La nascita dell’idea di un’Europa unita IC dal primo ... · i due autori, l’idea di nazione...

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Progetti e ideali nel primo Novecento Nel XIX secolo, il progetto di una vasta federazione europea era stato sostenuto da Giu- seppe Mazzini, da numerosi filosofi e da vari scrittori. Tuttavia, al posto degli Stati Uni- ti d’Europa sognati da quegli intellettuali, la realtà politica effettiva aveva visto invece la crescita incontrollata dei nazionalismi, che si sarebbero scontrati senza esclusione di col- pi durante la prima guerra mondiale. Dopo il 1918, l’idea fu rilanciata su nuove e più solide basi, ma i diversi soggetti che pro- posero i propri progetti lo fecero per le ragioni più disparate. Alcuni intellettuali erano rimasti turbati dagli orrori della guerra (da più parti chiamata fratricida) e quindi proposero la federazione europea come antidoto ai nazionalismo e come strumento che, nelle loro intenzioni, avrebbe impedito per sempre il ripetersi di una catastrofe simile al conflitto esploso nel 1914. In altri casi, prevalevano invece i timori nei confronti di alcune potenze extra-europee: mentre alcuni temevano l’espansionismo degli Stati Uniti, numerosi uo- mini politici europei erano preoccupati per il cosiddetto pericolo giallo, termine con cui si indicava l’inarrestabile crescita demografica dei popoli asiatici. Nell’Inghilterra degli anni Venti e Trenta, Winston Churchill metteva invece l’accento sul comunismo, che, dopo la stabilizzazione del nuovo regime sovietico, poteva contare sulla forza della Russia e sulla sua sterminata estensione territoriale. Secondo lo statista britan- nico, l’Europa avrebbe potuto salvarsi solo dando vita a una vasta entità politica federa- le, capace di competere alla pari con l’URSS e di affiancarsi all’impero britannico nella gestione dell’equilibrio interna- zionale. Churchill, di fatto, teorizzò quella che sarebbe sta- ta per molto tempo la posizione ufficiale inglese nel secon- do dopoguerra: approvazione assoluta del progetto di Unio- ne Europea, accompagnata però da un sostegno puramen- te esterno, visto che la Gran Bretagna dichiarò inizialmen- te di non voler assolutamente far parte della nuova federa- zione continentale (qualora essa avesse davvero preso vita). Solo la progressiva crisi e la smobilitazione dell’impero avreb- bero infine spinto i governi inglesi su posizioni differenti. La grande crisi esplosa nel 1929 fu un’altra importante oc- casione per discutere sui progetti europei. Il britannico John Maynard Keynes e altri economisti proposero che l’emer- genza non fosse affrontata da ciascun Paese in modo autonomo, con proprie misure protezionistiche. Al contrario, si pensava che solo un fronte comune e provvedimenti con- cordati avrebbero permesso agli Stati europei di uscire dal- la depressione. Il progetto di un’Europa capace di gestire la crisi, tuttavia, non decollò mai, mentre Hitler e altre forze La nascita dell’idea di un’Europa unita dal primo Novecento a oggi 1 UNITÀ 14 La nascita dell’idea di un’Europa unita dal primo Novecento a oggi F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 APPROFONDIMENTO B CULTURA E IDEOLOGIE John Maynard Keynes. Parte l’idea di una federazione europea

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Progetti e ideali nel primo Novecento Nel XIX secolo, il progetto di una vasta federazione europea era stato sostenuto da Giu-seppe Mazzini, da numerosi filosofi e da vari scrittori. Tuttavia, al posto degli Stati Uni-ti d’Europa sognati da quegli intellettuali, la realtà politica effettiva aveva visto invece lacrescita incontrollata dei nazionalismi, che si sarebbero scontrati senza esclusione di col-pi durante la prima guerra mondiale. Dopo il 1918, l’idea fu rilanciata su nuove e più solide basi, ma i diversi soggetti che pro-posero i propri progetti lo fecero per le ragioni più disparate. Alcuni intellettuali eranorimasti turbati dagli orrori della guerra (da più parti chiamata fratricida) e quindi proposerola federazione europea come antidoto ai nazionalismo e come strumento che, nelle lorointenzioni, avrebbe impedito per sempre il ripetersi di una catastrofe simile al conflittoesploso nel 1914. In altri casi, prevalevano invece i timori nei confronti di alcune potenzeextra-europee: mentre alcuni temevano l’espansionismo degli Stati Uniti, numerosi uo-mini politici europei erano preoccupati per il cosiddetto pericolo giallo, termine con cuisi indicava l’inarrestabile crescita demografica dei popoli asiatici. Nell’Inghilterra degli anni Venti e Trenta, Winston Churchill metteva invece l’accento sulcomunismo, che, dopo la stabilizzazione del nuovo regime sovietico, poteva contare sullaforza della Russia e sulla sua sterminata estensione territoriale. Secondo lo statista britan-nico, l’Europa avrebbe potuto salvarsi solo dando vita a una vasta entità politica federa-le, capace di competere alla pari con l’URSS e di affiancarsiall’impero britannico nella gestione dell’equilibrio interna-zionale. Churchill, di fatto, teorizzò quella che sarebbe sta-ta per molto tempo la posizione ufficiale inglese nel secon-do dopoguerra: approvazione assoluta del progetto di Unio-ne Europea, accompagnata però da un sostegno puramen-te esterno, visto che la Gran Bretagna dichiarò inizialmen-te di non voler assolutamente far parte della nuova federa-zione continentale (qualora essa avesse davvero preso vita).Solo la progressiva crisi e la smobilitazione dell’impero avreb-bero infine spinto i governi inglesi su posizioni differenti.La grande crisi esplosa nel 1929 fu un’altra importante oc-casione per discutere sui progetti europei. Il britannico JohnMaynard Keynes e altri economisti proposero che l’emer-genza non fosse affrontata da ciascun Paese in modoautonomo, con proprie misure protezionistiche. Al contrario,si pensava che solo un fronte comune e provvedimenti con-cordati avrebbero permesso agli Stati europei di uscire dal-la depressione. Il progetto di un’Europa capace di gestire lacrisi, tuttavia, non decollò mai, mentre Hitler e altre forze

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CULTURAE IDEOLOGIE

John Maynard Keynes.

Parte l’idea di unafederazione europea

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nazionaliste salivano al potere e preparavano un nuovo conflitto. Gli anni della seconda guer-ra mondiale videro la provvisoria realizzazione di una particolare forma di unità europea,all’insegna della razza ariana e dell’anticomunismo; inutile precisare che il nuovo ordine eu-ropeo nazista non aveva nulla in comune con i progetti o gli ideali precedenti, di cui anziera la completa negazione, visto che era nato sotto il segno della sopraffazione, della violenzae della supremazia della Germania su tutti gli altri Stati d’Europa.Il movimento di resistenza al nazismo non prestò in genere molto interesse agli ideali eu-ropeistici. In effetti, in vari Paesi occupati il fenomeno partigiano era guidato dai comu-nisti, che avevano una propria idea della fratellanza internazionale fra i popoli; essi, inol-tre, avevano ben chiaro che, per Churchill e altri statisti conservatori, l’unità europea do-veva essere costruita, principalmente, in funzione antirussa e antisovietica. In Francia, vi-ceversa, il movimento di resistenza era animato dal desiderio di riscattare l’onore nazio-nale infangato dalla resa del 1940, ma, ovviamente, patriottismo e sforzo di riportare inalto il prestigio della Francia si conciliavano male con i progetti europeistici: questi, in-fatti, avrebbero richiesto il sacrificio di una parte della sovranità dei singoli Stati a van-taggio della comune federazione.

Altiero Spinelli e il Manifesto di VentoteneDurante la guerra, l’interesse maggiore per i progetti di respiro continentale da realizza-re a conflitto finito si manifestò in Germania e in Italia. All’interno del mondo tedesco,l’idea di una futura integrazione politica europea fu sostenuta dal circolo di Kreisau, ungruppo di intellettuali e funzionari conservatori antinazisti, decisi a preparare un nuovomondo alternativo a quello hitleriano. Nel 1943, questi uomini (ricordiamo, ad esempio,Carl Goerdeler) sognavano una moneta comune europea, la fine delle barriere doganalie una gestione comune (sopranazionale) delle risorse, delle materie prime essenziali al-l’industria pesante, delle infrastrutture e dei trasporti. Su scala più ridotta, progetti similifurono subito accolti dai governi di Belgio, Olanda e Lussemburgo, che poco dopo la finedel conflitto diedero vita al Benelux, un’area territoriale ampiamente integrata sotto il pro-filo economico e commerciale.In Italia, la forza politica che mostrò il maggior interesse per le tematiche di natura eu-ropea fu il Partito d’Azione, che si presentava come un movimento di sinistra e progres-

sista, ma nel medesimo tempo voleva nettamente distinguersi daicomunisti. In un documento del dicembre 1944, il Partito d’A-zione arrivò a chiedere che, nella futura Costituzione italiana, fos-se proclamato il principio secondo il quale «la sovranità assolu-ta di cui dispone lo Stato italiano» doveva essere considerata «prov-visoria»; nel medesimo tempo, la Carta costituzionale avrebbe do-vuto impegnare i futuri governi ad «adottare una politica esterache non pregiudichi la sua adesione ad una federazione».Le basi teoriche dell’europeismo azionista erano state gettate nel1941 da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, che si trovavano alconfino nell’isola di Ventotene (nel Tirreno meridionale): insie-me stesero un breve testo intitolato Per un’Europa libera e unita.Progetto d’un manifesto. Il documento (noto come Manifesto diVentotene) inizia individuando nell’imperialismo e nel naziona-lismo le cause del secondo conflitto mondiale. In origine, secondoi due autori, l’idea di nazione era stata «un potente lievito di pro-gresso»; con il passar del tempo, tuttavia, essa si era invece tra-sformata in una concezione pericolosissima per l’umanità, nellamisura in cui la nazione «è invece divenuta un’entità divina, unorganismo che deve pensare solo alla propria esistenza ed al pro-prio sviluppo, senza in alcun modo curarsi del danno che gli al-tri possano risentirne. La sovranità assoluta degli Stati naziona-li ha portato alla volontà di dominio di ciascuno di essi, poiché

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Altiero Spinelli.

Il circolo di Kreisau

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ciascuno si sente minacciato dalla potenza degli altri e considera suo spazio vitale terri-tori sempre più vasti, che gli permettano di muoversi liberamente e di assicurarsi i mez-zi di esistenza, senza dipendere da alcuno. Questa volontà di dominio non potrebbe ac-quetarsi che nella egemonia dello Stato più forte su tutti gli altri asserviti».A giudizio di Spinelli e Rossi, la sconfitta della Germania e del nazismo erano con-dizioni indispensabili per una ripresa del cammino in direzione di un’Europa più li-bera e più giusta; però, per il dopoguerra, l’esempio di quanto era accaduto dopo il 1918dimostrava che il problema andava affrontato alla radice, impedendo la rinascita dei vec-chi organismi statali, dotati di sovranità. Anche se, al posto delle dittature totalitarie, fos-sero nate delle democrazie capaci di lasciare ampi spazi di azione politica alle classi lavo-ratrici, il pericolo di un rinnovato nazionalismo sarebbe stato sempre in agguato, affian-cato dalla tentazione di sostenere unilateralmente i propri interessi, a danno degli altri.Secondo Spinelli, poiché «lo Stato nazionale è organicamente inadatto a vedere gli inte-ressi di tutti i popoli», l’atmosfera sarebbe stata in breve tempo di nuovo avvelenata dal-la competizione tra i vari Stati, generando una insopportabile tensione che avrebbe po-tuto facilmente portare a un ennesimo conflitto europeo. Pertanto, il solo cambiamentoveramente rivoluzionario, l’unico che avrebbe garantito all’Europa una pace duratura, sa-rebbe stato l’abolizione delle sovranità nazionali e la loro sostituzione con una fe-derazione di soggetti dotati di pari diritti e uguali doveri.

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DOCUMENT IIl progetto di una federazione europeaIl cosiddetto Manifesto di Ventotene fu steso da Altiero Spinelli e da Ernesto Rossi nel 1941. Spi-

nelli ne scrisse la maggior parte (circa tre quarti). In un primo tempo, il documento circolò in forma clan-destina, sotto forma di dattiloscritto ciclostilato. Più tardi, nel 1944, trovò ampia diffusione per operadi Eugenio Colorni, che lo pubblicò insieme ad altri due scritti di Spinelli: questi documenti esortavanole forze politiche a mettere il federalismo a base della loro azione politica.

Il problema che in primo luogo va risolto e fallendo il quale qualsiasi altro progresso nonè che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in Stati nazionali so-vrani. Il crollo della maggior parte degli Stati del continente sotto il rullo compressore tede-sco ha già accomunato la sorte dei popoli europei, che, o tutti insieme soggiaceranno al do-minio hitleriano, o tutti insieme entreranno, con la caduta di questo, in una crisi rivoluzionariain cui non si troveranno irrigiditi e distinti in solide strutture statali. Gli spiriti sono già ora moltomeglio disposti che in passato ad una riorganizzazione federale dell’Europa. La dura espe-rienza degli ultimi decenni ha aperto gli occhi anche a chi non voleva vedere, ed ha fatto ma-turare molte circostanze favorevoli al nostro ideale.

Tutti gli uomini ragionevoli riconoscono ormai che non si può mantenere un equilibrio diStati europei indipendenti, con la convivenza della Germania militarista a parità di condizionidegli altri Paesi, né si può spezzettare la Germania e tenerle il piede sul collo una volta chesia vinta. Alla prova, è apparso evidente che nessun Paese in Europa può restarsene da partementre gli altri si battono, a niente valendo le dichiarazioni di neutralità e di patti di non ag-gressione. È ormai dimostrata l’inutilità, anzi la dannosità di organismi sul tipo della Societàdelle Nazioni, che pretendeva di garantire un diritto internazionale senza una forza militarecapace di imporre le sue decisioni e rispettando la sovranità assoluta degli Stati partecipanti.Assurdo è risultato il principio del non intervento, secondo il quale ogni popolo dovrebbe es-sere lasciato libero di darsi il governo dispotico che meglio crede, quasi che la costituzioneinterna di ogni singolo Stato non costituisse un interesse vitale per tutti gli altri Paesi euro-pei. Insolubili sono diventati i molteplici problemi che avvelenano la vita internazionale delcontinente – tracciato dei confini nelle zone di popolazione mista, difesa delle minoranze al-logene [estranee, cioè diverse dal gruppo di maggioranza presente in uno Stato nazionale,n.d.r.], sbocco al mare dei Paesi situati nell’interno, questione balcanica, questione irlandese,ecc. – che troverebbe nella Federazione Europea la più semplice soluzione – come l’hannotrovata in passato i corrispondenti problemi degli staterelli entrati a far parte della più vasta

Il nazionalismo,nemicodell’integrazioneeuropea

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Le difficoltà del dopoguerraAl termine della seconda guerra mondiale, l’Europa era disperata e disorientata. Come dis-se Churchill in un discorso pronunciato a Zurigo il 19 settembre 1946 «in vaste regioni,masse di esseri umani affamati e impauriti si aggirano tra le rovine delle proprie città edelle proprie case, esplorando un orizzonte buio, nel timore di vedere apparire qualchenuova forma di tirannia e di terrore». In queste parole, mentre da un lato descriveva conefficacia la condizione materiale di milioni di italiani, tedeschi o francesi, che avevano let-teralmente perso tutto a seguito della violenza bellica, lo statista britannico esprimeva an-che la propria principale preoccupazione, condivisa da gran parte degli uomini politicieuropei: il timore che i comunisti riuscissero ad approfittare della situazione di caose povertà generalizzata, per conquistare il potere, proprio com’era accaduto nella Rus-sia del 1917. Questa preoccupazione era condivisa anche da numerosi uomini vicini al presidente ame-ricano Harry Truman, in particolare dal segretario di Stato James Byrnes, che si dichiaròdisponibile a contribuire alla ricostruzione della Germania e a far sì che essa recuperasseal più presto il suo posto tradizionale di forza trainante dell’economia europea. QuandoByrnes lasciò il proprio incarico a George Marshall, le dichiarazioni di principio si tra-sformarono poi in un preciso e vasto progetto di aiuti economici (il cosiddetto piano Mar-shall), che prevedeva anche la possibilità di un eventuale sviluppo della situazione politi-ca europea in direzione federale. Una risoluzione approvata dal parlamento americano il22 marzo 1947 dichiarava esplicitamente che «il Congresso degli Stati Uniti favorisce lacreazione degli Stati Uniti d’Europa». In effetti, rilancio dell’economia e integrazionepolitico-militare parevano al governo statunitense, nell’immediato dopoguerra, la mi-gliore ricetta possibile, capace di contrastare sia le ambizioni espansionistiche del-l’URSS sia la forza elettorale dei partiti di sinistra, che potevano contare sull’appoggio dimilioni di operai disoccupati e privi di alternative.Il progetto di una federazione europea, dunque, cambiava di segno politico. Se nel Ma-nifesto di Ventotene tale progetto era stato lanciato come un ideale progressista, capace ditrascendere e superare (da sinistra) perfino i progetti comunisti, negli anni seguenti il 1947fu monopolizzato dalle forze che si opponevano a radicali cambiamenti sociali e, anzi, ve-

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B DOCUMENT Iunità nazionale avendo perso la loro acredine, col trasformarsi in problemi di rapporti fra lediverse province. […]

La linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai non lungola linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo daistituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa quelli che concepisconocome fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale– e che faranno, sia pure involontariamente, il gioco delle forze reazionarie lasciando solidi-ficare la lava incandescente delle passioni popolari nel vecchio stampo, e risorgere le vec-chie assurdità – e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido Statointernazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistatoil potere nazionale, lo adopreranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unitàinternazionale.

A. SPINELLI- E. ROSSI, Il Manifesto di Ventotene, Milano, RCS Quotiniani, 2010, pp. 9-31

Che cosa era la Società delle Nazioni? Ti ricordi quando nacque? Da quale organismo è statasostituita nel 1945?

In quale misura, secondo il tuo parere, il progetto di Spinelli e Rossi ha trovato realizzazione?

Le preoccupazionidi Churchill

nel dopoguerra

La posizione degli Stati Uniti

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devano nell’Unione degli Stati del continente il più efficace baluardo contro i sovietici.Europeismo ed atlantismo (nel senso di alleanza con gli Stati Uniti in un contesto di ten-sione, di guerra fredda, sempre più evidente) finivano per fondersi. Nel medesimo tempo, l’urgenza di rilanciare l’industria e la produzione spingeva nel-la direzione di accelerare i tempi dell’integrazione economica, di dare la precedenzaa quest’ultima, e non ai temi politici. Di conseguenza, le posizioni dei federalisti (che vo-levano una drastica riduzione della sovranità dei vari Stati, considerata come la principaleradice delle guerre del XX secolo) furono sempre più sovrastate da quelle dei funzionali-sti, che ragionavano in termini di integrazione dei mercati, di abolizione delle dogane, dilibera circolazione delle merci o dei capitali, ma non mettevano affatto in discussione ilprincipio della sovranità dei singoli soggetti nazionali. L’eventuale trasferimento di po-teri politici a un vero (e forte) potere sovra-nazionale, a giudizio dei funzionalisti, dove-va avvenire in modo lento e graduale, non in modo rapido, come invece volevano i fe-deralisti alla Spinelli. Sarebbe stato il traguardo, non il punto di partenza dell’intero iti-nerario, come dichiarò il primo ministro francese Robert Schuman, al momento della na-scita della Comunità del carbone e dell’acciaio (prima vera e importante successo della stra-tegia funzionalista): «L’Europa non verrà creata tutta in una volta e secondo un unico pro-getto generale, ma verrà costruita attraverso realizzazioni concrete, dirette a creare soli-darietà reali».

Carbone, acciaio e difesa: successi e fallimenti Schuman era approdato alla direzione della politica francese nel luglio 1948. Tra i suoiconsiglieri spiccava Jean Monnet, che va considerato il vero artefice della CECA, la già men-zionata Comunità del carbone e dell’acciaio, creata con un accordo siglato a Parigi il18 aprile 1951. Il trattato prevedeva la nascita di un’Alta Autorità (alla cui presidenza fuassegnato, nel 1952, lo stesso Monnet), che era un’istituzione dotata di ampi poteri nel-la gestione della produzione e della commercializzazione del carbone e dell’acciaio di Fran-cia, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Italia. L’Inghilterra, dal canto suo, rifiutòpolemicamente di entrare a far parte della nuova Comunità. Come dichiarò Churchill «nonpotremmo mai accettare un’autorità sopranazionale con il potere di dirci di non estrarrepiù carbone e di non produrre più acciaio, e di coltivare invece pomodori». A partire daquesto momento, il Regno Unito non svolse più alcun ruolo importante nella promozionedell’unificazione europea e l’iniziativa passò invece a Francia e Germania. In virtù del trattato, la Francia ottenne che le sue industrie potessero contare su un re-golare rifornimento di carbone tedesco, ma, nello stesso tempo, veniva rassicurata sul fat-to che nessun programma di riarmo (auspicato dagli Stati Uniti, in funzione antisovieti-

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Fotografia che raffiguraalcuni rappresentantidegli Stati membri dellaCECA.

Federalistie funzionalisti

18 aprile 1951:nasce la ceca

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Parigi 1954. Nellacapitale francese si

incontrano il primoministro padrone dicasa, Pierre Mendes, il cancelliere tedesco

Konrad Adenauer, il primo ministro

inglese Anthony Edene il segretario di Stato

americano John FosterDulles.

La discussione sul riarmo tedesco

ca e, ovviamente, basato sulla produzione di acciaio) avrebbe potuto essere intrapreso daitedeschi senza un rigoroso controllo degli altri Paesi europei. Quanto alla Germania Fe-derale (nata nel 1949 e guidata, all’epoca, dal cancelliere Conrad Adenauer, democristiano)otteneva il suo primo importante successo diplomatico: riuscì infatti a ritornare a pienotitolo nel gruppo dei Paesi occidentali, senza subire alcuna punizione o penalizzazione peril suo recente passato nazista.Il significato storico dell’accordo è fondamentale, se solo si tiene conto che i due principalisoggetti – Francia e Germania – dopo un conflitto che durava dal 1871, nel 1950 gettaro-no le basi per una collaborazione solida e duratura, che tutti fino a poco tempo prima avreb-bero ritenuto impossibile. Sulla carta, l’accordo dichiarava di voler essere «il primo passo ver-so una federazione europea», e in effetti esso comportava un trasferimento di sovranità dagliStati a un’entità sopranazionale. La CECA, tuttavia, era una realtà quanto mai limitata e set-toriale: e in un’ottica veramente federalista, ciò costituiva il suo limite più evidente.Se si voleva procedere oltre, bisognava affrontare i delicati temi della creazione di un veroesercito europeo e degli armamenti. In altri termini, si sarebbe dovuto dar vita a una Co-munità europea di difesa (o CED). All’inizio degli anni Cinquanta, la questione era tutt’altroche accademica o puramente teorica, visto che era in corso la guerra di Corea e in Europaera molto diffuso il timore che Stalin potesse lanciare un’offensiva nel Vecchio continente,approfittando del fatto che un gran numero di soldati americani era impegnato in Asia. Inquesto clima, dall’Inghilterra, Churchill fu tra i primi a lanciare l’idea di un esercito euro-peo unificato, operante in stretto contatto con quelli del Canada e degli Stati Uniti. Secondolo statista britannico, la Germania non poteva assolutamente essere esclusa da questo pro-getto: pertanto, si doveva accettare l’idea di un riarmo tedesco e procedere a una nor-malizzazione della Germania ovest anche sotto il profilo militare, dopo che la CECA ave-va già contribuito alla sua integrazione nella vita economica dell’Occidente.Il rapido riarmo della Germania era visto molto favorevolmente dagli Stati Uniti e, in Eu-ropa, sia dal governo italiano, guidato da Alcide De Gasperi, sia da quello olandese. Du-rissimo e categorico, invece, fu il rifiuto dei francesi, che si opponevano a priori all’ideadi un esercito tedesco, giudicavano prematura la creazione di un Ministero della Difesanella Germania Federale e, soprattutto, temevano che quest’ultima, una volta riarmata,diventasse il principale alleato degli USA in Europa, a scapito della Francia. Pertanto, quan-do fu chiamata a discutere il progetto di una Comunità europea di difesa, a larga maggioranza(319 contro 264) l’Assemblea nazionale di Parigi respinse il piano, affossando con essoanche qualsiasi tentativo di far evolvere in tempi brevi la CECA in federazione.

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DOCUMENT ILa Dichiarazione SchumanIl 9 maggio 1950, il primo ministro francese Robert Schuman tenne un importante discorso, nel qualeannunciava la piena disponibilità della Francia a costruire una Comunità europea del carbone e del-l’acciaio. Dal testo emerge con chiarezza la strategia politica dei primi artefici della Comunità Econo-mica Europea e, in particolare, di Jean Monnet, stretto collaboratore di Schuman. La federazioneeuropea non era concepita come il punto di inizio, ma il risultato finale di una serie di azioni concrete,limitate a un solo specifico settore, in cui la sovranità dei vari Stati cedeva il posto ad un’autorità di re-spiro più ampio di quelle nazionali.

La pace mondiale non potrà essere salvaguardata senza sforzi creativi proporzionati aipericoli che la minacciano. Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può offrire allaciviltà è indispensabile per il mantenimento di rapporti pacifici. La Francia, da oltre vent’annipaladina dell’Europa unita, persegue da sempre un obiettivo essenziale: servire la pace. L’Eu-ropa non è stata fatta, abbiamo avuto la guerra. L’Europa non verrà fatta in una volta sola,né potrà essere costruita tutta insieme. Essa vedrà la luce at-traverso realizzazioni concrete che permettano dicreare innanzitutto una solidarietà di fatto. L’u-nione delle nazioni europee esige chevenga eliminata la secolare contrappo-sizione tra Francia e Germania: l’a-zione intrapresa deve riguardare inprima istanza Francia e Germania.

A tal fine, il governo francesepropone di agire immediatamentesu un punto circoscritto e tuttaviadecisivo.

Il governo francese proponedi porre l’intera produzionefranco-tedesca del carbone e del-l’acciaio sotto un’Alta Autorità co-mune, nel quadro di un’organizza-zione a cui possano aderire altri paesieuropei.

La condivisione delle produzioni dicarbone e acciaio garantirà immediata-mente la creazione di basi comuni di sviluppoeconomico, prima tappa della Federazione europea, ecambierà il destino di quelle regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbrica-zione di armi da guerra, armi di cui sono state le vittime più frequenti. Il legame di solida-rietà produttiva che verrà a crearsi in tal modo renderà manifesto che una guerra tra Fran-cia e Germania diventa non solo impensabile, ma anche materialmente impossibile. Larealizzazione di questa potente unità di produzione – aperta a tutti i paesi che desidere-ranno prendervi parte e il cui scopo è quello di fornire a tutti i paesi in essa riuniti gli ele-menti basilari della produzione industriale a pari condizioni – getterà le fondamenta realidella loro unificazione economica.

R. Schuman - K. Adenauer - J. Monnet - A. De Gasperi, La costruzione dell’Italia unita, Roma, Gruppo Editoriale L’Espresso, 2011, pp. 19-21. Traduzione di L. Cisbani

Spiega l’affermazione: «L’azione intrapresa deve riguardare in prima istanza Francia e Germania».

Spiega le ragioni per cui una guerra tra Francia e Germania sarebbe diventata «non soloimpensabile, ma anche materialmente impossibile».

Che cosa distingue la posizione di Schuman e di Monnet, da quella di Altiero Spinelli?

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Medagliacommemorativa dei “padri storici” del progetto europeo:il francese Schuman,il tedesco Adenauer e l’italiano De Gasperi.

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Il trattato di RomaFallito il progetto di un esercito integrato e unificato, l’idea di un’Unione Europea sem-brava priva di qualsiasi futuro. Nei Paesi del Benelux, tuttavia, si fece strada l’ipotesi diuna nuova strategia, diversa sia da quella rigorosamente settoriale di Jean Monnet e del-la CECA, sia da quella che si proponeva di realizzare in tempi brevi importanti fusioni alivello politico e militare. La nuova idea, che ben presto trovò sostenitori in Germania ein Italia, era quella del Mercato comune; il terreno su cui si sarebbe operato sarebbe statosolo quello della cooperazione economica, cosicché in tutti gli altri campi (primi fra tut-ti la difesa e la politica estera) gli Stati non avrebbero ceduto quasi nulla della propria so-vranità. L’approccio rispetto alla CECA, però, era di tipo affatto diverso, visto che l’inte-ro mondo dell’economia (e non solo uno o più settori) sarebbe stato coinvolto.Quando anche il governo francese si convinse della fattibilità del progetto, si giunse al trat-tato di Roma, siglato il 25 marzo 1957, nella capitale italiana, in Campidoglio. Il docu-mento principale istituì la cosiddetta Comunità Economica Europea e ne riassumeva ifini in questo modo: «promuovere, mediante l’instaurazione di un mercato comune e ilgraduale riavvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, un’espansionecontinua ed equilibrata, una stabilità accresciuta, un miglioramento sempre più rapidodel tenore di vita e più strette relazioni fra gli Stati che ad essa partecipano».A livello operativo, il trattato prevedeva, in primo luogo, l’abolizione di qualunque tariffadoganale all’interno della nuova vasta area economica che veniva istituita e che comprendevasei Paesi: Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo. In altri termini, quan-do il trattato fosse andato a completo regime, non ci sarebbe più stata alcuna differenzatra la vendita di una merce all’interno di un dato Paese e un’esportazione effettuata in unodei sei Stati membri della CEE. Ad esempio, un automobile fabbricata in Germania, mavenduta in Italia, non avrebbe subito alcuna penalizzazione o variazione di prezzo, datoche il Paese importatore non avrebbe più potuto imporre alcun dazio protezionistico suiprodotti provenienti da un altro Stato che faceva parte dell’unione doganale. Inoltre, daallora in avanti, tutti i Paesi firmatari avrebbero agito insieme e si sarebbero comportatinella stessa maniera, nei confronti di soggetti estranei alla CEE (come, ad esempio, la GranBretagna, gli Stati Uniti o il Giappone). In secondo luogo, per mantenere elevati i prezzi delle derrate agricole, gli organi diretti-

vi della Comunità avrebbero fissato precise regole e indicazioni, ca-paci di impedire gli improvvisi crolli delle quotazioni dei prodot-ti, provocati da eventuali eccessi di produzione. L’entrata in vigo-re del trattato venne fissata al 1° gennaio 1958; ci si diede comunqueun margine di dieci anni perché il meccanismo potesse decollare etutti i dazi interni fossero gradualmente cancellati senza conseguenzeeccessivamente dannose.Nel lungo percorso che portò al trattato di Roma, secondo vari sto-rici svolse un ruolo determinante la crisi di Suez dell’autunno del1956. Dopo che l’Egitto di Nasser aveva nazionalizzato il canale diSuez, Francia e Inghilterra erano intervenuti militarmente inquella delicata area strategica, ma la loro azione era stata pesante-mente condannata da USA e URSS, per una volta uniti e concordi.La minaccia americana di sospendere a Francia e Gran Bretagna qual-siasi aiuto finanziario obbligò i governi di Parigi e di Londra a unrepentino ritiro delle proprie forze.La debolezza dell’Europa emerse con una chiarezza lampan-te. Tuttavia, mentre Londra scelse di appoggiarsi in maniera ancorapiù stretta agli Stati Uniti, la Francia decise di guardare di nuovoall’Europa: a livello operativo, dapprima si fece promotrice di untrattato sull’energia atomica (promosso da Jean Monnet, secondola logica settoriale che aveva portato alla nascita della CECA, e infi-ne denominato Euratom) e poi accettò di entrare nella ComunitàEconomica Europea.

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Soldati inglesi issano labandiera della marinada guerra a Port Said,sul canale di Suez, nel1956. Il controllo del

canale da parte diInghilterra e Francia

durerà però ancora soloun paio di mesi: un

segnale evidente delladebolezza europea.

25 marzo 1957:viene istituita la

Comunità EconomicaEuropea

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Gli anni SessantaNel 1961, l’Inghilterra manifestò evidenti segni di ripensamento e intraprese i primi pas-si diplomatici per entrare nella CEE. Per tutti gli anni Sessanta, tuttavia, la candidatura bri-tannica venne fermamente avversata dal governo di Parigi, guidato dal generale CharlesDe Gaulle. Deciso oppositore a ogni evoluzione in senso federale della Comunità, il pre-sidente dimostrò di non aver affatto compreso la lezione di Suez, continuando a sogna-re una Francia capace di farsi valere a livello internazionale come terza forza, sog-getto paritetico rispetto a Stati Uniti e URSS. Il generale accettava che l’economia del suoPaese fosse in qualche modo regolata da meccanismi di tipo sopranazionale, ma amavaribadire che «gli interessi francesi non hanno altri tutori che il governo francese». Tutto sommato, il settore economico che maggiormente stava a cuore alla Francia era quel-lo agricolo, visto che ben il 17% della popolazione viveva ancora nelle campagne. L’esi-stenza della CEE garantiva a questi contadini francesi alti dazi doganali sui cereali statu-nitensi o canadesi e, viceversa, i prezzi elevati previsti dalla Comunità per le derrate pro-dotte dagli agricoltori europei, visto che gli organismi comunitari si impegnavano ad ac-quistare tutta la produzione in eccesso. Dati questi vantaggi essenziali, che rendevano l’a-gricoltura europea «un settore completamente impermeabile alle leggi di mercato» (G. Mam-marella), De Gaulle non poteva permettersi di uscire dalla CEE. Il suo progetto era quello di un’Europa in cui la Francia fosse il centro della politica con-tinentale: il che lo spingeva a considerare gli Stati Uniti un alleato troppo ingombrante,la Gran Bretagna un potenziale concorrente per la supremazia in Europa, la CEE uno stru-mento da tenere sotto controllo, sfruttare o respingere, a seconda degli interessi france-si. Gli altri Paesi della Comunità, tuttavia, non seguirono mai il generale sulla strada cheegli proponeva loro, non volendo rinunciare affatto a buone relazioni con gli Stati Uni-ti, indispensabili a livello militare, per quanto il clima internazionale degli anni Sessan-ta fosse decisamente più disteso di quello dell’immediato dopoguerra. Le relazioni tra laCEE e la Francia furono spesso tese, ma accordi e compromessi vennero comunquetrovati su singoli concreti problemi. In tal modo, la Comunità riuscì ugualmente a fun-zionare come strumento di regolazione dell’economia europea e a trasformarsi in uno straor-dinario strumento di sviluppo economico: tra il 1958 e il 1965, la produzione industrialedei sei Paesi CEE crebbe del 52%, le espor-tazioni verso Paesi terzi (non membri dellaComunità) aumentarono del 51%, mentreil commercio intercomunitario registrò unincremento del 166%. Quando De Gaulle si allontanò dalla scenapolitica, nel 1969, il suo posto fu preso daGeorges Pompidou, che fin dall’inizio delsuo mandato presidenziale si mostrò di-sponibile a dialogare con la Gran Bretagna.Le ragioni della svolta francese vanno cercatenella nuova politica tedesca, condotta dalcancelliere Willy Brandt e denominata Ost-politik. Negli anni in cui fu guidata daBrandt, infatti, la Germania federale iniziòa guardare con occhi nuovi ai Paesi comu-nisti dell’Est, con i quali bisognava, a giu-dizio del cancelliere, convivere e collabora-re. Il sogno di Gaulle era stato quello di at-tirare la Germania in un blocco politico for-te, guidato dalla Francia; la politica diBrandt non significava per nulla che lo Sta-to tedesco si allontanava dagli Stati Uniti: tut-tavia, era nel medesimo tempo un eviden-te rifiuto dell’invito francese e il segno di una

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Il progettofrancese

Willy Brandt con il presidente americanoKennedy, fotografia del 1961.

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rinnovata e dinamica iniziativaautonoma. Nacque da questa con-statazione la nuova linea di Pom-pidou, determinato a ricreare unlegame forte con l’Inghilterra, perbilanciare la ritrovata energia dei te-deschi. D’altra parte, il presidentefrancese poteva contare sul fatto cheanche gli inglesi, come il governodi Parigi, era contrario a qualsiasievoluzione in senso federale degliaccordi puramente economici chelegavano i Paesi della CEE.La questione fu affrontata in unalunga serie di incontri al vertice etrovò inizialmente alcuni ostacolidi non facile soluzione. La GranBretagna, infatti, aveva relazioni

privilegiate con vari Paesi del Commonwealth e chiedeva che questi rapporti fossero con-servati; inoltre, vi era lo scoglio dei prezzi agricoli: entrando nella CEE, i consumatori bri-tannici li avrebbero visti lievitare, considerata la tradizionale politica comunitaria di so-stegno all’agricoltura.

L’allargamento della ComunitàIl Parlamento di Londra votò l’ingresso del Regno Unito nella CEE il 28 ottobre 1971,con 356 voti a favore, 244 contrari e 22 astensioni. Nel medesimo anno, furono accolteanche Irlanda e Danimarca. In Norvegia, il governo sostenne una politica analoga, ma quan-do venne proposto ai cittadini un referendum relativo all’ingresso o meno nella Comu-nità, i norvegesi bocciarono l’idea con una maggioranza del 53,3%. La Norvegia, pertanto,è tuttora fuori dall’Unione Europea.In tutti gli Stati europei fu necessario approvare l’allargamento della CEE ai nuovi mem-bri, e la ratifica avvenne con procedure differenti, Paese per Paese. La Francia scelse il re-ferendum: i favorevoli alla nuova linea del presidente risultarono 10 502 756, a fronte di5 008 469 elettori contrari alla partecipazione dell’Inghilterra alla Comunità; numero-sissimi gli astenuti, circa 11 milioni e mezzo. Si trattava di numeri che mandavano un mes-saggio decisamente chiaro: moltissimi francesi guardavano all’idea di allargare la CEE connotevole scetticismo, anche se riconoscevano che non c’era un’autentica alternativa. In Ita-lia, poiché non è previsto l’uso del referendum per i trattati internazionali, la ratifica fuaffidata al Parlamento; in questa sede (5 dicembre 1972, alla Camera; 19 dicembre 1972,al Senato), la grande novità storica fu rappresentata dal PCI, che non giudicò più la CEE

come un puro strumento tecnico del capitalismo o, peggio, una macchinazione antiso-vietica. Deputati e senatori comunisti, pertanto, non votarono contro l’allargamento del-la CEE a Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca, ma scelsero l’astensione.La nuova Comunità allargata diventava la prima potenza commerciale del mondo,nonché la più grande produttrice mondiale di acciaio e di automobili. Con i suoi 252 mi-lioni di abitanti, anche in termini di popolazione complessiva la CEE superava sia gli Sta-ti Uniti (205 milioni) che l’URSS (242 milioni), mentre il Prodotto Interno Lordo (cioè laricchezza complessivamente prodotta) restava molto inferiore a quello americano: il PIL

europeo, infatti, era di 630 miliardi di dollari, cifra pari ai due terzi di quello statunitense.La ricchezza americana, comunque, era in netto calo: se nel 1950 la percentuale delle espor-tazioni degli USA era pari al 16,7%, nel 1970 era scesa al 13,7%, a tutto beneficio del Giap-pone, della Germania Federale e degli altri Paesi CEE. Inoltre, il bilancio americano erain grave sofferenza a causa delle spese sostenute in Vietnam. Nacque da queste esigenze(rilanciare le esportazioni e proteggere il mercato interno) la storica decisione del presi-dente Nixon (annunciata il il 15 agosto 1971) di abbandonare la tradizionale converti-

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Georges Pompidou (a destra in primo

piano) con il presidenteamericano Nixon,

fotografia del 1973.

Gran Bretagna,Irlanda e Danimarca

entrano nella cee

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bilità del dollaro in oro, di svalutare la moneta statunitense edi porre elevati dazi doganali alle frontiere. A tutto ciò si aggiunse la brusca impennata che, dal 1973, iPaesi produttori imposero al prezzo del petrolio: questo pas-sò bruscamente da 3 dollari il barile a 11,65. La CEE attraver-sò allora uno dei suoi momenti più difficili, in quanto i diver-si Paesi non seppero assolutamente affrontare uniti la crisi néelaborare un’efficace strategia comune. Tuttavia, proprio in que-sto momento di sostanziale paralisi, ci si rese conto della necessitàdi strutture comunitarie più efficaci, di istituzioni dotate di mag-giori poteri e di un sistema più stabile nel campo dei cambi del-le diverse valute. Pertanto, fu proprio negli anni 1974-1976,nel cuore della crisi, che emersero per la prima volta l’idea dieleggere a suffragio universale un Parlamento europeo e quel-la di un’unione monetaria.Le prime elezioni del Parlamento europeo di Strasburgo ebberoluogo nei giorni 7-10 giugno 1979; furono eletti 410 deputa-ti, così ripartiti: 81 per Germania, Francia, Italia e Gran Bre-tagna; 25 per l’Olanda; 24 per il Belgio; 16 per la Danimarca;15 per l’Irlanda; 6 per il Lussemburgo. La partecipazione alleurne fu relativamente elevata, con una media del 65%; un’a-nalisi scorporata dei dati, però, mostra una divaricazione cla-morosa, visto che in Belgio votò il 91% degli elettori e in In-ghilterra solo il 33%, segno di un palese disinteresse nei con-fronti della nuova struttura che stava nascendo.

Gli anni OttantaNegli anni seguenti, una delle questioni più delicate, tra le numerose che furono discus-se, riguardò la riforma della politica agricola: questa aveva raggiunto costi insostenibi-li per i fondi della Comunità, in un momento in cui tutti gli Stati uscivano da una crisieconomica durissima come quella degli anni Settanta. Il governo inglese, in particolare,si rifiutava di pagare un contributo che riteneva troppo gravoso in proporzione ai bene-fici ricavati, visto che solo il 2% dei lavoratori britannici era impiegato in agricoltura eche questa contribuiva appena per il 2% al PIL del Paese. La riforma della politica agri-cola venne infine approvata nel 1988, allorché furono fissate delle quote precise per i di-versi prodotti, superate le quali i produttori non avrebbero ricevuto alcun sussidio (o ad-dirittura sarebbero stati penalizzati mediante sanzioni). Il denaro risparmiato dalle minorisovvenzioni concesse all’agricoltura poteva essere così dirottato a sostegno dell’industriasiderurgica, in gravissima crisi per un eccesso di produzione a livello mondiale: questa cri-si aveva provocato un crollo dei prezzi e la perdita di almeno 150 000 posti di lavoro neiprimi anni Ottanta.Nello stesso periodo, la Comunità dovette affrontare il problema di un ulteriore al-largamento a Grecia, Portogallo e Spagna, Stati che possedevano numerosi tratti in co-mune. In effetti, tutti e tre erano stati governati, fino al 1973-1974, da regimi autorita-ri; inoltre, si trattava di Paesi mediterranei, a basso tasso di industrializzazione, i cui pro-dotti agricoli potevano fare concorrenza a quelli di Francia e Italia. La Grecia entrò nel-la CEE il 1° gennaio 1981, Spagna e Portogallo nel 1986.A quel punto, l’Europa dei 12 si pose una serie di problemi che fino ad allora erano sta-ti tralasciati. Perché la circolazione delle merci, dei capitali e degli individui potesse es-sere davvero libera, occorreva eliminare o ridurre al minimo i controlli alle dogane. Per iprodotti sarebbe poi stato molto più efficace l’adozione di standard comuni, identici intutti i Paesi (perché fissati da precise direttive comunitarie), per quello che riguardava l’i-giene, la salute e le garanzie da offrire al consumatore. Nel 1990 venne firmato il cosid-detto accordo di Schengen (entrato in vigore il 1° gennaio 1993), in base al quale fu-rono soppressi tutti i controlli sulle persone alle frontiere.

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Manifesto per le elezionidel primo Parlamentoeuropeo nel 1979. La scrittarecita: “Il 7 giugno, la più grande elezionenella storia europeasceglierà un Parlamentoper l’Europa”.

L’Europa dei 12

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Mentre venivano esaminate tali questioni, si abbatté sull’Europa il ciclone del crollo del co-munismo, nel 1989, e divenne improvvisamente d’attualità il problema dell’unificazione te-desca. Dopo un’iniziale perplessità di Francia e Gran Bretagna, nel giugno 1990 la Comu-nità Europea diede il suo assenso al progetto del cancelliere Helmut Kohl, determinato a pro-cedere in tempi brevi all’annessione della DDR. Il 3 ottobre 1990, la Germania comunista ces-sava di esistere e il nuovo Stato unificato veniva formalmente accolto nella CEE.

I problemi dell’Unione Europea Il 7 febbraio 1992, nella città olandese di Maastricht si riunirono i ministri dei 12 Statimembri della Comunità Europea. A Maastricht, venne ufficialmente siglato il tratta-to che istituiva l’Unione Europea, un organismo finalizzato a far sì che i dodici firma-tari affrontassero in modo comune questioni di fondamentale importanza come lo svi-luppo tecnologico, la tutela dell’ambiente, la sanità. In campo economico, il trattato diMaastricht prevedeva la nascita della nuova moneta unica europea (l’euro) di cui si par-lava da tempo.Per garantire forza e sicurezza alla nuova moneta, destinata gradualmente a sostituire lediverse valute nazionali, era indispensabile che i Paesi che intendevano adottarla posse-dessero una notevole dose di stabilità economica e finanziaria; il trattato di Maastricht sta-bilì quindi con precisione dei rigidi parametri per ottenere l’ingresso nell’Unione eu-ropea. Una valuta nazionale che aspirava a fondersi nell’euro, ad esempio, non dovevasubire per due anni alcuna svalutazione; in secondo luogo, il tasso d’inflazione di un Pae-se non poteva superare dell’1,5% il tasso del Paese con inflazione più bassa. Inoltre, men-tre il debito pubblico di un Paese doveva essere inferiore al 60% del prodotto interno lor-do, il deficit di bilancio non poteva superare il 3% del PIL stesso.L’Italia, pur figurando tra gli Stati firmatari del trattato del 1992, sembrava destinata anon poter accedere alla futura unione monetaria europea, in quanto all’inizio degli anniNovanta il debito pubblico era al 103% rispetto al PIL (cioè era superiore al prodotto in-terno lordo), il deficit di bilancio corrispondeva al 9,9% del PIL e l’inflazione (al 6,9%)era molto superiore rispetto al parametro imposto. Malgrado ciò, il governo presieduto

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Una riunione del Parlamento europeo

a Strasburgo.

7 febbraio 1992: il trattato di

Maastricht

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da Romano Prodi, con interventi finanziari drastici e decisi, riuscì a raggiungere l’ambi-zioso obiettivo dell’ingresso dell’Italia nell’Unione monetaria, allorché essa venne varata,all’inizio del 1999.Considerata nel suo complesso, l’Unione Europea è una delle aree economiche più impor-tanti del mondo. Il suo punto debole è la mancanza di una vera politica estera comune; intutte le più gravi crisi internazionali, infatti, essa non ha saputo assumere una posizione ve-ramente unitaria, cosicché ogni Paese ha agito per conto proprio. Inoltre, all’inizio del nuovo secolo, l’Unione Europea si è ulteriormente allargata, fino acomprendere 27 Stati membri. Molti dei nuovi Paesi, tuttavia, erano appena usciti dal-l’esperienza comunista: prendendo l’intera area dell’Europa orientale, nel 1994, il prodot-to interno lordo (globale) era ancora inferiore del 12% rispetto a quello del 1989, mentresoltanto la Polonia, nel 1995, era riuscita a far sì che la propria economia tornasse ai livel-li del 1989. Ovunque, invece, era esplosa la piaga della disoccupazione di massa: se sieccettua la Repubblica Ceca, dove questa si era attestata intorno al 3%, negli altri Stati i di-soccupati erano, a seconda dei casi, il 10% (Romania) o il 16% (Polonia e Bulgaria) del-l’intera forza lavoro. Nel complesso, per l’insieme dell’Europa orientale, nel 1995 il nume-ro dei senza lavoro era stimato superiore ai quattro milioni. A causa di questi gravissimi pro-blemi, fin dall’inizio, per la maggioranza dei nuovi Stati membri della Unione Europea, l’a-dozione della moneta unica si presentava come un traguardo difficile e lontano. La gravissima crisi finanziaria esplosa negli Stati Uniti a partire dal 2008 ha aggrava-to ulteriormente la situazione di questi Paesi e di altri (come l’Italia, l’Irlanda, la Spagna,il Portogallo o la Grecia), che, sia pure per ragioni diverse, attraversano gravi difficoltà eco-nomiche e finanziarie. Oltre tutto, anche in questo caso – come in tutte le crisi, politi-che o economiche, del dopoguerra – l’Europa non ha reagito in modo compatto, men-tre alcuni progetti di darle una costituzione comune erano appena falliti (nel 2008) perla contrarietà dei francesi e degli olandesi. Secondo lo storico Valerio Castronovo «maicome negli ultimi anni si è assistito ad una situazione così desolante». L’unica consola-zione può venire dal fatto che anche diverse altre volte il progetto europeo sembrava sul-l’orlo del fallimento totale, ma poi, in tutte le circostanze, ha saputo uscire dalla paralisie rilanciarsi più dinamico di prima.

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Spagna

Francia

Portogallo

Regno Unito

Italia

SveziaFinlandia

Lituania

Estonia

Lettonia

PoloniaGermania

Grecia

Bulgaria

RomaniaUngheria

Rep. CecaSlovacchia

Austria

Belgio

Olanda

Malta Cipro

Turchia

Irlanda Danimarca

SloveniaCroazia

Lussemburgo

Area dell’euro

Paesi membri non aderentialla moneta unica

Paesi entrati nel 2007

Paesi che hanno chiestodi aderire

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PaesiPil pro capiteanno 2002(UE = 100)

Tasso dicrescitaanno 2003

Disoccupazioneanno 2003

Utenti internet -10 000 abitantianno 2002(UE = 404,57 –Italia = 119,13)

Repubblica Ceca 62,0 2,9 7,8 223,21

Estonia 40,0 4,8 10,0 467,63

Lettonia 39,0 7,5 10,5 152,39

Lituania 39,0 8,9 12,7 157,82

Polonia 41,0 0,4 19,8 170,30

Slovacchia 47,0 4,2 17,1 159,91

PaesiQualità ambientale: tonnellate di diossidodi carbonio pro capite nell’anno 2002 (ue = 8,38)

Repubblica Ceca 11,56

Estonia 10,22

Lettonia 2,76

Lituania 3,04

Polonia 7,58

Slovacchia 7,27

I PROBLEMI ECONOMICI DEI PAESI POST-COMUNISTI ENTRATI NELLA UNIONE EUROPEA:

RIORGANIZZAZIONE INDUSTRIALE, DISOCCUPAZIONE, INQUINAMENTO AMBIENTALE

PaesiPopolazione in milioni (all’1-1-2004)

Mortalità infantile per 1000 nel 2002 (UE = 4,15)

Aspettativa di vita allanascita nel 2002 (UE = m. 75,5 – f. 81,6)

Repubblica Ceca 10,2 4,1 m. 72,1 – f. 78,5

Estonia 1,4 5,7 m. 65,2 – f. 77,00

Lettonia 2,3 9,8 m. 65,5 – f. 77,00

Lituania 3,5 7,9 m. 65,9 – f. 77,4

Polonia 38,2 7,5 m. 70,9 – f. 78,4

Slovacchia 5,4 7,6 m. 69,5 – f. 79,6

Fonte: E. Letta, L’Europa a venticinque, Bologna, Il Mulino, 2005

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Decisioni

Proposte

Pareri

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COMITATOECONOMICO E SOCIALE

PARLAMENTOEUROPEO

CONSIGLIO DEI MINISTRI EUROPEI

COMITATOECONOMICO E SOCIALE

CORTE DI GIUSTIZIACOMMISSIONE EUROPEA

CORTE DEI CONTI

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Come funziona l’Unione EuropeaIl Parlamento europeo è composto da 785 membri, ha sede a Strasburgo e si rinnovaogni 5 anni. Ha i seguenti poteri:– esprime pareri sulle proposte di legge (la cui approvazione spetta però al Consiglio dei

Ministri);– approva (o meno) il bilancio comunitario;– approva (o meno) le decisioni prese dalla Commissione europea.

Il Consiglio dei Ministri Europei riunisce i rappresentanti dei singoli Stati membri che si oc-cupano della materia trattata: così se l’argomento all’ordine del giorno è la politica econo-mica dell’Unione Europea, si incontreranno i ministri dell’Economia. Ha i seguenti poteri:– approva i provvedimenti di legge;– coordina le politiche economiche generali adottate dagli Stati membri;– conclude, a nome della UE, accordi internazionali tra la UE e le organizzazioni inter-

nazionali o uno o più Stati.

La Commissione europea è composta da 27 commissari (uno per ogni Stato membro)e da un Presidente (che però non è il presidente dell’Unione Europea). Ogni commissa-rio si occupa in modo specifico di un settore (agricoltura, trasporti, commercio, ecc.). La Commissione europea vigila sulla corretta applicazione dei trattati e sull’attuazione del-le politiche comunitarie. Può altresì fare proposte al Consiglio dei Ministri.

La Corte di giustizia è composta da un giudice per ogni Stato membro e da otto avvo-cati generali. Ha il compito di verificare che le leggi comunitarie siano applicate nei Pae-si membri. Le sue sentenze sono vincolanti: può quindi ordinare agli Stati di uniforma-re la legislazione alle norme comunitarie.

La Corte dei Conti europea è composta da un rappresentante di ogni Stato membro. Hail compito di controllare le entrate e le uscite dell’Unione; redige inoltre una relazione an-nuale sul bilancio.

Il Comitato economico e sociale riunisce i rappresentanti delle varie categorie econo-miche e sociali (per esempio dei liberi professionisti, degli imprenditori, dei consumato-ri, ecc.). Il Comitato espone i loro pareri davanti alla Commissione europea. Ha però solouna funzione consultiva e mai decisionale.

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R i fe r i me n t i s t o r i o g r af i c i

La nascita della Comunità Economica Europea Firmato dai governanti di sei Paesi europei, il trattato di Roma diede vita a una vasta area econo-

mica, a un grande mercato comune europeo. Non si trattava di un’unione federale (e quindi, proprio perquesto, il trattato fu duramente osteggiato da Altiero Spinelli e altri federalisti convinti). Tuttavia, a po-steriori, quell’accordo può essere considerato un passo avanti fondamentale nel percorso verso un’Eu-ropa integrata e unificata.

Il progetto europeo, se mai aveva avuto una propria esistenza fuori dall’immaginazionedi qualche idealista, alla metà degli anni Cinquanta aveva subito una battuta d’arresto. L’As-semblea nazionale francese aveva posto il veto sulla proposta di un esercito comune e diconseguenza anche su qualsiasi prospettiva di un più stretto coordinamento tra i Paesi. Sierano stipulati vari accordi regionali sul modello di quello del Benelux (in particolare, nel 1954,il Common Nordic Labour Market tra i Paesi scandinavi), ma non c’era nulla di più ambiziosoin programma. La sola cosa su cui i sostenitori della cooperazione europea potevano ri-chiamare l’attenzione era la nuova European Atomic Energy Community, annunciata nellaprimavera del 1955; ma si trattava – come nel caso della CECA – di un’iniziativa francese eil suo successo si doveva, significativamente, al carattere ristretto e in larga misura tecnicodei suoi compiti. Se gli inglesi continuavano a rimanere scettici sulle prospettive di unità eu-ropea, non li si poteva certo accusare di mantenere una posizione del tutto irragionevole.

L’impulso per un nuovo avvio arrivò, piuttosto comprensibilmente, dal Benelux, che pos-sedeva maggior esperienza nel campo delle unioni doganali, oltre ad avere meno da per-dere dal diluirsi delle identità nazionali. Ai principali statisti europei (in particolare a Spaak,ministro degli Esteri belga) appariva ormai chiaro che un’integrazione politica o militare del-

l’Europa non era attuabile, almeno per il momento. Inogni caso, attorno alla metà degli anni Cinquanta l’a-genda [il quadro politico, che dettava le priorità – n.d.r.]non era più dominata dalle preoccupazioni militari delprecedente decennio. L’attenzione doveva ora essereconcentrata sull’integrazione economica, vale a dire suun terreno nel quale si potevano combinare interesse na-zionale e cooperazione, senza offendere le tradizionalisensibilità. Per discutere questa strategia, Spaak, in-sieme al ministro degli Esteri olandese, organizzò un in-contro che si svolse a Messina nel giugno 1955. Vi par-teciparono i 6 Paesi membri della CECA, più un os ser-vatore inglese (compito affidato a un funzionario di se-condo rango). Spaak e collaboratori presentarono unaserie di proposte per unioni doganali, accordi commer-ciali e altri progetti piuttosto convenzionali di coordina-mento transnazionale, tutti scrupolosamente confezionatiin modo da non offendere le sensibilità di inglesi o fran-cesi. I secondi si dimostrarono moderatamente favore-voli, i primi decisamente scettici. Dopo la conferenza, inegoziati furono continuati da un comitato di pianifica-zione internazionale presieduto dallo stesso Spaak, conlo scopo di formulare precise proposte per un’economiapiù integrata: un Mercato comune. Ma nel novembre1955 gli inglesi abbandonarono il negoziato, allarmatidalla prospettiva proprio di quell’Europa prefederale sucui avevano sempre nutrito forti dubbi.

I francesi, invece, avevano deciso di fare il tuffo: nel

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Manifesto perl’integrazione europea:

le nazioni firmatariedel trattato di Roma

sono viste comesorelle.

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marzo 1956, quando il comitato presieduto da Spaak presentò la proposta ufficiale per lacreazione di un Mercato comune, si dichiararono d’accordo. Gli osservatori inglesi rimaseroscettici. Erano senza dubbio consapevoli del rischio di essere lasciati fuori: come aveva con-fidenzialmente osservato un comitato governativo soltanto poche settimane prima che fosseresa nota la proposta di Spaak, «se i Paesi riunitisi a Messina realizzano un’integrazione eco-nomica senza il Regno Unito, il risultato sarà l’egemonia tedesca in Europa». Ciononostante,e malgrado le esortazioni dell’anglofilo Spaak e la fragilità dell’area internazionale della ster-lina, di cui si ebbe pochi mesi dopo la prova lampante a Suez, Londra non poteva persua-dersi a unire la propria sorte con quella degli europei. Quando, il 25 marzo 1957, fu firmatoa Roma il trattato costitutivo della CEE – e dell’Euratom, l’Autorità per l’energia atomica –,entrato in vigore a partire dal 1° gennaio 1958, la nuova istituzione – la cui sede fu posta aBruxelles – comprendeva gli stessi 6 Paesi che sette anni prima avevano fondato la CECA.

È importante non sopravvalutare l’importanza del trattato di Roma: era, in larga misura,una semplice dichiarazione d’intenti. I firmatari stabilirono un programma per la riduzione el’armonizzazione delle tariffe, delinearono la prospettiva di un allineamento delle valute e siaccordarono per promuovere il libero movimento di merci, denaro e lavoro. […] Alla basedella CEE stava la debolezza, non la forza. Come si sottolineava nel rapporto preparato daSpaak nel 1956 «l’Europa, che un tempo aveva il monopolio dell’industria manifatturiera eotteneva importanti risorse dai suoi possedimenti oltremare, oggi vede indebolirsi la sua po-sizione internazionale, declinare la sua influenza e arrestarsi la sua capacità di progresso percolpa delle proprie divisioni interne». Appunto perché non interpretavano ancora la loro si-tuazione in questi termini, gli inglesi avevano deciso di non aderire alla CEE. L’idea che il Mer-cato comune facesse parte di una calcolata strategia per sfidare la crescente potenza de-gli USA (tesi che qualche decennio più tardi avrebbe goduto di una certa popolarità nellecerchie politiche di Washington) è quindi del tutto assurda: la CEE dipendeva completamentedalla sicurezza garantita dagli americani, senza la quale i membri non avrebbero mai potutopermettersi di realizzare un’integrazione economica, trascurando al contempo ogni preoc-cupazione per una difesa comune.

T. Judt, Dopoguerra. Com’è cambiata l’Europa dal 1945 a oggi, Milano, Mondadori, 2007, pp. 372-374, traduzione di A. Piccato

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Da chi partìl’iniziativa dirilanciarel’integrazioneeuropea, alla metàdegli anniCinquanta? Perquali motivi?

Per quali ragioni ilRegno Unito nonaderì al trattato diRoma? Di checosa gli inglesinon si erano resiconto?

È lecito affermareche il Mercatocomune europeonacque allo scopodi contrastare lapotenza militaredegli Stati Uniti?

L’Unione Europea al tempo dellaglobalizzazione

Di fronte alle sfide del nuovo secolo, l’Unione Europea si è dimostrata lenta e intorpidita, del tuttoincapace di assumere atteggiamenti efficaci sia in ambito politico, sia a livello economico. Ad esem-pio, di fronte alla gravissima crisi finanziaria esplosa nel 2008, i Paesi europei sono indecisi sul da far-si. E se da un lato non possono tornare indietro rispetto agli accordi di Maastricht, dall’altro non san-no come procedere in direzione di una vera federazione sopranazionale.

Quell’Unione Europea che, con l’allargamento dopo l’Ottantanove ai Paesi ex satelliti del-l’Unione Sovietica, è diventata una compagine di oltre 450 milioni di persone e un’area eco-nomica con notevoli potenzialità, ha visto svanire progressivamente le sue ambizioni e le suechance [opportunità – n.d.r.] di affermazione al centro della ribalta mondiale. E questa pa-rabola declinante è avvenuta per cause che, seppur dovute in parte alla crescita di staturadi altri attori e ad alcune infelici evenienze congiunturali, riguardano soprattutto sia le formeistituzionali e di governo intrinseche alla UE sia i suoi strumenti operativi e gestionali. Fattosta che, mentre i processi decisionali della Comunità sono diventati sempre più farraginosi,dopo l’ampliamento troppo affrettato delle frontiere dell’Unione a est e la bocciatura del pro-getto costituzionale, è emersa in termini tangibili e avvilenti l’incapacità della UE di esprimersie agire in modo unitario, in base a una sostanziale compattezza e coerenza d’indirizzi fra isuoi Paesi membri. […]

I ritardi e poi gli interventi sporadici o confusi con cui la UE ha reagito all’aggravarsi dellarecessione economica hanno dimostrato ancora una volta le sue difficoltà a concepire e at-tuare una linea d’azione omogenea ed efficace. E ciò malgrado quanto affermato solenne-

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mente dai suoi rappresentanti in un documentocongiunto approvato al vertice europeo di Pariginel gennaio 2009, dove stava scritto che oc-correva valutare le cose con un’impostazione dilargo respiro per ridisegnare il sistema finanzia-rio e rilanciare quello produttivo all’insegna diun’«economia sostenibile». Da allora è tornata amanifestarsi la tendenza dei vari Paesi membriad agire isolatamente, badando al proprio ortodi casa e presumendo in tal modo di tutelarlomeglio. Di fatto si è assistito, invece che all’alle-stimento di una trincea comune, robusta e com-patta, solo al varo di una soluzione di compro-messo che consentiva di sforare per un anno iltetto del deficit pubblico. Per di più, si è lasciatoche ogni governo assumesse le misure che piùgli erano congeniali a livello nazionale e, quindi,in ordine sparso e in base a logiche diverse. […]

Tutto questo ha generato nell’opinione pub-blica l’impressione che l’Unione Europea sia so-stanzialmente un apparato burocratico. D’altraparte, la ricerca ogni volta di soluzioni che ri-

scuotano il maggior consenso possibile si traduce, all’atto pratico, in un lavoro al ribasso,nella tendenza a puntare su iniziative non già di vasto respiro ma minimaliste e di compro-messo. Ciò comporta, inoltre, come è avvenuto nel novembre 2009, che nella scelta dellemassime cariche (dalla presidenza del Consiglio europeo alla guida della politica estera) sipreferiscano personaggi di non eccelsa statura politica. Si spiega pertanto come da una tor-nata all’altra delle elezioni europee vada calando costantemente il numero di quanti si re-cano alle urne, tant’è che nell’ultima consultazione per il rinnovo del Parlamento europeosvoltasi nel giugno 2009 si è manifestata un’ulteriore diminuzione dei votanti. Oltretutto, men-tre sono sempre più folte le file dei partiti nazionalisti di ultradestra e dei movimenti euro-scettici, si è registrata, in molti casi, una discrasia [divergenza clamorosa, dissociazione –n.d.r.] fra le maggioranze presenti nei Parlamenti nazionali e quella degli eletti all’Assembleadi Strasburgo, di cui nel 2009 ha fatto le spese soprattutto la famiglia socialista (umiliata dairovesci subiti a Parigi e Berlino, ma anche all’Aia, Dublino, Budapest e Sofia). La comples-sità e l’opacità dei processi decisionali, il ruolo preminente assunto dalla tecnocrazia co-munitaria e il crescente disinteresse dei cittadini per le elezioni europee, e quindi nei riguardidi quanto si discute e si elabora nell’emiciclo [aula parlamentare – n.d.r.] di Strasburgo, ri-schiano di compromettere anche ciò che di buono e di valido si è costruito finora nell’am-bito di Eurolandia.

L’economia europea è grande quasi quanto quella degli Stati Uniti e tre volte più di quelladella Cina e del Giappone; ma Spagna, Grecia, Irlanda e i Paesi dell’Est hanno subito nelfrattempo un forte deterioramento delle loro posizioni e devono trovare pressoché da soliuna via d’uscita dalla crisi, in quanto non c’è nessun Paese, a cominciare dalla Germania,disposto a prestare loro dei soldi. E se la BCE [Banca Centrale Europea, il soggetto istitu-zionale dell’Unione che emette l’Euro – n.d.r.], da frangiflutti qual era in passato contro lespinte inflazionistiche, ha contribuito a fare dell’euro una moneta forte, l’esistenza di una va-luta unica e di un mercato unico non significa l’esistenza di un’entità politica unica. […] In-somma, mentre la globalizzazione ha contribuito da un lato ad acuire o a ridestare il biso-gno d’identità nazionale, dall’altro non è valsa a rafforzare o a creare uno spirito europeo néa rendere più saldi i poteri e le istituzioni politiche della UE. E la comparsa sulla scena del G20[la riunione dei capi di Stato o di governo dei 20 Stati più Grandi, cioè più potenti, del mondo– n.d.r.] fa presagire che il peso specifico dell’Unione Europea subirà una decurtazione, perlasciare più voce e spazio alle nuove potenze emergenti, dalla Cina all’India, al Brasile.

V. Castronovo, Le ombre lunghe del Novecento. Perché la Storia non è finita, Milano, Mondadori, 2010, pp. 200-206

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Spiega il termineeuroscettici.

Spiegal’espressione:opacità deiprocessidecisionali

Secondo l’autore,l’esistenza di unavaluta unica dache cosa non èancoraaccompagnata?

Logo dell’allargamentodell’Unione Europea.