LA OSCoM DAL VIVO!

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Franz Joseph Haydn L’isola disabitata, ouverture Hob 29/9 Ludwig van Beethoven Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore, op. 55 “Eroica” OSCoM Orchestra Sinfonica del Conservatorio di Milano Pietro Mianiti direttore VENERDÌ 4 E SABATO 5 GIUGNO SALA VERDI ORE 20.30 LA OSCoM DAL VIVO!

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Franz Joseph HaydnL’isola disabitata, ouverture Hob 29/9

Ludwig van BeethovenSinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore, op. 55 “Eroica”

OSCoM Orchestra Sinfonica del Conservatorio di MilanoPietro Mianiti direttore

VENERDÌ 4 E SABATO 5 GIUGNOSALA VERDI ORE 20.30

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BEETHOVEN GIOVINETTOGiuseppe Grandi1874Gesso, cm 70 x 78 x 36Galleria d’Arte Moderna Milano

Nel 1874 Grandi, sculto-re scapigliato, presenta a Brera questo gesso di Beethoven giovinetto. La versione in bronzo che ne

sarà in seguito tratta era stata commissionata all’artista dal musicista e compositore Benedet-to Junk, vicino al gruppo degli scapigliati mila-nesi. Nella seconda metà dell’Ottocento erano di gran moda i ritratti di uomini illustri ancora adolescenti, busti facilmente sentimentali di bambini che mostrano già le tracce del genio, aneddotici e minutamente dettagliati. L’opera di Grandi si scosta fortemente dal genere di cui fa parte, grazie ad una scultura sbozzata, pittorica e materica al tempo stesso, dai profondi chia-roscuri. Il Beethoven adolescente qui ritratto è pensoso, chiuso in se stesso e nella musica che sta suonando. Lo sguardo profondo è distolto dal pianoforte, non inserito nella composizione,

ma facilmente intuibile dall’osservatore sulla destra dell’opera, verso dove le braccia del fan-ciullo si protendono. Il movimento del braccio destro parte dalla spalla abbassata, portando con la sua curva dolce dallo sguardo profondo al pianoforte ideale, dove un tempo la tensione culminava nella mano nervosa, come ancora si può osservare nella versione in bronzo. Ciò ren-de visibile il legame che unisce la mente del gio-vane genio, la mano in azione e lo strumento, in questo caso escluso dalla composizione ma for-temente presente nella mente dell’osservatore, come completamento ideale della scultura. La testa del giovane con la caratteristica chioma folta si inclina in avanti, verso chi guarda, e il col-letto dell’abito si apre scomposto, a sottolineare il momento di totale dedizione alla musica che sta suonando, incurante di tutto il resto. Un pun-tale omaggio alla personalità del compositore tedesco e alle sue opere.

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PROGRAMMA

Franz Joseph Haydn(1732-1809)

L’isola disabitata, ouverture Hob 29/9

Ludwig van Beethoven(1770-1827)

Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore, op. 55 “Eroica”Allegro con brio

Marcia funebre. Adagio assai Scherzo. Allegro vivace

Allegro molto

OSCoM Orchestra Sinfonica del Conservatorio di MilanoPietro Mianiti direttore

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GIACOMO LUCATO INTERVISTA IL MAESTRO PIETRO MIANITI

Cosa significa per lei suonare l’Eroica? Un’emozione incredibile, è musica che fa veni-re i brividi, da quando inizi fino al silenzio dopo l’ultima nota. Suonare questo capolavoro signi-fica fare un viaggio nelle viscere dell’umanità, entrare nelle profondità del proprio Io e sentir-ne le vibrazioni più antiche, quelle più vicine alla pulsazione universale. Questo è per me suona-re l’Eroica: perdersi nella consapevolezza della tragicità della condizione umana, per ritrovarsi proprio nella meraviglia di questa caducità.

Quali sono le sfide tecniche nel dirigere l’Eroica? E su quali aspetti deve portare maggiore attenzione lavorando con un’orchestra di giovani professionisti? Lavorare con giovani musicisti è sempre una sfi-da, non si può mollare un attimo la presa, per-ché da ragazzi la difficoltà sta proprio nell’es-serci sempre in ogni istante, essere Beethoven prima, dopo e durante l’esecuzione, nonostan-te tutti i tormenti interiori legati a quell’età. Il mio Maestro Piero Farulli mi ripeteva spesso una frase: «prima ti devi commuovere, e poi devi far commuovere». Non è mai abbastanza la partecipazione emotiva per me, pretendo costantemente il massimo dai ragazzi, se non di più: prima si capiscono i limiti espressivi di

uno strumento e prima si sperimentano tutte le opzioni possibili per raggiungere un’idea musi-cale, più velocemente si arriva al risultato defi-nitivo. Non c’è musica se non si rischia.

Tre nomi: Karajan, Abbado e Bernstein. Come descriverebbe il modo di dirigere l’Eroica di ognuno di questi tre immensi musicisti? Sono tre uomini liberi prima di tutto, ognuno con le proprie caratteristiche espressive, dalla vorace energia di Karajan alla spiazzante leg-gerezza di Abbado fino all’intrigante fantasia di Bernstein. Dalle esecuzioni di questi immen-si Maestri si evince una lezione di civiltà fonda-mentale, ovvero il fatto di partire tutti da una base di uguaglianza imprescindibile, in questo caso la partitura dell’Eroica di Beethoven, e da lì prendere strade completamente diverse, ma non per questo migliori o peggiori, semplice-mente diverse, perché legate alla sensibilità specifica dell’esecutore. Questa è la bellezza della musica: il poter essere liberi nel rispetto delle idee musicali di un grande compositore, liberi nell’interpretazione e nell’espressione di se stessi, quindi nel proprio essere cittadini pensanti e vivi all’interno della società.

(Caricature di Giacomo Lucato)

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L’EROICA di Giacomo Lucato

Vienna. È il 7 aprile del 1805 quando Ludwig van Beethoven sale sul palco del Theater an der Wien per dirigere la sua terza sinfonia, l’Eroica. Egli ha 35 anni, il suo fisico è già provato dalla malattia e dal suo cuore tracima sofferenza. Ep-

pure quest’opera benedice le fragilità dell’essere umano e in esse tro-va il più grande e commovente anelito all’infinito, nel pieno ottimismo illuministico e rivoluzionario del tempo. Non ho dubbi sul fatto che la potenza dell’impatto sul pubblico di quell’esecuzione possa para-gonarsi allo schianto di un meteorite sulla crosta terrestre. L’Eroica è un concentrato di emozioni primitive ed ideali universali, un viaggio nelle viscere della storia dell’uomo e della civiltà. Il primo movimento è un’esplosione di gioia estrema, siamo di fronte alla forza di una umanità sublimata capace di sopportare il dolore più lacerante per un bene superiore. Il secondo movimento è la famosa Marcia funebre, il drammatico specchiarsi dell’uomo pronto a festeggiare il proprio funerale, il passo inconfondibile della morte che fa tremare e sussul-tare anche il cuore dell’eroe più invincibile. Nel terzo e nel quarto mo-vimento assistiamo alla danza ritualistica dello stesso uomo rinnovato proprio dal suo stesso sacrificio. Sono queste alcune delle immagini che affiorano alla mia mente ascoltando proprio quella musica che fu per Beethoven un punto cruciale della propria esperienza artistica e, per l’intera storia della musica, il punto di partenza verso una meta completamente nuova, l’espressione del proprio mondo interiore, in piena sincerità.

La terza sinfonia di Beethoven era dedicata a Napoleone, «il primo console per il quale egli nutriva grandissima stima e lo paragona-va ai consoli romani». Beethoven aveva visto nel generale francese quello slancio eroico che riconosceva in se stesso e nella sua Arte: la grandezza dell’eroe che per amore dell’umanità si carica del fardello di questa, per trascinarla con forza titanica alla totale sublimazione. Eppure rimarrà profondamente deluso proprio da Napoleone, quan-do nel 1804 si autoproclamerà Imperatore di Francia distruggendo qualsiasi elevato discorso morale e rifuggendo nella solita e bassa smania di potere dell’essere umano, che nulla ha di trascendentale ed eroico. Il frontespizio della partitura, in origine un foglio bianco con su scritte solamente due parole, “Buonaparte” e giù in basso

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“Ludwig van Beethoven”, diverrà una dedica intrisa di amara ironia che recita così: «Sinfonia Eroica […] composta in memoria di un Gran-de Uomo».

L’Eroica è densa dei contenuti tematici presenti nel commovente testamento di Heiligenstadt, che Beethoven scrive nel 1802. Il te-sto è destinato ai suoi due fratelli, ma non sarà mai inviato, e rivela il dramma della sua esistenza piena di sofferenze e delusioni, fatiche e sopportazioni. È il momento in cui egli confessa la sua malattia, la sordità, che lo attanaglia già da qualche anno, il peggior nemico per un musicista e un uomo di cultura come lui. È proprio questa iattura, infatti, a provocargli il più grande dei patimenti. Egli non è più libero di uscire con amici e colleghi e disquisire tranquillamente di musica, ma è costretto a rintanarsi in casa e limitare le visite, perché il venir alla luce di questo suo problema provocherebbe inevitabilmente la disistima di tutto il mondo culturale e del pubblico nei suoi confronti. Beethoven cade in un periodo di tristezza e disperazione profondis-sima, e la solitudine assoluta, la privazione del sommo piacere dell’a-scolto, il fatto di non poter agire liberamente nel suo essere compo-sitore e musicista, lo porteranno irrefrenabilmente alla depressione, che in alcuni momenti rasenterà la voglia di togliersi definitivamente quello strazio, ponendo fine alla propria vita. È proprio nel buio di quei momenti, però, che egli trova la luce nella sua Arte, l’unico mo-tivo per cui vale ancora la pena vivere e lottare. Egli si aggrappa con forza disumana a quella sua vocazione artistica, perché vi riconosce una missione da compiere. Risuonano gli imperativi kantiani, egli ha il dovere morale di portare avanti il suo talento. Lo deve a se stesso, lo deve al mondo intero: la sua esistenza si trasforma in un progetto educativo di massa, la sua Arte sarà l’unico mezzo in grado di salvare definitivamente l’umanità tutta e portarla ad un livello etico superio-re, tendente al divino.

È qui che l’uomo Beethoven diventa incarnazione di quello che è per Wagner l’eroe perfetto, «un Uomo completo, che possiede tutti i sentimenti puramente umani, amore, dolore, forza, nella loro più alta potenza». Allo stesso tempo si staglia come controfigura di Prome-teo, il titano amico dell’umanità e del progresso, che rubò il fuoco agli Dei per darlo al genere umano, procurandosi la tortura eterna. Beethoven come Prometeo si veste di un titanismo sorprendente nel momento più crudo della sua esistenza e trasforma quella sofferenza in generosità, donando quanto gli è più caro, la sua Arte, e divenendo così il salvatore della razza umana e il dispensatore di felicità e libera-tore artistico dell’umanità.

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OSCoM Orchestra Sinfonica del Conservatorio di Milano

Violini ITiziano Giudice (spalla), Davide Scalese, Francesco Melis, Chiara Borghese, Sara Bellettini, Francesca Boscarato, Francesco Di Giacinto, Carolina Porro,

Margherita Gimelli, Simone Ceriani

Violini IIMargherita Ceruti (spalla), Bianca Maria Cainelli, Ernesto De Nittis, Barbara Melis,

Valeria Di Crosta, Ilaria Salsa, Clara Gerelli, Stella Zats

VioleMatilde Simionato (spalla), Giacomo Lucato, Cesare Zanfini, Claudio Carrabino ,

Francesco Agnusdei, Sebastiano Favento, Francesco Mariotti

VioloncelliAlessandro Mauriello (spalla), Claudio D’Alicarnasso, Chiara Kaufman,

Patrizio Parillo, Claudia Notarstefano, Lucia Libassi

ContrabbassiFabrizio Buzzi (spalla), Pietro Procopio, Shkurhan Zinovii, Marco Mazzola

Flauti: Sara Nallbani (flauto primo), Francesca Maiella (flauto secondo)

OboiTommaso Duca (oboe primo), Giacomo Riva (oboe secondo)

ClarinettiFilipe Dos Santos Esteves (clarinetto primo), Stefao Caliò (clarinetto secondo)

FagottiFrancesco Albertini (fagotto primo), Serena Sorbera (fagotto secondo)

CorniGioele Corrado (corno primo), Lara Eccher (corno secondo),

Adriano Masciarelli (corno terzo)

TrombeNiccolò Gaudenzi (tromba prima), Alessio Dal Piva (tromba seconda)

TimpaniFrancesco Reitano

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