte arrotondata da un gommino verde consunto. «Cordelia, stanza sette. Vincent, stanza sei. Toretto, stanza cinque. Io sarò nella tre.» Fece una pausa perché tutti intascassero le chiavi, poi riprese. «Adesso ci divideremo. Ciascuno andrà a pranzare per conto proprio, poi avrà pomeriggio e sera per girare la città. Voglio informazioni, di qualsiasi tipo. E magari anche avvistamenti. O ancora meglio, portatemi subito Alessia.» Era serio, nessuna risata. Difficilmente lo avrebbero visto ridere ora che la missione per la cattura di Alessia aveva preso ufficialmente il via. «Ci ritroveremo alle 2:30 nella mia stanza. Stanza numero tre, ricordate.

Confido che riusciate a scoprire qualcosa fin da oggi.» «Ci sentiamo col cellulare se ci sono problemi?» chiese Toretto tra gli sbadigli. «Esatto. Se vedete la ragazzina, cercate di acchiapparla solo se tenta la fuga» scandì lentamente Nathaniel. I tre fecero cenno di aver capito. Uno alla volta scesero dall’auto. Nathaniel si incamminò verso il centro, mentre Toretto si diresse verso l’Ostello con un sacchetto nella mano, pronto a un sonno ristoratore. Cordelia si guardò intorno, poi fece per incamminarsi verso un gruppo di indicazioni stradali. Una mano le si appoggiò delicatamente sulla spalla. «Ti andrebbe di pranzare insieme?» le chiese Vincent «offro io, ovvio.» «Ma Nathaniel ha detto…» «Pranzare da soli? E che senso avrebbe? Certo non intendo lavorare durante l’ora di pranzo! E poi, se ci presentassimo come una coppia desteremmo meno sospetti.» Cordelia non era sicura. Si morse il labbro, volse lo sguardo altrove per prendere tempo. Infine rispose. «D’accordo. Male non può farci.» Cordelia e Vincent scelsero una pizzeria. «Un tavolo per due, grazie» disse Vincent al cameriere, che tolse dall’orecchio sinistro la cuffia del suo lettore mp3. L’interpellato, un gigante in t-shirt rossa e jeans blu, si volse guardandolo divertito; aprì la mano destra e disegnò un ideale semicerchio, indicando i tavoli: tutti, eccetto due, erano vuoti. «Può sedersi dove vuole, come vede» gli rispose il cameriere con malcelata ironia «passo a prendere l’ordinazione tra un po’.» Vincent e Cordelia si diressero a un tavolino appartato, proprio sotto una larga finestra. All’altro tavolo occupato stava un ragazzino che non sembrava molto contento del suo appuntamento tête-à-tête con una pizza quattro stagioni. Avrebbe sicuramente preferito ben altra compagnia. Ogni tanto sollevava svogliatamente una fetta e ne sbocconcellava qualche morso, mentre sfogliava un fumetto. Vincent aprì il sottile menu a due pagine della pizzeria. «Sentiamo, cosa prendi?» «Prosciutto e funghi, ovvio!» rispose Cordelia, spalancando scherzosamente gli occhi «siamo o no in montagna?» «Facciamo due allora» acconsentì Vincent «e due birre medie?» «Preferisco una Coca.»

Vincent annuì, quindi chiamò il cameriere e riferì l’ordinazione. «Ti ho vista scocciata stamattina per il mio ritardo» esordì Vincent «non sarai mica fissata con la puntualità?» «È una delle cose più importanti» gli rispose «avrai una buona scusa per oggi, vero?» «Certo» ridacchiò lui di rimando «il treno era in ritardo. Non so tu, ma io non abito a due passi da Busto. Mi è toccato andare in stazione alle cinque per arrivare al luogo dell’appuntamento a un orario decente.» «E da dove verresti, se non sono indiscreta?» «Attualmente da Milano, ma è solo una residenza provvisoria, come al solito. Tu di dove sei invece?» «Periferia, provincia, come vuoi chiamarla. Ti direi anche il nome del mio paesello, ma sicuramente non lo conosci.» «Mettimi alla prova.» «Olgiate Olona. Ti dice qualcosa?» «Nah, vuoto assoluto. A sapere che ci abitava una ragazza come te, magari avrei pensato di farci un salto.» «Sono qui per lavorare, non per sposarmi» tagliò corto la ragazza. «Nessuno ha parlato di matrimonio, mi sembra» la pungolò l’altro «non sono qui per mettere fedi, te lo assicuro.» Il cameriere arrivò con le bibite e posò i bicchieri di fronte a loro, silenzioso e menefreghista. Era rimasta scottata dallo squallore di quella battuta, sufficiente a definire la persona che le stava davanti. Si nascose dietro a un lungo sorso di Coca, impegnata a far sgattaiolare lo sguardo lontano dagli occhi di Vincent. Quando arrivarono le pizze, sul tavolo regnava il mutismo. A Cordelia era passata d’improvviso la fame. A quanto pareva, avrebbe dovuto aggiungere una crocetta sulla sua agenda mentale anche di fianco al nome di Vincent. Oramai, con tutte quelle crocette a danzarle nella mente, più che un elenco di nomi quello sembrava un cimitero. «Buonissima» disse Vincent, con una fetta di pizza che gli penzolava dalla mano. «Già.» Trascorsero una buona ventina di minuti al tavolo, Vincent trangugiando la sua pizza, Cordelia piluccandola pian piano. Eccezion fatta per qualche sterile scambio di battute, il silenzio avvolse i due come una pesante coperta. La loquacità si era dissolta dalle labbra sottili della ragazza, e per quanti tentativi Vincent facesse per indurla parlare, Cordelia liquidava la risposta in uno scarno monosillabo. Lo capiva dal suo atteggiamento, dal suo modo di stare seduto a tavola proteso verso di lei, dalle smorfie del viso, dagli sguardi: quell’uomo trasudava desiderio, e lei conosceva bene quel genere di persone.

Vediamo di finire questo lavoro, poi tronchiamo ogni legame. Non sono una puttana e lo capirai. Le tornò in mente il viso torvo della madre in quelle tante sere, tra i quattordici e i diciotto anni di Cordelia, in cui si avvicinava minacciosa al letto della figlia. Sua mamma era una donna di un metro e settanta, con un fisico invidiabile per i suoi quarant’anni. I corti capelli, tinti di biondo, incorniciavano un viso reso liscio da una miriade di interventi chirurgici, dove spiccavano un naso esteticamente perfetto e due labbra strabordanti botulino. Il seno prorompente e i fianchi stretti la rendevano certo attraente, nella sua artificialità. Ma poteva permetterselo. Il padre del marito, nonno di Cordelia, era morto a soli sessantotto anni di cancro alla prostata, e aveva lasciato al figlio un’eredità quantificata in parecchi milioni. Dopotutto, l’unico motivo per cui sua madre aveva sposato quell’ometto debole e paffuto era la sua ricchezza. Al tempo del matrimonio, sua madre era una donna meravigliosa, nata in una famiglia povera. Aveva servito come cameriera, come sguattera in un pub, aveva fatto da baby-sitter rubacchiando in alcune case, e raggiunta la maggiore età aveva lavorato come spogliarellista in alcuni night club della zona. Qualche volta si era anche prostituita. A vent’anni aveva conosciuto il suo futuro marito in un supermercato in cui faceva la cassiera part-time; aveva notato senza difficoltà il rigonfiamento del suo portafogli, e aveva mosso il suo primo attacco. Lo aveva sedotto in poche settimane, e spinto al matrimonio in pochi mesi. La donna aveva insistito per trasferirsi lontano dalla loro città per fuggire da quella nomea di puttana che la perseguitava, in cerca di una rispettabilità che agognava fin da ragazzina. E ora, mentre il marito gestiva il patrimonio e l’azienda tessile ricevuta dal papà, la moglie scialacquava i suoi soldi in palestre, yoga e chirurghi estetici. Sua madre riteneva fondamentale l’apparire; voleva avere quella reputazione di donna raffinata e per bene che non era mai riuscita ad avere per colpa dei suoi genitori. Ma Cordelia incrinava la loro reputazione, come sua mamma le ricordava sempre con quel viso quel viso contratto che la squadrava dal bordo del letto. Era una sera tranquilla quando successe la prima volta. I ricordi le inondarono la mente. «Sabrina, sei sveglia?» Sabrina… Era quello il suo vero nome. Aveva scelto di farsi chiamare Cordelia quando

aveva cominciato a lavorare come sicario. La ragazzina, quattordici anni compiuti il mese prima, si tolse le cuffie del lettore CD dalle orecchie, squadrando intimorita la madre. Nonostante nessuna ruga le solcasse il viso (e come avrebbe potuto?) Sabrina capì subito che quello non era certo un volto disteso. «Sì, mamma. Sto ascoltando un po’ di musica prima di…» «Posso parlarti?» la interruppe la madre, senza attendere risposta «sei uscita con un ragazzo ultimamente?» Le labbra di Sabrina si aprirono, pronte a dire no, ma subito si costrinse a stringere i denti. Lei lo sapeva, era inutile negare. Spense il lettore e ripose il CD nella custodia. Cercava di prendere tempo per capire cosa volesse la mamma. Sì, era uscita con Alex, quello carino della sua classe. Avevano mangiato un gelato insieme, fatto una passeggiata al parco e alla fine avevano parlato un po’ seduti su una panchina del parco. Niente di compromettente. Ok, sotto allora! «Be’, sì, l’altro ieri. Siamo stati in gelateria e poi al parco. È stato molto simpatico e mi ha offerto il gelato.» Accennò un sorriso; sperava che raccontarle quel gesto le avrebbe fatto capire quanto gentile fosse Alex. «Carino» rispose la madre, alzando gli occhi al soffitto «e vi siete divertiti al parco?» è solo una mamma curiosa per il primo appuntamento della figlia, è solo una mamma curiosa per il primo appuntamento della figlia «Sì! Prima abbiamo passeggiato un po’, e poi ci siamo seduti su una panchina a parlare» Cordelia non fece nulla per nascondere l’entusiasmo che le montava nella voce mentre parlava di lui «sai che gioca a calcio? Ha detto che è l’attaccante titolare della sua squadra, e che è bravo!» «Ascolta Sabrina, mi fa piacere che tu esca con questo ragazzo. Però, non posso accettare che tu ti… conceda così facilmente.» Conceda? «Scusa mamma, ma non capisco.» «Oggi sono andata a parlare col tuo professore di italiano, il prof. Castelli. Avevamo un colloquio, ti ricordi?» Cordelia annuì. Il prof aveva chiesto di parlare con alcuni genitori in merito alle ultime votazioni. Già, lei non era un asso in letteratura italiana. «Ecco» proseguì la madre «a un certo punto il prof mi ha chiamata. “Signora Ramenghini” mi dice “le chiedo scusa, ma devo fare una chiamata urgente. Se può attendere altri cinque minuti”. E io “certo” gli ho detto “non si preoccupi”.» Non solo la donna recitava come fosse un film il colloquio avuto con il

professore, ma mimava i loro gesti. Era incredibilmente composta quando si trovava “nella società”, ma all’interno delle mura di casa abbandonava senza accorgersene tutti i suoi modi costruiti e il suo comportamento grottescamente affettato: sembrava la caricatura di se stessa! «Quando chiude la porta, una signora mi si avvicina e si presenta come la madre di un certo Alessandro. Era certa dovessi conoscere il nome di suo figlio. Eppure, vuoto assoluto! E sai cosa mi ha detto allora? Che suo figlio era uscito con mia figlia, Sabrina Ramenghini. Immagina che faccia ho fatto!» Perché, riesci ancora a modellare espressioni facciali? «Mi ha parlato di suo figlio, che gioca a calcio, che ha buoni voti, è un bravo ragazzo. E fin qui tutto bene. Poi però mi ha riferito cosa ha detto suo figlio del vostro appuntamento ai suoi amici; che tra l’altro è la stessa cosa che il buon Alessandro ha detto a tutti i suoi compagni di squadra. Su quella panchina, già alla prima uscita» terrificante pausa «vi siete baciati! Con la lingua! La lingua!» Sabrina fece per protestare, ma la mamma era salita ormai sulla pericolosa altalena della rabbia. «E non solo! Dopo il bacio, ti avrebbe anche toccato una tet… un seno! Un seno! Dio, avete quattordici anni, siete al primo appuntamento, e subito vi fate dominare dagli ormoni!» Sabrina era allibita. Che cosa?! Io avrei fatto cosa?! «Questo è incredibile, Sabrina! Pazzesco! Tu fai parte di una famiglia rispettabile, con una reputazione. Come pensi che possiamo farci vedere tra i nostri amici, io e tuo padre, se gira voce che nostra figlia è una facile?» «Ma mamma, non è vero! Non ci siamo baciati e non mi ha mai toccata, mai!» strillò la ragazzina, anche solo per bloccare l’attacco isterico della madre. La voce di Sabrina era già incrinata dal pianto. «La mamma di questo Alessandro mi ha detto che dovrei educare meglio mia figlia, che non posso permetterle di dare così poco conto al proprio corpo e ai propri sentimenti. E come mi guardavano gli altri genitori! Glielo leggevo negli occhi: “Ma con chi è capitato in classe mio figlio?”. Ero così imbarazzata. Chissà cosa pensano ora di te. Di noi!» «Mamma, devi credere a me. È stata tutta un’invenzione di Alex!» «Ah, questo non lo so Sabrina. Ma se è vero che è tutta fantasia, devi far smettere queste voci. Smettere! Hai capito? O la gente comincerà a trattarti come una puttana!» strepitò. La signora scrollò le spalle impettita, quindi uscì dalla stanza sbattendo la porta. Una volta fuori, cercando di nascondere la collera, le urlò

“Buonanotte”. Con le lacrime che già le scivolavano lungo le guance rosee, Sabrina rimise le cuffie alle orecchie. Premette il tasto Play, anche se non c’era alcun Cd nel lettore. Chiuse gli occhi, e si addormentò seguendo il ritmo dapprima incalzante, poi sempre più lento, dei singhiozzi che le squassavano il petto. «Dolce?» Cordelia sollevò la testa di scatto, fissando gli occhi persi in quelli di Vincent. «N-no, grazie» biascicò. «Ci porti il conto allora, per favore» disse Vincent al cameriere. «Non deve chiederlo come fosse un favore» gli rispose il ragazzotto «è la parte più bella del mio lavoro.» Scomparve nuovamente nella cucina, per fare ritorno pochi minuti dopo. «Sono ventitré euro.» Vincent pagò in contanti, rifiutando galantemente la banconota da dieci che Cordelia gli aveva allungato. «Non ci provare nemmeno!» le disse, con un sorriso che le parve sincero. Sincero come quello di Alex alla gelateria, quando fece tintinnare le cinquecento lire sul bancone. «Be’, allora potrei anche ripensare al dolce.» Vincent rise e la sua risata contagiò Cordelia, che scacciò per un attimo dalla mente le nebbie del timore. Si diressero al bancone per prendere un caffè prima di cominciare a lavorare, il clima fra loro ora più disteso. «Hai qualche idea su cosa fare quando usciremo di qua?» chiese il killer alla ragazza. «Pensavo di fare un giro in città e parlare un po’ con i bambini. Secondo me è da loro che avremo le informazioni migliori, vista l’età di Alessia.» «I bambini? Credi parleranno così facilmente a una sconosciuta?» «Malfidente! Io ci so fare coi marmocchi. Non sono un energumeno spaventoso, io!» disse Cordelia, prima di scoppiare a ridere. Vincent si sentì sollevato a quel suono. «Però sono bambini, lavorano tanto di fantasia. Parlando poi di una ragazzina acrobata, immagino cosa possa venir fuori.» Il suo entusiasmo non ne fu smorzato; aveva preventivato questa difficoltà, ed era pronta ad affrontarla. «Gestirò il problema sul momento. Il mio istinto è imbattibile!» Vincent mimò il gesto del levarsi il cappello. Chapeau, sembrò dirle. «E tu, Vince, cosa pensi di fare?» Ecco la domanda che stava aspettando. Il momento della verità, capire se

c’era qualche possibilità di avere quel corpo fin da subito tra le sue mani vogliose. «A dire il vero, non ho idee precise» disse, grattandosi il mento «e se venissi con te? In due lavoreremmo meglio.» Cordelia abbassò lo sguardo sul banco. Non aveva alcuna voglia di trascorrere altro tempo con lui, senza contare che avrebbe interferito con il suo lavoro. «Sai» cominciò allora «credo sarebbe meglio che ciascuno lavorasse per sé, oggi. Avremo più possibilità di trovare qualcosa, lontani da distrazioni.» Vincent colse al volo le sue vere ragioni, e scoprì che si incastravano perfettamente con i silenzi e gli sguardi sfuggenti del pranzo. Non che si sarebbe arreso. Quella ragazza aveva un corpo incredibile, ed era certo che dietro a quell’apparente tranquillità stava lo spirito feroce e selvaggio di un’assatanata. Quei lunghi capelli neri, gli ipnotici occhi verdi, le forme procaci ed eleganti. «Allora ci si vede stanotte Vince. Stanza numero tre.» Vincent annuì distratto, poi le sorrise. La osservò allontanarsi languida da lui, seguendo con lo sguardo il moto oscillante dei suoi fianchi. Ti avrò, stanne certa, rimuginò Vincent. Lasciami solo pensare.

5 Subito dopo essere uscito dal ristorante dove aveva pranzato, Nathaniel si era diretto alla cartoleria più vicina per acquistare un taccuino e una penna. Aveva scelto di fingersi un giornalista del Corriere della Sera; una testata famosa il cui nome, così presumeva, avrebbe indotto la gente a parlare senza remore. In realtà, però, ottenere informazioni non si stava rivelando così facile come aveva immaginato. Aveva già fermato un buon numero di persone, ma la maggior parte non aveva voglia di perdere tempo per la carta stampata. Forse con una videocamera, spacciandosi per l’inviato di un telegiornale, avrebbe avuto vita più facile. Girare per il centro non aveva portato alcun risultato, quindi Nathaniel decise di addentrarsi nelle viuzze più interne. Le mura scrostate delle case accompagnavano la sua lenta camminata, mentre il ciottolato della strada non asfaltata scricchiolava sotto le scarpe. Fasterna era piena di gatti che gli zampettavano davanti, ondeggiando la coda flessuosa a ogni passetto. Per fortuna non era scaramantico, o avrebbe dovuto cambiare strada così tante volte da perdersi. Il suo girovagare lo portò di fronte a un bar assai rustico, il “Cats”, come recitava l’insegna di legno. All’interno, intorno a un tavolo dismesso, stavano quattro anziani intenti a giocare a carte. Qualche “oh Gesù” o “Maria Santissima” lo raggiungeva ogni tanto mentre dall’esterno sbirciava gli altri tavoli. Erano tutti vuoti; oltre agli arzilli vecchietti, in quel bar c’era solo il commesso. Decise di entrare, e si avvicinò ai quattro giocatori. «Ehi, giovanotto, ti va una chiamata?» gli chiese il più smilzo di loro da sotto un paio di larghi baffi «è un’ora che aspettiamo il quinto!» Nathaniel annuì all’anziano e si presentò come Lorenzo Canavesi, poi fece cenno con la mano destra per richiamare l’attenzione del barista. «Una birra media.» Si sedette, poi chiese: «Giocate a soldi qua?» L’anziano alla sua destra, che si presentò come Sergio, scosse la testa vigorosamente. «Giochiamo per divertirci qui, non siamo mica una bisca per delinquentelli.»

«Giusto, giusto» gli fece eco Valerio, gli occhi fissi sul mazzo di carte che stava mescolando. Lunghi capelli color dell’argento gli incorniciavano il viso duramente squadrato. Dopo aver guardato i compagni negli occhi, distribuì le carte. Nathaniel diede uno sguardo alle sue, nascondendo il sorriso compiaciuto dietro a una collaudata faccia da poker. «Chiamo io, vero?» chiese. Gli altri annuirono. «D’accordo. Fante.» «Gioventù aggressiva. Io passo» scoppiò a ridere Giulio, che gli parve essere il più anziano del gruppo «non credo di averti mai visto a Fasterna, o sbaglio? Vieni da lontano?» Il barista appoggiò il boccale ricolmo di birra di fronte a Nathaniel, che cominciò a sorseggiarlo. «Due ore d’auto circa» rispose «c’è una cosa qui a Fasterna che mi interessa.» I quattro si guardarono l’un l’altro, poi Valerio prese la parola. «Passo anche io. Scommetto che è per la bambina, vero?» «Esatto. Da cosa l’ha capito?» «Dammi del tu, ragazzo, o mi fai sentire più vecchio di quanto non sono» sghignazzò Valerio «comunque è facile capirlo. Non c’è una beata mazza qua a Fasterna che possa interessare un borghesotto, se non una baracconata.» L’occasione era buona. Nathaniel fece per estrarre il taccuino e la penna, ma si bloccò alle parole di Giulio. «Ehi, non sarai mica un giornalista, vero? Quegli imbrattacarte, per mettere insieme qualche parola, prendono più soldi di quanti ne prendo io, che ho fatto La Guerra, con la mia pensione.» Nathaniel sorrise nervoso, quindi scosse leggermente la testa. Nel frattempo anche gli altri due avevano passato. Nathaniel era sicuro che meglio avesse giocato, più gli altri avrebbero parlato. «Fante di fiori» annunciò allora. Le facce degli altri giocatori rimasero impassibili, ma l’un l’altro si adocchiarono con circospezione. La partita proseguì per qualche minuto immersa nel silenzio concentrato dei giocatori. Nathaniel decise di impegnarsi con le mani successive per garantirsi la simpatia dei quattro vecchietti, per poi affondare il discorso nell’argomento che più gli premeva. «Ma allora sono vere le voci che girano su di lei?» cominciò a un certo punto il fantomatico Canavesi «che abbia un’agilità incredibile, tanto da camminare senza problemi sui cavi del telefono?» Si aspettava qualche sonora risata, ma i quattro rimasero serissimi. Sergio si grattò vigorosamente il pizzetto, quindi prese la parola. «Eh sì, Lorenzo. Io l’ho vista un bel po’ di volte, sai? Se sei fortunato,

potresti vederla domani» disse, mettendo sul tavolo un quattro di cuori. Giulio, alla sua destra, borbottò vedendo la carta e rispose con un sei di picche. «Perché proprio domani?» chiese Nathaniel, tradendo nella voce il forte interesse. «Domani sera c’è la Sagra dei Funghi. È il primo sabato di dicembre, a Fasterna si festeggia il raccolto dei funghi di settembre cucinando piatti tipici. Io ho sei ceste piene in casa!» «Io ne ho riempite otto, amico mio, otto!» ribatté Valerio tronfio, mentre agitava le dita grinzose. «Volete dirmi che Alessia va matta per i funghi?» chiese Nathaniel. Mise sul tavolo un due di cuori e lasciò che Nicolò, l’anziano scheletrico alla sua sinistra, prendesse le carte sul tavolo col suo due di fiori. «Quello non lo so, ragazzo mio» rispose nuovamente Sergio «però alla Sagra è pieno di marmocchi che urlano e corrono, e a quella ragazzina piace stare coi bambini. Anche se ancora non capisco come fanno a non averne paura.» Averne paura? «Perché mai dovrebbero averne paura? A quanto ne so è una ragazzina simpatica. Se poi è pure un’acrobata, perché mai i bambini dovrebbero esserne spaventati?» «Sarai pure interessato» gli rispose Valerio «ma a quanto pare non sai molto di lei. Lascia che ti spieghi.» Nathaniel sentì bussare sul tavolo, proprio di fianco a sé. Nicolò lo fissava seccato, scuotendo le carte. «Ah, scusa!» sorrise Nathaniel «mi ero distratto.» Guardò attentamente le sue carte, quindi scelse il fante di quadri; poi riportò la sua attenzione su Valerio. «È un discorso lungo da fare. Offrimi una birra e te ne parlo.» «Cosa? E ci lasciate qua a giocare in tre?» obiettò Sergio, prendendo la pipa dalla tasca. «Per due birre e un giovanotto che ascolta i miei ricordi di gioventù senza sbadigliare? Certo!» si sganasciò Valerio. «Vorrà dire che giocheremo con due morti, e sono sicuro che saranno entrambi più svegli di te. E non ci interromperanno ogni dieci minuti perché devono andare a pisciare!» Nathaniel fece cenno di nuovo al barista, chiedendo due birre medie. Prese il boccale ancora a metà che aveva sul tavolo e seguì Valerio poco più lontano. «Allora, ragazzo, cosa sai tu di Alessia?» cominciò l’anziano. «Quello che ti ho detto, che è una ragazzina-acrobata. Sono curioso di vederla in azione.»

«D’accordo» scandì lentamente l’altro, quindi prese un profondo respiro e una notevole sorsata di birra «c’è parecchio da raccontare.» «Ho tutto il tempo che vuoi.» «A quanto mi hai detto, tu sai di Alessia solo quello ne che dicono i bambini. Ossia che è una ragazzina amichevole, simpatica e giocherellona. Me lo dice mia nipote, so di cosa parlo. Però noi anziani sappiamo ben altro.» Anche Valerio tirò fuori dal taschino interno della giacca una lunga pipa di legno rozzamente lavorata. Probabilmente l’aveva rifinita lui stesso con un coltellino. «Cosa sapete?» «Giura che non mi darai del pazzo.» Nathaniel strabuzzò gli occhi, ma annuì. «Ecco» riprese il vecchietto «Alessia girava già per Fasterna quando io ero giovane, circa sessant’anni fa. E anche allora era una ragazzetta.» Nathaniel si guardò intorno. Sì, e tempo dieci secondi i tuoi amici cominceranno a ridere per quel credulone di un turista idiota! «Mi prendi in giro?» «Puoi anche non credermi, ma è così. I più fantasiosi pensano sia un fantasma, ma secondo me si tratta solo di una leggenda. Ogni tanto qualche burlona se ne viene fuori corricchiando per la città a dire di essere Alessia, e convince i bambini di saper camminare sui fili del telefono.» «Non è possibile. Vi sareste accorti se la ragazza che si presentava non fosse stata sempre la stessa! Il tuo amico, Sergio, cosa ne dice?» «Anche lui l’ha vista diverse volte, e a voler dire la verità a lui è sembrata sempre uguale. Da sessant’anni a oggi, intendo. Ma è che siamo così convinti che sia lei, quasi ci speriamo!» «Autosuggestione di massa?» ribatté ironico Nathaniel. «Non so cosa voglia dire, ma credo di sì» sorrise Valerio «alcuni pensano addirittura che Alessia sia uno spirito che protegge Fasterna.» «Uno spirito?» «Già. Infatti dicono che non cammini sui cavi del telefono, ma che voli. O che appaia direttamente sopra a essi, non so. Te l’ho detto, secondo me è solo una castroneria!» Nathaniel si passò una mano sulla fronte, scoprendola sudata. L’opinione di quattro pazienti del reparto geriatria di Fasterna non poteva certo da sola distruggere le sue speranze, ma la fiducia che nutriva nel sesto senso di Toretto aveva appena subito una brusca frenata. «Ehi Lorenzo, sai con chi puoi parlare? C’è un tizio di Fasterna che ha scritto

un libro su Alessia. Pensava di diventare ricco sfondato, e invece non ha venduto una copia. Ehi, Sergio!» urlò allora Valerio «come si chiama quello che ha scritto un libro su Alessia?» L’anziano barbuto si voltò verso di loro, poi si passò la mano tra i folti capelli grigi come per mettere in moto il cervello. «Non era mica l’Alberto, Alberto Portali? Il pazzo che vive nella villetta giù in Via dei Martiri di Guerra.» Valerio si batté con forza la mano destra sulla fronte, quindi ripeté il nome a Nathaniel. «Alberto Portali. La via è quella che passa a destra del municipio, la troverai facilmente.» «Il pazzo?» intervenne Nathaniel facendo eco a Sergio. «Non ci sta tanto con la testa» gli urlò quello «crede in certe astruserie che lo penserai pazzo pure tu, ragazzo.» «Ha dei tic molto strani, talvolta parla da solo» aggiunse Valerio sottovoce «non si è mai sposato, però certe volte parla come se avesse una famiglia. E casa sua è piena di oggetti strani, ci sono stato una volta. Non mi ha mai detto da dove li abbia recuperati.» «Posso fidarmi a incontrarlo?» ridacchiò allora scherzosamente il boss «non è che mi spara con una doppietta appena suono al citofono?» I vecchietti risero all’unisono alla sua battuta, una sonora ghignata che copriva a malapena lo schiocco ritmico delle dentiere. «È inoffensivo» lo rassicurò infine Giulio «è un pazzo buono, sarà indecenza senile.» Ancora risate al tavolo alla gaffe del vecchietto, che probabilmente già vedeva doppie le proprie carte. Il boccale di birra di fronte a lui era vuoto per metà. «Demenza senile, idiota.» Nathaniel sospirò. Ormai era là e aveva già versato sostanziosi anticipi sui conti correnti di Vincent e Cordelia; ritirarsi avrebbe significato veramente sprecare tutti quei soldi. Tanto valeva provare. Posò una banconota da dieci euro sul tavolo, quindi si alzò e ringraziò gli arzilli briscolari per la compagnia. «Vado subito da questo signor Portali, allora, sperando di trovarlo in casa. Ti ringrazio Valerio, anche se mi hai ficcato tanti dubbi in testa.» «Per due birre questo e altro, giovanotto» sorrise Valerio «e se scoprissi qualcosa di più su Alessia fammelo sapere.» Nathaniel gli rispose con un occhiolino. Raccolse le sue cose, salutò gli altri tre anziani, quindi si rigettò nel freddo dell’inverno di Fasterna. L’aria frizzante gli sferzò il viso, risvegliandolo dalla disillusione in cui era piombato. Ne era sicuro: Alessia esisteva ed era una ragazzina in carne e ossa.

Doveva esserlo. Aveva intravisto il municipio prima, passando per il centro. Vi si diresse, accelerando il passo. Questa volta era stata brava. Non si era abbandonata all’attrazione fisica. Lo aveva visto arrivare, bello e statuario, e ne era rimasta folgorata. Ma non sono una puttana aveva resistito. Era stata accorta e prudente. Quello era il tipico uomo che voleva solo una scopata e una foto assieme; la prima per ricordare a se stesso quanto fosse uomo, la seconda per farlo sapere anche agli amici. Un uomo che non l’avrebbe protetta né amata neppure tra una botta e l’altra. Ma ora doveva pensare al lavoro. Aveva chiesto a una ragazzina dove potesse trovare il parco più grande della città, e gliene aveva indicato uno non molto distante. In quel momento si trovava proprio di fronte all’entrata. Un alto cancello in ferro faceva da ingresso, sormontato da un intreccio di sbarre curve che formavano la scritta “Parco Comunale”. Il parco era molto piccolo, tanto che Cordelia poteva osservare il rettangolo perimetrale già da dove si trovava. I bambini correvano in flusso continuo dallo scivolo all’altalena, dandosi il cambio secondo uno schema silenziosamente concordato. Cordelia si sedette su una panchina in legno proprio a metà tra i due giochi, e appoggiò la pesante borsa di fianco a sé. Sullo schienale della panchina una mano inesperta aveva scavato un cuore, al centro del quale stavano una C e una S in un grezzo percorso in bassorilievo che la giovane killer sfiorò con l’indice. Anche alcuni dei ragazzi con cui era uscita (e sì, pure Alex!) le avevano dedicato simili scarabocchi che a quattordici anni sembravano il massimo del romanticismo. Mentre era persa nei suoi pensieri, un bambino cicciotto piombò pesantemente a sedere sulla sua panchina, proprio di fianco alla borsa. Con un gesto improvviso, Cordelia la strappò dal suo posto e l’appoggiò a terra. Preferiva evitare che il ragazzino potesse vedere la pistola che c’era dentro. Il giovincello si asciugò il sudore dalla fronte con la manica, poi si voltò verso Cordelia. «Scusa signora, è che sono stanchissimo!» ansimò, allargando il sorriso «mi chiamo Marco. E tu?» «Sab… Cristina. Signorina Cristina» sorrise Cordelia di rimando «quanti anni pensi che abbia?» Il bimbo parve rimuginarci un po’ su, aggrottando il mento in posa pensierosa.

«Trenta… sette?» Cordelia chiuse gli occhi e alzò la testa fingendosi offesa, poi fece una scherzosa linguaccia al bambino. «Risposta sbagliata: ne ho ventiquattro, Marco. Ti tocca la penitenza!» «Ma a me non piace fare la penitenza!» si lamentò il bambino, mentre agitava il faccione contrariato. «Facciamo così. Per farti scusare, devi parlarmi di una ragazzina. Di Alessia. Ok?» «Io conosco tre Alessie» le rispose Marco, contando sulle dita della mano destra «se vuoi te le chiamo, sono tutte qui.» «No Marco, io parlo di un’altra Alessia. La bambina equilibrista.» «Equi… brilista?» balbettò il bambino. «Equilibrista. Significa che sa fare le acrobazie. Ho sentito che questa ragazzina saltella qua e là per la città, e corre sui fili del telefono.» «Ah! Quella Alessia! Ma lei non è una ragazzina. Lei è un angelo!» «Un angelo?» «Sì, lei vola! E poi viene a trovarci nei sogni! Le bambine normali non sanno entrare nei sogni.» Cordelia squadrò dubbiosa il bambino. «Vuoi dire che qualche volta la vedi nel sonno?» «Sì, ma non solo io. Tutti i miei amici anche, tutti i bambini di Fasterna. Lei ci dà dei consigli. Per esempio, la settimana scorsa mi ha detto una cosa» Marco si alzò in piedi sulla panchina, e sollevò l’indice con tono solenne «la settimana prossima non andare a trovare i tuoi nonni.» «E perché non dovresti?» «Non lo so, lei non spiega mai. Però noi le diamo sempre retta, sempre sempre sempre.» Non c’è da stupirsi. Anche io e i miei amici sognammo per un bel mesetto l’Uomo Nero, dopo che un nostro compagno ci raccontò che mangiava i bambini che non dormivano. E qui ce n’è di materiale per lasciar lavorare la fantasia! «Una volta» riprese il bambino «Alessia ha detto in sogno al mio amico Riccardo di non andare a giocare al parco quel pomeriggio, e lui allora non ci è andato. E sai cosa è successo?» Cordelia sollevò un sopracciglio in segno di curiosità. Il ragazzetto si mise a saltellare sulla panchina, poi mimò con ampi gesti quello che raccontava. «Un fulmine ha colpito un albero grandissimo che è caduuuto giù e BAM! ha distrutto l’altalena. Sai, a Riccardo piace tantissimo l’altalena!» Il bimbo non aveva l’aria di aver raccontato una frottola. Una semplice coincidenza su cui il caro Riccardo ha fantasticato un po’

troppo. «Ma» riprese Cordelia «tu la conosci? Cioè, qualche volta la incontri, o ci parli?» «Certo!» rispose Marco, come se fosse ovvio «ma lei parla solo con i bambini, perché le piace tanto giocare. E allora facciamo delle gare di corsa, o giochiamo con le biglie, o a nascondino.» «Peccato!» sospirò la ragazza «io volevo proprio incontrarla. Mi puoi dire almeno dove vi incontrate di solito?» «È lei che viene da noi. Quando siamo in gruppo viene da noi a giocare, e quasi sempre quando è un po’ buio. Però tu sembri una brava signora, se vuoi posso chiederle di incontrarti.» «Mi piacerebbe molto, grazie Marco» disse Cordelia, giusto prima che il bambino scappasse di nuovo verso i giochi. Non sarebbe stato facile trovare questa Alessia. Avrebbero dovuto passare al setaccio l’intera cittadina l’indomani, e non sarebbe stato affatto un lavoro leggero. Cordelia si abbandonò allo schienale della panchina e chiuse gli occhi. La fredda brezza invernale era piacevole in quel parco, dove i raggi del sole portavano alla pelle un leggero tepore. Le risa dei bambini facevano da allegro sottofondo musicale a quella stupenda sensazione. «Scusi.» Una voce flebile ruppe timidamente il silenzio mentale in cui Cordelia si era immersa. Un bambino, più piccolo in età e stazza rispetto a Marco, era in piedi di fronte a lei. Teneva gli occhi bassi, e un forte rossore gli stava colorando le guance. «Lei si chiama forse Cordelia?» Cordelia sbatté le palpebre stupita. Quante probabilità potevano esserci che un bambino, scegliendo a caso un nome femminile, azzeccasse proprio il suo? Mezza su un miliardo? «I-Io» spiccicò allora «io mi chiamo Cristina. Perché?» «Niente allora» rispose il bimbo imbarazzatissimo «è che lei somiglia tantissimo alla descrizione che mi ha fatto Alessia di una certa Cordelia. Sa, devo portarle un messaggio.» Un messaggio? Da Alessia? «Ah, sai perché? Cordelia è mia sorella, ci somigliamo tantissimo» inventò la ragazza sul momento. Era orrenda e scontata, ma di meglio non le era venuto in mente «dimmi pure, glielo riferirò.» «Be’…» Il bambino sembrava titubante, e non si fidava a rivelare a una sconosciuta un segreto che gli aveva detto Alessia. Ci stava riflettendo su, e le sopracciglia

aggrottate erano un segnale evidente del suo lavorio mentale. «Va bene, perché Marco ha detto che sei una brava signora» concluse allora il bimbo, strofinandosi il naso. Seguì una pausa, breve, che a Cordelia parve durare una giornata intera. Contò i rumorosi tonfi del suo cuore. «A Fasterna un uomo senza scrupoli cercherà di ucciderti. E comincerà stasera.» Cordelia strabuzzò gli occhi. Balbettò qualche sillaba sconnessa, poi prese un profondo respiro. «Quand’è che Alessia ti avrebbe detto questa cosa?» Pensava di sapere la risposta; temeva di sapere la risposta. Ma doveva togliersi quel dubbio. «Questo pomeriggio, in sogno» rispose candidamente il bambino. In sogno Cordelia era certa di dovergli chiedere qualcosa, una spiegazione, un perché, ma non le venne in mente nulla. Il bimbo fece dietrofront e tornò a giocare con i suoi amici. Un brivido le folgorò la schiena. D’un tratto si era fatto ancora più freddo. Strinse il collo della giacca e accavallò le gambe, per concentrare più calore possibile. Sentire un bambino pronunciare quelle parole con lo stesso tono di voce che avrebbe se stesse comprando caramelle, era agghiacciante. Doveva dar retta a quello che le avevano detto quei ragazzini? Non sarebbe mai stata a lambiccarsi su una simile questione se non fosse stato per quel dettaglio: come faceva quel bambino a conoscere il suo pseudonimo? Che avesse sentito Vincent chiamarla per nome alla pizzeria? E perché farle uno scherzo del genere? Non poteva nemmeno ipotizzare che fosse stato solo un caso, le possibilità erano infinitesimali. I bambini continuavano a giocare senza pensieri per la testa. Un po’ li invidiava. Avrebbe pagato oro per un pizzico di spensieratezza infantile, quella che lei aveva perso con qualche anno di anticipo rispetto agli altri ragazzi. Il cigolare delle altalene arrugginite formava una stridente cacofonia mixata alle risate dei ragazzini. Il vento si rafforzò ancora. Cordelia decise di lasciare il parco e dirigersi al bar più vicino per prendersi una cioccolata calda. Avrebbe ripreso poi il suo giro di interrogatori.

6 La villa si ergeva imponente di fronte a lui. Stonava con il resto delle abitazioni nella sua evidente modernità. Le finestre ampie, chiuse da eleganti persiane in legno, puntellavano la facciata di entrambi i piani. L’ingresso in piastrelle beige era decorato con due basse statuette raffiguranti un Buddha e un angioletto, mentre un candeliere dorato pendeva da una catenella appesa al soffitto. Su una sedia a dondolo erano abbandonati una coperta bluastra e la copia di un romanzo. Il giardino invece era malcurato; lunghi fili d’erba ingiallita, curvi sotto il proprio peso, increspavano la superficie come centinaia di cavalloni ondosi. Due alberelli sparuti sbucavano da questa superficie uniforme come alberi maestri, denudati delle loro foglie dalla forza irresistibile dell’inverno. Colonne di rampicanti disegnavano ghirigori simili a tribali sui quattro lati della casa, rendendola in qualche modo spettrale; e certo il cielo d’inverno che andava già rabbuiandosi contribuiva a questa sensazione. Nathaniel non esitò a suonare il campanello sopra cui campeggiava il nome di Alberto Portali. Il suono stridulo della suoneria arrivò fino al suo orecchio insieme con il fischiare del vento tra i bassi cespugli. «Chi è?» gracchiò il citofono. «Salve, sono un giornalista del Corriere della Sera. Sto facendo delle ricerche su Alessia per un articolo, e mi è stato consigliato di rivolgermi a lei.» Seguì un attimo di silenzio, poi il suono metallico della serratura che si apriva gli fece tirare un sospiro di sollievo. Aprì il cancelletto cigolante e si diresse verso la porta d’ingresso, di fronte alla quale già lo attendeva il signor Portali. Era un uomo ingobbito di mezza età, che con la lucida piazza sulla testa e il modo di tenere le braccia dietro alla schiena ricordava un santone tibetano. Gli occhiali da sole che indossava nascondevano due occhi vispi, intenti a sbirciare di sottecchi il nuovo arrivato. Il suo cervello invece stava calcolando le possibilità che le vendite del suo libro si impennassero dopo un articolo su un quotidiano nazionale. Nathaniel strinse con forza la mano allo scrittore. «Io sono Lorenzo Canavesi, piacere di conoscerla.» Alberto ricambiò la stretta col sorriso sulle labbra, poi invitò Nathaniel a entrare in casa.

L’interno era incredibilmente disordinato. Le pareti avevano bisogno urgente di una riverniciata, e in generale tutto l’arredamento andava rimodernato. Per quanto Nathaniel fosse un fan dell’antiquariato, il salone d’ingresso mancava di qualsiasi armonia. Era una casa vissuta, certamente ereditata da generazioni di antenati; avrebbe scommesso che la modernità della facciata fosse nata da una ristrutturazione recente. Il mobilio era quanto di più strano avesse mai visto. Non sembrava esserci un gusto particolare a governare il tutto, quanto piuttosto che fosse stata la casualità a disporre gli oggetti. Poteva essere la casa di un cleptomane! Sopra una mensola erano accatastati un gran numero di vasi in ceramica decorati con ideogrammi giapponesi, alternati tra loro da piccole miniature di angioletti. Appeso a una parete c’era invece un quadretto pop-art, giusto accanto a una riproduzione amatoriale dell’Etna in colori a olio. Portali accompagnò Nathaniel attraverso un lungo corridoio tappezzato di squallidi quadretti. I due passarono davanti a tre porte chiuse e infine entrarono in un’ampia sala, probabilmente la più spaziosa dell’intera abitazione e adibita a biblioteca. Addossate alle quattro pareti stavano altrettante immense librerie ricolme di volumi. Nathaniel poté notare un’intera schiera di libri dedicati al folklore e all’antropologia del Piemonte e alcuni imponenti tomi di dati statistici di Fasterna e dintorni. Portali si avvicinò al camino posto a ridosso della parete opposta all’ingresso cominciando ad armeggiare con pezzi di legno e combustibili. Il capo del circo ne approfittò per curiosare tra quei tomi. Il primo della serie portava la datazione 1920 scritta a mano in grafia sottile ed elegante, mentre sull’ultimo c’era un’etichetta stampata a computer che recitava 2000. Dando una veloce scorsa alle coste dei libri, Nathaniel notò come ve ne fosse uno per ogni decade. Prese quello del 1950, e cominciò a sfogliarlo. «Le parlerò anche di quelli nell’intervista su Alessia, stia tranquillo. Potrà fotocopiare le pagine di suo interesse se gradisce.» La voce di Portali lo riportò alla realtà. Il padrone di casa era riuscito ad accendere il camino, e le prime propaggini del calore di quei tizzoni cominciarono a spandersi per la stanza. Portali si accomodò su una poltroncina al centro della stanza, quindi invitò il signor Canavesi a fare lo stesso. Nathaniel obbedì volentieri e prese in mano il taccuino; questa volta gli sarebbe potuto tornare davvero utile. «Cominciamo allora» disse Nathaniel «non ho ancora avuto la fortuna di leggerlo, ma ho saputo che lei ha scritto un libro su Alessia. Come mai le interessa l’argomento?» «Credo sia ovvio» rispose Alberto senza pensare «Alessia mi ha affascinato

sin da quando la vidi la prima volta, nel 1965. Avevo sei anni all’epoca, era la sera del sabato della Sagra dei Funghi. Come dimenticarlo? Stavo giocando insieme ai miei amici con le biglie, quando Alessia è apparsa dal nulla.» «E scusi, ma quanti anni avrebbe dimostrato all’epoca?» «Quelli che secondo i bambini di oggi dimostra ancora: quattordici anni o giù di lì.» Nathaniel aveva già sentito quella sciocchezza da Valerio, eppure non riuscì a trattenere la sua incredulità. «Quindi starebbe dicendo che Alessia non invecchia? Che sarebbe immortale?» chiese Nathaniel, quasi sentendosi stupido anche solo per averlo detto. «È la tesi che sostengo nel mio libro, Alessia, una Dea a Fasterna. Se mi permette, vado a prendere alcuni testi che potrebbero aiutarmi a spiegarle la faccenda.» Portali si avviò con fatica verso la libreria. Fece ritorno portando una copia del suo libro e il tomo del 1950 che Nathaniel aveva sfogliato. «È pronto ad ascoltarmi? Questa copia del mio libro gliela regalo: le sarà utile per evitare di dover prendere appunti superflui.» Il buon Lorenzo Canavesi annuì, interessato e diffidente al contempo soppesando l’edizione tra le mani. «D’accordo. La avverto che tutti i dati di cui farò menzione sono certi e comprovabili; potrà trovare la conferma in comune, se ha la fortuna di trovare un impiegato che abbia voglia di lavorare.» Portali aprì il suo libro e lo depose sul tavolo, quindi puntò l’indice su una data: 21 novembre 1919. «Da dove vengono questi libri?» «Sono il risultato di anni di studi di mio padre, poi continuati dal sottoscritto» gli rispose Portali «era uno statista al comune di Fasterna, e rimase estremamente affascinato da quelle colonne di nomi e numeri.» «Tanto da conservare copie di quei dati nella propria libreria?» ironizzò l’altro. «Esatto. Soprattutto da quando cominciò a interessarsi ad Alessia.» Nathaniel inarcò le sopracciglia. Quella storia della presunta immortalità cominciava a infastidirlo. «Mi lasci spiegare, le renderò tutto più chiaro» lo tranquillizzò lo scrittore «dicevo, 21 novembre 1919. Prima apparizione registrata su carta di Alessia. Mio padre la segnalò come unica orfana di Fasterna, sfortunatamente impossibile da localizzare. Gli adulti la cercarono per mesi per poterla affidare a qualche famiglia, ma non riuscirono a scovarla. Alla fine pensarono che i bambini si fossero inventati tutto, quindi abbandonarono le ricerche.»

Portali sfogliò velocemente alcune pagine, quindi puntò ancora il dito. «Qui siamo nel 1922. Alessia viene avvistata anche da anziani e adulti. Non riescono a parlarle, perché fugge ogni volta che qualcuno le si avvicina. Sembra essere a suo agio solo con i bambini. Anche mio padre riesce a vederla, e segnala sul relativo volume statistico un dubbio: “Alessia non somiglia incredibilmente a quella stessa ragazzina che girovagava per Fasterna quando io ero piccolo?”» Portali continuò questa cantilena per ogni decade: i bambini di ogni generazione avvistavano Alessia, e la descrizione fisica della ragazzina era sempre la stessa. Identica. Tra il 1920 e il 2000 le sue apparizioni non avevano mai subito pause sostanziali, per cui era logico (nella sua illogicità) pensare che Alessia frequentasse Fasterna anche prima di questa data. «Sta dicendo che Alessia abita Fasterna dalla notte dei tempi?» domandò Nathaniel, portando a compimento il ragionamento lasciato in sospeso. «Questo non lo so, non abbiamo informazioni sufficienti. Ma è molto probabile che sia così, per quanto questo possa parere spaventoso.» «E in che circostanze sono avvenute queste apparizioni, come le chiama lei?» «Non ci sono grandi denominatori comuni. La maggior parte degli avvistamenti avvengono di sera, sempre in presenza di bambini, ma non è raro che si rechi in qualche parco a giocare anche nel pomeriggio.» «Quindi solo casualità?» tirò le fila Nathaniel, sconsolato. «Non proprio» precisò l’altro «è un’habitué delle feste di paese, questo è certo. Se ha fortuna, potrebbe anche vederla domani stesso.» «Per la Sagra dei Funghi?» «Esatto, vedo che gliene hanno parlato. È molto probabile che la bimba ci faccia una comparsata.» Il finto giornalista appuntò questo fatto sul suo taccuino, a conferma di quello che già sapeva. «Ma pensavo volesse farmi un’altra domanda, invece» riprese Portali. «Quale?» «Perché sostengo che sia una dea.» «Perché lei pensa che sia immortale, immagino» rispose Nathaniel sollevando le spalle. Portali si fece più serio. Si chinò in avanti, trascinando un poco la poltroncina per avvicinarsi al suo interlocutore. Diede pesante enfasi alle proprie parole, anche se il loro significato già sarebbe bastato. «Non solo. Da quando le apparizioni di Alessia sono cominciate, eccezion fatta per la vecchiaia, Fasterna non ha più conosciuto la morte.» Nathaniel strabuzzò gli occhi di fronte a quell’affermazione. «Credo di non aver capito bene.»

«Ha capito benissimo invece, solo che è diffidente. È naturale, non gliene faccio certo una colpa» rispose divertito lo scrittore «ma le mostrerò i dati raccolti dal 1920 a oggi. Legga pure.» L’uomo indicò una lunga tabella fitta di numeri e parole sulla pagina di un libro e lo consegnò a Nathaniel, che cominciò a scorrerlo con gli occhi. E man mano che avanzava nella lettura, la sua fronte si corrucciava sempre più nell’incredulità. Ottant’anni di vita di Fasterna erano l’oggetto dello studio. Tutte le morti segnalate in questo ampio lasso di tempo avevano come motivazione ufficiale “Morte Naturale”; la precisazione indicava che il decesso non era mai stato causato da malattie. Nessun cancro, nessun tumore né tubercolosi, neppure negli anni degli stenti durante la guerra. Mai un omicidio, mai un incidente mortale. Quei dati erano incredibili. Portali si allungò indicando una riga sul foglio. Gli abitanti di Fasterna morti per cause non naturali. Una frase in grassetto ingombrava un’intera riga: “Gli abitanti di Fasterna deceduti per cause non attribuibili a vecchiaia sono elencabili unicamente tra coloro che hanno abbandonato i confini cittadini”. In particolare, quarantasette furono i morti al fronte durante le due Guerre Mondiali. Certo non solo loro; gli altri deceduti erano tutte persone che si erano trasferite da Fasterna ad altre città, o che comunque l’avevano abbandonata. Solo coincidenze! «Mi sta dicendo che non si è mai verificato alcun incidente qui a Fasterna?» chiese strabiliato Nathaniel. «Alcun incidente mortale» precisò l’altro «di incidenti ne sono avvenuti, è ovvio, ma nessuno ha mai comportato la morte di un abitante, perlomeno dal 1920. Le uniche che potrà trovare, sono le morti presunte, quelle degli scomparsi.» «Ha un foglio anche per queste?» domandò ironicamente il capo del Circo. L’altro scosse la testa, sorridendo. «Sarebbe inutile. Si saranno verificati una dozzina di casi dal 1920, soprattutto di ragazzine in fuga, single che abbandonano la città all’improvviso, famiglie che se ne vanno senza avvertire nessuno dopo liti condominiali. Sa, mi è successo tre anni fa: il mio vicino è scomparso dopo che ha perso con me una causa per la sua dannata quercia che mi ombreggiava il giardino. Ha dovuto tagliarla. Era talmente infuriato che il giorno dopo di casa sua restavano solo i mobili. Ha preso qualche vestito, gli effetti personali, l’auto ed è andato via!» Nathaniel annuì pensieroso. «Quindi lei crede…»

«Che Alessia sia la nostra Dea Protettrice» completò Portali. «Dea Protettrice. Scusi se mi permetto, ma questo è ridicolo.» Questo è un romanziere, non uno storico. «Forse ci confondiamo sui termini, signor Canavesi. Io non intendo un Dio come quello inteso dal Cristianesimo, né rassomigliabile a quelli greci. Alessia è, secondo me, una sorta di entità sovrannaturale che per qualche ignoto motivo protegge la cittadina di Fasterna. Una specie di ninfa che si manifesta a noi nelle vesti di una bambina.» Nathaniel fece per alzarsi sdegnato e offeso e salutare l’ospite, ma questi aprì un altro libro, prese alcune fotografie e gliele mostrò una a una. «Visto che non mi crede, guardi queste. Sono fotografie scattate ad antichi vasellami e reperti tessili ritrovati qui a Fasterna.» Le foto provenivano certamente da una collezione privata. Nella prima foto era ritratto un coccio su cui era stata incisa l’immagine di una bambina, o una piccola donna, che impugnava una lunga spada. Di fronte a lei stava un enorme lupo, con lunghi denti acuminati. «Guardi bene. Questo coccio risale al XVI secolo. Storici del luogo sostengono fosse un invito per le donne a prendere le armi contro l’attacco in massa dei lupi. Pare difatti che i lupi, in quel periodo, avessero sterminato gli allevamenti dei paeselli vicini e che si stessero dirigendo proprio verso Fasterna» spiegò Portali, che indicò poi con l’indice una piccola ondina sul foglio «cosa legge qui?» Nathaniel impiegò un po’ per mettere bene a fuoco: la fotografia era sfocata e la scritta, perché di quello si trattava, sembrava graffiata. Si intravedeva una sola parola, perché le altre erano troppo graffiate. «Non ne sono sicuro» rispose Nathaniel «ma credo ci sia scritto “elsa”. Solo che è molto rovinata.» «Esatto!» lo interruppe lo storico «è opinione comune che quella parola sia effettivamente “elsa” e che sia parte di una specie di poemetto per l’invocazione alle armi. Ma è un errore: lì c’è scritto Alessia, le lettere mancanti sono cancellate. E in questo caso» continuò «avremmo tracce di Alessia già nel 1500.» Nathaniel alzò gli occhi, per volgere lo sguardo alla parete. Qui si stava sfociando nel fanatismo! Con la coda dell’occhio gli parve di scorgere una figura percorrere velocemente tutto lo specchio visivo della finestra, uscendone in fretta. Cos’era stato? Certamente non un giardiniere.

Si stava già rabbuiando là fuori, il sole stava calando velocemente inondando il cielo di chiare tonalità amaranto. Era stato sicuramente un gioco di ombre. Che tutte queste storie di spiritelli lo stessero impressionando? Nella seconda fotografia c’era un piccolo altarino in pietra situato al centro di un’ampia radura. Era rovinato dal tempo, come si intuiva dagli angoli smussati. Non un filo d’erba popolava la zona intorno all’altare, probabilmente luogo di numerosi falò. «Questo è uno scatto perpendicolare alla superficie in pietra» precisò Portali. La fotografia in questo caso era molto precisa, e l’incisione nella pietra assai particolareggiata. Quella nel disegno era certamente una bambina: lunghi capelli filiformi le scendevano morbidi sulle spalle, scivolando lungo le braccia. Gli occhi occupavano gran parte del volto, volutamente evidenziati dall’autore che si era prodigato nel tracciare al meglio le iridi e le pupille. Le labbra parevano serrate, e insieme alle sopracciglia inarcate conferivano al volto un’aura di severità e importanza. Le braccia erano spalancate in un simbolico abbraccio. Le gambe della bambina erano incrociate, i piedi sottili poggiati a terra sulle punte dando all’intera figura un senso di leggerezza. «Avrà notato la dovizia di particolari. Questo non è un lavoro semplice, certo nulla che un contadino possa fare.» Nathaniel non poté che assentire. «Intorno a questo altare si tenevano riti in favore di Alessia. Suppongo venissero bruciate spezie e piante aromatiche. Le teorie ufficiali degli storici di Fasterna invece affermano fosse un altare pagano per una fantomatica dea della guerra. Ma che guerra avrebbe mai dovuto combattere questo paesino?» Portali sembrava più che certo di ciò che asseriva. Con il corpo teso in avanti e la voce ferma, l’anziano scrittore stava stritolando i braccioli della poltroncina. Il circense lo fissò negli occhi, spalancati e ingigantiti; pareva quasi indispettito dall’incapacità del giornalista di vedere ciò che a lui era evidente. «E nessun adulto si è mai seriamente preoccupato di Alessia, supponendo che sia il frutto di una psicosi dei bambini?» «Parecchi anni fa, questo sì. Cercarono Alessia ma, come le ho già detto, non la trovarono. La gente ormai si è abituata alla sua presenza, e l’ha accettata fintanto che non è pericolosa. Alcuni continueranno a credere che sia una fantasia dei bambini, altri che sia un fantasma, altri che sia una dea.» «E quindi non prevedete più nessun intervento?» «Esatto.» Nathaniel chiuse il suo bloc-notes. Si alzò in piedi lentamente, ancora ragionando su ciò che aveva ascoltato nelle ultime ore. «Mi è stato molto utile, signor Portali. È stato un piacere conoscerla» salutò

Nathaniel, porgendogli la mano. L’altro ricambiò, quindi lo accompagnò alla porta. «Quando dovrebbe uscire l’articolo?» chiese curioso lo scrittore a Nathaniel che, colto alla sprovvista, impiegò un attimo a realizzare. «La settimana prossima» rispose. «Acquisterò il Corriere dal lunedì alla domenica allora!» Ma Nathaniel già non lo ascoltava più. Stava ripensando a tutto ciò che gli era stato detto. Non credeva per nulla che Alessia potesse essere una Dea o una fata, o una qualsiasi entità sovrannaturale: solo fantasie! Ma se fosse stato vero che era solo un’invenzione dei bambini? Se quella che già si era immaginato come attrazione principale del suo Circo fosse stata solo una fantasia paesana? Andare da Portali era stato un enorme spreco di tempo. Aveva ascoltato per ore le teorie deliranti di un pazzo, senza raccogliere alcun indizio significativo su Alessia. L’unico elemento che poteva forse tornargli utile era la stretta correlazione tra la ragazzina e i bambini di Fasterna Le lancette dell’orologio indicavano le otto e mezza. Aveva fissato il ritrovo alle due di notte perché voleva continuare le indagini anche durante la serata, ed era quello che intendeva fare dopo una cena abbondante e un buon caffè. L’oscurità permeava ormai le via di Fasterna, infilandosi in ogni anfratto e scivolando in ogni fessura. I pochi lampioni che puntellavano le vie a qualche decina di metri l’uno dall’altro rischiaravano fiocamente la cittadina addormentata. Poche persone erano in giro, mentre molte erano le finestre illuminate da cui svicolavano gli avvolgenti aromi delle cene. Nemmeno i gatti si azzardavano a gironzolare per le fredde stradine, preferendo accoccolare il loro pelo intirizzito davanti al caminetto. Nathaniel si strinse addosso la giacca per ripararsi dai gelidi aghi del vento invernale. Stava cercando un ristorante aperto, ma si sarebbe accontentato anche di una pizza o di un panino caldo. Svoltato l’angolo, Nathaniel si paralizzò. Non per il freddo, per quanto raggelante fosse, ma per la sorpresa. O lo sgomento. Strabuzzò gli occhi osservando la piccola figura seduta sul muretto che costeggiava la strada. Nei deserti il caldo afoso porta alle allucinazioni; che il freddo di montagna abbia lo stesso effetto? Forse… ma quella silhouette parlò, non era un’allucinazione.

7 Per fortuna che aveva chiesto al tizio dell’Ostello dove trovare un buon bar! Col gelo che avvolgeva l’intera città, sarebbe stato difficile trovare la forza di vagare alla ricerca di una birreria. L’insegna del Queen, rustica nelle sue lettere illuminate dal neon azzurrognolo, lo attraeva come il volante di un auto attirerebbe un pilota. La porta del locale si aprì silenziosa, dando su un ampio salone pregno di fumo e odore di carne. Toretto si sentiva a casa. Il tepore del bar lo avvolse in un irresistibile abbraccio, tanto che per preservarlo sbatté con forza la porta pur di chiuderla al più presto. Al bancone c’erano tre uomini che dialogavano animatamente, mentre il barista era intento a spillare boccali di birra. Le parole che riuscì a carpire nel frastuono della musica ad alto volume furono “funghi”, “letto” e “freddo cane”. Un piccolo stereo spargeva nella stanza le note di Sweet Child O’ Mine dei Guns ‘N Roses. Toretto si accomodò di fianco ai tre. «Certo che avete un bel tempo del cazzo qua in inverno, eh?» «L’hai detto» proruppe uno dei tre «anche se un freddo così erano anni che non lo sentivamo.» «Allora son proprio fortunato» rispose Toretto sghignazzando «una Weiss, barista! E una anche per i miei amici qui.» «Sei il benvenuto» lo ringraziò quello alla sua sinistra, mimando un rozzo inchino sulla pancia prorompente «cosa ti porta a queste altezze?» «Lavoro, lavoro. Stiamo cercando una ragazzina di queste parti.» «Anche voi qua per Alessia?» «Anche? Non siamo i primi allora.» «No, anzi» gli rispose quello, mentre faceva roteare il boccale vuoto tra le mani «ci han già provato gruppi di ragazzetti arrapati in cerca di brividi, curiosi e qualche studioso di bassa lega.» «Ma nessuno è riuscito a prenderla. È agile quella, eh?» completò il secondo della fila. Toretto tracannò il primo boccale. C’era uno strano retrogusto metallico, ma non dava fastidio più di tanto. Ne ordinò un’altra. «Mah, non mi interessa in realtà. Se ci riusciamo bene, altrimenti amen.» Toretto in mezz’ora ingollò la bellezza di sei boccali di birra. Alla fine dell’ultimo, con il gargarozzo che seguiva il ritmo degli applausi incitanti dei

tre compagni, il mondo cominciò a girare, roteare su se stesso, colorarsi di tinte strane, come in un caleidoscopio. Cominciò a vomitare risate senza freno di fronte alla facce deformate dall’alcool degli altri tre. La testa leggera di Toretto surfava sulle onde della birra. D’un tratto, sentì un rumore assordante alle sue spalle. La porta del bar si spalancò con violenza. Macchie di colore entrarono attraverso la porta scivolando come tentacoli sulle pareti e colorandole di porpora. Una sagoma scura si stagliò sulla porta, nera contro lo sfondo violaceo del cielo all’esterno. Man mano che avanzava nel bar, Toretto riusciva a scorgerne i particolari. La giacca che indossava era stracciata in più punti, come se fosse stata dilaniata da un branco di cani. Anche i jeans erano lacerati, e attraverso gli strappi si potevano vedere le gambe graffiate. Ancora un passo. Era un ragazzino o una ragazzina, sicuramente non un adulto. Passo. Teneva le mani a pugno, stringendo con forza, e ne faceva piovigginare pesanti gocce di sangue che imbrattavano il pavimento. Passo. All’altezza della testa, che ancora Toretto non riusciva a scorgere, ardevano due sfere brillanti come braci celesti. L’omaccione si voltò terrorizzato a destra e a sinistra. I suoi compagni, sempre sfocati per effetto dell’alcool, continuavano a ridere tra loro, risate fragorose come esplosioni. Uno gli mollò una pacca sulla spalla, e da distanza siderale Toretto sentì giungere le parole “ehi stai male amico?”. Toretto si voltò ancora verso la figura che avanzava. Il tempo che impiegò per girare la testa sembrò infinito, e gli diede il tempo di scorgere la tintura rossa che insozzava le pareti colare Barista ques collosa sul pavimento. Cercò di alzarsi in piedi, ma barcollò così tanto che fu costretto a to sta maliss risedersi suo malgrado. Voleva fuggire, ma era come legato alla sedia e respinto dall’entrata. Le risate si erano smorzate un po’, ma continuavano a riempire imo! Forseti convi l’aria col loro fracasso. Ora riusciva anche a scorgere i capelli della figura, o perlomeno la loro forma: non poteva distinguerne il colore, mescolato al cielo livido e al carminio delle mura. Erano ene chiamarequel

lunghi e scompigliati in grandi volute. I ghirigori che disegnavano erano inquietanti, soprattutto nell’insieme che definivano con quegli occhi ipnotici. Un altro passo, e anche il viso l’Ost ello dicuipar lava sbucò dall’oscurità. Le guance erano scavate, gli occhi infossati. Le labbra secche scoprivano denti di un bianco abbacinante, mentre la bocca aperta ansimava pesantemente. Si stava avvicinando sempre di più. Aveva alzato le mani, e le aveva puntate verso di lui. I palmi erano stati lacerati dalle unghie premute a pugno. Da terrorizzato che era, il volto di Toretto si fece terreo. Quello che zoppicava verso di lui sembrava un cadavere tenuto in piedi dai fili impietosi di un burattinaio ubriaco. «Andate via da Fasterna» sibilò la creatura muovendo un altro passo. Uno schiocco agghiacciante sovrastò tutti gli altri suoni, e Toretto vide la gamba destra della ragazzina assumere un’angolazione innaturale. Quella cadde a terra. Si toccò la gamba, poi cominciò a strisciare verso di lui. L’uomo scattò in piedi. Una mano si appoggiò sulla sua spalla, ma lui l’allontanò e cominciò a correre verso la porta travolgendo sedie e tavolini. Le pareti avevano riassunto la loro colorazione giallo-grigiastra, risultato di una tappezzeria orrenda intaccata dai fumi delle sigarette. Nessuna ragazzina stava più strisciando a terra, né vi era sangue sul mobilio. «Ehi, tu, devi pagarmi le birre! Ehi!» Ma Toretto non aveva alcuna intenzione di fermarsi. Uscì in strada, e corse a perdifiato fino all’Ostello. «Na-tha-niel» sillabò la sagoma con voce infantile, come una bambina che cerca di memorizzare una parola difficile. L’uomo boccheggiò. I suoi occhi ormai abituati all’oscurità scandagliarono forsennatamente la ragazzina. Corti capelli castani ricadevano morbidi e vaporosi attorno al viso, incorniciando due guance rosee e piene. Le labbra come petali di lavanda rosata, sdraiate su un mento dolcemente arrotondato, erano ora inclinate in un sorriso divertito. La ragazzina guardava in basso, altalenava le gambe e ondeggiava la testa a ritmo. La frangia che danzava ipnotica come una lama sulla sua fronte le nascondeva gli occhi, lunga fino al piccolo naso. «Na-tha-niel» ripeté, come in un’ossessiva cantilena. Alessia? «T-Tu sei?» cominciò l’altro, poi si interruppe. Allora esiste! Esiste, ed è una ragazzina in carne e ossa!

«Alessia. Io sono Alessia.» La ragazzina alzò il volto, e Nathaniel rimase rapito da ciò che vide. Gli occhi celesti di Alessia brillavano come lapislazzuli nella densa oscurità della sera. Il capo del circo rimase incantato a osservare le tonalità azzurre di quelle iridi, prima di accorgersi che le labbra della ragazzina si stavano muovendo. «Non mi stai ascoltando, vero?» Nathaniel fece cenno di no, istupidito. «Ho detto» cominciò Alessia, dopo un breve silenzio «lasciami in pace.» La fisionomia della ragazza era cambiata mentre pronunciava le ultime tre parole. Gli occhi le si erano ridotti a due fessure e aveva serrato le labbra. «Non so cosa tu voglia da me, ma ti conviene desistere. Io non lascerò Fasterna, questo è poco ma sicuro.» Queste non sono certo le parole di una bambina. «Voglio offrirti un lavoro» intervenne Nathaniel «ho sentito parlare delle tue capacità, e vorrei offrirti un posto come equilibrista nel mio Circo. Tutti gli altri artisti hanno circa la tua età, saresti tra amici. Avresti un posto dove vivere, pasti caldi da mangiare, uno stipendio. Una famiglia!» Una folata di vento smosse i capelli di Alessia, che si strinse nel cappotto. Si sarebbe aspettato una reazione, anche solo che sollevasse le sottili sopracciglia, ma Alessia rimase impassibile. «Ti ringrazio per l’offerta, ma non sono interessata.» «Prova almeno un mese. Se non ti piace, ti riporto io personalmente a Fasterna» tentò Nathaniel «soddisfatta o rimborsata!» Sorrise in cerca di complicità, ma Alessia chinò la testa. «Non insistere, non sono interessata» ribadì. Nathaniel mosse un passo verso di lei. «Resta dove sei» ordinò la ragazzina con voce piatta, mentre con gli occhi valutava le possibili vie di fuga. Il boss avanzò ancora un poco e vide Alessia puntare i piedi in terra, pronta a scattare. «Sarai servita e riverita. Sarai la star del nostro Circo! Non ti tratteremo come una semplice attrazione: terrai interviste, firmerai autografi a bambini festanti. La gente accorrerà solo per vedere te e il tuo talento, e tu avrai la possibilità di divertirti tutto l’anno con quello che ti piace fare.» La ragazzina si era alzata in piedi adesso. Era più bassa di Nathaniel, forse raggiungeva il metro e sessantacinque. Indossava un cappotto rosso lungo fin oltre le ginocchia, stretto in vita da una cintura logora e scolorita. Un paio di jeans blu le avvolgevano le gambe intirizzite. Non c’erano altre possibilità se non prenderla con la forza. Aveva un coltello appeso alla cintura, all’altezza della tasca posteriore dei pantaloni. Un paio di

mesi del suo trattamento e anche questa ribelle avrebbe accettato la nuova vita circense. O ci si sarebbe piegata. Nathaniel infilò la mano nella giacca, ma non fu abbastanza furtivo. La ragazzina spiccò un gran balzo all’indietro, terminando in piedi sul muretto; poi alzò una mano in segno di saluto. «Io ti ho avvertito. Non costringermi ad allontanarti con la forza» sibilò, tagliente. «Con la forza? E quale forza avresti tu?» ironizzò Nathaniel. La sua voce tradì però una leggera insicurezza. Il tono di Alessia lo aveva raggelato. «Lo scoprirai a tue spese se rimarrai qui. Vattene!» Nathaniel fece scattare la mano verso la ragazza cercando di afferrarla per la giacca, ma ciò che riuscì ad artigliare fu solo la cintura. Zompando da un muretto all’altro con la leggerezza di un grillo, Alessia scomparve dal suo campo visivo in un istante. Nathaniel rimase impalato a osservare alternativamente lo spazio prima occupato dal corpo della ragazzina e la cintura di tessuto che gli era rimasta in mano. Perlomeno ora aveva la certezza che Alessia esistesse: l’aveva vista, e quella che stringeva era una prova tangibile. Alzò lo sguardo nella direzione verso cui si era diretta. La prossima volta non si sarebbe fatto cogliere impreparato.

8 Cordelia era appena uscita dalla stessa pizzeria in cui aveva pranzato, sola soletta come era stato il ragazzino qualche ora prima. Ed è stato meglio così. Il cameriere ci aveva provato spudoratamente dopo aver saputo che lei e Vincent non stavano insieme, ma Cordelia gli aveva fatto capire con un’occhiataccia che avrebbe fatto meglio a starle lontano. Attraversò la strada senza nemmeno controllare se passassero auto, assorta nei propri pensieri. Cosa era riuscita a raccogliere in quella giornata di ricerche? Una profezia di Alessia! Una profezia che, a quanto pareva, questa super-ragazzina avrebbe vaticinato in sogno a un bambino di Fasterna perché gliela riferisse. Se avesse anche solo provato a dire una cosa del genere agli altri alla riunione di quella notte, Nathaniel l’avrebbe sicuramente rispedita a casa. Quindi, cosa avrebbe riferito? Semplice, avrebbe messo insieme gli spizzichi di notizie che aveva sentito e ci avrebbe ricamato sopra una storia. Ora però non aveva alcuna voglia di pensarci; voleva solo godersi una passeggiata solitaria nella sera silenziosa di Fasterna. Svoltò l’angolo e la Luna apparve come uno strappo nel velo notturno. Alta nel cielo, centro attrattivo di tutte le stelle, gettava la sua luce fioca sulla cittadina, avvolgendo di un candore spettrale gli scheletri degli alberi spogli. Si ritrovò a osservarla, persa nel suo cerchio ammaliante come una bambina. La luce della Luna scomparve dal viso sereno di Cordelia per un brevissimo istante, e questo la strappò ai suoi pensieri. Si guardò intorno, e la vide. Saltellava da un tetto all’altro, o passava per i rami degli alberi oppure, eh già, sui fili del telefono. Non poteva che essere lei: Alessia! I muscoli di Cordelia si tesero per rilasciare l’energia accumulata nello scatto iniziale. Girò la prima a destra, perse di vista la ragazzina. Scavalcò un muretto, incespicò in un cespuglio e si ritrovò nel giardino di una piccola villetta in pietra. Si arrampicò sulla recinzione, la superò, e allora vide Alessia scendere a terra e cominciare a correre verso la periferia di Fasterna. Cordelia accelerò l’andatura nel voltare un angolo, e per poco non cadde incocciando due bidoni della spazzatura. Evitò anche un gatto sdraiato sul ciglio della strada, quindi svoltò di nuovo sulla sinistra. Alessia era proprio davanti a lei,

e l’avrebbe raggiunta se fosse riuscita a mantenere quel passo. Inspira, espira, inspira, espira. Alessia si era accorta di lei adesso, e aveva accelerato l’andatura. La ragazzina svoltò, poi spiccò un balzo sul muretto di una casa. Anche la sua inseguitrice virò allo stesso angolo, ma qualcosa sbatté con violenza contro la sua testa. Cordelia si ritrovò sdraiata in terra, boccheggiante, la testa che pulsava dolorosamente. Socchiuse le palpebre, cercando di vedere contro cosa fosse andata a sbattere, e fu allora che un altro colpo le piombò sul ginocchio destro. Cordelia urlò, il viso contratto in una smorfia. Una mano callosa le bloccò la bocca. L’odore di alcool che proveniva da quella mano schiacciata sotto il suo naso le fece venire la nausea. Un terzo colpo le calò sulla testa. E fu il buio. Rimase svenuta pochi minuti, e quando rinvenne maledì il fatto di avere ancora la testa. Fitte lancinanti gliela trapassavano, producendo una discreta sinfonia del dolore assieme al ginocchio pulsante. Quello mi serve per lavorare, cazzo! La stavano trascinando per le braccia, di questo era sicura. Vedeva le stelle scorrere dall’alto verso il basso nel suo campo visivo, e aguzzi sassolini le graffiavano la schiena e il sedere. Cercò di puntare i piedi, ma il ginocchio le doleva troppo per riuscire a mettervi forza sufficiente. Piegò allora un poco la testa all’indietro per vedere il suo aggressore, ma l’oscurità e i capogiri non erano certo d’aiuto. La sagoma era imponente, l’odore di alcool fortissimo. Lunghi capelli arruffati cadevano scomposti lungo le tempie e due occhi lucidi la osservavano fissi. Cercò di sfilare i polsi dalle mani dell’aggressore, ma la sua presa era troppo forte per lei. Le braccia nerborute si tesero; era un uomo, ora ne era certa. «Ti sei svegliata?» biascicò l’ubriaco. Cordelia cercò di rispondergli, ma il dolore alla testa le mozzò il respiro. «Tranquilla bambolina, non voglio farti del male.» L’alito fetido di quell’uomo le entrò nel naso e solo con difficoltà riuscì a trattenere un conato di vomito. Stava malissimo, non sarebbe riuscita a difendersi. La direzione del trascinamento cambiò; l’uomo aveva girato ed erano entrati in un grande capannone di legno, poco più rischiarato di quanto non lo fosse l’esterno. Doveva essere un magazzino degli attrezzi, visto che appesi a una parete c’erano interi set di cacciaviti e martelli. Un trapano faceva bella mostra di sé su un largo tavolo da lavoro, accanto a seghe di ogni dimensione e fattura. Tutto in quel magazzino sarebbe potuto servire da arma contro il suo

aggressore. Cordelia stava cercando di valutare le distanze tra sé e quegli attrezzi. Il dolore alla testa stava diminuendo, e forse sarebbe riuscita ad alzarsi in piedi, ma le vertigini e il ginocchio dolente le avrebbero fatto perdere l’equilibrio. Non poteva rischiare di far infuriare quell’uomo. L’ubriaco le lasciò le mani. «Aspettami qui, eh! Non ti muovere.» Quello barcollò di lato e Cordelia lo seguì con lo sguardo. Cercò di sollevarsi puntando i gomiti, ma la nausea le invase la gola. L’uomo armeggiò con una lampada, con cui illuminò flebilmente la stanza. Ora poteva vederlo benissimo. Per il suo stato trasandato lo aveva giudicato più vecchio di quanto in realtà non fosse; doveva essere sulla quarantina, un metro e ottanta d’uomo con una stazza non indifferente. Un gigante in confronto a lei! Cordelia riuscì a mettersi in ginocchio. Fece per alzarsi in piedi, ma come previsto le vertigini la fecero ricadere a terra. L’uomo, che nel frattempo aveva preso alcune corde, si voltò di scatto e corse verso di lei. Le mollò un ceffone in pieno viso, rigettandola a terra. «Ehi, bambolina, te l’ho già detto. Non voglio farti del male, quindi stai buona e vedrai che finiremo presto.» Doveva distrarlo, farlo parlare. «C-Che intenzioni hai?» farfugliò. «Voglio fare l’amore con te» sorrise quello, con espressione ebete «sarò gentile. Non potrei mai far male a una bella bambolina come te.» «Stronzo» sibilò la ragazza «provaci soltanto, e domani ti sveglierai senza i coglioni.» Aveva una lametta infilata nella linguetta della scarpa destra: il problema era prenderla. «Stai tranquilla, hai capito? Perché se fai la cattiva, dovrò diventare cattivo pure io.» L’ubriaco le diede un altro scapaccione, questa volta col dorso della mano, poi si fiondò su quelle di Cordelia e le legò strette. Fissò la corda a uno dei pali che sostenevano la struttura, mentre Cordelia, riacquistata un po’ di lucidità, cominciava a dimenarsi. «Io ti avevo avvertito, troietta» ringhiò quello. Questa volta le scaricò un pugno in pieno stomaco; la ragazza cominciò a tossire violentemente. L’uomo le levò la scarpa destra scagliandola dietro di sé, poi fece lo stesso con la sinistra. Cazzo, cazzo, cazzo! La medesima traiettoria seguirono le sottili calze blu, che volarono sopra il

tavolo da lavoro. Cordelia si ritrovò a lacrimare, sia per il dolore che per la situazione sempre più disperata. A furia di tossire si era sporcata la giacca del sangue che le usciva dal labbro. L’uomo le sfilò i jeans con foga, quindi prese le due corde rimaste e costrinse ciascuna caviglia a una gamba del tavolo. «Ecco fatto. Ora puoi fare la gatta incazzata quanto vuoi puttana, ma non riuscirai a liberarti.» puttana Ed era vero, non sarebbe riuscita a liberarsi. Le corde erano strette con troppa forza, la scarpa in cui c’era la lametta era a qualche metro da lei. I singhiozzi le squassavano il petto. «Mi piace se piangi, sai?» L’uomo le aprì la giacca, quindi con una forbice tagliò la maglietta e le scoprì i seni. Cordelia volse lo sguardo. Se proprio doveva essere, almeno non voleva guardare. C’era una piccola finestra sulla sua sinistra e… c’era qualcosa di strano in quel rettangolo nero. Cordelia socchiuse gli occhi per mettere a fuoco l’immagine, e le parve di vedere una sagoma scura che sbirciava nel magazzino. Quando la ragazza cominciò a fissarla, la figura fuori dalla finestra scomparve nel nulla. «Aiuto! Aiuto!» urlò Cordelia, con quanta più voce potesse. L’uomo, che le stava per tagliare il reggiseno, si bloccò qualche secondo, dubbioso sul da farsi. Poi il suo volto si fece furente, e l’uomo le investì il viso con un gancio destro. La testa della ragazza rimbalzò due volte sul pavimento, prima di lasciarla intontita. Sputò un misto di sangue e saliva, e non si azzardò più ad aprire bocca. «Non mi fare incazzare, puttana, non mi fare incazzare, hai capito?» sbraitò quello «fallo ancora una volta, una sola, e ti distruggo quel bel faccino!» Il respiro di Cordelia accelerò. se parla così mi ammazza davvero se lo faccio incazzare mi ammazza davvero stai zitta Cordelia stai zitta Cordelia lascialo fare e stai zitta Cordelia L’ubriaco le strinse le guance con le mani nodose, stampandole un bacio forzato sulle labbra insanguinate, poi cominciò a esplorarle i seni. ma fuori c’era qualcuno c’era qualcuno perché non mi aiuta perché non entra ha paura? ti prego ti prego ti prego aiutami L’uomo rideva come un idiota, sopraffatto dall’eccitazione. La baciava sulla fronte, sul collo, sui fianchi, sul ventre. Cordelia era immobile, svuotata, passiva come una bambola alla mercé di un ragazzino curioso. Con gli occhi stralunati, fissi nel vuoto, Cordelia sentì l’uomo che si slacciava la cintura dei pantaloni. Le sue mani cominciarono a palpeggiarle le gambe, partendo dai

piedi, salendo ai polpacci, alle cosce, e… Cordelia si disconnesse dal proprio corpo. Erano due entità separate ora. Il suo corpo senza volontà, insozzato dalle mani del maniaco, e la sua mente, osservatore esterno di quello spettacolo umiliante. Le mani smisero di agitarsi nella loro gabbia di corda, il respiro rallentò rassegnato. Anche il suo bacino smise di altalenare da destra a sinistra nel futile tentativo di evitare il tocco dell’ubriaco. Nel suo immobile campo visivo, la testa appoggiata sulla destra, vide cadere la cintura dell’uomo. Il fruscio che sentiva dovevano essere i pantaloni che venivano abbassati. Doveva essere in piedi di fronte a lei, pieno di sé e festante per il suo dominio. Poi sentì il suo alito vicino alla guancia. «Allora posso cominciare a fare sul serio, ora?» L’uomo abbassò le mani sugli slip della ragazza. Cordelia chiuse gli occhi. La porta del magazzino si spalancò violentemente stridendo sui cardini. Cordelia poté solo sentirlo, ma quel rumore improvviso le fece sgranare gli occhi. Come attraversata da una scarica elettrica, la ragazza tese i muscoli d’improvviso e si mise a strillare, dimenandosi come in preda a una crisi epilettica. L’uomo si era goffamente sollevato in piedi, comicamente nudo dalla vita in giù, coi pantaloni abbassati alle caviglie. «T-Tu, bastardo!» spiccicò l’ubriaco fissando in direzione della porta, terrorizzato. Cordelia sentì allora due esplosioni attutite, quasi due soffi, e in sequenza due buchi si aprirono nella fronte dell’ubriaco. Il corpo oramai senza vita del maniaco si contorse meccanicamente mentre si accasciava per terra, schizzando fiotti di sangue sulle gambe nude di Cordelia. La ragazza serrò la bocca. «Dio mio Cordelia, stai bene?» La voce le era familiare, ne era sicura, ma nello stato di choc in cui si trovava non riusciva proprio a collegare voce a viso. Sentì che qualcuno stava sciogliendo le legature che le bloccavano le mani. «Adesso ti libero, aspetta!» Vincent? La stretta ai polsi si allentò, e Cordelia fu libera di muovere le mani. L’uomo (Vincent?) corse sull’altro lato, e si impegnò a slegare anche le corde che le costringevano le caviglie alle gambe del tavolo. senza scrupoli Un pensiero sconnesso le attraversò la mente. “Senza scrupoli”? «Ti ho sentita urlare, e sono corso qui.» un uomo

«Come cazzo ha fatto quello a prenderti?» Era confusa. Le parole di Vincent si sovrapponevano a quei pensieri che le fulminavano la testa. La gamba sinistra fu libera. Provò a pensare a una risposta, anche solo un ringraziamento, ma troppi erano gli input per poter ragionare. cercherà di ucciderti «Cordelia, riesci a sentirmi? Riesci a sentirmi?» Che cazzo mi succede? Anche la gamba destra fu libera. Vincent la prese in braccio e la fece sedere. La ragazza tremava dalla testa ai piedi, così il collega la convinse a bere un bicchiere d’acqua che riempì in un malconcio lavandino. «Cordelia, apri gli occhi. Sono io, Vincent.» Ok. Cordelia aprì gli occhi. La visione d’insieme di ciò che era successo la colpì d’improvviso: le vertigini, il bacio dell’ubriaco, il sangue, il suo tocco schifoso sul proprio corpo. Volse la testa di lato e vomitò. Vincent le scostò dolcemente i capelli, sostenendole la testa. Quando lo stomaco si calmò, Cordelia si accasciò sulla sedia e pianse di nuovo. A Fasterna un uomo senza scrupoli cercherà di ucciderti. Ecco cos’era quel pensiero. La profezia di Alessia. Vincent prese un fazzoletto e le asciugò le lacrime, poi le pulì anche la bocca. «Stai tranquilla adesso, ci sono io. Ora ti porto a casa» le sussurrò Vincent nell’orecchio con voce calda, nella speranza di calmarla. La ragazza era ancora scossa dai singhiozzi, ma sembrava aver ripreso contatto con la realtà. Vincent si alzò per andarle a prendere i vestiti, e Cordelia sobbalzò quando la mano rassicurante dell’uomo si staccò dalla sua. «Vestiti, ti riporto a casa.» «Grazie» gli disse infine. «Ora torniamo all’Ostello. Ne hai passate abbastanza per oggi.» Vincent la riaccompagnò al loro alberghetto, fin dentro alla stanza della ragazza. «Fai un bagno, vedrai che poi ti sentirai meglio.» «Tu però resta qua!» squittì Cordelia in un gridolino, con gli occhi gonfi. La ragazza chiuse la porta del bagno e aprì il rubinetto. L’uomo si diresse nella camera. Estrasse dalla tasca la sua pistola e inserì nel caricatore due proiettili nuovi, quindi smontò il silenziatore e lo ripose nella sua custodia. Fatto ciò prese gli abiti di Cordelia e li controllò con attenzione. La maglietta era da buttare, tagliuzzata com’era, e la giacca era sporca di sangue in più punti. Avrebbe potuto lavarla, ma Cordelia si sarebbe rifiutata di indossare di

nuovo quei vestiti. Le scarpe erano pulite, difatti Vincent le aveva trovate lontane da dove Cordelia era sdraiata. Ora rimaneva solo una cosa da fare: nascondere il cadavere del vagabondo. Il killer non poteva permettere che gli abitanti di Fasterna ritrovassero quel corpo, o il caos che ne sarebbe sorto avrebbe mandato all’aria le possibilità di catturare Alessia. C’era un torrente che passava vicino a Fasterna, proprio dietro al magazzino, che Vincent aveva sentito gorgogliare quando era passato nelle vicinanze del luogo del tentato stupro. Nel magazzino aveva anche adocchiato oggetti sufficientemente pesanti da poter fare da ancora al corpo. Con la benzina che si trovava in quel capanno di legno (ne aveva viste almeno otto taniche) avrebbe poi inscenato uno sfortunato incendio. Il bagno di Cordelia sarebbe durato ancora un po’; lo sconvolgimento che aveva letto nei suoi occhi l’avrebbe inchiodata alla vasca per parecchio tempo. Se la immaginava rannicchiata tremante con le gambe strette tra le braccia e la schiena crollata contro il bordo di ceramica. Dopo un paio d’ore, la ragazza uscì dal bagno. Qualche goccia d’acqua - o lacrime? - le bagnava il volto. Indossò il pigiama senza dire una parola, ancora evidentemente scossa. Voleva dire qualcosa a Vincent, voleva ringraziarlo ancora, e ancora, ma non riusciva ad articolare una parola. Riusciva solo a deglutire, e i pochi suoni che uscivano dalle sue labbra scosse dai tremiti erano quelli dei singhiozzi. Vincent comprese i tentativi di Cordelia e ne sorrise. «Tranquilla, avremo tempo di parlare domattina. Ora vai a dormire.» La ragazza annuì, quindi si infilò sotto le coperte. «Non lasciarmi sola» fu l’unica frase che riuscì a spiccicare. Vincent si sedette sul fianco del letto, ma bastarono pochi attimi perché lei si addormentasse. Quando i muscoli tesi allo spasmo di Cordelia toccarono il morbido materasso, cedettero di schianto alla spossatezza, e la ragazza crollò in un sonno profondo. Vincent le sfiorò la fronte con due dita, scostando dalle palpebre socchiuse un soffice ciuffo di capelli. Sul viso arrossato erano ancora visibili le scie salate lasciate dalle lacrime. Il sicario appoggiò una mano sulla spalla di Cordelia e scivolò lungo il suo braccio, seguendo la linea sinuosa che il corpo di lei disegnava sotto le coperte. Giunse ai fianchi e discese fino alle natiche, quindi staccò la mano e si alzò in piedi. Avrebbe aspettato che si svegliasse per affondare il colpo e farla sua. Adesso aveva un omicidio da nascondere. Il killer arrivò all’Ostello alle tre di notte. I lunghi artigli, che si protendevano dalla massa informe di fuoco che divorava l’orizzonte di Fasterna, si arrampicavano a fatica sulla cupa volta

celeste, affondando le proprie unghie nel suo abito color pece. Gli abitanti cominciarono ad accorrere sul luogo dell’incidente, e ben presto le grida si sparsero per la città. FINE ANTEPRIMA CONTINUA…

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