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La natura della forma. Studio per una biologia dell’arte Silvia Simoncelli Nel primo numero di Abstraction-Création Naum Gabo affermava: «L’arte un tempo riproduttiva è divenuta creatrice» 1 . Le sue parole esprimevano una posizio- ne condivisa da molti artisti che, in modi fra loro anche dissimili, avevano rifiu- tato la tradizione figurativa e cercavano di sviluppare linguaggi artistici autonomi rispetto all’apparenza visibile della realtà. In particolare le opere di Hans Arp, Naum Gabo e Henry Moore possono venir analizzate in modo congiunto a partire da un atteggiamento comune nei confronti della natura, che si venne delineando nella loro produzione contestualmente ad una riflessione sulla forma. Nelle loro sculture questa appare liberata da ogni legame con la nozione «di immagine, che implica la rappresentazione d’un oggetto, e soprattutto con quella di segno. Il se- gno significa, mentre la forma si significa» 2 . Nelle opere di Hans Arp, Naum Gabo e Henry Moore, come in quelle dei numerosi altri artisti con cui condividevano la sperimentazione di nuovi codici visivi, infatti, la ricerca di forme che non riman- dassero ad un referente, ma che fossero in grado di esaurire in esse stesse il loro proprio significato, il loro proprio contenuto, era il principale elemento comune. «Le forme che stiamo creando non sono astratte, sono assolute. Sono liberate da qualsiasi cosa già esistente in natura e il loro contenuto si trova in loro stesse» 3 . Proprio per questo motivo la più parte di questi artisti rifiutava per la propria arte la denominazione di «astratta» preferendole quella di «concreta». Anche se l’astra- zione per alcuni di loro aveva rappresentato il tramite attraverso il quale giungere 1 N. Gabo, “Gabo”, Abstraction-Création: Art Non Figuratif, Parigi, n. 1, p. 14. 2 H. Focillon, Vita delle forme, a cura di E. Castelnuovo, Einaudi, Torino 1990, p. 6. 3 N. Gabo, “Sculpture: Carving and Construction in Space” in Circle: International Survey of Constructive Arts, a cura di J.L. Martin, B. Nicholson, N. Gabo, Faber and Faber, London 1937, p. 109. Copyright c 2002 ITINERA (http://www.filosofia.unimi.it/itinera/) Il contenuto di queste pagine è protetto dalle leggi sul copyright e dalle disposizioni dei trattati internazionali. Il titolo e i copyright relativi alle pagine sono di proprietà di ITINERA. Le pagine possono essere riprodotte e utilizzate liberamente dagli studenti, dagli istituti di ricerca, scolastici e universitari afferenti ai Ministeri della Pubblica Istruzione e dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica per scopi istituzionali, non a fine di lucro. Ogni altro utilizzo o riproduzione (ivi incluse, ma non limitatamente a, le riproduzioni a mezzo stampa, su supporti magnetici o su reti di calcolatori) in toto o in parte è vietata, se non esplicitamente autorizzata per iscritto, a priori, da parte di ITINERA. In ogni caso questa nota di copyright non deve essere rimossa e deve essere riportata anche in utilizzi parziali.

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La natura della forma.Studio per una biologia dell’arte

Silvia Simoncelli

Nel primo numero diAbstraction-CréationNaum Gabo affermava: «L’arte untempo riproduttiva è divenuta creatrice»1. Le sue parole esprimevano una posizio-ne condivisa da molti artisti che, in modi fra loro anche dissimili, avevano rifiu-tato la tradizione figurativa e cercavano di sviluppare linguaggi artistici autonomirispetto all’apparenza visibile della realtà. In particolare le opere di Hans Arp,Naum Gabo e Henry Moore possono venir analizzate in modo congiunto a partireda un atteggiamento comune nei confronti della natura, che si venne delineandonella loro produzione contestualmente ad una riflessione sulla forma. Nelle lorosculture questa appare liberata da ogni legame con la nozione «di immagine, cheimplica la rappresentazione d’un oggetto, e soprattutto con quella di segno. Il se-gno significa, mentre la forma si significa»2. Nelle opere di Hans Arp, Naum Gaboe Henry Moore, come in quelle dei numerosi altri artisti con cui condividevano lasperimentazione di nuovi codici visivi, infatti, la ricerca di forme che non riman-dassero ad un referente, ma che fossero in grado di esaurire in esse stesse il loroproprio significato, il loro proprio contenuto, era il principale elemento comune.«Le forme che stiamo creando non sono astratte, sono assolute. Sono liberate daqualsiasi cosa già esistente in natura e il loro contenuto sitrova in loro stesse»3.Proprio per questo motivo la più parte di questi artisti rifiutava per la propria arte ladenominazione di «astratta» preferendole quella di «concreta». Anche se l’astra-zione per alcuni di loro aveva rappresentato il tramite attraverso il quale giungere

1 N. Gabo, “Gabo”,Abstraction-Création: Art Non Figuratif, Parigi, n. 1, p. 14.2 H. Focillon,Vita delle forme, a cura di E. Castelnuovo, Einaudi, Torino 1990, p. 6.3 N. Gabo, “Sculpture: Carving and Construction in Space” inCircle: International Survey of

Constructive Arts, a cura di J.L. Martin, B. Nicholson, N. Gabo, Faber and Faber, London 1937,p. 109.

Copyright c© 2002 ITINERA (http://www.filosofia.unimi.it/itinera/)Il contenuto di queste pagine è protetto dalle leggi sul copyright e dalle disposizioni dei trattati internazionali.Il titolo e i copyright relativi alle pagine sono di proprietà di ITINERA. Le pagine possono essere riprodotte eutilizzate liberamente dagli studenti, dagli istituti di ricerca, scolastici e universitari afferenti ai Ministeri dellaPubblica Istruzione e dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica per scopi istituzionali, non a finedi lucro. Ogni altro utilizzo o riproduzione (ivi incluse, ma non limitatamente a, le riproduzioni a mezzo stampa,su supporti magnetici o su reti di calcolatori)in toto o in parte è vietata, se non esplicitamente autorizzata periscritto, a priori, da parte di ITINERA. In ogni caso questa nota di copyright non deve essere rimossa e deveessere riportata anche in utilizzi parziali.

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ad un arte non figurativa4, essi condividevano l’opinione secondo cui per riferir-si alle loro opere «la parola astratta non ha senso, dal momento che ogni formache abbia preso corpo è già concreta [. . . ]. Ogni opera d’artenella sua esistenzareale, essendo una sensazione percepita da uno qualsiasi dei nostri cinque sensi, èconcreta»5.

La rinuncia alla figurazione e dunque ad un riferimento diretto al mondo nellavita non aveva però per molti di questi artisti significato iltotale abbandono dellostudio della natura: pur allontanandosi dalla rappresentazione della natura, essicontinuavano a farvi riferimento, con lo scopo questa voltadi apprendere i principifondamentali della forma, che si dimostravano essere raggiungibili solo superandol’idea convenzionale dell’apparenza naturale. Non più intesa come catalogo diforme da riprodurre, la natura, considerata nel suo costante divenire, si presentavacome un analogon del processo creativo, dal cui studio era possibile apprenderedinamiche formative mediante le quali creare immagini autonome e significative,nella convinzione che le proprie opere avrebbero dovuto essere, proprio come leforme della natura, risultato e testimoni di un processo di crescita e mutamento.

La rinnovata riflessione sulla natura nell’arte non era priva di legami con ilcontemporaneo pensiero scientifico. In entrambi i casi il significato del concettodi organico, naturale, trovava la propria definizione nel graduale spostamento dal-l’ambito dell’apparenza a quello funzionale. La morfologia, intesa quale «dottrinadella forma considerata come struttura»6 emergeva come possibile «filosofia na-turale unificante dell’epoca a venire»7, poiché in essa la forma veniva consideratanelle sue caratteristiche di «disposizione, configurazione, organizzazione, struttu-ra, ordinamento»8, non più intese esclusivamente in senso statico, ma analizzatenel loro prodursi.

Il problema della forma che appassionava artisti e scienziati trovò un illuminan-te apporto nell’opera di D’Arcy W. ThompsonCrescita e Forma. A partire dalla suaprima edizione nel 1917 questo studio, che si muove sul «limitare di quel mondodi forme naturali che è ancora accessibile allo scultore, e il mondo dei legami mo-lecolari e delle catene di proteine completamente al di fuori della sua portata»9, sidimostrò quale testo definitivo della biologia classica, nel suo sforzo di mostrare inche modo crescita e forma siano coerentemente collegate. Interpretate a partire dailoro aspetti matematici e fisici, esse sono studiate mettendo tra parentesi qualsiasicausa finale e ridimensionando l’importanza della selezione naturale, considerataesclusivamente nella sua azione volta ad eliminare le formenon adatte. Affrontatain questo modo, la materia d’indagine si presentava priva diqualsiasi implicazione

4 Cfr. Abstraction-Création, cit., p. 1.5 N. Gabo, “Sculpture: Carving and Construction in Space”, cit., p. 109.6 L.L. Whyte, “Atomism, Structure and Form. A Report on the Natural Philosophy of Form” in

G. Kepes (a cura di),Structure in Art and Science, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts 1962,p. 20.

7 Ibid.8 Ibid.9 J. Burnham,Beyond Modern Sculpture. The Effects of Science and Technology on the Sculpture

of this Century, George Braziller, New York 1968, p. 77.

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vitalistica, e anche per questo motivo si prestava a divenire oggetto di interesse perambiti di attività tanto distanti come quello dell’arte e dell’architettura10.

Cellula e tessuto, conchiglia e osso, foglia e fiore, sono altrettante porzioni dimateria, ed è in obbedienza alle leggi della fisica che le particelle che li com-pongono sono state assestate, modellate, conformate. [. . .] I loro problemi diforma sono prima di tutto dei problemi matematici; i loro problemi di accre-scimento sono essenzialmente problemi fisici [. . . ] il mio unico proposito èdi mettere in rapporto con le definizioni matematiche e le leggi fisiche alcunidei più semplici fenomeni esteriori dell’accrescimento organico, della strut-tura, della forma, considerando come ipotesi che il complesso dell’organismosia un insieme meccanico e materiale.11

Considerata in questa prospettiva, la forma viene privata del proprio carattereindividuale e viene indagata secondo un metodo che mira «a sviluppare una teoriamatematico-geometrica e meccanica delle forme, che riducele espressioni diversea modelli di generazione comuni»12. Le forme non vengono analizzate nel loropresentarsi come singoli eventi compiuti, ma vengono considerate in relazione alprocesso di crescita, in cui le forze, agendo sulla materia,si rivelano essere le causesia della loro origine sia dei loro mutamenti13. D’Arcy Thompson può dunque af-fermare che «la forma di un oggetto è un diagramma di forze, almeno nel senso cheda essa noi possiamo giudicare o dedurre quali forze agiscano o abbiano agito sudi essa»14. A partire da strumenti euristici generali quali le leggi della fisica, le for-mule della matematica e le figure della geometria, l’indagine di D’Arcy Thompsongiunge a ricostruire nelle pagine del testo la molteplicitàdelle forme della natura,e per mezzo del metodo dell’analogia mette in relazione fra loro eventi apparen-temente distanti sulla scala biologica. «La meta della [. . .] ricerca non è l’esamedi un singolo dato, di una singola forma, ma il reperimento della regola in basealla quale si pensa che essa si debba ripetere. Regola che deve essere generale eapplicabile universalmente tanto al mondo organico tanto aquello inorganico»15.

Il concetto di crescita introduce la considerazione della variabile temporale al-l’interno dell’analisi delle forme. I processi di espansione, stratificazione, germina-zione, ispessimento come quelli di segno opposto di coagulazione, solidificazione,cristallizzazione, erosione permettono di comprendere inche modo sostanze di-verse fra loro reagiscano all’azione delle forze fisiche e dei processi chimici neldivenire temporale della materia nello spazio. «D’Arcy Thompson è profonda-mente convinto che un organismo possa essere rappresentatocome una funzione,

10 Per un’analisi del rapporto tra le teorie di D’Arcy Thompsone l’architettura cfr. P. Stead-man,L’evoluzione del design. L’analogia biologica in architettura e nelle arti applicate, tr. it. diF. Cavaliere, Liguori, Napoli 1988.

11 D’Arcy W. Thompson,Crescita e forma, a cura di J.T. Bonner, Bollati Boringhieri, Torino 1992,pp. 11, 13.

12 M. Mazzocut-Mis,Gli enigmi della forma, Edizioni dell’Arco, Milano 1995, p. 10.13 Cfr. D’Arcy W. Thompson,op. cit., p. 15.14 Ibid.15 M. Mazzocut-Mis, op. cit., p. 48.

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in senso matematico, [. . . ] che abbia a che fare con l’ordinamento spaziale e tem-porale»16. Ne è un esempio la conclusione secondo cui «la conchiglia del Nautiluso delle chiocciole, [. . . ] le zanne dell’elefante, i denti del castoro, gli artigli delgatto, sono tutti esempi di belle curve spirali; ma tutte consistono di materiale se-gregato o depositato da cellule viventi; tutte si accrescono come un edificio»17 lacui forma si sviluppa nel tempo e nello spazio, secondo una disposizione prestabi-lita e secondo un ritmo scandito «da disegni che indicano le linee di accrescimento,che rappresentano la traccia permanente delle successive fasi di forma e di gran-dezza»18. Alla conclusione del processo di crescita ciascuna forma èindice dellapropria storia: la sua conformazione informa delle leggi a cui questa ha obbedito ela sua dimensione è memoria del proprio divenire.

Lo slittamento dell’attenzione dal particolare al generale, dall’analisi della sin-gola forma allo studio delle leggi che presiedono il processo di formazione è ilprimo elemento che permette di tracciare un parallelo fra lericerche morfologichedi D’Arcy Thompson e quelle di artisti come Hans Arp, Naum Gabo, Henry Moo-re. In modi fra loro dissimili essi sperimentavano nelle loro opere la possibilitàdi creare secondo procedimenti riconducibili a quelli utilizzati dalla natura stessa.Nelle forme delle loro sculture cercavano di stabilire una relazione fra le parti chenon solo apparisse coerente, ma che fosse riconducibile al processo naturale dellacrescita, tale per cui è possibile stabilire un’analogia fra i principi compositivi allabase delle loro sculture e le leggi descritte inCrescita e forma. I loro lavori sipresentano, come le forme di D’Arcy Thompson, quali diagrammi di forze, sia chequeste sembrino ancora dirigere dall’interno l’espansione della materia, sia che ap-paiano evidenziate nel loro carattere di tensioni interne,sia che permangano comeil ricordo di un’azione trascorsa sulla superficie marmorea. Da ciò deriva in mododiretto il carattere temporale delle loro sculture, che sono immagini di un processonon ancora del tutto concluso, che si mostra allo spettatorenel fluire dei contornidella pietra o nel ritmo delle trame di fili di metallo.

Hans Arp

L’arte è un frutto che cresce nell’uomo, come un frutto su unapianta o unbambino nel grembo di sua madre. Ma laddove il frutto della pianta, il frut-to dell’animale, il frutto del grembo materno, assumono forme autonome enaturali, l’arte, il frutto spirituale dell’uomo mostra disolito un’assurda so-miglianza all’aspetto di qualcos’altro. Solamente nella nostra epoca la pitturae la scultura sono state liberate dall’aspetto del mandolino, di un presidente inabito scuro, di una battaglia, di un paesaggio. Io amo la natura, ma non i suoisurrogati. L’arte naturalistica, illusionistica è un surrogato della natura.19

16 Ibid., p. 60.17 D’Arcy W. Thompson,op. cit., p. 194.18 Ibid., p. 207.19 H. Arp, On my Way. Poetry and Essays 1912-1947, Wittenborn, Schultz Inc., New York 1948,

pp. 50-1.

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Dopo un periodo di sperimentazioni geometriche, dal 1917 Hans Arp cominciòa produrre rilievi bidimensionali «biomorfi» elaborati a partire dall’osservazione dirami, radici, alghe e pietre così come erano stati restituiti alla sua esperienza dalleacque del lago di Ascona. Queste opere, che presero il nome diForme terrestri,rispondevano al suo desiderio di produrre un’arte che fosseal tempo stesso astrat-ta e naturale. «I movimenti asimmetrici delle linee e delle forme, sia che fosserosensualmente curve, sinuose, frastagliate, o convergentievocano la presenza diramoscelli, foglie e pietre ma più significativamente il ciclo naturale di germina-zione, crescita, pienezza, decadimento ed erosione»20. Le forme di questi rilievitendono a perdere qualsiasi carattere che permetta di riconoscere il posto dei sin-goli elementi nel regno naturale, assumendo una poetica molteplicità di significati,in modo tale da apparire coinvolte in un ciclo di eterna trasformazione, in cui lalegge e il caso si confondono. L’ambiguità delle forme, la loro plurima valenzacostituisce una caratteristica essenziale del lavoro di Arp. A questo proposito irilievi non solo introducono il concetto di metamorfosi quale cifra della sua con-cezione figurativa, ma conducono altresì alla esatta cognizione del significato daattribuire al termineenglobernel contesto della sua produzione. Con le sue operee in particolare con le sue sculture, cui attribuisce il nomedi Forme Cosmiche, Arpintende infatti creare immagini che «racchiudano, comprendano e contengano in séuna pluralità formale»21. La forma colta nel momento ancora indifferenziato delproprio sviluppo possiede in sé una pluralità di possibili esiti e si situa nel momen-to più fecondo della metamorfosi ciclica che presiede l’universo formale di Arp, ilmomento cioè in cui è maggiore l’intelleggibililità del processo e «tutte le allusionifigurative sono fuse nell’anima di una massa biomorfa»22, da cui emergono per va-ghi accenni. «Arp aveva posto il processo naturale al di sopra delle sue apparenzemateriali perché concepiva la natura come una forza»23, dalla cui comprensionerisultava possibile «creare nuove apparenze, estrarre nuove forme»24. I rilievi, cosìcome dal 1930 le sculture, davano corpo a questa nuova idea dinatura, a partire dalrifiuto di realizzare una copia della realtà: «noi non vogliamo riprodurre, vogliamoprodurre»25. I suoi lavori mostrano «un senso di ordine immanente intrinseco chederiva dall’interno della natura, non imposto da alcuna razionalità o concettualiz-zazione umana. È il tipo di ordine con il quale si confronta unbiologo; quello diun osso piuttosto che di un cristallo. Arp potrebbe infatti venir definito un costrut-tivista biologico, che usa le forme non della geometria elementare, ma quelle piùingegnosamente modulate del vivente»26.

20 J. Hancock, “Nature and Dada” inArp 1886-1966, a cura di J. Hancock e S. Poley, CambridgeUniversity Press, Cambridge 1986, p. 74.

21 C. Lichtenstern, “Osservazioni sulle ‘forme cosmiche’ di Arp” in Hans Arp – Sophie Tauber-Arp, Centro d’Arte e di Cultura Palazzo Te, Mantova 1997, p. 136.

22 Ibid., p. 140.23 J. Hancock, “The Philosophy in Arp Formal Language: Toward an Interpretation” inop. cit.,

p. 65.24 H. Arp, op. cit., p. 47.25 Ibid., p. 71.26 C. Waddington,Behind Apparence. A Study in the Relations between Paintingand the Natural

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Il riferimento al processo di crescita diventa più esplicito nelle sculture a tutto-tondo, definite dallo stesso autore con il termine diConcrezioni, inteso a significareil processo naturale di condensazione, solidificazione, coagulazione, ispessimento,e al tempo stesso capace di trasmettere sensazioni di lenta espansione, matura-zione, sviluppo27. La pietra è infusa di un senso di vita che è più prossimo allasensazione di forza contenuta piuttosto che di placida rilassatezza28. Un’operacomeConcrezione Umanainduce a percepire la superficie esterna della sculturacome «la superficie minima di una sottile pellicola sospesa in un liquido. La pres-sione idrodinamica sui lati introflessi ed estroflessi dellaparete esterna è uguale,cosicchè la forma appare stabile, soggetta alle correnti dell’acqua e al movimentointerno»29. Quest’ultimo è suggerito dalla forma irregolare della concrezione, ilcui contorno sembra indicare indistintamente l’immagine della divisione cellulareo del «trasferimento di protoplasma di modo che un organismopossa assumere unanuova forma»30. Le forme diConcrezione Umanasembrano adattarsi in modo sor-prendente al modo in cui D’Arcy Thompson spiega le protuberanze che «emergonoda un singolo punto sulla superficie di una cellula [. . . ]: il rigonfiamento forma unnodo o punto di crescita a partire dal quale la cellula continua a suddividersi lungoun’asse di crescita [. . . ]31. Concrezione Umanaproduce gli stessi contorni agget-tanti definiti, comunicando la sensazione di una spinta verso l’esterno, che sembraessere generata dalle condizioni interne di una reale formazione cellulare»32.

In modo ancor più esplicitoCorona di gemmee Crescita33 sperimentano «leforze primarie che governano la crescita, il movimento e il mutamento. Arp nonfa ricorso ad una semplice imitazione della natura; egli acquisisce una modalitàespressiva analoga a quella della natura stessa»34. Il bronzo come già la pietrarestituisce la sensazione di un corpo fluido, dall’aspetto denso, in contrasto conla solidità caratteristica del materiale, cui la scultura si era sempre sottomessa. Leopere di Arp sembrano non più modellate dall’esterno, dallavolontà dell’artista chesi impone sulla materia, ma al contrario appaiono generarsiin modo autonomo,secondo leggi che sono loro proprie e che si dispiegano sottolo sguardo dellospettatore a testimonianza di un processo che sembra non essersi ancora del tuttoconcluso.

Naum Gabo

Il problema della forma non conduceva gli artisti a concentrarsi esclusivamentesull’aspetto esteriore che caratterizza i processi di crescita. Naum Gabo, la cui

Sciences in this Century, Edinburgh University Press, Edinburgh 1969, p. 74.27 Vd. Figure 1 e 2.28 Ibid., p. 75.29 J. Burnham,op. cit., p. 90.30 Ibid., p. 91.31 Vd. Figure 3, 4, 5 e 6.32 Ibid.33 Vd. Figure 7 e 8.34 C. Giedion-Welcker, “Arp” in H. Arp,op. cit., p. 122.

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formazione universitaria aveva compreso corsi di fisica e diingegneria, conside-rava la natura un punto di riferimento costante nella propria ricerca. Benchè nonappaia mai esplicitamente rappresentata nelle sue opere, la natura permane qualeparadigma per la nuova realtà che l’artista costruttivo intende creare: «astratta co-me un modello matematico o geometrico»35 e caratterizzata da un’idea di bellezza«creata dai suoi stessi ritmi e dalle sue proporzioni»36. Il processo creativo di Ga-bo si presenta infatti come un percorso a partire dal dato naturale, che si configuranon come un percorso di allontanamento, bensì di comprensione, come chiarisceegli stesso affermando: «noi non ci allontaniamo dalla natura, ma al contrario, noila penetriamo più profondamente di quanto l’arte figurativasia mai stata in gradodi fare»37. Lo scopo dichiarato dell’artista è quello «di mettere in luce le forzenascoste della natura»38 nelle proprie opere. «Ovviamente un’arte di questo tipointrattiene una diretta relazione, più che simpatetica, con quelle scienze [. . . ] checosì tanto hanno svelato della struttura interna e dell’organizzazione del mondomateriale»39. Nelle sue sculture Gabo realizza infatti un duplice dialogo, poiché sela natura rappresenta il suo interlocutore primario, la scienza d’altra parte è il tra-mite attraverso il quale si realizza la sua comprensione e lacomunicazione artisticapuò avvenire. Ne risulta uno scambio vicendevole, poiché «mentre da un lato lecostruzioni [. . . ] mostrano un’inclinazione verso la formaflessibile, vivente, dal-l’altro la forma organica [. . . ] rivela una struttura irrigidita e spesso una tendenzaverso il tecnico»40: accade così che «una forma, originariamente puramente geo-metrica, cominci ad approssimarsi ad una forma organica»41, intesa in termini ditensioni superficiali, efficienza meccanica, configurazioni strutturali. Le opere diGabo assumono così l’aspetto di un «diagramma di forze»42, tali quali si rivelanole forme naturali interrogate dallo sguardo dello scienziato. Il riferimento di Gaboalle forme e alle leggi della natura è presente in modo esplicito già nelManifestoRealistadel 1920, laddove si affermava che «nessuno dei nuovi sistemi artisticipotrà sopportare la pressione dei bisogni della nuova cultura in evoluzione fintan-to che le vere fondamenta dell’arte non verranno costruite sulle solide basi dellevere leggi della natura»43. Nel corso della sua evoluzione artistica il significatoda attribuire a tale espressione, che pure rimane uno dei principali elementi dellasua poetica, attraversa tuttavia un progressivo mutamento, evidente nelle sue stesseopere. «Le forme euclidee e le oscillazioni essenziali dei suoi primi lavori eranostati una metafora per la natura nei suoi profondi fondamenti. I metalli e le materie

35 H. Read,The art of sculpture, Princeton University Press, Princeton, New Jersey 1977, p. 102.36 Ibid.37 N. Gabo, “Gabo”, cit., p. 14.38 Ibid.39 H. Read,op. cit., p. 112.40 C. Giedion-Welcker, Contemporary Sculpture. An Evolution in Volume and Space,

G. Wittenborn Inc., New York 1955, p. XXIX.41 Ibid.42 D’Arcy W. Thompson,op. cit., p. 15.43 N. Gabo, “The Realistic Manifesto” in H. Read, L. Martin (a cura di), Gabo: Constructions,

Sculptures, Paintings, Drawings, Engravings, Lund Humphries, London 1957, p. 151.

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plastiche che aveva utilizzato per realizzarli [. . . ] una metonimia della tecnologiacontemporanea. Questi elementi rimasero tali per tutta la sua vita, ma a partiredagli anni trenta [. . . ] fu incline ad utilizzare forme che allo stesso tempo sugge-rivano non solo il microcosmo e il macrocosmo ma la scala biologica fra i due»44.Tale mutamento va in primo luogo imputato alla «fascinazione per i principi allabase delle strutture [che lo] condusse a produrre sculture che sembrano essere de-bitrici tanto dell’ingegneria quanto della natura»45. Le opere realizzate a partiredalla seconda metà degli anni Trenta dimostrano apertamente in che modo sianoriuscite a fondersi in una sintesi originale e coerente le diverse «influenze [che] nellavoro di Gabo formano un’aurea dicotomia fra tecnologia e natura»46. Chiamatoad esprimere il proprio giudizio sulla posizione ambigua, fra gli ambiti conven-zionalmente contraddittori dell’organico e del geometrico, occupata dalle propriecostruzioni, Gabo si rifiutò di esprimere un giudizio che giustificasse una distinzio-ne fra i due o che decretasse la supremazia dell’uno sull’altro: «si può realizzareun’opera d’arte che abbia in sé elementi geometrici (“geometrico”, ad ogni modo,è un termine molto ambiguo, poiché ogni forma è, alla fine, riconducibile ad unaqualche nozione geometrica), ma che nella sua interezza siain grado di trasmetterequalche struttura così simile alle strutture che troviamo in Natura, che possa ragio-nevolmente venir definita più organica di qualsiasi altra opera presunta organicache rappresenta esclusivamente la superficie di un organismo, la sua apparenza»47.Gabo possedeva una copia diCrescita e forma, acquistata poco dopo il suo arrivoin Inghilterra nel 193648. Nelle pagine del libro Gabo si soffermò indubbiamente aconsiderare le «seducenti analisi della geometria strutturale e dinamica della mor-fologia biologica»49. I concetti di forza e di efficienza meccanica si trovano infattialla base dell’analisi strutturale delle forme naturali condotta da Thompson, che nelsuo studio sembra considerare innanzitutto il «fatto che lanatura agisca e si com-porti come un ingegnere, e che, nelle sue costruzioni, non prescinda mai dal calcolodi tutte le componenti meccaniche e di tutte le forze agenti dall’esterno sull’ogget-to che sta costruendo»50. Tali «analogie fra le forme presenti in natura e quellerealizzate dall’ingegnere», che D’Arcy Thompson aveva utilizzato per comprende-re le forme organiche, permisero a Gabo di «trovare ispirazione nei principi dellacrescita naturale quando si trovava a lavorare ai propri progetti, che coinvolgevanol’ingegneria al pari dell’invenzione artistica»51.

44 M. Compton, “Gabo in European Art” inNaum Gabo 1890-1977. Centenary Exhibition,Annely Juda Fine Art, London 1990, p. 21.

45 M. Kemp, “Gabo’s Geometry”,Nature, n. 389, 1997, p. 919.46 M. Rogakos,Naum Gabo: Abstraction in 4 Dimensions, trascrizione della conferenza tenuta

alla Royal Society of British Sculptors, London 28/02/01, s.p.47 N. Gabo, lettera ad Alfred Jensen del 4 luglio 1950, citata inM. Hammer, C. Lodder,Con-

structing Modernity: the Art and Career of Naum Gabo, Yale University Press, New Haven andLondon 2000, pp. 384-5.

48 Ibid., p. 285.49 M. Kemp,Gabo’s Geometry, cit.50 M. Mazzocut-Mis,op. cit., p. 12.51 M. Hammer, C. Lodder,op. cit., pp. 386-7.

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Una scultura comeTorsione: Variazione52 ricorda da vicino le caratteristichestrutturali dello scheletro di Nassellario analizzato da D’Arcy Thompson53. Costi-tuita da un esoscheletro di acciaio sul quale sono tesi fili metallici, la costruzionedi Gabo può essere paragonata alla conformazione scheletrica del radiolare, co-me questa caratterizzata da delicatezza, complessità e da un disegno geometrico diregolarità meravigliosa54. Per spiegarne la struttura, Thompson si era avvalso diun esperimento eseguito da Plateau nei suoi studi sulle superfici minime, condot-ti mediante lamine di acqua saponata. «Quando Plateau fece col filo di ferro untetraedro regolare e lo immerse in una soluzione di sapone, ottenne un bellissimosistema di sei pellicole [. . . ] e una piccola bolla soffiando al centro del suo siste-ma»55, che appare quasi del tutto simile al minuto scheletro siliceo del Nassellario.Nella scultura la struttura della gabbia tetraedrica utilizzata nell’esperimento ap-pare reduplicata e deformata da un movimento di torsione. I fili di metallo tesi dauno spigolo all’altro suggeriscono l’idea di superfici continue, ma al contrario dellepareti dello scheletro di Nassellario, caratterizzate da una certa durezza e rigidità,questi riproducono le tensioni reali fra uno spigolo e l’altro, così come erano evi-denti nelle lamine di sapone dell’esperimento di Plateau, ulteriormente accentuatenella costruzione dalla torsione dei piani. Pur se in modo meno letterale,Costru-zione lineare nello spazio n. 4è ugualmente riconducibile alle conformazioni diradiolari per l’attenzione alle relazioni fra scheletro e pareti in termini di tensioni,torsioni, deformazioni. Come Thompson, anche Gabo era rimasto particolarmentecolpito dalla varietà delle strutture complesse di questi organismi unicellulari, deiquali possedeva numerose illustrazioni – in riproduzione fotografica – tratte dallefamose incisioni realizzate da Ernst Haeckel56.

Costruzione lineare nello spazio n. 257 induce a sua volta a considerare comel’artista sia in grado di arrivare ad «un realismo profondo euniversale infondendoin un’unica immagine le energie e le forze nascoste che sono sottese sia alle ope-re senza tempo della natura sia alle creazioni dell’uomo moderno»58. Il contornodella costruzione intuitivamente rimanda alla silhouettecurvilinea e asimmetricadi una conchiglia, come quelle che Gabo stesso collezionavaa Saint Ives e chesi trovavano accuratamente descritte e analizzate nei loroaspetti formali non soloin Crescita e forma, ma anche nel ben noto libro di Theodor CookThe Curves ofLife, di cui Gabo acquistò una copia all’inizio degli anni Cinquanta59. Duplicatoe capovolto nello spazio, l’andamento del profilo della conchiglia giunge a forma-re un’immagine autonoma. I materiali in cui l’opera è realizzata, perspex e filodi nylon, si richiamano al mondo tecnologico contemporaneo, mentre la tecnica

52 Vd. Figure 9, 10 e 11.53 Cfr. M. Kemp,op. cit.54 Cfr. D’Arcy W. Thompson,op. cit., p. 170.55 Ibid., pp. 178-80.56 Cfr. M. Hammer, C. Lodder,op. cit., pp. 388-9.57 Vd. Figure 12 e 13.58 Ibid., p. 384.59 Cfr. ibid., p. 388.

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utilizzata deriva da quella dei modelli matematici a lungo studiati da Gabo. La fit-ta tramatura trasparente invita lo spettatore ad indagare con lo sguardo le tensionie lo sviluppo dei volumi, addentrandosi fino al centro della struttura dell’opera,che si mostra interamente. Gli intrecci successivi dei fili di nylon, che si fannoprogressivamente più fitti, rendono la forma al tempo stessovisibile fin nel suointerno e modulano la trasparenza dello spazio interno, conun chiaro riferimentoalle immagini ottenibili con l’utilizzo dei raggi X60.

Henry Moore

Il rapporto delle opere di Henry Moore con i processi di crescita del mondo natu-rale è meno totale di quello di Hans Arp e Naum Gabo. Le sue sculture, che spessoritraggono il soggetto umano, non recidono del tutto il legame con la rappresenta-zione, ma sperimentano allo stesso tempo delle tecniche, nella lavorazione dei ma-teriali, che testimoniano un’osservazione delle forze cheagiscono sugli elementinaturali. I disegni raccolti nei taccuini di Moore, insiemeai numerosi oggetti colle-zionati durante le passeggiate sulle spiagge della costa del Suffolk, sono essenzialiper comprendere il suo rapporto con la natura. L’artista nonla considera esclusi-vamente quale soggetto, ma la riconosce innanzitutto qualemaestra per il proprioprocesso creativo: «i sassi e le rocce [. . . ] mostrano il modoin cui la natura lavorala pietra. Nei sassi levigati del mare si vede come, attraverso lo sfregamento, la su-perficie della pietra si consumi, si eroda fino a divenire liscia e lucida, assumendovia via una forma in cui prendono corpo i principi dell’asimmetria»61.

Le sue sculture, come dimostraRecumbent Figure62, hanno l’aspetto di oggettiformatisi in modo spontaneo, dall’azione casuale degli elementi naturali, in cui lesembianze umane emergono per accenni. In modo ancora più marcato in un’operacomeFour Piece Composition (Reclining Figure)63 del 1934 la forma sembra es-sere stata modellata dal processo naturale di erosione: le maree e le forze ritmichedell’oceano, la consistenza della pietra, la superficie della spiaggia con la sua capa-cità abrasiva sembrano essere state artefici dell’immagineche si presenta davantiagli occhi dello spettatore64. Composta di quattro elementi di marmo,Four PieceCompositionrichiama in modo esplicito la passione di Moore per i ciottoli: i quat-tro grandi elementi, che suggeriscono la figura umana, dannoalla composizionel’aspetto di un accostamento diobjet trouvé. Attraverso l’attenta osservazione deiprocessi naturali, Moore giunge a comprendere l’importanza della «conoscenza delmateriale, delle sue possibilità, della sua struttura costitutiva»65. Le forme delle sue

60 Oltre ad essere un simbolo della tecnica moderna, i raggi X erano familiari a Gabo per averstudiato a Monaco con Rötngen, il premio Nobel che li aveva scoperti. Cfr. R. Olson, A. Chanin,Gabo-Pevsner, Museum of Modern Art, New York 1948, p. 15.

61 H. Moore, “Le qualità della scultura” in Id.,Sulla scultura, a cura di A. Salvini, Abscondita,Milano 2002, p. 14.

62 Vd. Figura 14.63 Vd. Figura 15.64 Cfr. J. Burnham,op. cit., p. 96.65 H. Moore, “Le qualità della scultura” inop. cit., p. 12.

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opere nascono nel rispetto e nell’ascolto delle qualità deisingoli blocchi di pietra,di ogni tronco d’albero: venature che ne definiscono le tensioni interne, consistenzache determina il grado di libertà con cui portare avanti il proprio lavoro, spingen-dosi fino a perforare la massa. «Con l’esperienza [. . . ] si acquisisce la capacitàdi mantenere l’opera entro i limiti imposti dal materiale usato [. . . ]. Si può forareun blocco di pietra, il che non comporta necessariamente un suo indebolimento –se il foro ha forma, direzione e dimensioni appropriate»66. Le sculture sembranocosì generarsi a partire da un nucleo interno. «Racchiudendo lo spazio cavo la pie-tra ne lascia emergere la forma, in tutta la sua evidenza e necessità»67: la massaesterna avvolge la cavità situata al centro della composizione «come un organo vi-tale»68 mettendo «in evidenza l’interdipendenza tra la forma organica dell’oggettoscolpito, da un lato, e lo sviluppo organico del materiale, dall’altro»69.

Sassi dalle strane forme, radici, ossa, conchiglie, corazze di piccoli crostacei di-vennero inoltre i soggetti, a partire dal 1932, di una serie di disegni, a cui venne da-to il nome diTransformation Drawings. «Partendo da un oggetto e modificandoloschizzo dopo schizzo fino a che la chela di un granchio, per esempio, era tramutatain una riconoscibile figura umana sdraiata»70 Moore dimostrava la sua convinzio-ne che, «per quanti sono capaci di osservare in profondità, la forma umana puòvenir trovata in tutte le creazioni della natura»71. Questo procedimento permettedi intuire, a livello dell’elaborazione delle forme, un’analogia con il metodo del-le trasformazioni utilizzato da D’Arcy Thompson. In modo non dissimile, infatti,D’Arcy Thompson si avvaleva di un procedimento di comparazione che conduce-va «al riconoscimento di una forma come dovuta alla variazione odeformazionedi un’altra»72, secondo il presupposto sperimentale per il quale «mediante l’azionecombinata di forze appropriate qualsiasi forma della materia possa trasformarsi inun’altra»73. Sfruttando il metodo delle coordinate cartesiane, secondo modalità giànote agli artisti fin dai tempi di Dürer, D’Arcy Thompson aveva elaborato un pro-cedimento mediante il quale il profilo di un organismo, inscritto in un sistema dicoordinate, veniva studiato osservando le alterazioni della forma ottenute in segui-to alla deformazione del diagramma. Era così possibile alloscienziato confrontareorganismi appartenenti alla stessa classe zoologica, «dimostrando che le differenzetra una specie e l’altra sono essenzialmente differenze di proporzione o di relativedimensioni»74.

In particolare, lo studio delle ossa portò Moore ad un’analisi analogica fra la

66 H. Moore, “Note sulla scultura” inop. cit., p. 25.67 Ibid., pp. 25-6.68 R. Krauss,Passaggi. Storia della scultura da Rodin alla Land Art, a cura di E. Grazioli,

Mondadori, Milano 1998, p. 153.69 Ibid.70 A. Garrould, “Introduzione” in Henry Moore, vol. 2, Complete Drawings 1930-39,

The Henry Moore Foundation e Lund Humphies Publishing, London 1998, p. VIII.71 Ibid., p. IX.72 D’Arcy W. Thompson,op. cit., p. 293.73 Ibid., p. 295.74 Ibid.

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struttura umana e quella di teschi animali. «Gli ossi presentano una sorprendentepotenza strutturale unita a una forte tensione formale: questa solidità strutturalenon impedisce, tuttavia, un’estrema sottigliezza nei passaggi da una forma all’altrae una grande varietà nei tagli»75. Nella serie diElephant Skull76 sono raccoltelitografie prodotte a partire dallo studio di crani. Le formesono indagate fin nelloro interno, declinando l’interesse per le strutture in unlinguaggio fortementeevocativo. Reclining Figure, Bonedel 1982 dimostra come Moore sia in grado,sulla scorta dei suoi studi anatomici e delle sperimentazioni dei TransformationDrawings, di approdare, a partire da una forma naturale individuata come quella diun cranio, ad un’immagine autonoma in grado di suggerire la forma umana, nellaposa tipica della sua produzione.

Arte e scienza: un confronto al cospetto della natura

Guidato dalla convinzione che «la precisione numerica è la vera anima della scien-za»77 D’Arcy Thompson aveva posto l’interpretazione matematicaalla base di unascienza tradizionalmente considerata esclusivamente descrittiva come la morfolo-gia e non aveva dimostrato alcun dubbio nel ritenere che ben presto essa avrebbepotuto essere utilizzata anche nel campo della zoologia. Ciascuna delle scienzebiologiche, quindi, sembrava avviata, su di un cammino aperto per prima dalla fi-siologia, ad accostarsi progressivamente al concetto di vera scienza «ad ogni nuovalegge fisica o teorema matematico che apprende ad usare»78. Tuttavia è interes-sante valutare come l’applicazione della matematica, che «Ruggero Bacone avevachiamato [. . . ] porta et calvis scientiarum»79, può venire interpretata, tanto co-me quella di una tecnica artistica, quale atto creativo, in quanto attività mediante laquale l’uomo giunge a comprendere il mondo intorno a sé per mezzo di un linguag-gio a lui comprensibile. Essa permette infatti di tradurre in una forma economicai risultati ottenuti dall’osservazione scientifica nel suoprocesso di decodificazionedel mondo naturale, di esprimere cioè in un linguaggio comodo quei fatti utili allaconoscenza della natura80, che avevano da sempre attirato l’attenzione dell’uomo.Una tale riflessione conduce a considerare quanto i mezzi chelo sviluppo del-le metodologie di ricerca pone al servizio della scienza consentano di proseguireun’indagine le cui origini si confondono con quelle stesse della storia. Attraver-so successivi raffinamenti la scienza ha infatti ottenuto una visione più nitida edessenziale di fenomeni con cui l’uomo si è sempre confrontato, e pur se il suoprocedere può apparire come una demolizione continua, taleper cui «le rovine si

75 H. Moore, “Le qualità della scultura” inop. cit., pp. 14-5.76 Vd. Figure 16, 17, 18 e 19.77 D’Arcy W. Thompson,op. cit., p. 4.78 Ibid.79 Ibid., p. 3.80 Cfr. H. Poincaré,Il valore della scienza, a cura di F. Albergamo, La Nuova Italia, Firenze 1947,

p. 208.

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accumulino sulle rovine»81, non si può ignorare il fatto che assai spesso i rapportiche essa ha saputo instaurare tra i fenomeni siano sopravvissuti al trascorrere delleteorie e mutati d’abito siano trasmigrati di sistema in sistema, finanche ai giorninostri82. L’attività dello scienziato può dunque apparire a buon diritto a sua voltasotto il segno della creatività, poiché egli non solo immagina soluzioni possibili aproblemi che egli stesso pone, nel senso che interroga la natura con domande la cuirisposta è implicita83, ma riesce altresì a dare di volta in volta una nuova interpre-tazione del medesimo evento. Nondimeno la sua creatività è di un tipo differenterispetto a quella dell’artista: lo scienziato mira infattia comprendere, a sussume-re cioè il maggior numero di fenomeni sotto la medesima leggeo classe di leggi.Agli occhi dello scienziato le opere della natura «si muovono all’interno di quegliordinati, vasti processi di tempo e spazio che possono essere compresi da quel-l’intelligenza umana che ne è a sua volta parte»84. Dalla forma delle conchigliefino a quella delle galassie è stato in grado di ravvisare leggi comuni per struttureapparentate da somiglianze che si sono dimostrate essere non esclusivamente in-tuitive. «Ma “creare” significa qualcosa di più grande, perché la creazione compieun passo ulteriore che deve sempre basarsi sulla conoscenzae che tuttavia è oltrela conoscenza; perché le cose che l’occhio e la mente e la manopossono creare“sono infinite”»85.

La creazione artistica per Gabo è appunto il modo in cui l’uomo, accettandoi principi che sono alla base della natura86 si emancipa nei suoi confronti e divie-ne «causa ulteriore del suo accrescimento»87. Se dunque l’artista contemporaneodal contatto con la scienza ha appreso nuove forme di conoscenza che non puòesimersi dall’integrare nella visione della natura che comunica tramite le proprieopere, nondimeno egli non può limitare la propria attività ad una rielaborazionedi un linguaggio dalla funzione diversa, chiaramente definita. «La scienza inse-gna, l’arte afferma; la scienza persuade, l’arte agisce. [.. . ] La scienza è il veicolodei fatti – essa è indifferente o al massimo tollerante nei confronti delle idee chestanno alla base dei fatti. L’arte è il veicolo delle idee e ilsuo atteggiamento neiconfronti dei fatti è assolutamente parziale. La scienza guarda e osserva, l’arte ve-de e immagina»88. L’uso eclettico che Gabo fa nelle sue costruzioni dei metodi dicostruzione dei modelli matematici, di concetti come quello di spazio curvo o diimmagini mutuate dall’indagine morfologica suggerisce apertamente che le sue co-struzioni erano innanzitutto l’espressione di una visioneestetica intesa «a distillare

81 Ibid., p. 237.82 Cfr. ibid, pp. 237-38.83 T. Cook,The Curves of Life, being an Account on Spiral Formations andtheir application to

Growth in Nature, to Science and Art, Dover Publications, New York 1978, p. 22.84 Ibid., p. 21.85 Ibid., pp. 21-22.86 «Spazio e tempo sono le uniche forme su cui la vita è costruitae sulle qual pertanto l’arte deve

venir costruita». N. Gabo, «The Realistic Manifesto», cit., p 32.87 N. Gabo, “The Constructive Idea in Art” inCircle: International Survey of Constructive Arts,

cit., p. 8.88 Ibid., p. 9.

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lo spirito diffuso della visione del mondo della scienza moderna, anzichè tenderea visualizzare teorie che avrebbero potuto essere compresesolo da uno spettatoreinformato»89. Una scelta, questa, motivata certo dal desiderio di rendere la propriaarte accessibile sul piano intuitivo al più grande numero possibile di persone, mamaturata innanzitutto nella consapevolezza, propria di ogni artista, che «nulla chesia esclusivamente corretto da un punto di vista matematicopossa mostrare né lecaratteristiche della vita, né la capacità di attrazione della bellezza»90.

Affermare che «la natura esibisce semplicemente un riflessodelle forme rigo-rose contemplate dalla geometria»91 non rende forse giustizia della sua inestingui-bile fantasia, tuttavia ci fornisce una definizione facilmente applicabile anche allecostruzioni di Gabo, così come alle sculture di Arp e Moore. «Le opere d’artesono [infatti] refrattarie alle semplici formule della matematica così come lo sonoi fenomeni della vita organica»92. Nonostante l’apparente esattezza delle linee, laprecisione delle curve e delle intersezioni dei piani, non c’è formula che governi,ad esempio, la struttura diCostruzione Lineare nello Spazio n. 2. Il filo di nylondisegna ad ogni passaggio successivo un profilo diverso e la sequenza che si generain tal modo, a dispetto dell’indubbia regolarità, è composta di forme mai identiche.Concrezione Umanaallo stesso modo rappresenta una sintesi eclettica di fenomeniosservabili nei processi di crescita, dando luogo ad un’entità formale impossibileda individuare. Le sculture di Moore in misura assai più marcata sfuggono a qual-siasi schematizzazione, pur traendo la propria forma dal rispetto e dall’osservanzadi quelle forze che in natura danno luogo ai fenomeni che determinano l’aspettodel mondo sensibile.

«L’arte interpreta una natura di cui essa stessa è parte; ed èper tanto sem-plicemente logico che le sillabe della sua interpretazionepossano essere una ecoriconoscibile del linguaggio da cui esse stesse sono state ispirate»93. Raffinate dalconfronto con le leggi e le metodologie della ricerca scientifica, tali sillabe com-pongono nelle opere dei tre artisti immagini che intrattengono un rapporto anfibiocon gli ambiti contigui eppur distanti della natura e della scienza. Se è possibileparagonare la loro arte alla morfologia o alla biologia, conle quali condivide l’os-servazione della natura, del fenomeno della vita, è vero peraltro che non è esclusi-vamente l’uso del vocabolario proprio di queste scienze cheporta Gabo quanto Arpo Moore a produrre le proprie opere. Frutto di una conoscenzache non può essereridotta a quella scientifica, in esse l’intuizione gioca un ruolo fondamentale, chesi esplica non solo nella capacità di sintetizzare i caratteri dei singoli fatti naturali,ma in quella condizione più generale dell’uomo che consistenella consapevolezzadi condividere con quegli stessi fatti la propria radice. L’arte per questo è a suavolta non solo creazione, ma anche crescita. Produce forme ed immagini autono-me, genera un accrescimento nel numero infinito delle cose: sopravanza il proprio

89 M. Hammer, C. Lodder,op. cit., p. 400.90 T. Cook,op. cit., p. ix.91 D’Arcy W. Thompson,op. cit., p. 193.92 T. Cook,op. cit., p. x.93 Ibid., p. xiii.

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oggetto di indagine, divenendo a sua volta enigma affascinante per l’uomo. Lesue costruzioni istillano lo stimolo all’interpretazione, alla ricerca, quasi forse allacreazione di un’apposita biologia dell’arte che ne scandagli aspetto e strutture. Unascienza nuova, che tuttavia ha connaturato nel proprio destino quello scacco che fucomune a quante l’hanno preceduta: poiché noi possiamo analizzare le forme e ifenomeni, ma rimaniamo attoniti nel contemplare «la loro intrinseca armonia»94.

94 D’Arcy W. Thompson,op. cit., p. 11.

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Figura 1: H. Arp,Piccola Venere di Meudoun, 1958

Figura 2: Varie specie diNodosaria, Rhepohax, Sarina. La struttura di questiprotozoi unicellulari si sviluppa per stadi successivi. I foraminiferi sono formatidal tessuto morbido della cellula racchiuso per la maggior parte all’interno di unaconchiglia, che può essere singola o composta da più camere fra loro intercon-nesse, che vengono a crearsi per il successivo accumulo di gocce di protoplasma(Cfr. D’Arcy W. Thompson,op. cit., p. 101)

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Figura 3: H. Arp,Concrezione Umana,1935

Figura 4: Una goccia d’olio sospesa inun liquido di uguale densità è in equili-brio tra due anelli. Allontanando que-sti due anelli si può far assumere allagoccia la forma di un cilindro con i dueestremi sferici (A). Questo cilindro puòessere convertito in una onduloide va-riando la quantità di olio che componela goccia o la distanza degli anelli o mo-dificando la densità del liquido in cuiil cilindro è sospeso (B) (Cfr. D’ArcyW. Thompson,op. cit., p. 71)

Figura 5: Stadio della divisione cellula-re. «Quando appare un nodo di cresci-ta [. . . ] ciò ha luogo perché in un cer-ta parte della superficie della cellula latensione è diminuita, e l’area di quel-la porzione si espande di conseguenza;al contrario la tensione superficiale del-la parte espansa o estroflessa si fa senti-re e il nodo si arrotonda assumendo unaforma più o meno sferica» (Cfr. D’ArcyW. Thompson,op. cit., p. 363)

Figura 6: Schematizzazione della divi-sione cellulare. La superficie di sepa-razione e le tensioni delle pareti vengo-no studiate sperimentalmente median-te l’utilizzo di bolle di sapone, il cuicomportamento risulta analogo a quel-lo delle pareti cellulari (Cfr. D’ArcyW. Thompson,op. cit., pp. 112-5)

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Figura 7: H. Arp,Crescita, 1938

Figura 8: Schematizzazione della divisione a “S” di cellulevegetali

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Figura 9: N. Gabo,Torsione: Variazio-ne, 1962 ca.-1974

Figura 10: Costruzione diagrammaticadella Callimitra. (A) Una bolla sospe-sa in una gabbia tetraedrica; (B) una se-conda bolla dentro lo scheletro della pri-ma (Cfr. D’Arcy W. Thompson,op. cit.,p. 180)

Figura 11: Uno scheletro di Nassel-lario, Callimitra agnesae(Cfr. D’ArcyW. Thompson,op. cit., p. 179)

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Figura 12: N. Gabo,Costruzione lineare nello spazio n. 2, 1949-1972

Figura 13:Thatcheria mirabilis angas, radiografia,Turbinella napus

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Figura 14: H. Moore,Recumbent Figure, 1938

Figura 15: H. Moore,Four Piece Composition (Reclining Figure), 1934

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Figura 16: H. Moore,Elephant Skull,1970

Figura 17: Visione occipitale dei cra-ni di vari rinoceronti estinti della specieAceratherium(D’Arcy W. Thompson,op. cit., p. 335)

Figura 18: Confronto fra i crani diThitanoterium Robustume di tapiro(D’Arcy W. Thompson,op. cit., p. 336)

Figura 19: H. Moore,Reclining Figure,Bone, 1982

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