La perfezione si fa musica Arturo Benedetti Michelangeli · 2019. 12. 11. · Michelangeli iniziò,...

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La perfezione si fa musica Arturo Benedetti Michelangeli a cura di Pier Carlo Della Ferrera testi di Marco Vitale (con un'intervista a Isacco Rinaldi) e Lidia Kozubek PianoForte Concerto per .....................................................................................................................................................................................................................

Transcript of La perfezione si fa musica Arturo Benedetti Michelangeli · 2019. 12. 11. · Michelangeli iniziò,...

  • La perfezione si fa musica

    Arturo Benedett i Michelangel ia cura di Pier Carlo Della Ferrera

    testi di Marco Vitale (con un'intervista a Isacco Rinaldi) e Lidia Kozubek

    PianoForteConcerto per

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  • [II]

    Pagina precedente:

    Arturo Benedetti

    Michelangeli alla fine

    degli anni Quaranta in

    un'immagine di Ghitta

    Carell, celebre fotografa

    ungherese che

    immortalò nei suoi

    ritratti i più importanti

    personaggi del

    Novecento.

    Locandina di un

    concerto tenuto da

    Arturo Benedetti

    Michelangeli con

    l'Orchestra Sinfonica

    della RAI alla Fenice di

    Venezia il 16 settembre

    1953, una delle raris-

    sime collaborazioni tra

    Herbert von Karajan

    e il Maestro.

    Arturo Benedetti Michelangeli

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  • [III]

    La perfezione si fa musica

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    Arturo Benedetti Michelangeli nasce aBrescia il 5 gennaio 1920 da genitori umbriche pochi mesi prima si erano trasferiti nellacittà lombarda. Il padre Giuseppe discendeda un notabile casato di Foligno; laureato inLegge e in Filosofia, esercita la professionedi avvocato e contemporaneamente imparti-sce lezioni di storia della musica, di teoria edi armonia, avendo conseguito anche ildiploma in composizione e pianoforte. Lamadre, Angela Paparoni, trascorre l’infanziae la giovinezza con i genitori e gli zii, primaa Terni e poi a Bologna; diplomatasi all’isti-tuto magistrale, intraprende senza conclu-derli gli studi universitari di lettere e dimatematica e si occupa dell’educazione deifigli e della conduzione della famiglia.Tra le mura di casa, in un ambiente domi-nato da connaturata predisposizione e vivointeresse per la musica, il piccolo Ciro - cosìera chiamato Arturo per alcuni suoi riccioliche lo facevano assomigliare a Cirillino, alloranoto personaggio del “Corriere dei Piccoli” -inizia a studiare il pianoforte all’età di treanni, sotto la guida del padre. Ma è soprat-tutto la madre a esercitare notevole influenzasullo sviluppo artistico del figlio e a spingerloallo studio del pianoforte, al punto che, pare,decide di non mandarlo a scuola e di istruirlolei stessa.A quattro anni Arturo Benedetti Miche-langeli entra al Civico Istituto Musicale

    “Venturi” di Brescia, allievo del maestroPaolo Chimeri, e a sette anni, il 10 marzo1927, suscita stupore e ammirazione gene-rali quando si esibisce per la prima voltadavanti a una platea, in occasione del saggioche conclude il biennio scolastico 1925-26.Dalla primavera del ’29 frequenta le lezioniprivate del maestro Giovanni Anfossi aMilano, dove la mamma lo accompagnatutte le settimane. Il 22 ottobre 1931 ottienela licenza normale di pianoforte presso ilConservatorio “Giuseppe Verdi” del capo-luogo lombardo e l’11 giugno 1934, a soli 14anni, conclude il ciclo istituzionale di studiconseguendo il diploma di magistero inpianoforte. Nello stesso periodo e negli anniimmediatamente successivi segue anche icorsi di violino col maestro FerruccioFrancesconi e quelli di organo e composizionecol maestro Isidoro Capitanio.È durante le sue frequentazioni milanesi cheArturo Benedetti Michelangeli ha modo difarsi ascoltare da Maria Lentati de’ Medici,colta e sensibile intenditrice dell’arte musi-cale. Riconosciuto nel giovane pianista ilprimo manifestarsi del futuro genio, lanobildonna ne coltiva le doti e ne stimola iltalento; sarà lei a donargli il primo Steinwaymezza coda e ad avere un ruolo determinantein questa fase dell’evoluzione artistica delMaestro.Dopo essersi segnalato tra il 1936 e il 1938in alcuni concorsi nazionali, BenedettiMichelangeli si affaccia sul palcoscenicointernazionale: nel maggio 1938 è settimo,ma vincitore morale, al concorso “Eugène

    A destra:

    L'Istituto Musicale

    "Venturi" di Brescia,

    dove Arturo Benedetti

    Michelangeli iniziò,

    a 4 anni, gli studi di

    pianoforte. Col suo

    primo insegnante, il

    maestro Paolo Chimeri,

    stabilì un rapporto

    profondo anche dal

    punto di vista umano.

    In basso:

    Il piccolo Ciro all'età di

    9 anni con la madre

    e il maestro Chimeri

    in una delle rarissime

    fotografie familiari

    dell'infanzia. Arturo

    Benedetti Michelangeli

    ebbe un fratello,

    Umberto, primo violino

    in importanti orchestre,

    e una sorella, Liliana,

    che morì a soli 8 anni

    per una polmonite.

  • Ysaÿe” della Fondazione musicale ReginaElisabetta di Bruxelles e nel luglio 1939trionfa al Concours International d’ExécutionMusicale di Ginevra, accolto dalla criticacome il nuovo Liszt. L’affermazione ginevrinagli vale la cattedra “per chiara fama” pressoil Conservatorio di Bologna.Alla fine di gennaio del 1942, in pieno con-flitto mondiale, è arruolato nella TerzaCompagnia di Sanità a Baggio, pressoMilano. Poco si conosce delle avventurosevicende del periodo bellico, la cui incertaricostruzione è affidata alle testimonianzescritte di alcune persone a lui molto vicine.Dopo l’8 settembre 1943, per sfuggire airastrellamenti operati dai Tedeschi e al suc-cessivo obbligo di presentazione richiestodal governo della Repubblica di Salò, si rifugiaa Borgonato di Cortefranca, in Franciacorta,ospite nel castello della famiglia Berlucchi.

    Qui, il 20 settembre, nella chiesa di SanVitale, si unisce in matrimonio con GiulianaGuidetti, dalla quale si separerà legalmente,con atto del Tribunale di Brescia, il 10 marzodel 1970. Nei mesi successivi è con la mogliea Sale Marasino, nella villa sul lago d’Iseo diproprietà della famiglia Martinengo. Virimane fino al novembre del 1944, quando ècostretto a sfollare in seguito a un bombar-damento che colpisce il palazzo e danneggia,tra l’altro, il primo “gran coda” che ilMaestro aveva acquistato con i guadagni deisuoi primi concerti. Si sposta quindi aGussago, in casa Togni, dove viene trovato earrestato dai fascisti e condotto prigioniero aMarone, sempre sul lago d’Iseo, nel quartiergenerale delle SS. Pochi giorni dopo, grazieall’intervento del capo provincia di Brescia,Innocente Dugnani, è trasferito nel capoluo-go; vi rimarrà per qualche tempo, nascostonel sottotetto dell’albergo Vittoria.

    Nonostante la chiamata alle armi e la guerra,con le sue tragiche peripezie e vicissitudini,Benedetti Michelangeli può continuare asvolgere una limitata attività concertistica,grazie all’appoggio della futura regina, laPrincipessa Maria José, figlia della ReginaMadre Elisabetta del Belgio che ne avevaapprezzato il talento all’epoca del concorsodi Bruxelles. Suona all’Accademia di S. Ceciliaa Roma, alla Scala di Milano, al MaggioMusicale Fiorentino e tiene concerti in variecittà d’Italia e in Svizzera; esordisce aBarcellona (1940) e a Berlino (1943).In questo periodo inizia anche a incideredischi; nel ’41 esce, per la Voce del Padrone,il suo primo 78 giri. Continuerà l’attivitàdiscografica con His Master’s Voice eTelefunken fino agli ultimi anni Cinquanta.Terminato il conflitto, riprende a insegnare -gli viene assegnata la cattedra di pianoforteal Conservatorio di Venezia - e contribuiscein maniera determinante alla rinascita musi-cale della sua città in qualità di Presidentedella Società Bresciana dei Concerti Sinfo-nici “S. Cecilia”. Tiene la carica fino al set-tembre 1947, quando deve dimettersi acausa dei crescenti impegni concertistici chelo chiamano in ogni parte del mondo: nel1946 si esibisce alla Royal Albert Hall diLondra, nel 1948-49 effettua la prima dellesue numerose tournée negli Stati Uniti (lesuccessive saranno del ’50, ’67, ’68, ’70 e’71), nel 1949 suona in Sudamerica e nel1951 in Sud Africa.Intanto, nel 1950, aveva ottenuto il trasferi-mento a Bolzano, chiamato dal Direttore delConservatorio “Monteverdi”, il maestro Ce-sare Nordio, con il quale fonda il concorsopianistico “Busoni”. Insegna nella città ate-sina fino al 1959, affiancando ai corsi stataliquelli della scuola di perfezionamento priva-ta che apre al castello di Paschbach, pressoAppiano, per venire incontro alle numeroserichieste di pianisti di ogni parte del mondo,già diplomati, alcuni già vincitori di impor-tanti concorsi, e quindi non ammessi neiconservatori. Seguono, nel 1952 e nel 1953,e poi dal ’55 al ’65, i corsi di Arezzo (orga-nizzati dalla locale Associazione Amici dellaMusica e con il decisivo appoggio di unappassionato magistrato, Mario Bucciolotti),dal 1960 al 1962 quelli di Moncalieri (finan-ziati dalla FIAT grazie all’interessamento diLidia Palomba) e infine, nel 1965 e 1966

    [IV]

    Arturo Benedetti Michelangeli

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    Una rara, tenera

    immagine di Arturo

    Benedetti Michelangeli

    con la piccola

    Donatella a Villa

    Berlucchi di Borgonato

    di Franciacorta

    nell'ottobre del 1945.

  • [V]

    La perfezione si fa musica

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    quelli all’Accademia Chigiana di Siena. I corsi di Michelangeli sono esclusivi, desti-nati a non più di venticinque, trenta allievi;le lezioni sono personali. Il Maestro vive l’in-segnamento come una vera e propria mis-sione, come un preciso dovere morale; vi sidedica con infaticabile passione e singolareed esemplare generosità, lavorando sempre atitolo gratuito.Questa intensa attività didattica non impedi-sce a Benedetti Michelangeli una altrettantofrequente presenza nelle sale da concerto ditutto il mondo. Nel 1955 suona a Varsavia(nell’occasione è anche membro della giuriadel Concorso Chopin); nel 1957 esordisce aPraga e nel 1964 a Mosca. Tra la fine deglianni Cinquanta e i primi anni Sessanta tieneconcerti in Spagna, Germania, Portogallo,Francia, Austria e Svizzera. Nel ’62 e nel ’66si esibisce in Vaticano, alla presenza di papaGiovanni XXIII e di papa Paolo VI. Nel 1965debutta in Giappone, dove ritornerà nel1973, ’74, ’80 e ’92. Nello stesso 1965, periniziativa del maestro Agostino Orizio, vienefondato il Festival Pianistico Internazionale“Arturo Benedetti Michelangeli” di Brescia eBergamo, che aveva avuto un’anteprima nonufficiale l’anno precedente, con una serie diconcerti per celebrare i venticinque anni diinsegnamento del Maestro.Si dirada invece notevolmente la sua attivitàdiscografica. Se si eccettuano alcune impor-tanti incisioni del 1965 (pubblicate da

    Decca-BDM), per tutti gli anni Sessanta nonentra quasi mai in sala di registrazione, cir-costanza che contribuisce al diffondersi dinumerose edizioni pirata dei suoi dischi,contro le quali si batte fermamente, intra-prendendo azioni legali che non avrannoperò esito. Tornerà a incidere negli anniSettanta, per la EMI e per la DeutscheGrammophon, casa discografica con la qualecollaborerà regolarmente dal 1971 fino altermine della sua carriera.Lasciato il Conservatorio di Bolzano nel1959, Michelangeli spera nell’istituzione diun corso di alto livello pianistico internazio-nale, nel quale adempiere pienamente allasua missione didattica. Ma il Ministero tardaa riconoscere i suoi meriti e a rispondere allesue richieste. Decide quindi di dare vita auna piccola scuola privata in quello che glisembra essere il luogo più adatto, nel silen-zio della montagna; acquista due baite in Valdi Rabbi, nel versante trentino del ParcoNazionale dello Stelvio; ne adibisce una adabitazione e l’altra a sede dei corsi. Conoscequi un breve periodo di pace e serenità,immerso nella natura e nella tranquillitàdei paesaggi alpini, sfondo ideale alla suaattività di musicista, arricchitasi nel frat-tempo di una nuova esperienza: l’armoniz-zazione di diciannove canti del coro dellaS.A.T, la cui felice collaborazione era iniziataanni prima, nel 1954.Pace e serenità sono bruscamente interrotte

    Benedetti Michelangeli

    si esibisce davanti a

    papa Giovanni XXIII

    nella Sala delle

    Benedizioni del Vaticano,

    il 28 aprile 1962.

    Il concerto fu voluto

    e diretto da

    Gianandrea Gavazzeni

    come omaggio al

    pontefice bergamasco,

    suo concittadino.

  • [VI]

    Arturo Benedetti Michelangeli

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    la sera del 13 giugno 1968. In qualità disocio della casa discografica B.D.M. diBologna, Benedetti Michelangeli è coinvoltonel fallimento di quest’ultima. Senza andaretroppo per il sottile e senza considerare leclausole del contratto che avrebbero solle-vato il Maestro da qualsiasi responsabilità,gli ufficiali giudiziari gli notificano il seque-stro cautelativo dei beni e di tutti i proventidei concerti che avrebbe tenuto in Italia, perla somma di ottantanove milioni di lire.All’umiliazione e al danno morale si aggiungeil problema economico, a causa del quale sitrova costretto a svolgere all’estero la suaattività professionale. Manterrà la residenzaa Bolzano, ma da allora vivrà tra Rabbi e laSvizzera e non suonerà più in patria, se nonin occasione del concerto benefico al TeatroGrande di Brescia, nel giugno 1980, inmemoria di papa Paolo VI.Benedetti Michelangeli entra in Svizzera il24 luglio 1969 (è questa la data ufficialeriportata in tutti i documenti conservatipresso gli uffici anagrafici dei vari comuni incui è via via domiciliato) e abita dapprimanel Cantone di Zurigo. Verso la fine di set-tembre dell’anno successivo ottiene un per-messo di dimora nel Canton Ticino, grazieall’interessamento di Gianna Guggenbühl edel maestro Carlo Florindo Semini, che siadoperano presso il Dottor Solari dellaPolizia Federale degli stranieri a Berna. Nel1969 e nel 1971, proprio con Semini, è arte-fice di due corsi di perfezionamento a VillaHélénaeum a Castagnola, gli ultimi della sua

    carriera di insegnante. Fino al settembre1974 vive a Massagno, poi a Riva San Vitale ea Sagno, dove giunge nel dicembre del 1977.Il 1° agosto 1979 si trasferisce a Pura, inaffitto nella villa che qualche tempo dopolascerà a un altro grande pianista, VladimirAshkenazy. Trasloca quindi in una casaimmersa nell’ombra dei castagneti, a pochecentinaia di metri dalla precedente, sullastessa strada; qui trascorre gli ultimi annidella sua vita, lontano dai clamori e dallafolla, in semplicità quasi francescana. Adalleviare le sofferenze della sua salute preca-ria sono le cure e le attenzioni di Anne-Marie-José Gros Dubois, che gli è anchefedele segretaria.La sua attività concertistica si fa sempremeno frequente, ma la sua fama ha ormai ledimensioni del mito e ogni sua apparizionein pubblico è un evento da prima pagina. Nel1977 tiene un recital nella sala Nervi delVaticano (vi tornerà dieci anni dopo) enell’81 suona all’Auditorium della Radiodella Svizzera Italiana. Nell’85 è colpito dauna semiparesi in seguito a problemi cardio-circolatori; assente dalle sale per quasi unanno, programma il suo rientro nella prima-vera del 1986, a Parigi e Zurigo, dove però ècostretto a sospendere il concerto dopo l’in-tervallo. Nel gennaio 1988 suona a Bregenze il 17 ottobre dello stesso anno è in scena aBordeaux, in una drammatica serata durantela quale si accascia sul pianoforte vittima diun malore per un aneurisma dell’aorta.Viene sottoposto a un delicato intervento

    Benedetti Michelangeli

    a colloquio con Arthur

    Rubinstein nel 1974.

    La foto fu scattata

    dal dottor Marco Miele,

    allora Direttore

    dell'Istituto italiano di

    Cultura a Tel Aviv,

    durante il ricevimento

    tenutosi all'Ambasciata

    italiana al termine del

    Festival organizzato

    dallo Stato di Israele

    in onore del pianista

    polacco-statunitense.

  • [VII]

    La perfezione si fa musica

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    chirurgico e meno di un anno dopo, nelmese di giugno, torna a esibirsi ad Amburgoe Brema. Nel giugno del 1992 tiene una seriedi memorabili concerti a Monaco, accompa-gnato dalla Münchner Philharmoniker di-retta da Sergiu Celibidache, in occasionedell’80° compleanno del direttore rumeno. Èprobabilmente l’apoteosi di una carrieraunica e irripetibile che si conclude adAmburgo il 7 maggio 1993. Chopin, Debussy,Mozart, Beethoven, Schumann e Ravel sonogli autori da lui prediletti; le sue esecuzionidelle loro opere lo hanno portato ai verticiindiscussi del pianismo internazionale ditutti i tempi.Nel giugno del 1995 viene ricoveratoall’Ospedale Cantonale di Lugano per unnuovo attacco cardiaco. Muore nella nottetra l’11 e il 12 giugno. È sepolto nel piccolocimitero di Pura, in una semplicissimatomba che per sua volontà è priva di lapide.“Per chi ricorda del Maestro il sommo artistae l’uomo integerrimo, la Memoria non è unvano pensiero ma una gradita e concretapartecipazione al mondo dello Spirito di cuila Musica e il Maestro stesso sono ormaiparte immortale”. 1

    Si conclude così la vicenda terrena di Arturo

    Benedetti Michelangeli, un uomo e un arti-sta che ha cercato la Verità attraverso la per-fezione delle sue esecuzioni e sul quale laverità non è ancora stata scritta.

    1 Con queste parole Anne-Marie-José Gros Dubois si rivolge, nel

    biglietto di ringraziamento, a quanti hanno partecipato al dolore

    per la morte di Arturo Benedetti Michelangeli.

    Arturo Benedetti

    Michelangeli e il

    maestro Carlo Florindo

    Semini a Lugano nei

    primi anni Settanta.

  • La perfezione si fa musica

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    Non solo un grande pianista ma vero grande Maestro

    di Marco Vitale*

    Arturo Benedetti Michelangeli al

    pianoforte nel 1943.

    A sinistra:

    Arturo Benedetti Michelangeli in

    un'immagine di stampo hollywoodiano.

  • Arturo Benedetti Michelangeli

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    Non ho titolo per parlare degli aspetti piani-stici del Maestro. Sono solo uno di quegliappassionati di cui parla Lidia Kozubek pro-prio nell’ultima pagina del suo libro:“Malgrado la sua condotta estremamenteschiva non favorisse la popolarità, conosci-tori ed appassionati della sua arte si recava-no in pellegrinaggio in diverse nazioni soloper avere la possibilità di ascoltarlo”. In uncerto senso rappresento i reduci di Bregenz,di Monaco di Baviera nell’indimenticabileconcerto con Sergiu Celibidache, di Lugano,di Brema, di Amburgo. “Pellegrinaggi” hascritto Lidia Kozubek (allieva polacca delMaestro, Lidia Kozubek ha scritto un buon li-bro intitolato Arturo Benedetti Michelangeli.Come l’ho conosciuto, pubblicato, vivente ilMaestro, in giapponese nel 1992, in polacconel 1999 e in italiano nel 2003, edizioniL’Epos), e ha scritto molto bene, perché queiviaggi non erano alla ricerca del divismo ma,al contrario, della spiritualità, del contattocon il mistero e con il divino attraverso lamusica, sentimenti che nessuno sapeva su-scitare come Arturo Benedetti Michelangeli.Come studioso della leadership e dell’eticaprofessionale, il Maestro mi ha sempre affa-scinato, non solo come impareggiabilemusicista, ma come uomo, come educatore,come esempio di coerenza e di profondità. Ilsuo essere uomo del nostro tempo ma rifug-gendo alle perverse caratteristiche delnostro tempo: la superficialità, la fretta, ilmarketing, l’avidità. Come presidente di unaimportante società musicale milanese sonosconvolto dall’avidità di tante star musicaliodierne che, finanziate indirettamente perlo più con soldi pubblici, pretendono cachetpiù alti di quelli che, da qualche tempo, cri-tichiamo per le star del calcio. In queimomenti penso allo straordinario disinte-resse e generosità del grande Maestro bre-sciano, documentata da tante fonti; al suoimpegno didattico, così generoso (le suescuole di alta specializzazione erano sempregratuite), ma anche qui senza compromessi,senza ambiguità, senza comodità né per séné per gli allievi.Anni fa tentai di dar vita a Brescia, cittànatale del Maestro e mia, a una fondazioneintitolata ad Arturo Benedetti Michelangeliche si prefiggesse di raccogliere tutta ladocumentazione su di lui ma soprattuttotenesse vive, con realizzazioni concrete, le

    sue idee e i suoi insegnamenti. Nel docu-mento-proposta che feci circolare scrivevo:“Arturo Benedetti Michelangeli non è statosolo un grande pianista, ma un grandemusicista e un uomo di profonda umanità,spiritualità e religiosità, spesso miscono-sciuta e distorta dalla stampa. È stata una diquelle rare persone che, con la sua arte,aprono spiragli reali verso il soprannaturale.La sua memoria, resa vivente ed operante,può essere una leva eccezionale per pro-muovere studi e cultura musicale autentica.[...] Se non si farà nulla di serio, la suamemoria svanirà in pochi anni, restandoviva solo per pochi appassionati. Come col-lettività, e come città che gli ha dato i natali,avremo buttato via un’occasione unica dicontribuire alla rivitalizzazione della cultu-ra musicale autentica. Come persone avre-mo la responsabilità morale di non avercineanche provato”.Io ci ho provato, senza successo. Mi sonofermato quando ho capito che le persone sucui contavo a Brescia erano persone piùinteressate a speculare sulla memoria diArturo Benedetti Michelangeli che a tenerlaviva e inverarla in qualcosa di vivo e attuale.Vorrei cogliere l’occasione, che viene offertadalla Banca Popolare di Sondrio (SUISSE),per documentare un aspetto di ArturoBenedetti Michelangeli e una fase della suavita e della sua attività che mi sembranoignorati e che illuminano la persona diArturo Benedetti Michelangeli come ungrande vero Maestro e un esempio morale edi altissima professionalità.Quando morì Arturo Benedetti Michelangeli,uno dei miei idoli, non solo musicali, micolpì il fatto che nessuno ricordasse il suoimportantissimo contributo alla rinascitadella vita musicale nell’immediato dopo-guerra. Questa lacuna è apparsa evidenteanche nella pur affascinante mostra e nelricco catalogo che Brescia allora gli dedicò.Eppure io ricordavo benissimo la presenzamolto viva di Arturo Benedetti Michelangeliper la rinascita della vita musicale cittadina.Io ero, allora, un ragazzo, ma mi ricordoperfettamente i magici e fugaci incontri, alseguito di mio padre, tra il Maestro e le altrepersone generose che, in quegli anni, tantosi impegnarono per far rinascere a Brescia lavita musicale. Mio padre era tra questi e trale carte che ha lasciato ho trovato un fasci-

    [X]

  • La perfezione si fa musica

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    colo relativo agli anni in cui, come consi-gliere attivo e, poi, come presidente, si pro-digò per lo sviluppo della Società Brescianadei Concerti Sinfonici “S. Cecilia”, dellaquale dal 1940 al 18 settembre 1947 (questaè la data della lettera di dimissioni) fu presi-dente “onorario”, ma assai attivo, proprioArturo Benedetti Michelangeli. Così mi sonomesso a scartabellare in quel fascio di anti-che carte, disordinatamente conservate, eho trovato spunti, ricordi e documentazioneche mi sono sembrate interessanti e, qualchevolta, commoventi testimonianze. Questa èla spiegazione della genesi di questo scritto,ma è, insieme, una spiegazione della suaincompletezza e parzialità. Io non posso chelimitarmi a mettere a disposizione quelloche ho trovato, con l’auspicio che questomateriale sia di qualche utilità a chi porràmano, professionalmente, alla storia detta-gliata della vita del Maestro, della qualesiamo ancora in attesa.Brescia contava da tempo sulla Società deiConcerti, il cui statuto iniziale era statoapprovato dall’Assemblea dei soci il 20 mag-gio 1914, specializzata in musica da camera.Essa nacque, dunque, all’inizio del primoconflitto mondiale. E, per sconcertante ana-logia, è all’inizio del secondo conflitto mon-diale, a cavallo tra il 1939 e il 1940, cheprende corpo una nuova iniziativa musicale,il cui obiettivo primario era di sviluppare incittà la pratica e la conoscenza della musicasinfonica, attraverso la creazione di un’or-

    chestra stabile di archi. La sua denomina-zione iniziale era infatti: Orchestra Stabiled’Archi “S. Cecilia”. Essa nacque a soloscopo culturale, per fare musica, non perorganizzare concerti. Tra i principali propu-gnatori l’avvocato Pedrali Noy, nella cui abi-tazione si svolgono le prime esibizioni; ilmaestro Ferruccio Francesconi che dirigevail primo complesso; e il giovanissimo (avevaallora venti anni) maestro Arturo BenedettiMichelangeli. Del primo direttivo facevanoparte anche l’avvocato Pier Paolo Cicognini,l’ingegner Emilio Franchi, l’ingegner EmilioPisa, il dottor Angelo Vitale, il geometraArturo Gatti, e il maestro Gino Francesconi.L’avvocato Cicognini fu il primo presidente,mentre presidente “onorario” fu, sin dall’i-nizio, Arturo Benedetti Michelangeli che,come si vedrà fu, in realtà, un presidenteassai attivo, punto di riferimento e guidasoprattutto per la scelta degli interpreti e deiprogrammi musicali, sia nella prima fase(1940-1943) che nella fase della ripresa,segnata dal primo concerto della stagione, il 16dicembre 1945, e sino alla stagione 1947-48.Già nelle stagioni concertistiche 1941-42 e1942-43 era avvenuta una mutazioneimportante. Da sodalizio dedicato allacreazione di un’orchestra stabile d’archi,la “S. Cecilia” diventa anche organizzatricedi concerti, con la presenza di solisti e dicomplessi di fama. Decisiva, nell’identificareinterpreti e programmi, nello stabilire con-tatti e suscitare interesse per il nuovo soda-

    [XI]

    Ritratto fotografico

    di Arturo Benedetti

    Michelangeli del 1947,

    con dedica autografa

    del Maestro

    ad Angelo Vitale.

  • [XII]

    Arturo Benedetti Michelangeli

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    lizio musicale, l’opera di Arturo BenedettiMichelangeli. Di lui si ricorda, nel 1942,anche “uno strepitoso concerto al Grande acui diede la sua opera impareggiabile, pre-ziosa, disinteressata il nostro grandePianista Arturo Benedetti Michelangeli”. Diquesto concerto le carte a mia disposizionenon danno altre notizie, ma esso è ricordatonella cronologia dei concerti di Harry Chin eCarlo Palese che correda il volume ArturoBenedetti Michelangeli. Il Grembo del

    Suono (Milano, Skira, 1996). Ebbe luogo il12 aprile al Teatro Grande, con l’orchestradella “S. Cecilia” diretta dal maestro Fer-ruccio Francesconi. Il programma prevedeva:Beethoven, Concerto op. 73; Grieg, Concertoop. 16, mentre, fuori programma, il Maestroaggiunse: Scarlatti, Sonata; Chopin, Studio eValzer; De Falla, Danza rituale del fuoco;Mompou, Cançion y Danza; Albéniz,Malagueña; Chopin, Mazurca.In piena guerra, ai primi del 1942, ancorauna volta su stimolo e suggerimento diArturo Benedetti Michelangeli, la societàacquista un magnifico pianoforte Steinway& Sons da gran concerto. L’acquisto è resopossibile, oltre che da modesti fondi sociali,da una sovvenzione cambiaria della BancaSan Paolo, garantita da Pedrali, Franchi,

    Folonari, Vitale, Cicognini, Francesconi.L’effetto cambiario verrà poi riscattato conmunifico apporto da Pedrali, Franchi,Folonari. La ripresa musicale è del 29 mag-gio 1945 (qualche fonte parla invece del 27maggio), con uno straordinario concerto alGrande. L’incasso viene interamente devolutoalla Commissione di assistenza della Curiaper aiutare i deportati in Germania cheritornavano in patria.La ripresa organizzativa è segnata dallaprima assemblea postbellica tenuta il 29ottobre 1945. L’indirizzo di saluto, la primarelazione svolta sull’attività della società, lalettera inviata al pubblico, il comunicatopreparato per la stampa danno un quadropreciso della storia del sodalizio sin dallafondazione e degli obiettivi e dei sentimentiche animavano il gruppetto degli instancabi-li promotori. Dalle mie carte non risulta chipronunciò l’indirizzo di saluto. Ma esso fusteso, sicuramente, come risulta dalla minu-ta con le correzioni a mano, da AngeloVitale. E se non ci fosse il manoscritto atestimoniarlo, basterebbe il calore con ilquale il documento parla di Arturo BenedettiMichelangeli e il ruolo determinante che gliattribuisce, sentimenti e convinzioni cheerano profondamente radicati in AngeloVitale, sin da quando sentì suonare ilMaestro, la prima volta, nel 1940.La relazione, che illustra i cinque anni dilavoro, proficui nonostante le durezze dellaguerra, inizia con queste parole:“La Società Bresciana dei Concerti Sinfonici

    ‘S. Cecilia’ si costituì in Brescia nel 1940 col

    modesto nome di ‘Orchestra Stabile d’Archi

    S. Cecilia’. Diede vita alla istituzione un

    gruppo d’appassionati cultori dell’arte

    musicale e specialmente l’Avv. Carlo Pedrali

    Noy, nella cui abitazione si svolsero le prime

    prove sotto la guida del Maestro Ferruccio

    Francesconi. Il nostro grande pianista Arturo

    Benedetti Michelangeli ne fu il propugnatore

    e presidente onorario” (sottolineatura aggiunta).Poco dopo si legge:“Consentitemi innanzi tutto di rivolgere a

    Vostro nome e a nome del Consiglio

    Direttivo, un saluto di affetto e di ricono-

    scenza verso Arturo Benedetti Michelangeli.

    Voi sapete che Egli è stato con gli altri,

    l’anima della istituzione, anche se l’arte

    sua ineguagliabile lo portava lontano

    dalla Società. Quanto Egli ha fatto per la

  • [XIII]

    La perfezione si fa musica

    .....................................................................................................................................................................................................................

    S. Cecilia è noto ai Consiglieri del sodalizio

    come la gratitudine che gli si deve” (sottoli-neature aggiunte).Più oltre si legge:“Si rammenti il bellissimo Concerto del duo

    Pianistico Sergio Lorenzi e Gino Gorini, che

    ideato e organizzato dal Maestro Benedetti,

    fu attuato dalla S. Cecilia in collaborazione

    con la Società dei Concerti, come lo fu il

    grande Concerto finale di Stagione col

    Maestro Arturo Benedetti Michelangeli

    sempre per ambedue le società” (sottolinea-tura aggiunta).Ma, ormai, l’indirizzo è verso la grandemusica, come testimonierà la strepitosa sta-gione 1946-47. Dopo il citato concertostraordinario del maggio 1945, il primo con-certo della stagione della ripresa, 1945-46,ebbe luogo il 16 dicembre 1945, con la par-tecipazione del violinista Alfredo Pol-tronieri, con un programma basato suBach e Mendelssohn (il costo globale fu di51.275,20 lire). Il secondo concerto ebbeluogo il 6 gennaio 1946 con l’orchestradella “S. Cecilia” e il coro femminile delTeatro Grande di Brescia, con la partecipa-zione delle soliste Ciani e Iachia, nelloStabat Mater di Pergolesi (questa volta conun costo di 53.410 lire). Gli altri concertiche trovo documentati sono: il terzo concer-to, il 20 gennaio 1946, con il duo pianisticoGino Gorini e Sergio Lorenzi, tenuto in col-laborazione con la Società dei Concerti, sulquale sarà necessario ritornare; il quintoconcerto con il giovane pianista AgostinoOrizio, il 19 marzo 1946; il sesto concerto, il

    7 maggio 1946, diretto dal maestro SergioFailoni, con la partecipazione del pianistaPaul Baumgartner. Quella del 1945-46 è giàuna buona stagione, ma quella 1946-47 saràstrepitosa.All’inizio del 1946 nasce una seria crisi neirapporti fra Arturo Benedetti Michelangeli ela “S. Cecilia”. La crisi si manifesta con unalettera del Maestro del 12 gennaio 1946nella quale egli comunica di dimettersi dallacarica di presidente onorario e di interrom-pere la sua collaborazione. Egli denunciauno stato di disagio generale, l’impressionedi “essere poco gradito”. Ma il fatto specificoè che qualche consigliere (forse, mi sembradi capire dalla risposta, lo stesso AngeloVitale) deve averlo criticato per avere pro-mosso un concerto del duo Gorini-Lorenzi eassunto degli impegni anche economici piùgravosi del normale cachet per un singolosolista, senza concordare prima questoimpegno con il Consiglio direttivo. Il Maestro, ferito, allega alla lettera un asse-gno di diecimila lire, per rimediare al pre-sunto danno (il cachet di un singolo solistaera di norma diecimila lire, mentre il duoGorini-Lorenzi era costato ventimila lire).La risposta del consigliere Vitale, che di fattoin quel periodo era la persona che agivacome factotum della “S. Cecilia” e che svol-geva l’attività organizzativa nel suo studioprofessionale, è immediata, portando la stes-sa data del 12 gennaio. La lettera esprime unsincero rincrescimento e anche una onestaautocritica. L’assegno viene restituito alMaestro.

    Due immagini di Arturo

    Benedetti Michelangeli

    al pianoforte negli anni

    Cinquanta.

  • [XIV]

    Contestualmente viene inviata una lettera alduo Gorini-Lorenzi, confermando gli impe-gni assunti dal Maestro, ivi compreso ilcachet convenuto di ventimila lire. La letteraporta stranamente la data dell’11 gennaio,un giorno prima di quella del Maestro. Ma,conoscendo Angelo Vitale, considero deltutto probabile che la lettera, pur datata 11gennaio, venisse scritta il 12, dopo aver rice-vuto quella di Benedetti Michelangeli. Insostanza il consigliere Vitale che, oltre adavere una autentica venerazione per ilMaestro, coglieva appieno il significato delsuo grande apporto alla “S. Cecilia”, vuolerimediare rapidamente all’incidente. E con-ferma subito ogni impegno con il duoGorini-Lorenzi, per poter poi dire a BenedettiMichelangeli, come dirà con la lettera del 12,che la “cosa è definita”.Ma il Maestro rimane fermo sulla sua posi-zione e, con lettera del 15 gennaio 1946,l’assegno viene nuovamente inviato al desti-natario.Ad Angelo Vitale, persona non meno cocciutadel Maestro, non resta che una via: nonincassare l’assegno, che ancora giace, tra le

    mie carte, appuntato con uno spillo alla let-tera del Maestro del 15 gennaio 1946.Quello che colpisce in questo scambio dicorrispondenza è osservare che la coerenzae la durezza del Maestro (è un ragazzo diventisette anni che dialoga con persone chehanno quasi il doppio della sua età, che sonoimportanti nelle rispettive professioni enella vita cittadina, alcune delle quali hannoricoperto ruoli importanti nella Resistenzabresciana) non sono accompagnate da unatteggiamento rancoroso sul piano personale.La linea è quella e non si discute, ma i salutie gli accenni personali restano di piena cor-dialità. Inoltre il contrasto non distrae ilMaestro dal suo impegno professionale.Stava lavorando per la preparazione del con-certo del duo Gorini-Lorenzi e continua afarlo. Infatti è del medesimo giorno, 15 gen-naio, una lettera con la quale il Maestrocomunica il programma definitivo del con-certo stesso.La crisi, comunque, rientrerà. L’assegnonon verrà più ritirato da Benedetti Miche-langeli ma non verrà mai incassato eMichelangeli rimarrà presidente (sino al 18settembre 1947) continuando il suo preziosoimpegno. Questa vicenda documenta, dun-que, almeno un caso nel quale il Maestro,

    Le due lettere del

    12 e 15 gennaio 1946

    che Arturo Benedetti

    Michelangeli inviò alla

    Società "S. Cecilia" di

    Brescia a proposito del

    concerto del duo

    Gorini-Lorenzi.

    Arturo Benedetti Michelangeli

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  • [XV]

    La perfezione si fa musica

    .....................................................................................................................................................................................................................

    almeno parzialmente, mutò la sua decisioneiniziale. E questa fu una grande fortuna per lavita musicale bresciana e per la “S. Cecilia”,perché l’impegno di Benedetti Michelangelidiede frutti cospicui, almeno su tre fronti.Innanzi tutto con i suoi concerti. Nellastagione 1946-47 essi furono due: il primo,con un successo strepitoso, inaugurò la sta-gione 1946-47, il 12 gennaio 1947, al Grande,con la direzione di Mario Rossi e l’Orchestradei “Pomeriggi musicali” del Teatro Nuovodi Milano. Il secondo, il 27 aprile 1947,sempre al Teatro Grande, direttore NinoSanzogno, ancora con l’Orchestra dei“Pomeriggi musicali” del Teatro Nuovo diMilano. I due concerti della nuova stagione1946-47 erano stati preceduti da un concer-to straordinario, il 25 maggio 1946, conuno splendido programma che andava dallaToccata e fuga in re minore di Bach-Busonia Stravinskij. Il concerto fu offerto congiun-tamente dalla “S. Cecilia” e dalla Società deiConcerti. Per i non soci l’ingresso alla plateacostava centocinquanta lire e al loggionetrenta lire.Il secondo contributo del Maestro è nellascelta degli artisti e dei programmi, nellosviluppo di contatti con il mondo musicale,nello stimolo a scoprire cose nuove. Già si èvisto in questo senso l’episodio del duoGorini-Lorenzi. Ma particolarmente signifi-cativo mi sembra l’episodio del concerto delPierrot lunaire di Schönberg. L’AccademiaFilarmonica Romana che stava progettandouna tournée schönberghiana in Italia e cheera interessata a includere Brescia nellatournée, e che già si era messa in contattocon la Società dei Concerti, interessa al pro-getto anche Benedetti Michelangeli. Questisi entusiasma per la proposta e a sua voltapropone che il concerto si faccia congiunta-mente con la “S. Cecilia”. Egli preme condecisione in questo senso, come testimoniauna lettera della moglie Giuliana BenedettiMichelangeli. La lettera non è datata, masicuramente si colloca fra il 23 febbraio1947 (data della lettera dell’AccademiaFilarmonica Romana) e il 26 marzo 1947,data della risposta di Angelo Vitale. Come sievince dalla corrispondenza esistono diffi-coltà pratiche a inserire il concerto diSchönberg nei programmi già definiti. Mapoi il concerto si farà, e congiuntamente,secondo il desiderio del Maestro.

    Importante è l’apporto di Benedetti Miche-langeli anche in relazione allo sviluppo delnuovo, prezioso, rapporto con l’Ente dei“Pomeriggi musicali” del Teatro Nuovo diMilano diretto da Remigio Paone. L’Ente erastato creato il 21 novembre 1946, sulla scor-ta del successo della prima stagione 1945-46,organizzata dall’Impresa “Spettacolo Errepi”di Remigio Paone. I soci fondatori eranoventi, dei quali, come curiosa testimonianzadi cosa intendiamo quando parliamo diMilano città aperta, solo sei nati a Milano. IlMaestro animatore, Nino Sanzogno, è diVenezia, gli altri vengono da Brindisi, Roma,Gargano, Cuneo, Orvieto, Monza, Padova,Brissago (Canton Ticino), Lesnia (Dalmazia),San Gallo (Svizzera), Ancona, Viareggio. Trai “Pomeriggi musicali” del Teatro Nuovo e la“S. Cecilia” si sviluppa subito una strettacollaborazione, esempio di come si dovrebbe,ancora oggi, lavorare insieme. Senza talecollaborazione la straordinaria stagione1946-47 non sarebbe stata possibile. Cosìcome, del resto, tale collaborazione giovaanche ai “Pomeriggi musicali” del TeatroNuovo, non solo per quadrare meglio i suoiconti ma anche per farsi conoscere fuoriMilano. Su questo solido reciproco interessesi sviluppa subito un intenso rapporto,caratterizzato da grande cordialità. Esso ècementato dalla simpatia reciproca e dall’a-micizia che nasce fra Remigio Paone eAngelo Vitale. Ma trova la sua forza piùprofonda proprio nella presenza attiva diArturo Benedetti Michelangeli, che è il prin-cipale interlocutore di Paone nella definizionedei programmi. E Paone, da grande e astutoimpresario, “usa” Benedetti Michelangeli, su-bordinando certe presenze a Brescia adaltrettanti impegni di Benedetti Michelan-geli a Milano, come emerge chiaramentedalla corrispondenza.Il terzo contributo è indiretto, certo subìto enon voluto dal Maestro, ma vissuto senzainsofferenza. I soci amministratori, esoprattutto Angelo Vitale, hanno avviato deicontatti con gli organismi pubblici compe-tenti per ottenere sovvenzioni. In questosforzo, la presenza del grande Maestro vienesempre valorizzata, per cercare di far capireche la “S. Cecilia” ha qualcosa di speciale, equesto speciale si chiama Arturo BenedettiMichelangeli. Cosicché il Maestro viene,talora, coinvolto anche in pratiche di pura

  • [XVI]

    Arturo Benedetti Michelangeli

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    natura amministrativa come documentanovarie lettere. Dei due grandi concerti del1947 al Teatro Grande, il primo e il quintodella strepitosa stagione “S. Cecilia” 1946-47,non trovo tracce nella cronologia dei con-certi di Harry Chin e Carlo Palese, inclusanel già citato volume Arturo BenedettiMichelangeli. Il Grembo del Suono. È unalacuna da rimediare. Perché quelli non furo-no concerti normali. Furono avvenimenticittadini che suscitarono nella città emozio-ne, orgoglio, amore. Furono veri e propricontributi alla rinascita della vita musicalebresciana e al lancio della “S. Cecilia”, che inquegli anni assunse, anche grazie a questiconcerti, un rilievo particolare. Ricordobene tutto ciò, ma basta sfogliare la stampadell’epoca per ritrovare quella atmosfera. Misembra che una significativa testimonianzadella stessa sia offerta dallo scambio di cor-rispondenza con il professor AlessandroRedaelli degli Spedali Civili di Brescia che,chiamato per un’assistenza medica alMaestro in occasione del concerto di apertu-ra della stagione 1946-47 e richiesto dalla“S. Cecilia” di specificare il suo onorario, sirifiuta di essere pagato, soddisfatto di “avercontribuito, con tutti Voi, alla realizzazionedi un avvenimento artistico di tale impor-tanza”.Mi piace anche ricordare l’accordatore bre-sciano Facchinetti, che fu l’accordatore delMaestro per quei mirabili concerti. Nontrovo tracce, nella documentazione, dellasua attività. Ma ricordo perfettamente la suaattenta e paziente presenza. Ricordo le rac-comandazioni di mio padre di stare vicino alMaestro e di assecondarlo in tutto. Certo l’o-

    pera silenziosa e paziente di Facchinetti fupreziosa per il buon esito di quei concerti.Ed infine va documentato un episodio diparticolare rilievo, citato anche nella rela-zione dell’ottobre 1947. Sull’onda del gran-de entusiasmo suscitato dal concerto diapertura di Benedetti Michelangeli, la signo-ra Esterina Conti in Togni, Santelle diGussago, Brescia, esprime incoraggiamentoe promette sostegno. Questo sostegno siconcretizza in un contributo straordinariodi ventimila lire, cifra veramente significativaper quel tempo, inviate sotto il vincolo del-l’anonimato. Questo vincolo fu scrupolosa-mente rispettato ed è toccato a me aprire,dopo cinquant’anni, il bigliettino da visitadella signora Esterina Conti in Togni, con-servato appuntato alla lettera di ringrazia-mento con uno spillo ormai arrugginito.Spero che il tempo trascorso mi faccia per-donare di violare, ora, quel vincolo di segre-tezza. Ma è importante ricordare questepersone, questi esempi e questo clima cheBenedetti Michelangeli, e solo BenedettiMichelangeli, sapeva suscitare. Ma il proficuosodalizio Benedetti Michelangeli - “S. Cecilia”volge al termine. È del 18 settembre 1947 lalettera del Maestro che comunica le definiti-ve dimissioni da presidente della “S. Cecilia”.Questa volta le dimissioni sono legate agliimpegni della grande chiamata. BenedettiMichelangeli è troppo grande per Brescia. Èdel mondo. Questa consapevolezza è benpresente nella lettera di risposta, stesa daAngelo Vitale, che il Consiglio direttivo gliinvia. Il modesto dono, ricordo di una gran-de stagione, è un orologio d’oro, consegnatopersonalmente da Angelo Vitale alla moglie,

    Arturo Benedetti

    Michelangeli con alcuni

    conoscenti e amici al

    termine di un concerto.

    Si riconoscono il

    direttore d'orchestra

    Ettore Gracis

    (penultimo a destra)

    e Remigio Paone (che

    si rivolge al Maestro),

    direttore dell'Ente dei

    "Pomeriggi musicali"

    del Teatro Nuovo di

    Milano.

  • [XVII]

    insieme al biglietto di ringraziamento, il 22settembre 1947, come documenta una anno-tazione a mano apposta sulla busta di ArturoBenedetti Michelangeli che conteneva la let-tera di dimissioni.La stessa richiesta della “S. Cecilia” di con-servare un legame come presidente onora-rio non è convinta. Benedetti Michelangelinon è stato e non può essere un presidenteonorario. Egli è stato un “Presidente”, comesi autodefinisce nella sua lettera di dimissioni,senza aggettivi. E quindi, cortesemente, rifiutadi essere presidente onorario di quella chesignificativamente chiama “la nostra società”.Una stagione importante della ripresa dellavita musicale cittadina e italiana è conclusa.Ma credo, ed è quello che mi premeva evi-denziare, che i documenti esaminati dimo-strino che Arturo Benedetti Michelangelinon fu, come mi è capitato di leggere, unbresciano per caso. Fu, proprio negli anni incui si affermò definitivamente, dal 1940 al1947, un bresciano profondamente legatoalla vita musicale cittadina, alla quale donòun contributo grandissimo, generoso, disin-teressato e paziente. Né fu un artista isolato,scontroso, tutto concentrato in se stesso,ma persona che aveva un’altissima stima

    non di se stesso ma della musica, che vivevacome una via per avvicinarsi a Dio.E chiudo con una breve riflessione. Nel 1940Benedetti Michelangeli aveva venti anni. Nel1947 ventisette, poco più che un ragazzo.Eppure, sfogliando questa corrispondenza equesti documenti, si respira, sin dall’inizio,un senso di rispetto magico, di reverenzaverso la sua persona che fa impressione.Egli, sin da quando aveva vent’anni, si impo-ne agli occhi di tutti quelli che lo conoscononon solo come un grande pianista, ma comeun Maestro, nato grande, senza età.

    * Economista d’impresa

    La lettera del

    18 settembre 1947

    con la quale Arturo

    Benedetti Michelangeli

    rassegna le dimissioni

    da Presidente della

    Società "S. Cecilia"

    di Brescia.

    La perfezione si fa musica

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  • La perfezione si fa musica

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    La musica come preghiera

    Marco Vitale intervista il maestro Isacco Rinaldi*

    Benedetti Michelangeli davanti alle

    Houses of Parliament di Londra nel 1965.

    Nell'occasione il pianista tenne due concerti

    alla Royal Festival Hall, l’8 e il 17 giugno.

  • Tu sei stato molto vicino al maestro ArturoBenedetti Michelangeli, praticamente pertutta la vita, collaborando con lui soprattut-to nell’attività didattica che amava molto.Puoi illustrare abbastanza in dettaglio la tuaesperienza con lui?I primi ricordi coincidono con i tuoi: 1940-41e poi, soprattutto, 1946-48. Io ero bambinoe poi ragazzo; ricordo la magica figura diquesto giovanissimo genio musicale e la suaviva magnetica presenza a Brescia. Per mequesta presenza era ancora più importante,perché anch’io mi ero dedicato allo studiodella musica e del pianoforte. Ero anch’ioun musicista precoce e apprezzato. Ricordoanche che in quegli anni a Brescia fui pre-miato per un concorso locale da una giuriaalla quale partecipava anche il Maestro. Nel1945 avevo superato con la votazione di 10 elode il compimento inferiore di Pianoforte alConservatorio di Parma meritandomi illusinghiero appello di “piccolo Mozart” daparte del direttore dello stesso. Nel 1946, aquattordici anni, vengo assunto come orga-nista presso la Cattedrale di Brescia doverimarrò sino al 1961. A sedici anni, alConservatorio “Arrigo Boito” di Parma, hoconseguito il compimento medio di Piano-forte riportando 10 e lode in tutte le prove el’anno seguente il diploma di Pianoforte apieni voti. Ciò mi aprì la strada all’incontrodecisivo della mia vita, quello con ArturoBenedetti Michelangeli. Allora il Maestrocopriva già da vari anni (dal 1939) la catte-dra al Conservatorio Statale di Musica,prima di Bologna (dove era stato chiamatoper chiara fama dal direttore Cesare Nordio)e poi, dal 1950, di Bolzano, dove tenevaanche un corso di perfezionamento.Fu la moglie, la signora Giuliana, a sugge-rirmi di chiedere un’audizione al Maestroper partecipare al suo corso di perfeziona-mento. Fu quello che feci con grande emo-zione e timore reverenziale. Il Maestro mirispose sollecitamente e mi fissò l’audizionea Bolzano. Eravamo nel ’52, il Maestro avevatrentadue anni e io venti. Il giorno fissato mirecai al Conservatorio di Bolzano e aspettaidalle 15 alle 19 senza che il Maestro si facessevivo. Me ne ritornai a Brescia, puoi immagi-nare con quanta tristezza e sconforto. Mapoco dopo il Maestro mi telefonò, chieden-domi perché non ero andato all’appunta-mento. Uno dei due si era sbagliato sull’ora-

    rio, ma l’unica cosa importante per me erache il Maestro mi fissò un altro appunta-mento. Mi precipitai nuovamente a Bolzano.E qui avvenne l’incontro, indimenticabile.Bussai alla porta che l’usciere aveva indicato,vidi un ragazzo e pensai di essermi sbagliato,per cui mi stavo ritirando chiedendo scusa.Era, invece, proprio il Maestro. Mi invitò asedermi al pianoforte, lui si sedette in unangolo e mi ascoltò suonare per un’ora emezza senza fare parola. Alla fine, guardan-domi fisso e penetrandomi a fondo, mi chiese:“Ma tu cosa vuoi da me?”. Questo fu il primoimpatto con questo suo modo essenziale,penetrante, radicale di andare all’essenzadelle cose con poche parole, che era unadelle caratteristiche fondamentali della suapersonalità. Non ricordo bene che rispostabalbettai allora. Ma so bene oggi cosa avreidovuto rispondere: “Maestro, sono qui perimparare la musica, non il pianoforte, ma lamusica”. Cosa è la musica, qual è il suoruolo nella vita dell’uomo; per capire perchéè la musica che più e meglio di ogni cosa cifa sentire il senso del divino; perché tuttihanno diritto alla musica; perché la musicadeve parlare al cuore e non all’intelletto(secondo l’annotazione di Beethoven incalce alla Missa Solemnis: “Nata dal cuore,possa giungere al cuore”); perché la musicaesiste non quando se ne parla o se ne scrivema quando la si fa (da un grande concerto aun coro di bambini, al coro della S.A.T.);perché la musica richiede una “comunanzaaffettiva” (Liebesgemeinschaft) tra l’inter-prete e il suo pubblico. È infatti tutto questoche ho imparato dal Maestro, molto moltodi più che il perfezionamento della tecnicapianistica, molto molto di più di quello cheallora potevo immaginare e sperare. Ma dalui ho imparato tante altre cose, sul piano

    Arturo Benedetti Michelangeli

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    [XX]

    Il maestro Isacco Rinaldi

    al pianoforte durante

    una sessione del corso

    di perfezionamento di

    Arezzo del 1955.

  • La perfezione si fa musica

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    umano e della serietà e rigore professionale.Per quanto riguarda il rapporto con gli allievil’aspetto che colpiva di più era la sua umiltàe la sua disponibilità, che non erano in con-trasto con la sua severità, anzi la spiegavanoe la giustificavano. La prima audizione diun’ora e mezza mi comunicò anche questagrande qualità del Maestro, che avrò poimodo di sperimentare e approfondire intante altre occasioni.Alla fine il Maestro mi disse: “Bene, si pre-pari studiando la Sonata in fa maggiore n. 5Primavera per violino e pianoforte diBeethoven e la Sonata per violino e pia-noforte di César Franck”, due stupendecomposizioni musicali con le quali ho poifatto anche i miei primi concerti. Iniziò cosìun rapporto tra noi che si è interrotto solocon la sua morte, il 12 luglio 1995, ed èdurato dunque quarantatré anni.

    Parlami ora più in dettaglio dell’esperienzadidattica.Io seguii il corso di perfezionamento aBolzano e poi quello estivo di Arezzo,sospendendo ogni attività concertistica,concentrandomi sullo studio e sull’impegnodi assimilare il rapporto speciale con lamusica che emanava dal Maestro (“affidarsialla musica” egli amava ripetere). Poi diven-tai suo assistente sia di Bolzano che diArezzo nel 1959 e nel 1960. Mi pagava rego-larmente (mi dava cinquantamila lire) e mistabilii ad Appiano, sede della nuova scuola.Il corso di perfezionamento infatti si trasferìal castello Paschbach ad Appiano pressoBolzano, vicino al lago di Caldano a 416metri di altitudine, in mezzo ai vigneti,

    castello di proprietà della Provincia.L’atmosfera del corso era severa e impegna-tiva, ma anche molto serena. Gli allievi ado-ravano il Maestro perché lo sentivano vicinoa loro, grazie a quella umiltà e dedizione dicui ho parlato prima. E lui percepiva questogrande, sincero affetto degli allievi e credoche ciò gli facesse bene. Lui amava stare congli allievi, a mangiare (era un buongustaio eun eccellente cuoco), passeggiare, scherza-re, chiacchierare, giocare a ping-pong ostare, tutti insieme, in una bella notte d’e-state a contemplare le stelle. Decisamentenessuno che ha frequentato le sue scuolepuò accettare il cliché di un uomo scontroso,chiuso in se stesso, egoista che gli hannocucito addosso soprattutto quelli che nonl’hanno conosciuto, o l’hanno lasciato solo,o l’hanno criticato in vita, salvo poi gettarsi,per approfittarne, sulla sua memoria, quandoè scomparso, a mo’ di avvoltoi. Era sempre adisposizione degli allievi che avevano biso-gno di consigli e chiarimenti riguardanti lostudio. Rappresentava per tutti gli allievi unesempio vivente di dedizione alla musica eallo studio. Mostrava loro non tanto con leparole ma con i comportamenti la via daseguire per ottenere sicuri miglioramenti.Come detto lo seguii anche alla scuola estivadi Arezzo. Grazie all’Associazione “Amicidella Musica” di Arezzo, il Maestro avevaattivato un corso di perfezionamento einterpretazione pianistica in quella città perla quale aveva una particolare predilezione.Il corso era estivo, rivolto a diplomati italia-ni e stranieri e del tutto gratuito (alcuniallievi erano addirittura ospitati dal Maestroe a sue spese. Il Maestro non percepiva com-

    [XXI]

    Arturo Benedetti

    Michelangeli e alcuni

    allievi del corso di

    Arezzo del 1962

    durante una passeggiata

    nella campagna toscana.

  • Arturo Benedetti Michelangeli

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    penso ma, anzi, si addossava in parte lespese per gli allievi finanziariamente piùdeboli). Il primo corso ebbe luogo dal 26luglio al 31 agosto 1953 con 25 allievi. Fusospeso nel 1954 e 1955 a causa della malat-tia (tisi) del Maestro. Riprese nell’estate1956 (20 luglio - 20 agosto) con 30 allievi.E continuò, con crescente successo, nel1957, nel 1958, nel 1959 (dal 15 luglio al 30settembre con 30 allievi provenienti da 11nazioni: Italia, Australia, Bulgaria, Dani-marca, Gran Bretagna, Germania, Francia,Spagna, Polonia, Stati Uniti, Turchia) e nel1960. Io seguii il Maestro come assistente edirettore operativo dei corsi negli anni ’59 e’60. L’atmosfera del corso di Arezzo era

    come quella di Bolzano, forse con una com-posizione più internazionale. L’impegno peril Maestro era grande anche perché eglidedicava gratuitamente a queste scuole pro-prio quel periodo estivo che di solito si dedicaal riposo.Le sue lezioni erano sempre individuali e,quindi, richiedevano un grande impiego ditempo e una limitazione del numero degliallievi ammessi, che non superavano quasimai la trentina. Ma le domande d’iscrizioneerano molto più numerose. Tanti eranoquindi gli esclusi e ciò dispiaceva molto alMaestro che sosteneva sempre: “Fare musicaè un diritto di tutti; la musica è per tutti”.Furono questi fattori (grande successo,necessità di armonizzare meglio gli impegnididattici di Bolzano e di Arezzo, opportunitàdi istituzionalizzare e stabilizzare l’iniziati-va e di allargarne le dimensioni con straor-dinarie potenzialità positive nel mondo

    musicale internazionale) che indussero ilMaestro e l’Associazione “Amici dellaMusica” di Arezzo a sviluppare il progetto diuna “Scuola Superiore Internazionale diPianoforte, per pianisti diplomati, alledipendenze del ministero della PubblicaIstruzione, come i conservatori statali, masotto la esclusiva direzione e responsabilitàpedagogica e artistica del Maestro ArturoBenedetti Michelangeli”. Oggi diremmo: ungrande master internazionale di pianoforte,diretto dal più grande pianista del mondo eche, pur ancora giovane (nel 1959 non avevaancora quarant’anni), aveva già alle spalleventi anni di attività didattica, nella qualeaveva dimostrato non solo una straordinaria

    vocazione didattica, ma una rara generosità.Nessun paese al mondo poteva offrire unapossibilità così eccezionale. Per questo, giu-stamente, l’istanza presentata dall’Associa-zione “Amici della Musica” di Arezzo alMinistero competente parla di un “immensoprestigio nel mondo” che l’iniziativa avrebbeportato all’Italia.La risposta fu il silenzio più assoluto. IlMinistero competente non diede una rispo-sta né un minimo segno di vita. Negli anni1959 e 1960 i ministri della PubblicaIstruzione furono Aldo Moro, GiuseppeMedici, Giacinto Bosco.Fu questo silenzio e questo sgarbo incredi-bile che portarono il Maestro a chiudere l’e-sperienza didattica pubblica che si concre-tizzò nel 1960, con le dimissioni da inse-gnante di conservatorio. Ho letto che CesareNordio, direttore del Conservatorio diBolzano che si mosse nella stessa direzione,

    [XXII]

    Un sorridente Arturo

    Benedetti Michelangeli

    tra Isacco Rinaldi

    (a sinistra) e il

    segretario del corso

    di Arezzo del 1959.

  • La perfezione si fa musica

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    avrebbe ottenuto dal Ministero l’autorizza-zione a dar vita a un corso pianistico inter-nazionale di alto livello da affidargli. Ma eratardi. E poi il Maestro, dopo venti anni digrande generosità didattica voleva una scuo-la e non più un corso. Io non conosco que-sti sviluppi di cui ho letto. Ma posso solotestimoniare che un giorno, scendendodall’Alpe di Poti verso Arezzo, mi disse congrande amarezza e delusione: “È finita. Lacompagnia si scioglie. Tanto lavoro e tantoimpegno per niente!”. Fu qui che si con-sumò la sua prima vera rottura intellettualee sentimentale con il sistema Italia, chepochi anni dopo precipitò con il suo defini-tivo abbandono del Paese a seguito dellenote vicende giudiziarie. Dopo le sue dimis-sioni vi fu dal Ministero qualche altra inizia-tiva scomposta: gli proposero di andare aRoma a insegnare all’Accademia “S. Cecilia”,ma inquadrato nell’istituzione come unnormale maestrino. Eppure la scuola delprogetto di Arezzo sarebbe costata nemmenoun decimo della più piccola sezione staccatadi un normale conservatorio e avrebbe col-locato l’Italia come centro della pianisticamondiale. Il Maestro non perse l’amore perl’insegnamento ed ebbe altre occasioni disoddisfare questo amore ma ormai semprein chiave privata. Anche ad Arezzo si prose-guì, in misura ridotta, per alcuni anni, credosino al 1965. Ma nel 1960 si chiuse unagrande pagina, si perse una enorme oppor-tunità che avrebbe fatto dell’Italia il centrodel pianismo mondiale.

    Dopo la chiusura dell’esperienza didattica,come proseguì il vostro rapporto?Io, su segnalazione del Maestro, nel 1960avevo partecipato al concorso per la cattedradi Pianoforte al Conservatorio di Ferrara eavevo vinto il concorso. Mi sembrò ovvio enaturale lasciare Appiano e trasferirmi aFerrara. Questo contrariò il Maestro perchépensava che avrei continuato a stare adAppiano, andando avanti e indietro. Ma poi,in occasione di un suo concerto alla Fenice,lo incontrai e avemmo un totale chiarimen-to che portò a una ripresa piena dei nostrirapporti. Avemmo un chiarimento anchesulla mia presenza ai suoi concerti. In pas-sato mi aveva vietato di andare a sentire isuoi concerti. Gli chiesi il senso di questodivieto. E lui rispose: “Perché tu devi suona-

    re come ti dico di suonare e non come misentite suonare”. Ma io ribadii: “Ma Maestroio ho bisogno di sentirla suonare, non tantoper imparare ma per la gioia di sentirla faremusica”. Dopo qualche tempo ricevetti l’in-vito a un suo concerto straordinario aLugano, per domenica 5 aprile 1981. Miaveva riservato un posto proprio davanti alui, sicché durante il concerto ci guardam-mo ripetutamente. Ho partecipato a tanticoncerti di Arturo Benedetti Michelangeli.Ma quel concerto, quella sera fu assoluta-mente memorabile. Il programma prevede-va le due Sonate di Beethoven op. 26 e 22, laSonata in la minore D. 537 di Schubert e lequattro Ballate op. 10 di Brahms. Sono certoche molti luganesi ricordano ancora quellastraordinaria serata. Sempre grandissimo,quella sera fu divino; si sentiva un contattomisterioso con qualcosa che era al di là ditutti noi, al di là dello stesso Maestro, cisembrò, quella sera, che ci avesse porto lasua anima. Mentre quasi annichilito miaccingevo a uscire, l’altoparlante chiamò: “Ilmaestro Isacco Rinaldi è pregato di recarsidal maestro Arturo Benedetti Michelangeli”.Mi precipitai da lui e ci stringemmo in unabbraccio straordinario, intensissimo. Nonlo avevo mai visto così felice, così sereno, diuna felicità così intima. Anche lui sentivache quella sera aveva raggiunto veramentequello che per lui era: fare musica. Mi trat-tenni per alcuni minuti, poi mi congedòdicendomi: “Ora ti devo lasciare. Vedi, mihanno portato la cena; mangio un boccone e

    poi mi rimetto a lavorare”. Fui molto colpi-to: dopo quel miracolo e quel trionfo ilMaestro, con grande umiltà, si rimetteva alavorare per il concerto successivo. Ho lettoche il maestro Giulini avrebbe dichiaratoche per il Maestro suonare il piano era unasofferenza e un tormento. Bisogna vedere in

    [XXIII]

    Benedetti Michelangeli

    durante il concerto del

    7 aprile 1981 all'audito-

    rium di Besso della

    Radio Svizzera Italiana.

  • Arturo Benedetti Michelangeli

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    [XXIV]

    che contesto e con che significato questafrase è stata pronunciata. Ma certo quellasera a Lugano per il Maestro suonare ilpiano non fu sofferenza: fu anzi gioiaprofonda, intima, genuina. E così sarà gioiatante altre volte. Il Maestro aveva un naturalefelicissimo rapporto con il pianoforte, stru-mento che “col duro lavoro” gli ha consen-tito di scoprire e rivelare le emozioni piùintime e vere riposte nella musica per lagioia e la felicità di tutti noi. Altre erano lecose che lo facevano soffrire, ma non certo ilpianoforte. Quando non raggiungeva il livel-lo qualitativo a cui aspirava, quando l’operarisultava incompiuta era insoddisfatto. Maquesto non per un’ansia di perfezionismofine a se stessa, come molti hanno fattointendere, ma perché lui era sempre allaricerca della verità, di quello che l’autorenon scrive in quanto implicito nel rapportoesistente fra i vari elementi in gioco, ma cheva rivelato per rispetto assoluto della musica,per il pubblico, per il dovere morale e profes-sionale dell’eccellenza. “Non lasciar mai nullaal caso” mi disse proprio quella sera a Lugano.Seppi poi che il grandissimo BenedettiMichelangeli era da una settimana a Lugano,rinchiuso nell’auditorium, con il suo accorda-tore, per preparare quel concerto che aprì lenostre anime verso il soprannaturale.

    Ci avviamo verso la fase finale di questa vitastraordinaria...Nel frattempo il Maestro si era staccato defi-nitivamente dall’Italia, mentre io, nel 1969,avevo vinto il concorso di direttore del LiceoMusicale di Modena, dove ebbi la possibilitàdi cercare di far penetrare nell’attività diquell’istituto un po’ dei suoi insegnamenti,un po’ della sua professionalità, un po’ delsuo amore per la musica. Continuammo avederci, ma ciò diventava sempre più difficile.Dovevo andare a trovarlo a Pura. Nel 1984 e1985 il Maestro fu colpito da un secondograve infortunio sul piano della salute, delquale poco o nulla si parla nei testi che hoavuto modo di vedere, anche perché chi loseguiva cercò di tenerlo nascosto. Fu colpitoda una grave forma di paresi, che per uncerto periodo gli tolse l’uso della parola e glibloccò totalmente la mano destra. Quandoincominciò a riprendersi lo andai a trovaree lo trovai molto triste e amareggiato.“Ancora una volta - mi disse - sono costretto

    a ricominciare da capo, come un bambino”.Fu allora che incominciai a pensare chebisognava liberarlo dall’obbligo (economi-co) di fare concerti. Ritornò, questa voltaanche con altre motivazioni, l’idea di unagrande scuola dove il Maestro, liberato dalle

    necessità economiche grazie a un buoncompenso, potesse concentrarsi nell’impe-gno di trasmettere il suo straordinario, irri-petibile rapporto con la musica e limitasse almassimo, secondo la sua volontà, l’attivitàconcertistica.Il suo rientro concertistico avvenne a Zurigoil 16 maggio 1986, con un programma diChopin, op. 35, Debussy, Images Serie I e II;la seconda parte che prevedeva Ravel, ValsesNobles e Gaspard de la Nuit non ebbe luogo.Io c’ero e sapendo che pochi mesi prima lasua destra e la sua parola erano paralizzatemi rendevo ben conto di che sforzo immanedoveva rappresentare per lui quel concerto.In aggiunta, in sala, la temperatura era alta,l’umidità altissima, le condizioni del pianocattive. Ammirai molto la sua forza d’animonel portare a compimento la prima parte diun concerto che non era, in alcun modo,proseguibile. Quella sera gli volli più benedel solito e odiai profondamente alcuni degliavvoltoi che si aggiravano nella sala, uno deiquali venne da me e mi disse: “Non è piùlui”. Non trovo questo concerto nella giàmenzionata cronologia di Harry Chin eCarlo Palese, ma bisogna rimediare perchéquesto fu un concerto di alto significato. Lasofferenza della malattia l’aveva portatoancora più in alto. Io, nel frattempo, nel

    Arturo Benedetti

    Michelangeli e

    l'accordatore Guido

    Vicari in quella che

    probabilmente è l'ultima

    fotografia del Maestro,

    scattata a Pura nel

    gennaio del 1995.

  • La perfezione si fa musica

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    1984 avevo lasciato Modena e accettato ladirezione dell’Istituto Musicale Pareggiato“Gaetano Donizetti” di Bergamo, un istitutodi prestigio e di antica storia (è stato costi-tuito nel 1804). Lo feci anche per essere piùvicino al Maestro e per avere più possibilitàdi andarlo a trovare. Da Bergamo andaispesso a trovarlo a Pura. Anche se lui era,come sempre e più di sempre, persona dipoche parole, parlavamo di tante cose. Eramolto informato su tutto. Soprattutto facevatante domande su Brescia, sul lago di Garda(che amava, soprattutto Limone), suBergamo dove anni prima aveva tenuto uncorso di perfezionamento, suscitando peral-tro scarso interesse locale. Conservava il suoantico amore per la buona cucina e per laFormula Uno e le macchine veloci.Cercai di proporre a Bergamo un corso dialto perfezionamento diretto dal Maestro,anche per liberarlo dal bisogno di dare con-certi. Proposi di organizzarlo con laGioventù Musicale (di cui era presidenteBulla). Non so se il Maestro avrebbe accettato.Non gliene parlai, perché non era personacui fosse possibile proporre una sempliceipotesi. Se il progetto si fosse finalizzato,glielo avremmo sottoposto. Ma il progettonon si concretizzò e cadde per l’ostracismodegli ambienti musicali locali. Quando, allafine, gliene parlai mi disse: “Io ho finito conqueste attività. Fallo tu”.Poi, nel 1988, il Maestro ebbe il grande inci-dente all’apparato cardiaco con il severo erischioso intervento chirurgico. Io lo incon-

    trai, per l’ultima volta, circa sei mesi dopol’operazione. Fu un incontro molto triste.Mi ricevette nella casa di Pura, nella suastanzetta piccola e disadorna come una celladi frate. Il suo accordatore di fiducia,Tallone, mi aveva detto che era un terziariofrancescano. Il suo funerale è avvenuto insemplicità francescana, con la bara appog-giata al pavimento dell’altare. Tanti anniprima era stato spesso, per periodi di rige-nerazione, nel convento francescano dellaVerna. Io non so se fosse veramente un ter-ziario francescano, ma non ho mai avutodubbi che fosse, nella sostanza, un veromonaco: il lavoro per lui era una preghiera.Non vorrei parlare degli ultimissimi anni,che furono per lui molto tristi. Io non andaipiù a trovarlo a Pura perché non volevoaggiungere tristezza a tristezza e perché eroin disaccordo con il modo con cui era quasisegregato da Maria-José Gros Dubois e dallasignora Lotti Lehmann. Ma seguii i suoiconcerti (memorabili quelli a Monaco del1992 in occasione dell’ottantesimo com-pleanno di Celibidache), gli scrivevo tenen-dolo informato delle mie attività e telefonavoalle signore per essere informato e per con-fermare la mia disponibilità per ogni neces-sità. Ma ricevevo solo risposte evasive e ras-sicuranti: “Il Maestro sta bene, il Maestro stabene”. Quando perdette la casa a Pura esoprattutto le baite di Rabbi che tantoamava soffrì molto. Così come lo faceva sof-frire sentire che del suo grande divino sforzodi insegnare la musica non sarebbe rimasto

    [XXV]

    Il Maestro in

    un'immagine privata

    della maturità.

  • [XXVI]

    Arturo Benedetti Michelangeli

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    nulla. Forse, unendo le forze e mobilitandoi tanti amici veri di Arturo BenedettiMichelangeli, si poteva fare sì che le coseandassero in modo diverso.

    Io ricordo Benedetti Michelangeli giovanis-simo, dai 20 ai 27 anni a Brescia, e ho avutomodo di analizzare dei documenti originalidi quell’epoca che attestano la sua attivitànon solo concertistica ma di promozione eorganizzazione dell’attività musicale a Bre-scia. Ne emerge la figura di un artista giàgrande, pieno di slanci e di generosità e hocercato di illustrare e documentare ciò in unbreve scritto che tu hai visto. Tu l’hai fre-quentato anche nella piena maturità quandosi era concentrato nella grande attività con-certistica e didattica. E poi lo hai frequenta-to anche nella parte finale della sua vita.Quali analogie e differenze, quali continuitàe discontinuità vedi tra queste fasi della suavita? Avrai compreso che voglio cercare dicapire quali valori, quali convinzioni, qualisentimenti di Benedetti Michelangeli sonorimasti stabili nel corso della sua vita, al dilà degli inevitabili aggiustamenti che levarie fasi della vita portano con sé.Le sue concezioni di fondo della musica edella vita sono rimaste di una straordinariastabilità e coerenza. Come hai scritto tu sinda giovane era “non solo un grande pianista,ma un Maestro, nato grande, senza età”. Èimpressionante ricostruire la grande conti-nuità tra le sue idee sulla musica nelle suelettere e nei pochi scritti giovanili, con quel-lo che insegnava nei suoi corsi e con quello

    che ha sempre creduto e testimoniato sinoall’ultimo. Le difficili prove della vita lohanno certamente portato a un continuoapprofondimento, talvolta a dolorosi appro-fondimenti, ma non hanno mai intaccato isuoi valori di fondo. Evoluzioni certo ne haavute anche lui e, talora, qualche involuzio-ne, ma su aspetti non centrali. Su tutti itemi di fondo e soprattutto su quello che siriferisce alla musica la sua coerenza neltempo è sbalorditiva. Parlo della concezionedi fondo della musica e del suo rapporto conla vita e non dell’evoluzione stilistica einterpretativa che fu ovviamente importanteed ebbe le sue fasi e le sue evoluzioni.

    Che cosa era la musica per BenedettiMichelangeli?Tutto. La musica era la vita. Nel 1954 , quandodovette lasciare ogni attività a causa dellatisi, scrisse alla mamma di un allievo a luicaro: “Sono nove lunghi mesi che ho abban-donato tutto e per tutto intendo dire la cosapiù cara, l’unica ragione della mia vita: laMusica”. Era una persona colta, informata,curiosa, con tanti interessi e non certo il“musone” che ci hanno voluto far credere.Ma poi le cose veramente essenziali per luierano due: la musica e l’insegnamento.Tutta la musica, non solo il pianoforte. IlMaestro aveva studiato non solo composi-zione ma anche violino. Il suo senso dellegato deriva dal violino, dall’organo e dallavoce umana. Certi colori, suoi e unici, nonderivano dal pianoforte ma da altre fonti, daaltri stimoli che lui applicava, portava al pia-noforte. Era un persona complessa e colta.Sapeva tante cose. Ma della musica sapevasemplicemente tutto. Aveva una enormesapienza musicale e, contrariamente allesciocchezze che sono state scritte, unimmenso repertorio.

    Che cosa era il pianoforte per BenedettiMichelangeli?Era un semplice strumento, certamente, mauno strumento senza il quale non si fa musica.E quindi elemento essenziale. Era come ilcoro della S.A.T. per i canti di montagna. Selo strumento ha un’intonazione perfetta,come il coro della S.A.T., i canti di montagnasono mirabili. Se il coro è stonato o pocoamalgamato i cori diventano brutti. Beethovenè praticamente nato insieme al pianoforte.

    Il Maestro durante

    una pausa distensiva, in

    compagnia dell'imman-

    cabile sigaretta.

  • [XXVII]

    La perfezione si fa musica

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    La sua opera pianistica è stata anche unaricerca continua delle possibilità espressivedel nuovo strumento. Sino alla 111, dovetrae dal nuovo strumento tutto quello chenessuno, forse nemmeno lui stesso, pensavapossibile sino a pochi anni prima. Lo stru-mento deve essere perfetto per poter ottene-re dallo stesso il massimo. La sua attenzioneallo strumento, che alcuni idioti hanno trat-tato come una specie di mania, era rispettoper la musica, per il pubblico, per il faremusica, era la naturale conseguenza dell’e-sigenza di esprimere compiutamente il con-tenuto della musica. E al contempo eraricerca continua di nuove possibilità espres-sive. Il pianoforte è uno strumento, anchemeccanicamente, estremamente complesso,ed è molto sensibile all’umidità, al freddo,alle condizioni esterne in generale. Per capireche la sua attenzione al pianoforte non erauna mania, come alcuni critici idioti hannovoluto far credere, basta leggere cosa diconosul tema i grandi tecnici, che con lui hannocollaborato. Angelo Fabbrini, ad esempio,con molta efficacia ha detto: “Per lui il pia-noforte era come un grande violino; lui eralì a curarne tutti i minimi turbamenti ed erain grado di viverli insieme allo strumentoche amava e odiava (perché era fonte deisuoi tormenti). Viveva come un grande vio-linista vive con il suo Stradivari e noi cheabbiamo lavorato con il Maestro siamo statiun po’ come i liutai dei suoi strumenti. Èstata una grande scuola per tutti quelli chehanno lavorato con lui, come anche per lecase costruttrici, che nutrivano una stimaincondizionata nei confronti del Maestro”.

    Che cosa era l’insegnamento per BenedettiMichelangeli?Credo di non dovermi ripetere ma solo sot-tolineare una volta di più che l’insegnamentoera per lui parte integrante del fare musica.Fare musica vuol dire anche insegnaremusica. Le due cose erano per lui inscindi-bili. E questo sin dall’inizio. Il suo amicoAngelo Corelli nel 1943 (il Maestro ha 23anni) annota nel suo diario: “Oggi mi haparlato del suo grande interesse, direi amoreper l’insegnamento”. Da qui il grande spa-zio, la grande passione e la grande genero-sità riversata sull’insegnamento. Era natu-ralmente esigentissimo, con sé e con tutti.Aveva un grande rispetto del lavoro e non

    tollerava cadute in questo senso. Ma avevaun grande rispetto per gli allievi. Voleva chefosse l’allievo a scoprire la soluzione e nonche questa venisse imposta dall’insegnante.Voleva che imparassimo a scoprire cosa c’èdentro il testo. Diceva che fare musica ècome salire lentamente una montagna che,piano piano, ti prende. Bisognava lasciarsiprendere, “affidarsi alla musica”. Nutriva ecomunicava una grande gioia quando unallievo suonava particolarmente bene. Erauna persona e un insegnante di una dolcezzaincredibile. Anche per questo quando videche questo suo amore e questa sua genero-sità non erano né capiti né apprezzati da chidoveva capirli e apprezzarli si dimise da pro-fessore di conservatorio.

    Come spieghi il suo amore per i canti dimontagna?

    Non so distinguere tra l’amore per i canti dimontagna e l’amore per il coro della S.A.T. IlMaestro aveva studiato composizione, sapevascrivere musica e, nei primi anni, ne scrisseanche. Armonizzò per la S.A.T. vari canti dimontagna (circa una ventina). Era attrattodalla misteriosa perfezione dell’intonazionedel coro della S.A.T. Quei cori rappresenta-vano una magica combinazione di delicatearmonie con uno strumento straordinario.Ad alcuni allievi faceva ascoltare esecuzionidel coro della S.A.T. sia per far conoscere ilpeculiare repertorio sia per far sentire eprendere coscienza (apprendere) la formida-bile capacità emozionale dell’intonazionenaturale espressa dalla voce umana e chesoltanto la voce umana è in grado di espri-mere compiutamente.

    Puoi fare un bilancio di questi corsi? Checosa hanno prodotto? Che cosa è rimasto?Qual è l’eredità principale che ha lasciato ate personalmente Benedetti Michelangeli?

    Arturo Benedetti

    Michelangeli mentre

    "dirige" alcuni compo-

    nenti del coro della

    S.A.T. a Madonna di

    Campiglio, il 13 settem-

    bre 1976, durante

    i festeggiamenti per il

    50° anniversario del

    coro stesso.

    Il rapporto del pianista

    con il sodalizio tridenti-

    no iniziò nel marzo del

    1946, continuò per

    anni in modo cordiale

    e proficuo e portò

    all'armonizzazione di

    19 canti di montagna.

  • [XXVIII]

    Arturo Benedetti Michelangeli

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    Credo che nelle scuole ufficiali, nei conser-vatori, quell’insegnamento, quei corsi nonabbiano prodotto niente. Esse sono solida-mente impermeabili a questi fenomeni. Ècome chiedersi che cosa ha lasciato nellascuola ufficiale la scuola di Barbiana di DonMilani. Quei corsi hanno invece lasciatomolto a tutti gli allievi che li hanno frequen-tati. E, sperabilmente, attraverso di loro,sono penetrati, in parte, anche negli inse-gnamenti e nel modo di fare musica con iloro allievi. È talmente grande quello che il

    Maestro ha lasciato a me che è difficilerispondere alla tua domanda. Mi ha, sempli-cemente, insegnato la musica nel suo insie-me. Mi ha insegnato la musica come scoper-ta che non finisce mai, la musica come lasalita di una montagna, lunga, lenta, pazien-te, alla ricerca delle cose più nascoste. E miha anche lasciato la convinzione che la musicaè semplicità, limpidezza e non astrusità.

    Hai già detto tante cose di lui. Ma se ti chie-dessi di esprimere in una sola frase la carat-teristica di fondo della sua personalità e delsuo agire quale parola o espressione useresti?Direi quello che ho già detto sopra: il lavorocome preghiera e il fare musica come andarealla ricerca di Dio. Lasciami anche dire chechiunque abbia lavorato con lui porta con séuna incancellabile lezione di serietà e rigoreprofessionale assoluti. Anche il mito dei con-certi annullati va ricondotto alla verità. Queiconcerti annullati furono molto meno diquanto si favoleggia e ogni volta c’erano

    ragioni fondate e importanti, o legate allasua delicata salute, o a condizioni non tran-quillizzanti sul luogo e sulla organizzazionedel concerto, o al mancato rispetto dellecondizioni pattuite da parte degli organizza-tori. Come ha detto Celibidache, ogni voltache Michelangeli poneva in dubbio la realiz-zazione di un concerto “sentivo che c’era die-tro una ragione musicale e non un capriccio”.

    In varie occasioni abbiamo vissuto comunisentimenti di insofferenza per come la per-sonalità di Arturo Benedetti Michelangeli èstata illustrata da molti critici e da partedella stampa. Vorrei cercare di approfondirele ragioni di questa insofferenza, per sottoli-neare quegli aspetti della personalità e del-l’insegnamento di Benedetti Michelangeliche noi sentiamo ignorati se non distorti.Credo che tutto ciò emerga da quanto abbia-mo detto sino ad ora. La tua analisi delprimo periodo pone in chiara luce un uomodi straordinaria generosità. I miei ricordi deicorsi di perfezionamento e il ricordo di tuttigli allievi e le testimonianze degli enti orga-nizzatori dei corsi confermano la figura diun Maestro di enorme generosità. Io nonconosco nessun altro grande musicista ointerprete italiano che si sia speso tanto egratuitamente per i giovani. Ma chi ha scrittociò con la dovuta evidenza? Era un grandis-simo professionista e l’hanno descritto comeuna specie di maniaco. Era un grande musi-cista a tutto tondo e l’hanno descritto comeuna specie di virtuoso senz’anima. Il sensoreligioso era parte essenziale della sua arte,ma anche quest’aspetto centrale è statoignorato. Era alla ricerca della perfezione equesto è stato talora quasi motivo di dileg-gio, senza capire che la perfezione di cui eraalla ricerca Arturo Benedetti Michelangelinon era la perfezione dell’esibizionista e del-l’egocentrico ma la perfezione evangelica:siate perfetti come è perfetto il Signore cheè nei cieli, colui che vi ha creato a sua imma-gine. Hai scritto molto bene: era un uomodel nostro tempo ma “rifuggendo alle per-verse caratteristiche del nostro tempo: lasuperficialità, la fretta, il marketing, l’avi-dità”. È il suo rifiuto di queste malattie delnostro tempo che lo hanno reso così difficileda capire da parte di chi, invece, è intossicatoda queste malattie.La madre di Benedetti Michelangeli, Angela

    Arturo Benedetti

    Michelangeli con l'allie-

    vo Renato Premezzi

    all'Accademia

    Internazionale Pianistica

    presso la Vigna del

    Gerbino di Moncalieri

    il 30 dicembre 1961.

  • [XXIX]

    La perfezione si fa musica

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    Paparoni di Terni, maestra, era una personadi grande severità e durezza. Forse ciò deter-minò carenze affettive per il bimbo Arturo,che entreranno nella formazione della suacomplessa personalità. Ma non ebbe maidubbi sulla grande vocazione del figlio e losostenne in tutti i modi anche con sacrificinon piccoli come quello di permettergli diseguire la scuola privata del maestro Anfossia Milano, dove lo accompagnava personal-mente. Un giorno la madre mi raccontò que-sto episodio: Arturo nacque il 5 gennaio(1920) alle ore 24.00; fu una nottata specialeperché, pur essendo nel cuore dell’inverno,vi era un temporale con tuoni e fulmini; a uncerto punto un fulmine e il relativo tuonoesplosero con tanta forza da far cadere unquadro appeso sopra la spalliera del lettodove la mamma si trovava in attesa di parto-rire; pochi minuti dopo nacque Arturo.Tante volte ho ripensato a questo episodio e alsuo significato simbolico. Arturo BenedettiMichelangeli è come un fulmine estivo cheesplode in una oscura notte di pieno inverno,un fulmine che illumina il grigio invernodella nostra mediocrità. Per questo, mentreil pubblico l’ha amato e i suoi allievi l’hannoadorato, molti intellettuali hanno cercato disminuirne la figura. Come ha detto benissimoGiorgio Pestelli (in Arturo Benedetti Miche-langeli. Il Grembo del Suono): “BenedettiMichelangeli non stava bene nel sistema;non era fuori dalla cultura, era fuori dall’or-ganizzazione della cultura, che è cosa bendiversa”. Come ha detto Edmond de Stoutz(il grande fondatore e direttore della famosaOrchestra da Camera di Zurigo): “Piace ilsuo modo di suonare ma non il suo modo diessere uomo perché il mondo non è onesto.[...] Michelangeli è come un cristallo, chiaro,definito, sfaccettato, il cristallo è al serviziodella luce”.Non si tratta di coltivare miti. BenedettiMichelangeli, come tutti, ebbe le sue debo-lezze, le sue lacune, le sue manie, i suoierrori, i suoi limiti. Ma si tratta di reagirecontro le distorsioni della sua personalitàche sono diventati cliché dominanti, nono-stante le testimonianze vere di chi l’ha real-mente conosciuto, da Celibidache a Edmondde Stoutz e ad Alceo Galliera (“Aveva un bel-lissimo carattere allora e non era certo bur-bero come lo si dipingeva”), da GiorgioPestelli (“Era un uomo aperto, leale, socie-

    vole”) ai suoi allievi (si vedano le ricche testi-monianze in Arturo Benedetti Michelangeli.Il Grembo del Suono) e ai suoi accordatori.Alimentare questi cliché rende difficile pre-servare e trasmettere l’essenza della sualezione che non fu una lezione di virtuosi-smo pianistico, ma di musica, di umanità edi generosità. Perché, come ricorda nella suatestimonianza Emilia Bonzi (nipote di queiLentati che tanto aiutarono il decollo delgiovane