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117 GIUSEPPE MARINO * LA NUOVA IRES E LA RIFORMA DEL DIRITTO SOCIETARIO SOMMARIO: 1. Introduzione; 2. Il rapporto tra bilancio civile e “bilancio fiscale”: inquadra- mento storico-dottrinale del doppio binario; 3. Il doppio binario e la dipendenza rovesciata nella contingenza normativa; 4. L’attuazione della quarta direttiva comunitaria; 5. La fi- scalità anticipata e differita nel bilancio d’esercizio; 6. Alcune cause tipiche della fiscalità differita attiva e passiva; 7. L’introduzione e la soppressione delle voci 25 e 26 nel conto economico; 8. Conclusioni. 1. Introduzione Quando si associa la nuova Imposta sul reddito delle società (d’ora in avanti Ires) alla riforma del diritto societario il pensiero corre immediatamente ad un tema classico sul quale per lustri giustributaristi e giuscommercialisti si sono confrontati, e cioè il rapporto tra bilancio civile e “bilancio fiscale”, che indubbia- mente trova in questa fase di transizione del diritto dell’impresa nuova linfa 1 . Per quanto l’obiettivo di questo contributo sia proprio quello di cogliere le peculiarità del rinnovato rapporto tra bilancio civile e “bilancio fiscale”, sarebbe riduttivo pensare che tale tema, seppure centrale e importante, possa esaurire il dibattito sulle interrelazioni tra diritto tributario, codice civile e legislazioni speciali, nella vita dell’impresa. In verità sembrano aumentare i temi sui quali confrontare le similitudini e le diversità di prospettiva. Si pensi al controllo inteso come relazione, la cui definizione dell’art. 2359 c.c. è stata progressivamente messa in discussione dalla proliferazione delle definizioni di controllo nelle legislazioni speciali degli anni novanta, ponendo il problema del rapporto tra la definizione cosiddetta generale e le definizioni speciali. Il quadro complessivo evidenzia una molteplicità di nozioni di controllo con una non sempre agevole identificazione dei confini delle varie fattispecie, pur tutte definite “controllo societario”, di frequente incertezza sulla rilevazione degli interessi e degli obiettivi che sottendono la scelta di una nuova definizione, di ricorrenti interrogativi sulla congruità dell’estensione della nozione di controllo volta a volta accolta rispetto al fine perseguito. Per certi versi un problema analogo sembra emergere in diritto tributario in (*) Università degli Studi di Milano 1 Sulla questione del rapporto tra le norme civili e fiscali del bilancio, la dottrina è davvero ampia. Cfr., senza alcune velleità di completezza, G.E. COLOMBO, Milano 1988; G.M. GAREGNANI, Milano, 1989, p. 17 ss; F.M. GIULIANI, Padova, 2000; F. SUPERTI FURGA, Milano, Giuffrè 1991, p. 232; F. SUPERTI FURGA, 1994, p. 1; M. PIAZZA, Milano 1992, p. 251; A. CAVANI, 1991, parte I, p. 1740; A. BISASCHI, 1992, p. 1021; A. FANTOZZI, 1991, p. 587; G. FALSITTA, 1987, parte I, p. 113; R. LUPI, A. CICOGNANI, Padova, 1980, p. 103 ss.; G. TOMASIN, 1975, I, p. 3 e ss; B. QUATRARO, 1992, p. 561; A. GAETANO, 1990, p. 387; G. GELOSA, Padova, 1997, 615 e ss; O. NOCERINO, 1994, p. 267 e ss; F. GALLO, 2000, p. 3 ss.

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Giuseppe Marino*

La nuova IRES E La RIfoRma dEL dIRItto SocIEtaRIo

Sommario: 1. introduzione; 2. il rapporto tra bilancio civile e “bilancio fiscale”: inquadra-mento storico-dottrinale del doppio binario; 3. il doppio binario e la dipendenza rovesciata nella contingenza normativa; 4. L’attuazione della quarta direttiva comunitaria; 5. La fi-scalità anticipata e differita nel bilancio d’esercizio; 6. alcune cause tipiche della fiscalità differita attiva e passiva; 7. L’introduzione e la soppressione delle voci 25 e 26 nel conto economico; 8. Conclusioni.

1. Introduzione

Quando si associa la nuova imposta sul reddito delle società (d’ora in avanti ires) alla riforma del diritto societario il pensiero corre immediatamente ad un tema classico sul quale per lustri giustributaristi e giuscommercialisti si sono confrontati, e cioè il rapporto tra bilancio civile e “bilancio fiscale”, che indubbia-mente trova in questa fase di transizione del diritto dell’impresa nuova linfa1.

per quanto l’obiettivo di questo contributo sia proprio quello di cogliere le peculiarità del rinnovato rapporto tra bilancio civile e “bilancio fiscale”, sarebbe riduttivo pensare che tale tema, seppure centrale e importante, possa esaurire il dibattito sulle interrelazioni tra diritto tributario, codice civile e legislazioni speciali, nella vita dell’impresa.

in verità sembrano aumentare i temi sui quali confrontare le similitudini e le diversità di prospettiva. si pensi al controllo inteso come relazione, la cui definizione dell’art. 2359 c.c. è stata progressivamente messa in discussione dalla proliferazione delle definizioni di controllo nelle legislazioni speciali degli anni novanta, ponendo il problema del rapporto tra la definizione cosiddetta generale e le definizioni speciali.

il quadro complessivo evidenzia una molteplicità di nozioni di controllo con una non sempre agevole identificazione dei confini delle varie fattispecie, pur tutte definite “controllo societario”, di frequente incertezza sulla rilevazione degli interessi e degli obiettivi che sottendono la scelta di una nuova definizione, di ricorrenti interrogativi sulla congruità dell’estensione della nozione di controllo volta a volta accolta rispetto al fine perseguito.

per certi versi un problema analogo sembra emergere in diritto tributario in

(*) Università degli Studi di Milano1 sulla questione del rapporto tra le norme civili e fiscali del bilancio, la dottrina è davvero

ampia. Cfr., senza alcune velleità di completezza, G.e. CoLoMBo, Milano 1988; G.M. GareGnani, Milano, 1989, p. 17 ss; F.M. GiuLiani, padova, 2000; F. superTi FurGa, Milano, Giuffrè 1991, p. 232; F. superTi FurGa, 1994, p. 1; M. piaZZa, Milano 1992, p. 251; a. CaVani, 1991, parte i, p. 1740; a. BisasCHi, 1992, p. 1021; a. FanToZZi, 1991, p. 587; G. FaLsiTTa, 1987, parte i, p. 113; r. Lupi, a. CiCoGnani, padova, 1980, p. 103 ss.; G. ToMasin, 1975, i, p. 3 e ss; B. QuaTraro, 1992, p. 561; a. GaeTano, 1990, p. 387; G. GeLosa, padova, 1997, 615 e ss; o. noCerino, 1994, p. 267 e ss; F. GaLLo, 2000, p. 3 ss.

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quanto all’art. 2359 c.c., quale norma di rinvio, sono andate affiancandosi altre definizioni di controllo (ci si limita a ricordare quelle relative al consolidato na-zionale, al consolidato mondiale e alla thin capitalization) che mutatis mutandis propongono lo stesso tipo di problema.

un altro esempio di grande attualità è offerto dall’art. 39 del disegno di leg-ge 16 febbraio 2004, n. 4705, contenente interventi per la tutela del risparmio a seguito dei recenti scandali finanziari internazionali originati in italia, che delega il Governo ad adottare norme dirette ad assicurare la trasparenza delle società aventi sede legale in uno degli stati indicati con i decreti di cui all’art. 167, del testo unico delle imposte sui redditi, controllate da società italiane o a queste collegate o comunque parti di gruppi con operatività prevalente o ri-levante in italia o che raccolgono risparmio in italia. in particolare, delle citate società si dovrà (i) redigere il bilancio secondo i principi e le regole applicabili ai bilanci delle società italiane; (ii) sottoscriverlo da parte degli organi di am-ministrazione e controllo della società italiana; (iii) estendere conseguentemente le responsabilità civili, penali e amministrative previste in relazione al bilancio della società italiana.

si tratta di una originale trasposizione con la quale una norma di diritto tributario internazionale è posta al servizio di un fine che è quello di tutelare il risparmio in tutte le sue forme, come indicato nell’art. 47 della Costituzione.

Ma l’art. 39 del disegno di legge n. 4705/2004 non sembra letteralmente ri-chiamare l’art. 167, t.u.i.r., comprensivo dunque delle esimenti ivi previste e ge-stite dall’agenzia delle entrate, quanto piuttosto solo il decreto ministeriale 21 novembre 2001 (e le modificazioni che ne seguiranno) nel quale sono elencati i famigerati paradisi fiscali in cui basta che sia collocata la sola sede legale (a scapito di altri criteri di collegamento, in primis la sede dell’amministrazione, che il più delle volte è in italia e renderebbe superfluo il precetto di cui si parla dovendosi applicare la legge italiana ai sensi dell’art. 25, l. n. 218/1995, relativa al diritto internazionale privato italiano) di una società controllata o collegata per renderla in tutto e per tutto trasparente di fronte alla nuova autorità, secondo il principio piercing the corporate veil.

pertanto è alle porte il paradosso con il quale una società controllante resi-dente in italia si è affannata a spiegare all’amministrazione finanziaria le valide ragioni economiche che la hanno indotta ad una certa presenza estera, magari all’interno dell’unione europea, ha ottenuto risposta favorevole, sempre peraltro condizionata al mantenimento delle condizioni rappresentate, ma si ritroverebbe a dovere comunque atteggiarsi di fronte alla nuova autorità come se all’estero avesse delle semplici sedi succursali.

1.1. Indubbiamente però, rispetto agli esempi ricordati, l’analisi del rapporto tra bilancio civile e “bilancio fiscale” riassume in sé i motivi per i quali i rapporti tra i due settori dell’ordinamento giuridico non siano di facile gestione

Da un lato, l’interesse dei creditori, l’interesse dei terzi o l’interesse pubblico in genere e, successivamente, la tutela del risparmio costituiscono i referenti per la giustificazione della ragione di norme imperative sulla redazione del bilancio civilistico. Dall’altro, l’interesse ad una capacità contributiva attuale ed effettiva cui legare il concorso alle spese pubbliche, seppure parte integrante dell’interesse pubblico in genere, merita regole puntuali e rigorose sul bilancio fiscale, anche

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in ragione della inevitabile ritrosia di chi risulta esserne titolare.Le soluzioni teoriche per soddisfare questi diversi intenti si possono suddivi-

dere in due modelli alternativi:a) il sistema del “doppio binario”: diffuso soprattutto nei paesi anglosassoni,

esso prevede la completa autonomia della normativa tributaria da quella civili-stica, nel senso che il bilancio destinato alla pubblicazione è disciplinato “solo” dalle norme civilistiche e dai principi contabili, mentre la determinazione del reddito imponibile è disciplinata “solo” dalle regole tributarie, senza alcun col-legamento reciproco;

b) il sistema del “monobinario”: diffuso soprattutto nei paesi dell’europa con-tinentale, esso prevede che l’utile imponibile coincida nell’utile civilistico, ovvero, più frequentemente, l’utile civilistico sia la base imprescindibile per il calcolo dell’utile imponibile. in fondo, si potrebbe in prima battuta osservare, l’interesse ad una capacità contributiva attuale ed effettiva, per quanto dotato di un proprio particolarismo, rientra pur sempre nell’interesse pubblico in generale tutelato dalle norme imperative sulla redazione dal bilancio civilistico.

se da un lato il “doppio binario” arriva a richiedere l’istituzione di due diversi ed autonomi sistemi di rilevazione contabile con notevoli costi e complicazioni pratiche, dall’altro il “monobinario” evita eccessivi divaricamenti ma impone al redattore del bilancio di tenere congiuntamente in considerazione i diversi vin-coli posti da ciascuna normativa. Vincoli che, a volte, finiscono per intrecciarsi pericolosamente fino a creare perversi riflessi sul bilancio medesimo.

1.2. L’ordinamento giuridico italiano è sempre stato sostanzialmente impostato se-condo il sistema del “monobinario”, dunque, non esiste un “bilancio fiscale” in senso stretto: l’unico bilancio che il legislatore ha previsto, rendendone ob-bligatoria la redazione, è quello civilistico2

Commettendo un’imprecisione tecnico-giuridica si potrebbe continuare, tutta-via, a parlare di “bilancio fiscale” a patto che, tale termine, non evochi in alcun modo l’idea di un documento autonomo, quanto piuttosto il complesso costituito da dichiarazione dei redditi e bilancio di esercizio3.

ogniqualvolta le norme fiscali trattano del bilancio si riferiscono all’istituto previsto e regolato dall’art. 2423 c.c. e ss.: il “bilancio fiscale”, videlicet, coinci-de con la procedura (nell’ambito della dichiarazione dei redditi) con la quale si riprende il risultato scaturente dal conto economico e, per mezzo di variazioni incrementative o decrementative, espressamente previste dall’ordinamento tribu-tario, si perviene alla determinazione del reddito imponibile4.

2 Cfr. G. FaLsiTTa, 1985, p. 2, il quale evidenzia come una simile soluzione sia stata adottata anche da ordinamenti di altri paesi come quello tedesco il quale non prevede alcun “bilancio fiscale”, e detta al contrario delle tecniche per il passaggio dal bilancio civile ed in particolare dall’utile (o perdita) da esso risultante al reddito imponibile.

3 La formula qui utilizzata è chiarita da a. FanToZZi e r. Lupi, volume 9, tomo ii.4 in C. saCCHeTTo-G. GeLosa-n. ViLLa, 1995, p. 91, così si legge: “Le interferenze fiscali sono

rettifiche o accantonamenti privi di qualsiasi giustificazione economico-civilistica ed effettuate esclusiva-mente in applicazione di norme tributarie per godere di un beneficio fiscale consistente nel differimento dell’imposizione di un componente positivo e nell’anticipata deduzione di un componente negativo a quanto previsto dal codice civile o dai principi contabili”.

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risulta quindi chiaro come la reale funzione del “bilancio fiscale” sia quel-la di pervenire alla determinazione di un reddito imponibile, cioè di un valore dalla limitata arbitrarietà a cui commisurare il prelievo fiscale in capo alle im-prese5. La deroga, d’altro canto, ad alcuni principi economici nella redazione del “bilancio fiscale”6 è resa possibile dalla tipologia di informazioni che esso deve fornire; non si tratta, infatti, di un’informazione vera e corretta in asso-luto, bensì di una informazione finalizzata ad un uso ben specifico e dunque influenzata da quest’ultimo.

2. Il rapporto tra il bilancio civile e “bilancio fiscale”: inquadramento storico-dottrinale del doppio binario

La questione del rapporto tra norme civili e fiscali, che ha per lungo tempo impegnato giurisprudenza e dottrina in un lungo dibattito7, è andata perdendo rilievo nel tempo fino a giungere alla riforma del bilancio d’esercizio del 1991, che, nel recepire la iV direttiva Cee, ha introdotto dei principi abbastanza pre-cisi che regolano il rapporto tra i due rami dell’ordinamento.

anche se, alla luce della nuova ires, potrebbe sembrare superfluo ricostruire (seppur per sommi capi) il dibattito che si è sviluppato nel corso del tempo at-torno al rapporto tra disposizioni civilistiche e tributarie, riflettendo ci si rende conto di come ciò sia proficuo al fine di comprendere se l’attuale normativa si inserisca in un filone di continuità o di innovazione rispetto al passato.

La questione è ben delineata dal Falsitta8, il quale osserva che l’origine della

5 Questo è il ruolo che dottrina giuridica ed aziendalistica attribuiscono al “bilancio fiscale”; cfr. G. FaLsiTTa, Milano, 1985; a. FanToZZi – r. Lupi, Vol. 9, tomo ii; BuFFeLi-piaZZa-riZZarDi, Milano, 1994, 2 e ss.; G. saVioLi, l994, p. 13, il quale forse più degli altri, mette in evidenza una certa meccanicità e rigidità della normativa fiscale volta ad evitare che, in sede di accertamento dei redditi, gli uffici a ciò addetti siano costretti a valutare delle scelte che sono il frutto di stime e congetture compiute dal soggetto economico, che difficilmente possono essere oggetto di un giudizio circa la loro esattezza e ciò darebbe origine a dei contenziosi praticamente inesauribili. in completo accordo con quanto appena affermato vi è anche il pensiero del Lupi (1990, i, p. 699 e ss.) il punto appena esposto è ampiamente illustrato da G. MaZZa, Milano, 1978, pp. 293-296. Lo stesso saVioLi nell’opera citata evidenzia come il “bilancio fiscale” sia uno strumento dello stato per dare attuazione alla propria politica economica e questo è un altro punto incontrovertibile; un esempio illuminante in tal senso è quello degli ammortamenti anticipati, meccanismo utilizzato nella redazione del bilancio, mediante il quale una autovettura, in alcuni casi, può essere ammortizzata in soli 3 anni: per tale via è di fatto premiato chi reinveste nell’attività d’impresa sostituendo rapidamente i beni strumentali.

6 si pensi agli ammortamenti che sono calcolati in modo automatico sulla base di coefficienti stabiliti dal Ministero delle Finanze.

7 per il dibattito avutosi in dottrina si schierarono su posizioni opposte G. e. CoLoMBo, 1980 e Torino, 1987, p. 147 e ss. e in contrapposizione G. FaLsiTTa, Milano, 1988.

La posizione del CoLoMBo (doppio binario) è sposata anche, fra gli altri da: G. GaFFuri, 1977; r. Lupi, 1990.

La tesi del FaLsiTTa (dipendenza rovesciata) è invece sostenuta da: C. BaFiLe, 1984; a. Fan-ToZZi-aLDeriGHi, 1984; a. MonTi, padova, 1994. si veda inoltre lo scritto di G. ToMasin, 1975, i, p. 3 e ss. Lo stesso p. G. JaeGer, Milano, 1980, p. 67, riprendendo G. FaLsiTTa (1979, i, p. 515 e ss.), osservò: “La tesi tradizionale del “doppio binario”, che troppo corrisponde alle abitudini e alle inclinazioni degli studiosi italiani, di “monocultura” del propria orticello e di sovrana (spesso sprezzante) ignoranza delle altrui discipline, è stata recentemente scossa dalle ricerche di chi ha posto con efficacia l’accento sul principio dell’unitarietà dell’ordinamento giuridico”.

8 G. FaLsiTTa, 1977.

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stessa risiede nell’esistenza di norme di diritto commerciale estremamente scarne e lacunose9 e dalla compresenza di norme di diritto tributario particolareggiate e puntuali10, tutte riferentesi alla stessa materia: sorgeva così il quesito, se fos-se corretto utilizzare i concetti e le definizioni proprie del diritto tributario per specificare degli istituti propri del diritto civile, tenendo anche conto del fatto che, prima della riforma tributaria del 1973, il rapporto era sicuramente rove-sciato, essendo il reddito fiscale, salvo limitate rettifiche discendenti dall’esistenza di principi specifici11 completamente dipendente dal reddito civile12. Fornire una risposta al quesito qui sopra delineato era fondamentale, se si pensa che nell’or-dinamento civile si utilizzavano, ad esempio, espressioni quali costo, ricavo, so-pravvenienza attiva, ecc., senza preoccuparsi di fornirne una definizione, che invece si ritrovava nelle norme tributarie. per non parlare delle norme generali sui componenti del reddito d’impresa, di cui attualmente all’art. 109, t.u.i.r., che risultavano essere molto più puntuali e precise, rispetto i principi di redazione del bilancio, attualmente codificati nell’art. 2423-bis, c.c., sia sulle stesse categorie (quali, ad esempio, la competenza, la prudenza etc..) che nel prevederne alcune senza nessuna matrice civilistica (ad esempio, l’inerenza).

D’altra parte conclusioni a priori non potevano essere tratte. si poneva l’esi-genza, infatti, di verificare se vi fosse una comunanza di scopi e fini, o quan-to meno una mancanza di contrasto, tra i due settori dell’ordinamento: solo in questo caso infatti, ci insegna la teoria “monistica”13, si potrà procedere al trapianto di concetti propri del diritto tributario in quello civile. Conducendo un’analisi di tal genere si osserva come una diversità di fini di fatto sussista. il bilancio civile si occupa, infatti, della determinazione di un reddito economico, coerente al principio di verità e correttezza di cui all’art. 2423 c.c., mentre il bilancio fiscale si occupa della determinazione di un reddito imponibile, coerente al principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione. Ma tale diversità non appare sufficientemente profonda da escludere la mutuabilità da parte del diritto privato di nozioni ed istituti del diritto tributario14.

parte della dottrina, in particolare quella commerciale, per lungo tempo si è opposta a questa conclusione, sostenendo, variamente, l’incompatibilità delle due normative (tributaria e civile) e mostrando, così, la propria preferenza per la teoria del doppio binario, che vedrebbe bilancio civile e bilancio fiscale come

9 il FaLsiTTa si riferisce in tale ambito alle norme del codice civile così come risultano dalla riforma del 1942 e prima della riforma del 1974 che introdusse l’art. 2425 bis che regolava la reda-zione del conto dei profitti e delle perdite.

10 Questa connotazione delle norme di diritto tributario è ravvisabile soprattutto dopo la riforma conclusasi con l’introduzione del D.p.r. 597/1973.

11 Cfr. G. FaLs1TTa, Milano, 1985, p. 223, nota n. 17.12 G. FaLsiTTa, ibidem, p. 216 e ss; GaLanTi, Milano, 1967.13 “La teoria monistica....... non nega che, pur dopo il trapianto, il concetto originario possa conser-

vare i caratteri che esso possedeva nel sistema di origine, come non esclude una profonda trasformazione in relazione alla nuova funzione che è chiamato ad assolvere nella norma. Ritiene quindi che si debba rifuggire da comodi apriorismi e svolgere indagini caso per caso”, così G. FaLsiTTa, ibidem, p. 235.

14 il principio non è tuttavia accolto da diversi esponenti della dottrina, anche molto illustri, tra cui, ad esempio, r. Lupi, op. cit., il quale, afferma che data la diversità di fini “...sembra del tutto normale che, nonostante l’identità della materia regolamentata e le analogie tra bilancio civilistico e determinazione del reddito imponibile, diritto tributario e diritto civile reagiscono in modo diverso su molte valutazioni di bilancio”, rendendo così arduo sostenere che “i criteri civilistici sarebbe specificati da quelli tributari”.

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due elementi completamente distinti l’uno dall’altro e destinati a muoversi su piani perfettamente paralleli, senza mai interagire.

Le argomentazioni addotte sono state molteplici, anche se tutte, a ben ve-dere, esposte a critiche dirette. Vi è stato chi, ad esempio, ha sostenuto15 che lo stesso legislatore fiscale avrebbe accordato la propria preferenza alla teoria del doppio binario, come emergerebbe dalla lettura dell’art. 52, d.p.r. n. 597/73 (oggi sostanzialmente trasfuso nell’art. 83, t.u.i.r.), il quale afferma che il punto di partenza per il calcolo del reddito imponibile è dato dall’utile risultante dal conto dei profitti e delle perdite, con le variazioni derivanti dall’applicazione dei criteri contenuti nelle leggi tributarie, generando il convincimento che le leggi fiscali utilizzino per la determinazione del reddito imponibile il bilancio civilisti-co, senza mutarne sostanzialmente la disciplina e senza l’introduzione di alcun obbligo. Tale conclusione discende da una lettura incompleta dell’ordinamento, dal momento che esistono disposizioni fiscali che subordinano la intassabilità, il rinvio a tassazione o la deducibilità di determinati componenti di reddito d’im-presa alla loro registrazione nel conto dei profitti e delle perdite o nello stato patrimoniale16.

Certa dottrina17 ha cercato di dare forza alla tesi del doppio binario eviden-ziando una presunta antinomia18 tra quanto disposto dall’art. 52 (oggi art. 83, t.u.i.r.) e l’art. 74 (oggi art. 109, t.u.i.r.), d.p.r. n. 597/7319 e cercando di svuotare quest’ultimo di significato: operazione, questa, sicuramente necessaria allorquan-do si tenta di affermare la completa indipendenza di bilancio civile e “bilancio fiscale”, ma che risulta quanto mai ardua e facilmente smentibile con la lettura organica delle varie disposizioni normative.

in tal modo ci si rende conto che l’art. 52 (oggi art. 83, t.u.i.r.) detta un prin-cipio generale, il quale trova poi concreta attuazione tramite il coordinamento con i criteri stabiliti dagli articoli del t.u.i.r. che lo seguono e si concluderebbe, dunque, che tutti i dati esposti in bilancio, che concorrono a formare l’utile, possono essere oggetto di rettifiche incrementative o decrementative ad esclusio-ne di quelli costituenti “costi ed oneri”, i quali possono essere corretti solo in riduzione, rispetto al loro importo indicato in bilancio20, sgomberando il campo da ogni dubbio circa la conciliabilità tra queste due norme.

ancora facilmente attaccabile sembra il tentativo di quanti21 hanno avanzato l’ipotesi di una presunta diversità tra il conto dei profitti delle perdite citato nel vecchio art. 74 e quello disciplinato dal codice civile, volendo, così, affermare

15 Così siMoneTTo, padova, 1972.16 primo fra tutti l’art. 75 Tuir, che subordina la deduzione degli elementi di costo alla loro

iscrizione nel conto dei profitti e delle perdite salvo quelli deducibili per disposizione di legge. 17 Fra gli altri s. Moroni, Milano, 1974, p. 8 e ss.; MaZZa, 1974, n. 10, p. 9.18 antinomia si ha “quando una delle due norme non può essere applicata in certi casi senza

confliggere con l’altra, mentre questa ha in più un ulteriore campo di applicazione nel quale, non si verifica il conflitto con la prima. Graficamente ciò può rappresentarsi come un circolo che si inscrive completamente in un altro più ampio” così si esprime G. GaVaZZi, Torino, 1959.

19 articolo trasfuso nell’attuale art. 75 Tuir, il quale affermava, come del resto fa anche l’attuale articolo 75, l’obbligatorietà dell’imputazione al conto dei profitti e delle perdite di costi ed oneri al fine di poterli portare in deduzione del reddito fiscale, salvo specifiche disposizioni di legge, introducendo uno stretto legame tra bilancio civile e bilancio fiscale e mettendo in seria crisi le teorie di quanti sostenevano la presunta preferenza del legislatore per il principio del doppio binario.

20 L’argomentazione in questione è ben espressa dal FaLsiTTa, 1980, i, p. 193 e ss.21 s. Moroni, op. cit. in nota 18.

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l’esistenza di un conto “integrato ai fini della dichiarazione fiscale”22 (e dunque diverso da quello civilistico) e facendo venir meno il legame introdotto dall’art. 74 tra bilancio civile e “bilancio fiscale”. È facile, d’altro canto, ribattere a tale assunto, facendo notare che ogniqualvolta il legislatore tributario effettua un rinvio ad un istituto previsto da un altro ramo dell’ordinamento, intende rife-rirsi, salvo prova del contrario, alla configurazione che detto istituto assume nel proprio campo di origine: dato che il legislatore tributario quando ha voluto in-trodurre delle variazioni alla configurazione del conto dei profitti e delle perdite prevista dal c.c. lo ha fatto espressamente23, vi è da ritenere che nell’art. 74 (oggi art. 109, t.u.i.r.) egli faccia riferimento proprio al conto civilistico24.

3. Il doppio binario e la dipendenza rovesciata nella contingenza normativa

anche se si è tentato di dimostrare l’esistenza di un legame tra norme di diritto tributario e quelle di diritto civile, e anche se si dà per acquisito che le regole tributarie non possono essere viste come un corpus che rimane all’esterno della normativa commerciale, è altrettanto vero che questo fa sorgere non pochi problemi al redattore del bilancio che intenda conciliare le disposizioni fiscali con quelle civili, al fine di poterne godere dei benefici25.

Ciò dipende dalla particolare complessità che caratterizza il nostro ordina-mento, nell’ambito del quale, da un lato si individua l’esistenza di un nesso di “pregiudizialità – dipendenza”26 del reddito fiscale da quello civile e che fa si che il bilancio civilistico assuma un veste non solamente probatoria, ma anche costitutiva dell’esistenza o inesistenza degli elementi che concorrono alla deter-minazione del reddito imponibile.

Dall’altro, si osserva una relazione di “dipendenza rovesciata” della disciplina del bilancio civile dalle norme di diritto tributario27. Questo deriva dalla circo-stanza che il precedente art. 75, comma 4, t.u.i.r., richiedendo che i costi non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui non risultano imputati al conto dei profitti e delle perdite relativo all’esercizio di competenza, subordina

22 Così si esprime lo stesso s. Moroni nell’opera richiamata.23 Cfr. a tal proposito gli artt. 10, 15 e 16 del D.p.r. 598/73 e l’art. 73 del D.p.r. 597/73.24 Cfr. a. BerLiri, Milano, 1967, volume i, p. 124-125.25 si pensi alle sentenze del Tribunale di Milano del 4/9/78 in Foro Italiano, 1980, i, p. 441 e ss.

e a quella del Tribunale di Milano del 10/9/81 in Giur. Comm., 1982, ii, p. 176 entrambe in tema di ammortamento anticipato, che condannavano il ricorso all’utilizzo delle più favorevoli norme tributaria rispetto a quelli civili dichiarando la nullità delle delibere di approvazione del bilancio.

26 espressione richiamata dal FaLsiTTa, 1984, i, p. 876, il cui significato è precisato, oltre, che nell’opera richiamata, anche in scritti precedenti del FaLsiTTa e più precisamente in 1980, ii, p. 193 e ss., ed in 1981, p. 870 e ss. per quanto riguarda il significato del termine, questo è usato dal FaLsiTTa, per indicare quella particolare situazione di dipendenza del reddito imponibile, dal reddito civile, in base alla quale non vi è la possibilità di ottenere, la deducibilità di “costi ed ono-ri”, l’accantonamento a fondi di riservi o la intassabilità di alcuni componenti positivi (plusvalenze, sopravvenienze, ecc.), senza l’osservanza di condizioni ben precise. Condizione necessaria, exempli gratia, anche se non sufficiente a che un costo o un onore diventi fiscalmente deducibile, è la sua contabilizzazione, come tale nel conto economico dell’esercizio in corso o in quelli precedenti (75 Tu-ir). ed ancora le quote dell’utile quali saldi di rivalutazione monetaria, plusvalenze e sopravvenienze possono beneficiare di agevolazioni fiscali a condizione che vengano accantonate, a fondo di riserva, e non ne venga deliberata la distribuzione ai soci.

27 situazione ben illustrata dal FaLsiTTa, op. cit., p. 8.

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l’ottenimento di agevolazioni fiscali al rispetto di norme da attuare già in sede di redazione del bilancio e non solo di redazione delle dichiarazione dei redditi. il redattore del bilancio si troverà, perciò, nello stato di necessità, ove voglia beneficiare degli sgravi fiscali concessigli28, di disattendere, almeno in parte, le norme commerciali a vantaggio di quelle tributarie.

Tuttavia, occorre prestare attenzione a non enfatizzare eccessivamente questa situazione, scambiando come “alteranti” o “inquinanti” del diritto civile delle norme tributarie, che non hanno assolutamente tale portata. Ci riferisce a quel complesso di norme che si limita a disporre la indeducibilità fiscale di costi ed oneri, od il rinvio del momento di deducibilità fiscale rispetto a quello civile o, ancora, la considerazione di valori positivi di reddito valutati come non rile-vanti ai fini civilistici. Tutte situazioni, queste, che si limiteranno a modificare dall’esterno l’entità del reddito (in sede di dichiarazione dei redditi), senza col-lidere in alcun modo con le norme giuscommercialistiche.

3.1. piuttosto, una vera e propria dipendenza si avrà in quei casi (quello di scuola afferisce agli ammortamenti anticipati) dove la disciplina del reddito im-ponibile detta criteri valutativi degli elementi positivi o negativi che sono con-trari o divergenti rispetto a quelli civilistici, imponendo il loro utilizzo in sede di redazione del bilancio civile, al fine di poter godere delle agevolazioni fiscali previste29. Tuttavia, il fenomeno della dipendenza si è notevolmente ridimensio-nato, riducendosi considerevolmente il numero dei casi in cui si possono avere fenomeni di “inquinamento”30, e rendendo altresì più agevole proporre una solu-zione, per la composizione di quei casi in cui si ha effettivamente dipendenza.

L’espediente che permetteva di rispettare le finalità informative proprie del bilancio, senza d’altro canto perdere i benefici fiscali derivanti dal rispetto delle norme tributarie, fu fornito dalla giurisprudenza31, ed in particolare dal Tribunale di Milano nella decisione del 12 gennaio 198432, la quale, sovvertendo i principi ai quali si era ispirata fino ad allora, stabilì in tema di ammortamento antici-pato - ma le conclusioni sono generalizzabili a tutti quegli istituti propri del diritto tributario che vanno ad interferire con i principi civilistici - che questo fosse ammissibile a condizione che: l’ammortamento de quo sia considerato, dal punto di vista civilistico, “un fondo di riserva costituito con utili dell’esercizio

28 significative in tal senso sono alcune pronunce giurisprudenziali (Tribunale di Milano 16/12/65 in Riv. Dott. Comm., 1966, p. 65 e Tribunale di appello di Milano 12/7/68 in Casi e materiali di diritto commerciale, i, società per azioni, i, Milano 1974, p. 728), le quali hanno affermato la promuovi-bilità dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori qualora “non si siano adoperati nei modi consentiti dalla legge per evitare tassazioni superiori a quelle necessaria anche se esiste la possibilità di recuperare negli esercizi futuri 1e somme pagato al fisco”. L’azione di responsabilità risul-ta promuovibile anche nei confronti dei sindaci qualora non abbiano adempiuto al loro obbligo di vigilanza sugli amministratori.

29 Le caratteristiche della dipendenza, così come delineata nello scritto, sono ben descritti dal FaLsiTTa in Il bilancio di esercizio delle imprese, op. cit., p. 8 ss.

30 il termine “inquinamento”, utilizzato per delineare la situazione, è stato coniato dal CoLoMBo, il quale lo ha utilizzato per la prima volta in Disciplina del bilancio e norme tributarie: integrazione, autonomia o inquinamento?, attribuendogli una evidente connotazione negativa.

31 il caso è ricordato da M. piaZZa, Milano, 1992, p. 449, nell’ambito dell’esame del fenomeno della “dipendenza rovesciata”, nonché da anGHiLeri-BoTTini-GioVaneLLi-paGani, Milano, 1992, p. 158-159.

32 Cfr., per un approfondimento della decisione, Rass. Trib., 1984, ii, p. 43.

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non distribuiti”33. il bilancio deve mostrare in modo chiaro la distinzione fra ammortamenti anticipati ed ammortamenti ordinari, in modo da rispettare i principi di chiarezza e veridicità a cui la sua redazione deve essere informata: in particolare, sarà la relazione degli amministratori che dovrà fornire tutte le informazioni necessarie a tal fine. si riconosce, quindi, l’ammissibilità dell’iscri-zione degli ammortamenti anticipati nel progetto di bilancio da parte degli am-ministratori, iscrizione che potrà essere approvata o meno dall’assemblea34.

La lettura data da questa giurisprudenza era stata delineata, senza sostanziali difformità, anche dalla dottrina35, che, rifacendosi anche a quanto previsto dalla iV direttiva Cee36, era giunta alla conclusione che vi era la possibilità di utiliz-zare i criteri valutativi fiscali, qualora questi fossero più favorevoli per l’impresa, a condizione che dall’allegato al bilancio (id est la relazione degli amministra-tori) risultassero gli effetti della sottovalutazione nell’esercizio in cui questa era avvenuta nonché gli effetti derivanti dal venire meno della sottovalutazione nei futuri esercizi37. È possibile concludere sottolineando come, già prima dell’entrata in vigore del d. l.vo n. 127/1991, la dottrina e la giurisprudenza erano giunte ad un equo punto di equilibrio in grado di salvaguardare le esigenze di chiarezza e certezza che ruotano attorno all’informativa fornita dal bilancio, senza d’altro canto privare ingiustamente le imprese della possibilità di beneficiare degli sgravi fiscali riconosciuti loro. non si dimentichi, poi, che la soluzione qui illustrata, che da alcuni sostenitori del principio del “doppio binario” è considerata come il minore dei mali38, di fatto sarà ripresa dal legislatore nel momento della at-

33 per completezza si segnala una sentenza della Cassazione del 18 marzo 1986, n. 1839, la quale si esprime in modo sostanzialmente differente, affermando che “..... gli amministratori, nella loro prudenza e ragionevolezza , possono fare uso di una discrezionalità tecnica nel cui ambito sarà possibile gravare il conto economico di una quota di ammortamento superiore a quella normale, laddove la legge fiscale consente di tener conto di tale maggior quota ai fini della determinazione del reddito: e ciò senza che quest’ultima debba essere considerata riserva, cioè un utile sottratto alla distribuzione ed accantonato per i futuri esercizi”; ecco così che l’ammortamento, in tale contesto, conserverà la sua natura originaria di costo di gestione.

34 il punto in esame è contestato ad esempio da G. nanuLa, 1984, p. 1449 e ss., il quale ha evidenziato come, in tal modo, l’utile d’esercizio che è determinato risulta essere un’entità fittizia, in quanto inficiato da accantonamenti arbitrari proposti dagli amministratori all’assemblea. si ricordi, poi, in senso difforme, la giurisprudenza che, tra la fine degli anni settanta e inizio degli anni ottanta, con riferimento proprio agli ammortamenti anticipati, ravvisò la annullabilità delle delibere assemble-ari di approvazione del bilancio, in cui erano iscritti ammortamenti anticipati. in dottrina vi furono varie critiche a tali pronunzie giurisprudenziali. si veda a questo proposito G. FaLsiTTa, Ammorta-menti anticipati, op. cit.; s. pansieri, 1982, ii, p. 176 e ss; F. CHioMenTi, 1979, p. 119.

35 si fa riferimento al FaLsiTTa, il quale nel suo Bilancio civile e fiscale, op. cit., giunge alle conclusioni, facendosi forte, oltretutto, del dettato normativo previsto dalla iV Direttiva Cee.

36 Cfr. la direttiva gli artt. 35, 39 e 43, i quali si riferiscono rispettivamente alle alterazioni valu-tative derivanti dall’applicazione di criteri fiscali nei confronti delle “immobilizzazioni”, delle “attività circolanti” e più genericamente a qualunque voce di conto.

37 L’informazione, in questione, ovviamente, deve essere fornita nell’allegato di bilancio dell’eser-cizio in cui la sottovalutazione viene meno.

38 in questi termini G. e. CoLoMBo, op. cit., p.152-153, il quale reputa le imprese nello stato di necessità (a causa dell’esistenza di norme di diritto tributario mal congegniate ed inquinatrici) di deformare il bilancio civilistico per poter usufruire delle agevolazioni fiscali riconosciute loro, ma rileva che esse hanno quantomeno il dovere (per porre rimedio al “danno” da loro fatto) di fornire adeguate informazioni circa le scelte da loro compiute nella relazione degli amministratori, la quale tuttavia non riuscirà a restituire al bilancio quel livello di precisione e di chiarezza che, lo dovrebbe contraddistinguere (si pensi ad esempio alla perdita di chiarezza che deriva dal fatto di dover ricor-rere alla nota integrativa per conoscere l’esatto ammontare di alcune poste dato che il valore loro

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tuazione della iV direttiva Cee, a conferma forse del fatto che questa era l’unica strada realmente percorribile.

4. L’attuazione della quarta direttiva comunitaria

L’occasione per porre un punto fermo nel discusso rapporto tra norme tri-butarie e civilistiche si ebbe allorquando il legislatore italiano dovette dare at-tuazione alla iV direttiva Cee e trovò, proprio all’interno della stessa, lo spunto per gettare un po’ di luce su una delle questioni più dibattute dalla dottrina commerciale e tributaria.

occorre preliminarmente precisare come la direttiva comunitaria non si oc-cupava direttamente delle problematiche di natura fiscale, né, tanto meno, del fenomeno del “bilancio fiscale”39: l’obiettivo della direttiva era quello, ed il punto in questione è incontrovertibile, di garantire che gli ordinamenti dei paesi mem-bri della Comunità, presentassero un minimo di uniformità per quanto concerne le strutture e i contenuti dei conti annuali, nonché nei criteri di valutazione40.

La previsione del legislatore comunitario risultava, d’altro canto, estremamen-te semplice, dato che si era limitato a prevedere, agli artt. 35, 39 e 43, che, in presenza di rettifiche di origine fiscale che influenzavano il valore delle voci di bilancio, nell’allegato bisognava indicare l’importo di tali rettifiche, dandone adeguata motivazione41. Va rilevato che, con queste disposizioni, il legislatore

riconosciuto in bilancio risente di influenze di origine tributaria e risulta essere perciò non veritiero): ciò nonostante questa continua ad essere la più accettabile tra le soluzioni avversate dall’autore.

39 Tale considerazione è stata rilevata anche dalla MonTi, padova 1994, e dal FaLsiTTa, il qua-le si esprime in tal senso in I rapporti tra bilancio civile e bilancio fiscale alla luce della IV direttiva, op. cit., nel quale precisa come la direttiva non prenda in alcun modo posizione nei confronti delle norme tributarie nazionali, dal momento che questo non rientra nei suoi scopi e questo è rilevabile anche dalla scarsezza delle norme aventi ad oggetto le variazioni del risultato dì bilancio derivanti dall’applicazione di norme fiscali; è fuori discussione, al contrario, il legittimo interesse della direttiva per l’eventuale influenza che l’esistenza di norme fiscali sovvenzionali possono originare sui risultai esposti nei conti annuali ed abbia, perciò, avvertito la necessità di fornire delle indicazioni per la gestione di tale fenomeno.

40 L’asserzione trova conforto nella lettura della premessa che accompagna il testo normativo della iV direttiva Cee, nel quale si legge “…che il coordinamento delle disposizioni nazionali riguardanti la struttura e il contenuto dei conti annuali e delle relazioni sulla gestione, i metodi di valutazione nonché la pubblicità di questi documenti…. riveste importanza particolare per proteggere gli interessi tanto dei soci quanto dei terzi”. Conferma si trova anche nel passaggio successivo dove si legge: “…si impone in questi campi un coordinamento simultaneo, dato che l’attività di tali società si estende spesso ol-tre i limiti del territorio nazionale..” e che si ritiene “... necessario che nella Comunità si stabiliscano condizioni giuridiche equivalenti minime quanto all’estensione delle informazioni finanziarie che devono essere fornite al pubblico...”, come si considera opportuno “….coordinare i vari metodi di valutazione in modo da garantire la possibilità di confronto e l’equivalenza delle informazioni contenute nei conti annuali..”.

41 L’art. 35, primo comma, lettera d, recita che “se gli elementi delle immobilizzazioni sono oggetto di rettifica di valore esclusivamente in seguito all’applicazione della legislazione fiscale, nell’allegato oc-corre indicarne l’importo debitamente motivato di tali rettifiche”. L’art. 39, primo comma, lettera e, ha un tenore esattamente identico all’art.35, se non che si riferisce all’attivo circolante invece che alle immobilizzazioni. Vi è poi l’art. 43, primo comma, numero 11, il quale, occupandosi del contenuto dell’allegato, stabilisce che “la differenza fra l’onere fiscale imputato all’esercizio e gli esercizi precedenti e l’onere fiscale già pagato o da pagare per tali esercizi, nella misura in cui la differenza è apprezzabile in relazione al futuro onere fiscale. Tale importo può anche essere indicato in modo cumulato nello stato patrimoniale...”. Lo stesso articolo al numero 10 prevede altresì che, se “….una valutazione di dette

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comunitario non era inteso mostrare alcuna preferenza per il principio della “dipendenza rovesciata”42, ma si sia limitato a prendere atto di una situazione di fatto esistente in alcuni paesi membri della Comunità, nei quali, di fatto, tale principio è utilizzato e, di conseguenza, ha ritenuto necessario intervenire al fine di salvaguardare il bilancio quale strumento informativo contro eventuali influenze fiscali.

il legislatore nazionale ha, dal canto suo, cercato di salvaguardare il più possibile l’aspetto della chiarezza della funzione informativa del bilancio ed ha ritenuto opportuno, perciò, spingersi ancora oltre, rispetto all’intervento minima-le previsto dalla direttiva comunitaria, e ha previsto che lo strumento deputato alla tutela della chiarezza (e dal quale doveva emergere l’influenza della norma-tiva fiscale) fosse non la nota integrativa, bensì lo stesso conto economico43. il d. l.vo n. 127/1991 ha infatti previsto, attuando fedelmente la legge delega, che le “rettifiche di valore” e gli “accantonamenti” operati esclusivamente in appli-cazione di norme tributarie, dovessero essere esposti nel conto economico alle voci 24 e 25.

Le ragioni che hanno indotto il legislatore ad una scelta di questo tipo, pos-sono essere individuate in due tipologie. Vi è stata sicuramente la volontà di garantire una più efficace informazione, permettendo al lettore del bilancio una conoscenza dettagliata delle rettifiche e degli accantonamenti, che pur privi di motivazione economica, sono stati compiuti per poter fruire di vantaggi fiscali44.

voci effettuata, in deroga ai principi degli articoli 31 e da 34 a 42, durante l’esercizio o in un esercizio precedente per poter ottenere sgravi fiscali. Qualora tale valutazione incida in modo apprezzabile sul fu-turo onere fiscale, devono essere fornite informazioni in merito”.

42 in tal senso si esprime il FaLsiTTa, I rapporti tra bilancio civile e bilancio fiscale alla luce della IV direttiva, op. cit., p. 102. il concetto è sottolineato anche dal CoLoMBo, Relazione di sintesi, in Il progetto italiano di attuazione della IV direttiva, a cura di a. Jorio, dove afferma che la direttiva in nessun modo ha imposto di derogare alle norme civilistiche, come alcuni avrebbero sostenuto, per far posto all’adozione di principi tributari, ma si limita a tollerare una situazione di tal tipo, prevedendo degli strumenti che permettano la salvaguardia del principio del quadro fedele. egli, inoltre, ribadisce ancora una volta la sua preferenza per il principio del doppio binario, l’unico veramente in grado di preservare il bilancio da ogni deformazione e si rammarica, che tale principio non sia stato recepito dal nostro ordinamento in occasione della riforma del 1991 a causa di una scarsa collaborazione del Ministero delle Finanze, il quale non avrebbe fornito alla Commissione D’alessandro adeguate assicu-razioni circa l’abbandono del bilancio “quale momento di parziale determinazione dell’imponibile fiscale, eliminando la citata disposizione contenuta nel comma 4 dell’art. 75”. (citato da Risultato d’esercizio e imponibile fiscale, di G. saVioLi, op. cit.). Le conclusioni qui riportate sono condivise anche da r. CaraMeL, Milano, 1994, p. 270, il quale afferma: “non riteniamo condivisibili la tesi che, con la ri-chiesta della evidenziazione nel conto economico delle influenze fiscali, il legislatore abbia definitivamente accettato il sistema del cosiddette mono-binario”.

43 La volontà del legislatore in tal senso emerge molto chiaramente dalla legge delega per l’at-tuazione della iV direttiva Cee (legge delega 69/90), la quale recita che si deve: assicurare, nella misura compatibile con le leggi vigenti in materia tributaria, l’autonomia delle disposizioni tributarie di quelle dettate in attuazione della direttiva, comunque, prevedendo che nel Conto profitti e perdite sia indicato in quale misura la valutazione di singole voci sia stata influenzata dall’applicazione della normativa tributaria. il D.Lgs. n. 127 ha di fatto recepito questo principio, prevedendo l’inserimento nel conto economico delle voci 24 e 25

44 La funzione assolta dalle voci 24 e 25, appena richiamata, è evidenziata dal legislatore stesso nella relazione ministeriale all’art. 2427 del codice civile. Questa è evidenziata anche da esponenti della dottrina tributaristica ed aziendalistica quali a. FanToZZi, 1991, p. 589, e BuFFeLLi-piaZZa-riZZarDi, 1994. Ma lettura appena fatta del dettato normativo è confortata anche dal pensiero espresso da quanti parteciparono direttamente alla redazione delle attuali disposizioni ed in particolare da quanto detto da G. e. CoLoMBo, Relazione di sintesi, op. cit., p. 157 e ss.

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e, quindi, la necessità di natura eminentemente tributaria, rappresentata dalla necessità di non pregiudicare la fruibilità, da parte delle imprese, degli sgravi fiscali, sotto forma di riduzione dell’imponibile, che il vecchio art. 75 t.u.i.r. su-bordinava all’effettuazione di specifiche rilevazioni già in sede di redazione del bilancio e più precisamente del conto economico. L’eventualità dunque, anche solo ipotetica, di danneggiare il contribuente, ha indotto all’utilizzo di un artifi-cio quale quello delle voci 24 e 2545.

sembrava, perciò, che, con l’introduzione delle voci 24 e 25, il lunghissimo dibattito circa il rapporto tra normativa fiscale e civile, fosse giunto al termi-ne, grazie alla soluzione adottata nel d.l.vo n. 127/1991, forse non la soluzione migliore fra quelle possibili, come ha fatto notare il Colombo46 nella sua “re-lazione di sintesi” ai lavori della commissione, ma sicuramente la migliore fra quelle praticabili. sfortunatamente, però, quello che sembrava ormai un dato acquisito è stato, per motivi “occulti” e tuttora inspiegabili, rimesso completa-mente in discussione dalla modifica apportata dalla l. 8 agosto 1994, n. 503, al d.l.vo n. 127/1991, che ha soppresso le voci de quibus dallo schema di conto economico.

5. La fiscalità anticipata e differita nel bilancio d’esercizio

nell’ordinamento precedente l’entrata in vigore del d.l.vo n. 127/1991 non era richiesta alcuna informativa sulle imposte anticipate e differite. La maggior parte delle aziende era solita contabilizzare le imposte sul reddito secondo il criterio dell’esigibilità47; solamente le aziende facenti parte di un gruppo multinazionale, e solite a preparare prospetti di bilancio per il consolidato di gruppo o le socie-tà aventi la necessità di dare informativa di bilancio ad investitori esteri, erano già impratichite al concetto d’imposte anticipate e differite e abituate alla loro contabilizzazione secondo i principi internazionali di riferimento.

Con l’entrata in vigore del d.l.vo n. 127/91 è stato fatto un passo in avanti ver-

45 La tesi descritta, riprende il pensiero del FanToZZi, 1991.46 È noto infatti che il G. e. CoLoMBo caldeggiava per una soluzione più radicale del problema,

che puntava ad uno svincolo completo dei vantaggi tributari dalla deformazione del bilancio, cosa non fattibile a causa di una mancanza di collaborazione da parte del Ministero delle Finanze che ha reso necessario adottare una soluzione di tipo compromissorio. per un esame più approfondito del pensiero del CoLoMBo cfr. CoLoMBo, Relazione di sintesi, op. cit., nonché Torino, 1994, p. 217 e ss.

47 si fa riferimento al cd. “Metodo delle imposte Liquidate” (Taxes Payable Method). secondo questa impostazione, l’obbligazione fiscale sarebbe determinata, in un dato periodo amministrativo, facendo riferimento alle imposte dovute in base alla relativa dichiarazione dei redditi. sulla questione M. MooniTZ che fra i primi, nel 1957, ha investigato in maniera sistematica le problematiche cor-relate alla determinazione ed alla rappresentazione dell’effetto imposte nel bilancio d’esercizio: “If in-come taxes were treated as a distribution of income, after the manner of dividends, most of the problems associated with the reporting of income taxes would disappea, in that event the amount of tax bill, as reflected in the tax return, would be charged directly to retained earnings”, in Income Taxes in Financial Statements, in The Accounting Review, april 1957, n. 2., p. 175. Lo iasC (International Accounting Standards Commitee, organismo fondato nel 1973, originariamente dalle associazioni professionali in materia contabile di dieci paesi, tra cui la Francia, la Germania, il Giappone, il Messico, i paesi Bassi, la Gran Bretagna e gli stati uniti, e che oggi accoglie l’adesione di moltissime associazioni anche estranee alla professione contabile), d’altro canto, sottolinea come “Support for this method (i.e. il taxes payable) may be based on the view that taxes are a distribution of income rather than an operating expense of the enterprise” in i.a.s. n. 12 (Accounting for Income Taxes).

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so l’adozione dei principi internazionali in tema di imposte anticipate e differite. il decreto, pur non indicando specificatamente il concetto di imposte anticipate e differite, ne impone, di fatto, la pratica adozione attraverso il principio della competenza, oggi previsto dal terzo comma dell’art. 2423-bis c.c.48.

il legislatore ha assimilato gli oneri fiscali agli altri costi di gestione avendo contabilizzato le imposte anticipate e differite nella sintesi reddituale49.

D’altro canto, la strada che porta al pieno recepimento nei bilanci italia-ni delle imposte anticipate e differite, così come definite dai principi contabili internazionali, è lunga, anche se, nel tempo, si sta assistendo ad un lento av-vicinamento della legislazione italiana e dei principi Contabili italiani a quelli internazionali50.

in passato, i principi Contabili redatti dal Consiglio nazionale dei Dottori Commercialisti e dei ragionieri, hanno affrontato il problema solo indirettamen-te, con l’affermazione dei principi guida generali per la formazione del bilancio (id est il principio della competenza, della prudenza, della chiarezza), rinviando di fatto l’approfondimento dell’iscrivibilità e della contabilizzazione delle imposte anticipate e differite ai principi Contabili internazionali51.

Come già ricordato, ai sensi dell’articolo 52 (ora 83, t.u.i.r.), il reddito di impresa è determinato apportando all’utile risultante dal conto economico le variazioni in aumento o in diminuzione previste dalle disposizioni tributarie.

Le differenze tra il valore attribuito ad una attività o ad una passività secon-do criteri civilistici ed il valore attribuito a quell’attività o a quella passività ai fini fiscali hanno come risultato l’evidenziazione di un reddito imponibile che non corrisponde al risultato prima delle imposte iscritto alla voce 22 del conto economico.

Le differenze in esame possono avere natura definitiva, derivando da com-ponenti di reddito positive o negative, che non concorrono alla formazione del reddito imponibile52. Tra le prime, a titolo esemplificativo, i proventi connessi ad immobili non strumentali e alla cui produzione o scambio non è diretta l’attività di impresa, i quali, giusta la norma dell’art. 57 (ora art. 90, t.u.i.r.), concorrono a formare il reddito nell’ammontare determinato secondo le disposizioni riguar-danti i redditi fondiari. ancora si pensi agli utili distribuiti da società, che nei casi e nelle condizioni previste all’art. 89 t.u.i.r., concorrono alla formazione del reddito della società o ente ricevente solo per il 5 per cento del loro ammon-

48 si veda in tal senso e. nuZZo, 1995, p. 213 ss; ancora L. puDDu, 2000, p. 353 ss.49 in dottrina la tesi che classifica le imposte sul reddito come un costo di gestione ha trovato

numerosi sostenitori, fra i quali si segnalano: H.J. sCHTeLD, aprile 1957; e.s. HenDriKsen, apri-le 1958; W.J. GraHM, gennaio 1959; W.H. MaTeer, luglio 1965; K.s. CarMiCHaeL, 1971; M.F. MorLeY, aprile 1973; J. Finnie, ottobre 1973; D.r. BeresForD-L.C. BesT -J.V. WeBer, gennaio 1984; B.p. roBBins-s.o. sWYers, settembre 1984.

si vuole ricordare come, per parte della dottrina, le imposte non sono qualificabili quali costi per l’esercizio dell’impresa ma sono ammissibili a “dividendi” erogati allo stato in qualità di azionista. Cfr. einauDi – repaCi, Torino, 1954, p. 166; T.M. HiLL, aprile 1958, p. 173 e ss; r. s. JoHns, settembre 1958; r.J. CHaMBers, dicembre 1968 e a.D. BarTon, settembre 1970.

50 particolarmente in tema di imposte anticipate, si veda p. TariGo, 2000, p. 417 ss.51 Rectius lo ias n. 12.52 secondo la definizione proposta dallo iasC (International Accounting Standard Committee), nel

principio n. 12: “Le differenze permanenti sono le differenze fra il reddito fiscale e l’utile (ante-impo-ste) di bilancio di un esercizio che sorgono nell’esercizio in corso e non sono annullate negli esercizi successivi”. La traduzione del principio è a cura di G. ToMMasin, Venezia, 1980, pp. 299-300.

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tare. Le componenti negative non rilevanti sono costituite da tutti i costi che non risultano deducibili dal reddito di impresa interamente, per mancanza del requisito dell’inerenza o per espressa disposizione di legge, oppure parzialmen-te, come nel caso delle spese di rappresentanza deducibili per un terzo ai sensi dell’art. 108, comma 2, t.u.i.r., o dei componenti negativi di reddito connessi alle autovetture aziendali soggette ai limiti di cui all’art. 164, t.u.i.r..

Le differenze possono invece avere natura temporanea quando derivano dal diverso momento nel quale un componente reddituale assume rilevanza ai fini della determinazione del risultato di bilancio e ai fini del calcolo del reddito tas-sabile, senza che, tuttavia, sia modificato il quantum relativo all’elemento stesso. in altri termini, il componente reddituale in discorso parteciperà per intero alla determinazione sia dell’utile d’esercizio sia del reddito imponibile, solo che ciò avverrà in periodo temporali diversi. a tale proposito lo iasC, nel documenti n. 12 citato, afferma che: “le differenze temporanee sorgono in un determinato esercizio e sono annullate in uno o più esercizi successivi”53.

La sfasatura temporanea tra la competenza ai fini civilistici e la competenza ai fini fiscali, che può comportare un’anticipazione od un differimento della tas-sazione di determinati elementi reddituali, è peraltro destinata, quindi, a ricom-porsi nei periodi d’imposta successivi, quando si manifesterà il riallineamento tra la dinamica civilistica e quella fiscale.

La classificazione, effettuata dallo iasC, delle differenze permanenti e tempo-ranee risulta sostanzialmente accolta dalla dottrina economico-aziendale e dalla prassi contabile54.

il documento n. 25 dei principi Contabili, concernente il trattamento conta-bile delle imposte sul reddito55, distingue le differenze temporanee in “tassabili” e “deducibili”, indicando le prime come quelle che danno luogo ad ammontari imponibili negli esercizi successivi e che generano passività per imposte differite56

53 nello ias n. 12, si legge: “Another reason for a difference between taxable income and accounting income is that certain items, considered in determining both amounts, are included in the cal culation for different periods. For example, accounting policies may specify that cer tain revenues are included in accounting income at the time goods or services are delivered but tax rules may require or allow their inclusion at the time cash is col lected. The total of these revenues included in accounting income and taxable income will ultimately be the same, but the periods of inclusion will differ. Another example is when the depreciation rate used in determining taxable income differs from that used in determining accounting income. These types of differences are described as “timing differences”, op. cit., par. 6.

sull’argomento, fra gli altri, si veda roBBins-sWYers, september 1984, p. 108. 54 sulla questione, per quanto riguarda gli organismi istituzionalmente preposti all’emissione di

principi contabili, si segnala la posizione dell’iaCeW (ora asC, Accounting Standards Board, l’organo che emette principi contabili di riferimento per la Gran Bretagna), sostanzialmente sulla stessa linea di quella dello iasC, che con il ssap (Statement of Standards Accounting Practice) n. 15 (revised may 1985) afferma: “Secondly there are items which are included in the financial statement they are dealt with for tax purposes; giving rise to timing differences: this revenue, gains, expediture and losses may be included in financial sta tement either earlier or later than they enter into the computation of profit for tax purposes”. nel contesto di riferimento nord americano, inoltre, la predetta definizione di timing differences fu a suo tempo formulata dall’aiCpa (American Institute of Certified Public Accounts) con l’Opinion n. 11, Accounting for income taxes, nella quale, al paragrafo n. 12, Definitions and concept, si affermava: “timing differences: differences between the periods in which they enter into the determination of pretax accounting income. Timing dif ferences originate in one period and reverse or “turn around” in one or more subse quent periods. Some timing differences reduce income taxes that would otherwise be payable currently; others increase income taxes that would other wise be payable cur rently”.

55 riportato in allegato a Il Fisco, n. 30/1999.56 Quali, ad esempio, le plusvalenze su beni patrimoniali e strumentali, le rivalutazioni di par-

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e le seconde come quelle che danno luogo ad ammontare imponibili nell’esercizio in cui si rilevano e generano attività per imposte anticipate57.

in italia il trattamento contabile della fiscalità differita attiva e passiva, è disciplinato, oltre che dal citato documento 25 del Consiglio nazionale dei Dot-tori commercialisti e dei ragionieri, dalla Comunicazione della ConsoB del 30 luglio 1999 n. 9905901058 e dal provvedimento della Banca d’italia del 3 agosto 1999 recante la rubrica “Fiscalità differita e modifica dei criteri contabili”59. Con i citati documenti, la Consob e la Banca d’italia, hanno inteso uniformare i com-portamenti delle società ed enti con azioni quotate e degli istituti ed intermediari nella stesura dei conti annuali disponendone l’osservanza a decorrere dal bilancio relativo all’esercizio chiuso o in corso al 31 dicembre 1999.

6. Alcune cause tipiche della fiscalità differita attiva e passiva

nell’ordinamento italiano, esempi di passività per imposte differite sono ti-picamente le plusvalenze rateizzate a norma dell’art. 86, comma 4, t.u.i.r.: si supponga che nel 1999 la società alfa abbia realizzato una plusvalenza su beni strumentali posseduti da oltre 3 anni, per un ammontare complessivo pari a 20,000. Tale plusvalenza ha carattere straordinario e non concorre, dunque, alla formazione della base imponibile ai fini irap. L’art. 54, comma 4, Tuir, con-sente di dilazionare detta plusvalenza in quote costanti nell’esercizio nel quale è stata realizzata e nei quattro successivi. Tale diritto è esercitato dall’impre-sa. ne deriva, conseguentemente, che in occasione della redazione della dichia-razione dei redditi, l’impresa dovrà annotare, tra le variazioni in diminuzione dell’utile di esercizio l’ammontare di 16,000. nello stesso esercizio dovrà impu-tare in bilancio l’importo di 1,480 (4,000x37%) tra i debiti tributari e l’importo di 5,920 (16,000x37%) nel fondo imposte differite. inevitabilmente, l’utile di eser-cizio risentirà, negativamente, dell’importo complessivo delle imposte, e quindi nell’esempio che precede di lire 7,400 che corrisponde all’irpeg dovuta sull’im-porto complessivo della plusvalenza. in ciascuno dei quattro esercizi successivi, alfa dovrà, in sede di redazione della dichiarazione dei redditi, “riprendere” in aumento dell’utile dell’esercizio la quota della plusvalenza rateizzata, con con-

tecipazioni valutate con il metodo del patrimonio netto, i dividendi rilevati per competenza, gli am-mortamenti anticipati non imputati in conto economico e i componenti negativi di reddito deducibili in esercizi precedenti a quello in cui sono imputati al conto economico.

57 Exempli gratia le limitazioni per accantonamenti a fondi del passivo e per rettifiche di valore, come la svalutazione dei crediti, i rischi contrattuali su opere, forniture e servizi di durata ultrannuale, l’ammortamento dei beni materiali e immateriali e dell’avviamento, l’ammortamento finanziario dei beni gratuitamente devolvibili, i rischi su cambi, i lavori ciclici di manutenzione e revisione di navi e aeromobili, i costi di ripristino o di sostituzione dei beni gratuitamente devolvibili, gli oneri derivanti da operazioni a premio e concorsi a premio e gli altri accantonamenti non previsti da norme tributa-rie; ed ancora i costi a deducibilità parzialmente differita, come nel caso delle spese di manutenzione eccedenti il 5 per cento del costo dei beni materiali ammortizzabili e delle spese di rappresentanza, o facoltativamente differita, come gli adeguamenti per sopravvenute modificazioni normative e retributive del fondo di indennità di fine rapporto e dei fondi di previdenza del personale dipendente, le spese di ricerca e sviluppo e le spese di pubblicità e propaganda; componenti negative di reddito deducibili per cassa, come le imposte deducibili e i contributi ad associazioni sindacali e di categoria.

58 in Il Fisco, n. 36/1999, p. 11634.59 in G.u. n. 188 del 12 agosto 1999.

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seguente utilizzo del fondo imposte differite (lire 1,480 per ciascun esercizio) e contestuale addebito alla voce debiti tributari. L’iscrizione (ovvero la sua misu-ra) in bilancio delle imposte differite – le quali, è bene precisarlo, costituiscono un “potenziale” debito dell’impresa – è conseguente al potere discrezionale degli amministratori.

ancora un esempio di passività per imposte differite è rappresentata dagli ammortamenti anticipati di cui all’art. 67, comma 3, Tuir, di cui si sono messi precedentemente in luce le ripercussioni in bilancio60.

L’operazione di rivalutazione dei beni dell’impresa e le modalità impositive della medesima consentono, invece, di osservare un tipico esempio di fiscalità anticipata. nelle circostanze delineate all’art. 10 del Collegato alla Finanziaria 2000, è possibile effettuare una rivalutazione dei beni dell’impresa con effetti civilistici e fiscali applicando un’imposta sostitutiva disciplinata dall’art. 12 del collegato alla Finanziaria 2000. È quindi sancita la possibilità di fare emergere un nuovo valore civilisticamente e fiscalmente riconosciuto dietro il pagamento di un’imposta sostitutiva che anticipa il debito tributario61, che sarebbe dovuto

60 a titolo esemplificativo, seguendo lo schema di M. a. proCopio, 2000, 692, se nell’anno 1998 l’impresa ha acquistato un bene strumentale pari a lire 400 milioni, e l’aliquota massima di ammortamento prevista dal d.m. 31 dicembre 1988 è pari al 20%, l’ammortamento ordinario risul-terà pari a 40 milioni (com’è noto, l’art. 67 Tuir stabilisce che nel primo esercizio l’ammortamento deve essere calcolato per una quota ridotta al 50% di quella massima). L’ammortamento anticipato risulterà ugualmente pari a lire 40 milioni. Calcolando gli ammortamenti anticipati, l’impresa avrà ammortizzato completamente il bene al termine del terzo esercizio. il fondo imposte differite risulterà pari al 41,25% (irpeg e irap) degli ammortamenti anticipati (pari a lire 200 milioni) e quindi pari a lire 82,50 milioni. nel bilancio dell’impresa, al termine del terzo esercizio, risulterà iscritto l’importo di lire 200 a titolo di “fondo ammortamento ordinario”, una “riserva da ammortamenti anticipati” per lire 200 milioni (corrispondente all’ammontare complessivo degli ammortamenti anticipati) e, come si è visto, un “fondo imposte differite” pari a lire 82,50 milioni (200,000,000x41,25%). L’iscrizione nello stato patrimoniale delle imposte differite, relative alla contabilizzazione degli ammortamenti anticipa-ti, è suggerita dall’associazione nazionale dei revisori contabili (assirevi) la quale, con il documento di ricerca n. 35 emanato nel 1994, ha raccomandato di accantonare le imposte differite tra i fondi rischi e oneri del passivo dello stato patrimoniale. L’assonime (circ. 10 marzo 1994, n. 42, para. 13), viceversa, si è mostrata di contrario avviso affermando che le imposte differite riferite agli ammorta-menti anticipati dovrebbero trovare allocazione unicamente nella nota integrativa. all’inizio del quarto esercizio l’impresa continuerà a calcolare nel bilancio di esercizio gli ammortamenti ordinari pari a lire 80 milioni per il quarto esercizio, 80 milioni per il quinto esercizio, e 20 milioni per il sesto esercizio. L’impresa stessa avrà dunque completato l’ammortamento ordinario. Tali ammortamenti, imputati nel conto economico alla voce 10/b dell’art. 2425 c.c., non risulteranno ovviamente deducibili e dovranno essere annotati nella dichiarazione dei redditi, tra le variazioni in aumento dell’utile di esercizio, con contemporaneo utilizzo del “fondo imposte differite” per pari ammontare. La “riserva da ammortamenti anticipati” dovrà essere progressivamente stornata a fronte della iscrizione di “ri-serve disponibili” (pari agli utili indivisi degli esercizi nei quali sono stati calcolati gli ammortamenti anticipati, e stornati per iscrivere in bilancio la “riserva da ammortamenti anticipati”). il documento esamina opportunamente anche l’ipotesi delle imprese che, avendo utilizzato il “metodo consentito” (vale a dire l’imputazione nel conto economico degli ammortamenti anticipati), intendano adottare il “metodo raccomandato”. in tal caso gli ammortamenti anticipati dovranno essere riclassificati in un conto di patrimonio netto alla voce “riserva da ammortamenti anticipati”, con contestuale accantona-mento delle imposte differite e, in “contropartita” dovrà essere addebitata una riserva da utili indivisi o, in assenza di tali utili l’imputazione ad “oneri straordinari” nel conto economico.

61 È opportuno sottolineare che, ai sensi del secondo comma dell’art. 11 del collegato alla Fi-nanziaria 2000, i valori iscritti in bilancio a seguito della rivalutazione non possono in nessun caso superare i valori effettivamente attribuibili ai beni con riguardo alla loro consistenza, alla loro capacità produttiva, alla effettiva possibilità di economica utilizzazione nell’impresa, nonché ai valori correnti e alle quotazioni rilevate in mercati regolamentati italiani o esteri.

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in caso di successiva alienazione dell’immobilizzazione. il saldo attivo della riva-lutazione effettuata genera una riserva in sospensione di imposta che nel caso di distribuzione forma reddito imponibile a carico della società e dei soci. si noti, tuttavia, che il debito tributario rappresentato dall’ammontare dell’imposta sostitutiva deve essere versato in un massimo tre rate annuali di pari importo, ai sensi del secondo comma dell’art. 12 del collegato alla Finanziaria 2000, rea-lizzandosi, in tal modo, la rateizzazione del debito tributario anticipato.

D’altro canto, attività per imposte anticipate risultano nel caso di componen-ti positivi di reddito che sono imponibili in un esercizio di imposta precedente a quello in cui sono imputati al conto economico. si pensi, ad esempio, alle vendite con riser va di proprietà, per le quali il ricavo si considera conseguito al momento del trasferimento della proprietà ai fini civilistici, coincidente con il pagamento dell’ultima rata del prezzo, men tre risulta imponibile nel periodo di imposta in cui avviene la consegna o spedizione del bene a norma dell’art. 76, comma 2, lettera a), del Tuir.

più frequentemente, la tassazione è antici pata per effetto del rinvio, in tut-to o in parte, della deduzione di costi che civilisticamente sono di competenza dell’esercizio.

in particolare, ad esempio, la tassazione è anticipata per effetto della differi-ta deducibilità degli stessi. in tal senso, gli ammorta menti effettuati ai soli fini fiscali com portano il differimento della tassazione di una base imponibile di ammontare pari alla maggiore quota dedotta fino al periodo di imposta in cui il costo fiscalmente riconosciuto è stato interamente ammortizzato ma il periodo di ammortamento civilistico non è ancora terminato. a partire da tale esercizio le quote imputate in bilancio non risultano deducibili perché sono state già dedotte in periodi precedenti, con l’evidenziazione di un reddito imponibile superiore al risultato civilistico prima delle imposte62.

ancora, i compensi agli amministratori che, ai sensi dell’art. 62, comma 3, del Tuir sono dedu cibili nel periodo di imposta in cui sono corrispo sti mentre civilisticamente devono essere imputati al bilancio dell’esercizio per il quale sono stati deliberati. oppure si pensi alla quota di spese di rappresentanza deduci-bili in cinque esercizi ai sensi dell’art. 74, comma 2, del Tuir; o ancora alle spese di manutenzione eccedenti i limiti di cui all’art. 67, comma 7, del Tuir, che sono deducibili in quote costanti in cinque periodo d’imposta. in questi ca-

62 sempre a titolo esemplificativo si pensi all’ammortamento dell’avviamento quando la quota civilistica imputata ai sensi dell’art. 2426, comma 1, n. 6) c.c., è superiore al decimo del valore, mi-sura massima fiscalmente deducibile (art. 68, comma 3, Tuir). si supponga, ad esempio, che una società abbia dedotto in un esercizio una quota di ammortamento dell’avviamento, pari a lire 10.000, rappresentante il 20% dell’ammontare complessivo superiore, quindi, alla quota fiscalmente deduci-bile (un decimo). Detta impresa dovrà, dunque, annotare tra le variazioni in aumento dell’esercizio l’importo pari a lire 5.000.

in questa ipotesi l’impresa dovrà anticipare l’imposta che, tuttavia, potrà recuperare negli esercizi successivi, al termine dell’ammortamento fiscale. L’impresa de quo potrà quindi imputare nel conto economico (alla voce “imposte sul reddito”), oltre alla imposta “ordinaria” (irpeg ed irap, pari al 41,25%) dovuta sul reddito imponibile, anche quella relativa alla quota di ammortamento dedotta (lire 5.000) in eccedenza di quella consentita dalla legge, iscrivendo, in “contropartita” la voce “Debiti tri-butari”. Detto importo risulterà pari a lire 2062 (lire 5.000 x 41,25%). La stessa impresa dovrà, conte-stualmente iscrivere, tra le attività dello stato patrimoniale, alla voce “attività per imposte anticipate” e nel conto economico, alla voce “imposte differite”, l’importo di lire 2.062. L’effetto economico, ai fini del risultato di esercizio civilistico risulterà, limitatamente alla maggiore quota dedotta, pari a zero.

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si, a fronte di un maggiore imponibile nel periodo di imposta si ha, per pari importo, una riduzione del reddito nei periodi di imposta seguenti dovuta alla deduzione di costi successivamente all’esercizio in cui sono sostenuti ed impu-tati in bilancio.

il documento n. 25 dei principi contabili italiani richie de, pertanto, che nel bilancio di esercizio siano esposte le imposte che, “pur essendo di competen za di esercizi futuri sono esigibili con riferimento all’esercizio in corso (imposte antici-pate) e quelle che, pur essendo di competenza dell’esercizio, si renderanno esigibili solo in esercizi futuri (impo ste differite)”.

in particolare, la voce 22 del conto economico deve indicare le imposte che effettivamente posso no considerarsi di competenza dell’esercizio cui il bilancio si riferisce. a tal fine, nel caso di imposte anticipate il debito per le imposte che sono liquidate nella dichiarazione dei redditi ma che non risultano di compe-tenza dell’esercizio ha in contropartita un credito per imposte anticipate iscritto nell’attivo circolante che verrà chiuso contabilmente in corrispondenza delle im-poste di esercizio nell’esercizio in cui tale imposte risultano di competenza ai fini ciclistici. D’altro canto, nel caso di imposte differite, la voce imposte di esercizio deve essere aumentata del relativo importo in contropartita dell’iscrizione di un debito per imposte differite, che sarà chiuso contabilmente in corrispondenza del debito per imposte nel periodo in cui le stesse divengono esigibili.

7. L’introduzione e la soppressione delle voci 24 e 25 nel conto economico

Con la creazione delle voci 24 e 25, il legislatore aveva inserito nel conto economico una vera e propria appendice fiscale: lo schema di conto adottato prevedeva che dalla differenza algebrica tra costi e ricavi, calcolati sulla scorta dei soli principi civilistici, emergesse alla voce 23 un “risultato dell’esercizio”, l’unico che potesse essere considerato civilisticamente ed economicamente corret-to. Dopo l’evidenziazione di questo risultato, il conto si chiudeva con l’iscrizione dalle voci 24 e 25, costituenti rispettivamente rettifiche di valore e accantona-menti attuati in applicazione delle sole norme tributarie. Dalla somma algebrica della riga 23 con queste due ulteriori poste emergeva alla riga 26, quello che il legislatore aveva denominato “utile o perdita dell’esercizio”. È il caso ora di ribadire, come solo la voce 23 evidenziasse il vero utile dell’esercizio, essendo la successiva voce 26 molto più vicina ad un reddito imponibile e calcolata, perciò, sulla base dei criteri di impronta fiscale63.

il primo punto, che deve essere assolutamente fissato nell’ambito del discor-so qui affrontato, è che le voci accese ad accantonamenti e a rettifiche di valore

63 per una visione di insieme dello schema di conto economico si deve fare riferimento all’art. 2425 del c.c., il quale ha sostanzialmente recepito lo schema proposto dalla iV direttiva all’art. 23. preme ora sottolineare, come lo schema adottato dal legislatore interno ed in particolare la sua scelta di introdurre una appendice fiscale, per altro non richiesta dal legislatore comunitario (ricordiamo che questi chiedeva che le eventuali interferenze tributarie fossero evidenziate esclusivamente nell’al-legato al bilancio), abbia suscitato non poche perplessità, anche attorno al significato da attribuire alle varie voci ed alle implicazioni, anche pratiche (si pensi ad esempio alle incertezze emerse circa l’individuazione della voce da utilizzare per il calcolo della riserva obbligatoria), discendenti dalla loro presenza nel conto economico.

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operati esclusivamente in applicazione di norme tributarie riguardavano esclu-sivamente le rettifiche di segno negativo64 e destinate, perciò, a condurre ad un imponibile d’impresa inferiore all’utile d’esercizio. il principio qui esposto può, d’altro canto, essere confutato in vario modo. innanzitutto, vi è da considerare, che la conclusione, qui presentata, era in perfetto accordo con quanto disposto dall’art. 75 del Tuir65 il quale, come è noto, subordina la deducibilità fiscale dei componenti negativi di reddito alla loro preventiva imputazione a conto eco-nomico; questo ci spinge a concludere che, essendo le voci 24 e 25 utilizzate, oltre che per salvaguardare la chiarezza del bilancio, anche per permettere al contribuente di non perdere le agevolazioni a lui riservate proprio dall’art. 75, queste non potevano non accogliere i componenti negativi, mentre non vi sareb-be stata ragione per una indicazione nelle stesse anche dei componenti positivi riconosciuti solo a livello fiscale, in quanto questi non determinano alcuna in-terferenza sul bilancio, venendo in considerazione solo in sede di dichiarazione dei redditi.

si consideri, inoltre, che un bilancio, la cui compilazione era costantemente ispirata dal principio della prudenza, non avrebbe potuto mai accogliere degli elementi positivi di reddito di origine esclusivamente fiscale, dato che questo avrebbe potuto portare all’esposizione di un utile del tutto inesistente dal punto di vista economico66.

un altro punto che merita sicuramente di essere sottolineato, è quello in base al quale vi era da ritenere che nelle voci 24 e 25 confluissero tutte le ret-tifiche di segno negativo discendenti dall’applicazione dell’art. 75, a differenza di quanto prevedeva invece dalla direttiva Cee67 e questo era desumibile, sia dal tenore letterario dell’art. 2425 c.c., nel quale non era utilizzato in alcun mo-do l’aggettivo “eccezionali” in riferimento agli accantonamenti e alle rettifiche previste alle voci 24 e 25, sia dalla considerazione della volontà del legislatore, la quale era rivolta a far fruire al contribuente delle agevolazioni riservate lui dall’art. 75 del Tuir68.

altra materia su cui si è posta l’attenzione della dottrina atteneva al signifi-cato sotteso alle espressioni “rettifiche di valore” e “accantonamenti”. per quanto

64 Questo tipo di puntualizzazioni si rende necessaria anche per evitare gli equivoci, che potreb-bero emerge da un’interpretazione esclusivamente lessicale della norma, il legislatore, infatti, con una infelice scelta, ha utilizzato il termine rettifiche di valore in riferimento alla voce 24, non tenendo conto che l’espressione in questione può essere utilizzata tanto per rettifiche incrementative quanto decrementative e trascurando che egli stesso l’ha utilizzata con questa connotazione neutra nell’ambito dell’art. 2427 al punto 1. il discorso qui brevemente affrontato, viene sviluppato approfonditamente dal GaeTano, 1991, i, p. 275 e ss. Conferme a quanto affermato possono essere ritrovate, inoltre, sia nello scritto di a. MonTi, 1994, p. 52, tanto nello scritto di a. FanToZZi, 1991, p. 591.

65 per una autorevole conferma a quanto veniamo affermando ci si può rifare al CoLoMBo, che avendo partecipato in prima persona alla stesura del dettato normativo de quo, forse meglio di chiunque altro, può illuminare sulla volontà e sulla ratio che hanno guidato il legislatore nelle sue scelte. Vedasi Relazione di sintesi, op. cit., p. 159.

66 L’argomentazione è sviluppata dal FanToZZi, 1991.67 ricordiamo a tal proposito come la direttiva comunitaria, nell’affrontare il tema dell’eviden-

ziazione degli accantonamenti e delle rettifiche di origine esclusivamente fiscale, richiede, affinché sorga la necessità di una loro evidenziazione, che questi siano di tipo eccezionale e che trovino giu-stificazione esclusivamente nella normativa tributaria. a conferma di quanto detto, cfr. gli artt. 35 e 39 della direttiva

68 per un’analisi più approfondita degli elementi che ci spingono a trarre le conclusioni esposte cfr. a. MonTi, 1994, p. 51 ss.

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riguarda innanzitutto la voce 24, si può constatare che in una visione unitaria dell’ordinamento ossequiosa sia delle disposizioni civilistiche quanto di quelle tributarie essa si occupava principalmente, se non esclusivamente, del fenomeno degli ammortamenti, a condizione di utilizzare questo termine in senso allarga-to, come del resto vi è da ritenere avesse fatto il legislatore, che utilizzava tale dizione in perfetto accordo con la nuova definizione che di immobilizzazione era stata data dal D.Lgs. 127/91; questa definizione portava a ritenere che nella voce 24 dovessero confluire non solo gli ammortamenti anticipati, bensì, anche tutte quelle diminuzioni di valore che riguardavano immobilizzazioni finanziarie, immateriali nonché costi pluriennali, purché di origine fiscale69. per ciò che ri-guarda poi la voce 25, si può ipotizzare, che il legislatore nell’utilizzare il termine accantonamenti avesse in mente un concetto più vasto rispetto al significato, che nell’ambito del D.Lgs. 127/91, si dà al termine accantonamento70 e che, dunque, questo conto fosse destinato ad accogliere non solo accantonamenti in senso stretto, ma anche vere e proprie riserve (quindi poste di netto)71.

È interessante a questo punto chiedersi, se esistesse un elemento discriminan-te per ciò che concerne la ratio sottesa alle norme, che originavano le influenze fiscali che erano destinate a confluire nelle voci che si stanno qui esaminando e quelle che davano luogo a delle semplici variazioni temporanee o permanenti. in effetti, ad un’analisi condotta con un minimo di attenzione, non potrà certo

69 in riferimento alla voce 24, se non vi sono tutto sommato perplessità in riferimento al suo contenuto, qualche problema di maggior rilievo viene dato dalla modalità contabile con cui tali ret-tifiche fiscali debbono essere trattate. Come, infatti, mette in evidenzia GaeTano, L’appendice fiscale al conto economico nello schema di legge delegata per l’attuazione della IV direttiva CEE, op. cit., le tecniche contabili utilizzabili sono sostanzialmente due. una prima soluzione sarebbe quella di con-siderare queste rettifiche al pari di una qualsiasi altra rettifica di origine civile e di portare, perciò, il valore delle stesse a diretta riduzione del valore delle immobilizzazione a cui si riferiscono. Questa soluzione, tuttavia, risulta essere quanto mai infeconda, dato che questo porterebbe ad una sottostima del capitale netto ed a una conseguente creazione di riserve occulte di utili, che emergerebbero solo in futuro nel momento in cui, per i beni oggetto di svalutazione, si realizzassero direttamente od indirettamente somme maggiori a quelle per cui tali beni sono iscritti in bilancio. il problema non sussiste, al contrario, in riferimento alla voce 25, dato che questi accantonamenti danno luogo alla formazione di riserve palesi di utili. una scelta di tal tipo comporterebbe una inevitabile perdita di chiarezza ed il principio della rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale, finan-ziaria ed economica verrebbe, snaturata, dato che, da semplice documento integrativo, diventerebbe un vero e proprio documento supplente, destinato a sanare le lacune del conto economico. L’unica solu-zione contabile praticabile, alla luce anche di quanto appena detto, sembra essere quella di iscrivere i cespiti in bilancio al netto delle sole svalutazioni civilistiche, creando, invece, a fronte di quelle di origine tributaria delle riserve palesi di utili, al pari di quanto avviene per gli accantonamenti previsti dalla voce 25, riserve costituite al solo fine di portare in deduzione componenti negativi di reddito in misura superiore a quella civilmente riconosciuta ai fini impositivi. solo così facendo, si potrebbero dire di aver compiuto un ulteriore passo in avanti verso la chiarezza del bilancio.

70 si ricorda che, ai fini civilistici e più precisamente in base a quanto previsto dall’art. 2424 bis, gli accantonamenti sono destinati alla copertura di perdite o debiti di natura determinata, di esistenza certa o probabile, dei quali, tuttavia, alla chiusura dell’esercizio sono indeterminati o l’ammontare o la data di sopravvenienza.

71 È opportuno sottolineare che, in alcuni casi, le norme fiscali richiedono che, alcuni componenti positivi di reddito (ad esempio contributi pubblici in conto esercizio), per poter fruire della sospensio-ne d’imposta o del differimento della tassazione, debbano essere indicati in apposite voci dello stato patrimoniale e che per poter fare questo vi è la necessità di effettuare ovviamente un corrispondente accantonamento, che comparirà nel conto economico, questo accantonamento proprio perché di ori-gine fiscale confluirà nella voce 25 salvaguardando, così, la chiarezza del bilancio. per un eventuale approfondimento della problematica, cfr. a. MonTi, 1994, p. 57 e r. CaraMeL, 1994, p. 265.

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sfuggire che le iscrizioni effettuate in tali conti erano quasi sempre finalizzate all’ottenimento di agevolazioni fiscali72 e l’obiettivo del legislatore sembrava essere proprio questo, e cioè di consentire il rinvio a periodi d’imposta successivi del-la tassazione di elementi di reddito o di condizionarne la tassazione all’utilizzo che ne sarebbe stato fatto in futuro: si trattava, in buona sostanza, di quelle norme che il Falsitta definisce sovvenzionali, norme, cioè, di tipo incentivante, il cui utilizzo è finalizzato all’attuazione di particolari politiche economiche e più precisamente al soddisfacimento di esigenze di efficienza, rafforzamento e razionalizzazione dell’apparato produttivo73. per quanto riguarda le disposizioni rientranti in questa prima categoria, la distanza, che le separava da quelle che davano origine a mere differenze temporanee o permanenti appare immediata, ma sembra attenuarsi, nel momento in cui si passa a considerare la seconda tipologia di rettifiche che erano destinate a confluire nell’appendice fiscale, e più specificatamente nella voce 25: queste, infatti, nascevano dall’esigenza del legi-slatore tributario di ridurre gli ambiti di manovra e di scelta del redattore del bilancio, vincolandolo al rispetto di criteri di valutazione molto più rigidi. È, d’altro canto, evidente come, in questo caso, l’utilizzo della cosiddetta appendi-ce fiscale risultasse essere solamente eventuale, poiché la maggiore rigidità dei criteri tributari potevano portare a variazioni tanto incrementative quanto decre-mentative e solo in quest’ultima ipotesi sarebbe stato lecito ricorrere all’utilizzo delle voci 24 e 25, dato che, in ipotesi di variazioni incrementative, come si è più volte avuto modo di sottolineare, sarebbe stato sufficiente far ricorso alle variazioni in sede di dichiarazione dei redditi74.

i problemi suscitati dall’appendice fiscale del bilancio sembravano destinati a non avere mai fine, dal momento che, da più parti, si fece notare come le solu-zioni adottate comportassero incertezze anche per quanto riguarda l’applicazione di altre norme di diritto societario75, dal momento che l’esistenza dell’appendi-ce fiscale, e la conseguente esistenza di due “tipologie” di utile risultanti alle voci 23 e 26, faceva sorgere il dubbio su quali di questi due valori la riserva dovesse di fatto essere calcolata76. ora, se tale incertezza è risolta adottando la

72 L’esistenza nel nostro ordinamento di norme di tal tipo viene messa in evidenza da numerosi autori primo fra tutti G. FaLsiTTa, che esamina questa tipologia di norma in numerosi suoi scritti primo fra tutti Il bilancio di esercizio delle imprese, op. cit., dove l’argomento viene trattato in varie sezioni dell’opera. L’argomento viene ripreso anche in I rapporti tra bi1ancio civile e bilancio fiscale alla luce della IV direttiva CEE, op. cit., p. 97 e ss. La materia viene trattata in modo interessante anche dal piaZZa, Il bilancio di esercizio e il reddito imponibile, op. cit., p. 456 e ss., dove mette in risalto in particolare la differenza tra norme sovvenzionali e strutturali ed i dubbi riguardo l’insensibilità di queste ultime nell’appendice fiscale del bilancio.

73 Questa è la funzione che lo stessa legge delega per la riforma del sistema tributario assegnò alle norme cosiddette agevolative, si veda in proposito l’art. 2 della legge 9 ottobre 1971, n. 825.

74 L’ipotesi qui riportata viene sviluppata dalla MonTi, 1994, p. 59.75 prima fra tutte quella che prevede la costituzione di una riserva legale ai sensi dell’art. 2428

c.c.. oltre al caso della riserva legale, si pensi ai dubbi circa la realizzabilità degli accantonamenti e delle riserve di natura fiscale a fronte di un risultato di esercizio, così come risultante al rigo 23, di segno negativo o al fatto che agli amministratori, tramite un’appendice fiscale, viene di fatto data la possibilità di costituire riserve di utili prerogativa questa, come è noto, riservata all’assemblea. Tutti questi che, almeno in parte, sono rimasti senza risposta, forse anche a causa della breve vita riservata all’appendice fiscale. per una loro più approfondita trattazione si può, in ogni caso, rimandare agli scritti più volte citati in tale paragrafo del CoLoMBo, del FaLsiTTa, della MonTi, del FanToZZi e del GaeTano.

76 Tale difficoltà è evidenziata fra gli altri dal GaeTano, L’appendice fiscale al conto economico

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soluzione che sembra più evidente ed immediata, assumendo dunque quale base di calcolo per la determinazione dell’accantonamento a riserva legale l’importo indicato al rigo 26, si giunge ad un risultato “ingiusto”, ma che sembra non avere altra soluzione: come ha fatto notare il Colombo, ad un tale risultato si giungeva anche nel vigore della normativa precedente, dato che rettifiche ed ac-cantonamenti esclusivamente fiscali venivano in ogni caso compiuti e le conse-guenze degli stessi erano totalmente occulti, se non altro la soluzione adottata rende gli stessi palesi.

Come già ricordato, con la legge n. 503 del 1994, sono stati abrogati i nu-meri 23, 24 e 25 dell’art. 2425 c.c. allo stesso tempo è stato inserito un com-ma di chiusura all’art. 2426, che così recita: “è consentito effettuare rettifiche di valore a accantonamenti esclusivamente in applicazione di norme tributarie”. La dottrina77 ha, da subito, sottolineato il carattere facoltativo della iscrizione in bilancio delle rettifiche di valore e degli accantonamenti effettuati in applicazio-ne di normative fiscali.

il risultato della riforma, stante anche il tenore nel “nuovo” articolo 2426 c.c., è stato di recepire una sorta di “dipendenza parziale”78, facendo in modo che le poste di origine fiscale affluiscano indistintamente a conto economico, causando una perdita di informazioni e affidando alla sola nota integrativa il compito di ristabilire la chiarezza del bilancio.

8. Conclusioni

per quanto fin qui detto, sembra non possa essere negata la presenza, nell’at-tuale impianto legislativo, di una dipendenza rovesciata tra i due corpus nor-mativi79.

alcuni autori80 hanno delineato alcune strade percorribili dal legislatore, nell’ipotesi che si intenda mantenere l’attuale rapporto di dipendenza rovesciata, ascrivibile al quarto comma dell’art. 75 del Tuir. La prima è data dalla rein-troduzione dell’appendice fiscale. L’intervento, ovviamente, dovrebbe tener con-to dell’esperienza passata e risolvere perciò i dubbi circa le voci che possono effettivamente confluire in tale appendice, ed individuare la contropartita alle iscrizioni di conto economico. La soluzione ventilata consiste nella creazione di un’appendice fiscale nello stato patrimoniale o la creazione di un gruppo di riserve di patrimonio netto di origine fiscale.

La seconda soluzione è rappresentata dalla sostituzione dell’obbligo di iscri-zione a conto economico delle componenti negative di reddito di sola origine

nello schema di legge delegata per l’attuazione della IV direttiva CEE, op. cit., quanto dal CoLoMBo, Relazione di sintesi, op. cit..

77 e. nuZZo, 1995, p 18 e ss. 78 in questi termini anche G. FaLsiTTa, 1999, p.145; G. ZiZZo, Torino, 1994, p. 469 e ss. si

veda anche F. GaLLo, 2000, secondo il quale: “all’eliminazione delle voci 25 e 26 dello schema di conto economico non ha fatto seguito il venir meno della interferenza fra regole civile e fiscali. Essa è rimasta sancita, direi con ancora maggiore convinzione, dall’art. 2426, comma 2, il quale stabilisce ora che possono essere “imputate al conto economico rettifiche di valore ed Accantonamenti per (soli) motivi fiscali”.

79 si veda, a tale proposito, le conclusioni cui giunge F.M. GiuLiani, 2000, p. 310. 80 Cfr. G. GeLosa, padova, 1997, p. 615 e ss.

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fiscale per poter beneficiare della deducibilità, con la richiesta di effettuare ac-cantonamenti di utili a riserva (ovviamente in sospensione d’imposta) per un importo pari al valore del componente negativo stesso81.

esiste, poi, una soluzione sicuramente più radicale: l’eliminazione del quarto comma dell’articolo 75 del Tuir82. Ciò rimuoverebbe il principio di dipendenza rovesciata, facendo venire meno la “supremazia” del Legislatore tributario su quello civilistico, e recepirebbe il principio del “doppio binario”83.

a sostegno di questa posizione, la dottrina fa notare come la forfetizzazione fiscale dei componenti negativi di reddito, non sia tanto posta a tutela degli in-teressi dei contribuenti, quanto di quelli dell’amministrazione finanziaria. invero, tale modalità di determinazione dei costi, ha la chiara funzione di limitare la deducibilità fiscale di componenti negativi di reddito civilisticamente provati ed imputati a conto economico84.

È infine opportuno soffermarsi sulla proposta avanzata dalla cd. Commissione Mirone85, nella quale convergono alcune delle ipotesi sopra illustrate, che sono così destinate a confluire in una proposta unitaria.

La soluzione accolta nella bozza di legge delega consiste nell’abrogazione del comma 2 dell’articolo 2426, prevedendo, al contempo, la possibilità in sede di di-chiarazione dei redditi di riconoscere i componenti negativi del reddito misurati forfetariamente ai fini fiscali, ove essi eccedano in tutto o in parte i costi effetti-vamente imputabili al conto economico, a prescindere dalla loro imputazione.

alla base dell’impostazione di tale proposta è sottesa la convinzione che il bilancio di esercizio debba ancora rappresentare un elemento necessario, dal quale non sia possibile prescindere nel calcolo del reddito imponibile. si man-tiene quindi saldo il principio sancito dall’articolo 52 del Tuir, ove si rimanda alle risultanze civilistiche del bilancio ai fini della determinazione del reddito

81 secondo G. GeLosa, ibidem, p. 629, in questo modo si riuscirebbe a salvaguardare la finalità perseguita dal legislatore con il quarto comma dell’articolo 75 Tuir: id est “impedire che in caso di benefici tributari sovvenzionali il socio posa prelevare utili non corrisposti all’effettivo imponibile depaupe-rando l’impresa (al cui vantaggio la norma agevolativa fu introdotta) a proprio esclusivo vantaggio…..La possibilità-obbligo di vincolare a riserva in sede di approvazione di bilancio tutti gli altri accantonamenti effettuati esclusivamente in applicazione di norme tributarie, con idoneo dettaglio nella nota integrativa avrebbe permesso di ovviare l’inutile divergenza normativa tra benefici tributari uguali ad accantonamenti di utili per il codice civile e benefici tributari uguali a spese per la norma tributaria”.

82 F. GaLLo, 2000, p. 7, fa notare come: “l’art. 74 DPR n. 597, prima, e l’art. 75 TUIR, dopo, erano una vera e propria norma di garanzia: sancivano il principio dell’imputazione a conto economico proprio per dare la certezza che il costo fiscale fosse effettivo, avesse cioè una valenza economica. Con-sentendosi con il comma 2 dell’art. 2426 di inserire nel conto economico anche i costi solo fiscali, questa regola è stata invece resa evanescente. In altri termini, tale comma 2 ha sovvertito la regola della previa imputazione da sostanziale a puramente formale privandola della sua originaria funzione applicativa”. L’autore conclude, auspicando l’eliminazione del comma 2 dell’art. 2426, restituendo, in tal modo, al bilancio la sua autonomia funzionale; al contempo, la modifica dell’art. 75 in modo da non togliere la possibilità di avvalersi della opportunità della deducibilità dei costi forfetari solo fiscali.

83 il problema, a questo punto, sarebbe legato all’esistenza di un utile civilistico superiore a quello fiscale e, dunque, il pericolo che vengano distribuiti utili che non hanno ancora scontato l’imposta. a tale problema, si può comunque ovviare con un meccanismo di conguaglio che, in caso di distribu-zione, assoggetta a tassazione quella quota di utili che ancora non vi sono stati sottoposti.

84 Cfr., F. GaLLo, ibidem, l’autore, quindi, continua lo stesso iter logico prendendo in esame, mutatis mutandis, le ipotesi di deducibilità e di sospensione d’imposta previste da norme cosiddette sovvenzionali.

85 esattamente il sottogruppo “Disciplina del Bilancio” della Commissione ministeriale di studio per la riforma del diritto societario.

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imponibile. non c’è quindi l’intenzione di “disancorarsi” tout court dal bilancio di esercizio, ritenuto invece importante garanzia per il contribuente e per l’am-ministrazione finanziaria. se infatti da un lato, per il contribuente, il risultato che scaturisce dal conto economico può essere considerato la misura più atten-dibile della ricchezza prodotta dall’impresa ed elemento sul quale commisurare la capacità contributiva, al contempo per l’amministrazione finanziaria è garanzia di attendibilità del reddito dichiarato.

È la “non necessità” dell’imputazione a bilancio la vera chiave di volta che consente di mantenere l’impostazione tradizionale del riferimento al risultato civilistico, con il vantaggio allo stesso tempo di evitare fenomeni inquinanti.

Tale risultato era già stato raggiunto nel 1994 quando l’amministrazione fi-nanziaria dichiarò deducibili gli ammortamenti anticipati nonostante il mancato transito da conto economico. Con l’estensione di tale previsione a tutte le altre norme “sovvenzionali” potrebbe essere risolto il problema dell’inquinamento fi-scale del bilancio di esercizio86.

Tale soluzione, che è stata definita anche come “via minimalista” per la sua rispondenza ad un principio di economia normativa, è stata tuttavia oggetto di critiche. in particolare parte della dottrina87, pur riconoscendo come vantaggiosi alcuni aspetti della soluzione, ha manifestato perplessità concernenti la divergen-za dei valori rilevanti ai fini civilistici e fiscali in seguito al verificarsi di opera-zioni straordinarie volte alla ridefinizione degli assetti produttivi. La sempre più frequente divaricazione fra tali valori ha richiesto l’intervento del legislatore per l’introduzione di norme ad hoc che possano consentire, a determinate condizioni, un riallineamento88. sarebbe quindi opportuno prendere coscienza di tale realtà e provvedere all’adozione di un sistema di impronta statunitense, quale quello del doppio binario che permetta la redazione di documenti distinti a seconda della classe di valori a cui ci si riferisce.

nonostante tale possibilità non è stata imboccata la strada del doppio binario “puro”, ma, parafrasando il pensiero di uno dei fautori della riforma, il prof. Gallo89, in un’ottica di coerenza storica, si è preferito optare per un doppio bi-nario “sostanziale”, che si esplica nell’abrogazione del comma 2 dell’articolo 2426

86 La distinzione tra norme tributarie sovvenzionali (o agevolative) e strutturali è ben evidenzia-ta da G. ZiZZo, 2000, p. 503, dove si chiarisce che sono proprio le norme cd. agevolative a creare seri problemi di interferenza fiscale nel bilancio di esercizio per il verificarsi del fenomeno della cd. “dipendenza rovesciata”.

87 Cfr. T. Di Tanno, 2000, p. 414.88 proprio alla luce di tale problematiche T. Di Tanno, ibidem, è maggiormente favorevole ad una

soluzione più radicale, ossia all’introduzione di un doppio binario “puro”, svincolando completamente la determinazione del reddito imponibile rispetto al risultato di bilancio, con la contestuale redazione di un “documento contabile” fiscale autonomo da quello civile. si noti tuttavia che secondo l’autore i criteri ispiratrici della redazione del “bilancio fiscale” non dovrebbero essere lasciati all’arbitrio del legislatore fiscale, bensì dovrebbero ricalcare i principi validi per la redazione del bilancio civile, di-scostandosi da questi solo laddove intervenga una specifica norma fiscale che possa condurre ad una diversa determinazione del valore. secondo l’autore si tratterebbe solamente di esplicitare e dare piena valenza alla regola del doppio binario che già è presente nel nostro ordinamento e che conduce in diverse circostanze alla redazione di una doppia contabilità. un ulteriore vantaggio dell’introduzione del sistema del doppio binario sarebbe rappresentato dalla possibilità di determinare in modo più preciso il campo di intervento del legislatore tributario, eliminando, fra l’altro, le incertezze relative al rapporto tra disciplina antielusiva e deduzioni di componenti negativi forfetari che non hanno realtà economica in sede di bilancio civile.

89 Cfr. F. GaLLo, 2000, p. 11.

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e nella parziale eliminazione dell’obbligo di imputazione a conto economico.in conclusione, l’art. 109, comma 4, Tuir, ribadisce il principio della impu-

tazione a conto economico delle spese e gli altri componenti negativi affinché siano deducibili. Tuttavia, in deroga a tale principio, lo stesso art. 109, comma 4, dispone la deducibilità dei costi imputati al conto economico di un esercizio precedente, se la deduzione è stata rinviata in conformità alle precedenti norma della presente sezione che dispongono o consentono il rinvio; ma soprattutto di quelli che pur non essendo imputabili a conto economico sono deducibili per disposizioni di legge. in particolare, gli ammortamenti, le altre rettifiche di valore e gli accantonamenti sono deducibili se in apposito prospetto di ricon-ciliazione è indicato il loro importo complessivo, i valori civilistici e fiscali dei beni e quelli dei fondi.

Tale testo è già stato considerato farraginoso, complicato e oscuro, soprattutto nel punto in cui si preoccupa di porre la regola della condizione risolutiva: una versione che, ironia della sorte, nasce sul tronco di una legge delega il cui art. 2, al punto c), impone il rispetto dei “principi di chiarezza, semplicità, conosci-bilità effettiva” delle norme da emanare90.

90 in tal senso G. FaLsiTTa, Il problema dei rapporti tra bilancio civile e bilancio fiscale nel pro-getto di riforma (…), cit., 931.

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