La morte dell’Io. Una interpretazione · a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con...
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Rm, 6, 3-11 Agnès de Souza
una interpretazione:
la morte dell’io
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O non sapete che quanti siamo stati
battezzati in Cristo Gesù, siamo stati
battezzati nella sua morte? 4 Per mezzo
del battesimo siamo dunque stati sepolti
insieme a lui nella morte, perché come
Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo
della gloria del Padre, così anche noi
possiamo camminare in una vita nuova. 5
Se infatti siamo stati completamente uniti
a lui con una morte simile alla sua, lo
saremo anche con la sua risurrezione. 6
Sappiamo bene che il nostro uomo
vecchio è stato crocifisso con lui, perché
fosse distrutto il corpo del peccato, e noi
non fossimo più schiavi del peccato. 7
Infatti chi è morto, è ormai libero dal
peccato. 8 Ma se siamo morti con Cristo,
crediamo che anche vivremo con lui, 9
sapendo che Cristo risuscitato dai morti
non muore più; la morte non ha più potere
su di lui. 10 Per quanto riguarda la sua
morte, egli morì al peccato una volta per
tutte; ora invece per il fatto che egli vive,
vive per Dio. 11 Così anche voi
consideratevi morti al peccato, ma viventi
per Dio, in Cristo Gesù.
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In questa riflessione vorrei approfondire il tema maggiore di
questo brano della lettera ai Romani proposto dalla liturgia per
la veglia pasquale. Si tratta del tema della morte, intesa
maggiormente come morte in senso spirituale e non tanto nel
significato di morte fisica. Tuttavia ci sono anche altri temi,
come il battesimo e il peccato, di cui vorrei dire due parole per
precisare il loro senso meno comune. Sia il battesimo che la
morte simbolizzano un passaggio da uno stato di vita ad un
altro; il concetto di passaggio è il cuore del messaggio
pasquale.
il battesimo Il brano inizia con un richiamo al nostro battesimo. Tuttavia
bisogna situare il significato di questa parola nel contesto
culturale, sociale e religioso di Paolo, che scrive questa lettera
tra il 57 e il 58. A questa epoca, erano gli adulti che chiedevano
il battesimo. Chi voleva essere battezzato sapeva che poteva
andare incontro a persecuzioni fino al martirio. Essere
battezzato significava aver scelto (coraggiosamente) di essere
alla sequela di Cristo, con tutte le conseguenze.
Oggi, il battesimo ha chiaramente un altro significato. Nel
corso dei secoli, si è messo fortemente l’accento sulla
remissione dei peccati, simbolizzata con il segno dell’acqua. La
tradizione liturgica, per giustificare il battesimo dei bambini, ha
istituito la dottrina del peccato originale, concetto che non ha
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fondamento nella Bibbia. Non si è evidenziato invece il senso
positivo del battesimo, vale a dire che esso rappresenta l’essere
innescati a Cristo o in altre parole che attraverso l’unzione
battesimale si riceve lo Spirito di Cristo.
È con lo Spirito infatti che si può combattere il peccato, e
Paolo lo ripeta diverse volte in diversi modi nei suoi scritti.
Senza lo Spirito, si rimane, per usare un termine caro a Paolo,
nella carne (Gal 5 e 6).
È da notare che c’è sia un lato positivo che uno negativo della
stessa realtà espressa attraverso il sacramento del battesimo. Si
muore per rinascere. L’uomo vecchio viene sostituito
dall’uomo nuovo. C’è un passaggio da uno stato all’altro. Così
come c’è un elemento negativo e uno positivo nella morte e
resurrezione di Cristo. Purtroppo la nostra cultura ha
enfatizzato oltre misura solo la negatività del cammino del
discepolo, così come ha enfatizzato la morte in croce senza
mettere sufficientemente in rilievo il senso della resurrezione.
Questo anche perché lo Spirito è stato troppo spesso trascurato
dalla nostra tradizione, e molti cattolici hanno serie difficoltà a
comprendere cosa sia effettivamente lo Spirito. Lo Spirito
trasmesso da Cristo nel momento della morte è la sua forza che
permette di essere discepolo imitatori di Cristo, è l’amore, è il
perdono, in altre parole, è la stessa vita di Cristo che passa nei
nostri cuori.
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il peccato Anche il concetto stesso di peccato spesso non viene spiegato
in modo che si possa comprendere cosa sia veramente. Paolo
ne parla spesso nei suoi scritti e ha elaborato diverse liste di
peccati, e troppo spesso ci si limita a queste liste senza
approfondire l’essenza stessa del peccato. Paolo fa risalire tutti
i peccati ad una sola origine, definita con il sostantivo al
singolare. Il peccato consiste nell’essere ostile, indifferente,
apatico, fiacco verso Dio e il Regno. Il peccato è la forza
contraria a Dio. Sostanzialmente è dal rifiuto dell’uomo a
rispondere positivamente e autenticamente alla chiamata di Dio
che nascono le mille manifestazioni del peccato. È una
tendenza naturale dell’uomo. La lotta contro il peccato
necessita di una grande forza e di un grande coraggio, perché
molto spesso ci ritroviamo a fare il male che non vogliamo e
non il bene che desideriamo (cf Rm 7, 19).
seguire il Maestro Paolo ci indica che la via di uscita a questa impasse è solo la
sequela di Cristo. Il discepolo segue Cristo fino alla Croce, e
questo si può realizzare solo con la forza dello Spirito che va
invocato incessantemente.
Anche gli evangelisti ci indicano come superare il peccato:
guardando a Cristo. Infatti, nei vangeli, oltre a tutte le azioni di
guarigione dei malati e di promozione della giustizia sociale e
religiosa, Gesù ha mostrato e dimostrato con la sua vita di aver
un rapporto intimo e ininterrotto con il Padre. Inoltre, Gesù ha
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rivelato che Dio non è da comprendere come un giudice
impietoso e vendicativo, ma come amore incondizionato e
misericordioso. Il rapporto straordinario tra Gesù e il Padre
rivela l’uomo all’uomo, l’uomo perfetto senza peccato. È
proprio perché abbiamo questo “Modello” di vita, che è
relazione intensa con Dio, che possiamo dire che Gesù è
venuto per la nostra salvezza, che è venuto per la redenzione
dei peccati. Non si tratta di un atto magico o di semplice fede
intellettuale. Si tratta di seguire il Maestro per conformare la
nostra intera vita sempre più al Suo “modello”, per essere
sempre più somiglianti alla Sua immagine. Non abbiamo più
scuse, Dio non è più un mistero così misterioso e lontano e
distante da noi, proprio perché Gesù ci ha rivelato il volto del
Padre. Facendosi uomo come noi, ha rivelato all’uomo in cosa
consiste il vertice umano. Ha rivelato che l’umanità (la nostra
umanizzazione) perfetta si attua soltanto attraverso una
strettissima e intimissima relazione con il Padre. L’uomo non
può essere veramente uomo senza Dio. La realizzazione di
questo stato di perfezione si può attuare soltanto se l’uomo ha
la capacità, il desiderio, la necessità interiore di aprirsi allo
Spirito, invocando lo Spirito per una apertura sempre
maggiore, in un circolo virtuoso senza fine.
il cammino di perfezione: morire per risorgere Ora, l’uomo, per arrivare, passo dopo passo, ad uno stato
sempre più maturo (perfetto) deve passare attraverso diverse
tappe.
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Non credo sia esagerato dire che ogni stato o tappa conseguita
dall’uomo implica una “morte” dello stato precedente. È
chiaro che in questo brano Paolo parla della morte in senso
spirituale, anche se esplicita che l’unione perfetta avverrà solo
dopo la morte fisica.
Teresa d’Avila e Giovanni della Croce parlano di due tipi di
morte in senso spirituale: quella dei sensi e quella dello spirito.
Assicurano che dopo questo, l’anima si unisce al suo amato e
che l’unione maggiore si trova dopo la morte dello Spirito. Il
discepolo, all’ultimo stadio, è colmo interiormente dell’amore
di Dio e scopre uno stato di vita inimmaginabile
precedentemente. Teresa d’Avila, quando descrive lo stato
precedente all’unione, che definisce come un matrimonio tra
l’anima e Dio, precisa che questa unione è uno stato di
profonda letizia; e che se l’anima avesse potuto immaginare
quale gioia e delizie avrebbe incontrato nell’unione, avrebbe
accettato sofferenze molto maggiori a quelle vissute prima di
entrare nel luogo che chiama “la stanza del Re”.
Ma credo che possiamo aggiungere altre morti intermediare a
queste due.
Fr. Pierre Marie Delfieux, nel suo Libro di Vita (che è una
regola che ha scritto non solo per le fraternità dei monaci e
monache che ha fondato, ma anche per i laici particolarmente
impegnati spiritualmente), non parla di morte ma di povertà.
Povertà materiale, di solidarietà, affettiva e spirituale.
“La Povertà spirituale. E’ il grado supremo. Quello che ti deve
guidare, seguendo Cristo che si sazia continuamente della volontà
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del Padre, fino ad abbandonare la tua volontà propria, il tuo amor
proprio, il tuo personale modo di pensare, il bagaglio delle tue
conoscenze. Porta il tuo dono fino a questo punto, disarmati.
Perditi fino all’immolazione di te stesso. Questa è la povertà di
spirito che il Cristo ti propone. Ecco: se è lo Spirito che ti conduce,
lo Spirito ti muova.
La povertà materiale è facile. La povertà per solidarietà ci riesce
faticosa. La povertà negli affetti è sempre dolorosa. La povertà
spirituale crocifigge.
E’ il grado più alto del tuo cammino pasquale di povertà, in quanto
ti vuole condurre nel grado più basso. Dopo esserti spogliato prima
di tutte le cose, poi degli altri, ora devi spogliarti di te stesso: non
solo rinunciare ad affermarti, ma addirittura rinnegarti. C’è però il
Cristo che cammina insieme con te su questa strada.
Ricompensa a questo tuo dono è l’entrare nella volontà del Padre.
Non sei più schiavo di nessuno, sei un figlio; non essendo più
nulla, ricevi tutto. Povero di tutto, sei proprietario del Regno: erede
di Dio e coerede di Cristo. Lo stesso Spirito si unisce al tuo spirito
per attestare che sei figlio di Dio. Tu e il Padre siete una cosa sola,
perché fai ciò che gli piace.”
Anche qui, l’autore ci assicura che saremo eredi del Regno,
lasciando trasparire uno stato di profonda beatitudine solo dopo
grandi momenti di sofferenza creati dal cammino stesso.
Tutti gli autori concordano nel dire che il passaggio da uno
stato all’altro crea sofferenza. Ma una volta superata questo si
scopre un mondo interiore nuovo molto più ricco, sereno,
pacifico e libero del precedente. Mi viene da dire che è un po’
come quando si lascia l’infanzia per passare allo stato adulto, e
che questo passaggio avviene attraverso la sofferenza tipica
dell’adolescenza.
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i tranelli dell’io Molte guide spirituali oggi parlano della morte dell’io. Molti di
noi aspirano alla morte dell’io. Ma spesso è vissuto come un
lontano traguardo e spesso diventa più una sorta di slogan che
non un vissuto vero e proprio. Questo perché, malgrado una
aspirazione autentica degli strati più profondi del nostro essere,
l’io riprende l’obiettivo e lo fa proprio pur di non morire.
Infatti, l’io non è assolutamente disposto a mollare la presa, e
riprende, in modo molto subdolo, gli scopi spirituali per usarli
a proprio vantaggio e più precisamente per la propria
salvaguardia. L’io si impossessa dell’autentico desiderio di
unione con Dio e lo tinge di orgoglio spirituale, di desiderio di
onnipotenza, di desiderio di successo, ecc. È necessario essere
molto vigili ed essere spesso in qualche modo diffidenti di noi
stessi. È indispensabile la consapevolezza insieme all’assidua
preghiera su testi del vangelo che spesso ci rivela quello che
non avremo voluto vedere.
la difficoltà di tracciare una mappa Ma quali sono le tappe che ci portano verso la morte dell’io?
Quando si parla dell’interiorità, è sempre molto difficile
tracciare una sorta di mappa che potrà essere valida per tutti.
Ognuno di noi ha un suo cammino che è unico e che le è
proprio, ognuno ha un suo modo di rapportarsi a Dio, ognuno
ha un dono particolare da sviluppare e ognuno ha una difficoltà
particolare da superare. Inoltre, quando ci si addentra nel
mondo interiore e nel processo di crescita, non esistono regole
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prestabilite e applicabili per tutti allo stesso modo. Le tappe
spesso si sovrappongono e quello che uno vive all’inizio un
altro può viverlo verso la fine della sua crescita. Il mondo
interiore, psichico e spirituale, non può avere chiari parametri
come un qualunque oggetto inanimato. Le scienze umane non
possono seguire la stessa logica lineare della matematica.
alcuni indizi di discernimento a) dove il tuo tesoro?
In modo molto generico c’è un indizio molto chiaro per
comprendere se siamo veramente in progresso verso la morte
dell’io (lato negativo) o verso l’unione con Dio (lato positivo).
Basta guardare in tutta onesta dove è il nostro tesoro: se è
nell’io o se è in Dio. Una persona rivolta verso se stessa userà
tempo ed energie per le cose del mondo (per la casa, la
famiglia, la carriera, il tempo libero) ed avrà in controparte
molto poco tempo per Dio (letture, studio, servizio, preghiera,
liturgia). Sarà spesso rivolta verso se stessa (i suoi affetti, i suoi
problemi) o e sarà di conseguenza tutta piena di “io”.
Invece la persona che segue Cristo fa molto spesso riferimento
a Dio, prende le sue decisioni in funzione del vangelo, si
distacca progressivamente dalle attrazioni del mondo per fare
spazio a Dio e dedica molto tempo per Dio solo o in opere di
carità. Tutti i grandi santi, penso ad esempio a Francesco di
Assisi, Francesco di Sales, Teresa d’Avila, madre Teresa di
Calcutta, Charles de Foucauld, hanno lo sguardo rivolto a
Gesù. I loro scritti, o il racconto della loro vita fatto da altri,
sono ricolmi di Gesù.
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C’è una indicazione inequivocabile: quanto tempo e quanto
spazio lasciamo a Gesù nell’arco della giornata, della
settimana, del mese e dell’anno?
b) diverse tappe per il cambiamento
Altri segnali sono i seguenti: c’è un prima e un dopo. Ad un
certo punto, la persona ha preso una decisione che ha cambiato
la sua vita. Ha avuto una conversione. Si è decisa a lasciar
qualcosa per seguire un percorso spirituale. Consapevolmente
si è messa in cammino. Questo “iniziare un cammino”
consapevolmente può essere stato ripetuto più volte nella vita,
ogni volta con forza e profondità maggiore. La persona ha
detto “si” ad un appello che ha trovato irresistibile. Questa è la
primissima tappa di un nuovo processo.
La seconda tappa è il riconoscimento della necessità di
purificazione: la persona sente che è necessario conoscere i
suoi limiti per progredire: alcuni limiti fanno parte della natura
umana e sarà importante saperli accettare, perché in ogni
percorso spirituale l’umiltà è di primaria importanza. Altri
limiti dovranno essere superati e modificati, come ad esempio
la pigrizia, l’autogiustificazione, l’incoerenza, ecc.
Chiaramente, la purificazione è un processo che dura tutta la
vita, perché nessuno è in grado di raggiungere l’unione perfetta
su questa terra.
La terza tappa è la compunzione. Il grande dispiacere di
comprendere che si è artefice delle proprie azioni, e che si è
pienamente responsabile del proprio allontanamento da Dio. È
una sofferenza che può essere estremamente grande alle volte,
perché si percepisce la grandezza di Dio e insieme vede la
propria piccolezza. Ma proprio perché si vede la grandezza di
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Dio, non si cade in depressione. Questo perché, nel percepire
l’amore di Dio, si percepisce anche molto chiaramente il suo
perdono.
A questo punto arriva la quarta tappa, che però non dipende dal
discepolo ma da Dio: si riceve, quando meno lo si aspetta, una
forza che non si sapeva di avere e il cammino, che era
diventato molto faticoso, di colpo diventa molto facile.
All’aridità precedente subentra una grande fecondità.
E man mano che passa il tempo, ci si accorge che Gesù ha un
posto sempre maggiore nella propria vita. Se per caso questo
spazio fosse diminuito, allora si deve prendere coscienza che
qualcosa ci ha riportato indietro.
i diversi stadi del cammino Queste tappe sono valide e si ripetono per tutti i diversi stadi
del cammino spirituale.
Credo che, per semplificare i concetti di notte dei sensi e notte
dello spirito, possiamo riprendere quanto detto da fr. Pierre
Marie quando parla di povertà materiale, di solidarietà,
affettiva e infine di povertà spirituale.
Il primo stadio della crescita spirituale credo si trovi proprio
nel non attaccamento ai beni materiali. Non credo che questo
significhi desiderare la miseria, perché se il corpo ha fame non
può dedicare energie a Dio, deve pensare alla sopravvivenza.
Ma credo che il distacco dalle cose materiali significhi saper
vivere felicemente nella semplicità, senza bramare a più del
necessario. Non si perde tempo ed energie a correre dietro
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quello che non serve all’esistenza. Non si è attratto dalle mille
cose (molto spesso del tutto inutili) che la nostra società
consumistica ci propone. Ci si accontenta di poco.
Gioiosamente. Perché nessuna cosa al mondo, dal momento
che le esigenze vitali primarie come il cibo e la casa sono
soddisfate, può soddisfarci come la presenza di Dio che è in
noi. Ma prima di arrivare a questo stato sicuramente c’è un
travaglio interiore. Ognuno vivrà questo travaglio secondo le
sue condizioni di vita, secondo quello che la vita gli offre. Ma
bisogna senza dubbio fare i conti con la ricchezza e la povertà e
vedere onestamente dove ci situiamo.
Il secondo stadio è la povertà di solidarietà. Senz’altro l’io si
deve allargare al di là dei propri orizzonti, lasciare se stesso e
la sua famiglia (la famiglia è una estensione del proprio sé) per
occuparsi degli altri. Ci deve essere la cura dell’altro che non è
me, ci deve essere un sacrificio, una rinuncia, come atto
solidale verso un altro essere umano. Questo si può vivere in
tanti modi, non c’è solo l’azione della Croce Rossa o simili. Il
curare l’altro è come portare un po’ dell’amore di Dio a chi non
lo ha ancora scoperto, è lenire le ferite, è aprire gli occhi a chi
non riesce ancora a vedere, è sostenere chi ha delle difficoltà a
camminare… È un po’ come essere le braccia e il cuore del
Risorto, la “matita” di Dio per usare le parole di Teresa di
Calcutta. Qualche volta, per qualcuno, questo stadio è più
facile da raggiungere che non il distacco materiale.
Il terzo stadio è il distacco affettivo. Questo è molto difficile e
doloroso. Perché toglie una parte intima di noi stessi. Perché è
contro la nostra indole naturale. Perché confondiamo amore e
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possesso. Tutti noi confondiamo amore e possesso. Amore e
proiezione della realizzazione dei propri bisogni nell’altro.
L’altro è visto come utilitario per noi. Che siano compagni,
figli, fratelli, padri o madri. È una dura prova. Richiede una
grande consapevolezza per riuscire a vedere come siamo
mendicanti. E il tempo e l’energia che passiamo a mendicare
ad un altro ci impedisce di fare spazio a Dio. Il paradosso poi è
che Dio può colmarci come nessun essere vivente potrà mai
fare.
L’ultimo stadio è il distaccarsi da quello che abbiamo di più
intimo. È la nostra volontà e il nostro pensiero. È estremamente
difficile. Significa non curarsi più di nulla, ma senza per questo
essere un menefreghista, un disinteressato alla vita. Anzi,
credo che in qualche modo è un vivere più intensamente. È
rimettere la propria volontà in quella di Dio. È molto difficile
perché non è chiaro cosa deve essere lasciato e cosa deve
essere mantenuto, perché abbiamo senz’altro ricevuto anche
dei talenti, e che questi non bisogna seppellire. È il momento di
Gesù nel Getsemani. È accettare di lasciare tutto per seguire
solo Dio. È l’unico modo per poter passare per la porta stretta,
così stretta che non possiamo indossare neanche uno solo velo.
Richiede una grande forza, una grande consapevolezza e una
fede immensa. Una fede che può far muovere le montagne. Ma
i santi testimoniano che poi la ricompensa è l’unione con Dio,
che come negli stati precedenti, ci colma con i suoi beni ma in
modo ancora maggiore. È il senso pieno della resurrezione.
Siamo diventati un altro, un uomo totalmente nuovo che vive
in Cristo. A questo punto, siamo colmi di Dio, il nostro “io” si
è fatto talmente piccolo che è quasi sparito.
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la forza trainante È il costante e forte desiderio di unione che ci permette di
superare tutte le difficoltà e sofferenze. La persona cerca Dio in
modo quasi ossessivo, Dio è al centro dei suoi pensieri. Dio è
l’orizzonte, il traguardo, ciò che riempie tutta la vita, anche le
cose apparentemente più insignificanti. Dio è come una forza
che attrae irresistibilmente, una forza che non si può ignorare e
con la quale ci si misura in tutte le azioni. C’è un intenso
desiderio di somigliare sempre più al Modello Gesù, di seguirlo
anche lì dove non vorremmo andare. È in Lui che si trova il
coraggio necessario per continuare a camminare malgrado le
varie cadute che facciamo. È con il Suo spirito, molto spesso
invocato in diversi momenti della giornata, che si riesce a
mantenere la consapevolezza nel “qui e ora” delle nostre azioni
per comprendere, in tutta sincerità, dove ci situiamo a questo
punto della nostra vita. Perché è solo con la piena coscienza di
quello che siamo, così come siamo, che possiamo avere un
rapporto autentico con Dio. Certi di essere sempre accolti
amorevolmente.
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il battesimo 3
il peccato 5
seguire il Maestro 5
il cammino di perfezione: morire per risorgere 6
i tranelli dell’io 9
la difficoltà di tracciare una mappa 9
alcuni indizi di discernimento 10
i diversi stadi del cammino 12
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