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La nostra attività musicale: Concerti Lirici, sinfonici, Opere

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La nostra attività musicale:

Concerti Lirici, sinfonici, Opere

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Presidente:

Flavio Vadagnini

TEL. 347 718 7184

e-mail:

[email protected]

Direttore artistico:

Claudio Vadagnini

TEL. 348 692 3689

e-mail:

[email protected]

Responsabile orchestra:

Michael Isac Girardi

e-mail:

[email protected]

Via Loewy, 42- 38035 MOENA (TN)

Via Doss Castion, 19-38121 TRENTO

(TN)

Associazione Musicale Aurona

@auronatrentino

www.aurona.eu

SOMMARIO

ASSOCIAZIONE MUSICALE «AURONA» 3

L’ORCHESTRA AURONA 3

ALCUNE PRODUZIONI

LA TRAVIATA di Giuseppe Verdi 4

IL TROVATORE di Giuseppe Verdi 4

L’ELISIR D’ AMORE di Gaetano Donizetti 5

RITA di Gaetano Donizetti 6

LA SERVA PADRONA di Giovanni Battista Pergolesi 6

TURANDOT di Giacomo Puccini 6

CAVALLERIA RUSTICANA di Pietro Mascagni 7

CONTURINA E ANETA: DUE OPERE LADINE 8

CONTURINA 8

ANETA 8

SINTESI DELLA PROPOSTA DI SPETTACOLI 14

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ASSOCIAZIONE MUSICALE «AURONA»

Fondata nel 2001 con sede a Moena ha come obiettivo primario la produzione ed esecuzione di concerti e spettacoli con cantanti ed orchestra formata da gio-vani musicisti in particolare delle province di Trento e Bolzano. Compito assunto per sta-tuto è quello di diffondere la cultura musicale, coin-volgendo le realtà associa-zionistiche e strutture for-mative locali nelle speci-fiche produzioni originali o tradizionali adatte ad esse-re rappresentate in ambien-ti diversi e programmando eventi musicali da eseguire in varie località provinciali ed extra-provinciali. L’ Associazione pertanto in-tende promuovere la vita musicale sul territorio con particolare riguardo per le espressioni musicali della comunità ladina e di altre minoranze etnico linguisti-che.

L’ORCHESTRA AURONA

A formazione variabile, è finalizzata a integrare stabilmente l’offerta culturale territoriale attingendo al repertorio esecutivo tradizionale ma anche proponendo programmi innovativi con musiche originali. Ha prodotto finora oltre 50 rappresentazioni operistiche e 10 concerti sotto la guida del direttore artistico Claudio Vadagnini. E’ formata da un organico di 24 musicisti integrati da altri strumentisti per i progetti maggiormente impegnativi che richiedono un organico più completo. Nel corso degli anni l’orchestra ha migliorato le capacità interpretative con la ricerca di sonorità sempre più affinate, raggiungendo un buon affiatamento e livello esecutivo specialmente nel repertorio operistico. diretta dal M° Claudio Vadagnini -Maestro concertatore e direttore Diplomato brillantemente in Pianoforte, Composizione, Direzione d’Orchestra, Didattica della Musica e Direzione d’Opera Lirica rispettivamente nei Con-servatori di Trento, Milano, Bolzano ed Accademia Filarmonica di Bologna. Ha all’ attivo numerosi concerti come pianista e maestro collaboratore; ha diretto più di ottocento concerti corali con i cori popolari, polifonici e lirici in sale italiane ed estere; ha curato sette incisioni, molte produzioni operistiche e concerti orchestrali. E’ autore delle opere ladine “Conturina” (2001 libretto Fabio Chiocchetti più volte rappresentata con la sua conduzione con incisione completa in diretta dalla RAI) e la recentissima Aneta (libretto di Fabio Chiocchetti presentata in prima esecuzione nel teatro Navalge il 23 luglio 2015 e replicata al Teatro Comunale di Bolzano). Ha diretto varie orchestre in oltre 80 rappresentazioni operistiche (Pergolesi, Mozart, Donizetti, Verdi, Puccini, Mascagni) nei teatri del Trentino-Alto Adige, Lombardia, Piemonte, Liguria, Friuli, Svizzera ed Ecuador. Direttore artistico dell’Associazione Musicale Aurona del Coro Lirico di Bolzano e Merano e del Coro Paganella.

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ALCUNE PRODUZIONI

LA TRAVIATA di Giuseppe Verdi

Note di regia di Mirko Corradini: ….Una regia di immagini che si staccano dall’abituale messa in scena classica dell’opera e che cercano di evidenziare il grande potere delle parole e della mu-sica dell’opera di G. Verdi trasmettendo i sentimenti attraverso il movimento simbolico delle tre attrici figuranti…..

Il commento di News Valle dei Laghi: «…una tre atti dall'indubbio fascino che ha emozionato non poco il folto pubblico presente…… una serata indimenticabile dove le più sottili e raffinate espressioni romantiche dei sentimenti e dell'amore, trovano espressione in una originale opera che ha il pregio di far rivivere emozioni altrimenti perse…»

IL TROVATORE di Giuseppe Verdi

Note di Claudio Vadagnini su «La Traviata» E’ un capolavoro assoluto che colpisce l’animo umano tal-mente in profondità da diven-tare eterno. Per l’interpretazione musicale di Traviata la mia scelta prin-cipale è quella di mettere completamente a proprio agio i solisti, giocando sui tempi, per dar loro modo di esprimersi al meglio e permettere di creare quella magia che solo la voce sa dare. La partitura di Traviata è scritta così bene da lasciar poco spazio alla libera interpretazione. Però mi piace evidenziare le differenze dina-miche che passano dagli ac-compagnamenti pizzicati degli archi fino ai pieni orchestrali con i quali Verdi esprime il suo spirito sanguigno fatto di contrasti e umori cangianti. Si passa così dalla delicatezza delle linee melodiche all’im-peto degli accompagnamenti ritmici che, secondo me, van-no a sottolineare in modo straordinario il messaggio contenuto nel testo che deve essere pienamente espresso nella rappresentazione sceni-ca. Utilizzando questi elemen-ti si può così creare una comunicazione a forte impat-to emotivo.

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L’ELISIR D’ AMORE di GAETANO DONIZETTI

Note di Regia: Leggendo bene “L’Elisir d’Amore” si trovano numerosi spunti per creare un percorso sull’Amore. L’analisi va di pari passo con lo sviluppo dell’opera: l’innamoramento, la sofferenza, la gelosia, la sfida, la rivalità, il sacrificio, fino ad arrivare al coronamento pieno del sentimento…. Filo conduttore è l’Elisir, il segreto per fare innamorare, per ottenere la tanta sospirata felicità: un rimedio, questo, portentoso ma illusorio…

Produzione 2015

Produzione 2016

Brilla il «Trovatore Verdiano» La rappresentazione dell’opera «Il Trovatore» promossa dall’associazione «Aurona» si è rivelata essere uno spettacolo appagante e valido, con momenti lirici ispirati a episodi di «Spannung» degni di una delle più popolari pagine di Verdi. Rappresentata con la regia di Mirko Corradini in diverse località della regione tra cui, al Teatro Valle dei Laghi di Vezzano , nel secondo centenario della nascita del «Cigno di Bussetto» ha costituito per il pubblico trentino una rara occasione di fruire sul posto di uno dei titoli di punta del repertorio verdiano, nell’interpretazione di professionisti in carriera. L’allestimento in forma semi scenica non toglie nulla alla visibilità dei cantanti che si sono dimostrati convincenti guadagnandosi il plauso del pubblico, con acclamazioni ai termini dei momenti topici. Bravi e ben presenti in scena gli interpreti più in vista; indispensabile la conduzione brillante e instancabile di Claudio Vadagnini che sa trarre il meglio dell’orchestra, formazione con molte qualità. Una bella serata per gli appassionati di

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RITA di Gaetano Donizetti

L’opera Rita ebbe immediata-mente un grande successo: infatti può essere ritenuta una delle farse più vive e musical-mente brillanti di Donizetti, melodicamente originale e scorrevole, strumentata con delicati accenti ironici che ben caratterizzano i personaggi del racconto farsesco. Rappresenta pur nella sua brevità, un modello della nuova concezione del tutto personale dell’autore imposta al dramma lirico e all’opera buffa. In questa prospettiva l’operina Rita si può considerare come una sintesi della poetica donizettiana nel trattare il tema dell’amore delle sue eroine con un “sentimento romantico” in-triso di psicologismo e lirismo..

La trama: presenta una piccante vicenda con risvolto un po’ paradossale ma che si presta facilmente a varie inter-pretazioni attualizzanti anche in chiave ironica. Racconta del doppio matrimonio della protagonista Rita con Gasparo prima e successivamente con Beppe quando Gasparo viene ritenuto morto. Alla ricompar-sa inaspettata e strana di

questi però inizia una specie di duello simbolico-immaginativo fra i due che desiderano, per motivi diversi, liberarsi dal vincolo matrimoniale con Rita. Con alcuni stratagemmi cercano di prevalere l’uno sull’altro per riacquistare la libertà. Il finale … riserverà la sorpresa.

LA SERVA PADRONA di Giovanni Battista Pergolesi

Orchestra Aurona, Scuola Musicale G. Gallo e C. Eccher La ‘Serva Padrona’, intermezzo buffo in due quadri, del noto compositore di primo ‘700 Giovanni Battista Pergolesi, è la storia di un attempato nobiluomo del ‘700 napoletano, Uberto e della sua amata Serpina, che appunto ‘da serva si fe’ padrona’, grazie alle sue scaltre doti femminili e alla sua insolita arguzia: si farà alla fine sposare, ma alle condizioni che lei vorrà.

TURANDOT di Giacomo Puccini

Alla fine della sua parabola creativa Puccini si cimentò con un soggetto fiabesco, d'impronta fantastica. Il soggetto dell'opera, ispirato al nome dell'eroina di una novella persiana, fu tratto dall'omonima fiaba teatrale di Carlo Gozzi. Più esattamente, il libretto dell'opera di Puccini si basa, molto liberamente, sulla traduzione di Andrea Maffei dell'adattamento tedesco di Friedrich Schiller del lavoro di Gozzi. L'idea per l'opera venne al compositore in seguito a un incontro con i librettisti Giuseppe Adami e Renato Simoni, avvenuto a Milano nel marzo 1920. Nell'agosto dello stesso anno, quando si trovava per un soggiorno termale a Bagni di Lucca, il compositore poté ascoltare, grazie

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al suo amico barone Fassini, che era stato per qualche tempo console italiano in Cina, un carillon con temi musicali proveniente da quel paese. Alcuni di questi temi sono presenti nella stesura definitiva della partitura. Il vero ostacolo per il compositore fu, fin dall'inizio, la trasformazione del personaggio di Turandot, da principessa fredda e ven-dicativa a donna innamorata. Ancora l'autore scriveva: «Il duetto tra Calaf e Turandot per me dev'essere il clou - ma deve avere dentro a sé qualcosa di grande, di audace, di imprevisto e non lasciar le cose al punto del principio. Potrei scrivere un libro su questo argomento». E ancora: «Il duetto! Il duetto! tutto il decisivo, il bello, il vivamente teatrale è lì! Il travaso d'amore deve giungere come un bolide luminoso in mezzo al clangore del popolo che estatico lo assorbe attraverso i nervi tesi come corde di violoncelli frementi». I gruppi corali coinvolti che hanno accettato di par-tecipare attivamente alla realizzazione dello spettacolo sono stati impegnati in un per-corso formativo mirato. In partico-lare il coretto dei bambini è entrato nel clima fiabesco di Turandot che viveva a Pechino "al tempo delle favole", e ha inserito nel programma di studio dei canti caratteristici del mondo il brano: "là sui monti dell'est..." che canta nella rappresen-tazione. Così il Coro lirico di Bolzano e il gruppo giovani di Estro-teatro hanno analizzato con

attenzione e appreso i numerosi interventi canori dell'opera per interpretare congiuntamente tutte le parti corali e scenografiche d'insieme e creare, con le diverse figure (folla, ombre dei morti, soldati..), il contesto emozionale che accompagna quasi integralmente lo spettacolo. Il coro multietnico nel laboratorio di apprendimento di "canti del mondo", guidato da Victoria Burneo (soprano Liù in Turandot), ha imparato la dolcissima canzone riferita alla protagonista della storia: "la principessa dagli occhi di ghiaccio". E' una melodia tipica popolare cinese che Puccini tra-scrive e varia nel corso dell'opera a seconda degli episodi descritti. Il coro dei bambini ha interpretato sia il canto tradizionale cinese (Mo Li Hua) in lingua originale, sia la trascrizione operistica pucciniana. Potrà così inserire nel suo repertorio le due versioni nella narrazione della fiaba della principessa Turandot che modifica il suo atteggiamento altezzoso e scostante verso tutti i pretendenti di fronte all'amore tenero, disinteressato del principe Calaf che scioglie alla fine il ghiaccio del suo cuore. I giovani attori/cantanti del laboratorio teatrale si aggiungono al Coro lirico per integrare le melodie composte da Puccini interpretando i vari personaggi del popolo che segue partecipando con passione alla vicenda della principessa prigioniera del suo intrattabile carattere.

CAVALLERIA RUSTICANA di Pietro Mascagni

Accolto con favore al Cuminetti di Trento il dramma musicale (L’Adige 8.10..2014) Che carica, questa Cavalleria

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Fine settimana all'insegna della grande musica operistica quello appena trascorso, dopo i precedenti successi con "La Traviata" e il "Trovatore", ecco irrompere sulla spaziosa scena dell'Anfiteatro all'aperto (coperto) del Parco Urbano di via dei Colli, l'opera di Pietro Mascagni «Cavalleria Rusticana». IL PUBBLICO – Pubblico entusiasta, un pienone come le due serate operistiche precedenti, attento e coinvolto al punto giusto nella storia tratta dalla novella di Giovanni Verga, tanti gli applausi anche a scena aperta e naturalmente al termine di ogni pezzo solista o corale che sia….

CONTURINA E ANETA: DUE OPERE LADINE

CONTURINA

Opera ladina in quattro quadri per solista, coro e orchestra

Testo di Fabio Chiocchetti Musica di Claudio Vadagnini L’opera racconta una delle più singolari leggende ladine: la vicenda della bellissima fanciulla di Contrin, pietrificata nella roccia per odio della matrigna. Tramandata per secoli dalle «restelèris» e raccolta agli inizi del ‘900 in un’unica strofa rimanente del «Canto di Conturina» è significativa sia per gli aspetti letterari, sia per i riferimenti alle elaborazioni delle leggende, storie e fantasie popolari tradizionali tramandate oralmente, sia per la ricerca delle molteplici espressività musicali che si intrecciano continuamente coniugando tradizione ed innovazione. Per il primo aspetto l’autore ha condotto un notevole lavoro di confronto fra frammenti originali della narrazione delle leggende sulla Marmolada e ritrovati in tempi ed autori diversi. Questi frammenti sono stati integrati nella ricostruzione dell’opera e completati con un testo

poetico di notevole efficacia scenica coerente con il tema centrale della narrazione: la bellezza incantevole dell’infelice fanciulla non sarà offuscata dalle dolorose privazioni imposte dalla matrigna né dagli effetti dell’odioso incantesimo, anzi alla fine otterrà la vittoria finale sul male proprio in virtù della pietrificazione che le dona l’immortalità. Conturina quindi si trasforma e si trasfigura nella Marmolada stessa, la bianca montagna della quale i poeti canteranno «l’eterna bellezza». L’opera infatti termina con l’inno alla Montagna immacolata.

ANETA

La vicenda di ANETA inserita nel contesto storico della Gran Vera (1914-18) che ha coinvolto la comunità ladina (Armando Vadagnini) Come la maggior parte delle opere liriche, anche questa Aneta, con il testo ladino di Fabio Chiocchetti e la musica di Claudio Vadagnini, richiede un’attenzione particolare nei confronti di un dramma vissuto sul piano personale dai protagonisti, ma nello stesso tempo fa emergere chiaramente un contesto storico e geografico di grande interesse e attualità, in riferimento alla minoranza ladina della valle di Fassa investita prima

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dalle spinte del progresso e della modernità, poi dalla tragedia della Prima guerra mondiale. La vicenda si svolge in un territorio di confine, a volte tratteggiato in maniera vaga, proprio per sottolineare il messaggio universale trasmesso dall’opera, ma sicuramente situabile nella Valle di Fassa, come risulta da alcuni cenni toponomastici. Si tratta di un territorio che correva sulla linea di confine tra Italia e Austria, di cui faceva parte anche tutto il Trentino agli inizi del Novecento e fino al termine della Prima guerra mondiale, denominato sul piano amministrativo e geografico come Wälschtiro, Abitare in una terra di confine potrebbe offrire ai nostri giorni anche qualche vantaggio soprattutto sul piano culturale ed economico. Ma all’inizio del secolo scorso invece la Valle di Fassa, come pure altre zone del Trentino, fu oggetto di aspre contese. Nell’età dei nazionalismi esasperati, se da una parte ad esempio un illustre personaggio trentino irredentista come Vittorio de Riccabona, riferendosi a Moena, scriveva che essa era «l’ultimo villaggio di Fiemme, sul confine con Fassa, per noi lontana e pericolante», dall’altra invece le leghe nazionali germaniche, in una fase storica in cui turismo e alpinismo iniziavano a imporsi anche nella zona dolomitica, edificarono molti rifugi alpini e monumenti sulle montagna fassane, dando anche il nome tedesco a molte cime dolomitiche. Non è poi da dimenticare la lunga disputa tra glottologi tedeschi e italiani sulla lingua ladina1. Per quanto riguarda i ladini fassani, in definitiva essi si tennero quasi sempre fuori da quelle dispute. Come la maggior parte della popolazione trentina, dichiaravano apertamente la propria lealtà nei confronti della corona asburgica e, in particolare, dell’imperatore Francesco Giuseppe. Per il resto, attendevano al loro lavoro, fondato soprattutto sull’agricoltura, l’allevamento del bestiame, lo sfruttamento del legname e qualche limitata attività di artigianato, come ad esempio la tessitura

1 V. de Riccabona, Le valli di Fassa e di Fiemme, Trento

1879, p. 26. Per l’avvio del turismo alpino e il suo connotato simbolico, si veda L’invenzione di un cosmo borghese. Valori sociali e simboli culturali dell’alpinismo nei secoli XIX e XX, a cura di C. Ambrosi e M. Wedekind, Museo Storico in Trento, 2000. Sulla lingua ladina, cfr. G. Sabbatini, Le radici storiche dell’unità del popolo ladino, in «Moena ladina», IV, numero speciale di «Nosa Jent», 1980, p. 21 ss.

casalinga della tela di lino e di canapa2. Pu essendo legata a un‘economia di pura sussistenza, la comunità fassana conduceva una vita piuttosto tranquilla, scandita dai riti religiosi, caratterizzata dal culto per i morti, da usanze particolari mantenute a lungo nei secoli, da una cultura alimentata dalla scuola popolare obbligatoria portata però anche a valorizzare personaggi e storie mitiche tramandate per via orale di generazione in generazione, che poi diventeranno oggetto di studio e codificate in raccolte a stampa (si pensi ai preziosi volumi di Christian Schneller e di Karl Felix Wolff sulle leggende, le favole, le credenze popolari, le figure arcaiche della tradizione ladina)3.

Nell’opera di Chiocchetti-Vadagnini si possono rilevare alcuni di questi aspetti generali. Già nel «Preludio» erompe dal profondo dell’anima l’amore per il proprio paese, l’attaccamento alla propria

2 F. Ghetta, La valle di Fassa. Contributi e documenti,

Artigianelli, Trento 1974, pp. 325 ss. Si veda anche A. Leonardi, La valle di Fassa tra ‘800 e ‘900: situazione economica ed aspetti di vita sociale, in «Mondo Ladino», VIII (1984), n. 1-2, pp. 11-45. 3 C. Schneller, Märchen und Sagen aus Wälschtirol,

ristampa anastatica 1867, trad. it. Arnaldo Forni 1979, rifacimenti di M. Neri, Fiabe trentine. Storie magiche e straordinarie della Valle di Fassa, ed. Panorama, Trento 2001; K. F. Wolff, L’anima delle Dolomiti, Cappelli, Bologna 1987; I monti pallidi, Cappelli, Bologna 1987. Per la figura di Schneller e il suo impegno in campo scolastico e politico, si veda il recente lavoro di Sonia Forrer, Christian Schneller studioso di confine: cultura popolare del Wälschtirol e difesa del Deutschtum, in «Studi trentini. Storia», a. 96 (2017), n. 1, pp. 117-143

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terra che si vorrebbe non vedere mai «avelida» (Dal scur più fon de l’ènema/te fae sortir, o tera mia,/cò te ressones te mie cher/foran la tórbola parbuda/de la lum da vignidì : «Dalle profonde oscurità dell’anima/ti evoco, o terra mia,/quando risuoni nel mio cuore/trapassando la torbida apparenza/della luce quotidiana»). Nel primo Atto poi è la vecchia Tanna, a volte come trasognata, a ricordare alla giovane Aneta le storie antiche del passato, dell’epico guerriero Lidsanel. Ma subito si lamenta perché ormai negugn vel più scutèr/contìes di prumes tempes/ negugn più scouta/ la ousc di ciantastories/ e desprijià è l’ensegnament/veie e veior di antenac («Nessuno vuol più ascoltare/leggende dei tempi antichi/nessuno più ascolta/la voce dei cantastorie/e disprezzato è l’insegnamento/antico degli antenati»). A quel dispiacere, segue l’angoscioso presentimento della morte di Leon, fratello amatissimo da Aneta. A questo punto si può percepire il primo motivo del dramma che coinvolge quella tranquilla comunità valligiana e familiare: Leon se n’è andato dal suo villaggio perché lassù la vita era troppo monotona e grigia. Si era stabilito in città, attratto dalle novità portate dal progresso. Il padre, Contrin, tornato dalla città, lo rivela con rassegnata disperazione alla figlia. Il conflitto tra vecchio e nuovo, fra tradizione e modernità, nella storia è sempre esistito e quindi connota anche molta parte della storia trentina agli inizi del Novecento. Basti pensare alle polemiche sulla diffusione del darwinismo, alle curiose lettere inviate ai giornali da parte di persone che non volevano avere nulla in comune «coi scimioti»4. Si possono aggiungere le frequenti polemiche tra laicisti e cattolici sulla cultura moderna figlia dell’Illuminismo e delle altre correnti di pensiero più recenti, come il Positivismo, contrarie ad ogni riflessione sulla metafisica. Per non dimenticare, infine, la diversità di vedute fra i due fronti per quanto riguarda la lotta per riconoscere al Trentino l’autonomia e il diritto ad avere una università italiana e altri durissimi scontri tra irredentisti e filo-asburgici: i primi politicamente vicini all’Italia, ma anche schierati senza tentennamenti a favore del progresso in tutti i settori della vita sociale, i secondi

4 È una delle tante frasi apparse nelle lettere al

settimanale cattolico «Fede e Lavoro» in contrasto con la volontà della laica Società degli Studenti trentini di edificare un monumento a Giovanni Canestrini, lo scienziato di Revò, docente all’università di Padova, che era stato il traduttore ufficiale delle opere di Darwin in Italia.

invece legati alla corona asburgica e quindi ritenuti tradizionalisti, rassegnati alla loro vita di stenti (le polemiche vennero avviate e ingigantite soprattutto per via mediatica, tra il giornale cattolico «Voce cattolica», il liberale «La Libertà» e il giornale di Cesare Battisti «Il Popolo»). È dunque proprio su questo contrasto ideologico che si innesta anche la diversa manifestazione dell’amore alla propria Patria. Leon, tornato nel suo villaggio, tesse le lodi del Paese dove andrà a stabilirsi, non più in città, perché Trento si trovava sotto l’Austria e ogni irredentista era ricercato e messo in carcere, ma en tera di Lombère dove ci sono la gaissa per l bel,/l’estro, l viver sorì, la paussa («In terra dei Lombardi, dove ci sono il desiderio di bellezza, l’estrosità, il vivere in agio, la quiete»). Ma Aneta e Contrin tengono da chi en fora, cioè sono legati al proprio paese di montagna, alla tradizione e quindi, si può ben comprendere, non all’Italia ma al governo che sta oltre il Brennero, anche se Aneta aggiunge che fino allora sia con gli uni, sia con gli altri, cioè con gli italiani oltre il confine della montagna, i rapporti erano stati sempre di reciproco rispetto a vantaggio di tutti e due i popoli e lei vorrebbe continuare a vivere in pace con tutti (no sion de chisc, no sion nience de chi/con duc ampò se aon semper entenù («non siamo di questi, non siamo di quelli/ma con tutti ci siamo sempre intesi»). Ciò significa che non è il confine geografico a creare conflitti e divisioni. Semmai esso potrebbe essere visto come un filo di seta che si stende sulle creste delle montagne. Risulta invece profondamente divisivo e fonte di discordie quando al dialogo e ai rapporti pacifici di due comunità subentrano diversità ideologiche e contrasti di altro genere sulla percezione del modo di vivere quotidiano. Ma la pace desiderata da Aneta non è solo minacciata da questi contrasti tra la difesa della tradizione e l’arrivo della modernità. Un altro pericolo si affaccia su quelle cime splendide e amate. Ne accenna Leon prima di sfuggire ai gendarmi che lo stanno cercando. Anche i presentimenti di Tanna si fanno più precisi, finché arriva la notizia temuta: soldati nemici si preparano a invadere il paese. A questo punto viene introdotto il secondo tema in cui l’opera trova una sua contestualizzazione storica: lo scoppio della Prima guerra mondiale. Non solo sul piano internazionale, ma a maggior ragione

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su quello locale, la guerra fu avvertita come un vero e proprio «scoppio», come nota un testimone locale, perché «una settimana prima nessuno poteva prevedere una cosa simile»5. Il villaggio si trova in un territorio di confine e quindi in una zona pericolosa per la popolazione, tra due fuochi. Negli anni precedenti, il confine era considerato come un filo di seta e i valichi, i Passi sulla montagna favorivano lo scambio frequente di merci e il passaggio di persone in cerca di lavoro, con il benevolo assenso delle guardie di frontiera che ti perquisivano solo nel caso ci fosse stato un sospetto di azioni di contrabbando, del resto assai frequenti. Perfino valichi stretti e impervi come il passo delle Cirelle, il passo delle Coronelle e il passo del Principe nel Catinaccio erano molto conosciuti fin dal Medioevo, come scrive Frumenzio Ghetta, e molto frequentati da numerosi mercanti. In tempo di pestilenze erano addirittura custoditi con guardie6. Allo scoppio della guerra, invece, e poi ancora di più dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria-Ungheria nel maggio 1915, gli austriaci in valle di Fassa avevano messo in funzione forme di difesa come i forti, costruiti già nell’Ottocento, trincee e postazioni militari soprattutto sulle creste delle montagne. Il crinale delle montagne diventò, dunque, la linea di combattimento tra i Kaiserjäger austriaci (con reparti dell’Alpenkorps tedesco) e gli alpini italiani, aiutati anche dal corpo dei bersaglieri e della fanteria. Questa linea di combattimento nella zona dolomitica, descritta molto dettagliatamente da Robert Striffler7, partiva da Cima Bocche per scendere poi alla località Fango e risalire lungo la catena dei Rizzoni fino al Passo delle Selle, inoltrandosi poi lungo le frastagliate rocce del Costabella, passo delle Cirelle, Forca Rossa, Cima Ombretta e Marmolada, per proseguire infine verso il Col di Lana e le Dolomiti ampezzane. Si tratta di un percorso molto accidentato e impervio, dove si svolse una «guerra verticale»8 di inaudita violenza, aggravata da fenomeni negativi naturali, come frane e valanghe, che provocarono su tutti e due i fronti migliaia di vittime. La gran vera, come dicono i fassani, è sempre stata uno dei

5 G. Dell’Antonio, Testimonianze fra la prima e la seconda

guerra mondiale, in «Mondo Ladino» cit., p. 51. 6 F. Ghetta, La valle di Fassa cit., p.331.

7 R. Striffler, 1917 Guerra di mine nelle Dolomiti, ed.

Panorama, Trento 1997. 8 D. Leoni, La guerra verticale. Uomini, animali e

macchine sul fronte di montagna 1915-1918, Einaudi, Torino 2015.

ricordi più vivi della comunità, tramandati dai nonni fino ai nostri giorni. In valle si sono formati gruppi di ricerca di appassionati locali, come l’Associazione storica «Sul fronte dei ricordi» che a Someda, frazione di Moena, ha aperto un piccolo museo e studiato le postazioni militari, procedendo poi, anche con la collaborazione della sezione locale del Cai-Sat, alla sistemazione di sentieri, trincee, cimiteri di guerra, lapidi e piccoli monumenti per non dimenticare quell’evento tragico. Nel centenario della guerra, inoltre, quegli sforzi si sono moltiplicati e oggi è possibile visitare quei siti di alta montagna, dove spesso campeggiano scritte che invitano a riflettere sulla «inutile strage» avvenuta in quei luoghi9. La particolarità della guerra in alta montagna di quegli anni era data dal fatto che nessuno dei due avversari sia riuscito a sfondare in maniera definitiva il fronte opposto. La cime e i valichi furono conquistati e poi abbandonati dai soldati dei due schieramenti, con un alternarsi ossessionante di avanzate e di ritirate. Era soprattutto la «strenta» (la strettoia tra le creste, la forcella) a favorire i colpi di mano e le imboscate da una parte e dall’altra. La «strenta» a un cero punto della creazione musicale diventa anche la metafora dell’opera lirica Aneta. È Leon, infatti, che l’ha individuata e che pensa di sfruttarla come passaggio segreto per guidare i soldati italiani nel territorio nemico, cioè nella sua valle. Ma Leon quel passaggio segreto lo ha già confidato alla sorella, che, pur con l cher trapassà dal dolor («con il cuore trapassato dal dolore»), alla fine si decide a rivelare quella notizia e a permettere ai soldati austriaci di preparare un’imboscata contro i sudé forestieres («i soldati stranieri»). Aneta arriva a questa decisione per fèr chel che l’è dret («per fare ciò che è giusto»). In quel caso era giusto, era un bene supremo difendere il proprio luogo natale, la propria Heimat, anche se ciò avrebbe significato la condanna a morte del fratello amatissimo. In quella strenta, dunque si compie il destino tragico dei due fratelli, perché anche Aneta alla fine se ne va con lo spirito di Tanna, muore dopo aver chiesto perdono al fratello. In conclusione, dunque, né il pacifico villaggio legato alle sue tradizioni antiche incarnate dalla vecchia Tanna, né il turbine delle novità portate dal

9 L’Associazione ha pubblicato il bel volume Frammenti di

storia. La Grande Guerra fra Moena, Passo San Pellegrino e Falcade, con i contributi di Maria Piccolin, Andrea Felicetti, Stojan Deville, Livio Defrancesco, Gardolo (Tn), 2008.

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progresso e dalle tragedie epocali riescono a superare la strenta, posta dal destino sulla strada dell’umanità, segnata da contraddizioni che coinvolgono anche gli affetti personali. Quella strenta, come tutti i valichi e le forcelle delle Dolomiti, durante la Grande Guerra si è trasformata da luogo di transito e di incontro tra popolazioni confinanti in terreno di scontro, dove però nessuno alla fine risulterà vincitore. Questo è in sintesi il commento del Coro degli Antenati che conclude l’opera: la violenza della guerra non ha cambiato nulla, la storia dell’uomo scorre portando con sé le scorie di un furioso incendio di tutta l’umanità, dopo il quale però n fech che se destuda/empea na steila neva/te l’aut del firmament («nell’alto del firmamento si accende una nuova stella dopo l’incendio»), forse la stella della speranza di un ritorno a una vita migliore, anche se il Copro, alla maniera delle tragedie greche, sembra non indurre a una fiduciosa certezza che le persone buone e oneste, come pure le popolazioni laboriose e pacifiche, possano dare un senso positivo alla storia dell’uomo. Oltre alla vicenda personale dei due fratelli, nell’opera assume un valore determinante, di dimensione corale, anche il destino della popolazione del villaggio di Aneta, quel piccolo paese dolomitico che, come tutti i paesi del Trentino, deve inviare sul fronte bellico, nella lontana Galizia, i propri giovani, strappati al lavoro e alle famiglie. La chiamata alle armi dei giovani trentini fu molto tempestiva. Avvenne subito dopo la dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia il 28 luglio 1914. All’inizio furono arruolati nei Tiroler Kaiserjäger circa 40mila trentini dai 21 ai 42 anni, addestrati per un breve periodo a Bressanone e in altre caserme e poi inviati sul fronte russo. Poco tempo dopo, ne furono richiamati altri 20mila, trasferiti sui monti Carpazi, dove in pochi giorni si trovarono a combattere contro i soldati russi, con esiti molto spesso disastrosi, lasciando sul terreno un grande numero di vittime. Molti di questi giovani soldati trentini furono catturati dai russi e condotti in campi di raccolta, fino a quando, a causa della rivoluzione dei Soviet, l’impero zarista crollò e i poveri prigionieri trentini furono costretti a viaggiare per raggiungere le coste del Pacifico e poi la Cina. A qualche centinaio di loro, il destino riservò la penosa avventura del ritorno in patria dopo aver quasi circumnavigato il globo, cioè dopo aver

attraversato il Pacifico, gli Stati Uniti e ancora l’Oceano Atlantico per arrivare sulle coste dell’Europa e poi a casa quando la guerra era ormai terminata da parecchi mesi. Di queste vicende incredibili sono rimaste fino a noi testimonianze precise che la ricerca storica ha messo in luce per non dimenticare quella straordinaria epopea del popolo trentino in armi. Non mancano diari e memorie anche di soldati della valle di Fassa, pubblicati come documentazione di quelle vicende del tutto singolari. Anche la pubblicistica nazionale di recente ha fatto cenno all’avventurosa e sofferta esperienza dei soldati trentini impiegati sul fronte orientale10. Nell’opera, le reclute fassane in partenza per il fronte galiziano sono presentate come la miora joventù («la meglio gioventù»), gagliarda e forte, pur essendo tutti consapevoli che le possibilità di ritorno erano precarie. Ma per questi giovani era motivo di onore andare a combattere contro i russi, far bella figura davanti alle touses (ragazze) indossando la bella divisa militare dei «Cacciatori». Per molti di loro non era di poco conto anche l’orgoglio di combattere per l’imperatore, come confidò molti decenni dopo, parlando metà in ladino e metà in italiano, con la signora Marcella Grandi Heilmann – moglie dell’illustre linguista Luigi Heilmann – un ex Kaiserjäger di Moena, ormai «vecchietto»: «Canche giő son jit a le armi, io ho

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Basti solo citare qualche esempio: A. Mautone, Trentini e Italiani contro l’Armata Rossa, Temi, Trento 2003; C. Pezzé Batesta, Piccolo diario di Caterina 1912-1918: dalla PACE alla GRANDE GUERRA, a cura di M. Simonetti Federspiel, Grop Ladin da Moena, Ghedina&Tassotti editori, Bassano del Grappa (Vi) 1995; Memorie della guerra Austro-Russa 1914. Battista Chiocchetti di Moena, val di Fiemme Sűdtirol Austria, a cura di M. Gallarati e C. Boselli, Istitut Cultural Ladin-CUEM, Corsico (MI) 1995; Memorie di guerra 7. Simone Chiocchetti-Vigilio Iellico-Giacomo Sommavilla- Albino Soratroi, a cura di L. Palla, Museo storico in Trento-Museo storico italiano della Guerra, Rovereto, Osiride, Rovereto (Tn) 1997; Vita da soldà de Giujef Pettena del Goti (1914-1919) contada dai fiői Felizina e Giacomin, Grop Ladin da Moena, 1998; Il duro flagello. Memorie di guerra di Marino Bernard (1914-1916), a cura di C. Bernard, Istitut Cultural Ladin, tip. Alcione, Lavis (Tn) 2011; A. Cazzullo, La guerra dei nostri nonni, Mondadori, Milano 2014 (a p. 100 e per un capitolo intero viene riportata la vicenda dei soldati trentini in Russia).

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giurato fedeltà all’Imperatore e la gran vera l’è fata per l’Imperador»11. A questa esibizione di amaro ardimento, tuttavia, nell’opera fa riscontro il lamento delle donne – madri, fidanzate, sorelle – che piangono impaurite per il destino che attende i loro uomini e invocano l’aiuto del Cielo. È un quadro della pietà popolare molto frequente nelle opere che trattano questo argomento. Senza citare esempi più conosciuti, la scena richiama alla mente la splendida scultura cesellata dall’artista Stefano Zuech sul dorso della Campana dei Caduti «Maria Dolens» a Rovereto, dove il corteo delle donne segue affranto i giovani forti e muscolosi che si avviano verso il fronte12. Ma nell’opera viene ricordata un’altra situazione che coinvolse gran parte della popolazione trentina: l’evacuazione, per ragioni militari, di donne, bambini e anziani nelle regioni austriache della Moravia, della Boemia e in altre località dell’impero. L’ordine di evacuazione arrivò dopo l’ingresso in guerra dell’Italia e fu molto duro: in tutti i paesi di confine, soprattutto nel Trentino meridionale, la popolazione in pochissime ore fu costretta a raccogliere le cose strettamente necessarie (cinque chili di bagaglio a testa), sistemare in qualche modo il bestiame e riunirsi alla stazione ferroviaria. Questi profughi furono ammassati in vagoni ferroviari che, dopo vari giorni di viaggio in condizioni disumane, li scaricarono come bestiame nei famigerati campi di raccolta di Mitterndorf, Braunau, Wagna e in altre località disseminate for per le Austrie, come si diceva allora. Furono circa 75mila i trentini che andarono incontro a questa tristissima sorte, mentre altri 35mila circa, dopo l’occupazione italiana della bassa Valsugana e di altre zone confinanti con l’Italia, furono condotti e disseminati in 264 comuni della Penisola, perfino in Sicilia. Questo «martirio» del popolo trentino, come venne definito nel dopoguerra13, ha suscitato ricordi indelebili nella storia locale, anche perché molti di quei profughi sono riusciti a scrivere le loro memorie, lasciandoci quindi circa quattrocento diari che narrano, a volte molto minuziosamente, le

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M. Grandi Heilmann, Moena nel cuore, Grop Ladin da Moena-Istitut Cultural Ladin, Stella, Rovereto 2003, p. 100. 12

Un’ampia iconografia nell’elegante volume di R. Trinco-M. Scudiero, La Campana dei Caduti Maria Dolens cento rintocchi per la pace, La Grafica, Mori (Tn) 1998. 13

Il martirio del Trentino, a cura di G. Marzani et al…, Milano 1919.

condizioni di estremo disagio nelle baracche delle «città di legno», oppressi dalla fame, dalle malattie, dalla vigilanza oppressiva delle guardie, molto spesso trattati come traditori dalla popolazione locale, come del resto accadde anche ai profughi giuliani14. Anche la gente del villaggio di Aneta è costretta ad evacuare, perché si trovava proprio sulla linea del fronte. È Contrin, il capocomune, che deve organizzare tutto. Aneta si oppone: vuole rimanere nel villaggio a vardèr via la tera di antenac/e a tegnir scialdi empeà/che picol fech che èrt/ da temp en ca («a custodire la terra degli antenati/e a tener sempre acceso/quel piccolo fuoco che arde/fin dai tempi remoti»). Il padre non si oppone e parte assieme ai compaesani che salutano con profondo strazio le montagne, i boschi, i verdi pascoli, l’azzurro del cielo, con la speranza però de esser prest de retorn/endò a pussèr, tel grémen/de noscia tera amèda («di ritornare presto/di nuovo a riposare, nel grembo/della nostra amata terra»). Ritorna in questo brano dell’opera il forte tema dell’attaccamento alle proprie radici, alla propria terra, sentita come madre che nel momento della morte ti potrà accogliere nel proprio seno per darti la pace. In realtà, tuttavia, per la popolazione di Moena l’evacuazione risultò piuttosto breve e non in terre lontane. Giuseppe Dell’Antonio, laureato in lettere a Padova e per molti decenni segretario del Comune di Moena, allora aveva 16 anni. In una sua ricostruzione storica, ricorda quei giorni drammatici, l’ordine improvviso di sgomberare il paese, l’affanno nel raccogliere le cose da portare con sé, il terrore per l’arrivo in massa dei soldati italiani dal Passo di San Pellegrino verso il paese. Ricorda di essere andato a Sorte, una frazione poco sopra Moena, per aiutare le zie a mettere assieme qualche masserizia, perché esse erano sole. «Nel passare per Pra’ di Sorte – continua – per un attimo mi girai verso il paese e provai un brivido lungo tutta la schiena: tutta la Valle di S. Pellegrino, dal fondovalle fino alle cime del «Gronton», era un mare di fuoco e il bosco di colore rosso sangue; insomma rimasi veramente scosso»15. Tutta Moena fu evacuata. Si formò una lunga fila di carri trainati dalle mucche, con sopra vecchi e

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La città di legno. Profughi trentini in Austria (1915-11918), a cura di D. Leoni e C. Zadra, Temi,Trento 1981. 15

G. Dell’Antonio, Testimonianze fra la prima e la seconda guerra mondiale cit., p.53.

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bambini, che si diresse alla ventura verso la valle di Fassa, dove trovarono una sistemazione presso parenti e altre persone disponibili. Ma i soldati italiani, dopo aver occupato il Passo di S. Pellegrino e le zone circostanti, compresa Fuchiade, dove fissarono il loro quartier generale, non proseguirono più avanti. Fu un errore strategico molto grave. Avrebbero potuto agevolmente avanzare nella valle, arrivando addirittura fino al Passo di Costalunga senza incontrare molta resistenza da parte delle truppe austriache, perché a difendere quelle posizioni erano disponibili solo i Landesschützen, ossia la milizia locale. Mentre gli italiani rimanevano inoperosi, dopo qualche giorno nel paese arrivarono i rinforzi austriaci e l’Alpenkorps germanico, per cui la linea di combattimento rimase sulle creste di Cima Bocche e di Costabella. Considerata la situazione, dopo circa quindici giorni i moenesi poterono tornare nel proprio paese e nelle case. Inoltre l’emorragia di giovani arruolati per il fronte russo si arrestò quando a Moena giunse Richard Lőwy, ingegnere del genio militare, che assunse un bel numero di quei giovani per costruire opere di difesa, evitando così in quel modo il loro arruolamento nell’esercito austro-ungarico16. Per tutti i motivi qui illustrati, l’opera lirica di Chiocchetti-Vadagnini, oltre ai suoi pregi artistici e musicali, può essere considerata anche, per molti aspetti, come una trasposizione nei brani musicali della storia della gente della valle di Fassa e anche dei trentini durante la Prima guerra mondiale. In questo senso il contesto storico emerge con precisione. Sono bene illustrate le caratteristiche di un paese di montagna in un territorio di confine, sfiorato da tensioni interne e poi pressato da un nemico con il quale in precedenza non si erano avuti motivi laceranti di antagonismo. I valichi di confine, le forcelle, le gole strette, i passi di montagna avevano facilitato fino allora gli incontri e gli scambi reciproci e in parte anche il superamento di pregiudizi. Se, infatti, prima della guerra gli abitanti della Valle del Biois venivano definiti dai moenesi con un certo disprezzo canalìgn (dal nome del paese Forno di Canale, poi Canale d’Agordo), tuttavia erano molto richiesti e apprezzati come ziadòrez (falciatori) quanto l’estate venivano ingaggiati per tagliare a mano con la falce i prati del paese per procurare foraggio agli animali. Con la guerra, invece, il valico diventò la strenta. I ziadòrez non

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G. Jellici, Richard Lőwy un ebreo a Moena, Istitut Cultural Ladin-Grop Ladin da Moena, Alcione, Trento 2004.

usavano più la falce, ma il moschetto ’91; non badavano più alle mucche con il carico del fieno seccato da portare nel tabià, ma erano addetti alle postazioni militari italiane con i mortai, i cannoni e le mitragliatrici. Così pure dall’altra parte, la Valle di Fassa, con i suoi prati erbosi e i campi coltivati, era difesa da soldati venuti da ogni parte del grande impero austro-ungarico e posizionati lassù, sulle creste delle montagne, dove il valico, la forcella, la strenta erano mèta di conquista, luogo dove non si incrociavano più parole della normalità quotidiana, ma scorrevano invece rivoli di sangue. L’opera manifesta, in definitiva, soprattutto nel personaggio di Aneta, anche la volontà di comprendere ciò che distingue il male dal bene, lo sconvolgimento portato dalla guerra tra le popolazioni di confine, abituate bensì a vivere in posti isolati, lontani dalla civiltà moderna, ma tuttavia ancorate profondamente a valori umani che rimangono immutabili nel tempo.

Sintesi della proposta di spettacoli/ concerti lirici per il 2017/2018/2019

1. Concerto lirico rinnovato nel programma con aggiunta anche di piacevoli arie tratte da operette e famose romanze d’autore col trio: Walter Franceschini – baritono/ Victoria Burneo Sanchez- soprano / Claudio Vadagnini- pianoforte

2. Gran concerto lirico con solisti e Coro Lirico “G.VERDI” di Bolzano e Merano

3. Opera comica di Gaetano Donizetti: L’ELISIR D’AMORE e RITA (operina buffa in un atto)

4. Altre opere integrali: LA TRAVIATA e IL TROVATORE di Giuseppe Verdi; CAVALLERIA RUSTICANA di Pietro Mascagni; TURANDOT di Giacomo Puccini; ANETA di Claudio Vadagnini

5. Concerto sinfonico: CONFRONTI Il concerto presentato, quasi concerto didattico, si sviluppa su confronti fra brani dello stesso genere ma di epoche diverse dal ‘700 all’inizio ‘900 (prevalentemente sinfonie d’opera, pertanto con significati volutamente assegnati dall’autore facilmente comprensibili) con l’intenzione di suscitare un ascolto piacevole ma anche riflessivo sulla comunicazione musicale e su come questa si può sviluppare.

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Collaborano con noi:

Pinuccia Mangano (soprano) Victoria Burneo Sanchez (soprano) Maria Simona Cianchi (soprano) Chiara Sartori (soprano) Elvira Kohenoff (mezzosoprano) Elena Serra (mezzosoprano) Federico Lepre (tenore) Nester Martorell Perez (tenore) Gabriele Iori (tenore) Marco Bertolini (tenore) Walter Franceschini (baritono) Christian Tomei (Baritono) Alessandro Colombo (basso) Marcello Defant (primo violino) Paolo Turri (viola e presentatore) Mirko Corradini (regista)

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