La paura di risvolti democratici frena e nega la rivoluzione che finisce con linscriversi nellalveo...

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I conflitti di interesse tra nobiltà terriera

e nascente borghesia

La mancata riformaagraria

L’avversione per Napoli

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La paura di risvolti democratici frena e nega la rivoluzione che finisce con l’inscriversi nell’alveo del moderatismo, nella logica da Colpo di stato di “uomini ragionevoli”, di cittadini borghesi alleati con

l’aristocrazia nell’unico intento di mantenere “l’ordine pubblico”:“La città dopo dodici giorni di rivoluzione era ancora città […]:

nissun furto, nissuna vendetta privata, nissun tumulto”

La paura di risvolti democratici frena e nega la rivoluzione che finisce con l’inscriversi nell’alveo del moderatismo, nella logica da Colpo di stato di “uomini ragionevoli”, di cittadini borghesi alleati con

l’aristocrazia nell’unico intento di mantenere “l’ordine pubblico”:“La città dopo dodici giorni di rivoluzione era ancora città […]:

nissun furto, nissuna vendetta privata, nissun tumulto”

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I borghesi (minoranza di nuovo ceto) aspiravano al pieno riconoscimento politico della loro avvenuta integrazione sociale con l’aristocrazia e alla conquista di un ruolo politicamente egemone

L’Atto di convocazione del Generale parlamento di Sicilia fu il testo programmatico ufficiale della rivoluzione:“La composizione della Camera dei Comuni dovea subire necessariamente riforme considerevoli. L’elemento popolare vi dovea essere pienamente influente; tutte le classi del popolo rappresentate, tutte le capacità trascurate nel 1812, comprese: le proprietà fondiarie, industriali, intellettuali, doveano entrarvi[…].

Tra i firmatari: F. Ferrara; E. Amari; R. Settimo; M. Stabile, F. Crispi

Vibrante l’appello al popolo; violenta la riprovazione per il passato feudale e l’affermazione della dottrina democratica della sovranità che vi si affermava:Il popolo è tutto […] sin dal primo

momento che impugnò le armi […] disse che non le avrebbe deposte finchè non avesse riconquistato la

Costituzione del 1812”

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Borghesia e aristocrazia: un’alleanza precaria costituita contro l’irrequietezza sottoproletaria e contadina e in difesa del fronte proprietario

Insieme costituiscono il Comitato Rivoluzionario del 12 gennaio ’48.

Si apprestavano così a costituire lo Stato della nazione siciliana esperendo la situazione paradossale di dovere comporre in alleanza politica i termini stessi del loro conflitto.

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La negazione dell’uguaglianza dei cittadini: limitazione della sfera della cittadinanzaElezioni e Rappresentanza:

Art.6. Tutti i cittadini che abbiano compiuti gli anni ventuno e che sappiano leggere e scrivere sono Elettori

Art.8. Possono essere Deputati purchè abbiano compiuto gli anni venticinque: I Professori delle Università dei Licei e dei Collegi; I Membri delle

Accademie letterarie e artistiche del Regno; I Dottori e i Licenziati in qualsiasi facoltà; I commercianti con case o stabilimenti di commercio; I proprietari di una rendita perpetua o vitalizia di onze diciotto annuali.

Art. 9. Possono essere Senatori purchè abbiano compiuto gi anni trentacinque:[…] I professori delle Università; Coloro che dall’esercizio di una professione

ricavano un emolumento di onze duecento annuali; I proprietari di un’annua rendita perpetua o vitalizia di onze cinquecento annuali.

Art. 10. Non possono essere Deputati né Senatori: […] ; Gli analfabeti; I debitori morosi dello Stato, o dei Comuni

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La maggior parte erano di ceto agricolo. Ed erano affetti da una tenace malattia di feudo, che li condannava allo struggente pensiero della “roba”: si trattava di una tendenza all’amplificazione della rendita che era fenomeno ben diverso dal moderno processo di accumulazione capitalistica.

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Mentre la Borghesia italiana centro-settentrionale elaborava la proposta di un’integrazione sociale, e professava il “libero scambio”, la borghesia siciliana vagheggiava non il libero scambio, ma uno scambio protezionistico:

“ L’isola nostra ha fatto più volte degli energici sforzi sull’assunto (dell’industrializzazione) e arde dal desìo di vedere nel suo seno introdotte le fabbriche d’ogni manifattura che fonte sarebbero per essa di ricchezza non poca; ma i suoi tentativi sono tornati vani e le fabbriche qui introdotte non prosperano o nate appena languiscono. […] non par credibile e pur è verissimo, il libero cabotaggio delle manifatture nell’una e nell’altra parte del Regno è la ragione potentissima di danno siffatto”

(Vincenzo Mortillaro - 1834)

Il giudizio negativo sul libero commercio o cabotaggio assunse nel 1848 un “colore di voto nazionale” ( F. Ferrara) e di emancipazione dal Regno Borbonico

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Ferdinando Malvica, protezionista, era contro il libero commercio perché riteneva che minacciasse le possibilità di un avvenire industriale della Sicilia, favorendo le manifatture di Napoli di più antica tradizione

Francesco Ferrara,libero-scambista per i rapporti Napoli-Sicilia, ma fermamente protezionista per i rapporti tra il regno delle Due Sicilie e il resto del mondo (Tutti i prodotti siciliani e magari quelli napoletani devono essere protetti da quelli stranieri) era legato al fondamentale concetto fisiocratico secondo il quale la ricchezza delle nazioni risiede nell’agricoltura, l’industria per lui sarebbe stata, per la Sicilia, più dannosa che utile.

Un’anonimo messinese, libero-scambista, riteneva che la Sicilia orientale fosse già sulla strada di <<fare concorrenza>> a tutta l’Italia e a tutto il mondo.

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Il dato socio-economico più rilevante era la convergenza degli interessi protezionistici dei “borghesi imprenditori” con quelli, prevalentemente parassitari, dell’agraria borghese o aristocratica.

Tale convergenza di interessi era, ipso facto, il fondamento di una sostanziale alleanza politica tra aristocratici e borghesi.

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Questo fu il grande tradimento siciliano degli ideali e dei valori democratici che ispirarono i moti nazionali del 1848