LA NON VIOLENZA - Pastorale Giovanile Salerno...di più che l'assenza di guerra perché sottolineano...

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10. LA NON VIOLENZA INTRODUZIONE Il termine nonviolenza viene definito nel dizionario italiano come: Atteggiamento di resistenza pas- siva adottato come forma di lotta per ottenere la soluzione di problemi sociali e il riconoscimento dei diritti civili o politici. Ma lorigine del termine è molto complesso. La stessa parola nonviolenza deriva da una traduzio- ne nelle lingue europee della parola sanscrita ahimsa che Gandhi divulga a partire da antiche tradizioni orientali. La traduzione in nonviolenza non rende precisamente il concetto gandhiano né quelli successivi ed induce a pensare alla nonviolenza come qualcosa 'contro la violenza' ma non è da intendersi proprio così. Fatte salve le origini in antiche tradizioni orientali (buddhismo, taoismo) possiamo anche sottolineare il contributo di Tolstoj con la sua teoria della non resistenza al male con il maleche l'anarchico russo attribuisce a Gesù Cristo nel Sermone della Montagna”. A questa visione si ispira lo stesso Gandhi. In seguito molti altri riprendono il tema in vari contesti culturali: Silo, dall'Argentina, dà fin dall'inizio una defi- nizione molto etica della nonviolenza e dell'umanesimo: puoi porre fine alla violenza in te, negli altri e nel mondo che ti circonda unicamente con la fede interiore e la meditazione interiore”. Pertanto la nonviolen- za è un termine moderno per indicare atteggiamenti etici molto antichi. I grandi maestri della seconda me- tà del ventesimo secolo gli hanno dato una nuova veste, adatta ai tempi moderni. La nonviolenza è un atteggiamento positivo, uno stile di vita e una metodologia d'azione. È un atteggiamento che non tollera e che lotta per l'eliminazione di ogni forma di violenza (economica, politica, discriminatoria, religiosa, psicologica ed infine fisica); è uno stile di vita coerente con questo atteggiamen- to; è una metodologia d'azione con pratiche precise: la resistenza passiva, la denuncia, lo sciopero, l'or- ganizzazione sociale di base, il metodo del consenso, ecc…. Si fa spesso confusione tra i concetti di pacifismo e quelli di nonviolenza. Il pacifismo è contro la guerra e ci sono pacifisti che pensano che l'assenza di guerra sia la pace; per i nonviolenti la pace è molto di più che l'assenza di guerra perché sottolineano che la violenza fisica è solo la forma più superficiale ed evidente di violenza e non è la più pericolosa; molto peggio, in questo momento storico, è la violenza eco- nomica che, tra l'altro, è il vero motore delle guerre, ottimo business sia prima che durante che dopo la guerra. Continua a p. 2 Arcidiocesi Salerno-Campagna-Acerno Servizio diocesano per la Pastorale Giovanile Sussidio per Giovani Anno pastorale 2017/2018 #DATTIDAFARE Scheda 10 DOCAT “Vivere nella libertà e nella non violenza: la pace” dom. 270-304

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10. LA NON VIOLENZA

INTRODUZIONE

Il termine nonviolenza viene definito nel dizionario italiano come: Atteggiamento di resistenza pas-

siva adottato come forma di lotta per ottenere la soluzione di problemi sociali e il riconoscimento dei diritti

civili o politici.

Ma l’origine del termine è molto complesso. La stessa parola nonviolenza deriva da una traduzio-

ne nelle lingue europee della parola sanscrita ahimsa che Gandhi divulga a partire da antiche tradizioni

orientali. La traduzione in nonviolenza non rende precisamente il concetto gandhiano né quelli successivi

ed induce a pensare alla nonviolenza come qualcosa 'contro la violenza' ma non è da intendersi proprio

così. Fatte salve le origini in antiche tradizioni orientali (buddhismo, taoismo) possiamo anche sottolineare

il contributo di Tolstoj con la sua teoria della “non resistenza al male con il male” che l'anarchico russo

attribuisce a Gesù Cristo nel “Sermone della Montagna”. A questa visione si ispira lo stesso Gandhi. In

seguito molti altri riprendono il tema in vari contesti culturali: Silo, dall'Argentina, dà fin dall'inizio una defi-

nizione molto etica della nonviolenza e dell'umanesimo: “puoi porre fine alla violenza in te, negli altri e nel

mondo che ti circonda unicamente con la fede interiore e la meditazione interiore”. Pertanto la nonviolen-

za è un termine moderno per indicare atteggiamenti etici molto antichi. I grandi maestri della seconda me-

tà del ventesimo secolo gli hanno dato una nuova veste, adatta ai tempi moderni.

La nonviolenza è un atteggiamento positivo, uno stile di vita e una metodologia d'azione. È un

atteggiamento che non tollera e che lotta per l'eliminazione di ogni forma di violenza (economica, politica,

discriminatoria, religiosa, psicologica ed infine fisica); è uno stile di vita coerente con questo atteggiamen-

to; è una metodologia d'azione con pratiche precise: la resistenza passiva, la denuncia, lo sciopero, l'or-

ganizzazione sociale di base, il metodo del consenso, ecc….

Si fa spesso confusione tra i concetti di pacifismo e quelli di nonviolenza. Il pacifismo è contro la

guerra e ci sono pacifisti che pensano che l'assenza di guerra sia la pace; per i nonviolenti la pace è molto

di più che l'assenza di guerra perché sottolineano che la violenza fisica è solo la forma più superficiale ed

evidente di violenza e non è la più pericolosa; molto peggio, in questo momento storico, è la violenza eco-

nomica che, tra l'altro, è il vero motore delle guerre, ottimo business sia prima che durante che dopo la

guerra. Continua a p. 2

Arcidiocesi Salerno-Campagna-Acerno Servizio diocesano per la Pastorale Giovanile

Sussidio per Giovani Anno pastorale 2017/2018

#DATTIDAFARE Scheda 10

DOCAT

“Vivere nella libertà e nella

non violenza: la pace” dom. 270-304

Continua da p. 1

Storicamente il pacifismo è stato un tatticismo contro il nemico politico di turno e non un at-

teggiamento a favore del miglioramento radicale della condizione umana, com'è nella natura dei non-

violenti. La distanza tra pacifismo e nonviolenza è grande: è ovvio che i nonviolenti sono contro la

guerra (e quindi pacifisti) ma è ovvio che il solo pacifismo non va molto lontano.

La nonviolenza sta in prima fila nell'affermazione dei diritti umani: l'educazione, la sanità, la

democrazia reale, i diritti di tutti i discriminati per ragioni razziali, economiche, di genere, di preferen-

za sessuale, di credenza religiosa, l'abolizione definitiva della pena di morte ecc… Possiamo affer-

mare con convinzione che la nonviolenza è il cammino della speranza per un mondo migliore; è la via

d'uscita più coerente dai problemi di convivenza e di conflittualità in cui versano tanti paesi del mon-

do, è il modo più propositivo per abbattere il muro sempre più pericoloso della violenza che vuole

stringere il nostro pianeta in una morsa mortale.

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GIOVANI E NONVIOLENZA

Spunti di riflessione per il dibattito con i giovani

tratti da Note di Pastorale Giovanile 1977-09-15

Siamo convinti che non c'è alcun bisogno di

«documentare» l'esistenza della violenza, anche a

livello giovanile. Questa volta, i «fatti» sono la crona-

ca quotidiana. Siamo tutti, tristemente, spettatori di

episodi di violenza, politica o criminale che sia. Qual-

che volta, nell'ambito della nostra competenza o

nell'esercizio delle nostre funzioni, ci sentiamo mi-

nacciati dalla tentazione della violenza: per difendere

posizioni acquisite, per arginare la violenza degli altri,

per modificare un sistema portatore di violenza istitu-

zionalizzata. La violenza è cronaca. Per questo suggeriamo di

prendere in considerazione alcuni «fatti» di cronaca.

Possono servire per attivare un dibattito con i giova-

ni, che li introduca nelle prospettive suggerite in se-

guito I «fatti» però richiedono sempre una «lettura» per

essere adeguatamente compresi. Nella loro

«brutalità», solo apparentemente oggettiva, possono

diventare nuovo strumento di manipolazione. Come interpretare questi «fatti»? Come collocarli in

riferimento al mondo giovanile? Essi esprimono l'at-

tuale condizione giovanile o solo una sua tendenza

minoritaria? Sono eccezione o la regola? Che peso

effettivo esercitano gli «altri», quelli che a parole rifiu-

tano queste manifestazioni di violenza?

La vita umana è essenzialmente convivenza:

«essere-con» è l'unico modo possibile di essere uo-

mini. Il lavoro umano è collaborazione, la cultura co-

municazione, il possesso condivisione. Ma la convi-

venza solidale e la collaborazione pacifica sono per

l'uomo una vocazione difficile, un equilibrio sempre

fragile e precario. La convivenza e la collaborazione

sono un miracolo che sfida la forza disgregatrice

dell'egoismo, delle divisioni, dell'odio. La violenza

minaccia e corrode il fragile equilibrio della pace.

Così la storia umana appare come un interminabile

susseguirsi di violenze: guerre, genocidi, oppressio-

ni, sfruttamenti, odio sembrano essere la trama in cui

si intesse la vicenda umana.

Dalla costatazione sorgono spontanei alcuni interro-

gativi: Che significato ha la violenza? Qual è la sua

origine? Quali sono i fattori che ne possono spiegare

la diffusione e la persistenza? Quali sono i rapporti

che esistono tra violenza criminale e violenza politi-

ca, violenza manifesta e violenza latente, violenza

fisica e violenza morale?

Altri interrogativi riguardano invece la risposta da

dare alla violenza, in connessione con le caratteristi-

che che essa presenta in un determinato momento

storico (in concreto: l'attuale condizione giovanile).

Quale risposta dare? Rispondere alla violenza con la

violenza? Oppure predisporre interventi nonviolenti?

E in quali direzioni?

Quanti tipi di violenza conosci?

Alcuni dicono che la violenza faccia semplicemente parte della natura umana, che non

cambia. Tu cosa ne pensi?

Ti è capitato di assistere ad atteggiamenti violenti? Tu, personalmente, cosa hai fatto?

Come ti poni di fronte al tema della nonviolenza? Cosa pensi o quali resistenze provi?

Pensi che i giovani siano più portati verso la violenza o verso la nonviolenza? Perché?

Quali proposte potrebbero aiutare te e i tuoi coetanei ad educarvi alla nonviolenza?

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DOMANDE PER LA RIFLESSIONE E IL CONFRONTO

Anche questa ricerca va condotta in termini interdisci-

plinari. Ritorna, in questo contesto, l'impegno del cri-

stiano a confrontarsi con la Parola di Dio, per orienta-

re la propria scelta nel suo progetto.

La nonviolenza non è solo una mentalità o un atteg-

giamento morale. Essa è anche una tecnica, che esi-

ge un preciso piano strategico e tattico. Per questo,

essa è oggetto di educazione e richiede una prepara-

zione e un esercizio prolungato, senza di cui non sí

struttura né la mentalità né l'atteggiamento. I grandi

fautori della nonviolenza, come Gandhi e M.L. King,

hanno spesso parlato di «programmazione» della

nonviolenza. Parlare di programmazione significa par-

lare di disciplina, organizzazione, perseveranza, scel-

te coerenti senza cedimenti alla tentazione della vio-

lenza.

La nonviolenza implica alla radice un atteggiamento

di non-cooperazione, di non-collaborazione. Essa,

infatti, mira a scoprire e a combattere le ingiustizie e

le contraddizioni della società. Comporta perciò un

giudizio negativo e critico nei confronti delle storture e

delle falsità dei vari sistemi (politici, economici, cultu-

rali, religiosi...). Mediante l'azione nonviolenta ci si

rifiuta di collaborare a quegli aspetti sui quali non è

possibile concedere un assenso ragionevole.

Come si vede, si tratta di una dimensione molto im-

portante dell'educazione alla nonviolenza, per evitare

di slittare nell'atteggiamento infantilmente polemico o

in una critica sterile. Il nonviolento è sempre un

«dissenziente», perché egli non presta la propria ap-

provazione a leggi, iniziative, valutate lesive dei diritti

della persona umana. Egli non è per principio contro

«la» legge: ma è contro le leggi ingiuste ed oppressi-

ve. Per permettergli di essere una cosa e non l'altra,

egli va aiutato a maturare, va «educato». L'educazio-

ne alla nonviolenza ha dunque lo scopo di formare

non dei disadattati, dei critici ad oltranza, dei malcon-

tenti per partito preso, ma degli uomini responsabili,

partecipi, consapevoli, ma non per questo succubi del

potere e ciechi di fronte ai mali della società. In que-

sto punto, l'educazione alla nonviolenza coincide qua-

si esattamente con l'educazione politica. La disobbe-

dienza civile diventa un'ipotesi ragionevole di lotta

politica, finalizzata a dimostrare il valore strumentale

e none assoluto della legge, in vista di una legge mi-

gliore, al servizio dell'uomo.

Nessun processo educativo è indifferente rispetto

all'esperienza cristiana. La fede offre un criterio nor-

mativo alla maturazione di personalità, orientando la

crescita di un uomo verso la consapevolezza di esse-

re figlio di Dio. Questa sottolineatura ricorda l'impor-

tanza che possiede anche questo argomento, nell'am-

bito della pastorale giovanile. La pastorale (in quanto

riflessione teologica sull'esperienza umana) non può

decidere gli orientamenti per l'educazione alla nonvio-

lenza: non è competente, perché si tratta di un terre-

no profano. Il modo con cui viene vissuta l'educazione

(e quindi la sua carica violenta o nonviolenta o il suo

orientamento verso la passività o la criticità) determi-

na però la possibilità o meno di una integrazione con

la fede. È indispensabile, perciò, elaborare le metodo-

logie relative alla educazione alla nonviolenza in uno

«sguardo di fede», riferendosi cioè alla fede come al

significato ultimo e al criterio normativo di ogni pro-

cesso di maturazione dell'uomo. Così il dibattito sulla

violenza/ nonviolenza si colloca necessariamente

nell’ambito del «progetto di Dio».

La scelta prioritaria della nonviolenza per i cristiani si capisce bene se si considera il cuore del

messaggio morale del vangelo: la sua sostanza è il comandamento della carità che abbraccia nella

sua radicalità l'amore dei nemici, l'invito esplicito a rispondere al male col bene (Mt 5,38-41), rinun-

ciando a farsi giustizia da sé (Rom 12,19) e considerando l'autorità civile come legittimata da Dio

all'uso della coazione legale (Rom 13,1 ss).

COMMENTO AL VANGELO SECONDO MATTEO 5,38-41

di padre Lino Pedron (in www. Qumran2.net)

La frase "occhio per occhio e dente per dente" riporta la legge del taglione (Es 19,15-51; 21,24; Lv

24,20). E' uno dei capisaldi delle legislazioni antiche (Codice di Hammurabi e Legge delle dodici

tavole). Essa doveva sostituire la legge della vendetta di sangue (Gen 4,23). Al tempo di Gesù la

legge del taglione era ancora vigente, ma poteva essere sostituita con un risarcimento in denaro.

La non-violenza richiesta da Gesù non è vile rassegnazione, ma forza e intraprendenza dell'amore.

La potenza dell'impotenza ha la sua più alta manifestazione in Gesù che "fu crocifisso per la sua

debolezza, ma vive per la potenza di Dio" (2Cor 13,4) e poggia sulla fede che l'impotenza della

croce vince il male.

Con il principio della non-violenza Gesù contrappone alla mentalità giuridica dell'Antico Testamen-

to il nuovo ideale dell'amore. Il male perde la sua forza d'urto solo quando non trova resistenza.

La Chiesa perseguitata ha assunto questo atteggiamento comandato da Gesù: "Gli apostoli se ne

andarono dal sinedrio lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù" (At 5,41).

I quattro esempi elencati da Matteo hanno lo scopo di illustrare il comandamento: "Ma io vi dico di

non opporvi al malvagio".

Lo schiaffo sulla guancia destra è particolarmente doloroso e oltraggioso perché è un manrove-

scio. Gesù flagellato e schiaffeggiato conferma con il suo esempio la validità del suo insegnamento

(Mt 26,67; Is 50,6).

La lite giudiziaria con chi pretende la tunica come caparra o come risarcimento danni non ha più

senso per il discepolo di Gesù, anzi, egli non farà valere per sé neppure il comandamento che vie-

tava il pignoramento del mantello del povero e il dovere di restituirglielo prima del tramonto del sole

(Es 22,25; Dt 24,13): egli darà la tunica e il mantello senza opporre resistenza.

Il terzo esempio che mette il discepolo a confronto con la violenza è quello della requisizione da

parte di autorità militari o statali per costringerlo a prestazioni forzate. Ne abbiamo un esempio in

Mt 27,32: "Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a

prendere su la croce di lui".

Il miglio (= 1478,70 metri) era una misura romana e quindi richiama concretamente la dominazione

dell'impero di Roma al tempo di Gesù e dell'evangelista. Quando gli saranno imposte queste pre-

stazioni forzate, il discepolo di Gesù non deve ribellarsi o coltivare astio nel cuore, ma prestarsi

liberamente e di buon animo a fare con gioia il doppio di quanto esige da lui la prepotenza del mal-

vagio.

Il quarto esempio ci presenta i poveri e i richiedenti. Essi non sono dei nemici o dei malvagi, ma

possono suscitare una reazione violenta a causa delle cattive esperienze fatte in precedenza. Leg-

giamo nel Libro del Siracide 29,4-10: "Molti considerano il prestito come una cosa trovata e causa-

no fastidi a coloro che li hanno aiutati. Prima di ricevere, ognuno bacia le mani del creditore, parla

con tono umile per ottenere gli averi dell'amico; ma alla scadenza cerca di guadagnare tempo, re-

stituisce piagnistei e incolpa le circostanze. Se riesce a pagare, il creditore riceverà appena la

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LA SACRA SCRITTURA E LA NONVIOLENZA

IL PENSIERO DEI PAPI

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metà e dovrà considerarla come una cosa trovata. In caso contrario il creditore sarà frodato dei suoi averi e

avrà senza motivo un nuovo nemico; maledizioni e ingiurie gli restituirà, renderà insulti invece dell'onore dovu-

to. Tuttavia sii longanime con il misero e non fargli attendere troppo l'elemosina. Per il comandamento soccor-

ri il povero secondo la sua necessità, non rimandarlo a mani vuote. Perdi pure denaro per un fratello e amico,

non si arrugginisca inutilmente sotto una pietra".

La motivazione del comandamento: "Dà a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le

spalle" sarà evidenziata nel seguito del vangelo da Gesù stesso che ci comanda la conformità con il compor-

tamento del Padre: "Il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano" (Mt 7,11).

Attraverso questi atteggiamenti i discepoli si dimostrano amici dei loro nemici e tentano di cooperare con Dio

per il ravvedimento degli ingiusti e dei malvagi come ha fatto Gesù. San Paolo ha sintetizzato questo insegna-

mento in Rm 12,21: "Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male".

Se questi princìpi e questi comportamenti entrassero nella società, essa non solo non ne avrebbe un danno,

ma vedrebbe migliorare i rapporti umani più di quanto possono ottenere tutti gli apparati della giustizia, della

prevenzione e della repressione.

Messaggio del Papa Francesco per la Giornata mondiale della Pace 2017 La nonviolenza: stile di una politica per la pace

1. All’inizio di questo nuovo anno porgo i miei sinceri auguri di pace ai popoli e alle nazioni del mondo, ai Capi di Stato e di Governo, nonché ai responsabili delle comunità religiose e delle varie espressioni della società civile. Auguro pace ad ogni uomo, donna, bambino e bambina e prego affinché l’immagine e la somiglianza di Dio in ogni persona ci consentano di riconoscerci a vicenda come doni sacri dotati di una dignità immensa. Soprattutto nelle situazioni di conflitto, rispettiamo questa «dignità più profonda»[1] e facciamo della nonviolenza attiva il nostro stile di vita. Questo è il Messaggio per la 50ª Giornata Mondiale della Pace. Nel primo, il beato Papa Paolo VI si rivolse a tutti i popoli, non solo ai cattolici, con parole inequivocabili: «E’ finalmente emerso chiarissimo che la pace è l’unica e vera linea dell’umano progresso (non le tensioni di ambiziosi nazionalismi, non le conquiste violente, non le re-pressioni apportatrici di falso ordine civile)». Metteva in guardia dal «pericolo di credere che le controversie in-ternazionali non siano risolvibili per le vie della ragione, cioè delle trattative fondate sul diritto, la giustizia, l’equi-tà, ma solo per quelle delle forze deterrenti e micidiali». Al contrario, citando la Pacem in terris del suo prede-cessore san Giovanni XXIII, esaltava «il senso e l’amore della pace fondata sulla verità, sulla giustizia, sulla liber-tà, sull’amore».[2] Colpisce l’attualità di queste parole, che oggi non sono meno importanti e pressanti di cin-quant’anni fa.

In questa occasione desidero soffermarmi sulla nonviolenza come stile di una politica di pace e chiedo a Dio di aiutare tutti noi ad attingere alla nonviolenza nelle profondità dei nostri sentimenti e valori personali. Che siano la carità e la nonviolenza a guidare il modo in cui ci trattiamo gli uni gli altri nei rapporti interpersonali, in quelli sociali e in quelli internazionali. Quando sanno resistere alla tentazione della vendetta, le vittime della violenza possono essere i protagonisti più credibili di processi nonviolenti di costruzione della pace. Dal livello locale e quotidiano fino a quello dell’ordine mondiale, possa la nonviolenza diventare lo stile caratteristico delle nostre decisioni, delle nostre relazioni, delle nostre azioni, della politica in tutte le sue forme.

Un mondo frantumato 2. Il secolo scorso è stato devastato da due guerre mondiali micidiali, ha conosciuto la minaccia della guerra nucleare e un gran numero di altri conflitti, mentre oggi purtroppo siamo alle prese con una terribile guerra mondiale a pezzi. Non è facile sapere se il mondo attualmente sia più o meno violento di quanto lo fosse ieri, né se i moderni mezzi di comunicazione e la mobilità che caratterizza la nostra epoca ci rendano più consapevoli della violenza o più assuefatti ad essa. Continua a p. 6

In ogni caso, questa violenza che si esercita “a pezzi”, in modi e a livelli diversi, provoca enormi sofferenze di cui siamo ben consapevoli: guerre in diversi Paesi e continenti; terrorismo, criminalità e attacchi armati imprevedibili; gli abusi subiti dai migranti e dalle vittime della tratta; la devastazione dell’ambiente. A che scopo? La violenza permette di raggiungere obiettivi di valore duraturo? Tutto quello che ottiene non è for-se di scatenare rappresaglie e spirali di conflitti letali che recano benefici solo a pochi “signori della guerra”? La violenza non è la cura per il nostro mondo frantumato. Rispondere alla violenza con la violenza conduce, nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate e a immani sofferenze, poiché grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane dei giovani, delle famiglie in difficoltà, degli anziani, dei malati, della grande maggioranza degli abitanti del mondo. Nel peggiore dei casi, può por-tare alla morte, fisica e spirituale, di molti, se non addirittura di tutti. La Buona Notizia 3. Anche Gesù visse in tempi di violenza. Egli insegnò che il vero campo di battaglia, in cui si affrontano la violenza e la pace, è il cuore umano: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive» (Mc 7,21). Ma il messaggio di Cristo, di fronte a questa realtà, offre la risposta radicalmente positi-va: Egli predicò instancabilmente l’amore incondizionato di Dio che accoglie e perdona e insegnò ai suoi discepoli ad amare i nemici (cfr Mt 5,44) e a porgere l’altra guancia (cfr Mt 5,39). Quando impedì a coloro che accusavano l’adultera di lapidarla (cfr Gv 8,1-11) e quando, la notte prima di morire, disse a Pietro di rimettere la spada nel fodero (cfr Mt 26,52), Gesù tracciò la via della nonviolenza, che ha percorso fino alla fine, fino alla croce, mediante la quale ha realizzato la pace e distrutto l’inimicizia (cfr Ef 2,14-16). Perciò, chi accoglie la Buona Notizia di Gesù, sa riconoscere la violenza che porta in sé e si lascia guarire dalla mi-sericordia di Dio, diventando così a sua volta strumento di riconciliazione, secondo l’esortazione di san Francesco d’Assisi: «La pace che annunziate con la bocca, abbiatela ancor più copiosa nei vostri cuori».[3] Essere veri discepoli di Gesù oggi significa aderire anche alla sua proposta di nonviolenza. Essa – come ha affermato il mio predecessore Benedetto XVI – «è realistica, perché tiene conto che nel mondo c’è troppa violenza, troppa ingiustizia, e dunque non si può superare questa situazione se non contrapponendo un di più di amore, un di più di bontà. Questo “di più” viene da Dio».[4] Ed egli aggiungeva con grande forza: «La nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della perso-na, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affron-tare il male con le sole armi dell’amore e della verità. L’amore del nemico costituisce il nucleo della “rivoluzione cristiana”».[5] Giustamente il vangelo dell’amate i vostri nemici (cfr Lc 6,27) viene considerato «la magna charta della nonviolenza cristiana»: esso non consiste «nell’arrendersi al male […] ma nel ri-spondere al male con il bene (cfr Rm 12,17-21), spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia».[6]

Più potente della violenza 4. La nonviolenza è talvolta intesa nel senso di resa, disimpegno e passività, ma in realtà non è così. Quan-do Madre Teresa ricevette il premio Nobel per la Pace nel 1979, dichiarò chiaramente il suo messaggio di nonviolenza attiva: «Nella nostra famiglia non abbiamo bisogno di bombe e di armi, di distruggere per por-tare pace, ma solo di stare insieme, di amarci gli uni gli altri […] E potremo superare tutto il male che c’è nel mondo».[7] Perché la forza delle armi è ingannevole. «Mentre i trafficanti di armi fanno il loro lavoro, ci sono i poveri operatori di pace che soltanto per aiutare una persona, un’altra, un’altra, un’altra, danno la vita»; per questi operatori di pace, Madre Teresa è «un simbolo, un’icona dei nostri tempi».[8] Nello scorso mese di settembre ho avuto la grande gioia di proclamarla Santa. Ho elogiato la sua disponibilità verso tutti attraverso «l’accoglienza e la difesa della vita umana, quella non nata e quella abbandonata e scartata. […] Si è chinata sulle persone sfinite, lasciate morire ai margini delle strade, riconoscendo la dignità che Dio aveva loro dato; ha fatto sentire la sua voce ai potenti della terra, perché riconoscessero le loro colpe di-nanzi ai crimini – dinanzi ai crimini! – della povertà creata da loro stessi».[9] In risposta, la sua missione – e in questo rappresenta migliaia, anzi milioni di persone – è andare incontro alle vittime con generosità e dedizione, toccando e fasciando ogni corpo ferito, guarendo ogni vita spezzata. La nonviolenza praticata con decisione e coerenza ha prodotto risultati impressionanti. I successi ottenuti dal Mahatma Gandhi e Khan Abdul Ghaffar Khan nella liberazione dell’India, e da Martin Luther King Jr con-tro la discriminazione razziale non saranno mai dimenticati. Le donne, in particolare, sono spesso leader di nonviolenza, come, ad esempio, Leymah Gbowee e migliaia di donne liberiane, che hanno organizzato in-contri di preghiera e protesta nonviolenta (pray-ins) ottenendo negoziati di alto livello per la conclusione della seconda guerra civile in Liberia. Né possiamo dimenticare il decennio epocale conclusosi con la caduta dei regimi comunisti in Europa. Le comunità cristiane hanno dato il loro contributo con la preghiera insistente e l’azione coraggiosa. Speciale influenza hanno esercitato il ministero e il magistero di san Giovanni Paolo II. Riflettendo sugli avvenimenti del 1989 nell’Enciclica Centesimus annus (1991), il mio predecessore evidenziava che un cambiamento epo-cale nella vita dei popoli, delle nazioni e degli Stati si realizza «mediante una lotta pacifica, che fa uso delle sole armi della verità e della giustizia».[10] Questo percorso di transizione politica verso la pace è stato reso possibile in parte «dall’impegno non violento di uomini che, mentre si sono sempre rifiutati di cedere al potere della forza, hanno saputo trovare di volta in volta forme efficaci per rendere testimonianza alla

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verità». E concludeva: «Che gli uomini imparino a lottare per la giustizia senza violenza, rinunciando alla lotta di classe nelle controversie interne ed alla guerra in quelle internazionali».[11] La Chiesa si è impegnata per l’attuazione di strategie nonviolente di promozione della pace in molti Paesi, sol-lecitando persino gli attori più violenti in sforzi per costruire una pace giusta e duratura. Questo impegno a favore delle vittime dell’ingiustizia e della violenza non è un patrimonio esclusivo della Chiesa Cattolica, ma è proprio di molte tradizioni religiose, per le quali «la compassione e la nonviolenza sono essenziali e indicano la via della vita».[12] Lo ribadisco con forza: «Nessuna religione è terrorista».[13] La violenza è una profanazione del nome di Dio.[14] Non stanchiamoci mai di ripeterlo: «Mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa. Solo la pace è santa, non la guerra!».[15]

La radice domestica di una politica nonviolenta 5. Se l’origine da cui scaturisce la violenza è il cuore degli uomini, allora è fondamentale percorrere il sentiero della nonviolenza in primo luogo all’interno della famiglia. È una componente di quella gioia dell’amore che ho presentato nello scorso marzo nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia, a conclusione di due anni di riflessio-ne da parte della Chiesa sul matrimonio e la famiglia. La famiglia è l’indispensabile crogiolo attraverso il quale coniugi, genitori e figli, fratelli e sorelle imparano a comunicare e a prendersi cura gli uni degli altri in modo disinteressato, e dove gli attriti o addirittura i conflitti devono essere superati non con la forza, ma con il dia-logo, il rispetto, la ricerca del bene dell’altro, la misericordia e il perdono.[16] Dall’interno della famiglia la gioia dell’amore si propaga nel mondo e si irradia in tutta la società.[17] D’altronde, un’etica di fraternità e di coesistenza pacifica tra le persone e tra i popoli non può basarsi sulla logica della paura, della violenza e della chiusura, ma sulla responsabilità, sul rispetto e sul dialogo sincero. In questo senso, rivolgo un appello in fa-vore del disarmo, nonché della proibizione e dell’abolizione delle armi nucleari: la deterrenza nucleare e la minaccia della distruzione reciproca assicurata non possono fondare questo tipo di etica.[18] Con uguale ur-genza supplico che si arrestino la violenza domestica e gli abusi su donne e bambini.

Il Giubileo della Misericordia, conclusosi nel novembre scorso, è stato un invito a guardare nelle profondità del nostro cuore e a lasciarvi entrare la misericordia di Dio. L’anno giubilare ci ha fatto prendere coscienza di quanto numerosi e diversi siano le persone e i gruppi sociali che vengono trattati con indifferenza, sono vitti-me di ingiustizia e subiscono violenza. Essi fanno parte della nostra “famiglia”, sono nostri fratelli e sorelle. Per questo le politiche di nonviolenza devono cominciare tra le mura di casa per poi diffondersi all’intera fami-glia umana. «L’esempio di santa Teresa di Gesù Bambino ci invita alla pratica della piccola via dell’amore, a non perdere l’opportunità di una parola gentile, di un sorriso, di qualsiasi piccolo gesto che semini pace e ami-cizia. Una ecologia integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della vio-lenza, dello sfruttamento, dell’egoismo».[19] Il mio invito 6. La costruzione della pace mediante la nonviolenza attiva è elemento necessario e coerente con i continui sforzi della Chiesa per limitare l’uso della forza attraverso le norme morali, mediante la sua partecipazione ai lavori delle istituzioni internazionali e grazie al contributo competente di tanti cristiani all’elaborazione della legislazione a tutti i livelli. Gesù stesso ci offre un “manuale” di questa strategia di costruzione della pace nel cosiddetto Discorso della montagna. Le otto Beatitudini (cfr Mt 5,3-10) tracciano il profilo della persona che possiamo definire beata, buona e autentica. Beati i miti – dice Gesù –, i misericordiosi, gli operatori di pace, i puri di cuore, coloro che hanno fame e sete di giustizia. Questo è anche un programma e una sfida per i leader politici e religiosi, per i responsabili delle istituzioni internazionali e i dirigenti delle imprese e dei media di tutto il mondo: applicare le Beatitudini nel modo in cui esercitano le proprie responsabilità. Una sfida a costruire la società, la comunità o l’impresa di cui sono re-sponsabili con lo stile degli operatori di pace; a dare prova di misericordia rifiutando di scartare le persone, danneggiare l’ambiente e voler vincere ad ogni costo. Questo richiede la disponibilità «di sopportare il conflit-to, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo».[20] Operare in questo modo significa scegliere la solidarietà come stile per fare la storia e costruire l’amicizia sociale. La nonviolenza attiva è un modo per mostrare che davvero l’unità è più potente e più feconda del conflitto. Tutto nel mondo è inti-mamente connesso.[21] Certo, può accadere che le differenze generino attriti: affrontiamoli in maniera co-struttiva e nonviolenta, così che «le tensioni e gli opposti [possano] raggiungere una pluriforme unità che ge-nera nuova vita», conservando «le preziose potenzialità delle polarità in contrasto».[22]

Assicuro che la Chiesa Cattolica accompagnerà ogni tentativo di costruzione della pace anche attraverso la nonviolenza attiva e creativa. Il 1° gennaio 2017 vede la luce il nuovo Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, che aiuterà la Chiesa a promuovere in modo sempre più efficace «i beni incommensurabili della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato» e della sollecitudine verso i migranti, «i bisognosi, gli ammalati e gli esclusi, gli emarginati e le vittime dei conflitti armati e delle catastrofi naturali, i carcerati, i disoccupati e le vittime di qualunque forma di schiavitù e di tortura».[23] Ogni azione in questa direzione, per quanto modesta, contribuisce a costruire un mondo libero dalla violenza, primo passo verso la giustizia e la pace. […]

Una giovane della Gioventù Francescana di Salerno (per conoscere la GIFRA visita www.gifracampaniabasilicata.org )

Una persona non dimentica mai la prima volta che riesce a far del bene, l’immagine di quei sorrisi, gli occhi pieni di gioia rimarranno con te per sempre! Quando ho cominciato il mio cammino nella Gio-ventù francescana è questo che ho sperimentato: la bellezza del do-narsi agli altri, la cura e l’attenzione per i più piccoli e i più bisognosi, il rispetto verso tutto quello che su questa terra il Signore ha creato per

noi. Sono una giovane francescana da circa dieci anni, ho cominciato a “servire” la mia fraternità occu-pandomi dei più piccoli della nostra famiglia francescana: gli araldini. È stata un’esperienza bellissima eppure dentro di me sentivo che mancava qualcosa, che forse la mia vocazione era un’altra. Ancora una volta Lui mi ha dato quello di cui avevo bisogno. Un giorno mi è stato chiesto: ”Ti va di far parte della commissione Evangelizzazione e Presenza nel Mondo (EPM)?” Ho accettato pur non sapendo be-ne che cosa aspettarmi, complice sicuramente l’incoscienza dell’età, e ho scoperto un mondo e la stra-da che Lui aveva tracciato per me. EPM è il biglietto da visita del nostro essere cristiani e francescani. Ogni fraternità è chiamata a perseguire un vero cammino di carità, facendosi aiutare dall’icona meravigliosa del lebbroso che fece scoppiare nel cuore di Francesco d’Assisi la vera conversione. Questo settore d’impegno concerne tutto ciò che riguarda la Dottrina Sociale della Chiesa, interpretata e vissuta al modo del poverello di Assisi e si prefigge lo scopo di aiutare ogni gifrino a giungere ad una maggiore consapevolezza della chiamata ad impegnarsi a favore della giustizia e della pace, contro ogni forma di violenza. È stato gra-zie a questo servizio che ho iniziato a guardare la mia vita con occhi nuovi : forse non era un caso se da bambina raccoglievo qualsiasi animale ferito e abbandonato per aiutarlo, forse non era un caso se da adolescente ho scelto di studiare legge perché volevo mettermi al servizio degli altri, forse non era un caso il mio incontro con Francesco che mi invitava ad amare i poveri e gli ultimi come fratelli. Nel tempo ho imparato che nella nostra vita nulla è lasciato al caso ma ognuno di noi, guar-dandosi alle spalle, può riconoscere la presenza della mano del Signore. Ho risposto di sì quel giorno e ho detto il mio sì a Lui orientando su quel sì le mie scelte future. Così mi sono laureata in giurispruden-za e spero un giorno di dedicare il mio lavoro per dare voce a chi non ce l’ha. Insieme alla mia fraterni-tà ho scelto di trovare un po’ di tempo per i poveri, prestando servizio ad una mensa e a far sorridere qualche bambino un po’ meno fortunato. Ho scelto di amare la mia terra e mi impegno a proteggerla nei piccoli gesti di tutti i giorni, perché anche questo è un dono, ma lo dimentichiamo ogni volta che buttiamo una carta a terra e non nel cestino. San Francesco non ha mia parlato di “imprese straordinarie” basta cominciare col fare ciò che è possibile per trovarsi a realizzare l’impossibile! Viviamo in un mondo di ombre ma ognuno di noi ha dentro di sé un luce, è quella di Cristo che ci deve aiutare a rischiarare questo mondo. Martin Luther King diceva: ”La tenebra non può scacciare le tenebre solo la luce può farlo!” Se ci guardiamo intorno ci rendiamo conto che siamo circondati dalla violenza in tutte le sue forme: uomini che picchiano le loro donne, ragazzi che vengono massacrati dai loro coetanei, bambini che si tirano i capelli e si pren-dono in giro, uomini che si uccidono in nome di Dio, della società e della patria. Ma c’è violenza anche quando usiamo parole cattive, quando facciamo un gesto per allontanare qualcuno, quando obbedia-mo per paura.

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L’ANGOLO DEI TESTIMONI

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Ci hanno abituati a credere che non possiamo fare nulla perché sono cose troppo più grandi di noi, ma non è vero! Noi cristiani non possiamo nasconderci dietro il fatalismo. È nostro dovere sforzarci per rendere migliore questo mondo nel nostro quotidiano. Ad ogni gifrino, per combattere la violenza, per perseguire la pace, viene chiesto solo una cosa: un gesto d’amore. Un gesto d’amore cuce il cielo col cielo, un gesto di vio-lenza invece cuce il nero col nero e dentro quel buio non può nascere nessun fiore. Nei miei anni di fraternità ho avuto la grazia di veder sbocciare tanti fiori. Non dimenticherò mai il giorno in cui, in occasione dello Spirito d’Assisi, è venuto a trovarci Moham-med Lilif, fedele di religione islamica. È stato un incontro cercato e desiderato da tutta la mia fraternità. Vole-vamo dare una testimonianza vera e tangibile di come il dialogo, la conoscenza reciproca, potesse andare oltre qualsiasi forma di pregiudizio e certo non posso nascondere che eravamo anche molto curiosi. Siamo abituati a sentir parlare di mussulmani solo come di terroristi, uomini violenti, esaltati, ma Mohammed ci ha racconta-to la sua vita e soprattutto ci ha aperto una finestra sul suo mondo. Questo incontro mi ha insegnato che il Dio dell’amore è uno solo, che le diverse religioni non devono combattersi ma, nel rispetto reciproco, si può far forza sugli elementi che ci uniscono. Dio ci ama, qualunque sia il suo nome e il nostro credo! È stato grazie a questo incontro che ho capito che il Signore a volte va presentato in silenzio, più con la vita che con le parole, con l’amore, la disponibilità e la voglia di mettersi in gioco. Ho solo ventisei anni e ho tutta una vita da affrontare , ma Lui ha messo dentro di me un seme che spero di riuscire a far germogliare, perché se è vero che nel mondo c’è tanto male, io sono certa che di bene ce n’è molto di più, bisogna solo avere un occhio attento verso chi ha bisogno, verso quelli che soffocati da mise-ria, violenza e solitudine non hanno voce, ma quella voce puoi dargliela tu! Perché come mi disse una persona un po’ di tempo fa: “Per seguire Cristo nel nostro oggi bisogna senz’altro essere controcorrente, ma non fuori dal mondo! Anzi bisogna esserci immersi, altrimenti il nostro fuoco cosa brucerà?”.

Una Poesia di Nelson Mandela

La nostra paura più profonda non è di essere inadeguati,

la nostra paura più profonda è di essere potenti oltre misura.

È la nostra luce, non il nostro buio che ci fa paura.

Noi ci chiediamo: "Chi sono io per essere così brillante, così grandioso?

Pieno di talenti, favoloso?"

In realtà chi sei tu per non esserlo?

Tu sei un figlio di Dio.

Se tu voli basso, non puoi servire bene il mondo.

Non si illumina nulla in questo mondo se tu ti ritiri, appassisci.

Gli altri intorno a te non si sentiranno sicuri.

Noi siamo nati per testimoniare la gloria di Dio dentro di noi.

Non soltanto in qualcuno, ma in ognuno di noi.

Nel momento in cui noi permettiamo alla nostra luce di splendere.

Noi inconsciamente diamo agli altri il permesso di fare lo stesso.

Nel momento in cui noi siamo liberi dalla nostra paura.

La nostra presenza stessa, automaticamente, libera gli altri.

PAROLE E TESTI

Da leggere:

Pat Patfoort “Io voglio, tu

non vuoi. Manuale di educa-

zione nonviolenta”

Bernhard Häring “Il vangelo

che ci guarisce - dialoghi sulla

nonviolenza”

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FILM E NONVIOLENZA

Gandhi

Film di Richard Attenborough. Con Supriya Pathak, John Gielgud, Ben Kingsley, Edward Fox, Ian Bannen. , Moti Makan, Jalal Agha, Geoffrey Chater, Bernard Horsfall, Biografico, durata 188 min. - Gran Bretagna 1982

56 anni di vita di Gandhi, i l profeta della non violenza che portò i l suo pae-

se, l' India, all' indipendenza. Si comincia con i suoi solenni funerali per poi

ripercorrere, in un flash -back di tre ore, tutta la sua evoluzione da semplice

avvocato dai capelli scuri all'asceta calvo vestito di un bianco lenzuolo. At-

torno a lui la moglie fedele, i f igli e gli amici seguaci della sua dottrina; con-

tro di lui l' Impero britannico, ma anche il conflitto fra musulmani e indù. I l

f ilm si chiude con la scena dell'assassinio: un estremista indù spara tre colpi di r ivoltella a Gan-

dhi che muore a 79 anni i l 30 gennaio '48. Kolossal premiato con molti Oscar tra cui quello, me-

ritatissimo, a Ben Kingsley.

The Lady - L'amore per la libertà

Un f ilm di Luc Besson. Con Michelle Yeoh, David Thewlis, Will iam Hope,

Martin John King, Susan Wooldridge. Titolo originale The Lady. Drammatico, durata 145 min. - Francia, Gran

Bretagna 2011

La storia di Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la Pace 1991 e “orchidea

d'acciaio” del movimento per la democrazia in Myanmar. Dopo l 'assassinio

del padre, i l generale Aung San, leader della lotta indipendentista birma-

na, Suu cresce in Inghilterra e sposa il professore universitario Michael

Aris. Quando nel 1988 il suo popolo insorge contro la giunta militare, Suu torna nel paese nata-

le e inizia i l suo lungo scontro diretto contro il potere assoluto dei generali.

Fiorella Mannoia – Nessuna conseguenza

Nomadi – Uno come noi

Piero Pelù – Il segno

John Lennon – Imagine

CANZONI

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PREGHIERE

PREGHIERA DI SAN FRANCESCO Signore, fa’ di me uno strumento della Tua Pace: Dove è odio, fa ch'io porti l'Amore, Dove è offesa, ch'io porti il Perdono, Dove è discordia, ch'io porti l'Unione, Dove è dubbio, ch'io porti la Fede, Dove è errore, ch'io porti la Verità, Dove è disperazione, ch'io porti la Speranza, Dove è tristezza, ch'io porti la Gioia, Dove sono le tenebre, ch'io porti la Luce.

Maestro, fa’ che io non cerchi tanto Ad esser consolato, quanto a consolare; Ad essere compreso, quanto a comprendere; Ad essere amato, quanto ad amare.

Poiché, così è: Dando, che si riceve; Perdonando, che si è perdonati; Morendo, che si risuscita a Vita Eterna

PREGHIERA PER LA PACE

La pace è un tuo dono, Signore.

Per ottenerla occorre pregare, amare, soffrire. Occorre pagare di persona. Scomparire.

Signore, noi ci impegniamo ad essere costruttori di pace, non ci presteremo ad essere strumenti di violenza e di distruzione;

difenderemo la pace, pagando anche di persona, se necessario. Noi non ci rassegneremo ad un mondo in cui altri esseri umani muoiono di fame,

restano analfabeti, mancano di lavoro. Noi difenderemo la vita in ogni momento del suo sviluppo terreno,

ci sforzeremo con ogni nostra energia di rendere questa terra sempre più amabile per tutti. Regna tu nei nostri cuori e nell’umanità del nuovo millennio.

Noi non abbiamo paura di affidarci a Te, ma tu guidaci, dacci la forza di seguirti ogni giorno e in ogni situazione.

Eccomi, o Signore. Fammi seminatore di pace. Signore, donaci la tua pace.

Personalmente

Impegnarsi a utilizzare parole, gesti, scelte a favore della nonviolenza e della pace in

famiglia, nel gruppo, negli ambienti che si frequentano.

Pregare lo Spirito Santo per il frutto della pace del cuore e della famiglia umana.

In gruppo

Scrivere con i giovani una sorta di decalogo della nonviolenza nei diversi ambiti della

loro vita e diffonderlo sui social network.

Prendere un impegno a favore di persone vittime di violenza o fare visita a una

comunità famiglia che accolga queste situazioni.

IMPEGNO PER I GIOVANI