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APRILE 2016, NUMERO 0 La notte stellata Rivista di Psicologia e Psicoterapia

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APRILE 2016, NUMERO 0

La notte stellata Rivista di Psicologia e Psicoterapia

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La notte stellata Volume 0, Numero 0, Aprile 2016 !

SOMMARIO

Il disturbo grave di personalità è un insegnamento sul nostro funzionamento!Intervento di Luigi Cancrini al workshop con Lorna Smith Benjamin !

svolto a Roma nel 2013!1!!

Anche i bambini vittime di un’infanzia fatta di abusi, !violenze e maltrattamenti possono essere aiutati!

Francesco Colacicco!3!!

L’incontro con la famiglia nello Spazio Neutro!Francesca Martini!

8!!“SIGNORIA E SERVITU’”:!

la storia di Giorgio tra dipendenza e autonomia.!Tesi di specializzazione in psicoterapia di Vincenza Lopreiato!

21!!Un’ansia da separazione … contagiosa!!!!

Storia della famiglia Fiore …!Tesi di specializzazione in psicoterapia di Claudia Colamedici!

40!!

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Il disturbo grave di personalità è un insegnamento sul nostro funzionamento Intervento di Luigi Cancrini al workshop con Lorna Smith Benjamin 1

svolto a Roma nel 2013 2!!Come terapeuti, siamo sempre di fronte all’idea che nella nostra testa agiscano e si muovano

continuamente due famiglie. Una è quella lontana della nostra infanzia e l’altra è quella attuale con cui ci misuriamo giorno dopo giorno. Nella storia della psicoterapia, Freud cercava di ricostruire la prima, la famiglia lontana, ed era meno interessato a quella attuale. Negli anni ’50 – ’60 il movimento della terapia familiare ci ha insegnato l’importanza, invece, della famiglia attuale.

Sullivan è uno psichiatra (e psicoterapeuta) straordinario che, negli anni ’30 negli Stati Uniti, ha lavorato, partendo dalle idee di Freud sul transfert, con pazienti schizofrenici, che da questo punto di vista sono i più “diretti” perché il loro inconscio è pronto, i fantasmi del passato si muovono in modo visibile anche nel presente, non ci sono tanti filtri. Lui diceva: “il transfert del paziente non avviene solo con il terapeuta, egli lo fa con l’infermiere, con la moglie, con le persone che ha intorno, con il medico, con l’altro paziente….quello che noi dobbiamo cercare di capire è come lui mette in atto il transfert, ovvero come lui proietta i fantasmi della vecchia esperienza su quella che sta vivendo”. E’ su tutto questo che lavora Sullivanin ospedale, a Chestnut Lodge , in questa straordinaria fucina di riflessioni 3

sulla schizofrenia e sulla psicoterapia della schizofrenia. Dove di queste idee si nutrono Searles e la Fromm Reichmann, Erik Fromm e uno dei padri della terapia famigliare,Donald deAvila Jackson.

Tornando alle due famiglie, quando un paziente viene da solo, non viene senza famiglia. La famiglia ce l’ha nella mente e, se è adulto e organizzato, nella mente ne ha due. Il compito del terapeuta è quello di aiutarlo a capire quanto, attraverso problemi che lui vive adesso con le persone che ha intorno, ed eventualmente con il terapeuta, egli rivive problemi antichi.

La cosa affascinante di questo lavoro con Lorna è che si ritorna alle origini della psicoterapia con cento anni di più di esperienza e di ricchezza. Il testo di Lorna parla di disturbi gravi di personalità: io sono dell’idea che vicini al disturbo di personalità ci troviamo comunque a volte tutti, per brevi momenti, in situazioni di forte tensione interpersonale. Ne ho parlato a lungo ne l’Oceano Borderline 4

e continuo a pensare quanto sarebbe importante tenere conto sempre di come il funzionamento borderline si localizza: diciamo che è più grave quello che se lo porta dappertutto e che è un po’ meno grave quello che lo concentra sul tennis a cui gioca, o sulla moglie, o sul capoufficio sempre sapendo,però, che i meccanismi del disturbo grave di personalità sono gli stessi con cui ci scontriamo con persone molto meno gravi e anche nella didattica. Anche nella riflessione su noi stessi.

Il disturbo grave di personalità è quindi un insegnamento sul nostro funzionamento. Freud insegnava, ed aveva ragione, che non c’è differenza qualitativa tra il nevrotico – diceva lui allora, ma oggi noi diagnosticheremmo a molti dei suoi pazienti un disturbo di personalità – e il normale. Un po’ di nevrosi ce l’hanno tutti, e un po’ di normalità ce l’hanno tutti. Anche il paziente schizofrenico più grave, diceva lui, ha un angolino della mente in cui funziona normalmente. Ed anche la persona più sana, dall’altra parte, ha un angolo più o meno grande della mente in cui funziona molto male. Io credo che, seppure nato dall’esperienza fatta con i pazienti gravi per la diffusione in una certa fase della loro vita del loro star male, l’insieme delle cose scritte da Lorna Smith Benjamin va inteso come qualcosa che ci riguarda in prima persona.

Un’ultima osservazione. Molto al di là delle cose scritte, chi come me ha visto Lorna al lavoro con i suoi pazienti o ha avuto modo di vedere le videoregistrazioni delle sue sedute di terapia, non può

! 1La notte stellataAPRILE 2016, NUMERO 0

Presidente del Centro Studi di Terapia Familiare e Relazionale di Roma e Responsabile Scientifico dell’Istituto Dedalus1

Workshop: La formulazione del caso secondo la Terapia Ricostruttiva Interpersonale, Istituto Dedalus e Istituto Random, 2

Sala Unicef, Roma, Marzo 2013

Ann Louise Silver, Chestnut Lodge, then and now. Work with a patient with schizophrenia an obsessive compulsive 3

disorder, in Contemporary Psychoanalysis, Vol. 33, N. 2, 1997

Cancrini, L., L’oceano Borderline, Cortina Editore, Milano, 2006 4

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non essere stato colpito, oltre che dalle sue parole, dal modo in cui li accoglie, li accarezza con lo sguardo e con la postura del suo corpo. Mi è capitato di recente di tenere una conferenza insieme al prof. Giacomo Rizzolatti che si occupa dello studio dei neuroni- specchio : io credo che sia importante 5

capire quanto i nostri neuroni possano funzionare da specchio per l’altro, per la costruzione dell’empatia. Senza empatia non c’è lavoro terapeutico. L’insegnamento di Lorna su questo punto è fondamentale e ricordarlo mi sembra importante perché introduce una riflessione scritta sul suo lavoro e sul suo insegnamento. !! !

! 2La notte stellataAPRILE 2016, NUMERO 0

Kandel Eric R., L' età dell'inconscio. Arte, mente e cervello dalla grande Vienna ai nostri giorni, Cortina Editore, Milano, 5

2006

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Anche i bambini vittime di un’infanzia fatta di abusi, violenze e maltrattamenti possono essere aiutati

Francesco Colacicco !Stimolato dai discorsi fatti al Convegno del Centro Studi “Le nuove idee”, che si è svolto a Roma

il 9 e 10 ottobre dello scorso anno, e soprattutto dagli interventi di Luigi Cancrini sulle infanzie infelici e di Clara Mucci su trauma e perdono, ho voluto dare qui un mio contributo su questi temi tra loro così intrecciati.

Quello che segue è un estratto tratto da un mio contributo ad un lavoro svolto con l’équipe 1

dello Spazio Neutro di Palermo. !L’Organizzazione Mondiale della Sanità è stata la prima organizzazione a tracciare un bilancio

complessivo sull’epidemiologia della violenza in tutte le sue forme con il Global Status Report on Violence Prevention 2014, pubblicato l’11 dicembre 2014 . Il Rapporto stima che: 1 adulto su 4 (25%) 2

nel mondo è stato abusato fisicamente da bambino; il 36% degli adulti dichiarano di aver subìto un abuso psicologico; 1 donna su 5 (il 20%), 1 uomo su 10 circa (5-10%) ha subito abuso sessuale da bambino; 1 donna su 3 è stata vittima di violenza fisica o sessuale perpetrata dal proprio partner; 1 anziano su 17 è vittima di violenza.

Trascuratezza materiale o affettiva, violenza assistita, maltrattamento psicologico, patologia delle cure, maltrattamento fisico e abuso sessuale: sono le declinazioni di un fenomeno che ferisce l’anima, che genera sofferenza, disagio, malessere, che provoca danni fisici e disturbi mentali.

Dalla recente ricerca curata per l’Authority dell’Infanzia da Terre des Hommes e dal CISMAI 3 4

emerge che i bambini maltrattati in Italia e già seguiti dai servizi sociali sono 91 mila : sono coloro che 5

abitano la città dell’infanzia violata. Le bambine e le adolescenti e i minorenni di origine straniera sono i più vulnerabili ai maltrattamenti. Centro e Sud sono le aree a maggior rischio.

L'indagine è stata effettuata sui 2,4 milioni di minori residenti nei 231 comuni di Italia che hanno partecipato all’iniziativa. Rispetto alle aree geografiche, la redemption è stata di: 63 comuni per il Nord-Ovest (tra cui Milano, Genova, Torino); 50 comuni per il Nord-Est (tra cui Bologna, Venezia); 50 comuni per il Centro (tra cui Firenze); 68 comuni per il Sud (tra cui Cagliari, Napoli, Palermo). Confrontando questi risultati con le ricerche epidemiologiche sul maltrattamento in altri paesi emerge che l'Italia ha un indice di prevalenza (9,5 casi per mille) inferiore al Canada (9,7), all’Inghilterra (11,2) e agli Stati Uniti (12,1). Le differenze sono ancora più marcate analizzando le differenti tipologie di maltrattamento: per quel che riguarda la violenza sessuale in Italia l'incidenza (4 bambini su 100 maltrattati) appare fra le più basse registrate nei paesi industrializzati.

Rispetto al totale dei bambini e adolescenti seguiti dai servizi, i minorenni presi in carico per maltrattamento sono più numerosi al Sud e al Centro (rispettivamente 273,7 e 259,9 ogni mille) contro i 155,7 casi al Nord. Ogni 1.000 minorenni residenti quasi 48 sono seguiti dai servizi sociali, per un

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Colacicco F., Cacciare i fantasmi dalla stanza dei bambini, in Caruso I. e Mantegna C. (a cura di), Oikos, legami familiari. 1

Nuove prospettive d’intervento nei casi di genitorialità fragile, Franco Angeli, Milano 2015.

WHO, Global Status Report on Violence Prevention 2014, Geneve, 2014. 2

Nata nel 1989 in Italia e diventata Fondazione nel 1994 Terre des Hommes Italia nell’ultimo anno ha realizzato 90 progetti 3

in 22 paesi del mondo dedicandosi in particolare ai temi della Child Protection, della sanità di base e del diritto all’educazione

Nel 1993 su iniziativa di alcuni centri attivi in Italia nell’ambito della tutela e cura dei minori è stato costituito il 4

Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia – CISMAI. La presentazione ufficiale del CISMAI è stata fatta al Pre-Congress della 4a Conferenza Europea dell’Ispcan (International Society Prevention Child Abuse and Neglect) svoltasi ad Abano Terme nel marzo 1993.

Indagine nazionale sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti in Italia, condotta da Terre des Hommes e Cismai 5

per l'Autorità Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza, Roma, 15 maggio 2015.

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totale stimato di 457.453 casi; di questi 91.272 sono stati presi in carico perché maltrattati (9,5 ogni mille minori residenti).

Le femmine sono particolarmente esposte: su 1.000 bambine assistite, 212,6 sono in carico per maltrattamento, mentre su 1.000 maschi solo 193,5 sono seguiti per la stessa causa. L'indagine mostra inoltre che tra la popolazione minorile straniera residente la prevalenza dei bambini maltrattati è doppia rispetto a quella dei bambini italiani maltrattati: 20 bambini stranieri ogni 1.000 contro gli 8,3 per mille degli italiani.

Non sempre il maltrattamento è la causa primaria dell'avvio dell'assistenza al minore da parte dei servizi. Ciò accade nelle forme più evidenti d'abuso, come l'abuso sessuale o le violenze fisiche, mentre nei casi di abusi psicologici, trascuratezza materiale e/o affettiva e la violenza assistita, spesso il bambino arriva ai servizi per motivi differenti e solo in un secondo momento viene registrato anche il maltrattamento tra i motivi della presa in carico.

Tra le tipologie più frequenti di maltrattamento troviamo la trascuratezza materiale e/o affettiva (47,1% dei casi seguiti), la violenza assistita (19,4%) e il maltrattamento psicologico (13,7%). Se alla trascuratezza materiale e/o affettiva affianchiamo il dato relativo alla patologia delle cure (8,4%), si può affermare che oltre la metà dei bambini maltrattati subisce una grave forma di trascuratezza. Al secondo posto c'è la violenza assistita: un bambino su 5 di quelli maltrattati è testimone di violenza domestica e ne soffre le conseguenze. Il maltrattamento psicologico ha un'incidenza superiore rispetto a quello fisico (13,7% contro il 6,9%), pur avendo conseguenze tali da richiedere l'assistenza dei Servizi Sociali.

Per quanto riguarda l’intervento dei servizi l’indagine rileva che mediamente ogni bambino maltrattato riceve due tipologie di servizio di protezione e tutela, come assistenza economica alla famiglia (nel 27,9% dei casi), inserimento in comunità (19,3%), assistenza domiciliare (17,9%), affidamento familiare (14,4%), assistenza in un centro diurno (10,2%). I servizi sciali al Nord assistono un numero maggiore di minori, riuscendo così a svolgere anche una funzione di prevenzione, mentre al Sud e al Centro arrivano ai Servizi soprattutto i casi più gravi . 6

Una importante iniziativa politica presa in Italia per la prevenzione e la cura dei maltrattamenti sui minori è stata la legge 285 del 1997. Purtroppo, da allora, poco altro si è fatto. Le possibilità d’intervenire delle amministrazioni locali sono sempre più limitate e molte delle buone pratiche cresciute negli ultimi anni rischiano oggi di essere abbandonate per mancanza di fondi. Sembra non ci si renda conto del fatto che i minori non curati per tempo procurano danni e guasti a sé stessi molto più costosi degli interventi che sarebbero necessari per rispettare il diritto dei bambini ad essere curati. L'indagine condotta dall'Università Bocconi per conto di CISMAI e Terre des Hommes sui costi sociali della violenza ha stimato che l’attivazione di un sistema di prevenzione precoce assicurerebbe un risparmio per lo stato di circa 13 miliardi di euro l'anno (sarebbe in primo luogo necessario adottare 7

negli ospedali, presso i pediatri di famiglia e presso gli altri servizi sanitari di base, strumenti di screening del maltrattamento nella fascia 0-3 anni).

“Credo che in Italia sia fortemente minoritaria una cultura e una tutela dell’infanzia basata sulla conoscenza dei rischi cui troppi bambini troppo spesso sono esposti nelle famiglie più sfortunate. Soprattutto però, quella che manca, è la consapevolezza del diritto di questi bambini e delle loro famiglie ad essere curati, in famiglia e fuori, cominciando dal momento in cui stanno nella pancia delle loro madri, e della necessità di integrare queste cure con interventi di livello psicoterapeutico. La cultura maggioritaria è ancora oggi una cultura basata sull’idea lombrosiana per cui delinquenti o comunque diversi si nasce. Rinforzata da pseudo scienziati che parlano di trasmissione genetica dei disturbi psichici e delle condotte devianti questa cultura rende molto difficili gli interventi a favore dei bambini

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www.sanita24.ilsole24ore.com6

CISMAI, Terre des Hommes, Università Bocconi, Tagliare sui Bambini è davvero un risparmio? Spesa pubblica: impatto 7

della mancata prevenzione della violenza sui bambini , Ricerca a cura di Paola Profeta e Marcella Sala, Università “Luigi Bocconi” di Milano.Coordinamento tecnico-scientifico e Raccomandazioni: a cura di Andrea Bollini, Cismai - Federica Giannotta, Terre des Hommes Italia, 2014.

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meno fortunati” . Così si esprime Luigi Cancrini, presidente della Commissione Consultiva per la 8

prevenzione e cura dei maltrattamenti sui minori. Secondo Mary Target il comportamento che osserviamo nei bambini piccoli è il risultato della 9

tensione tra i due diversi sistemi di controllo identificati da Bowlby: uno che mantiene l’accesso alla figura di attaccamento e un altro che favorisce l’esplorazione del mondo. Il bambino e l’adulto cercano di mantenere l’omeostasi tra il comportamento di attaccamento, che si attiva quando la sensazione di sicurezza viene minacciata, e il comportamento di esplorazione (il gioco o l’apprendimento), quando tale minaccia è di scarsa entità. In caso di minaccia il bambino si ritira presso la base sicura della figura di attaccamento.

Negli adulti con un passato di traumi legati alle proprie figure di attaccamento si osserva spesso un disturbo delle capacità di concepire in che modo le persone pensino o provino emozioni: sviluppano cioè un deficit di mentalizzazione. Con questo termine Fonagy definisce una forma 10

immaginativa di attività mentale, prevalentemente preconscia, che consiste nell’interpretare le azioni delle persone sulla base di stati mentali intenzionali (immaginiamo ciò che gli altri potrebbero pensare o provare). Attraverso i suoi studi è arrivato alla conclusione che i pazienti gravemente traumatizzati sviluppano una mancanza di immaginazione rispetto al mondo mentale degli altri, un’assenza di cognizione rispetto a quanto gli altri pensano o provano e contemporaneamente un’assenza di introspezione riguardo alle modalità in cui opera la sua mente.

I bambini piccoli sottoposti a maltrattamenti risultano meno coinvolti nei giochi a due e di tipo simbolico (come i bambini non vedenti) e non riescono a mostrarsi empatici davanti ad altri bambini sofferenti; mostrano una scarsa regolazione affettiva; si riferiscono meno ai propri stati interiori e parlano di meno con la madre delle loro emozioni; hanno maggiori difficoltà ad imparare parole riferite agli stati interiori; riportano maggiori difficoltà a cogliere le espressioni emotive del viso. Queste sono alcune delle caratteristiche ricavate dall’osservazione di questi bambini.

La separazione dalla realtà è uno degli aspetti centrali della fenomenologia del trauma legato all’attaccamento: i pazienti riportano di aver cancellato le proprie esperienze traumatiche o di viverle in un sogno (“ci credo solo se lo vedo”). Il trauma attiva il sistema di attaccamento, inibisce l’esplorazione e attiva i legami affettivi, ci sentiamo in pericolo e cerchiamo qualcuno che ci sia vicino.

L’iperattivazione del sistema d’attaccamento è la prima grande questione clinica da dover affrontare con questi pazienti: il trauma spinge paradossalmente il bambino a ricercare la vicinanza della figura di attaccamento, per sentirsi più sicuro finisce per rendersi dipendente dall’adulto maltrattante. La seconda è che le interpretazioni transferali, aumentando il livello di attivazione, possono andare contro la capacità del paziente di ascoltare: se questo accade il terapista deve adoperarsi per ridurre il livello di attivazione dell’attaccamento. La terza è l’identificazione proiettiva: il bambino interiorizza l’altro non come oggetto interno ma come parte essenziale del proprio Sé; è costretto a ricevere l’oggetto “alieno” all’interno della sua rappresentazione del Sé; si interiorizza come parte del Sé un caregiver malvagio, animato da intenzioni maligne nei suoi confronti.

L’obiettivo generale della terapia con pazienti traumatizzati consiste perciò nell’aiutarli a stabilire un Sé mentalizzante più saldo, che gli consenta di mentalizzare i traumi e i conflitti e di sviluppare relazioni più sicure. Ovviamente il lavoro di ripristino della mentalizzazione (scoprire il proprio Sé nella mente di una figura di attaccamento benigna) va portato avanti attraverso un processo adatto alla fase evolutiva del paziente.

E’ vero, il primo contesto di attaccamento offre il setting per le successive esperienze formative: inizialmente esterno col tempo diventa mentale, inconsapevole e scontato. Spesso affrontiamo le

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Cancrini L., presentazione del Documento della Commissione Consultiva per la prevenzione e cura dei maltrattamenti sui 8

minori, istituita dall’Autorità Garante Nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, Roma,15 maggio 2015.

Target M., L’attaccamento: teoria e ricerca, in Cooper A. M., Gabbard G. O., Person E. S. (a cura di), Psicoanalisi. Teoria, 9

clinica, ricerca, Raffaello Cortina Editore, Milano 2006

Fonagy P., Target M., Attaccamento, trauma e psicoanalisi. Dove la psicoanalisi incontra le neuro scienze, in Jurist E. L., 10

Slade A., Bergner S. (a cura di), Da mente a mente. Infant research, neuroscienze e psicoanalisi, Raffaello Cortina Editore, Milano 2010.

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questioni della vita in funzione di un modello mentale che è il prodotto del modo in cui ci siamo sentiti trattati dalle nostre figure di attaccamento e che riteniamo di meritarci, ereditato da ricordi che appaiono irrecuperabili ma che si manifestano sotto forma di enactment . Ci vuole una nuova ed 11

importante relazione di attaccamento (è quello che succede in psicoterapia) per mettere in discussione (sia emotivamente che cognitivamente) questo schema e provare a modificarlo.

Anche se la crescita del Sé ha luogo quando i bambini fanno l’esperienza di diventare una persona in relazioni significanti, quelle relazioni che permettono al bambino di scoprire se stesso come persona mentre prende atto del significato che lui ha per altre persone, e queste per lui , è tuttavia 12

vero, come afferma Bowlby, che l’attaccamento intimo agli altri costituisce il perno attorno al quale ruota la vita di una persona, non solo nell’infanzia, nella pubertà, nell’adolescenza, ma anche negli anni della maturità, e poi, ancora, nella vecchiaia . 13

Sappiamo che ogni problema interpersonale lamentato dal paziente in età adulta può essere collegato con le relazioni avute nell’infanzia con le persone che di lui si sono occupate attraverso uno o più fra tre processi di copia : 1) “sii come lui o lei” (identificazione); 2) “agisci come se lui o lei fosse 14

ancora qui e avesse il controllo” (ricapitolazione) e 3) “tratta se stesso come lei o lui ti trattava” (introiezione). La motivazione è l’applicazione di regole e valori delle persone copiate, in modo da offrire una testimonianza delle loro convinzioni: la speranza è che tale fedeltà crei prossimità psichica e faciliti la riconciliazione con queste figure, per questo ogni psicopatologia è un dono d’amore . La prossimità psichica alle proprie figure d’attaccamento è la principale “ricompensa” per 15

delle modalità di comportamento che altrimenti sembrerebbero non adattive. I processi di copia collegano schemi di comportamento, sia sani che patologici, alle figure di

attaccamento e abbiamo due nomi diversi per questi due tipi di attaccamento: abbiamo una parte definita Rossa ovvero “l’alleato regressivo” (sono emozioni, pensieri, comportamenti collegati ai comportamenti problematici della persona, legati ai sintomi che hanno portato la persona in terapia) ed una parte definita Verde, “l’alleato alla crescita” (sono parti collegate a comportamenti sani, adattivi, rivolti alla crescita, quando vediamo che sono presenti nella paziente quegli introietti collegati alla famiglia e favorevoli alla crescita, allo sviluppo).

La teoria dei processi di copia sostiene perciò che arriviamo al mondo già pronti per attaccarci a qualcuno e che ci deve essere qualcuno a cui attaccarsi , ma sostiene anche che il comportamento dell’adulto è determinato tanto dalle esperienze negative quanto da quelle positive . E’ per questa 16

ragione che la relazione terapeutica può risultare estremamente potente, in quanto il terapeuta può fornire una base sicura al paziente. Il terapeuta cerca di facilitare lo sviluppo di comportamenti Verdi (indirizzando il paziente verso un obiettivo “normale” che è basato su una posizione di fondo di amichevolezza e benevolenza) articolando il percorso terapeutico in cinque fasi: collaborazione, apprendere e riconoscere i modi di fare, da dove provengono e a cosa servono, bloccare i modi di fare disfunzionali, promuovere la volontà di cambiare e imparare nuovi modi di fare.

Le ricerche condotte sul legame tra le esperienze infantili e la psicopatologia nell’adulto spesso si focalizzano sulle conseguenze della trascuratezza e dell’abuso infantile. In uno studio condotto dalla

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Episodio relazionale reciprocamente indotto. In psicoanalisi si intende un comportamento messo in atto dal paziente col 11

suo analista ma che con un significato che affonda nel passato.

Guntrip H., Teoria psicoanalitica della relazione d’oggetto, Etas, Milano 1975.12

Bowlby J., Attaccamento e perdita, vol. 3: La perdita della madre, Boringhieri, Torino 1983.13

Benjamin L. S, Diagnosi interpersonale e trattamento dei disturbi di personalità, LAS,1999; Benjamin Lorna S., Terapia 14

ricostruttiva interpersonale. Promuovere il cambiamento in coloro che non reagiscono, LAS, 2004.

Colacicco F., Ogni psicopatologia è un dono d’amore, Scione Editore, Roma 2014.15

Colacicco F., Una breve introduzione alla lettura di Lorna Benjamin, in Ecologia della mente, Vol. 34, N. 2/2011, Il Pensiero 16

ScientificoEditore, Roma 2011

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Benjamin sulle rappresentazioni interne delle prime esperienze personali e delle relazioni in età adulta 17

viene verificato che i processi di copia riguardano sia i comportamenti positivi che quelli negativi e che il comportamento dell’adulto è determinato tanto dalle esperienze distruttive quanto da quelle costruttive. In questa lavoro si trova conferma anche di quanto proposto da altre ricerche, che l’identità di genere, lo status sociale e le condizioni attuali del paziente possono influenzare sia l’evenienza del processo di copia (le circostanze ed il bisogno che concorrono alla sua determinazione) che la forma che questo assume.

Nel 2009, Stefano Cirillo, prendendo soprattutto a riferimento l’esperienza del CbM - Centro per il bambino maltrattato e la cura della crisi familiare, sosteneva che “possiamo dunque dire che il legame di attaccamento sia un fattore discriminante per predire gli effetti a lungo termine dell’abuso: tanto più intenso è il terrore associato al trauma, tanto più necessaria è la presenza di figure sicure e responsive, che salvino la piccola vittima dallo sprofondare nel vissuto di abbandono provocato dalla propria inerme solitudine, che porrebbe le premesse per l’identificazione con l’aggressore. Viceversa, attaccamenti comunque insicuri, ma privi di aspetti di spavento, e quindi non di tipo disorganizzato, indurranno probabilmente processi di costruzione di un Sé più integro, ma consegnato a un destino di disistima di sé e di autosvalutazione, che – in assenza di un intervento terapeutico riparativo - renderà probabile la ripetizione di esperienze di vittimizzazione. Per questa ragione “ … possiamo con una certa ragionevolezza ritenere “che la presenza di figure in grado di garantire un attaccamento sicuro diminuisce le probabilità di esiti infausti costituendo un fondamentale fattore di resilienza. Le nostre riflessioni (ancora ad uno stadio provvisorio e dunque tutte da discutere) sono tratte da una popolazione clinica, peraltro ridottissima, ma l’estensione del ragionamento ci permette di pensare che esista una popolazione non clinica in cui le ferite dell’abuso curate dalle figure genitoriali, eventualmente supportate da specialisti competenti si sono richiuse senza lasciare vistose cicatrici. E’ perciò fondato orientare il nostro lavoro di prevenzione secondaria e terziaria non solo al sostegno diretto alla piccola vittima, ma anche a quello indiretto, che passi attraverso il supporto al genitore potenzialmente protettivo” . 18

Attribuire perciò un’importanza esclusiva alle relazioni precoci non tiene in giusta considerazione l’impatto delle relazioni successive e di quelle attuali nel servire da fattori protettivi contro il disadattamento . Sappiamo ormai da molti studi che forte è l’impatto dello sviluppo successivo nel 19

modificare le strutture e i processi mentali primari. Questo significa che i bambini vittime di un’infanzia fatta di abusi, violenze e maltrattamenti possono essere aiutati nel tempo a modificare i partner comportamentali appresi, i loro schemi di funzionamento, ed apprenderne di nuovi, meno disadattavi e più evolutivi. L’aiuto passa sia attraverso un aiuto ai loro genitori che per un aiuto più personale al bambino, che gli consenta di affrontare prima, e superare poi, il trauma subito. !!

! 7La notte stellataAPRILE 2016, NUMERO 0

Benjamin L. S., Critchfield K. L., Rappresentazioni interne delle prime esperienze personali e delle relazioni in età adulta: 17

verifica della Teoria dei Processi di Copia nei setting clinico e non clinico, in Ecologia della mente, Vol. 34, N. 2/2011, Il Pensiero ScientificoEditore, Roma 2011.

Cirillo S., Il bambino abusato diventa adulto: riflessioni su alcune situazioni trattate, in Terapia Familiare, n. 91, novembre 18

2009.

Laub J. H., The interdependence of school violence with neighborhood and family conditions, in Elliot D. S., Hamburg 19

B., Williams K. R. (a cura di), Violence in American Schools: A New Perspective, Cambridge University Press, New York 1998.

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L’incontro con la famiglia nello Spazio Neutro 1Francesca Martini !

Riteniamo che lo Spazio Neutro possa essere concepito come un passaggio nella storia delle famiglie in grave crisi grazie al quale aiutarle a crescere nella consapevolezza delle proprie difficoltà ed arrivare a formulare una richiesta di aiuto esplicita. Non solamente quindi uno spazio protetto e non ancora una stanza di terapia vera e propria ma un luogo e un tempo in cui aprirsi alla possibilità di riconoscere il bisogno di un cambiamento ed essere aiutati in questa direzione.

Per avere maggiori informazioni sulle famiglie che transitano nello Spazio Neutro di Palermo e migliorare sempre di più il servizio offerto loro, abbiamo deciso di raccogliere il materiale clinico di sessanta situazioni familiari arrivate al servizio tra gennaio 2011 e maggio 2015 e considerate dagli operatori particolarmente significative.

Gli operatori del servizio che le hanno prese in carico e seguite hanno compilato per ciascuna di esse una rivisitazione del Modulo di raccolta dati per la valutazione del trattamento con le famiglie, le coppie e gli individui (Colacicco, 2013), messo a punto dall’equipe del dr. Colacicco presso la UOD di Psicoterapia, Dipartimento di Neurologia e Psichiatria, Università Sapienza di Roma e rivisitato alla luce della specificità del contesto di aiuto dello Spazio Neutro.

Il modulo nasce dal desiderio di offrire al terapista uno strumento per raccogliere e sistematizzare il materiale clinico di cui dispone ed aiutarlo ad effettuare una valutazione psicodiagnostica, sistemica e relazionale delle situazioni trattate. Questo strumento spinge il terapista a non soffermarsi sul corredo sintomatico portato dal paziente ma a guardare ai processi psicopatologici che caratterizzano lo stato di disagio psichico e porre il tutto in relazione alla fase del ciclo di vita (Colacicco, 2013). La compilazione del modulo aiuta il terapeuta ad uscire dalla stanza di terapia e a guardare ai pazienti e alla propria attività psicoterapica da una prospettiva differente.

Il modulo è articolato in sei parti: la prima dedicata ai dati di contesto della terapia (l’inviante, il setting, il livello socio economico dei pazienti, ecc.); la seconda alla valutazione psicopatologica di tutti i familiari che portano un sintomo (attraverso il DSM IV); la terza alla valutazione sistemica e relazionale (fase del ciclo di vita, situazione ed emergenze soggettive sollevate); la quarta all’intervento svolto; la quinta all’analisi del controtrasfert del terapista; la sesta al follow-up.

Attraverso questo strumento è possibile non solo valutare le situazioni prese in carico e l’attività psicoterapica che si è svolta e che si sta svolgendo ma anche raccogliere materiale clinico prezioso alla ricerca e al miglioramento dei trattamenti in essere.

Proprio come in questo caso, dove la versione del modulo (consultabile nella parte degli allegati) adattata alle esigenze del contesto clinico/operativo dello Spazio Neutro, è stato utile ad effettuare un’indagine conoscitiva delle famiglie che usufruiscono del servizio.

La compilazione del modulo da parte degli operatori di Palermo ci ha permesso di scattare una fotografia delle situazioni familiari in transito nel servizio ed avere dei primi risultati utili alla riflessione sugli interventi svolti. Il tutto al fine di conoscere meglio le famiglie nello Spazio Neutro ed imparare da loro ad aiutarle. !!!1. Il primo tempo dell’incontro !

Sono 60 le situazioni familiari analizzate in questa ricerca; 11 gli operatori che le hanno seguite. Tutto il materiale clinico è stato raccolto presso lo Spazio Neutro di Palermo e valutato individualmente ed in equipe dagli operatori coinvolti. Le situazioni familiari sono state supervisionate in itinere in modo indiretto nella quasi totalità dei casi (98,3%).

2.1 L’inviante, l’invio ed il tipo di problema segnalato

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In Caruso I. e Mantegna C. (a cura di), Oikos, legami familiari. Nuove prospettive d’intervento nei casi di genitorialità 1

fragile, Franco Angeli, Milano 2015.

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!L’inviante della situazione che arriva allo Spazio Neutro è prevalentemente il Tribunale per i

Minorenni (65%), seguito dal Tribunale Ordinario (32%) e dalle Unità organizzative di Servizio Sociale (3%).

Il giudice segnala la necessità di garantire il diritto del minore ad incontrare il genitore non affidatario, che nella maggioranza dei casi è il padre (78%). All’atto della presa in carico il minore vive per lo più con la madre (68%), solo in pochi casi con il padre (15%) o in comunità (13%).

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Figura 1 Tipo di problema segnalato dal giudice nel decreto.

!Il tipo di problema indicato dal giudice nel decreto (Fig. 1) è per lo più l’alta conflittualità della

coppia genitoriale (33%) che mette a serio rischio il benessere del minore. Molte le situazioni familiari in cui il giudice chiede l’attivazione dello Spazio Neutro per un possibile maltrattamento intrafamiliare (25%) o per l’inadeguatezza dei genitori a prendersi cura del proprio figlio (20%).

Non mancano situazioni in cui il giudice è allarmato da atteggiamenti di trascuratezza nei confronti del minore (5%) o ha ritenuto necessario far decadere la responsabilità genitoriale (8%). Ma in questo campione sono comunque la minoranza.

!2.2. Le famiglie

La famiglia che viene inviata allo Spazio Neutro è una famiglia separata con almeno un figlio. Il tipo di rapporto di coppia prima dell’evento separativo è il matrimonio (65%) e in quantità minore, ma comunque importante, la convivenza (30%). E’ più la moglie o la convivente ad attivare la separazione (67%) piuttosto che il marito. La separazione è generalmente legalizzata (55%) ma sono tante le

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situazioni in cui la separazione dei coniugi è ancora solo di fatto (42%). Questo dato potrebbe essere spiegato con la difficoltà che spesso si riscontra in queste coppie a definirsi e la tendenza a mantenersi paradossalmente insieme attraverso un conflitto perenne alimentato dai legali.

Il livello economico della famiglia è medio (47%) o basso (43%) ed ugualmente quello della realtà urbana dove vive (medio 45%, basso 42%) (Fig.2).

Il titolo di studio del padre e della madre (Fig. 3) è la licenza media (43%), a seguire il diploma di scuola superiore e la laurea, un po’ più comune quest’ultima nelle madri piuttosto che nei padri (11,7% madri, 6,7% padri).

Quando la famiglia accede allo Spazio Neutro il minore sta frequentando la scuola elementare (35%) o la scuola media inferiore (26,7%) (Fig. 4). Ha un’età media di 9 anni, in un range che va dai dodici mesi ai 17 anni.

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Figura 2 Livello economico e della realtà urbana dove vive la famiglia.

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Figura 3 Titolo di studio del padre e della madre del minore.

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Figura 4 Contesto educativo frequentato dal minore.

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2.3 Gli operatori !Le professionalità degli operatori che prendono in carico le situazioni sono variegate: dagli

assistenti sociali con più di cinque anni di esperienza ai colleghi più giovani, dai pedagogisti e gli psicologi psicoterapeuti con più di cinque anni di attività ai colleghi psicologi che si stanno specializzando in psicoterapia sistemico e relazionale.

Il setting di aiuto è impostato per lo più sul singolo operatore che segue la famiglia da solo (68%) senza condividere il lavoro con un collega, soluzione che risulterebbe invece utile specie in un contesto di aiuto a famiglie multiproblematiche dove il coinvolgimento emotivo è particolarmente forte. Non mancano le situazioni prese in carico in coppia (32%) ma risultano purtroppo in netta minoranza.

L’operatore singolo è un assistente sociale con più di cinque anni di esperienza (33%) o uno psicologo psicoterapeuta con altrettanti anni di servizio (28%) (Fig.5). Il pedagogista con più di cinque anni di attività non lavora mai da solo ma con uno specializzando in psicoterapia (3%).

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Figura 5 Gli operatori dello Spazio Neutro di Palermo ed il setting di aiuto. Legenda, da sinistra verso destra: Assistente sociale con più di 5 anni di esperienza (As+5); Assistente sociale con meno di 5 anni di esperienza (As-5); Psicoterapeuta con più di 5 anni di esperienza (Psicoter+5); Pedagogista con più di 5 anni di esperienza (Pedago+5); Specializzando in psicoterapia sistemica e relazionale (Specializ); Psicoterapeuta con più di 5 anni di esperienza e Assistente sociale con meno di 5 anni di esperienza (Psicoter+5& As-5); Psicoterapeuta con più di 5 anni di esperienza e Pedagogista con più di 5 anni di esperienza (Psicoter+5& Pedago+5); Psicoterapeuta con più di 5 anni di esperienza e Specializzando (Psicoter+5& Specializ); Pedagogista con più di 5 anni di esperienza e Specializzando (Pedago+5& Specializ); due Psicoterapeuti con più di 5 anni di esperienza (due Psicoter+5); due Specializzandi (due Specializ).

!In coppia lavorano soprattutto gli psicologi psicoterapeuti con gli specializzandi (10%). Diverse

anche le situazioni familiari seguite da uno psicologo psicoterapeuta con più di cinque anni di attività e da un assistente sociale con meno di cinque anni di esperienza (7%), soluzione che appare la più ricca per competenze e diversità da mettere in comune per aiutare la famiglia.

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Queste tutte le informazioni che gli operatori ottengono già dallo studio delle carte inviate dal giudice o dai servizi, in una fase di lavoro che potremmo definire il primo tempo dell’incontro, il tempo cioè, parafrasando Cancrini, che precede l’ingresso in stanza con la famiglia (Cancrini, 1987). Un primo tempo in cui non è stata ancora varcata la soglia della stanza ma in cui il lavoro cognitivo ed emotivo della famiglia e di chi la prende in carico è già iniziato da un pò.

!3. L’incontro con la famiglia nello Spazio Neutro !

A conferma delle ricerche precedenti (Colacicco, 2012), le famiglie che arrivano al servizio sono esclusivamente due: famiglie con bambini piccoli, in giovane età (63%), alle prese con la seconda individuazione dei propri figli (42%) e famiglie con figli preadolescenti ed adolescenti (37%) che hanno a che fare per lo più con la loro preadolescenza (23%).

Di seguito un profilo di entrambe le famiglie incontrate.

!3.1 La famiglia con figli in giovane età !

Ogni famiglia che attraversa la fase del ciclo di vita in cui i bambini sono ancora piccoli si trova di fronte alla necessità di accettare i nuovi membri nel sistema, riassestandosi nell’equilibrio coniugale e sperimentandosi nel nuovo sotto-sistema genitoriale. La giovane coppia parentale dovrà rinegoziare i ruoli con i propri genitori e riformulare così le relazioni con la famiglia trigenerazionale. Una fase delicata che pone la coppia coniugale di fronte ad un passaggio evolutivo importante.

Quando gli operatori dello Spazio Neutro entrano in stanza ed incontrano le famiglie, molto spesso hanno di fronte sistemi familiari fortemente in crisi proprio in questa fase. La situazione che individuano (Fig.6) è quella di una famiglia con bambini piccoli in difficoltà sulla seconda individuazione dei propri figli e in cui i genitori per primi hanno problemi a svincolarsi dalle proprie famiglie di origine (68%). Diverse anche le situazioni in cui i bambini piccoli stanno vivendo la separazione dei genitori e vengono loro offerte alternative insufficienti ma comunque significative di ordine affettivo (18%).

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Figura 6 Situazione della famiglia con bambini in giovane età. Legenda: a) Difficoltà di adattamento alla prima o alla seconda individuazione del bambino (prima individuazione fino ai 4 anni, seconda fino ai 10 anni): fine della fase di simbiosi ed età scolare; b) Medesima difficoltà in una situazione di svincolo non avvenuto o incompleto dei genitori; c) Separazione e lutto vissuti da un bambino cui vengono offerte alternative insufficienti ma comunque significative di ordine affettivo; d) Separazione e lutto vissuti da un bambino cui non vengono offerte alternative utili.

!I genitori di questi minori appaiono ansiosi e depressi e con un disturbo di personalità (Fig.7).

Nel 40% dei casi gli operatori rilevano nel padre e/o nella madre una doppia diagnosi di ansia libera o legata a situazioni fino al definirsi di una nevrosi attuale e di depressione traumatica (eventualmente alcolismo e tossicomania).

A livello della coppia (Fig.8) vengono rilevati trascuratezza, maltrattamenti ed abusi nei confronti dei figli (31 situazioni su 38), comportamenti di rottura del rapporto coniugale (30 situazioni su 38) e conflittualità (27 situazioni su 38). Molte le situazioni in cui il conflitto viene modulato attraverso il coinvolgimento dei figli (22 situazioni su 38), anche se ci si aspettava di trovarne di più. La triangolazione dei figli, specialmente in questi casi, appare infatti del tutto frequente.

Per quanto riguarda il minore (Fig. 9) si riscontrano prevalentemente difficoltà di individuazione all’interno di circuiti nevrotici, specie fobie, difficoltà scolari e disturbi psicosomatici (26 situazioni su 38). Molte le situazioni in cui sembrano prevalere i disturbi di comportamento e/o "nevrotici" tipici di un contesto ambientale caratterizzato da carenza di cure e separazioni (23 situazioni su 38).

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!Figura 7 Famiglia con figli in giovane età: emergenze soggettive rilevate dagli operatori a livello dei genitori !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Figura 8 Famiglia con figli in giovane età: emergenze soggettive rilevate dagli operatori a livello della coppia.

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Figura 9 Famiglia con figli in giovane età: emergenze soggettive rilevate dagli operatori a livello dei figli. Legenda: 1) Difficoltà di individuazione all'interno di circuiti nevrotici: nella prima individuazione, disturbi del ritmo sonno-veglia o del comportamento alimentare; ritardi o insufficienza di sviluppo ponderale o psicologico; suscettibilità a malattie fisiche ricorrenti; disturbi psicosomatici; 2) Difficoltà di individuazione all'interno di circuiti nevrotici: nella seconda individuazione, disturbi nevrotici (soprattutto fobie); difficoltà scolari; disturbi psicosomatici; 3) Difficoltà di individuazione con genitori che non hanno superato la fase di svincolo: nella prima individuazione, ritardo dello sviluppo fisico e psichico nel bambino molto piccolo; disturbo del linguaggio; sindrome autistica più tardi; 4) Difficoltà di individuazione con genitori che non hanno superato la fase di svincolo: nella seconda individuazione, disturbi psicotici o pseudonevrotici nel bambino; arresto dello sviluppo; 5) Formazione dei sintomi in un contesto ambientale caratterizzato da carenza di cure, separazione, lutto: disturbi di comportamento e/o “nevrotici”; 6) Formazione dei sintomi in un contesto ambientale caratterizzato da carenza di cure, separazione, lutto: disturbi “psicotici”.

!3.2 La famiglia con figli preadolescenti e adolescenti !

La famiglia che vive la fase del ciclo di vita in cui i figli sono preadolescenti e adolescenti ha a che fare con la necessità di rendere i confini più morbidi e flessibili in modo da permettere l'indipendenza dei giovani e consentire loro di entrare ed uscire dal sistema. A livello del sottosistema coniugale si ridiscutono interessi e rapporti.

Le 22 famiglie con figli preadolescenti ed adolescenti incontrate nello Spazio Neutro sono tutte in difficoltà nell’aiutare i figli ad individuarsi affettivamente perché i genitori per primi non hanno concluso il proprio processo di individuazione e di svincolo (Fig.10). Nessun giovane incontrato è apparso agli operatori indipendente affettivamente dai propri genitori.

Questi genitori sembrano per lo più soffrire di un disturbo di personalità (Fig.11) con un funzionamento a ‘bassa soglia’ (che si innesca facilmente) (44%) o occasionale (37%). Poche le famiglie in cui il padre e/o la madre hanno un disturbo di personalità con funzionamento pervasivo (19%).

A livello della coppia gli operatori segnalano molte situazioni di trascuratezza, maltrattamenti e abusi (14 su 22), comportamenti di rottura nella coppia e triangolazioni dei figli (13 situazioni su 22).

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Aumentano nel caso delle famiglie con figli adolescenti le segnalazioni di conflitti coniugali che vengono modulati attraverso i figli, più di quanto non fosse per le famiglie con figli in giovane età. Forse questa differenza può essere spiegata alla luce delle competenze professionali degli operatori che hanno valutato le situazioni: nel caso delle famiglie con figli preadolescenti e adolescenti infatti il numero degli psicoterapeuti sistemico-relazionali è nettamente maggiore che nel caso delle famiglie con bambini in giovane età (77%), dove spicca maggiormente la figura dell’Assistente sociale (45%). Probabilmente la maggiore attitudine a trattare le disfunzioni delle dinamiche relazionali ha facilitato gli psicoterapeuti nell’individuare queste difficoltà.

Per quanto riguarda il minore (Fig.13) sembra mostrare comportamenti di rottura con la famiglia e/o a scuola, probabilmente nei termini di una ribellione che può tendere all’antisocialità (13 situazioni su 22). Vengono segnalate diverse situazioni in cui l’adolescente ha difficoltà nelle relazioni sociali, forse anche aggravate e/o mediate da problemi psicosomatici diversi insorti primitivamente o recidivi (9 situazioni su 22).

La situazione della famiglia con figli preadolescenti ed adolescenti, così come illustrata da questi risultati, sembrerebbe purtroppo indicare la possibilità di un futuro disturbo di personalità del minore. Così come tratteremo nello specifico nei capitoli seguenti, la multiproblematicità della famiglia, l’alta conflittualità dei genitori, la trascuratezza verso il figlio e la sua centralità nelle dinamiche disfunzionali della famiglia, tanto da non potersene individuare, potrebbero essere segnali precursori di un disturbo antisociale di personalità.

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Figura 10 Situazione della famiglia con figli preadolescenti e adolescenti.

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Figura 11 Famiglia con figli preadolescenti e adolescenti: emergenze soggettive a livello dei genitori

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Figura 12 Famiglia con figli preadolescenti e adolescenti: emergenze soggettive a livello della coppia.

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Figura 13 Famiglia con figli preadolescenti e adolescenti: emergenze soggettive a livello dei figli. Legenda: 1) comportamenti di rottura con la famiglia e/o a scuola (dalla ribellione anche positiva all'antisocialità); 2) difficoltà di relazioni sociali eventualmente aggravate e/o mediate da problemi psicosomatici diversi: insorti primitivamente o recidivi; 3) difficoltà fino al blocco della attività e/o capacità; 4) disturbi alimentari psicogeni; forme diverse di dipendenza da droghe e alcool, sia di tipo dimostrativo (nelle situazioni di nevrosi attuale) che di copertura (nelle situazioni al limite); 5) individuazione mancata o provvisoria senza sintomi; 6) individuazione mancata o provvisoria con sintomi anticipatori.

!4. Prima e dopo lo Spazio Neutro !

La panoramica sulle famiglie in transito nello Spazio Neutro ci conferma la presenza esclusiva di due situazioni familiari: la famiglia con bambini piccoli e la famiglia con figli preadolescenti e adolescenti. Pur nelle loro specificità, in entrambi i profili l’alta conflittualità, i comportamenti di rottura nella coppia e la trascuratezza verso i figli sembrano essere elementi di malessere comuni e di rischio psicopatologico per il minore e per la famiglia che forse proverà a mettere sù un domani.

I due profili individuati scattano una fotografia dell’oggi della famiglia ma ci dicono poco sul quando siano realmente cominciati i problemi nella sua storia.

Gli operatori del servizio ci dicono che nella maggioranza dei casi (74%) il quando insorgono i problemi ed il quando la famiglia arriva allo Spazio Neutro coincidono: la fase del ciclo di vita sembra essere la stessa. Troviamo delle differenze solo in cinque situazioni familiari con bambini in giovane età, seguite dagli psicoterapeuti dell’equipe, dove i problemi sembrano essere insorti nella fase del ciclo di vita precedente, ovvero quando la coppia si stava formando. Altre poche differenze le ritroviamo nelle situazioni familiari con figli preadolescenti e adolescenti, seguite dagli psicologi con formazione psicoterapica sistemica, in cui per otto di esse i problemi insorgono quando i figli sono piccoli ed in tre quando la coppia si sta costituendo. A parte pochi casi quindi, l’insorgenza del problema e la richiesta di aiuto sembrerebbero coincidere.

Questo risultato ci appare però un po’ inconsueto rispetto a quanto previsto: spesso infatti si raccolgono segnali di disagio già prima che la famiglia arrivi nel contesto di aiuto, specie se si tratta di famiglie multiproblematiche. In questa ricerca gli operatori hanno ben collegato le difficoltà dei figli ad un mancato o incompleto svincolo dei genitori facendo ipotizzare un’insorgenza precoce dei problemi ma sembra ci sia stata poi in alcuni casi una difficoltà ad effettuare una valutazione più ampia rispetto al ciclo di vita. Analizzando i dati raccolti abbiamo potuto constatare che le situazioni in cui si segnala

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maggiormente la triangolazione dei figli o si pone una differenza sul quando insorgono i problemi e sul quando arrivano a chiedere un aiuto sono le situazioni seguite dagli psicologi con formazione psicoterapica. Questo dato sostiene l’idea che le diverse professionalità presenti nello Spazio Neutro possano garantire una visuale più ampia sulle difficoltà delle famiglie e costituire così un valore aggiunto nella lettura della complessità delle loro situazioni.

Considerando tutto questo crediamo che il punto sia il prima ed il dopo lo Spazio Neutro: come già affermato e come tratteremo meglio anche in seguito, questo servizio non si può configurare come un mero spazio protetto in cui far incontrare il minore con il genitore non affidatario ma neanche può essere considerato uno spazio terapeutico se non nella misura di un aiuto clinico alla famiglia affinché questa arrivi esplicitamente a chiedere un aiuto. La presenza delle differenti professionalità offre la possibilità di rispondere in modo adeguato alla complessità delle situazioni trattate e può costituire il volano per una visione più allargata della storia delle famiglie e per una spinta verso un aiuto psicoterapico. Lo Spazio Neutro non è un contesto di terapia ma un contesto in cui si accolgono le famiglie in grave difficoltà, si offre loro la consulenza psicosociale e si effettuano interventi assistenziali, educativi e supportivi volti alla responsabilizzazione dei genitori (Colacicco, 2012). !

Ecco allora che se si considera lo Spazio Neutro un servizio di primo livello lo si potrà sfruttare al meglio come un luogo ed un tempo prezioso nella storia della famiglia per aiutarla a muoversi verso il cambiamento. !!Cancrini, L., (1987) La psicoterapia: grammatica e sintassi. Roma, N.I.S. Colacicco, F., (2013) La mappa del terapeuta, Scione Editore, Roma. Colacicco, F., (2012) L’aiuto alle famiglie nel Servizio Spazio Neutro, in Caruso I. e Mantegna C. (a cura di), Aiutare le famiglie durante la separazione, Franco Angeli, Milano. !!

! 20La notte stellataAPRILE 2016, NUMERO 0

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“SIGNORIA E SERVITU’”:!la storia di Giorgio tra dipendenza e autonomia !1

Vincenza Lopreiato!!1. Premessa

!L'esame di fine training si avvicina ed inizio a pensare di quale caso raccontare; tutte le terapie

che avevo seguito durante la fase della supervisione diretta del mio training formativo erano state belle, erano state interessanti e meritavano di essere raccontate ma dovevo sceglierne una.

Decido così di raccontare il caso che è stato per me più significativo, il primo caso che ho seguito, quello in cui mi sono sperimentata per la prima volta come terapeuta mettendo in pratica le conoscenze che avevo acquisito nell’anno precedente.

Ero al secondo anno della Scuola di Specializzazione e finalmente entravo nella stanza di terapia per incontrare un paziente, in quella stanza in cui insieme alle colleghe del gruppo di training avevamo svolto nel primo anno tante simulate aspettando con impazienza il momento in cui ci saremmo sedute su quella poltrona e avremmo incontrato dei “veri pazienti”.

Durante il primo anno avevamo lavorato sul nostro genogramma, avevamo ricostruito il nostro diagramma del benessere e messo in scena le sculture della nostra famiglia, era un viaggio che stavamo facendo con il nostro didatta il Dott. Colacicco e l’allievo didatta la Dott.ssa Ragazzo che ci conduceva verso la scoperta di quelle risorse che un giorno ci avrebbero accompagnate insieme alle conoscenze teoriche e tecniche nel lavoro terapeutico.

Con riferimento a J. Haley (1996) penso alla stanza di training come alla “bottega” in cui si apprende l’arte della psicoterapia, il luogo caratterizzato dal relazionale- emozionale che si costruisce tra i diversi sistemi che interagiscono tra loro ed è in questo luogo che emergono bisogni e aspettative di ogni sistema e di ciascun componente. Nella “bottega” si svilupperanno le condizioni funzionali all’evoluzione favorendo conoscenza ed apprendimento. Il filo rosso è quello di un processo, di una storia di connessioni spazio- temporali, emotive e razionali e di tutte le differenze che creando informazioni consentiranno di evolvere e dare una svolta nelle situazioni di stallo, di conflitti e tensioni. !!

2. Introduzione

Era febbraio del 2010 quando il Dott. Colacicco aveva chiesto a noi allieve chi volesse seguire il caso di Giorgio, un ragazzo di 29 anni con il problema della dipendenza da eroina.

Senza alcuna esitazione avevo alzato la mano, credevo che fosse arrivato il momento di mettermi in gioco e all’emozione iniziale si affiancavano tanti dubbi, tante incertezze.

Da alcuni anni lavoravo come operatrice in una comunità terapeutica semiresidenziale e in un servizio a bassa soglia rivolto a tossicodipendenti e mi interfacciavo con queste persone quotidianamente, mi relazionavo con loro in un’ottica che era più sul versante educativo.

Spesso avevo davanti a me delle persone “segnate” dalla sostanza, che dimostravano più anni di quelli effettivi, che a causa della tossicodipendenza avevano delle patologie fisiche gravi, che avevano perso il lavoro e che avevano problemi penali.

Per la prima volta avevo la possibilità di guardare questa “problematica” con altri occhi, nella relazione con Giorgio non ero un’ operatrice ma ero la sua terapeuta.

Mi preparavo ad incontrarlo e mi rassicuravo tenendo a mente le parole che aveva scritto in un articolo Harrison L. (1991) “le migliori psicoterapie sono in genere quelle che si svolgono nei training, con un terapeuta inesperto, ma con una supervisione efficace ed il supporto, il conforto e l'attenzione del gruppo di formazione. Come se il dipanarsi del processo terapeutico passasse attraverso il dipanarsi del processo di formazione in un interscambio e una co-costruzione fra il paziente ed il giovane

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Tesi di specializzazione in psicoterapia, Istituto Dedalus1

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terapeuta, che mentre si forma riflette sul suo punto esistenziale e sul suo ciclo vitale. La confusione, il panico di alcuni momenti di passaggio vengono rielaborati e compresi a volte solo dopo”. !!

3. Presentazione del caso

Giorgio era stato inviato a Villa Tiburtina dalla psicologa A.S., anche lei operante nel settore delle tossicodipendenze. A lei si era rivolta la sorella di Giorgio, sua conoscente, chiedendole un aiuto per il fratello e a Villa Tiburtina era stato effettuato dalla psicologa G.S. un primo colloquio e successivamente Giorgio era stato inviato all’Istituto Dedalus.

Cio' che era emerso da questo primo colloquio era che Giorgio chiedeva un aiuto per la sua dipendenza da eroina e che era iscritto al Sert dove prendeva il metadone; si era laureato in Scienze della Comunicazione e da poco tempo aveva aperto una libreria insieme ad un amico. Aveva una ragazza che viveva in Calabria, nello stesso paese di origine di Giorgio e si sarebbe trasferita a breve a Roma per vivere insieme a lui.

Le uniche persone ad essere a conoscenza della sua dipendenza erano la sorella, che viveva in Calabria e faceva il medico, e la ragazza; la madre sapeva qualcosa mentre il padre sembrava essere all’oscuro di tutto.

Giorgio sosteneva di essere sempre stato molto ansioso e la sua ansia era aumentata dopo l’assunzione di droghe sintetiche in età adolescenziale; si era avvicinato all’eroina che sembrava essere l’unica sostanza che lo aiutasse a gestire la sua ansia.

Aveva intenzione di smettere ma la paura dell’astinenza era troppa, collegava qualsiasi sintomo fisico all’astinenza così continuava ad usare eroina; in seguito all’infarto che il padre aveva avuto l’uso dell’eroina era aumentato, si faceva due volte al giorno ed evitava di farsi quando c’era la ragazza.

Già in passato era andato da uno psicologo ma dopo quattro sedute aveva interrotto gli incontri perché questo lo aveva provato a chiamare e non riuscendo a contattarlo aveva subito cercato la sorella. !!

4. I FASE DELLA TERAPIA: Analisi della domanda e contratto terapeutico !!!! !!!!!

Era il 23 Febbraio 2010 e mi preparavo ad incontrare Giorgio; insieme al didatta, all’allievo didatta ed al gruppo di training ci eravamo ritrovati come ogni martedì nella stanza di formazione ed avevamo iniziato a riflettere sul nuovo caso che avrei dovuto seguire.

Il Dott. Colacicco mi aveva invitata a rileggere la scheda del caso così da valutare quegli aspetti su cui dovevamo soffermarci nella prima seduta; era importante curare questo primo incontro,

poiché esso rappresentava le fondamenta su cui avrei iniziato a costruire un sistema terapeutico e avrei iniziato a sviluppare un contratto provvisorio con Giorgio.

“Questo contratto può non avere una fisionomia esplicitamente definita, ma deve esserci. Inizialmente, se necessario, può essere molto limitato, ma si espanderà e cambierà col tempo. Simile alla diagnosi, s’evolve col progredire della terapia” (Minuchin, 1976).

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Iniziavo così a ripercorrere insieme al gruppo di training le fasi del primo colloquio delineate da Haley (1976): innanzitutto la fase sociale (joining) in cui il terapeuta deve cercare di mettere a proprio agio il paziente, mostrandosi di essersi preparato a riceverlo; nella seconda fase, presentazione del problema, il terapista appena comprende che il paziente si sente più a suo agio inizia ad esplorare i problemi che lo hanno portato in terapia e questa domanda formula la natura del compito che ha fatto incontrare un esperto che offre aiuto e una persona che ne ha bisogno; nella terza fase, (interazione) il terapeuta rimane ad ascoltare e ad osservare il paziente così da iniziare a cogliere informazioni sul tipo di funzionamento e capire come poter intervenire mentre nell'ultima fase, quella di definizione degli obiettivi, il terapeuta chiede al paziente di specificare quali sono i cambiamenti desiderati.

Il supervisore mi invitava ad indagare sulla richiesta di aiuto perché dalle informazioni che avevamo sembrava che Giorgio non avesse preso grandi iniziative ma che al contrario avesse acquisito una grande abilità a nascondere il problema o a creare reti di complicità come aveva fatto con la sorella e la fidanzata.

In passato proprio quando il terapeuta si era messo in mezzo a questa rete Giorgio aveva reagito arrabbiandosi; era importante quindi esplorare bene la storia del paziente, la storia del sintomo dopo avergli fatto presentare sé stesso e la sua famiglia.

“Non dobbiamo mai, nel momento in cui vogliamo aiutare le persone a risolvere il loro problema, sottovalutare gli sforzi che queste persone hanno fatto- prima di chiedere aiuto- e che continuano a fare per uscire dalla loro situazione di sofferenza, anzi dobbiamo tenerne conto perché, in questo modo, i pazienti ci indicheranno la strada già tentata e che noi non dobbiamo percorrere nel tentativo di risolvere il loro problema” (Cancrini M.G., 1991). !

- “L’eroina come cura”: il primo incontro con Giorgio !Ricordo ancora l’incontro con Giorgio…. ero molto tesa, cercavo di tenere impresse nella mia

mente le fasi del primo colloquio e le indicazioni che il supervisore mi aveva date nel preseduta ed ecco che venti minuti prima dall’appuntamento era squillato il citofono e la mia collega era andata ad aprire la porta, era tornata in stanza e aveva detto “è arrivato Giorgio”.

Il mio cuore aveva iniziato a sussultare, le emozioni oscillavano tra felicità di sperimentarmi nel lavoro terapeutico e la paura di sbagliare ma sapere che dietro lo specchio c’erano il supervisore ed il gruppo era molto rassicurante.

Era giunta l’ora di incontrare Giorgio, avevo fatto un respiro profondo ed ero andata ad accoglierlo; lo avevo fatto accomodare in stanza ed ero rimasta stupita dal suo aspetto, molto giovanile e curato, aveva sul capo un cappello con la visiera e una sciarpa della sua squadra preferita. Il supervisore era entrato in stanza con me e aveva presentato a Giorgio le nostre modalità di lavoro: lui sarebbe rimasto dietro lo specchio ed io in stanza, avremmo comunicato tramite il citofono e avremmo videoregistrato le sedute.

In quel primo incontro Giorgio ci aveva raccontato un po’ di sé. Aveva una libreria che condivideva con un socio e in cui vendeva soprattutto libri sugli Ultras e sui movimenti giovanili, era un appassionato della curva dello stadio e della politica ed aveva iniziato a scrivere due libri un romanzo e uno sugli Ultras; sembrava una persona piena di interessi, era molto piacevole parlare con lui ed era interessante conoscere la sua storia. Giorgio ci aveva detto di essere nato e cresciuto in Calabria e si era trasferito a Roma nove anni prima per studiare; nonostante non avesse dato esami per un anno all’Università era riuscito a recuperare e a laurearsi in Scienze della Comunicazione. Scendeva in Calabria ogni quindici giorni per vedere la ragazza, con la quale stava insieme da tre anni e a breve lei si sarebbe trasferita a Roma e sarebbero andati a vivere insieme.

Quando avevo chiesto a Giorgio quale fosse il problema che lo aveva portato in terapia, il suo volto aveva cambiato espressione, i suoi occhi erano pieni di entusiasmo mentre raccontava del suo lavoro, delle sue passioni e dei suoi progetti ed improvvisamente erano diventati tristi e cupi mentre raccontava del problema legato alla dipendenza da eroina.

Giorgio ci spiegava come inizialmente l’uso era “controllato” e saltuario poi era subentrata la dipendenza fisica e da lì non era riuscito più a farne a meno, aveva iniziato quattro anni prima ma la situazione si era aggravata quando era stato lasciato dall’ex ragazza, poiche' in quell’occasione si era chiuso in sé stesso, l’ansia era aumentata e solo l’eroina riusciva a tranquillizzarlo. Oltre all’eroina faceva uso di Cannabis e a 19 anni aveva provato diverse sostanze eccitanti che aveva lasciato subito perché

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accentuavano la sua ansia; da quello che ci raccontava sembrava che avesse trovato nell’eroina la “droga giusta”, quella che lo aiutava a rilassarsi, a dormire fino a diventare preponderante nella sua vita.

Secondo Glover l’atteggiamento verso la droga è ambivalente: essa è detestabile ma necessaria. Necessaria perché il tossicodipendente ha la necessità di “anestetizzare”, “buttandola a terra”, la parte cattiva che sente dentro di sé; detestabile perché mette anche lui col “culo a terra”.

Era importante centrare l’attenzione sul tipo di relazione che Giorgio aveva stabilito con la sostanza ed evitare di soffermarsi sugli effetti propri della sostanza; a tal proposito Cancrini e Colacicco (1999) hanno individuato tre tipi diverse di situazioni:

1) Consumatore, un individuo che fa esperienza della droga saltuariamente e che utilizza dosi innocue avendo così la possibilità di smettere senza conseguenze; mantiene un buon rapporto con la realtà circostante e si accosta al farmaco per curiosità.

2) Consumatore abituale o farmaco- dipendente, un individuo che assume il farmaco regolarmente senza esserne schiavo e che può smettere sia pure a prezzo di qualche sforzo; ha bisogno del farmaco per sentirsi meglio o per non sentirsi peggio ma mantiene interessi e legami con gli altri che gli permettono un’esistenza vicina al suo stile di vita.

3) Tossicomane, un individuo la cui vita emotiva è dominata dal bisogno del farmaco e dei suoi effetti; c’è un grossolano indebolimento di tutti gli altri interessi e di tutti i legami con la realtà degli altri. !

Quella di Giorgio era una tossicodipendenza tardiva e seguendo le indicazioni che il supervisore mi aveva dato nel preseduta cercavo di raccogliere informazioni sulla storia della sua tossicodipendenza fino a comprendere la sua richiesta di aiuto. Fino a quel momento Giorgio non aveva preso grandi iniziative per risolvere il problema, piuttosto cercava di nasconderlo creando reti di complicità come aveva fatto con la sorella e con la ragazza; l’unico servizio con cui in quel momento aveva contatti era il Sert che viveva come un “parcheggio” e lì si limitava a prendere solo il metadone.

L’eroina rappresentava per Giorgio la “cura” per la sua ansia, tanto più era forte l’ansia tanto più era presente l’eroina nella sua vita e nel momento in cui era arrivato in terapia il consumo della sostanza era maggiore, da una volta al giorno era passato ad assumerla due volte al giorno; era importante capire cosa fosse successo nella sua vita da innalzare il livello di ansia.

Cancrini (1982) definisce la tossicomania come il risultato di un incastro tra due serie complementari di potenzialita' che acquistano senso nel momento dell'incontro: le serie delle esigenze individuali e le serie delle risposte che la droga e nient'altro prima della droga riesce a dare.

Giorgio era riuscito a contestualizzare che la sua ansia era aumentata in seguito all’infarto che il padre aveva avuto, fortunatamente si era ripreso ma in lui aleggiava la paura di perderlo; il padre era l’unico nella famiglia a non sapere della sua tossicodipendenza perché era una persona molto ansiosa e cercavano di proteggerlo nascondendogli le cose. La madre, invece, lo aveva capito trovando una boccetta di metadone nei suoi pantaloni e dopo avergli chiesto spiegazioni si era adagiata su quanto Giorgio gli aveva detto, cioè che era di un amico; la madre sapeva ma faceva finta di non sapere e di questo lui ne era consapevole. La sorella, che aveva 39 anni e faceva il neurochirurgo, era quella che aveva cercato sempre di aiutarlo, quella a cui Giorgio si era potuto concedere il “lusso” di esplicitare chiaramente la sua difficoltà.

Dal racconto che Giorgio ci aveva fatto notavamo una somiglianza con il padre, entrambi erano ansiosi ciò che li distingueva era la “cura” che avevano utilizzato per la loro ansia; il padre l’aveva tenuta a bada prendendo gli psicofarmaci e lui invece per simmetria rifiutava i farmaci ma poi prendeva l’eroina, la madre di tutti gli psicofarmaci.

La richiesta di aiuto che Giorgio ci rivolgeva era quella di aiutarlo a capire il motivo della sua ansia; non riuscivamo a comprendere se volesse togliere il suo "ansiolitico" e lo confrontavamo su alcune contraddizioni: perché Giorgio voleva togliere l’eroina se questa come lui sosteneva funzionava per curare la sua ansia?

Giorgio diceva di non voler più dipendere da una sostanza, di non voler provare sempre la paura di stare senza di lei e di doverla cercare continuamente; si era creata una situazione paradossale tale per cui Giorgio utilizzava la sostanza per curare la sua ansia, ma a sua volta la paura di rimanere senza la sostanza e di dover andare continuamente alla ricerca di questa incrementava la sua ansia. Si era

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innescato un circolo vizioso tale per cui quella stessa sostanza che lui reputava una “cura” incrementava il suo sintomo ed era diventata un’ in-sostanza.

Cancrini (1982) ha messo in evidenza il carattere autoterapeutico del ricorso alle sostanze; i problemi e le difficoltà sono presenti prima della tossicodipendenza e la persona cerca negli effetti della sostanza un tentativo di soluzione ai suoi problemi. Ecco così l’autoterapia: inconsapevole, confusa, poco efficace a lungo andare ma comunque un tentativo autoterapeutico.

Cercavamo di aiutare Giorgio a prendere consapevolezza di questo meccanismo che si era innescato e lo sfidavamo benevolmente dicendogli che lui era differente dagli altri tossicodipendenti, questi in genere hanno il problema di “farsi” mentre lui aveva il problema di smettere.

Parlando con Giorgio era emerso come questo fosse il primo tentativo concreto di smettere con l’eroina, proprio in prossimità del trasferimento della ragazza a Roma; gli avevamo chiesto se la sua intenzione era quella di “darsi una ripulita” per accogliere bene la ragazza al suo arrivo. Aveva detto che gli sarebbe tanto piaciuto, anche se la ragazza l’aveva conosciuto con il problema della sostanza, era proprio la sua condizione che li aveva avvicinati e lei aveva voglia di aiutarlo. L’eroina per Giorgio aveva il ruolo di un ansiolitico e il pensiero di smettere accentuava la sua ansia; avevamo bisogno di conoscere bene la sua storia e per questo gli avevamo chiesto di costruire il Diagramma del Benessere e di portarlo nella seduta successiva.

La consegna era quella di costruire un diagramma in cui sulle ascisse venivano indicati gli anni della sua vita e sulle ordinate i punteggi di quanto era stato bene attribuendo un punteggio da 1 a a 10. I punteggi dovevano poi essere collegati tra di loro e da lì si otteneva la curva del benessere che rappresentava la percezione del benessere che Giorgio aveva percepito nel corso della sua vita. !

- Verso la storia di Giorgio: il Diagramma del Benessere !Il Diagramma del benessere è “una tecnica grafica utile al terapista sistemico e relazionale a più

livelli: permette di raccontare la storia personale, di coppia o familiare e aspetti disfunzionali di essa attraverso l’utilizzo di un canale alternativo a quello della parola, con tutti i vantaggi che possono derivare dall’uso di uno strumento analogico. Ciò consente di stimolare nel paziente nuovi interrogativi, attivare apprendimenti, emozioni già presenti che si evidenziano in altri contesti, o che si potrebbero evidenziare se liberati dalla rigidità dei copioni in atto, rigidità che non appartiene a una dimensione “lineare” ma a una dimensione “relazionale e circolare” (Colacicco, 2013).

Avevo conosciuto per la prima volta questo strumento nel primo anno di training quando il didatta aveva chiesto a noi allieve di fare il nostro diagramma del benessere, ciò mi aveva permesso di acquisire maggiore familiarità con questo strumento e mi aveva aiutata a proporlo al paziente con chiarezza.

Giorgio aveva costruito il suo diagramma e in seduta avevo lavorato con lui su questo tenendo in considerazione l’indicazione che il supervisore mi aveva dato di prestare attenzione ai picchi sia verso l’alto sia verso il basso.

Dalla costruzione che Giorgio aveva fatto del suo diagramma del benessere si osservava che da 1 a 3 anni si era attribuito come punteggio 7, era troppo piccolo e non ricordava molto di quel periodo e saliva ad 8 tra i 3 e i 6 anni perché erano i primi anni di scuola e ricordava di essere felice, aveva tanti amici e si trovava bene con le maestre.

Dai 7 ai 9 anni il punteggio si era abbassato a 7.5, a scuola iniziava ad avere delle difficoltà, non riusciva a dare il massimo come avrebbe voluto fino a scendere a 6 tra i 9 e gli 11 anni quando aveva iniziato a prendere peso e ciò lo faceva soffrire molto, si sentiva a disagio e veniva preso in giro da tutti.

A 12 e a 13 anni il punteggio era risalito a 7, stava abbastanza bene perché era riuscito a perdere peso e faceva molto sport, in quel periodo aveva un’intensa vita sociale; gli anni dai 14 ai 16 li ricordava come i più belli, erano gli anni in cui aveva iniziato ad andare allo stadio, alle iniziative a questo connesse, erano i primi anni del liceo e si era attribuito 9 come punteggio.

A 17- 18 anni i punteggi cominciavano a scendere fino a 7, aveva iniziato a perdere i capelli per una forma molto forte di alopecia, diceva di aver sofferto molto per questo, si vedeva cambiare e non riusciva a risolvere il problema nonostante le innumerevoli cure che aveva provato; ci teneva a precisare che questo era il motivo per cui teneva sempre il cappello.

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A 19 anni il punteggio era di 7.5 perché era il periodo in cui si era trasferito a Roma dalla Calabria per studiare, da un lato era contento perché era stata una sua scelta dall’altro sentiva il distacco dagli amici e dalla fidanzata; era in quel periodo che aveva iniziato ad assumere droghe sintetiche, le aveva provate e gli erano piaciute; ciò lo aveva portato a trascurare lo studio.

A 22 anni si era lasciato con la ragazza storica con la quale stava insieme da sette anni, infatti il punteggio era sceso a 6; a 24 anni si era fidanzato con una ragazza di Roma e l’eroina era entrata nella sua vita, con lei aveva iniziato ad assumerla ed in questo periodo il punteggio si era abbassato a 5.

Tra i 26- 28 anni si era fidanzato con l’attuale ragazza, era riuscito a laurearsi ed aveva iniziato ad avere sogni più concreti, aveva iniziato a scrivere e a collaborare con qualche giornale ed in questo periodo il punteggio era salito a 7 e si era abbassato a 6,5 al momento in cui era arrivato in terapia.

Dal racconto che Giorgio aveva fatto dei vari momenti della sua vita era evidente come l’utilizzo di sostanze era iniziato a 19 anni, proprio nel momento in cui si era trasferito a Roma.

Di seguito riporto la curva del benessere costruita da Giorgio. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!Considerando che l’eroina veniva utilizzata come una cura per l’ansia era importante indagare le

stagioni in cui l’ansia di Giorgio era stata maggiore; questa poteva essere paragonata come ad un allarme, come la spia della macchina l’ansia si accendeva per indicare che c’era qualcosa che non andava. Cosa era accaduto in quel periodo?

Giorgio aveva detto che si era lasciato con la fidanzata e che forse quello era un periodo di insoddisfazione generale perché aveva fatto pochi esami e doveva decidere se rimanere a Roma o ritornare in Calabria; la distanza sembrava essere dai racconti di Giorgio il motivo per cui la sua relazione era finita. Aveva deciso di interrompere lui la storia ma quando era ritornato sui suoi passi lei non voleva più saperne nulla, la stessa cosa era successa con l’altra ragazza.

Giorgio era ansioso come il padre e così come suo padre anche a lui l’ansia aveva tenuto compagnia; gli avevamo chiesto di indicare tre momenti in cui l’ansia era stata forte.

Giorgio aveva individuato il periodo dei 17 anni in cui il padre era svenuto davanti a lui e pensava fosse morto; in quel periodo il padre si stava curando per la colicisti e stava soffrendo di pressione bassa, capitava spesso che svenisse e lui non riusciva a dormire e faceva incubi; il secondo periodo era quello tra i 19- 20 anni quando si era trasferito a Roma e si era avvicinato alle droghe sintetiche ed il terzo periodo risaliva a 22 anni quando si era lasciato con la ragazza storica.

L’eroina era per Giorgio una cura per l’ansia e l’ansia indicava che c’era qualcosa che non andava, questa cura un po’ funzionava un po’ no anche perché si aggiungeva l’ansia legata alla ricerca della sostanza; era importante spostare l’attenzione dalla sostanza all’ansia di Giorgio.

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Marras (2012) correla il dramma della tossicodipendenza oltre che alla potenza “farmacologica” delle sostanze, anche ad una fragilità dell’Io dell’individuo che cerca nelle sostanze il rimedio alle ansie, alle sofferenze, alle difficoltà emotive- relazionali dell’esistere.

A tal proposito, Colacicco (2012) pone l’attenzione sull’efficacia psichica delle droghe come se anche a questo livello si ponesse una questione che è cruciale ed indispensabile affrontare in terapia per dare significato al sintomo. !

5. II FASE: L’ANSIA COME BUON SUGGERITORE !“Lo sviluppo di un lavoro terapeutico con un tossicomane non può essere centrato

esclusivamente sulla remissione dei sintomi ma focalizzato sulla funzione del sintomo. Vanno ricercati collegamenti tra la storia personale e familiare della persona e l’insorgenza prima e lo sviluppo poi dei disturbi psichici e comportamentali. Nelle tossicomanie il quadro clinico che si rileva mette in luce più il tipo di complicazioni, che nel corso del tempo si sono determinate che gli aspetti psicopatologici che ne hanno provocato l’emergenza: sono da rintracciare proprio in questi disturbi più profondi le ragioni del passaggio al consumo della tossicomania. E’ per questo che il lavoro terapeutico con i tossicomani va centrato sulla funzione positiva svolta dal sintomo, sia sul piano dell’economia psicologica individuale che familiare o del gruppo di cui la persona fa parte”. (Cancrini, Colacicco e Fiorini, 1997).

Iniziavamo a lavorare con Giorgio sul significato della sua ansia e difficilmente lui avrebbe potuto fare a meno dell’eroina, così come il padre dei farmaci, se non ne capiva bene i motivi; era importante capire cosa non andava, da cosa lo stava proteggendo l’ansia.

Doveva tornare a quelle stagioni in cui l’ansia era stata più forte e doveva provare a darsi una spiegazione, anche scrivendola; riprendendo quelle stagioni che aveva rintracciato nel suo diagramma come i periodi di maggiore ansia, doveva scriverli, contestualizzarli e cercare di capire da cosa lo stava proteggendo.

Iniziavamo a spostare l’attenzione dalla sostanza alla funzione positiva dell’ansia. In riferimento a Colacicco (2012) “ogni buon clinico sa che la funzione positiva svolta dal

sintomo quasi mai è solo sull’equilibrio personale di colui che lo manifesta (protetto dal conflitto che non può affrontare) ma anche e a volte soprattutto sull’equilibrio del gruppo di cui egli fa parte”.

Il supervisore mi aveva invitata a compilare la scheda diagnostica sulle dipendenze che mi avrebbe aiutato a fare delle prime ipotesi sul funzionamento di Giorgio; questa è composta da una parte in cui il terapeuta deve rispondere sulla base di quello che il paziente dice e da un’altra parte in cui il terapeuta risponde sulla base delle sue percezioni. Ciò mi aveva aiutata a mettere insieme tutte le conoscenze che avevo su Giorgio e a collocarlo nella tipologia tossicomanica di tipo B descritta da Cancrini. La difficoltà di Giorgio sembrava essere legata ad una difficoltà nella fase dello svincolo e dalle informazioni che avevamo la mappa del suo sistema familiare sembrava caratterizzata da un ipercoinvolgimento con la madre e la sorella mentre il padre assumeva una posizione periferica.

Le tossicomanie vengono ricondotte da Cancrini (1982) a quattro tipi fondamentali: 1. Tossicomanie traumatiche (tipo A) nei casi in cui e' possibile individuare nella storia del

paziente degli eventi traumatici a cui è seguito l'incontro con le sostanze che cambia repentinamente lo stile di vita del paziente; l'uso della sostanza non comporta piacere ma diventa il sostituto di un dolore insopportabile. Il paziente in questo caso non assume atteggiamenti di sfida verso l' esterno ma di riservatezza e a livello relazionale appare povero di punti di riferimento. A livello familiare si evidenzia in alcuni casi giovani percepiti come figli esemplari, a cui viene affidato il ruolo di parent child, oppure di giovani appartenenti a gruppi familiari in cui si apprende a confrontarsi con la separazione, la perdita ed il lutto adottando un pattern di evitamento del processo di elaborazione del lutto. A livello clinico si assiste ad un’inibizione più o meno generalizzata dell’attività del soggetto; è il quadro clinico della nevrosi traumatica.

2. Tossicomanie sostitutive di nevrosi attuali (tipo B) in cui la tossicomania si sviluppa in situazioni di conflitto attivo esterno alla persona e spesso interno alla famiglia; l'effetto della droga non e' fonte di piacere e il tossicomane ha un atteggiamento di sfida nelle relazioni. In questi casi la mappa familiare e' maggiormente caratterizzata da confini invischiati, ipercoinvolgimento tra madre e figlio mentre il padre rimane periferico; a livello comunicativo prevale la contraddittorieta' dei messaggi cui il sintomo tossicomane mantiene l'omeostasi.

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Dal punto di vista clinico può manifestarsi nel futuro tossicodipendente in forma di ansia più o meno somatizzata, nevrosi attuale o di carattere nevrotico; tuttavia le manifestazioni dell'ansia e le limitazioni caratteristiche del carattere nevrotico sono in qualche modo inglobate o nascoste nella tossicodipendenza che continua a dominare il quadro clinico, in forma di rischio o minaccia di ricaduta, anche quando il paziente non si droga più.

3. Tossicomanie di transizione (Tipo C) in cui ci troviamo nell'area di situazioni limite e delle psicosi; si sviluppa in individui con gravi disturbi di personalità, soprattutto di tipo borderline o schizotipico. Più di rado essi si manifestano in persone che hanno già presentato o che presentano crisi psicotiche acute di tipo distimico o schizofrenico suggerendo, a volte, l'idea di una utilizzazione del comportamento tossicomane come meccanismo protettivo di fronte all'irrompere del disordine psicotico e dell'angoscia che ad esso si accompagna. L'effetto proprio delle droghe (e quello, in particolare, dell'eroina) libera, temporaneamente ma in modo efficace, da ogni situazione di sofferenza e consente una intensa, straordinaria esperienza di libertà interiore legata al recupero di una condizione di benessere totale. Dal punto di vista familiare si tratta di situazioni in cui le difficolta' di svincolo sono importanti nella misura in cui tutti sono coinvolti nei giochi familiari avviati gia' al momento della nascita della coppia.

4.Tossicomanie sociopatiche (Tipo D) rientrano nell'area dei disturbi sociopatici di personalità. Sono caratterizzate dal difetto di integrazione sociale determinato da un insieme complesso di fattori ed in primo luogo dalla carenza di cure materne in situazioni di svantaggio socio- culturale; questo tipo di situazione si caratterizza sostanzialmente per la tendenza ad esprimere il conflitto attraverso l'acting out e ciò corrisponde in pratica all'evidenza di comportamenti antisociali che precedono la tossicodipendenza e caratteristica è la freddezza emotiva e la percezione ostile dell’ambiente esterno.  I modelli comunicativi e l' organizzazione familiare corrispondono a quelli riscontrati nelle famiglie disimpegnate, appartenenti solitamente a classi svantaggiate, che si presentano come gruppo disorganizzato, i cui membri se osservati al momento della richiesta di aiuto si muovono in orbite isolate senza alcuna reciproca apparente interdipendenza.

"Nessun tossicomane e' uguale all'altro, sono accomunati solo dalle tendenze di usare il comportamento tossicomane come strumento di equilibrio in una fase difficile della loro vita" (Cancrini, 1982). !

- Ascoltando l’ansia per creare connessioni con la storia !“L’essere umano adulto si dibatte permanentemente in un asse che oscilla tra due grandi bisogni:

il bisogno di appartenenza a un sistema familiare che ci ha dato la vita e il nome e con cui abbiamo accumulato migliaia e migliaia di interazioni, e il bisogno di differenziazione, spinta spontanea che ci porta a esplorare il mondo e disegnare un progetto esistenziale autonomo per inserirci creativamente nella cultura circostante e, eventualmente, riciclarci con la nostra discendenza in un meccanismo transgenerazionale di sopravvivenza dei valori positivi ereditati. In questo asse più o meno tormentato, più o meno facilitato dalle famiglie di origine e dalla società in cui viviamo, si inscrivono le disfunzionalità più frequenti che portano un cliente in terapia” (Canevaro, 2010).

Era importante che Giorgio iniziasse ad ascoltare la sua ansia, capisse cosa volesse comunicargli e creasse le prime connessioni con la sua storia di vita.

Gli avevamo assegnato il compito di formulare delle ipotesi rispetto all’insorgenza della sua ansia e riporto qui di seguito quanto scritto da Giorgio e su cui poi avevamo lavorato in seduta:

“La prima ondata di attacchi di ansia che ricordo abbastanza chiaramente risale ai primi anni di università qui a Roma. Diciamo che già dal primo anno, in concomitanza all’uso di sostanze eccitanti come le anfetamine o l’ecstasy, ho cominciato ad avere diversi sintomi inerenti all’ansia.

Quello più comune credo sia la difficoltà a dormire oppure l’irritabilità la tachicardia gli attacchi di sudorazione….

In questo particolare periodo della mia vita, è possibile che l’ansia, considerata come una sorta di spia accesa per difendere l’organismo, volesse comunicarmi di chiudere con quelle sostanze che agitavano ancora di più il mio stato d’animo.

E’ come se l’ansia volesse informarmi dei rischi connessi all’uso ed all’abuso di sostanze che si scontrano nettamente con il mio modo di essere, già di per sé iperattivo e frenetico.

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Poi, nel periodo che ho smesso definitivamente con quel tipo di sostanze, le manifestazioni ansiose in un certo senso sono aumentate. La difficoltà a dormire, per un periodo di circa 5 o 6 mesi, è diventata vera e propria insonnia, accompagnata alla comparsa di pensieri brutti quali la morte o la paura dell’abbandono. Col tempo, per fortuna, le manifestazioni più radicali di questo malessere sono via via diminuite anche se in alcuni casi particolari, come ad esempio prima di un esame o di un avvenimento importante, l’ansia riaffiorava ma in un certo senso riuscivo a controllarla e ad indirizzarla positivamente per mantenere l’attenzione e ricordare tutto il programma di studio.

In questo caso credo che le manifestazioni di ansia volessero contribuire ad esempio al superamento degli esami e quindi nonostante le sensazioni di malessere potrebbe anche essere considerata positiva.

Un vero e proprio periodo buio, caratterizzato da forti crisi emotive, attacchi di panico e di pianto è stato quello intorno ai 25-26 anni, nel momento in cui è finita una importante storia d’amore della mia vita, diciamo la seconda. La prima volta che mi sono lasciato con la mia prima vera ragazza ho sofferto molto e anche in quel caso l’ansia è stata presente ma nel giro di un paio di settimane sono riuscito a recuperare il mio benessere mentale e psicofisico anche aiutato da attività sportive quali il pugilato oppure galvanizzato dagli ottimi ed innumerevoli rapporti sociali che ho creato in questa città. Ritornando perciò alla fase negativa dovuta alla rottura del secondo rapporto importante della mia vita, come dicevo, quello è stato davvero un brutto periodo ed è proprio lì che gli attacchi di ansia e di panico sono diventati sempre più forti ed incontrollabili.

Sarà stata la paura di restare da solo accompagnata ad uno stato di sofferenza dovuto ad una forte delusione che tradiva le mie aspettative. Insonnia, irritabilità, tremori, crisi di pianto, tachicardia, coliche, mal di pancia e tanto malessere hanno accompagnato le mie giornate per almeno una settimana in modo intensivo, poi, piano piano le crisi sono diminuite ma non totalmente terminate.

In questo caso non so proprio cosa volesse comunicarmi l’ansia, non riesco ad analizzare razionalmente questa ondata di malessere e non riesco a trovare dei dati positivi.

Sta di fatto che proprio in questo periodo è iniziato il rapporto con gli oppiacei che riuscivano in un certo senso a placare le mie ire e a cancellare per un po’ di tempo, ma non definitivamente, i sintomi negativi degli attacchi di ansia e di panico.

Dopo un po’ di tempo però, gli attacchi di ansia sono aumentati e diventati di fatto, le manifestazioni primordiali e più evidenti delle crisi d’astinenza dovuto all’abuso di eroina.

Ricordo con terrore la più forte crisi di panico e anche d’astinenza della mia vita che mi segnò radicalmente. Fu forse il giorno più brutto della mia vita, ho davvero avuto paura di morire soffocato perché non riuscivo a respirare e mi mancava l’aria oltre al fatto che stavo quasi per affogare nel mio stesso vomito. Di quel giorno ho davvero un brutto ricordo nonostante anche in altri casi, successivamente, abbia avuto altre crisi, comunque rilevanti e sofferenti.

Credo che in questo particolare caso e quindi anche nelle crisi successive, i sintomi dell’ansia volessero comunicarmi che stavo abusando con le sostanze oppiacee, un campanello d’allarme che voleva informarmi del fatto che stavo diventando dipendente da una sostanza.

Nell’ultimo periodo della mia vita i sintomi dell’ansia non sono scomparsi, anzi, sono sempre presenti, fra alti e bassi, nelle mie giornate. Diciamo che ho anche avuto un periodo positivo, ricco di soddisfazioni personali e professionali che per un po’ hanno placato il mio malessere. Questo mi ha aiutato ad avere una vita normale, anzi ricca di soddisfazioni e condita da una voglia di rivincita e di rivalsa, che chi mi conosce sa ben cosa voglia dire.

L’ansia però continua a far parte della mia vita, la avverto sempre prima che devo fare qualcosa d’importante, mi viene quando resto senza eroina, oppure mi capita di svegliarmi stanco e irritato ma poi durante la giornata riesco a riprendermi e poi la notte riavverto qualche sintomo anche se per fortuna, riesco a dormire in maniera sufficiente.

Negli ultimi giorni, a causa delle pessime condizioni di salute di mia nonna, ho avvertito un diffuso senso di tristezza accompagnato ai sintomi più noti dell’ansia quali la tachicardia, l’agitazione… e anche qualche crisi di pianto. Sarà perché il pensiero che fra un po’ di tempo mia nonna, (che poi è la mia seconda mamma perché mi ha davvero cresciuto) non ci sarà più, mi rattrista e mi spezza il cuore facendomi tornare in mente pensieri negativi come la morte.

Anche in questi casi non riesco a dare una spiegazione efficace dell’ansia, magari riesco ad intravedere una sorta di risposta dell’organismo a stimoli negativi esterni, quasi come uno scudo, solo che poi alla fine questo scudo non riesce a ripararmi concretamente dal dolore”. !

Giorgio aveva individuato tre momenti in cui l’ansia era stata molto forte: il primo risaliva ai primi anni di università e al trasferimento a Roma, in cui prevalevano sentimenti di paura e abbandono; il secondo alla fine della storia con la ragazza e la terza era recente e risaliva alla malattia della nonna materna.

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Era importante collegare i picchi di ansia di Giorgio alla sua storia; era riuscito ad individuare un primo momento importante e cioè che l’ansia era iniziata con il suo trasferimento a Roma e che era maggiore quando si trovava da solo. Questo ci consentiva di ritornare sulla sua difficoltà a farcela da solo, il suo sembrava un atteggiamento di sfida, sapeva che da solo stava male ma voleva guarire da solo, era simmetrico come un adolescente.

Era importante lavorare su queste contraddizioni, metterlo in crisi senza rimproverarlo ma spingendolo verso una chiarificazione; Giorgio era ansioso e aveva bisogno di essere confermato, riconosciuto, sentirsi abile nel fare le cose e ciò permetteva di ridurre il senso di solitudine.

Su nostra indicazione aveva ricostruito una curva dei suoi stati d’ansia segnando da 0 a 10 quanto era stata forte o meno l’ansia per ogni anno di vita: da 0 a 9 anni l’ansia era pari a 1, dai 10 ai 15 anni era salita a 3, a 16 e a 17 anni era scesa a 2, a 18 e a 19 anni era salita a 4 e continuava a salire fino a toccare il picco più alto a 25-26 anni, quando il punteggio era arrivato ad 8 rimanendo costante fino al momento in cui era arrivato in terapia.

Giorgio ci aveva riportato fino a quel momento un racconto in cui l’ansia rappresentava qualcosa che aveva da sempre accompagnato la sua vita, così come per il padre ma dalla curva dell’ansia che aveva ricostruito sembrava sopraggiungere quando era andato via da casa, sembrava che più stesse lontano da casa più l’ansia cresceva; questa era una corrispondenza importante ed era un’osservazione che avevamo costruito durante la seduta insieme a lui.

Giorgio era stupito da questo collegamento e aveva detto di non aver mai pensato alla sua ansia in questi termini e che questo era un aspetto che stava vedendo solo in quel momento.

Stanton (1979) ha introdotto il concetto di “pseudoindividuazione” per spiegare come attraverso l’uso di sostanze il figlio vorrebbe rimarcare il proprio distacco dai genitori, ma la dipendenza dalla droga lo rende sempre più dipendente dalla famiglia che lo mantiene, lo aiuta ed appare così incollata, incapace di far fronte all’angoscia di separazione.

Era evidente che il problema di Giorgio era una difficoltà di svincolo e lui sfidava l’ansia, andava a cercare le situazioni come le giornate allo stadio in cui l’ansia si esasperava; avrebbe potuto evitare certe situazioni ed invece sembrava farne la sua missione di vita, era un braccio di ferro tra lui e la sua ansia.

Giorgio era tifoso Ultras della sua squadra, era stato lui stesso a fondare questo gruppo e ciò che lui sosteneva di amare non era il calcio quanto piuttosto la passione per le coreografie, i cori, la curva e la tifoseria. Era stato diffidato dallo stadio per tre anni perché era stato coinvolto in alcuni scontri e ci aveva raccontato del mondo degli Ultras, delle regole implicite che vi vigevano quali: non usare armi, non scagliarsi contro donne e bambini e attribuiva la responsabilità degli scontri soprattutto ai poliziotti esaltati che provocavano i tifosi che a loro volta dovevano difendersi.

Avevamo chiesto cosa accadeva alla sua ansia allo stadio e lui ci aveva raccontato che questa era molto alta nei momenti prima di andare lì, non riusciva a dormire ma era un’ansia per lui positiva, poi quando era allo stadio con gli altri si alleggeriva e a fine partita era rilassato.

Avevamo chiesto a Giorgio di fare un’ipotesi rispetto al fatto che andare allo stadio equivaleva ad andare incontro a contesti ansiogeni, aveva iniziato a sfidarla, a fare un braccio di ferro con lei?

Riporto qui di seguito quanto scritto da Giorgio: “Credo che l’ambiente psicologico che circonda l’ambiente calcistico, più che essere un reale motivo di allarmismo,

rappresenta per me il momento in cui cancello ogni tipo di energia negativa. La curva, essendo uno spazio sociale d’aggregazione, è il luogo in cui ritrovo tutti i miei amici, è lo spazio in cui

comunico al mondo intero che esisto, che penso, che agisco. Nei momenti più caldi, nelle situazioni di tensione, stranamente, sto bene, mi sento me stesso, riesco a dare libero

sfogo ai sentimenti più veri. L’adrenalina sale ma non è ansia negativa, non è batticuore che significa paura, insicurezza ma è energia pura,

positiva, benefica. Sono situazioni difficili da spiegare a chi non ha mai provato alcune emozioni “speciali” in uno stadio, in una

curva, con i fratelli e le sorelle di mille avventure. E’ dal 1995, anno in cui fondai il mio gruppo Ultras, che lo stadio rappresenta per me una valvola di sfogo che

siamo riusciti a ritagliarci nei meccanismi del calcio moderno, e quindi del potere costituito. Sono le emozioni, le gioie, ma anche i dolori e le delusioni, condivise con altri come me, che rendono tutto così

speciale e entusiasmante.

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Sto bene quando sto in una curva, quando viaggio su e giù per la penisola, anche quando lo scontro sta per scoppiare… E’ questa una delle cose della mia vita di cui vado orgoglioso.

Anche quando la tensione sale, quando la rabbia esce fuori dopo l’ennesima provocazione, sono fiero di stare dalla mia parte, dalla parte del torto, se la ragione sta dalla parte delle divise.

E anche quando l’ansia diventa angoscia capisco che quello è il mio posto perché sono io che ho deciso di vivere da Ultras, non solo alla partita, non solo allo stadio, ma in tutta la mia esistenza.

Non è la ricerca di momenti “ansiolitici”, per così dire, ma è la voglia di vivere una passione totalmente, con fattori positivi e negativi, dunque nel bene e nel male.

Quando canto i cori, quando il boato delle nostre voci rimbomba nell’aria, i brividi s’impossessano del mio corpo. .. E’ melodia per le mie orecchie, è il benessere totale, è la condivisione magica che dà altri stimoli per continuare a vivere questa passione”. !

Giorgio esplicitava così il senso di sicurezza e di appartenenza che provava da Ultras e credo che fosse stato importante per lui condividere con noi i suoi pensieri, rappresentavamo quegli “altri” non facenti parte del suo mondo che erano interessati ai suoi racconti, ai suoi pensieri, alle sue idee; ciò lo faceva sentire meno solo.

L’ansia di Giorgio sembrava legata soprattutto alla distanza dai genitori ed era su di loro che dovevamo soffermarci; il padre era ansioso, lo zio paterno, dai racconti che Giorgio ci aveva fatto, era piuttosto instabile e la sofferenza sembrava legata alla famiglia del padre. Bisognava tracciare una corrispondenza tra i disturbi d’ansia del padre e i disturbi psicosomatici di Giorgio poiché probabilmente si trattava di una famiglia invischiata in cui era difficile separarsi e ciò impediva la differenziazione dei suoi membri.

“Quanto più è basso il livello di differenziazione di un figlio, tanto maggiore è la sua vulnerabilità a sviluppare comportamenti sintomatici:

- se si manifestano dei sintomi, possono presentarsi mentre il figlio sta crescendo o nell’età dello svincolo;

- il figlio meno differenziato è quello più sensibile agli aumenti dell’ansia familiare; - quanto più basso è il livello di differenziazione, tanto più il funzionamento di questo figlio

dipende dal sostegno emotivo della sua famiglia” (Cancrini e Colacicco, 2011). L’obiettivo era lavorare sullo svincolo, sulla definizione di Sé per facilitare l’elaborazione del

taglio (emotivo) che si è determinato con la famiglia di origine (Colacicco, 1997). Giorgio si era illuso che la sostanza potesse aiutarlo ad essere “libero” ed invece non era altro che

una copertura di una difficoltà più profonda che man mano che andava avanti emergeva sempre di più. A tal proposito mi viene in mente la “Leggenda del Cavallo di Sammarcanda”: “Si racconta che un mattino di molti secoli fa, a Bassora, il più valoroso militare della città, passeggiando per il

mercato, abbia incontrato lo spettro della Morte che lo guardava in modo strano, forse minaccioso. A vedere ciò il soldato, colto dallo sgomento nell’aver incrociato tanto presto lo sguardo con la morte si recò dal suo sovrano, chiedendogli aiuto. Il buon sovrano decise di donargli un veloce cavallo “figlio del lampo”, degno del suo prestigioso regno, la cui velocità avrebbe assicurato al soldato una rapida fuga in terre lontane, garantendogli la salvezza della morte imminente. Il militare saltò subito in sella e grazie al destriero reale poté correre via fino alla città di Samarra, luogo che raggiunse in serata, credendosi ormai sicuro, tanto era corso lontano rapidamente. Più tardi accadde che il Re in persona incontrò in città lo spettro della Morte e chiedendogli spiegazioni sul presagio del suo soldato, questa gli rispose che si era semplicemente stupita nell’averlo visto al mattino ancora al mercato di Bassora, poiché lo aspettava più tardi, in serata, nella lontana città di Sammarcanda”. !

Era importante aiutare Giorgio ad allargare i suoi spazi di comprensione e per fare questo oltre al lavoro in stanza gli assegnavamo compiti scritti da fare a casa servendoci così della sua passione per la scrittura.

“Dare ai singoli e alle famiglie delle direttive o dei compiti ha vari scopi: 1. Il principale fine della terapia è di fare in modo che le persone si comportino in maniera

diversa e che diverse siano le esperienze vissute. Le direttive sono una maniera di rendere possibili questi cambiamenti.

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2. Le direttive vengono usate per intensificare il rapporto con il terapeuta. Se la direttiva è qualcosa che le persone sono chiamate a svolgere durante la settimana, il terapeuta in certo modo rimane nelle loro vite per tutto questo periodo di tempo.

3. Le direttive vengono usate per avere informazioni. Che facciano o meno ciò che il terapeuta ha detto di fare, che se lo dimentichino o che ci provino senza riuscirci, il terapeuta riceve informazioni che altrimenti non otterrebbe" (Haley, 1985). !

- Messa in crisi del vecchio funzionamento di Giorgio !Bateson (1976) nei suoi metaloghi sulla conoscenza sosteneva che “il sapere è come tutto

intrecciato insieme, o intessuto, come una stoffa, e ciascun pezzo di sapere è significativo o utile solo in virtù degli altri pezzi… e la prima regola per essere chiari è quella di non mescolare idee che sono del tutto diverse tra loro… devi combinarle ma non sommarle… e allora hai un nuovo tipo di idea, di quantità…non si possono sommare o mescolare i pensieri, si possono solo combinare”.

Stavamo aiutando Giorgio a vedere cosa si nascondeva dietro la sua ansia e a trovare il significato più profondo che si celava dietro questa; dovevamo ricostruire e mettere insieme i pezzi della sua storia e dargli un senso. Nel fare questo iniziavamo a metterlo in crisi e lo sfidavamo benevolmente rispetto alla possibilità di farcela da solo, non era riuscito in passato a smettere perché avrebbe dovuto farcela proprio ora? Era importante che si facesse aiutare in questa “impresa” dalla sorella e dalla fidanzata, le uniche con le quali aveva costruito un rapporto di complicità. Usavo l’ironia per rendere questa sfida più tollerabile per il paziente, più accettabile, così da fargli vedere il nostro interesse nei suoi confronti.

Proprio in questa fase della terapia Giorgio aveva “sospeso” gli incontri con noi perché aveva avuto un incidente con il motorino, non era nulla di grave ma doveva stare fermo per un po’ di tempo.

Mi aveva informata tramite un messaggio e quando avevo provato a chiamarlo per sapere come stava aveva il telefono spento; dopo poco tempo mi aveva contattata sempre tramite messaggio la sorella di Giorgio per informarmi che il fratello si stava sottoponendo a dei controlli e che mi avrebbe fatta richiamare da lui appena si fosse tranquillizzato.

Diversi giorni dopo Giorgio mi aveva informata di essere tornato in Calabria per il periodo di convalescenza e mi aveva raccontato che era caduto con il motorino, era scivolato e aveva battuto la gamba e la testa; era stato portato all’ospedale e la sorella, appena aveva saputo dell’accaduto, era salita subito a Roma e lo aveva portato in Calabria con sé per tenerlo d’occhio.

Giorgio riferiva di dover rimanere a riposo perché se sforzava la gamba rischiava di peggiorare la contusione, la libreria era chiusa, perché l’amico era all’estero e i fornitori lo chiamavano insistentemente per essere pagati e per questo motivo teneva il telefono spento.

Avevamo fissato il prossimo appuntamento a distanza di tre settimane, il tempo che lui riteneva gli servisse per riprendersi e tornare a Roma.

La sorella era molto dentro la situazione e bisognava incontrarla insieme al fratello, così come avevamo pensato fin dall’inizio.

Avevamo rivisto Giorgio a distanza di tre settimane….. il giorno dell’appuntamento mi aveva contattata per avere conferma della terapia. Un’ora prima della seduta mi aveva chiamata per comunicarmi che non sarebbe riuscito a venire perché era bloccato nel traffico e a distanza di breve tempo mi aveva richiamata nuovamente per avvisarmi che sarebbe riuscito a venire anche se con un po’ di ritardo. Giorgio era riuscito ad arrivare con 15 minuti di ritardo, la sua ansia lo aveva fatto preoccupare eccessivamente per il possibile ritardo tanto da farlo chiamare numerose volte.

Dopo aver gratificato Giorgio per essere riuscito a venire gli avevamo chiesto se la ragazza e la sorella avessero dato entrambe la disponibilità a partecipare agli incontri con noi, ci aveva comunicato che entrambe avrebbero partecipato ma che per la ragazza avremmo dovuto posticipare l’incontro perché aveva degli impegni lavorativi e non si sarebbe potuta spostare dalla Calabria per un certo periodo. La sorella, invece, era disponibile fin da subito e così l’avevamo fatta chiamare da Giorgio in stanza quello stesso giorno per fissare un appuntamento.

La sorella di Giorgio era quella maggiormente invischiata in questa situazione e avevamo chiesto a Giorgio se riteneva che fosse stato utile il piano di complicità che lei gli aveva offerto, cosa sarebbe successo se lei avesse messo la famiglia a conoscenza del suo problema?

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Giorgio riteneva che il segreto che la sorella aveva mantenuto era stato importante per salvaguardare la salute del padre, se lui lo avesse saputo sarebbe stato pericoloso per il suo cuore;

era animato dalla voglia di smettere ma aveva delle difficoltà a farlo, non voleva andare in comunità perché non credeva che quello potesse essere il luogo adatto a lui.

Byng- Hall (1998) considera i segreti familiari come fatti che vengono comunicati in privato con preghiera di non farne parola con nessuno, ma ognuno la trasmette a un altro componente della famiglia, così diventano di dominio pubblico, legando però il confidente e l’ascoltatore in una coalizione nascosta. ! 6. III FASE: DA CIRCOLI “VIZIOSI” A CIRCOLI “VIRTUOSI” !

“Il comportamento psicopatologico non esiste nell’individuo isolato,

ma è solo un tipo di interazione patologica tra individui”

(Watzlawick et al. 1967). !!!!!!!!!!!!!!M.C. Escher Bond of Union !

Era arrivato il momento di conoscere la sorella e la ragazza di Giorgio; se da un lato il legame di complicità che gli avevano offerto aveva avuto una funzione protettiva dall’altro aveva portato al mantenimento del sintomo.

L’organizzazione del sistema interpersonale significativo del tossicomane e spesso l’organizzazione del sistema sociale, dei servizi e delle istituzioni contribuiscono “inconsapevolmente” a stabilizzare la relazione di dipendenza. Coevolvono e condeterminano i propri piani organizzativi configurando trame relazionali corrispondenti (Cancrini e Colacicco, 2011).

Pensavamo quindi che era importante mettere in crisi questo legame di complicità; la sorella e la ragazza di Giorgio costituivano per noi una risorsa importante per aiutarlo e dovevamo lavorare per far si che diventassero nostre alleate. !

- Incontro congiunto con Giorgio e la sorella !“Le cose sono unite da legami invisibili:

non puoi cogliere un fiore senza turbare una stella”. (Francis Thompson) !

“Il sottosistema fratelli è il primo laboratorio sociale in cui i figli possono cimentarsi nelle loro relazioni tra coetanei. In questo contesto i figli si appoggiano, si isolano, si accusano reciprocamente ed imparano l’uno dall’altro. In questo mondo di coetanei i figli imparano a negoziare, a cooperare ed a competere. Imparano a farsi amici e alleati, a salvare la faccia pur sottomettendosi, a far riconoscere le loro capacità” (Minuchin, 1976).

Era importante per noi conoscere la sorella di Giorgio, capire il suo punto di vista sulla situazione del fratello, come aveva cercato di aiutarlo fino a quel momento, quali erano i suoi pensieri rispetto al futuro di Giorgio e come immaginava sarebbero andate le cose quando la ragazza lo avrebbe raggiunto a Roma.

La sorella di Giorgio (Elena) sembrava una persona molto disponibile e molto legata al fratello; avvertivo in stanza la sua difficoltà ad affrontare la questione. Sembrava nell’apparenza molto diversa

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dal fratello, nella sua semplicità era molto distinta ed elegante mentre Giorgio aveva sempre un abbigliamento sportivo che lo faceva apparire più piccolo della sua età.

Elena ci aveva raccontato un po’ di sé, del suo lavoro e del rapporto con il ragazzo che non riusciva a viversi a pieno perché era molto preoccupata per Giorgio; diceva di aver sempre cercato di aiutarlo nelle questioni pratiche, materiali ma si era resa conto nel tempo di non avergli dato molto da un punto di vista affettivo. Aveva esplicitato la sua paura di chiamarlo al telefono perché temeva di sentirlo sotto effetto di sostanze e per lei venire da noi era stato difficile. Giorgio sentendo le parole della sorella era rimasto stupito, non si aspettava che il motivo per cui lei mantenesse una maggiore distanza da lui era perché avesse paura. La questione droga non era stata mai affrontata chiaramente, entrambi avevano sempre evitato di affrontare l’argomento e proprio per questo li avevamo disposti uno di fronte l’altro per farli confrontare. La sorella, guardando Giorgio negli occhi gli aveva chiesto perché avesse iniziato; lui aveva risposto che il suo problema era l’ansia e che tra tutte le droghe l’eroina era quella che lo aiutava a gestirla. Giorgio non riusciva a guardare la sorella negli occhi e rivolgeva lo sguardo verso di me come per sentirsi rassicurato.

Gli avevo rimandato la sua difficoltà a guardare la sorella negli occhi e lui aveva detto che era un suo modo per concentrarsi, lo faceva con tutti; quello però non era un volto qualunque ma era il volto della sorella e lo avevamo invitato a guardarla negli occhi.

Le avevamo chiesto cosa ne pensava dei motivi per cui Giorgio aveva iniziato a drogarsi. Elena aveva fatto diverse ipotesi a riguardo, innanzitutto ricordava che già da quando il fratello

era nato aveva avuto tutte le attenzioni particolari del padre, si somigliavano molto a tal punto che nel paese lo chiamavano “u professuricchiu” perché il padre era professore. Giorgio era sempre stato protetto sia dalla madre che dal padre, perché era il figlio più piccolo e lui si sentiva pressato da queste attenzioni; da piccolo era lui che aveva il “potere” in mano, rimproverava i genitori se non gli facevano fare le cose che voleva, era lui a comandare e secondo lei il troppo amore che gli avevano dato gli era poi venuto a mancare quando si era trasferito a Roma.

La seconda ipotesi che lei faceva riguardava la mancanza che Giorgio aveva avuto di una vera sorella perché lei aveva pensato sempre allo studio; anche lei era venuta a Roma per studiare e quando anche lui si era trasferito aveva preferito che andasse a vivere in un’altra casa perché non voleva sentirsi addosso il peso di dover continuare il lavoro di accudimento dei genitori.

Dalle sue parole sembrava trasalire un forte senso di colpa, pensava di non aver “dato” abbastanza al fratello e di non aver saputo cogliere dei messaggi di aiuto che lui le inviava.

Lei ci aveva parlato di una profonda differenza tra loro: Giorgio era sempre stato per strada, a contatto con persone in difficoltà che cercava di aiutare, lei invece l’aspetto dell’aiuto lo dimostrava adesso attraverso il suo lavoro. Lo invidiava perché avrebbe voluto essere come lui ed aveva iniziato ad esprimere la sua rabbia perché non riusciva a comprendere il perché avesse iniziato ed il perché due fratelli allevati nello stesso modo avevano comportamenti così diversi. Aveva chiesto al fratello come immaginava il suo futuro e Giorgio diceva che si immaginava il lavoro in libreria, una famiglia, l’impegno politico ma che questa sostanza che lo aveva fatto stare inizialmente bene ora lo faceva stare male.

Le avevamo chiesto quanto le pesasse mantenere il segreto con il padre e lei diceva che non le pesava ma vista la situazione pensava che fosse arrivato il momento che il padre lo sapesse.

Il padre era più debole della madre e ci aveva raccontato che in un’occasione in cui Giorgio era stato portato a casa dai carabinieri per possesso di erba, il padre non gli aveva parlato per un mese e poi era andato in depressione; solo con l’evento della laurea di Giorgio la situazione si era sbloccata.

Il supervisore mi aveva citofonato per sottolineare come questo sarebbe dovuto essere un buon motivo per smettere e Giorgio aveva detto che era proprio questo ad averlo spinto a chiedere il nostro aiuto, lui era molto protettivo nei confronti dei genitori. Giorgio riportava la paura dell’astinenza, aveva paura di morire.

Avevamo sottolineato che se le cose stavano così lui non sarebbe riuscito a smettere e aveva ragione la sorella quando diceva che sarebbe arrivato il momento di dirlo al padre.

Convocando la sorella volevamo mettere in crisi il piano di complicità che c’era tra i due, pensavamo ci fosse un invischiamento e prestavo più attenzione alla sorella affinché diventasse nostra alleata.

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La sorella era molto preoccupata per quello che sarebbe potuto accadere a casa se la cosa si fosse saputa era questo il motivo per cui aveva mantenuto il segreto, condivideva le paure del fratello a questo proposito ed era per questo che non gli chiedevamo di convocare il padre. Tuttavia se lui non sarebbe riuscito a smettere aveva ragione la sorella quando diceva che ci sarebbe stato il bisogno comunicarlo al padre.

Avevamo rimandato alla sorella che il suo aiuto era stato prezioso per noi, lei era un punto di riferimento per Giorgio, si vedeva che si volevano bene e che anche il fratello era un punto di riferimento per lei. Era importante per noi il suo aiuto e dopo aver visto la ragazza di Giorgio forse l’avremmo riconvocata per aiutare il fratello ad organizzarsi meglio in questa nuova fase della sua vita.

Giorgio lontano da casa non riusciva a gestire l’ansia e dovevamo cercare di capire cosa lo mettesse in ansia lontano da casa e perché non tornava in Calabria se il problema era stare lontano.

Nel colloquio successivo avevamo incontrato Giorgio da solo che ci aveva raccontato di aver parlato con la sorella dell’incontro avuto con noi e lo aveva ritenuto costruttivo per entrambi perché lei aveva paura di sapere e ora aveva saputo, lui aveva capito il senso di colpa di lei anche se pensava che non era colpa di nessuno se non sua.

La “risorsa fratelli” sembra particolarmente significativa perché ognuno di essi condivide la storia familiare per quanto riguarda i fatti, le emozioni, i sentimenti, attraverso una lettura ed una ricostruzione individuale, a volte addirittura contrastante con quella degli altri.

Giorgio si rimproverava per essere sempre stato chiuso, per non aver dimostrato il suo affetto apertamente né alla sorella né alla madre. Iniziava ad acquisire la consapevolezza che alcuni sintomi fisici non erano causati dall’astinenza ma dalla sua ansia e dal panico che spesso emergeva soprattutto in luoghi affollati e chiusi e stava maturando sempre più l’idea di una clinica per disintossicarsi.

A fine seduta Giorgio mi aveva chiesto di non riferire alla fidanzata durante il nostro incontro che si faceva tutte le sere, perché lei sapeva molto ma non tutto; stava cercando di costruire un legame di complicità anche con noi e questa sua modalità doveva essere esplicitata. !

- L’incontro congiunto con Giorgio e la fidanzata: le sculture del futuro !“Chi non può vivere senza una determinata persona

per lo più non può vivere neanche con lei” (Watzlawick, 1977). !

Era arrivato il giorno di incontrare Giorgio insieme alla ragazza (Cristina) e le indicazioni del supervisore erano state di dissuaderla dallo stare insieme a lui, dovevo metterla in crisi su questo.

Giorgio e Cristina erano arrivati puntuali all’appuntamento e dopo esserci presentati le avevamo chiesto di parlarci un po’ di lei; aveva la stessa età di Giorgio e stava facendo in Calabria un dottorato in biologia che presto avrebbe concluso, così da potersi trasferire a Roma per vivere con lui.

Rispetto alla situazione di Giorgio l’aveva sempre saputo ma pensava che la cosa fosse più semplice, era preoccupata che potesse succedergli qualcosa e da due mesi andava da una psicologa che conduceva gruppi famiglie in una comunità per capire come gestire questa situazione perché da ciò che aveva capito si era innescato un meccanismo del tipo "ladro- poliziotto" e per questo discutevano sempre.

Avevamo chiesto se avesse mai pensato di lasciarlo e lei diceva che era più lui che vedendola soffrire aveva proposto come soluzione quella di lasciarsi. Definiva Giorgio una persona splendida, era rimasta colpita dalla sua intelligenza, dalla passione che metteva nel fare le cose; ciò che li aveva fatti avvicinare era stata l’eroina, inizialmente si erano avvicinati come amici perché lei voleva aiutarlo poi era nata la loro storia e Giorgio le era piaciuto con tutta la droga.

Confrontavamo la ragazza chiedendole se fosse sicura che se magicamente non ci fosse più la sostanza lei lo avrebbe amato ancora, perché ci stava dicendo che si era innamorata non di lui, ma di lui con la droga. Per giocare a marito e moglie la droga non avrebbe dovuto esserci, poteva essere che senza questa il rapporto non avrebbe più funzionato.

Giorgio e Cristina erano convinti del contrario perché i loro litigi erano sempre causati dalla sostanza e quando andavano in vacanza lui non assumeva eroina e stavano benissimo. Ricordavamo a Giorgio che lui comunque in vacanza prendeva il metadone, anche quella era una sostanza che stava in

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mezzo a loro due; in quel momento tutto era viziato c’era bisogno che lui facesse il malato e lei l’assistente sociale. Ciò sembrava una trappola perché se lei voleva guarirlo per lui era difficile smettere perché se lui smetteva lei sarebbe andata in pensione; questa sembrava essere la loro danza, la modalità relazionale esistente all’interno della loro coppia ed era importante aiutarli a vedere. Li avevamo messi uno di fronte all’altro e fatti confrontare su come si sarebbero organizzati quando lei sarebbe arrivata a Roma ed entrambi speravano che Giorgio risolvesse il problema con la sostanza.

In riferimento a Colacicco (1993) ci trovavamo nella situazione in cui lei era a conoscenza della tossicomania di lui prima della costituzione della coppia e la relazione tra i due è quello che Whitaker (1982) definisce un incontro pseudo- terapeutico bilaterale in cui lui ha bisogno che lei lo salvi così come lei ha bisogno che lui le permetta di salvarlo. Ciascuno dei due partner assegna all’altro il ruolo di cui secondo lui l’altro ha bisogno.

“La coppia è una combinazione precisa e la scelta del partner avviene con molta oculatezza: è l’avvio di un fenomeno di transfert, un processo da inconscio a inconscio” (Whitaker, 1982).

Avevamo chiesto a Giorgio e Crtistina di fare le sculture del futuro, dovevano immaginarsi tra 5 anni: sarebbero stati insieme? Come sarebbero stati? Non dovevano rappresentare il loro desiderio ma le loro previsioni.

Cristina era quella più resistente a fare ciò, diceva di non riuscire a rappresentare quello che gli chiedevamo senza mettere in mezzo il desiderio ma dopo averla rassicurata, aveva guardato Giorgio e gli aveva detto che avrebbe preferito iniziare lei.

Onnis et al. (2012) descrivono un metodo di lavoro terapeutico basato sull'uso del linguaggio analogico chiamato "Sculture del Tempo Familiare", che si basa su un uso originale della scultura familiare che è utilizzata in funzione dell'esplorazione della dimensione del tempo; permette di costruire una trama narrativa che essendo non verbale assume tutte le caratteristiche di una vera e propria "narrazione analogica". L’utilizzazione del linguaggio analogico è particolarmente preziosa, perché consente da un lato di esplorare livelli emozionali più profondi e meno manifesti e dall’altro attiva la mutua creatività del sistema familiare e dei pazienti. Il linguaggio analogico della scultura fa emergere legami irrisolti, difficoltà di individuazione, timori di rotture che rendono angoscioso ed incerto il futuro". !

Sculture di lei: erano insieme ad una manifestazione lei aveva un passeggino con dentro il loro bambino; lui aveva un braccio sulla sua spalla ed era preoccupata che poteva succedere qualcosa e la rassicurava dicendole che se sarebbe accaduto qualcosa lei si sarebbe dovuta allontanare con il bambino e poi li avrebbe raggiunti. Lei era ansiosa lui era tranquillo, era nella situazione ideale, era a suo agio e protettivo nei suoi confronti.

Sculture di lui: erano insieme allo stadio, stavano insieme e lei era incinta. Lei era tranquilla, loro due stavano bene; era felice anche se aveva le preoccupazioni della vita quotidiana che non avevano a che vedere con la droga. !

Gli avevamo restituito che entrambi prevedevano di stare insieme tra 5 anni, che l’eroina non ci sarebbe stata e che avrebbero dato vita ad un progetto familiare. Lei si vedeva con un figlio lui pensava che lo avrebbero aspettato, erano un po’ sfalsati sui tempi ma concordavano sul progetto e sul campo sgomberato dall’eroina. Questo era il futuro che li aspettava ed il presente era duro, faticoso ed impegnativo. Se volevano arrivare a quel futuro dovevano passare per il presente. Il fatto che si volevano bene oltre la droga come loro sostenevano era di fondamentale importanza. Per costruire quel futuro la coppia doveva dimostrare di poter stare senza droga, dovevano ripensarsi senza questa. Era bello vederli innamorati era un’energia che li sosteneva e li spingeva avanti.

Quasi sempre uno dei partner si sforza di trasformare l’altro e soprattutto sente di possedere il diritto di trasformarlo; così la soluzione del problema diventa il problema, si crea una situazione di stallo e la vita della coppia resta ad essa inchiodata. Avevamo sottolineato gli aspetti positivi della coppia così da consentirle l’accesso a nuovi stadi evolutivi (Colacicco, 1996). !!!!

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7. ESITO DELLA TERAPIA !Dopo l’incontro con la ragazza, avevamo fissato a Giorgio un appuntamento per la settimana

successiva. Pochi giorni dopo mi aveva chiamata per comunicarmi che non sarebbe potuto venire perché i genitori facevano l’anniversario e la sorella gli aveva chiesto di tornare in Calabria per fargli una festa a sorpresa. Gli avevo fissato un nuovo appuntamento che Giorgio aveva disdetto per diversi impegni di lavoro a cui poi seguivano le vacanze estive; così l’appuntamento successivo ci sarebbe stato a distanza di un mese.

Era settembre ed ero pronta ad accogliere Giorgio dopo tanto tempo. Il citofono non squillava e iniziava a balenare nella mia mente la possibilità che non venisse. Così è stato, Giorgio non si era presentato al nostro incontro e non ci aveva avvertito; avevo

provato a contattarlo ma il suo numero risultava inesistente. Avevo fatto tante ipotesi sul perché avesse cambiato numero, sulla possibilità che volesse rendersi

irrintracciabile dagli spacciatori, che aveva problemi con i fornitori ecc. ma mi ero comunque soffermata sul fatto che Giorgio avesse deciso comunque di rendersi irrintracciabile anche da noi.

Avrebbe potuto avvisarmi, chiedere un recapito alla stessa persona che lo aveva inviato da noi ma tutto questo non era accaduto.

Gli avevamo scritto anche una lettera in cui specificavamo la difficoltà nel contattarlo perché il suo numero risultava inesistente e lo invitavamo a contattarci sul numero di telefono che gli avremmo scritto per fissare insieme a lui un nuovo appuntamento.

Di Giorgio ancora nessuna notizia…. aveva deciso di interrompere gli incontri con noi. !8. FOLLOW- UP !Erano trascorsi sei mesi da quando Giorgio avevo interrotto gli incontri con noi e avevamo

deciso insieme al supervisore di contattare l’inviante per avere sue notizie. Questa mi aveva comunicato di aver saputo dalla sorella di Giorgio che lui stava bene, viveva

ancora a Roma ed era sempre impegnato nel lavoro in libreria; la ragazza si era trasferita a Roma e stavano vivendo insieme.

Avevo effettuato un altro follow- up a distanza di 12 e di 24 mesi sempre con l’inviante la quale mi confermava che Giorgio stava bene, non stava usando più sostanze da qualche tempo ed era intenzionato a comprare la libreria che fino a quel momento aveva condiviso con un amico. Viveva ancora con la ragazza e le cose tra loro sembravano procedere bene.

A distanza di 3 anni riesco a contattare direttamente Giorgio, ero riuscita ad avere dall’inviante il numero della sua libreria.

Sembrava contento di sentirmi, mi aveva raccontato che era riuscito ad acquistare la libreria che tra alti e bassi stava portando avanti da solo; viveva con la ragazza e stavano bene insieme. Non usava eroina da un po’ di anni ed era riuscito a pubblicare quel famoso libro sugli Ultras che aveva iniziato a scrivere nel periodo in cui era venuto da noi.

Sembrava soddisfatto di sé e contento che mi fossi ricordata di lui a così distanza di tempo e lo avessi ricercato. Era tornato da pochi giorni dalla Calabria perché era stato al matrimonio della sorella. !!

9. CONCLUSIONI !“Non preoccupiamoci troppo. In fondo non siamo noi a curare i nostri pazienti.

Noi semplicemente stiamo loro vicini e facciamo il tifo mentre loro curano se stessi”. !(Erich Fromm) !

Ero stata contenta di sentire Giorgio e parlare con lui, a distanza di così tanto tempo, aveva riacceso in me le stesse emozioni della prima volta in cui l’avevo incontrato.

I movimenti che Giorgio aveva fatto in terapia erano stati importanti, gli avevamo fornito delle nuove “lenti” con le quali guardare al suo problema e rendersi conto che la sua cura non era più funzionale e che il problema che era alla base della sua ansia era proprio la lontananza dalla sua

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famiglia. Questa era la questione centrale, il problema che Giorgio presentava era proprio una difficoltà di svincolo dalla famiglia di origine e lavorando su ciò lo avevamo messo in crisi.

Non a caso credo che un primo momento in cui si era preso una pausa dalla terapia era accaduto proprio in concomitanza con il lavoro che stavamo facendo insieme a lui sull’ipotizzare una corrispondenza tra la sua ansia e l’allontanamento da casa; in quell’occasione Giorgio ci aveva riferito di aver avuto un incidente e di essere tornato giù dai genitori per la convalescenza.

A tale proposito faccio riferimento a Canevaro (2009) il quale sostiene che dopo un breve periodo dedicato a stabilire una relazione di fiducia nel terapeuta e dopo aver individuato i nodi irrisolti nella famiglia di origine ritornare per fare le valigie e ripartire di nuovo significa approfittare di un incontro emozionale che permetta il nutrimento affettivo e la conferma del Sé dei pazienti per poi spontaneamente ripartire, più forti, nella prosecuzione della psicoterapia e della ricerca di un progetto esistenziale autonomo.

Dopo questa pausa dalla terapia Giorgio aveva fatto dei passi evolutivi importanti quali portare da noi la sorella e la ragazza, i suoi unici legami di complicità; avevamo lavorato per mettere in crisi questi legami e da quel momento in poi Giorgio aveva deciso di interrompere gli incontri con noi.

Nel lavoro terapeutico con Giorgio buttavamo seme dopo seme che lui è riuscito a cogliere e a coltivare muovendosi così verso nuovi spazi di autonomia secondo i suoi tempi e le sue risorse.

Canevaro (2010) paragona il cormorano all’uomo poiché questo come l’uomo aspira ad essere indipendente, a maturare come soggetto autonomo; questo riesce a farlo dopo cinque tappe, cinque salti. All’inizio di ogni salto il cormorano regredisce a modi di agire più infantili per poi progredire e diventare più indipendente e autonomo.

Come sostiene Carballo “si dimentica spesso che probabilmente ogni progressione, cioè ogni passo a una struttura più integrata, complessa e autonoma richiede per arrivare a buon fine una regressione previa”.

Giorgio non era l’unico ad avere dei semi da raccogliere…. anche io che stavo agli inizi della mia esperienza formativa raccoglievo tutte le indicazioni che il supervisore mi dava e ne facevo tesoro, le custodivo nello zaino che avrei iniziato a portare sulle spalle per iniziare il viaggio che mi avrebbe condotto verso il lavoro terapeutico con i pazienti e i suoi suggerimenti, i suoi feedback mi hanno permesso di trovare la “giusta” distanza nella relazione con Giorgio e di sistemare le mie lenti ogni qualvolta ne fosse necessario.

Come ci ricorda Caillè (2007) è importante saper danzare con chi chiede aiuto, non è indispensabile apprenderne coscientemente la teoria, ma occorre saper utilizzare se stessi in questa danza.

Ed oggi porto dentro di me e nella mia mente gli insegnamenti del mio didatta che costituiscono per me una mappa che mi aiuta ad orientarmi nel lavoro con i pazienti.

Come sosteneva Montaigne “le api saccheggiano i fiori qua e là ma poi ne fanno il miele che è solo loro”.

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! 38La notte stellataAPRILE 2016, NUMERO 0

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! 39La notte stellataAPRILE 2016, NUMERO 0

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Un’ansia da separazione … contagiosa!!! Storia della famiglia Fiore … 1

Claudia Colamedici !!PREMESSA

Dal 2001 ad oggi due grandi passioni hanno animato la mia vita: la psicologia e la danza, l’un l’altra si sono alimentate, e spesso si sono fuse in quello che per me è il senso dello stare bene, del sentirsi armonici, del saper comunicare le proprie emozioni, dello stare in un gruppo, del sentirsi a proprio agio con se stessi e del sapersi amare …

In fin dei conti fare terapia ed insegnare danza non sono poi due cose così diverse … nelle prime lezioni inizi ad osservare il tuo gruppo, ne apprezzi le qualità, i punti di forza e noti i punti di debolezza su cui si dovrà lavorare … poi cominci a studiare il ritmo, la melodia, e insegni alle tue ballerine a muoversi in modo armonico, a rispettare il tempo… assegni dei compiti, delle coreografie e inizi ad apprezzare ciò che osservi… come se improvvisamente qualcosa iniziasse a prendere forma tra le tue mani… è tempo di danzare insieme … ogni ballerina deve coordinarsi alle altre, rispettare il proprio e l’altrui spazio sul palco… deve esserci complicità, rispetto, divertimento, voglia di imparare cose nuove, di rischiare, di cambiare…

Questo è già un grande traguardo per un’insegnante, ma la vera soddisfazione la si ha quando il gruppo, fiducioso delle sue capacità, inizia a creare da solo le proprie coreografie, danza improvvisando, si lascia andare alle emozioni … e li il tuo sguardo, come una mamma che osserva il suo bambino fare i primi passi, deve essere pieno di entusiasmo, amore, incoraggiamento …

Arriva il giorno del debutto, sul palco luci ed ombre di un anno faticoso, di lavoro duro … è il momento di raccogliere i frutti … che per un artista sono gli applausi … e se tutto va bene, con grande soddisfazione, l’insegnante può fare un passo indietro per dare la possibilità alle ballerine di danzare sulle proprie gambe …

E siamo al momento dei saluti … è sempre doloroso … quel gruppo è entrato a far parte della tua vita, e pensare di lasciarlo andare è difficile … soprattutto con quelle ballerine che si mostrano ansiose e insicure nel varcare il palco scenico, e che continuano a comunicarti che solo sulle tue coreografie e sotto il tuo sguardo saranno capaci di danzare …

Questa è la storia dei Fiore, una giovane compagnia di danza paralizzata dall’ansia da palcoscenico … e della loro giovane insegnante che, iperprotettiva, non osa spingerli su quel palco … da soli …!!

!Il contatto telefonico

“Non si sottolineerà mai abbastanza che

la terapia (e spesso il suo destino) inizia con

il primo contatto telefonico”

Mara Selvini Palazzoli

(Paradosso e controparadosso, 1978).

! 40La notte stellataAPRILE 2016, NUMERO 0

Tesi di specializzazione in psicoterapia, Istituto Dedalus1

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Era una mattina di autunno di due anni fa quando, rispondendo al telefono, una voce educata e incerta diceva:

“Dottoressa Colamedici?

-si

-Ho trovato il suo biglietto da visita in farmacia… ho bisogno di un aiuto per mio figlio… è ricominciata la scuola e ogni mattina c’è un mal di pancia nuovo… non vuole separarsi da me…può aiutarmi?

Ricordo ancora il mio stupore… non credevo che lasciare i biglietti da visita in farmacia poteva essere una buona idea…”chi si rivolge ad una perfetta sconosciuta…?” mi dicevo… invece c’era una mamma che stava chiedendo il mio aiuto…

-si… lei è la signora?

-si ha ragione… sono Alba Fiore. Mio figlio Franco ha nove anni. Io e mio marito siamo preoccupati per questa situazione… cerchiamo di parlare con i bambini, ma stavolta…ah, Franco ha una sorella gemella, forse anche questo influisce, stanno sempre in competizione!

… sembrava una questione di famiglia … bisognava concordare un appuntamento… quindi pensare ad una convocazione… neanche è iniziata la terapia e già il primo dubbio… lascio decidere la famiglia, convoco i genitori o vedo solo la signora?

Mi vengono in mente degli appunti di un seminario sul Gruppo di Milano che chiaramente affermavano che decidere con chi fare la prima consultazione è già terapeutico e dà la possibilità al clinico di esprimere il suo punto di vista sul problema, proporre idee dissonanti rispetto a quelle che vengono presentate e perturbare il sistema introducendo elementi di novità nel contesto familiare quotidiano (SelviniPalazzoli, Boscolo, Cecchini, 1978).

Con molta probabilità avevo di fronte un bambino di nove anni che si faceva portatore di un disagio familiare … in tal caso il problema non era il sintomo, ma la relazione …

-va bene, io direi che possiamo vederci a studio così lei e suo marito potrete illustrami meglio la situazione …

Ricordo che nei giorni seguenti la famiglia Fiore iniziò ad essere nei miei pensieri ed ero curiosa di conoscerli …

!Il primo incontro

Seduta sulla poltroncina del mio studio situato al secondo piano di un palazzo con ascensore aspetto i signori Fiore che puntuali suonano al citofono.

Velocemente corro alla porta … sento passi lenti e pesanti salire le scale ed un respiro affannato avvicinarsi … sembra ci sia solo una persona!!!

“Buon pomeriggio dottoressa, sono Alba Fiore”

“Salve Alba, si accomodi”

“Purtroppo mio marito è stato trattenuto in caserma per un’urgenza di lavoro, si scusa …”

Nei pochi passi che separano il portone dalla stanza di terapia le parole del mio supervisore riecheggiano nella testa ricordandomi che il comportamento non verbale comunica più di mille parole

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… cosa faccio ora? Come mi comporto rispettoall’assenza del marito? Sarà vero che è al lavoro? Sarà stato informato del nostro appuntamento? Sarà d’accordo con l’iniziativa della moglie? Sempre più incerta sulla correttezza della convocazione fatta per telefono decido di ascoltare comunque la sig.ra Alba per poi capire se e come aiutarla.

Di fronte a me c’è una donna sulla cinquantina, alta 1,60, in evidente sovrappeso … ha un pantalone nero morbido che cade su scarpe basse e una maglia nera di un tessuto troppo pesante per la calda e soleggiata giornata di autunno. Le braccia incrociate appoggiate sulla pancia si toccano appena, ostacolate dalla mole del torace, i capelli crespi e poco curati, castani, evidenziano una lunga ricrescita, senza trucco, rossa sulle guance e sorridente, respira in modo affannato… lentamente inizio a presentarmi per darle modo di riprendere fiato e poi cederle la parola…

“Sono Alba, ho 47 anni, sono impiegata in una azienda alimentare come segretaria, sono sposata con Luca che fa il carabiniere, anche lui ha 47 anni, è napoletano e si è trasferito qui per lavoro. Siamo stati “clandestini” per sei anni per non trasgredire alle regole della caserma, poi 11 anni faè stato trasferito a Roma e ci siamo sposati. Abbiamo subito provato ad avere figli, purtroppo il primo l’abbiamo perso. Dopo l’aborto io e mio marito ci siamo stretti l’un l’altra. Ora abbiamo due gemelli di nove anni, Franco e Iolanda. Lei è un peperino, vuole sempre averla vinta, invece Franco è troppo buono, e si fa mettere i piedi in testa. Con i ragazzi proviamo sempre a parlare per risolvere i problemi ma stavolta con Franco non so come fare … non vuole andare a scuola, lamenta mal di pancia, è ansioso, sono preoccupata … ”.

La donna che ho di fronte ha un aspetto sorprendentemente trasandato, che stride con il linguaggio curato e con i modi dolci e delicati con cui descrive la sua famiglia e la loro problematica. Parlare con leiè estremamente facile, ha ottime capacità di insight, è sensibile e nonostante si descriva come una donna che tiene tutto dentro e tende a nascondere le sue emozioni, in questa occasione si apre e comincia a raccontare degli episodi di ansia che hanno caratterizzato la loro vita famigliare, e quasi con vergogna ammette che aver perso il primo figlio l’ha resa una mamma super attenta e preoccupata …

!Gli episodi di ansia

“Persino le mie ansie

hanno l’ansia …”

(Charlie Brown, 1950)

I gemelli hanno tre anni quando Iolanda inizia ad accusare una forte ansia da separazione tutte le volte che vede la mamma allontanarsi da lei anche per andare nell’altra stanza. Agitata chiama un amico di famiglia psicologo che tende a minimizzare il problema, tranquillizza i genitori, e li rassicura sul fatto che sono episodi che possono accadere e si risolveranno da soli in breve tempo. In effetti, non dando peso alla situazione gli episodi ansiosi svaniscono presto.

All’età di sei anni è Franco a preoccupare i genitori nel momento dell’inserimento scolastico in prima elementare. Le maestre riferiscono che il bambino fatica ad inserirsi, piange, lamenta mal di pancia … Iolanda al contrario non ha problemi con l’inserimento complici le maestre amorevoli e comprensive … non si può dire lo stesso delle maestre di Franco che la mamma definisce anaffettive e vecchio stampo e alle quali attribuisce le difficoltà di inserimento del bambino. I genitori, su consiglio dell’amico psicologo tengono il punto, non assecondano i capricci di Franco e le cose lievemente migliorano anche se rimane un bambino chiuso, timido, che ha pochi amici, che non ama fare sport ed entra in ansia nelle situazioni nuove. Alba commenta “è troppo buono, è come me”!

All’età di otto anni è di nuovo Iolanda a dare problemi. È sabato sera, Alba va a cena con una vecchia amica. Non ha il cellulare e si dilunga in chiacchiere mentre il marito è in caserma per il turno

! 42La notte stellataAPRILE 2016, NUMERO 0

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di notte. I bambini sono affidati alla zia materna. Iolanda, mentre suo fratello dorme, improvvisamente comincia a piangere perché è convinta che sua madre abbia avuto un incidente e sia morta. Al rientro Alba trova la bimba stremata e la zia in lacrime per non essere riuscita a calmarla. Preoccupati i genitori chiamano un centro di psicoterapia vicino al loro paese che vede tutta la famiglia per alcune sedute, questo finché una abbondante nevicata li costringe a disdire alcuni appuntamenti … Iolandanel frattempo sembra stare meglio e lasciano scemare il lavoro terapeutico.

Passa un anno e Franco torna a lamentare mal di pancia prima di andare a scuola. Si sveglia alle sei, si veste, si siede sul letto, aspetta con ansia le otto facendo pressioni alla madre e alla sorella, dicendo che faranno tardi, che bisogna sbrigarsi, poi appena seduto al banco, inizia a dire che sta male, chiama a casa, e i genitori sono costretti ad andare a prenderlo. I bambini lamentano anche la paura dei ladri, di dormire fuori casa, di perdersi al centro commerciale …

Sembra che questi bambini ciclicamente attirino l’attenzione, e la famiglia subito risponda al disagio risolvendolo… mi chiedo che effetto ha l’allarme dei bambini sui genitori … forse serve ad attivarli …a confermare le loro preoccupazioni … a garantire una vicinanza reciproca …

Mi viene in mente il libro di Attili che ultimamente ho avuto modo di sfogliare … l’autrice descrive come spesso madri insicure generano figli con sintomi di ansia da separazione …

“Le madri iper-controllanti richiedono su di sé quell’attenzione e devozione, da parte dei figli, che non hanno avuto nell’infanzia per carenza di cure, tendono a creare legami invischiati, estesi a tutto il sistema famigliare, sono spesso travolte dall’ansia nell’ipotesi catastrofica che possa accadere qualcosa di pericoloso e l’ansia pervasiva si estende a tutta la famiglia. I figli di questi genitori sono insicuri, fanno fatica a separarsi, pensano di avere un sé vulnerabile, non degno di essere amato. Sono figli di madri che non hanno avuto un care-giver accudente, che non ha preparato un’adeguata base sicura per loro” (Attili, 2012).

!La richiesta di aiuto

È passata un’ora e venti, molte le cose dette oggi, alcune più di altre hanno colpito la mia attenzione … in primis gli occhi di Alba, sembra porti con se una sofferenza molto grande, che poco ha a che fare con un’ansia scolare … Lo si evince da alcune frasi dette … “forse dottoressa è anche un po’ colpa mia … ogni giorno ripeto di non bere i saponi che possono morire, di stare attenti a scendere le scale che possono rompersi l’osso del collo, di guardare prima di attraversare cento volte perché una macchina li metterà sotto, moriranno e andranno in cielo come il loro fratellino che non c’è piu’” e ancora “sa mio marito quanti ragazzi morti ha visto per la strada?”, “non ci si può fidare di nessuno, ognuno pensa al proprio giardino”, “mia madre non ha avuto una madre … ed io sono stata la sua cavia, non ho avuto un esempio” ma la parte del racconto meno chiara riguardava l’episodio dell’”aborto”, liquidato con poche parole e spesso rinominato, come se quel bambino assente fosse più presente che mai.

Chiedo ad Alba cosa si aspetta dalla terapia e mi dice che spera di risolvere il problema di ansia dei figli, che vorrebbe apprendere un nuovo modo per comunicare con loro e stare meno in agitazione, ma soprattutto vorrebbe che aiutassi Luca a stare vicino a Franco: “lui chiede sempre la sua attenzione, soprattutto da quando è stato trasferito a Trevignano due anni fa, per cui ha turni molto più scomodi e più responsabilità, inoltre, avendo perso il padre da piccolo, all’età di Franco, a volte sembra proprio che non sappia cosa fare con lui … ha sofferto tanto”.

Alba sembra sapere bene di cosa ha bisogno la sua famiglia, e la sensazione è che voglia sedersi al mio fianco cercando in me un’alleata che la faccia sentire più sicura … il mio compito sarà quello di associarmi a loro per riassettarne o modificarne il funzionamento interno così che possano svolgere meglio i loro compiti (Minuchin, 1976).

! 43La notte stellataAPRILE 2016, NUMERO 0

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È il momento di fissare un nuovo appuntamento, quindi di decidere chi vedere. Mi sento bloccata perché so che dovrei vedere Luca, ho bisogno di sapere il suo punto di vista, ma la pressione che Alba esercita su di me è forte … so che se deciderò di non vedere i bambini ne resterà delusa, e penserà che “loro due sono responsabili dei problemi dei figli”, concettoassimilato nella precedente terapia … tra mille incertezze decido di convocare tutta la famiglia, facendo vincere la parte di me che non vuole deludere la paziente e la curiosità di sbirciare nella loro casa per vedere di persona cosa succede …

ANALISI DEL CONTROTRASFERT

Passano poche ore, la giornata di lavoro è finita, in macchina rifletto sulla seduta … mi sono sentita fin da subito in sintonia con Alba anche se non riesco ancora a capire fino in fondo il perché della sua ansia … sento che manca un tassello al mio puzzle … ripenso alla convocazione … so che probabilmente il non vedere Luca prima dei bambini si rivelerà un errore e cerco di capire perché l’ho commesso … è possibile che il suo non essersi presentato al primo incontro abbia suscitato in me sentimenti negativi nei suoi confronti … Borbotto tra me e me … forse non è abbastanza interessato al problema dei figli, o non è d’accordo con la moglie nell’iniziare la terapia? Lo sto punendo mettendo al pari dei figli?È possibile che le ansie di Alba siano dovute ad un sovraccarico di responsabilità per via della lontananza del marito? Franco sta richiamando il papà? … Meglio riprendere le giuste distanze da entrambi, uno sbilanciamento in questo momento può solo crearmi problemi …

!La prima supervisione

“Agisci sempre in modo da

aumentare il numero delle scelte

tue e altrui”

(Heinz von Foerster, 1974)

!Nei giorni seguenti la terapia continua a turbarmi il dubbio di aver fatto degli errori nella

convocazione, spero che il prof. Colacicco possa aiutarmi a capire come proseguire …

Presentando il casosubito il professore nota che la sig.ra Fiore è venuta da me senza sapere chi fossi, visto il biglietto da visita trovato in farmacia …

“Forse il venire sola è il suo modo per esplorare l’ambiente e capire se può essere un posto sicuro per la sua famiglia … in questa occasione la convocazione rigida può essere rischiosa, meglio essere strategici, lasciare libertà alla famiglia, raccogliere le informazioni per differenza, permettere alla famiglia di presentarsi così come ritiene più giusto … la rigidità nella convocazione espone tutti ad un probabile fallimento, nel caso in cui, per qualsiasi motivo, non può essere rispettata”… penso che questo è esattamente ciò che è accaduto!!

Continuo nel racconto ed espongo al professore le mie difficoltà nella seconda convocazione …

“La scelta di vedere tutta la famiglia è stata errata, la comunicazione giunta al maritoè che la terapia può iniziare anche senza di lui … una volta iniziato un lavoro strutturale con la famiglia deve essere portato avanti” …

Mi capita tra le mani un articolo di Stefano Cirillo sull’uso dei diversi formati nel modello sistemico famigliare – individuale … L’autore sottolinea che la scelta delle convocazioni è la tecnica più potente che esiste in terapia famigliare perché determina il sistema su cui l’èquipé terapeutica intende intervenire e suggerisce di prendere in considerazione, prima di compiere una scelta, alcuni parametri

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tra cui la domanda, la struttura della famiglia, la fase di ciclo vitale, eventuali terapie pregresse e in corso, le risorse famigliari, gli stili di personalità ed infine l’ipotesi sul gioco famigliare in atto … con queste informazioni in testa inizio a pensare ai Fiore …

RIFLESSIONI SULLA SUPERVISIONE

Potermi confrontare con il gruppo mi è stato utile … ho visualizzato la rabbia provata nei confronti di Luca per aver disatteso le mie aspettative sulla prima convocazione … sento che è plausibile che Alba sia voluta venire sola per conoscermi e capire se posso essere loro di aiuto … a questo punto mi chiedo se Alba abbia avvertito il marito del nostro primo incontro … vedo il momento della supervisione come un faro che improvvisamente illumina il cammino che stai percorrendo e ti permette di correggere la rotta perché improvvisamente tutto appare più chiaro e limpido, e i dubbi e le paure che suscita una tempesta quando sei in mare lasciano spazio ad una navigazione più serena e consapevole …

!Incontri con la famiglia

Alle 16 in punto suona il citofono, stavolta per le scale il chiasso di due bambini che saltellano e la voce di un papà che tenta di calmarli“fate piano”.

Li faccio accomodare in stanza ed è Luca a scegliere i posti per tutti dicendo “voi sedete al centro così vi tengo d’occhio”. Commento io “donne a sinistra e uomini a destra” e il piccolo contento mi fa un grande sorriso.

Chiedo ai ragazzi se sanno perché sono qui e subito Iolanda prende la parola “perché Franco non vuole andare a scuola … e perché io ho paura dei ladri” … lui palesemente in imbarazzo sferra un pugno alla gamba della sorella; la mamma lo ammonisce con lo sguardo e lui “in effetti sono un tipo ansioso” … a tale affermazione Luca ed Iolandascoppiano in una risata complice … Franco posa gli occhi a terra, timido!

Luca è un uomo mediamente alto, magro, rasato probabilmente per nascondere una calvizia, ha due grandi occhi neri, indossa un jeans e una camicia a quadri blu e ha l’espressione di chi si chiede “che ci faccio io qui”. Sembra un uomo di poche parole e poco avvezzo a parlare di emozioni, piuttosto pratico e realista, probabilmente amareggiato da alcune vicende che lo hanno fatto soffrire, schietto e poco attento nella scelta delle parole. Ha un accento napoletano e nel parlare controlla a fatica un disturbo di balbuzia. Quando gli chiedo di presentarsi inizia dicendo che è un carabiniere e i bambini subito lo interrompono “sta sempre a lavoro”, mi racconta poi che è di Napoli, che ha perso suo padre presto per questo la madre è dovuta essere dura e anaffettiva, ha dovuto fare anche le veci del papà, non è stato facile ma gli ha insegnato a “campare”, lui è vissuto per strada, “come un cane randagio”, ha un fratello che vive a Napoli con il quale non ha grandi rapporti, qui a Bracciano non ha tanti amici, non è un tipo che si confida, lavora e sta a casa con la famiglia, non ha hobby particolari se non guardare la partita in tv, parla del suo piccolo paese come di un posto pericoloso, più del suo quartiere alla periferia di Napoli, ciò lo rende un genitore ansioso. Anche lui accenna alla perdita del loro primo figlio dicendo che hanno sofferto molto ed è stata un’occasione per depennare dalla lista degli amici molti che non si sono rivelati tali.

Franco è un bambino paffuto, con tanti capelli neri,folti e lisci schiacciati sulla fronte … ha gli occhi grandi e tante sopracciglia, indossa una tuta blu rovinata sul ginocchio, si dondola avanti e indietro guardandosi intorno, per poi abbassare velocemente lo sguardo quando incrocia il mio …

Iolanda è invece molto minuta, più bassa del fratello, magra, con capelli neri tagliati alla maschietto, labbra finissime; indossa maglia e mini gonna bianca e rosa, dondola in modo nervoso i piedi avanti e indietro, sfiorando il pavimento, guarda alternativamente me, la madre, il padre, come a voler prevedere cosa succederà e controllare la situazione.

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Lei decide di presentarsi per prima: fa la quarta elementare, si trova molto bene con le sue maestre che sono “buone al contrario di quelle di Franco”, gli piace la matematica, ha tante amichette, frequenta un corso di ginnastica artistica “per differenziarsi dalle altre che fanno tutte danza classica” specifica.

Franco dice che non ama andare a scuola anche se ha tutte sufficienze, faceva nuoto però poi ha smesso perché è cambiato l’istruttore, ha due amichetti che abitano nel suo palazzo, ogni tanto scende di sotto per giocare a calcio, lasciando la sua attività preferita, la play station. Non ama andare alle feste e odia le sue maestre che “sono vecchie bacucche”.

Mentre parlano non posso fare a meno di pensare al momento in cui Luca e Iolanda si sono scambiati quello sguardo complice, e alle parole di Alba … “lui cerca tanto la vicinanza fisica del padre, ma Luca è tutto per Iole” … sento dentro di me crescere un sentimento di rabbia, che a fatica cerco di tenere a bada … i discorsi del papà sono un continuo confronto tra i due figli, e Franco non ne esce mai vincitore … “Iole è una furbetta, la vuole sempre vinta, e lui è un broccolo si fa fare tutto”…

Vedo Franco sprofondare sulla sedia, la sensazione è che presto dovrò raccoglierlo steso sul tappeto …

Decido di chiedere ai genitori quali sono le cose che amano di più dei loro figli, sperando in un miracolo …

Alba dice che Franco è molto buono, generoso, simpatico e Iolanda furba, intelligente, molto attiva …

Passo quindi la parola al papà … terrorizzata … ovviamente non riesce a non cadere nella tentazione di fare paragoni …

Inizio a parlare con i bambini degli episodi che mi erano stati illustrati da Alba in prima seduta … bastano poche domande per far ammettere a Franco che i suoi mal di pancia non sono veri, ma sono l’unico modo per trascorrere alcune ore solo con sua madre o con suo padre … Luca ha lo sguardo soddisfatto di chi ha appena colto un ladro con le mani nel sacco, Alba è sorpresa, forse si sente tradita da quel figlio che descrive tanto simile a lei …

Sento di aver ascoltato abbastanza … stavolta mi è chiaro di dover convocare solo i genitori …

ANALISI DEL CONTROTRASFERT

Il chiasso dei bambini appena usciti dal mio studio lascia spazio al silenzio … mi rendo conto di essere affaticata da questo incontro … sono nervosa e angosciata … semplice intuirne i motivi … Luca si è dimostrato totalmente insensibile nei confronti del figlio, l’ha attaccato e deriso per tutto il tempo, l’ha messo in imbarazzo di fronte a me ma soprattutto di fronte alla mamma e alla sorella … avverto la responsabilità per quello che è accaduto … se non avessi convocato i bambini le orecchie di Franco sarebbero state al sicuro da tali commenti … tento di calmare le mie preoccupazioni dicendomi che questo è probabilmente ciò che accade a casa, e che per loro è stata l’occasione di mostrarmi il loro “funzionamento” … devo riuscire a trattare l’accaduto come un’informazione in più, e distaccarmi dal senso di protezione che suscita in me Franco … ma soprattutto devo prendere le distanze dall’immagine che i suoi genitori vogliono darmi di lui …

La ridefinizione del problema

“E’ un piacere mantenere i

propri segreti, ma che tragedia

non venire scoperti”.

(Donald Winnicott)

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Lo scoop dell’ultima seduta ha in qualche modo dato uno scossone alla terapia, finalmente i genitori di Franco hanno una motivazione per smettere di definirlo buono e ansioso … per una volta il furbetto della situazione è lui!!! Questo mi rende più serena nell’affrontare l’incontro con la coppia …

Se il compito del terapeuta è quello di aiutare la famiglia a non cadere nella trappola della cronicità e della drammaticità del sintomo, aiutare questi genitori ad usare lenti diverse per guardare Franco mi permetterà di uscire dal dualismo con cui Alba e Luca descrivono i loro figli dividendoli in figli di successo e figli fallimentari. Sappiamo quanto questo sia drammatico. Sarebbe stato meno grave se avessero polarizzato sui versanti figlio buono figlio cattivo. Dagli studi sulle tossicodipendenze il prof. Cancrini suggerisce che la polarizzazione buono-cattivopotrebbe causare una tossicodipendenza di tipo b, più facile da approcciare col metodo strutturale, perché nell’area delle nevrosi e dei disturbi di ansia, mentre la polarizzazione successo-fallimento è una comunicazione complessa, una tossicomania di transizione di tipo c, quindi situata nell’area delle situazioni borderline o psicotiche (Cancrini, La Rosa). Occorre quindi ridefinire la versione dei genitori da figlio “fallito” a figlio “cattivo”: Franco è un fine stratega che non ha rispetto per loro e li costringead abbandonare tutte le attività per andare a scuola a prenderlo!!!Franco ha detto una bugia, con furbizia ha escogitato un modo per prendersi del tempo con i genitori … cosa ne pensano mamma e papà?

Mi sento come chi, in un’ora, deve riuscire a demolire l’idea che due genitori, in nove anni, si sono fatti del proprio figlio.

Seduta in studio attendo il loro arrivo rileggendo gli appunti della supervisione …

“la coppia ha perso un bambino, tale evento è stato così doloroso da influenzare totalmente la loro genitorialità. Sono diventati ansiosi e forse le crisi dei figli di fronte ai momenti di distacco sono un modo per assecondare o placare le loro ansie … forse il mal di pancia di Franco è un dono che sta facendo all’apprensione di sua mamma?”

E ripenso aLorna Benjamin (2004)e al suo concetto di patologia comedono d’amore …

… Il mal di pancia di Francoè il suo sforzo ultimo per rimanere ancorato a loro e all’immagine che ha di loro nella sua testa? Secondo la Benjamin attraverso il sintomo ed il disagio il paziente mantiene una prossimità psichica con la figura dalla quale non osa distaccarsi confermando a lei e a se stesso una sua caratteristica, ad esempio soffrire di ansia scolare. Il sintomo spingerà l’individuo a non diventare autonomo, ci si renderà inadeguati a muoversi nel mondo, questo per continuare ad essere dipendenti dall’altro, non credendo nelle proprie competenze e autoconvincendosi che questo è ciò di cui ha bisogno il proprio genitore … ciò che lui vuole da noi.

La patologia è un atto positivo volto a mantenere la vicinanza e l’amore (Lorna Benjamin, 2004).

Un ulteriore atteggiamento colpisce la mia attenzione. La coppia ciclicamente si è rivolta per brevi periodi a dei terapisti, e immediatamente i sintomi sono scomparsi … sembra che i due abbiano bisogno di qualcuno che puntualmente li rassicuri sul fatto che stanno facendo un buon lavoro …nella fase di ridefinizione del problema si potrebbe ipotizzare che la reale domanda sia quella di tranquillizzare Alba e Luca sul fatto che sono due bravi genitori.

!“Noi esseri umani siamo come le chiocciole:

portiamo sempre con noi il nostro guscio pieno di ricordi,

noi stessi siamo i nostri ricordi

(Minuchin e Nichols, 1992, p. 25)”

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Con trenta minuti di ritardo Alba e Luca citofonano al campanello … forse immaginano già che non sarà emotivamente semplice affrontare il nostro incontro … in punta di piedi cercherò di entrare nella loro coppia …

Allora che ne pensate della notizia bomba che Francoci ha rivelato nella scorsa seduta?

Luca si affretta a rispondere:

io lo sapevo che era una finta, dicevo ad Alba di lasciarlo a scuola, ma lei presa dall’ansia correva a prenderlo!!!

E Alba:

Devo dargli ragione!!! È tutta colpa della mia ansia!

Seduti una di fronte all’altro si accordano sulla strategia da seguire nei prossimi giorni, qualora dovesse ripresentarsi la richiesta di Franco, e stavolta si decide di fare come dice Luca …

Sento che è giunto il momento di capire da dove nasce tutta questa ansia che Alba porta dentro …

Alba con gli occhi lucidi rivolti al pavimento e visibilmente commossa inizia a raccontare …

“In realtà il mio bambino era vivo e stava bene … ho avuto le doglie, mio marito mi ha accompagnato in ospedale, i dolori aumentavano ma io non sono un tipo che si lamenta, provavo di tanto in tanto a chiedere all’infermiera perché col passare delle ore non cambiava niente, perché il macchinario del monitoraggio di tanto in tanto suonava, perché i battiti del bambino calavano, ma di fianco al mio letto c’era una ragazza algerina che urlava con tutta la voce che aveva in corpo, e nessuno sentiva le mie paure, le mie preoccupazioni. Mi hanno detto di stare calma, che tutto andava bene … sentivo che non era cosi ma mi sono fidata … mi hanno somministrato un farmaco per accelerare il parto, mi dicevano di spingere … spingere … spingere … morale della storia, il mio angioletto aveva il cordone intorno al collo ed è morto per soffocamento durante il parto … forse avrei dovuto urlare di più anch’ io” …

Rimango impietrita, ho i brividi, non riesco a trovare niente da dire se non allungare la mano e in silenzio stringere la sua poggiata sul tavolo che ci separa …

Anche Luca è visibilmente scosso, prende la parola dicendo che i giorni seguenti sono stati una tortura … il primo pensiero è stato quello di sporgere denuncia a medici e infermieri, per questo hanno ritirato la cartella clinica, ma quando il loro avvocato ha letto “complicazione durante il parto, figlio di madre obesa”tutti hanno pensato di lasciare stare …

Quelle parole risuonano nella stanza e arrivano ad Alba come una coltellata. Luca si affretta a rassicurarla:

“tu non centri niente, loro sono degli incompetenti“…

Alba si riprende e prosegue …

“Nei giorni seguenti ci siamo stretti e abbiamo cercato di andare avanti, tornando subito alla normalità, molti dei nostri amici si sono allontanati, spaventati dal nostro dolore, anche il fratello di luca nonsi è comportato bene … abbiamo organizzato il funerale, e poi tutto è tornato come prima, almeno all’apparenza… abbiamo cercato dopo sei mesi un'altra gravidanza, all’inizio era un solo feto, invece, 15 giorni dopo, alla seconda ecografia, erano due … non mi vergogno a dire che ho pensato che fosse un miracolo!! I nostri bambini sono subito stati informati che prima di loro era nato un fratellino, e da subito li abbiamo accompagnati a pregare sulla sua tomba” …

Chiedo ad Alba che nome avessero dato al loro bambino …

Lei imbarazzata dice Franco …

! 48La notte stellataAPRILE 2016, NUMERO 0

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Improvvisamente tutto è chiaro … il dolore, il senso di colpa, il lutto irrisolto, l’ansia, il bisogno dei bambini di proteggere quei genitori e di non lasciarli mai soli …

Nel colloquio successivo cerco di capire di più sulle loro famiglie di origine… ricordo le parole di Alba al nostro primo incontro:

“viviamo tutti nello stesso palazzo, io, i miei genitori e mia sorella, mia madre non ha avuto una madre, e io sono stata la sua cavia, con me ha fatto gli esperimenti” …

e quelle di Luca:

“ ho perso papà a nove anni, non so di cosa è morto perché non sono mai riuscito a chiederlo a mia mamma, non volevo vederla soffrire, e di lui non se ne è mai più parlato”…

Sembra che il profondo dolore per la perdita del loro bambino non sia stato l’unico che li accomuna, anche il rapporto con i rispettivi genitori non deve essere stato semplice, lo si intuisce dalle remore che mostrano nel parlarne. Alle mie domande Luca risponde balbettando:

“Si ma questo non c’entra con l’ansia dei bambini, il problema è che sono viziati” …

… come a voler allontanare ogni possibile discorso da Napoli e dalla sua infanzia … poi si lascia andare “di mia madre mi sono portato dietro l’incapacità di essere affettuoso con i miei figli” prosegue Alba “ed io della mia la paura di sbagliare e il non saper come fare la madre”…

La morte di Franco unita alle normali crisi evolutive di una famiglia sembrano aver fatto riaffiorare dei rapporti irrisolti con i rispettivi genitori… tali problematiche stanno mettendo a rischio la crescita dei loro figli, che vengono tenuti legati a loro per paura che possa accadere qualcosa ... leggendo il libro del professore:

“Lo sviluppo della differenziazione in un figlio è favorito dalla capacità dei genitori di concentrarsi sul proprio funzionamento (individualità) invece che sul funzionamento del figlio (coesione). Più i genitori riescono a lavorare sulla propria differenziazione più favoriscono la differenziazione tra loro e tra loro e i figli” (Colacicco, F, pp. 161.)

Mi domando se non sia il caso di proporre delle sedute individuali per Alba che sembra piena di paure e sensi di colpa … la sua ansia contagiosa sta invadendo tutta la famiglia … Luca in tutto questo sembra estraniarsi dal problema, in fondo il primo ad aiutare Alba a tranquillizzarsi deve essere lui … lei deve trovare in lui una nuova sicurezza, non in me … per evitare designazioni, meglio proporre sedute individuali per entrambi … Forse Luca troverà il coraggio di affrontare il proprio passato …

Per la coppia il compito di dedicarsi del tempo e ritrovare una perduta intimità …

ANALISI DEL CONTROTRASFERT

La nebbia che mi impediva di guardare con sicurezza alla strada da percorrere si è alzata lentamente con le parole intrise di dolore di Alba … se da un lato mi sento meno confusa e più tranquilla rispetto al percorso terapeutico da affrontare, dall’altro il dolore, le angosce e le ansie di questi due genitori mi hanno toccato il cuore … sento di avere tra le mani una famiglia di cristallo, che nonostante la caduta non si è rotta, ma presenta delle profonde fragilità visibili solo attraverso piccole venature … il racconto dei genitori è stato utile perché ha scongiurato il rischio di sbilanciamenti … il ruolo che ognuno di loro è costretto a recitare in questa storia mi è chiaro, ed è chiaro anche il dolore e la sofferenza che comporta questa costrizione … Alba ed il senso di responsabilità per la perdita del bambino, come sua madre è stata una madre inadeguata … Luca e il distacco emotivo, non riesce a toccare il dolore, le emozioni, non può accarezzare il suo bambino … Franco, il ritorno del bambino perduto, Iolanda, la piccola combina guai che attiva i genitori allontanando una possibile crisi depressiva … questa famiglia va presa per mano e aiutata a superare quel dolore che sembra ancora troppo vivo dentro di loro …

! 49La notte stellataAPRILE 2016, NUMERO 0

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Un’importante supervisione

!“Addio, figlio.

Le tue mani non accarezzeranno

il nostro viso, mai piu’;

non ci saranno più piccole impronte sulla terra umida,

intorno a casa nostra.

Stai per compiere un viaggio, un lungo,

lungo viaggio, e devi andare solo:

nessuno di noi può accompagnarti

nel regno degli spiriti. (…)

Possano gli spiriti aiutarti fino

alla fine del tuo viaggio.

Cosi’ lunga è la strada che hai davanti,

e sono così piccoli i tuoi piedi!

Addio”. (Natives, 2005)

Tutte le supervisioni sono importanti, sono un momento di riflessione, confronto e crescita, ma questa più delle altre mi ha colpito e le parole del mio professore per giorni hanno riecheggiato nella testa …

“Quella madre è legata a quel figlio …un eventuale allontanamento sarebbe vissuto come un tradimento”.

È chiaro che Alba non si è ancora separata da lui e i suoi comportamenti sono un modo per tenerlo ancora in vita… forse è convinta di non aver fatto abbastanza per salvarlo, sente di averlo abbandonato come sua nonna aveva già fatto con sua madre. Questo è un dono d’amore che sta facendo alla madre? Sta cercando di restituire una madre a sua madre? Occorre lavorare sul clima emotivo della famiglia e fare in modo che Alba riprenda contatto con quel dolore e lo elabori. A volte i fatti di vita si incrociano alle storie trigenerazionali e le risonanze sono fortissime in questi casi.

Alba era involontariamente entrata in un processo di restituzione di una madre a sua madre … si immagini lo schiaffo, la delusione, quando sulla cartella ha letto che la responsabilità era sua e della sua obesità… forse in fondo Alba crede a questa versione, per questo non ha portato avanti la denuncia legale, forse per questo non riesce ad elaborare il suo dolore …

Per quanto riguarda Luca, Alba conosce la sua sofferenza per aver perso suo padre da piccolino, sa che è un dolore ancora fresco … sa che riprendendosi Franco, in questa particolare età, sarebbe come riprendersi il padre morto proprio quando lui aveva nove anni. Alba vorrebbe far avere a Luca e Franco quel rapporto che a Luca è mancato a causa della prematura morte di suo padre. Lei sa che cosi facendo curerà il dolore di Luca.

Entrambi hanno una fragilità sul tema della morte e della genitorialità.

!

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RIFLESSIONI SULLA SUPERVISIONE

Sento che il gruppo, oggi più che mai, è stato utile per sciogliere dei nodi emotivi che si erano creati intorno al forte dolore della coppia, e che potevano compromettere la mia lucidità … inoltre lo spunto di riflessione sul dono d’amore di Alba a sua madre è stato chiarificatore del suo comportamento … e la coincidenza … Franco ha nove anni, Luca ha perso il padre a nove anni … mi rendo conto di quanto due occhi esterni alla terapia possano cogliere dei particolari palesi che, seduta in stanza, e attaccata alla sedia dalle emozioni e dall’ansia di fare bene il proprio lavoro, in un attimo sfuggono … non avere lo specchio fa sentire vulnerabili … la supervisione indiretta è sì un paracadute, ma non ti da la certezza che si aprirà in tempo … e temo che le miei “restituzioni differite” possano perdere di potere …

Qualcosa sta cambiando …

!“Non si tratta di produrre un

cambiamentoma di interagire

in modo che il cambiamento

che comunque si verifica segua

un corso piuttosto che un altro”

(Maturana, Mendez,Coddu, 1988)

!Dopo due incontri disdetti dalla famiglia per problemi lavorativi di Luca e una breve interruzione

per le vacanze natalizie, in una soleggiata giornata di gennaio leggo qualcosa di diverso negli occhi di questa coppia … Alba sembra leggermente dimagrita, è curata nell’abbigliamento e ha tinto i capelli che pettinanti hanno un aspetto meno crespo …Luca è più rilassato sulla sedia, scherza e fa battute contro Alba a sottolineare una ritrovata complicità … sventola uno scontrino di un famoso ristorante della zona in cui si mangia pesce … “ho le prove dottoressa, ci siamo riusciti!!”

Orgoglioso racconta la loro “cena a due” dopo anni di “cene a quattro” … Alba confessa che lasciare i figli a casa era vissuto da lei come un tradimento, ma una volta seduti a quel tavolo avevano ritrovato quel romanticismo, quella libertà, e la possibilità di trattare qualsiasi argomento senza stare attenti a chi ascolta!!!! “E’ stato così bello che ci siamo fatti la promessa che ogni mese ci prenderemo una serata tutta per noi” … commenta Alba.

Bene!! Sembra che qualcosa stia cambiando … non vorrei abbattere il clima allegro e frizzante che si respira in questo momento nella stanza, ma so che loro sono bravissimi a ridimensionare ogni problema in poche sedute per poi scappare … meglio riportare la coppia al tema per cui ci siamo incontrati … la mia ipotesi è che Franco senta la responsabilità di non poter abbandonare i suoi genitori così come aveva già fatto il suo fratellino nove anni fa … Questi due genitori dovranno rassicurarlo … dovranno aiutarlo ad intraprendere la sua strada e trovare una propria individualità, la sua identità … è chiaro che il lutto irrisolto per il primo bambino li ha portati a guardare Franco con gli occhi di chi magicamente spera che sia nato per riempire il vuoto che hanno nel cuore … c’è stata una sovrapposizione tale da dare ai due lo stesso nome … mi chiedo come possa fare un bambino a vivere con leggerezza la sua vita se alla nascita gli è stato affidato uno zaino così pensante …

ANALISI DEL CONTROTRANSFERT

Finalmente oggi ho rivisto i Fiore dopo diverse disdette … non nego di aver ipotizzato un loro abbandono dovuto al timore di dover affrontare la loro storia fino in fondo … del resto mi hanno

! 51La notte stellataAPRILE 2016, NUMERO 0

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contattato per un ansia scolare del figlio, ed io li ho fatti tuffare a capofitto nel dolore per la morte del loro bambino … mi auguro che troveranno la forza per farlo fino in fondo …

Il lavoro con la famiglia

I ragazzi eccitati corrono sulle scale e si fiondano in stanza … Iole non vede l’ora di raccontarmi che i genitori sono usciti da soli … non riesce a controllare il disappunto ma la mamma la ammonisce “io e tuo padre veniamo con te quando vai a giocare dalla tua amichetta?” e lei “tanto sono stata bene lo stesso con zia” … Franco racconta anche che la zia li ha portati a Roma per una giornata a vedere il Colosseo e Piazza di Spagna, hanno preso la metro e per l’occasione la mamma e il papà hanno comprato loro un cellulare che devono usare solo quando vanno fuori da soli … Alba è orgogliosa per essere riuscita a stare lontano dai figli sapendoli a Roma!!! Emerge di nuovo la richiesta di Franco di trascorrere del tempo col papà che “quando torna dal lavoro si fa le coccole sul divano solo con Iolanda” … ripenso a quando Luca mi ha detto che sua madre non è stata mai affettuosa con lui perché questo avrebbe significato essere deboli e non essere uomini!!!

Decido di dare un compito alla famiglia per cui dovranno organizzare attività e uscite separate “donne con donne e uomini con uomini” … tutti con entusiasmo raccolgono la sfida …

Due settimane più tardi Franco racconta di essere andato all’Ikea con il papà e di aver comprato e montato un mobile da mettere in cameretta per conservare tutti i loro giochi … ha gli occhi che brillano mentre il papà dice “è stato bravissimo” … Iolanda e la mamma, in vista della comunione, hanno comprato dei sacchetti per i confetti e li hanno decorati con fiori secchi …

Tutto sembra procedere bene … la famiglia si sta preparando per la prima comunione dei bambini, decido di riconvocarli dopo un mese!

I Croods

“Le metafore permettono di sfidare

i membri di una famiglia senza

dar loro occasione di mettersi

sulla difensiva

(Minuchin, Nichols, Lee, 2009, p.10)”.

!La famiglia arriva puntuale all’appuntamento e i bambini mi donano un sacchetto di confetti con

un bigliettino, orgogliosi di aver fatto la prima comunione:

“Carissima dott.ssa Colamedici, in questi mesi ha aiutato me e Luca a conoscerci un po’ meglio e ha aiutato noi genitori ad essere un pochino più tranquilli relativamente al nostro lavoro di genitori. È stato rassicurante sapere di essere sulla buona strada, nonostante tutti i nostri dubbi e le normali difficoltà che si possono incontrare nella vita famigliare. Ci piacerebbe che lei avesse un ricordo di noi … a presto Fiore’s”

Commossa ringrazio e chiedo come vanno le cose … Iolanda mi dice che a scuola in aula magna hanno proiettato il film dei Croods … sono stupita, è come se mi avesse letto nel pensiero … in quel fine settimana avevo anche io visto quel film, e per tutto il tempo avevo pensato a loro …

Il cartone narra di una famiglia di cavernicoli composta da due genitori, tre figli e una nonna, scampati miracolosamente ai pericoli della vita e rifugiati per tutto il tempo in una caverna buia per paura di essere mangiati dagli animali … solo il papà di tanto in tanto esce per procurarsi il cibo, e c’è il divieto assoluto di allontanarsi dalla caverna, soprattutto quando fa buio … in lui ho rivisto la preoccupazione di Luca, spaventato, forse per via del suo lavoro, dal mondo esterno, e tutto preso dal

! 52La notte stellataAPRILE 2016, NUMERO 0

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proteggere i suoi figli … la moglie, altrettanto ansiosa ma più aperta mi ricorda invece Alba …c’e poi il bambino, in sovrappeso, simpatico, pasticcione, attento alle regole del papà, che sembra Franco, e la bambina, ribelle, intraprendente, vogliosa di conoscere cose nuove … Iolanda!!!

Nella storia la bambina, in una delle sue escursioni notturne, incontra un ragazzino, si innamora e decide di seguirlo … conosce il mondo, il fuoco, le scarpe … tutto è estremamente affascinante … e se lei è sempre più entusiasta, il padre è sempre più spaventato … questo finché il ragazzo non rivela alla famiglia che ci sarà una nuova catastrofe e l’unico modo per salvarsi è abbandonare la caverna e andare altrove … il papà restio viene poi costretto a seguire la compagnia!!! Scopre un mondo nuovo, ma non osa confessare che gli piace … il film prosegue in maniere divertente fino a quando la compagnia giunge sul precipizio di un burrone, e l’unico modo per salvarsi è essere lanciati dall’altra sponda da una gigante catapulta … c’è bisogno di chi resti a terra per azionare il meccanismo … il padre con grande coraggio saluta la sua famiglia, la carica sulla macchina e si offre di rimanere a terra per spingerli!!! Il meccanismo funziona, sono salvi. Il padre è un eroe!!! Sono tutti disperati per la perdita del capo famiglia fino a quando, in lontananza, lo si vede cadere su di loro!!! È riuscito a salvarsi!! E ha salvato la sua famiglia!!! Ed ora la morale è chiara … a volte, l’unico modo per sopravvivere, è lasciare le proprie certezze e lanciarsi in nuove avventure …

Alba e Luca sembrano incuriositi dal film, suggerisco loro di guardarlo tutti insieme … e do loro appuntamento ad un mese!!!

ANALISI DEL CONTROTRANSFERT

La famiglia è appena uscita è mi concedo alcuni minuti per riflettere … mi sento più tranquilla, credo che le cose stiano andando bene, li vedo sereni … il problema sorge sempre al momento della convocazione … ho difficoltà perché se da un lato sento che ci sarebbero tante cose da dire e da approfondire, come ad esempio l’obesità di Alba, o la celata balbuzia di Luca, dall’altro non posso non tenere in considerazione che la loro richiesta iniziale era quella di placare la loro ansia per essere genitori più tranquilli … niente di più … mi chiedo se abbia senso continuare a vederli una volta al mese …

Una supervisione speciale

“Non preoccupiamoci troppo,

in fondo non siamo noi a curare i nostri pazienti,

noi semplicemente stiamo loro vicini

e facciamo il tifo mentre loro curano se stessi”

(Erich Fromm, 1971)

!A volte la vita ti riserva delle bellissime sorprese così, visto che il gruppo è riunito, colgo

l’occasione per comunicare a tutti che aspetto una bambina … da tre mesi!!! Il parto è previsto per il primo dicembre …

Il professore sorridendo mi chiede come penso di organizzarmi con il lavoro … possibile che abbia capito che sto avendo delle difficoltà a concludere la terapia con i Fiore??? Per questo sorride??? In effetti … che senso hanno le mie convocazioni ad un mese????

Sorrido anch’io: finché starò bene lavorerò … non è un lavoro faticoso …qualcosa mi dice che non è la risposta che desidera …

Il professore mi chiede “come mai hai pensato di riconvocare i ragazzi dopo una serie di incontri con i genitori?” … in silenzio rifletto ma non mi viene in mente nessuna risposta plausibile …

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Sembra che quando i bambini sono in stanza la terapia viaggia su binari diversi dalla domanda iniziale … come se la loro presenza sviasse la strategia terapeutica … sto forse proteggendo i genitori dalla sofferenza di fare i conti con il proprio passato? Inoltre riconvocarli nasconde forse un mio bisogno di controllare personalmente che i due bambini stiano bene, come se le parole di Alba e Luca non bastassero a tranquillizzarmi?Perché vederli di tanto in tanto? Sono forse intimamente convinta chequesti genitori da soli non ce la faranno? … L’ansia della famiglia ha contagiato anche me!!!

Il mio compito è quello di guardare questi genitori con gli occhi di chi sa che ce la possono fare da soli!!! Non posso sostituirmi a loro!!!

E poi c’è quel film … che mette in luce quanto un genitore può essere fragile di fronte alla crescita dei figli … improvvisamente l’idea di aver loro consigliato di guardarlo insieme non sembra più buona!!

Dovevo restituirgli competenza non punteggiare sulle loro fragilità!!!

L’indicazione del supervisore è quella di non vedere più la famiglia, ma la coppia … solo se la stanza di terapia sarà tutta per loro potranno portare le loro paure … nella prossima seduta famigliare dovrò quindi congedare i bambini …

RIFLESSIONI SULLA SUPERVISIONE

Mi sento improvvisamente abbattuta … credevo di aver fatto un buon lavoro, ma è bastata una parola del supervisore, e una risata complice del gruppo, per farmi rendere conto della banalità degli errori commessi … continuo a ripetermi che il papà è l’eroe del film … ma non basta per tranquillizzarmi sul fatto che dovranno vederlo insieme, su mia indicazione, e ho paura che Alba e Luca si sentano smascherati di fronti ai figli … vorrei tornare indietro … continuo a ripetermi “dovevi restituirgli competenza” !!!

In tilt

La famiglia arriva in terapia puntuale e saltellante … dicono di stare bene, la scuola è quasi finita, i professori si complimentano, Franco ha fatto dei progressi bellissimi, dicono che è un bambino maturo, che il rendimento è stato buono … anche Iolanda ha concluso l’anno scolastico con successo … stanno organizzando le vacanze e Alba e Luca si prenderanno un week and solo per loro!!!

Nel frattempo la mia pancia inizia a fare capolino sotto la maglia morbida …

È tempo dei saluti … le cose stanno andando bene, i bambini sono tranquilli, non ha senso rivederli … e nella testa risuonano le parole del professore:“anche tra sei mesi … ma devi rivederli da soli” … Come ne esco adesso? Immagino che tra sei mesi sarò in ospedale, o a casa con la bambina …

“Bene Fiore!!! Trascorrete delle splendide vacanze e noi ci vediamo tra tre mesi, a settembre”!!!

Già immagino la prossima supervisione: non ha alcun senso dare un occhiata ai bambini … serve a placare la tua ansia o la loro?????

ANALISI DEL CONTROTRASFERT

Ma che combino!!!! Dovevo vedere Alba e Luca a dicembre e invece vedrò tutti e quattro a settembre … solitamente prendo alla lettera ciò che mi viene detto in supervisione, anche perché fino ad ora l’ho sempre condiviso, facendo in modo che le parole del professore diventassero un arricchimento del mio pensiero … e allora che succede??? Confusa e arrabbiata con me stessa penso e ripenso al perché di queste strane convocazioni senza giungere ad alcuna conclusione … se non a quella di essere emotivamente vulnerabile … e in imbarazzo nel mostrare a questa coppia la mia pancia, sapendo il dolore che li ha colpiti …

!

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Il primo incontro di Followup

L’estate è trascorsa nel migliore dei modi, tra pochi giorni riprenderà la scuola, di tanto in tanto la famiglia Fiore ha fatto capolino tra i miei pensieri … il co-terapeuta che da sei mesi vive nella mia pancia non mi sta aiutando affatto … spesso ho ripensato al racconto di Alba rispetto al parto, inutile dire che ora che aspetto un bambino tutto risuona diversamente, come se fosse amplificato … distaccarsi emotivamente dalla loro storia e mantenere un approccio strategico mi risulta quasi impossibile … questo è visibile nei continui errori che commetto nelle convocazioni … nonostante la famiglia dica che vada tutto bene non riesco a lasciarli andare … è come se dovessi proteggerli o preservarli da qualcosa … e la giustificazione che mi do è che più volte hanno abbandonato la terapia al primo segnale di miglioramento, e non voglio che accada anche con me … dimentico però che il messaggio implicito che sto inviando a questi genitori è che senza di me non ce la faranno … devo fare qualcosa per smentire questo messaggio …

Siamo al giorno dell’appuntamento quando ricevo la telefonata di Alba: “dottoressa buon giorno, volevo dirle che i bambini questo pomeriggio sono invitati ad un compleanno, le spiace se veniamo solo io e mio marito?”

Colgo al balzo l’occasione … in questo modo potremo parlare liberamente e congedarci … senza dare la famosa sbirciata ai bambini!!!

Puntuali Alba e Luca suonano al campanello … sono abbronzati e hanno un aspetto sereno e rilassato … mi dicono orgogliosi che tutto va bene, e che i bambini, nel mese di agosto, hanno avanzato la proposta di rimanere due giorni al mare con gli amichetti … loro ne hanno approfittato per restare da soli. Mi dicono anche di aver guardato tutti insieme il film … e di aver capito il messaggio … dicono che questi incontri sono stati per loro un modo per conoscersi di più, ritrovarsi, riscoprire i loro figli, ma soprattutto hanno capito che ciò che è accaduto al loro primo figlio non può influenzare la vita degli altri due … devono stare più tranquilli, buttarsi!! Non potranno preservarli dai pericoli della vita per sempre!

Eccoci di nuovo al momento dei saluti … e delle convocazioni … so che dovrei programmare il prossimo follow up a tre mesi con la coppia, so anche che questo non mi sarà possibile per via della maternità … decido quindi di rimandare il nostro prossimo contatto ad un informare appuntamento telefonico prima delle vacanze di natale …

L’ultima supervisione…

Emozioni controtransferali

“Esiste un rapporto verificabile tra

errore del terapeuta e circostanze

della sua vita personale e professionale”

Luigi Cancrini, Ecologia della mente, 1986.

!Il professor Colaciccoascolta il racconto della precedente seduta, riflette e poi mi chiede perché

non ho deciso di rivedere la coppia direttamente tra sei mesi … Il timore è che questo informale contatto telefonico a dicembre potrebbe far cadere la famiglia nel dubbio: ci risentiamo per gli auguri, per un controllo, o perché non possiamo vederci per via del parto? Non è chiaro che dietro ci sia una specifica scelta terapeutica … non ci sono urgenze … si potrebbe rimandare tranquillamente l’incontro a sei mesi … la scelta della telefonata crea ambiguità … “non chiamarli! Se loro nonti contattano richiamali a primavera per un follow up telefonico e non dare loro altri appuntamenti a meno che non ti venga richiesto” …

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Le indicazioni del mio supervisore mi portano a riflettere … sento che durante il percorso ho perso di strategia, briciola dopo briciola, ed è giunto il momento di capirne il perché … decido quindi di ripercorrere la strada fatta con la famiglia Fiore a ritroso, passo dopo passo, sperando che le briciole lasciate, come nella storia di pollicino, possano guidarmi nell’immenso labirinto delle mie emozioni!!

La prima idea è quella di dover distinguere un prima e un dopo dettato dalla mia gravidanza: sento che questo evento mi ha reso eccessivamente sensibile e coinvolta rispetto alla loro storia, inoltre, essere divenuta genitore, mi ha improvvisamente catapultato dall’altra parte della staccionata …

Penso ad Alba … sicuramente verso di lei ho provato fin da subito emozioni positive … è un essere gentile, la vedo come una preziosa orcia di terracotta, quelle toscane fatte a mano … è grande, l’esposizione alle intemperie ha fatto si che emergessero delle crepe, nonostante ciò non sfugge al suo compito, tiene in sé la terra e si impegna moltissimo a far si che i suoi fiori crescano belli … è evidente che nessun giardiniere si è mai preoccupato di trovare per lei un posto più riparato nel giardino, e l’emozione che scaturisce in me guardandola è quella di abbracciarla e toglierla da lì …mi rendo conto che il tempo ha permesso la presa di coscienza da parte mia del suo dolore, e un avvicinamento al suo essere madre; tali elementi sono senza dubbio alla base di alcune scelte terapeutiche che erroneamente mi stavano portando da un lato a sostituirmi a quel marito o a quella madre che spesso non l’ hanno accolta e dall’altro hanno attivato in me la difficoltà di lasciarla, probabilmente la stessa che avvertono i suoi figli che, come un termometro, misurano la sua ansia crescere nel momento del distacco … a posteriori comprendo anche il grande dono che Franco fa ad Alba … rinuncia alla sua vita, alle feste con gli amichetti, persino alla scuola, pur di manifestare, con tutta l’energia che ha dentro, eterna fedeltà alla sua mamma … sono commossa di fronte a tanto amore … è un lupo mascherato da pecorella … questo non era chiaro ai genitori così come non era chiaro a me! Prima che il mio supervisore cambiasse la lente dei miei occhiali, le mie emozioni erano di rabbia verso quel papà che freddo e poco attento non perdeva occasione per attaccare il suo bambino fragile … ecco, di nuovo mi rendo conto di come è facile cadere in errore quando la pancia prende il sopravvento … quello che i miei occhi nudi vedevano come un essere insensibile diveniva improvvisamente un uomo che cercava in tutti i modi di salvare la sua mamma, e le ragioni del suo essere stata anaffettiva, bastava indossare delle nuove lenti … ed infine Iolanda, una bambina che fin dall’inizio ha generato in me sentimenti ambivalenti … curiosità, antipatia, senso di protezione … non è molto chiaro lo scopo del suo agire … a volte ho pensato che attaccare il fratello fosse l’unico modo per lei per ottenere l’attenzione di quei due genitori troppo distratti dalle loro ansie e dal loro dolore … altre volte l’ho vista nascondere dietro il fratello, più grande e forse più forte, le sue paure … i miei occhi hanno colto la sua fragilità che per tutto il tempo ha tentato di camuffare … so che un terapista deve sospendere ogni tipo di giudizio ma in fondo al cuore una valutazione, spinta da moti emotivi, la si fa!! Saltare la staccionata mi ha permesso di indossare i panni di Alba e Luca, e di essere più clemente nel guardare ailoro errori… ma sono da troppo poco tempo genitore per aver dimenticato come ci si sente ad essere figli … e sento crescere in me un senso di ingiustizia nel vedere le loro vite condizionate dalle problematiche irrisolte di Alba e Luca … il mio supervisore spesso mi rimprovera perché mi butto nelle situazioni a capofitto prima ancora di aver analizzato la richiesta di aiuto dei miei pazienti … so che Alba non mi ha chiesto di dimagrire, e che Luca non mi ha chiesto di superare il lutto irrisolto di suo padre … nella mia testa però sento che dovrebbero farlo … e il non essere riuscita a spostare il discorso sui binari che sentivo più giusti per mancanza di tempo,ha generato in me senso di frustrazione e nello stesso tempo un senso di colpa ... ma soprattutto ha scaturito ansia nel lasciarli andare … nella mia testa c’erano tante altre cose da dire … forse nella loro no … quindi …

È tempo dei saluti …

Siamo a dicembre … la mia bimba è nata da venti giorni e tra poco si festeggerà il Natale … sono a casa tra biberon e pannolini quando la segretaria del mio studio mi avverte che è stato lasciato un pacchetto per me con dentro un cappellino da babbo natale, un bavaglino e due babbucce rosse …

“Molti auguri per il lieto evento … certi che sarà un magico Natale I Fiore”

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ed un sms sul cellulare

“Gentile Dottoressa, ci siamo permessi di lasciare un piccolo pensiero a studio per la sua bambina. Noi stiamo molto bene, ci prepariamo a trascorrere dei giorni di vacanza insieme. Grazie ancora per il suo aiuto”

… penso che siano stati davvero molto carini ad avere un pensiero per me … sono anche tranquilla perché, a quanto pare, tutto sta andando bene!!!

Passano quattro mesi e arriva la primavera, decido di contattare telefonicamente Alba per salutarli e sapere come stanno … mi dicono che le cose stanno andando molto bene, che lei e Luca continuano a prendersi delle serate da soli, che i risultati scolastici sono stati buoni, che i mal di pancia sono scomparsi … loro finalmente sono due genitori sereni e si stanno godendo i loro figli!!! Mi ringraziano per averli incoraggiati e sostenuti nel loro compito di genitori …

… a quanto pare, nonostante gli ormoni, e gli errori, sono riuscita a farli sentire due bravi genitori … aleggia nell’aria la sensazione che ce la faranno, è giunto il momento di salutarci davvero … senza altri appuntamenti …

Riflessioni conclusive

“ Se la complessità non è la chiave del mondo,

ma la sfida da affrontare,

il pensiero complesso non è ciò

che evita o sopprime la sfida,

ma ciò che aiuta a rivelarla

e, a volte, anche a superarla”.

(Morin, 1990)

!L’esperienza di training è conclusa … è giunto il momento di pensare alla tesi, di raccogliere le

idee, di riflettere sugli errori commessi … di iniziare a camminare da sola, come ha fatto la famiglia Fiore, e come sta tentando di fare la mia bambina … ripensando agli ultimi mesi di terapia mi rendo conto di quanto quei messaggi che di tanto in tanto la famiglia mandava erano un potente tranquillante anche per me, giovane terapeuta inesperta che forse aveva bisogno quanto loro di essere rassicurata sul buon operato del suo lavoro …

L’esperienza della supervisione indiretta è particolare … in stanza sei sola, ma mai fino in fondo … senti di avere alle spalle l’esperienza e la saggezza di un supervisore esperto, la comprensione e l’appoggio morale del tuo gruppo … non nego che di fronte all’errore il timore del giudizio è forte, ma basta una risata complice, ed uno sguardo affettuoso del gruppo, per farti rendere conto che sono paure infondate …

… le parole sagge, a volte di scuotimento, altre di comprensione, del mio supervisore, mi hanno guidato come un faro che da lontano illumina la rotta e ti permette di scegliere la via più giusta da percorrere …

Con il suo aiuto sono riuscita a visualizzare lacausa della mia ansia nei confronti dei Fiori … probabilmente la mia maternità ha fatto sì che io interrompessi la terapia prematuramente, e il senso di colpa generato da tale atteggiamento è stato la causa delle tante telefonate che per me volevano dire “se avete bisogno ci sono” ma che avevano l’effetto negativo di non fortificare la loro genitorialità … a volte le storie dei pazienti sono dei potenti attivatori di emozioni, e quando il cuore e la pancia

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prendono il sopravvento sulla testa, mantenere una salda strategia terapeutica diviene complicato … mi chiedo come sarebbe andata questa terapia se non fossi rimasta incinta, quali scelte terapeutiche avrei fatto … sento di non essere riuscita ad approfondire abbastanza con Alba il discorso della sua obesità e con Luca quello della morte del padre … forse se avessi avuto più tempo sarei riuscita a spostare la loro richiesta … ma questa è un’altra storia … la mia si conclude così …

“Cara dottoressa, oggi l’abbiamo incrociata al parcheggio del centro commerciale!! La sua bambina è bellissima! Noi stiamo bene e grazie al suo aiuto in questi mesi siamo riusciti a risolvere da soli un paio di momenti di crisi e siamo soddisfatti … le siamo immensamente grati per il suo aiuto … la ricordiamo spesso con affetto e simpatia. I Fiore”

Il 3 ottobre del 2012 la famiglia Fiore si rivolgeva a me per risolvere un’ansia da separazione …

Oggi, 3 ottobre 2014, nello scrivere queste righe, sorrido pensando che quell’ansia aveva contagiato anche me …

!!!!!!!!!!!!

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