LA PAZIENZA DEI PERSEGUITATI - Caritas · la pazienza dei perseguitati mensile della caritas...

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ASILO: NUOVE NORME, ITALIA IMPREPARATA LA PAZIENZA DEI PERSEGUITATI MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XXXVIII - NUMERO 5- WWW.CARITASITALIANA.IT Italia Caritas POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA DONAZIONI SIAMO MENO GENEROSI, SARÀ COLPA DELLA CRISI? ETIOPIA TANTI GIOVANI, POCHE CHANCE. E UN FUTURO CHE SPAVENTA DEBITO ESTERO I CONDONI A RITMO LENTO E LE TRECCINE DI AMI giugno 2005 20 GIUGNO GIORNATA MONDIALE DEI RIFUGIATI

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ASILO: NUOVE NORME, ITALIA IMPREPARATA

LA PAZIENZA DEI PERSEGUITATI

MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XXXVIII - NUMERO 5 - WWW.CARITASITALIANA.IT

Italia Caritas

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DONAZIONI SIAMO MENO GENEROSI, SARÀ COLPA DELLA CRISI?ETIOPIA TANTI GIOVANI, POCHE CHANCE. E UN FUTURO CHE SPAVENTA

DEBITO ESTERO I CONDONI A RITMO LENTO E LE TRECCINE DI AMI

giugno 2005

20 GIUGNO GIORNATA MONDIALE DEI RIFUGIATI

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editoriale di Vittorio NozzaINCIDERE SULLE PRATICHE PER RINNOVARE LE PARROCCHIE 3paese caritas di Romano ZanniI POVERI AL CENTRO, LA COMUNITÀ SI RIGENERA 5parola e parole di Ina SivigliaL’URGENZA DI COMUNIONE PREPARA CIELI E TERRA NUOVI 6

nazionaleRIFUGIATI, NUOVE NORME MA L’ITALIA NON È PRONTA 8di Lê Quyên Ngô ìnhdall’altro mondo a cura della redazione Dossier statistico 13CRISI BATTE SOLIDARIETÀ, GLI ITALIANI DONANO MENO 14di Generoso Simeone e Francesco Marsicodata base di Walter Nanni 18CERZETO FRANA A VALLE, È SOLTANTO DESTINO? 19di Francesco CarloniTAGLI IN VISTA PER L’IRAP, NE SOFFRIRÀ IL WELFARE? 21di Paolo Pezzanacontrappunto di Domenico Rosati 22

panoramacaritas SERVIZIO CIVILE, “BEATO PANE”, TOGO 23progetti RIFUGIATI 24

internazionale«POVERTÀ, CHIEDIAMO FATTI OLTRE I BUONI PROPOSITI» 26TANTI GIOVANI, POCHE CHANCE: IL FUTURO DELL’ETIOPIA 28testi e foto di Sara Carcatellacasa comune di Gianni Borsa 31CONDONO A RITMO LENTO, IL DEBITO IN UN RAPPORTO 32di Alessandro Mauri e Paola Budiniconflitti dimenticati di Paolo Beccegato 36LE CATENE DEI PESCATORI E L’ONDA CHE DISORIENTA 37di Paolo Aranhacontrappunto di Alberto Bobbio 39

agenda territori 40villaggio globale 44

ritratto d’autore di Lorenzo OrnaghiDAI POVERI AI MALATI, ELOGIO DEL VOLONTARIO ANONIMO 47

sommario ANNO XXXVIII NUMERO 5

IN COPERTINADue donne straniere

al loro sbarco in Italia.Comincia così l’odissea

di chi vuole chiedere asiloe ora trova un nuovo

regolamento, che lasciaperò aperti tanti problemi

foto Elena Marioni

AVVISO AI LETTORIPer ricevere Italia Caritas per un anno occorre ver-sare un contributo alle spese di realizzazione di al-meno 15 euro: causale contributo Italia Caritas.

La Caritas Italiana, su autorizzazione della Cei, puòtrattenere fino al massimo del 5% sulle offerte percoprire i costi di organizzazione, funzionamento esensibilizzazione.

Le offerte vanno inoltrate a Caritas Italiana tramite:● Versamento su c/c postale n. 347013● Bonifico una tantum o permanente a:

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- Banca Intesa, piazzale Gregorio VII, RomaCin: D - Abi: 03069 - Cab: 05032conto corrente 10080707Iban: IT20 D030 6905 0320 0001 0080 707Bic: BCITITMM700

● Donazione con Cartasì e Diners, telefonando a Caritas Italiana 06 541921(orario d’ufficio)Cartasì anche on-line, sui siti:www.caritasitaliana.it (Come contribuire)www.cartasi.it (Solidarietà)

Mensile della Caritas Italiana

Organismo Pastorale della Ceiviale F. Baldelli, 4100146 Romawww.caritasitaliana.itemail:[email protected]

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INCIDERE SULLE PRATICHEPER RINNOVARE LE PARROCCHIE

editoriale

creto e sintetico. È nelle pratiche, infatti, che si sono im-percettibilmente inscritte le trasformazioni culturali eantropologiche che hanno modificato sensibilità e co-stumi dei fedeli. Ed è nelle pratiche che è concretamen-te passato il Concilio Vaticano II, con i suoi pressanti in-viti alla riforma. È a partire dalle pratiche che si puòprendere consapevolezza di alcune direzioni di cambia-mento e delle linee su cui lavorare insieme.

La profonda destrutturazione e ristrutturazione delcattolicesimo parrocchiale sta avvenendo praticamen-te: solo nello sforzo di comprendere e orientare di nuo-vo le pratiche è possibile immaginare un cambiamentoeffettivo della pastorale parrocchiale. Compito di unpiano pastorale parrocchiale deve essere quello di rior-dinare, armonizzare, rimodellare le diverse attività pa-

La dimensione antropologicadel territorio è infatti profonda-mente cambiata; va cambiata, diconseguenza, la conversazione-dialogo tra parrocchia e territorio,tra il modo in cui l’uomo interpre-ta la sua storia ed elabora la suasperanza e il modo in cui la par-rocchia rende presente la propostae la testimonianza del Vangelo. Èpertanto necessario che si elaboriun piano pastorale per ogni par-rocchia, strumento per avviare ilfaticoso lavoro di rilettura della si-tuazione nuova e problematicache caratterizza un territorio e lastessa pastorale parrocchiale.

È dunque essenziale prenderecoscienza dei cambiamenti e rive-dere le pratiche pastorali. Partire daciò che si fa sembra la maniera piùefficace per coinvolgere chi, nelleparrocchie, è impegnato in un ser-vizio sul campo. Ed è un modo perpartire da ciò che è insieme più con-

La presenza della Caritas nelle parrocchie e nei territori delnostro paese è al centro del convegno nazionale Caritas,che si svolge a Fiuggi alla metà di giugno. Sarà una di-

scussione serrata e caratterizzata da numerose piste di ap-profondimento. Ma l’eredità spirituale e teologica entro la qua-le dovrà collocarsi, ed entro cui il cantiere-parrocchia intenderadicarsi, è costituita dal Concilio Vaticano II. Al quale hanno in-vitato a rivolgere lo sguardo anche i vescovi delle chiese in Italia,

che negli orientamenti-guida deldecennio scrivono: “Occorre preve-dere una ripresa dei documenti delConcilio Vaticano II (soprattuttodelle quattro costituzioni) perchésiano profondamente meditati nel-le nostre comunità e diventino con-cretamente la bussola che ci orientain questo millennio”.

Comunità e territorioSi tratta dunque, entrando nel can-tiere delle parrocchie, di prenderein considerazione i modi ordinaridi annunciare il Vangelo, la celebrazione dei sacra-menti e lo stile liturgico, i problemi della coscienza edella formazione morale, la testimonianza cristiana ele condizioni della società, i poveri e la pratica della ca-rità, l’educazione cristiana delle nuove generazioni el’iniziazione alla fede. La parrocchia è destinataria ditutto un cammino da intraprendere; essa è chiamata aproporre la via cristiana a tutti – qualunque sia l’età, ilsesso, la condizione sociale, economica o culturale –come via praticabile nelle concrete condizioni stori-che di tempo e di luogo. In contatto privilegiato con lastoria, la parrocchia esprime la testimonianza del Van-gelo costruendo l’essere comunità di un territorio. Per-ciò essa si trova coinvolta nei profondi cambiamentiche caratterizzano la nostra epoca.

Le comunità cristianesono chiamate a

trasformare il dialogo cheintrattengono con i propri

territori.Riconoscendo le trasformazioni culturali

e pastorali intervenute.Ma orientandole nella prospettiva

del Concilio Vaticano II

di Vittorio Nozza

ItaliaCaritas

direttoreDon Vittorio Nozzadirettore responsabileFerruccio Ferrantecoordinatore di redazionePaolo Brivioin redazioneDanilo Angelelli, Paolo Beccegato,Giuseppe Dardes, Marco lazzolino,Renato Marinaro, Francesco Marsico,Francesco Meloni, Giancarlo Perego,Domenico Rosatiprogetto grafico e impaginazioneFrancesco Camagna ([email protected])Simona Corvaia ([email protected])stampaOmnimediavia Lucrezia Romana, 58 - 00043 Ciampino (RM)Tel. 06/7989111 - Fax 06/798911408sede legaleviale F. Baldelli, 41 - 00146 Romatel. 06 541921 (centralino)

06 54192226-7-77 (redazione)offertePaola Bandini ([email protected])tel. 06 54192205inserimenti e modifiche nominativirichiesta copie arretrateMarina Olimpieri ([email protected])tel. 06 54192202spedizionein abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)art.1 comma 2 DCB - RomaAutorizzazione numero 12478dell’8/2/1969 Tribunale di Roma

Chiuso in redazione il 27/5/2005

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paese caritaseditoriale

storali, rendendole coerenti con le motivazioni e i crite-ri derivanti da una corretta interpretazione dei cambia-menti culturali e antropologici da una parte, e delle tra-sformazioni pastorali e teologiche dall’altra. Le praticheda rivedere sono quelle che impegnano e strutturanoconcretamente la pastorale parrocchiale: le pratichedell’annunciare, del celebrare e del testimoniare carità.Esse corrispondono ai tre compiti o ministeri fonda-mentali della comunità: ai tria munera dell’annuncio,della celebrazione, della diaconia. Più radicalmente, so-no le tre vie attraverso le quali si istituiscono la conver-sazione, il dialogo e l’incontro di Dio e dell’uomo.

L’alleanza tra Dio e l’uomo si realizza infatti nel do-no della Parola, nel Rito che celebra l’incontro (neldono del corpo) e nella consegna del Comandamentodell’amore a Dio e al prossimo. E proprio a ripensarequeste categorie dell’alleanza in una nuova fase dellastoria sono dedicate le quattro costituzioni che for-mano l’ossatura del Concilio Vaticano II: esse, per da-re un volto missionario alla parrocchia e alla sua testi-monianza (Lumen gentium), ripensano la Parola (DeiVerbum), il Rito (Sacrosanctum Concilium) e la Testi-monianza di vita (Gaudium et spes).

Partecipazione e corresponsabilitàRaccontare la propria storia, comprendere ciò che stasuccedendo e come lo si sta affrontando, accordarsi sualcune linee da seguire, è un passaggio necessario peressere chiesa in questo difficile momento di transizione.La chiesa trova un’espressione del mistero di comunio-ne che la abita, nell’atto di corresponsabilità e parteci-pazione che ogni parrocchia è chiamata a fare nel di-

scernimento pastorale. Soggetto responsabile dell’azio-ne pastorale è la comunità intera. Essa è anzitutto unracconto e uno scambio della fede: è racconto condivi-so di ciò che la fede permette di vivere, di ciò che il Van-gelo riesce a suscitare nei modi di sentire e di vivere de-gli uomini di questa società; è confessione e testimo-nianza della fragile santità dei suoi membri.

Per questo impegnativo atto di corresponsabilità oc-corre valorizzare e, in qualche modo, convocare – dan-do loro dignità di chiesa – tutte le componenti della co-munità parrocchiale: presbiteri, laici e religiosi; convin-ti e impegnati, operatori pastorali, praticanti devoti, oc-casionali e stagionali, e in qualche modo tutte le perso-ne che compongono il territorio e che con la missionedella parrocchia possono avere rapporti. È l’occasioneper verificare e impegnare le strutture e gli organismicomunitari: consiglio pastorale, Caritas parrocchiale,gruppi, consiglio per gli affari economici, associazioni,istituzioni scolastiche e caritative…

In questo esercizio di partecipazione, corresponsa-bilità e comunione, la parrocchia è chiamata a ravvi-vare il suo legame profondo con le altre parrocchie, va-lorizzando le strutture territoriali che favoriscono unapastorale integrata; con la chiesa diocesana, che ha alcentro il vescovo e il suo ministero di guida e unità, chesi esprime autorevolmente nei programmi pastorali;con le chiese locali in Italia e il prezioso lavoro di di-scernimento pastorale fatto dalla Conferenza episco-pale italiana e consegnato ai diversi piani pastorali;con le chiese di tutto il mondo, unite nella chiesa diRoma e raccolte nella luce che per i tempi moderniesce dal faro del Concilio Vaticano II.

di Romano Zanni direttore Caritas diocesana Reggio Emilia - Guastalla

mo il giro per costruire le opere par-rocchiali: raccogliemmo 700 mila li-re!). Così piano piano, con naturalez-za, la parrocchia cominciò a crescereintorno a quella piccola realtà, chedivenne germe di ricostruzione co-munitaria. Caddero molti muri; in-torno ai poveri ci si capiva e incomin-ciò un dialogo costruttivo. Nel 1972partii per la missione e quando tor-nai, nel 1981, fui piacevolmente stu-pito di vedere una comunità giovane,vivace e numericamente nutrita.

Ciò che è necessarioMettere i poveri al centro della comu-nità vuol dire riconoscere che in essiCristo ci viene incontro e si dona anoi, come insegna il testo Evangeliz-zazione e testimonianza della carità(n.1): “In realtà, il pane della Parola diDio e il pane della carità, come il panedell’eucaristia, non sono pani diversi:sono la persona stessa di Gesù che sidona agli uomini ...”. Mettere i poveri

al centro vuol dire partire da loro nelle scelte che si com-piono; tenere conto del loro passo, delle loro possibilità.Vuol dire dimensionare percorsi, attività e iniziative sul lo-ro livello, curandosi più dell’efficacia che dell’efficienza.

Nella prima lettera ai Coriniti (12,12-27) la comunitàcristiana è descritta come un corpo in cui le membra de-vono prendersi cura le une delle altre. Al versetto 22 si di-ce: “Anzi, quelle membra del corpo che sembrano più de-boli sono più necessarie”. Di ciò che è necessario non sipuò fare a meno! Ne va della vita stessa della comunità. Ipoveri ci aiutano a uscire dall’asfissia del nostro borghesi-smo e perbenismo. Ci costringono a ripensare modelli estili di vita in cui ci ritroviamo non per cattiveria, ma per-ché ci siamo nati e cresciuti dentro. E perché tutti li osser-vano. Fino a quando qualcuno non cambia.

Ma dieci anni prima il parrocoaveva deciso di aprire una Casa dellacarità, piccola famiglia dove la par-rocchia potesse raccogliere alcunipoveri, handicappati o anziani, cura-ti dai parrocchiani stessi, con l’aiutodi due suore Carmelitane minori del-la carità, che vivevano in casa facen-do famiglia con gli ospiti. Gli abitantidella parrocchia accolsero con sim-patia questa “famiglia” un po’ parti-colare e cominciarono a interessarse-ne, contribuendo attraverso piccolidoni, con prodotti agricoli o di altrogenere, e a seguirne la crescita. Cominciarono soprattuttoa stimarla e ad amarla. Spesso le suorine erano interpella-te, soprattutto dalle donne, per i loro problemi personali ofamigliari. Chi frequentava la Casa della carità ne uscivaarricchito e alimentava il ritornello: «Sono andato creden-do di dare, ma è molto più ciò che ho ricevuto».

La Casa della carità, ma soprattutto le opere parroc-chiali erano molto decentrate rispetto al centro abitato.Nel 1968 decidemmo di costruire la nuova chiesa e le ope-re parrocchiali nel cuore dell’insediamento, partendo dal-la Casa della carità: volevamo portare fisicamente i piùpiccoli, i più deboli al centro della comunità.

Visitammo tutte le famiglie della parrocchia, circa 500,chiedendo un contributo. Fu un’esperienza esaltante eraccogliemmo 27 milioni di lire (due anni dopo rifacem-

Ricordi di gioventùnel cuore dell’Emilia

“rossa”. Una parrocchiasi consolida attorno

a una piccolaCasa della carità.Una lezione validaanche per l’oggi:

le persone fragili ci fannouscire dall’asfissia

del perbenismo

I POVERI AL CENTRO,LA COMUNITÀ SI RIGENERA

A vevo 15 anni quando, nel 1965, la mia famiglia decise di tra-

sferirsi da una parrocchia con solide tradizioni cristiane a

una dove la frequenza domenicale alla messa era del 3% e

raggiungeva il 7% a Pasqua. Motivazioni storiche di vario genere

avevano determinato un anticlericalismo molto radicato e una

convinta adesione al comunismo, che rappresentava l’80% dell’e-

lettorato. Come avviene in situazioni simili, la comunità era netta-

mente separata tra coloro che frequentavano e gli “altri”.

PARTE UNA NUOVA RUBRICA,VOCE DEI DIRETTORI DIOCESANI“Parrocchia, territorio e Caritas parrocchiale”: il tema che guida i lavori del trentesimo convegno nazionaledelle Caritas diocesane, in programma a Fiuggi dal 13 al 16 giugno, farà da guida anche alle riflessioni che guidano “Paese Caritas”, la nuova rubrica proposta da Italia Caritas. La rubrica, il cui primo intervento è ospitato nella pagina a fianco, proporrà ogni mese l’articolo del direttore di una Caritas diocesana, che proporrà le sue riflessioni sull’argomento, a partire dalla propria concreta esperienza pastorale.

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promemoriaper i donatoridi Caritas Italiana

Le ricevuteIn ciascuno dei due casi sopra analizzati, occorre conservare per cinque anni,a seconda della modalità di versamento utilizzata, la ricevuta di versamentodei conti correnti postali, le contabili bancarie emesse a fronte del bonifico,o la quietanza rilasciata da Caritas Italiana a fronte di assegni circolari obancari consegnati presso la nostra sede di Roma.

Per informazioni: Caritas Italianaviale F. Baldelli 41, 00146 Romatel 06.54.19.22.05/09 - fax 06.54.10.300e-mail [email protected]

Le offerte (erogazioni liberali) inviate a Caritas Italiana risultano:

se indirizzate in favore dei Paesi in via di sviluppo,deducibili nei limiti del 2% del reddito complessivodichiarato [ex art. 10 lettera g) Testo unico imposte dei redditi Dpr 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modifiche]

se indirizzate per iniziative umanitarie religiose e laichenei paesi non Ocse (cioè Pvs), detraibili al 19% fino a unmassimo di 2.065,83 euro [ex art. 15 lettera i-bis) Testo unico imposte dei redditi Dpr 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modifiche]

se indirizzate in favore delle popolazioni colpite da calamità pubbliche o da altri eventi straordinari anche se avvenuti in altri stati, detraibili al 19% fino a un massimo di 2.065,83 euro [ex art. 138 p.to 14 legge 388/2000 e art 15 lettera i-bis) Testo unico imposte dei redditi Dpr 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modifiche].

Le offerte (erogazioni liberali) inviate a Caritas Italiana da soggetti titolari di reddito d’imposta risultano:

se indirizzate in favore dei Paesi in via di sviluppo,deducibili nei limiti del 2% del reddito complessivodichiarato [ex art. 100 comma 2, lettera a) Testo unico imposte dei redditi Dpr 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modifiche]

se indirizzate per il perseguimento delle finalità istituzionaliCaritas (educazione, istruzione, assistenza sociale e sanitaria o culto), deducibili nei limiti del 2% del redditocomplessivo dichiarato [ex art. 100 comma 2, lettera a) Testo unico imposte dei redditi Dpr 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modifiche]

se indirizzate per iniziative umanitarie religiose e laichenei paesi non Ocse (cioè Pvs), deducibili per un importo non superiore a 2.065,83 euro o al 2% del reddito d’impresa dichiarato [ex art. 100, comma 2, lettera h) Testo unico imposte dei redditi Dpr 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modifiche]

se indirizzate in favore delle popolazioni colpite da calamità pubbliche o da altri eventi straordinari anche se avvenuti in altri stati, deducibili per un importo non superiore a 2.065,83 euro o al 2% del reddito d’impresadichiarato [ex art 27 p.to 1 e 4 legge 133/1999 e art 100, comma 2, lettera h) Testo unico imposte dei redditi Dpr 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modifiche].

Le offerte vanno inoltrate a Caritas Italiana tramite:Conto Corrente Postale n. 347013Banca Popolare Etica, piazzetta Forzaté 2, PadovaCin: S - Abi: 05018 - Cab: 12100 - c/c 11113 - Iban: IT23 S050 1812 1000 0000 0011 113 - Bic: CCRTIT2T84ABanca Intesa, piazzale Gregorio VII, RomaCin: D - Abi: 03069 - Cab: 05032 - c/c 10080707 - Iban: IT20 D030 6905 0320 0001 0080 707 - Bic: BCITITMM700Cartasì e Diners, telefonando a Caritas Italiana 06.54.19.21 (orario d’ufficio)Cartasì anche on-line, sui siti: www.caritasitaliana.it (Come contribuire) - www.cartasi.it (Solidarietà)

dello Spirito-Carità. Si comprende al-lora come la globalizzazione dellagiustizia appare come il futuro possi-bile di un’umanità che si rende doci-le alle ispirazioni di una trascenden-za presente nella storia. Non si trattadi beneficenza a basso prezzo, né diistanze di mera pace sociale o di tran-quilla convivenza civile. Si tratta,piuttosto, del dispiegarsi del piano diDio tra le pieghe della storia.

La realtà che vediamo, però, sem-bra contraddire tale dinamismo: ilpeccato ha profondamente sconvol-to il piano divino, immettendo nellastoria il male in tutte le sue forme. Ementre si moltiplicano le denunce ditutte le ingiustizie e si propongonocorrettivi socio-economici, vale lapena domandarsi dove sia finita laparresía dei primi cristiani. Il mondoattende che coloro che si professanocredenti in Cristo assumano le con-dizioni di ingiustizia, violenza, sopru-so e sperequazione sociale che esi-

stono nel mondo, elaborando progetti solidali non di pic-colo calibro, ma tali da cambiare le regole del gioco.

Dal microcosmo delle famiglie e delle chiese parti-colari al macrocosmo delle dinamiche mondiali dellachiesa universale, gli stili di vita dei cristiani, il loro for-te impegno socio-politico e la capacità di rischiare a tut-ti i livelli dovrebbero produrre esiti visibili di una mag-giore giustizia, di una più equa ridistribuzione dei beni,di una pace sempre più autentica e duratura.

Fede, speranza e carità non riguardano solo i dinami-smi personali della grazia, ma si rendono visibilmente ef-ficaci nella storia quando i cristiani vivono come cittadinidi un mondo, in cui essi stessi sono impegnati nell’antici-pare e nel preparare nuovo cieli e nuova terra.

connotato da un dinamismo divino dislancio generoso, gratuità, dono.

Tale è l’amore agapico del Dio-Tri-nità. I credenti, infatti, sono resi par-tecipi del dinamismo stesso della vitatrinitaria. In Cristo, per Cristo e conCristo, in quanti sono battezzati vieneriversato lo Spirito santo, sorgente esoffio d’amore. È nella potenza di taleSpirito, che alimenta e rinsalda i vin-coli di fraternità, che la comunità cri-stiana diviene capace di amare di unamore speciale, di chinarsi sulle feritedegli uomini, ma diviene anche con-notata da una nuova parresía, che annuncia una giustiziaalta, divina, che va ben oltre la giustizia umana e si confi-gura come carità, amore gratuito, ricco di misericordia, ca-pace di sacrificio fino al dono della vita.

Il piano di Dio nella storiaCiò per cui i primi cristiani optano è un genere di condivi-sione che oltrepassa i confini della comunità fino a esten-dersi a tutti. La dottrina sociale della Chiesa ha sviluppatoil valore della solidarietà in un senso sempre più umana-mente forte e cristicamente fondato. Si tratta di un dina-mismo storico-sociale, che eccede la decisione dei singo-li o le scelte di comunità specifiche, per diventare dimen-sione antropologica, inabitata dalla forza prorompente

La condivisione totaletra i primi cristiani,

che si alimenta dello Spirito santo,

annuncia una giustiziapiù alta di quellaumana, capace

di amore gratuito.Ma che fine ha fatto

ai nostri giorniquella “parresìa”?

L’URGENZA DI COMUNIONEPREPARA CIELI E TERRA NUOVI

V ale la pena cercare di comprendere in profondità lo stile di vita co-

munitaria dei primi cristiani. Stupisce, nel testo degli Atti, il senso

dell’urgenza della comunione come effetto della fede condivisa,

ma soprattutto come frutto visibile dell’azione dello Spirito. Il credere

non può consumarsi in intimismo spirituale elitario, ma si manifesta nel-

la storia attraverso vite trasfigurate e stili di vita luminosi. La presenza del

Risorto in mezzo ai suoi diventa riconoscibile da tutti primariamente nel-

l’amore vicendevole: amore concretissimo, autenticamente umano, ma

Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insiemee tenevano ogni cosa in comune (At. 2, 44)

parola e paroledi Ina Siviglia

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verranno attivati anche i centri di identificazione.Decentrare audizioni e analisi delle pratiche è impor-

tante per abbreviare gli insostenibili tempi di attesa. Nel2000 un richiedente asilo poteva aspettare sei mesi, oggianche uno-due anni per un responso che determinerà ilsuo status e il suo destino. Chi non è riconosciuto rifugia-to, e non riceve neppure un permesso di soggiorno perprotezione umanitaria, viene infatti rinviato nel paese dacui è fuggito. Oppure, se evita l’espulsione, finisce per ca-dere nelle maglie dell’irregolarità. A meno che, in fase diricorso, non riesca a far valere le sue ragioni.

Mancano dati affidabiliOggi chi chiede asilo all’Italia deve avere un’incrollabilepazienza. Il richiedente asilo, mentre aspetta, non ha in-fatti neanche il diritto di lavorare ed è a totale carico del-la struttura di accoglienza che lo ospita, se ha avuto laventura di rientrare tra i 2.300 beneficiari del Sistema diprotezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), exProgramma nazionale asilo (Pna). Se invece è arrivatoin Italia quando i centri di accoglienza erano già saturi,non gli resta che attendere l’audizione fidando nell’assi-stenza di qualche Caritas diocesana o di un amico, o an-

dando a occupare stabili fatiscenti o la panchina di ungiardino pubblico.

Vita grama, insomma, per tanti uomini e donne chefuggono da situazioni drammatiche. Nel corso degli ul-timi quindici anni l’Italia, già paese di transito, è dive-nuta paese di asilo. Ma pare non averne ancora acquisi-to piena consapevolezza, come dimostra lo squilibriotra le risorse rese disponibili e le necessità palesate ognigiorno da migliaia di richiedenti asilo.

Quanti e chi siano, in realtà, è difficile saperlo. Man-ca, infatti, una banca dati affidabile, in grado di far co-noscere in tempi ragionevoli il numero di richieste diasilo presentate ogni anno e il numero di persone esclu-se dall’assistenza logistica e socio-legale a cui avrebbe-ro diritto. L’Italia è l’unico paese europeo incapace difornire dati certi e tempestivi, oltre a mancare di unalegge organica sull’asilo. Ne consegue che è penalizzatanell’accesso ai fondi europei in materia, oltre a esibireincerte strategie politiche nel medio e lungo periodo.

Ogni anno si registrano tra 8 mila e 10 mila richiestedi asilo, che la Commissione centrale ha sin qui fatica-to a gestire. Attualmente ne sono giacenti ben 25 mila,che dovranno essere esperite dalla nuova Commissionenazionale, incaricata di coordinare le sette Commissio-ni territoriali. Secondo gli addetti ai lavori, occorreran-no dai due ai tre anni per completare il lavoro.

Intanto, se la matematica non mente, viene da chie-dersi dove siano e cosa facciano le quasi 23 mila perso-ne (i cosiddetti “pregressi”) che hanno avanzato do-manda di asilo in Italia e non sono ospitati dallo Sprar.Molti sono ormai irreperibili, andati all’estero e però de-stinati a essere rimandati in Italia ai sensi della Conven-zione di Dublino, che imputa allo stato di primo arrivoo di prima richiesta la presa in carico degli asilanti.Quelli ancora in Italia, vivono nelle condizione precariedi cui sopra. Il nuovo regolamento di attuazione serviràad affrontare anche i loro problemi?

Lecito dubitarne. I sette centri di identificazione, do-ve dovrebbero essere ospitati (trattenuti) i richiedentiasilo in situazione di irregolarità amministrativa, nonsono ancora pronti. Solo quelli di Trapani (150 posti),Crotone (300) e Foggia (200) sono operativi. Quelli diMilano, Gorizia, Roma e Siracusa devono essere ap-prontati e le date di attivazione restano incerte: si parladel 2006. Nel frattempo, le commissioni territoriali pun-teranno sul trattenimento solo nei casi più bisognosi diverifica. A meno che non vengano individuate sedi al-ternative dai comuni. Magari nelle aree urbane e con

Era atteso da tempo. Ed è entrato in vigore il 21aprile. L’Italia ha un nuovo regolamento relativoalle procedure per il riconoscimento dello statusdi rifugiato, che dà attuazione agli articoli 31 e 32della legge Bossi-Fini (che a loro volta modifica-

vano la legge Martelli del 1990). La nuova legge prevedevadi trasformare il sistema di asilo italiano secondo un mo-dello decentrato. Ora, quasi tre anni dopo, è stabilito chealla Commissione centrale di Roma, incaricata sinora diascoltare tutti coloro che chiedono asilo in Italia, subentri-no sette Commissioni territoriali, ubicate in province dove

nazionalestranieri e diritti

EVENTI PERLA GIORNATAMONDIALECaritas Italianapromuove dal 2000 un Coordinamentonazionale asilo, cui aderiscono 43 Caritas di 16regioni ecclesiali.Il prossimoincontro nazionale si svolgerà a Crotone, dal 18al 21 giugno, e proporrà lunedì20, in occasionedella Giornatamondiale delrifugiato 2005,significativi eventi pubblici: un convegnodedicato al diritto d’asilo,l’inaugurazione di una mostra di fotografie sui rifugiati in Italia, la rappresentazione teatrale “Chiedoasilo alla luna”

8 I TA L I A C A R I TA S | G I U G N O 2 0 0 5

RIFUGIATI, NUOVE NORMEMA L’ITALIA NON È PRONTA

di Lê Quyên Ngô -Dình fotografie Elena Marioni

Il nuovo regolamento applicativodella legge Bossi-Fini decentral’esame delle domande di asilo.Un passo in avanti, per abbreviaretempi di attesa ormaiinsopportabili.Ma restano moltidubbi.Organizzativi e culturali

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Centri, commissioni, ricorsi:le novità del regolamento

CENTRI DI IDENTIFICAZIONENe sono istituiti sette (Gorizia, Milano, Roma, Foggia, Siracusa, Crotone, Trapani); il questore dispone l’invio verso essi del richiedente asilo nei casi di trattenimento facoltativo o obbligatorio.

TRATTENIMENTI Il facoltativo è previsto per verificare

nazionalità e identità del richiedenteasilo, gli elementi su cui si basa la domanda e, in pendenza di un procedimento, il diritto a essereammesso in Italia. L’obbligatorio fa seguito alla presentazione di domanda di asilo da parte di unostraniero fermato per avere eluso o tentato di eludere il controllo di frontiera (o subito dopo), in situazione di soggiorno irregolare o già destinatario di provvedimento di espulsione o respingimento.

COMMISSIONI TERRITORIALISono presiedute da un prefetto e composte da un funzionario di Polizia, un rappresentante Acnur,

un rappresentante dell’ente territoriale designato dalla conferenza stato - città e autonomie locali.

RIESAME E RICORSOIl richiedente trattenuto può presentare entro cinque giorni una richiesta di riesame al presidente della Commissione territorialeche, integrata da un componente della Commissione nazionale, è organogiudicante. Contro il provvedimento della Commissione territoriale è ammessoricorso al tribunale entro quindici giorni. Può essere richiesta al prefetto l’autorizzazione a permanere nel territorionazionale fino alla decisione sul ricorso.

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nazionalestranieri e diritti

natura di servizi aperti, come sarebbe auspicabile. Perrispetto della dignità delle persone.

Respingere senza formalitàMa non è un caso che i centri di identificazione sianoubicati nei pressi, o addirittura all’interno delle aree do-ve sono già operativi i Centri di permanenza tempora-nea (Cpt) destinati agli espellendi. Tutti riconoscono lanecessità di distinguere tra richiedenti asilo, fuggiti dalloro paese per motivi di persecuzione, e stranieri in sta-to di irregolarità da espellere, ma nei fatti la distinzione

tende a sfumare. La logica della legge Bossi-Fini enfa-tizza il controllo e il conseguente trattenimento, rispet-to a soluzioni più attente alla tutela degli asilanti. Nesono prova anche il fatto che al ricorso dello stranierocontro il rifiuto della domanda di asilo non sia attribui-to un effetto sospensivo ai fini dell’espulsione, così co-me le risorse assai ridotte per l’istituzione delle com-missioni territoriali. Fino all’ultimo sembrava addirit-tura a rischio, per carenza di fondi, la partecipazionedei rappresentanti Acnur (l’Alto comissariato Onu per irifugiati) nelle sette commissioni territoriali.

Il nuovo sistema, insomma, parte zoppicante. E chis-sà se l’esigenza di abbreviare i tempi di attesa dell’esamee della risposta – tra i 20 e i 35 giorni, dice il nuovo regola-mento, ma i termini non sono perentori – comprometteràla qualità dell’attenzione che si deve ai casi presentati. Sifa strada un grande interrogativo: l’Italia sarà capace di ri-conoscere le persone e le loro storie per quello che sono,o preferirà alleggerire la pressione delle domande, identi-ficando molti, in prima istanza, come provenienti da staticonsiderati “sicuri”, senza curarsi troppo della loro vicen-da e finendo per respingerli senza troppe formalità? Spes-so si trascura il nesso tra principio e organizzazione, dirit-to e sistema. Come se la carenza di risposte logistiche pro-porzionate non avesse, purtroppo, un peso nelle decisio-ni che danno un orientamento definitivo a molte vite.

Ogni anno, in primavera e ancora più in estate, siscatena la sarabanda mediatica sugli sbarchi a Lampe-dusa. L’Italia non può certo gestire da sola flussi e feno-

meni che riguardano l’Europa intera. Ma le sue compe-tenze nazionali e la sua coscienza di popolo non posso-no sottrarsi alla responsabilità di comprendere la natu-ra dell’asilo e le sue differenze rispetto alle migrazionieconomiche. Queste ultime possono rientrare nella sfe-ra della programmazione e della gestione. Ma gli asi-lanti non hanno tempo: persecuzione, violenze e mor-te non attendono i ritmi delle nazioni più sviluppate.Anche di fronte a norme discutibili e di difficile appli-cazione, l’Italia può ancora dare risposte all’altezza delsuo prezioso retaggio culturale e umanitario. Se ne èconsapevole. Se lo vuole.

Richiedenti asilo dati relativi al 2004

Attesa esame 1Riconosciuto 781Rifiutato 8.150 *Sospeso 29Non considerato 15Trasferito 0Rinuncia 13Riesame 30Totale 9.019

Fonte: Ministero dell’interno,Dipartimento libertà civilie immigrazione

Le nuove disposizioni in materia di asilo (legge189/02 e Dpr 303/04) introducono novità chemeritano un giudizio articolato. Alcuni aspettisi possono considerare positivi. Anzitutto, lapresenza di un interprete durante le operazioni

di presentazione della domanda di asilo davanti alle au-torità di polizia, e soprattutto la partecipazione di perso-nale femminile se il richiedente asilo è donna. Apprezza-

Un bilancio in chiaroscuro,rafforziamo la tutela socialeIl nuovo regolamento al microscopio, tra novità positive e aspetti criticabili

di Giancarlo Perego

bile è anche il divieto di trattenimento, sia facoltativo cheobbligatorio, di minori non accompagnati richiedentiasilo, così come la partecipazione attiva dell’Acnur nellecommissioni territoriali. Giudizio favorevole meritanoanche la previsione di tempi brevi per la trattazione delladomanda di asilo, la garanzia che i richiedenti non possa-no essere trattenuti oltre un certo limite di tempo, infinela possibilità, per il richiedente asilo, di essere assistito da

un avvocato durante l’audizione davanti alla Commissio-ne territoriale. Ma le note liete non possono tacitare l’in-soddisfazione per alcuni aspetti criticabili.

Stando al nuovo regolamento, sono eccessivamentegenerici i criteri per differenziare i casi di trattenimentofacoltativo dai casi di trattenimento obbligatorio. Que-st’ultimo è previsto, per esempio, se il soggetto che hapresentato la domanda sia stato fermato per avere eluso

* Dinieghi dovuti a variecause, che lascianoin sospeso molti casi:391 per assenza della persona, 2.446 per irreperibilità, 2.350per rilascio di permessodi soggiorno temporaneoper motivi umanitari.I dinieghi effettivi sono 2.893, quelli senza indicazione 70.

SBARCHIE DOMANDED’ASILOScenedi quotidianaemergenzaa Lampedusa

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Principali paesi d’origine dei richiedenti asilo in Italia

1999-2000 2001 2002Albania 21.300 Iraq 1.985 Iraq 1.944RF Jugoslavia 12.197 Turchia 1.690 Liberia 1.660Iraq 12.132 RF Jugoslavia 1.526 Sri Lanka 1.526Romania 6.114 Sri Lanka 555 RF Jugoslavia 1.418Turchia 4.250 Romania 501 Pakistan 1.256

Fonte: Dossier statistico immigrazione Caritas 2004. Dati Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato

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nazionalestranieri e diritti

o tentato di eludere i controlli alle frontiere, circostanzache riguarda la quasi totalità dei richiedenti asilo, quasisempre sprovvisti di documenti di viaggio e soprattutto divisto di ingresso nel territorio italiano. Le autorità di poli-zia possono così decidere in modo discrezionale quale ti-po di trattenimento applicare: ciò è tanto più grave, inquanto il trattenimento è previsto come misura ordinariae non straordinaria. Dunque, finirà per interessare la qua-si totalità dei richiedenti asilo.

Riesami, tempi strettiLe nuove norme prevedono poi chesolo il richiedente asilo trattenuto inun centro di identificazione possapresentare richiesta di riesame se lasua domanda è stata respinta. Lastessa ipotesi non è prevista per co-loro che sono trattenuti in un centrodi permanenza temporanea. Il ter-mine per la presentazione della do-manda di riesame è inoltre di solicinque giorni: insufficiente per for-mulare una richiesta adeguatamen-te motivata.

Il procedimento con cui, in caso didiniego della domanda, il richiedentepuò chiedere al prefetto l’autorizza-zione a permanere nel territorio italia-no appare poi generico. La procedura prevede che la do-manda sia motivata in relazione a fatti sopravvenuti, checomportino gravi e comprovati rischi per l’incolumità ola libertà individuale della persona, ma successivi alladecisione della Commissione territoriale, oppure a gravimotivi di salute. Questa norma potrebbe escludere chiabbia ricevuto un provvedimento di rifiuto poiché la

Commissione territoriale non è stata in grado di effet-tuare una corretta valutazione del caso. In ogni caso ilprovvedimento del prefetto è temporaneo e prevede il ri-lascio di un permesso di soggiorno di 60 giorni, rinnova-bili previo parere dello stesso prefetto: un rischio per il ri-chiedente asilo, poiché la misura non ha pieni effetti so-spensivi del provvedimento di allontanamento emessoin seguito alla risposta negativa alla domanda.

Ma i problemi non finiscono qui. Èinfatti prevista la possibilità che il ri-chiedente venga assistito da un avvo-cato in sede di audizione, ma non si faalcun riferimento all’istituto del gra-tuito patrocinio dello stato, non soloin questa fase, ma anche in eventualifasi successive. Per ricorrere contro ilprovvedimento di rifiuto ci sono inol-tre soli 15 giorni, termine molto breve,nel quale è difficile per un richiedentecontattare un legale, reperire i fondiper pagarlo e sviluppare una linea di-fensiva convincente.

Le Caritas diocesane che in Italiasono impegnate a fianco di richie-denti asilo e rifugiati, per garantireloro accoglienza e accompagnamen-to, sono quasi 50. In nome del dirittod’asilo e alla luce della nuova norma-

tiva, è auspicabile che esse rafforzino il proprio lavorodi tutela sociale, in collaborazione con le istituzioni,sviluppando anche una rete di legali motivati ed esper-ti. Bisogna sopperire ai problemi che la nuova norma-tiva può arrecare alle persone che chiedono asilo, sen-za rinunciare all’iniziativa per sollecitare una miglioredefinizione dei loro diritti.

dall’altro mondo

a cura della redazione Dossier statistico immigrazione

TRE MILIONI DI IMMIGRATI,MA RESTIAMO A METÀ DEL GUADO

giorno. Dal punto di vista demogra-fico, si assiste a una normalizzazio-ne delle presenze: tra i due sessi siregistra una sostanziale equivalenzanumerica, con prevalenza dei co-niugati sui celibi e sui nubili, un’ele-vata incidenza dei minori (un quin-to dei residenti) e un consistentenumero di minori nati da genitorientrambi stranieri (dai 33.691 del2003 ai quasi 40 mila del 2005).

Collocamento flessibileQuesti sintetici elementi, che sa-ranno approfonditi dalla quindice-sima edizione del Dossier, delinea-no un processo di “strutturalizza-zione” dell’immigrazione, cui do-vrebbe corrispondere una visionepolitica organica e proiettata nelfuturo. Ma la politica migratoria, inItalia, si colloca “a metà del guado”:si ha coscienza che è impossibiletornare indietro, ma si è titubantinell’affrontare il problema delle

quote e nell’adottare meccanismi flessibili di colloca-mento (come la sponsorizzazione, abolita dalla leggeBossi-Fini), che certamente la formazione nei paesi diprovenienza degli aspiranti lavoratori, oltre tutto mol-to costosa, non è in grado di sostituire.

Gli immigrati sono inoltre anche nuovi cittadini: ser-ve dunque un progetto più deciso di integrazione, cherimedi alle vessazioni di tipo burocratico, elimini le di-sparità, finanzi le attività necessarie per facilitare l’inte-grazione (scuola, casa, rimesse, credito, associazioni-smo, servizio civile dei giovani immigrati…), riveda lanormativa sulla cittadinanza e faciliti la partecipazionedegli immigrati tramite il diritto di voto amministrativo,in un contesto societario unitario quanto ai valori e alleregole, ma rispettoso delle diversità.

Sono quasi tre milioni (lo diventeranno probabilmente nel 2006) gliimmigrati oggi presenti in Italia. La loro incidenza sulla popolazio-ne totale è ormai vicina alla media europea (5%), benché sia anco-

ra lontana dal 9% di Austria e Germania. Si tratta comunque di una pre-senza che da marginale – gli stranieri soggiornanti erano 144 mila nel1970 e divennero 1 milione nel 1997 – è divenuta sempre più rilevantenella società italiana. L’aumento di ingressi nel nostro paese ha inoltreun ritmo più elevato di quanto accade in altre nazioni; in base a esso, sicalcola che la popolazione immigrata, nei prossimi venti-trenta anni, possa raggiungere un’incidenza sul-la popolazione residente compresatra il 10% degli Stati Uniti e il 16%del Canada.

Caritas Italiana, Caritas Roma eFondazione Migrantes hanno resopubbliche a maggio le anticipazionidel Dossier statistico immigrazione2005, che uscirà in veste completa afine ottobre. Sul fronte della distri-buzione geografica degli immigratiin Italia, la parte del leone tocca alnord (più del 60% dei soggiornanti,rispetto al poco meno del 30% nelcentro e poco più del 10% nel sud). Questa distribuzioneè dovuta soprattutto all’elevato e crescente fabbisognodi forza lavoro aggiuntiva da parte del mercato occupa-zionale (una ogni sei assunzioni è coperta da lavoratorinati all’estero), con un’incidenza dei lavoratori e delle la-voratrici immigrati che si avvicina ormai all’8% della for-za lavoro complessiva e un peso rilevante soprattutto inalcuni settori (in quello della collaborazione domesticagli stranieri sono più dell’80% del totale degli occupati).

Il fatto di poter contare su un posto di lavoro fisso hacontribuito a una maggior stabilità di residenza degliimmigrati; circa il 60% della popolazione straniera sog-giorna in Italia da più di 5 anni, mentre un numero nontrascurabile di immigrati hanno acquisito cittadinanzaitaliana in seguito a matrimonio o per anzianità di sog-

nazionale

Anticipazioni del DossierCaritas-Migrantes 2005.

L’insediamento in Italia degli stranieri

ha ormai caratterestrutturale.Rispetto al 1970, il numero

è aumentato di quasitrenta volte.

Ma le politiche sono inadeguate

VITA SOSPESAI richiedenti asilo in Italia sonocostretti a lunghissime attese

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taliani, popolo di donatori. Ma – per così dire –con entusiasmo un po’ in flessione. L’aria di re-cessione che tira nel paese non poteva non ri-flettersi sulla disponibilità che gli italiani mani-festano nel finanziare di tasca propria progettidi solidarietà, iniziative umanitarie, associazio-

ni del volontariato e del terzo settore. La generosità ri-mane viva, sebbene un po’ frenata.

A monitorare il fenomeno ci pensa, da luglio 2001, l’in-dagine sociologica “Gli italiani e la solidarietà”, condottasu un campione di mille persone dall’istituto di sondaggiDoxa e giunta, con quella di ottobre 2004, all’ottava sessio-ne. Questa volta, al filone di ricerca principale si è aggiun-to un approfondimento specifico, relativo al rapporto checittadini e donatori hanno con il “marchio” Caritas. I risul-tati di questa parte di ricerca vengono presentati a metàgiugno, a Fiuggi, durante il 30° convegno nazionale delleCaritas diocesane. Ne emerge un quadro vivace e per cer-ti versi confortante, ma non privo di qualche zona opaca.

Caritas Italiana, in effetti, risulta l’ente di solidarietàpiù noto agli italiani (la conoscono in 79 su 100) dopol’Unicef (80% di notorietà complessiva) e a pari meritocon Telefono Azzurro; più distanti seguono Wwf (71%),Airc (62%) e Medici senza frontiere (62%). Anche in ter-mini di notorietà spontanea (misurata invitando l’inter-vistato a segnalare di sua iniziativa le organizzazioni piùnote e importanti) Caritas Italiana ottiene risultati dispicco: la indica il 21% degli intervistati ed è precedutasolo dall’Unicef, citata dal 24%.

Se molti conoscono Caritas, c’è però una certa diffi-coltà a mettere a fuoco le attività prioritarie di Caritas Ita-liana, rispetto a quanto accade per altre associazioni. L’in-tervento nelle emergenze internazionali è citato sponta-neamente da un quarto degli intervistati, l’attività di pro-

CRISI BATTE SOLIDARIETÀGLI ITALIANI DONANO MENONel 2004 in calo il numero di chi ha versato fondi a realtà non profit. La ricercamette a fuoco anche la grande notorietà di Caritas. Con qualche zona opaca…

di Generoso Simeone

I

indagine doxanazionale

14 I TA L I A C A R I TA S | G I U G N O 2 0 0 5 I TA L I A C A R I TA S | G I U G N O 2 0 0 5 15

mozione e sviluppo nei paesi svantaggiati solo dal 10% e laformazione di volontari e operatori sociali dal 5%. Le atti-vità che connotano maggiormente Caritas Italiana, secon-do i nostri concittadini, sono due: il supporto a emargina-ti e poveri in Italia (citato spontaneamente dal 61%) e laraccolta di fondi per solidarietà e assistenza (59%). Quan-to alle attività delle Caritas diocesane, nella percezione de-gli intervistati esse sono simili a quelle di Caritas Italiana.

In generale, l’immagine di Caritas Italiana presentatratti di elevatissima positività, ma piuttosto sfocati quan-do si cerca di definire una caratterizzazione specifica. Ten-de a prevalere l’immagine di un’organizzazione che gesti-sce servizi per i poveri e raccoglie fondi per popolazionisvantaggiate, ma è molto forte anche la caratterizzazionecome punto di riferimento per la comunità cattolica inItalia; quest’ultima è un’opinione molto o abbastanzacondivisa dal 91% del campione. Nell’immaginario degliitaliani, inoltre, la Caritas è un baluardo per la difesa deivalori di giustizia e di pace (opinione molto o abbastanzacondivisa dall’85% degli intervistati).

La conoscenza di Caritas Italiana è diffusa tra i diversistrati della popolazione in modo uniforme, sia riguardoalle differenze di genere che a quelle di età e di istruzione.Solo l’area geografica evidenzia diversità di rilievo. La no-torietà è molto elevata nel centro Italia (69%) e nel nordest (61%), ma decisamente inferiore a sud e nelle isole(47%). La fonte attraverso cui i cittadini conoscono Cari-tas Italiana è la tv nel 55% dei casi, ma un ruolo importan-te (29%) è rivestito anche dai messaggi veicolati dalla reteterritoriale delle parrocchie; le pubblicazioni di Caritas in-cidono per il 9% sulla conoscenza tra gli italiani.

Esigenti verso le aziendeDonare per cause di solidarietà è stata, tra il 2003 e il 2004,una pratica in leggero ribasso tra gli italiani. Come evi-denzia la parte generale della ricerca, sembra essersi in-terrotto il trend di crescita registrato negli ultimi anni. Aottobre 2004, infatti, solo il 28% degli italiani ha dichiara-to di avere effettuato una donazione; nel novembre 2003erano il 41%. Risulta in calo anche l’importo della dona-zione media: gli italiani hanno destinato mediamente al-la solidarietà nell’ultimo anno 52 euro, contro i 60 euro delnovembre 2003 e i 66 dell’aprile 2003.

La ricerca medica si conferma di gran lunga l’ambitomaggiormente sostenuto dagli italiani. Con un solido62%, le donazioni a enti o istituti scientifici surclassano glialtri settori; seguono, a distanza, lotta contro la fame nel

«Preferita la ricerca scientifica,è la televisione a influenzarci»

Dottoressa Sandra Bruno, ricercatrice Doxa, lei ha curato la ricerca sul rapporto tra italiani e donazioni. Perchéil trend è in flessione?La spiegazione è da ricercare nella crisi economica e nella percezione di impoverimento da parte della popolazione. Calano i consumi e di conseguenzale donazioni. Non si tratta di una perdita di fiducia degli italiani nelle associazioni non profit. La rilevazione,inoltre, è stata fatta prima dello tsunami nel Sud Estasiatico, che molto probabilmente farà segnare un picco di donazioni nella prossima rilevazione.Gli italiani premiano soprattutto la ricerca scientifica. Perché?È una peculiarità tutta italiana. Negli altri paesi europeile percentuali sono distribuite in modo più equo. La ragione del fenomeno sta nelle massicce campagnetv condotte negli anni, culminate nelle lunghe maratonecome Telethon. La principale fonte d’informazione per la maggioranza degli italiani è la tv: inevitabile che il grosso della solidarietà passi attraverso il piccolo schermo.Il 16% degli italiani dichiara di aver dedotto dal reddito le donazioni effettuate, ben il 38% dice di non essere a conoscenza di questa opportunità. Come si spieganoquesti dati?A sorprendere è l’altro 46%, che sostiene di saperedella deducibilità fiscale delle donazioni, pur nonpraticandola. Quando si chiede a una persona seconosce o meno qualcosa, essa tende a rispondere di sì anche se non è vero. E il motivo è che non vuolefare brutta figura. Insomma, noi riteniamo che sianomolti di più gli italiani che non sanno nulla della possibilità di deduzione. Anche perché la tv non ne parla.Caritas Italiana si conferma una delle organizzazioni più conosciute. C’è una ragione?Caritas è un ente ben definito e attivo attraverso le parrocchie e le Caritas diocesane. Infatti la suaconoscenza dipende non solo dalla tv (55%), ma anche da un forte radicamento nel territorio(parrocchia 29%, amici e parenti 24%). E il suo dato di conoscenza nel tempo rimane stabile. Altre organizzazioni risentono maggiormentedell’andamento delle campagne di sensibilizzazione.

Trend dei “donatori” valori %

Fonte: Doxa, “Gli italiani e la solidarietà”, ottobre 2004

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Cifra media donata negliultimi 12 mesi valori medi in euro

Fonte: Doxa, “Gli italiani e la solidarietà”, ottobre 2004

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59

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52

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Fonti di conoscenzadi Caritas Italiana valori %

TelevisioneParrocchia / oratorio

Amici / parentiGiornali

Pubblicazioni Caritas / Rapporti su povertà o immigrazione

Rapporto diretto con CaritasRadioAltro

55

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24

23

9

6

5

2

Fonte: Doxa, “Gli italiani e la solidarietà”, ottobre 2004

Destinazione della donazione valori %

Fonte: Doxa, “Gli italiani e la solidarietà”, ottobre 2004

Ricerca medicaLotta contro la fame nel mondo

Adozione a distanzaAiuti d’emergenza (guerre, calamità)

Povertà in ItaliaProtezione animaliPortatori handicap

Difesa dell’ambienteChiesa / parrocchiaPatrimonio artistico

62

21

19

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10

4

4

4

1

1

nazionaleindagine doxa

16 I TA L I A C A R I TA S | G I U G N O 2 0 0 5 I TA L I A C A R I TA S | G I U G N O 2 0 0 5 17

Donazioni nel mirino dei politici,strana forma di sussidiarietàQuando i governi hanno la tentazione di mettere le mani sulle risorsedestinate alla società civile, si rischiano politiche inique e poco trasparenti

ono strani e contraddittori i messaggi che lapolitica invia al mondo della solidarietà ne-gli ultimi tempi. Dal 17 marzo 2005 è in vigo-re la nuova regolamentazione sulla deduci-bilità fiscale delle erogazioni liberali alle On-lus, frutto della campagna “Più dai, meno

versi”, che i soggetti del terzo settore e la rivista Vitahanno sostenuto con forza. La legge consente a priva-ti e aziende di dedurre le donazioni a favore di Onluse associazioni di promozione sociale nella misura del10% del reddito imponibile e fino a un tetto di 70 mi-la euro l’anno. L’11 marzo il governo ha inserito ilprovvedimento all’interno del cosiddetto “decretocompetitività”, allineando la legislazione italiana inmateria a quella degli altri paesi occidentali.

Una battaglia vinta, si direbbe. Però gli organismi divolontariato (vale a dire cittadini che donano il lorotempo per la collettività) hanno dovuto sostenere unduro scontro, sempre con lo stesso governo, che avreb-be voluto inserire nello stesso decreto un provvedi-

mento che dirottava una parte dei fondi provenientidalle Fondazioni bancarie – destinati per legge ai Cen-tri di servizio del volontariato – al nuovo servizio civile.Paradossi della politica: da una parte sembra voler af-fermare con chiarezza il principio della sussidiarietà,dall’altra mostra una meno nobile volontà di accederea risorse considerate “disponibili”, data la scarsità difondi a disposizione per far quadrare i bilanci pubblici.

Pagare le tasse due volteLe donazioni di privati per fini di utilità sociale – in tut-te le forme possibili – dovrebbero essere considerateuna prassi da tutelare e rafforzare, sicuramente dentrouna logica di sussidiarietà. Il cittadino che dona è un cit-tadino che paga le tasse due volte: una volta rispettan-do rigorosamente un preciso dovere civico, una secondavolta esprimendo generosamente il proprio senso civicocon l’offerta di tempo, professionalità o risorse.

Queste risorse sono assolutamente “sociali”, inquanto espressione di solidarietà sociale e natural-

mente da destinarsi a soggetti sociali (associazioni,organismi di volontariato, enti di cooperazione…).

La sussidiarietà afferma proprio questo. Questaparola – ormai molto in voga, un po’ come “federali-smo” – sintetizza il principio secondo cui tutte le so-cietà di ordine superiore devono porsi in atteggia-mento di aiuto e sostegno rispetto alle minori. Peresemplificare, lo stato deve astenersi dall’interveniresu quanto esprime la società civile o, al massimo, so-stenerne le espressioni orientate al bene comune.

Ma, come accade alla parola federalismo, la sussi-diarietà il più delle volte è stravolta e abusata. Un esem-pio abbastanza problematico di violazione di questoprincipio è stata la raccolta governativa di fondi, svilup-patasi in occasione della tragedia dello tsunami nel sudest asiatico. Da noi, soli in Europa, si è assistito a unaquestua di stato – sperimentata già con l’OperazioneArcobaleno ai tempi della guerra in Kosovo – con la qua-le si è finanziato un intervento di cooperazione interna-zionale tramite risorse che sarebbero state destinate, inassenza di un’ossessiva campagna di informazione go-vernativa, agli organismi non governativi. Peraltro oscu-rando per giorni le attività dei soggetti della solidarietàe dando un saggio di cosa vuole dire l’assenza di plura-lismo nell’informazione. Un ottimo esempio di comenon si applica il principio di sussidiarietà e di come sicoarta l’espressività della società civile.

Tutelare la cultura del donoPerché tutto questo non convince? Per banali ragionidi etica e di logica. I governi vanno giudicati in base

alla loro capacità di governare, utilizzando bene le ri-sorse ottenute attraverso la politica fiscale. Legittima-mente i governi devono poter ottenere risorse dai cit-tadini, ma attraverso un sistema fiscale equo (chechiede di più a chi più possiede) e trasparente (vale adire regolato da leggi).

Se i governi non usano il canale fiscale e – violan-do la logica della sussidiarietà – sottraggono risorse inmaniera poco trasparente ed eticamente discutibile aisoggetti della solidarietà sociale, finiscono per crearepolitiche inique (contribuisce in alcune materie chivuole, non chi ha risorse) e poco trasparenti (in quan-to non valutabili attraverso le scelte operate, soprat-tutto a partire dalla legge finanziaria).

La questione fiscale in Italia è, peraltro, particolar-mente drammatica, in presenza di un’economia som-mersa patologicamente superiore alla media dei pae-si avanzati e di una ramificata economia criminale.Tutelare la cultura del dono e incentivarla significa tu-telare e incentivare non solo le espressioni attive del-la società civile – rendendole più forti e più libere –,ma rafforzare una cultura di cittadinanza, di impegnocivico, di appartenenza comunitaria: valori irrinun-ciabili per ogni paese, che voglia crescere contestual-mente in prodotto interno lordo e in coesione sociale.

Per questo auspichiamo – da parte di chi governa –un uso saggio della scienza delle finanze nel reperimen-to delle risorse, piuttosto che una propensione verso letecniche della rabdomanzia: perché le risorse sono, perdefinizione, scarse. Ma la politica, da sempre, ha proprioil compito di utilizzarle al meglio per il paese.

Sdi Francesco Marsico

mondo (21%), adozioni a distanza (19%), aiuti d’emer-genza (14%). Quanto al profilo del donatore, i giovani re-stano quelli che donano di meno (23% del totale), pur es-sendo i più aperti ad altre forme di solidarietà. Le donnedonano molto di più degli uomini (32% delle intervistate,contro il 24%), mentre – in termini geografici – l’area piùgenerosa appare il nord est (il 35% del campione fa dona-zioni, segue il centro con 32%, nord ovest 27%, sud e isole23%). La pratica di donare è elevata tra chi fa attività di vo-lontariato (40%) o di tipo religioso (43%).

Quanto al giudizio sulle aziende che sostengono cau-se di solidarietà, il 27% degli italiani si dichiara molto fa-vorevole all’impegno sociale delle imprese. Tuttavia, que-sta percentuale si è confermata in costante decrescita neltempo (33% nell’aprile 2003, 29% nel novembre 2003). La

diminuzione, secondo la Doxa, va attribuita a una pro-porzionale crescita di donatori cosiddetti “esigenti”, cheaccettano un ruolo attivo delle aziende nella solidarietà, apatto che non sia solo un modo per farsi pubblicità, maun impegno costante e coerente con l’attività complessi-va dell’impresa stessa.

La ricerca mette a fuoco, infine, anche la relazionetra le donazioni alle organizzazioni non profit e le offer-te effettuate durante la messa domenicale. Il 48% degliintervistati ha dichiarato di non fare né l’una né l’altra,mentre la percentuale di coloro che hanno detto di pra-ticarle entrambe è del 18%. Circa un quarto degli inter-vistati (24%) usa fare abitualmente solo le offerte inchiesa durante la messa. Un rapporto complesso, chemerita analisi ulteriori e più articolate.

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Italia è una delle nazioni europee maggiormente esposte a fenomeni didissesto idrogeologico. Alla pericolosità intrinseca del territorio si associaun’elevata vulnerabilità, causata da scelte urbanistiche discutibili e dauna scarsa cultura ambientale. Le dimensioni del fenomeno vengonoevidenziate da una panoramica degli eventi verificatisi nell’intero territo-rio nazionale: 5.400 alluvioni e 11 mila frane negli ultimi 80 anni, 70 mila

persone coinvolte e 30 mila miliardi di danni negli ultimi 20 anni.L’ultimo aggiornamento effettuato dall’Apat (Agenzia per la protezione dell’ambien-

te) per i servizi tecnici del ministero dell’ambiente ha rilevato che 5.581 comuni italiani(il 68,9% del totale) si trovano in aree classificate ad alto potenziale di rischio idrogeolo-gico e ricoprono una su-perficie complessiva pari a21.551 chilometri quadra-ti, il 7,1% del territorio na-zionale. Le regioni con ilmaggior numero di comu-ni in aree a rischio poten-ziale sono Calabria, Um-bria, Val d’Aosta e Piemon-te; la Sardegna è la regionecon la percentuale minore.

Le vaste proporzionidel dissesto in Italia di-pendono dall’età geolo-gicamente “giovane” del-la penisola; d’altro canto,solo in tempi recenti un’attenta analisi del territorio èstata assunta come priorità dallo stato e dalle ammini-strazioni locali, in vista della stesura di piani regolato-ri, territoriali e paesaggistici. Le prime esperienze dipianificazione territoriale sensibili ai rischi connessirisalgono agli anni Ottanta. Il cammino verso un’au-tentica cultura di prevenzione si profila ancora lungo:speculazione, scarsa sensibilità ambientale e investi-menti inadeguati frenano la lotta a un dissesto che daidrogeologico si fa sociale.

Allarme dalle campaneUn esempio emblematico è balzato alla cronaca neimesi scorsi. Lunedì 7 marzo le case dell’intera frazionedi Cavallerizzo in comune di Cerreto, provincia di Co-senza e diocesi di San Marco Argentano, sono scivolatea valle, trasportate da un sistema franoso di vaste pro-porzioni, costringendo all’evacuazione 115 famiglie,cioè 300 persone. A essere distrutto è stato un interopaese, con le sue tradizioni, la sua quotidianità, i suoivalori e una storia di circa seicento anni, risalente a una

CERZETO FRANA A VALLE,È SOLTANTO DESTINO?In Italia il dissesto idrogeologico è di casa.Ultimo esempio, il centro calabrese.Gli aiuti non mancano.Ma bisogna maturare una diversa cultura del territorio

di Francesco Carloni

L’

ambiente e societànazionale

18 I TA L I A C A R I TA S | G I U G N O 2 0 0 5 I TA L I A C A R I TA S | G I U G N O 2 0 0 5 19

FRAZIONECANCELLATAUn’immaginedei danni della franache ha squassatola localitàCavallerizzo.Nel comune di Cerzeto il dissestoha una storiaultracentenaria

aumento. Malgrado la produzioneglobale di amianto sia diminuita apartire dagli anni Settanta, il numerodei lavoratori che muore oggi in Ca-nada, Stati Uniti, Regno Unito, Ger-mania e altri paesi industrializzati acausa di passate esposizioni a polveridi amianto è in crescita. La silicosi –malattia polmonare mortale causatadall’esposizione a polveri di silice –colpisce ancora decine di milioni dilavoratori in tutto il mondo. In Ame-rica Latina, il 37% dei minatori ha svi-luppato questa malattia; il dato saleal 50% tra i minatori che hanno supe-rato i 50 anni di età. In India, più del50% dei lavoratori impiegati nellaproduzione di matite in ardesia e il36% di quelli addetti al taglio dellapietra hanno la silicosi.

Giovani, anziani, vulnerabiliI giovani tra 15 e 24 anni hanno mag-giori probabilità di rimanere vittimedi infortuni seri non mortali rispettoai colleghi più anziani. Per esempio,

nell’Unione Europea il tasso degli infortuni non mortali èalmeno del 50% più elevato tra i lavoratori di età compre-sa tra i 18 ed i 24 anni rispetto a ogni altra categoria.

I lavoratori giovani sembrano essere più vulnerabilia certi tipi di rischi rispetto ai colleghi più anziani. Peresempio, in Australia gli infortuni mortali causati dall’elet-tricità hanno un tasso di incidenza doppio tra i lavoratorigiovani rispetto agli altri.

I lavoratori con più di 55 anni hanno maggiori pro-babilità di rimanere vittime di infortuni mortali sul lavo-ro rispetto ai colleghi più giovani. Nell’Unione Europea,per esempio, il tasso degli infortuni mortali nel 2000 eradell’8% per il gruppo di età tra 55 e 64 anni, solo del 3,3%per il gruppo 18-24.

L’edizione 2005 della Giornata mondiale per la sicurezza e la sa-lute sul lavoro, svoltasi a fine aprile, si è concentrata sul temadella prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie

professionali. In occasione della Giornata mondiale, l’Oil (Organizza-zione internazionale del lavoro) ha pubblicato un rapporto statisticosulla situazione degli infortuni sul lavoro nel mondo. Secondo i dati dif-fusi nel Rapporto 2005, sono oltre 9 milioni gli incidenti sul lavoro nelmondo (41 mila mortali) ufficialmente comunicati all’Oil nell’anno pre-cedente, di cui oltre 7 milioni 527 mila nei paesi a economia di mercato.

esclusione socialepolitiche socialipolitiche socialidatabase

IL LAVORO CHE FA MALE,LA PREVENZIONE NON BASTA MAIdi Walter Nanni ufficio studi e ricerche Caritas Italiana

Ma il numero di infortuni che sistima accadano ogni anno in tuttoil mondo è molto più elevato: i la-voratori sarebbero vittime di circa270 milioni di infortuni che causanoun’assenza dal lavoro di più di tregiorni e circa 160 milioni di malattienon mortali. Si stima che nel mon-do muoiano in media circa 6 milapersone ogni giorno a seguito diinfortuni sul lavoro o malattie pro-fessionali, per un totale di oltre 2,2milioni di decessi all’anno. Di que-sti, 350 mila sarebbero dovuti ainfortuni e oltre 1,7 milioni a malattie professionali.

In tutto il mondo gli infortuni e le malattie connessi allavoro hanno costi umani ed economici enormi. È statostimato, ad esempio, che la perdita del Pil globale conse-guente a decessi, infortuni e malattie legati al lavoro è cir-ca 20 volte maggiore dell’entità degli aiuti ufficiali allo svi-luppo. La perdita attribuibile ai costi prodotti da sospen-sioni dal lavoro, cure mediche, pensioni d’invalidità e direversibilità è pari al 4% del Pil mondiale.

Ogni anno, le sostanze pericolose uccidono circa 438mila lavoratori e si stima che il 10% dei tumori alla pelle siada attribuirsi all’esposizione a sostanze pericolose neiluoghi di lavoro. L’amianto da solo è responsabile dellamorte di 100 mila persone l’anno e tale dato è in costante

Resi notidall’Organizzazione

internazionale del lavoro i dati 2004

su infortuni e patologieprofessionali. Ogni annonel mondo sono colpitida incidenti e malattie

oltre 400 milioni di persone e ne muoiono

circa 2 milioni

nazionale

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comunità albanese, insediatasi in quei luoghi attornoalla seconda metà del 1400.

Nonostante si sia manifestato durante la notte, l’e-vento franoso non ha provocato vittime. L’attenta vigilan-za di alcuni abitanti (da molti giorni gli abitanti di Caval-lerizzo protestavano civilmente, avendo colto segnali chefacevano presagire il peggio) ha permesso di lanciare l’al-larme con le campane della chiesa. La prima emergenzaè stata affrontata grazie alla straordinaria solidarietà del-le comunità vicine e al pronto e adeguato intervento del-la Protezione civile e delle strutture operative a essa con-nesse, compresa l’amministrazione comunale. Ben piùcomplessa e difficile sarà la risposta ai bisogni materiali,psicologici e spirituali nei prossimi mesi; non si prospet-tano tempi brevi per la ricostruzione delle case, che do-vranno essere ubicate in un luogo diverso dall’attuale,geologicamente stabile.

In questo quadro, anche la chiesa sta facendo la suaparte. La parrocchia di Cerzeto, l’intera diocesi e altre co-munità ecclesiali hanno avviatopiccoli programmi di sostegnoeconomico, morale e spirituale,preoccupandosi in particolare deisoggetti fragili. Ma il profondo di-sagio causato dalla frana rischiadi compromettere la forte coesio-ne della comunità calabrese. Ca-ritas Italiana, in accordo con laCaritas diocesana di San MarcoArgentano, utilizzerà le risorseche si renderanno disponibili asostegno dell’aggregazione co-munitaria e delle famiglie in fortestato di bisogno, a cominciare da-gli anziani, che rappresentano il28,5% della popolazione.

Il dissesto idrogeologico che interessa l’intero territo-rio del comune di Cerzeto ha una storia ultracentenaria.Il periodico diocesano L’eco di San Giorgio, pubblicatoper qualche numero agli inizi del ’900, parlò di tre grandimovimenti franosi nel 1635, nel 1720 e nel 1827. In tuttee tre le occasioni si racconta che la popolazione fece ri-corso alla forte devozione mariana e al santo protettore,San Giorgio, perché mai più avessero a ripetersi tali scia-gure. Ma dopo 370 anni a Cavallerizzo nulla sembra esse-re cambiato.

Quando le popolazioni albanesi si spostarono nellazona, i terreni erano ricoperti di boschi e i criteri di scelta

per gli insediamenti erano dettati da semplici elementi dipraticità e possibilità di utilizzo della terra. Ma con l’an-dare del tempo il disboscamento e l’errato controllo del-lo scorrimento delle acque hanno reso il terreno total-mente insicuro. Anche se gli ultimi abusi edilizi rilevati ri-salgono agli anni Settanta – in seguito condonati – e nul-la sembra essere stato costruito in seguito, fatte salve le ri-strutturazioni di edifici esistenti, ciò non è valso a garan-tire sicurezza. I danni subiti a marzo dalla frazione indur-ranno gli abitanti e l’amministrazione a individuare unnuovo sito, scelta dolorosa ma inevitabile.

Prevenzione anche socialeLa vicenda di Cavallerizzo ha seguito un copione appa-rentemente immutabile e simile a quello di tante altre. Lamentalità fatalistica, secondo cui l’uomo non può oppor-si all’evento naturale, è ancora dominante. Essa va con-trastata riportando con urgenza l’ambiente al centro deldibattito politico ed educativo, per affermare una cultura

in cui il territorio assuma un ruo-lo centrale e sia una priorità perlo sviluppo, trasformandosi in ri-sorsa e in occasione di rinascita.

È importante, in questa pro-spettiva, rafforzare le comunitàlocali, fornendo a tutti, adulti ebambini, strumenti di conoscen-za e opportunità formative chefavoriscano un cambiamento dimentalità e una crescita di re-sponsabilità nei confronti del-l’ambiente, nel contesto di unavisione che congiunga i fenome-ni locali allo scenario globale.

Anche i credenti, nella logicadella maturazione di nuovi stili di

vita, sono chiamati a responsabilità e vigilanza, per dareapplicazione concreta a una pratica della legalità che nonpuò restare solo uno slogan. Tra i nuovi stili vita a forte ri-caduta sociale (anche in chiave preventiva, per evitarel’esasperazione della vulnerabilità sociale che ogni disa-stro naturale porta con sé) vanno collocati anche l’impe-gno a combattere abusivismo edilizio, inquinamento,sperpero di risorse. Il territorio non è una semplice realtàgeografica, ma è lo spazio vissuto, i luoghi dell’infanzia, levie del quartiere, le relazioni umane, le prospettive di svi-luppo. Salvaguardare un territorio fisico significa preser-vare un territorio umano, e dargli futuro.

nazionaleambiente e società

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a meno di due mesi l’Italia ha un nuovo governo. Il suo programma pre-vede alcune differenze rispetto al recente passato. Una riguarda le tas-se. È stato infatti abbandonato il controverso progetto di modifica del-l’Irpef e, anche a seguito di un recente pronunciamento in tal sensodella Corte di giustizia europea, le intenzioni sono adesso concentratesul taglio dell’Irap, l’imposta regionale sulle attività produttive. Si tratta

di un tributo introdotto nel 1998, la cui base imponibile è data dal “valore aggiun-to”, ossia essenzialmente dalla somma degli utili, del costo del lavoro e degli inte-ressi passivi dell’azienda. Il suo gettito annuo è attualmente di circa 33 miliardi etali risorse vengono attribuite alle regioni, che coprono grazie a esse più del 50%delle proprie spese, specie in ambito sanitario. Attra-verso la riduzione di tale tributo, che riguarda in par-ticolare imprese e lavoratori autonomi, si intendereb-be ridurre il costo del lavoro e rilanciare così la com-petitività delle imprese.

Ma cosa c’è realmente in gioco? Quali potrebbero es-sere le conseguenze per le regioni e la loro capacità dispesa? Cosa potrebbe accadere ai servizi ai cittadini?Purtroppo solo pochi, ricordando gli articoli 2 e 4 dellaCostituzione, riconoscono nella fiscalità uno strumentonecessario per “l’adempimento dei doveri inderogabilidi solidarietà politica, economica e sociale” e una mo-dalità per concorrere al “progresso materiale o spiritua-le della società”. Tuttavia, anche se il tema rischia di es-sere impopolare, la questione non può essere elusa.

Ulteriore impoverimentoL’Irap è un tributo che ha avuto molti limiti, specie sulpiano redistributivo nazionale: poiché riguardava i red-diti delle imprese, in mancanza di un adeguato mecca-nismo di compensazione si sono generati, tra regioniricche e povere, divari sino al 700%. Resta il fatto che,attraverso l’Irap, molte regioni hanno potuto compiereoperazioni di politica sociale. In alcuni casi tali risorsehanno finanziato, oltre alla sanità, specifici interventisociali per le fasce deboli o sostenuto agevolazioni eco-

nomiche per Onlus e altri soggetti sociali. Se la prossi-ma riforma del tributo avvenisse in maniera affrettata oapprossimativa, si potrebbero creare lacune gravissimeproprio nel settore della spesa sociale delle regioni e delwelfare locale. Inoltre, se la riforma insistesse sulla viadella sostituzione dell’Irap con un aumento di Irpef eIva, ne risulterebbe un aggravio del carico fiscale su la-voratori dipendenti, pensionati e consumatori, con ef-fetti di possibile ulteriore impoverimento di tali catego-rie, già in larga parte rese fragili dalle politiche econo-miche globalizzate degli ultimi anni.

Questa ennesima parziale riforma fiscale italiananon può quindi essere considerata con noncuranza.Non è un problema meramente tecnico o economicoe non può essere ritenuta avulsa dalle questioni socia-li inerenti povertà e benessere. Le proposte non man-cano. È auspicabile che il processo di riforma sappiatenere in conto le ragioni dell’equità sostanziale e del-la giustizia sociale. Sarà quindi necessario procederecon rigore, a partire dall’articolazione nella società econ le regioni di un autentico dibattito politico sullequestioni realmente in gioco, oltre le mere scherma-glie ideologiche o di partito. Su questo occorre vigilare,perché non vada perduta un’ennesima occasione dicontrastare lo smantellamento dello stato sociale.

TAGLI IN VISTA PER L’IRAP,NE SOFFRIRÀ IL WELFARE?Il governo deve riformare l’imposta sulle attività produttive, con cui le regionifinanziano sanità e interventi sociali.Occorre evitare danni alle categorie fragili

di Paolo Pezzana

D

finanze e solidarietànazionale

BOSCHI, ACQUE E CASE

Disboscamento, cattivo controllo delle acquedi scorrimento e abusi edilizi hanno favoritoil dissesto idrogeologico a Cerzeto

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contrappunto

limitavano l’esercizio della sovranitàpopolare delegata, prerogativa deglieletti dal popolo. C’era anche il biso-gno di una revisione dei meccani-smi, che riducesse la precarietà deigoverni. Così nell’ultima decade delNovecento si sviluppò l’ideologia delmaggioritario, che a molti parve suf-ficiente per cancellare i malanni del-la società italiana, dall’ingovernabi-lità alla corruzione.

Oggi accade di dover registrare illamento di governanti che, pur aven-do ottenuto dal voto una prevalenzastraripante, invocano misure più rigi-de a tutela di maggioranze e governi.Né basta l’atto di supremazia del ca-po dell’esecutivo verso il parlamento.Si cercano infatti strumenti per assi-curare al leader il pacchetto di con-trollo della propria maggioranza,monopartitica o di coalizione che sia.I costituzionalisti sono allarmati eanche l’opinione pubblica mostrasegni di preoccupazione per il desti-no di una democrazia sempre più

configurata come scontro permanente di falangi blindatee irriducibilmente dedite alla reciproca sopraffazione.

Ma non si tratta di ingegneria istituzionale. È in giocola visione stessa della politica come ambito di indagine ecostruzione del bene comune, luogo di confronto delle li-bere opinioni, movimento di formazione del consenso edi partecipazione di cittadini e formazioni sociali alla vitapubblica. Il richiamo al passato può servire a ricordareche è esistita, nel bene e nel male, un’altra pratica dellapolitica, dove lo scontro non era attenuato ma c’era alme-no lo sforzo di trovare le “cose buone o riducibili al bene”.Se si riuscisse a riabilitare questo concetto, molte alluci-nazioni cesserebbero. E si potrebbe persino immaginarequalche miglioramento.

C’era una volta Alcide De Gasperi. Nel 1948 la Dc conquistò lamaggioranza assoluta in parlamento. Ma non volle fare un go-verno di soli democristiani. In un paese spaccato in due da

guerra fredda e conflitto ideologico, decise di non basare le sue sceltesolo sulla forza dei numeri. E operò per attrarre attorno al governo ilmassimo del consenso di chi lo appoggiava e il massimo del… nondissenso da parte di chi lo osteggiava. Cercava una “sintesi popolare”da offrire al paese: combatté con vigore gli avversari socialcomunistima sempre si rifiutò di “farli fuori”, cioè di metterli fuori legge, comeda più parti autorevolmente gli veniva richiesto e persino intimato.

Molti anni dopo fu Aldo Moro adire agli uomini del suo partito chenon si poteva più fare affidamentosulla forza di una sola parte per af-frontare il futuro, ma che occorrevacoinvolgere in un disegno di solida-rietà generale aree politiche che dal-l’opposizione si stavano spostandoverso responsabilità di governo. Sim-metricamente il leader del Pci, EnricoBerlinguer, fautore di un “compro-messo storico” con l’avversario tradi-zionale, scandalizzava buona partedei suoi seguaci dichiarando che l’I-talia “non si governa con il 51% dei voti”. Entrambi eranoconsapevoli della necessità di una grande convergenzasui valori da affermare, prima che sulle cose da fare.

Le “cose buone”da trovarePer De Gasperi, Moro e Berlinguer la posta in gioco nonera solo la conquista e il mantenimento del potere con lalegge del numero, ma l’alimentazione di un consenso po-polare esteso, autentico e durevole: da ricercare con osti-nazione, verificare continuamente, mantenere anche at-traverso correzioni di rotta. La regola del consenso ha do-minato l’esperienza italiana e il parlamento è stato il luo-go in cui si è esercitata. C’erano le degenerazioni del con-sociativismo e dello scambio al rialzo; c’erano i partiti che

NUMERI O CONSENSO?ALLUCINAZIONI DELLA POLITICAdi Domenico Rosati

In passato in Italiasi sono ricercate, pur tra pratichediscutibili, basi

di valore condivise.Oggi invece

si vagheggianomaggioranze blindate

e governi invulnerabili.Ma bisogna trovare una

nuova “sintesi popolare”

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nazionalepanoramacaritas

CHIESA ITALIANA

Presenza attivaal CongressoEucaristicoAnche Caritas Italiana ha partecipato a Bari ai lavori del 24° Congressoeucaristico nazionale,svoltosi dal 21 al 29 maggiosul tema “Senza ladomenica non possiamovivere”. Il fitto programma di incontri e iniziative è statoarricchito dal contributo delleCaritas. In concomitanza con l’inizio del Congresso,

CaritasItaliana e gli ufficiCei per i problemisociali

e del lavoro e la pastoralegiovanile hanno organizzatouna tre giorni di formazioneper 70 animatori dialtrettante diocesi coinvoltinel Progetto Policoro (avviatonel 1996, mira a rafforzarerapporti di reciprocità tra chiese del nord e del sud del paese per far fronteinsieme alla piaga delladisoccupazione giovanile); la “Mostra dei gesti concreti”ha presentato 45 delle 270iniziative (aziende, imprese,cooperative) avviate in undecennio di attività. AlCongresso è stato presentecon uno stand anche ilTavolo ecclesiale sul serviziocivile, cui partecipa CaritasItaliana insieme ad altrisoggetti. Nello stand è statopresentato il nuovo sitowww.esseciblog.it, dedicato

alla informazione e promozione del serviziocivile. Iniziative di preghierae riflessione, infine, hannocoinvolto dirigenti, operatorie volontari Caritas nellagiornata (il 26 maggio)dedicata a “La domenica,giorno della carità.L’Eucaristia, pane di fraternità”.

SERVIZIO CIVILE

Bando 2005:mille volontaritargati CaritasLa Gazzetta ufficiale hapubblicato a inizio maggio il bando annuale di concorsoper la selezione di ragazzi e ragazze da impiegare in progetti di servizio civilevolontario. Le domandesono state raccolte entro la scadenza del 1° giugno.Caritas Italiana, attraverso le Caritas diocesane, ha proposto 113 progetti di servizio civile (105 in Italiae 8 all’estero); in essisaranno impiegati circa1.049 giovani tra i 18 e i 28anni. Molto numerose ledomande, attese ora a unaselezione che permetterà ai volontari di cominciare il servizio entro l’anno. Le domande dei ragazzi, per

la primavoltaammessi al bandodel servizio

civile nazionale, hanno quasiraggiunto quelle avanzatedalle giovani. A maggio i volontari in servizio nelle

diocesi per conto di CaritasItaliana erano circa mille; a loro si aggiungevano circamille obiettori di coscienza in servizio civile, partiti nel2004 con gli ultimi scaglionidella leva obbligatoria.

SOLIDARIETÀ

“Beato pane”nelle menseper i poveriLa manifestazione “BeatoPane” è stata l’occasioneper presentare, da partedell’associazione Città delPane, un’indagine Swg sulrapporto tra gli italiani e iltradizionale alimento. Il 57%degli italiani acquista ogni

giorno il pane,mentreil 70%

della popolazione rimpiange il pane fresco di una volta.Città del Pane è statafondata nell’ambito dell’Anci(Associazione dei comunid’Italia) per promuovere e valorizzare i territori e il pane tradizionale ad essi legato. L’iniziativa“Beato Pane” ha consentito ai panificatori italiani di rinnovare il loro impegno di solidarietà, in collaborazione con CaritasItaliana, offrendo pane,domenica 29 maggio, giorno del Corpus Domini,ad alcune mense diocesane, interparrocchiali e parrocchiali, promosse dalle Caritas di Palermo,Padova, Napoli, Firenze e Roma. L’iniziativa

ha sottolineato, sulla sciadel Congresso eucaristico di Bari, la centralità del panespezzato e condivisonell’ottica cristiana e nel contempo ha intesorichiamare tutti a stili di vita sobri, essenziali e responsabili, evitandosprechi nella quotidianità.

EMERGENZA

Aiuto immediatoai profughidel TogoLa rete Caritas si è attivatacon prontezza, tra aprile e maggio, per assistere le persone in fuga dal Togoverso Ghana e Benin, a causa delle violenzeesplose nel paese africanodopo le contestate elezionipresidenziali. I circa 17 milasfollati sono statiimmediatamente raggiuntiper la distribuzione di cibo da Caritas Benin e dai gruppiparrocchiali della Caritasdella diocesi di Lokossa.Per assistere 10 milarifugiati si prevede entroluglio una spesa di circa 110 mila euro, necessaria a fornire a ognuno razionimensili di riso, fagioli, olio,zucchero, pomodori e sale.Inoltre vengono distribuitestoviglie e stuoie; le strutturedi accoglienza vengonoattrezzate con serviziigienico-sanitari. CaritasInternationalis si è attivata a sostegno di Caritas Benin,diffondendo un appello di emergenza, cui ha aderitoanche Caritas Italiana.

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progetti > rifugiatiinternazionale

Il 20 giugno è la Giornatamondiale per i rifugiati.Sono oltre 17 milioni nel mondo, secondo l’Altocommissariato Onu che di loro si occupa, le persone costrette a riparare in altri paesi, in fuga da guerra,persecuzioni e povertà.Superano i 40 milioni se si considerano anche i “profughi interni”, cioè gli sfollati nel loro stesso paese.Caritas Italiana li sostienecon una serie di interventi in tutto il mondo.

a cura dell’Area internazionale

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Due centri per minori tra i profughi saharawiNel 1975 il Marocco invase il Sahara occidentale. I saharawi fuggironoverso l’Algeria, dove vennero accolti 160 mila rifugiati in quattro campi a sud della città di Tindouf. Qui, nell’ambiente arido del deserto, il popolo saharawi vive da trent’anni in uno stato di perenne e drammaticoesilio. Nel 1991 il cessate il fuoco tra Marocco e Fronte Polisario, la formazione armata dei saharawi, ha previsto un referendum per l’autodeterminazione, da svolgersi nel 1992. Da allora il referendumviene regolarmente rinviato. Le condizioni di vita nei campi profughi,intanto, continuano a essere molto dure. L’istruzione per i giovanicostituisce una delle poche, se non la sola speranza che i saharawiripongono nel futuro. L’obiettivo del progetto di Caritas Algeria, realizzatotramite una ong locale e appoggiato da Caritas Italiana, è realizzare neicampi di Tindouf un centro socio-educativo per bambini di età compresatra 6 e 12 anni e uno per adolescenti tra i 13 e i 18-20 anni, che dia la possibilità di incontrarsi, studiare e acquisire competenze professionali.

> Costo 32 mila euro > Causale Algeria - Tindouf

Aiuto e formazione ai desplazados colombianosCaritas Venezuela è impegnata nella diocesi di San Antonio de la Frontera(con il sostegno di Caritas Italiana) in un progetto di prossimità con i rifugiatiche fuggono dalla Colombia a causa del conflitto in atto. Il lavoro sul terreno è molto concreto e operativo e nella zona dove si accolgono i desplazadoscolombianos la Caritas è presente con volontari che forniscono assistenza per inoltrare all’Unhcr le domande per il riconoscimento dello status di rifugiato. I volontari inoltre svolgono attività pastorali, di ascolto e di sostegnopsicologico e cercano di evitare lo sfruttamento dei rifugiati. Quattro mesi fa una delegazione di Caritas Italiana e Caritas Venezuela ha visitato treinsediamenti di rifugiati nelle zone di El Cují, San Isidro e Bolivariano. Qui molti disperati svolgono spesso lavori faticosi e malpagati, senza alcunatutela. Nel prossimo mese di luglio Caritas ha organizzato, nel municipio di Urena, un seminario di formazione ai diritti umani e al lavoro sociale.

> Contributo di Caritas Italiana 10 mila euro > Causale Venezuela - rifugiati

Al villaggio sfollato serve un nuovo sentieroPersecuzioni etniche, ma anche deportazioni e trasferimenti forzatidi comunità possono essere cause di esodi umani, che sradicanofamiglie o interi villaggi. Una comunità appartenente allaparrocchia di Phi Loc, nella zona di Vinh, è stata trasferita dalleautorità in una nuova località, la cui distanza dalla strada pubblicae principale di comunicazione è di 700 metri. È un piccoloesempio di “sfollamento” forzato di una comunità, per logiche di carattere politico ed economico, irrispettose dei diritti umanifondamentali. Il microprogetto punta a ristrutturare il sentieroesistente per consentire agli abitanti di Phuc Nguyen di accederealla vita pubblica e alle normali attività, e ai bambini di recarsi a scuola senza gravi pericoli. Il contributo locale alla realizzazionedel progetto è rappresentato dal lavoro comunitario.

> Costo 3 mila euro > Causale MP 124/05 Vietnam

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Microcredito per i giovani studenti sudanesi a KakumaLa guerra che si è protratta in Sudan per vent’anni, tra il nord e il sud del paese, ha causato oltre 2 milioni di morti e 4,5milioni di sfollati interni e rifugiati nei paesi confinanti. Nel campo profughi di Kakuma, in Kenya, vivono 42.300 persone.Dal 2000 Caritas Italiana sostiene un progetto di microcredito che offre opportunità per migliorare le condizioni di vita,riduce l’inattività che può favorire atti di violenza, sviluppa capacità e competenze che i rifugiati potranno utilizzare una volta tornati a casa. In concreto, al termine della formazione nel centro professionale dei Salesiani, 400 studentiottengono un prestito, da rimborsare entro un anno, per sviluppare un’attività economica (bici-taxi, piccolo commercio,allevamento, ristorazione, falegnameria, laboratori tessili).

> Beneficiari 400 studenti > Durata 2005 > Costo 10 mila euro > Causale Sudan - Kakuma

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dal 1975 e dal 1999 arcivescovo metropolita di AddisAbeba, capitale dell’Etiopia, è certo che i vescovi non siaccontenteranno di rivendicare. «Non è nostra inten-zione puntare il dito solo sulle cose negative. I leaderdei paesi ricchi sanno bene quali sono le loro respon-sabilità e i loro compiti. Vogliamo invece sottolineare ilruolo-chiave che i paesi avanzati possono ricoprire difronte alla storia, se si impegneranno davvero a scon-figgere le piaghe della povertà. E vogliamo evidenziaregli effetti che la lotta alla povertà può sortire in tutto ilmondo, non solo in vista della costruzione di una paceglobale, ma anche riguardo al potenziamento dei pro-cessi bilaterali e multilaterali di crescita e scambio. In-fine, ricorderemo che i nostri popoli e le nostre societàhanno tanto da insegnare in termini di dignità umana,tradizioni, cultura, spiritualità,amore per il prossimo. Tutte coseche i soldi non possono comprare,ma che hanno un valore incom-mensurabile e che sono il nostro te-soro da condividere».

Monsignor Souraphiel, nel set-tembre 2000 ben 189 governifirmarono all’Onu la Dichiara-zione del Millennio, che ricono-sce “l’urgenza di liberare i nostrisimili dall’abietta e disumaniz-zante condizione della povertàestrema”. La globalizzazionedell’economia, secondo l’attua-le modello neoliberale, può su-perare tali contraddizioni?I leader delle Nazioni Unite, in

uno slancio di ottimismo, hanno po-sto il 2015 come traguardo per sradicare o ridurre la po-vertà. Ma queste ottime intenzioni non sono state seguiteda azioni concrete. In Etiopia sicuramente siamo ben lon-tani da un tale risultato: ridurre la povertà in soli dieci an-ni è un’impresa titanica, un’utopia. Sarebbe meglio parla-re del 2015 del calendario etiope (ora siamo nel 1997),avremmo otto anni in più per fare seguire la pratica alleparole... Da noi l’attenzione ora si focalizza sull’educazio-ne primaria per tutti. In alcune regioni si raggiunge il 70-80% della popolazione, ma in altre bisogna ancora co-minciare. L’educazione è la chiave per sconfiggere po-vertà, ingiustizie, malattie. La chiesa è impegnata per ren-dere accessibile a tutti questo diritto imprescindibile.

Il mondo non ha mai conosciuto tanta prosperità.Non mancano risorse finanziarie, conoscenzescientifiche e mezzi tecnici per garantire un’esi-stenza dignitosa a tutti gli abitanti del pianeta. Co-sa lo impedisce?Ripeto che è importante far seguire ai bellissimi pro-

positi sanciti nelle sedi internazionali azioni adeguate.Secondo numerosi economisti è realmente possibilecombattere la povertà e precisi calcoli sono stati condot-ti in proposito. È una questione di volontà politica: nonè impossibile aprire i mercati, distribuire meglio le ric-chezze e indirizzarne una certa quantità a combattereproblemi tecnicamente affrontabili, come la cura di ma-lattie che nei paesi poveri mietono milioni di vittime. GliObiettivi del Millennio sono un proponimento fantasti-

co, bisogna essere grati delle buoneintenzioni. Ma bisogna cominciare ametterle in pratica, almeno nei pae-si del terzo mondo dove esistono go-verni democratici.

Lo scetticismo di fronte agli im-pegni delineati dai MillenniumGoals è dunque legittimo?La credibilità delle Nazioni Unite

è sicuramente diminuita, soprattut-to presso le nazioni più povere, chepurtroppo non si sentono veramen-te rappresentate da questa forma digoverno delle vicende mondiali. Lapolitica internazionale è guidata dachi ha più soldi e potere, quindimaggiore influenza. La guerra inIraq lo ha confermato: nonostantel’opposizione di tanti paesi e del pa-

pa, Usa e Inghilterra hanno avuto la meglio. C’è bisognodi ristabilire un equilibrio all’interno dell’Onu, allargareil Consiglio di sicurezza a un maggior numero di nazio-ni, perché esse siano davvero rappresentazione concre-ta di un potere globale, che governi la globalizzazionenel rispetto dei diritti umani e garantisca giustizia.

Ingenti risorse sono oggi impiegate in programmiinternazionali di lotta al terrorismo. Ciò garantiscepace e benessere?Cos’è il terrorismo? Di certo non la stessa cosa, se os-

servata dai paesi sviluppati e da quelli del terzo mondo.Per l’Europa e l’occidente ricco significa bombe, guerra,

internazionale

Una delegazione di vescoviincontrerà a luglio i leader dei G8. Tra loro ci saràl’arcivescovo di Addis Abeba,monsignor Souraphiel.«Ridurre la povertà entroil 2015 sembra un’utopia. Maè questione di volontà politica»

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obiettivi del millennio

«POVERTÀ, CHIEDIAMO FATTIOLTRE I BUONI PROPOSITI»

Appuntamento a luglio, in Inghilterra. Unadelegazione composta da vescovi cristiani,provenienti da diversi paesi del mondo, in-contrerà i leader dei G8. Pastori dal SudAmerica, dall’Africa e dall’Asia, a colloquiocon i capi di governo degli otto paesi più po-tenti del mondo. L’incontro avrà luogo nel-

l’ambito di una campagna per ottenere il rispetto degliObiettivi di sviluppo del Millennio, organizzata dalla reteCidse (Cooperazione internazionale per lo sviluppo e la so-lidarietà, riunisce 15 organizzazioni cristiane di coopera-zione internazionale d’Europa e Nord America) e rilancia-ta in Italia da Caritas e Focsiv. Sarà un faccia a faccia pro-duttivo, o un dialogo tra sordi?

«Chiederemo che si rispetti la promessa, non man-tenuta, di devolvere lo 0,7% del Pil dei paesi avanzati al-la cooperazione allo sviluppo. E che si faccia avanzarela campagna di riduzione del debito estero, chiarendo iparametri di sostenibilità che saranno perseguiti». MaAbune Berhaneyesus D. Souraphiel, 58 anni, sacerdote

servizi e fotografie di Sara Carcatella

A COLLOQUIO CON I POTENTIMons. Souraphiel sarà tra i vescoviche incontreranno i leader del G8

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Siccità e guerra alle spalle,l’impegno Caritas prosegue

Caritas Italiana è impegnata in Etiopia a sostegno delle attività sociali della chiesacattolica locale a partire dalla siccità che ha colpito il paese a metà degli anni Ottanta.Allora gli interventi si concentrarono nella regione nord-occidentale del Tigray e nella vicina Eritrea (primadell’indipendenza). Negli anni successivi, oltre a rispondere alle cicliche siccità, Caritas Italiana ha sostenuto progetti in ambito sanitario. L’impegno si è rinnovatoa partire dal 2000, dopo la guerra con l’Eritrea, che ha causato, soprattutto nel Tigray, migliaia di sfollati interni e di persone espulse dal paese confinante,interi villaggi distrutti, un altissimo numero di orfani e vedove, migliaia di disabili.

Caritas Italiana intrattiene rapporti di cooperazione, oltre che con il segretariatonazionale della chiesa etiope, anche con alcune diocesi: l’eparchia di Adigrat,l’arcidiocesi di Addis Abeba, il vicariatoapostolico di Meki. Caritas Italiana è impegnata soprattuttonell’accompagnamento dei processi di formazione del personale e di riorganizzazione della struttura diocesana,perché le diocesi accrescano la loro capacitàdi rispondere ai bisogni della popolazione. Dal 2004, inoltre, la collaborazione con la diocesi della capitale si è intensificata,grazie alla presenza di un’operatrice italiananelle attività di pastorale giovanile, individuate dalla chiesa locale come priorità. Il progetto avviato mira a formare i giovani e quindi a dare loro opportunità di lavoro,senza trascurare la formazione umana e spirituale, in riferimento soprattutto alla situazione della donna e al problemadell’Aids. Anche nelle diocesi di Meki e Adigrat sono stati avviati progetti di promozione della donna.

[Giovanni Sartor]

internazionale

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violenza. Invece per noi il vero terrorismo è la povertà,perché chi è povero è spesso portato a scegliere la vio-lenza come unica alternativa di vita, come unica prote-sta accessibile. La disperazione porta tanti a commette-re azioni estreme per cercare di affermare le proprieidee e il proprio diritto a esistere. La comunità interna-zionale dovrebbe capire che l’unico modo per sconfig-gere il terrorismo è abbattere la povertà. La guerra nonè la soluzione, rispondere con la forza alla violenza nonporterà la pace nel mondo e nemmeno nella coscienzadei paesi ricchi. Solo combattendo ingiustizie e iniquitàsi costruirà una pace duratura e reale.

Alcuni intellettuali africani parlano del loro comedi un “continente refrattario allo sviluppo”. Esisteuna strada africana per uscire dalla povertà?L’Africa deve riuscire a risolvere i suoi problemi da

sola. Il popolo africano deve diventare consapevole del-

La macchina si inerpica su per la montagna:sotto, a perdifiato, prati e terre come spazi in-finiti, punteggiati da animali al pascolo. Ilviaggio in auto verso le sorgenti del Nilo, ol-tre 500 chilometri a nord della capitale AddisAbeba, non è comodo ma il panorama è in-dimenticabile. Passano colonne in cammi-

no, processioni interminabili di esseri umani avvolti neilaceri gabi (pesanti mantelli di cotone) e spesso scalzi. Ledonne sono quasi sempre cariche all’inverosimile: piegatesotto il peso delle fascine o dei contenitori per l’acqua.Quando ci si ferma a parlare, emergono storie di fame emorte, di Aids che decima famiglie e di orfani da accudire.

Lungo la strada la gente saluta con le dita in segno divittoria, continuo richiamo alle elezioni politiche del 15maggio: il segno è simbolo del partito d’opposizione piùpopolare, il Cud (Coalizione per l’unione e la democrazia)o, come lo chiamano in amarico, Kennegit. Qui, nella re-

gione degli Amara, viene del tutto ignorato il partito al po-tere – il Fronte democratico rivoluzionario del popoloetiope (Eprdf) –, troppo legato all’etnia tigrina.

L’Etiopia è un paese giovane, se non dal punto di vistamorfologico certamente da quello anagrafico. I suoi 72 mi-lioni di abitanti lo rendono il secondo più popoloso d’Afri-ca; la crescita annua è del 2,9%, i giovani sotto i 14 anni so-no il 44% della popolazione e più della metà degli abitantiha meno di 18 anni. Ma a questa ricchezza anagrafica cor-rispondono una povertà e un sottosviluppo spaventosi.

Secondo il rapporto annuale dell’Undp, l’indice di svi-luppo umano dell’Etiopia è pari a 0,321 (170° posto su 174nella classifica mondiale). La diffusione dell’Aids sta rag-giungendo livelli allarmanti; solo Sudafrica, India e Nigeriahanno più contagiati, oltre due milioni di persone (inclusi200 mila bambini) hanno contratto il virus (dati Unicef) ealmeno il 7,3% della popolazione adulta sarebbe sieropo-sitivo. L’aspettativa di vita è 46 anni e ogni anno 475 mila

bambini muoiono prima di aver raggiunto il quinto annodi età. Il guadagno medio è mezzo dollaro al giorno. L’84%della popolazione è insediata nelle zone rurali e per buo-na parte sopravvive grazie all’agricoltura di sussistenza,ma un abitante su dieci ha bisogno di assistenza alimen-tare dall’estero. Solo il 25% dei bambini riesce ad andare ascuola, mentre il 60% degli uomini e il 70% delle donnenon hanno istruzione. L’analfabetismo è una piaga socia-le diffusa e il problema dell’istruzione è diventato motivodi dibattito durante la campagna elettorale. È vero che direcente le iscrizioni sono aumentate, ma anche il numerodei drop out: tanti bambini non portano a termine nem-meno il primo anno della scuola elementare per mancan-

le sue difficoltà e cercare di analizzarne le ragioni, permuovere in maniera autonoma i primi passi verso unasoluzione. Laddove l’Africa non è in grado di agire per sestessa, allora è benvenuto un aiuto esterno. Governionesti hanno ottenuto risultati positivi, nella lotta allacorruzione e al malgoverno. Sono stati costruiti non so-lo cattedrali nel deserto o inutili monumenti al potere,ma tangibili segni di sviluppo. La comunità internazio-nale è sempre pronta a intervenire dove ci sono interes-si e ricchezze: paesi come Angola o Congo hanno paga-to caro il fatto di possedere petrolio o diamanti. Se si èpoveri, come Etiopia o Somalia, il mondo tende invece adimenticare, e allora per farsi sentire si fanno esploderebombe. Ma lo sviluppo dell’Africa non può che fare be-ne al mondo intero, soprattutto in una prospettiva dilungo termine. Non esiste solo l’Africa: esistono anche esoprattutto gli africani, e se a un popolo viene permessodi comprare e vendere, di fruire di investimenti econo-

mici, l’intera comunità internazionale se ne arricchisce.

Che contributo possono dare società civile e chieseal raggiungimento degli obiettivi di riduzione dellapovertà?Molte agenzie internazionali in passato hanno so-

stenuto i paesi poveri, favorendo accordi bilaterali tragoverni che non hanno poi dato i frutti sperati. Oggi lacomunità internazionale preferisce dare più spazio allasocietà civile, alle organizzazioni non governative e alleassociazioni di ispirazione religiosa. Io posso garantire,quanto alla chiesa cattolica etiope, che tutta l’assistenzae gli aiuti che riceviamo vanno alla base, alle realtà chene hanno bisogno. Puntiamo su forme di assistenzanon imposte dall’alto, che partono dall’ascolto; sonoprogetti su piccola scala, che richiedono un impegnoeconomico ridotto, ma ottengono grandi risultati.

[ha collaborato Sergio Spina]

obiettivi del millennio

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Tanti giovani, poche chance:l’Etiopia e il futuro che spaventaI minori sono la metà della popolazione. Ma studiare è difficile, il lavoromanca, l’Aids imperversa. Ritratto di un paese alle prese con un voto delicato

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internazionale

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internazionalecasa comune

di Gianni Borsa inviato agenzia Sir a Bruxelles

LA LENTE DI STRASBURGOSUI DIRITTI VIOLATI NEL MONDO

lotta al terrorismo, la pena di morte, iltraffico di organi e di esseri umani ascopo di prostituzione.

Il testo approvato dal Parlamento,e da questo sottoposto alle altre istitu-zioni Ue (Commissione e Consiglio),offre una grande quantità di informa-zioni. Vi si sottolinea fra l’altro che “unbambino su 12 nel mondo è vittimadelle forme più gravi di lavoro forzato,di sfruttamento sessuale o di arruola-mento militare forzato”.

Molti i casi nazionali posti sotto lalente d’ingrandimento: il Parlamentorivolge a Croazia, Bosnia-Erzegovina,Serbia e Montenegro l’invito “a garan-tire il corretto svolgimento dei proces-si sui crimini di guerra”, cooperandocon il Tribunale penale internaziona-le. Preoccupazioni vengono espresseriguardo al conflitto tra israeliani e pa-lestinesi, alla situazione irachena, cosìcome a quelle in Iran, Siria, Cina, Co-rea del Nord, Cuba, Vietnam, Afghani-stan e in vari paesi africani.

Dalle istituzioni comunitarie è giunto l’impegno aoperare a favore dei diritti e delle libertà fondamentali,«sostenendo – ha spiegato a nome del Consiglio il lus-semburghese Nicolas Schmit – l’azione delle istituzioniinternazionali e delle organizzazioni non governativeoperanti a fianco dei soggetti meno tutelati nel mondo».È stata inoltre ribadita la necessità di favorire concreta-mente «lo sviluppo dei paesi poveri, per combattere al-cuni dei motivi che generano violenza e anche le radicisociali del terrorismo internazionale».

A nome della Commissione, lo spagnolo Joaquìn Al-munia ha voluto ricordare «la rilevanza delle organizza-zioni di difesa dei diritti umani, che sono la nostra co-scienza collettiva, nonché fonte di informazioni impor-tanti»; per questo l’Ue «continuerà a sostenerle».

Registrare e denunciare le violazioni dei diritti umani, in Euro-

pa e nel mondo; esercitare una pressione politica sui paesi in

cui si verificano tali violazioni; sostenere le istituzioni che ope-

rano per la tutela dei diritti, dalla Corte di Strasburgo al Tribunale pe-

nale internazionale; operare a favore dello sviluppo dei paesi poveri,

così da rimuovere le “radici sociali” di tali problemi. Sono molteplici

gli obiettivi che l’Unione europea si pone nel campo dei diritti uma-

ni e delle libertà fondamentali. A questo scopo ogni dodici mesi

viene stesa una Relazione annuale;quella riferita al 2004 è stata votatadal Parlamento Ue nella sessionedi Bruxelles di aprile.

In realtà il grande “esperto” in talesettore è certamente il Consigliod’Europa, istituzione che precede ilcammino d’integrazione comunita-ria, fondata nel 1949, la quale oggiraccoglie 46 paesi del vecchio conti-nente. Dal Consiglio dipende propriola Corte per i diritti umani di Strasbur-go. Ma la Relazione del Parlamentoeuropeo è ormai diventata un appun-tamento fisso, utile per avere un quadro sufficientementepreciso e aggiornato della situazione mondiale.

Nel mirino bambini e donneNel recente documento vengono monitorati 70 paesi e so-no centinaia le violazioni riscontrate: varie forme di vio-lenza sui bambini, sulle donne, sui soggetti meno tutelati,fra cui i portatori di handicap e gli anziani, i poveri, ma an-che le minoranze etniche e religiose. «Fra i problemi emer-si – ha spiegato il relatore, l’eurodeputato irlandese SimonCoveney – spiccano esecuzioni sommarie, torture e mal-trattamenti di oppositori politici e giornalisti, corruzionenelle istituzioni». Numerosissime le violenze sui minori e «imaltrattamenti di cui sono oggetto le donne». La Relazio-ne approfondisce alcune “tematiche orizzontali”, quali la

Pubblicata la Relazione2005 predisposta

dal Parlamento europeosullo stato dei dirittiumani nel pianeta.

Censite le violazioni in 70 paesi,

messe a fuoco anche le “radici sociali”.Sostegno alle ong attive nel settore

etiopia

za di strutture, per l’impossibilità da parte dei genitori dicoprire le spese minime, o perché non si capisce il valore el’importanza dell’educazione per il futuro dei ragazzi.

Vento di cambiamentoI bambini etiopi, in effetti, rimangono tali per poco: il 40%comincia a lavorare prima di aver compiuto 6 anni ancheper più di 30 ore alla settimana. La povertà estrema delpaese, soprattutto nelle zone rurali, spinge i minori a ognigenere di espedienti pur di sopravvivere e frequentemen-te li porta sulla strada. Tante bambine finiscono per pro-stituirsi, tappa finale di un percorso iniziato spesso conuna violenza sessuale. Più della metà delle ragazze che siprostituiscono ad Addis Abeba proviene da zone rurali.Molte diventano ragazze madri e vivono randagie (nellacapitale ce ne sono circa 10 mila) senza poter garantire aifigli assistenza e futuro. Secondo il ministero del lavoro edegli affari sociali, in Etiopia ci sono circa 150 mila bambi-ni di strada, 60 mila dei quali nella capitale. Ma secondovarie agenzie non governative il fenomeno sarebbe moltopiù serio: si parla addirittura di 600 mila bambini di stradae più di 100 mila nella sola Addis Abeba. L’Unicef affermache il problema si allarga a macchia d’olio a causa delladiffusione dell’Aids: gli orfani sono già più di un milione.

Le opportunità lavorative d’altronde latitano. In Etio-pia oltre il 50% della popolazione disoccupata è costituita

da giovani tra i 15 e i 29 anni. Molti sognano la fuga comeunica possibilità, un biglietto senza ritorno per l’Occiden-te ricco e opulento o verso qualsiasi altro paese (comeKenya, Sudafrica o Arabia Saudita) che offra un’alternativaal nulla, alla mancanza di progetti, all’impossibilità di pia-nificare un futuro costruttivo.

Il cammino da fare per lo sviluppo del paese è lungo etortuoso. Il governo uscente, guidato dal premier MelesZenawi, destina ogni anno 345 milioni di dollari (circa il9% del budget statale, ma negli anni della guerra con l’Eri-trea si è arrivati al 14%) alle spese militari, contro pochispiccioli per le spese sanitarie (6%), mentre la spesa perl’educazione (16%) è cresciuta solo negli ultimi anni. Conla sua politica di autonomia attribuita ai gruppi etnici (unarticolo nella costituzione sancisce il diritto di secessione)Zenawi ha accresciuto separazioni e odi, spianando lastrada a un possibile conflitto. Gli echi della recente guer-ra fratricida con l’Eritrea, del resto, sono ancora vivi (l’ac-cordo di pace di Algeri del 12 dicembre 2000 non è ancorainteramente applicato, perché manca l’intesa sul tracciatodel confine) e la tensione tra i due paesi rimane alta.

Ma qualcosa finalmente si muove. L’attesa per le ele-zioni è stata contrassegnata inizialmente dalla solita apa-tia, dalla paura, dall’ambiguità che hanno caratterizzato lapartecipazione sociale alle questioni politiche dal regimemilitare di Menghistu in poi. Ma alla vigilia delle terze ele-zioni nazionali – alle quali avevano diritto a partecipare25,6 milioni di cittadini, chiamati a scegliere 547 parla-mentari – il clima appariva mutato: spirava un vento diriforme e cambiamento, il coraggio di esprimere il proprioparere, la voglia di costruire un futuro basato sulla pace ela democrazia, sull’unione fra diversi gruppi etnici. Capi-tali che, ci si augura, non verranno dispersi dall’esito delvoto. Il cui risultato appare controverso: in sei circoscrizio-ni si dovrà rivotare, e i due schieramenti si scambiano re-ciprocamente accuse di brogli.

La Chiesa cattolica, minoranza di nicchia (menodell’1% degli etiopi) fra i giganti ortodosso e musulmano,ha esortato i fedeli a esercitare le proprie responsabilità ci-viche, ricordando di rispettare nella scelta elettorale valorietici come la libertà di coscienza e di religione, il rispettoper la vita e per i diritti umani. L’Etiopia riuscirà a scuoter-si e a rinverdire almeno in parte gli splendori di una storiaricca e millenaria? Il poeta Tsegaye Gebre Medhin ha scrit-to che è “la terra dell’ottava armonia dell’arcobaleno: il Ne-ro. È il lato oscuro della luna portato alla luce”. Ritratto inpenombra. Ma non è detto che le profezie che si avveranodebbano essere per forza quelle a tinte fosche.

ELEZIONICONTESTATEIn Etiopia si è votato il 15 maggio, ma i risultatierano attesi per inizio giugno.Si rivoterà in sei circoscrizioni:l’opposizionesostienedi avere vintonella capitale,il partito giàal governonelle zone rurali.Si temonodisordini

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medio reddito, quindi al di sopra della soglia di sosteni-bilità, ma la sostanza è incontestabile.

Il flusso di denaro che da Sud viaggia verso le banchedel Nord – costituito dagli interessi sui capitali presi aprestito e dalle rate di saldo – ammontava, nel 2004, apiù di 373 miliardi di dollari. Il denaro che invece dalNord è andato a Sud, sotto forma di aiuti allo sviluppo,prestiti agevolati ma anche remissione di debiti pregres-si, è stato pari a circa 78 miliardi di dollari.

In un quadro internazionale complessivamentenon facile, l’Italia nel quinquennio dopo il Giubileo hadimostrato slanci di altruismo, ma anche pesanti lacu-ne attuative. Nel 2000 il parlamento italiano ha varatouna legge (la numero 209) all’avanguardia nella cancel-lazione del debito estero, che ha permesso finora di ri-mettere oneri gravosi a 24 paesi a basso reddito. Ma ilritmo di applicazione non è stato sostenuto come sipoteva pensare. E nel 2004, contrariamente all’indica-zione, ribadita più volte nelle sedi internazionali, di in-vestire lo 0,7% del Pil in aiuti al terzo mondo, coopera-zione allo sviluppo e lotta alla povertà, il nostro gover-no ha destinato a tali voci circa lo 0,15%: siamo ultimitra i paesi a economia avanzata.

Guinea, decine di progettiIn vista del Giubileo, la Conferenza episcopale italianaaveva cominciato a preparare già dal 1997 una campa-gna di riduzione del debito, della quale la fondazioneGiustizia e Solidarietà oggi è l’erede. «Il punto fonda-mentale – ha ricordato a Milano il cardinale Attilio Nico-ra – era far capire che ogni cristiano è corresponsabiledel disagio che patisce anche uno solo dei suoi fratelli. Sela giustizia è un valore universale, allora deve valere inogni luogo».

La scelta della chiesa cattolica, come già era emersoda alcuni documenti proposti negli anni ’80 dalle confe-renze episcopali del Sud America, non era – e non è –una cancellazione del debito tout court. I creditori sonosollecitati a condonare il debito insostenibile di alcunistati, a partire dagli oneri dei paesi Hipc (Heavily indebtedpoor countries, i paesi poveri e altamente indebitati). «Acinque anni dal Giubileo – ha affermato Riccardo Moro,direttore della fondazione – possiamo dire che qualcosaè stato fatto, pur con grande fatica e solo grazie alla te-stardaggine di chi continua a impegnarsi».

La presentazione del Rapporto è stata l’occasioneper fare il punto sull’esito della raccolta di fondi attua-ta dalla campagna Cei nel 2000. In cinque anni, è stato

possibile attivare un complesso meccanismo di realiz-zazione di progetti di sviluppo in due paesi africani(Guinea Conakry e Zambia). L’iniziativa ha coinvolto ilgoverno italiano e quelli dei due paesi beneficiari, leconferenze episcopali, ma soprattutto, in sede di attua-zione e monitoraggio, realtà che rappresentano le so-cietà civili locali.

In Guinea Conakry l’attuazione dell’iniziativa (chevede profondamente coinvolta anche Caritas Italiana)è entrata nel vivo nel 2003, con la costituzione del fon-do di contropartita (Foguired), cui la fondazione hacontribuito con 6 milioni di euro, che finanzia progettiin settori disparati: filiere produttive agricole, reti idri-che e igienico-sanitarie, animazione sociale, scuole. Si-nora sono stati attivati 9 progetti “pilota”, 8 (più altri 5 infase di avvio) progetti “innovativi”, 75 (più altri 9 in fasedi lancio) progetti “mirati”. La gestione del fondo èesercitata da un comitato composto da tre cittadini

Benefici solo per 24 paesi,la 209 applicata col freno tirato

Nel 2000 il parlamento italiano ha approvatoun’innovativa legge sulla cancellazione del debitoestero dei paesi a basso reddito. La legge 209stabilisce che l’Italia (che nel 2000 risultavaesposta per oltre 30 mila miliardi di lire di debiti,circa 17 miliardi di euro) potrà stipulare accordi che annullino il 100% del debito non sostenibiledegli stati in cui il rapporto tra debito estero edesportazioni superi il 150%, a patto che le risorsecosì liberate vengano utilizzate per realizzare, in collaborazione con la società civile, opere e progetti di promozione sociale. L’anno seguente,però, il decreto attuativo, cioè la norma cheregolamenta la messa in pratica della legge 209, haprescritto che l’Italia potrà stipulare accordi bilateralicon i paesi debitori, ma solo se questi ultimiabbiano già raggiunto intese per la cancellazione in seno al Club di Parigi (dove si discute l’iniziativaper i 38 paesi Hipc). «Degli 80 paesi che potrebberoin linea teorica beneficiare della legge 209/00 –osserva Riccardo Moro, direttore della fondazioneGiustizia e Solidarietà – attualmente solo 24 hanno visto cancellare il proprio debito. La stradaper portare a termine gli impegni è ancora lunga».

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Ogni promessa è debito, dicono. E le promesse dell’anno giubilare in meri-to alla riduzione del debito estero dei paesi del Sud del mondo non do-vrebbero fare eccezione. È dalla metà degli anni ’90 che i grandi creditorisi sono impegnati a condonare una parte dei capitali ceduti in prestito aipaesi poveri per risolvere una empasse economica dai risvolti tanto eticiquanto finanziari. Per verificare cosa è stato fatto e cosa ancora bisogna fa-re, e per dare conto dell’impegno della chiesa italiana sull’argomento, la

fondazione Giustizia e Solidarietà ha pubblicato uno studio, Impegni di giustizia. Rap-porto sul debito (Emi, Bologna 2005, pagine 318, euro 14), che ripercorre trent’anni divicende finanziarie internazionali, concentrandosi soprattutto su quanto accaduto do-po il 2000, anno della grande mobilitazione giubilare. Il testo offre molti dati e informa-zioni aggiornati e articolati, per capire meglio un fenomeno tanto complesso quantocruciale per le sorti di sviluppo di buona parte dell’umanità.

Presentato a Milano a metà maggio, il Rapporto sul debito ricorda anzitutto che si con-sidera non sostenibile lo stock di debito (il cui valore siasuperiore al 150% del valore delle importazioni di un pae-se) per mantenere il quale un governo è costretto a sfrut-tare risorse, a scapito della qualità della vita dei suoi abi-tanti. Secondo la Banca mondiale, in 80 paesi – i più po-veri del mondo, buona parte nell’Africa subsahariana – ildebito nei confronti di stati e istituti bancari creditori è ta-le da togliere letteralmente alla gente la possibilità di stu-diare, di vivere in salute, di bere acqua potabile. Ogni pos-sibilità di crescita è schiacciata dall’immensità di un debi-to che diventa sempre più ingente, a causa degli interessi,e che impedisce o inibisce una forma di indebitamento“sano”, cioè volto a sviluppare le potenzialità del territorio.

L’Italia coopera pocoDal 1996, la proposta unanime della chiesa cattolica edella società civile internazionale è ridurre sensibilmen-te il peso di questi oneri – che Giovanni Paolo II ha defi-nito “forme di schiavitù” –, rimettendone una parte piùo meno consistente. Nonostante le numerose proposte,però, negli ultimi cinque anni lo stock debitorio dei pae-si in via di sviluppo non solo non è diminuito significati-vamente, ma ha subito un andamento ondivago, chel’ha visto persino crescere. Il dato andrebbe ulterior-mente analizzato, perché incorpora anche stati definiti a

internazionale

CONDONO A RITMO LENTO,IL DEBITO IN UN RAPPORTO

Presentato lo studio della fondazione“Giustizia e solidarietà”sullo stato del debito estero dei paesipoveri a cinque anni dal Giubileo.Il Sud continua a pagare per interessipiù di quanto riceve dal Nord in aiuti allo sviluppo

di Alessandro Mauri

paesi poveri

COSA RESTADEL GIUBILEOLa mobilitazioneinternazionaleper la remissionedel debito dei paesipoveri ha datoi frutti sperati?Il Rapportofa il puntosulla situazionefinanziaria e su5 anni di battaglie

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L’iniziativa Hipc 2

Vi partecipano 38 paesi altamenteindebitati. 19 si trovano nella fase successiva

al Decision point (momento in cui si decide la quantità di debito da cancellare). 8 hanno raggiunto il Completion point(momento in cui si procede allacancellazione fino al 90% e oltredello stock di debito commerciale e bilaterale e in modo residuale a riduzioni del debito multilaterale)

L’ammontare del debito di questi 27 paesi. 106 miliardi di dollari nel 2000. 91 miliardi (86%) sono oggetto

dell’iniziativa

Ammontare delle cancellazionieffettuate dal governo italiano

Totale cancellato (milioni di euro)

29,2374,3012,50

367,1512,3237,541,030,31

557,30106,96

5,97191,71142,8055,801,86

Totale cancellato (milioni di euro)

613,4889,6040,160,26

16,9023,5017,90

0,0744,90

BeninBoliviaBurkina FasoEtiopiaGhanaMadagascarMaliMauritaniaMozambicoNicaraguaSenegalTanzaniaUgandaCamerunCiad

Congo RdGuinea BissauHondurasMalawiSierra LeoneZambiaGuinea

Paesi che si trovano in stato di pre-decision point

BurundiCosta d’Avorio

I TA L I A C A R I TA S | G I U G N O 2 0 0 5 35

ro. La cooperativa presieduta da Ami per ora si è organiz-zata a fianco di una piccola bottega, sotto una tettoia dilamiera, con bacinelle colorate per la raccolta d’acqua eun piccolo gruppo elettrogeno da avviare quando serve.

Ami e le sue socie hanno saputo del Foguired (Fondoguineano-italiano per la riconversione del debito, creatodalla fondazione Giustizia e Solidarietà). Alimentato daldenaro raccolto dalla società civile italiana nel corso del-la campagna giubilare del 2000 e da quello che il governoguineano avrebbe dovuto ripagare all’Italia ed è invecestato condonato in base alla legge 209, è un fondo di svi-luppo locale fatto apposta per dare ossigeno alle idee disviluppo che nascono dall’esperienza e dalla creativitàdella base sociale. Così la cooperativa di Ami e delle ami-che vorrebbe presentare un progetto di sostegno per il sa-lon. Da sole, le amiche non potrebbero farcela: l’affitto diun piccolo locale, l’acquisto di una semplice insegna edell’attrezzatura di base costano cifre inarrivabili.

Al Foguired si rivolgono piccole cooperative, associa-zioni di base, unioni di uomini e donne che per migliora-re le proprie condizioni di vita ottimizzano sforzi e risorse.In differenti prefetture della Guinea, ha finanziato più diun centinaio di progetti. È già successo che cooperative didonne ricevessero un sostegno per le loro attività: coltiva-zione e commercializzazione di ortaggi, tintura di tessuti,saponificazione, sartoria. Qualche salon de coiffure.

Ogni testa, una storiaPerché pettinare una donna africana non è un’attivitàcome un’altra. Ogni testa è una storia, ogni intreccioapre nuovi intrecci, svela significati, suggerisce percorsi.

C’è una ragione di praticità, in ogni permanente:nelle zone estremamente polverose, dove il caldo ti siattacca addosso e spesso non c’è acqua neppure dabere, i capelli non devono essere un problema. Allorao si annullano, e ci si rende simili agli uomini, o si in-trecciano e si domano.

Ma pettinare è anche un gesto che lega le generazio-ni: mamme e sorelle iniziano a intrecciare i capelli dellebimbe piccole non appena possibile. È un rito che gene-ra pazienza, in donne che devono imparare ad avernetanta. Passano ore sedute a terra, a lasciarsi tirare la chio-ma in modo anche doloroso, a legare, intrecciare e cucireper accrescere la propria femminilità. Negata da altri emolto più dolorosi intrecci e cuciture, dovuti alle mutila-zioni genitali di cui molte di loro sono state vittima.

Ma ogni testa ha la sua storia. Ami spiega che ognidonna attraverso l’acconciatura vuole trasmettere qual-cosa. Con le sue compagne spera di fare della tradizio-ne, della cultura e delle infinite relazioni che si intrec-ciano nei capelli delle donne addirittura un’impresa,uno strumento di sviluppo e soprattutto di speranza.Magari, chissà, un’allegoria del destino africano.

34 I TA L I A C A R I TA S | G I U G N O 2 0 0 5

Non c’è niente di peggio, per una donna africana,che avere i capelli in disordine. Non raccolti nel-le splendide ed elaboratissime trecce che lecompagne annodano con pazienza e abilitàsorprendenti. Anche in Guinea è così. E si tratta

di qualcosa di più della cura del proprio corpo e della pro-pria bellezza. Si tratta di un importante legame femmini-le, della conferma di una tradizione. Si tratta della fierezzae dell’orgoglio di essere donne, di es-sere belle, di essere africane. Ma piùdei coiffure ufficiali di cui le strade diConakry sono piene, le vere artistedelle teste sono le sorelle e le amichesedute ai bordi di ogni strada o fuoridall’uscio della baracca, che intesso-no ricami neri e domano i capelli piùindisciplinati del pianeta.

Molte di loro vorrebbero aprireun salon de coiffure, ma non hannoi mezzi per farlo e si organizzanocon uno sgabello per strada e con un passaparola tradonne che è un mezzo assai efficace (non solo in Afri-ca). Spesso nel frattempo fanno altre cose, pulisconocucinano badano ai bambini, e quando devono inter-rompere lasciano l’intreccio avviato ma non terminato:una parte della testa composta, ricamata, l’altra scom-

posta e confusa, stoppa nera ingovernabile.Succede poi che con il tempo, con un po’ di capacità

imprenditoriale, con i risparmi propri e dei propri fami-liari, con un pizzico di fortuna, qualcuna riesca ad apri-re il negozio dei propri sogni. Però, in un paese soffoca-to dal peso del debito estero, non è facile avviare anchela più semplice delle attività. Quando le somme che lostato dovrebbe investire in sanità, educazione e nella

promozione di attività generatrici direddito vengono forzatamente ca-nalizzate a ripagare i paesi creditoriricchi, aprire una piccola bottega daparrucchiere diventa un’impresaquasi proibitiva.

Non potrebbero farcelaAnche Ami e le sue compagne, riuni-te in una cooperativa di donne, vor-rebbero aprire a Conakry un salon decoiffure, un’attività che possa garan-

tire sicurezza economica a loro e alle famiglie. Intanto siarrangiano per strada. Sono ormai tre anni che collabo-rano, sull’esempio di altre cooperative in altri settori.Però si scontrano con un contesto urbano in cui non esi-ste un sistema fognario ma solo canali di scolo a cieloaperto, non c’è elettricità e l’acqua corrente è un bene ra-

internazionale

le parti. Ma i criteri di impiego delle risorse raccoltegrazie alla generosità degli italiani, e “doppiate” daifondi resi disponibili dal governo locale in virtù del de-bito condonato dall’Italia, non cambieranno. Si punta afinanziare progetti di sviluppo proposti dalla base e acoinvolgere la società civile nella loro attuazione: per-ché la remissione del debito deve diventare un’oppor-tunità di crescita anche in termini di consapevolezza eprotagonismo sociale.

guineani in rappresentanza della società civile e da unesponente di Giustizia e Solidarietà.

In Zambia, invece, la situazione, che pure si vasbloccando, è più complessa: i governi hanno raggiun-to un accordo per la cancellazione del debito, ma nonhanno deciso le modalità di riconversione dei fondi li-berati. La fondazione si trova a dover mediare tra posi-zioni controverse, proponendo a sua volta soluzioni al-ternative che però non trovano ancora il consenso del-

La Guinea che investe sul futuro,Ami prepara il salone delle trecceAi bordi delle strade di Conakry le artiste dei capelli intessono relazioni.Una cooperativa di amiche prova a metter su bottega.Bussando al Foguired

di Paola Budini

paesi poveri

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internazionaleoltre lo tsunamiconflitti dimenticati

IN FUGA DALLE GUERRE,IL RITORNO È UN CAMMINO LENTOdi Paolo Beccegato

molti casi gli Idp si trovano costrettia sopravvivere in situazioni di estre-ma precarietà per lunghi periodi, inattesa che la violenza cessi nelle re-gioni d’origine. In molti altri casi, gliIdp non hanno più una casa ove farritorno, in quanto i villaggi d’originesono stati occupati o divenuti teatrodi “colonizzazione” da parte digruppi nemici. In casi ulteriori, siassiste a tentativi di forzare il ritor-no, nonostante le condizioni di si-curezza minima siano assenti.

Oltre l’indifferenzaI paesi con il numero maggiore diIdp sono Sudan (oltre 4 milioni disfollati) e Repubblica Democraticadel Congo (Rdc, circa 3 milioni; diessi, 700 mila sono il prodotto delprogressivo deterioramento dellasituazione interna nel solo 2003).Delicata rimane la situazione deglioltre 130 mila sfollati ceceni, che nel2003 si trovavano in campi profughi

allestiti nelle vicine Inguscezia e Ossezia. Altri casi diffi-cili si registrano in Colombia (ben 2,9 milioni Idp, di cui350 mila a causa delle violenze contro la popolazione ci-vile nell’ultimo anno), Uganda (1,2 milioni di Idp), Iraq(1,1 milioni) e Myanmar, paese asiatico provato da unadittatura militare ultradecennale.

Nel 2003, infine, circa 3 milioni di persone hannopotuto far ritorno alle loro case grazie al progressivoprocesso di pacificazione interno al loro paese. È il casodell’Angola (1,2 milioni di Idp rientrati nei loro villaggi)e dell’Indonesia (circa 500 mila rientri). Per loro è co-minciato un lento ma progressivo percorso di reintegra-zione. Che merita di essere accompagnato senza indu-gi, anche per supplire all’indifferenza che, in molti casi,ha segnato la loro vita da profughi.

Scappano da guerre, massacri, violenze diffuse. E insieme fareb-bero la popolazione di un paese di medie dimensioni. Oggi nelmondo si contano 17 milioni di persone tra rifugiati e richieden-

ti asilo; di essi si ricorda la giornata internazionale il 20 giugno e a es-si vanno aggiunti 23,6 milioni di Internally displaced people (Idp), ov-vero gli sfollati, coloro che sono costretti a fuggire restando all’internodel proprio paese. Tre milioni di rifugiati sono cittadini palestinesi, 2,5milioni afgani, 600 mila sudanesi, 440 mila congolesi; seguono Iraq,Colombia, Eritrea, Somalia e altri paesi asiatici e africani. I cosiddetti “nuovi rifugiati”, prodot-to dei conflitti dell’ultimo anno, si sti-mano intorno a 1,12 milioni.

Le possibili soluzioni al drammadi un rifugiato sono tre: il rimpatrionel paese di origine, l’integrazionenel paese di asilo (del quale, teorica-mente, dovrebbe finire per acquisi-re la cittadinanza), il reinsediamen-to in un paese terzo. Questa politicadi intervento è supportata dall’Altocommissariato per i rifugiati dellaNazioni Unite (Acnur); tuttavia laprassi continua a dimostrare chel’applicazione di ciascuna di queste soluzioni richiedetempi di attesa lunghi, talora lunghissimi.

Nel 2003 i rimpatri volontari più significativi sonoavvenuti verso Afghanistan (612.600 persone), Angola,Burundi e Sierra Leone. Gli Idp invece non varcano con-fini internazionali: nel corso dei loro spostamenti nelpaese natale risultano però vittime di ulteriori violenzeo attacchi. Il Darfur sudanese ha offerto eloquentiesempi di ciò che comporta la condizione di Idp, spes-so più drammatica di quella di chi riesce ad arrivare aicampi profughi o a varcare i confini nazionali. Ottenereprotezione da parte degli organismi internazionali, in-fatti, per gli Idp in molti casi è più complesso: i pro-grammi che prevedono assistenza minima non sonorealizzabili in tempi rapidi in qualunque contesto. In

Nel mondo si contano 17 milioni di persone tra

rifugiati e richiedentiasilo e più di 23 milioni

di sfollati interni.Per loro, tre soluzioni

possibili: ma tutterichiedono tempi diluiti.Sudan e Congo primi tra

i paesi di provenienza

internazionale

Arrivando da una metropoli moderna come Chennai (già Madras), Tuticorin appa-re una cittadina polverosa, sonnecchiante e testimone di un’India ormai passata.Ma fu proprio qui, lungo il litorale tamil chiamato da missionari e navigatori por-toghesi Costa de Piscaria, che Francesco Saverio iniziò il suo straordinario aposto-lato fra i pescatori paravas. E oggi, nella diocesi locale, è molto attiva la TuticorinMultipurpose Social Service Society (Tmsss), ispirata al motto “Spezzare il pane,spezzare le catene!”. È la Caritas diocesana ed è diretta da padre Starwin, mentre

padre William, carisma magnetico e spiccata sensibilità per l’efficienza, si occupa in particolaredei pescatori, di cui presiede la federazione.

Essa è costituita da venti associazioni e rappresenta il 27% dei pescatori della diocesi. Molti tragli altri avrebbero interesse ad aderire, ma per riuscirvi devono dimostrare particolare serietà e de-terminazione. La federazione assiste i pescatori nella manutenzione di barche e reti, nella riquali-ficazione e nell’aggiornamento professionale. Ma suo scopo principale è promuovere il risparmioe la liberazione dalla morsa dell’usura. I pescatori in passato dipendevano totalmente dai fish mer-

chants, commercianti ittici riuniti in cartelli di acquirentiche imponevano prezzi irrisori per il pescato, accumulan-do cospicui profitti, reinvestiti nella concessione di presti-ti usurai ai pescatori.

L’aragosta vale di piùLa federazione ha spezzato questo circolo vizioso. Nel vil-laggio di Alantalai, dove il potere negoziale dei pescatoriassociati è consolidato, ogni mattina viene bandita un’a-sta al miglior offerente. Gli intermediari locali possono re-golare i saldi entro una settimana; a quelli esterni, alcunidei quali accorrono anche da 100 chilometri, è richiesto dipagare in giornata. La scelta dei pescatori di organizzarsinon è stata senza reazioni da parte degli intermediari. An-ch’essi sono cattolici e di casta paravas, ma cercano dimantenere isolati i pescatori; il loro controllo dei consiglipastorali delle parrocchie costiere ha reso difficile, in pas-sato, l’attuazione di una seria pastorale sociale.

Nella federazione si punta molto sul miglioramentoqualitativo. Con un semplice sistema di vasche oggi siriesce a mantenere vive le aragoste, il pescato più pre-

LE CATENE DEI PESCATORIE L’ONDA CHE DISORIENTADi casta paravas, da secoli vivono sulle coste del Tamil Nadu, in India.Sonosfruttati dai mercanti di pesce.La Caritas si batte per sottrarli a povertà e usura

di Paolo Aranha

SPEZZARELE CATENEPadre Williampresiedela federazionedei pescatori diTuticorin, in India.Essa affrontai problemipost-tsunami,ma anche antichediscriminazionidi casta

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UN’ALTRA CRISI PREVEDIBILENEL CONTINENTE ABBANDONATO

nel continente ma alla quale non ègiusto addossare ogni responsabilitàdelle crisi. Spesso sono gli africani anascondersi dietro l’alibi dei colonia-lismi non ancora finiti. In realtà nonhanno mai ripensato il modo di ge-stire gli stati, non hanno mai supera-to la soglia che porta alla democra-zia, non hanno quasi mai cercato diinterpretare il potere in un modo di-verso della preservazione di interessidi clan e personali.

I fatti del Togo lo hanno ribadito.Le organizzazioni internazionali afri-cane hanno appoggiato le elezioni,ben sapendo del rischio di forti brogli,quasi che esse siano l’unica e veloceliturgia possibile per mettere in scenauna democrazia. Ma quasi sempre es-se sono elezioni improponibili, nonpreparate da un’adeguata formazionedelle società civili. E il futuro sembrapromettere poco di buono. Le orga-nizzazioni sopranazionali africanesono alla ricerca faticosa di una lea-dership. Da una parte c’è il presidente

sudafricano Mbeki, figlio di una democrazia reale uscitavincente dalla stagione dell’apartheid, dall’altra parte illeader libico Gheddafi, il grande satrapo, a cui l’Occidenteha firmato negli ultimi anni troppe cambiali in bianco.Non meraviglia che il giovane falso presidente del Togo siavolato subito a Tripoli per ottenere una benedizione.

Un’analisi, infine, andrebbe fatta sulla penetrazioneeconomica, e sicuramente politica, della Cina in Africa.Essa pone nuovi problemi circa l’educazione alla demo-crazia e allo sviluppo dei paesi del continente. Insomma,siamo alla stessa storia di sempre: l’Africa è territorio dasfruttare, senza tregua, con la complicità dei regimi loca-li e con la buona mano di vari altri. Basta chiudere un oc-chio, anzi tutte e due, sulle dittature.

Le crisi africane si innestano una dopo l’altra sulle rovine colonialie sull’impotenza delle organizzazioni regionali del continente. Èaccaduto di nuovo in Togo, ma pochi mesi fa era accaduto in Co-

sta d’Avorio. In Togo è morto, dopo aver governato per 38 anni, il gene-rale-presidente-padrone Eyadema e l’esercito di Lomé, unica istituzio-ne del paese, ha messo al suo posto il figlio Gnassingbé come garantedella stabilità. L’opposizione è insorta e allora sono state organizzateelezioni. Naturalmente vinte del figlio del generale: il consueto copionedelle elezioni truccate è stato appoggiato dalle organizzazioni interna-zionali africane con il normale corollario di violenze, morti e profughi

che si spostano nei paesi vicini.Quella del Togo è solo l’ultima le-

zione africana sugli errori di gestionedi un’emergenza prevedibile e previ-sta, ma segna un ulteriore passo nel-la crisi delle organizzazioni che do-vrebbero aiutare l’Africa a trovareuna strada per la gestione democra-tica del potere e per lo sviluppo. Nelcontinente ci sono comunità econo-miche di area e negli ultimi anni èstato rilanciato il ruolo dell’UnioneAfricana, che dovrebbe prevenire erisolvere le crisi. Ma dopo i solenni e pomposi atti di co-stituzione e revisione di quella che una volta era l’Oua,dopo i buoni propositi di ispirarsi all’Unione Europeacome luogo di composizione delle tensioni in chiave pa-nafricana, l’Unione rischia di dichiarare fallimento, pri-ma ancora di aver infilato un seppur blando successo.

Benedetto dal satrapoL’Ua è stata lasciata sola del resto del mondo, impegnatoin altri teatri, e con la coscienza e le mani ancora sporche,se non insanguinate, per quanto è accaduto in Africa nelrecente passato. Ma c’è di più. Alcuni stati occidentalinon si sono del tutto disimpegnati dal colonialismo. È ilcaso della Francia, che mantiene presenze ingombranti

contrappunto

Elezioni-farsa e violenzein Togo. La democrazia

in Africa è fragile.Colpa dei paesi,

dall’occidente alla Cina,che continuano

a sfruttarla. Ma anchedelle dittature locali.

E della crisi delle organizzazioni

continentali

di Alberto Bobbio

internazionale

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internazionaleoltre lo tsunami

giato, anche molto dopo la cattura. Così è possibile ven-derle a 800 rupie, mentre prima (quando gli acquirentivenivano di notte, a molte ore dalla pesca, al fine d’im-porre il prezzo più basso possibile) difficilmente rag-giungevano le 200 rupie.

Due ostacoli per la ricostruzioneLo strapotere dei fish merchants ha subìto pesanti con-traccolpi anche riguardo alla pratica dell’usura. Ogni tremesi si tengono riunioni della federazione, durante lequali i pescatori possono richiedere prestiti sino a 50 mi-la rupie (circa 910 euro), a un tasso di interesse annuodel 12%, valore tutt’altro che elevatoin rapporto alle condizioni del mer-cato creditizio locale. Le banche ri-chiedono infatti fra il 14% e il 18%,mentre gli usurai impongono nor-malmente tassi del 30%. Invece oggila federazione, in virtù dei depositiperiodicamente effettuati dai pesca-tori, può contare su un fondo di ro-tazione di 14 milioni di rupie (circa255 mila euro), che permette l’ac-cesso al credito dei soci.

Ad Alantalai padre William è riu-scito a realizzare un esperimentoesemplare. Nel villaggio il grande nu-mero di pescatori ha imposto di co-stituire due distinte associazioni, consedi in un unico edificio. Ciascunaconsta anzitutto di casse, dove i pe-scatori depositano le quote associati-ve. La contabilità è gestita dalle figliedei pescatori con un livello di istru-zione adeguato, pari più o meno alla nostra “maturità”.Ogni pescatore deposita il 3% del ricavato della pesca inun conto a risparmio e altre frazioni per gli accantona-menti pensionistici, la gestione dei costi amministrativi eil ripagamento degli eventuali debiti contratti con la fede-razione. Al pescatore resta un valore compreso fra il 93% eil 78% del valore della pesca.

Nove anni fa la federazione è tornata a nuova vita, do-po un periodo di turbolenze. La direzione di padre Wil-liam durerà ancora due anni, anche se l’incarico gli pesaun po’ – ha richiesto un assistente da formare, perché glisubentri in futuro – dopo che è stato nominato responsa-bile dell’ufficio diocesano per gli aiuti post-tsunami.

A Tuticorin, in effetti, si è ormai al principio della fa-

se della ricostruzione, dopo mesi di soccorsi d’emergen-za. In questa zona dell’India meridionale, dove sonomorte solo 11 persone e minimi sono stati i danni alleabitazioni, è stata invece ingente la perdita di barche ereti. La ricostruzione (sostenuta anche da Caritas Italia-na) incontra, nello stato del Tamil Nadu, due gravi diffi-coltà. La prima di carattere politico: nella primavera2006 avranno luogo le elezioni parlamentari (dello stato)e il governo in carica, guidato da un partito populista giàalleato con i fondamentalisti indù, sembra intenzionatoad avviare la ricostruzione quando il voto sarà imminen-te. La seconda difficoltà deriva dall’indisponibilità dei

pescatori ad accettare di vivere a 200metri dalla costa: lasciare barche ereti incustodite sulla spiaggia è insi-curo, né d’altra parte ritengono pos-sibile il trasporto quotidiano da casaal mare. Un’alternativa potrebbe es-sere la costruzione di magazzini, manel governo non si è ancora formatoun consenso su questo punto.

Ma dov’è finito il pesce?Lo tsunami ha stravolto anche gliequilibri naturali e a nulla più servo-no le conoscenze tradizionali, tra-smesse di padre in figlio, sulla distri-buzione in mare del pesce migliore.L’onda anomala ha avuto un cata-strofico impatto culturale: ha cancel-lato conoscenze accumulate in de-cenni, se non nel corso di secoli. Oggii pescatori si trovano in una difficilefase di sperimentazione: pensano

che il pesce non sia scomparso, ma si trovi in tratti di ma-re che devono essere pazientemente individuati.

Ma la tragedia ha anche reso particolarmente difficileai pescatori saldare i debiti. La diminuzione del pescatoha suggerito alla federazione una moratoria temporaneasul ripagamento degli interessi, mentre si sta sviluppandoun crescente consenso sulla necessità di non interrompe-re la restituzione mensile del capitale dei prestiti accesi,per non destrutturare un sistema di risparmio costruitocon tanto impegno negli ultimi anni. Sinora il tasso di re-cupero dei prestiti è stato pari al 90%. E i pescatori di Tuti-corin, anche se sanno di dover affrontare prove impegna-tive, hanno fatto una scelta irreversibile: “Spezzare il pane,spezzare le catene!”.

DIFFICILE PESCAREDonna di Tuticorin dietro un mucchiodi pesce. Lo tsunami ha cancellatoconoscenze ataviche sull’oceano

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agenda territori

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Per rieducare al lavoro e dareprospettive oltre la detenzione. “Il lembo del mantello” è il titolo del nuovo progetto promosso dalla Caritas diocesana vicentina,attraverso il suo braccio operativo,l’associazione Diakonia Onlus. Ne beneficeranno persone detenuteed ex detenute, a cominciare daivicentini reclusi a Vicenza e Padova, in particolare quelli che non possonocontare su sostegni familiari e devonoancora scontare circa due anni di pena. La “cordata” attivata dalla Caritas comprende numeroseautorità penitenziarie, i centri di servizisociali per adulti di Padova e di Verona,l’Associazione artigiani e l’Associazionepiccole e medie industrie della provincia. Dopo un primo periododi “osservazione”, ai beneficiari saràofferto un momento di formazioneprofessionale e di valutazionedell’attitudine al lavoro presso la cooperativa Saldo&Mecc, all’internodella casa circondariale di Vicenza, e in alternativa attraverso stage o un normale rapporto di lavoro in aziende esterne. Se questo periododarà esiti positivi, è previsto l’inserimentolavorativo vero e proprio e unaeventuale residenzialità esterna per ovviare all’assenza di riferimentiabitativi. Un contributo economicoessenziale viene fornito dallaFondazione Cassa di risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona.

MELFI

Indigenza e lavoro,duemila famiglieall’Osservatorio

La diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa ha presentato i dati relativi all’attivitàdell’Osservatorio sulle povertà, attivato

POZZUOLI

Tutti i colori della pacesventolati in piazza dai bambini

I colori della pace hanno sventolato in Piazza a Mare, a Pozzuoli, grazie all’entusiasmo e alla fantasia dei bambini delle scuolecittadine. La manifestazione “Dai colore alla pace” ha visto coinvolti centinaia di alunni,che hanno presentato disegni e manifesti,

ma anche poesie e pensieri, coreografie e animazioni, al termine di un percorsodi sensibilizzazione ed espressione svoltosi nelle scuole. La proposta formativaè stata lanciata dalla Caritas diocesana, che ha messo a disposizione per incontri e iniziative nelle scuole le volontarie del servizio civile. Le giovanihanno lavorato con i bambini, presentando il significato del servizio civile,facendo animazione sui temi della pace, spiegando l’origine dell’arcobalenoche colora la bandiera della pace, parlando della realtà Caritas. Hanno quindiorganizzato e gestito la grande festa di piazza svoltasi a maggio, alla qualehanno aderito due circoli didattici, nei quali studiano circa 1.400 bambini.PER INFORMAZIONI www.segnideitempi.it

BOLOGNA

Centri di ascolto:sempre più residentie donne est-europee

I due centri d’ascolto della Caritasdiocesana di Bologna, uno per italiani,l’altro per stranieri, hanno presentato i dati della loro attività tra settembre2003 e giugno 2004. E soprattuttol’identikit degli utenti che si sonorivolti agli sportelli, e dei loro bisogni.In aumento, rispetto al passato, sonostati i residenti a Bologna e le donnestraniere (soprattutto dell’Europaorientale). Il centro d’ascolto peritaliani ha effettuato 2.975 colloqui, di cui 2.255 con uomini. I residenti in città sono stati 852: ricorrente la segnalazione dell’assenza di relazioni affettive, molti anche gli alcolisti e coloro che hanno persolavoro o casa. Tra i 1.021 stranieririvoltisi all’altro centro d’ascolto, circa

la metà è in Italia irregolarmente, 274sono state famiglie, di cui 35 madrisole con i loro bambini. In questocaso, spicca l’esigenza di trovare un lavoro, seguita dall’ansia di nonriuscire a rinnovare il permesso disoggiorno, per un reddito insufficiente,per i problemi relativi alla casa. «Allabase di molte difficoltà – ha dichiaratoPaolo Mengoli, nuovo direttore dellaCaritas diocesana – sta lo sfasciodella famiglia. Ma bisogna perseguireanche l’obiettivo della giustizia,gradino base della carità, affrontandoanche alcuni nodi irrisolti in città».

VICENZA

Progetto-lavoroper i detenutiprossimi a uscire

Una cordata che coinvolge mondo del lavoro e istituzioni penitenziarie.

Armi: l’industria italiana continuaa esportare in paesi “a rischio”

Crisi della produzione industriale? Non nel compartoarmiero a uso militare. Sono eloquenti i dati riportatinella recente Relazione governativa sulle operazioni peresportazione, importazione e transito di armi: nel 2004

sono state concesse autorizzazioni a esportareper quasi 1,5 miliardi di euro (+ 16% rispetto al 2003), cifra record dell’ultimo quadriennio.

In questo periodo il comparto ha accresciuto il portafoglio d’ordini del 72%.

Destinazioni e transazioni bancarieIl governo tende a rassicurare sulle destinazioni, sottolineando che ai primiposti figurano Regno Unito (15,5%), Norvegia (13,3%), Polonia (8,9%),Portogallo (8,5%), Stati Uniti (6,5%) e Grecia (5,7%), tutti stati dell’area Ue-Nato. Ma la lista delle 690 nuove autorizzazioni concerne ben 65 paesi, tra cui per esempio la Malaysia, che nel 2004 con una spesa di oltre 74 milioni di euro per gli elicotteri Agusta (dopo gli oltre 166 milioni di euro del 2003) ha rappresentato la destinazione del 5% delle nuove commesse. In Malaysia,nonostante il cambio di governo, Human Rights Watch ha documentatodetenzioni arbitrarie di oppositori politici, maltrattamenti e casi di tortura; essoè inoltre il dodicesimo paese al mondo per debito estero (quasi 50 miliardi di dollari) e ha un’ingente spesa militare. Altri casi paiono in contrasto conl’articolo 1 della legge 185/90, che vieta la vendita di armi a paesi in conflitto,sotto embargo Ue, responsabili di gravi violazioni dei diritti umani e chespendono per la difesa ingenti risorse nonostante l’alto indebitamento: sonostate rilasciate autorizzazioni alla vendita in Turchia (oltre 48 milioni di euro,3,2% del totale), India (oltre 42 milioni di euro, 2,8%) e Pakistan (quasi 13,5milioni di euro).Cifra record hanno caratterizzato anche le transazioni bancarie,che hanno superato i 1.300 milioni di euro. In testa Banca di Roma (oltre 395milioni di euro) e Gruppo bancario San Paolo Imi (oltre 366 milioni di euro):insieme hanno gestito circa il 60% delle autorizzazioni. Ulteriore passo indietro,invece, di Unicredit (1,5% delle autorizzazioni) e definitiva uscita di scena diMonte dei Paschi Siena. Bassa la quota (1,7%) di Banca Intesa, che l’annoscorso ha dichiarato il proprio disimpegno dal settore. Compare nella listaBanca Popolare di Milano, partner di Banca Etica: dopo un chiarimento chiestoda quest’ultima, un comunicato congiunto ha affermato che Bpm “non ha maifinanziato operazioni, ma è stata domiciliataria di incassi e pagamenti”.

Per saperne di piùI dati della Relazione governativa e informazioni sulle campagne in corso si trovano in www.banchermate.it e www.disarmo.org

sto in campagna di Stefano Lamperticonell’aprile 2002. Dal momento della sua fondazione, l’osservatorio ha registrato circa 1.900 contatti con 450 famiglie (di cui 150 immigrate)che hanno denunciato situazioni di degrado e bisogno socio-economicipiù o meno gravi. Nel suo molteplicedialogo con la città lucana, la chiesalocale ha recentemente aperto il centrodi aggregazione immigrati, mentre sta mettendo a punto una convenzionecon il comune per ottenerel’affidamento dell’ex palazzo Pierro,ospedale cittadino dismesso, chepotrebbe essere destinato a centro di accoglienza per gli indigenti. Le povertà melfitane, tuttavia,riguardano anche il mondodell’occupazione. «Oggetto privilegiatodella nostra attenzione – spiega padreGiuseppe Carulli, direttore Caritas – non sono solo i giovani disoccupati, ma anche i 30-40enni che, una volta espulsi dal mondo del lavoro,stentano a rientrare nel ciclo produttivo.Questa situazione purtroppo colpisceanche nel territorio della Fiat-Sata di Melfi e del suo indotto».

ROSSANO-CARIATI

Le Caritas di Calabriaincontrano lecomunità immigrate

“Abitare il mondo,incontrarel’uomo” è il titolo di unaserie di iniziative

promosse dalla delegazione regionaleCaritas con l’obiettivo di crearemomenti di incontro e di amicizia tra i popoli e avviare un costruttivoconfronto sugli aspetti del fenomenomigratorio nella regione. Il percorso

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agenda territori

L’ascolto e la carità sono il polmoneche fa respirare la parrocchia “borghese”del centro

Don Gennaro Matino è parroco da 19 anni della Santissima Trinità, a Napoli: diecimilaabitanti, l’aiuto di un sacerdote indiano e due diaconi permanenti. Per don Gennaro, però, «la forza della parrocchia è quel sacerdozio comune di cui purtroppo si parla raramentenei percorsi di formazione del clero».È un’idea viva anche tra i 40 membri del consiglio pastorale parrocchiale, indicati dai gruppidi appartenenza. A lui è toccato scegliere «quelli più adatti per portare il Vangelo alla gente,non quelli più sottomessi al parroco». Il consiglio si riunisce con cadenza fissa sei voltel’anno con il compito di costruire e verificare il piano pastorale. I “centri” della carità,dell’evangelizzazione e della liturgia, invece, si ritrovano anche ogni due settimane, a seconda delle esigenze. All’inizio e alla fine dell’anno pastorale è convocato anche il consiglio per gli affari economici. Per don Gennaro la corresponsabilità «non è questione di democrazia, ma di fiducia, partecipazione, condivisione». Un clima costruito attraversoscelte impegnative, come lo sforzo di discernimento fondato sulla Parola: «È molto forte il bisogno di evangelizzazione, soprattutto negli adulti», osserva ancora il parroco.La parrocchia risponde con la catechesi due volte a settimana, frequentata abitualmente da quasi quattrocento persone, la metà dei fedeli che celebrano insieme la messa didomenica. Due volte l’anno, inoltre, la comunità parrocchiale è inviata ad Assisi per gliesercizi spirituali: quattro giornate, a novembre e febbraio, cui partecipano circa 350 persone.

Ama, uno sguardo a tutto il mondoAscoltare, Dio e la comunità, è la scelta di fondo del consiglio per impostare il pianopastorale. Il parroco sottolinea la volontà di «partire dal basso, dall’osservazione della realtà,dall’ascolto e dalla comprensione delle attese della gente». Così, anche in un quartiereconsiderato “borghese”, si scopre la povertà. Al centro di ascolto parrocchiale, aperto ogni pomeriggio, arrivano storie di solitudine, spesso di depressione. «Emergono soprattuttole difficoltà di anziani pensionati, famiglie monoreddito con più di due figli a carico, personesole. Già a metà del mese non hanno più in casa neanche pane e latte». E poi ci sono gli stranieri, spesso senza dimora.In parrocchia, grazie al servizio volontario di sessanta medici, un ambulatorio prestagratuitamente assistenza medica generica e specialistica. La mensa, che accoglie ogni giorno circa ottanta persone, è gestita in collaborazione con la vicina parrocchia di San Luca. I servizi sono coordinati dall’Ama (Associazione umanitaria Mondo Amico,www.mondoamico.org) che assiste anche ragazze madri e sostiene con il microcredito piccoliprogetti nei quartieri poveri di Napoli. All’Ama lavorano solo volontari. Le donazioni raccoltefinanziano i progetti, anche all’estero. L’associazione, infatti, è sorta nel 1993 comeevoluzione del centro missionario parrocchiale, che aveva avviato una presenza in India. In dodici anni (in Asia, Africa, Sud America, Europa dell’est) l’Ama ha supportato lacostruzione di scuole e ospedali e oggi fornisce assistenza sanitaria con l’invio di volontari emantiene circa diecimila adozioni a distanza. A chi si stupisce di tanta vivacità, don Gennaroreplica: «Per la comunità parrocchiale la carità è il polmone. E per vivere bisogna respirare».

oltre il campanile di Monica Tola

COMUNITÀ TUTTACHIESA E MONDOL’altare della chiesadella parrocchianapoletana intitolataalla Santissima Trinità,cuore di una comunitàche coinvolgenumerosi laicinelle attività pastoralie sa arrivare conla sua generosità, grazieall’associazione Amae i suoi progettidi aiuto allo sviluppo,anche molto lontano,per esempio in India(foto sotto).Le storie della rubrica“Oltre il campanile”sono riproposte anchedal circuito radiofonicoInBlu e sul sitowww.caritasitaliana.it

A Spot School Award 2005la pubblicità racconta il carcere

Un ventaglio di partecipazioni che si fa sempre più ampio. Una qualità dei lavori che, soprattutto nella sezione manifesti e annunci stampa, ha raggiunto ottimi livelli. Si sono detti molto soddisfatti degli esiti della quarta edizione, gli organizzatori di Spot School Award, il premioorganizzato dall’associazione salernitana CreativisinascE (e patrocinatodalle organizzazioni di categoria Sipra, Unicom, Aiap, Adci e Federpubblicità), riservato agli studenti di università e corsi di comunicazione, pubblicità e web design. Il premio 2005 ha visto

coinvolti oltre un centinaio di concorrenti, che si sonocimentati con quattro brief:quello che ha sollecitato la fantasia del maggiornumero di “pubblicitari in erba”è stato proposto da CaritasItaliana, sul tema “Liberare la pena”, riguardo allanecessità di rispettare i dirittiumani fondamentali duranteil periodo di detenzione

e di fare del carcere un luogo di rieducazione e risocializzazione. Gli altribrief sono stati presentati da Legambiente (20° anniversario di GolettaVerde), MacWorld (il mensile degli utilizzatori di computer Apple) e comunedi Salerno (per promuovere una mostra sull’architettura contemporanea).

I vincitori e i partecipantiLa cerimonia di premiazione di Spot School Award ha avuto luogo a Salerno il 3 giugno. La severa giuria, guidata da Till Neuburg, nomeautorevole tra i pubblicitari italiani, ha conferito il premio assoluto(partecipazione al Festival della pubblicità di Cannes) ai vincitori della sezione manifesti del brief di Caritas Italiana, Pietro GiovanniPellegrini, Daniele Pancetti e Valentina Amenta dell’Accademia di comunicazione di Milano, autori di un lavoro (nell’immagine) di forteimpatto comunicativo; vincitrice della sezione tv, sempre per il brief Caritas,è stata A. Linda Sicondolfi (Centro studi Ilas, Napoli). Spot School Award haraccolto, nelle prime tre edizioni, oltre 350 campagne per 1.700 giovanipartecipanti, la maggioranza dei quali si sono cimentati con il tema di carattere sociale (proposto da Caritas ormai da tre anni), a dimostrazionedella necessità di non scindere una professione cruciale per la nostraepoca da una riflessione sui valori etici e sui bisogni reali della società.

a cura dell’Ufficio comunicazionebachecaha avuto inizio a metà maggio con unincontro con le comunità di immigrati,svoltosi a Cariati; vi hanno partecipatoi referenti delle comunità marocchina,ucraina, polacca, rumena, russa ecroata presenti nella cittadina, nonchéla locale “Stazione del Mediterraneo”,l’agenzia di integrazione interculturalee aggregazione sociale per gliimmigrati istituita in attuazione del programma comunitario Equal.All’incontro di Cariati seguiranno altri momenti di studio e di dibattito in altre diocesi della regione.

SICILIA

“Fragilità e sviluppo”,rapporto regionalesulle forme di povertà

È stato presentatoa maggio il primodossier regionalesulle povertà in Sicilia, intitolato“Fragilità sociale e mancato sviluppo”.Basato sui dati dei centri

di ascolto delle Caritas della regione,il dossier regionale si articola in quattro parti: la prima descrive il profilo socio-economico regionale; la seconda presenta una elaborazionedei dati dei centri di ascolto; la terzaraccoglie le opinioni espresse da un gruppo di testimoni privilegiatisul lavoro di progettazione e sulcoinvolgimento delle comunità localinella definizione dei piani di zona, lo strumento di programmazione del sistema di welfare locale; la quarta offre alla comunità cristianae alle Caritas alcune riflessionipastorali sul ruolo delle chiese e sulla presenza dei poveri in Sicilia.

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villaggio globale

Baliani: «Il mio Pinocchio, nero e di stradaUna fiaba sul palcoscenico per riconquistare la vita»

a tu per tu di Danilo Angelelli

per scoprire quanto sia complesso e carico di dolente umanità l’impattoche l’immigrazione ha sulle nostrecoste, e attraverso quelle sulla nostrasocietà e sul nostro patrimonio di criterimorali. Quando sei nato non puoi piùnasconderti è la storia di un ragazzino,rampollo di una famiglia del nordimprenditoriale, facoltosa e un po’bauscia, eppure a suo modo cementatada valori positivi, che finisce in acquadurante una vacanza in barca a vela e viene salvato dai clandestini in navigazione, su una carretta del mare, verso il Belpaese. Il film ha qualche pecca narrativa e tanti pregi nel mostrare incomprensioni,contraddizioni, tradimenti, ma anche la possibilità di una comunicazione

profonda (degli affetti e dei destini) che ci legano ai clandestini in viaggioverso lo sfavillio di un benessere che può celare la fortuna di un lavoro, o la volgarità di uno sfruttamento. Film delicato e antiretorico. Da vedere con partecipazione.

TV

“Fiction solidali”,su Raidue ma solose funziona la prima

La prima si intitola Il viaggio. Andrà in onda (seconda serata) martedì 28giugno. Poi, se avrà successo, saràseguita da altre sette. Sempre su RaiDue, sempre con il sostegno di una

INTERNET

Scuolasolidale.itil sito per educarea orizzonti più ampi

Sono sempre di più le scuole chesostengono progetti o promuovonogemellaggi all’insegna della solidarietà.Alunni, docenti, personale e genitori sitrovano coinvolti in iniziative (o in molticasi vorrebbero farlo, ma non sannobene a chi rivolgersi) su cui orapossono confrontarsi grazie a un nuovosito internet, www.scuolasolidale.it.Coordinato da un dirigente scolastico di Treviso, il sito si ripromette di aiutarele scuole a manifestare tutta la loropotenzialità nel campo della solidarietàmettendo in circolo informazioni su come e cosa fare, senza scopo di lucro o propaganda. In concreto, offre descrizioni di progetti a favore direaltà dei paesi poveri che si possonofinanziare e far conoscere, informazionisu come realizzare gemellaggi con altre scuole nel mondo, link ai siti di organizzazioni che fanno attività di cooperazione internazionale, ma ancheracconti di viaggio, materiali didattici ed esperienze di formazione.

CINEMA

Giordana antiretorico,l’immigrazioneoltre gli stereotipi

La critica a Cannes nonl’ha osannato.Ma il pubblico gli ha decretato

buona accoglienza. E vale comunque la pena di affidarsi al talento di affrescatore dell’Italia di oggi, già manifestato da Marco Tullio Giordanain precedenti prove cinematografiche,

VIDEOGIOCHI

Avventure al computer,“Food Force”combatte la fame

Il gioco della fame. Ma non è una trovata di cattivo gusto. Piuttosto, un modo originale per raggiungere tante persone, e soprattutto tantiragazzi e giovani. Da coinvolgere in un videogameavventuroso, sebbene ispirato a una tragicarealtà, piuttosto che alle consuete, truculentefiction spaziali e storiche. Food Force è il nuovo

videogioco promosso dal Pam (Programma alimentazione mondiale),l’agenzia Onu che ha come mandato la lotta alla fame e per unasufficiente e corretta alimentazione in tutto il mondo. Il gioco si svolgeattraverso sei missioni, che il giocatore deve realizzare, insieme a un team virtuale, per diventare a sua volta operatore umanitario.Sebbene dietro una tastiera. Ma la valenza educativa del videogame è comprovata: guida i giocatori in una serie di azioni che rimandano ai meccanismi responsabili, nella realtà, della tragedia della carestia e della fame. Quanto al livello spettacolare, il gioco pare avere riscossosin dagli inizi un’ottima accoglienza tra gli appassionati. Il sito da cuiscaricarlo gratuitamente – anzi, il Pam invita a masterizzarlo, farne copie e distribuirlo – è ricco di informazioni e strumenti didattici sulleemergenze umanitarie legate alla fame e sull’azione del Pam nel mondo.PER INFORMAZIONI E PER SCARICARE IL GIOCO www.food-force.com

Un viaggio teatrale, ma soprattutto un viaggio dell’anima. Marco Baliani, regista, attore e scrittore, a Nairobi ha collaborato a un progetto Amref di recupero dei chokora (rifiuti dellasocietà), i ragazzi di strada. È nato così Pinocchio Nero (The black Pinocchio): venti giovani inscena, uno spettacolo teatrale traboccante di vitalità, che in Italia (16 repliche) è stato acclamatoda 25 mila spettatori. Baliani ha affidato a un libro le emozioni vissute con i ragazzi di Nairobi:Pinocchio nero. Storia di un viaggio teatrale (Rizzoli) racconta una metamorfosi che, come nellafiaba di Collodi, trasforma venti burattini di legno in bambini con un corpo e una cittadinanza.Baliani, come è nata la sua attenzione al mondo dei giovani?Ho cominciato negli anni ’70 facendo teatro per ragazzi e ho imparato tutto sul campo, nelle scuole, nei quartieri di periferia. Ma più che fare teatro per i ragazzi, lo faccio con i ragazzi,coinvolgendoli nella pratica teatrale. Ritengo l’infanzia un luogo dove ancora ci si può stupire. E cerco – anche in virtù della mia storia personale – non l’infanzia delle classi agiate, ma un’infanzia allo sbaraglio.Il teatro può essere strumento di riabilitazione sociale?Non ho mai pensato al teatro con una funzione pedagogica, terapeutica o politica. L’atto politicodel teatro è impegnarsi sui temi della contemporaneità. E farlo in una forma forte, non acquiescente rispetto alle strutture sociali e culturali. Per questo, paradossalmente, in situazioni estreme e marginali puoi dire di più. Hai meno vincoli, meno autocensure personali.L’incontro con i ragazzi di Nairobi. Come ha potuto funzionare?Non mi sono rapportato a loro come se fossero poveri ragazzi di strada. Mi sono proposto come un regista, così i ragazzi hanno percepito che avevo la possibilità di insegnare qualcosa.Allo stesso tempo avevo un’autorità: non stavo lì per accudirli, con loro ho stabilito una relazionebasata sull’insegnamento delle tecniche teatrali e su un modo di lavorare che punta a creareun’ensemble. Questo ha permesso di capire che, grazie al gruppo che protegge, accoglie e condivide, ci si può esprimere individualmente.Pinocchio: una fiaba, proposta a ragazzi ai quali nessuno ne aveva mai raccontate…La fiaba, il suo meccanismo, è universale. Calvino diceva che è il catalogo dei destinidell’umanità. Funziona sempre, a qualsiasi latitudine. Per i ragazzi è stata una grande scoperta,adesso vogliono recuperarne una della loro etnia e metterla in scena.I ragazzi di strada, con la loro arte di arrangiarsi, sono più vicini all’arte?Tutte le persone sono vicine all’arte, non penso ci sia qualcuno avvantaggiato per condizionesociale. È vicino all’arte anche un bambino occidentale obeso che mangia hamburger. Il problema è trovare gli strumenti per permettere a quello che ha dentro di esprimersi.I ragazzi sono tornati a Nairobi. Cosa li aspetta?Vanno a scuola, mentre quelli che a scuola non ci possono tornare, perché più grandi, seguonocorsi di recupero. Alcuni dei maggiori lavorano in un’officina e presto usciranno dalla casa-teatro:pensiamo di affittare loro abitazioni dove vivere insieme e organizzarsi la vita. Sono diventati un modello positivo per Dagoretti, il quartiere da cui provengono. Quando passano per strada c’è il codazzo di persone che fa domande, vuole sapere. E capisce: il quartiere ci ha chiesto di costruire un teatro...

TEATRO,MA NON SOLOMarco Baliani hascritto e diretto varilavori teatrali (trai più noti Kohlhaas,Tracce, Corpodi Stato, dedicatoal caso Moro edivenuto anche libro).Al cinema ha recitatoin Domani diFrancesca Archibugi.Sotto, la copertinadel libro dedicatoa Pinocchio neroe una scenadello spettacolo

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ritratto d’autore

Ormai da alcuni anni, soprattutto in qualità di presidente della Agenzia per le Onlus (la cosiddetta Authority del volontariato, ndr), ho il privilegio di incontrare, quasi toccandole con mano, storie di straordinaria solidarietà.

Sono storie di sorprendente normalità, che giorno dopo giorno crescono lontanodalla luce dei riflettori e dall’attenzione dei media. Ma sono realtà animate da una passione autentica per l’uomo e per i suoi bisogni più nascosti, spessoquelli più dimenticati, non riconosciuti, talvolta non ancora emersi alla pubblicaconsapevolezza. Ciò che accomuna queste esperienze è quasi semprel’entusiasmo, insieme alla voglia di fare, manifestato da una o più persone, che sono in grado di coinvolgere quotidianamente migliaia di volontari nell’aiutoa coloro che sono in difficoltà. È un cosmo che conserva quell’originalepeculiarità di tutta la storia del volontariato, vale a dire la capacità di intercettarele domande di aiuto che ancora non trovano una compiuta e adeguata rispostanelle istituzioni pubbliche. Questa capillare rete di volontariato è fatta di volti e di relazioni, che davvero rendono visibile il valore della prossimità evangelica.Sono esperienze dirette, senza eccessive intermediazioni, la cui consistenza in termini quantitativi è difficilmente valutabile, ma che tuttavia consentono un coinvolgimento personale. È il loro valore aggiunto più vero e significativo. La (nel senso più autentico e bello del termine) compassione diffusa continua a essere uno dei fondamenti della nostra convivenza civile. Essa non “fa bene”

solo a chi, in qualche modo, ne beneficia, ma anche a coloro che,attraverso questo impegno, scoprono che la felicità della propria vitanon si esaurisce nella ricerca esclusiva del benessere individuale. Se allora devo cercare di esprimere ciò che mi colpisce della realtàitaliana, voglio indicare la forza ancora trainante, benché informale, del volontariato per così dire “anonimo”. A volte queste attivitàassumono, con il passare degli anni, un profilo più formale e organizzato,e diventano così protagoniste di quella welfare community che appareogni giorno più necessaria. E i volti che possono incarnare questaparabola sono davvero moltissimi.Penso, per fare un esempio concreto, a un vulcanico sacerdote pugliese(vorrei cosi sottolineare anche la crescita qualitativa e quantitativa del volontariato nel Mezzogiorno) che ho avuto modo di conoscerepersonalmente negli anni scorsi. Da parroco egli ha trasformato,insieme alla sua comunità, la realtà di una mensa per i poveri e una serie

di servizi progressivamente istituiti per fronteggiare diverse emergenze nel campodelle nuove povertà – compresa l’ondata migratoria proveniente dall’Albania – in una rilevante Fondazione, che ora sta cercando di costruire un hospice per malati oncologici terminali. L’entusiasmo di questo prete mi ha profondamentecoinvolto, a tal punto che, pur potendo fare poco di concreto per questa realtà,continuo a seguirne con partecipazione lo sviluppo. È davvero una storia di compassione nata da un impegno spontaneo, che oggi si fa solidarietàorganizzata, per il benessere e la qualità della vita dell’intera comunità civile.

Il volontariato è in grado,

con il suo entusiasmo, di intercettare

le domande di aiutodella società.

E contribuisce a fondare,tramite la compassionediffusa, la convivenzacivile. Come nel caso

di un parroco pugliese…

di Lorenzo Ornaghi rettore dell’Università Cattolica

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villaggio globale

pagine altre pagine a cura di Francesco Meloni

Ripensare la parrocchia,riflessioni per comunitàcapaci di relazioni e apertura

Quando si dice “parrocchia” a cosa si fa riferimento? Che differenze esistono tra la parrocchia di ieri e quella di oggi? Cosa sarà la parrocchia del futuro? La riflessione in atto nella chiesa italiana, e parallelamente tra le Caritasitaliane (impegnate a giugno, proprio su questo tema, nel 30° convegno nazionale, a Fiuggi), è al centro anche di un’intensa produzione di studi, ricerche e sussidi.La parrocchia oggi e domani (Franco Giulio Brambilla,Cittadella Editrice, 2003) ribadisce per esempio che la parrocchia non può rassegnarsi a essere la cellulaamministrativa e burocratica della chiesa, ma deve guardare a se stessa come ad una comunità di relazioni, fondate sulcomandamento evangelico della carità. Il libro propone un tipodi “pastorale d’insieme” fondata su una “mentalità collegiale”.Ripensare la parrocchia (Cei - Servizio nazionale progettoculturale, Dehoniane, 2004) esamina invece la parrocchiasotto diversi aspetti, affidati agli interventi di autorevolivescovi, teologi ed ecclesiologi.Il consistente studio La parrocchia oggi. Identità, trasformazioni,sfide (Luca Bressan, Dehoniane 2004) provoca all’ascolto e alla riflessione sull’identità, le sfide e le prospettivedell’“istituzione parrocchia”. La tesi di fondo che attraversaquesto studio di “teologia pratica” è che la parrocchia di domani non potrà che essere “realtà vivente, fatta di relazionifra esseri umani”, modo comunitario e sinodale di essere,vivere e “abitare accanto alla gente”; casa di tutti, accogliente

e aperta alle dinamiche personali e sociali, locali e globali.La parrocchia (Qiqajon, 2004) ospita due distinte ma convergentiriflessioni sulla parrocchia, maturate da Enzo Bianchi (priore dellaComunità di Bose) e da monsignor Renato Corti (vescovo di Novara e vicepresidente della Cei). La parrocchia, sostengono gli autori,“deve intendersi come campo base che coltiva nei suoi membri il desiderio e la capacità di affrontare lo spazio aperto della società con la testimonianza semplice e coraggiosa (…), nelle varie situazioni di vita e non solo all’interno dell’ambito parrocchiale o ecclesiale”.Altri titoli sull’argomento: Casa e scuola di comunione: il nuovo voltodi parrocchia (PP. Conti e N. Valentini, Paoline 2005), Parrocchia.Verso una responsabilità globale (C. Baldi, Emi, 2004), La parrocchiavive la domenica (autori vari, Dehoniane, 2005).

nota azienda farmaceutica. La “fictionsolidale” prova a irrompere suglischermi Rai. Il traguardo ambizioso è una serie – Grazie alla vita – che dovrebbe proporre, appunto in ottoepisodi, storie, volti, problemi e relazioniche contraddistinguono il mondo della solidarietà e del volontariato,dall’ambito sociale a quello ambientale.Rai Due è interessata anche alla qualitàtecnologica dell’impresa: sarà giratatutta in digitale. Ma c’è uno scoglio:l’audience. Se il primo tele-racconto,regia di Ettore Pasculli, raccoglierà pochitelespettatori, resterà senza seguito.Vale la pena di mettersi di fronte alla tv, almeno per non soffocare una buona idea nella culla.

LIBRI

Antenna e baobab,l’informazioneanalizzata da Sud

Sul pianeta della comunicazione senza(quasi) più barriere, ci sono i privilegiatie gli esclusi. A esplorare la condizionedi questi secondi ci conduce L’antennae il baobab. I dannati del villaggio

globale (Sei, Torino,2005, euro 11), viaggionella comunicazione tra Nord e Sud delmondo, tra chi possiede la risorsa informazionee chi ne è privato.

Il saggio di Massimo Ghirelli dapprimapresenta i dati di questo squilibrio, che segna dall’interno anche le società avanzate, poi si dedica – grazie a esempi e testimonianze – alla situazione dei media del Sud.Interessanti anche i capitoli sulla funzione della comunicazione nella società multiculturale e sul ruolodell’informazione per superare gli squilibri socio-economici del pianeta.

DAI POVERI AI MALATI,ELOGIO DEL VOLONTARIO ANONIMO

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I lettori, utilizzando il c.c.p. allegato e specificandolo nella causale, possono contribuire ai costi di realizzazione,stampa e spedizione di Italia Caritas, come pure a progetti e interventi di solidarietà, con offerte da far pervenire a:

Caritas Italiana - c.c.p. 347013 - viale F. Baldelli, 41 - 00146 Roma - www.caritasitaliana.it

Grazie a Universal Pictures Italia e TaodueFilm,una parte del ricavato delle vendite sarà donata a Caritas Italiana

– dal 25 maggio al 25 settembre 2005 – per sostenere il progetto

“BAMBINI COME GLI ALTRI”che ha come obiettivo l’accoglienza e il reinserimento dei bambini di strada,

abbandonati e vittime delle guerre in Ruanda.

Dal 25 maggio in Dvd, videocassetta e in edizione speciale (due dischi) la fiction televisiva dedicata alla figura di Giovanni Paolo II.

La vita del Papa, dalla sua giovinezzaall’elezione a Pontefice:

un viaggio attraverso 40 anni di storia

Segnato dagli eventi della storia, ne ha cambiato il corso